New generation.

di Birra fredda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La mia vita non è normale. ***
Capitolo 2: *** School. ***
Capitolo 3: *** Flashback. ***
Capitolo 4: *** And I'm not scared. ***
Capitolo 5: *** Awake and aware. ***
Capitolo 6: *** Flashback (2) ***
Capitolo 7: *** You're so far away. ***
Capitolo 8: *** Ci fidavamo di voi! ***
Capitolo 9: *** Love is love. ***
Capitolo 10: *** I'm not insane! ***
Capitolo 11: *** Vado via. ***
Capitolo 12: *** so close no matter how far ***
Capitolo 13: *** Grandpa. ***
Capitolo 14: *** We are only teenagers! ***
Capitolo 15: *** A downright lie. ***
Capitolo 16: *** What a mess! ***
Capitolo 17: *** WTF...!? ***
Capitolo 18: *** Trasferirmi? ***
Capitolo 19: *** Hurts. ***
Capitolo 20: *** OH MY GOD. ***
Capitolo 21: *** They saved him. ***
Capitolo 22: *** Un'idea un po' malsana. ***
Capitolo 23: *** Promise me you'll never feel afraid. ***
Capitolo 24: *** I'm in a fucking coma? ***
Capitolo 25: *** Brothers. ***
Capitolo 26: *** I need to talk to you. ***
Capitolo 27: *** Oh, Jimmy... ***
Capitolo 28: *** I am home. ***
Capitolo 29: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** La mia vita non è normale. ***


Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

La vita normale non è per tutti. Con vita normale intendo un qualcosa tipo: genitori rompiscatole, non permissivi, che credono i figli adolescenti dai santerelli del sabato sera, scuola odiata, professori visti come satana, compagni di classe con cui combinare solo guai, tanti trip in testa, escogitare modi per andare alla festa del secolo senza dire nulla ai genitori o mettere da parte dei soldi per il nuovo tour degli U2.
Ma io mi chiamo Nicole Haner mica per nulla, eh. E sono la figlia di Brian Elwin Haner Jr., meglio conosciuto come Synyster Gates, chitarrista degli Avenged Sevenfold, mica per nulla.
La mia vita non è normale, e proprio non so come potrebbe esserlo.
Mio padre non mi rompe i coglioni, mi lascia assoluta libertà. Fumo, lo sa e ogni tanto mi offre anche qualche sigaretta. Sa che non mi piace un granché la birra, ma di Heineken ne berrei fino a star male. Ogni tanto io, Connor, papà e Johnny ci scoliamo diversi –troppi, probabilmente- drink a casa del nano e solo per il gusto di ridere a crepapelle senza motivo.
Non odio la scuola, è così divertente far uscire di senno i professori che non riesco a vedermi a casa a cazzeggiare. E per mio padre questo non è un problema. Non vuole che mi metta in mezzo a risse, o, ancora peggio, che sia io a scatenarle. Ma non mi lancia occhiatacce dinanzi all’ennesimo quattro in chimica o al comportamento.
Ho un gemello, che è identico a me in tutto e per tutto. Si chiama Connor, è più grande di me di 10 minuti ed è adorabile. Connor e io non siamo come i fratelli che litigano spesso e che si prendono a pugni, ci adoriamo. Io proteggo lui, lui protegge me. Quando sono in procinto di vomitare, durante una delle mie epocali sbronze, voglio solo lui al mio fianco. E viceversa. Combiniamo casini a scuola sempre insieme, il sabato sera usciamo con la stessa compagnia.
Ci compensiamo, noi due. Abbiamo quel rapporto che si può avere solo tra gemelli.
Siamo identici non solo caratterialmente, ma anche fisicamente: stessa altezza appena più elevata della media, stessi occhi enormi color cioccolato contornati da lunghe ciglia, stesse labbra sottili, stessi lineamenti da ribelli.
Siamo tali e quali a nostro padre, e io ho il fisico snello e ben proporzionato di mia madre. E sì, sono particolarmente bella. Non che la figlia di Michelle e Brian Haner potesse nascere brutta, insomma.
Poi ho anche un fratello maggiore di un anno. Jimmy ha diciassette anni e tante, tante, tante, paranoie in testa. Jim è molto diverso da me e Connor, che ci mettiamo sempre nei guai e non riusciamo proprio a starcene buoni al nostro posto. Jim è più chiuso, riservato, apprensivo. Jimmy è il tipo di ragazzo che all’inizio di una festa alla quale sa che mi ubriacherò fino a non reggermi più in piedi mi dice che se ne laverà le mani, ma poi mi viene a recuperare e mi porta a casa.
Non so proprio come sia venuto fuori, a dire il vero, però quando ho un problema lo adoro follemente. È l’unico con cui posso parlare senza ricevere commenti poco piacevoli o senza essere scrutata come se fossi un’aliena, lui se ne sta zitto, lascia che mi sfoghi e, infine, dà ottimi consigli.
Jimmy è l’unico tra di noi a non aver ripreso i lineamenti del viso di papà, a parte il naso (fortunatamente!). Jimmy ha le labbra più carnose di noi, gli occhi più chiari e allungati e la faccia più piatta.
Ci vogliamo bene, tra fratelli. A parte qualche normalissima litigata piena di urla così forti che papà deve minacciarci per farci abbassare il tono, andiamo molto d’accordo. Passiamo insieme molto tempo, soprattutto a suonare e andare in giro.
Papà non è proprio come i fan lo immaginano: strafottente, arrogante e lunatico. Se vuole può essere davvero stronzo, ma con noi non ha mai fatto così. Papà è un simpaticone, uno di quelli che ti tira fuori dai guai ed evita di farti la ramanzina, uno di quelli che ha sempre la battuta pronta, che dice un sacco di parolacce e quando smadonna all’improvviso ti fa piegare in due dal ridere.
Bé, egocentrico lo è. Adora stare al centro dell’attenzione e curarsi. Si pavoneggia spesso vantandosi di essere il chitarrista più bravo del mondo (cosa che io ritengo di dubbia realtà, ma meglio non farglielo sapere), gli piace un sacco ricevere complimenti per i capelli perfetti o per la maglietta sexy.
Papà è il tipo di persona che sembra menefreghista e maleducato, ma che sa scoprire un cuore d’oro. Prima di metter su famiglia, so benissimo che non era proprio un santarello. Non che ora lo sia, certo, ma è migliorato un sacco.
Papà beve tanto e fuma venti o venticinque, trenta quando è incazzato, Marlboro rosse ogni giorno. È il tipo di padre che quando viene a scuola dopo l’ennesimo richiamo a me o a Connor (o a entrambi, il che è più probabile dato che stiamo sempre insieme) è capace di dire alla preside: “davvero mi ha fatto interrompere le prove solo per dirmi che hanno mandato a fare in culo l’insegnante di matematica? Io facevo molto peggio! E poi, diciamoci la verità, la matematica non serve proprio a un cazzo”.
Mamma, invece, è proprio come uno si immagina una mamma. Protettiva, ti fa una predica lunga qualche ora quando fai qualche danno, ti riempie di raccomandazioni. È molto dolce con tutti noi e fa sempre in modo che a nessuno manchi nulla. Lei, a differenza di papà, ci tiene ai voti scolastici e per questo elogia sempre Jimmy alla fine di ogni anno scolastico. Inoltre, quando papà è così occupato da non poterci venire a recuperare a scuola e ci viene mamma, la donna è tutt’altro che docile.
Ha solo una fissa, che io non sopporto proprio: le scarpe. Ne ha così tante che davvero non so come riesca a sceglierne un solo paio quando deve uscire! Scarpe col tacco di ogni dimensione, zeppe, stivali estivi, stivali pesanti, stivaletti, scarpe da tennis, Converse, Superga di vari colori, sandali, infradito, ballerine; ogni tipo di quelle maledette scarpe affollano lo sgabuzzino. Sì, le teniamo nello sgabuzzino, che non riesce a contenere altro.
Avete presente la disperazione del tizio della pubblicità di Zalando.it?, mio padre è uguale.
Comunque sia, difetti o no, adoro la mia famiglia.
Ma la anormalità non si ferma qui, cari miei. Ci sono i miei zii: Matt e Valary. E i miei cugini: Alicia, di diciotto anni, e Nathan James, di quattordici anni.
Matthew Charles Sanders, meglio conosciuto come M. Shadows, cantante degli Avenged Sevenfold, zio per me, è pura dolcezza. Del gruppo, è quello che resta sobrio, quello che si occupa un po’ dei drammi di tutti, quello che ti abbraccia se ti vede in difficoltà, quello che nonostante la stazza da armadio se sorride scopre due fossette meravigliose. Zio Matt è quel tipo di persona di cui le adolescenti si innamorano al primo sguardo, ha -come dire?- una bella personalità. È dolce e protettivo quando c’è bisogno di esserlo, con Alicia fin troppo, è serio al punto giusto e sa essere simpatico senza mai eccedere. Di prima mattina, però, è un totale imbecille e sono sicura che se tutte le ragazzine con gli ormoni in subbuglio che sognano di sposarlo da quando i Sevenfold si sono formati lo vedessero non appena apre gli occhi, quell’immenso amore platonico verso di lui evaporerebbe.
A riguardo è giusto menzionare lo splendido risveglio di capodanno, di due o tre anni fa. Ovviamente, dopo le mega-feste di capodanno organizzate dai Sevenfold non si può pretendere che ognuno torni a dormire alla propria dimora, date le condizioni mentali e fisiche di ogni singola persona, e così eravamo tutti appisolati nel salotto di casa Sanders. Zio Matt, svegliandosi per primo con la vescica gonfia quanto un pallone da basket è corso verso il bagno. Lui, da bravo imbecille ancora mezzo addormentato, ha corso con gli occhi quasi del tutto chiusi e, con tutta la potenza dei suoi muscoli, si è schiantato contro la porta del bagno e ci ha fatti svegliare tutti.
Ma non è questo a dimostrare l’idiozia di mio zio! È il fatto che poi, dopo aver sbattuto violentemente il fondoschiena al suolo e aver finalmente spalancato gli occhi, ha tentato nuovamente di entrare in bagno senza aprire la porta a dimostrarlo!
Zia Valary è andata da lui e gli ha detto un qualcosa tipo: “tesoro, sfonderai la porta con la delicatezza di cui solo tu sei capace”.
I miei cugini sono come zio Matt, per fortuna. E dico per fortuna solo perché zia Val non è proprio la mia preferita in famiglia. Non andiamo poi così d’accordo, ecco, proprio come vado poco d’accordo con Gena.
Alicia è la tipica ragazza che vorresti come migliore amica, perché non ti tradirebbe mai e poi mai. Neanche sotto minaccia di morte. Alicia, se ti prende in simpatia, ti offre tutta la sua fiducia, la sua stima, la sua simpatia, ti dedica sorrisi, abbracci, sguardi d’intesa. È una di quelle che dà tanto e riceve poco, e spesso la trovi in un angolo a piangere.
Alicia è identica a sua madre solo dal punto di vista fisico: stesso seno, stessi fianchi, stessa pancia piatta, stessa corporatura sottile. Di viso assomiglia più a Matt, ha i suoi stessi occhi e le sue stesse, splendide, fossette.
Ali si è guadagnata il titolo, ideato anni addietro da Zacky, di ‘capelli più belli dell’anno’ per quattro anni di seguito. Titolo che aveva sempre detenuto Johnny, il quale l’ha dovuto, a malincuore, cedere ad Alicia dato che lui comincia a essere troppo vecchio per tingersi ancora i capelli con colori assurdi.
Nathan è diverso da sua sorella, è il più piccolo di tutti ma è un vulcano sempre attivo. Non sta zitto mezzo secondo, saltella continuamente, abbraccia tutti e pretende di stare sempre nel mezzo di ogni conversazione. Nathan non sa proprio stare fermo, tanto che quand’era bambino zia Valary aveva dovuto prendere una baby-sitter per qualche mese, poiché da sola non riusciva a stargli dietro. Adora giocare ai videogiochi col padre, tanto che durante le pause dal tour non li si vede per intere giornate dato che i due maschi Sanders sono rintanati nel salotto di casa a giocare a COD.
Nathan è identico a zio Matt, più di quanto io e Connor siamo identici a nostro padre. Nathan è davvero la fotocopia del padre, in ogni tratto! È assurdo.
Questi sono i miei parenti. Poi c’è il resto della famiglia, quella che io chiamo così, perlomeno.
Zachary James Baker, conosciuto come il secondo chitarrista degli Avenged Sevenfold col soprannome di Zacky Vengeance. Sua moglie Gena, che, come ho premesso sopra, sopporto poco. E la loro figlia, di un anno più grande di me, Cherie.
Zacky è un adorabile pazzoide logorroico che se attacca a parlare è impossibile zittirlo, ma che se ti vede depresso è il primo a chiederti che hai che non va. Zacky ama fumare, proprio come mio padre, è la sua fissa, la sua droga, la sua dipendenza. Ma, per sua sfortuna, non la fibra dura di mio padre e, ostinandosi a fumare così tanto, negli ultimi mesi ha rischiato di lasciarci la pelle, ora sta cercando di smettere e sta prendendo chili. È morbido, sembra un panda. Zack è un tipo strano, uno di quelli che sembra musone e schivo, mentre sorride così tanto da farti venire il mal di testa. Odia il sole ed è sempre vissuto qui, ad Huntington Beach, città natale del sole e porto sicuro dei Surfisti.
Zacky è iperprotettivo nei confronti delle sue donne. Quando abbraccia Gena sembra che voglia stringerla così forte e immensamente da non lasciarla più andare. Con Cherie la cosa è ancora più forte, in quanto unica figlia e pure femmina. Si sa, i padri stravedono sempre per le figlie femmine.
A riguardo, possiamo ricordare lo scorso ferragosto. Gli Avenged Sevenfold avevano suonato a Orlando, in Florida, e noi ragazzi avevamo conosciuto un gruppo di diciottenni del posto. Eravamo rimasti in gruppo a chiacchierare, quando Cherie si allontana con un tipo magrolino e, in confronto a lei, neanche così bello. Dovevamo coprirla, ovviamente, ma a Zack la cosa non è sfuggita e li ha scovati in un vicolo a baciarsi.
Dire che ha dato di matto, è dire poco. Zio Matt e papà lo hanno dovuto trattenere per impedirgli di picchiare quel ragazzo, che non stava facendo nulla di male tra l’altro! Si stavano solo baciando, diamine.
Gena l’ha calmato, poi, dicendogli che Cherie non sarebbe potuta restare per sempre ‘la sua bambina’. Zacky non mi sembra ancora convinto del tutto, ma quella volta ha funzionato.
Gena è come zia Valary. Bella e talvolta insopportabile. È la più femminile di tutte, e ha trasmesso ciò anche alla figlia. Gena e Cherie vanno spesso a fare shopping, cosa che mia madre e zia Val non hanno il lusso di poter fare in compagnia delle figlie femmine.
Cherie è la classica ragazza che porta i vestitini femminili, si trucca gli occhi, mette il lucidalabbra e porta le ballerine, ma poi ai concerti poga più di tutti. È una tipa che davanti agli altri modera i termini, beve poco e ride senza eccedere, ma non appena resta sola con noi, amici più stretti, è vulcanica quanto Nathan e crea casini quanto me e Connor. Cherie somiglia molto a Zacky, hanno gli stessi occhi, anche se è magrolina e ben proporzionata come la madre.
Poi c’è Jonathan Lewis Seward, conosciuto come Johnny Christ, bassista degli Avenged Sevenfold. Johnny è il più piccolo della band, sia di età che di statura, cosa che gli causa diverse prese in giro e scherzi da parte degli altri. Nonostante si presume che tutti siano uomini maturi, si divertono ancora a fargli scherzi degni dei bambini della medie. Johnny è uno gnomo che adora fumare, bere e fare sesso. È un piccolo nano maledetto che pare non ti stia mai a sentire realmente ma che, in fondo, sa volerti bene e riesce anche a dimostrartelo. Johnny è quello che con noi ragazzi ha meno a che fare, anche perché non avendo figli non sa mai da che verso prenderci. Quand’eravamo più piccoli era quello che ci copriva le spalle e che ci difendeva quando combinavamo qualche danno in sala d’incisione (evento piuttosto frequente), mentre ora è quello che si imbuca alle feste e se ci vede fumare o bere sta zitto.
Infine, c’è James Owen Sullivan, Jimmy o Jimbo per gli amici. The Rev, abbreviazione di “The Reverend Tholomew Plague”, ex batterista dei Sevenfold. Jimmy è morto nel 2009, nessuno di noi ragazzi l’ha mai conosciuto. A dire il vero Alicia sì, ma quando lui è morto aveva solo pochi mesi. Lei dice sempre che è come se non l’avesse conosciuto affatto. The Rev era il migliore amico di mio padre, che lo descrive sempre come un pazzo, esaltato, simpaticissimo, ragazzo. Uno di quelli che conosceva mezza California ed era il migliore amico di tutta Huntington Beach, che organizzava le migliori feste a base di alcol della storia. Zacky dice sempre che Jimmy era uno di quelli che combinava talmente tanti guai, che in città era il primo indagato per ogni rapina.
In casa mia ci sono molte foto di questo Jimmy, era davvero bello, aveva un sorriso colmo di vita, di pura gioia, e due incantevoli occhi azzurri.
Poi, mio fratello non si chiama mica Jimmy senza motivo!








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Ahm, questo è il mio primo accenno di Long, quindi siate clementi.
Posso implorare una recensione? Vorrei sapere se devo andare avanti con la storia o fingere che non l'abbia mai pubblicata LOL

Siate clementi please e grazie a tutti quelli che leggeranno.

Echelon_Sun

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Capitolo 2
*** School. ***


“Niiicoooleee!”
Sussulto e scatto a sedere sul letto, mio padre e i suoi modi di svegliarmi non sono mai stati meglio di così. Ci sono abituata, ma a volte la voglia di strozzarlo mi viene.
Mi strofino gli occhi con le mani e mi guardo attorno. Lo specchio sulla parete di fronte a me lascia che lo sguardo mi venga ricambiato dai miei occhi pesti.
A che diavolo di ora sono tornata a casa ieri notte?
“Nic, muoviti, è tardi!”
Questo è Jim, invece. Che, a differenza di papà, il quale gridava dalla cucina, grida proprio fuori dalla mia stanza. Probabilmente non capirà mai che non soffro di sordità.
Scendo dal letto e mi dirigo all’armadio decorato da diverse fotografie, prendo un jeans scuro strappato in più punti dalle mie manine operose durante una qualsiasi ora di matematica, prendo una felpa degli Avenged Sevenfold a caso e vado verso il bagno.
“Buongiorno, sorellina” mi saluta Jimmy, non appena esco in corridoio.
Sono troppo assonnata per formulare una risposta, così gli schiocco un bacio su una guancia affondandogli la mano tra i capelli castani e ribelli. Poi mi chiudo in bagno, mi faccio una doccia veloce dopo essermi fatta una coda per non bagnare i miei lunghi capelli biondi. Mi vesto, mi passo un velo di fondotinta sul viso, mi trucco gli occhi di nero e scendo a fare colazione.
Lungo le scale devo reggermi con forza al corrimano per non stramazzare al suolo. Mi appunto nella testa di non bere mai più al pub di martedì sera. So che non servirà a nulla, ma almeno è un inizio, no?
Jim ha appena messo in tavola la mia tazzina del caffè fumante, papà legge il giornale e Connor mangia del pane con la Nutella tra uno sbadiglio e l’altro.
Mi siedo, ringrazio il mio fratellone, do il buongiorno agli altri due maschi di casa ricevendo dei mugolii non ben definiti come risposta e bevo il mio caffè.
“Oggi avete intenzione di registrare qualcosa, pà?” chiede Connor, dopo un sonoro sbadiglio.
Papà lo guarda e sospira, prima di rispondere.
“Lo spero, ma Zack non sta affatto bene. È preoccupato per questo fatto del fumo ed è poco concentrato, non vogliamo mettergli pressioni addosso ma di questo passo non finiremo mai di registrare questo dannato disco” dice, amareggiato.
“Dovreste aiutarlo a smettere” osserva, un po’ stupidamente, Jim.
“Lo facciamo, o almeno ci proviamo. Ma niente, è cocciuto come un mulo. Abbiamo paura che possa sentirsi male di nuovo, ma non vogliamo arrivare al punto di litigare per qualche sigaretta.”
Nessuno di noi risponde, non sapendo bene che dire. Finiamo di fare colazione e andiamo a lavarci i denti e a prendere gli zaini. Quando scendiamo, papà ci aspetta già in giardino fumando.
Appena esco di casa aspiro profondamente l’aria salmastra di Huntington Beach e lascio che mi riempia la cassa toracica. Amo il sapore del mare che si sente da casa mia, non troppo forte ma intenso abbastanza da darmi la carica giusta ogni mattina per affrontare le ore di scuola.
“Dai, Nicole, muovi il culo” mi prende in giro il mio gemello, dandomi una leggera pacca sulle natiche e guadagnandosi il primo ‘vaffanculo’ della giornata.
Papà ridacchia e getta a terra il mozzicone della sigaretta, per poi calpestarlo con le sue Dr. Martens scure consumate.
Se mamma adesso non fosse ancora cullata dalle braccia di Morfeo e vedesse papà, sicuramente uscirebbe di casa col mestolo tra le mani pronta a sbatterglielo in testa e gridandogli come una pazza furiosa di non gettare le sue fottutissime sigarette nel giardino di casa.
Nostro padre ci ha sempre accompagnati a scuola, e nonostante ora facciamo le superiori non ci dà nessun fastidio. Certo, mica è da tutti essere accompagnati a scuola da Synyster Gates.
Io e Connor ci lasciamo cadere sui sedili posteriori, mentre Jimmy si siede accanto a papà e accende la radio, così Almost Easy riempie l’auto e ci accompagna fino a scuola. Cantiamo tutti e quattro, in macchina, ridendo e divertendoci come idioti.
“Connor, Nicole, cercate di non cacciarvi nei guai oggi. Io sono impegnato, verrebbe vostra madre e non mi va di sentirla” ci dice papà, accostando per farci scendere.
Io e il mio gemello annuiamo, poi tutti e tre scendiamo dall’auto e ci dirigiamo verso l’edificio giallastro dove passeremo la mattinata. Tutti frequentiamo la scuola pubblica, quella dove sono andati anche i nostri genitori, nonostante i soldi per permetterci l’istruzione privata ci siano.
Dopo una lunga discussione quand’eravamo ancora alle medie, infatti, zia e mamma hanno deciso che per tutti noi sarebbe stato meglio frequentare la scuola pubblica. Hanno pensato che ci saremmo montati meno a la testa e che la notorietà sarebbe stata minima. Cherie, poi, ha insistito per venire con noi, ovviamente.
Mamma e zia Valary si sbagliavano, almeno sul fatto della notorietà. Quasi ogni giorno qualcuno viene da noi e ci chiede di procurargli un autografo di un qualsiasi membro degli Avenged Sevenfold. L’unica che, a volte, riporta qualche firma del padre è Alicia e, quando ciò accade, non la vediamo per tutto il giorno dato che gira l’intero complesso scolastico nell’intento di trovare i ragazzi che hanno chiesto gli autografi.
Ci fissano spudoratamente ogni santissimo giorno, dalla mattina non appena scendiamo dall’auto fino a che non varchiamo il portone d’ingresso per andarcene a casa.
La scuola è gigantesca, tanto che per passare dall’aula di Inglese a quella di musica ci impiego cinque minuti anche correndo. L’edificio è di un colorito giallastro, c’è un cortile interno che dà sulla mensa, sulla palestra e su alcuni laboratori di informatica e chimica. Dietro all’edificio c’è anche la piscina, e proprio sulla parete esterna degli spogliatoi c’è un graffito fatto da papà e Jimmy ‘The Rev’ quando venivano a scuola qui.
Il graffito in questione è stato disegnato con bombolette nere e ricalcato così tante volte che comincia a sbiadirsi solo ora. Ritrae un’enorme cassa per la musica, con accanto un ragazzo alto quanto la metà della cassa che tende le mani in avanti e ha la bocca spalancata in un grido. Il ragazzo in questione porta una t-shirt dei Misfits e ha una cresta spropositata per capelli. Accanto al disegno campeggia la scritta ‘scream, scream, scream!’.
Abbiamo un posto per incontrarci con Cherie, Alicia e Nathan: sotto il pino a sinistra del cortile della scuola. Il pino è enorme, maestoso, pare proteggerci e accoglierci sotto i suoi rami. Lo abbiamo sempre adottato come il punto d’incontro mattutino, accanto a lui ci fumiamo un sigaretta nell’attesa che suoni la campana.
Alicia e Nathan sono già lì ad aspettarci, chiacchierano sottovoce.
“Hey, buongiorno ragazzi!” esplode Nathan, vedendoci.
“Buongiorno” rispondiamo io e Jim all’unisono, mentre Ali ci fa un cenno e Connor sorride ai due Sanders.
Sto per aprire bocca e dire che mio padre è piuttosto preoccupato per Zack, ma non faccio in tempo dato che un urlo alle mie spalle m’interrompe.
“È successa una cosa bellissima!”
È Cherie, la dolce, timida, Cherie che quando sta con noi è tutt’altro che chiusa e riservata. Ci corre incontro stretta nei suoi pantaloni bianchi e nella sua maglietta raffinata, coi capelli color castano chiaro raccolti in un morbido chignon e un sorriso enorme dipinto sul volto.
“Cosa?” chiediamo quasi tutti insieme.
Lei si blocca davanti a noi, estasiata, con gli occhi che irradiano pura gioia. “Andiamo al Festival del Rock a New York, ragazzi!” ci dice, quasi gridando.
Okay, Cherie deve aver assunto una qualche sostanza allucinogena, che le ha fatto immaginare di aver sentito simili parole da un qualsiasi informatore.
Il sorriso della ragazza si spegne, notando i nostri visi scettici.
“Cherie, tesoro” esordisce Alicia, poggiando una mano sulla spalla dell’amica. “Tu sai che stanno registrando un disco e sono in ritardo? Lo sai che non possono assolutamente permettersi, ora come ora, di andare ad un festival?”
“E sai che tuo padre non sta affatto bene?” continua Connor, mordendosi il labbro.
“Dovete credermi! Mio padre stamattina era tutto contento e non ha smesso un secondo di parlarmi del festival! Ha detto che Larry ieri sera lo ha chiamato e gli ha detto che sarebbero andati, ma agli altri lo avrebbero comunicato solo stamattina! Sabato prossimo saremo a New York” continua lei, imperterrita con la sua teoria e riacquistando il sorriso.
 
***
 
Dopo due infinite ore di matematica, passate a giocare a tris contro Connor e a mandare messaggi a Nathan per suggerirgli qualcosa di storia, di cui stava facendo il test; dopo un’ora di scienze passata a fissare il nulla e un’ora di religione noiosissima, siamo a pranzo.
Nella nostra scuola il pranzo consiste in poche porcherie che la cuoca ti mette nel vassoio con un’aria schifata. Il più delle volte c’è una fettina con delle patatine fritte, a volte un po’ di pasta. Il tutto accompagnato da una fetta di pane, un bicchiere d’acqua e, a volte, una fetta di qualche torta non troppo buona dal sapore ispido.
Ovviamente noi adolescenti non siamo così idioti, altrimenti il numero dei ragazzi presenti ad Huntington Beach sarebbe ben minore di quello attuale a causa di una forte epidemia di intossicazione alimentare. Bé, tutti si portano il pranzo da casa. Panini, pasta fredda, crostate di mele, frutta. Qualsiasi cosa è meglio delle porcate che ci offre gentilmente la scuola.
Al momento siamo seduti al nostro solito tavolo addossato all’angolo più in ombra della sala e parlottiamo animatamente.
“Cherie, ne sei proprio certa?” chiede Ali, per la centesima volta.
“Certo! Non ci sono dubbi, andremo lì” risponde Cherie, rubando una patatina dal piatto di Jim.
“Ma, Cherie, perché mai Larry avrebbe deciso di fare questa cosa se sa benissimo che devono concentrarsi al massimo se vogliono finire questo disco almeno tra qualche decennio?” ribatte, giustamente, Connor.
“Giusto! E poi Zack non si trova proprio in condizione di suonare” mi schiero, parlando con la bocca piena di pizza.
“Non so cosa sia passato per la testa di Larry” fa Cherie, piuttosto innervosita dai nostri dubbi. “Comunque, se davvero non mi credete, chiamate allo studio e chiedete.”
Giusto. Così ci leviamo il dubbio una volta per tutte e siamo tutti più contenti. Poi, magari, leggo anche qualche riga sulla vita di Shakespeare, che la prof alla prossima ora mi interrogherà sicuramente.
Jim compone il numero di papà e mette il vivavoce, così tutti ci raduniamo attorno a lui per sentire la conversazione.
Papà risponde dopo un paio di squilli, e non sembra proprio felice.
“Jimmy, non dirmi che i tuoi fratelli si sono cacciati nei guai! Io li avevo avvisati, oggi. Non posso venire, che se la sbrighino con Michelle!” dice, in fretta e piuttosto agitato.
“No, papà, calmati. Non ti ho chiamato per Connor e Nic, volevo solo chiederti una cosa” gli dice Jim, trattenendo una risata.
“Ah, menomale. Dimmi.”
“Cherie ci ha detto che suonerete al Festival del Rock a New York, è vero?”
Papà, dall’altro capo del telefono, prende un bel respiro profondo prima di rispondere. Si sente in sottofondo il vocione di zio Matt che chiama papà per dirgli di andare ad aggiustare un qualcosa di rotto, poi Johnny che grida ancora più forte per dirgli di stare zitto dato che è al telefono. Nathan scoppia a ridere, ricevendo una pacca sulla testa dalla sorella.
“Sì, Jim. È vero. Ma ne stiamo discutendo, non pensiamo sia il caso. Siamo molto indietro col lavoro, e Zack non sta davvero bene. Larry avrebbe già fermamente deciso, ma quasi tutti noi preferiremmo starcene qui a lavorare. E a Zack farebbe di certo meglio.”
La sua voce lascia trapelare tutta la tristezza, tanto che nessuno di noi sa più che dire.
“Va bene, pà. Ci vediamo dopo, ciao.”
Cherie è sbiancata, così le vado vicino e le circondo le spalle col mio braccio. Anche gli altri si stringono accanto a lei, le dicono qualche frase per rassicurarla ma sappiamo bene che le parole valgono ben poco. In simili situazioni solo i fatti valgono.






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Eccomi tornata col primo effettivo capitolo :) lo so che fa un po' schifo, ma è solo l'inizio e ho in mente diversi colpi di scena xD

Recensite PLEASE
Echelon_Sun

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Capitolo 3
*** Flashback. ***


Ho sempre pensato che Huntington Beach fosse una delle città più belle del mondo, una di quelle che quando la visiti non te la scordi più. Io, la mia città, ce l’ho incastrata nella pelle, scorre nelle mie vene, la respiro ogni giorno, l’assaporo ogni giorno.
Io Huntington Beach la amo.
Certo, per una come me che non sa andare e non vuole saper andare sulla tavola da surf non è proprio tutto rose e successo, ma diciamo che mio padre e la band hanno creato abbastanza popolarità alle nostre famiglie da bastarci per decenni.
Huntington Beach è una di quelle città che se ci nasci e ci passi la tua infanzia, quando la lasci anche solo per qualche giorno ne senti la mancanza. Ti manca il sole perpetuo, l’aria salmastra, l’appiccicume della pelle in piena estate, le grida dei surfisti alle cinque di mattina, la musica a tutto volume per tutta la notte.
Riesce a mancarti persino la nebbia che spesso avvolge ogni cosa di prima mattina, in inverno e in autunno.
E poi c’è il nostro bar preferito, il Johnny’s, che è amabile quanto la spiaggia, quanto il mare, i turisti e la musica dei Sevenfold a tutto volume nei lidi.
Il Johnny’s è grande e sviluppato su due piani, illuminato sempre e solo da candele, i muri sono dipinti con murales stravaganti e colmi di significato. Non appena si entra si percepisce all’istante un senso di pace, come se la testa si staccasse e fluttuasse per un po’ nell’aria. È tutto avvolto dall’odore dolciastro delle candele e della cera colata nei piattini e su qualche mobile di legno.
Il proprietario del Johnny’s ormai più che sessantenne ma sempre con quel sorriso pieno di vita stampato in faccia da far venire voglia a chiunque di fermarsi a chiacchierare, lascia scorrere nello stereo quasi sempre i dischi degli Avenged Sevenfold o, al massimo, musica comunque orientata sul rock o sul metal.
Come si potrebbe non amare un posto così?
Il bar, poi, è un vizio di famiglia.
Essendo il bar della nostra via, vicino soprattutto alle case di zio Matt e The Rev, per mio padre e la band era una tappa fissa. Proprio come lo è ora per noi, e qualche volta anche loro si lasciano andare ai vecchi tempi e vi tornano.
Comunque, proprio ora un giovane barista assunto da poco mi ha posato una Red Bull davanti, lo ringrazio con un sorriso per poi tornare a concentrarmi su Alicia che sta studiando latino per l’interrogazione imminente, tentando di spiegarmi perché è meglio usare il gerundio per tradurre il cum + congiuntivo che usare una proposizione causale, o concessiva, o temporale, o il periodo ipotetico.
Accanto a me, Connor, Jimmy e Nathan discutono animatamente di Football e Cherie sta rintanata in un angolo della panca con le ginocchia al petto, mezza addormentata.
Okay, non me ne frega un cazzo del latino. Ho persino provato a studiarlo, al primo anno, ma l’ho trovato così noioso che l’ho scaricato per fare piscina. Annuisco appena alla mia amica, sorseggiando la mia bevanda ghiacciata, e vago un po’ con la mente.
Torno indietro, a qualche mese fa.
 

