Alba Di Morte
Caro mi è ‘l sonno, e più l’essere di sasso
Mentre che il danno e la vergogna dura:
non veder, non sentir, m’è gran ventura;
Però non mi destar; deh, parla basso
Michelangelo
Buonarroti
Vi
siete mai chiesti quale sia la forza che lega la vita di ognuno? Qual’ è l’
infante dettaglio che cambia il corso di un filato centenario?
C’è
un filo che lega ogni futuro, ogni presente ed ogni passato. E’ un filo
flebile, un refe dove le anime si sostengono in equilibrio precario, sollevate
solo dalla speranza.
Esiste
una tela, una larga evoluzione del tempo, che percorre milioni di corpi e ne
stabilisce il percorso, come marionette.
E
capita, che certe volte, un filamento si spezzi, ceda prima di terminare il
proprio cammino. Allora un’anima cade, precipita nel buio, inseguita dagli
sguardi memori della gente che continua il suo cammino, con risentimento,
provando una tremenda apprensione ed avvicinandosi sempre più alla morte, al
termine di tutto.
Può
succedere, che poi qualcosa cambi all’improvviso. Avvenga uno sbaglio o forse
un mutamento premeditato. Allora pensi di aver cambiato il tuo percorso, ed
invece sei stato solo illuso. Perché anche quella falsificazione non è avvenuta
per caso.
Ogni
cosa è al suo posto e lo sarà sempre. Tutto è amplificato nel limbo della vita.
Ma
osserva attentamente, ti chiedo solo questo. Osserva ogni gestualità, ogni
dislocamento di movenza. E allora capirai, cosa è vero e cosa No. Potrai
intendere l’attimo sfuggente in cui tutto è cambiato.
Ti
chiedo solo questo, mio piccolo fiore del destino.
“Il
sonno ti è caro. Ogni sera ne dipendi come fosse aria. Ma non sai, che quella
notte, il sonno si trasformò in eterno, per sempre addormentata, come una
principessa in una favola…”
E
in quel momento ti arriverà lontano, l’eco di queste parole. Non ne capirai il
significato, perché questo uscirà per sempre dalla tua vita.
Poiché
finalmente…
…Sei Sveglio.
Una strada
macchiata, mille tracce di sangue nel futuro.
Vedeva
solo questo. Un presente ed una storia vermigli.
Solo
malattia e persecuzione. Mutazioni e distruzione.
Tanto,
tanto dolore.
Le veniva da piangere, pensando a quanto
poteva cambiare, per un istante, il mondo.
Camminava
sotto piante ormai morte, su di un terreno carminio. Le faceva effetto. Un
gioco troppo potente di colori e sfumature, che le ricordavano il sangue, la
morte.
C’è chi
crede che la morte possa far riappacificare l’anima. In letteratura la
chiamavano morte serenatrice. Poiché tutto finisce. Solo allora si trova la
pace, quando anche l’anima si acquieta.
Il vento
la trasportava verso un sentiero arrossato. Le faceva da guida con le sue
parole. Le sembrava che parlasse, il vento freddo. Le dava i brividi. Gli
ricordava un po’ suo cugino. Distaccato, falso, ipocrita.
Neji…
solo un pupazzo senz’anima. Non lo vedeva ormai da molto tempo. Non si era più
fatto vedere dal giorno in cui aveva compiuto 17 anni. Il clan Hyuga
sapeva solo che Neji lentamente
prosciugava il conto di famiglia, quello che suo padre gli aveva lasciato in
eredità. Nessuno però si era più interessato a lui. Una volta scomparso, la sua
stanza era rimasta chiusa, da quel giorno.
La
polvere vi ricadeva, come teli di dimenticanza.
Si faceva
finta che non esistesse più. Come quelle cose mezze dimenticate, che si
vogliono dimenticare. Qualcosa che doveva
essere dimenticato. In ogni modo.
Hinata
Hyuga, era l’unica che ancora sperava, e ancora voleva il ritorno del cugino.
Osservava
le foto di quando erano piccoli.
Lui aveva
imparato ad amarla, questa piccola donna senza futuro.
‘Neji,
segui i suoi pensieri, osserva i suoi occhi. Vedrai, che sono come i tuoi.’
aveva detto un giorno Hizashi al figlio. Pochi giorni dopo, Hizashi Hyuga era
morto. Uomo di politica, ucciso da un traditore.
Da quel
giorno Neji non era stato più lo stesso. Finché non se ne andò, in silenzio.
