Are we human or are we dancer?

di Shinotsuku Ame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'impassibile Katashi e il brillante Hikari ***
Capitolo 2: *** Il destino di Daisuke e il vuoto di Akane ***



Capitolo 1
*** L'impassibile Katashi e il brillante Hikari ***


Harada Katashi era un ragazzo intelligente, aveva i voti più alti di tutta la scuola, era sempre composto, irremovibile e apatico verso quasi tutto quello che gli succedeva intorno. Era annoiato. Era stanco dell’ordinario, della solita routine, di fare sempre le stesse cose, di seguire sempre la stessa strada.  Un pomeriggio non tornò a casa e decise di vagare per la città di Kyoto. Imboccò una via piuttosto stretta e lunga. Non era il classico vicolo dove succedono le cose peggiori; al contrario, era buio ma mentre lo percorreva sentiva che qualcosa di fantastico lo stava aspettando. Alla fine trovò un parco. Più che un parco era solo una distesa d’erba e di fiori dato che non vi erano giochi per bambini o cose del genere. Al centro però c’era uno spiazzo grigio non tanto grande. Su quello spiazzo, su dei cartoni stesi a terra, cinque ragazzi stavano facendo stretching. Affianco a loro c’era uno stereo, uno di quelli grandi portatili con le casse grandi che tutti chiamano “radiolone”. Katashi s’incuriosì: forse aveva trovato qualcosa di diverso dai suoi voti alti in matematica e fisica, aveva trovato una via secondaria nella sua solita strada. Decise di rimanere in disparte ad osservare. I ragazzi conclusero il riscaldamento, aumentarono il volume della musica e due di loro iniziarono a ballare. Finirono e subito attaccarono altri due. Infine toccò ad un ragazzo con i capelli color del grano. Iniziò a volteggiare sulle braccia e ad eseguire salti di qualunque tipo. Sembrava volesse toccare il cielo da tanto che andava in alto. A Katashi parve così libero, come un uccello. Lo sguardo sotto gli occhiali neri rimase sgranato e la bocca aperta per tutto il tempo.  Quando fece ritorno a casa si documentò sulla danza, sull’hip hop, la breakdance e tutti gli stili. Per un’intera settimana continuò ad andare al parco per vederli ballare; si portò dietro un quaderno su cui prendere appunti. Stava iniziando a pensare che anche lui volesse sentirsi libero. Un giorno mentre i quattro ragazzi s’incamminarono per recarsi a casa, quello biondo restò sdraiato nello spiazzo. Si alzò, si voltò verso Katashi e gridò:
«Ehi, tu! Sì, dico a te con gli occhiali e il quaderno, vieni qui».
Harada si sentì improvvisamente a disagio e in imbarazzo. Magari voleva dirgli che non poteva stare lì a guardarli. Non esternò le sue emozioni e cercò di essere impassibile come sempre.
«È già una settimana che ti vedo qui»
«Quindi mi hai notato?»
«Be’ sai, non è un posto frequentato. Veniamo qui per questo. Se c’è qualcuno che se ne sta lì a scrutarci ce ne accorgiamo. Cosa scrivi?»
«Quello che fate. I passi e la dinamica. Tento d’applicare la matematica e la fisica per capire l’esecuzione esatta.»
Il ragazzo biondo si mise a ridere.
«Come se bastasse quello! Ci vogliono un sacco di altre cose, sai? Tipo i muscoli e l’emozione.  Dopo che ti sarai allenato torna qui, magari t’insegno qualcosa. Ti va?»
«Non ho bisogno di te»
«Okay, come vuoi. Comunque mi chiamo Kikuchi Hikari, te?»
«Harada Katashi. Ora devo andare, ciao»
Se ne andò lasciandosi dietro il giovane dorato che sorrideva ancora. Harada non aveva amici, da qualche tempo era arrogante e indifferenze e ciò teneva la gente lontana da lui. Probabilmente Kikuchi Hikari era la prima persona con cui avesse avuto un vero dialogo negli ultimi quattro anni. Pertanto mise da parte l’orgoglio, seguì il suo consiglio e la settimana seguente la impiegò per diventare più atletico. Si presentò di nuovo al parco e trovò Hikari da solo. Sembrava lo stesse aspettando seriamente.
«Quindi alla fine mi hai ascoltato Harada-kun»
«Sono venuto qui solo perché voglio imparare. Mostrami qualcosa»
«Iniziamo da un airflare va bene?»
Harada estrasse il quaderno dalla borsa e, osservando attentamente, cominciò a scrivere una serie di operazioni. Era riuscito a calcolare la velocità e la rotazione che doveva impiegare per eseguire il passo. Hikari lo invitò a provare. L’occhialuto appoggiò prima una mano per terra poi si tirò su. Guardò il cielo, fece un grande respiro, si concentrò e poggiò nuovamente la mano con la spinta giusta. Ruotava , con un po’ di fatica, ma ruotava. D’altronde era la prima volta che ci provava e, come pensò Hikari, non era affatto male. Fece tre giri e si fermò perché gli occhiali gli stavano cadendo. Se li aggiustò con il dito medio della mano sinistra e vide la faccia entusiasta del biondo.