*******

 
Fa freddo qui, aggrappata al nulla. Fisso la luna, tremo ma non piango. Io sono forte, farò quello che devo fare senza pensarci troppo.
In questo momento bacerei papà per aver insistito con mamma per la splendida idea di costruire la casa con ben cinque piani. Diciamo che la soffitta resta quasi sempre inutilizzata, fino a ora però.
Porto alle labbra la mia bottiglia di Jack Daniel’s e bevo, mi piace il gusto del Whisky e in questo momento mi aiuta anche a distogliere l’attenzione da tutto il vuoto sotto i miei piedi.
Che poi, proprio dal piano più alto dovevo decidere di buttarmi?
Evidentemente sì, se voglio morire e non solo rompermi una gamba. E poi mamma mi farebbe rinchiudere in un manicomio, se solo restassi in vita.
L’aria afosa di Huntington Beach mi entra nei polmoni, l’aspiro con forza sapendo che non potrò farlo mai più. Alzo gli occhi al cielo, come per godermi un’ultima volta la bellezza della sua immensità. Fisso la luna, le sorrido.
Da casa mia si vede il mare, un’enorme distesa nera che non si sa dove combaci col cielo. Mi è sempre piaciuta la vista da quassù, di notte. E forse voglio proprio quest’immagine incastrata nella retina prima di gettarmi.
 “Ma non farmi ridere, Nic.”
Sussulto. La voce bassa di Johnny interrompe il mio ultimo saluto alla più bella visuale di sempre.
Mi volto a guardarlo, lentamente e ancora scossa dai tremori.
Lui si avvicina alla finestra, su cui sono in piedi, senza paura, con un ghigno disegnato sul viso.
“Johnny, io salto” gli dico. Ma la mia voce trema più di me e, evidentemente, non è abbastanza convincente.
Lui si ferma solo quando mi è così vicino da potermi fissare dritto negli occhi. Johnny ha sempre avuto una certa influenza con questi fottuti occhi scurissimi quasi quanto i miei. Quando fissa qualcuno così intensamente, sia con gioia che con tristezza, o, come ora, con autorevolezza, riesce sempre a disarmare l’altro.
Sta riuscendo a farmi dubitare di me stessa, di ciò che voglio fare in questo momento.
“Innanzitutto, dammi il whisky” mi dice, con voce ferma.
Io resto immobile. Che cazzo è venuto a fare quassù? Io voglio solo fissare un’ultima volta il punto infinito dell’orizzonte e farla finita!
“Poi, scendi da lì.”
Eh?
Fingo di non aver sentito, così mi giro nuovamente e guardo il vuoto sotto di me. È pauroso, ed è tremendo pensare che tra qualche istante il mio corpo riempirà il vuoto per poi schiantarsi al suolo.
E Johnny pare leggermi nel pensiero, dato che mi abbraccia i fianchi e mi tira giù dalla mensola. Cerco di divincolarmi per qualche secondo, ma so che servirebbe a ben poco e lascio perdere.
Non si può neanche morire in santa pace.
“Si può sapere che cazzo vuoi?!” grido, liberandomi dalla sua presa e guardandolo con sguardo truce.
Lui sospira e mi strappa la bottiglia di Jack Daniel’s dalle mani, cosa che mi rende ancora più nervosa.
“Sediamoci, mh.”
Cosa? Io sto per morire e tu  vuoi sederti?
Si siede a terra, appoggiando la schiena al muro. Non trovando nulla di meglio da fare, mi accascio al suo fianco.
Passa qualche secondo, Johnny beve un sorso di whisky e mi guarda con la coda dell’occhio.
“Lo sai che una volta anche tuo padre ha provato a suicidarsi?”
Spalanco gli occhi dalla sorpresa, facendolo scoppiare a ridere. Già, l’espressione di stupore identica in me, in Connor e papà ha sempre divertito questo deficiente.
“Avevamo vent’anni circa ed era appena finita una delle mega-feste a base di alcol organizzate da Jimbo, una anche piuttosto pesante devo dire. Io, Matt e Jimmy eravamo rimasti sobri, mentre Zack l’avevamo portato a letto presto e sbronzo come non mai. Avevano totalmente perso Brian. Lo abbiamo cercato ovunque, persino nello sgabuzzino e l’abbiamo trovato in bagno, nella vasca da bagno di Jimmy.”
Si blocca, sospira stringendo la presa attorno alla bottiglia di whisky. “Era nudo, la finestra era aperta e la vasca piena a metà con l’acqua totalmente ghiacciata. E, Nicole, aveva tentato di uccidersi tagliandosi le vene. L’acqua era rossa. Il suo corpo era ricoperto di sangue, carne letteralmente strappata via e profondi graffi.”
Questo non doveva dirmelo, non c’entra un cazzo e io voglio uccidermi in un modo più veloce e indolore.
“Io e The Rev l’abbiamo tirato fuori da lì, e per fortuna Matt è accorso un istante prima che Jimbo svenisse”. Beve un altro sorso, chiudendo gli occhi con forza. Mi domando come deve essere brutto vedere una simile scena e non poter premere il tasto ‘elimina’ dalla memoria.
“Nic, tuo padre è stato bravo a nascondere l’accaduto, altrimenti non si sa come avremo potuto sfondare con la musica, con lui rinchiuso da uno psicologo.”
Si mette in ginocchio e mi prende le mani, sorridendo appena.
“Tu non vuoi morire, piccola. Nessuno vuole davvero, davvero, morire. Alla fine siamo tutti attaccati alla vita, anche se a volte ci sembra che sia solo una puttana” mi dice, stringendomi con forza le mani nelle sue.
Io sospiro rumorosamente, come se volessi scacciare via le sue parole e tornare semplicemente alla mia occupazione suicida.
“Tuo padre non voleva davvero morire, noi l’abbiamo salvato e lui ce ne sarà per sempre grato.” Si blocca un attimo, cercando le parole giuste. “E ora non puoi impedirmi di salvare anche te.”
Sì, che posso.
“Se mi lasciassi andare, io salterei” ribatto, acida.
“Perché? Perché vuoi mettere fine alla tua esistenza?”
Non me lo sta chiedendo con disperazione, appigliandosi a questa domanda sperando che s’illumini o che io cambi idea. È solo una domanda, senza nessuna retorica dietro.
Mi sento colta alla sprovvista, so che i miei pensieri potrebbero sembrare folli. Ma, forse, a Johnny non interessa quanto folli siano i pensieri di una che si è quasi buttata dal quinto piano di casa.
“Mi sento oppressa, come se non andassi mai bene, come se non fossi mai abbastanza.” Gli spiego in un sussurro. “A scuola sono la nullafacente che sta sempre nell’ufficio della preside, a casa sono quella che passa il tempo a fare danni con Connor. Io non sono più nessuno, e nessuno più è disposto a starmi vicino.”
“Cosa credi che ci stia a fare io qui?”





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Ahm, okay, spero vi piaccia questa roba... Johnny l'ho amato, scrivendo questo capitolo :)

Grazie a tutti coloro che stanno leggendo e... boh, non so se devo continuare quindi... recensite, fatemi sapere cosa ne pensate :)
Echelon_Sun

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Capitolo 4
*** And I'm not scared. ***


A volte ripensare al giorno del mio tentato suicidio mi rende dedita alla vita, mi fa venire voglia di stritolare Johnny in un abbraccio e ringraziarlo col cuore in mano per avermi impedito di saltare. A volte penso che non avrei goduto di tante belle situazioni, che non avrei mai più rivisto il sorriso dei miei genitori, non avrei mai più avuto l’appoggio dei miei fratelli.
Ma oggi no, non riesco proprio a trovare il risvolto positivo del mio suicidio mancato. Ho solo voglia di prendere Johnny e maledirlo per avermi convita a continuare la mia esistenza.
Papà, Zack e zio Matt hanno regalato una settimana di centro benessere alle mogli, ogni tanto se ne escono con questi viaggetti per sole donne al fine di passare un po’ di tempo tra loro. E, durante queste ricorrenze, la band coi rispettivi figli si accampa a casa nostra.
È sera, sto allungata sul letto con So Far Away a tutto volume nelle cuffiette. Penso a Jimmy, che non ho mai conosciuto ma che sento vicino come se fosse un caro amico. In fondo, mi dico sempre, lo conosco attraverso i racconti di mio padre e dei Sevenfold, lo conosco attraverso i testi delle canzoni, attraverso le sue foto in cui sembra inghiottire le tenebre con un sorriso.
Penso alle due iridi azzurre che mi hanno sempre incantata, ma che non ho mai avuto l’onore di vedere dal vivo. Due occhi con cui non si possono utilizzare similitudini. ‘Occhi blu come il mare’ o ‘occhi della stessa tonalità del cielo’. No, assolutamente no. Sarebbe riduttivo. Avete presente mezzogiorno in una giornata di luglio in California? Avete mai guardato il punto d’incontro tra il cielo e il mare in quel momento? Fatelo, e solo allora sarete lontanamente vicini a capire com’erano gli occhi del Rev.
Penso all’amicizia che ha legato quest’uomo dagli splendidi occhi a mio padre. Erano così buffi, ma anche così inseparabili. Erano come zio Matt e gli occhiali da sole, come Zacky e le sue sigarette, come Johnny e l’alcol, come mia madre e le scarpe. Sempre insieme, inscindibili. Come uniti indissolubilmente da un qualcosa di troppo forte per poter essere spezzato.
Poi penso che anche mio padre ha tentato il suicidio una volta, e forse posso seguire la sua strada. Sono abbastanza coraggiosa da prendere in mano una lametta, dopotutto. E comunque mi sono tagliata tante di quelle volte, depilandomi, che quasi non capirò la differenza tra le due cose. Ho fatto non so quanti buchi alle orecchie e il piercing al labbro senza battere ciglio, non mi può fare paura una cazzo di lametta.
Non appena la canzone termina, mi dirigo in bagno. Forse non sono del tutto consapevole delle mie azioni, ma in fin dei conti è un po’ come tagliarsi col taglierino. L’ho fatto l’altra settimana: un piccolo taglio sull’osso del bacino e il sorriso è riapparso sul mio volto.
Apro lentamente la porta del bagno, lo guardo come se lo vedessi per la prima volta. È bello, lo so. L’ha arredato mamma, come quasi tutto il resto della casa d’altronde. È bianco e blu, spazioso ed elegante. La vasca occupa quasi tutta una parete, ma il più bello sta nel lavandino. Il lavandino a forma di goccia che tanto piace a mamma, con tanto di due mensole piene di trucchi.
Mi guardo allo specchio sopra il lavandino e noto le mie labbra piegate in una smorfia di noia, o forse di apatia. O, ancora meglio, di pura tristezza.
Afferro la lametta di papà, sulla mensola più bassa, e la fisso un attimo. Mi pare quasi un oggetto malefico, per un istante. Poi lascio scorrere la lama sul polso, lentamente sento che gli angoli delle labbra si stanno incurvando nuovamente verso l’alto.
 

***

 
Quando zio Matt fa irruzione in bagno e spalanca gli occhi, non capisco cos’abbia visto di tanto brutto. Poi mi rendo conto di essere seduta a terra, con le braccia mutilate da tagli profondi e pezzi di carne mancanti, mi rendo conto di essere ricoperta di sangue, e capisco.
“Nicole, che cazzo hai combinato?” mi dice, avvicinandosi a me tremante.
È sconvolto, i suoi occhi sono ridotti a due fessure. Forse è anche incazzato, non so dirlo bene. Non ho mai visto mio zio perdere il controllo, ma ora sembra davvero che non sappia cosa fare.
Arriva di corsa anche Zack, che, non appena mi vede, urla come un cretino. La testa comincia a pulsarmi, come se dentro ci fosse una bomba pronta a esplodere.
Se avessi un minimo di forza interiore e se gli occhi di Zacky non mi fossero ancora puntati addosso spalancati dallo stupore, forse potrei gridargli di stare zitto.
Il resto mi è abbastanza confuso. Ricordo zio Matt che mi strappa la lametta dalle mani e la getta in un punto indefinito del bagno, poi mi prende in braccio tremando e mi fa sedere sullo sgabello che abbiamo in un angolo.
Ricordo le voci di Zacky e Johnny che rispediscono i miei fratelli e gli altri di sotto, con tanto di bestemmie da parte di Jim che proprio non capisce perché non possa entrare a vedere che ho di male.
Però l’espressione di mio padre è tutt’altro che confusa. Inizialmente mi ha fissata come se fossi un’extraterrestre, poi è diventato così bianco che Johnny l’ha fatto allungare a terra e gli ha tenuto i piedi in su per non farlo collassare, infine si è infiammato di rabbia, delusione e sconforto insieme.
“Perché, Nicole?! Perché cazzo hai deciso di rovinarti così?!” grida, tenendomi forte i polsi e macchiandosi anch’esso di sangue.
“Brian, lasciala stare ora” tenta di dirgli Zacky, mettendo una mano sulla spalla di papà, che non lo calcola minimamente ma continua a tenermi gli occhi puntati addosso.
“Io… io non lo so” rispondo a voce bassa, in un sussurro, guardando a terra.
“Syn, per favore, ne parlerete dopo. Ora non è in condizione…”
“Taci, Zack! Io voglio sapere che fottuta roba passa per la testa di mia figlia, dannazione! Voglio capire cos’ho sbagliato, cosa cazzo è andato storto con lei”. Papà quasi grida, gli occhi gli si riempiono di lacrime e la sua stretta attorno ai miei polsi diviene ancora più decisa.
Mi sta facendo male, ma non trovo il coraggio per dirgli di lasciare la presa. E il dolore morale è così irrompente che i polsi mutilati e stretti nella morsa ferrea delle mani di mio padre è quasi inesistente al confronto.
“Io non voglio starci più qui, voglio smetterla di esistere! Volevo tornare a sorridere, e l’ho fatto.” La mia voce trema appena, ma è abbastanza acuta da trasmettere tutta la mia rabbia, la mia frustrazione.
“E così che torni a sorridere tu?” grida nuovamente papà.
“Così, o con una bottiglia di Jack Daniel’s.”
Nessuno mi ha mai insegnato a contare fino a 6277 prima di parlare. Comunque, uno schiaffo mi colpisce in pieno volto, facendomi male quasi quanto la lama conficcata nella carne.
“Brian, ora basta. Lascia che la medichiamo.”
Zio Matt si mette tra me e papà, allontana lui con una mano per concentrarsi su di me. Comincia subito a ripulire il mio braccio da tutto il sangue con un fazzoletto e lo disinfetta.
Papà mi guarda, da sopra la spalla enorme di zio. I suoi occhi sono pieni di sconforto, come se sentisse di non aver svolto al meglio il suo compito di genitore. Mi fa male vederlo così.
“Mi dispiace” gli dico, tartagliando. La mia voce pare venir fuori da uno zombie, tanto è roca e bassa.
“Dispiace anche a me, piccola.”
So che si riferisce allo schiaffo, ma vorrei dirgli che per quello non deve dispiacersi. Vorrei gridargli che sono io, ad essere sbagliata, che sono io il fottuto problema, sono io a non andare bene, a non essere una buona figlia.
Vorrei solo dirgli che è un ottimo padre, ma la voce non viene fuori.
“Brian, vieni dai… andiamo fuori.”
Zacky accarezza una guancia di mio padre, pronunciando queste parole. Papà si aggrappa a lui, come se fosse un’àncora. Non piange ma forse starebbe meglio se lo facesse. Zack lo avvolge con le sue braccia e lo conduce fuori dal bagno.
“Vorrei tanto sapere cosa passa per quella tua testolina, Nic” mi dice Johnny, passando il disinfettante a zio.
Un singhiozzo mi scuote improvvisamente, tanto che zio Matt sussulta e mi rivolge un sorriso stanco di conforto. Adoro il sorriso di mio zio, ma in questo momento non me ne faccio nulla e non riesce a confortarmi.
“Non capisco proprio, Nic. Come si può tornare a sorridere martoriandosi la carne?”
Il verde degli occhi di zio Matt è più intenso, mentre mi fissa. Vorrei rispondergli, avere le parole giuste per spiegarglielo. Vorrei davvero poterlo fare.
Papà capirebbe, o forse ha già capito. Papà, avendo tentato lui stesso il suicidio, potrebbe comprendere il mio stato d’animo. Potrebbe aiutarmi, forse. Potrebbe evitare di farmi domande a cui non saprei rispondere.
Zio continua a tamponarmi il sangue che non vuole saperne di smetterla di uscire a fiotti, mentre Johnny mi stringe da dietro con dolcezza. Non è proprio un abbraccio, è più un debole conforto.
Johnny deve aver capito che non può aiutarmi, ma almeno così mi fa capire che mi starà vicino. “Stai tranquilla, Nicole, andrà tutto bene”.
Zio prende una mia mano e la stringe, poi alza lo sguardo e si sforza di sorridermi.
A volte l’unica cosa che si desidera sentire quando la vita sta candendo a pezzi è solo un ‘andrà tutto bene, non ti preoccupare’. Forse crollerà il mondo, ma quella frase di sostegno la memoria non se la scorda.







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Okay, da qui le cose dovrebbero precipitare sempre di più, o almeno questo è quello che vorrei che succedesse xD

E... dannazione c'è gente che questa storia l'ha messa addirittura tra le preferite! Siete l'amore, davvero.
Grazie a tutti,
Echelon_Sun

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Capitolo 5
*** Awake and aware. ***


“E a te, Nic, non capita mai?” mi chiede Jim, sorridendomi dal letto di fronte al mio.
Distolgo lo sguardo dal punto vuoto che stavo fissando e mi affretto a cercare di inserirmi nel discorso. Di che cazzo stavamo parlando? Di zombie, fino a poco fa, probabilmente però da quando ho cominciato a costruirmi i castelli in aria hanno cambiato discorso almeno cinque volte.
“Ehm…” farfuglio grattandomi la nuca, senza sapere come sviare la domanda.
“Dai, Nicole, l’abbiamo visto tutti ch’eri mentalmente assente!” mi dice Ali, dandomi di gomito e ridacchiando.
“Ma dovresti smetterla di perderti nel tuo mondo, dobbiamo divertirci qui” fa Nathan, sporgendosi verso destra per passare un braccio attorno alle spalle di Jimmy.
Alla fine ci siamo andati al Festival del Rock a New York (*), siamo arrivati questo pomeriggio per passare due giorni di puro, totale, assoluto, svago. E, tanto per cambiare, ci siamo solo noi ragazzi e la band. Le nostre mamme non ci sono, troppo risucchiate dalla pulizia delle case per venire con noi.
Certo, non che ci dispiaccia.
Al momento è quasi l’una di notte e siamo in camera dei maschi a chiacchierare. In albergo ci siamo sempre divisi così: io, Cherie e Alicia in una stanza; Connor, Jimmy e Nathan in un’altra; papà e Zack in un’altra ancora; e, infine, zio Matt e Johnny in un’altra.
Nathan, prendendosi alla lettera, salta improvvisamente in piedi e comincia a cantare Afterlife a squarciagola. A squarcia timpani per i vicini di stanza, specificando.
Il più piccolo della combriccola mi prende le mani e mi esorta a ballare con lui. Bè, ballare è una parola grossa. Diciamo che ci limitiamo a saltare muovendoci come due matti. E in un attimo anche gli altri si aggregano.
In pigiama, Connor in mutande, saltiamo sui letti gridando le parole della canzone, cominciamo a pestare i piedi per terra e a ridere fino a sentir male alla gola. Cherie sale sulle spalle di Connor e sfida me e Jimmy a una battaglia.
Accettiamo, ovviamente.
Quando zio Matt spalanca la porta, incazzato come non mai e sembrando ancora più muscoloso della norma in quanto indossa solo le mutande, ci trova in una situazione che lo lascia letteralmente basito.
Ci fissa a bocca aperta, sbattendo convulsamente le ciglia.
Io sto sulle spalle del mio fratello maggiore, le mie dita sono intrecciate a quelle di Cherie che sto cercando di far cadere dalle spalle del mio gemello. Nathan è sul letto, con le braccia in aria, il bacino in avanti e la bocca ancora mezza aperta dopo essersi zittito. Alicia, infine, sta in ginocchio sulla piccola scrivania della stanza, mimando un assolo senza chitarra tra le braccia.
“Pà, non so se te ne sei accorto, ma ci hai rovinato un bel momento” proclama Nathan dopo qualche secondo di immobilità generale.
Noi donne ci portiamo una mano alla fronte, pensando comunemente che Nathan sia stupido. Dopo un attimo Connor e Jimmy provvedono a far scendere me e Cherie dalle loro spalle.
Zio Matt, in tutto questo, è rimasto sulla porta, immobile e scioccato.
Ehm… ops.
“Papà?”
Alicia accorre per svegliarlo dallo stato di trance, scuotendogli appena un braccio.
“Sì, sì, ci sono. Però… ora dormite, okay?” dice lui, e non mi pare che si sia ripreso totalmente dallo shock.
Esce dalla stanza e noi ragazze ci affrettiamo a seguirlo, dando una veloce buonanotte ai ragazzi.
Quando entriamo in stanza ci ficchiamo subito sotto le coperte e spegniamo la luce, ben sapendo che ci dovremo svegliare presto per goderci al massimo ogni momento del pre-show.
“Notte Cherie, notte Ali” sussurro, ricevendo per risposta dei mugolii che mi fanno sorridere.
Chiudo gli occhi e penso ai sorrisi dei miei fratelli imbracciando la chitarra preferita di papà. Se c’è una cosa che papà non ci permette assolutamente di fare, è suonare le sue chitarre senza che lui ci stia vicino. Fino a cinque o sei anni fa non ci permetteva neanche di sfiorarle, a dirla tutta. Poi, un giorno, ci ha permesso di farlo. È venuto da noi sorridendo, con la sua chitarra preferita tra le braccia e ci ha detto: “che ne dite di provarla?, è fenomenale!”
Prima Jimmy, poi Connor, l’hanno tenuta tra le braccia e hanno suonato qualcosa. Entrambi sorridevano così tanto che avrebbero potuto illuminare la stanza anche con le tapparelle completamente abbassate.
Mi addormento spesso cullata da questo ricordo di qualche anno fa. Mi da una sensazione di pace, di spensieratezza.
Dopo qualche minuto Cherie scatta in piedi, veloce come un fulmine e facendo quasi morire di crepacuore me e Alicia.
“Che cazzo hai Cherie?” chiede Ali, mettendosi a sedere nel letto.
Cherie, per tutta risposta, le fa cenno di tacere e accosta l’orecchio al muro confinante con la stanza di papà e Zacky.
Anche io mi metto a sedere, sentendo, effettivamente, un rumore strano. Forse a papà o a Zack hanno dato un letto da schifo, dato che si sente cigolare.
“Brian, piano.”
Nel petto perdo un battito.
La voce strascicata di Zack è come una pugnalata. Perché il suo Brian, piano non è detto con un tono di voce normale. È un gemito, un fottuto gemito di piacere.
E anche Alicia e Cherie l’hanno capito. Cherie si siede a terra, turbata e afflitta. Mi alzo e la raggiungo, scivolando al suo fianco e prendendole la mano.
I gemiti scalfiscono il silenzio per infiniti minuti, la voce di mio padre che chiede sempre di più al suo amante rompe il silenzio, i lamenti di Zack attutiti dal cuscino sembrano trapassare le ossa e persino le mani che si accarezzano, che si afferrano, che corrono lungo il corpo dell’altro, paiono poter essere sentiti chiaramente dalle nostre orecchie.
Improvvisamente una luce dal comodino ci fa riscuotere, Alicia prende il suo cellulare e legge il messaggio.
“È mio padre” ci dice. “Ha scritto: per favore, ditemi che state dormendo.”
No, zio. Siamo sveglie e consapevoli.
 

***

 
Quasi mi spavento, non appena lo specchio mi ricambia l’immagine. Ho due occhiaie scure che incorniciano gli occhi gonfi di sonno, la faccia praticamente bianca e un sacco di matita nera colata lungo le guance.
Stupide lacrime.
Mi infilo sotto la doccia tentando di reprimere le immagini che mi vagano nella testa, così abominevoli che avrei voglia di vomitare fino a non ricordare più nulla.
Rinuncerei quasi all’immagine che uso per addormentarmi, pur di togliermi dalla mente le immagini dei corpi di papà e di Zacky che fanno passionalmente l’amore.
Quando esco dalla doccia, Ali mi ha preparato i vestiti. L’ha fatto anche con Cherie. Alicia è proprio un angelo.
Mi infilo il pantalone strappato che Ali ha scelto, la felpa dei Guns n’ Roses un tempo appartenente a Johnny e le mie consumate Converse nere. Ali mi aggiusta anche i capelli lunghi e biondi, lisciandoli accuratamente con la piastra.
Cherie è già pronta, sta in silenzio seduta sul bordo del letto. Anche per lei Alicia ha scelto un ottimo abbinamento: jeans chiari, maglia maniche lunghe scura tagliata appositamente da lei per poter essere il più femminile possibile e Vans bordeaux. Le ha sistemato i capelli mossi, con un ciuffo perfetto sbarazzino davanti agli occhi.
“Vado a farmi una doccia” ci dice l’angelo in questione. “Vi serve il trucco, così scendete prima per la colazione?”
Io e Cherie annuiamo, così Alicia ci passa la sua trousse e si rinchiude in bagno.
Cherie è più sconvolta di me. Penso che potrebbe tirare un pugno a suo padre, in questo momento, tant’è infuriata.
Mi accovaccio davanti a lei e le sorrido incoraggiante, subito dopo le passo il fondotinta più chiaro della trousse di Ali. Cherie si sforza di ricambiare il sorriso, poi si alza e si dirige allo specchio.
Ci trucchiamo l’una accanto all’altra, in silenzio. Spalla contro spalla. Lei si mette il fondotinta chiaro, un velo di matita sotto gli occhi e giusto un po’ di ombretto rosa. Io mi metto più matita nera e, in un momento di nervosismo più asfissiante, mi trucco pesantemente di nero anche le palpebre degli occhi.
Sembra che ho fatto a pugni, ma non m’importa.
Esco dalla stanza senza aspettare Cherie e Alicia, con passo svelto e sicuro mi dirigo all’ascensore.
Scendo fino all’atrio e scorgo all’istante il mio gemello davanti al portone, a braccia conserte. Capisco immediatamente che mi sta aspettando, poiché non appena mi vede uscire dall’ascensore si lascia sfuggire un piccolo sorriso.
Noto che si è vestito proprio bene: camicia nera non abbottonata fino in fondo, jeans scuri a vita bassa e Dr. Martens ai piedi. Inoltre si è impegnato molto per l’acconciatura, molto simile a quella di mio padre verso i trent’anni. I capelli di Connor sono sparati in ogni direzione, deve averci mezzo flacone di gel sulla testa per ottenere un risultato così figo.
“Hey” mi saluta. Sorride appena, ma è triste.
Sa tutto, ha sentito tutto anche lui. Probabilmente anche il tizio seduto alla poltroncina del bar che mi fissa da quando sono arrivata ha sentito ogni gemito di mio padre e Zacky.
“Usciamo fuori, Nic.”
Mi avvolge le spalle col suo braccio e io lo seguo senza protestare, sono così scombussolata che in questo momento non mi renderei conto neanche di una rapina a mano armata.
Percorriamo un vialetto alberato che conduce dietro l’hotel e sediamo su un muretto vicino la cucina, un posto impregnato di un ottimo odore di caffè e cornetti caldi.
“Che schifo” mormoro, cercando le sigarette nella mia borsa.
“Già. Non so se sia più brutto il fatto che papà abbia tradito mamma, o che abbia fatto sesso con Zack” dice lui, portandosi le ginocchia al petto con un sospiro.
“Già il fatto che l’abbia tradita è orrido, poi che l’abbia fatto con Zacky…”
“Peggiora solo le cose.”
Zio Matt è apparso dallo stesso viale che abbiamo percorso anche io e Connor per arrivare qui. È sereno, o almeno dal sorriso appena accennato che ha sul viso lo sembra.
Io mi affretto a rimettere nella borsa le mie Marlboro Rosse appena trovate, ma, ovviamente, non faccio in tempo a nasconderle alla sua vista. Mio padre sa che fumo, ma oltre a lui l’ho tenuto nascosto a tutti gli adulti. Se mia madre venisse a saperlo mi ucciderebbe, come minimo.
“Di quelle parliamo dopo” mi dice zio, mentre sul volto il sorriso gli si spegne. “Ora dobbiamo parlare di quello che è successo tra Brian e Zacky… con Jimmy ho già parlato, mentre Cherie mi è sembrata troppo scossa.”
“Sì, è distrutta” affermo a voce bassa.
“Oggi cercate di fingere che sia tutto a posto, cercate di simulare dei sorrisi e cercate di non pensare all’accaduto…”
Strabuzzo gli occhi. Come cazzo può chiederci di fingere di non sapere nulla, quando tutto l’hotel avrà sentito chiaramente ogni momento della loro scopata?!
Come cazzo può pretendere che fingiamo di stare bene?!
“Zio…” borbotta Connor, cercando le parole per spiegargli lo stesso concetto che io, nella mia testa, sto gridando a gran voce.
“Cercate di capirmi” lo interrompe lui. “Non vi sto chiedendo di far finta di niente, solo di mettere da parte la rabbia e la tristezza per un po’. Stasera abbiamo uno show importante e non possiamo sbagliare, anche perché Zack sta male.”
“Ieri sera non mi pareva tanto sofferente” sbotto.
L’ho già detto che nessuno mi ha mai insegnato a contare fino a 6277 prima di parlare?
“Nicole!” mi richiama zio Matt, alzando gli occhi al cielo. “Non si tratta di ignorare la cosa, ne parleremo anche all’interno della band… ma non oggi! Dobbiamo essere concentrati per lo show, dobbiamo spaccare tutto e non sbagliare.”
Zio è così tranquillo che mi fa saltare il sistema nervoso. I suoi due fottuti chitarristi sposati e con figli hanno scopato come due ricci in calore rendendone anche l’intero hotel consapevole e... dannazione, come cazzo può essere così calmo?!
Giro il viso e cerco lo sguardo di mio fratello. Gli occhi di Connor sono stanchi, colmi di amarezza e frustrazione. Però sono anche comprensivi.
Sì, zio Matt ha ragione. Oggi non sono papà, zio, Zack e Johnny. Oggi abbiamo Synyster Gates, M. Shadows, Zacky Vengeance e Johnny Christ.
Ha ragione zio Matt, non lasceremo perdere ma ne parleremo in seguito.






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* Specifico che il Festival del Rock di New York me lo sono inventato io :)

Anyway, con questo capitolo è segnata un po' la svolta della storia e... boh, spero vi piaccia!
Recensite *fa gli occhi dolci*
Echelon_Sun

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Capitolo 6
*** Flashback (2) ***


Da circa mezz’ora sto sopportando la stessa storia sentita e risentita già mille volte, tanto noiosa che quasi mi fa venire voglia di lasciar perdere le parole di zio Matt e gridare a mio padre tutto quello che mi passa per la testa riguardo la sua clamorosa scopata con Zacky.
Johnny ci sta raccontando del suo primo incontro con mio padre e The Rev e sì, è una storia divertente, ma ha quasi rotto le palle.
Sono le otto di sera e siamo nel backstage con i Good Charlotte, in attesa che i Sevenfold si esibiscano sul palco. I miei fratelli e Nathan parlottano sottovoce seduti sulla moquette dall’altro lato della stanza, mentre tutti noialtri siamo radunati attorno a un tavolino di legno malmesso.
Cherie ha il capo poggiato nell’incavo del collo di Alicia, e la mia mano da sotto il tavolo è incastrata a quella della piccola Baker.
Anche se ciò che è successo stanotte ci ha sconvolti tutti, ci è stato subito chiaro che quella messa peggio è Cherie e così le stiamo vicino nel migliore dei modi.
“E poi ho visto questo ragazzo altissimo, così alto che ho scoperto il colore dei suoi occhi solo dopo due mesi” dice Johnny, gesticolando ampiamente.
Tutti ridacchiano, a parte me sono persa nei miei pensieri. Vago un po’ nei ricordi.
 

