Bianconero

di Evanne991
(/viewuser.php?uid=475768)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ora ***
Capitolo 2: *** Sei mesi prima ***
Capitolo 3: *** Christian ***
Capitolo 4: *** A capelli sciolti ***
Capitolo 5: *** Buio ***
Capitolo 6: *** Di sale e di neve ***
Capitolo 7: *** K2 ***
Capitolo 8: *** Di lenzuola nere e spazzolini da denti ***
Capitolo 9: *** Traffico e salice piangente. ***
Capitolo 10: *** Verità sofferte ***
Capitolo 11: *** Quel Pierrot. ***
Capitolo 12: *** Quattro giorni. ***
Capitolo 13: *** Sessanta giorni ***
Capitolo 14: *** Calici di vino rosso ***
Capitolo 15: *** Tenuta Smeraldo ***
Capitolo 16: *** Una telefonata ***
Capitolo 17: *** Sangue nelle mani, sangue nel nome ***
Capitolo 18: *** Parole a due ***
Capitolo 19: *** Etichette ***
Capitolo 20: *** Le solite cose ***
Capitolo 21: *** L'altra parte ***
Capitolo 22: *** Password ***
Capitolo 23: *** Ora - Parte seconda ***
Capitolo 24: *** Via di qui ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Ora ***


Non aveva versato una lacrima. Lei non piange. L’ha sempre ritenuto un atto di debolezza. Lei è sempre stata forte. Forte della sua bellezza, della sua ricchezza, della sua intelligenza. E’ una di quelle ragazze che ottengono tutto quello che vogliono, sia grazie alla sua fisicità che al portafoglio di papà. Si guarda riflessa nello specchio. Indossa un jeans ed una camicia nera. Raccoglie i lunghi capelli biondi.
Presto sarò fuori di qui.
Sua madre entra in camera. Si assomigliano moltissimo. Le sta chiedendo dove andrà stasera a festeggiare il suo ventitreesimo compleanno. Lei di rimando le dice che andrà a cena fuori con Christian. Bugia. Ma è troppo brava a mentire, è tutta sua madre. Fuori inizia a piovere. Con rabbia quasi. Quasi il cielo piangesse al posto suo.
Guarda sua madre, le sorride, le da un bacio.
-Ci vediamo dopo, non far troppo tardi- le dice con voce calda.
Lei si limita a sorriderle amaramente. Sua madre le rivolge uno sguardo indagatore, quasi ci fosse stato un momento in cui avesse capito che quel sorriso non è tale.
Passando davanti lo studio di suo padre si sente chiamare. Si ferma. Si volta. Lui è uscito dallo studio. Le sta dando uno scatolino, il suo regalo di compleanno. Lei sorride sempre. Apre lo scatolino.
-Anche il mio amore per te è per sempre, tesoro. Buon compleanno!- le sta dicendo suo padre. Lo scatolino contiene un solitario. Lei continua a sorridere. Né sua madre né lui si sono chiesti perché lei sorrida soltanto e non parli. Da un bacio veloce a suo padre, poi se ne pente quasi subito, quasi avesse mostrato un segno di debolezza. Indossa l’anello. Curioso.
 
Accende la settima sigaretta, mentre la pioggia incessante si abbatte sulla sua Mercedes. Di rimando fissa il test di gravidanza sul sedile accanto al suo. Accelera sempre di più e imbocca una strada di campagna. Butta il mozzicone, non sa da che parte dell’auto l’ha lanciato. Preme il piede, fasciato da belle scarpe col tacco, sull’acceleratore.  Fissa per un attimo il diamante che suo padre le ha regalato. Spegne i fari e continua a correre. E’ una strada desolata. Che finisce con un dirupo. Chiude anche gli occhi. E’ solo buio, è solo nero, adesso. Lo è sempre stato e non lo sapeva. Una lacrima le solca il viso. Brucia. Si morde le labbra. Sembra tutto così lento. L’eternità che può avere qualche secondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sei mesi prima ***


All’uscita dall’aeroporto ci sarebbe stato suo padre ad aspettarla. Aveva passato quindici giorni indimenticabili, in compagnia della sua più cara amica, Aida. Erano state in Grecia, la terra d’origine di sua madre, dove possedevano una villa, a Mykonos. Due settimane di alcol, erba, lusso, soldi, feste, sole. E sesso. Solo per Aida, però. Mykonos è considerata il paradiso dei gay, e per Aida è stato un vero paradiso. O l’inferno, considerati i bollenti spiriti fatti placare per forza dato il ritorno.
Erano entrambe abbronzate, e bellissime. Ricche, belle, popolari, intelligenti, intriganti. Aida aveva conquistato le lesbiche più belle dell’isola. Lei aveva spezzato i cuori e distrutto le aspettative sessuali di coloro i quali avevo tentato l’approccio. Aveva un solo grandissimo difetto. Era ossessionata da un suo amico storico, compagno del liceo, compagno di tutte le prime volte: le prime sbornie, le prima canne, le prime strisce di coca, i primi viaggi, le prime liti, i primi approcci col sesso. Si erano sempre allontanati e rincorsi, seguiti e seminati. Circa per tredici anni. Il loro era un rapporto malato, di quelli che ti fanno star bene qualche ora e ti consumano per il tempo restante. Il loro era un rapporto insano, fatto di dita in gola e scenate di gelosia. Un amore straziante, quello che ti fa gridare all’odio e non ti permette di dire ti amo. In tredici anni non si erano mai dichiarati sul serio. Forse era questo che mancava per definirli una coppia. Non si erano mai catalogati, non avevano mai dato un nome al loro stare insieme. Non erano fidanzati, non erano amici, non erano compagni di sesso. Semplicemente non erano. Per anni si sono bersagliati e sparati dispetti, poi momenti di passione, poi ancora veleno e sudore asciugato dolcemente. Per anni avevano avuto relazioni parallele alla loro. O meglio, la loro era parallela alle altre. Lei era stata circa tre anni con un giovane rampollo viziato e megalomane, e nel frattempo si struggeva per lui. Lui aveva avuto le ragazze più belle della città, riusciva a far perdere la testa a chiunque volesse, era impossibile ignorarlo.  Venivano da due realtà diverse. Lei figlia dello stimatissimo primario del reparto chirurgia e dell’architetto più rinomato della zona. Lui orfano di madre, cresciuto col padre professore di italiano ormai in pensione e che si manteneva facendo il pr per i locali della regione.
Lei studentessa di Odontoiatria, media del 30. Eppure lui guadagnava bene. Nonostante lei provenisse da una famiglia più che agiata, lui possedeva più ricchezze personali rispetto a lei. Effettivamente, lei non aveva mai capito come lui facesse a guadagnare facendo il pr quanto suo padre in ospedale. Ma poco importava. Era cresciuta nell’ottica secondo cui si poteva ottenere tutto, bastava avere denaro, e per averlo bisognava lavorare. Nonostante lei non l’avesse mai fatto, certo. Ma c’era chi lo faceva per lei.
-Ecco tuo padre! Cazzo, che figo, diventerei etero per lui, lo sai, no?- Aida stava sistemandosi i capelli e sorrise ancheggiando verso di lui.
-Aida! Bentornata. Ciao tesoro, sei bellissima- suo padre aveva occhi solo per lei. Lei gli sorrise benevola. Del resto anche lei aveva occhi solo per lui.
-Ciao bell’uomo!-lo abbracciò forte, fino ad inebriarsi del suo profumo. Lo stesso di Christian. Lo aveva regalate lei ad entrambi. Lei ed Aida salirono sulla Mercedes blu, mentre il padre caricava i bagagli.
Lei si accese una sigaretta.
-Allora, com’è andata?- suo padre salì e mise in moto. Ingranò la marcia e partì sgommando. Egocentrico.
-Credi davvero che ti dica cosa abbiamo fatto?- gli rispose lei maliziosa. A vederli da fuori, non sapendo il legame familiare che li univa, si poteva dedurre che stessero flirtando.
-Lasci, dottor Sivi, non pensi a male. Tanto la sua Eva non ha fatto nulla di sragionevole, che non avesse già fatto prima, e non le porterà nessun fidanzato in casa!
-Grazie del resoconto esaustivo, Aida.
Eva si lascò andare ad un sospiro. E certo che non gli porterà nessun fidanzato. Il giorno in cui sono partite per Mykons le è arrivato un sms di Christian. Nessun buon viaggio, nessuna buona vacanza, nessun inviami una cartolina. Ebbe un flash-back di quella mattina.
-Pronto, Aida? Cazzarola, sono nella merda, ancora non ho completato le valigie! Tu come stai messa?
-Capirai, le mie sono vuote, porto qualche dildo e due costumi da bagno, il resto lo acquisto lì, anche se spero di non aver bisogno di vestiti.
Eva riattacca facendo una smorfia. Si guarda intorno. Vede i completini di pizzo che ha scelto di portare. Immagina notti di sesso. Magari anche di gruppo, vorrebbe provare quest’esperienza. Si morde le labbra. Le arriva un sms. Sul display del telefono legge il nome di Christian. Sbuffa. Sicuramente avrà un milione di richieste. Stronzo, gli aveva proposto di andare anche lui con loro, ma lui è sempre troppo  impegnato, sempre troppe serate da organizzare e troppe donne da trombare. Era un periodo di quiete, ognuno aveva le proprie storie e non inscenavano alcuna battaglia. Apre il messaggio. Io sono innamorato di te, ti aspetto.
Boccheggia. Cosa? Cosa? Stronzo. Stronzo. Non è questo il momento. Lo dice adesso… Rovinandole questa fottutissima vacanza. Lo sta odiando con tutta se stessa. Ma non può fare a meno di sorridere. E’ una dichiarazione di guerra, questa. Anche lei è innamorata di lui, ma non è meschina né vigliacca come lui. Bene, vorrà dire che sarà informato di ogni suo passo (anche nei letti) fatto in Grecia. Spegne il cellulare.
 
-Bene, io sono arrivata. Grazie dottor Sivi, Eva ci sentiamo dopo- Aida la distoglie dai suoi pensieri.
-Sì, a dopo
Poco dopo arrivarono a casa. Eva non poté che constatare, arrabbiata, che alla fine non era riuscita ad andare a letto con nessuno, ed Aida l’aveva recriminata per giorni e notti . Quel messaggio di Christian era inaspettato e forte. Lì per lì aveva pensato che era stato un gesto dispettoso. Poi aveva razionalizzato. Non era da Christian. Era una dichiarazione, quella?
Dopo i convenevoli familiari, la distribuzione dei vari regali, si chiuse in camera. Prese il cellulare. Compose il numero, dopo due settimane di silenzio.
Uno squillo. Due squilli. Tre squilli. Quattro squilli. Stava per riagganciare: con lei vale la regola dei quattro squilli, oltre non va.
-Devo dedurre che tu sia tornata- le risponde duro. Lei sa che lui sta sorridendo.
-Togliti quel sorriso vittorioso dalla faccia e vieni a prendermi!
-Non sono il tuo facchino, principessa Sivi, avresti dovuto quanto meno farti sentire prima se avessi voluto un’accoglienza calorosa.
Lei avvampò alla bipolarità di Christian. Le aveva detto di essere innamorato di lei ed ora poco ci mancava che le riagganciasse il telefono in faccia.
-Due settimane sono il minimo, in passato non ci siamo sentiti anche per anni.
-Senti, ho da lavorare, magari ci vediamo stasera.
-Che stronzo, credevo non facessi altro che aspettarmi- si morse le labbra, e si guardò allo specchio, sorridendo.
-Lo sto facendo ancora. A stasera.
Eva chiuse gli occhi. Non aveva idea di come si sarebbe sviluppata la serata. Forse erano arrivati al punto tale di dare una svolta, di dirsi cosa volevano entrambi. Non potevano continuare a farsi la guerra. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Christian ***


Riattaccò il telefono. Dopo due settimane di silenzio Eva era ritornata e pretendeva che lui  sarebbe stato pronto ad accoglierla. Aveva ragione lei a dire che in passato non si sono sentiti anche per anni, e che due settimane non erano nulla. Eva non aveva ben chiaro, forse, che lui aveva deciso di darci un taglio. Era stanco della sua vita, del suo lavoro, delle notti in albergo o in grandi tenute in campagna. Nonostante la coerenza degli ultimi anni, il non essere scappato dalla sua vita, come era abituato a fare da adolescente, l’unica vera costante della sua vita era Eva. Eva c’è sempre stata. Fin da quando si sono conosciuti. Fin da quando hanno stretto amicizia sul serio. Lei era sempre seduta ai primi banchi, una secchiona inarrivabile per la bellezza acerba di quasi bambina ancora, ricca ed antipatica. Lui era il tipico alunno da ultimo banco, casinista, quello che i professori descrivono come intelligente che non si applica. Per anni sono stati compagni di scuola, di avventure. Si sono sempre provocati, sempre sfidati, fatti la guerra. Lui ha sempre gridato al diritto di proprietà su lei. Come se Eva fosse la sua bambola. Il suo giocattolo preferito. Ha sempre fatto in modo di creare delle situazioni scomode, le trovava più semplici che dirle semplicemente che l’amava. Avevano sedici anni quando lei gli fece una delle tante scenate di gelosia. Forse la più furiosa, considerati poi gli sviluppi. Christian frequentava una ragazza poco più grande, della loro scuola, Gaia. Era bruttina, troppo magra, nulla di speciale, ma aveva un seno prorompente e dava si parecchio da fare. Eva era gelosa, come al solito. Con gli anni ha poi iniziato a controllare e placare questo sentimento.
 
Christian le da le spalle. Eva si avvicina. Sono in un parco. Hanno appuntamento, lui le ha detto che ha trovato erba buona e lei l’ha subito raggiunto. Lo abbraccia da dietro e gli annusa i capelli. Sono alti più o meno uguali. Lui si gira e le ricambia l’abbraccio, appoggiandosi al corpo di lei più del dovuto. Eva imbarazzata si sposta. Lui fa un ghigno, accende lo spinello, tira qualche boccata e lo passa all’amica.
-Sono abbastanza di fretta.
Lei espira il fumo e gli ripassa lo spinello.
-Dove devi andare?-gli chiede.
-Da Gaia, ha casa libera.
-Non so come faccia a piacerti. E’ una vacca idiota.
Lui sorride.
-Scopa bene.
Lei rotea gli occhi. Lui inizia a parlarle di come Gaia sappia usare la bocca, di come Gaia sia disinibita. Fino a quanto non butta il mozzicone a terra e lo pesta con forza. Si morde un labbro e si avvicina ad Eva. Ha voglia di baciarla per poi andar via da Gaia. Eva si scosta.
-Perché non vieni a letto a con me?- gli chiede lei secca.
Christian rimane interdetto. Non si aspettava una domanda tanto esplicita. Perché ti amo. Non ha senso questa domanda , non ha senso la sua risposta. Hanno sedici anni, e si fanno la guerra tutti i giorni, giocano sporco, fino a farsi male. Se andassero a letto insieme non potrebbero che farsi del bene, e non possono farsi del bene. Sono l’uno contro l’altra.
-Che cazzo vuoi, Eva? Vedi di non rompere- preferisce fare lo stronzo. E’ più semplice che dirle che ha paura.
-Io non ti piaccio. Tu non sei attratto da me. E’ questo vero?
Christian la guarda. Eva è così bella. Lo è sempre stata. Immagina che da donna sarà ancora più bella. Crede che nuda sia splendida. Passa notti a fantasticare su di lei. Ogni volta che sono da soli vorrebbe poterla toccare, annusare, assaggiare. Il massimo che si permettono però è qualche bacio, veloce, pronto a sfoderare i denti, a farsi di nuovo male, a punirsi per aver abbassato le difese. Eva inizia ad alterarsi, a rinfacciargli tutte le volte che ha sopportato ed ascoltato i suoi racconti, le sue scopate con le ragazze della città, inizia ad urlargli in faccia che lei non lo merita, non capisce perché deve esserne informata, perché deve essere così stronzo, perché non va  a letto con lei, si vogliono, lo sanno entrambi.
-Io mi sono rotta il cazzo, chiaro? Sembra che tu voglia punirmi, di cosa, poi? Le punizioni non mi servivano da piccola, non ne necessito adesso, cos’hanno le altre? Le altre non sanno di te nulla, io ti conosco, io ti appartengo, lo rivendichi sempre, ma anche tu appartieni a me, io ti sento nella pancia, lo sappiamo entrambi, non riesco a credere che davvero preferiamo questo rapporto del cazzo al fatto di poter essere una coppia! Dimmelo, perché non vuoi venire a letto con me?
Eva sa che l’unica risposta, la vera risposta,  non l’avrà. Perché ti amo. Ma ci spera. Ci spera sempre. Spera che Christian lo dica. Magari che se ne penta pure, dopo. Ma che glielo dica. Christian sente le tempie pulsargli. Decide che farle del male sia più semplice.
-Perché sei vergine. Io non scopo con le vergini.
Va via camminando lentamente. Eva rimane basita, fredda. Si siede. Anche stavolta lui non le ha detto la verità. Si sente piccola. Forse la vede ancora come una bambina, per poterle dichiarare finalmente il suo amore. Christian forse vuole una donna.
Qualche sera dopo gli arriva un’e-mail. Non sente Eva dal pomeriggio al parco. Sa di essere stato indelicato, di averla fatta sentire male. L’e-mail è di Eva. Sorride. Pensa di telefonarle. Il testo dell’e-mail dice solo “Buona visione”. C’è in allegato un video. Christian lo scarica. Poi lo guarda. Non avrebbe dovuto, voluto, potuto. Nel video c’è Eva che fa sesso con un ragazzo della loro scuola. Christian si irrigidisce. La guarda muoversi lentamente nel suo letto a baldacchino, quello su cui tante volte hanno giocato a cuscinate. La guarda rivolgere uno sguardo malizioso all’obiettivo della videocamera, probabilmente nascosta. Dopo una ventina di minuti il ragazzo del video si alza, le carezza il viso, le chiede di poter usare il bagno. Lei gli indica la porta adiacente all’armadio. Si alza anche lei, completamente nuda, ed in un attimo di pudore afferra una vestaglia di seta e la indossa. Afferra le lenzuola e le scuote, le tira a sé per poi scenderle dopo in lavanderia. Christian intravede una macchia di sangue. Ha la nausea. Eva punta un telecomando verso l’obiettivo ed il video si blocca. Come si blocca il respiro di Christian.
 
Christian guardò sorridendo lo sfondo del suo telefono. Eva. Nella sua vita c’è sempre e solo stata Eva. Nel pomeriggio aveva disdetto tutti gli appuntamenti della settimana. I suoi clienti avrebbero dovuto aspettare, poi avrebbe detto loro che non aveva più intenzione di continuare a lavorare per loro. Avrebbe mantenuto solo due o tre locali. Possedeva abbastanza soldi da parte per poter iniziare l’università. Aveva sempre messo Eva in secondo piano. L’aveva umiliata tante volte. Eppure lei c’era ancora. Si erano odiati al punto tale che non era più rimasto spazio alla rabbia. Lui aveva deciso di abbassare le difese. Aveva deciso che era arrivato il momento di dirle che l’amava. Di proporle quello che lei aveva sempre chiesto. Di essere una coppia, una coppia vera, nonostante i rispettivi genitori credevano che lo fossero da una vita. Quello che l’affliggeva, però, era un possibile rifiuto. Una continua sfida, un continuo dispetto. Solo per il gusto di fargli del male. Perché godevano nel distruggersi. Chissà come lei aveva passato le vacanze a Mykonos. Probabilmente avrà pensato tutto il tempo al suo sms. L’aveva fatto egoisticamente, Christian. Sapeva che l’avrebbe afflitta col pensiero, che lei sarebbe stata fedele a quell’attesa. Per quindici giorni si erano solo pensati, lo sapeva lui. Lei glielo disse a sedici anni. Io ti sento nella pancia.
Era arrivato il momento di fare una scelta. O bianco o nero. O tutto o niente. Non più i mille colori delle luci al neon, delle vetrine, dei locali. Voleva metterla con le spalle al muro. In realtà metteva se stesso con le spalle al muro.
Non ha mai ammesso le sue debolezze. Sua madre morì quando lui era solo un bambino, e crebbe con suo padre, un professore un po’ bizzarro, ma di grande cultura. Non è mai stato ricchissimo, ma non gli è mai mancato nulla. Subito dopo il diploma ha deciso di non iscriversi all’università, ed ha iniziato con il fare il facchino per una società di pr. Un giorno si è trovato a chiacchierare con il direttore della società, mostrandosi brillante e pieno di aspettative. Il direttore ne rimase affascinato. Nel giro di qualche tempo Christian ebbe diverse promozioni, fino a diventare il braccio destro del direttore. Ma Christian odiava dipendere da qualcuno, odiava essere gestito. Così lasciò il lavoro nella nota società e si mise in proprio. Da solo. Nessun collega, solo società pubblicitarie partner a cui lui stesso commissionava le parti burocratiche del lavoro. E queste stavano al suo gioco, Christian era il migliore. Ventitré anni, un impero, tutti si fidavano di lui. Un ragazzo di successo. Suo padre era molto orgoglioso di lui. Soprattutto quando organizzava serate a sfondo letterale. Christian aveva frequentato il liceo classico, ed amava mettere un po’ di sé in ogni evento che organizzava. Eva era solita frequentarne alcuni, quando proprio ne era presa emotivamente, altrimenti preferiva i Caffè o i Dinner americani. O semplicemente preferiva girare su tacchi altissimi e lunghi vestiti da sera nella sua villa, in occasione delle feste organizzate da papà. C’era un solo uomo in città che organizzava eventi tali da mettere in ombra quelli di Christian, ed era il dottor Sivi. Ovviamente Christian veniva invitato, ma lui prontamente, emulando Eva, andava solo a quelli che più potevano interessargli. Vale a dire quelli a cui partecipavano le personalità più influenti della regione. Eva invece andava agli eventi che mostravano elementi strappati alla sua storia con Christian e messi a fare da cornice a lustrini e paillette. Effettivamente erano quelle le serate che più riuscivano.  Ovviamente, lui ci metteva passione e rabbia nell’organizzarle, voleva che tutto fosse perfetto, che Eva cogliesse le sfumature.
Due anni prima aveva organizzato l’inaugurazione di una libreria. Ogni evento di Christian era esclusivo proprio perché vi si poteva partecipare solo su invito. L’invito consisteva il un passo di un libro famoso, e l’invitato sarebbe dovuto andare all’inaugurazione portando con sé almeno un oggetto che richiamasse l’opera usata per invitarli. Erano all’incirca 130 invitati, centotrenta oggetti diversi sarebbero stati il loro pass per entrare in libreria. Christian si occupò meticolosamente di formulare centotrenta invita diversi.
 
-Eva tesoro, il postino ha lasciato qualcosa per te.
Sophia raggiunge la figlia in terrazza, dove stanno facendo colazione, leggendo il giornale.
Eva si protrae verso la madre che le passa una busta bianca dai bordi in filigrana. Aprendo la busta è come se sentisse in un secondo il profumo di Christian. Sente una morsa allo stomaco. Avevano litigato furiosamente qualche settimana prima. Erano entrambi ubriachi, stavano facendo sesso. Non era la prima volta che lo facevano, anche se la loro prima volta insieme ci mise molto ad avverarsi. Eva ricorda che durante l’atto gli chiese di dirglielo. Christian finse di non capire a cosa si riferisse. Alla Eva, stordita dall’alcol, iniziò col dire “Io… Ti…”. Christian uscì immediatamente da lei, come se lei gli avesse detto le peggior cose. Lei si sentì ferita. Sgranò gli occhi quasi terrorizzata dall’avergli provocato una reazione simile. Lui le intimò di non farlo mai più, di non dire cazzate, di smetterla, loro non erano fatti per quelle parole. Lei d’istinto gli scaraventò l’abatjour, poi iniziò a lanciargli qualsiasi cosa si trovasse a portata di mano. Lui schivò i colpi, ma rimase in camera, non andò via. Sentiva gli occhi bruciargli. Lui sapeva che sarebbe potuto scoppiare a piangere dalla rabbia di averla umiliata ancora. Lei gli si avvicinò. Erano di fronte l’uno con l’altra. Fu allora che lei gli sputò in faccia. “Mi fai schifo. Giustifica il viso umido per un mio sputo che per le lacrime che non tratterrai”. Fu l’ultima cosa che gli disse. Poi passarono i giorni e non si sentirono.
Ora Eva sorrideva leggendo il contenuto della busta. Sentiva gli occhi di Sophia puntati addosso.
-E’ un invito per un’inaugurazione di una libreria, organizzata da Christian- spiega a sua madre.
L’invito spiega le regole dell’inaugurazione. Dietro è riportato un passo de Il Piccolo Principe, il suo libro preferito. La descrizione della Rosa.
Dieci giorni dopo Eva arriverà all’inaugurazione fasciata da un tubino nero, poggiata su tacchi altissimi, con i capelli raccolti in uno chignon ed una rosa rossa nei capelli. In molti la guarderanno ammirati. Sanno che è Eva Sivi, la figlia del dottor Sivi e dell’architetto Calì. Si guarderà intorno, sorseggiando champagne. Poi Christian le fascerà i fianchi con un braccio e le dirà che è bellissima. Lei lo guarderà divertita e gli chiederà perché proprio la rosa.
-Tu sei la mia rosa- le dirà carezzandole il viso. Lei sosterrà che allora lui rappresenta le sue spine. Lui le sussurrerà che la difende dal mondo. Lei abbasserà gli occhi e poi gli chiederà, triste:
-Chi mi difende da te?
 