Passi,
milioni di passi. Passi di gente che nemmeno si conosceva, di ragazzi che
inaspettatamente non vivevano altro che per il proprio futuro. Erano
incoscienti, inconsapevoli che al di fuori di quelle mura, di quel maestoso
palazzo, stesse incendiando un sole macchiato. Ed era questo sole, che avrebbe
macchiato il loro futuro. Erano così cechi, da non capire che il loro domani
era già stato creato da quel sole nero, dalla lucida follia di pazzi uomini
senz’anima.
‘Gli
incoscienti, cammineranno su di un
telo di seta rossa, su di un tappeto di sangue e fuoco.’ Ripeteva una canzone
con insistenza. La canzone rievocata da una voce solitaria, chiara e fresca,
come il vento invernale. Ricordava un po’ una bambina, nonostante la portatrice
fosse ormai una donna.
Niente la
staccava dalla visione dell’alba, tarda e andante, era la sua musa, una visone
romantica troppo lontana da poter sfiorare.
Quel
ritrovo tra bellezza eterna e fuoco ingente le ricordava un po’ la sua vita.
Una indefinita macchia di colori. Quello era. Solo una macchia. Eppure era una
macchia di incontestabile eleganza. Forse era per quel motivo che tanto la
ispirava e la rinchiudeva, alla ricerca di sogni futuri. Era solo un’anima
vagante, guidata dalla luce nera del primo crepuscolo.
Niente la
distolse dalla larga veduta, niente fermò la sua ninna nanna del cielo.
Continuò, anche dopo il suono della campanella. Non ebbe paura, si scordò del
mondo, mentre il suo canto volgeva all’orizzonte, ne placava l’ira, lentamente,
come un carillon polveroso che riprende la sua utilità dopo anni.
“ Sangue
nel cielo, si dipinge indistinto.
Lacrime
nell’ombra, gocce di pianto alla notte.
Cala il
sonno…. Nasce una nuova speranza.
Ti prego
stai con me… non lasciarmi mai più sola…
lascia
che i miei baci diventino il tuo cammino e le mie parole i sussurri del tuo
vento…
Seguilo,
ti ricondurranno alle miei labbra… e allora non mi dirai mai più ADDIO…
Baciami e
dimenticati di questa pioggia, dimenticati delle anime che si porta appresso,
dimentica
gli spiriti, dimentica le stille.
Canterò
ancora, ancora e ancora, per far si che tu possa dimenticare…
Blood in the sky, it depict faint.
Tears in the shadow, weep’s droppes in the night.
Lower sleeply, grow up a new hope.
Please, stay by me…never leave me alone…let that my
kiss become your way
And my words a whisper in you wind…
Follow it, take back you to my lips… and you don’t say
me farewell…
Kiss me and forget about this rain, forget the soul
that it carry near,
Forget the spirit, forget the tears.
I still sing more and again, for do way that you can
forget…”
Si
disperò, la voce che cantava. Urlava richiusa nella sua prigione, tentando di
liberarsi.
Poi,
all’improvviso, bloccò il suono della canzone, le note di una triste storia.
Venne come sorpresa, illuminata da un rimpianto. Allora si allontanò dalla
presa del tramonto, scappando.
Afferrò
la cartella e fuggì verso la scuola.
Tentava
di scappare dai sogni, la piccola donna. Volle liberarsi da un legame troppo
forte ed allora corre, corre lontano, dispersa tra la nebbia dell’esistenza.
Suru Ai.
La ragazza senza futuro.
Il
pesante suono dei propri piedi che ricadono a terra, nel corridoio scolastico.
Solo l’ombra di un corpo, la schiva traccia di una presenza.
Camminava
lenta, un’altra ragazza senza futuro.
E non
corse, non sapeva nemmeno quale fosse la sua destinazione. Perché mai si
trovava lì, non ne aveva cognizione nemmeno lei.
Aveva
sempre pensato che non le servisse a niente,
andare a scuola. Le cose che bisognava imparare erano quelle che si vivono in
prima persona. Capiva più nei giorni in cui marinava che quando stata in quel
lurido posto. Odia lo scintillante pavimento, abomina gli esigenti professori,
ed esecra le oscillanti divise femminili. Dannata gonna. Le sembra di
assomigliare più che mai ad un uovo di pasqua. Oppure a una lolita. Non sa
nemmeno quale sia peggio.