«Wow, per essere stata la tua prima volta sei stato davvero bravo. Potrei dire che hai talento, dovresti specializzarti in powermove, come me»
«Non ho talento, Kikuchi-kun. Ho la matematica. È diverso»
«Potresti farlo comunque. Andiamo a prendere qualcosa da bere e parliamo?»
«La gente mi evita. Perché tu non lo fai?»
«Perché io non sono la gente, io sono un ballerino».
Raccolsero le borse e si recarono al cafè più vicino. Si sedettero per chiacchierare, ma Katashi non ne aveva intenzione. Era distaccato, gelido come il ghiaccio del milkshake che aveva ordinato. Hikari, invece, era allegro e sembrava volesse davvero stringere amicizia con lui. Conosceva un numero notevole di persone e voleva aggiungere anche lui. Decise di intavolare una conversazione e gli raccontò un po’ di sé. Kikuchi Hikari aveva 19 anni, i suoi capelli erano biondi perché la madre era tedesca e il padre giapponese. Proprio per i capelli sua mamma lo chiamò Hikari. Praticava breakdance dall’età di 10 anni: durante un viaggio in Germania, dai parenti, vide dei ragazzi ballare per strada e lì nacque la passione. Lui e il suo amico d’infanzia Matsumoto Daisuke avevano fondato una crew con altri tre ragazzi e l’avevano chiamata NoWhere Crew.
Hikari di certo non si illuse di poter ottenere una qualche riflessione o domanda da Katashi che, appunto, sembrava indifferente. In realtà nella testa di Katashi continuava a frullargli una domanda: perché quel ragazzo voleva essere suo amico? Da quando il suo migliore amico delle medie l’aveva tradito e abbandonato, era diventato stoico e solo. Ma tutto sommato la solitudine non gli dispiaceva, magari era solo l’abitudine. Eppure stare lì con Hikari lo rendeva almeno un po’ contento, ma non si fidava del tutto. Non disse niente, ascoltò e basta.
Hikari era felice d’aver un nuovo amico. Sperava che potesse unirsi alla crew, anche perché tra due mesi ci sarebbe stata una battaglia e magari l’occhialuto coi capelli neri avrebbe potuto partecipare con loro. Katashi l’aveva attirato per la sua aria da secchione. Solitamente i secchioni non sono tanto interessati allo sport, perciò voleva sapere perché fosse lì. Quando poi gli spiegò, in parte, l’applicazione della matematica alla danza ne rimase davvero affascinato. Voleva sapere di più su di lui, perfino immaginando che non sarebbe stato facile.
Da quel giorno, per tre giorni a settimana, Katashi si trovava al parco con Hikari per farsi insegnare.
«Stai diventando davvero bravo sai Harada-kun?» disse il biondo con voce sincera.
«I tuoi complimenti non mi aiuteranno a migliorare»
Era già passato un mese da quando si erano incontrati, ormai Hikari si era abituato alle sue risposte, a volte ci rideva anche su. Già, ridere. In tutti quei giorni, non l’aveva ancora visto ridere. Nemmeno un accenno. Manteneva sempre il suo aspetto austero.  
«Domani abbiamo un’esibizione nel centro città, vieni a vederci?»
«Vedo cosa posso fare. Devo studiare» replicò asciugandosi il sudore.
Non poteva sembrare, ma quella risposta deluse un po’ Hikari. Gli era parso come se Katashi lo stesse usando solo per imparare, del resto non gli interessava. Raccolse le sue cose e se ne andò, l’altro rimase un po’ perplesso. L’indomani, nel pomeriggio, la NoWhere Crew si preparò per l’esibizione. Avevano allestito un piccolo palco proprio affianco all’entrata di un centro commerciale, così la gente li avrebbe notati. Hikari cercò nella piccola folla Katashi fino a quando non dovette ballare. Durante l’assolo tentò di svuotare la mente e di pensare solo a danzare. Dell’occhialuto non c’era nemmeno l’ombra. Hikari ci teneva che lo vedesse, mentre ballava ci metteva l’anima, l’emozione, cose che a Katashi mancavano. Era tecnicamente molto abile, ma non esprimeva nulla. Probabilmente quello che aveva pensato era vero: voleva solo imparare, non erano davvero amici. Quando il giorno seguente Harada Katashi si recò al parco per la solita lezione, non trovò nessuno. Il biondo non voleva sentirsi usato e decise che fosse meglio evitarlo, così la NoWhere si trasferì da un’altra parte per gli allenamenti. I giorni passarono e Katashi cominciò a sentirsi solo. Era strano per lui siccome era stato in solitudine per tutto quel tempo, ma capì che gli mancavano gli incoraggiamenti di Hikari e le sue risate. Katashi pensò al fatto di non aver mai chiesto nulla ad Hikari, né un banale “come stai?”, né un “qual è il tuo colore preferito”. Non si era mai interessato, mentre lui era lì per aiutarlo a imparare tutte le volte. Gli doveva delle spiegazioni per il suo comportamento.