***

 
Siamo alla fine di maggio, mancano tre settimane alla fine della scuola e la mia maglietta senza spalline dei Sevenfold mi sta regalando tante belle occhiate da parte di qualche bell’imbusto della scuola. Ho messo anche i pantaloncini stretti al sedere, stamattina.
Jimmy pare essersi accorto delle mie intenzioni, infatti mi cammina dietro come se fosse la mia guardia del corpo. Ma questo, ovviamente, non fa sì che gli sguardi rivolti al mio fondoschiena diminuiscano.
Connor stamattina, invece, è piuttosto logorroico. Non la smette un secondo di blaterare al mio fianco con Cherie.
“Quelli sono i figli del chitarrista di quella band di checche.”
Mi fermo contemporaneamente a Connor e Cherie, Jimmy viene a sbattermi contro. La voce di Lorenz, il più cretino e idiota figlio di puttana della scuola, irrompe nel mio cervello.
So che alcuni odiano i Sevenfold, e so che tra questi c’è anche Lorenz. Il tizio dovrebbe essere al penultimo anno ma è rimasto bloccato al primo ed è, dopo di noi, uno dei ragazzi più popolari della scuola, ma non è noto solo perché è un bullo, anche per la sua assurda somiglianza con Ron Weasley. Lorenz è alto quanto me e grosso il doppio, dati i muscoli pompati che lo rendono simile a zio Matt quand’era più giovane. Per di più, abbiamo già sfiorato la rissa una volta.
“Della porchetta?”
Mi volto, accanto a Lorenz c’è un ragazzino basso e di corporatura gracile, il quale ha dipinta sul volto una maschera di disprezzo. Cherie mormora uno stronzo, dato che il soprannome è per Zack ma pronunciato con tanta perfidia non è affatto divertente.
“No, di quello che fa degli assoli da schifo. Sai, quello coi capelli da frocio e l’aria da egocentrico del cazzo” continua Lorenz a voce più alta, in modo che ogni parola sia comprensibile a tutti.
Okay, ce l’ha solo con noi tre.
In cortile tutti si voltano a guardarci, sanno che non finirà bene. Eppure io oggi volevo solo arrivare sotto il pino e fumarmi una sigaretta coi miei amici, dannazione!
Mi avvicino lentamente a lui, seguita dai miei fratelli. Connor ha in sé la stessa mia rabbia, mentre Jimmy vuole evitare che scateniamo una rissa.
“Quindi, che pensi ancora di mio padre?” chiedo, quando mi ritrovo a qualche palmo di distanza da lui.
“Nic…” mi supplica quasi, Jim, cercando di trattenermi per un braccio.
“Penso che sia un povero coglione, uno stupido ignorante che crede di essere Slash.”
Il suo alito fa schifo, è un misto di tabacco e vodka, ma reprimo la voglia di vomitare che mi assale.
“Ah? E che pensi dei Sevenfold?” chiedo ancora, ghignando.
Una mano si posa sulla mia spalla, è di Jimmy, che ancora tenta di farmi stare buona. Lo ignoro.
“Che sono dei falliti. Non sanno suonare, Haner! Non sanno mettere insieme sette note e il cantante ha una voce da far rimettere anche il Rev da morto!”
BUM.
Il mio pugno lo centra in pieno sullo zigomo. Lui non urla, ma si porta una mano al viso pieno di rabbia.
Cerca di avventarsi su di me, ma Connor si mette in mezzo e, per la fretta di scostarmi da lì, mi fa cadere col culo a terra.
Mentre Jimmy mi porge la mano per farmi rimettere in piedi, vedo il mio gemello dare un pugno a Lorenz. E centra il suo viso anche meglio di me, poiché al tizio comincia a sanguinare il naso.
Zio Matt si avvicina pericolosamente.
Cazzo, cazzo, cazzo, non lo avevo visto arrivare. Vorrei chiamare Connor e dirgli di smetterla, ma zio è praticamente dietro di lui.
Connor afferra Lorenz per il colletto della maglietta che porta, se lo tira verso di sé con un ringhio di rabbia proprio nel momento in cui zio poggia le mani enormi sulle spalle del mio gemello, incazzato e con gli occhi più scuri del normale.
Connor lascia andare il colletto di Lorenz e si volta.
“Dileguati.” La voce di zio è fredda e Lorenz non può fare di meglio che correre letteralmente via. Poi, i muscoli che, nonostante l’età, zio Matt esibisce ancora con fierezza farebbero scappare chiunque a gambe levate.
“Zio, che cazzo! Ce la stavamo cavando alla grande” sbuffa Connor, incrociando le braccia al petto.
Anche zio incrocia le braccia, segno che ci sono guai in vista. Merda.
“Che diavolo è successo?” si intromette Nathan, spuntando da dietro suo padre.
Jimmy spiega tutto ai nuovi arrivati, mentre io e Connor stiamo ancora sbollendo la rabbia.
“Voi quattro andate in classe” ordina zio ai suoi figli e a Jimmy e Cherie. Poi sospira. “Connor, Nicole, noi dobbiamo palare.”
Sì, siamo nella merda fino al collo. Se papà si risparmia sempre di farci la predica quando combiniamo qualche casino a scuola, zio ce la fa amplificata per dieci.
Oggi sembra pure più grosso del normale, tra l’altro. Ed è così irato che ho quasi paura che dirà qualcosa a papà che lo spingerà a rimproverarci.
Che palle.
Non appena Jimmy, Cherie, Alicia e Nathan ci salutano e vanno nelle rispettive classi, zio Matt ci rivolge uno sguardo tutt’altro che incoraggiante.
“Oggi niente scuola per voi due, è meglio che ci facciamo una bella chiacchierata.”
Io e Connor annuiamo, felici perlomeno di perdere un giorno a far nulla sui banchi di scuola. Zio sembra incazzato, ma almeno non ha chiamato papà… o, ancora peggio, mamma.
Ci andiamo a sedere a una bar e zio ci offre un caffè. Il bar di fronte la scuola è il più carino di tutta la città, meta delle troiette che anche a scuola girano coi tacchi a spillo e dei ragazzi popolari col fisico scolpito. Io, i miei fratelli e gli altri non facciamo proprio parte di queste categorie, ma essendo pur sempre i figli degli Avenged Sevenfold attiriamo un sacco di attenzione anche senza volerlo.
Comunque, il nostro bar preferito resterà sempre il Johnny’s.
“Non voglio farvi la paternale, ragazzi” esordisce zio Matt accendendosi una Camel. “Non sono vostro padre e non ho il diritto di venirvi a dire cosa dovete o non dovete fare, però...” ci guarda con i suoi enormi occhi verdi mentre sorseggiamo il caffè, “almeno, cercate di capirmi” conclude con un sospiro.
Non mi va di stare a sentirlo, ma farò uno sforzo.
“È carino che vi siate infuriati così perché quel tizio ha offeso noi e la nostra musica, ma avete totalmente sbagliato i modi. L’ignoranza si mortifica col silenzio, non con un paio di cazzotti ben assestati” ridacchia appena per l’ultima frase, e anche Connor accenna un sorriso. “Voi due siete identici a vostro padre e Jimbo da ragazzi, è... avete gli stessi comportamenti. È impressionante!” Tira dalla sua sigaretta. “Neanche lo so quante volte mi sono dovuto mettere in mezzo in una rissa affinché i due non finissero in galera” continua, espirando il fumo, “non si contano le volte che mi hanno promesso che avrebbero smesso con queste reazioni esagerate per poi mandare tutto a puttane. Un paio di volte sono andato anche a riprenderli alla centrale della polizia.”
Non è triste, pentito o risentito mentre parla. Ha un sorriso sbilenco disegnato sul volto. So benissimo che pagherebbe milioni pur di riavere solo un’altra sera Jimmy ‘The Rev’ e mio padre ubriachi da riportare a casa. So che darebbe qualsiasi cosa pur di rivedere il sorriso del Jimmy che non ho mai avuto l’onore di conoscere.
“Ricorrere alla violenza fisica è un qualcosa di incivile, ragazzi. Un qualcosa che davvero porta solo altra violenza e non cancella l’ignoranza.”
“Hai ragione, zio” dice Connor, poggiando i gomiti sul tavolino di legno che lo divide dalla figura di zio Matt.
“Voglio solo che sappiate che questi anni non torneranno indietro e, a volte, evitare una rissa fa anche bene alla salute.”
 

***

 
“Okay, Zack, fai un bel respiro.”
I Good Charlotte sono andati via da dieci minuti, non appena un addetto allo staff è venuto a comunicare a mio padre e alla band che tra un po’ sarebbe stato il loro turno. Zacky soffre di ansia da palcoscenico, così comincia a non avere più il solito respiro regolare e si allunga sul divanetto del camerino per tentare di calmarsi.
Cherie, Johnny e zio Matt cercano di calmarlo ricorrendo a tutta la loro fantasia per ricordargli quanto sia bravo con la chitarra.
Mi fanno sempre ridere, sono anni che Zacky ha questo problema e loro ancora gli stanno attorno come se avessero paura che la cosa possa frenarlo una volta salito sul palco.
“Nicole” mi chiama mio padre dall’altro lato della stanza, con voce roca.
Mi avvicino a lui, che sta strimpellando l’assolo di November Rain dei Guns n’ Roses.
Oggi io e mio padre siamo stati piuttosto lontani, anche se io ho pur sempre mascherato meglio i sorrisi rispetto a Cherie. Zacky oggi era molto preoccupato per lei, tanto che siamo dovuti andare a chiederle di recitare meglio.
“Nic, qualche minuto prima che finisca lo show chiama la mamma e dille che è andato tutto bene. Okay?”
Annuisco con un cenno del capo. Papà ha sempre chiamato mamma alla fine di ogni concerto, almeno per farle sapere che era vivo.
“Ragazzi, si va in scena!”
Larry apre la porta del camerino sorridendo allegramente. In un attimo nella stanza si fa spazio l’adrenalina pura.
Zack salta giù dal divano e tutti si ammassano sulla porta per uscire e andare sul palco. Johnny comincia a saltellare sul posto, mentre il roadie Jason gli porge il basso. Papà si aggiusta il capello sulla testa e zio Matt sorride ad Ali che gli sta dicendo di spaccare tutto e fare tanto casino da farsi invidiare dalle stelle.










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D'accordo questo capitolo non è che mi convinca moltissimo, ma ho aggiornato perché è il compleanno di Gates e quindi mi andava xD
Spero vi piaccia e... Lorenz non è poi così stronzo, ve lo assicuro ;)

Grazie a tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite, a chi recensisce e a chi legge. Siete splendidi.

Tenetevi pronti per il prossimo capitolo,
Echelon_Sun

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Capitolo 7
*** You're so far away. ***


Premetto che non ho avuto il coraggio di rileggere questo capitolo e che troverete non so quanti errori. Comunque è un po' diverso dagli altri e le parti in corsivo sono i ricordi di Nicole del 28 dicembre dell'anno addietro, mentre le parti scritte non in corsivo sono il presente al Festival del Rock di New York.











Devo farlo da sola, avevo detto a Connor nel momento in cui era saltato giù dal divano per venire con me. Sono sicura di aver fatto la scelta giusta, sia venendo qui che facendolo senza nessuno. Tenendo mio padre e la band persino allo scuro della cosa.
C’è un po’ di vento, ma si sta bene e l’aria non è poi così esageratamente ghiacciata. È il 28 dicembre, ma ad Huntington Beach non è mai davvero inverno.
Entro nel cimitero lentamente, fissando la rosa rossa incastrata tra le mie dita, e non ci metto troppo a trovare la tomba che sto cercando. Dopotutto vengo qui almeno tre o quattro volte l’anno, anche se è la prima volta in completa solitudine.
“Ciao, Rev” dico, a voce bassa.
Mi lascio cadere col culo al suolo, siedo a gambe incrociate proprio davanti la tomba.
“Scusami se è la prima volta che vengo qui da sola... ma, sai, in fondo noi due neanche ci conosciamo.”
Un ghigno stanco squarcia la mia guancia sinistra. “Comunque è sempre meglio tardi che mai, no? E ora sono qui, non so neanche dire esattamente se sono passata per farti solo un saluto.”
Quasi mi aspetto un qualsiasi cenno che mi spinga a proseguire col discorso, ma sto pur sempre parlando con una tomba.
 
Nathan mi scuote per un braccio. Che cazzo, possibile che ogni volta che mi perdo nei miei pensieri ‘sto rompipalle debba farmi tornare bruscamente alla realtà?!
“Dimmi, Nathan” dico, sbuffando.
“Stanno per fare So Far Away, Nic” mi dice lui.
Probabilmente ho alzato un sopracciglio come per dire ‘e quindi?’, dato che il piccolo Sanders ha sospirato rumorosamente e mi ha praticamente gridato: “che cazzo, tu me l’hai detto di chiamarti che non volevi perderti questa fottuta canzone!”
Ah, giusto.
“Grazie, scusa Nate!”
Corro attraverso il backstage fino a che non mi ritrovo a due millimetri dal palco, se non avessi l’ottimo equilibrio che mi ritrovo sarei finita col muso a terra dato che ho inchiodato malamente dopo una corsa a tutta velocità.
“Nic, ci degni della tua presenza” ride Connor, invitandomi a sedermi al suo fianco.
Mi siedo proprio nel momento in cui le note iniziali di So Far Away si insinuano tra il pubblico, nella mia testa, tra le mie costole.
 
Never feared for anything
Never shamed but never free
A light that healed a broken heart with all that it could
 
“Sai, Jimmy, papà parla spesso di te. Tutti parlano spesso di te, a dire il vero. Conosco la tua vita meglio della mia” mi lascio andare a una piccola risata.
Sospiro. “Avrei voluto conoscerti, Jimmy. Lo avrei voluto davvero tanto. Papà dice che sicuramente noi due avremmo legato tantissimo, poiché siamo molto simili caratterialmente. Dice che mi avresti insegnato a suonare la batteria e che sicuramente avresti straveduto per me più di chiunque altro. Tutti pensano che saresti stato splendido con noi ragazzi, saresti stato quello che ci avrebbe tirati fuori dai guai in ogni situazione, quello che ci avrebbe difeso ogni volta che avremmo fatto una delle nostre bravate. Tutti pensano che saresti stato un ottimo amico per noi, saresti stato il solito casinista sempre con la battuta pronta. Mamma e zia Val pensano che con noi saresti stato il bravo ragazzo dolce e protettivo che ti rivelavi essere con le ragazze. Gena pensa che saresti stato quello da cui loro mamme ci avrebbero messe in guardia. Ma ti immagini mia madre che prima che io esca di casa mi fa: e, mi raccomando, non andare a bighellonare in giro col Rev!”
Ridacchio appena, ma torno seria in un attimo. Non pensavo che potesse essere così… liberatorio, parlare con una tomba.
“Zio Matt spesso indossa la maglietta con la tua faccia sopra, gliel’hanno lanciata dei fan durante un concerto. Dice che sente la tua mancanza come un buco nero nello stomaco, come una malattia con cui convivere. Johnny e Zacky ridono sempre ricordandosi di te, dicono che la tua vita non può essere ricordata tristemente. Tu hai dato tutto quello che avevi da dare a questo mondo, dunque non c’è nulla per cui disperarsi. Papà è quello che di te parla meno, sai? Quando gli altri ricordano qualche tua bravata, lui si limita a sorridere. Io credo che se tu fossi qui papà sarebbe più felice, perché si vede benissimo che la tua morte lo ha segnato profondamente.”
 
Lived a life so endlessly
Saw beyond what others see
I tried to heal your broken heart with all that I could
 
“Io sono sicura che tu sei ancora qui con noi, ne ho l’assoluta certezza. Io sento che tutti noi siamo protetti, come se ci fosse l’ala di un angelo a ripararci dalle ostilità del mondo. E so che quest’ala appartiene a te.”
Porto le ginocchia al petto, sforzandomi di non piangere.
“Eri bello, Rev. Davvero, davvero bello. Una volta, probabilmente facevo le elementari, ho chiesto a papà se sapesse spiegarmi come fosse possibile che i tuoi occhi fossero così belli...”
“E io ti ho detto che le cose belle come i suoi occhi, a volte non hanno bisogno di una spiegazione.”
 
Will you stay?
Will you stay away forever?
 
Papà si siede al mio fianco, con un piccolo mazzo di fiori tra le braccia. Che figura di merda, penso, arrossendo violentemente.
Posa i fiori sulla tomba dell’amico, poi resta per un minuto in silenzio a occhi chiusi. Sta pregando, forse? Bah.
“Scusami se ti ho interrotto, non pensavo che gli stessi parlando” mi dice dopo un po’, aprendo lentamente gli occhi ma senza guardare me.
Io non so che rispondere, mi sento così in imbarazzo che non riesco a spiccicare una sillaba. Eppure, uscendo di casa, mi ero assicurata del fatto che papà stesse ancora ronfando nel suo letto. Da quanto cazzo di tempo sono qui?
 “Allora, Jimbo, eccomi tornato.”
Mi volto a guardare mio padre, sorride appena. Anche se è un sorriso triste.
“Sai, amico, mi manchi più che mai. Quando dicevano che solo il tempo avrebbe guarito le ferite si sbagliavano, la mia brucia più che mai. Sono passati quasi vent’anni, cazzo, e a me pare ancora di sentire la rabbia unita al dolore che provai in quel maledetto ventotto dicembre duemilanove. Dannazione, Jimmy, mi manchi! Mi manchi più che mai...”
La voce gli s’incrina e alza il viso per cercare di non far uscire le lacrime.
“Penso sempre a come sarebbe andata la vita con te ancora con noi. Alle cose che sarebbero potute andare diversamente... e sai a cosa mi riferisco.”
 
How do I live without the ones I love?
Time still turns the pages of the book it’s burned
Place and time always on my mind
I have so much to say but you’re so far away
 
Papà mi guarda, come se solo coi suoi occhi volesse dirmi tante di quelle cose che neanche un miliardo di parole potrebbero esprimere.
Io voglio che continui a parlare con Jimmy.
Riporta lo sguardo sulla tomba e riprende.
“Tu c’eri sempre Jim, per me e per tutti. Eravamo fratelli, ma tu eri davvero la colonna portante della band. Non era Matt con le spalle più grosse e i muscoli più pompati, né Zacky con la sua dolcezza, o io o il nano con le nostre cazzate. Eri tu. Tu c’eri ad ascoltare i nostri problemi in piena notte, ti sorbivi tutte le nostre sfuriate. Tu mi eri accanto quando vomitavo anche l’anima dopo una sbronza, sei stato il primo a entrare in stanza da Matt dopo l’operazione, c’eri durante le epocali scenate di Johnny contro un qualcosa sempre di troppo grosso per poter essere risolto da uno come lui.”
Sospira tristemente. “E sono sicuro che saresti stato molto più efficiente di noi con Zack, in questo periodo.”
 
Plans of what our futures hold
Foolish lies of growing old
It seems we’re so invincible
But the truth is so cold
 
“Mi dispiace davvero tanto che tu non abbia conosciuto i nostri figli. Sono sicuro che sareste andati d’accordissimo, soprattutto con i miei gemelli e con Nathan. Saresti sicuramente intervenuto per difenderli dalle madri o da Matt.”
Papà ridacchia appena, alzando lo sguardo al cielo e riportandolo subito alla tomba davanti ai suoi piedi.
“Non hanno goduto delle tue feste splendide, Jimmy. Non hanno mai visto il tuo sorriso, non hanno mai sentito il calore del tuo abbraccio o la tua irrompente voce e... giuro, Jimbo, che mi sembra un’ingiustizia pura. Tutti avrebbero dovuto essere stretti almeno una volta dalle tue braccia, in quell’abbraccio che sapevi dare solo tu e che, nonostante tutti si lamentassero di star soffocando, nessuno avrebbe voluto sciogliere.” Stringe le labbra. “Il massimo che sono riuscito a fare è stato chiamare il mio primogenito col tuo soprannome, che per noi Sevenfold era diventato il nome a tutti gli effetti. E Matt ha dato a suo figlio ‘James’ come secondo nome. Carino, no?”
 
A final song, a last request
A perfect chapter laid to rest
Now and then I try to find a place in my mind
Where you can stay
You can stay awake forever
 
Papà si asciuga una lacrima, facendo quasi piangere anche me. Però io mi trattengo, adesso devo essere quella forte.
“Sono passati diciotto fottuti anni, Jimbo, e tu mi manchi ancora come se fossi morto ieri! La tua voce rimbomba ancora nelle mie orecchie come se non la sentissi solo da qualche giorno e non da anni, la tua meravigliosa risata è ancora incastrata nella mia memoria, i tuoi occhi risplendono ancora nelle mie iridi. Ma tu non ci sei, e mi manchi.”
La voce di papà è totalmente incrinata dal peso delle lacrime e dai singhiozzi. Non credo di averlo mai visto piangere così. Tutte le volte che siamo venuti a trovare Jimmy ha pianto, ma sempre lasciando uscire solo poche lacrime e nascondendo il viso tra le mani.
Faceva sempre di tutto per contenersi, poi mamma ci diceva di aspettarlo in macchina. Noi, da lontano, lo guardavamo ma non credo che abbia mai pianto così… violentemente.
“A volte, dopo un assolo riuscito particolarmente bene, mi giro a sorridere verso la batteria col mio solito fare spavaldo.” Abbozza un sorriso sotto lo strato di lacrime. “C’è Arin alla batteria, che mi ricambia il sorriso, divertito. Non sa quanto io mi senta sprofondare di mezzo metro trovando il suo sorriso e non il tuo...”
 
How do I live without the ones I love?
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Place and time always on my mind
I have so much to say but you’re so far away
 
Papà si porta le ginocchia al petto e vi nasconde il viso, continuando a singhiozzare senza tregua. Gli appoggio una mano sulla spalla, senza sapere che fare di meglio.
Come potrei consolarlo o dirgli di non piangere?
Non ho parole per dirgli di non piangere.
E non posso neanche dirgli che andrà tutto bene.
Dopo diciotto anni papà sta ancora da schifo e soffre come un cane per la morte di Jimmy; non va bene. Non va bene per un cazzo.
Una mano fa compagnia alla mia, sulla spalla di papà. Alzo lo sguardo, quasi in un sussulto. C’è Zacky, e dietro di lui ci sono anche zio Matt e Johnny.
Si siedono accanto a noi, Zack cinge le spalle di papà con il suo braccio e lo stringe a sé. Zio mi siede accanto e sorride verso la tomba, come se stesse salutando Jimmy. Johnny si siede alla destra di Zack, neanche lo vedo da dove sono io.
“Ciao, Jimmy” dice zio dopo un po’, continuando a sorridere appena.
 
Sleep tight, I’m not afraid
The ones that we love are here with me
Lay away a place for me
Cause as soon as I’m done I’ll be on my way
To live eternally
 
Zio, dal centro del palco, sposta lo sguardo dalla folla a mio padre. È il suo momento: c’è l’assolo ora.
Papà si è sempre vantato della sua posizione ‘centrale’ nella band, dati gli assoli sempre presenti nelle canzoni degli Avenged Sevenfold. Ritiene che l’assolo sia la parte fondamentale di una canzone.
L’assolo di So Far Away, poi, l’ha sempre perseguitato. Mamma ci ha raccontato che i primi tempi, in sala prove, lo sbagliava continuamente. Bestemmiava, gridava parolacce che si sentivano per tutta Huntington Beach, tirava calci al muro, una volta ha quasi sbattuto a terra la sua amata chitarra... ma nulla, l’assolo non riusciva.
Spesso le giornate si concludevano con crisi di pianto. Papà li ricordava con mamma, a tarda notte, quando saremmo già dovuti essere nel mondo dei sogni e invece origliavamo le conversazioni dei nostri genitori dal corridoio del piano di sopra.
Papà diceva a mamma che mollava la chitarra e si chiudeva in bagno a piangere, gridava a Jimmy di tornare. Poi qualcuno degli altri andava da lui e lo abbracciava spasmodicamente, fino a che le lacrime non finivano e lui si calmava un po’.
Le registrazioni del cd Nightmare sono state stremanti sia per papà che per gli altri membri del gruppo. Anche per tutti gli addetti al suono, per Larry e per i roadie. Anche per le nostre madri.
Nonostante ogni singolo membro della band stesse convivendo col dolore, per amore dei fan, papà era quello che non riusciva a farsi una ragione della morte del Rev. E non riusciva a suonare, soprattutto quel maledetto assolo scritto da lui.
 
“Hai notato quanto Synyster Gates sia diventato romantico e… -sì, diciamolo pure- dolce? L’avresti mai detto che sarebbe diventato così diabetico?”
Tutti ridacchiamo alle parole di zio Matt, compreso papà che ha ancora la testa affondata tra le ginocchia, le guance piene di lacrime, il petto scosso dai singhiozzi e se ne sta rannicchiato tra le braccia di Zacky.
“Siamo lontani anni luce dal ragazzo stronzo che cambiava ragazza una volta al giorno, neanche fossero paia di calzini!” dice Johnny, sporgendosi in avanti e posando una mano sul freddo marmo.
“Già. Avresti mai pensato che avrebbe sfornato figli più di tutti?” continua zio.
“Lui, Jimbo! Lui che sparava minchiate ogni tre frasi, lui che da ragazzo era fiero di essere stato il primo del gruppo a perdere la verginità e che rompeva sempre le palle per andare nei Night Club e nei Sexy Shop” fa Zacky, continuando a stringere papà a sé.
Papà si ricompone e si asciuga le lacrime con i palmi delle mani staccandosi da Zack. Fissa la tomba come se ci fosse davvero il Rev davanti ai suoi occhi, come se non stesse parlando da solo.
“Il fatto è che le cose cambiano, nessuno può davvero organizzarsi la vita come gli pare” dice piano. “Ogni cosa può essere ribaltata. Io non avrei mai immaginato di sposare Michelle, tantomeno avrei pensato di avere tre figli. Però è successo e non lo rimpiango, perché sono felice così.”
Papà si volta appena e incrocia lo sguardo di Zacky, che gli sorride incoraggiante e mesto.
“E non avrei mai immaginato che un fratello ci avrebbe lasciati a soli ventotto anni, ma è successo…”
 
How do I live without the ones I love?
Time still turns the pages of the book its burned
Place and time always on my mind
And the light you left remains but it’s so hard to stay
When I have so much to say and you’re so far away
 
Ogni singola persona, alla morte di un parente o amico che sia, deve trovare una strada per convivere con il dolore. Una strada per interiorizzarlo e comunque proseguire con la vita.
Non ci si può chiudere nei rimpianti, nei ricordi felici o tristi, nella nostalgia. Non si salta di gioia, certo, ma prima o poi bisogna venire fuori dal bozzolo che ci chiude e ricominciare a vivere.
Papà non si è chiuso nel rimpianto, alla morte di Jimmy. Non stava lì a piangere ricordando la risata dell’amico e disperandosi perché non l’avrebbe risentita mai più né si tormentava domandandosi cosa sarebbe successo se.
Papà era infuriato, incazzato col mondo, con l’alcol, col cuore di Jimmy, con qualsiasi cosa avesse contribuito alla sua morte. Era così nero di rabbia che neanche mamma riusciva ad avvicinarlo, neanche i miei nonni, solo i Sevenfold.
Tutti soffrivano, ma papà distoglieva l’attenzione persino dal dolore altrui.
Zio Matt, mi ha raccontato zia Val, che una sera è dovuto correre in studio non appena rientrato a casa perché pareva che papà avesse scatenato una rissa con un tecnico del suono ch’era di passaggio in studio.
Questo tecnico, a quanto pare, gli aveva detto di smetterla di piangersi addosso. The Rev aveva voluto vivere una vita da rockstar e ne aveva pagato le conseguenze, la morte non aveva dovuto aspettare troppo per portarlo con sé.
Papà aveva dato di matto. E, per quanto il tecnico fosse muscoloso e per quanto tutti, in modo particolare i gemelli Barry e Dan The Body, avessero cercato di dividerli, alla fine papà gli aveva rotto il naso con dei pugni ben assestati. Se non fosse stato per l’intervento di zio, una bella denuncia non gliel’avrebbe tolta nessuno.
 
I love you
You were ready
The pain is strong and urges rise
But I see you when it lets me
Your pain is gone, your hands are untied
 
“Sai, Jimbo, ci manchi così tanto che a tanti anni dalla tua scomparsa mi emoziono ancora cantando So Far Away.”
Zio Matt ha chinato il capo e i suoi occhi si sono fatti lucidi. “Ancora piango pensando a quante cose ti sei perso. Saresti potuto diventare papà anche tu, dopo aver messo la testa a posto ovviamente. Ti saresti potuto sposare, avremmo goduto di altri bei momenti tutti insieme. Avremmo continuato a suonare, a divertirci...”
“Saresti stato un fantastico padre, ne sono certo” mormora Zacky. “Saresti stato splendido con chiunque dei nostri ragazzi. Con la tua intelligenza sopra la norma capivi sempre se c’era qualcosa che non andava, aiutavi chiunque a risolvere i problemi. Eri così sensibile...”
No, Zacky, almeno tu non piangere. Anche zio Matt ha lasciato scivolare qualche goccia di pianto, l’ha asciugata in fretta ma i suoi occhi sono rimasti gonfi di lacrime. Zacky invece si blocca, dato che comincia a singhiozzare e a tremare così forte che adesso è papà che abbraccia lui.
Johnny cambia posizione e si mette in ginocchio. “Il fatto è che tu eri troppo fragile. Avevi sempre quel sorriso fuori controllo stampato in viso, avevi sempre gli occhi colmi di gioia e spensieratezza... ma noi conosciamo la realtà. Potevi dire tutte le minchiate di questo mondo, potevi sparare una battuta ogni due parole, ma eri davvero troppo debole. E questo mondo è sempre stato crudele.”
“Non meritavi di morire così presto, anche se hai vissuto appieno ogni fottuto istante della tua vita” continua Zacky, spezzettando le parole come un balbuziente.
 
So far away
And I needed to know
So far away
And I need you to need you to know
 
Dalla mia posizione accanto a Connor non è che vedo proprio meravigliosamente i Sevenfold sul palco, ma devo dire che le scene importanti non me le sto perdendo.
Zio lascia le braccia penzoloni lungo i fianchi e guarda a terra, come se la canzone l’avesse svuotato totalmente. Johnny e papà si guardano di sfuggita, con un’espressione di puro smarrimento.
Zacky guarda zio Matt, che pare non si renda conto di essere sul palco davanti a un’enorme folla di ragazzi urlanti e adoranti. Si avvicina al microfono, stringendo più forte con la mano il manico della chitarra.
“Jimmy è sempre con noi” afferma con forza. “In ogni fottuto istante.”