Christian decise di telefonarle. Non aveva senso ostentare ancora autocontrollo. Non aspettava altro da tredici anni.
-Mi sono liberato, passo a prenderti?- le disse tutto d’un fiato senza darle modo di dire “Pronto”.
Eva sorrise, scendendo dalla sua Mercedes ed avviandosi verso l’androne del palazzo.
-Sono sotto casa tua. Preparami un caffè.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** A capelli sciolti ***


Ciao a tutti! Volevo ringraziarvi per aver letto i primi tre capitoli di questa storia a cui piano piano darò forma, e volevo scusarmi per gli errori di battitura: anche ricontrollando dieci volte, solo quando pubblico il capitolo me ne accorgo. Mi auguro di saper distanziare bene i flashback dalla narrazione e di non incartarmi troppo con i verbi. Spero di appassionarvi nella lettura, fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo molto, ho fatto il “passo” di scrivere “ per gli altri” dopo cinque anni in cui non ho più scritto neanche per me stessa. Sono arrugginita, ma prometto di sciogliermi! Un bacio, Evanne.
 

 
Erano faccia a faccia. Gli occhi verdi di lei erano come attraversati da un guizzo divertito. Indossava un lungo vestito con stampe floreali. Aveva le spalle scoperte, la pelle dorata dall’abbronzatura e come al solito i capelli raccolti. La ricorda poche volte con i capelli sciolti. Qualche anno fa lui le chiese come mai li tenesse sempre stretti sulla nuca. Lei si spiegò dicendo che così si rendeva austera, dominatrice, impostata, superiore. Gli disse che li scioglieva solo quando andava a dormire, perché in quel momento poteva abbassare le difese, poteva essere libera, poteva rilassarsi. Lui sentì il cuore esplodere: qualche volta lei aveva sciolto i capelli in sua presenza.
Eva lo guardava incuriosita. Sentiva un formicolio alle labbra. Avrebbe voluto baciarlo. Le era mancato. Le manca da sempre. Nonostante lo sentisse nella pancia (era strano come una frase detta da un’allora sedicenne potesse essere vera anche dopo tutti questi anni), erano poche le volte in cui erano stati davvero vicini. Senza meschinità, senza regole, senza crudeltà. Poche volte gli ha permesso di giocare con le sue ciocche bionde libere dai ferretti. Chissà a cosa stava pensando lui. La stava guardando con uno sguardo indecifrabile. Come suo solito era in abito scuro e camicia grigia. Noioso. Ma bello. La pelle bianca, i capelli neri e gli occhi cerulei. Ricorda la prima volta che lo vide, il primo anno di liceo, il primo giorno di scuola.
 


Ha appena occupato un banco, il primo banco davanti la cattedra, con Aida che si sta lamentando per il posto scelto. Che andasse al diavolo, dietro ci sono quei morti di fame, lei è la figlia del dottor Sivi, è sempre in prima fila per tutto, a teatro per esempio, e deve esserlo anche a scuola. Ed Aida è la figlia del Sindaco, dovrebbe camminare come se l’istituto fosse di sua proprietà (ed in fondo lo è, il liceo privato vanta di consistenti somme di denaro devolute dal Primo Cittadino dovute al mantenimento della struttura… in vista del primo anno della sua unica figlia adorata). Entra una donna sulla cinquantina, la classe si alza in piedi e lei fa cenno di accomodarsi. Si presenta come la docente di Latino e Greco, e passa la prima mezzora spiegando le varie regole dell’istituto, facendo l’appello, notando la mancanza di un certo Aresi, il primo dell’elenco, soffermandosi su Aida Diado con lo sguardo, sorridendo ad Eva Sivi. Dopo circa un’ora qualcuno bussa alla porta dell’aula, ed entra un ragazzo. Alto, secco, con i capelli neri e gli occhi chiari dietro gli occhiali da vista. Eva fa una smorfia e sussurra ad Aida:
-Guarda, non porta la cravatta. Secondo me non sa fare il nodo- gonfiando il petto e sporgendo in avanti il seno quasi inesistente su cui scivola la cravatta della divisa scolastica perfettamente annodata. A lei l’ha insegnato il suo papà.
-Prego?- chiede la prof.
Il ragazzo si schiarisce la voce e chiede se quella è l’aula del quarto ginnasio, sezione A. La prof gli fa un cenno con la testa come a voler dire sì. Lui sorride, si guarda intorno e si punta su Eva. Lei arrossisce lievemente e distoglie lo sguardo, toccandosi la cravatta.
-Mi chiamo Christian Aresi, sono iscritto a questa classe, scusi il ritardo, ho già parlato con la preside ed ha accettato che entrassi ora.
Il modo in cui lo dice fa alzare di nuovo gli occhi ad Eva. Non sa perché, sarà lo sguardo divertito che il ragazzo le rivolge, ma lei capisce che ha detto una gran cazzata, che non sa neanche che faccia abbia la preside. La prof alza un sopracciglio. Gli fa segno di entrare.
-Benvenuto.
 


-Bentornata- le disse e l’accolse in un abbraccio. Lei sospirò, chiuse gli occhi ed entrò in casa. Tra le sue braccia. Dopo qualche secondo si staccò, girò su se stessa e gli chiese come la trovasse. Lui sorrise e fischiò in segno di apprezzamento. Lei rise divertita ed improvvisando una passerella attraversò la casa, completamente arredata di bianco, arredata dall’architetto Calì. Bugia. La firma era dell’architetto Calì, ma aveva scelto tutto Eva. Christian non lo sapeva. O fingeva di non saperlo. Lui le offrì del caffè, come da lei chiesto. Sedettero accanto, lei tolse le ciabattine e lui le fece un massaggio ai piedi mentre lei gli raccontava della vacanza. Gli raccontò di come Aida avesse scopato di più in quei quindici giorni che in tutta la sua vita, anche perché in città non tutte le lesbiche hanno fatto outing come lei, e non tutte amano farsi vedere con lei, per paura di essere additate.
-Ma tu non hai mai avuto la preoccupazione di essere indicata come lesbica perché frequenti Aida?- le chiese lui a bassa voce.
-No, io ho “Christian Aresi” scritto in fronte, al massimo posso essere additata come una stronza perché frequento uno stronzo.
-Siamo uguali io e te.
-Non mi stai facendo un complimento, se questa era la tua intenzione.
-Stavo solo sottolineando il fatto che anche io posso essere visto come uno stronzo perché tu sei una stronza.
-Io sono splendida, sei tu che togli fuori il peggio di me, lo sanno tutti.
-Nessuno sa nulla, Eva.
-Se dobbiamo metterla su questo piano, neanche io so nulla, se vuoi delucidarmi…
Eva ritirò i piedi a sé, e lo guardò aspettando che Christian si spiegasse, che le dicesse il senso di quel sms, che facesse chiarezza sui suoi sentimenti. Accese una sigaretta e passò il pacchetto a lui che fece ugualmente. Avevano persino lo stesso modo di fumare. A volte Eva era terrorizzata da queste similitudini con lui.
-Perché non proviamo a stare insieme? Sul serio, intendo. Una coppia. Cioè, lo siamo da tanto tempo, ma voglio dire: ufficiale… No, non nel senso di fare i fidanzatini. Aspettiamo entrambi di dare un nome a quello che siamo. Ecco, facciamolo. Io ora mi sento pronto. E so che lo sei anche tu. Lo siamo da troppo tempo, ma siamo sempre stati troppo eccitati nel farci la guerra. Non vinciamo l’uno contro l’altra. Vinciamo solo da alleati. Perché non ci proviamo?
Eva ascoltò tutto stringendo le labbra sempre più ad ogni parola. Piegò la testa di lato.
-Chi mi assicura che tu non stia… Ecco, come dire, bluffando?- gli disse piano.
-Eva, non stiamo giocando a poker, sto dicendoti che non voglio più fare la guerra.
-Ma è quello che ci riesce meglio.
-Non puoi saperlo, non abbiamo mai provato altro.
-Quindi tu vorresti dare un nome a ciò che siamo… Bene. Che nome vuoi dargli?
Christian aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito.
-Christian, dimmi che mi ami- continuò lei secca. E stanca.
-Lo sai, perché dovrei dirtelo? L’hai sempre saputo, perché vuoi per forza fossilizzarti su una frase?
Erano punto e d’accapo. Come sempre.
-Ascoltami bene- lei si avvicinò a lui, non pronta a litigare, anzi. Sciolse i capelli e lo fissò dritto negli occhi. Sentì lui trattenere il respiro.
-Sono tredici lunghi anni. Tredici. Non ci siamo mai detti ti amo, né addio. Non abbiamo mai fatto in modo di dare una direzione a questo nostro legame. Io sono stanca. Sono stanca delle continue sfide, delle false relazioni che ci creiamo intorno. Io paragono tutti a te, e nessuno regge il confronto. Tu mi dai vita, rabbia ed odio. Ma non mi dai amore. Non nel modo più semplice. Basterebbe solo che tu me lo dicessi. Che tu ammettessi di provare e di aver bisogno di amore. Non devi chiedere a me di stare insieme. Devi chiederlo a te stesso. Sai che io ti dirò sempre sì. L’ho sempre fatto. Nel bene e nel male. Ma facendo conto, è stato più nel male. Ho lasciato Tancredi, nonostante la calma che potesse darmi, semplicemente perché lui mi chiese se lo amassi. Mi hai abituata a vivere senza spiegare cosa provo. Io non lo amavo. Ma vedevo naturale stare con lui senza amarlo. Era quello che facevamo io e te? In parte. Ogni volta che ho provato a fare uscire amore da noi abbiamo finito con l’odiarci. Ti ho dato la mia testa, il mio corpo, la mia vita. E non hai mai voluto il mio cuore. Lo volevi solo quando ti indispettivi. Non hai mai capito che è sempre stato tuo? Sei sempre stato distratto dal piacere delle liti. Per te, per noi, è naturale riconoscere il dolore. Ora dimmi: vuoi veramente stare insieme a me? Per farlo devi dirmi che mi ami. Perché altrimenti lo farò io e ti farò stare male. Perché ti sentirai piccolo ed insignificante, perché io ho preso il sopravvento. O meglio, solo ora ti accorgi che l’ho sempre preso, fin da quando ho perso la verginità e ti ho fatto sentire una persona disgustosa. Sai che l’ho fatto per farti star male. Come tutto in questi anni. Ma hai mai considerato quanto male mi facessi io? Ora dimmi, Christian. Mi ami?
Lui la fissò ancora un attimo. Provò amarezza e dolore, ancora dolore, per quello che le aveva fatto. Lo capiva solo ora che lei glielo sbatteva in faccia. Ripensò velocemente ai suoi clienti. A come li lascerà senza il suo lavoro. Aveva scelto Eva. Glielo doveva. E stare con Eva comportava sacrifici e scelte difficili. Era disposto a farlo? O era più semplice puntarsi una pistola e fare a gara a chi avrebbe sparato per primo?
-Io ti amo.
Eva chiuse gli occhi, sentendo quella frase tanto agognata.  Si alzò in piedi, raccolse di nuovo i capelli e gli disse semplicemente:
-Lo so. Anche io ti amo. Ora spiegalo a te stesso. Spiegati che l’hai detto solo perché te l’ho chiesto io, e che non l’avresti fatto di tua volontà. Me ne vado, Christian- sospirò prendendo le chiavi della macchina –Grazie del caffè.  Ci vediamo presto.
Christian rimase spiazzato. Questo era peggio di qualsiasi lite violenta. Si avvicinò alla finestra e la guardò salire in  macchina e partire sgommando, come faceva sempre suo padre. Batté un pugno al muro, afferrò le chiavi della sua moto ed uscì di casa sbattendo la porta.
 


 
All’inizio avevo immaginato che Eva si buttasse letteralmente tra le braccia di Christian, poi mi si è impazzito il neurone ed ho preferito aspettare ancora prima di dar loro un momento di tregua. Baci!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Buio ***


Christian parcheggiò la sua Harley-Davidson nel box privato numero 46, poi chiamò l’ascensore e salì fino al suo attico. Mancava da casa dal primo pomeriggio, era uscito subito dopo Eva. Tolse i mocassini scuri che indossava ed a piedi nudi si diresse verso un basso mobile laccato di bianco, da cui prese una bottiglia scura, e ne versò il contenuto in un uno dei bicchieri poggiati sul mobile. Era un whiskey artigianale, fatto in casa, valeva un sacco di soldi, gliel’aveva regalato un suo cliente.
Aveva passato il pomeriggio a correre in moto, poi poco prima di rientrare a casa era andato in spiaggia. Aveva lanciato pietre in mare. Da piccolo suo padre gli raccontava che lanciando una pietra  a fior d’acqua, pensando ad una persona, se la pietra avesse sfiorato la superficie per sette volte prima di sparire nell’acqua, l’amore per la persona pensata sarebbe stato eterno. In realtà c’era un trucco per far scorrere le pietre anche più di sette volte. Dipendeva tutto da come le si lanciava. Christian voleva credere ancora alla spiegazione di suo padre. Voleva affidarsi al caso, non alla compostezza dei gesti da cui poi derivano fatti obiettivi.
Solitamente durante quel periodo dell’anno, in piena estate, i suoi ex compagni di classe organizzavano un falò in spiaggia, tanto perché sembrava che stare alla larga per qualche mese prima dell’inizio della scuola sembrava impossibile: bisognava informarsi sugli sviluppi della storia di Eva e Christian, bisognava scoprire se davvero Aida fosse lesbica o se recitasse solo una parte. Durante uno di quei falò, sei anni prima, aveva conosciuto Tancredi.
 


Gioca con le pietre e le butta in mare, lanciandole in modo tale da far sfiorare loro la superficie dell’acqua. Aida lo raggiunge e gli si siede accanto.
-Non potrai passare tutta la serata qui, da parte-gli dice.
-Perché no?
-Perché non è buona educazione.
-Ma smettila, anche tu non tolleri nessuno di loro. Sono tutti avidi di sapere cosa stiamo facendo e vogliono buttarci in faccia le loro splendide vacanze e le loro vite perfette.
-Beh, a te da fastidio non poter fare il superuomo davanti a loro ed inscenare uno spettacolo con Eva, è solo questo.
Christian resta in silenzio. Eva frequenta da qualche mese un ragazzo più grande, un certo Tancredi. Non è della città, qui frequenta solo l’università. Il tipico figlio di papà, ricchissimo, snob, noioso. Christian era certo che non sarebbe durata dieci minuti. Ed invece Eva aveva iniziato a presentarlo a tutti, e lui ogni domenica partecipa ai pranzi di famiglia con i Sivi. Quello che lo irrita è la possibilità che lei si sia innamorata di qualcuno solo perché è normale, solo perché è l’opposto di Christian. Aida gli carezza una spalla.
-Sai che io non credo affatto che tu sia una bella persona, e ti sei sempre comportato malissimo con Eva. Ma non rovinarle anche questo momento. La porterai al punto di ammazzarsi, le levi la vita. Lasciala in pace.
Proprio adesso sente la risata di Eva e la sente presentare Tancredi ai compagni di classe. Christian ed Aida si avvicinano al resto del gruppo, salutano. Eva lo guarda un po’ spaventata, forse teme che lui possa fare una scenata davanti a tutti, davanti a Tancredi. Li presenta.
-E così tu sei Christian. Ho sentito parlare molto di te- gli dice Tancredi con voce roca, stringendogli la mano.
Christian risponde alla stretta mettendoci più forza.
-Che strano. Io non ho mai sentito parlare di te. Sai com’è, io ed Eva parliamo solo di cose interessanti.
Eva abbraccia Tancredi e gli sussurra qualcosa all’orecchio, prima che possa replicare.
Christian sorride beffardo. Più tardi, seduto su uno scoglio verrà raggiunto da Eva.
-Sei uno stronzo.
-Non ti merita.
-Mi merita sicuramente più di quanto possa meritarmi tu.
-Tu sei mia, non ho bisogno di meritarti, mi appartieni e basta.
-Sei malato.
-Tu non puoi vivere con nessuno, sono tutti un ripiego, tu puoi stare solo con me.
-Peccato che io e te non stiamo affatto insieme.
-Non abbiamo bisogno di dire alla gente che stiamo insieme, siamo legati indissolubilmente.
-Forse avremmo dovuto dirlo a noi stessi, quanto meno. Lasciami in pace, io sto con Tancredi, tu sei solo un compagno di classe squilibrato.
Dopo qualche anno Christian inizierà a lavorare, ad avere un giro tale da potersi permettere ogni lusso. Si era arricchito con l’idea che Eva poteva stare solo con gente alla sua pari.
 


Si sdraiò sul divano. Accese una sigaretta. Si sentiva spossato. Sentì il cellulare squillare dalla tasca dei pantaloni. Lo recuperò molto lentamente. Lesse il nome sul display. Pensò per un attimo di non rispondere. Poi aprì la telefonata.
-Buonasera, dimmi.
-Come sarebbe a dire che hai annullato tutti gli appuntamenti della settimana?- la voce dall’altro capo del telefono era ferma ma furibonda.
-Avevo da fare.
-Cosa?
Christian esitò per un momento.
-Ho rivisto Eva.
-Frequentare Eva non ti ha mai impedito di lavorare.
-Da adesso sì. Ho fatto una scelta. Non posso coniugare due mondi opposti. Il bianco ed il nero.
-Smettila di dire stronzate. Sai benissimo che per frequentarla devi essere di un certo livello. Lasciare il lavoro non ti permetterà nemmeno di avvicinarti a lei. A gennaio andrà a studiare a Dublino, te l’ha detto?
-No. Non so nulla.
-Ora ne sei a conoscenza. Non fare stronzate, richiama tutti i clienti e da loro nuovi appuntamenti.
-No. Ti ho detto che ho chiuso.
-Povero stronzo. Ne parleremo meglio di persona. A me non puoi dire di no. Potrai chiudere con tutti, ma con me no. Sei nelle mie mani, Aresi, e vedi di non divincolarti più del dovuto, altrimenti Eva la manderò a Dublino nel giro di due giorni, biglietto di sola andata. Sai, noi gente ricca possiamo permettercelo.
Christian chiuse la telefonata. Era afflitto dai pensieri. Si alzò e versò altro whiskey nel bicchiere già usato. Spense le luci. Voleva restare al buio. Era più semplice.
 
 
 
 
Sono poco convinta di questo capitolo, l’ho scritto troppo in fretta! Che ne pensate? Baciotti, Evanne.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Di sale e di neve ***


Aida le passò la canna. Erano in piscina, nella villa dei Sivi. Né il dottor Sivi né l’architetto Calì erano in casa. La cameriera aveva ottenuto qualche ora libera da dedicare a se stessa, il giardiniere era occupato nella parte opposta della villa, nelle serre, ed il cuoco stava già preparando la cena per quella sera. Eva le aveva raccontato dell’incontro con Christian ed aveva ricevuto un sorriso amaro e le solite parole.
-Io non so più cosa dirti, tesoro. E’ una vita che va avanti questa storia. Ora non capisco perché non provarci sul serio. Ormai non avete nulla da perdere. Ha ammesso di volere te.
-Ha sempre voluto me, ma voleva una me plasmata a suo piacimento- sussurrò Eva, più a se stessa che all’amica. Si lasciò andare sott’acqua e venne assalita da ricordi. Spiacevoli. Le venne in mente quando, durante il terzo anno di liceo, cominciò a non mangiare, ad infilarsi due dita in gola quando invece si cibava scarsamente. Lo faceva perché Christian stava con una ragazza austrica in vacanza studio nel loro istituto, una modella. Bellissima, altissima, magrissima. Lei si sentiva grassa, credeva che probabilmente Christian avrebbe voluto una ragazza magra, molto. Fu come se lui non si accorse dell’immediato calo di Eva, lo capì invece immediatamente Aida che allarmò il dottor Sivi, che la fece ricoverare. Le andò bene, riuscì a bloccare l’insorgere dell’anoressia sul nascere. Per un anno e mezzo Aida impedì che Christian si avvicinasse ad Eva. Ne prese anche da amici, dalla dubbia coscienza, di Aida. Quando Eva lo scoprì non fece nulla, non disse nulla. Per qualche tempo andò da una psicologa. Era una brava persona, prima che un ottimo medico, e fu lei a dirle francamente che avrebbe risolto i suoi problemi con Christian solo quando avrebbero dato insieme un senso al loro rapporto.
Le venne in mente quando lasciò Tancredi, e subito dopo andò a casa di Christian. Ricorda di essere entrata in casa senza dire nulla. Ricorda le mani, la pelle, le lingue intrecciate, la foga, la rabbia, con cui fecero sesso la prima volta. Il desiderio. La passione. L’odio. L’amore. Le carezze. I graffi. I baci. I morsi. Poi, coperti da lenzuola bianche gli disse che aveva lasciato il suo fidanzato tanto ben voluto da tutti. Lui la strinse a sé. Le baciò ogni centimetro del corpo. Non si pronunciò su quella scelta.
Eva si sentì male nei giorni a seguire. Non riusciva a capire come avesse potuto cedere, come avessero potuto scegliere di fare sesso. Partì nel giro di tre giorni con Aida per Londra, dove rimase circa un mese. Lui la chiamò tutti i giorni. Lei non rispose mai. Poi tornò. E ci ricadde. Di nuovo. Ed ancora. Ed iniziarono a vedersi sempre più, mentre ognuno aveva relazioni di sesso con persone estranee al loro mondo. Perché lui era il suo mondo, e lei era il suo. Croce e delizia, malattia e cura, odio e amore, bianco e nero. Odiava, Eva, il suo rapporto con Christian. Lei riusciva ad ottenere tutto, sceglieva decisa tra il bianco ed il nero. Con lui aveva imparato a restare sospesa sull’arcobaleno, in bilico.
Uscì dall’acqua, e fece in tempo a mettere a fuoco la vista, quando di sentì chiamare. Una donna dai capelli rossi, gli occhi nocciola, la pelle bianca macchiata da lentiggini, un sorriso perfetto si tuffò direttamente vestita in piscina. Eva stentava a crederci.
Quando la donna, dopo qualche bracciata arrivò dinnanzi a lei le disse:
-Sei diventata davvero bellissima! Potrei proporti un incesto!
Eva scoppiò a ridere, e con la risata le scoppiò il cuore pazzo di gioia e d’amore per quella sorella che non vedeva da cinque anni.
Elettra aveva quasi trent’anni, era una regista, lavorava a Parigi e mancava da casa da anni, dopo aver fatto outing. Andò dapprima a Berlino, scappò con la figlia del commercialista di casa Sivi, con cui finì male perché questa tradì Elettra con un barista di cinquant’anni, padre di famiglia e dal fascino non propriamente palese.
Scriveva un gran numero di lettere alla sua famiglia: era un’inguaribile romantica, Elettra, preferiva la carta e i francobolli alle e-mail. I loro genitori hanno sempre insistito e premuto per un suo ritorno, non essendo affatto omofobi e soprattutto  legati alla presenza delle figlie, ma Elettra aveva sempre rifiutato, giustificandosi dicendo che lei era un’artista e doveva viaggiare, sperimentare, vivere nelle strade del mondo. Un’hippie dotata di Nikon, in pratica, e sempre col portafogli strabordante dei soldi di papà.
Passarono circa una mezzora a chiacchierare del più e del meno, fino a quando la cameriera, Maria, rientrata nel frattempo, le chiamò annunciando la cena ed il ritorno dei coniugi Sivi. A quanto pareva, solo Eva non venne informata del ritorno di Elettra. Aida fu invitata a restare a cena con la famiglia, cena che trascorse in modo piacevole, nonostante un senso di vuoto nel petto di Eva.
Subito dopo cena Sophia si avvicinò alla figlia minore, seduta su una poltrona di canapa, e si accese una sigaretta con lei. Il dottor Sivi stava chiacchierando animatamente con Aida ed Elettra.
-Piaciuta la sorpresa?- le chiese sua madre con fare amabile.
-Molto. Fino a quando resterà?
-Per sempre. O andrà via domattina stesso. Sai com’è fatta tua sorella. Questa è casa sua, potrà restare tutto il tempo che vorrà.
-Immagino lo scompiglio che creerà in città. E’ tornata Selvaggia Sivi. I mariti terranno chiuse le mogli in casa ed i padri faranno lo stesso con le figlie.
La madre rise di gusto.
-Tu piuttosto- le disse indicandola colpevole con un dito-Che fine hai fatto oggi pomeriggio?
Eva sentì una fitta alla testa.
-Sono andata a salutare Christian.
-Bene. Caro ragazzo, quando lo inviti a cena?
-Mamma, non stiamo insieme, perché dovrei invitarlo?
-Perché è sempre stato parte di questa famiglia, e potreste un giorno, magari…
Eva si voltò verso Elettra ignorando Sophia. Vide sua sorella scambiare occhiate complici con Aida. Suo padre si allontanò dalle ragazze e si avvicinò a sua moglie ed a lei.
-Domenica organizzo una festa di beneficienza, in maschera- annunciò cingendo i fianchi della moglie.
Eva si limitò a sorridere e non rispondere. Sapeva che sicuramente l’invito sarebbe stato fatto anche a Christian.
-Voglio che Christian organizzi l’evento per conto mio.
Eva alzò un sopracciglio. Questa era nuova. Non ci avrebbe mai creduto se non l’avesse sentito dire davanti a lei. Si strinse nelle spalle, e gli disse che non doveva parlarne con lei, ma con Christian direttamente.
In quel momento Elettra irruppe con foga, seguita a ruota da un’Aida sempre più divertita.
-Sorella, va a vestirti, anzi denudati più che puoi, stasera si va a ballare!- disse forzando una erre moscia tipicamente francese.
 