Percorrendo la strada di casa, l’occhialuto trovò un volantino a terra che annunciava un’esibizione della NoWhere crew in una via vicino al parco Nara alle quattro del pomeriggio. Hikari, con gli altri, si stava preparando per lo spettacolo e cercava di raggiungere la massima concentrazione per dare il meglio. Si trovavano all’interno di uno dei festival della città, oltre al loro solito palcoscenico, c’erano anche delle bancarelle di legno che vendevano cibo oppure offrivano giochi. Aprì il suo numero con un airflare, e non era un caso, seguito da un windmill e spin di altro genere. Mentre atterrò da un flic flac, notò tra il pubblico Katashi. Era lì che lo guardava con il suo viso pallido immobile. In realtà, dentro di sé, era tremendamente emozionato di vedere quella bellezza ineffabile del biondo che danzava. Era come un fuoco d’artificio: un’esplosione di energia che ti lascia sorpreso e senza parole. Concluso tutto, Hikari stava riordinando la roba quando si trovò davanti il ragazzo dai capelli neri.
«Harada-kun, perché sei venuto?»
«Non è facile per me, Kikuchi-kun»
«Facile fare cosa?»
«Essere amici»
Quand’era alle medie aveva un migliore amico con cui passava tutto il suo tempo. Facevano tutto insieme, erano come fratelli, finché una volta dei teppisti gli fecero un’imboscata.  Lui era da solo, ma nel gruppo di quei ragazzi c’era il suo migliore amico. Non lo aveva picchiato, era solo restato a guardare. Aveva tradito la sua fiducia. Un amico non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Da quel momento aveva assunto quell’atteggiamento rigido che gli fungeva da corazza e la gente lo evitava. Non si aspettava che Hikari capisse subito. Il biondo lo guardò senza dire niente e semplicemente lo abbracciò. Restò impalato, avvolto dalle braccia dell’altro.  Era più alto di lui di almeno dieci centimetri, se ne accorse per la prima volta. Quando si sciolsero gli scompigliò i capelli.
«Scusa, sono piuttosto permaloso, ma sentirsi usati è davvero brutto, non credi Harada-kun?»
«Sì, dispiace anche a me. Chiamami Katashi, per piacere»
«E tu Hikari »
Hikari gli chiese se voleva partecipare alla battaglia per vincere il premio di Best Street Crew perché al gruppo mancava un membro. Katashi accettò, dopotutto un favore glielo doveva.  Iniziarono ad allenarsi insieme, ogni singolo giorno. Il biondo infondeva all’occhialuto un’allegria tale che quando c’era qualcosa che non andava a casa o a scuola, gli bastava vederlo per sentirsi subito meglio. Il tempo che trascorrevano insieme diventò prezioso. Hikari regalò a Katashi una cuffia color verde acido perché aveva intenzione di insegnargli l’head spin. Appena lo ricevette, al ragazzo dai capelli neri s’illuminarono gli occhi e sorrise. Hikari lo vide: il sorriso più raro del mondo era anche il più bello. Ed era così felice di esserne stato la causa. Katashi s’impegnò davvero tanto e mentre danzava cominciò a far traspirare le emozioni. Più Hikari lo guardava, più si rendeva conto che l’apatico Harada Katashi era magnifico. Non aveva una singola cosa che non andasse: era uno studente modello, intelligente, bravo nell’attività fisica e per giunta bello.
Arrivò il giorno della Best Street Crew e tutti i ragazzi della crew erano in fermento. Per Katashi era la prima volta ed era sommerso dall’ansia, tuttavia cercò di trovare la calma per concentrarsi. Il suo numero era quello di chiusura siccome era l’unico della squadra ad essere in grado di eseguire un head spin di lunga durata. La competizione si svolgeva dentro ad un’enorme palestra, gli spalti erano pieni di persone, crew di qualunque tipo si riscaldavano intanto che un presentatore spumeggiante intratteneva il pubblico, poi cominciò la sfida. Come sempre Hikari diede il meglio di sé e come sempre Katashi ne rimase affascinato. L’occhialuto si sforzò al massimo e ci mise l’anima. I suoi movimenti erano così fluidi che sembrava una foglia trasportata dal vento; intanto che ballava era contento e spensierato e si vedeva. Eseguì con enorme orgoglio l’head spin che gli era stato insegnato dal suo primo e vero amico. La NoWhere Crew vinse: secondo i giudici era la combinazione perfetta tra locking, popping e breakdance. Hikari e Katashi andarono a festeggiare per conto loro. Tornarono nel parco e, dato che ormai era sera, si distesero sul prato a fissare le stelle.