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Ahm, spero vi sia piaciuto nonostante gli errori che sicuramente non mancano xD e vi prometto che lo aggiusterò non appena troverò il coraggio di rileggerlo.
Grazie a tutti,
Echelon_Sun

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Capitolo 8
*** Ci fidavamo di voi! ***


Nathan salta addosso a Jimmy, sulla schiena, e il mio fratello maggiore, preso alla sprovvista, ruzzola al suolo. Zio Matt scoppia a ridere, seguito a ruota dal figlio che, ancora aggrappato alla schiena di Jim, tenta invano di chiedere alla vittima del salto se sta bene.
“Levati di torno, nanerottolo” lo prende in giro Jim, sforzandosi di alzarsi. Jim, Cherie e Ali hanno sempre chiamato Nathan con questo nomignolo, poiché loro tre sono i più grandi e lui è il più piccolo.
“Un po’ di silenzio, per favore!” grida mio padre dal bagno. “Sto cercando di parlare al telefono.”
Nathan si alza e va a sedersi sul divanetto accanto al padre, a Johnny e a Connor, dopo qualche secondo Jim lo raggiunge e gli si siede addosso. Alicia ha portato Cherie a fare una passeggiata nell’intento di farla calmare e Zack, seduto accanto a me al tavolo, è in ansia quasi quanto prima dello show.
Io me ne sto in piedi vicino al divanetto e osservo Jimmy e Nathan che giocano e si prendono a pugni come ragazzini annoiati a cui la mamma ha tolto la playstation per un po’.
Gli Avenged Sevenfold sono stati davvero bravi, stasera. Hanno dato davvero tutto, ci hanno messo impegno in ogni singola nota. Mi sono proprio piaciuti, perché non si sono limitati a suonare… hanno fatto di più, hanno interpretato i brani, un po’ nello stesso modo in cui gli attori si calano nei panni del personaggio da impersonare.
“Proprio non capisco perché oggi Cherie sia così silenziosa e triste. Non l’ho vista sorridere neanche una volta!” si lamenta Zacky, facendomi venire voglia di gridargli tutta la verità. “Seriamente, Nicole, a te ha detto qualcosa? Ti ha spiegato il motivo del suo umore? Sono così preoccupato per lei...”
Il tonfo secco della porta che sbatte contro il muro mi risparmia lo sforzo di rispondere. Evidentemente, Cherie e Alicia erano dietro la porta e hanno sentito tutto.
Però la piccola Baker poteva risparmiarsi questa reazione.
Papà esce dal bagno e dalla sua espressione capisco che è incazzato. “Ma che cazzo avete oggi?!” esala spazientito. “Non si può neanche parlare al telefono in santa pace!”
Solo dopo aver parlato si accorge delle fiamme che gli occhi di Cherie mandano. Gli occhi chiari della ragazza sono calamitati a quelli identici del padre. Si stanno combattendo con lo sguardo.
“Cherie...”
Il tentativo di calmare le acque di zio Matt viene oscurato dalla voce pungente e fuori controllo di Cherie. La dolce Cherie che in questo momento potrebbe distruggere la stanza e picchiare suo padre, tanto è infuriata.
“Sei preoccupato per me?” grida la ragazza in modo isterico. “Perché, invece, non ti preoccupi di tua moglie che stai tradendo?!”
Il mio sguardo scivola su Zacky, che è rimasto paralizzato al suo posto e credo che posso mettersi a piangere da un momento all’altro. Poi guardo mio padre, che è rimasto immobile con gli occhi spalancati sulla porta del bagno, e noto che è totalmente sconvolto.
Non si aspettavano che potessimo sentirli ieri notte. Bè, mai sottovalutare i muri degli alberghi.
“Tu… tu non puoi capire, tesoro” borbotta Zack.
Okay, o è sotto l’effetto di un qualcosa di forte, o è totalmente impazzito. Ma come cazzo può pensare a rispondere così?
Dannazione, sua figlia incazzata a morte gli sta dicendo che sa che ha tradito sua moglie, e lui le risponde che non può capire. Ma che cazzo ha nella testa al posto del cervello?
“Non posso capire?!” grida più forte Cherie, con un picco di voce così acuto che penso che l’abbiano sentito solo i pipistrelli. “Vediamo se tu capisci questo, invece: mi fai schifo!” Con gli occhi che mandano lampi si volta a guardare anche mio padre. “Anzi, mi fate schifo entrambi” precisa, rabbiosamente, prima di uscire a passo svelto dalla stanza.
Zacky rompe in un singhiozzo sommesso e si nasconde il volto tra le mani, mentre Johnny scatta in piedi e segue di corsa Cherie fuori dalla stanza.
Nell’aria c’è così tanta agitazione che persino respirare mi pare un compito assai difficile.
Papà si avvicina lentamente al tavolo, costringe Zacky a scoprirsi il viso e glielo prende dolcemente tra le mani, poggiando la sua fronte contro quella sua. I loro respiri si fondono, i loro occhi tristi si confortano meglio di miliardi di parole.
Adesso avrei proprio voglia di scaricare tutta la mia frustrazione, proprio come ha appena fatto Cherie.
“Papà” chiama Connor, che intanto si è alzato dal divanetto, a voce bassa.
Papà interrompe il contatto con Zacky e si volta a guardare il figlio.
“Per la cronaca, anche a me fate schifo” gli dice Connor con una forza nella voce che mi sorprende.
Da uno come mio padre, una persona egocentrica e che si fa rispettare, mi sarei quasi aspettata una sfuriata. Papà avrebbe tutto il diritto di sgridare Connor e dirgli di non permettersi mai più di dirgli simili cose. Da papà mi sarei potuta aspettare anche un sonoro ceffone, e penso che anche Connor lo stesse aspettando.
Ma papà china il capo, sfinito e scoraggiato.
“Avanti” dice, sfoggiando un ghigno stanco. “Scaricatemi addosso tutta la vostra rabbia” continua, afferrando una sedia e sedendosi di fianco a Zacky. “Offendetemi, insultatemi, se volete e se pensate che vi farà stare meglio.”
D’accordo, papà, proprio come Zacky, o è sotto l’effetto di un qualcosa di forte, o è totalmente impazzito. Ma a differenza mia che mi creo i problemi, i miei fratelli hanno colto al volo l’occasione.
“Stai mandando a pezzi la famiglia, lo sai?” comincia Jimmy, che si è alzato al fianco di Connor e stringe le mani a pugno.
“Non solo hai tradito tua moglie, ma anche con Zacky! Non ti fai ribrezzo da solo?!” prosegue il mio gemello.
“Non fate solo schifo” continua Jim, “siete abominevoli. Ve ne state lì seduti mentre due famiglie vanno a puttane. E... diamine, mamma e Gena si fidano di voi due e anche noi, tutti noi” aggiunge, alzando ulteriormente il tono di voce, “ci fidia... ci fidavamo di voi!”
“Se Cherie non ha sorriso per tutto il fottuto giorno è solo colpa vostra e della vostra fottutissima scopata” riparte Connor all’attacco, dopo qualche secondo. “E, statene certi, mamma e Gena sapranno tutto presto. Molto presto.”
Zio Matt segue tutta la scena con la bocca mezza aperta, mentre i miei cugini sono totalmente esterrefatti, se ne stanno in silenzio in un angolino, immobili come se li avessero imbalsamati.
“E tu, Nic, non hai nulla da dire?” chiede mio padre, sorridendo tristemente.
Io? Io... io ci avevo pensato da quella mattina stessa. Un’idea un po’ malsana mi era vagata per la mente, ma l’avevo scacciata in fretta, come si fa con le mosche particolarmente fastidiose che ti ronzano attorno proprio quando hai meno voglia di allontanarle. Ma, proprio come fanno le mosche, l’idea malsana mi torna addosso, mi preme contro le tempie e la curiosità vince.
“Papà, da quanto tempo va avanti questa cosa?” chiedo quasi in un sussurro.
Zacky sospira, cerca la mano di mio padre e la stringe nella sua. Capisco subito che la risposta non sarà di mio gradimento.
“Nicole... dopo questa risposta probabilmente non ti farò schifo” mi dice papà. “Credo che comincerai a odiarmi, piccola.”
Zio Matt si alza dal divanetto e và verso il tavolo. Posa una mano enorme sulla spalla di mio padre, per dargli conforto. “Devono sapere” dice, e Connor si irrigidisce ancora di più, capendo.
Papà e Zack guardano a terra, dispiaciuti.
Non me ne faccio una cazzo del loro dispiacere.
Non so se i miei due tentativi di suicidio l’hanno sottolineato abbastanza, ma sono una persona piuttosto sadica. Dunque, anche se la risposta di mio padre è ormai chiara a tutti, aspetto che parli.
“Io e Zacky siamo amanti dal giorno in cui ci siamo conosciuti.”
So benissimo che avrei sentito queste parole, ma non sono adeguatamente pronta ugualmente. Dire che mi ha fatto male più quest’ultima frase che aver sentito papà e Zacky fare l’amore, è dire poco.
Il matrimonio dei miei è una bugia. La casa della nostra famiglia ha delle menzogne come fondamenta.
Ho l’assoluta consapevolezza che anche la mia nascita è basata su un amore mai esistito, su un amore completato sempre da un tradimento.
Mi volto appena e scorgo il mio gemello seduto sul bordo della poltrona, con la testa tra le mani e lo sguardo vitreo. In piedi accanto a lui, Jimmy guarda un punto indefinito con gli occhi lucidi.
Zio sapeva tutto, Johnny sapeva tutto. Per anni hanno coperto le spalle ai due amanti. Come hanno potuto resistere così a lungo? Come, senza morire di dispiacere provando compassione per mia madre e Gena? Come sono riusciti a comportarsi in un modo così meschino?
Mi sale su per lo stomaco una rabbia verso tutti e quattro i membri degli Avenged Sevenfold: il loro è stato un fottuto giochetto che ha visto due protagonisti e due bravi aiutanti.
Il silenzio è tangibile, è diventato asfissiante.
“Mi dispiace, ragazzi” sussurra papà. “Mi dispiace, ma... ma... insomma, io lo amo. Che posso farci?”
Riaffiorano alla mia memoria tanti momenti, tanti sguardi di mio padre e Zacky maledettamente lunghi. Tanti sorrisi piedi di amore. Tanti abbracci così stretti che i due parevano diventare un solo essere. Ricordo le vacanze, durante i periodi di registrazione, che papà e la band facevano ‘per qualche giorno’ che immancabilmente venivano prolungati fino a diventare ‘qualche settimana’. Ripenso ai giorni in cui papà era triste e arrabbiato e neanche alla mamma parlava di quale fosse il problema. Ripenso a mio padre che in troppe occasioni usciva solo con Zacky o saliva su nella sua stanza insonorizzata con lui e si chiudevano dentro a chiave.
Mi sento un po’ stupida a non aver capito tutto prima che potessimo arrivare a questo momento.
Guardo le mani di mio padre e di Zacky intrecciate. Non mi ricordavo che la mano di papà combaciasse così bene anche intrecciata alla mano della mamma. Sembrano i pezzi adiacenti di un puzzle.
“Niente” mormoro.
Non si può far nulla per contrastare l’amore, questa è vera, nuda e cruda verità.






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L'altro capitolo era tipo uno di quelli a cui tenevo di più ma a quanto pare non è piaciuto molto :(
Cooomunque spero che questo sia di vostro gradimento anche se sono nervosa in un modo inimmaginabile e c'ho un'ansia addosso degna di una donna in travaglio (?) e quindi non so cosa ne sia venuto fuori.

Recensite please, voglio sapere che pensate di tutta questa roba!
Echelon_Sun

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Capitolo 9
*** Love is love. ***


“Smettila di fissarmi così” sbotto.
“Scusa.”
Zio china il capo e porta lo sguardo a terra. Siamo seduti sul letto della sua camera d’albergo, sono venuta qui con l’intento di capirci di più su questa storia di papà e Zacky. Starò ancora più male venendo a sapere tutto, ma è meglio sorbirsi ora il dolore per intero che farlo a tratti. O no?
“Nicole, hai mai visto il film I segreti di Brokeback Mountain?” mi chiede zio Matt, tornando a fissarmi.
Ma che cazzo gli salta in mente? Io sto da schifo e lui mi propone i film! Scuoto la testa, sospirando nervosamente.
“Quando tornerai in camera, chiama anche i tuoi fratelli e gli altri, e vedetelo tutti insieme. Sono sicuro che vi piacerà” mi dice, mettendomi una mano sulla spalla con un mezzo sorriso.
“Non me ne faccio un cazzo dei film...” mormoro.
“Cambierai idea.”
Johnny entra in camera all’improvviso, facendoci sussultare. Sbatte la porta per chiuderla e viene verso di noi porgendomi una scatole delle scarpe così palesemente vecchia che mi non mi sorprenderei se dentro ci fosse una famiglia di topi.
“Matt, Brian mi ha dato anche di più di quello che desideravamo” dice lo gnomo, mettendomi tra le mani la scatola.
Zio Matt non risponde, ma si sporge verso di me per vedere il contenuto della scatola. Scoperchio la scatola con lentezza. All’interno ci sono dei fogli e un dvd.
Prendo il dvd, che porta il nome del film di cui mi stava parlando zio, e capisco immediatamente perché dovrebbe piacermi. Parla di una storia omosessuale.
Forse nessuno qui ha capito che il problema non sono i gay, ma solo papà e Zacky. Io li difendo i diritti degli omosessuali, a dirla tutta.
Poi prendo i fogli e mi rendo conto che sono così consumati che devo maneggiarli con estrema cura se non voglio strappare nulla. Sono due fogli a quadretti pieni, colmi, di scritte. Una scrittura fine e frettolosa, comprensibile e, anche se svelta, elegante.
Non ho mai visto questa grafia.
“Brian...” sussurra zio, sorpreso.
Mi volto e trovo gli occhi verdi di mio zio spalancati. “Cosa... cos’è questo?” chiedo incerta.
“È una lettera. L’ha scritta Jimbo a tuo padre, Nic, per il Natale del 2009” risponde Johnny.
 

***

 
Connor e Jimmy aprono la bocca, sorpresi quanto me prima in camera di zio e Johnny. Cherie incrocia le braccia al petto, turbata. Alicia e Nathan mi fissano come se volessero incitarmi, sostenermi, solo con la forza dello sguardo.
Lascio partire il dvd e mi siedo sul letto, tra Cherie e Connor. Abbiamo unito i tre letti della stanza delle ragazze, così da avere abbastanza spazio da starci tutti.
Il film è molto, molto bello. Diciamo che io e Cherie piangiamo quasi per tutto il tempo, e anche Alicia si lascia sfuggire qualche lacrima.
Capisco perché zio ha detto che mi sarebbe piaciuto, ho capito perché ha voluto che lo vedessimo.
L’amore che Jack ed Ennis portano avanti per anni e anni non si riesce a vederlo come un male. L’amore che i due provano l’uno per l’altro, anche se a discapito dei loro matrimoni, non si riesce a odiarlo. L’amore vince sempre, alla fine.
Non appena Ennis pronuncia “Jack, lo giuro” alla fine e partono i titoli di coda, porto le ginocchia contro il petto e lascio che tutte le lacrime vengano fuori.
“E questo cos’è?” chiede Connor dopo qualche minuto, con in mano i fogli della lettera del Rev.
Io gli lancio un’occhiata che solo tra gemelli così legati come siamo io e lui può essere compresa. Così lui comincia a leggere.
 
Non lo so neanche, come si comincia una lettera. Dovrei scrivere ‘caro Brian’, forse. Ma mi piace poco quel ‘caro’ iniziale, a dire il vero.
Ciao, Brian.
Bè, così è meglio. Ciao Brian, oggi è il 25 dicembre, Natale 2009.
Niente domande idiote, in questa lettera. Te lo prometto. Non vedrai nessun ‘come stai?’ o un ‘come va con Michelle?’.
So benissimo come stai, so benissimo come va con Michelle.
Come va con Zacky?
Sai, Syn, io penso che due persone che si appartengono lo sentono. Come Matt e Val, che mi ostinerò per sempre a definire la coppia più bella del mondo. Loro lo sanno che devono stare insieme, loro lo sanno che sono anime gemelle.
È così, l’amore.
Tu e Michelle state insieme, ma, diciamoci la verità, sapete, avete l’assoluta certezza, di essere anime gemelle?
Io non credo. Perdonami la schiettezza, ma i migliori amici servono anche a questo.
E tu e Zacky vi appartenete?
Ti ho fatto una bella domanda, vero?
Allora facciamo che ti dico la mia teoria. Sì, tu e Zacky vi appartenete.
Tu stai insieme a Michelle, lui sta frequentando Gena, ma entrambi state tradendo le vostre donne. Tu con Zacky, e Zacky con te.
E, se chi ama non tradisce, allora tu e Zacky non amate le vostre donne.
Sembra più una predica che una lettera, lo so.
Non pensare che questo non sia un sostegno, da bravo migliore amico ti sto solo dicendo quello che penso.
Lascia Michelle, Brian. Lascia Michelle e fidanzati con Zacky.
L’altro giorno dicevate di aver paura delle critiche, pensavate che questo avrebbe potuto compromettere la carriera della band.
Non abbiate paura, l’amore vince su tutto.
Vi criticheranno, vi odieranno, vi dedicheranno parolacce e insulti. Smetteranno di seguire gli Avenged Sevenfold a causa del vostro amore.
Ma sai che i veri Deathbat resteranno fino alla fine? Sai che i veri fan continueranno a sfondare i nostri cuori col loro amore, omosessuale o eterosessuale che sia?
L’amore non ce l’ha una direzione, Brian. Non è né omosessuale, né eterosessuale e neanche bisex.
L’amore è amore e basta.
E tu ami Zacky. E Zacky ama te.
Non importa se la persona che ami è dello stesso tuo sesso, non importa se molte persone vedono ciò come un male.
Importa solo l’amore e la vostra felicità.
Perché vuoi insistere ad averlo come amante? Perché vuoi ostinarti a non gridare il vostro amore?
Michelle e Gena non compenseranno mai l’amore che voi due provate reciprocamente, sono sicuro che questo l’avrai capito anche da solo. Michelle e Gena non vi soddisferanno mai appieno, né dal punto di vista fisico e neppure da quello morale.
Chi è che ha paura degli altri, tu o Zacky? O entrambi?
Vorrei solo che queste mie parole ti facciano venir voglia di andare da lui e di dirgli “Zack, al diavolo l’omofobia e le nostre stupide paure. Io ti amo e voglio stare insieme a te per sempre.”
E perdonami se queste mie parole ti turberanno. Hai tutto il diritto di bruciare questa lettera, se mi sbaglio sul vostro senso di appartenenza.
Però i vostri sguardi parlano chiaro, Brian. Non credo che tu abbia mai rivolto quegli occhi rigonfi dell’amore più puro, limpido, sentito, a Michelle. Non credo che tu abbia mai pianto come hai fatto la settimana scorsa quando Zacky ti ha dato un ceffone, per Michelle. Non credo che Zacky abbia mai fatto un viaggio di 50km in venticinque minuti per Gena. Non credo che tu abbia mai rivolto un sorriso sincero come quelli che rivolgi a Zacky dopo un bacio, a Michelle.
So che potrà sembrarti sciocco, ma le mani tue e di Zacky si intrecciano molto meglio di quando sono strette dalle vostre donne.
Un po’ mi dispiace, per Michelle e Gena. Ma, pensaci anche tu, è meglio proseguire con questa farsa o farla finita subito?
Supponiamo che sposerai Michelle e che insieme avrete dei figli. Su cosa sarà basato il vostro rapporto? I vostri bambini saranno il frutto di quale amore?
E Michelle soffrirebbe di meno venendo a sapere la verità adesso, o a quarant’anni e con una famiglia da sostenere?
Pensaci, amico mio. Pensaci bene e fai la cosa giusta.
Io ti sosterrò sempre, anche se deciderai di sposare Michelle. Io ti coprirò le spalle anche se continuerai a vedere Zacky di nascosto.
Ti sosterrò in ogni caso.
Ti ho regalato un film per questo Natale. Spero che sia di tuo gradimento, altrimenti mandami a fanculo senza preoccuparti.
Ennis e Jack mi ricordano terribilmente te e Zacky. Il loro era un amore così grande, immenso, così reale, che non potevano ignorarlo.
Spero solo che a te e Zacky sarà riservato un finale migliore. Forse perché io, da bravo ottimista quale sono, nel ‘e vissero per sempre felici e contenti’ ci credo ancora.
Ti voglio bene, Synyster Gates.
The Fuckin’ Rev.
P.s.
Nel caso decidessi di sposare Zacky, sappi che pretendo di essere il tuo testimone.
 
Se adesso Jimmy ‘The Rev’ fosse vivo, vorrei abbracciarlo. Lui aveva capito tutto, lui conosceva benissimo il valore dell’amore. Lui ha fatto gli stessi miei ragionamenti.
Ha pensato persino all’incastratura delle mani, proprio come me!
“E se papà avesse seguito l’amore?” dice Jim, facendomi riscuotere dai miei pensieri. “Noi non saremmo qui.”









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Ahm okay in questo momento non sono psicologicamente pronta per ricontrollare il capitolo perché sono appena tornata da Lucca dopo il concerto dei 30 Seconds To Mars.
Vi dico solo che questa storia non mi convince più per niente e... non so, forse dovrei ricontrollarla, cancellarla, boh! Cioè, non mi pare che sia apprezzata più di tanto e quindi sto pensando di lasciarla perdere!

Non so, fatemi sapere cosa ne pensate,
Echelon_Sun

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Capitolo 10
*** I'm not insane! ***


Spesso mi chiedono se ho un qualche hobby, oltre la musica ovviamente. Io amo lo sport, soprattutto il calcio e il nuoto.
Non ho mai praticato nessuno dei due a livelli agonistici e non mi sono mai iscritta a una vera squadra di calcio femminile, ma tutti dicono che si vede che la passione c’è e che, volendo, potrei fare anche carriera.
Il calcio è in assoluto lo sport che più mi piace, soprattutto per quanto riguarda lo spirito di squadra. Avendo due fratelli, non potevo fare a meno di crescere un po’ maschiaccio anch’io e così ho imparato a giocare in attacco. Giocando a calcio mi concentro appieno su ogni tiro, su ogni azione, su ogni passaggio, il mondo attorno a me scompare e resta solo la voce di Connor che mi grida di passargli il pallone.
Non ho mai deciso di giocare ad alti livelli perché per me il calcio resterà per sempre solo un divertimento. Non voglio arrivare a quarant’anni e concludere la mia carriera calcistica. Voglio arrivare a quarant’anni e tirare ancora i rigori contro il mio fratellone sul giardino di casa dei miei.
Con il nuoto è tutt’altra storia, invece. Quando nuoto non penso a nulla, mi scarico di ogni pensiero negativo e di ogni pressione. Quando vado sott’acqua mi sento ultraterrena, come se fossi in un posto non raggiungibile dai comuni umani, né dai loro problemi, dai loro pregiudizi, dalla loro ipocrisia o dal loro egoismo.
Per me nuotare rappresenta una forma di svago, un modo per lasciarmi un po’ alle spalle i problemi quotidiani e ogni tipo di nervosismo.
Proprio per questo adesso sono in piscina, solco l’acqua con vigore a stile libero e la mia testa è completamente vuota. È sparita ogni forma di rabbia, ogni risentimento verso mio padre o Zacky. Le parole incise sulla lettera del Rev sono dimenticate in un angolo buio della mia mente.
“Lo sai che è inutile” mi dice Alicia, non appena la raggiungo a bordo piscina.
“Almeno per un po’ non ci penso” rispondo.
Afferro il mio accappatoio, me lo infilo e mi avvio allo spogliatoio con Ali al seguito. Sono passati due giorni dal nostro ritorno ad Huntington Beach e le cose non vanno proprio per il verso giusto.
Papà, rientrato in casa, ha praticamente gettato le valigie per poter prendere mamma tra le braccia e stringerla con passione. Nessuno mi ha mai insegnato a contare fino a 6277, ma mi sono costretta a restare in silenzio e a osservare la scena stringendo i pugni.
Johnny ieri ha scritto un messaggio a me, ai miei fratelli e Cherie, dicendoci che i due amanti stavano cercando casa. Non so se la cosa dovrebbe farmi felice o abbattermi ancora di più.
Papà andrà via di casa e ci lascerà soli con una madre che diverrà presto triste e chissà, il suo malessere potrebbe anche sfociare in depressione. Papà, con le sue battute, con i suoi assoli improvvisi alle due di notte, andrà via di casa.
“Papà e Zack stanno cercando casa” mormoro, abbandonandomi sulla panca dello spogliatoio.
Alicia mi siede accanto in silenzio e annuisce. “Prima o poi sarebbe dovuto succedere, Nicole. Ora voi conoscete la verità e loro non possono più fare tutto in modo clandestino.”
Ha ragione. Ha fottutamente ragione.
Mi sento spaccata in due. Sono felice per il fatto che mamma e Gena verranno finalmente a scoprire tutta la realtà, ma mi rattrista pensare a quanto questo le farà soffrire.
Mi ritrovo a pensare che forse sarebbe stato meglio continuare a vivere senza essere a conoscenza dei fatti, forse la bella bugia in cui ci siamo crogiolati per anni sarebbe stata meglio della brutta verità di cui ora siamo fin troppo consapevoli.
Papà e Zacky potranno coronare appieno il loro sogno d’amore, ma questo li porterà a separarsi dalle famiglie.
Penso che, nonostante ora io sia totalmente e incondizionatamente incazzata con mio padre, sentirò la sua mancanza come un buco nero. Mi mancherà persino il suo ego sproporzionato, la puzza di lacca nel bagno, l’odore acre delle Marlboro ovunque, i suoi plettri lasciati ovunque in giro per casa.
“Almeno questa farsa finirà” commenta Alicia, sospirando.
Io annuisco, per poi infilarmi sotto la doccia fredda. La doccia fredda mi dà la sensazione di raschiare via dalla pelle il dolore, la frustrazione accumulata. Così, anche se è novembre lascio che ogni centimetro del mio corpo e dei miei capelli biondi venga sopraffatto dal getto gelido.
Quando esco, mi infilo velocemente l’intimo, i jeans che portavo anche a scuola e una maglietta enorme per stare comoda una volta rientrata a casa. Mi ficco ai piedi le Vans nere e viola e asciugo i capelli con il phon schifoso della piscina, mettendoci troppo tempo. Una volta uscita dalla struttura e aver salutato il proprietario seguo Alicia fino al parcheggio col borsone in spalla.
Alicia ha diciotto anni da poco, ma già guida benissimo dato che zio Matt le ha dato un sacco di lezioni. E se mamma non avesse avuto la prova che Ali fosse davvero così brava alla guida, probabilmente non le avrebbe permesso di darmi un passaggio in piscina.
Mamma stamattina l’ho vista un po’ giù di morale, ma quando le ho detto che dopo la scuola Alicia mi avrebbe portata direttamente in piscina si è sforzata di sorridermi e mi ha dato un bacio dicendomi di stare attenta.
Durante il tragitto verso casa non parliamo molto, lasciamo che Nightmare ci sfondi i timpani. Alicia, dopo aver accostato davanti al cancelletto di casa mia, mi prende una mano.
“Nicole, sappi che io ci sono. Per qualsiasi cosa” mi dice.
L’ho già detto che è un angelo, questa ragazza?
L’abbraccio sforzandomi di non ricominciare a piangere, mantengo persino il controllo delle mie mani che negli ultimi giorni hanno preso spesso a tremare in modo incontrollabile.
Scendo dall’auto un po’ rincuorata dalla forza dell’abbraccio, riesco anche a tirar fuori da chissà dove un sorriso per Alicia che mi saluta con un cenno della mano e mi sorride con gli occhi, i quali irradiano tranquillità.
Apro il cancelletto con le mie chiavi attaccate a una piccola chitarra marrone con sopra appiccicato il logo dei Guns n’ Roses. Percorro il vialetto lentamente e apro la porta di casa, che cigola appena prima di farmi apparire dinanzi la sala.
“Sono tornata” annuncio in un urlo.
“Nicole, siediti.”
Mamma è triste, così triste che credo che abbia pianto. Sbuca dalla cucina con addosso una tuta che le cade lungo i fianchi e non le mette in risalto le forme. Non è da lei indossare simili indumenti, anche quando sta in casa se deve stare comoda indossa tute strette e fa comunque attenzione agli abbinamenti. Oggi ha i pantaloni enormi rossi e una t-shirt arancione.
Lascio a terra il borsone e mi siedo sul divano, attendendo il peggio. Che papà l’abbia già lasciata? Forse è di sopra, ora, e sta facendo le valigie. O forse mamma l’ha già cacciato via gridando istericamente.
“Io e tuo padre ne abbiamo parlato a lungo” mi dice mamma, sedendosi al mio fianco e prendendomi le mani nelle sue.
Ecco, lo sapevo! Merda.
“Ti prego di non prenderla troppo male, tesoro, ma crediamo che questa sia la strada più giusta da prendere affinché tu stia meglio…”
Corrugo la fronte, cominciando a non capire dove voglia andare a parare. Dimmelo e basta, che vi siete lasciati. Non girarci attorno in questo modo assurdo!
“Johnny ci ha raccontato del tuo primo tentato suicidio” mi dice lei in un sussurro, facendomi raggelare. “Tuo padre s’è incazzato con lui, ha urlato per tipo mezz’ora consecutiva e Johnny, poverino... in ogni caso” riprende con decisione, “abbiamo deciso che dovevamo agire all’istante se volevamo... condurti sulla retta via.”
Sbarro gli occhi. Papà non l’ha ancora lasciata, il problema qui sono io. La cosa mi rattrista ancora di più: non appena papà andrà via di casa, mamma avrà un duplice motivo per essere addolorata.
Merda.
“Ti manderemo da uno psicologo. Brian ti ha preso il primo appuntamento per domani pomeriggio.”
Libero le mani strette nelle sue e mi allontano da lei con un veloce scatto, rannicchiandomi con le ginocchia al petto contro lo schienale della poltrona.
“Tesoro, è una persona molto brava e discreta” mi dice lei, addolcendo ulteriormente il tono di voce in un modo così falso da rendermi ancor più nervosa di quanto non sia già. “Con lui potrai parlare liberamente perché, sai, è il suo lavoro ascoltare i problemi altrui. Sarà diverso dal parlare con me, papà o altri, lui può aiutarti a superare ogni difficoltà.”
So in cosa consiste il lavoro di un fottuto psicologo, penso incazzata.
“È per il tuo bene, Nicole. E anche per il bene di chi ti sta vicino e ci tiene a te.” Mi posa una mano sulla spalla e sospira prima di riprendere col discorso. “Noi non pensiamo assolutamente che tu sia pazza o qualcosa di simile” asserisce. “Vogliamo solo che parli con qualcuno di ciò che ti passa per la testa, con qualcuno in grado di capirti e aiutarti, tesoro.”
“Sprecherete solo soldi” ribatto con voce dura. “E sia io che quel cazzo di psicologo sprecheremo solo del tempo.”
Mi alzo, infuriata, e mi dirigo in camera mia senza neanche riprendere il borsone della piscina. Passando lungo il corridoio vedo i miei fratelli che cercano di avvicinarmi, dispiaciuti. Hanno origliato la conversazione, proprio come facevamo tutti e tre insieme quando mamma e papà parlavano del periodo subito dopo la morte di James.
Li ignoro e mi rifugio nella mia stanza, dopo aver sbattuto la porta.