Passo dopo passo, non lascerà che l’ astruso
odore di fresco papavero per la sua strada. Si sentirà solo quello, ed anche il
suono dei suoi passi appassirà, scomparendo nell’eco.
-Chiunque metta piede in questi luoghi, sarà destinato a
scomparire nella memoria.
Passeranno gli anni, e con questi le persone.
Ed allora nessuno più si ricorderà di quel gotico aroma di
fiore.-
Nawaki No Yukari. Il nome di un altro corpo senz’anima, di un altro destino
divorato.
Cercando
la sua classe, Nawaki vide un’altra ragazza per i corridoi. Si accorse di quanto
i suoi occhi fossero dispersi in sogni invisibili. Di quanto fosse profonda la
sua tristezza.
La
osservò, attentamente. Possedeva occhi intenti, incarnati. Il loro colore era
cavo, indistinto. Racchiudeva la potenza della terra, delle piante, verdi, come
un’edera che si incastra, ma anche scivolosi e struggenti, come lo scrosciare
di un torrente. Un colore che brillava, che mutava i caratteri sotto la carezza
di un sole rosso.
Verde
acqua.
Le
ricordavano un po’ i suoi. Tristi e distanti, eppure ricercavano speranza. Ne
avevano più di quanta ne avesse lei, ma di malinconia, ce ne era fin troppa,
per entrambe.
Camminava
ondeggiando. Nawaki la vedeva, come tentennasse nella realtà, nel soffice filo
che la divideva dalla morte. Era impaurita, impaurita da tanta ipocrisia.
Muoveva
la chioma, ad ogni passo. Liscia e castana. Le ricordava la potenza degli
alberi.
Non
abbandonò mai il suo sguardo verso l’altra ragazza. La interpretava in ogni
intima gestualità. Una peculiarità perfetta.
Non si
rese nemmeno conto che anche l’altra la stava osservando, con la curiosità che
non si era mai permessa di provare.
Entrambe
riuscirono a percepirlo, l’attimo in cui i loro occhi si scontrarono e
capovolsero il percorso della tela.
Si videro
riflesse. Le loro iridi, riverberate nelle pupille dell’altra, si combattevano,
eppure era come se fossero già state legate.
Nawaki si
sentì fuori posto. Come se stesse violando un principio, una legge invisibile.
Cambio
visuale, allontanando le sue iridi da quelle dell’altra.
Entrambe
ritornarono al loro percorso, come se il loro gioco non fosse esistito, anche
se per un attimo, ad entrambe, sembrò tutto solo un gioco.
Capirono
solo dopo, quanto fosse crudo il destino. Non un gioco, no di certo. Solamente
un piccolo intreccio di vite, correlato da attimi e istanti perfetti e
invisibili, che potevano cambiare la forma di mille tessuti.
-
Gommenasai professore. Ho saputo che domani ci saranno le prove a coppie tra le
classi di prima.-
Una voce
sublime, l’elegante evolvere di un suono. Sensuale e delicato, maturo e
innocente.
Un timbro
che proveniva da labbra sottili, rosee e voluminose. Peccavano a ogni
movimento.
-Sì
signorina Hyuga, e allora?-
Hinata
Hyuga. Occhi glaciali che assistevano assiduamente al ripetersi di sbagli, allo
spreco di mille vite.
Si sfiorò
nervosamente la fluente chioma fosca con i polpastrelli in un visibile attimo
di in soggezione e pentimento. La vergogna le si stampò in viso, stridendo con
la carnagione albina.
- Vorrei
chiederle se fosse possibile assistere alla lezione…- tentennò, attendendo una
risposta. Il professore di musica la osservò incuriosito, chiedendosi cosa
stesse pensando quella ragazzina passionale.
- E quale
sarebbe il motivo della scelta, se posso chiederlo, signorina Hyuga?- Hinata ricambiò lo sguardo, sorridendo
dolcemente. Le sembrò un buon modo per iniziare.
- Voglio
formare una band.- sostenne decretata- Magari riuscirò a trovare qualcuno di
talentuoso.- bisbigliò appena con l’emozione che le mutava il timbro.
-Capisco.
La giustificherò io con il professore di quella ora. Venga domani alla prima
ora nella classe 1-B. E buona fortuna.- il professore riprese a camminare
indifferente verso il corridoio. Hinata lo osservò dirigersi verso l’androne,
con il cuore che sobbalzava.
- Domo
Kakashi-sensei. - biascicò sorridente mentre si dirigeva verso la prossima
aula.