«Ehi, Hikari, come sono stato?»
Hikari non rispose, o meglio pensò a cosa dire. Secondo lui era stato meraviglioso, ma dirlo così era strano.
«Be’, sei…stato bravo, però i miei complimenti non ti aiuteranno a migliorare giusto?» e rise.
«Grazie». Il biondo non resistette più, prese tutto il coraggio del mondo e disse:
«Sai Katashi, penso che tu mi piaccia»
Buco di silenzio. Di nuovo, non si aspettava una risposta, anche se ci sperava. Quelle parole risuonarono nella mente di Katashi come l’eco delle parole di un pazzo che urla contro le montagne.
«Intendi come amico giusto?»
«Non credo…Non serve che tu mi dica necessariamente qualcosa, solo volevo dirtelo»
«Hikari, da quando ti ho conosciuto le mie giornate non sono state più grigie e noiose, sei stato quel raggio di sole nell’alluvione. Da quel giorno non faccio altro che pensare a te.  Se prima ero sempre solo, ora so che ci sei tu; mi hai salvato dalla solitudine. Non so se questo sia amore o qualcosa del gen…» non fece in tempo a concludere la frase che si ritrovò le morbide labbra di Hikari sulle sue, sapevano di pesca. Contrariamente a come aveva immaginato non provò assolutamente alcun disgusto, anzi si sentì come catapultato in un letto di petali di pesco profumati. Quello era il suo primo bacio. Il suo primo bacio, con il suo primo vero amico che ormai era anche il suo primo amore.
«Ho deciso» disse il biondo «mi prenderò cura di te e diventeremo i più grandi ballerini del Giappone!»
Katashi si riprese ed era così felice che scoppiò a ridere di gusto e abbracciò strettissimo l’altro. Finalmente l’occhialuto aveva trovato qualcuno in cui riporre tutta la sua fiducia, mentre il biondo aveva trovato qualcuno da accudire. In verità prima si sentivano entrambi soli, con la differenza che Katashi era completamente solo mentre Hikari era solo tra un centinaio di persone. Katashi si rese conto che anche se era stato tradito una volta non voleva dire che sarebbe andata così continuamente, doveva solo trovare la persona giusta e doveva sentirlo che era quella giusta. Il biondo gli dava la forza di affrontare tutto, gli sembrava che se c’era Hikari, allora lui poteva addirittura volare, perché Hikari era le sue ali. Da quella sera cominciarono a frequentarsi, come compagni di crew, come amici e come fidanzati. Ovviamente la loro relazione era nascosta agli altri membri, Daisuke probabilmente si sarebbe trovato a disagio. Un giorno dopo un estenuante allenamento, Katashi e Hikari si ritirarono a casa del biondo. Era piuttosto benestante, la sua camera era separata dal resto della casa, così poteva ascoltare la musica ad alto volume ed esercitarsi. La stanza era spaziosa, aveva un letto matrimoniale tondo, una televisione abbastanza grande con una consolle di videogiochi e un divanetto e una libreria a destra dell’entrata; sull’altro lato c’era uno stereo, una zona dedicata all’allenamento e una porta che dava sul bagno. Appoggiarono le borse all’ingresso e si sedettero sul divanetto.
«Ehi Katashi, vado a farmi una doccia, dormi qui?»
«Emh…dovrei avvisare i miei, poi dovrei lavarmi anche io»
«Certo, fai pure» sorrise e lo baciò sulla fronte. L’occhialuto arrossì un po’ e prese il telefono per avvisare i suoi. Hikari uscì con l’asciugamano in vita, gocciolante dal bagno, si sedette sul letto strofinandosi i capelli e diede il cambio a Katashi. Intanto che aspettava aveva acceso la televisione e giocava ai videogame. Katashi concluse e appena uscito, si sedette anche lui sul letto a guardare Hikari. Il biondo era preso dal gioco e non se ne accorse subito, poi si voltò e vide Katashi senza occhiali, con il petto nudo. Ecco che dei “pensieri” gli balzarono in testa e iniziò a sudare.
«Hikari? Tutto a posto?»
«Sì, e…senti K-Katashi, è più di un mese che ormai stiamo insieme e non…»
«Non l’abbiamo ancora fatto. Non mi sento a disagio ad affrontare l’argomento, anzi mi sembra pertinente, anche se sono ancora vergine. Se tu vuoi farlo, ti capisco, insomma siamo pur sempre fidanzati  no?»