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Ma nessuno mi recensisce più? D:
Comunque spero vi piaccia come sta procedendo la storia anche se io non sono poi così convinta xD

Un abbraccio virtuale a tutti,
Echelon_Sun

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Capitolo 11
*** Vado via. ***


Papà guida in silenzio e, anche se il mio viso è quasi totalmente rivolto al finestrino, mi rendo conto che ogni tanto mi guarda dispiaciuto.
Oggi dopo pranzo, a scuola, ho detto ai miei amici che sarei andata da uno psicologo. Stavamo rimettendo i libri negli armadietti, e per la sorpresa Nathan ha lasciato cadere il volume enorme di matematica, che ha prodotto un tonfo sordo.
“Da uno strizzacervelli?” ha detto poi il più piccolo con voce acuta.
“Abbassa la voce, idiota” gli ho sibilato per tutta risposta, per poi sbattere con violenza la porticina dell’armadietto.
I due Sanders mi hanno guardata con dipinte in viso delle espressioni tra lo stranito e l’incredulo. Cherie ha sospirato e si è avvicinata a me.
“Vedrai che andrà tutto bene” mi ha detto Ali.
“Non preoccuparti, questo non significa che hai un qualche problema di mente. Credo che ti farà bene sfogarti” ha fatto Cherie, poggiandomi una mano sulla spalla.
Io ho sbuffato sonoramente e mi sono lasciata andare con le spalle contro al fila degli armadietti così dannatamente anonimi, che odio, esclamando: “Che palle!”
Una volta a casa nessuno ha accennato al fatto, neanche papà. Solo prima di uscire mi ha detto: “Nic, tra poco andiamo. Preparati.”
Non ha nominato lo psicologo né ha alluso al posto in altro modo, come se fosse tutto impronunciabile. Come se parlandomi così potesse indorarmi la pillola.
Mi sono sentita come se davvero avessi qualche problema.
“Vedrai che ti sarà d’aiuto” mi dice papà, svoltando improvvisamente a destra senza mettere la freccia.
Io sospiro e annuisco appena. Papà accosta davanti a un palazzo bianco che mi pare tanto un rettangolo messo verticalmente. Già non mi piace questo posto, non è un buon inizio.
Scendo dall’auto senza salutare e mi dirigo lentamente al portone, suono il campanello con scritto Dott. Baker. Sorrido pensando che se porta lo stesso cognome di Zacky posso solo sperare che sia un caso del destino, e che il dottore non somigli neanche vagamente a Vee. Il portone si apre con uno scatto, così entro e salgo per le scale fino al terzo piano.
La sala d’attesa è piccola e ci sono solo quattro sedie rosse, basse e scomode per accomodarsi. È vuota, così comincio a camminare avanti e indietro nervosamente.
Passano forse dieci minuti o poco meno, quando un ragazzo esce da uno stretto corridoio.
“Arrivederci, dottore. E grazie! Alla prossima settimana” dice. Conosco la sua voce, e non appena attraversa la sala d’attesa entrambi ci blocchiamo.
Alto quanto me, grosso il doppio, con i capelli color rossiccio carota e una spruzzata di lentiggini sulle guance, Lorenz mi fissa con un sopracciglio alzato.
“Vi conoscete?” ride una voce adulta.
Accanto a Lorenz compare un uomo sulla cinquantina, con i capelli brizzolati e un filo di pancetta. Sia io che il ragazzo annuiamo con la testa, poi lui si dilegua.
“Bene, Nicole, puoi accomodarti.”
L’ufficio non mi piace per niente; non che mi aspettassi il contrario, comunque. Le pareti solo color giallo sporco e sono addobbate con tanti quadri. Ci sono riconoscimenti, la laurea, fotografie di bambini, fotografie di famiglie.
Mi siedo di fronte all’uomo, dal lato opposto alla scrivania.
Lui mi scruta grattandosi il mento, mentre io stringo a pugno le mani. Mi innervosisco sempre quando mi guardano come se dovessero radiografarmi.
“Dunque hai cercato di suicidarti...” osserva l’uomo.
Perspicace!, penso irritata. Perlomeno l’uomo non assomiglia neanche vagamente a Zacky.
“Vuoi parlarmi di come è andata?” mi chiede cordialmente.
No.
“D’accordo” sussurro a capo chino. Prendo un respiro. “La prima volta ho tentato di gettarmi dal quinto piano di casa mia, mentre la seconda volta volevo tagliarmi le vene.”
“E ora? Ora cosa faresti?”
Trattengo il fiato, interdetta. Non ci avevo pensato, non so che dire. Ora che farei?
Non voglio esistere, ma uccidendomi provocherei solo ulteriore dolore a mia madre. E papà sta per andare via di casa…
“Forse tra qualche mese… quando in famiglia le cose si saranno stabilizzate...” dico alzando la testa e guardando il dottor Baker negli occhi per la prima volta.
Se prima non avevo colto nessuna somiglianza con Zacky, ora l’ho trovata con The Rev. Il dottore ha gli occhi azzurri, cioè: di quel particolare azzurro indefinibile che caratterizzava anche gli occhi di Jimmy.
“Parlami di tuo padre. So che è un chitarrista piuttosto famoso, ma non so altro di lui. Come si comporta con te e con il resto della tua famiglia? E con la sua  band?”
“Deve cercare di salvarmi la vita, o vuole scrivere un articolo su Synyster Gates?” chiedo irritata.
“Ti prego, dammi del tu” mi dice lui, infastidendomi ulteriormente. Che cazzo importa se parliamo dandoci del tu o del lei?! “Nicole, io voglio aiutarti” continua, sorridendo gentilmente. “Per farlo mi servono informazioni su di te, sulla tua vita e sulle persone che ti sono vicine. Se non vuoi parlarmi di tuo padre nello specifico, puoi raccontarmi un po’ della tua famiglia, o dei tuoi amici, o della scuola.”
“Papà non è proprio un classico tipo di padre” dico con voce dura, “ma non solo perché quando va in tour possiamo non vederlo per un mese intero”. Sospiro. “A mio padre non importa se io e miei fratelli andiamo male a scuola, sa che fumo e a volte mi offre le sigarette, è un tipo di padre che non si vergogna di averci insegnato le parolacce e non si preoccupa se la sera tardiamo senza avvisare. È un padre fuori dal comune, credo.”
“Bene. E con i suoi amici, la band, com’è?”
“Quando sta con loro torna ad avere vent’anni. Ride sempre, e non per colpa dell’alcol, fanno giochi stupidi, ritornano con la mente ai tempi felici in cui il Rev era ancora con loro…”
“Jimmy?”
Ah, allora sa qualcosa sugli Avenged Sevenfold.
“Sì, Jimmy” borbotto.
“Sai, ai tempi di Nightmare ero fidanzato con una fan sfegata degli Avenged Sevenfold, così so un po’ di cose riguardo questo Jimmy e la sua morte.”
Pianta i suoi occhi azzurri nei miei, così maledettamente identici a quelli di mio padre. Così odiosamente scuri.
“Tuo padre ha sofferto per la morte del suo amico?”
“Ne soffre ancora molto” rispondo con convinzione. “Era il suo migliore amico.”
Lo psicologo socchiude gli occhi e corruga la fronte, tornando a grattarsi lentamente il mento.
“Quando hai provato a suicidarti la prima volta, cos’è stato a fermarti?” mi chiede dopo qualche lungo istante.
Abbiamo cambiato troppi argomenti in troppo poco tempo, a mio parere. E il dottore non sta neanche appuntando ciò che gli sto raccontando! Come diavolo farà a rimettere insieme tutte le mie parole, tirare fuori il mio problema e riuscire ad aiutarmi?
“È stato Johnny, il bassista dei Sevenfold” rispondo a voce bassa.
“Raccontami com’è andata” dice il dottore brusco.
“Sono salita al piano più alto di casa mia: in soffitta, al quinto piano” gli dico distaccata. “Mi sentivo confusa e tremavo continuamente bevendo del whisky. Volevo ringraziare mio padre per aver costruito una casa così alta, ma al contempo avevo paura di rompermi solo una gamba” racconto a voce più alta. “Mi sono arrampicata sul davanzale della finestra e mi sono convinta che avrei guardato il panorama più bello del mondo per l’ultima volta.”
Deglutisco, cerco disperatamente di descrivere l’accaduto senza scoppiare a piangere e senza mostrarmi troppo fragile. Non voglio che quest’uomo creda che sono così debole da non riuscire neanche a raccontare un fatto accaduto mesi fa.
“E...?” mi sprona lui.
“Da casa mia si vede il centro di Huntington Beach e la spiaggia” proseguo a raccontare. “Di notte non si capisce dove termina il mare e dove comincia il cielo, e ho sempre adorato questo particolare. Così volevo morire con questa immagine stampata nella mente.” Sospiro prima di ricominciare. “Ma è arrivato Johnny. Mi ha tirata giù dal davanzale, mi ha strappato la bottiglia di Jack Daniel’s dalle mani e mi ha invitata a sedermi al suo fianco.”
“E avete parlato?”
Annuisco col capo, sentendo una strana stretta all’altezza del petto. Come se il ricordo delle parole dello gnomo mi provocassero fitte al cuore.
“Lui mi ha raccontato che una volta, quand’avevano circa vent’anni, anche mio padre ha cercato di suicidarsi. Mi ha detto che loro lo hanno salvato, e che io non avrei potuto impedirgli di salvare anche me. E... e ha concluso dicendomi che per me ci sarebbe sempre stato.”
“Come ha tentato tuo padre di suicidarsi?” incalza il dottore, senza più neanche sforzarsi di sorridere o di utilizzare un tono anche solo vagamente gentile.
D’accordo, questa conversazione sta diventando terribilmente pressante.
“Tagliandosi le vene, proprio come ho fatto io la seconda volta.”
Lui annuisce e abbassa lo sguardo fino a farlo scivolare sulle mie mani. Le mie nocche sono diventate bianche per quanto stanno stringendo il bordo di legno della scrivania.
Porto velocemente le mani in grembo, poi torno a guardare negli occhi lo psicologo Baker.
“Perché hai tentato di nuovo di ucciderti?”
Volevo tornare a sorridere.
“Lei non può capire” affermo gravemente, con una convinzione che mi sorprende.
Lui sorride appena. “Puoi darmi del tu, Nicole. E, comunque, io posso capirti. Ho studiato anni e anni al fine di poter capire la persone, e di casi simili al tuo ne ho già incontrati a bizzeffe.”
Mi irrigidisco. Sto raccontando a un uomo di cui conosco solo il nome e la professione dei miei segreti più intimi. Mi immagino Lorenz seduto al mio posto, o altre centinaia di adolescenti che cercano di spiegare il perché delle loro azioni a quest’uomo.
Ma il dottor Baker le mie parole le ha già sentite da altre bocche, altre nocche hanno già stretto convulsamente il bordo di questa scrivania, altri ragazzi si sono irrigiditi su questa sedia bianca.
Mi alzo di scatto, facendo scomparire il sorrisetto dal volto del dottore.
“Dove vai? Scappi?”
Sì, scappo. Sono una codarda e mi ritiro nel mio mondo di sofferenze. Tanto a lei che importa? Dopo di me ci sarà una donna stuprata e potrà nuovamente ascoltare parole già ripetute da altri.
“Vado via” dico con una durezza nella voce che non credo di aver mai posseduto prima di oggi.










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Ciao :3 come state?
Questo capitolo diciamo che mi piace abbastanza, ma il prossimo, che è già pronto, è quello che non vedo l'ora di farvi leggere :)

Grazie mille a tutti quelli che hanno messo questa FF tra le preferite e tra le seguite, siete bellissimi.
Echelon_Sun

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Capitolo 12
*** so close no matter how far ***


L’aria fresca mi coglie di sorpresa. Ho sceso le scale con una tale rabbia e una tale voglia di allontanarmi il più possibile dal dottor Baker, che probabilmente la signora che ho incrociato sul pianerottolo del secondo piano mi ha preso per un caso disperato del dottore.
Mi sbatto il portone alle spalle e vado a sedermi a una panchina.
Papà mi ha detto che mi sarebbe venuto a riprendere non appena lo avrei chiamato. Ora non mi va proprio per niente di tornare a casa, magari me ne sto un po’ seduta qui e cerco di calmarmi.
“Ciao.”
Lorenz mi siede accanto e mi sorride.
Inarco un sopracciglio. E da quando lui mi sorride? Da quando parliamo se non per insultarci?
Non rispondo al saluto e incrocio le braccia al petto.
Lui sospira ma non si cancella quello stupido sorriso dalle labbra. “Volevo scusarmi con te, Nicole.”
“Scusarti?” chiedo sorpresa, rivolgendogli tutta la mia attenzione.
“Sì” asserisce lui. “Sia per la quasi-rissa che abbiamo sfiorato tempo fa, che per quello che ti ho detto su tuo padre e gli Avenged Sevenfold a maggio.”
Non sta scherzando. Se mi avesse detto le stesse, identiche, parole per telefono avrei preso il tutto per una presa per il culo e mi sarei anche incazzata. Ma Lorenz non sta scherzando, i suoi occhi parlano chiaro. Sono sinceri.
“Scherzi?” gli domando perplessa, anche se so quale sarà la risposta.
“No, non scherzo. Sono cambiato un sacco da quando vengo dal dottor Baker” ridacchia appena. “Accetta le mie scuse.”
“Bé, dato che io ti ho risposto con un pugno, dovrei scusarmi a mia volta” dico sarcastica.
“Non sei obbligata. Penso ancora che tuo padre non sia un bravo chitarrista, ma mi scuso per gli insulti che gli ho rivolto che andavano oltre il mondo della musica. E mi scuso anche per averti provocata in quel modo, diciamo che il pugno che mi hai dato me lo sono meritato.”
Oddio. “Io… io accetto le tue scuse” dico ancora esitante e un po’ sconvolta.
Restiamo in silenzio per qualche secondo, mi chiedo perché ora lui non possa andarsene.
“Ti piace il dottor Baker?” mi chiede Lorenz.
Sta cercando di conversare con me. Oh, che diavolo succede?
“Sì, anche se sono scappata” rispondo.
Mi correggo: che diavolo mi succede?!
“Anche io sono scappato, la prima volta” mi rivela lui, con una scrollata di spalle. “Continuava a cambiare argomento e mi faceva delle domande troppo dirette. A un certo punto mi sono sentito così vulnerabile che mi sono spaventato e sono andat...”
“Nicole!”
Sussultiamo entrambi. Zacky ci viene incontro.
“Forse è meglio se vado” dice Lorenz, alzandosi di fretta.
“Sì, forse è meglio” concordo, alzandomi a mia volta.
Arrossisce appena, un po’ imbarazzato dalla situazione. “Allora… ci vediamo a scuola.”
“Sì, certo” dico con un mezzo sorriso.
Ci salutiamo con un cenno della mano, poi vado da Zacky.
“Non dovevi chiamare Brian?” mi dice immediatamente lui. “E perché stavi parlando con quello?” continua un secondo dopo, alludendo a Lorenz.
“Sono appena uscita e mi sono fermata due minuti a parlare con Lorenz, che è un ragazzo che frequenta la mia stessa scuola” dico, un po’ innervosita. “Stavamo solo parlando dello psicologo, dato che anche lui è il cura da lui” mi affretto a continuare.
Zacky annuisce pensieroso. “Lorenz, hai detto? Credo che Cherie me lo abbia nominato un paio di volte, non mi è nuovo come nome.”
“E quello con cui ho fatto a botte” gli dico con un mezzo sorrisetto.
“Giusto! Ma...” abbozza, alzando un sopracciglio.
“Le persone cambiano” dico, facendo un gesto con la mano che gli fa capire che non deve insistere.
Sorride. “Perché non chiami tuo padre e gli dici che ti porto io a casa?”
 

***

 
Non pensavo che avrei mai potuto provare imbarazzo nei confronti di Zacky. Eppure ora sono qui, nella sua auto, seduta al suo fianco, in silenzio e avvolta in una pesante aura di imbarazzo.
L’uomo che guida e che mi sta riportando a casa è la causa della fine imminente del matrimonio dei miei genitori. Zack, che conosco da quando sono nata e che per me è come uno zio, un parente stretto, è colui con cui mio padre ha sempre tradito mia madre. È così strano pensare che l’uomo seduto al mio fianco scopa con mio padre.
E non riesco neanche a pensare che fanno l’amore, riesco solo ad articolare il pensiero del fare sesso, perché il fare l’amore mi sembra un concetto troppo... grande, per una coppia di amanti.
So close no matter how far
Couldn't be much more from the heart
Mi sciolgo un po’ non appena sento l’inizio di Nothing Else Matters, e anche Zacky comincia subito a seguire il testo della canzone mormorando le parole.
“Nicole, possiamo parlare?” mi chiede dopo un po’, quando si trova a sterzare all’incrocio che sta a un centinaio di metri da casa mia.
“Sì” balbetto.
“Io...” sospira, vedo chiaramente che cerca di farsi coraggio. “Mi dispiace, Nicole” sussurra, parcheggiando di fronte casa mia e spegnendo la macchina, così che anche la musica cessi. “Lo so che può sembrarti strano, ma mi dispiace davvero tanto. L’ultima cosa che avrei voluto che succedesse era causare dei danni a voi ragazzi...” Mi guarda di sfuggita negli occhi. “Tu sei così fragile, sei una ragazzina tanto sensibile e ora dovrai dimostrarti forte. Io non vorrei causare tanto dolore, giuro, e mi sembra così strano dover dire a Gena tutto quanto. Preferirei restare nascosto, preferirei vedervi sempre tutti ignari ma felici, tranquilli e...”
“Zack...” mormoro, portando le ginocchia al petto.
“Io lo so che mi odi, Nicole” mi blocca. “E fai bene, non ti biasimo. Però, dannazione, vorrei lasciarti capire che io amo tuo padre. Io amo Brian come non ho mai neanche lontanamente amato Gena. E non posso farci nulla, Nic, non posso farci nulla.”
China il capo sconsolato e questo suo gesto mi fa scattare.
“Se davvero questo amore è così grande, proprio non capisco come abbiate potuto tenerlo nascosto tanto a lungo” dico, cercando in ogni modo di trattenere la rabbia e sporgendomi in avanti, quasi in ginocchio sul sedile. “Perché cazzo vi siete sposati, eh?!” urlo. “Perché cazzo avete permesso a due donne innocenti di amarvi, solo per farle soffrire?! Solo per spezzare il loro cuore?! Se vi amate, cazzo, perché vi nascondete?!”
“Nicole non puoi...” abbozza lui in un bisbiglio.
“Non posso capire?!” grido istericamente. “E allora spiegami tu tutto quanto, cazzo! Perché ci avete fatti crescere in un mare di bugie?! Perché ci avete concepiti con delle donne che non amate?! Noi siamo il frutto di un amore che non esiste! Siamo il frutto di due padri che mentono alle nostre madri da sempre! E ora vieni a dirmi anche che non avresti voluto far del male a noi ragazzi!” strepito, ormai fuori di me. “Dovevate pensarci prima, cazzo! Che genitori di merda siete, davvero. Farvela allegramente chissà quanto spesso e poi tornare a casa sorridenti da una famiglia che vi ha preparato la cena e vi aspetta con ansia. Bel lavoro! Bra... Zack?”
Improvvisamente sono spaventata. Zacky si è portato una mano al petto e respira in fretta, con affanno, come se l’aria nell’auto non fosse sufficiente.
“Cosa cazzo...?”
Zack comincia a tossire e mi fissa con gli occhi spalancati e visibilmente gonfi di terrore. Vedo che si sforza di parlarmi ma non ci riesce.
Cazzo.
Mi fiondo fuori dall’auto di corsa, corro fino al cancelletto e mi attacco al campanello. Non cerco neanche le chiavi nelle tasche dei jeans, troppo occupata a pregare tutti i santi che qualcuno, chiunque, si muova a uscire di casa e venga a vedere cos’ha Zacky.
“Chi cazzo è?!” urla papà nel citofono, incazzato, facendomi smettere di suonare convulsamente.
“Zack sta male” urlo a mia volta. “Esci, cazzo, esci!”
In un secondo papà apre il portone di casa con mamma, Jim e Connor al seguito, corre lungo il vialetto e quasi si getta in auto di testa pur di fare in fretta.
“Che succede?” domanda trafelato a Zacky, staccandogli la cintura e togliendogli di dosso la felpa che porta, quasi strappandogliela, come se in questo modo possa respirare meglio. “Che cazzo sta succedendo? Che hai?!” grida, nervosissimo.
“Non lo so” riesce ad articolare faticosamente Zack, tra un colpo di tosse e un boccheggio, probabilmente spaventato dalla reazione di mio padre.
“Forza, spostati” gli ordina papà, affannandosi sempre di più, “siediti di qua che ti porto in ospedale.”
Lo afferra con forza, abbracciandogli il busto, e lo trascina sul sedile del passeggero, mentre Zack si lamenta che non vuole andarci, in ospedale, e intanto si tiene una mano sul petto e ansima come non ho mai visto nessuno fare prima.
Spaventata, muovo un paio di passi indietro, e mamma mi circonda le spalle con un braccio.
Papà allaccia la cintura a Zacky, gli chiude la portiera dell’auto e poi va di corsa dall’altro lato, si infila al posto del guidatore e in pochi istanti possiamo già vederlo all’incrocio che sfreccia a tutta velocità verso l’ospedale di Huntington Beach.









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Ho adorato scrivere di Brian così preoccupato... okay sono mooolto sadica e ammetto anche di aver adorato scrivere di Zack sofferente :'D

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto :3
Grazie ancora di cuore a tutti quelli che leggono questa storia partorita dalla mia mente malata LOL
Siete bellissimi,
Echelon_Sun

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Capitolo 13
*** Grandpa. ***


Gli ospedali mi hanno sempre messo ansia. Soprattutto quando ci entro per andare a trovare qualcuno che sta davvero molto male, mi si tappano le orecchie e fatico a non balbettare.
Entro al seguito di mamma e Jim, con Connor accanto che mi tiene una mano. Non me l’ha lasciata un momento da quando papà ha chiamato e ci ha detto che Zack sta meglio, che ha avuto un attacco di asma.
Non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che la colpa del malessere di Zacky sia mia. Dopotutto io gli stavo gridando addosso che lui e papà non sono dei bravi genitori, io gli ho urlato che ci hanno fatto crescere tra le menzogne, io gli ho strillato che siamo il frutto di un amore mai esistito.
E non riesco a non pensare al fatto che Zacky si sia sentito male a causa delle mie parole. Parole più affilate della lama di un coltello, lo so bene.
Sono stata meschina.
Vedendomi parecchio preoccupata mamma, in macchina, mi ha detto che quel cretino di Zacky deve essersi rimesso a fumare come prima e che l’asma non è niente di tragico.
Jimmy è rimasto zitto, ha fissato il vuoto, in auto, seduto di fianco a mamma, mentre Connor mi ha stretto una mano e non l’ha più lasciata, come se avesse capito.
Saliamo due rampe di scale, svoltiamo a destra e subito incontriamo zia Val e Alicia che chiacchierano in mezzo alla porta della stanza di Zacky.
“Hey” ci saluta zia, abbracciando mamma.
Alicia viene ad abbracciare me. “Non è stata colpa tua” mi dice all’istante bisbigliando, “Zack ha detto a tuo padre quello che è successo e lui ha riferito a noi” mi spiega in fretta. “Io so quello che stai pensando adesso, Nic, e non è stata colpa tua.”
Sotto shock mi lascio trascinare fino al letto di Zack. Sta dormendo profondamente e tutti sono attorno a lui, Cherie e Gena siedono al suo capezzale, mentre gli altri sono in piedi e papà se ne sta in un angolo, un po’ in disparte e capisco subito che deve aver pianto.
Riporto lo sguardo su Zacky dormiente e mi sembra assurdo pensare che solo un paio di ore fa sembrava soffocare al mio fianco, mentre ora è tranquillamente assopito.
Restiamo tutti immobili per un po’, fino a che non sento una mano sulla mia spalla. Mi volto di scatto e mi ritrovo il volto di mio nonno davanti.
Lui mi avvolge le spalle con un braccio e mi conduce fuori, mi porta fino agli ascensori senza che quasi me ne renda conto, come se stessi vivendo in un sogno, e in un attimo mi ritrovo sul terrazzo dell’ospedale, dove ci sono solo due giovani infermiere occupate a limarsi le unghie.
“Tesoro” mi sussurra nonno Brian in un orecchio, mentre ci sediamo in un angolo ombreggiato, “come stai?”
“Uno schifo” rispondo mestamente, stringendomi ulteriormente contro di lui.
Adoro mio nonno. Sebbene sia palese che il suo nipote preferito sia Connor, io lo adoro profondamente ed è una delle pochissime persone su cui so che potrò sempre contare.
“Alicia ce lo aveva detto” mi dice piano, “che ti saresti addossata la colpa di ciò che è successo a Zack.” Prende un bel respiro. “E lo hai fatto, lo so. Ma, tesoro, ragiona...”
“È solo che gli stavo gettando addosso tanto di quella merda...” borbotto sull’orlo delle lacrime.
“Il fumo può provocare l’asma, Nic” mi riprende accarezzandomi una guancia. “Nessuno ti dà la colpa di ciò che è successo e...” inspira profondamente, “diciamocelo francamente, tutto quello che gli hai detto era semplicemente la verità.”
Sto per aprir bocca e ribattere che almeno la parte sui genitori pessimi che sono potevo risparmiarmela, ma un pensiero veloce attraversa la mia testa e mi zittisce.
Resto di sasso per via di un pensiero che mi agghiaccia.
Improvvisamente penso che anche lui, mio nonno, doveva sapere della relazione tra papà e Zack e penso che anche lui ha mantenuto il segreto. Anche a Connor che va a trovarlo molto più di me e Jimmy perché adora suonarci insieme.
“Nonno, tu che cosa ne pensi?” gli chiedo, staccandomi appena dal suo abbraccio per poterlo guardare in viso. “Voglio dire, della relazione tra papà e Zacky.”
“Tesoro...”
“Da quanto lo sai?” incalzo, staccandomi definitivamente.
Lui sospira, rassegnato. “Okay” mi dice stringendosi nelle spalle, “ti dirò ciò vuoi sapere Nicole, ma a un patto.”
“Un patto?” mi stupisco alzando un sopracciglio. “Mh, va bene” asserisco poi.
“Tieni questa conversazione solo per te” mi dice lui. “Non devi parlarne neanche con Connor e Jimmy e... insomma, se tuo padre venisse a scoprire che ti ho detto certe cose mi ucciderebbe seduta stante.” Si gratta la nuca. “Ti assicuro che litigare con un figlio quando si sta raggiungendo una certa età non è una cosa buona, potrebbe avere qualsiasi tipo di reazione...”
Riesco a ridere persino adesso, con i sensi di colpa che mi comprimono la gabbia toracica.
Lui anche sorride. “Scherzo” asserisce. “Il patto riguarda ciò che è successo oggi. Voglio che mi prometti che la smetterai di darti la colpa della crisi asmatica di Zack.”
Sospiro. “Tranquillo, la smetterò” lo rassicuro.
E lui si perde nei ricordi.
Mi parla di papà quando era un adolescente turbolento che ascoltava la musica a volume improponibile e suonava per ore e ore la chitarra. Mi parla del suo sguardo raggiante quando apriva la porta di casa e trovava il sorriso di Jimmy ad aspettarlo per andare alle prove.
Mi parla di Zack e del suo sguardo smarrito, di quel suo sorriso timido, del suo guardare sempre verso terra e mai dritto negli occhi delle persone, delle sue guance candide e paffute che diventavano scarlatte con un nonnulla.
Mi parla della complicità tra papà e Zack che lui aveva notato da subito, del modo di papà di sfotterlo e poi di saltargli addosso per abbracciarlo. Mi parla dei dolci che Zacky portava a papà tutti i cinque del mese e mi dice che lui l’aveva capito ch’erano fidanzati e che facevano il mesiversario il cinque, ma si limitava ad assaggiare quei dolci ogni volta diversi e a fingere di non sapere nulla.
Mi racconta di come papà gli ha rivelato di essere gay, del suo rossore sul volto e del suo balbettio, del suo avere sollevato un braccio davanti al viso per proteggersi pensando che nonno si fosse alzato dalla poltrona per picchiarlo, e non per abbracciarlo e ringraziarlo di averglielo detto.
Poi nonno mi racconta dei sorrisi di papà quando Zack restava in camera sua per la notte e mi dice che dal letto sentiva i loro gemiti ma faceva finta di dormire perché alla fine non stavano facendo nulla di male, ché far l’amore è sempre una cosa meravigliosa. E mi parla di Zack che diventava rosso non appena lo incrociava in cucina, la mattina dopo, e di lui che, spavaldo, gli assestava un colpo sulle natiche o sulla nuca complimentandosi per aver conquistato suo figlio.
Poi nonno mi parla del suo dispiacere nel vedere papà fare i bagagli per trasferirsi con gli Avenged Sevenfold in un appartamento in affitto e del suo orgoglio verso quel figlio che stava lottando con le mani e con i denti pur di raggiungere il suo obiettivo, il suo sogno di suonare.
Nonno mi racconta dei baci frettolosi e tremanti che papà e Zack si scambiavano prima di salire sul palco, e degli abbracci quando scendevano da lì tanto intensi e forti che i sudori si confondevano.
Mi racconta delle loro litigate, delle lacrime di papà per telefono e di lui che tentava di consolarlo dicendogli che non poteva finire, che insieme erano troppo belli per poter finire.
Mi racconta della sua delusione dinanzi a Michelle che, sì, cazzo, era bellissima, ma non era Zacky. E lui lo sapeva che suo figlio poteva fidanzarsi con le donne più belle del pianeta e fare porcate con le spogliarelliste, ma amava solo Zack.
Mi parla della morte del Rev, di papà che aveva cercato immediatamente conforto tra le braccia di Zacky e di Zacky che non aveva saputo consolarlo a dovere, crollando a sua volta.
Mi racconta delle lacrime di Zack mentre mio padre ballava un lento con mia madre al loro matrimonio, e di lui che lo osservava in lontananza e intanto vedeva che Matt andava a porgergli un fazzoletto. Mi parla delle bestemmie gridate da mio padre quando Zacky gli aveva detto che anche lui si sarebbe sposato, con Gena, e mi dice che aveva dovuto gettare la maglietta che portava quel giorno, per via delle troppe lacrime che papà ci aveva riversato.
Mi racconta della nascita di Jimmy, del falso sorriso che Zacky aveva rivolto a Michelle e di quello colmo di dispiacere che aveva rivolto a papà.
Mi parla dei loro incontri clandestini che a volte avvenivano in casa sua e che lui lasciava che avvenissero senza porsi troppe domande. Mi racconta delle risate di papà e Zack ormai adulti che si raccontavano aneddoti dei rispettivi figli sul suo divano e dei loro gemiti, così simili a quelli che udiva tanti anni addietro, mentre facevano l’amore.
“Lo so, Nicole, che a te sembra tutta una grandissima ingiustizia” mi dice dopo qualche momento di silenzio. “Lo so che pensi che un uomo serio e responsabile avrebbe dovuto lasciar perdere la sua relazione clandestina. Ma” e mi fissa dritto negli occhi in un modo indescrivibile, tanto che mi sento come se ci stessi precipitando, dentro quegli occhi, “la loro non è solo una relazione. Il loro è amore.”
“Mi sembra che lui ami più Zacky dei suoi figli” controbatto senza riuscire a trattenermi e pentendomene un secondo dopo. “Questo” borbotto vergognandomi delle parole che ho appena vomitato fuori e chinando il capo, incapace di reggere il contatto visivo con lo sguardo di mio nonno, “non dirglielo, a papà.”
“Non devi neanche pensarla, una cosa del genere” mi dice lui con forza. “Il suo amore per Zacky è tutt’altro dall’amore verso di voi. Non... le due cose non si possono paragonare.”
Annuisco appena con la testa, sempre guardando a terra.
“Nicole, tesoro, io credo che tu ti stia lambiccando tra mille pensieri troppo grandi per una ragazzina” mi dice teneramente, tornando ad avvolgermi le spalle con un braccio. “Certe cose, piccola mia, lasciale perdere, scacciale via dalla testa. Non sono pensieri sani e” mi stringe più forte una spalla, “lo psicologo ti aiuterà, ti basterà solo dargli fiducia.”










