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Autore: Shinotsuku Ame    31/07/2013    0 recensioni
«La gente mi evita. Perché tu non lo fai?»
«Perché io non sono la gente, io sono un ballerino»
Ci sono uomini e ballerini. Loro sono una specie a parte, sono speciali e riescono a salvare le persone; come questi ragazzi, salvati dalla solitudine.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Harada Katashi era un ragazzo intelligente, aveva i voti più alti di tutta la scuola, era sempre composto, irremovibile e apatico verso quasi tutto quello che gli succedeva intorno. Era annoiato. Era stanco dell’ordinario, della solita routine, di fare sempre le stesse cose, di seguire sempre la stessa strada.  Un pomeriggio non tornò a casa e decise di vagare per la città di Kyoto. Imboccò una via piuttosto stretta e lunga. Non era il classico vicolo dove succedono le cose peggiori; al contrario, era buio ma mentre lo percorreva sentiva che qualcosa di fantastico lo stava aspettando. Alla fine trovò un parco. Più che un parco era solo una distesa d’erba e di fiori dato che non vi erano giochi per bambini o cose del genere. Al centro però c’era uno spiazzo grigio non tanto grande. Su quello spiazzo, su dei cartoni stesi a terra, cinque ragazzi stavano facendo stretching. Affianco a loro c’era uno stereo, uno di quelli grandi portatili con le casse grandi che tutti chiamano “radiolone”. Katashi s’incuriosì: forse aveva trovato qualcosa di diverso dai suoi voti alti in matematica e fisica, aveva trovato una via secondaria nella sua solita strada. Decise di rimanere in disparte ad osservare. I ragazzi conclusero il riscaldamento, aumentarono il volume della musica e due di loro iniziarono a ballare. Finirono e subito attaccarono altri due. Infine toccò ad un ragazzo con i capelli color del grano. Iniziò a volteggiare sulle braccia e ad eseguire salti di qualunque tipo. Sembrava volesse toccare il cielo da tanto che andava in alto. A Katashi parve così libero, come un uccello. Lo sguardo sotto gli occhiali neri rimase sgranato e la bocca aperta per tutto il tempo.  Quando fece ritorno a casa si documentò sulla danza, sull’hip hop, la breakdance e tutti gli stili. Per un’intera settimana continuò ad andare al parco per vederli ballare; si portò dietro un quaderno su cui prendere appunti. Stava iniziando a pensare che anche lui volesse sentirsi libero. Un giorno mentre i quattro ragazzi s’incamminarono per recarsi a casa, quello biondo restò sdraiato nello spiazzo. Si alzò, si voltò verso Katashi e gridò:
«Ehi, tu! Sì, dico a te con gli occhiali e il quaderno, vieni qui».
Harada si sentì improvvisamente a disagio e in imbarazzo. Magari voleva dirgli che non poteva stare lì a guardarli. Non esternò le sue emozioni e cercò di essere impassibile come sempre.
«È già una settimana che ti vedo qui»
«Quindi mi hai notato?»
«Be’ sai, non è un posto frequentato. Veniamo qui per questo. Se c’è qualcuno che se ne sta lì a scrutarci ce ne accorgiamo. Cosa scrivi?»
«Quello che fate. I passi e la dinamica. Tento d’applicare la matematica e la fisica per capire l’esecuzione esatta.»
Il ragazzo biondo si mise a ridere.
«Come se bastasse quello! Ci vogliono un sacco di altre cose, sai? Tipo i muscoli e l’emozione.  Dopo che ti sarai allenato torna qui, magari t’insegno qualcosa. Ti va?»
«Non ho bisogno di te»
«Okay, come vuoi. Comunque mi chiamo Kikuchi Hikari, te?»