Nawaki
pensò, quella mattina.
Pensò a
quanto fosse ironica la vita. Non aveva mai aperto un libro in vita sua eppure
riusciva a ricordare tutto. In fondo era sollevata da questo, poiché l' ultima
cosa che doveva accadere era essere bocciata. Bastava un errore, che i suoi
genitori le avrebbero portato via l’unica cosa che la salvava dal baratro. La
sua musica. La sua chitarra, i suoi assoli.
Era
un’eccellente chitarrista, ma nessuno lo sapeva.
Non aveva
amici. Era troppo distaccata e fredda. O almeno questo era quello che gli altri
vedevano in lei.
Guardò fuori. Si intravedeva ancora l' alba, quell' alba rossa come il sangue.
Meravigliosa nel suo nascere.
Eppure lei preferiva il tramonto. L’istinto le diceva questo.
La fine di
un giorno, ma l' inizio di qualcosa di nuovo. La speranza che muore per poi
rinascere, ritornare a sperare.
Nessuno era mai riuscito a farle cambiare idea, nessuno.
La
campanella suonò per la terza volta quella mattina. Erano passate ormai un paio
d’ore.
Suru
entrò nell’aula velocemente, sedendosi in uno dei banchi vicini alla finestra,
come le era sempre piaciuto.
Non si
accorse delle persone che la circondavano, se ne stava sulle sue, ad osservare
le foglie cadere, imbrigliarsi al vento, colorare l’aria di carminio. Le vedeva
così, come un’aspirale di sangue, mille schizzi di smania.
Entrò
anche il professore e l’idillio cessò. Il sangue smise di sgorgare e Suru tornò
nella gabbia, come una fenice imprigionata.
Musica.
Un’arte
descritta su carta con mille note a pentagramma. Un’espressione di assoluto
sentimento, il tramite di sentimenti, la parola inquieta di un cuore.
Le
sembrava ogni volta di ascoltarla, la voce delle note. Lei era il loro tramite,
l’interprete. Forse era per questo che le piaceva. La faceva sentire
importante, necessaria per una volta nella sua vita.
Ogni
volta era una nuova emozione, le veniva quasi sempre da piangere. Era stupido,
lo sapeva, ma non poteva farne a meno.
La
lezione procedette velocemente, più di quanto si aspettasse. Per un attimo si udì un lembo di silenzio,
fin quando il professore non riprese a parlare, con la sua voce rombante da
baritono.
- Per la
prossima volta, voglio che prepariate un pezzo.-
Un colpo,
il cuore che rimbalzava nel petto. Non aveva mai cantato davanti a qualcuno che
non fosse se stessa. Suru si sentì un difetto, una bambola imperfetta, vuota e
mancante.
Deficiente.
- Vi
metterò a coppie. Solista e musicista. Cercherò di non lasciare lagune d’
abilità tra gli abbinamenti. Sarete affiancati da persone del vostro stesso
livello. Vi verrà assegnato anche un testo alle vostre portate.-
Si sentì
un nodo in gola, mentre nella stanza il suono alleviato degli schiamazzi di
ripresentava ad eco da ogni angolo dell’aula.
Non si
sentiva bene, eppure Suru non poté fare a meno di provare una strana sollecitazione
allo stomaco, come se l’idea di mostrarsi non fosse così deteriore.
- Le
coppie saranno:
Sakamo,
Hikari.
Itsumisai,
Naikai.
Maita,
Taiku.
Ai, No Yukari.
Takeno,
Yukiro.
…..-
La voce
continuava, ma per Suru il tempo si era fermato. Come se non percepisse
nient’altro, solo il silenzio.
Si girò,
alla disperata ricerca della ragazza o del ragazzo a cui poteva appartenere il
cognome No Yukari.
Chissà.
-Hinata,
per domani hai chiesto al professor Takashi di assistere a quella lezione?-
domandò assorta Sakura.
Hinata le
sorrise, annuendo pensierosa. Le sembrò una stupidaggine, ma in quel momento
era l’idea più geniale che le fosse venuta in mente.
-Vedrai
che troveremo qualcuno di talentuoso.- aggiunse soddisfatta, deponendo la
bibita all’arancia nel cestino.
- Mah… io
non ne sono molto sicura Hinata-chan. Secondo me è una perdita di tempo. I
ragazzi di prima non sono molto… intelligenti.-
Sakura corrugò la fronte, mutando il volto in una smorfia di
risentimento.