Hikari rimase un attimo pietrificato dalla sfacciataggine del compagno, quando si riprese lo baciò appassionatamente e cominciò a toccarlo. L’altro rispose con qualche gemito, poi si unirono come in una danza. Quando finirono rimasero a letto, avvolti da loro stessi.
«Ehi Hikari, sei uno scemo»
«Forse un pochino»
«E lo sono anche io. Ti amo sai»
«Lo so, lo so, anche io» sorrise e gli accarezzò la testa. Dormirono così vicini e stretti che potevano udire i battiti l’uno dell’altro, fino al mattino seguente. Stettero sempre insieme, come la musica e i passi di danza,  come la danza e un ballerino, come le cuffie, per tutti i giorni a venire.

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Capitolo 2
*** Il destino di Daisuke e il vuoto di Akane ***


Matsumoto Daisuke era uno dei fondatori della NoWhere Crew nonché amico d’infanzia di Kikuchi Hikari; erano vicini di casa, quand’erano piccoli si trovavano in cortile a giocare. Hikari gli aveva fatto conoscere il mondo della danza e lui si era specializzato nel locking. Daisuke conosceva una marea di gente a causa del suo lavoro part-time che svolgeva quando non si allenava. Aveva i capelli neri, tirati su con il gel e una ciocca che scendeva sulla fronte di un colore diverso ogni mese, gli occhi a mandorla e un neo proprio sotto quello destro. Era un ragazzo loquace, socievole e soprattutto sorridente e tutto ciò incrementava il numero di clienti; non per nulla il suo capo era orgoglioso di averlo come dipendente. Comunque tra tutta quella centinaia di amici, aveva una migliore amica di nome Kimura Shizuka, o per lui Shicchi. Era bassa, con i capelli castani lunghi fino alle spalle perfettamente lisci e i lineamenti del viso dolci e fini. Si conoscevano da quando avevano dieci anni, erano davvero uniti. Era sorprendente che, in tutti quegli anni, nessuno dei due si era mai azzardato ad innamorarsi o soltanto prendersi una cotta per l’altro.
Un giorno mentre Daisuke si allenava, Shizuka entrò nella palestra e si sedette a guardarlo.
«Ehi, Shicchi! Come mai qui? Che è successo?» disse Daisuke asciugandosi il sudore.
«Ho riflettuto e devo dirti una cosa…» e lui attese.
«Sono fidanzata con un ragazzo, da una settimana ormai. Penso che tra qualche giorno te lo presenterò.»
«Perché non me l’hai detto prima?! Se…ti ferisse, io non glielo perdonerei. Lo sai.»
La ragazza annuì e sorrise, poi si alzò e andò ad abbracciarlo. Con il fidanzato precedente non era andata bene, lui la aggrediva verbalmente inoltre dopo che si lasciarono cominciò a pedinarla. Lo denunciò varie volte alla polizia, e lui sparì dalla circolazione.
Arrivò il giorno. Matsumoto sedeva ad un tavolo in un cafè del centro città ad aspettare l’amica ed il suo ragazzo quando in lontananza li scorse. Lui era alto, con i capelli neri raccolti in un codino, gli occhi più grandi di quelli caratteristici giapponesi  e i tratti delicatamente femminili.
«Oh, tu devi essere il famoso Dai-chan! È un piacere incontrarti. Io sono Yamaguchi Akane.» disse con un’aria leggermente spavalda. L’altro rispose con un “ciao”, il suo nome per intero e un’espressione seria in volto. Si accomodarono anche loro al grazioso tavolo in ferro di colore verde scuro accompagnato da sedie del medesimo colore con tanto di cuscinetto. Il cielo era limpido, come se qualcuno avesse spazzato via tutte le nuvole per pulire un po’. Cominciarono a parlare, del più e del meno.
«Sai, Dai-chan, Yamaguchi-kun fa un lavoro importante, è sempre fuori casa.» disse la ragazza.
«Lavoro? Tutto il giorno fuori? Quanti anni hai scusa?» sbottò Daisuke sorpreso. Akane sembrava avesse circa 18 anni e non poteva andare a scuola se lavorava tutto il giorno. Per giunta per avere un lavoro importante bisognava avere un titolo di studio importante.
«Compio 22 anni tra un mese; sì, lo so, sembro più piccolo» e sorrise.
A Daisuke non piaceva e si poteva notare. Lo fissava, lo squadrava, lo analizzava. Doveva assolutamente assicurarsi che fosse il ragazzo giusto per Shizuka. Naturalmente quel lavoro che lo teneva fuori di casa e di cui non si sapeva nulla non lo convinceva.
Era mercoledì e, come ogni mercoledì, Daisuke aveva il turno fino alle 11. Mentre andava in palestra per la solita sessione di allenamento, vide Akane bussare alla porta di un negozio, guardarsi intorno ed entrare. Matsumoto si insospettì e decise di aspettarlo. Quando l’altro uscì, salì su una moto e schizzò via. Ovviamente non aveva le prove per affermare che era un poco di buono, con un lavoro da delinquenti magari, ma Matsumoto era il tipo di persona che salta subito alle conclusioni. Era davvero preoccupato per Shicchi, non avrebbe permesso che qualcuno la immischiasse in qualcosa di turpe.