 
In camera, mentre Aida ripassava per l’ennesima volta il mascara, Eva si guardò allo specchio: indossava un succinto abito di paillette, molto corto, molto stretto, scoperto sulla schiena fino a quasi la curva di un sedere piccolo e tondo. Strinse i capelli più del solito, spruzzò lacca e profumo insieme, poi passò un rossetto scuro sulle labbra carnose. Elettra fece cenno a sua sorella ed all’amica di avvicinarsi alla scrivania su cui era piegata fino a poco prima. Aveva preparato tre strisce di piacere, di sregolatezza, di sale e di neve. Neanche il tempo di guardarsi e tutte e tre sniffarono la coca.
Elettra passò un dito sulla superficie della scrivania su cui era stata la coca fino a due secondi prima, poi passò lo stesso dito sui denti.
-Direttamente dagli Champs-Élysées, mie care.
-Come hai fatto?
-Ho i miei metodi.
Prese il viso della sorella tra le mani e sussurrò:
-Siamo ricche, tanto, possiamo avere tutto, meritiamo un tenore di vita altissimo, lo esigiamo, ed accanto a noi deve stare solo gente che può assicurarci tale tenore.
 
 



 
Ecco qui! Elettra sarà un personaggio mooooolto influente per la storia. Ed il dottor Sivi? Questo evento cheha  in programma: lo organizzerà Christian? Eppure lui ha deciso di non lavorare più se non per qualche locale. Che tipo di locali? Aida ed Elettra scambiano occhiate complici, Sophia spera in un fidanzamento di Eva con Christian. Christian ha ricevuto una chiamata minatoria, nello scorso capitolo, ed il contenuto è simile all’ultima frase detta da Elettra. A chi appartiene  la voce “ferma ma furibonda”? Cosa sta provando davvero Eva?
 


Recensite, recensite, ditemi se sto lavorando bene o meno, consigli, dubbi, incertezze, perplessità e quant’altro! Presto darò un volto ai personaggi! Baciotti, Evanne. (Mi scuso ancora e sempre per gli errori di battitura e per le crisi verbali!)

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** K2 ***


Il K2 era un  locale posto su quattro piani, più un enorme terrazzo sul tetto,  ed era stato costruito circondato dal mare e gli scogli da una parte e dai palazzi e le strade dall’altro. I quattro piani distinguevano quattro stili diversi, ed ognuno aveva un’entrata propria, oltre che collegamenti interni. Neanche a dirlo, a progettare il K2 era stata Sophia Calì. Il primo piano era un’esplosione di verde, arredato in stile barocco, in cui spesso si poteva godere di musica rock-pop indie, il luogo giusto per un happy hour. Il secondo piano era adibito a pub, quindi riproponeva il tipico arredamento in legno e botti adibite a tavolini per due. Il terzo piano presentava tonalità calde, e musica caraibica, il paradiso delle danze. Il quarto piano sembrava la tipica discoteca degli anni ’70, con un enorme palla che scendeva dal soffitto creando giochi di luce. E poi c’era il terrazzo. Tutto era nero sul terrazzo. Il pavimento, gli arredi, le ringhiere. Un attimo prima era terrazzo, un attimo dopo era il vuoto, il cielo, il mare, gli scogli, le strade. Ad illuminare quell’affascinante spazio nero erano luci psichedeliche. La musica era esclusiva, i cocktail erano improvvisati ogni sera, non si sarebbe mai bevuta la stessa cosa due volte. Il terrazzo era per le élite. Per accedervi bisognava avere una certa influenza, un invito, un garante. Solo circa cinquanta persone potevano raggiungerlo, ogni sera. E bisognava prenotare i privè con almeno una settimana di anticipo.
Elettra Sivi si avvicinò ancheggiando e sicura al buttafuori elegante che a poco a poco faceva accomodare i fortunati nel paradiso nero.
-Siamo in tre, non abbiamo prenotato, ma vorremmo il privè Black Hole- gli disse.
Il privè Black Hole era quanto di più esclusivo si potesse immaginare all’interno del paradiso nero. E costava 5000€ a sera. Non lo richiedeva quasi nessuno.
Il buttafuori rise, e le disse gentilmente  che senza aver prenotato non sarebbe potuta entrare.
Elettra ammiccò, dalla borsetta prese seimila euro in contanti e glieli porse dicendo:
-Elettra Sivi. Mia madre, l’architetto Sophia Calì manda tanti cari saluti al direttore.
Il buttafuori si scusò ed accompagnò lei, Eva ed Aida all’interno, dopo essersi assicurato che qualcun altro prendesse il suo posto.
 

POV Elettra Sivi
 

Mi è bastato dire chi sono, sventolare delle banconote ed ottenere esattamente quello che volevo. E’ sempre così, è sempre stato così. Ho quasi trent'anni, sono ricca, bella, parlo sei lingue. Mi do un’occhiata intorno, qualcuno osserva me, mia sorella ed Aida. Qualcun altro sta già salutando le ragazze, altri sicuramente si staranno chiedendo se è proprio Elettra Sivi la donna con loro. Selvaggia Sivi, come mi chiamavano ai tempi del liceo.  Io e le ragazze ci sediamo nel nostro privè. Le poltrone sono minimali e di pelle. Il tavolino è in vetro e le gambe sono riproduzioni di serpenti. Mi sento a casa, un cameriere ci porta la prima bottiglia di champagne, la prima di una lunga serie, già lo so. Una vocalist annuncia l’inizio della serata. Bella, la vocalist. Ma etero, lo si vede lontano un miglio. Saremmo non più di una cinquantina di persone. Eva è splendida. E’ diventata davvero una bella donna, ma lei è più fredda rispetto a me. Distaccata. Non da confidenza a nessuno, è snob. Io sono più calda, più amichevole. Mi mordo le labbra e mi volto scoprendo che Aida mi sta fissando. Carina anche lei. So che è lesbica, ed ho capito di piacerle. Ma è troppo piccola. E’ coetanea di mia sorella. Per me è praticamente una vergine. Alzo il flûte davanti agli occhi e tra le bollicine dico:
-A noi, bellezze.
Le ragazze entusiaste brindano con me. Sarà una bella serata, ne sono certa.
 
 
POV Aida Diado
 

 Sono affascinata da Elettra. Non la ricordavo così… gatta. E dire che ho sempre avuto una cotta per lei. Quando ero solo una bambina e guardavo Dowson Creek desideravo ardentemente di tenere la mano a Katie Holmes. Credo sia stato il primo segnale del mio essere lesbica. Con gli anni ho frequentato casa Sivi, ed ebbi conferma della mia sessualità perché provai una fortissima attrazione per Elettra. Ne sono sempre stata intimorita. Poi lei è andata via. E poi oggi è tornata. E non riesco a toglierle gli occhi di dosso. Brindiamo e dopo aver sorseggiato un po’ di champagne lecco lentamente le labbra, gli occhi sempre su Elettra. E lei si morde le sue di labbra.
 

POV Eva Sivi
 

-La volete smettere di flirtare? Cazzo, andate in bagno se proprio non resistete!
Dico sogghignando. Ho notato di come Aida sbavi letteralmente per mia sorella e come lei, d’altro canto, non faccia niente per ignorarla. Iniziamo a chiacchierare, racconto velocemente a mia sorella della vacanza a Mykonos, dell’arrivo in città quella mattina stessa, poi del pomeriggio da Christian. Lei fa spallucce e mi dice quello che già so. Sono una stupida. Sono io ora a scappare. Ora che Christian è pronto non lo sono io. E nascondo questa mia debolezza dietro al male che ci siamo fatti e che sono sicura ci faremmo ancora.  Un cameriere viene da noi porgendoci delle rose bianche. Aida chiede il perché di quelle rose.
-Stasera terremo il tema della purezza e del peccato, la purezza è la rosa, il peccato…- il cameriere mi guarda famelico stringendo gli occhi-Il peccato è questa terrazza, tutto quello che vedete e quello che immaginate.
-Non sapevo di questa serata a tema- dice mia sorella. Sorrido. Come se sapesse della vita mondana della città, stando a Parigi.
-E’ una serata a sorpresa, una collaborazione tra il K2 e Christian Aresi-spiega il cameriere.
Io sento un brivido accarezzarmi la schiena. Poi mi volto di scatto, e capisco che non era un brivido, ma una rosa fatta scorrere lentamente sulla mia pelle nuda.
 

POV Christian Aresi
 

Si volta a guardarmi sorpresa, dopo il tocco leggero che le ho fatto con la rosa. Le sorrido. Le giro intorno, incenerisco con lo sguardo il cameriere che sembrava mangiarla con gli occhi, e lui va via chiedendo permesso. Mi avvicino alla gatta dai capelli rossi, le faccio il baciamano e le dico:
-Selvaggia. E’ splendido rivederti.
Elettra mi mostra i suoi denti perfetti  e mi dice:
-Aresi. Chi non muore si rivede… Purtroppo. Sei venuto a rovinare la serata a mia sorella?
-Affatto, piuttosto voi siete venute a rovinare il mio lavoro, so che siete entrate prepotentemente ed avete chiesto, in modo convincente tra l’altro, il Black Hole.
-A sapere che ci fossi stato tu non ci avrei messo piede- dice Eva.
Aida mi passa un flûte e ne porge altri due alle sorelle.
Mi siedo vicino ad Eva e le dico, sfiorandole l’orecchio con le labbra:  
-Allora va via.
-Non provocarmi, sai che potrei farlo.
Le sfioro nuovamente la schiena nuda con la rosa. La sento trattenere il respiro.
-Bellissime donne, devo sbrigare delle formalità, vi raggiungerò a breve.
Mi alzo velocemente e le lascio. Eva è accaldata. Aida ed Elettra continuano a passarle champagne.
 

POV Eva Sivi

 
Devo trattenere i miei impulsi. Avrei potuto scoparlo qui davanti a tutti. Inizia a girarmi la testa, tra lo champagne e la coca. La vocalist annuncia una canzone. La riconosco.
Mi alzo e lascio le ragazze al tavolo. Mi avvicino alla ringhiera lavorata in cerchi complessi, mi sporgo. Mi gira la testa.

Vengo spazzata via
Quando penso a te
Portami in quel posto
Dove perdo il controllo


Delle braccia mi stringono da dietro. Riconosco le mani affusolate e bianche.

Sono rassicurato da te, ti porti tutto via
Perdo con te, arreso all’inizio del gioco


Mi fa voltare, mi ritrovo nei suoi occhi.  Sono certa che lui ha suggerito questa canzone al dj.

Non ti ingannerò mai
Siamo qui, lo siamo sempre stati


Mi avvicino al suo viso, gli lecco il mento, poi gli mordo il labbro inferiore. Sorride e stringendomi ancora di più mi fa sentire la sua eccitazione.

Mi nascondo lontano, mi nascondo lontano con te
Lascio che il mondo svanisca
Mi ha lasciato con te


Per un attimo guardo oltre le sue spalle e vedo Elettra ed Aida baciarsi appassionatamente. Lo sapevo.
-Non sei andata via-sussurra lui nelle mia bocca.

La tua piccola messinscena, conosco bene  questo atteggiamento
I momenti che abbiamo condiviso
Sono sempre finiti troppo in fretta


Faccio un passo indietro. Lo predo per mano.
-Se vado via io, vieni via anche tu.
Mi tira a sé, e portandomi verso l’uscita stringe forte la mia mano.

Una parte di te rimane per un po’
Anche quando sei molto lontana
Come puoi essere così lontana, e sembrarmi così vicina?

 
 


 
Allora? Che ne pensate? Un parto questo capitolo, volevo dar voce ai personaggi. Ditemi, vi imploro, cosa ne pensate! Please!
La canzone è Swept Away dei The XX’s.
Recensite! Baciotti, Evanne.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Di lenzuola nere e spazzolini da denti ***


Le sette del mattino arrivarono troppo in fretta e Christian ne fu immediatamente infastidito. Eva amava dormire con le finestre spalancate, anche d’inverno. E’ vero, era piena estate, ma i raggi del sole erano non tollerabili dopo appena qualche ora di sonno, soprattutto per una persona come lui, che amava il buio.
Lentamente si alzò su una spalla e guardò Eva. Dormiva ancora. Aveva il broncio. Ragazzina viziata. Era così dolce, sembrava indifesa. Le lenzuola che le coprivano il corpo nudo erano nere. Nonostante l’intero appartamento fosse bianco, accecante, Christian aveva approfittato dell’intima camera da letto per scaricare la sua passione per il buio, acquistando lenzuola nere, di seta.
Nella notte appena passata erano andati via dal K2, lasciando Elettra ed Aida che, Christian ne era certo, non avevano certamente sofferto l’assenza di Eva. Poi erano andati a casa sua. Erano stati insieme. Era stato diverso dalle altre volte. Solo il pomeriggio prima si erano detti ti amo. Ora non sapeva bene come si sarebbe sviluppato il loro rapporto. Eva era andata via con lui, che forse avesse abbattuto le difese?
Christian la guardò stiracchiarsi e sbattere lentamente le palpebre. Aveva sciolto i capelli appena fuori dal K2.
-Ciao…
-Mh!-mugugnò lei. Lui fece per avvicinarsi, ma lei affondò il viso nel cuscino.
-Non provarci nemmeno, non siamo in un film, abbiamo cadaveri in bocca, finché non ci laviamo i denti puoi scordarti ogni tipo di effusione.
Christian sorrise alla voce schiacciata proveniente dal cuscino e si alzò, dicendole che andava a fare una doccia e poi a preparare un caffè.
 

POV Eva Sivi
 

E’ appena scomparso in bagno. Cerco il mio cellulare sul comodino accanto al letto ma non lo trovo. Vedo il mio vestito per terra. Sicuramente avrò gli occhi come un panda. Quanto cazzo ho bevuto stanotte?
Chissà se Aida si sarà portata a letto Elettra. Rabbrividisco. Mi alzo lentamente. In un cassetto prendo dei boxer di Christian e li indosso. In un altro pesco una sua canotta. Scuoto i capelli. Entro in bagno. Christian è completamente insaponato. Mi si stringe il cuore. E’ mio. Lui che lava i denti sotto la doccia e tiene gli occhi stretti per non sentirli bruciare con la schiuma. Tutti mi hanno sempre chiesto come facessi a vedere qualcosa di buono in un totale stronzo come lui. Christian è buono quando prepara il caffè, quando passeggia e sorride ai bambini che si rincorrono, quando mangia il cornetto Algida e mi lascia la punta facendo il burbero, quando suona la chitarra davanti alla finestra, quando legge un libro e sottolinea a matita le parti che preferisce. Quando va a pranzo dal padre e gli porta una buona bottiglia di vino, quando disegna sulla parete del salotto delle fate, ed ognuna di loro è bionda, come me, quando in casa sua ci sono pezzi di me, ci sono cose per me, come se anche io abitassi qui, quando c’è uno spazzolino da denti in più, il mio. Christian è buono, e forse crede di non meritarmi. Così come io credo di non meritare lui. Ma le cose non si meritano, le persone non si meritano, le persone capitano, come le cose. Ma come capitano si soffrono e si combattono. Non arrivano perché ce le meritiamo, semplicemente ci capitano e noi scegliamo se guardarle di sfuggita  o fissarci su loro. Io con Christian ho scelto. Ho scelto tredici anni fa, quando è entrato un’ora in ritardo in classe, il primo giorno di scuola, e lui ha scelto me, quando mi ha fissata complice dopo aver detto la cazzata alla prof. Io l’ho scelto quando gli ho insegnato a fare il nodo alla cravatta, dicendogli acida che sembrava uno sfollato senza arte né parte, e lui mi ha scelto quando ha permesso che fossi io ad insegnarglielo, quando in realtà l’aveva già fatto suo padre. Io l’ho scelto quando gli feci ascoltare la mia versione di Wonderwall degli Oasis al pianoforte e quando gli chiesi di accompagnarmi con la chitarra, lui mi scelse quando canticchiò a bassa voce, guardandomi “Because maybe you’re gonna be the one who saves me…”. Io lo scelsi ogni giorno, lui mi aveva scelta prima ancora che mi accorgessi di lui.
Sono passati tredici anni, e credo che sia stato lui a salvare me, da me stessa e da lui. Vinciamo solo da alleati.


Asciugo il viso dopo aver lavato i denti. Christian è uscito dalla doccia e viene ad abbracciarmi.
-Posso baciare la mia fidanzata adesso?
-Che cosa?
-Si sai, dire che vorrei infilarti la lingua in bocca, ed anche da qualche altra parte, mi pare poco elegante, preferisco usare il verbo baciare
-Idiota. Come mi hai chiamata?
Christian sorride malizioso.
-Fidanzata.
Mi reggo con le mani al marmo del lavandino.
-Io non sono una fidanzata, Christian, ti prego, queste cose non mi riescono, lo sai, ed anche tu sei incapace.
-Impariamo insieme, ti va?
Resto a bocca aperta. Oddio, fa sul serio. Questo significa uscire da questa casa ed annunciare al mondo che Aresi e Sivi non si fanno più la guerra. Non avevo pensato a questo particolare. Non avevo pensato che Aida finalmente aprirà una bottiglia di vino che conserva da dieci anni, che mia madre vorrà sicuramente dare una festa in suo onore. Che mio padre sorriderà benevolo e gli offrirà un sigaro. Mio padre. Cazzo.
-Christian mio padre deve parlarti!
Lui sembra irrigidirsi.
-No, non vuole costringerti a sposare la sua amata figliola.
Sorride.
-Meno male, anche perché non credo di averti messa incinta, e soprattutto io il pargolo non ho intenzione di chiamarlo Riccardo, come lui.
Gli tiro un pugno sulla spalla e mi avvio in cucina. Preparo il caffè, mentre lui mette dei cornetti nel microonde.
-Beh, che vuole tuo padre, me lo vuoi dire?
-Vuole che tu organizzi un evento per lui, una festa in maschera, per beneficenza, questa domenica, cioè tra tre giorni.
-Scherzi? Non bastano tre giorni. E poi ho disdetto molti… progetti. Non posso fare la carogna e lavorare per lui con così poco preavviso e dopo la mia uscita di scena dal giro.
Mi siedo su uno sgabello.
-Si tratta solo di un evento. Ci sarà un sacco di gente. Sai quanta pubblicità ti faresti? Riccardo Sivi che si mette nelle mani di Christian Aresi. Sarebbe il tuo lasciapassare per la vita.
Lui sembra pensarci seriamente.
-Non credo… Non posso.
-Perché?-sbotto stizzita. Lui mi guarda, ma sembra non vedermi. Schiocco le dita.
-Va bene, parlerò con tuo padre, vedrò cosa posso fare.
Gli sorrido. Si avvicina.
-Io dipendo da te, lo sai, vero?-bisbiglia.
-Ti è andata male, io odio le dipendenze, portano ad assuefazione.
-Oppure all’overdose.
-Ne morirai comunque!- gli dico baciandogli l’angolo della bocca.
-Giuro che sopravvivrò! E tu?
-Non ho altra scelta!
Mi alzo e verso il caffè appena uscito dalla moka nelle tazze. Sono le 08:15 di giovedì mattina. E sto facendo colazione con il mio fidanzato. Mi mordo le labbra e sospiro. Andrà tutto bene.
 


 Note della (pseudo)autrice:
 
Ciao a tutti! Questo è un capitolo apparentemente molto tranquillo, ma ha dato una serie di tracce per lo sviluppo della storia. Mi sono dedicata solo a Christian ed Eva, mettendo da parte gli altri, e soprattutto ho voluto liberare i pensieri della nostra (amata, spero) protagonista. Ricordate, e questo è un particolare importantissimo, che siamo a sei mesi prima rispetto al primo capitolo Ora.


Dunque, dato che la storia sta prendendo forma, ho pensato di dare, a questo punto, un volto ai protagonisti! Rullo di tamburi e… Ta dan!!!


Eva, Sarah Gadon: http://static1.look-dei-vip.it/articles/1/19/1/@/638-xx-1000x0-2.jpg
Christian, Iddo Goldberg: http://gordonandfrench.co.uk/mediafiles/98/Iddo_Goldberg_Thumb_3.png
Elettra, Rachelle Lefreve: http://blog.screenweek.it/wp-content/uploads/2010/07/12_rachelle_lefevre.jpg
Aida, Mila Kunis: http://www.edesubitoserial.it/amministrazione/includes/upload/notizie/alg-mila-kunis-jpg.jpg
Riccardo Sivi (sono di parte, l’uomo più bello del mondo), Vincent Cassel: http://images.movieplayer.it/2003/02/22/vincent-cassel-in-ocean-s-twelve-5296.jpg
Sophia Calì, Patricia Arquette: http://blog.screenweek.it/wp-content/uploads/2013/04/Patricia+Arquette+Scream+4+World+Premiere+xC9951MdCOnl.jpg
 


Io aspetto speranzosa le vostre recensioni! Toc toc, c’è qualcuno? Forza, linciatemi se non approvate o sorridetemi se vi sto appassionando!
Baciotti, Evanne.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Traffico e salice piangente. ***


Una volta sua nonna le aveva detto che per capire sul serio come sono fatte le persone bisogna osservarle intrappolate nel traffico, all’ora di punta, in ritardo per un appuntamento importante. Lei sapeva di essere abbastanza isterica, era pronta a bestemmiare e prendere a pugni il clacson. Una squilibrata. Come sua madre. Al contrario, suo padre sapeva essere fermo, freddo, calmissimo. Sembrava avere tutto sotto controllo, in modo quasi fastidioso. Ecco, il modo di essere fottutamente perfetto di Riccardo in ogni occasione, infastidiva persino lei, nonostante fosse pazza di suo padre. Ogni cosa Riccardo toccasse diventava immediatamente oro. Anche un’ora bloccati nel traffico si trasformava in  un’ora di piacevoli discorsi, di Virgin Radio in sottofondo.  Elettra era tutta loro padre. Identica.
Christian teneva la mano destra sullo sterzo, la sinistra la portava lentamente alla bocca per fumare. Era agitato, ma cercava di nasconderlo e riusciva a placare la sua fretta con movimenti calmi ed armoniosi. Neppure lei captava la sua ansia. Era un ottimo bugiardo. Eva accavallò le gambe, sbuffò, neanche fosse lei a guidare, e si accese una sigaretta.
Christian stava accompagnandola a casa, e poi si sarebbe fermato a parlare con Riccardo a proposito della festa in maschera della domenica imminente.