«Harada Katashi. Ora devo andare, ciao»
Se ne andò lasciandosi dietro il giovane dorato che sorrideva ancora. Harada non aveva amici, da qualche tempo era arrogante e indifferenze e ciò teneva la gente lontana da lui. Probabilmente Kikuchi Hikari era la prima persona con cui avesse avuto un vero dialogo negli ultimi quattro anni. Pertanto mise da parte l’orgoglio, seguì il suo consiglio e la settimana seguente la impiegò per diventare più atletico. Si presentò di nuovo al parco e trovò Hikari da solo. Sembrava lo stesse aspettando seriamente.
«Quindi alla fine mi hai ascoltato Harada-kun»
«Sono venuto qui solo perché voglio imparare. Mostrami qualcosa»
«Iniziamo da un airflare va bene?»
Harada estrasse il quaderno dalla borsa e, osservando attentamente, cominciò a scrivere una serie di operazioni. Era riuscito a calcolare la velocità e la rotazione che doveva impiegare per eseguire il passo. Hikari lo invitò a provare. L’occhialuto appoggiò prima una mano per terra poi si tirò su. Guardò il cielo, fece un grande respiro, si concentrò e poggiò nuovamente la mano con la spinta giusta. Ruotava , con un po’ di fatica, ma ruotava. D’altronde era la prima volta che ci provava e, come pensò Hikari, non era affatto male. Fece tre giri e si fermò perché gli occhiali gli stavano cadendo. Se li aggiustò con il dito medio della mano sinistra e vide la faccia entusiasta del biondo.
«Wow, per essere stata la tua prima volta sei stato davvero bravo. Potrei dire che hai talento, dovresti specializzarti in powermove, come me»
«Non ho talento, Kikuchi-kun. Ho la matematica. È diverso»
«Potresti farlo comunque. Andiamo a prendere qualcosa da bere e parliamo?»
«La gente mi evita. Perché tu non lo fai?»
«Perché io non sono la gente, io sono un ballerino».
Raccolsero le borse e si recarono al cafè più vicino. Si sedettero per chiacchierare, ma Katashi non ne aveva intenzione. Era distaccato, gelido come il ghiaccio del milkshake che aveva ordinato. Hikari, invece, era allegro e sembrava volesse davvero stringere amicizia con lui. Conosceva un numero notevole di persone e voleva aggiungere anche lui. Decise di intavolare una conversazione e gli raccontò un po’ di sé. Kikuchi Hikari aveva 19 anni, i suoi capelli erano biondi perché la madre era tedesca e il padre giapponese. Proprio per i capelli sua mamma lo chiamò Hikari. Praticava breakdance dall’età di 10 anni: durante un viaggio in Germania, dai parenti, vide dei ragazzi ballare per strada e lì nacque la passione. Lui e il suo amico d’infanzia Matsumoto Daisuke avevano fondato una crew con altri tre ragazzi e l’avevano chiamata NoWhere Crew.
Hikari di certo non si illuse di poter ottenere una qualche riflessione o domanda da Katashi che, appunto, sembrava indifferente. In realtà nella testa di Katashi continuava a frullargli una domanda: perché quel ragazzo voleva essere suo amico? Da quando il suo migliore amico delle medie l’aveva tradito e abbandonato, era diventato stoico e solo. Ma tutto sommato la solitudine non gli dispiaceva, magari era solo l’abitudine. Eppure stare lì con Hikari lo rendeva almeno un po’ contento, ma non si fidava del tutto. Non disse niente, ascoltò e basta.
Hikari era felice d’aver un nuovo amico. Sperava che potesse unirsi alla crew, anche perché tra due mesi ci sarebbe stata una battaglia e magari l’occhialuto coi capelli neri avrebbe potuto partecipare con loro. Katashi l’aveva attirato per la sua aria da secchione. Solitamente i secchioni non sono tanto interessati allo sport, perciò voleva sapere perché fosse lì. Quando poi gli spiegò, in parte, l’applicazione della matematica alla danza ne rimase davvero affascinato. Voleva sapere di più su di lui, perfino immaginando che non sarebbe stato facile.
Da quel giorno, per tre giorni a settimana, Katashi si trovava al parco con Hikari per farsi insegnare.
«Stai diventando davvero bravo sai Harada-kun?» disse il biondo con voce sincera.