Casualmente, o perché così volle il destino e Daisuke credeva molto in questa forza misteriosa, il venerdì della stessa settimana Akane entrò nel cafè in cui lavorava l’altro. Arrivò al bancone, sbadigliando.
«Vorrei un frappuccino al cioccolato, per favore»
«Certo arriva subito.»
Il ragazzo di fronte a lui si voltò ed entrambi rimasero per un attimo turbati.
«Accidenti, potevo scegliere un altro cafè, va be’ ormai non importa.»
Daisuke aggrottò le sopracciglia e lo guardò saldamente negli occhi.
«Ehi, Dai-chan, non guardarmi così, non ho fatto niente.» e alzò le mani come in segno di resa, ridendo.
«Punto primo: non chiamarmi Dai-chan, per te sono Matsumoto-kun. Punto secondo: hai fatto qualcosa di male, ti sei fidanzato con la mia migliore amica.»
L’altro non rispose, alzò le spalle e lasciò i soldi lì, sopra il bancone. Era vestito bene, indossava una camicia nera con tanto di cravatta, un paio di pantaloni classici neri e delle scarpe lucide a punta abbinate al tutto. Dai-chan immaginò che stava andando al suo cosiddetto “lavoro”. Non poteva perderlo. Il suo turno doveva ancora finire, mancavano pochi minuti, si cambiò in fretta e furia e cominciò a seguirlo. Akane passò in una decina di negozi, uscendo da essi con delle buste in mano. Daisuke confuso tornò a casa, elaborando delle congetture. Fece la stessa cosa anche la settimana seguente, fino a quando Akane non si accorse di lui.
«Ehi, puoi smetterla di seguirmi? È un po’ fastidioso sai? Poi con quel cappello che ti copre il viso non capisco chi sei! Fatti vedere almeno!»
Matsumoto uscì da dietro il muretto e fissandolo negli occhi si tolse il cappello.
«Ah! Come ho fatto a non pensarci prima! Fammi indovinare, sei preoccupato per Shicchi?»
«Non sai quanto.»
«Non sono il genere di persona che stai insinuando. Comunque ciò che faccio non è affare tuo.» cambiò improvvisamente sguardo. Da quello leggermente scherzoso, passò ad uno serio, tagliente.
«Sì che lo è. Shizuka è la mia migliore amica.»
Mutò e di nuovo aveva lo sguardo allegro.
«Uh, e dove vai con quello zaino dimmi…»
«Ad allenarmi. Ma non è affare tuo giusto?»
Akane sorrise.
«Bene, scusa ma ti devo lasciare, devo tornare ai miei doveri.»
Salutò con la mano e si avviò.
Se prima Daisuke non era convinto, ora proprio non lo sopportava. Da quello sguardo tagliente però, aveva capito che Akane era come una pianta carnivora: bella fino a che non apre le fauci. Bisognava essere cauti. Non badò comunque alle sue parole e continuò a pedinarlo.
«Guarda che se non la smetti non va bene eh. Se non ti fidi di me, chiedi a Shicchi, ti dirà sicuramente la verità.» e di nuovo quell’occhiata. Si sentì come se fosse stato trafitto da un pugnale. Pensò alle sue parole e in fondo aveva ragione. Non perse tempo, chiamò Shizuka e chiacchierarono al telefono per due buone ore. Shizuka ammirava Akane, quasi come un monumento, lui era gentile, non si era permesso di trattarla male, nemmeno una volta.
Il pomeriggio seguente Daisuke andò da Akane, non in incognito.
«Matrumoto-kun, hai finito di fare il ninja?»
«Sì, ho parlato con Shizuka…»
L’altro sorrise.
«Be’…insomma, stavo pensando che potremmo essere amici no?»
«Certamente, anzi, ormai mi sono abituato a te che mi segui, quindi puoi continuare a farlo, affianco a me.»
Così, con molta leggerezza, diventarono amici. Tutti i giorni Daisuke passava un’ora con Akane, mentre lui svolgeva il suo lavoro. Akane entrava nei negozi e l’altro attendeva fuori, senza fare domande. Parlavano di quello che avevano in comune, di Shizuka, un po’ di tutto, il ballerino lo invitò anche a vedere i suoi allenamenti in palestra. Ad ogni modo Daisuke non aveva mai visto Akane parlare con qualcun altro al di fuori di lui. Magari se si cammina per strada, si incontra qualcuno che si conosce, però lui in due settimane non aveva mai salutato nessuno.