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Ecco a voi la dolcezza di Papa Gates (adoro quest'uomo) :3
Oookay, questo capitolo è parecchio strano ed è venuto fuori da una nottata insonne... so, spero vi piaccia nonostante io non sia molto convinta di alcune cose :)

Grazie a tutti *abbraccia*
Echelon_Sun

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Capitolo 14
*** We are only teenagers! ***


I giorni successivi al malessere di Zacky non stanno andando troppo male. Stanno andando relativamente da schifo.
Papà si sta raffreddando nei confronti di mamma e, anche se lei cerca di nascondere la delusione con un sorriso, credo che si stia rendendo conto che c’è qualcosa che non va.
Almeno così dovrebbe arrivare un minimo più preparata alla rivelazione di papà. Perlomeno, così si spera.
Io sto meglio. I sensi di colpa non mi si mangiano più lo stomaco anche perché sembra che l’idea che la crisi asmatica di Zack possa essere stata provocata dalle mie parole sia venuta solo a me.
Prima di cena, in ospedale, mamma, zia e Gena sono andate a prendere le pizze e Zack mi ha rivelato che, in realtà, avevo fatto bene a sfogarmi in quel modo. Ché una buona volta bisogna vomitare fuori tutto ciò che si ha dentro e più si tiene dentro la rabbia, più questa viene lavorata e più merda la bocca sputa fuori sempre nel momento meno opportuno.
Johnny mi ha raccontato proprio ieri che papà e Zack hanno litigato per via del fumo. Mi ha detto che papà gli aveva impedito di accendersi la terza sigaretta della mattinata e Zacky aveva dato di matto. La cosa era andata avanti a urla per circa mezz’ora, con zio Matt che cercava di mettersi in mezzo e di calmarli e alla fine tutto si è concluso con loro due in lacrime abbracciati in un angolo dello studio di registrazione e con Johnny e zio che osservavano la scena con le mani tra i capelli e lo sconforto dipinto in viso.
Zacky pare che stia meglio. È stato dimesso il giorno seguente del malessere dopo i vari accertamenti, ora sappiamo che l’asma è provocato dal fumo, motivo per cui ha dovuto diminuire ulteriormente le dosi della sua amata nicotina. Gli hanno dato un broncodilatatore e gli hanno detto di stare a riposo per un po’, ma lui, subito dopo aver messo piede fuori dall’ospedale, è andato diretto a casa a dire a Gena che la lasciava. Alicia mi ha raccontato che suo padre, andato lì per precauzione, si è dovuto mettere in mezzo tra i due poiché pare che Gena stesse tentando di picchiare Zacky con i tacchi a spillo.
Ora Zack sta da Johnny, ma ci starà per poco, il tempo necessario per Gena di riprendersi tutte le sue cose e di andare a stare dai suoi genitori, motivo per cui anche il problema della casa è risolto.
Cherie mi ha detto che resterà con suo padre, un po’ per la scuola e un po’ perché ha sempre preferito suo padre a sua madre.
Io, Connor e Jimmy siamo molto preoccupati per mamma. E se noi non riuscissimo a starle vicino? E se cadesse in depressione?
Dopotutto siamo tre adolescenti, non sarà facile per noi supportare una donna matura. Mamma crede che il suo matrimonio sia sempre stato stabile, crede di avere una famiglia unita anche nelle difficoltà. Come potremo dirle che noi sapevamo già tutto? E papà con quale coraggio le dirà che l’ha sempre tradita?
Questi pensieri costanti mi asfissiano la logica ogni fottuto giorno. Me ne sto allungata sul mio letto e ascolto la musica a tutto volume, affinché possa coprire il rumore assordante dei miei pensieri.
Vado spessissimo in piscina. Così almeno scarico tutto tra una bracciata e l’altra, lascio che l’acqua e il cloro lavino via i miei problemi e i miei dubbi.
Suono spesso la chitarra, anche tutto il pomeriggio se non comincia a farmi male il polso minacciando una tendinite. Suono di tutto: canzonette vecchie, canzoni semplici, assoli di gruppi rock, canzoni dei Sevenfold. Qualsiasi cosa che sia orecchiabile se suonata con sette corde comincio a strimpellarla fino a che non mi riesce alla perfezione, o fino a che Jimmy non mi grida di cambiare.
Credo che Connor abbia capito che ormai il mio sfogo è diventata la chitarra, poiché spesso viene da me con la sua tra le braccia e, con un sorriso, mi chiede di suonare qualcosa insieme.
Io non ho mai amato troppo la chitarra. Papà ha insegnato a tutti e tre noi a suonarla, ma poi i miei fratelli, Connor specialmente, si sono specializzati esercitandosi un sacco, mentre io ho sempre strimpellato qualcosa per puro divertimento.
Connor è diventato davvero molto, molto bravo e per questo ultimamente mi sta facendo un po’ da insegnante. Ogni volta che papà torna da un tour di più settimane, Connor si prepara un assolo dei Led Zeppelin o dei Guns n’ Roses da fargli ascoltare. E papà, puntualmente, resta stupefatto dalla sua bravura.
Non mi piace molto suonare, a dire il vero. Anche Johnny ha provato a insegnarmi le basi del basso, ma alla fine gliel’ho quasi spaccato in testa e lui ci ha rinunciato. Se devo suonare, suono la batteria. O almeno, faccio commedia illudendomi di suonarla.
Quand’ero più piccola, verso i tre anni, mi ha raccontato papà che volevo sempre andare con lui in studio per suonarla. Lui a volte mi portava per un po’, e per quel poco tempo che restavo lì facevo crepare di mal d’orecchi tutti. Papà doveva starmi vicino per forza dato che lo sgabello era alto e io sarei potuta cadere, dato che ci stavo in piedi per poter battere con le bacchette al meglio. A volte papà delegava il compito ad altri, fino a che tutti si sono rifiutati di starmi vicino e lui ha cominciato a portarmi lì sempre più di rado.
Una volta ho anche picchiato le bacchette sulla testa di Larry, Zacky dice anche con una certa maestria. Larry, a quanto mi ricordo della storia, continuava a gridare a mio padre che sarebbe stata l’ultima volta che si lasciava convincere a reggermi per non farmi cadere al suolo mentre facevo chiasso con la batteria, e mi stava dando fastidio. Così mi sono voltata verso di lui, col labbro inferiore sporto in avanti e le sopracciglia aggrottate, e ho continuato a tamburellare sulla sua testa con le bacchette.
Ultimamente però, sebbene io non abbia mai amato molto suonare, la chitarra sembra essere un appiglio. Riesco a gettarle tutta la rabbia addosso, suonando un assolo dei Queen.
Sarà strano, per una come me, ma ultimamente anche la scuola mi fa bene. Studiare, impegnarmi a ripetere dieci volte le medesime pagine di storia, fare e rifare le espressioni di matematica fino a che non riescono, leggere gli appunti presi in classe, mi fa sentire bene. Studiare distoglie l’attenzione dai pensieri negativi.
E, a proposito di scuola, proprio lì, a pranzo, ho incontrato Lorenz. L’ho salutato e lui mi è venuto vicino per chiedermi come stavo e come stava Zacky, dato che la storia del suo ricovero aveva fatto in fretta il giro di Huntington Beach ed era stata passata ai fan dei Sevenfold, al che ci siamo fermati qualche minuto a chiacchierare.
Ovviamente, più di metà scuola ci osservava senza pudore e la maggior parte bisbigliava all’orecchio del vicino di posto.
Poi, non appena sono tornata al tavolo, i miei fratelli mi hanno fatto il terzo grado.
“Perché diavolo parli con... quello?” mi ha chiesto Connor, enfatizzando negativamente l’ultima parola.
Senza che io potessi avere il tempo di rispondere, Jimmy ha fatto eco al mio gemello. “Da quando parlate se non per insultarvi?”
“Nicole, ti rendi conto che ci hai fatto a botte?” ha continuato Connor.
Io ho alzato gli occhi al cielo, sorridendo appena notando quanto i due siano protettivi nei miei confronti e rallegrandomene. “È in terapia dal mio stesso strizzacervelli” ho spiegato, “così l’altro pomeriggio ci siamo fermati a parlare un po’. Si è scusato con me per gli insulti verso papà e i Sevenfold e abbiamo parlato del dottore...”
Cherie mi ha guardata alzando un sopracciglio; mentre Alicia ha esclamato: “si è scusato?”
“Sì, anch’io stentavo a crederci all’inizio” ho risposto con una mezza risata.
“E come mai questo... cambiamento?” mi ha domandato Nathan, mentre Connor sbuffava.
“Non so” ho risposto, con una scrollata di spalle. “Mi ha detto che è cambiato un sacco da quando va dallo psicologo.”












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Questo capitolo lo considero un po' 'di passaggio' e rappresenta semplicemente tutti i pensieri di Nicole nei momenti che sa che precedono la rottura effettiva della sua famiglia. Ci ho messo quel pezzetto di Nicole bambina semplicemente perché mi ha fatto tenerezza a pensarla a letto triste e volevo rendere questo capitolo non troppo deprimente.
Spero vi sia piaciuto, grazie a tutti,
Echelon_Sun

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Capitolo 15
*** A downright lie. ***


Oggi è il compleanno di Johnny e siamo a casa sua. Il più piccolo degli Avenged Sevenfold ha appena finito di scartare i regali. La band gli ha fatto un regalo splendido: gli ha lucidato ogni singolo basso da lui in possesso, entrando furtivamente in casa sua la scorsa notte e ‘derubandolo’ dei suoi oggetti più cari. Inizialmente lo gnomo è andato in crisi, ha cominciato a piangere e disperarsi, però stamattina li ha trovati tutti in fila nella sua sala, puliti e luccicanti.
Papà mi ha detto che quando li ha visti ha ricominciato a piangere, da sollievo però. Poi ha mandato tutti a quell’altro paese, per poi ringraziarli e abbracciarli.
Mi sarebbe piaciuto esserci, come sarebbe piaciuto anche agli altri, ma i nostri genitori ci hanno detto che se volevamo partecipare alla festa di stasera saremmo dovuti andare a scuola stamattina.
Noi ragazzi abbiamo messo insieme i soldi e abbiamo regalato a Johnny un teschio da arredamento che gli è piaciuto così tanto che, non appena ha scartato il pacchetto, quasi non lo ha fatto cadere per l’emozione.
Mamma e zia Val gli hanno regalato un set di mutande, con un bigliettino splendido e simpaticissimo, di quelli che suonano o cantano, in cui, aprendolo, si trova una scimmia che ride a crepapelle. Johnny, infatti, ha il vizio di dimenticare sempre le mutande. Le dimentica negli alberghi, si scorda di metterle dopo la doccia, le ruba agli altri ma poi, puntualmente, perde anche quelle.
Johnny è uno di quei tipi a cui piace dare le feste senza un motivo ben preciso, quindi potete immaginare quanto possa la sua casa essere piena di gente e di alcol il giorno del suo compleanno. Papà dice che, da questo punto di vista, somiglia molto a Jimmy. Anche se il Rev, nel periodo dei suoi tempi migliori, dava delle feste che Huntington Beach ricorda e rimpiange ancora adesso.
Un giorno potresti andare dallo gnomo e dirgli: “Hey, sai che è da tanto tempo che non mi rollo una canna?” “Seriamente? Allora dobbiamo organizzare una festa e rollarcene una insieme” risponderebbe lui, col solito sorrisetto di chi vive senza pensieri stampato in faccia, proprio come faceva Jimmy.
Tra tutte le case che i membri della band si sono comprati dopo aver sfondato con la musica e aver accumulato abbastanza soldi da potersi considerare molto più che benestanti, la mia preferita è proprio quella di Johnny. Anche perché si trova nel quartiere più tranquillo della periferia, quel tipo di posto che ti concede di avere vicini sorridenti e benestanti quanto te.
Quel tipo di quartiere in cui è concessa la musica a volume troppo alto almeno una volta la settimana e in cui è normale veder sfrecciare auto costose.
La casa di Johnny è enorme e sviluppata su un solo piano. Dal lato che dà sulla strada c’è la zona giorno: una cucina spaziosa e sempre piena di qualsiasi bevanda alcolica o energizzante tu abbia voglia di scolarti; e una sala a dir poco gigantesca. Adoro il salotto di Johnny, ha davvero un gran bello stile. C’è una poltrona grande, spaziosa e nera che occupa tutta una parete, c’è la televisione enorme a schermo piatto affiancata dallo stereo con delle casse da far concorrenza a quelle delle discoteche, un lungo tavolo di legno che durante le feste è ricoperto da ogni cosa che allo gnomo passi per la testa di offrire agli ospiti.
Comunque, ciò che colpisce di più è la parete dietro il divano, pitturata con un gigantesco Deathbat che attira immediatamente l’attenzione.
Nella zona notte ci sono due bagni spaziosi e sei stanze da letto, tutte con letti matrimoniali. Vi chiederete che diamine ci fa Johnny, che vive da solo, con SEI camere da letto... non l’ho mai capito, ma a volte ho l’impressione che non ne faccia un casto utilizzo.
La parte che più mi piace è un po’ staccata dalle quattro mura dell’abitazione, e ci si arriva percorrendo un vialetto di mattonelle nere lungo il giardino sempre curato. È la veranda, o almeno quella che noi chiamiamo così. È un posto quadrato sul retro della casa, a cui si accede attraverso un vialetto in mattonelle, per tre quarti contornato dalla ringhiera e lo gnomo quando vuole (non stasera, ad esempio) copre il tutto con un tendone, creando l’effetto gazebo. C’è un lampione per ogni angolo, ci sono delle sdraio, delle sedie e qualche tavolino di plastica che, a detta di Zacky, servono solo per poggiare i posacenere. Spesso, durante le serate di gruppo in piena estate, gli Avenged Sevenfold ci offrono proprio qui un bellissimo show acustico.
In genere quando Johnny dà una qualsiasi festa la lista degli invitati non conta più di quaranta persone, a parte in occasioni come questa che sfiora la sessantina di invitati, ma poi, osservando la situazione, ci si rende conto che il numero di persone è nettamente maggiore. Gli imbucati sono per lo più fan sfegatati dei Sevenfold che se ne stanno in disparte, non creano problemi e assumono un colorito biancastro non appena un membro della band passa loro accanto. A volte ci sono ragazzi sui vent’anni in cerca semplicemente di alcol gratuito, mentre a volte ci sono curiosi che non fanno altro che fissare noi ragazzi e la band come se dovessero appuntarsi ogni nostra mossa durante la serata.
La festa di stasera è piuttosto tranquilla se paragonata ad altre che… okay, lasciamo perdere. Io, Alicia e Cherie ce ne stiamo nella veranda, da qui si vede il mare e la luna è piena e lucente. Fumiamo in silenzio, Cherie allungata su una sdraio, Alicia seduta al suo fianco e io in piedi, con la schiena poggiata alla ringhiera. Ci godiamo il venticello fresco che ci bacia la pelle troppo nuda per essere a novembre, ma è noto che in California non è mai davvero inverno e che l’alcol scalda. Le mie amiche sono già alla metà delle loro sigarette, che stanno consumando in fretta dato che i loro genitori non sanno che hanno cominciato a fumare e non vogliono essere scoperte.
Poi, con quello che è successo a Zacky, mi sembra ovvio che non vogliano.
Prima solo papà sapeva che stavo seguendo le sue orme riguardo il vizio del fumo, e lo sapeva solo lui poiché non mi andava che altri lo potessero andare a dire a mamma, la quale mi avrebbe uccisa ancor prima che il fumo potesse annerire i miei polmoni.
Ma mamma tra pochi giorni non sarà più in contatto coi membri della band, dunque non m’importa se gli altri verranno a sapere che fumo. E, in ogni caso, a rimpinzarmi di raccomandazioni ci ha già pensato zio Matt.
“Sicuramente ti pentirai di aver cominciato a fumare, Nicole” mi ha detto. “Proprio come è successo a me. Le sigarette sono un vizio davvero stupido e insensato, dico sul serio, e portano guai” ha aggiunto, alludendo a Zacky.
“Hey, chi diavolo sono quelli?” esclama improvvisamente Alicia, alzandosi e vendendo al mio fianco.
Guarda dritto dinanzi a noi, dal lato opposto della casa, con i gomiti poggiati alla ringhiera e il busto sporto in avanti per vedere il più possibile. Anch’io mi sporgo a guardare nella stessa direzione, ma è troppo buio e si vedono solo due sagome a una centinaio di metri di distanza.
“Credo che quello sia tuo padre, Nicole” dice Cherie, che intanto ha assunto la stessa posizione mia e di Alicia, alla mia destra.
Aguzzo la vista e non posso fare a meno di darle ragione. Il taglio di capelli mi pare proprio quello, e anche come corporatura mi sembra lui. Solo, non capisco chi ci sia al suo fianco.
“Ma cosa starà facendo?” si chiede Cherie, dopo aver tirato una lunga boccata di fumo.
Già, non capisco neanche questo. E, qualsiasi cosa stia facendo, non capisco perché debba farla così immerso nel buio.
Restiamo tutt’e tre in completo silenzio per un po’, fissando i due che continuano a starsene vicinissimi e di spalle a noi. Che stiano semplicemente confabulando?, mi chiedo accigliata e al contempo speranzosa.
Mi smuovo dalla mia postazione solo per andare a gettare il mozzicone della mia Marlboro nel posacenere. Torno velocemente a occupare lo spazio tra le mie amiche, di nuovo con una sigaretta incastrata tra le labbra.
“Sei nervosa?” mi chiede Alicia, andando a gettare il suo mozzicone nel posacenere.
“Un po’. Non capisco cosa stia facendo” rispondo io, aspirando con veemenza il fumo.
“Non dovresti fumare ancora, tua madre e tutti gli altri potrebbero vederti” osserva Cherie.
Io faccio un gesto con la mano per dire che non m’importa, che mi vedano pure. Sono nervosa: ho bisogno di nicotina.
Non appena Alicia torna al mio fianco, anche le due sagome si smuovono. Credo che abbiano finito di fare quello che stavano facendo; dopo qualche secondo, appena mi rendo conto che papà sta tornando verso la casa, ne ho l’assoluta certezza. L’altra figura, invece, si dirige verso destra ancora immersa nel buio. Chissà chi era.
“Dovrei chiedergli che diavolo stava facendo?” domando alle mie amiche.
All’unisono, Alicia mi dice di sì e Cherie di no.
Bene, ottimo consiglio.
Credo che glielo chiederò, al massimo dirà una bugia. Nella mia testa decido che se mi delegherà con un ‘niente, tesoro’ di circostanza, mi metterò d’impegno per scoprire cosa c’è sotto.
Solo quando è a pochi passi da noi, papà si decide a sorridere e venirci incontro con più decisione. “Che combinate qua fuori?” ci chiede.
“Ci rilassiamo” rispondo, buttando fuori il fumo. “Tu, piuttosto, che facevi?” continuo, cercando di far suonare la mia voce rilassata.
Lui scrolla le spalle. “Niente di che, fumavo una sigaretta con un amico.”
Non faccio in tempo a chiedergli chi diamine sia questo amico, che lui si è dileguato ed è tornato in casa, alla festa. Mi ha detto una bugia bella e buona, e anche se non ho prove concrete sono certa che mi abbia mentito.












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Ciao belli :3
Spero che questo capitolo vi piaccia e... recensite, voglio sapere cosa combina Brian secondo voi ;)

Grazie ancora a tutti quelli che leggono, recensiscono e hanno messo questa storia tra le preferite o le seguite.
Echelon_Sun

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Capitolo 16
*** What a mess! ***


Una bestemmia mi fa sussultare. Scatto a sedere sul letto, guardandomi intorno cercando di capire dove diavolo sono finita.
“Che ha da gridare quel cretino?” borbotta Alicia, allungata al mio fianco nel lettone.
Siamo a casa di Johnny, nella camera da letto in fondo al corridoio. Io e Alicia ci siamo venute verso le quattro di mattina, dopo aver aiutato zio Matt a portare a letto Johnny e i gemelli Barry.
“Cristo, Brian Elwin Haner Junior, dove cazzo sei?” urla ancora zio Matt.
Alicia si siede stropicciandosi gli occhi, assonnata. Guardo la radiosveglia sul comodino accanto a me e mi rendo conto che sono le 10 di mattina. Ma a chi diavolo è saltato in testa di svegliarsi così presto?, penso irritata.
“Ragazze, siete sveglie? Posso?” dice zio Matt, bussando alla nostra porta.
Alicia risponde con un grugnito sprofondando nuovamente tra i cuscini. Zio Matt entra e noto che è agitato. Ha la fronte imperlata di sudore e si tortura le mani con fare nervoso.
“Che succede?” gli chiede immediatamente Alicia scattando in piedi, improvvisamente non più tanto assonnata.
“Un casino... non sappiamo... Nicole, quando hai visto tuo padre l’ultima volta?”
Mi si chiude lo stomaco. Prima avevo capito benissimo che zio stava cercando mio padre, ma non avevo intuito che lo avesse perso totalmente.
“Io...” mormoro, spaesata. “Credo verso l’una e mezza, in veranda.”
Alicia annuisce. “Era strano” dice, facendo alzare un sopracciglio al padre. “Lo abbiamo visto da lontano, all’inizio” spiega la ragazza. “Stava con un tipo... non siamo riuscite a capire chi fosse, ma sembrava che stessero confabulando.”
“Sul... dite sul serio?” ci chiede zio Matt. La sua preoccupazione aumenta a vista d’occhio. Mi sta facendo crepare di paura.
Annuisco. “Ma perché? Dov’è?” chiedo.
Lui scuote la testa. “Non riusciamo a trovarlo” ci dice mestamente.
Esce dalla stanza e torna a urlare per il corridoio, lo sentiamo, in lontananza, chiedere a Connor la stessa cosa che ha chiesto a noi.
Io sono preoccupatissima, comincio a sudare freddo. Alicia, a differenza mia, è già scattante e si sta aggiustando i capelli davanti allo specchio nell’anta dell’armadio.
“Muoviti, Nicole. Andiamo a cercarlo” mi dice svelta, lanciandomi un paio di jeans che devono essere appartenuti a Johnny da ragazzo.
Io me li infilo saltellando per la stanza, raggiungo l’armadio e mi metto una felpa smessa e consumata dagli anni degli ACDC.
Dopo dieci minuti siamo in strada, intenti a cercare mio padre ovunque. Cherie, Nathan e Zacky sono andati verso le campagne. Johnny e Connor hanno preso la macchina e sono andati in centro. Alicia e Jimmy sono andati a fare un giro per il quartiere di Johnny. Io e zio Matt siamo andati verso la spiaggia, stiamo attraversando il pontile semivuoto in questo preciso istante.
“Dannazione!” sibila zio Matt, stringendo i pugni sulla ringhiera.
Camminiamo per un buon quarto d’ora coi nervi a fior di pelle e la preoccupazione palpabile. Percorriamo tutto il lungo mare fino a che zio non scorge una figura rannicchiata accanto all’estremità del muraglione del porto. Che è papà lo capiamo immediatamente nonostante la lontananza, dato che porta gli stessi vestiti del compleanno di Johnny.
Corriamo entrambi verso di lui, pregando che stia bene.
“Brian!” lo chiama zio, inginocchiandosi al suo fianco.
Papà all’inizio pare inerme, ma dopo qualche istante apre pigramente gli occhi, emette un gemito e si stringe nella giacca.
“Santo cielo, che paura” esclama zio, asciugandosi il sudore dalla fronte. “Nic, chiama gli altri e digli di raggiungerci immediatamente.”
Scossa, mando un messaggio generale e mi siedo a terra con le spalle contro il muro. Papà è ancora raggomitolato sul cemento e zio gli sta parlando sottovoce mentre gli apre la giacca.
Sono così sollevata di aver trovato papà vivo che non mi rendo conto della situazione. Capisco che c’è qualcosa, molto, che non va solo quando zio Matt dice risentito a mio padre: “Cazzo Brian, ma in che guaio sei andato a cacciarti?”
Allora mi giro verso i due e vedo che zio sta esaminando l’addome e le braccia di mio padre. È tutto ricoperto di tagli e lividi scuri.
Trattengo bruscamente il respiro e zio si volta verso di me. “Non è niente di grave” mi dice, sforzandosi di rassicurarmi, senza ottenere buoni risultati.
In quel momento ci raggiungono Johnny e Connor, seguiti, un istante dopo, da Alicia e Jim.
“Ali, voi allontanatevi da qui” dice zio Matt, scoccando una lunga occhiata d’intesa con Johnny.
Alicia neanche ribatte, si passa nervosamente una mano tra la cresta scura mezza cadente e ci esorta ad andare a fare colazione a un bar poco distante da lì.
Mentre seguo la mia amica controvoglia insieme ai miei fratelli, vedo gli altri correre verso di noi. Zacky ha assunto un colorito ancora più bianco del solito.
“Dov’è? Sta bene?” ci chiede ansimando.
“Al molo con papà e Johnny e... insomma, non si può dire che stia proprio bene” borbotta Alicia, “era pieno di lividi.”
Zacky, se possibile, sbianca ulteriormente prima di correre via da noi.
“Si può sapere che diavolo succede?” sbotta Connor con la voce spezzata dalla rabbia mista alla sconforto e alla paura.
Lancio uno sguardo al mio gemello. Stiamo pensando la stessa cosa: non bastano le mie manie suicide, non basta la storia omosessuale di papà, non basta il dolore che proverà mamma quando saprà che suo marito l’ha sempre tradita. Ora vogliamo metterci anche questo?
Anche se non sappiamo cosa stia succedendo, siamo abbastanza intelligenti da capire che non andrà a finire bene.
“Vado a vedere che stanno facendo” dice Connor.
“Vengo con te.”
Nathan ci urla che sarebbe meglio non farlo, ma a quel punto siamo già in corsa verso il muraglione. Connor corre al mio fianco, confuso quanto me, terrorizzato e incazzato quanto me.
Perché papà ha deciso di mandare a puttane una famiglia?
Ci accovacciamo accanto al muretto di una gelateria aperta solo in estate. Da questa posizione riusciamo a sentire la conversazione, ma dobbiamo stare attenti perché un minimo rumore potrebbe farci scoprire.
Papà è ancora a terra, un polso serrato nella stretta di zio Matt. Gli altri sono tutti in piedi e parlano concitati e nervosi.
“Non possiamo ignorare questa cosa, Zachary!” dice Johnny con una punta di inquietudine nella voce.
“E cosa potremmo fare, Jonathan?” chiede Zacky irritato.
“Innanzitutto, dobbiamo aspettare che si riprenda...” comincia Johnny.
“Io sto bene!” piagnucola papà a quel punto, che viene ignorato bellamente.
“E poi” riprende Johnny, “dovremmo parlare con lui.”
“Sappiamo che non lo rifarà” lo difende Zacky. “E... dannazione, è solo una stupidata” esclama, alzando le braccia al cielo.
“Una stupidata?” si stizzisce zio Matt. “Sai bene che le cose sono più complicate, Zack, e sai quanto è difficile uscirne fuori quando ci si è già dentro abbastanza da... da mettersi nei casini fino ad essere pestati.”
“Matthew...” tenta di dire Zacky, ma la sua voce viene offuscata da quella instabile di mio padre.
“Lasciatemi stare!” dice, prendendo a dimenarsi. Zio lascia la presa sul braccio e papà si stringe nella giacca raggomitolandosi al suolo.
“Brian, avanti, andiamo via da qui” sospira zio, prendendo papà per le braccia nell’intento di farlo alzare.
Papà piagnucola di dolore, aggrappandosi con forza al corpo di zio, Zack corre a sostenerlo dall’altro lato e, insieme, lo trascinano fino al pontile. Allora io e Connor facciamo una corsa sulla spiaggia, arriviamo al bar dove, gli altri, stanno facendo colazione e ci sediamo con loro al tavolino.
“È uno schifo” commenta il mio gemello, crollando accanto a Jimmy.











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Ciao belli! :3
Con questo capitolo vorrei segnare il risvolto completo della storia e ammetto che sono molto preoccupata per il seguito. Non che non abbia neanch'io idea di cosa stia combinando Brian, ma non so come voi potrete prenderla xD
...spero solo che vi piaccia ciò che ho in mente!

Cooomunque, qui vi lascio anche il link di un prodotto non proprio sano partorito dalla mia mente in un momento di noia. Se vi va, dateci un'occhiata che mi renderebbe immensamente felice :)

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2018370&i=1


G
razie mille a tutti quelli che recensiscono e che leggono,
Echelon_Sun

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Capitolo 17
*** WTF...!? ***


Neanche lo so quanto tempo è passato dalla mattina seguente del compleanno di Johnny. Il mio calendario sostiene una settimana, e questo significa che il mio cervello è andato in pappa. Avrei giurato ne che fossero passate minimo tre, di settimane.
Papà ha lasciato mamma, senza neanche degnarsi di riservare al momento parole meno forti o più privacy. Io e i miei fratelli eravamo appena saliti nelle nostre stanze, dopo cena, che papà già le aveva detto di sedersi perché doveva parlarle.
Noi ci siamo appostati in corridoio, respirando a stento per non farci scoprire a origliare la conversazione e, allo stesso tempo, per non perderci neanche una parola.
“So che mi odierai, dopo quello che ti dirò, Michelle” ha esordito mio padre. “Sarai libera di picchiarmi, se vuoi, perché mi merito tutta la tua ostilità nei miei confronti.”
A quel punto io e i miei fratelli ci siamo guardati come se ci avessero appena detto che il Natale era stato spostato ad agosto. Papà, egocentrico e vanitoso, che permette a una persona di picchiarlo?
“Sono sicura che potremo risolvere ogni cosa” ha risposto mamma con voce tremante.
“No, questa volta no” le ha detto lui, tirando un grosso sospiro. “Mi dispiace.”
Per qualche secondo mi è parso che il mondo si fosse fermato. Come se stessimo dentro un orologio a cucù e stessimo aspettando mezzogiorno. Siamo rimasti tutti immobili, in attesa. Ogni cosa si ingrigiva, l’aria, persino, credo che si sia immobilizzata.
“Io ti ho tradita, Michelle. Ti ho tradita con Zacky” ha detto papà poi.
Il suono dei tacchi di mamma, che doveva essersi alzata all’improvviso, è riecheggiato fino alla soffitta. “Cosa… cos’hai fatto?” ha detto.
Non credo che si sia arrabbiata, all’inizio, credo che si sia sentita ferita. Aveva una famiglia, una bella casa, belle e tante scarpe, bei vestiti, un mucchio di soldi non indifferente e anche un bel marito. E improvvisamente la sua vita si è frantumata accanto alle scarpe col tacco firmate.
Mi sono sporta appena in avanti e l’ho vista tremare in modo incontrollabile mentre papà cercava di accarezzarle un braccio, dispiaciuto.
“Quando?” ha mormorato mamma.
Papà ha chinato il capo. “Giuro, Michelle, che non avrei mai e poi mai voluto farti soffrire. Lo sai che ti ho sempre rispettata come donna e che non avrei mai voluto spezzarti il cuore…”
“Dimmi quando cazzo mi hai tradita!” ha gridato mamma, con fare isterico.
Connor, alle mia spalle, ha mormorato a papà di tacere o mentire. Ma lui non ha fatto nessuna delle due cose. “Io… da sempre. Io e Zacky ci frequentiamo clandestinamente da quando ci conosciamo, praticamente” ha detto mestamente.
Mamma gli ha dato appena il tempo di concludere la frase, prima di tirargli un sonoro ceffone in pieno viso. Papà non ha reagito, ha chinato il capo e la ha chiesto scusa.
Allora lei si è infiammata. Improvvisamente ha smesso di tremare e ha cominciato a gridargli rabbiosamente di uscire di casa e non tornarci mai più, prendendolo a pugni ovunque riuscisse ad arrivare.
Papà, sulla porta e con le mani in avanti per parare i colpi, le ha chiesto nuovamente scusa quasi piangendo. Poi ha chiuso la porta e mamma è crollata, in quel momento credo che sia venuta fuori tutta la sua rabbia, perché si è tolta una scarpa e ha cominciato a sbattere furiosamente il tacco alto e spesso contro la porta d’ingresso.
Due istanti dopo è arrivata zia Val, alla quale papà aveva scritto un messaggio prima di cominciare a parlare con mamma. Zia ha stretto mamma tra le braccia e l’ha lasciata singhiozzare per tutta la notte, mentre noi ce ne stavamo uno sull’altro in corridoio a piangere silenziosamente.
La mattina dopo mi sono svegliata nel mio letto, e qui sono rimasta nell’ultima settimana. Esco solo per andare in bagno e andare a fare i pasti a casa di Johnny, che ci viene a prendere e riportare in macchina ogni giorno.
Cosa faccio a letto? Ascolto la musica a tutto volume nelle cuffiette, fumo e studio, non suono neanche più.
Per tutto il giorno ascolto i Misfits, i Pantera, i Megadeth e altra musica in grado di offuscare il rumore dei miei pensieri, fumando uno dopo l’altro interi pacchetti di sigarette.
Studio, sebbene io e i miei fratelli (e anche tutti gli altri) non stiamo andando a scuola. Non ne abbiamo la forza e, per di più, la notizia della storia di papà e Zacky si è già diffusa ad Huntington Beach e non crediamo che ci faccia bene frequentare posti così pieni di occhi indiscreti.
A dire il vero l’altro giorno, credo che sia stato ieri, sono andata dallo psicologo. O almeno, sono uscita per andarci.
Zia Val, che si è trasferita momentaneamente a casa nostra, mi è venuta a chiamare in pieno pomeriggio. Non è stata molto gentile con me. È entrata in camera mia, ha sbraitato per un po’ ma io, dato che stavo sentendo i Pantera a tutto volume, non l’ho sentita. Allora lei mi ha strappato le cuffiette dalle orecchie e mi ha gridato di vestirmi, perché tra dieci minuti sarebbe passato suo marito e mi avrebbe portata dallo psicologo. Prima di uscire dalla mia stanza ha aperto la finestra, dicendo che dentro la mia stanza si soffocava per colpa della puzza di fumo.
Zio Matt è arrivato puntuale e, mentre salivo in macchina, gli ho quasi fatto prendere un colpo.
“Ma si può sapere che diavolo stai combinando in questi giorni?” mi ha chiesto preoccupato, facendomi alzare il viso prendendomi il mento con una mano e scrutandolo.
Io non ho risposto, ho sospirato e ho aspettato che la smettesse di esaminami come se fossi un animale raro.
“Credo che anche io verrò a stare qualche giorno da voi. Non mi piace per niente il modo in cui ti stai riducendo” ha detto, mettendo in moto.
Durante il viaggio sono stata molto silenziosa, ma zio se n’è fregato e mi ha parlato della nuova cotta di Nathan. Del discorso ricordo solo che zio l’ha definita passabile e guardabile, nient’altro.
Dallo psicologo non è andata molto meglio: sono scappata di nuovo, ma questa volta ho battuto il mio record personale per quanto riguarda la velocità. Sono andata via dopo soli cinque minuti.
Ho sceso le scale correndo, urtando un ragazzo biondo sono uscita all’aria aperta. Zio era sulla panchina davanti al palazzo a fumare e, quando il portone alle mie spalle ha sbattuto e si è girato, mi ha sorriso.
“Sapevo che saresti uscita subito” mi ha detto, alzandosi.
Non gli ho chiesto come facesse a saperlo, ma ho accolto volentieri l’abbraccio che mi ha regalato un attimo dopo. Ho pianto, per la prima volta dopo la sera in cui i miei si sono lasciati. Anch’io, come mamma, ho pianto dopo un po’, come se il dolore dovesse prima lievitare all’interno del mio corpo.
Zio non mi ha detto nessuna parola di conforto, ha lasciato che piangessi tutte le mie lacrime inzuppandogli la giacca. Mi ha stretta a sé fino a quando non mi sono staccata e, singhiozzando, gli ho detto che volevo tornare a casa.
Quando siamo arrivati a casa, zio ha parlato a me e ai miei fratelli di cosa sta combinando mio padre.
Dire che mi sarei potuta aspettare tutto, persino la tossicodipendenza, da lui, ma non questo, è dire poco. Dire che sono rimasta così shockata che Jim ha dovuto assestarmi diverse gomitate per farmi continuare a seguire il discorso di zio, forse rende l’idea.
Mio padre si è messo in mezzo al commercio di armi.
Commercio di armi.
Dannazione.
Il solo pensiero mi disgusta.
È un concetto troppo grande per me e per i miei fratelli, una cosa talmente tanto grande da risultare quasi impossibile da assimilare.
Già da giovane papà si era mischiato con questi affari loschi in nero, ma il tutto era durato solo per un paio d’anni, poiché poi, con l’uscita di City Of Evil si era voluto concentrare solo sulla musica. Per uscire da quel giro d’affari era stata dura, ci dice zio Matt, poiché molti lo contattavano anche a casa, pur di rintracciarlo e non accettavano l’idea che lui non potesse più essere il loro venditore abituale e fidato.
Aveva rischiato di rimetterci la pelle in diverse occasioni ma, evidentemente, la lezione non gli era bastata.