Per un
momento si udì solo il suono della cannuccia della rosa che sfregava nel fondo
esaurito del succo.
A Hinata
quel rumore dava i brividi.
- Guarda
che hai solo un anno in più di loro.- sorrise, osservando gli occhi smeraldini
dell’amica.
L’altra
sbuffò, continuando a strofinare la cannuccia nella plastica della bottiglia.
Non
parlarono più, non avevano mai niente da dirsi. Era due anime contrapposte, ma
aveva un solo sogno.
Sakura
Haruno, batteria.
Hinata
Hyuuga, basso.
Entrambe,
due corpi senz’anima.
Passi,
rumori, parole.
Un ragazzo stava passando per il corridoio, un altro corpo senza anima.
Le ragazze erano tutte attratte da lui, ma a lui non importava, aveva già
regalato il suo cuore.
Il suo sguardo gelido, non si lasciava sottomettere, era così nero che nessuno
riusciva a intenderlo, così nascosto e perduto. Sprovvisto di ogni sentimento.
Diede un' occhiata veloce alle persone che aveva accanto, una presenza a cui
ormai era abituato.
Il suo
sguardo si fermò sulla stessa persona che si era impossessata di lui.
I suoi occhi neri pece si scontrarono con quel verde smeraldo, un gioco di
sguardi, semplice, veloce.
Triste.
Un gioco
di anime in cui anche il cuore partecipava, in un incontro tra possessione e
proibito.
Il rumore assordante della campanella fece distaccare i due sguardi per andare
nelle proprie aule.
Sasuke pensò a quanto la vita fosse strana, sapeva che non c' era posto nel
mondo per uno come lui, ma non capiva il perchè vivesse.
Non aveva sentimento, se non per lei.
Le sue
armi erano le sue uniche consolazioni. A lui piaceva divorare, inghiottire
l’anima di quella ragazza e difendere la propria.
Non capiva a cosa servisse andare a scuola, odiava quel posto, odiava le
ragazze che gli andavano dietro. Tutte tranne una. Lei.
Guardò fuori, si intravedeva ancora quel cielo rosso, rosso alba, la cosa che
odiava di più. Luce e rinascita. Tutte parole senza senso per la sua mente.
Per Sasuke la vita non era semplice, aveva preferito buttarla via, rimanere un
burattino che cammina attraverso i fili della vita.
Perchè Sasuke voleva morire. E lo avrebbe fatto, se non fosse stato per Lei.
Lei.
Sakura Haruno. Una ragazza e la sua triste storia di un amore indefinito, che
il destino lasciava pendolare nel vuoto, trascinando nei baratri più oscuri la
speranza.
Lei,
ormai, non era più viva. Soffriva un’esistenza con Lui. Soffriva la vita e
tutto quello che aveva da dare.
Era tutto
così inutile…
Persino il suo cuore…
Silenzio.
La pura testimonianza dell’assenza.
L’aria
contagiata, la sensazione di deteriore e soffocante fumo.
La
sigaretta si consumava, lentamente.
Se la
portò alla bocca, aspirando violentemente la nicotina malfatta. Gli lasciò
putridità e amaro in bocca, nonostante fosse anche maledettamente vizioso.
Le
persiane erano chiuse, appena un lembo di luce che lasciava presagire mattino.
Si avvertiva più potente, la sensazione di soffocamento di quella stanza.
Tutti
poteva odorare, tutti sentivano e catturavano quell’impregnante aroma di sangue
e fumo che affliggeva le tende malmesse e il divano sfondato. Il fumo non era
che una decorazione, l’abbinamento alla morte che alloggiava in quella stanza e
che radicalmente si consumava, come la nicotina di quella sigaretta.
Un’altra
tirata, goduta a pieno, prima di sbattere la sigaretta contro il posacenere.
Si alzò,
la figura scolpita nel vuoto, tra la nube di infestante fumo.
Lasciò i
capelli scivolargli nelle spalle, virtuosamente. Li lasciò dondolare durante il
suo percorso nel corridoio.
Camminò,
accendendo un’altra sigaretta.
Indirizzò
un sentiero di morte.
Si sentii
le vertigini, ma riprese la sua strada tra il parquet rigato e le pareti
malmesse.
Così
putride e imbevute di sangue, che gli facevano venire la nausea.
Si precipitò
in bagno, sbattendo la porta con violenza e iniziando a vomitare.