«I tuoi complimenti non mi aiuteranno a migliorare»
Era già passato un mese da quando si erano incontrati, ormai Hikari si era abituato alle sue risposte, a volte ci rideva anche su. Già, ridere. In tutti quei giorni, non l’aveva ancora visto ridere. Nemmeno un accenno. Manteneva sempre il suo aspetto austero.  
«Domani abbiamo un’esibizione nel centro città, vieni a vederci?»
«Vedo cosa posso fare. Devo studiare» replicò asciugandosi il sudore.
Non poteva sembrare, ma quella risposta deluse un po’ Hikari. Gli era parso come se Katashi lo stesse usando solo per imparare, del resto non gli interessava. Raccolse le sue cose e se ne andò, l’altro rimase un po’ perplesso. L’indomani, nel pomeriggio, la NoWhere Crew si preparò per l’esibizione. Avevano allestito un piccolo palco proprio affianco all’entrata di un centro commerciale, così la gente li avrebbe notati. Hikari cercò nella piccola folla Katashi fino a quando non dovette ballare. Durante l’assolo tentò di svuotare la mente e di pensare solo a danzare. Dell’occhialuto non c’era nemmeno l’ombra. Hikari ci teneva che lo vedesse, mentre ballava ci metteva l’anima, l’emozione, cose che a Katashi mancavano. Era tecnicamente molto abile, ma non esprimeva nulla. Probabilmente quello che aveva pensato era vero: voleva solo imparare, non erano davvero amici. Quando il giorno seguente Harada Katashi si recò al parco per la solita lezione, non trovò nessuno. Il biondo non voleva sentirsi usato e decise che fosse meglio evitarlo, così la NoWhere si trasferì da un’altra parte per gli allenamenti. I giorni passarono e Katashi cominciò a sentirsi solo. Era strano per lui siccome era stato in solitudine per tutto quel tempo, ma capì che gli mancavano gli incoraggiamenti di Hikari e le sue risate. Katashi pensò al fatto di non aver mai chiesto nulla ad Hikari, né un banale “come stai?”, né un “qual è il tuo colore preferito”. Non si era mai interessato, mentre lui era lì per aiutarlo a imparare tutte le volte. Gli doveva delle spiegazioni per il suo comportamento.
Percorrendo la strada di casa, l’occhialuto trovò un volantino a terra che annunciava un’esibizione della NoWhere crew in una via vicino al parco Nara alle quattro del pomeriggio. Hikari, con gli altri, si stava preparando per lo spettacolo e cercava di raggiungere la massima concentrazione per dare il meglio. Si trovavano all’interno di uno dei festival della città, oltre al loro solito palcoscenico, c’erano anche delle bancarelle di legno che vendevano cibo oppure offrivano giochi. Aprì il suo numero con un airflare, e non era un caso, seguito da un windmill e spin di altro genere. Mentre atterrò da un flic flac, notò tra il pubblico Katashi. Era lì che lo guardava con il suo viso pallido immobile. In realtà, dentro di sé, era tremendamente emozionato di vedere quella bellezza ineffabile del biondo che danzava. Era come un fuoco d’artificio: un’esplosione di energia che ti lascia sorpreso e senza parole. Concluso tutto, Hikari stava riordinando la roba quando si trovò davanti il ragazzo dai capelli neri.
«Harada-kun, perché sei venuto?»
«Non è facile per me, Kikuchi-kun»
«Facile fare cosa?»
«Essere amici»
Quand’era alle medie aveva un migliore amico con cui passava tutto il suo tempo. Facevano tutto insieme, erano come fratelli, finché una volta dei teppisti gli fecero un’imboscata.  Lui era da solo, ma nel gruppo di quei ragazzi c’era il suo migliore amico. Non lo aveva picchiato, era solo restato a guardare. Aveva tradito la sua fiducia. Un amico non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Da quel momento aveva assunto quell’atteggiamento rigido che gli fungeva da corazza e la gente lo evitava. Non si aspettava che Hikari capisse subito. Il biondo lo guardò senza dire niente e semplicemente lo abbracciò. Restò impalato, avvolto dalle braccia dell’altro.  Era più alto di lui di almeno dieci centimetri, se ne accorse per la prima volta. Quando si sciolsero gli scompigliò i capelli.