Dall’altra parte della città, nella penombra di un salice piangente, due persone discutevano animatamente, ma a voce bassa.
-Aresi ha disdetto tutto gli appuntamenti, non ha intenzione di lavorare più per noi. Sai cosa significa, vero?
-Taci. Aresi è una mia pedina. Farà tutto quello che gli dirò. Basteranno una promessa ed una minaccia. Gli farò credere che Eva sparirà dalla sua vita, e lui sa che per stare con Eva deve essere ricco, deve poterle assicurare un tenore di vita altissimo. E per essere ricco deve continuare a fare quello che fa da quando è diventato maggiorenne. Nessuno è mai venuto a saperlo, e lui nel frattempo ha potuto frequentare Eva ed altre persone. Deve solo tenersi libero per qualche ora al giorno. Per qualche ora guadagna 5000€ netti, ogni giorno. Non può fare altrimenti. Se vuole Eva deve accettare il pacchetto tutto compreso.
 
 
 
Capitolo brevissimo, non ho molto tempo a disposizione, perdonatemi! Tra un po’ ho gli esami e sto studiando come una pazza in previsione della laurea! Ad ogni modo ho sottolineato lievemente la capacità di Christian di mentire, ed il dialogo tra le due persone lascia comprendere come ci sia qualcosa di grosso nascosto sotto. Chi sono le persone a parlare? Che lavoro fa Christian in realtà? Una delle persone del dialogo è la stessa persona (?) che ha telefonato Christian nel capitolo 5.Buio, che trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2055984
 

Si accettano scommesse su questo segreto di Aresi, e su chi sia la persona che lo minaccia!
 

La teoria del traffico e delle reazioni delle persone mi fu spiegata da una cara amica psichiatra. E funziona, fateci caso! Recensite, forza! Linciatemi o sorridetemi! Baciotti, Evanne.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Verità sofferte ***


La terrazza bianca e grande era occupata al centro da un tavolo in vetro. Appoggiati sul tavolo stavano, delicatamente, dei piedi bianchi da cui si dilungavano longilinee gambe. Il corpo era magro, e le mani erano giunte sulla pancia piatta. Indossava una camicia bianca da uomo, abbottonata dal terzo bottone in giù. Probabilmente sotto era nuda.
I capelli erano lasciati sciolti e liberi. I raggi del sole delle 10:30 del mattino la illuminavano timidamente. Teneva gli occhi chiusi. Le ciglia erano talmente chiare da sembrare bianche. Le labbra erano schiuse. Aveva le labbra carnose, a cuore. Rossissime, naturalmente. Come la sua chioma.
Elettra sbattè gli occhi velocemente e indossò un paio di occhiali da sole dalla lente rotonda e blu. Si alzò lentamente e portò le braccia in alto, stiracchiandosi. La camicia le si sollevò sui fianchi. Sì, era nuda.
Fece una mezza piroette e si lasciò cadere nuovamente sulla sedia. Maria, la cameriera, la raggiunse sul terrazzo, portando un vassoio con un caffè americano, una sfoglia, un pacchetto Marlboro ed il giornale. La colazione di Elettra. Il dottor Sivi ha sempre spinto le figlie a leggere, ad informarsi. Ogni mattina le sorelle Sivi leggevano il giornale facendo colazione. Le serate di gala organizzate da papà erano un’occasione per esibire, letteralmente, la loro preparazione, la loro intelligenza. Elettra mancava da anni alle feste in casa Sivi, immaginò quindi quanto fosse diventata brava Eva ad interloquire con gli autorevoli uomini d’affari che le rivolgevano sguardi di ammirazione per la sua bellezza e la sua compostezza.
Elettra si porse verso la tazza di caffè e guardò amorevolmente Maria.
Maria lavorava in casa Sivi da 32 anni, cioè dal matrimonio di Riccardo e Sophia, e sia per Elettra che per Eva era come una seconda mamma. Bella, profumata di buono, dal seno grande e la pancia tonda. Protettiva.
 -Maria, ma chérie, come farei senza di te?
Maria rise, e la pancia le ballò simpaticamente su e giù.
-Piccola, sei troppo in gamba e troppo pigra, troveresti un modo per sopravvivere senza alzare un dito!
Maria le diede un bacio leggero sulle labbra e si ritirò in casa. Elettra continuò a sorridere per qualche secondo. Bevve, poi, mezza tazza di caffè, diede due morsi alla sfoglia, accese una sigaretta ed iniziò a leggere il giornale. Si fermò però quasi subito. Ripensò alla notte appena trascorsa.
Eva era andata via dal K2 e lei era rimasta con Aida, fino al mattino a ballare, bere, chiacchierare. Si erano baciate. Ma quasi subito Elettra aveva capito che non era il caso di continuare a scambiarsi effusioni. Aida era la migliore amica di sua sorella ed era praticamente cresciuta in casa Sivi, l’aveva vista in tante fasi, fino a quando non era andata via. Via. Era scappata con una ragazza sua coetanea, la figlia del commercialista di papà, Laura. Nessuno aveva mai saputo la verità. Laura ed Elettra non sono mai state insieme. O meglio, avevano in comune una donna, la loro donna. E proprio per lei decisero di andare via, dicendo di amarsi, per poi separarsi appena giunte a Berlino.

Elettra conobbe la sua donna ad una festa in casa Sivi. Vide questa donna bellissima, fasciata da un abito rosso, passeggiare nell’androne della villa, tenendo svogliatamente un bicchiere di champagne in mano. Elettra era altroché annoiata, sua madre e suo padre erano in giardino a fare gli onori di casa, sua sorella era da Aida a pianificare qualcosa per fare del male a Christian. All’epoca era più in carne, era morbida e sexy, giovane e fresca. Indossava un tight, provocatoria, e aveva la chioma rossa stretta in un severo chignon.
Si avvicinò alla donna e le chiese cosa facesse lì, invece di gustarsi la festa. La donna la osservò, si inumidì le labbra e sensualmente le sussurrò che credeva di trovare un divertimento degno di questo nome. Fu un attimo. Si ritrovarono in camera di Elettra a baciarsi, violentemente. Elettra si sentiva spossata, tormentata, attratta. Vide una fede al dito della donna e si eccitò ancora di più, se possibile. Fecero l’amore con rabbia, passione, senza sapere neanche il nome dell’altra. Fecero il bagno insieme, e poi di nuovo l’amore. Dopo qualche ora Elettra uscì dalla sua stanza, stavolta indossando una leggero vestito d’organza bianca, sembrava una madonna pura, candida, delicata. La donna la seguì in giardino, dove ormai non c’era più nessuno. Fumarono insieme una canna, si fecero a vicenda i complimenti per una bellezza innata che le caratterizzava. Elettra le chiese, finalmente, quale fosse il suo nome.
-Giulia. Il mio nome è Giulia – e continuò, senza che le fosse chiesto – Sono sposata da tanti anni, amo mio marito, ma sono attratta, come hai visto, dalle donne. In modo particolare, dalle ragazze più giovani. Tu mi piaci, Elettra. Vediamoci ancora. Ma non innamorarti. Sappi che ho altre storie, e tu non sarai mai l’unica. L’unico è sempre mio marito.
Elettra accettò senza pensarci, affascinata dagli occhi neri di Giulia. Ovviamente, col passare del tempo, credette di innamorarsi di Giulia. Tramite Giulia incontrò Laura. Spesso Giulia le osservava fare l’amore, la eccitava. Le liti cominciarono quando Elettra chiese, anzi pretese, l’esclusiva di Giulia, anche su suo marito. Giulia non rivelò mai nulla di sé, fu sempre brava a scindere la realtà dal suo segreto con le ragazze.
Venne organizzata una cena a casa Sivi. Con i maggiori esponenti della città. Elettra immaginò che ci sarebbero stati Giulia e suo marito. Aveva intenzione di dire tutto, davanti a tutti. Di metterla alle strette. Era convinta che ci sarebbe riuscita. Così, quella sera, vestita d’argento e truccatissima, passò nella folla e si avvicinò beffarda a Giulia, che teneva la mano poggiata sulla spalla del marito, un uomo semplice, nulla di speciale, e parlava con i Sivi.
Era a qualche centimetro da lei, era accanto ai suoi genitori. Poi una voce entusiasta le spezzò il cuore.
-Selvaggia, hai conosciuto mia madre?
Elettra attutì il colpo. Uno schiaffo. Un urlo. Un tonfo. Aveva provato a rimanere impassibile. Sbattè le palpebre. Sorrise. Voleva piangere. Porse una mano a Giulia, cercando di mantenere la calma.
-Mamma, lei è Elettra, Elettra: mia madre, Giulia.
Aida sorrideva e le presentava. Eva si avvicinò a salutare Giulia e suo marito. Ora chiacchieravano tutti. Elettra non sentiva. Non capiva. Non voleva.
Il giorno dopo chiamò Laura e le disse che voleva scappare. Che era disposta a pagarle tutto. Per un anno. Ma che lei doveva scappare via con lei. Non le avrebbe mai raccontato la verità.
Si sentiva una traditrice. Verso Aida, e quindi verso Eva. Nessuno mai lo seppe. Fino alla notte scorsa.

In un momento di dolore, Aida le rivelò di odiare sua madre, perché l’aveva sorpresa a letto con una ragazza della città. La rabbia non era per il suo essere lesbica, o bisessuale. Quanto per aver tradito e preso in giro lei e suo padre. Sempre. Da sempre. Elettra si sentì soffocare. Poi le raccontò tutto. Aida si fece riaccompagnare a casa senza più dire una parola.
 
 

Note della (pseudo) autrice

Salve a tutti! Ci sono, a sprazzi, ma ci sono! Perdonate la poca se non inesistente costanza. Vi ho già detto del perché sembro sparire nel nulla, ma siate fiduciosi: ogni tanto ritorno! E spero di farlo al meglio, ecco!
Questo capitolo è dedicato ad Elettra. Il ricamo della storia è sempre più fitto, e tutte e storie si intrecceranno che… neanche Beautiful! Spero vi piaccia!

Recensite, forza, datemi un segno, ditemi che ci siete e cosa ne pensate! Linciatemi o sorridetemi!

(Ho scritto ascoltando Summertime sadness di Lana Del Ray, e devo dire che da l’atmosfera adatta al capitolo!)
Baciotti, Evanne.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Quel Pierrot. ***


Villa Sivi era imbandita a festa. I grandi locali luminosi erano tappezzati da velluti neri e dorati, il miglior champagne veniva offerto da camerieri  dai guanti bianchi e maschere dorate. Christian aveva accordato con Riccardo ogni minimo particolare dell’evento. Erano solo in settanta gli invitati, ma probabilmente erano le settanta personalità più influenti della regione. Sophia sorrideva austera dietro la maschera argentata che le copriva il naso e la fronte. Lunghe piume le ricadevano sugli zigomi sporgenti. Indossava un abito dritto, da vestale quasi, da dea greca quale poteva benissimo essere, di un blu forte, acceso. Teneva la mano destra poggiata al braccio del marito, elegantissimo, dalla maschera bianca e finemente decorata in nero.
Elettra si muoveva leggiadra tra la gente, sorseggiando champagne, cullandosi nel fatto che nessuno sapeva del suo ritorno e che poteva quindi evitare convenevoli non propriamente spontanei. I capelli sciolti sulle spalle le circondavano a mo’ di criniera il viso, tanto quanto la grande maschera verde e variopinta, in tono con il vestito verde smeraldo che la fasciava morbidamente fino alle ginocchia bianche, e che le lasciava scoperte le spalle ed il collo sottile. Cercava sua sorella, sapeva ci sarebbe stata anche Aida, e quest’ultima non la vedeva dalla notte al K2.
Da qualche parte un pianista era accompagnato da un sassofonista di talento, in una melodia lenta e sensuale. Una splendida figura le andò in contro , ancheggiando, col broncio disegnato sul viso. I capelli sempre stretti, tirati, fino a farle male, in un elegante chignon, un lungo vestito rosso e guanti neri a coprirle le braccia, una maschera nera, sottile, che le copriva appena gli occhi. Eva era bella e arrabbiata, scocciata, annoiata.

-Sto cercando Christian. Da quando è arrivato praticamente non l’ho più visto. E’ un’altra persona quando lavora.

Disse prendendo il bicchiere dalla mano della sorella e bevendolo in un sorso. Elettra sbuffò. Eva era insopportabile, Christian era una merda di uomo, se tale lo si poteva considerare, ed insieme erano carini tanto quanto erano perfetti da lontani. Elettra non ha mai approvato la storia tra Christian e sua sorella. Lei era troppo fragile e facilmente influenzabile, lui meschino, furbo, spregiudicato. Elettra ha sempre pensato che Christian nascondesse qualcosa, ma non era mai entrata in merito a possibili “indagini”, ha voluto restare fuori dal legame tra lui e sua sorella. Mentre Eva continuava a cercare con lo sguardo Christian, Elettra scorse i suoi genitori scambiare saluti e sorrisi con una coppia elegante. Sentì la testa girarle violentemente.
Giulia era sempre bellissima, certo più matura, del resto erano passati anni. Ora aveva i capelli cortissimi, in un taglio mascolino, un abito lungo e nero, paillettato, un ventaglio a rinfrescarla ed una maschera anch’essa nera che le copriva solo la parte sinistra del viso. Originale. Suo marito era facilmente ignorabile, ancora oggi passava inosservato accanto alla moglie. Fu un attimo. Giulia rise ad una battuta di Riccardo Sivi e piegando la testa indietro incontrò gli occhi scuri di Selvaggia. La risata le si strozzò in gola. Gelida. Quasi inorridita. Elettra si voltò con più naturalezza possibile, uscì dal salone luminoso e, ignorando le proteste della sorella ormai ubriaca, si diresse verso la larga scalinata di marmo chiaro, così da poter salire in camera sua.
Dopo un’iniziale camminata lenta e sostenuta, ora quasi correva su per le scale, mantenendo l’equilibrio sui tacchi altissimi. Giunta al primo piano si fermò un attimo a respirare. Sentiva soffocata la melodia del piano. Si chiese se Aida fosse stata presente, quindi. Non l’aveva vista. Non voleva vedere più nessuno. Si piegò sulle ginocchia e sfilò le scarpe, così da poter raggiungere con più calma possibile la sua stanza. Mentre pensava ancora al sorriso terrorizzato di Giulia, passò davanti al disimpegno e notò di sfuggita la porta socchiusa.
Si avvicinò per chiuderla, Maria l’aveva dimenticata sicuramente, e nel focalizzare la vista vide due alte figure parlare vicine. Erano due uomini, entrambi in abito nero. Uno dei due indossava una banalissima maschera bianca decorata di rosso, ne aveva viste altre uguali al piano inferiore. L’altro uomo indossava un tight nero ed una maschera che gli copriva non solo gli occhi, ma il viso per intero. La maschera era completamente nera, tranne che per una goccia bianca dipinta sotto l’occhio destro, quasi un pierrot dai colori invertiti. Era inquietante. L’uomo dalla maschera bianca porse una busta anch’essa bianca al pierrot che la aprì e sfogliò velocemente il contenuto: si trattava di circa dieci mila euro in pezzi da cinquecento, per quanto riuscì a contare Elettra dalla sua posizione. L’uomo dalla maschera bianca disse:
-Ottimo lavoro, davvero di gran classe. Continua così e non te ne pentirai. La prossima seduta è fissata per martedì. Saranno in tre. Ti chiamerò per dirti il luogo e l’ora.
Elettra non seppe perché ma fu percossa da un brivido di paura. Capì che non doveva essere lì, non doveva guardare e sentire nulla. Ingoiò a fatica e si rese conto di non avere più saliva.
-Non credo sarà possibile – bisbigliò il pierrot.
Appena potevano udirsi queste parole. L’uomo dalla maschera bianca rise e velocemente estrasse una pistola dalla giacca, puntandola alla gola del pierrot che sembrò indifferente.
Elettra d’altro canto iniziò a tremare. Non riusciva però a muoversi.
-A martedì - cantilenò l’uomo.
Si avvicinò velocemente alla porta socchiusa, riponendo la pistola nella giacca. La aprì con fare famelico e si diresse al piano inferiore dove la festa continuava tra sorrisi falsi e buona musica, lasciando il pierrot da solo per qualche minuto.
Elettra ansimava pesantemente dietro la colonna al centro del corridoio buio. Non sapeva come aveva fatto a nascondersi velocemente. Mentre cercava di placare il battito accelerato del suo cuore, sentì il pierrot uscire dal disimpegno, chiuderne la porta e fischiettare la Nona Sinfonia di Beethoven, dando quasi l’impressione di trovarsi nel film di Kubrick.

Dopo qualche minuto, prese coraggio e, indossate le scarpe, raggiunse i commensali nella grande sala. Così, schivando ricchi imprenditori, medici, avvocati e politici, riconobbe la figura di sua sorella che pensò di raggiungere, speranzosa di poterle raccontare cosa aveva visto, in modo da avvisare loro padre e decidere di denunciare. Nel poco tragitto che la separava da Eva fu distratta dal suono  della risata fresca di Aida, ed in un attimo la vide, vestita e mascherata di giallo ridere con un gruppo di uomini, tra cui uno dalla maschera bianca e le decorazioni rosse. Ancora più allarmata si avvicinò tremante ad Eva, che nel frattempo venne raggiunta da Christian, a volto scoperto, che diede un bacio prima di indossare la sua maschera, di un terribile pierrot. Si fermò ad un metro da loro.

Una mano le carezzò il braccio. Si voltò e di fronte a lei un uomo alto dalla voce calda. Dalla maschera banca. Dai ricami rossi. Trattenne il fiato.
-Questo è tuo, Elettra.
Le porgeva un orecchino lungo tempestato da zaffiri e diamanti. Lei automaticamente si portò le mani alle orecchie e constatò effettivamente come avesse perso un orecchino, senza però notare che lui conosceva il suo nome, sapeva chi fosse e quasi nessuno sapeva del suo ritorno.
-La ringrazio – disse controllando il tremolio della voce e rabbrividendo, tuttavia, al leggero tocco delle dita di lui che sentì nel riprendersi il gioiello.
-Lei è…? – provò quindi a chiedere.
Lui sorrise mostrando dei bei denti. Ingoiò lentamente e lei venne attratta inevitabilmente dal pomo d’Adamo che sensualmente scese e risalì il collo.
-Sai già troppo, Elettra. Buona serata.
La lasciò lì da sola e si voltò verso un gruppo di uomini e donne che chiacchieravano di finanziamenti ed economia di Stato.
Elettra, spaventata, capì di aver perso l’orecchino davanti al disimpegno. In un attimo, mentre ripercorreva mentalmente le parole ascoltate di nascosto, un urlo spaventato attirò l’attenzione degli ospiti e degli ospitati.
Aida urlava in giardino. In ginocchio su una figura accasciata a terra.
Giulia giaceva a terra, inerme.
 
 
 
Note della (pseudo)autrice:


Ciao! Sono qui! Dunque, che dire: ho giocato con le maschere. Sappiate che le maschere sono le rappresentazioni dell’Io dei protagonisti, quindi mi sono concentrata sulle descrizioni, sperando di non essere risultata noiosa. La trama si infittisce, ed Elettra è ancora protagonista. La rossa Selvaggia non ha grande stima di Christian, come abbiamo capito, e per quanto faccia la gran donna, in realtà è spaventata, ovviamente data la scena a cui ha assistito. Chi è l’uomo dalla maschera bianca? Tra l’altro Elettra per un attimo, nel riceve l’orecchino, ne è attratta fisicamente. E lui sa che lei ha spiato la scena nel disimpegno. Giulia… terrorizzata, abbiamo visto. Che poi giace… Cos’è successo?
Ed Eva che dice che Christian è diverso quando lavora… Quel pierrot.
Spero di avervi appassionato, incuriosito quanto meno. Perdonate l’incostanza, ma tra qualche mese sarò Dottoressa e nel frattempo faccio la (pseudo)giornalista, (pseudo)cameriera, (pseudo)hostess, (pseudo-pseudo)modella e cerco di scrivere una tesi mentre mi do gli ultimi esami.
Recensite, ve ne sarei grata, non so come procede, e vorrei sapere cosa ne pensate in modo da correggermi o pavoneggiarmi (AH-AH-AH, egocentrismo!).
Forza, linciatemi o sorridetemi.
Baciotti, Evanne.
 
PS: il filo conduttore è il continuo contrasto bianco-nero che cerco di riprendere in ogni capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Quattro giorni. ***


Non ha mai amato l’ambiente ospedaliero. I camici bianchi, l’odore forte di disinfettante, i colori chiari e neutri, le luci sempre accese. Aspettava l’orario delle visite. Sapeva di essere in netto anticipo, ma una volta preso coraggio non poteva che approfittarne, e così era corsa in ospedale, senza dire nulla né a sua sorella né tanto meno ai suoi genitori. Erano passati quattro giorni dalla sera della festa a casa Sivi, Giulia aveva avuto un infarto. Ora stava meglio, era molto debole, ed i medici aveva ritenuto che fosse opportuno mantenerla in ospedale sotto osservazione, poiché malata di diabete. Elettra non sapeva bene come avrebbe dovuto comportarsi, cosa avrebbe dovuto  dire a quella donna, la donna che non vedeva da anni, la donna per cui era scappata. La madre di una giovane donna di cui Elettra sentiva di starsene innamorando.
Un medico uscì dalla stanza 45. Guardò con curiosità Elettra che gli rivolse un sorriso gentile, poi agitata gli chiese se fosse possibile salutare la Signora Diado. Il medico le indicò gentile la porta bianca e benevolo le fece un cenno di saluto.
Giulia, ovviamente, era a letto, supina. Leggermente rialzata con qualche cuscino dietro la schiena, lo sguardo stanco e gli occhi fissi alla sua destra, verso una delle due finestre che illuminavano la stanza. I capelli erano corti e scuri, anche se qualche capello bianco le tagliava il cranio con cattiveria. Le labbra erano sempre carnose, ma secche, il viso violentato da rughe. Era bella anche così, stremata. Sentì la porta riaprirsi e scocciata pensò che ne aveva abbastanza di questi medici che entravano ed uscivano dalla sua stanza, e che sembravano non confrontarsi tra loro, quando vide entrare una donna dai capelli rossi e la vita stretta.
Passò la lingua sulle labbra secche, deglutì e le disse:
-Ti aspettavo, sai? Sapevo saresti venuta a trovarmi.
-Come ti senti?
-Come una donna che ha avuto un infarto. Solo, spero mi dimettano in fretta, non sono mica moribonda.
Elettra sedette sulla sedia in plastica, fredda. Poggiò sul comodino un piccolo bouquet di girasoli che aveva comprato per Giulia. Si fissò le mani, grattò la testa, si guardò intorno. Evitava di guardare Giulia, si stava pentendo di essere andata a trovarla. Giulia captò lo stato d’animo della rossa, allora cercò di attirare la sua attenzione prima tossendo, poi parlando con voce soffiata.
-Allora, tu come stai? Non sapevo del tuo ritorno. Immagino non lo sapesse nessuno. Sei molto più magra di come ti ricordavo.
Iniziavano così con convenevoli e chiacchiere da amiche, ma entrambe sentivano che c’era una forte ansia tra loro. Giulia aveva saputo che Elettra era uscita con sua figlia, tra l’altro dopo aver litigato con Aida aveva paura che lei e la rossa si frequentassero di proposito per farle del male, Aida inconsciamente, Selvaggia con l’intento forse di lasciare la ragazza poi e farla soffrire per vendicarsi di lei. D’altro canto Elettra aveva vissuto giorni di terrore, e non ne aveva parlato con nessuno. Non riusciva a togliersi dalla mente l’uomo dalla maschera bianca e rossa, la pistola, i soldi, la voce, e quel pierrot, che poi aveva appurato fosse Christian. Non capiva quello che stava succedendo, ma era terrorizzata all’idea che sua sorella fosse ignara e continuasse a vedere Christian.
Bussarono nuovamente alla porta, e le donne sentirono un leggero sollievo nel non dover parlare per qualche minuto. Entrò un medico, un altro, con gli occhi bassi sulla cartella clinica di Giulia. Era alto, pelato, indossava degli occhiali da vista. Schioccò la lingua, alzò lo sguardo. Guardò prima la paziente e poi Elettra. Poi disse soltanto:
-L’orario delle visite è terminato. Deve andar via, signorina.
Elettra sapeva benissimo che non era affatto vero. E sapeva che quel medico non era entrato nella stanza per cacciarla. In un secondo lui ha deciso cosa fare, e la scelta migliore era mandarla via. L’aveva riconosciuto alla voce. Era quell’uomo della festa. Elettra cercò di non dare a vedere il panico che le invadeva gli occhi scuri. Si alzò lentamente dalla sedia, salutò educatamente Giulia e le augurò una pronta guarigione. Poi beffarda fece un leggero inchino al medico ed uscì dalla stanza a passo veloce.
Scendeva correndo le scale, non aveva preso l’ascensore perché non poteva sopportare di restare ferma in uno spazio piccolo. Quell’uomo. Quella voce. La minaccia. Proprio mentre ripercorreva con la mente ogni istante della festa, qualcuno la prese per il polso e la trascinò in un ufficio piccolo ed illuminato.
Si trattenne dal gridare. Non voleva fargli capire di aver paura. In fondo non doveva averne, vero? Il medico chiuse a chiave la porta. Le si avvicinò, famelico, le carezzò la testa.
-Non dirai nulla di quello che hai visto l’altra sera, Selvaggia.
Tuttavia lei sentì qualcosa muoversi in lei, sentì di essere eccitata dalla voce e dal tocco leggero di quell’uomo. Di un uomo.
Di scatto lui la voltò e la fece piegare sulla scrivania piena di documenti. Le trattenne la testa sulla superficie liscia. Elettra indossava un leggero vestito chiaro. Le sollevò il vestito, strappò l’intimo ed entrò in lei velocemente, di scatto. Elettra gemette, ma la cosa che anche lui capì fu che a lei piaceva. Proprio mentre lui si muoveva in lei, lei sentì di essere stata attratta da quell’uomo fin da quando ha puntato quella pistola a Christian, che diamolo pure: a lei non è mai piaciuto. Non le interessava molto del  perché della minaccia e di quei soldi, capiva che in realtà il suo terrore la eccitava come mai aveva sentito in vita sua, neanche con Giulia.