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Eccomi qui tornata con questo capitolo che rivela un po' tutte le carte ancora coperte.
Michelle finalmente ha saputo la verità, i ragazzi vengono a sapere del commercio delle armi del padre e... boh, vi piace l'idea?
...spero di sì, perché ho fatto di tutto per non cadere nel banale e spero proprio di essere riuscita anche solo lontanamente nel mio intento!

Fatemi sapere cosa ne pensate :3
Grazie a tutti quelli che ancora seguono questa storia,
Echelon_Sun

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Capitolo 18
*** Trasferirmi? ***


“Posso?”
Chiudo il libro di poesie che è uscito allegato al volume di Letteratura e annuisco a mio zio, che ha affacciato la testa in camera mia e mi sorride rassicurante.
Entra e, in un istante, pare aver cambiato totalmente umore. Il sorriso sul suo volto è completamente svanito e i suoi occhi si sono ridotti a due fessure. Sta osservando attentamente la coltre di fumo che aleggia nella stanza.
Mi concede appena il tempo di alzarmi sui gomiti, che è già andato al mio cestino dell’immondizia a contare i pacchetti di sigarette che vi ho buttato in questi giorni.
“Venticinque fottutissimi pacchetti di sigarette in una settimana, Nicole?!” mi urla, facendomi sussultare.
Davvero? Davvero ho fumato così tante sigarette?
Bè, sono pur sempre la figlia di Synyster Gates, quello con la scritta Marlboro sulle nocche.
“Io… non me ne sono resa conto” biascico ritirandomi con le spalle contro il muro.
“Sì, come no!” sbraita lui, ancora con la voce troppo alta. “Forza, è ora che ricominci a uscire da qui dentro” aggiunge un attimo dopo, andando verso il mio armadio.
“Non voglio” mi lamento io, ma lui fa finta di non sentirmi.
Prende un jeans, una felpa dei Megadeth, mutande, un paio di calzini e un reggiseno. Poi viene verso di me con fare vagamente minaccioso, mi prende per un braccio e mi trascina in bagno.
“Non ha il diritto di… lasciami stare” piagnucolo, cercando di sfuggire alla sua presa. È troppo forte per me e continua imperterrito a trasportarmi di forza lungo il corridoio.
“Non puoi passare altro tempo chiusa lì dentro!” mi dice, torvo, non appena raggiungiamo la porta del bagno. “Vai a farti una doccia, poi porto te e gli altri in centro.”
Mi spinge in bagno, prima che io possa replicare, mi mette i vestiti in mano e chiude la porta. “E vedi di non metterci troppo” urla, mentre sento l’eco dei suoi passi lungo il corridoio affievolirsi.
 

***

 
Casa di Zacky è un po’ come un museo, tanto che, anni fa, zio Matt doveva stare ben attento a non urtare nulla con le sue spalle possenti. Diceva che ogni volta che doveva entrare in casa di Zacky, per ogni passo che portava a termine senza far cadere alcun cimelio a terra si concedeva un sospiro di sollievo.
Cherie cerca le chiavi per qualche istante, poi apre silenziosamente la porta. Restiamo tutti interdetti sull’uscio, straniti e anche un po’ increduli.
“Ricordatemi quanti anni hanno” dice Alicia visibilmente sconvolta, alle mie spalle.
Papà e Zacky si stanno rincorrendo, facendo lo slalom tra il divano, le varie chitarre esposte o lasciate casualmente in ogni dove, vari oggetti a terra e qualche mobile spigoloso su cui stanno in equilibrio vasi, fotografie, premi e altri stani e inutili oggetti.
Non si sono accorti di noi, ovviamente, essendo così impegnati.
“Ti prenderò, porchetta!” grida papà, scavalcando con un salto una piccola pila di cd.
“Non credo proprio!” ribatte Zacky che, per sfuggire a mio padre, gli lancia contro un cuscino del divano.
“Ma quello è un mestolo?” si chiede Cherie.
Solo in quel momento noto, tra le mani di papà, un enorme mestolo di legno.
Ma che diavolo...?
Papà si china appena, evitando una cuscinata in pieno viso per un soffio. Poi riprende l’inseguimento. Zacky improvvisamente si gira nella nostra direzione e ci nota, spalanca gli occhi dalla sorpresa senza smettere di correre, inciampa accidentalmente nel manico di una chitarra acustica di papà posata a terra, imprecando.
Papà, invece, non si accorge della nostra presenza e si lancia sul suo fidanzato ridendo come uno scemo. Lo placca a terra, sedendosi su un suo fianco, all’altezza del bacino.
“Ti ho preso!” esclama, brandendo il mestolo con enfasi.
“No… Brian, no…” cerca di dirgli Zacky, afferrandogli le braccia.
Ma papà non lo sta ascoltando, troppo impegnato a ridersela di gusto per notare noi che siamo sulla porta a goderci la scena.
Col mestolo gli dà un sonoro sculaccione, continuando a ridere con fare così gioioso che probabilmente anche un bambino venendo a sapere che la Befana lo considera così buono da regalargli più caramelle di tutti sarebbe felice allo stesso modo.
“Lo vedi che succede, a non lasciarmi l’ultima fetta di torta?” gli dice beffardo, continuando a colpirlo con veemenza sul sedere.
“Ba - basta!” ansima Zacky, cercando di afferrare il mestolo con una mano.
Papà si blocca e gli rivolge un sorriso enorme, che non mi pare d’aver visto mai rivolto a mamma. “D’accordo, porchetta, per oggi credo che tu abbia imparato la lezione” gli dice, alzandosi in piedi.
In quel momento di accorge della nostra presenza e arrossisce. Zacky si alza, al suo fianco, se possibile ancor più imbarazzato di papà.
“Eravamo in giro e abbiamo pensato di passare a salutarvi” dice Connor, tentando di rompere il ghiaccio e l’imbarazzo.
“Avete fatto bene” ci dice papà, sorridendo appena.
Entriamo uno dopo l’altro in casa, ancora un po’ scossi e divertiti dalla scena. Papà viene ad abbracciare me e i miei fratelli.
“Mi siete mancati” ci dice, stringendoci tutti e tre in una volta sola.
Ci sediamo tutti sul divano, dopo averlo liberato dall’insolita presenza di residui di pop-corn,  marshmallow e briciole di patatine in busta. Zacky va a prendere qualcosa da bere, mentre papà si siede tra me e Jimmy e ci avvolge le spalle con le braccia.
“Cosa combinavate in giro per Huntington Beach?” ci chiede affabile.
“Ci siamo dedicati allo shopping” risponde Cherie, mostrandogli il polso sinistro sul attorno al quale è avvolto un braccialetto a forma di serpente appena comprato.
“Abbiamo fatto una passeggiata sulla spiaggia e siamo stati alla pista per skate” continua Connor sorridendo.
Papà annuisce pensieroso. “Quindi la vita procede per il verso giusto anche senza di me che vi tormento?” ci chiede, facendo il finto risentito.
Chino il capo, sentendomi trafitta dagli sguardi dei miei amici e dei miei fratelli. Io sono stata quella che si è chiusa in camera per una settimana, ascoltando musica, studiando e fumando fino a ridurre la mia camera in un posto dall’aria irrespirabile. Non loro, nessuno di loro.
I miei fratelli, preoccupati per me, sono venuti spesso a chiedermi di uscire insieme. Spesso sono venuti anche a chiedermi di andare nella stanza insonorizzata al quarto piano di casa per suonare qualcosa. Ma io ho sempre detto di no, troppo chiusa nel mio dolore per trovare la forza di andare avanti.
“No?” continua papà, tornando serio.
Se zio non mi avesse costretta a uscire di casa, io sarei ancora sotto le mie amate coperte con la musica a tutto volume nelle orecchie. Se zio non mi avesse costretta a farmi un giro con i miei amici, ora starei fumando beatamente.
“Per Nicole no” risponde Jim. “Si è chiusa in camera sua in questa settimana, uscendo solo per andare a mangiare da Johnny e per andare, ieri, dallo psicologo.”
Zacky torna in quel momento trasportando un vassoio con diversi bicchieri, una bottiglia di prosecco e dei pasticcini. Li posa sul tavolino di legno davanti a noi e va a sedersi dall’altro lato del divano, accanto alla figlia.
“Zack, io e Nicole andiamo a fumare una sigaretta sul retro” dice mio padre, prendendomi un polso e trascinandomi dietro di sé per la sala. Scocca un veloce sguardo a Zacky, come a dirgli ‘più tardi ti spiegherò’, e mi conduce fino alla porta della cucina che dà sul giardino con piscina.
“Sediamoci, che è meglio” mi dice, accomodandosi su una sedia di legno e tirando fuori le sue amate sigarette dalla tasca dei jeans.
Mi siedo sulla sedia al suo fianco e prendo la sigaretta e l’accendino che mi sta porgendo, accendo la Marlboro e resto in silenzio. Voglio che sia lui a parlare per primo.
“Matt mi ha chiamato prima per dirmi che è preoccupato per te” mi dice papà dopo un po’, guardando dritto davanti a sé. “Mi ha detto che la tua stanza era piena zeppa di fumo, che hai fumato venticinque pacchetti di sigarette in una settimana.”
È... arrabbiato, forse. Un incrocio tra l’incazzato e il preoccupato. Come se fosse estremamente angosciato per me e questo lo facesse, al contempo, infuriare.
“Non voglio importi nulla, Nicole” prosegue dopo qualche istante, voltando appena il capo verso di me. “Ma capisci che sono preoccupato e che Matt non può occuparsi di te… e tua madre neanche può farlo.”
“Quindi?” incalzo io.
“Quindi vorrei che tu ti trasferissi qui, con me, Zack e Cherie” afferma lui, con la stessa leggerezza con cui mi potrebbe proporre di suonare qualcosa insieme.
“Sei così preoccupato per un po’ di fumo?” gli chiedo, con una vaga di nota ironica nella voce.
Volge interamente il suo sguardo su di me. “No, ovviamente non solo per quello” mi risponde pacato. “Sono preoccupato perché non sei uscita dalla tua stanza per una settimana e Johnny mi ha detto che quando andavate a mangiare da lui eri silenziosa e visibilmente afflitta. Sono preoccupato perché sei scappata per ben due volte dallo studio dell’unica persona che potrebbe aiutarti veramente.”
Porta di nuovo la sigaretta alle labbra e io lo imito con fare agitato.
“Stai commerciando armi?” gli chiedo senza peli sulla lingua.
Non c’entra nulla e ne sono assolutamente consapevole. Ma se la mia vita sta crollando a pezzi, almeno ora potrei avere la certezza che papà sta uscendo fuori dal quello stupido giro d’affari che potrebbe mettere a repentaglio non solo lui, ma anche me e tutti quelli che gli sono vicini.
Lui si irrigidisce. “È stato Matt a parlartene?” mi chiede con una punta di rabbia nella voce.
“Non importa chi...” borbotto.
“Dannazione” esala lui, zittendomi. Inspira il fumo con fare nervoso e lo espira lentamente. “Nicole” mi dice dopo qualche istante, addolcendosi e guardandomi premuroso, “non devi preoccuparti di questo. Non... non ti accorgerai neanche che sto facendo questo genere di cose.”
Restiamo in silenzio per un po’, papà continua a fissarmi con sguardo mite e affettuoso.
Deglutisco a fatica. “D’accordo, verrò a stare qui” cedo.
Papà sorride appena. “E proverai a parlare col tuo dottore?”
“Sì.”
“Senza fuggire?” mi domanda ancora, espirando il fumo.
“Senza fuggire” confermo annuendo.
Entrambi ci blocchiamo, inconsapevoli di ciò che dovremo affrontare. Papà mi salverà? O sarò io a salvare lui?
Chi crollerà per primo e per quale motivo?
Spero solo che a papà basti l’amore di Zacky. Spero che quello possa colmare ogni suo vuoto e ogni sua insicurezza. Spero solo che Zack riesca ad essere forti per entrambi e riesca a tirarlo fuori dai guai a cui sta andando incontro a braccia spalancate, quasi come se volesse accoglierli.
Ma se l’amore di Zacky non dovesse bastare? O, ancora peggio, se dovesse fallire totalmente?
Allora cosa diventeremo? Cosa saremo?
Esistenze in balìa di una forza troppo possente per poter essere combattuta. Io e i miei fratelli non potremo mai sorreggere simili pesi. E nostra madre potrebbe anche ridersela di gusto vedendo papà crollare. Sarebbe una giusta, meritata, vendetta.
Tre adolescenti non dovrebbero mai e poi mai vivere così, penso irritata. Dovrei essere alle prese con il mio primo amore, non con lo sfascio della mia famiglia.











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Ciao belli :3 che ne pensate di come sta procedendo la storia?
Spero davvero che vi piaccia, anche se ammetto di non essere convintissima di questa storia del commercio d'armi... cooomunque, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, di Brian e Zacky che sono l'amore, di Matt che fa lo zio a metà incazzato e terribilmente preoccupato per sua nipote e di Brian che fa il papà premuroso :)


E, insomma, volevo darvi una mia idea di come sarebbero i ragazzi secondo me, ma, impedita come sono, non riesco a caricare foto D: C:






Mille grazie a tutti quelli che seguono questa storia, che l'hanno messa tra le preferite e che recensiscono,
Echelon_Sun

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Capitolo 19
*** Hurts. ***


“Hai preso tutto?”
“Sei sicura di non aver dimenticato la giacca nera?”
“E l’ombretto rosso?”
“Hai preso il libro di matematica?”
Sospiro, senza riuscire a trattenere un sorriso che mi squarcia la guancia sinistra. Quando i miei fratelli ci si mettono sanno essere peggio di tre madri messe insieme.
“State tranquilli, ho preso tutto” dico loro. “E se avessi dimenticato qualcosa, me lo porterete voi.”
Papà posa improvvisamente una mano sulla mia spalla. “Possiamo andare?” mi chiede.
“Un attimo” biascico.
Rientro in casa, correndo come una furia. Salgo le scale a due a due fino a che non mi ritrovo nella mia stanza. L’osservo, soffermandomi sui particolari che mi sono sempre piaciuti ma che non ho mai imparato ad apprezzare veramente.
Il mio sguardo scivola sulla scrivania spaziosa, sulla libreria che ora è spoglia ma ha sempre contenuto tutto ciò che volevo metterci. I miei occhi si soffermano sul letto da una piazza e mezza, lo stesso letto che mi ha tenuta stretta a sé nella settimana dopo che papà è andato via di casa.
Gli concedo un sorriso di ringraziamento, consapevole di star sorridendo a un mobile e consapevole che se qualcuno mi vedesse mi farebbe rinchiudere in un manicomio (altro che psicologo!).
Guardo per un attimo il lampadario a forma di dirigibile che tanto mi era piaciuto a sette anni e che, dopo nove anni, adoro ancora. Esamino il parquet del pavimento, ben sapendo che nessuno più mi rimprovererà per chissà quanto altro tempo dicendomi di non sporcarlo con le mie zozze scarpe.
In seguito volgo lo sguardo alle pareti. Non ho avuto il coraggio di togliere il lavoro di tanti anni da lì. I poster e le foto spiccano subito all’occhio in una specie di mosaico che comprende quasi ogni angolo di muro. Per quanto adori i volti dei Guns n’ Roses, dei Nirvana, dei Pantera, dei Queen e via dicendo, mi soffermo a guardare le immagini dei vecchi Avenged Sevenfold. Quelli con The Rev ancora vivo.
Sembrano più reali, più calati nella parte, più affiatati, più felici, più… loro. Sembrano più tutto, ecco. Sono sicura che se Jimmy ‘The Rev’ fosse ancora vivo le cose non sarebbero così complesse.
Infine il mio sguardo si posa sulla foto che più mi piace, un ingrandimento attaccato sopra il mio letto, l’unica foto che adesso toglierò con delicatezza dal muro e mi porterò dietro. Ci siamo noi ritratti, tutti noi.
Lo sfondo è bianco, se non erro i Sevenfold erano andati in uno studio fotografico per fare un nuovo book di foto e, non si sa come, ci è uscita anche questo splendore di fotografia.
All’estremo sinistro c’è Johnny, ai tempi della cresta da gallo, seduto a terra a gambe incrociate con Jimmy a cinque anni in braccio, che salutano la fotocamera con le mani. Accanto a loro c’è Alicia a sei anni che, come i due, saluta la telecamera con la mano, con l’altra che tiene la mano di zio Matt, in piedi dietro di lei. Zio Matt, a sua volta, avvolge in vita zia Val con un braccio e la tiene vicina a sé. Zia ha in braccio Nathan a due anni, che sorride scoprendo le fossette nelle guance. Accanto a zia c’è mia madre, mano nella mano con papà. Entrambi sorridono gioviali. Ai loro piedi ci siamo io e Connor a quattro anni, ambedue inginocchiati che ridiamo gioiosi, scoprendo i dentini da latte alla fotocamera. Seduto accanto a noi c’è Zacky, che bacia Cherie a cinque anni su una guancia. Dietro di loro c’è Gena che sorride a centocinquantamila denti, che sta piagata in avanti e ha una mano sul viso di Zacky, come ad accarezzarglielo.
C’è un particolare che adoro. Tra le mie mani c’è una foto in una cornice 20x25, quelle di medie dimensioni con qualche stupido disegnino sui bordi. La fotografia ritrae Jimmy ‘The Rev’ che, proprio come noialtri, sembra sorridere alla fotocamera.
Gli Avenged Sevenfold hanno sempre questa foto incorniciata di James quando si riuniscono in gruppo. Di solito sta in sala prove, poggiata sul tavolino sempre strapieno di roba, ma quando sono in tour se la portano e ovunque loro vadano, la foto non manca. Durante i concerti la mettono su uno sgabello in legno vicino la batteria, ogni tanto qualcuno le rivolge uno sguardo colmo di nostalgia, un sorriso o un’occhiata radiosa.
Prima che scattassimo la foto tutti insieme, mi ha raccontato mamma che sono andata prendere la cornice con la fotografia di James e sono andata da papà dicendogli che anche il Rev doveva essere presente. Papà quasi c’è rimasto secco, dalla sorpresa, poi ha annuito dicendomi di mostrarla per bene alla fotocamera.
In tutto questo c’è una sola persona che non guarda verso la macchina fotografica. Persino Zacky, impegnato a baciare la figlia, ha gli occhi rivolti verso l’obbiettivo. Mio padre no, mio padre ha la mano intrecciata a quella di mamma, il sorriso stampato sul volto appena chino verso il basso e lo sguardo puntato su di me.
Mi guarda come se non stesse facendo una foto, ma come se non vedesse altri che me. Come un padre premuroso che non ha occhi per altri se non per sua figlia. Come se la visione di me con la foto del suo migliore amico tra le mani non potesse renderlo più orgoglioso.
Non ne ho avuto conferma, ma credo che papà in quel momento stesse immaginando di vedere proprio il suo migliore amico in carne e ossa seduto a terra, a gambe incrociate, tra me e il mio gemello. Magari con un sorriso enorme in viso, di quelli che tutto il viso pareva allargarsi di gioia, e le braccia a cingere me e Connor.
Amo follemente quest’immagine e, tutte le fottute notti, le rivolgo uno sguardo prima di crollare tra le braccia di Morfeo. Mi fa sentire amata, vedere tutte queste persone a cui voglio bene che sorridono non desiderando nulla di meglio di ciò che hanno.
“Nic” mi chiama papà dal pianterreno, facendomi riscuotere improvvisamente dai miei pensieri, “sei pronta? Zack ha messo l’acqua per la pasta.”
“Sì, scendo tra un attimo” gli urlo per risposta.
Vado a staccare l’ingrandimento della foto, arrotolo il tutto facendo attenzione a non rovinalo e scendo le scale di fretta.
Mio padre e i miei fratelli sono sulla porta, chiacchierando.
Credo che zia Val, oggi, sia riuscita a convincere mamma ad andare fuori Huntington Beach a fare un po’ di shopping, dunque le donne non sono in casa. E meglio così.
“Andiamo?” mi fa papà, giocherellando con le chiavi della macchina.
“Sì, ma… potresti aspettarmi in macchina un secondo?”
Gli porgo la foto che mi sono portata dalla mia stanza e gli dico: “e potresti tenermi questa? Devo attaccarla in camera...”
Lui sorride appena e annuisce ad ambedue le domande. Non appena gira l’angolo per dirigersi all’auto, abbraccio i miei fratelli. Non credo che gli abbracci debbano essere così… irruenti e impetuosi. Sono praticamente saltata addosso ai due e ora li sto stringendo così forte che Connor mugugna che non respira.
“Mi mancherete” sussurro.
“Ma, Nicole, noi ci vedremo ancora ogni giorno... soprattutto quando torneremo a scuola” mi dice Jim, sciogliendo l’abbraccio.
“Lo so” ribatto, “ma non sarà lo stesso. Non vivremo più sotto lo stesso tetto e non condivideremo più ogni momento della giornata... e... mi mancheranno le risate alle tre di notte o le urla di papà che ci dice di fare piano la mattina per non svegliare mamma… mi mancherà suonare insieme, giocare a monopoli o fare la battaglia con i cuscini, mi mancherà vedere i film horror e dormire tutti insieme per la paura...” sorrido appena, “mi mancherà venire da voi prima di uscire e rompervi le scatole non sapendo come vestirmi e truccarmi, mi mancherà arrangiare i pranzi quando mamma non c’è e combinare un disastro ogni volta…”
Connor sospira tristemente. “Il sabato e la domenica io e Jim saremo da voi, mentre tu sarai qui il lunedì e il martedì. Insomma, poi conta che quando papà sarà in tournèe saremo tutti qui e quando tornerà passeremo parecchi giorni da lui e Zack” mi dice, sorridendo appena come per rincuorarmi. “Vivremo parzialmente tutti insieme.”
Mi scappa un sorrisetto. Siamo una famiglia che vive parzialmente sotto lo stesso tetto. Che bella prospettiva.
Mi catapulto di nuovo su di loro, stringendoli a me con meno forza di prima. Loro si avvinghiano al mio corpo con le braccia, facendoci sentire uniti come, forse, mai prima.
Dobbiamo essere forti, no? E l’unione fa la forza.
“Ora… ora vado” mormoro, sull’orlo delle lacrime, dopo aver compiuto uno sforzo che mi è parso immenso per staccarmi da loro.
Loro annuiscono, commossi quasi quanto me. “Vedrai che starai bene” mi dice Jim, sforzandosi di sorridermi incoraggiante ma riuscendo solo in una piccola smorfia.
Mi allontano da casa e ogni passo mi pare un vuoto allo stomaco. Mi sento come se pezzi di me si staccassero e rotolassero sull’erbetta, sull’acciottolato di pietre. Un pezzo di me resterà per sempre ancorato a questa casa, alla mia vita qui dentro, alle mie emozioni chiuse tra queste quattro mura.
Sarà anche una casa costruita con menzogne come fondamenta, ma quest’idea non rattopperà certo le mie ferite facendomi tornare come nuova.
Prima di salire in macchina ritiro indietro le lacrime.
“Tesoro, lo so che è difficile ma…” mi dice papà, prendendomi una mano, “ma è l’unico modo per farti stare meglio.”
Annuisco.
Lo so, papà. Lo so che vuoi solo il mio bene e non faresti mai, mai, qualcosa che possa essere dannoso per me. Lo so che non vorresti portarmi via dal posto in cui ho trascorso ogni giorno della mia vita, dal posto che mi ha vista evolvere, gattonare, camminare, correre, piangere, prendere a pugni il muro, ridere.
Lo so che tu saprai rattoppare le mie ferite meglio di mamma.












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Ennesimo capitolo di passaggio che non mi piace molto D:
Comunque... ma nessuno mi recensisce più? :( daidaidai fatemi sapere cosa ne pensate di tutta questa storia assurda! Potete anche dirmi che vi fa schifo come sto facendo procedere le cose eh xD

Come vedete non sono ancora riuscita a caricare uno straccio di fotografia LOL ...non è che qualcuno mi aiuterebbe? ahah (si sente immensamente impedita)


Grazie a tutti quelli che non hanno ancora abbandonato la mia Long :3
Echelon_Sun

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Capitolo 20
*** OH MY GOD. ***


Cherie mi ha detto che vivere con mio padre e Zacky è estremamente divertente. Ha detto che vivere con due bambini sarebbe più o meno uguale e, anzi, forse i bambini sarebbero capaci di fare il bucato persino meglio di loro due.
Ci hanno dimostrato la loro dubbia maturità proprio l’altro giorno, quando siamo andati a trovarli e loro due si stavano rincorrendo per la sala e, alla fine, papà ha picchiato Zacky col mestolo di legno perché non gli aveva lasciato l’ultima fetta di torta.
Bè, Cherie aveva perfettamente ragione. Quei due sono in grado di illuminare le giornate di fine novembre come nessun’altro. Sono qui da soli due giorni e mi pare che la settimana di depressione trascorsa nel mio letto sia stata solo un incubo notturno.
Ieri sera, ad esempio, hanno indetto una lotta per il film da guardare. Eravamo tutti e quattro stravaccati sul divano, in sala, a fare zapping tra un canale e l’altro quando improvvisamente spunta Donnie Darko che dorme sul ciglio della strada, un attimo dopo la scena iniziale di Batman Begins.
“Rimetti Donnie!” ha gridato Zacky scattando a sedere come una molla, a mio padre che era il momentaneo possessore del telecomando.
“Scordatelo, ci vediamo Batman” ha ribattuto questi con fare insolente.
Zacky è saltato addosso a mio padre, cercando di afferrargli il telecomando. Papà si è levato l’altro di dosso, lasciandolo cascare a terra con un tonfo sordo e varie e colorite imprecazioni.
Allora hanno ricominciato a rincorrersi, scena ancora più divertente dell’alto giorno in quanto la luce era rimasta spenta e né io né Cherie ci siamo degnate di accenderla, e gli oggetti sul pavimento erano triplicati.
Papà ha scavalcato una pila di libri di scuola miei e di Cherie, ha fatto lo slalom tra una chitarra, un cumulo di mascara di varie marche, un po’ di panni sporchi e un pezzo del cartone della pizza della sera precedente, poi è inciampato in una sua ciabatta lasciata lì chissà da quanto ed è caduto con muso a terra.
Zacky gli è piombato addosso e gli si è seduto sulle cosce, dimenticatosi del motivo per cui si stessero rincorrendo, ha cominciato a massacrarlo di solletico e mazzate sul didietro.
“Te la faccio pagare, Haner!” gridava tra una risata e l’altra. “Stavolta non mi sfuggi.”
Papà stava quasi soffocando per le troppe risate date dal solletico, e io e Cherie ce la ridevamo stando comodamente sedute sul divano. Credo di aver sentito le costole fare male dal troppo ridere.
Tra l’altro, non mi pare che papà commerci armi. O almeno, se lo fa, lo fa davvero bene e di nascosto poiché a me pare che sia sempre in casa o allo studio o, al massimo, in giro a cazzeggiare con i ragazzi.
“Posso entrare?”
“Sì.”
Cherie entra nella mia nuova stanza, adiacente a quella sua e col bagno alla sinistra. Mi piace la mia nuova stanza perché io e lei abbiamo una terrazza in comune, solo per noi. Mi piace perché è grande e perché ci ho attaccato subito la foto di tutti noi, quindi la sento già un po’ più mia.
Si viene a sedere accanto a me sul letto, su cui ero seduta a leggere un capitolo di Storia.
“Volevo parlarti” mi dice, “sono preoccupata per tuo padre.”
Alle sue parole, alzo un sopracciglio. “Preoccupata?” chiedo stupita.
“Sì, per quel fatto del commercio in nero delle armi.”
“Chi te ne ha parlato?” le chiedo immediatamente.
“Matt ne ha parlato ad Alicia, e lei ha riferito a me” risponde Cherie in fretta.
Io non capisco. “Non mi pare...” mormoro.
Mi lancia un’occhiata tutt’altro che incoraggiante, così evito di concludere la frase e aspetto che sia lei a parlare. Dopotutto, mi dico, se è preoccupata un motivo ci sarà.
“Ti sembra che non ci sia nulla di cui preoccuparsi solo perché i suoi loschi affari li fa in piena notte” mi dice duramente. “Se ne sta per ore sul bordo della piscina col telefono incollato all’orecchio e parla di armi di tutti i generi, di spedizioni e... e poi, a volte, esce di casa di nascosto e non ho idea di dove vada.”
Cazzo, che bel modo di dirmi simili cose.
“E tu come lo sai?” domando, cercando di sembrare distaccata.
“L’ho visto” risponde lei stringendosi nelle spalle. “L’altra settimana mi sono alzata per andare a prendere un bicchiere d’acqua e ho visto la porta sul retro socchiusa... inizialmente mi sono spaventata, pensando che potessero essere dei ladri, ma poi mi sono affacciata e ho visto Brian parlare al telefono. Così ho origliato per un po’ e, dopo aver capito l’argomento, me ne sono tornata in camera.”
Si blocca, notando che mi sto innervosendo.
“Nicole...”
“L’hai visto solo quella notte?” incalzo, fingendo di stare benone.
“No, io… anche ieri notte mi sono alzata” mi dice evitando il mio sguardo. “Insomma, sono quattro notti che lo osservo. Volevo essere sicura della mia teoria. Ogni volta l’ho trovato esattamente come la notte prima, a bordo piscina a parlare al cellulare oppure l’ho visto allontanarsi a piedi per strada.”
“A che ora sei andata?” chiedo ancora.
“Le tre. Ma, Nicole... non credo che tu dovresti alzarti per andare a veder...”
“No!” quasi grido. “Io… non preoccuparti, anzi… grazie per avermene parlato.”
“Nicole, io non volevo spingerti a vederlo mentre... bè, mentre contratta con chissà chi” mi riprende lei. “Volevo che tu ci andassi a parlare per chiedergli di smetterla.”
“Potrei anche decidere di farlo.”
 