Un pomeriggio il misterioso andò a trovare il ballerino. Non entrò subito in palestra, si fermò sul ciglio della porta ad osservare e l’altro non se ne accorse. Era incantato da ogni singolo movimento, come se avesse visto una delle sette meraviglie del mondo. Appena la musica finì, andò dentro.
«Tu e la tua crew volete diventare i più famosi del Giappone giusto?»
«Oh, Yamaguchi-kun, sei venuto! Ci puoi scommettere!»
«Io…non ho mai avuto queste ambizioni, fare qualcosa di magnifico, non mi è mai stato concesso.»
Daisuke era scettico, era un discorso improvviso, che non c’entrava molto.
«Io non sono così, sempre allegro, ironico, perfino forte. Vuoi sapere tutto? È una maschera questa che indosso, guardami!»
Sembrava stesse dando di matto. Si portò una mano sul viso e fece come per togliersi una maschera. Il suo sguardò cambiò: non era né quello scherzoso né quello penetrante; era uno colmo, come un fiume in piena, di tristezza, ma non di lacrime.
«A che serve avere una maschera, se dentro si muore lo stesso?»
Daisuke rimase impalato, di fronte a lui, trattenendosi dal panico perché non sapeva cosa fare e l’altro iniziò a sfogarsi, raccontando tutta la sua vita. Sua madre morì durante il parto e suo padre, afflitto, lasciò il paese e lui passò sotto la custodia dello zio. Quest’uomo aveva uno ruolo importante all’interno di una banda e malgrado le volontà del ragazzo, anche lui entrò nell’organizzazione al compimento dei 16 anni, abbandonando la scuola e frequentando poche lezioni di un insegnante privato. Agli esordi partecipava ai combattimenti di strada: se vinceva prendeva una somma cospicua di soldi che portava a suo zio. Non ne aveva mai perso uno, pareva avesse delle ottime capacità deduttive. Poi si batté con un tale che si faceva chiamare Ogre: gli ruppe una spalla e una caviglia e non poté più tornare a gareggiare. Per dargli un’altra occupazione, suo zio gli diede l’incarico, che era quello corrente, di ritirare il denaro  dalle persone che avevano a che fare con la banda; gli avevano addirittura dato l’ordine di minacciarli, ma non lo faceva mai, non era una cattiva persona.  Era come un piccolo sassolino trascinato da qualcosa molto più grande di lui, un vortice.
 Daisuke era scioccato, sentiva che c’era qualcosa di losco, ma non credeva tutto ciò.
«Senti, non è colpa tua, sono stati gli altri. Sei stato trasportato, non sapevi che altro fare. Ne hai mai parlato con i tuoi amici?»
«Io non ho amici.»
«E io chi sono allora? Dai, ti aiuterò io okay? Cerchiamo di trovare un altro lavoro onesto? Dai, Yamaguchi-kun. E c’è anche Shizuka, no?» disse con tono stranamente mellifluo.
Akane stava precipitando nel vuoto da tempo, e mai nessuno si era sporto con un braccio per tirarlo su, fino a quel momento. Il braccio di Daisuke era comparso e lui era pronto per reggersi.
Il ballerino si diede subito da fare e domandò al suo capo se c’era un posto nel cafè per Yamaguchi. Il principale accettò e assunse il ragazzo come cameriere, negli stessi turni di Daisuke. I due iniziarono a passare davvero tanto tempo assieme. Una volta uscirono loro due e Shizuka, lei si intromise solo un paio di volte negli argomenti dei due. Non smettevano, né di parlare né di guardarsi, di intendersi. Probabilmente non se ne accorgevano nemmeno, era quella l’impressione che aveva avuto Shizuka. Il tempo sembrava passasse sereno per Akane, tuttavia era solo una temporanea apparenza. Una mattina non si presentò al lavoro ed era strano dato che non si sarebbe assentato per nessuna ragione al mondo. Daisuke pensò che potesse essere ammalato, perciò non si preoccupò eccessivamente.  Purtroppo però non si presentò neanche i giorni successivi. Il ballerino entrò in angoscia, per via dei rapporti di Akane con quella banda, la plausibilità che c’entrassero quei malviventi era alta. Ricevette un messaggio da Shicchi in cui diceva che si dovevano incontrare subito a casa sua. Non fece in tempo ad aprire la porta che l’altro piombò in casa con una raffica di domande. Andarono in salotto: c’era un lungo tavolo in ciliegio con sopra un servizio da tè, sedie del medesimo colore, la parete di fronte all’entrata era decorata da numerose foto di famiglia, sulla destra c’era un divano bordeaux. 
«Cosa? Sai qualcosa? Dov’è?»
«Dai-chan, siediti…Akane mi ha invito un sms con scritto che domattina alle 9 prende un volo per Higashine…»
«Parte? Ma come?! Perché?!»
«Non lo so, non l’ha detto. Penso che dovresti fermarlo.»