«Scusa, sono piuttosto permaloso, ma sentirsi usati è davvero brutto, non credi Harada-kun?»
«Sì, dispiace anche a me. Chiamami Katashi, per piacere»
«E tu Hikari »
Hikari gli chiese se voleva partecipare alla battaglia per vincere il premio di Best Street Crew perché al gruppo mancava un membro. Katashi accettò, dopotutto un favore glielo doveva.  Iniziarono ad allenarsi insieme, ogni singolo giorno. Il biondo infondeva all’occhialuto un’allegria tale che quando c’era qualcosa che non andava a casa o a scuola, gli bastava vederlo per sentirsi subito meglio. Il tempo che trascorrevano insieme diventò prezioso. Hikari regalò a Katashi una cuffia color verde acido perché aveva intenzione di insegnargli l’head spin. Appena lo ricevette, al ragazzo dai capelli neri s’illuminarono gli occhi e sorrise. Hikari lo vide: il sorriso più raro del mondo era anche il più bello. Ed era così felice di esserne stato la causa. Katashi s’impegnò davvero tanto e mentre danzava cominciò a far traspirare le emozioni. Più Hikari lo guardava, più si rendeva conto che l’apatico Harada Katashi era magnifico. Non aveva una singola cosa che non andasse: era uno studente modello, intelligente, bravo nell’attività fisica e per giunta bello.
Arrivò il giorno della Best Street Crew e tutti i ragazzi della crew erano in fermento. Per Katashi era la prima volta ed era sommerso dall’ansia, tuttavia cercò di trovare la calma per concentrarsi. Il suo numero era quello di chiusura siccome era l’unico della squadra ad essere in grado di eseguire un head spin di lunga durata. La competizione si svolgeva dentro ad un’enorme palestra, gli spalti erano pieni di persone, crew di qualunque tipo si riscaldavano intanto che un presentatore spumeggiante intratteneva il pubblico, poi cominciò la sfida. Come sempre Hikari diede il meglio di sé e come sempre Katashi ne rimase affascinato. L’occhialuto si sforzò al massimo e ci mise l’anima. I suoi movimenti erano così fluidi che sembrava una foglia trasportata dal vento; intanto che ballava era contento e spensierato e si vedeva. Eseguì con enorme orgoglio l’head spin che gli era stato insegnato dal suo primo e vero amico. La NoWhere Crew vinse: secondo i giudici era la combinazione perfetta tra locking, popping e breakdance. Hikari e Katashi andarono a festeggiare per conto loro. Tornarono nel parco e, dato che ormai era sera, si distesero sul prato a fissare le stelle.
«Ehi, Hikari, come sono stato?»
Hikari non rispose, o meglio pensò a cosa dire. Secondo lui era stato meraviglioso, ma dirlo così era strano.
«Be’, sei…stato bravo, però i miei complimenti non ti aiuteranno a migliorare giusto?» e rise.
«Grazie». Il biondo non resistette più, prese tutto il coraggio del mondo e disse:
«Sai Katashi, penso che tu mi piaccia»
Buco di silenzio. Di nuovo, non si aspettava una risposta, anche se ci sperava. Quelle parole risuonarono nella mente di Katashi come l’eco delle parole di un pazzo che urla contro le montagne.
«Intendi come amico giusto?»
«Non credo…Non serve che tu mi dica necessariamente qualcosa, solo volevo dirtelo»
«Hikari, da quando ti ho conosciuto le mie giornate non sono state più grigie e noiose, sei stato quel raggio di sole nell’alluvione. Da quel giorno non faccio altro che pensare a te.  Se prima ero sempre solo, ora so che ci sei tu; mi hai salvato dalla solitudine. Non so se questo sia amore o qualcosa del gen…» non fece in tempo a concludere la frase che si ritrovò le morbide labbra di Hikari sulle sue, sapevano di pesca. Contrariamente a come aveva immaginato non provò assolutamente alcun disgusto, anzi si sentì come catapultato in un letto di petali di pesco profumati. Quello era il suo primo bacio. Il suo primo bacio, con il suo primo vero amico che ormai era anche il suo primo amore.