 
A qualche chilometro di distanza, Christian accendeva una sigaretta. Era nudo, coperto alla vita dalle lenzuola nere. Passò una mano con foga sul viso rasato. La persona accanto a lui stava rivestendosi.
-Sarebbe stato un peccato se avessi davvero smesso di… come dire?, attenuare le voglie di questa borghesia. Non capisco perché volevi a tutti costi smettere. Sei ricco, Christian, bello, giovane e ricco. Non devi neanche sforzarti più di tanto, è palese che piaccia anche a te, tesoro. Hai una clientela fidata, guadagni benissimo, ed hai tutto il tempo che vuoi per vedere Eva.
Christian sentì un violento impeto di rabbia nel sentire nominare Eva. Ma non poteva reagire. Non doveva. Era la condizione per stare con lei. Doveva essere ricco. E l’unico modo era rendere servigi sessuali all’alta società. Anche qui con particolari condizioni.
La persona gli si sedette di fronte, poggiò una busta bianca sul comodino e baciò dolcemente il ragazzo.
-Diciamo che ti ho lasciato un bonus. Una mancia, ecco. Porta fuori a cena Eva, stasera.
Poi se ne andò, mostrando la sicurezza di chi conosce bene quell’appartamento.
 
 
 
 
NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:

Sono tornata! Dunque, che dire: Elettra non possiede un vero e proprio senso del pericolo, ed a quanto pare quell’uomo le piace. Oh, eccome se le piace! D’altra parte abbiamo Giulia, stanca, non più provocatoria come gli anni addietro, anzi terrorizzata che Elettra si vendichi attraverso Aida. Abbiamo Christian: ecco svelato il lavoro di Christian. Fa il gigolò. Ma se stiamo attenti, capiamo che svolge questa attività a date condizioni… quali? Chi è la persona che gli parla di Eva? Conosce bene quell’appartamento. E probabilmente ha qualche legame con il medico che ha (ebbene sì) –fatemi passare la volgarità- scopato con violenza (?) Selvaggia.
Spero di aver allettato la vostra curiosità. Ho terminato la mia seconda creatura ( Tante storie ed una storia, che trovate qui:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2250026&i=1), quindi ora mi dedicherò solo ed esclusivamente a Bianconero. A meno che il mio neurone non decida di far qualcos’altro!
Se avete voglia di leggere, qui trovate il mio blog, che ancora non ho capito bene come funziona:
http://evanne991.wordpress.com
Forza, recensite: linciatemi o sorridetemi! Baciotti, Evanne

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Sessanta giorni ***


Passeggiava nel parco. Bambini giocavano tra loro, rincorrendosi, alcune donne stavano sedute su delle panchine  e li tenevano d’occhio. Le foglie secche a terra scricchiolavano sotto la suola delle polacchine chiare. Aveva la punta del naso gelata, stringeva gli occhi, quasi a voler riparare le iridi nocciola dal freddo. Era il principio di un autunno già annunciato come il più freddo degli ultimi trent’anni. Non poteva che constatare la veridicità della previsione. Sedette su una panchina, e accese una sigaretta.
Sua madre adesso stava bene. Aveva avuto paura di perderla. Nonostante la rabbia nei suoi confronti, l’essersi sentita tradita, aveva sentito il vuoto, il terrore, nel sol sapere che sua madre poteva non esserci più. Era ancora ferita, ma non riusciva a stare lontana da lei. Una volta suo padre le aveva raccontato che quando ha conosciuto Giulia, la sua adorabile futura moglie, lei gli si era presentata come un vizio. Il che era già tutto dire, senza entrare troppo in spiegazioni superflue. Quello che faceva ancora soffrire Aida, però, era la storia che sua madre aveva avuto con Elettra. Sapeva bene, la piccola mora, che i suoi genitori non erano totalmente fedeli l’uno con l’altra. O meglio, la loro era una fedeltà potentissima: ritornavano sempre insieme, alla sera dividevano lo stesso letto e parlavano, si confrontavano, sapevano ogni cosa. La cosa che più faceva soffrire Aida era il fatto di sentirsi innamorata dell’amante di sua madre, la donna che scappò via per lei. Ma poi, lei chi? Elettra era scappata dopo aver scoperto che Giulia era sua madre. Chi voleva proteggere, Elettra?  Aida ed Eva e la loro amicizia? Giulia ed Aida nel loro essere madre e figlia? Se stessa?
Queste erano le domande che da due mesi tormentavano l’animo di Aida. Aveva incontrato qualche volta Elettra, a casa Sivi, ma lei era stata sempre sfuggente. Eva aveva anche accennato al fatto che sua sorella era diventata molto strana, chiusa, silenziosa. Aida lo sapeva bene, però: suo malgrado, era una brava ed attenta osservatrice, e negli occhi scuri di Elettra c’era qualcosa che esplodeva quando riceveva un sms o una chiamata, per cui lei si ritirava silenziosa. Elettra era innamorata, ed Aida non poteva aver idea di chi.
 
 
POV Elettra Sivi
So che il suo nome è Stefano, e che è un medico chirurgo. Probabilmente è un collega di mio padre. Ma ho paura a chiederlo. Non saprei come giustificare questa conoscenza. Ci vediamo da due mesi. Non ero mai stata con un uomo prima di lui, e non so se definirmi  bisessuale. Sento di essere attratta da lui in un modo mai provato prima. Ho paura di lui. Sono terrorizzata da lui e dalla consapevolezza che potrebbe farmi del male se non ammazzarmi. È stato chiaro con me. Non devo parlarne con nessuno, di questa relazione che ci lega, perché sarebbe pericoloso. Ho paura per mio padre e mia madre, che sono legati in qualche modo a lui, ho paura per Eva, perché Stefano è l’uomo che ha puntato una pistola a Christian.
Christian: tra lui e mia sorella le cose sembrano andare bene. Non posso che dire che sono splendidi. Bellissimi, e tristi aggiungerei io. Hanno un non so che di malinconico. Non esco con loro, non esco in realtà. Da quando Stefano è entrato nella mia vita mi sono allontanata dal resto del mondo. Non ho più notizie di Giulia, da quel giorno in ospedale. E non ho chiesto nulla neanche ad Aida, le poche volte che l’ho incrociata in casa. Aida… Mi si strige il cuore, a pensarla. Povera piccola, come vorrei abbracciarla ed amarla con dolcezza. Non posso, non posso. Non perché il rapporto tra me e Stefano sia esclusivo, ma le farei del male e non posso: sento di amare quella ragazza, sento per lei un’attrazione ancora più sbagliata di quella per Stefano.
Passeggio distratta nel parco, mi stringo nel Montgomery blu.
-Elettra!
Mi sento chiamare da una voce sottile. Mi volto e la vedo. Non so come reagire, immagino che il mio volto abbia assunto un’espressione di sorpresa, perché lei mi sorride incerta.
-Ciao…
Soffio. Non so cosa dirle. Lei sembra incerta quanto me. Io mi dondolo sulle gambe. Sembro un’adolescente impacciata davanti al suo primo amore.
 
 
POV Aida Diado
Vorrei abbracciarla, chiederle come sta, cosa ci fa qui, ma non riesco a parlare. La vedo imbarazzata, non capisco il perché: voglio dire, lei è la gatta, Selvaggia Sivi, ed io sono Aida, la ragazzina più piccola di lei. Dovrei essere io quella imbarazzata. Mi concentro sul mio respiro e lo sento regolare. Il mio cuore però sembra scoppiarmi via dal petto.
-Che ci fai qui?
Decide che è meglio parlare. E lo fa lei. Mi perdo per un attimo a guardare quelle labbra carnose e rosse come i suo capelli. Le dico a bassa voce che stavo facendo una passeggiata e che poi mi ero fermata su questa fredda panchina per fumare una sigaretta. Ci guardiamo. Mi alzo.
-Io torno a casa, vuoi un passaggio?
Lei annuisce. Siamo a pochi centimetri di distanza.
Camminiamo vicine, tenendo le mani in tasca, chiacchierando del più e del meno. Nel frattempo Eva mi manda un sms dicendomi che sono invitata a cena da lei, stasera. Lo dico ad Elettra. Lei mi sorride, ne sembra felice. Non riesco a leggere questa donna.
Saliamo in macchina. Lei scherza sul fatto che l’avevo parcheggiata nascosta dietro ad una grande quercia. Io le rispondo, sempre scherzando e ridendo, che era tutto calcolato, ero uscita con l’intenzione di mietere vittime.
-E allora fallo.
Lo dice a voce talmente bassa che posso averlo anche immaginato. Nonostante la mia mente si stia ancora chiedendo se davvero ho udito tali parole, il mio corpo si avvicina a lei, e la bacio leggera.
Lei, calda e umida, risponde al mio bacio. Sono sicura stia sorridendo. Mentre con una mano le tengo stretta la testa, con l’altra faccio leva sul sedile, così da inclinarlo totalmente, e poi salgo a cavalcioni su di lei. Selvaggia è rossa. Non i suoi capelli, non le sue lentiggini, non le labbra. Ha gli occhi infuocati, rossi, ardenti.
Mi coglie di sorpresa, ha già sbottonato i miei jeans ed è entrata veloce in me. Mi lascio scappare un lamento, poi lentamente riprendo a baciarla ed a muovermi su di lei.
È proprio ora che mi viene in mente che è pieno pomeriggio, siamo parcheggiate sì dietro una quercia, ma adiacenti al parco, e potremmo essere viste da chiunque fare sesso. Sto facendo sesso con Elettra Sivi. La donna che amo fin da quando ne ho memoria.
-Credo di amarti.
Le sussurro tra le labbra.
-Lo credo anch’io.
Tremo e sudo, e vengo tra le sue mani, al solo sentirla parlare.
 
 
A qualche chilometro di distanza, nel suo appartamento lussuoso, Stefano cadde a terra, colpito in fronte da una pallottola dorata, esplosa dalla sua stessa pistola, puntatagli da qualcuno che gli dava del traditore, poiché scoperta la relazione con Elettra Sivi.
 
Note della (pseudo)autrice:
Non aggiungo altro, se non che presto torneranno Eva e Christian! Baciotti, Evanne.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Calici di vino rosso ***


Stavano seduti intorno al tavolo rettangolare, di legno massiccio, ereditato da vecchi zii inglesi. Riccardo era capotavola, alla sua destra Sophia teneva un calice di vino rosso tra le dita affusolate e chiacchierava animatamente con Christian. Stravedeva per lui. Lui era seduto accanto ad Eva, lei alla sinistra del padre. Elettra invece era accanto a sua madre, ed Aida chiudeva il cerchio. Eva è sempre stata  legata in modo viscerale a suo padre, il suo dio, il suo maestro. Stavano trascorrendo una cena piacevole, in cui i coniugi Sivi avevano accolto Christian come sempre a braccia aperte ed Aida con un entusiasmo nuovo, capendo che c’era qualcosa con la gatta dai capelli rossi.
Eva sorseggiava il vino e teneva la mano sinistra sulla coscia di Christian. Si sentiva felice. Non sapeva bene se la felicità fosse solo una cena con le persone che si amano, ma in quel momento, mentre Riccardo veniva preso in giro da Elettra, mentre Aida sedeva rilassata e partecipe come non mai, mentre Sofia rideva fino alle lacrime e mentre Christian le carezzava la spalla, sentiva di essere felice. Per anni ha inseguito, rincorso, perseguitato, questo semplice quadro di gioia, vedendolo sempre troppo lontano, impalpabile.
Poi, all’improvviso, si è ritrovata a vivere finalmente una relazione con Christian, sapendo bene che in realtà hanno solo ufficializzato quella che era una relazione lunghissima. In realtà Eva e Christian si conobbero in prima media, facendo parte di una recita scolastica, La bisbetica domata. Eva ricorda vagamente un bambino dai capelli neri, che doveva essere il co-protagonista. Lei, ovviamente era la prima attrice. Ricorda vagamente Eva il silenzio del bambino moro, quando lei disse stizzita, piccola ed inviperita, che non voleva recitare con quel bambino, perchè non le piaceva, non era all’altezza. Fu così che a Christian venne data un’altra parte, perché lui silenzioso ed educato aveva fatto un passo indietro, per accontentare la bambina bionda. Eva lo ricorda vagamente, i veri ricordi che ha di Christian risalgono al primo giorno di liceo. Invece è stato quel giorno in prima media a far nascere l’ossessione di Christian per Eva, del credere di non essere abbastanza per lei, e del fare di tutto per esserlo. Fu una delle prime cose che Christian le disse. Erano tredici anni, quel prossimo inverno. Tredici anni di guerra.
-La settimana prossima andremo in Sicilia, in occasione del matrimonio di vostra cugina.
Riccardo guardò le figlie e loro annuirono, anche se Elettra subito dopo sbuffò scocciata.
-Papà mi odiano.- disse col broncio.
-Non è vero, Elettra, ti vogliono bene, ma sono un po’… chiusi. Non per forza devi parlar loro della tua vita sentimentale.- e qui posò gli occhi su Aida, che arrossì lievemente.
-Potrebbero venire anche Christian ed Aida.- suggerì Sophia, con la sua voce calma e bassa.
-No, mamma ti prego. Non è il caso, già è pesante per Elettra, non lasciamo che venga torturata anche Aida. E per Christian non se ne parla proprio, ci manca solo che mi chiedano poi quando abbiamo intenzione di sposarci!- Eva trasalì al sol pensiero.
-Noi non abbiamo nessuna intenzione di sposarci.- puntualizzò lui.
Riccardo accese un sigaro, bevve un altro sorso di vino e disse:
-Andremo solo noi quattro. Eva ha ragione. Passeremo qualche giorno in Sicilia, e ci impegneremo a non litigare né istigare nessuno. Chiaro?- aggiunse rivolto alle figlie.
Elettra sorrise maliziosa e fece l’occhiolino ad Eva, che sempre composta annuì a suo padre, tenendo sempre la mano a Christian.
Maria, la cameriera, entrò in sala con la sua camminata veloce e chiese a Riccardo se poteva seguirla, c’era una telefonata urgente in attesa. Qualcosa nello sguardo di Maria fece destare preoccupazione a tutti i commensali. Riccardo si ritirò per qualche minuto. Stranamente nessuno di loro proferì parola nel mentre. Quando Riccardo rientrò in sala si sedette, guardò ognuno di loro e si soffermò di più su Elettra.
-Amore?- Sophia gli carezzò la mano e cercò di spingerlo a parlare.
-Un mio collega, nonché grande amico, è stato ammazzato oggi pomeriggio. Si chiamava Stefano Greco.
Sophia sgranò gli occhi terrorizzata, Eva portò una mano alla bocca. Aida sussurrò: -Dio mio!
Christian assunse un’espressione indecifrabile. Elettra restò immobile. In silenzio. Una lacrima le bagnò la guancia rosea.
 
 
Note della (pseudo)autrice:
Ho voluto spiegare perché si parlava sempre di tredici anni di storia tra Chris ed Eva, nonostante più volte si è raccontato del loro incontro al ginnasio. Riccardo è un uomo diplomatico, le sorelle diversissime tra loro. Christian sembra essere a proprio agio, Aida è tenerissima. Stefano era quindi un amico di Riccardo, e nel capitolo precedente viene ammazzato perché aveva una relazione con Elettra. Ma i commensali non lo sanno. Recensite, spero di appassionarvi, sorridetemi o linciatemi! Baciotti, Evanne

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Tenuta Smeraldo ***


L’arrivo in Sicilia fu tranquillo, nel pomeriggio precedente al matrimonio. La famiglia Sivi avrebbe alloggiato nella tenuta in campagna di nonna Dalila, madre di Riccardo, una donna elegante e austera, una marchesa. Erano partiti subito dopo il funerale di Stefano, a cui avevano partecipato tutti e quattro. Eva aveva sofferto nel vedere suo padre abbattuto: ci sono dei pilastri nelle vite di ognuno di noi, e quando questi pilastri vanno a piegarsi ci distruggono in modo sconcertante, poiché la nostra convinzione della loro indistruttibilità va a sfumare in un alito di vento. Eva si sentiva ancora più piccola di come già non giocasse a farlo, perché suo padre era crollato in un pianto feroce al funerale di Stefano, perchè Sophia non sapeva come calmarlo, perché avrebbe voluto Christian a sorreggerla e perché poi aveva visto nel vuoto degli occhi di Elettra un gelo terrificante. Elettra non parlò con nessuno della sua relazione con Stefano. Non avrebbe saputo spiegare come lo aveva conosciuto, quanto in realtà non lo conoscesse affatto.  Al suo funerale erano presenti la moglie, una donna piccola e scura, e i suoi due figli, poco più che bambini, gemelli. Non avrebbe mai potuto dire, Elettra, di essere stata l’amante di un uomo pericoloso, che aveva puntato una pistola a Christian, di essere stata l’amante di un uomo nonostante la propria convinzione di essere lesbica. Aveva avuto paura di parlare, di denunciare un morto, voleva solo dimenticare quella storia e lasciarlo riposare in pace. Non poteva regalare un orribile ricordo di lui ai suoi figli, ed a suo padre, suo grande amico. Mai, però, venne assalita dalla voglia di sapere perché Stefano aveva minacciato Christian. Non si chiese mai quale fosse il motivo di tanti soldi né tanto meno fino a quanto la presenza di Christian nella loro famiglia poteva essere sincera. Sapeva solo che vi erano delle indagini in corso, sull’omicidio di Greco. Ogni volta che passava la notizia dell’omicidio in televisione, ognuno dei componenti della famiglia Sivi cambiava canale o spegneva l’apparecchio audiovisivo. Così, ogni mattina, non vennero più presentati a colazione i soliti quotidiani. La cosa che più di ogni altra inquietava Elettra era, però, il fatto che gli inquirenti non avessero interrogato nessuno di loro. Credeva, la ragazza, che ogni persona vicina alla vittima sarebbe stata ascoltata, e temeva allo stesso momento per sé e per la sua famiglia: non avrebbe potuto mentire alla legge, e sarebbe potuto accadere di tutto, perché avrebbe messo sicuramente in mezzo Christian.
Christian era rimasto in città, così come Aida. I Sivi erano partiti in silenzio, ma dopo un’ora di viaggio si erano sciolti in chiacchiere e ricordi. Non tornavano in Sicilia da anni, e non vedevano nonna Dalila da altrettanto tempo. Per Eva, contro ogni previsione, fu un sollievo l’idea di un weekend in terra sicula per il matrimonio di una cugina troppo antipatica, così lei e la sua famiglia avrebbero staccato dalla terribile realtà che aveva investito la loro splendida quotidianità.
Tenuta Smeraldo si ergeva nella campagna sovrastata dall’Etna, e prendeva il nome dalla trisavola di Eva, Donna Esmeralda, una nobile dalla tempra severa e dalla bellezza struggente. Imboccarono il viottolo che portava all’ingresso principale della tenuta, dopo aver annunciato al cancello in ferro battuto e rame il loro arrivo. Era una bella giornata dei primi di ottobre, ed i colori caldi dell’autunno facevano da cornice al paesaggio meraviglioso della terra siciliana.
Dalila era sull’uscio in compagnia di Pierre, il maggiordomo francese e di fiducia, fedele da quarant’anni alla famiglia Sivi, e da dieci anni ancora più fedele a Dalila, dopo la perdita del caro marito Ugo. Eva ed Elettra avevano più volte scherzato sulla probabile relazione che loro nonna teneva con Pierre, non immaginando lo sfondo veritiero delle loro fantasie innocenti. La famiglia Sivi scese dalla Mercedes scura, e Riccardo fu il primo ad avvicinarsi alla madre. Si salutarono con affetto sincero e quando Eva fu di fronte a sua non poté che riconoscere la somiglianza con lei. Stessi occhi, stesse labbra, stesso neo sullo zigomo sinistro, stesse mani. Sua nonna era ovviamente molto più bella, la bellezza che le rughe possono dare ad una donna regale come lei. Dalila aveva lunghi capelli bianchi stretti in uno chignon, e da lei Eva aveva eredito l’abitudine di tenere sempre i capelli raccolti.
-Stella, sei bellissima. Domani offuscherai tua cugina, ne sono certa- le disse con voce roca.
-Nonna, tu sei bellissima. Mi auguro davvero di non offuscarla per niente, altrimenti mi toccherà sorbire le sue lamentele.
Nel mentre, Elettra chiacchierava in fitto francese con Pierre che l’apostrofava come sa petite, sa beauté, sa merveille. Trascorsero il pomeriggio in modo piacevole. Eva era certa che il giorno dopo sarebbe stato difficile. Sua cugina, Sharon, era più piccola di lei, aveva vent’anni ed era viziata se possibile più di lei e di sua sorella. Era fidanzata di quattro anni con il ricco rampollo figlio di un amministratore delegato di un’importante azienda italiana. Sharon ha sempre avuto poca simpatia per le cugine, soprattutto per Eva, quasi sua coetanea. Era bella, Sharon, ma non tanto quanto Eva, e questo l’ha sempre resa sgradevole verso Eva e di riflesso verso Elettra. Sharon aveva lunghi capelli rossi, come Elettra, ereditati da nonna Dalila, occhi piccoli e forse un po’ troppo lontani tra di essi, labbra sottili e naso alla francese. Bassina, magrissima e dall’aria perennemente infastidita. Il suo fidanzato, Carlo, era un ragazzo silenzioso, vittima della personalità acuta di Sharon, e tutti sapevano che questo matrimonio avrebbe fatto comodo ad entrambe le famiglie, quanto al portafogli di lei, fashion victim, senza altro passatempo o studio che non fosse lo shopping in costose boutique del centro di Palermo, città in cui abitava con la sua famiglia. Avevano deciso di sposarsi nel paese originario della madre, perché tutti i discendenti dall’epoca di Donna Esmeralda avevano celebrato le proprie nozze a Tenuta Smeraldo.
Il giorno dopo arrivò in fretta, ed il cielo, prima azzurro e limpido, quella mattina si presentava grigio e maledetto. Sophia irruppe nella stanza di Eva ed Elettra mentre le sorelle stavano vestendosi, qualche minuto dopo che le ragazze aveva sniffato un paio di strisce di coca, tanto da non riconoscere nelle figlie gli occhi lucidi ed il naso arrossato.
-Quella stronza di Gloria non fa che chiedere di voi. Vedete di muovervi, e vi prego: evitate lo scontro. Ho bisogno di vino!- sbraitò, facendo una passerella nella grande stanza, splendida nell’abito chiaro che le lasciava le ginocchia ossute scoperte. Gloria Sivi, sorella di Riccardo e madre di Sharon, era se possibile ancora più acida di sua figlia e adorava mettere in imbarazzo le ragazze Sivi: Eva perché non aveva mai presentato un fidanzato alla famiglia e si era lasciata scappare quel bravo figliolo di Tancredi, Elettra perché era libertina e chissà per quale senso di ribellione diceva di amare le donne. Insomma, comunque la si presentava, per zia Gloria era sempre un tentativo fallimentare. Tutto questo era una reazione alla bellezza delle ragazze rispetto a quella dell’adorata figlia Shar.
Eva ed Elettra finirono di prepararsi appena loro madre fu fuori dalla stanza, alla ricerca di vino. Erano, ovviamente splendide. Elettra indossava un lungo abito nero, con tanto di cappellino e visiera di pizzo, quasi stesse per partecipare ad un funerale della Royal Family inglese, e lei stessa aveva affermato tra le risate che quel giorno, per Carlo, sarebbe stato il funerale della sua libertà. Eva era stata molto più cattiva. Sapeva benissimo che ai matrimoni l’unica donna che poteva vestire di bianco doveva essere la sposa. Nonostante questo, subdola ed elegante, indossò un vestito bianco, lungo, con lo strascico ed impreziosito da pietre dorate sul seno.
Quando Riccardo vide le figlie scosse la testa in segno negativo, poi sorrise e pregò che sua sorella e sua nipote avessero ignorato le provocazione delle ragazze.
Entrarono nella cappella in fila ed occuparono i posti vicino a nonna Dalila, vestita di rosa, splendida ed elegantissima. Dalila volse uno sguardo divertito alle nipoti, poi:
-Sei terribile, ma adorabile. E sei certamente più bella di lei.- sussurrò ad una Eva sghignazzante.
Gloria fece il suo ingresso in quel momento, e giunta al proprio posto guardò le nipoti inorridita. Fece per alzarsi, quando la marcia nuziale annunciò l’arrivo della sposa.
Sharon attraversò la navata da sola, egocentrica. Senza l’accompagnamento del padre. Il suo abito era pomposo e principesco, e decorato sul seno proprio da pietre dorate. Quando Sharon arrivò dinanzi a Carlo, quasi le sorelle Sivi si commossero, nel vedere negli occhi di lui una devozione amorevole verso la sposa. Il flash del fotografo illuminò Sharon che a sua volta girò la testa ed incontrò lo sguardo di Eva. Le si gelò il sorriso sulle labbra. Non poteva credere che sua cugina – e guardando meglio, anche l’altra – avessero preparato un tale dispetto quel giorno. La cerimonia sembrava infinita, e quando, giunta al termine, lasciò gli invitati liberi di andare a bere e complimentarsi con la coppia, Sharon superò la folla, raggiunse Eva e la strattonò dalle spalle nude.
-Sei una puttana! Come hai potuto? Sono io la più bella! Tu e tua sorella siete solo delle stronze ridicole!
Urlava e diventava paonazza, mentre Eva incredula la fissava, per niente dispiaciuta. Fu un attimo. Mentre suo padre si avvicinò a loro, cercando di calmare la nipote, mentre si alimentava la folla nelle vicinanze, Eva fu colpita da una sensazione di malessere, ed in un attimo rigettò la colazione proprio sul suo bellissimo abito bianco che tanto aveva fatto arrabbiare la cugina. Elettra fece in tempo ad avvicinarsi a lei, quanto la sorella le si accasciò tra le braccia svenuta e sudata.
 