«Perché io e…non tu?» vacillò sulle ultime due parole «e come dovrei fare? Non so dove trovarlo!»
«Dovresti farlo tu, perché ho visto come lo guardi. Tu…tu anneghi dentro di lui, magari non ci fai caso. La prima volta che ti vidi ero gelosa, era il mio fidanzato, ma compresi che non avrei mai potuto competere con il tuo riguardo e amore per lui. Sono sincera. Non lo amavo, mi piaceva un po’ e basta, al tuo contrario. Quindi ora gli invio un messaggio e cercherò di farvi incontrare al cafè di quando vi siete conosciuti. Se non si presenterà, allora dovrai rincorrerlo in cima al mondo.» sorrise delicatamente e premette i tasti del cellulare. Intanto il ragazzo continuava a pensare a quelle parole. Lui aveva parecchi amici, eppure in quel periodo non faceva altro che pensare ad Akane, come quando si hanno centinaia di canzoni sull’mp3 e nonostante ciò si ascolta sempre la stessa.  Daisuke corse fino al posto, Akane ancora non c’era. Lo aspettò per un’ora, tentato di andarsene, ma trattenuto dalla voglia di vederlo. Non si presentò e tornò a casa deluso. Passò la notte a riflettere e decise che il mattino successivo sarebbe andato in quel maledetto aeroporto. Arrivò alle 7.30 e chiese indicazioni per l’imbarco del volo di Higashine. Si sedette sulle poltrone e rimase in attesa.  Aveva lo sguardo fisso nel vuoto quando si rese conto che Akane gli era appena passato davanti.
«Yamaguchi-kun! YAMAGUCHI-KUN! Non puoi andartene! Io…io TI AMO!» l’altro si fermò senza voltarsi.
Si preparò e con il suo sguardo tagliente disse:
«Non dire sciocchezze. Io non posso rimanere qui.»
Daisuke lo raggiunse e si trovarono faccia a faccia.
«Yamaguchi-kun, con me ti sei tolto la maschera, non credo più in quello sguardo. Ora ascoltami: io ti amo.»
Eccoli di nuovo, gli occhi pieni di tristezza.
«Devo. Gli “altri” hanno detto che sarebbero guai se scoprissero che ti ho raccontato tutto.»
«Non t’importa di quello che ti ho detto? »
«Senti Matsumoto-kun,  io ero in una foresta, completamente al buio, non sapendo dove andare, poi è comparsa una lucciola ad aiutarmi, e quello eri tu. Non sai quanto ti devo, quanto ti amo e proprio per questo non voglio farti del male.»
«Non m’importa! Tu dovresti spiegare tutto a tuo zio, chiarirti, evitando di menzionare me o Shizuka. Semplicemente dovresti dimetterti. Ma fa’ come vuoi!»
Dopodiché uscì dall’aeroporto, arrabbiato e nello stesso tempo amareggiato, lasciando Akane alle sue scelte, e andò ad aspettare il bus. Il tempo sembrava sentisse l’umore del ragazzo, infatti il cielo era grigio e il sole timidamente nascosto dietro alle nuvole. La fermata era proprio davanti all’entrata principale, l’aeroporto era enorme, tutto bianco e pieno di vetrate. Era assolto nelle sue considerazioni quando improvvisamente si sentì toccare la spalla e Akane gli stampò un bacio sulle labbra, stringendolo forte.
«Matsumoto-kun, voglio vederti danzare tutti i giorni della mia vita. Sei l’unica soluzione a qualsiasi dannato problema.»
L’altro annuì e mano nella mano si avviarono alla palestra. Daisuke si esibì solo per Akane: era così bello e felice, luminoso come il sole. Era il sole personale di Akane, lo riscaldava, lo rasserenava. Non aveva bisogno d’altro. Tutto tornò al suo posto, tutti i pezzi del puzzle combaciavano. Lo zio di Akane lo assolse dal suo compito, in cambio del silenzio su tutti gli affari, e tornò a lavorare al cafè al fianco di Daisuke, Shizuka approvò la loro relazione e si fidanzò con un ragazzo della sua classe di nome Hayato Shimizu.
«Ehi, Akacchi! Tanti auguri!» lo baciò.
«Ah Dai-chan, grazie.» passò un mese ed arrivò il giorno del compleanno. Come regalo, Daisuke si esibì solo per il suo amato, dopodiché andarono a casa sua e fecero ciò che fanno di solito gli innamorati (e non  era una cena a lume di candele). Ormai la discesa nel vuoto oscuro di Akane era conclusa, si era retto con forza al braccio di Daisuke e lui l’aveva tirato su del tutto e procedevano insieme su una strada chiara e piena di luce.
Alla fine Daisuke aveva pensato bene quella volta: era destino che si incontrassero; e poi era diventato destino che rimanessero insieme.
 

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