Era
sempre così. I suoi occhi riuscivano sempre a percepire la chiazza di salmastro
e putrido che si estendeva in tutto l’appartamento.
Insopportabile.
Era
ancora piegato in due, quando qualcuno si appoggiò allo stipite, spalancando la
porta e portando con sé una gotica e nauseante esalazione di fumo. Fumo che
sapeva di canna e vodka.
-Inizio
sinceramente a credere che tu sia una donna, Neji…- il ragazzo aspirò ancora
una volta dal sigaro, gustandosi a pieno il sapore della morte, del suo futuro
andante.- Dai, a me puoi dirlo. Chi è il padre?-
La
pungente ironia di quella parola rimaneva sospesa nel vuoto, trasportata solo
dal campo esotico di miasma e nebbia, agguantando la pelle di Neji come mordendola. Lo rendeva più lurido
di quanto non fosse già.
Neji si
asciugò le labbra turgide con le maniche del kimono malmesso. Emise un ghigno
contro l’amico, osservando con più disprezzo che poteva.
- Fottiti
Itachi.-
-
Oohh…Che parolone per una donzella. Non le hanno insegnato l’etichetta,
signorina?- lo scherno si dipinse sulle labbra turgide del ragazzo. Capì quanto
fosse indesiderato.
Rise di
pieno gusto, anche quando Neji lo sbattè al muro, superandolo con velocità.
Poi tornò
serio, scostando i capelli dal volto pallido.
- Non
puoi scappare a lungo, Neji. Potrebbe essere qualcosa di grave, e tu lo sai.
Non possiamo permetterci di perdere qualcun altro. Pensaci.-
Neji si
fermò, continuando a dare le spalle ad Itachi. Era come se non volesse guardare
in faccia la realtà, almeno non ancora.
-E
comunque che cosa potrei fare? Tornare a casa e chiedere aiuto?- gli sfuggì una
risata di smania.- Non servirebbe a niente. Chi se ne fotte di quello che
accadrà, tanto succederà comunque, qualsiasi cosa io faccia.-
- Non
pesi che potresti morire?-
Silenzio.
- Anche
se capitasse, a chi importerebbe? A voi fottutissimi stronzi? Ragiona Itachi.
Siamo il punto cieco di questa merda di società. Nemmeno i nostri familiari s’
interessano più a noi.-
Era risaputo
che Neji non aveva di certo un carattere rosa e fiori. Duro e glaciale, come
tutti in quel putrido luogo che odorava di sangue.
Riprese a
camminare, prendendo il giubbotto.
- E ora
dove vai?- domandò scocciato Itachi, aspirando un altro po’ di fumo.
- A fare
una passeggiata.- si mosse verso la porta con freddezza e distacco.
-Ancora a
fotterti qualcuno? Fra un po’ ti ritroverai con un figlio per le mani… io ti
avverto. Rischi parecchio ad andare sempre nel solito posto. Poi fa quello che
ti pare.- sospirò Itachi, dirigendosi dall’altra parte.
Neji se
ne fregò. Continuò solo a camminare nella sua tela, da solo, come un esule
senza futuro.
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Siiiii!! Siamo artisteeeeee!!! ) veramente in questo chap ho scritto + io…. =_= by sofy, alias Suru).
Ok ragazzo, siate equi. In tutta sincerità c’è gente a cui non è piaciuta affatto ( malfamatii!!! -.- nd noi) a causa del ritmo troppo lento e riflessivo. Eppure c’è stata gente ( come alcune mie compagne di classe… >.< nd Sofy) a cui è piaciuto un casino, e che se lo è anche scritto sul diario… vabbeh.. o qualcuno mente.. o qualcuno ci vuole boicottare… o dipende dai gusti… ( per me è la secondo… =______= nd Noe, alias Nawaki) ( secondo me il primo….ç.ç) ( il terzo lo escluderei. -.- nd noi contemporaneamente)
TUTTI IPOCRITI ED IFAMIIII!!! BAWAHAHAHAHAHAH!! NON
LEGGERETE
Voce al citofono:
Le autrici non sono responsabili di possibili esaurimenti. Questa fic non è adatta ai maggiori di 14 anni, per il contenuto troppo infantile. Può causare mal di testa, nevrastenia, suicidio, possibili attacchi isterici ed eventuali attacchi di omicidio verso le autrici.
Gli aggiornamenti verranno effettuati circa ogni.. non si sa
cause scuola e impegni. Ma siate certi che non verrete
abbandonati, la fic continuerà sempre e comunque.