Note della (pseudo)autrice:
Eccomi qui, ho aggiornato velocemente, oggi: praticamente sono scappata da un festino per pubblicare questo capitolo. Bene, prima di tutto ho urgenza di dire che ho scritto questo capitolo ascoltando Enrico Rava, quindi l’atmosfera che ho immaginato nasce dalle sensazioni create dal jazz (telepatia con DanceofUnicorn mode on). Poi: Elettra ed Eva sono delle stronze. Non dimenticatelo. Un po’ Anastasia e Genoveffa di Cenerentola, ma molto più fighe.
A proposito di DanceofUnicorn: leggetela, dovete farlo. E’ un ordine. Leggetela, ed amatela: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2183086
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2362785
Poi se vi va leggete anche me: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2250026&i=1
http://evanne991.wordpress.com
Nonna Dalila è una forza della natura. Immaginatela come una splendida Maggie Smith!
Non voglio aggiungere altro, mi sto dilungando. Recensite, linciatemi o sorridetemi! Baciotti, Evanne!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Una telefonata ***


 http://www.youtube.com/watch?v=OwLP-6hZV-U


Ha sempre amato la musica. Fin da piccolo ha suonato la chitarra, da autodidatta. Ha un qualcosa di bohémien, Christian, da poeta maledetto, lacerato nell’animo dalla passione. La vasta cultura del padre gli ha permesso di conoscere nei minimi particolari le letterature e le filosofie più disparate. Intelligente che non si applica, ribelle, meschino. Crescendo ha smesso di presentarsi quasi come un barbone, sfatto, ed ha iniziato ad indossare sempre giacca e cravatta, assumendo un atteggiamento radical chic snervante soprattutto per il padre.
Vincenzo Aresi era ormai in pensione, ed aveva dedicato tutta la sua vita all’insegnamento. Anche lui, da giovane, era stato caratterizzato dallo spirito bohémien, fiumi di vino rosso, fumi colorati, poesie erotiche. Aveva conosciuto Mena all’università, studentessa di matematica, totalmente opposta a lui. Una ragazza altissima, tanto da superarlo per quasi venti centimetri, dai capelli corvini e gli occhi cerulei. Dopo appena tre mesi di frequentazione, tra alcol, sesso, liti brutali, ma tanto, tanto affetto, Mena rimase incinta del loro unico figlio. Christian era il ritratto di sua madre. Identico a lei, fisicamente, e pericolosamente uguale a suo padre caratterialmente, oggi. Mena non portò mai a termine i suoi studi. Si dedicò anima e corpo al figlio, mentre suo marito viaggiava per tenere supplenze e cercare di mantenere questa famiglia nata all’improvviso. A tre anni Christian sapeva già svolgere equazioni, era un piccolo genio in miniatura, matematico e razionale, ma non sapeva scrivere il suo nome, come ci si poteva aspettare dal piccolo genio. Suo padre dovette impiegare tante notti a provare a far amare la letteratura al figlio, a dargli le basi necessarie a non farlo sentire inferiore rispetto ai prossimi compagni di scuola. Le elementari le visse con difficoltà, Christian, impeccabile in matematica e nelle materie scientifiche, sicuramente un bambino fuori dal comune per la sua età, ma con troppe carenze in italiano, in storia, in disegno. In realtà Mena non provò mai a spingere il figlio ad applicarsi anche nelle discipline del padre. Vincenzo aveva poca pazienza e scorbutico decise che non avrebbe più aiutato il figlio, avrebbe deciso lui quando e se impegnarsi nell’umanistica.
Mena si ammalò quando Christian aveva appena nove anni. Si spense in appena quattro mesi. Al funerale di sua madre recitò a bassa voce Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale, lasciando i pochi presenti stupiti e commossi. Da quel giorno di dicembre, Christian iniziò a leggere moltissimo, ma mai libri per bambini, adatti alla sua età. Stupì tutti, il padre in primis, nella conoscenza spaventosa che iniziò a maestrare in letteratura, ma il suo impegno in matematica e nella razionalità, nella disciplina, sfumò come per magia nel momento in cui la bara scura di sua madre venne nascosta da terra umida.
Eva è sempre stata il suo frutto proibito. Fin da quando quella bambina davvero bisbetica non volle recitare con lui. Non era all’altezza di Eva Sivi, la bellissima, ricchissima, Eva Sivi. È stata come una maledizione, la sua maledizione: da quel giorno Eva fu il suo impegno, allo stesso tempo la sua lotta, il frutto più  buono e succoso. Lusso, ricchezza, feste, nome. Doveva ottenere tutto ciò, perché altrimenti non sarebbe stato all’altezza. Inizialmente non aveva idea di cosa e come fare per riuscire ad arrivare a lei – mai conscio del fatto che l’amore di Eva per lui lo aveva sempre reso più che all’altezza – e così dopo un anno alla Pubblicity Inc., dopo aver destato curiosità ed apprezzamenti da parte del direttore e dei suoi colleghi, ricevette una telefonata che gli cambiò la vita.
 
-Aresi? Sono ***.
-Cosa vuoi da me?
-Già parti male, ragazzo mio. Dovresti salutarmi con gentilezza.
-Scusami, ma credo di esserti poco simpatico, ecco, quindi evito convenevoli. Buongiorno ***, dimmi.
-So che ti stai dando da fare alla Pubblicity Inc.
-Sto ricevendo ottimi riscontri.
-Bene. Ma non abbastanza.
-Questo sta a me da giudicare, se permetti.
-No sta a me. Non sei ancora abbastanza per Eva.
-Senti, io non voglio parlare di Eva con te, né tanto meno credo che tu possa sapere cosa mi lega a lei.
-Sbagli, Christian. Io so tutto. Ogni cosa. Ed ho una proposta da farti.
-Non voglio avere nulla a che fare con te.
-Smettila, coglione: o fai quello che ti dico, o Eva non la vedrai mai più.
-Per favore…
-Non sto scherzando.
Qualcosa nella sua voce fa trasalire Christian.
-Cosa dovrei fare, sentiamo?
-Prostituirti per me.
-Non dire cazzate!
-No, tesoro: non farai la puttanella per la strada, anche se ci staresti bene. Sarai un gentile accompagnatore, di lusso, avrai tutto quello che desideri. Verrai pagato profumatamente. Ora tu lascerai la Pubblicity Inc. ed io, perché sono di parola, ti regalerò un’ingente somma di denaro per lasciare che apparentemente tu possa metterti in proprio. Sarà la tua copertura. Il mondo saprà che tu farai il pr, e sarai anche libero di farlo. Per me e per gente importante, sarai colui lui che delizierà i nostri sensi, diciamo così.
-Per te? Ma ti rendi conto delle stronzate che dici?
-Per me prima di tutti, Aresi.
-Rifiuto tutto, non esiste assolutamente.
-Scordati Eva.
-Non puoi minacciarmi così.
-Ah, no? Beh allora diciamo: scordati Eva e saluta il tuo caro papà. Verrà ucciso in modo lento, è più poetico, non trovi?
Christian sente il terrore, per la prima volta nella sua vita, pervadergli l’animo. Non puòdire di sì. È una pazzia. Eva. Sua padre. Non si rende conto che in quel momento avrebbe firmato la sua condanna. La sua maledizione.
-Quando devo iniziare?
-Ora. Ti aspetto. Avrò dacché educarti.
 
Bevve l’ultimo sorso di whisky. Sedette sul pavimento ed iniziò a suonare alla chitarra Resistance. Sembrava scritta appositamente per lui. Eva gli mancava. Era in Sicilia. Chissà cos’avrebbe combinato. Conoscendola avrebbe fatto la stronza con sua cugina Sharon. Chiuse gli occhi.
Un giorno ne sarebbe uscito. Ne era certo. Solo, ora iniziava ad aver paura. Stefano era stato ammazzato. E lui conosceva l’assassino.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Sangue nelle mani, sangue nel nome ***


Correva per una strada di campagna , pioveva, e sentiva i piedi nudi scivolare sul suolo bagnato e morbido. Aveva paura e nonostante non sapesse perché e da cosa stava fuggendo, lo faceva disperata. Ad un tratto sentì le forze abbandonarle le gambe sottili e cadde. Abbassando lo sguardo si scoprì nuda e cercò di coprirsi con le mani. Urlò. Ma non udì il suo urlo. Le sue mani erano insanguinate. Provò ad alzarsi, sentendo l’impellente necessità di allontanarsi, da cosa non lo sapeva. Sentiva di essere pesante, sentiva di non riuscire a reggere il suo stesso peso. Alla sua sinistra intravide uno specchio. Grande, dalla cornice dorata, sporco, e spaccato negli angoli. Si vide grassa. Immensa. Ma dal viso terribilmente scavato e graffiato. Urlò nuovamente. Non si udì. Sentiva girarle la testa. Chiamava in sé i suoi genitori, Elettra. Riprese a correre, a fatica. Arrivò ad un dirupo. Si bloccò appena in tempo, prima di cadere, e si accasciò sulle ginocchia. Iniziò a piangere. Non piangeva mai. Stringeva il terriccio umido tra le mani, mischiando l’humus con il suo stesso sangue. Tra le mani vide poi suo padre e sua madre. Li teneva sui palmi colmi di terra. E loro piano piano, guardandola, scomparivano in essi. Era sempre più spaventata. Sentì un grido lacerante dietro di lei, si voltò e al posto del dirupo vi era il mare. Elettra si dimenava e veniva sommersa dalle onde agitate della tempesta. Provò a muoversi ma non ci riuscì.
-Eva.
Si voltò nuovamente, nel sentirsi chiamare, e vide lui, nudo, bianco, sotto la pioggia.
-Aiutami.
Anche stavolta non sentì le proprie parole, ma capì che Christian l’aveva sentita, perché scosse la testa ed andò via. C’erano delle persone dietro di lui. Non distingueva le figure. Erano così nere, e lui così bianco. A poco a poco la sua figura, così luminosa, di macchiò di buio, e sparì. Eva si lasciò cadere indietro, e c’era il dirupo.
Fu in quel momento che un urlo, il suo stesso urlo, la svegliò.
Era affannata, e si ritrovò seduta nel suo letto, nella sua stanza, a Tenuta Smeraldo. Sudata, portò una mano tremante al viso e scostò i capelli appiccicati sulla fronte. C’era silenzio, sentiva solo il battere sordo del suo cuore. La porta della stanza venne spalancata. Suo padre, Elettra e nonna Dalila irruppero in stanza.
-Va tutto bene, amore, era solo un incubo.
Riccardo prese le mani della figlia tra le sue e con le labbra poggiate sulla sua fronte capì che Eva aveva ancora febbre alta.
Durante la sfuriata di Shar, Eva aveva vomitato ed era svenuta. Era stata accompagnata in camera dai genitori, Elettra e nonna Dalila, che aveva quindi palesemente espresso la preferenza verso la nipote cattiva. Era stata spogliata e messa a letto, percossa da brividi, tanto che Riccardo pronto con un termometro constatò di un’ improvvisa febbre a 41°, e dopo un’iniezione, avevano fatto i turni per farle compagnia, mentre lei delirava nel sonno. Verso sera la febbre si era abbassata, ed avevano deciso che sarebbe potuta restare da sola, poi quell’urlo aveva spezzato la notte.
Sentì il polso di Eva. Aveva, ora, battiti lenti e deboli. Elettra era seduta ai suoi piedi e la guardava preoccupata.
-Dalle una tachipirina, due pezze bagnate in fronte e domattina starà bene!
Nonna Dalila era molto più pratica del figlio medico. Riccardo la guardò, e senza dire nulla uscì dalla stanza e si diresse in cucina.
-Che succede?- chiese debolmente, allora, Eva.
-Hai solo febbre alta, stella. Domani passa.- disse sventolando la mano in aria Dalila, congedandosi e lasciando sole le sorelle.
Elettra si mordeva le labbra.
-Credo sia stata la coca.
Eva fece spallucce e si leccò le labbra. Non le era mai successo. Sapeva che adesso sua sorella si sentiva in colpa e che era preoccupata. Poi un senso di inquietudine le fece sentire un vuoto allo stomaco. Aveva fatto un incubo. Per quanto si sforzasse non ricordava nulla, però, e sapeva in cuor suo che sarebbe stato meglio non ricordare cosa le aveva provocato tutto quel terrore.
Riccardo rientrò in camera, accese tutte le luci e le figlie portarono le mani davanti agli occhi gonfi. Porse un bicchiere colmo d’acqua, in cui una pastiglia stava sciogliendosi, ad Eva. Quando lei bevve tutto, lui le carezzò nuovamente la testa.
-Papà, resti a dormire con me?
Si sentì una stupida dopo averlo detto. Una bambina. Aveva quasi ventitré anni e voleva dormire col genitore perchè aveva fatto un incubo. Lui, ovviamente, arricciò le labbra in quel modo buffo e benevolo e sedette sul letto accanto a lei, poi si rivolse ad Elettra:
-Domani notte dormirò anche con te se vorrai!
Elettra finalmente si rilassò e ridendo:
-Non ci penso nemmeno, tu russi!- disse.
Si alzò e diede un bacio sulle labbra sia alla sorella che al padre, poi sull’uscio chiese:
-Ma la mamma?
-Ha preso dei sonniferi. Al solito. Eva avrebbe potuto urlare tutta la notte se fosse stata sola in casa con lei.- scherzò, ma neanche tanto, Riccardo.
Elettra spense le luci. Uscì, chiudendo piano la porta. Riccardo si infilò sotto le coperte ed accolse la sua piccola Eva tra le braccia. Eva si sentiva sicura, adesso.
-Cos’hai sognato?
-Non lo ricordo. Ma avevo paura, papà.
-Ora ci sono io. Stai tranquilla. Niente potrà farti del male finché ci sarò io.
Eva chiuse gli occhi e strinse forte a sé suo padre. Lo adorava. Era tutto.
Fin da piccola ha sempre avuto un rapporto speciale con lui. Ripensò a sua madre. Certo che era proprio strana. A momenti era talmente menefreghista da non avere proprio nulla di materno. Era il suo modo di fare. Ecco, Eva non avrebbe mai chiesto a Sophia di dormire con lei. Sophia era pratica come Dalila, le avrebbe detto che sarebbe stata infantile una richiesta così banale. Sophia mirava alla concretezza. Era una brava donna, severa, e troppo, troppo, legata all’apparenza, al loro cognome.

La famiglia di Riccardo non accettò di buon grado il fidanzamento con la ragazza greca. Da generazioni i matrimoni dei Sivi erano stipulati solo tra siciliani. Un giovane Riccardo si presentò a Tenuta Smeraldo, per le feste natalizie di trentacinque anni prima, in compagnia di una biondissima dea greca, conosciuta in università, nella grande città dove poi avrebbero costruito il loro nido d’amore. Fu il natale più turbolento della famiglia Sivi. Sophia era arrivata più volte, in soli quattro giorni, al punto di prendere le sue cose e scappare via, ed ogni volta Riccardo l’aveva ripresa per mano, l’aveva tranquillizzata, supplicata, amata. Era rimasta. Ugo Sivi non le rivolse mai parola, neanche il giorno del loro matrimonio. Gloria la odiava. Non aveva mai accettato la forza e la passione di Riccardo nell’imporsi alle rigide ed ottuse tradizioni familiari: lei amava un ragazzo calabrese, conosciuto in vacanza, ma suo padre le aveva negato anche il sol pensiero di tale relazione, oltraggiosa al nome dei Sivi. Così aveva sposato quel brav’uomo di Angelo, ben voluto da Ugo, e siciliano. Anche lui.
Dalila era la vera padrona di casa. Sophia lo sapeva. Sapeva che per poter diventare la moglie di Riccardo, doveva convincere del suo amore la madre. Ugo era solo cocciuto, ma a comandare in casa era Dalila. Fu così che, dopo un anno di liti, dopo quel Natale, poi un’estate troppo calda, Sophia venne presa da parte da Dalila, che con voce ferma le disse che credeva nell’amore di suo figlio per lei, e del suo per lui. Che sarebbe stata accolta, che lei da quel momento la accettava, che era sotto la sua protezione. Aveva riconosciuto la determinazione, la devozione, il sentimento che Sophia batteva furiosa dal petto, dalla testa, dalla bocca, dalla pelle. Venne presa in famiglia, con l’obbligo che avrebbe dovuto difendere il nome dei Sivi fino alla fine, perché lei da quel momento ne avrebbe fatto parte. Solo chi era all’altezza poteva mischiare il proprio sangue con quello dei Sivi. E Sophia giurò che avrebbe difeso quel nome fino alla fine dei suoi giorni.
 
NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:
Mi rendo conto che forse sto aggiornando un po’ troppo in fretta, ma le idee potrebbero scappare da un momento all’altro, quindi al diavolo il tempo, scrivo e pubblico all’istante.
Non voglio dilungarmi. Solo sottolineare qualcosa: la scelta della Sicilia è puramente casuale. Non sono siciliana, ma sono calabrese, quindi terrona e quando parlo della famiglia ottusa di Riccardo non voglio riferirmi assolutamente all’apparente chiusura mentale che abbiamo qui al sud, né tanto meno voglio far credere che ci sia un qualche sfondo mafioso (mi riferisco alla questione del nome dei Sivi che non deve essere sporcato da altri). Ripeto, la scelta della regione è derivata dal fatto che credo che la Sicilia sia una delle più belle d’Italia, e che il paesaggio sovrastato dall’Etna sia suggestivo al punto giusto. Per il resto ogni riferimento a luoghi cose o persone (queste ultime un po’ meno, lo ammetto) sono puramente casuali!
Bon, ho fatto già tante chiacchere. E’ il 31 dicembre, e tra qualche ora saremo già in un nuovo anno. Spero di cuore che sia un anno migliore, come sempre ci si augura ad ogni San Silvestro.
Buon anno, bell’anno a tutti!
Evanne.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Parole a due ***


-Mi sei mancata!
 
-Anche tu… Tanto!
 
-Stai bene? Sembri dimagrita.
 
-Sì, ora sto bene. La febbre mi aveva messo KO, ma ora sto bene.
 
-Ne sei sicura? Sei pallida, hai occhiaie profonde, il viso scavato.
 
-Sembri mio padre. Sto bene, te l’ho detto.
 
-Com’è andata?
 
-Mi son persa la festa. La parte interessante, sicuramente, è stata la sfuriata di Sharon. Povera.
 
-Siete delle streghe.
 
-Smettila con questi buonismi inutili: non siamo mai andate d’accordo, lo sai, e sua madre probabilmente ci odia sul serio. Meno male che la nonna ha scongiurato le loro lamentele ed ha ripreso la festa in mano. Alla fine si saranno anche divertiti.
 
-Non ricordi proprio nulla?
 
-No.
 
-Smettila di sniffare.
 
-Senti chi parla!
 
-Eva, dico sul serio: stavolta ti ha fatto del male. Non voglio che si ripeta. C’era tuo padre e quindi si poteva stare tranquilli, ma se dovesse succedere nuovamente…
 
-Da quanto sei diventato così apprensivo?
 
-Eva…
 
-No, pesante. Sei pesante.
 
-E tu sei stupida, delle volte, sei davvero stupida.
 
-In realtà c’è altro che mi preoccupa.
 
-Cosa?
 
-Ho sognato qualcosa, non riesco a ricordare cosa, ma ero terrorizzata.
 
-Era solo un incubo.
 
-Lo so, ma ero spaventata. Lo sono tutt’ora, senza ricordare nulla.
 
-Non ne hai motivo.
 
-Credo che la morte dell’amico di papà abbia avuto un impatto fortissimo su di me.
 
-Che vuoi dire?
 
-Che ho paura per tutti voi.
 
-Eva…
 
-Per favore, non dirmi di star tranquilla. Era anche più giovane dei miei genitori, e Giulia ha l’età di mia madre ed ha avuto un infarto. Credo di essere affetta da tanatofobia.
 
-Siamo tutti tanatofobici. Poi non puoi basarti su Giulia e Greco: Giulia è malata di diabete e ringraziando il cielo i tuoi stanno bene, e Greco è stato ammazzato.
 
-Lo so, lo so, ed ho ugualmente, se non ancora più, paura. Ho paura che a mamma, papà, Selvaggia, Aida e te… ho paura che possa succedervi qualcosa.
 
-Amore, non puoi vivere nel terrore. Diventi anche ipocondriaca così, e non va bene.
 
-Christian: giurami che starai sempre attento.
 
-Poi sono io quello pesante?
 
-Non prendermi in giro, sono davvero preoccupata.
 
-Te lo giuro, starò attento, non passerò sotto scale, eviterò gatti neri e cercherò di non rompere specchi.
 
-Uno specchio!
 
-Ah?
 
-Uno specchio. Ricordo qualcosa. Ho sognato uno specchio. Era… vecchio? Rovinato, rotto. E mi vedevo grassa, e col viso sfregiato.
 
-Era un incubo, piantala ora.
 
-Hai ragione. Non ha senso tutto questo.
 
-Piuttosto, domenica prossima andremo a pranzo da mio padre: mi ha telefonato stamani per invitarci.
 
-Perfetto! Non lo vedo da così tanto tempo… Sarà un piacere.
 
-Lo sarà sicuramente… Stravede per te.
 
-Stravedono tutti per me.
 
-Stravedono tutti per me!
 
-Che stronzo! A proposito di incontri. Che ne dici se stasera organizzassimo una cena fuori con Aida ed Elettra? Selvaggia non esce da tanto tempo, potremmo andare in un locale intimo, qualcosa di tranquillo, anche fuori città.
 
-Va bene. Prenoto io. Conosco un agriturismo davvero ben fatto.
 
-Non vedevo l’ora di tornare…
 
-Lo so… lo so…
 
-Probabilmente nonna Dalila verrà a trovarci tra una decina di giorni. So che ha litigato con la zia Gloria, dato che lei ha palesemente preso le parti delle nipoti cattive a discapito della cara Shar. Credo voglia venire qui per cambiare un po’ aria, ed anche per dispetto verso loro.
 
-Sei uguale a tua nonna.
 
-Non potevi farmi complimento migliore.
 
-Finalmente potrò conoscerla.
 
-Preparati: sarà il giudice peggiore da convincere.
 
-Ci riuscirò. Ne sono certo.
 