«Ho deciso» disse il biondo «mi prenderò cura di te e diventeremo i più grandi ballerini del Giappone!»
Katashi si riprese ed era così felice che scoppiò a ridere di gusto e abbracciò strettissimo l’altro. Finalmente l’occhialuto aveva trovato qualcuno in cui riporre tutta la sua fiducia, mentre il biondo aveva trovato qualcuno da accudire. In verità prima si sentivano entrambi soli, con la differenza che Katashi era completamente solo mentre Hikari era solo tra un centinaio di persone. Katashi si rese conto che anche se era stato tradito una volta non voleva dire che sarebbe andata così continuamente, doveva solo trovare la persona giusta e doveva sentirlo che era quella giusta. Il biondo gli dava la forza di affrontare tutto, gli sembrava che se c’era Hikari, allora lui poteva addirittura volare, perché Hikari era le sue ali. Da quella sera cominciarono a frequentarsi, come compagni di crew, come amici e come fidanzati. Ovviamente la loro relazione era nascosta agli altri membri, Daisuke probabilmente si sarebbe trovato a disagio. Un giorno dopo un estenuante allenamento, Katashi e Hikari si ritirarono a casa del biondo. Era piuttosto benestante, la sua camera era separata dal resto della casa, così poteva ascoltare la musica ad alto volume ed esercitarsi. La stanza era spaziosa, aveva un letto matrimoniale tondo, una televisione abbastanza grande con una consolle di videogiochi e un divanetto e una libreria a destra dell’entrata; sull’altro lato c’era uno stereo, una zona dedicata all’allenamento e una porta che dava sul bagno. Appoggiarono le borse all’ingresso e si sedettero sul divanetto.
«Ehi Katashi, vado a farmi una doccia, dormi qui?»
«Emh…dovrei avvisare i miei, poi dovrei lavarmi anche io»
«Certo, fai pure» sorrise e lo baciò sulla fronte. L’occhialuto arrossì un po’ e prese il telefono per avvisare i suoi. Hikari uscì con l’asciugamano in vita, gocciolante dal bagno, si sedette sul letto strofinandosi i capelli e diede il cambio a Katashi. Intanto che aspettava aveva acceso la televisione e giocava ai videogame. Katashi concluse e appena uscito, si sedette anche lui sul letto a guardare Hikari. Il biondo era preso dal gioco e non se ne accorse subito, poi si voltò e vide Katashi senza occhiali, con il petto nudo. Ecco che dei “pensieri” gli balzarono in testa e iniziò a sudare.
«Hikari? Tutto a posto?»
«Sì, e…senti K-Katashi, è più di un mese che ormai stiamo insieme e non…»
«Non l’abbiamo ancora fatto. Non mi sento a disagio ad affrontare l’argomento, anzi mi sembra pertinente, anche se sono ancora vergine. Se tu vuoi farlo, ti capisco, insomma siamo pur sempre fidanzati  no?»
Hikari rimase un attimo pietrificato dalla sfacciataggine del compagno, quando si riprese lo baciò appassionatamente e cominciò a toccarlo. L’altro rispose con qualche gemito, poi si unirono come in una danza. Quando finirono rimasero a letto, avvolti da loro stessi.
«Ehi Hikari, sei uno scemo»
«Forse un pochino»
«E lo sono anche io. Ti amo sai»
«Lo so, lo so, anche io» sorrise e gli accarezzò la testa. Dormirono così vicini e stretti che potevano udire i battiti l’uno dell’altro, fino al mattino seguente. Stettero sempre insieme, come la musica e i passi di danza,  come la danza e un ballerino, come le cuffie, per tutti i giorni a venire.
  
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