 
NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:
Non ho descritto alcun luogo, né gesto, né espressione. Lascio tutto a libera interpretazione. Seguiranno una cena molto… movimentata, ed un pranzo doloroso. E nonna Dalila rientrerà in scena. A prestissimo! Baciotti, Evanne

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Etichette ***


POV Aida Diado

La osservo. Guarda dritta a sé, ogni tanto incontra lo sguardo di Christian nello specchietto retrovisore e gli sorride. Ha le lunghe gambe accavallate. Mi tiene la mano e sfrega leggera il pollice sulle mie nocche pronunciate. Le nostre pelli sono diverse, la sua è bianca e delicata, spruzzata da lentiggini qua e là, la mia è olivastra, dura, liscia e segnata da nei. Sembriamo Yin e Yang quando ci tocchiamo, ci mischiamo, ci fondiamo. Non saprei dire se stiamo insieme. Credo di sì. Non voglio dire che facciamo solo sesso, non è solo sesso e non è solo amore. C’è qualcosa di più forte che lega me ed Elettra. Dolore? Rabbia? Ho quasi paura nel pensare, alle volte, che a modo nostro sembriamo Eva e Christian. Vicine, troppo, l’una dentro l’altra, in modo quasi violento. Ma leggere da poter voler via in un attimo. Convivo con l’angoscia che lei possa stancarsi di me, possa andar di nuovo via. È Selvaggia Sivi, niente ha il controllo su di lei, ha una vita a Parigi, è tornata ma potrebbe andar via dall’oggi al domani, è una donna ed io sono una ragazzina, attaccata alle mie origini, alla mia terra, alla mia famiglia. Mia madre sembra star bene. Stiamo parlando molto, ultimamente. Non le ho detto che sto con Elettra. Non ci riesco. Non voglio neanche pensare che quelle labbra rosse e carnose, che si muovono sensuali ad ogni parola, qualche anno fa erano posate fameliche sulla pelle di mia madre, tra le sue cosce e sul suo seno, mentre io ero appena una bimba che capiva allora di amare le donne. Di amare la donna, Elettra.
Arriviamo ad un agriturismo fuori città. Eva ha insistito tanto perché uscissimo. Selvaggia non mette il naso fuori di casa da un po’, tranne che per andare a fare casini in Sicilia, ed io le resto accanto. Non mi importa di uscire, sto bene con lei, ovunque, e a casa va benissimo. Scendiamo dall’auto di Christian, continuiamo a tenerci per mano. Christian ed Eva camminano abbracciati, davanti a noi. Io rivolgo uno sguardo ad Elettra.
-Che c’è, bimba?- mi chiede allegra. C’è che vorrei tenerti sotto una campana di vetro, vorrei mostrarti come il gioiello più bello e prezioso del mondo, vorrei che tutti possano ammirare la tua bellezza, ma che io sola possa toccarti, assaggiarti, amarti. C’è che un nervo impazzito in me stuzzica la mia gelosia squilibrata, c’è che stasera vorrei poter urlare che sei la mia donna, la mia fidanzata.
-Ho fame!- le rispondo.

***

La cena si sta svolgendo in modo piacevole. Selvaggia racconta aneddoti divertenti di quando erano piccole, con Eva. Christian ascolta divertito, io sono come ipnotizzata. In realtà conosco già quelle storie. Non solo perchè me le aveva già raccontate Eva, ma perché io c’ero. Ho sempre osservato di nascosto la famiglia Sivi, per quanto a modo mio ne facessi parte, per quanto loro mi accogliessero. Mio padre è sindaco da vent’anni, fin da piccola l’ho vissuto poco, per colpa dei suoi mille impegni. Mia madre ha una galleria d’arte, e solo oggi posso affermare che passava poco tempo a casa perché si divideva tra la galleria e  le sue amanti. Io sono cresciuta in casa Sivi. Ho coltivato la stima  e l’affetto per Riccardo e Sophia, a cui entrambi dò ancora del Lei, nonostante la confidenza, perché si usa così, è una questione di buongusto, rispetto ed educazione, ho coltivato l’empatia con Eva, l’amore per Elettra e, mio malgrado,  una sorta di amicizia cattiva con Christian. Anche lui ha sempre frequentato casa Sivi. La cosa strana è che nonostante le liti con Eva, le violenze psicologiche, le urla, tutto il male, Christian è sempre stato ben voluto in quella famiglia. Gli sono sempre state aperte tutte le porte, c’era sempre un tappeto di rose ai suoi piedi.
Un uomo si avvicina al tavolo, credo sia il proprietario dell’agriturismo. Saluta Christian con una pacca sulla spalla, lui si è alzato e ci presenta.
-Signor Bracci, le presento Eva, la mia fidanzata.
Eva arrossisce lievemente. Immagino che dopo tanto tempo faccia strano sentirsi definire la propria fidanzata. Elettra si alza, e si presenta, mentre l’uomo la guarda compiaciuto. Elettra è bellissima.
-Buona sera, signor Bracci. Complimenti per il locale, davvero delizioso. Io sono Elettra Sivi, diciamo così: la cognata di Christian. E lei… - Mi indica, rivolgendo il palmo della mano verso di me. Mi alzo sorridendo. – Lei è Aida Diado, una nostra amica.
Bracci mi stringe la mano. Più che altro la lascia scivolare nella mia, una di quelle mosse che non si possono definire strette. Il punto però è un altro. Io sono un’amica. Una loro amica. L’amica di Eva, è vero. L’amica di Christian, e qui ci sarebbe da specificare diverse clausole. Ma l’amica di Elettra. No.
Mentre i miei tre compagni chiacchierano benevolmente con Bracci, io sento vorticare nella testa troppi rumori, parole confuse, risate isteriche. Non so come, riesco a sbiascicare qualche parola di congedo e camminando in fretta esco fuori. Accendo una sigaretta, le mani mi tremano. Inspiro. Sono solo un’amica, dunque. Espiro. Io la amo da una vita. Inspiro. Le ho detto che credo d’amarla. Mi ha risposto che lo crede anche lei. Espiro. Ah, la lingua italiana, che terribile presa in giro. Inspiro. Crede anche lei che io sia innamorata di lei. Espiro. Non crede di esserlo di me.
-Aida! Sei qui. Fammi accendere.
È uscita fuori. È dinnanzi a me. È bella.
-Io e te stiamo insieme?- le dico d’un fiato.
-Cosa?
-Hai detto che sono un’amica.
-Che centra, tesoro, mica posso star qui a spiegare alla gente le cose nostre.
-No! E no!- urlo. Non so perché. Urlo. – Cosa cazzo c’è da spiegare? Lo sanno tutti! Siamo nel ventunesimo secolo, cosa cazzo c’è da spiegare? Due donne stanno insieme! Non c’è nulla da spiegare! Perché non hai detto che sono la tua ragazza?
Elettra mi fissa. È fredda. Immobile.
-Non essere stupida. Non fare la ragazzina.
Sento la voce di Eva alle mie spalle. Non capisco cosa dice. Non mi rendo conto ma dico qualcosa di troppo.
-E certo, tu ami le donne, le gran donne, ti sbattevi mia madre, no?
Cala il silenzio. Ho il fiatone. Qualcuno è uscito fuori a vedere cosa stava succedendo. Elettra è sconvolta. Probabilmente se l’accoltellassi non uscirebbe una sola goccia di sangue. Eva ora è accanto a lei. Christian è a qualche passo da lei. Mi fissano tutti straniti. Un po’ mi sento in colpa per quello che ho detto.
-Aida, calmati. Smettila. Non è successo nulla di grave…
Eva mi parla lentamente.
-Perché non ha detto che sono la sua fidanzata?- ripeto debolmente.
-Non c’è bisogno di dare un’etichetta a tutto…
-Parli tu?- le dico, un ghigno mi sfigura il volto, parlo e non riesco a mettere un filtro tra cervello e bocca – Parli tu che per tredici anni hai rotto i coglioni a tutti solo perché questo stronzo ti scopava e non ti diceva che t’ama? Chissà quante se ne sarà scopate, intanto, e quante se ne fa. Ti fidi di lui? Riesci ancora a fidarti di lui?
La guancia mi pulsa. Brucia. Ho delle ciocche di capelli in bocca. Sento il mormorio di gente che rientra nel locale. Rivolgo un ultimo sguardo ai tre. Eva mi guarda e sembra non vedermi. Elettra tiene le mani nei capelli e scuote la testa. Christian rimette la mano madre dello schiaffo in tasca.
-Scusami. Non dovevo. Non dovevo…- inizia. Io giro sui tacchi e vado via.
 
 
NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:
Eccomi! Beh, che dire? Un capitolo raccontato solo da Aida. All’inizio avevo sottovalutato la sua importanza, eppure… Ha detto cose forti, Aida. Ha parlato arrabbiata, la rabbia di chi “sopporta” per anni e poi esplode. In fin dei conti è così: anche i nostri più cari amici, fatta una certa, si rompono di ascoltare le nostre menate, soprattutto se poi quando loro si trovano nella nostra situazione non trovano lo stesso supporto ricambiato. Bene, Christian tira uno schiaffo ad Aida. Elettra tace. Eva idem. Cosa succederà?
Recensite, forza: linciatemi o sorridetemi! Baciotti, Evanne

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Le solite cose ***


Era passata una settimana dalla cena all’agriturismo Bracci. Eva si sentiva spossata. Provava a studiare Farmacologia, ma leggeva nomi, formule, indicazioni e non capiva una sola parola. Le piaceva studiare Odontoiatria, era sempre stata un’ottima studentessa. Eppure, ora, il pensiero di Aida la tormentava. Le parole, la rabbia. Poi lo schiaffo di Christian. Aveva litigato brutalmente con lui, dopo. Aida era andata via con la guancia rossa, camminando veloce sui sanpietrini, aveva chiamato un taxi ed era scomparsa. Letteralmente. Non aveva sue notizie da quella sera, né Elettra l’aveva più sentita e, a dirla tutta, non l’aveva neanche cercata. Eva aveva provato a telefonarle, ma l’apparecchio era sempre spento.
Non riusciva a capacitarsi ancora delle cose udite. Dal modo lucido in cui Aida aveva sputato tali cattiverie. In parte, nel suo cuore, Eva sentiva che Aida aveva ragione, e che lei stessa aveva sbagliato a sminuire la rabbia dell’amica. Capiva, Eva, che non era per niente facile essere in mezzo a sua sorella ed alla sua migliore amica. Ovunque toccasse, avrebbe lasciato il segno, a discapito dell’altra. Erano ritornati a casa in silenzio. Elettra era scesa dalla macchina sbattendo la portiera. Eva era rimasta circa tre ore in macchina ad urlare con e contro Christian.
 
-Le hai tirato uno schiaffo, ti rendi conto?
-E tu ti rendi conto di cosa ha detto?
-LE HAI TIRATO UNO SCHIAFFO!
-HA DETTO CAZZATE!
-QUALSIASI COSA AVESSE DETTO, NON AVRESTI DOVUTO TOCCARLA!
-Non ho risposto di me.
-BENE, NON RISPONDERNE NEANCHE ORA E PRENDIMI A SCHIAFFI!
-NON DIRE STRONZATE, NON DIRLO, IO NON PICCHIO LE DONNE!
-È QUELLO CHE HAI FATTO!
 
Il giorno dopo avevano fatto pace, nonostante il fatto che Eva non avesse ancora accettato lo schiaffo, ed era come se le parole di Aida fossero state dette con una cognizione tale che era spuntato un piccolo dubbio nella mente di Eva. E se Christian la stesse tradendo davvero?
Era inquietata, sentiva sensazioni di disagio nell’animo. Christian le aveva chiesto cos’era ad affliggerla. Se n’era accorto, ovviamente, nonostante lei fosse brava a tener nascosti i suoi pensieri. Lei aveva sussurrato le sue paure e lui si era incupito, poi aveva bestemmiato contro Aida e quella sua lingua maledetta. Poi si erano nuovamente riavvicinati. Christian la toccava come un pianista fa con i tasti bianchi, con forza e passione, e con i neri, sfiorandola delicatamente. Aveva parlato con ogni centimetro della pelle diafana di lei, aveva baciato ogni neo, morso ogni osso. Lei gli aveva graffiato il petto, l’aveva incastrato tra le cosce fino a farsi male da sola, aveva stretto i capelli neri di lui tra le dita, tirandoli leggermente ad ogni spinta.
Era stata volutamente rabbiosa, quella volta, al contrario di lui, dolce come quasi mai, quasi a volerla rassicurare. Lei aveva cercato di lasciargli segni addosso. Ti marchio.
Eva sospirò ripensando a quell’incontro, che era avvenuto poi la notte prima. Si alzò dalla scrivania, chiuse i libri ed i quaderni e li ripose in colonna, ordinandoli per spessore, poi conservò le penne colorate, si stiracchiò ed abbandonò la sua stanza per recarsi in quella di Elettra.
Avevano parlato poco, dopo la cena. Erano entrambe di cattivo umore, ovviamente. Eva bussò alla porta scura e la voce sottile della sorella la invitò ad entrare.
Erano diverse in tutto, persino le loro stanze da letto erano opposte. La stanza di Eva era bianca, in tutto. Il letto a baldacchino era romantico ed elegante, le tende sembravano nuvole, i mobile erano elaborati in decorazioni sontuose. Una sorta di Barocco congelato in fredde strutture bianche. La camera di Elettra era l’esatto contrario: era essenziale, naif, pragmatica, sui toni caldi dei diversi legni combinati tra loro. E le pareti erano blu. Intense. Elettra stava seduta sulla poltrona dinnanzi al letto, con i piedi nudi poggiati al ferro battuto che lo incorniciava.
-Mi spiace…- esordì Eva. Non sapeva bene di cosa dispiacersi, in realtà, ancora.
Elettra la guardò e le sorrise, dolcemente, stanca forse.
-Sai? È uguale a me, quando avevo la sua età. Anche io reagii così con Giulia.
Eva non sapeva cosa risponderle. Elettra ed Aida le avevano raccontato tutto, al ritorno dalla Sicilia. Si era chiesta, Eva, come aveva fatto a non captare nulla. Poi si era risposta che lei era sempre stata occupata a dannarsi per Christian e non aveva mai dato retta al mondo fuori da sé. Ed ora, mentre sua sorella la guardava triste, perché aveva già capito e perdonato la rabbia di Aida, lei si sentiva una cattiva persona, vuota, meschina, egoista, perché non aveva mai davvero apprezzato e capito quanto Aida le volesse bene e le stesse vicino. Allo stesso tempo, combatteva con i sentimenti contrastanti che si era manifestati in lei, dalla notte prima: l’amica aveva puntato il dito contro Christian… sì, ma era solo arrabbiata?
Proprio mentre si perdeva negli occhi scuri ed accoglienti di Elettra, il suo telefono le vibrò in mano e lesse il nome del suo uomo sul display. Salutò, suo malgrado, frettolosamente la sorella, nonostante volesse restare con lei, anche così, in silenzio, e si precipitò al piano inferiore e poi fuori. Era domenica, doveva andare a pranzo dal padre di Christian.
Entrò in macchina, affannata. Gli diede un bacio leggero, poi allacciando la cintura disse che nella busta dorata che stringeva tra le dita era confezionata una bottiglia di vino per suo padre, aveva voluto anticiparlo nel pensiero. Lui la guardava ogni tanto, mentre guidava veloce. Le strade non erano trafficate, era una bella giornata, ma faceva molto freddo. Tra meno di due mesi sarebbe stato natale. Sentiva, vedeva, Christian,  che Eva era agitata. Sapeva che le parole di Aida l’avevano colpita. Non avrebbe mai pensato di tirare uno schiaffo ad una donna. Aida aveva provocato la sua ira. Aveva parlato come se sapesse. Per un attimo aveva avuto paura che Giulia si fosse tradita ed avesse svelato il segreto. Ma aveva subito constato che se così fosse stato ci sarebbero state serie conseguenze. Stefano aveva una relazione con Elettra ed era stato ammazzato. Se Giulia avesse detto anche un minimo ad Aida, probabilmente sarebbero state fatte fuori entrambe. All’istante. Rabbrividì.
-Hai freddo?- gli chiese premurosa Eva.
-Un po’. Andiamo, papà sarà felice di vederti.- rispose parcheggiando l’auto nel cortile condominiale.
Vincenzo li aspettava sul pianerottolo. Quando uscirono dall’ascensore, mano nella mano, lui sentì un senso di orgoglio per suo figlio e quella cara ragazza. Abbracciò il suo ragazzo, poi Eva, li fece accomodare e fece tante domande, chiese ad Eva dell’università, dei genitori, di come aveva intenzione di passare le prossime vacanze natalizie. Mise un cd a far loro compagnia, le melodie di Rava e Bollani li accompagnarono  durante il pranzo. Ascoltava attento la ragazza, ogni tanto guardava Christian e annuiva contento. Mangiarono lentamente, senza fretta, fumando sigari, ridendo perché Eva era disgustata da quel sapore forte in gola. Le ore trascorsero e quando si chiesero che ore fossero, si accorsero che era già sera, e Christian nervoso disse che doveva vedere un cliente per un importante evento. Eva lo guardò intensamente. Era come se lei avesse sentito l’incertezza nella sua voce. Lui mantenne fermo lo sguardo. Dentro scoppiava. Stava mentendo alla donna che più amava. Lo faceva da anni. E stava continuando. Nonostante lei avesse manifestato di essere stata allertata dalla rabbia di Aida.
-Di domenica sera?
Suo padre intervenne facendo una semplice domanda, quella che Eva pensava ma non diceva. Christian disse schiarendosi la voce che sì, di domenica sera, perché il cliente gli aveva chiesto questa grazia e lui era professionale e disponibile.
Eva strinse le labbra e respirò pesantemente. Chiese di poter usare il bagno, solo per allontanarsi un attimo e placare la sua ansia.
Ora, guardando la sua immagine riflessa nello specchio del piccolo bagno, sentì di essere una sciocca. Paranoica. Doveva smetterla. Sentiva le voci di Christian e del padre nel corridoio. Li sentì litigare, abbassare di colpo la voce.
-Tua madre non sarebbe per niente contenta, si può sapere che diamine di lavoro fai?
-Il pr, papà, il pr, quante volte devo dirtelo?
-Senti, ragazzino: a me le cazzate non le racconti, chiaro? Sta’ attento, figlio mio, sta’ attento, perché qualsiasi cosa tu stia facendo, sono sicuro che non è affatto la cosa giusta.
-Ma cosa cazzo ne vuoi sapere?
Eva girò la chiave nella toppa nel modo più rumoroso possibile, per annunciare il suo ritorno da loro. Era visibilmente imbarazzata e scossa. Provò a mascherare il disagio in uno dei migliori sorrisi, ringraziò Vincenzo e seguì Christian in ascensore.
Erano appena usciti dal palazzo, quando Eva si rese conto di aver lasciato la borsa a casa di Vincenzo, e così disse a Christian che sarebbe salita a recuperarla, velocemente, ignorando la proposta di lui di salire al posto suo.
Suonò al campanello, e quando Vincenzo le aprì la porta si pentì di essere tornata indietro. Vincenzo asciugava le lacrime, e più le asciugava più gli scendevano e gli bagnavano il viso segnato da rughe profonde.
In imbarazzo entrò in casa, non sapendo cosa fare o cosa dire. Iniziava a girarle la testa.
-Eva, cara, tu sei tanto bella e tanto buona, salvalo, Eva, salvalo, chè Christian si mette nei guai, io lo so, aiutalo, salvalo!
Eva non riusciva neanche a pensare. Era sconvolta, Vincenzo la stava implorando. Poggiò la mano ad un mobile accanto a lei, e si voltò appena solo per interrompere il contatto visivo dall’uomo. L’ultima cosa che vide, prima di cadere svenuta a terra, fu uno specchio antico, grande, ovale, dalla cornice dorata, scheggiato negli angoli e rovinato dal tempo.
 
 
NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:
Salve! Prima di tutto: Aida, dov’è la cara Aida? Sparisce, nessuno sa nulla, ed Elettra non la cerca, pur riconoscendosi nella reazione della ragazza. Eva è combattuta, inizia ad aver paura e forse a dubitare di Christian. Lui, d’altro canto, ha paura che Aida sappia qualcosa. E scopriamo che anche Giulia è coinvolta nel ‘segreto’ del ragazzo. Non dico altro, altrimenti finisco per fare un auto-spoiler.
Il titolo di questo capitolo è quello di una splendida traccia, nata dalla collaborazione di Enrico Rava e Stefano Bollani, cui mi riferisco nel testo, e di cui vi lascio il link del tubo: http://www.youtube.com/watch?v=2KLsiXfqQls
Baciotti, Evanne.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** L'altra parte ***


L’acqua calda profumata da oli essenziali alla mandorla ed alla vaniglia, le carezzava la pelle chiara. Non sapeva più da quanto tempo era immersa in quel bagno. Teneva la testa inclinata indietro, poggiata sulla testiera in marmo della grande vasca del suo bagno personale. I seni uscivano dall’acqua e si alzavano lentamente ad ogni sospiro che l’accompagnava nei pensieri più disparati. Stava male, non poteva negarlo. Aveva mancamenti da circa dieci giorni, la mattina si svegliava con un forte senso di vomito, e sentiva le forze abbandonarla spesse volte durante il giorno. Il suo essere ipocondriaca le faceva sentire forti fitte alla testa, come in quel momento, ed era quasi certa, senza aver fatto analisi, che avesse un brutto male. Così ad occhi chiusi ripensava agli occhi spaventati di lui, che l’avevano guardata nel momento in cui lei aveva riaperto i suoi, ripensava a Vincenzo ed al suo essersi sentito in colpa di aver fatto agitare la ragazza con il suo pianto. Aveva capito, Eva, lo stato d’animo dell’uomo senza che lui proferisse parola, non davanti a Christian. Lui l’aveva poi riaccompagnata a casa, preoccupato, devoto. Lei, infastidita, senza darlo a vedere, l’aveva mandato via, promettendogli che l’avrebbe richiamato.
Le parole di Aida - Ti fidi di lui? Riesci ancora a fidarti di lui? – poi quelle di Vincenzo -  Christian si mette nei guai, io lo so, aiutalo, salvalo! – l’avevano completamente coinvolta, al punto tale che non voleva vedere il ragazzo, non voleva sentirlo, voleva stargli lontana. Egoisticamente, per paura di dover dare ragione a quegli  avvertimenti più o meno veritieri.
Scivolò lentamente nell’acqua, fino a scomparire sotto la sua superficie, mentre la mano destra si portava in lei, ad amarsi, quasi a volersi rassicurare da sola, al meglio.
 
***
 
Bendato, sentiva altre pelli sfregarsi con la sua. Sentiva una bocca assaggiare la sua intimità, sentiva mani sfiorargli il petto, un’altra bocca passargli sapori ed umori diversi nella sua. I polsi stretti in una morsa violenta e sensuale, le mani aperte, e le dita affusolate tese ad afferrare l’aria calda di sospiri e gemiti. Gli piaceva. Gli piaceva tutto: gli piacevano le mani, le bocche, le lingue, le parole sussurrate maliziose da un orecchio all’altro, gli piaceva fare sesso ed essere pagato per farlo. L’altra parte di sé, quella che era disgustosa alla luce del sole, affamata di umori proibiti, eleganti, sbagliati, quella parte che credeva di odiare ma che, ogni volta che si manifestava, lo faceva sentire potente, desiderato, indispensabile. Col tempo aveva capito di amare quello che faceva, di desiderare la sua clientela, di provare piacere ad ogni amplesso ottenuto e regalato.
Non esisteva Eva, in quei momenti, perché suo malgrado, l’eccitazione provata con il suo lavoro non la provava con lei, perché lei era disinibita, ma pulita. E lui era malato e disgustoso, ed amava ogni cura alla sua malattia, ogni dipendenza creata da labbra calde che non fossero quelle di Eva. E tutto questo lo pensava mentre, bendato, si muove dentro un corpo, mentre un'altra lingua gli carezzava il palato. In quei momenti, Christian, amava il sesso più di quanto amasse Eva. Solo dopo, si sentiva sporco. Ma, maledetto, eccitato nel sapere che ci sarebbe stato un seguito.
Veniva violentemente, mosso da spasmi, da sospiri rauchi.
Una voce bassa, che ormai conosceva bene, la voce che gli telefonò anni prima, la voce che aveva pronunciato la condanna a morte di Stefano, la voce che più lo eccitava e più lo terrorizzava, gli sussurrò all’orecchio:
-Cosa diceva Woody Allen? Il sesso è sporco solo se è fatto bene…
Christian mise a fuoco le labbra carnose davanti a sé, quando quelle mani gli tolsero la benda. La persona si sdraiò sul letto ormai sfatto, mentre l’altra, sazia ma ancora per poco, accendeva uno spinello.
Il ragazzo si sdraiò sulla persona e la baciò con rabbia e passione, non più attratto dai soldi, quanto da quel corpo in sé.
 
 
NOTE DELLA (PSEUDO) AUTRICE:
Ehm, in realtà mi imbarazza molto scrivere da Evanne, adesso. Non sono brava con le scene di sesso, ma almeno una di Christian dovevo scriverla, per spiegare che a lui in fondo piace fare il gigolò. Eva è ipocondriaca e… chissà? Lascerà Christian?
A presto, Ev.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Password ***


Dicembre era cominciato con violenti acquazzoni. Era passato circa un mese dalla cena in cui Christian le aveva tirato uno schiaffo. Non aveva sentito più nessuno di loro, aveva spento il cellulare e non era uscita più da casa. Quasi colpevole, quasi si vergognasse. La rabbia aveva lasciato posto al dolore. Le mancava Elettra, la bella Elettra, la dolce e forte Elettra. Le mancava di più Eva, la sua Eva, l’amica di una vita. Christian si era rivelato uno stronzo, come già credeva da anni. Sperava solo che non avesse mai dato un ceffone ad Eva. Quello che non sapeva, Aida, era che non le percussioni fisiche avrebbero fatto del male alla sua amica. No, quelle non c’erano. Ma c’era di più, c’era di peggio.
Sua madre era semisdraiata sul divano di pelle, nel grande salotto luminoso, sorseggiava una tisana e quando la vide entrare, le rivolse un gran sorriso.
-Ciao tesoro. Vuoi qualcosa?

Vorrei scoppiare a piangere ed ammettere che mi mancano le ragazze disperatamente, vorrei dirti che amo la donna che anni addietro è andata via per te, vorrei che la paura che ci sia qualcosa di strano in Christian sia solo un film inquietante nella mia testa. Vorrei abbracciare Eva e dirle quanto bene le voglio, ché non gliel’ho mai detto, vorrei abbracciare Elettra e dirle che l’amo in un modo talmente silenzioso, da sempre, ché non c’è più bisogno di dirlo, ma solo di guardarla. E vorrei abbracciare te e sentirmi dire che va tutto bene, che troveremo una soluzione, che sono la tua piccola principessa e che mi ami.

-No, mamma, sto bene così.
 
***
 
Christian le dormiva accanto, nel letto dalle lenzuola nere. Piano, lei scivolò via, e lui grugnì e si voltò dall’altra parte, affondando il viso nel cuscino. Avevano fatto l’amore tutta la notte e poi avevano parlato fino ad addormentarsi, due ore prima. Lei aveva un ritardo. A lui non l’aveva detto. Ed aveva la certezza di aspettare un figlio. Non aveva ancora fatto un test di gravidanza, ma il malessere che l’accompagnava da quasi un mese, ormai, ne era prova inconfutabile. Tra le mille parole, lei gli aveva chiesto, birichina, se un giorno lui l’avrebbe sposata. Lui l’aveva guardata con una devozione tale da farla rabbrividire, e le aveva promesso un matrimonio, una vita, dei figli. Lei aveva poi sospirato di sollievo. Almeno, quando gli avrebbe detto di essere incinta, lui ne sarebbe stato felice. Non era quello che voleva?
Raccoglieva le sue cose, sparse per casa, mentre sentiva il respiro di lui tornare regolare e pesante. Lui aveva captato le ansie di lei, dopo le parole di Aida ed il pranzo con Vincenzo. L’aveva rassicurata, era stato presente, era stato pacato. E lei era ricaduta, nonostante volesse lasciarlo per paura di un punto interrogativo in aria. Era caduta di nuovo, per lui, perché in lei c’era un figlio suo. Era bastato accorgersi di avere un ritardo e ricollegare i tasselli per capirlo. Certo, non gli aveva detto nulla. Ma oggi avrebbe fatto il test e stasera, a cena, gliel’avrebbe detto. Erano appena le otto del mattino, fuori pioveva, lei distratta prese le chiavi della sua Mercedes, una sciarpa, degli occhiali. E non si accorse di afferrare una chiavetta usb tra le cose e di lasciarla cadere nella sua borsa grande. Christian dormiva. Lei stava andando in farmacia. Spense il cellulare, come da tradizione: era il giorno del compleanno di Eva, e da sempre, lei e Christian non si sentivano fino alla sera, quando si incontravano davanti ad una piccola chiesa e lui le portava un’orchidea. Anche quell’anno avrebbero rispettato la tradizione.
Era felice, Eva. Forse come non lo era mai stata. Mancava solo Aida. Terribilmente Aida. Guidava, persa nel traffico mattutino, e pensava alla sua amica, al fatto che non la sentiva né la vedeva da troppo tempo. Pensava a come sarebbe stata complice nell’accompagnarla in farmacia. Parcheggiò, prese il telefono dalla borsa, lo riaccese un attimo e le scrisse un sms veloce, pur sapendo che l’amica teneva il telefono spento. Scese austera dalla bella macchina, ancheggiando si diresse in farmacia.
 
***
 
Non sapeva bene cosa la spinse  farlo, ma dopo un mese, circa, accese il cellulare. Le arrivano tantissimi sms in cui veniva avvisata di essere stata cercata da Eva. Sentì un morsa premerle lo stomaco. Mentre scorreva sul display, una musichina le annunciò l’arrivo di un sms di quel preciso momento.
“Ti voglio bene, sono incinta!”
Aida spalancò la bocca, poi la richiuse, poi la spalancò nuovamente. Eva mancava di tatto, certe volte, ma questa era sicura fosse una scusa per convincerla a risponderle. Arricciò le labbra in un sorriso, e le scrisse:
“Buon compleanno!”
Non voleva darle la soddisfazione. Sapeva che aveva una tradizione con Christian, ogni anno per il suo compleanno, e quella sera, decise, si sarebbe presentata anche lei davanti la chiesetta, non con orchidee, ma con il cuore in mano.
 
***
 
Nonna Dalila le rivolgeva uno sguardo compiaciuto. Che bella, sua nipote. Una donna davvero affascinante, con qualcosa di selvaggio, come il suo soprannome. La criniera rossa, forse, gli occhi in fiamme, le labbra che parevano insanguinate. Eppure, ogni tratto violento era armonico. Le stava raccontando di una ragazzina, Aida, di una lite avvenuta un mese prima. L’anziana donna ascoltava, apprezzava le movenze, le parole e le idee della nipote maggiore.
-Oggi è il compleanno di Eva, poi, io non saprei, davvero…
-Va’ da lei, tesoro.
Elettra rimase stupita. Sua nonna l’aveva ascoltata in silenzio, e solo ora parlava. Andare da lei. Da Aida. Significava bussare ad una porta ben conosciuta e magari guardare Giulia, prima di sparire in camera di Aida.
La nonna si alzò lentamente dalla poltrona grande e sontuosa del salotto di casa Sivi. Attraversò la stanza, ed Elettra non poté che riconoscere nella donna un’eleganza e un portamento regale e d’altri tempi. Dalila uscì dalla stanza in silenzio, e si ritirò nella sua stanza, a scrivere lettere d’amore ad un destinatario segreto, al suo Pierre segreto.
 
***
 
I suoi stavano lavorando. Sua nonna era uscita con la scusa di fare un giro per negozi, lasciandosi accompagnare da Maria, la cameriera, ma lei sapeva che in realtà sarebbe andata ad imbucare le lettere che scriveva ogni giorno. Elettra era sparita. Non aveva idea di dove fosse. Di Christian alcuna notizia, ma era parte del gioco. Aida le aveva risposto. Non le aveva creduto, probabilmente. La cosa che Eva non capì, fu il perché finalmente Aida aveva il cellulare acceso e perché si era limitata ad un convenevole.
Era passato adesso un minuto. Sospirò, abbassò lo sguardo sull’apparecchietto posato sul marmo chiaro.
Positivo. Non ne fu sorpresa, né felice. Sapeva di essere incinta, quella era solo la conferma. Prese il test, lo pulì delicatamente e tornò in camera sua.
 
***
 
Suonò al campanello. E fu proprio Giulia ad aprirle la porta. La donna fu attraversata da un insieme di emozioni. Elettra la riconobbe stanca, abbattuta, dimagrita. Ma sempre molto bella.
-Ho bisogno di vedere Aida.
Giulia la fissò intensamente. Poi si fece da parte, la fece entrare, e con un cenno della mano le indicò il corridoio.
Camminava velocemente. Conosceva bene quella casa. Bussò con le nocche bianche alla porta della stanza di Aida. La voce acuta della ragazza la invitò ad entrare. Quando Elettra aprì la porta e si rivelò ad Aida, sentì il cuore scoppiarle in petto. Aida la guardò sgranando gli occhi già grandi. Lei era qui. Nonostante Giulia, nonostante i silenzi. Elettra era davanti a lei.
Stava ascoltando Purple Rain, e la voce di Prince stava cantando:
-I think you better close it, and let me guide you to the purple rain.
Non parlarono. Elettra voleva, doveva, dirle che l’amava. Eppure quasi spinte dalla melodia, quasi libere nella melodia, presero ognuna il viso dell’altra nelle mani tremanti e si scambiarono il bacio più dolce e disperato che mai avessero dato in vita loro, amandosi solo così, scambiandosi le lacrime e sorridendo nelle labbra dell’altra.
Giulia, in salotto, sorrise, amara.
 
***
 
Stava cercando di sistemare il caos nella sua borsa troppo grande. Mentre imprecava alla ricerca di un rossetto disperso, le sue dita afferrarono un piccolo oggetto. La chiavetta usb di Christian. Sbuffò, scocciata, più che altro perché non si trattava del suo rossetto e pensò che avrebbe dovuto rimetterla poi al suo posto (ma quale posto? Chissà come aveva fatto a prenderla lei ed in quale parte della casa) facendo in modo che Christian non se ne accorgesse. C’erano sicuramente documenti di lavoro, al suo interno. Per un attimo Eva fu tentata di telefonargli ed avvisarlo, ma poi fece spallucce, egoista.
Mentre il silenzio di casa Sivi la proteggeva dai lampi violenti di quel giorno tempestoso, senza rendersi quasi conto dei propri movimenti, sedette davanti al computer di ultima generazione, inserì la chiavetta ed alzò un sopracciglio quando le venne richiesta una password per accedere ai documenti.
Christian la tirava troppo per le lunghe, non c’era dubbio. Provò, egocentrica, ad inserire il suo nome, poi la sua data di nascita, poi il nome della madre di Christian, ma nessuna delle sue idee equivaleva alla password.
Che poi, a lei neanche interessava del lavoro di Christian e di noiosissimi documenti burocratici. Ma per principio, adesso, voleva leggerli, guardarli, studiarli.
Le venne in mente un giorno di tanti anni prima.
 
Sono divisi a coppie, e fanno questo stupido gioco. Lei e Christian giocano contro due loro compagni classe. Hanno un’ora di buca. Il gioco in realtà consiste nell’indovinare le password degli altri. Appunto, un gioco stupido.
Christian le sussurra:
-Vuoi sapere qual è la password a cui mai nessuno pensa?
Eva, scocciata, lo guarda in attesa di delucidazioni.
 
Batté sulla tastiera del computer la parola password. Come immaginava. Christian non era cambiato proprio per niente.
Il contenuto della chiavetta  consisteva in un’unica cartella. Senza nome. Eva l’aprì. In lei un piccolo senso di ansia. Diede la colpa alla nausea. Insomma, era incinta!
Erano almeno una decina di video. Cliccò su uno, il primo, curiosa.
Non sapeva a cosa pensare. Non sapeva se urlare. Non sarebbe riuscita più a proferire parola. Sentiva girarle la testa. Le mancava il respiro. Probabilmente aveva un attacco di panico. Non riusciva a distogliere gli occhi dal corpo di Christian che faceva sesso con una persona. E lei conosceva quella persona.
 
NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:
Eccomi quiiiii! Aggiornamento in extremis. Non voglio dire nulla, solo che questo è il terzultimo capitolo. Seguirà un penultimo DIFFICILE (ci sto pensando da mesi) ed una Point of View che mi angoscia al sol pensiero. Ah, ed un epilogo in cui svelerò le sorti dei personaggi. Baciotti a tutti! Ev.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Ora - Parte seconda ***


Oggi non piove più. Il vento ha cessato la sua violenta corsa nell’aria, e fa freddo, tanto freddo. Il paesaggio sembra essere stato devastato da fiamme, prima, da un incendio, e poi da un terribile acquazzone.
Eva è morta. Eva si è uccisa. Il suo corpo è stato ritrovato il mattino dopo. Christian l’aspettava davanti la piccola chiesa, tenendo stretto un ombrello ed un mazzo di orchidee. Non ha visto arrivare la sua Eva, ma Aida ed Elettra. Hanno parlato, urlando sul rumore incessante della pioggia. Hanno aspettato. Poi Elettra ha iniziato a preoccuparsi, ed hanno chiamato i coniugi Sivi, poi la polizia. Poi, dopo ore, la polizia ha chiamato loro.
Si è uccisa, Eva, e nessuno sa il perché.  La bella Mercedes, per un caso fortuito del destino, non ha preso fuoco. Il corpo di Eva era, più o meno, intatto. L’autopsia ha accertato che non fosse sotto l’effetto di stupefacenti, che non avesse ingerito alcolici o psicofarmaci, o medicinali. L’autopsia ha accertato che Eva aspettasse un figlio.
Il prete parla e prova a spigare spiritualmente il senso di un gesto così estremo. Cosa c’è da spiegare? Nessuno sa, nessuno può dire, nessuno saprebbe mai soffrire come lui, in quel momento. La bara scura viene lentamente accompagnata in fondo alla terra scavata.
C’è tanta gente, che resta un passo indietro. Silenzio. Solo silenzio. Solo le preghiere del prete.

Nonna Dalila piange in silenzio, supplica affinché possa morire anche lei, stanotte, ché mai più avrà gioia di vivere, mai più vedrà la sua Eva. Pierre, arrivato questa mattina dalla Sicilia, la sorregge come fece anni prima al funerale di Ugo. Ma il peso di questo dolore è insopportabile ed insormontabile.

Sophia è sotto forti calmanti. Sembra invecchiata di colpo. Un velo di pizzo nero le copre la testa. Le copre le chiazze di pelle, da cui ha strappato i capelli biondi alla notizia della morte della sua bambina. Gli occhi vitrei, spenti, immobili.

Riccardo ha il volto rigato di lacrime. Deturpato dalle lacrime. Le mani distrutte dai pugni tirati alle mura dell’ospedale. Lo stomaco stretto nel dolore. La vita distrutta. Non ha più senso.

Aida si dondola. Guarda il cielo. Trema e piange, in modo più rumoroso degli altri. I sensi di colpa le violentano i pensieri: non l’ha più vista, Eva, non la vedrà più. Non le ha detto quanto bene le volesse. Eva è morta ed Aida era lontana da lei.

Christian tiene la testa china. Gli occhi chiusi. Straripanti di dolore. Eva era incinta. Aspettava un figlio suo. Eva non c’è più. C’è sempre stata ed ora non c’è più. Ha paura di sapere perché si è ammazzata. Ma come poteva saperlo, come poteva, Eva? È colpa mia, si dice, avrei dovuto proteggerla.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue. 
 
Sussurra tra le lacrime.
Un urlo squarcia la commozione.

-L’HAI AMMAZZATA TU! SEI STATO TU! HAI AMMAZZATO ANCHE STEFANO! È COLPA TUA!

Elettra, come in preda ad una crisi isterica, accasciata a terra, urla, grida, strilla, afferra la terra bagnata con le mani e la strige, solo dopo aver sentito i sussurri di Christian. Qualcuno cerca di calmarla, lei si dimena, continua ad urlare ed a piangere.

-NON C’È, NON C’È, NON HA PIÙ SENSO, L’HA AMMAZZATA LUI, LUI LO SA, LUI SA TUTTO!

Christian si sente investito dalle parole. Ed è vero. Lui sa tutto, sa di Stefano. Immagina che Eva abbia scoperto tutto. È Colpa sua, e lo sa.
Intanto la bara viene coperta dalla terra. Il prete non parla più, i singhiozzi disperati di Elettra coprono la funzione.

Un uomo si avvicina a Riccardo, e lui stanco di ringraziare per condoglianze che non vuole, lo guarda appena.
-Dottor Riccardo Sivi. Sono il Commissario Pugliese, la dichiaro in arresto per l’omicidio di Stefano Greco.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Via di qui ***


http://www.youtube.com/watch?v=LYEjffrFm3c

Mi chiamo Riccardo Sivi, ho cinquantasette anni ed ho ucciso mia figlia e prima di lei il mio migliore amico.

Tutto è iniziato quando ho scoperto, anni fa, che mia figlia, la maggiore, Elettra, aveva una relazione con un’amica di famiglia, Giulia.
Fin da piccolo sono cresciuto con l’idea, inculcatami dalla mia famiglia, che il sangue è sacro e che bisogna essere all’altezza per entrare a far parte della vita delle persone. Nessuno può  arrivare senza preavviso e complicarti la vita, nessuno deve farti del male, e nessuno può poi lasciarti a soffrire come un cane, da solo.

Bisogna essere all’altezza anche solo di fare una carezza.

Siamo la ricchezza più grande per noi stessi, e fino a quando non sappiamo proteggerci da soli deve esserci qualcuno a farlo per noi.

Scoprii di Elettra e Giulia, non sto qui a dirvi come, e minacciai Giulia di allontanarsi da mia figlia, a costo di ammazzare la sua. Non poteva denunciarmi, Giulia, non doveva, perché la paura blocca le persone, le terrorizza al punto di tacere e far finta di niente. Non so bene come fece, Giulia, ma nel giro di qualche tempo mia figlia andò via. Era il prezzo da pagare, averla lontana da me per un po’, ma degna e pulita, fuori ogni pericolo. Donarsi alle persone è il pericolo più grave che si possa correre.

In quegli anni acquistai sempre più potere nell’élite cittadina, e fondai un club segreto fatto di passioni, desideri, ambizioni, dove ognuno manteneva i segreti dell’altro e giurava di aiutarlo in qualsiasi situazione: massima segretezza, pena la morte delle persone più care a loro.

In realtà non ho mai pensato di uccidere qualcuno, ma il fatto di tenere le redini con le parole mi faceva sentire quasi un dio.

Avevo ai miei piedi le personalità più influenti della Regione, e non ci guadagno soldi, assolutamente, sono già ricco: ci guadagnavo il rispetto, l’accondiscendenza, l’ammirazione di chi non sapeva e mi vedeva così affermato.

Ad un aperitivo con alcuni dei miei compagni si pensò a favori sessuali che avrebbero allietato le nostre giornate, favori che dovevano essere svolti da qualcuno estraneo al nostro mondo, ma che sarebbe stato poliedrico, a qualcuno che avrebbe fatto del bene a noi uomini, in modo tale da incrementare il nostro ego e le nostre manie di possesso e controllo, e del bene alle donne, in modo da deliziarle e viziarle, senza vincoli.

Avremmo pagato profumatamente.

Un giorno, mentre pensavo a chi avrebbe potuto indossare le vesti del nostro amatore, o della nostra amatrice, mi affacciai dal terrazzo del mio studio, a Villa Sivi, ed il sole di maggio illuminò dolcemente la stretta treccia bionda della mia Eva, la quale stava dando un leggero bacio a stampo, quasi di fretta, a quel ragazzo, Christian. Lui indossava una camicia bianca leggermente sbottonata, aveva i capelli scompigliati, gli occhi socchiusi, un sorriso allegro, ed esprimeva devozione per mia figlia in ogni gesto, ad ogni respiro.

Era bello, molto. Fu in quel momento che mi resi conto di provare eccitazione nel guardare quel ragazzo. Non ci pensai due volte e convocai i miei compari e le mie comari ed esposi loro l’idea di avere Aresi, per noi.

Immaginai che all’inizio furono interdetti, anche se non lo dissero. Molti di loro erano amici di famiglia, e sapevano che Christian aveva un rapporto speciale proprio con mia figlia. Giulia ne parve quasi stizzita, inizialmente: aveva lasciato a malincuore Elettra, lo sapevo.

Finalmente giungemmo alla conclusione: Aresi sarebbe stato il nostro compagno e l’avremmo pagato profumatamente, gli avremmo reso tutti gli agi, sarebbe stato protetto sotto una campana di cristallo. Mi sarei occupato personalmente di lui, la prima volta.
Gli telefonai, gli esposi la proposta, minacciandolo. Non avrebbe dovuto negarsi.

Era sì il modo di sentirmi superiore, di sottomettere qualcuno, ed altresì il modo di vedere fino a che punto il ragazzo amava la mia bambina.
Nessuno ha il diritto di entrare nelle vite delle persone e far loro del male.

Sono passati anni. Tutto procedeva bene. Fino a quando Giulia ha scoperto che Stefano, il mio migliore amico, aveva una relazione con la mia Elettra. Probabilmente Giulia lo ha accusato per vendetta. Prima l’ha fatto parlare, e gli ha strappato anche quelle parole in cui diceva che Elettra l’aveva visto puntare una pistola a Christian, prima di pagargli l’ultimo sesso della giornata. Poi è venuta da me, con una registrazione. Ed io, tradito proprio da lui che sapeva quanto volessi proteggere le mie ragazze, quanto mi fosse costato far soffrire Elettra per mano di Giulia pur di salvarla, l’ammazzai.

Piansi, soffrii. Seppi che quello sarebbe stato l’inizio della fine. Sapevo solo che Elettra non avrebbe detto nulla, non avrebbe parlato di Stefano, né dell’episodio di Christian.

La paura è il segreto inconfessabile di ognuno di noi.

Poco tempo dopo, Eva, la mia Eva, si è ammazzata. Nel mentre gli inquirenti mi hanno scoperto. Non aveva più senso per me. Volevo salvarla, volevo salvare Elettra, e le ho distrutte.

Una chiavetta usb è stata trovata nella borsa di Eva. È stata analizzata, e c’era al suo interno tutto ciò che bastasse per arrestare me per omicidio  e favoreggiamento alla prostituzione, Christian, Giulia e diverse altre persone per favoreggiamento alla prostituzione e omissione di denuncia nei miei confronti. Siamo tutti coinvolti, e nessuno si salverà.

Nemmeno le mie bambine, le uniche, vere vittime.

L’ho fatto per amore. Per amor proprio, per amore delle mie figlie.

Non ho più me stesso, né loro.

Vorrei solo chiudere gli occhi e non aprirli più.

Ma la beffa della vita sta proprio in questo: non morirai dopo aver seminato dolore, anzi, ogni notte ti addormenterai e le immagini della disperazione di distruggeranno, al punto tale di spalancare gli occhi nel buio. Non gioirai nel svegliarti, nel vedere bianco dopo il nero: non lo farai, perché la tua condanna sarà proprio svegliarti ogni giorno, nonostante desideri morire.

La tua condanna è vivere dopo aver ammazzato ciò che ti manteneva in vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Epilogo ***


La stazione è il posto più triste del mondo. Ne è sempre stata cerca. Sta scappando. Come anni prima ha fatto l’amore della sua vita.
Aida non ha più voglia né motivo di restare. Qualche settimana fa la sua migliore amica è morta, si è uccisa, sua madre è stata arrestata, suo padre è caduto in depressione ed ha iniziato a bere troppo. Elettra è andata via. Di nuovo. Con Sophia. Per sempre, stavolta. Sono tornate in Grecia. Con gli occhi vuoti e la vita a pezzi.
Nell’arco di qualche giorno è cambiato tutto.
Quello che la tormenta è non aver mai detto ad Eva che le voleva bene, che le vuole bene.
Sale sul treno, non sa dove andrà.
Non ha più senso, non ha più la sua compagna di vita.
 
-Aida tu che vuoi fare da grande?
Aida guarda la bimba bionda che si dondola sull’altalena nel posto accanto al suo.
-Voglio fare l’attrice! E tu cosa vuoi fare, Eva?
-Io voglio restare.
Aida non la capisce, piuttosto scende dall’altalena e va a sedersi sotto un salice piangente.
Eva la raggiunge e le dice:
-Voglio restare sempre con te!
-Si dice stare, non restare.
-No, io voglio proprio restare. Non me ne voglio andare.
 
 
NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:
Non parlo giuro, voglio solo ringraziare le mie Uniche che, senza saperlo, hanno messo in moto il mio neurone, insegnandogli una nuova coreografia!

Grazie a chi ha letto e recensito!

A Federica, questa storia è per lei.
Ev.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2050301