***

 
Domattina passo da voi insieme a Nate e Ali, dite ai piccioncini che devono cominciare a schiodare i loro culi dal divano di casa per andare a registrare la nuova roba che ho in mente. Zio.
Sorrido appena rileggendo il messaggio di zio Matt. Sì zio, penso, peccato che uno dei due piccioncini al momento sia impegnato a fare ben altro che stare inchiodato al divano di casa.
Mi infilo una felpa sopra la tuta larga con cui dormo, mi infilo un paio di scarpe a caso e mi dirigo in corridoio in punta di piedi.
Passando davanti la camera di Cherie mi affaccio appena e la vedo dormire beata, con la sveglia accanto che segna le 3.30. Poi mi affaccio in camera di papà e Zack, trovando, come mi aspettavo, solo Zacky che russa appena.
Sempre senza far rumore, arrivo fino in cucina e mi pare tutto normale. La porta sul retro è chiusa del tutto. Di soppiatto la apro per quel che basta per guardare fuori e non vedo nessuno, tantomeno mio padre che parla al cellulare di armi.
Per un attimo penso che Cherie mi abbia mentito, ma poi mi ricordo che papà non era nel suo letto e capisco che deve essere uscito di casa.
Esco dalla porta principale, dopo aver fatto un veloce giro per casa e aver costatato che mio padre non si trova, effettivamente, all’interno della dimora.
Niente panico.
“Okay, Nicole, solo un giro per il quartiere” mi dico, per farmi sicurezza. “Siamo quasi in pieno centro, cosa mai potrebbe accaderti?”
Cammino fino ad arrivare alla pineta dove, da piccoli, venivamo ad azzuffarci nei pomeriggi in cui la band era in tour o a registrare. Mi è sempre piaciuto questo posto: non è limitato da alti cancelli, si trova in una posizione lontana dalla strada e in una via laterale del centro di Huntington Beach e dona sicurezza anche se è aperta in piena notte.
Mi lascio cadere su una panchina, turbata dalla situazione. Chissà dov’è andato mio padre. E chissà a fare cosa e chissà con chi.
“Sì, sono giusti” sento dire da una voce poco lontana, all’improvviso.
Mi volto di scatto, notando solo in questo momento due figure seminascoste da una quercia poco lontana dalla panchina dove sono io.
“Perfetto, grazie.”
Riconosco la voce di mio padre, benché non sia proprio vicina e neanche così alta.
“Di nulla, Gates” dice una voce profonda e graffiante. “Chiamami se hai bisogno.”
“Certo, socio in armi” ridacchia papà, e solo dal suo risolino capisco che deve aver bevuto.
Una figura si allontana nella direzione opposta alla mia. Papà resta nascosto dietro la quercia e io prego che non si giri, mentre cerco di fare il minimo rumore possibile per andare via da lì e correre a casa.
Per un attimo vorrei andargli vicino e chiedergli di tornare a casa insieme. Per un folle momento mi sento quasi in dovere di andare da lui e dirgli di smetterla, ché tutto questo non porterà a nulla e non vale la pena di correre un simile pericolo solo per fornire le armi a gente che le utilizzerà per uccidere.
Ma io ho sedici anni e il mio telefono m’informa che sono quasi le 4 di notte. Papà mi ucciderebbe se mi vedesse qui. E non solo perché siamo in piena notte.
Riesco ad allontanarmi abbastanza senza che papà si accorga di me, comincio a correre a perdifiato solo una volta uscita fuori dalla pineta.
Non capisco di cosa mi angoscio tanto. Sapevo benissimo che non aveva smesso. Lo aveva detto che non lo avrebbe fatto.
Percorro a ritroso la via per tornare a casa, correndo il più in fretta possibile e col cuore che batte all’impazzata nel petto. In casa le luci sono accese, noto svoltando l’angolo.
Merda.
Zacky sarà preoccupatissimo. E Zacky preoccupato può essere peggio di una mamma, con le ramanzine e le raccomandazioni.
Apro con uno scatto la porta, dopo aver ordinato alle mie mani di smetterla di tremare e esser riuscita a infilare la chiave nella toppa.
“Dove cazzo eri finita?!”
Una mano mi afferra per un braccio e mi spinge con brutalità contro il muro. Zacky, più che preoccupato, a me sembra piuttosto incazzato. Ringrazio il cielo che l’uomo non disponga del vocione di zio Matt né della sua stazza, altrimenti sarei già in ginocchio, in lacrime, implorandogli perdono.
“Io…” biascico, cercando lo sguardo di Cherie.
Lei mi guarda confortata dall’ingresso della cucina, evidentemente anche lei deve essersi preoccupata non trovandomi in casa. Bè, in fondo pensava di trovarmi in cucina a spiare mio padre o, al massimo, a bordo piscina con lui ed è ovvio che si sia preoccupata non trovandoci entrambi.
“Ti rendi minimamente conto di quanto cazzo io sia stato in pena?!” continua a urlare Zacky. “Cherie è venuta a svegliarmi dicendomi che tu e Brian eravate scomparsi, m’è quasi preso un colpo!”
“Zack...” cerco di dirgli, cominciando a tremare.
“E non ci sono fottute scuse! Volete farmi morire di crepacuore?!” sbraita ancora, avvicinandosi ancora più minacciosamente a me, in modo tale che io possa vedere il broncodilatatore spuntare dalla tasca del suo pigiama. Cazzo. “Dove cazzo sei stata?! E dov’è tuo padre?”
“Lui… io sono andata alla pineta e lui era lì...”
“Significa che non siete usciti insieme?! Sei uscita da sola in piena notte?!”
Non so che dire. So benissimo che ho sbagliato, che sarebbe potuto essere pericolosissimo e che adesso potrei ritrovarmi tra le mani di un qualcuno di poco raccomandabile.
“Era con un tizio, l’ha chiamato socio in armi...”
Zacky si blocca, interdetto. Per un attimo mi scruta attentamente, poi si smuove repentinamente e va a prendere la giacca dall’appendiabiti.
“Lo trovo e torno” dice a me e Cherie, infilandosi la giacca. “Se non vi trovo in casa, sarà meglio che non vi facciate trovare mai più. Entrambe. Siamo d’accordo?”
Annuiamo col capo e lo guardiamo uscire di tutta fretta, col pigiama e le pantofole a forma di rana.
“Posso sapere che diavolo ti è saltato in mente?” mi chiede Cherie improvvisamente, sedendosi sul divano.
Io la raggiungo, ancora tremando. “Non l’ho visto a bordo piscina e non c’era neanche in casa…” le dico, “e così sono uscita a fare un giro e sono andata a sedermi alla nostra solita panchina alla pineta. Neanche l’avevo visto, ma poi lui e un altro uomo hanno parlato e mi sono accorta che erano poco lontani da me.”
Solo ora Cherie pare rendersi conto che non solo lei e suo padre erano preoccupati, ma che anche per me non è stata una bella esperienza. Mi avvolge le spalle con un braccio e mi stringe a sé, poso la testa sulla sua spalla e chiudo gli occhi.
Restiamo così immobile per un buon quarto d’ora, fino a che una scampanellata improvvisa e non proprio educata ci fa sobbalzare, quasi stramazzare giù dal divano dallo spavento e ci costringe a correre ad aprire la porta.
Mi aspettavo di trovarmi davanti papà e Zacky. Invece mi trovo davanti i fratelli Sanders, entrambi con addosso il pigiama e una felpa infilata sopra per non crepare di freddo.
Allora capisco che la situazione deve essere più complicata di quel che m’immagino.
“Che ci fate qui?” chiede Cherie, spostandosi per farli entrare in casa.
“Non ne ho idea” risponde Nathan, sbadigliando.
“Zack ha telefonato a casa nostra poco fa, non so cosa è successo ma nostro padre è saltato giù dal letto, ci ha detto di metterci una felpa e ci ha portati qui” spiega Alicia, andando a sedersi sul divano vacillando per il sonno.
Dopo cinque minuti siamo tutti e quattro sul divano e i due fratelli sono a conoscenza delle peripezie della notte.
Dai loro volti mi accorgo che sono molto angosciati dalla situazione. Se Zacky ha dovuto chiamare anche zio Matt, per chiedergli aiuto, di certo papà non starà bene. Deve essere più ubriaco di quanto io avessi capito.
Passano i minuti interminabili e Nathan si è appena addormentato con la testa posata in grembo a me. Cherie e Ali sembrano tranquille, o almeno riescono a mascherare l’inquietudine meglio di me. Io non riesco a smettere di tremare.
“Chiudi il fottuto becco, Brian.”
“Avanti, Jonathan, apri!”
La prima voce è di Zacky, la seconda di zio Matt. Scatto in piedi, facendo svegliare improvvisamente Nathan che, spaesato, crede che sia un attacco alieno in corso. Corro ad aprire la porta e mi ritrovo davanti una scena non proprio rassicurante.
Papà, visibilmente ubriaco marcio, blatera insulti verso Zacky e zio Matt, che lo tengono saldamente con le braccia attorno alle loro spalle per non farlo cadere. Mi sposto per far entrare tutti.
“Che c’è di male in un brindisi con un amico?” dice papà, con la voce impastata e vagamente acuta, mentre zio Matt alza gli occhi al cielo.
“Lasciamolo sul divano” dice Zacky col fiatone.
Zio annuisce e, insieme a Zacky, afferra papà e lo aiuta... okay, no. Prendono papà e lo trascinano fino al divano, per poi scaricarcelo sopra con malagrazia.
Mi soffermo a osservare mio padre ubriaco sul divano. Sebbene non sia la prima volta che lo vedo sbronzo, non lo avevo mai visto in condizioni tanto critiche da non riuscire a camminare da solo.
Improvvisamente sento come un’ondata di disprezzo puro nei suoi confronti. Dannazione, è un fottuto uomo con tre figli, perché cazzo non pensa a noi piuttosto che agli alcolici e alla armi?
Zacky, intanto, va a sedersi sul divano, posa la testa di papà sulle sue gambe e comincia ad accarezzargli i capelli. Lo guarda come se ci fosse ben altro oltre alla preoccupazione. Lo guardo con amore. Come per dirgli: ‘anche se mi fai dannare, ti amo.’
Mi ritrovo a pensare che sono infinitamente carini, ma un secondo dopo mi accorgo di Cherie che, al mio fianco, ha assunto un’aria nervosa. No, non sono affatto carini, mi dico. Hanno sfasciato delle famiglie per la loro storiella, non possono essere una fottuta bella coppia.

























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Ciao bellissimi :D
...finalmente sono riuscita a postare delle foto, così ecco a voi Cherie (gnocca come la madre e con gli splendidi occhi del padre), Alicia (splendida anche lei, anche se dovreste immaginarvela con gli occhi verdi LOL) e Nathan (bello come il padre, ma lavorate d'immaginazione anche sui suoi occhi).


Putroppo sarò via fino alla fine della prossima settimana e se non riuscirò a elemosinare la chiavetta di internet da mia zia non potrò postare i capitoli fino a che non tornerò a casa.
Coomunque, ringrazio ancora tutti quelli che questa Long l'hanno messa tra le preferite o tra le seguite e ringrazio di cuore tutti quelli che recensiscono.

Spero che questo capitolo vi piaccia, fatemi sapere che ne pensate,
Echelon_Sun

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Capitolo 21
*** They saved him. ***


Zio Matt ci ha praticamente ordinato di filare in camera e starcene buoni qui dentro fino a che non lo decideranno loro. Adesso io, Cherie, Alicia e Nathan ce ne stiamo seduti sull’uscio della mia stanza, con la porta socchiusa, ad ascoltare il loro litigio.
“Ti rendi almeno conto del pericolo che ha corso tua figlia?” sbraita zio Matt, col vocione che stanotte ho ringraziato che non fosse in possesso di Zacky.
“Certo! Ma non è colpa mia se ha deciso di farsi una passeggiata da sola in piena notte” ribatte papà.
“È colpa tua, invece! Lei si è alzata pensando di trovarti a contrattare con qualche tuo schifoso cliente a bordo piscina e, non vedendoti, è uscita di casa” risponde a tono Zacky.
Papà sospira, e sono sicura che stia pensando che stanno cambiando discorso apposta per farlo sentire in colpa. “Io non devo rendere conto a voi. Ho quaran... insomma, sono abbastanza vecchio da poter decidere da solo della mia vita.”
“Quindi non t’importa se tua figlia esce di notte, da sola, a sedici anni, rischiando la vita ad ogni passo, per colpa tua?” dice Johnny, irato.
“Certo che m’importa! Ma non c’entra con quello che sto facendo” replica papà.
“Non capisco perché ti ostini a non volerla smettere!” controbatte zio. “Cosa ti dice la testa? Abbiamo un fottuto cd da far uscire, hai a che fare con una figlia viva chissà come, con un compagno coglione che continua a fumare nonostante l’asma, ti sei appena lasciato con tua moglie e riesci a peggiorare ulteriormente la situazione mettendoci tutti in pericolo!”
“Se faccio bene il mio lavoro, sapete benissimo che non correrete nessun pericolo” controbatte papà.
“E come farai a commerciare le armi quando saremo in tour?” lo rimbecca Johnny.
“E se chiamassero a casa dei tuoi o da Michelle, chiedendo di te e delle armi che avevi promesso?” continua Zacky.
Mi alzo dalla mia posizione e vado ad allungarmi sul letto. Nonostante alle 4.30 di notte papà dormisse e tutti erano così stanchi da vagare per casa sbadigliando, io sono rimasta sveglissima per tutto il tempo. Mi sono scolata un paio di Red Bull e mi sono costretta a tenere gli occhi spalancati, ma ora sono sfinita. Se non fosse che voglio sentire ancora il litigio, avrei già ceduto al sonno.
Restano tutti in silenzio per un po’, poi zio Matt rompe la quiete. “Forse dovresti andare a parlare con tua figlia, Brian” dice piano.
Alle parole di zio Matt, i tre seduti ancora sull’uscio scattano in piedi e vengono a farmi compagnia sul letto. Non è carino farsi beccare a origliare le conversazioni altrui.
“E dirle di non osare mai più a mettere un piede fuori casa in piena notte?” gli chiede papà, vagamente sarcastico.
“No, idiota” lo rimbecca zio, per nulla divertito. “Almeno per dirle che hai la situazione sotto controllo, anche se dubito che sia davvero così.”
“Io ho la situazione sotto controllo!” si infiamma papà.
“Allora vai a dirglielo, almeno la farai sentire più tranquilla.”
Mi ritiro con le spalle contro la testata letto, portando le ginocchia al petto. Non mi va di sentire un discorso su quanto pericoloso sarebbe potuto essere, o su quanto io abbia sbagliato, tantomeno ho voglia di sentirmi dire che la situazione non sfuggirà dalle mani di mio padre come la prima volta.
“Nicole, posso entrare?”
Papà affaccia la testa, sorridendo appena. Io annuisco e Alicia mi lancia uno sguardo d’incoraggiamento prima di seguire gli altri fuori dalla camera.
L’uomo viene a sedersi accanto a me sul letto. Mi guarda dispiaciuto, come se volesse dirmi che non può evitare tutto questo ma comunque gli dispiace per me.
“Ti risparmierò la predica sull’uscita notturna che ti saresti potuta evitare” esordisce, con del rammarico nella voce, “ma almeno lascia che ti dica che non devi preoccuparti per me.”
Mi guarda negli occhi e per un attimo sono tentata dall’abbassare lo sguardo, ma poi non lo faccio e reggo il contatto.
“Devi smetterla di preoccuparti non solo perché può diventare pericoloso, come è successo stanotte, ma anche perché non c’è bisogno di farlo. Ho tutto sotto controllo.” Mi sorride stancamente. “Tu, i tuoi fratelli, la band e tutti gli altri non correte alcun rischio.”
Comincio a piangere, senza neanche sapere bene il perché. Forse semplicemente non ne posso più di sentirmi dire che reggerà la situazione e invece, ogni volta, non succede. Papà può essere orgoglioso, superbo ed egocentrico quanto vuole, ma in fondo è debole.
Lo so che può suonar strano alle orecchie di coloro che seguono gli Avenged Sevenfold da anni e non hanno mai visto mio padre fragile come è realmente. So che lo si vede, in scena, sempre sorridente, cretino e spavaldo. Non dico che il suo atteggiamento sia una totale maschera, ma in realtà lui non è solo un burlone tutto preso da sé stesso.
Sul serio, sa essere dolce, insicuro, fragile persino. Con me e con i miei fratelli se fa lo spavaldo è solo per farci ridere, e noi sappiamo benissimo quanto può essere malinconico.
In questi momenti viene fuori la persona che lui ha nascosto al mondo intero, la persona fragile che vuole mostrarsi duro a tutti i costi e che farebbe di tutto pur di evitare che questi suoi loschi affari possano ripiegarsi conto di me, contro i miei fratelli e contro coloro a cui vuole bene.
E io lo so che, sebbene mi dica di non preoccuparmi, c’è da preoccuparsi eccome.
“Nicole, forza, non piangere” cerca di consolarmi lui, prendendomi una mano e stringendola un po’.
Io nascondo la testa tra le ginocchia, cercando disperatamente di domare i singhiozzi che mi ruggiscono in gola ma ottenendo scarsi risultati.
“Hey, non fare così… è tutto okay.”
Mi asciugo le lacrime con l’orlo della manica della mia felpa dei Nirvana e, stringendo di più le ginocchia contro il petto, cerco di parlargli. Mi risulta difficile cercare di farmi capire tra un singhiozzo e l’altro.
“Come... l’altra volta come sei riuscito a tirartene fuori?” riesco a chiedergli dopo qualche istante, tartagliando.
Lui mi guarda un po’ stupito, inizialmente. Poi pare ricordarsi che non ci ha mai raccontato del suo passato da commerciante d’armi e allora sorride appena.
“Ne sono uscito grazie ai ragazzi” dice, facendo un lesto cenno del capo per indicare la sala. “Senza il loro aiuto probabilmente sarei morto. Certo, non sono stati proprio gentili nei miei confronti. Eravamo tutti piuttosto spaventati, tra l’altro, perché la cosa era così grande e noi eravamo solo dei ragazzi un po’ troppo arroganti.” Pianta i suoi occhi nei miei. “Ogni giorno era una lotta” continua, “io li insultavo e loro ricambiavano con offese altrettanto pesanti, ma non cedevo. Quello che facevo mi dava profitto e non capivo perché mai avrei dovuto smettere. Però gli impegni con la musica si stavano sempre moltiplicando, stavamo per far uscire un disco che avrebbe cambiato totalmente la nostra popolarità e...”
“E hai dovuto lasciar perdere” borbotto.
China il capo. “Non sono fiero di me stesso in quel periodo” dice. Aspettate... mi ha veramente rivelato che per un periodo della sua vita non è stato fiero di sé? “Nonostante fossi convinto di odiarli, nonostante una volta abbia praticamente picchiato Johnny, loro continuavano a salvarmi. Io mi mettevo nei casini, le bande mi pestavano, un paio di volte ho evitato dei proiettili per pura fortuna, un’altra volta mi hanno accoltellato... le prendevo fino a sentirmi male e svenire, e al mio risveglio trovavo i miei amici al mio fianco, con i lividi sul corpo per aver cercato di proteggermi e incazzati, ovviamente, ma anche rincuorati per il semplice fatto di avermi trovato vivo.” Rialza il capo e punta i suoi occhi nei miei. “Stavo facendo del male al mondo intero, non solo a me stesso e a coloro che mi volevano bene, e loro hanno insistito tanto su questo punto che alla fine sono riuscito a tirarmi fuori da quel giro di armi.”
Un raggio di sole invernale entra, pigro e innocuo, nella stanza, illuminandogli il volto rigato dalle prime rughe ma bello quasi quanto nei poster di anni fa.
“È stato Zacky, più di tutti, a salvarmi” ammette dopo qualche istante, tornando a stringermi la mano con più forza. “Mi fece capire che avevo messo il commercio delle armi prima di ogni altra cosa, degli Avenged Sevenfold e di lui. Erano mesi che non gli davo un bacio.” Sospira. “Ma soprattutto mi ha fatto notare quanto stavano degenerando i miei valori morali.” Le sue labbra si arricciano appena in un sorriso tirato. “Stavo dando il mezzo per uccidere agli assassini, stavo favorendo il loro divertimento nell’ammazzare senza pietà degli innocenti e... non so, Zacky me ne parlò in un modo che non so spiegare... mi fece sentire minuscolo, un verme, ed io non riuscii più a vendere neanche l’arma più misera.”
“Sul serio?” chiedo, sorpresa, non capendo come possa aver ripreso con questa attività se in passato Zacky era stato così convincente.
“Sì” mi dice lui. “E poi siamo partiti per il tour, il primo vero tour degli Avenged Sevenfold, e abbiamo accantonato questa storia.” Si lascia sfuggire un enorme sospiro. Credo che non abbia mai raccontato tutto ciò a qualcuno come sta facendo ora con me.
“Ed ora...?”
Prende fiato e mi guarda interdetto. “Forse non dovrei dirtelo, ma quel giorno, il giorno in cui mi rifiutai di vendere un’arma al figlio di un dittatore africano e fui pestato a sangue dai suoi scagnozzi, io e Zacky abbiamo goduto della più bel rapporto sessuale della nostra giovinezza” mi dice, ignorando la mia bozza di domanda.
Alzo un sopracciglio, rendendomi conto che la situazione sarebbe dovuta essere piuttosto imbarazzante. Me li immagino quasi, papà e Zacky giovani e ribelli che fanno l’amore dopo mesi che neanche si sfiorano.
“Lo abbiamo fatto alle quattro del pomeriggio in mezzo al bosco, dopo che gli altri ci avevano lasciati soli a discutere” dice, sorridendo appena al ricordo. “Sebbene ogni movimento mi provocasse fitte lungo ogni centimetro di corpo, facemmo l’amore. Io avevo quasi dimenticato il sapore della pelle di Zacky ed è stato... magico.”



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Eccomi finalmente tornata :D
in questi giorni ho lavorato molto a questa FF e l'ho quasi finita, però l'assenza di internet non mi ha permesso di aggiornare D:

Coomunque, vi lascio Jimmy e Connor e spero che vi piaccia questo capitolo.
Recensite per favore? *fa gli occhi dolci*

Grazie mille ancora a tutti quelli che leggono questa Long,
Echelon_Sun

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Capitolo 22
*** Un'idea un po' malsana. ***


La giornata è passata tranquilla. O almeno, al limite del tranquillo.
Zio Matt è andato via prima di pranzo, gridando a mio padre di non farsi vedere in studio se non per dirgli che ha smesso con il commercio delle armi e vuole cominciare seriamente a lavorare al disco.
Johnny è crollato sul divano nel torpore più profondo dopo il litigio e l’abbiamo lasciato lì fino alle sei di sera, quando siamo gli siamo piombati tutti addosso gridando frasi sconnesse. Poi è rimasto a dormire da noi, tanto era stanco. Quando la notte non si fa le sue nove ore di sonno, il giorno sembra un bambino capriccioso a cui hanno tolto il sonnellino pomeridiano.
Poco fa ho parlato coi miei fratelli e con i fratelli Sanders in chiamata Skype in compagnia di Cherie e ho raccontato loro tutto ciò che mi ha detto mio padre.
“Sul serio commercia armi?” ha domandato Nathan, che mi è sembrato eccitato, piuttosto che preoccupato o irritato.
“Gli hanno salvato la vita…” continuava a dire Jim, come se fosse entrato in trance.
Alicia e Cherie erano d’accordo nel dire che, essendoci già passato e avendoci già sbattuto il muso, non capivano come potesse comportarsi in modo così irresponsabile.
Connor è stato il più polemico. “Dopo aver rischiato tante volte di essere ucciso” continuava a dire con rabbia, “non so perché voglia esporre noi, che siamo i suoi figli, a questo pericolo. È un fottuto egoista, ecco!”
E come non dargli ragione?
Al momento siamo sul divano, più addormentati che svegli.
“Vado a dormire” ci dice Cherie alzandosi, “buonanotte a tutti.” Toglie delicatamente la testa di Johnny da sopra la sua spalla, schiocca un bacio sulla guancia a suo padre, che le sorride in modo vago nel dormiveglia, ed esce.
“Mh, vado anche io” dice papà dopo un po’, togliendosi le gambe di Zacky da dosso.
Io anche sto crollando, tanto che mi accorgo appena della carezza che mi fa papà prima di uscire. Scivolo col busto, senza quasi rendermene conto e senza avere la minima voglia di fermarmi, fino a posare la testa sul petto di Zacky.
Ci addormentiamo così, uno sull’altro sul divano, con papà che ci scocca un’occhiata divertita mentre se ne sta immobile in sala con le braccia penzoloni lungo i fianchi.
 

***

 
Un rumore improvviso mi fa sussultare. Spaventata, scatto in piedi e mi giro verso la porta, da cui ho sentito provenire il rumore secco. Non mi meraviglio neanche di Zacky e Johnny che continuano imperterriti a ronfare nonostante il mio scatto svelto.
È stato papà che per aprire la porta non è riuscito a non produrre lo schiocco della chiave che gira nella toppa. Mi guarda come uno che viene beccato con le mani nel sacco.
“Non è come credi” mi dice in un soffio.
“Ah, no?” dico io sarcastica, avvicinandomi a lui.
Sembra turbato, si guarda attorno nervosamente per qualche istante, poi mi fa cenno di seguirlo. Non ho neanche bisogno di cambiarmi, in quanto porto una tuta nera e le scarpe.
Lo seguo in strada.
“Ho chiamato Carlos, il mio socio in armi” mi dice papà, mentre cominciamo a camminare in direzione della pineta, “per dirgli che voglio farla finita con questa storia.”
Lo scruto con la testa reclinata da un lato, continuando a camminare al suo fianco lungo il marciapiede. “Sei serio?” gli domando, e la mia voce risulta quasi commossa.
“Certo” mi risponde lui, sorridendomi. “Sono serio e convinto.”
“Cosa ti ha spinto...?”
“Il discorso che abbiamo avuto oggi” mi risponde in fretta, senza neanche lasciarmi finire la domanda. “Mi sono tornati in mente tutti i guai che ho dovuto passare per colpa del commercio di armi. Troppi guai. E tutti quelli che ho fatto passare ai miei amici, ho pensato che ho tre figli...”
Svoltiamo l’angolo e notiamo subito la figura longilinea e inquietante incappucciata del socio in armi di papà che ci aspetta, appoggiato a un palo della luce all’entrata della pineta.
“Non posso rovinarvi la vita, Nicole. Non... penso che sarei stato in grado di controllare gli affari, ma... ma non potevo esporvi a un simile pericolo. Avrebbero potuto usare voi per vendicarsi di me e... non potevo permetterlo” conclude papà parlando sottovoce, a voce bassa.
Ora dobbiamo solo attraversare la strada, poi saremo dinanzi a Carlos.
“Chi è, Gates, tua figlia?” chiede l’uomo, che, guardandolo alla luce pare non abbia più di quarant’anni.
“Sì” gli risponde papà. “Senti, concludiamo qui la storia e basta” dice poi, attraversando la strada a passo svelto con me accanto, che gli stringo a pugno un lembo della manica della giacca. “Per quanto riguarda i soldi dell’ultimo affare, puoi anche tenerli tutti tu, non mi interessa” continua papà, aprendo la cerniera della giacca e tirando fuori una piccola pistola dalla tasca interna.
La porge a Carlos, ma non credo che lui lo stia ascoltando. Tantomeno lo sta guardando, dato che i suoi occhi sono puntati su di me.
Accade tutto in un attimo, con un scatto repentino Carlos afferra la pistola che papà gli sta porgendo e la punta alla mia gola, appena sotto la mascella.
Merda. Merda. Merda!
Resto immobile, mentre papà mi guarda spaventato e Carlos sorride in modo minaccioso.
“Non puoi, Synyster Gates, pensare di chiudere un affare con me in questo modo” sibila Carlos, trafficando, con la mano libera, con la tasca della sua felpa scura.
Cazzo, Nicole, smettila di tremare!, penso innervosita.
Papà sta letteralmente uccidendo Carlos con lo sguardo. “Che pretendi? Ti ho detto anche che puoi tenerti i soldi” gli dice, con voce ferma.
Carlos si avvicina a me lentamente, mentre sento la tensione divenire tangibile. Non sposta la pistola fino a che non sento una lama fredda premere sulla mia gola, nel punto esatto in cui prima Carlos aveva posato canna della pistola, poi comincia a strofinare il naso sul mio collo.
Io sono ancora aggrappata con una mano alla giacca di papà, ci guardiamo terrorizzati. So benissimo che se non avessi un coltello premuto addosso, Carlos sarebbe già a terra a chiedere a mio padre di smetterla di massacrarlo. E, sempre se non ci fosse un coltello pigiato contro la mia gola, a Carlos sarebbe già stato riservato una epocale ginocchiata nelle palle da parte mia.
“Lasciala stare” ringhia papà, senza osare muoversi però.
Carlos si stacca appena da me, guarda papà con fare presuntuoso e poi mi passa una mano tra i capelli biondi con fare sensuale. Troppo sensuale.
“Tu lasciamela una sera e chiuderemo definitivamente il nostro affare” dice, alitandomi nell’orecchio. Sento il suo odore forte di tabacco come se mi stesse schiacciando.
Comincio a respirare a fatica, guardando mio padre con gli occhi spalancati dalla paura. Lui ricambia lo sguardo, spaventato quanto me ma anche incapace di fare qualsiasi mossa.
Un qualsiasi movimento falso potrebbe portare Carlos a farmi del male. Non gli ci vorrebbe molto per farmi fuori, potrebbe bastare un suo scatto e il coltello affonderebbe nella mia pelle.
“Scordatelo...” borbotta papà.
Una luce improvvisa fa scattare la mano di Carlos, che mi arpiona i capelli con più forza facendomi gemere di dolore. Papà si gira di scatto e due fari riempiono il buio.
Anche se sono girata di spalle alla macchina, capisco tutto ciò che sta accadendo. Sento uno stridere di gomme sull’asfalto, un paio di portiere d’auto sbattere con forza e dei passi.
“Brian...” riconosco la voce preoccupata di Zacky.
“Non avvicinatevi!” grida papà. “È armato.”
Sempre con una mano ben serrata tra i miei capelli, Carlos mi costringe a girarmi. Sono costretta a mollare la presa sulla giacca di papà e guardo gli altri, che mi fissano a metà tra il preoccupato e l’agitato.
Zio Matt sta stringendo i pugni e anche a distanza posso vedere che freme dalla rabbia e dalla voglia di uccidere di botte Carlos con le sue stesse mani. Zacky e Johnny si tengono un po’ in disparte, ma sono preoccupati allo stesso modo.
“Adesso, bambola, vieni con me” mi dice Carlos, cominciando a camminare all’indietro e costringendomi a seguirlo.
Camminiamo per qualche istante, fino a che non arriviamo davanti a una BMW vecchio modello. Carlos mi fa salire dal lato del passeggero e si mette alla guida, riponendo la pistola datagli da mio padre nella cintura dei jeans.
Non mi muovo, non cerco di fuggire. La paura ha preso possesso della mia mente e del mio corpo, mi impedisce di muovere un solo muscolo di troppo.
“Sta tranquilla, bambola. Passiamo una notte insieme e poi ti riporto a casa dal tuo papà” mi dice, facendomi una disgustosa carezza sul viso.
Non ho neanche il coraggio di ritrarmi, mentre il pensiero che mi ucciderà si fa spazio nel mio cervello.
Quando ho provato a suicidarmi volevo morire veramente, volevo davvero non esistere più e metter fine alla mia esistenza. Ma ora no. In questo momento voglio restare vicina a mia madre e tornare ad abbracciarla, voglio continuare a godermi papà e Zacky che si rincorrono, voglio aspettare che esca il nuovo cd degli Avenged Sevenfold, voglio ancora fare cazzate coi miei amici e… dannazione, voglio vivere!
Carlos mette in moto l’auto e a me affiora un’idea. Un’idea un po’ malsana. Se devo morire, penso rabbiosa, questo bastardo deve morire con me. Se devo morire, non devo morire per mano sua, perlomeno. Se vuole farmi del male o... o, che so, stuprarmi, io non glielo lascerò fare.
Dopotutto, ho desiderato morire così spesso che forse devo cogliere l’occasione. Magari andrò con Carlos e uscirò da questa situazione viva ma massacrata moralmente, e un giorno mi pentirò di non aver colto l’occasione quando questa mi si stava presentando dinanzi.
Abbiamo percorso appena qualche metro, che mi faccio coraggio e mi butto verso il socio in armi di mio padre. Afferro il volante con tutta la forza che ho, senza dargli il tempo di reagire o anche solo di capire cosa sta accadendo, e lo faccio girare violentemente verso sinistra.
“Che cazzo fai?!” urla Carlos, strabuzzando gli occhi.
Sbam.
L’urto è così impetuoso che mi sento volare in avanti.
Poi solo dolore, dolore e nient’altro. Sento il vetro che si conficca nella mia pelle, un dolore sordo alla testa e alla gamba. Vedo tutto nero.
No, non vedo nero. Ho chiuso gli occhi, non ci vedo e basta. Sprofondo nel nero. Più sprofondo e più sento il dolore affievolirsi.
Sono morta, penso. Sono morta e non fa male.
Pensavo che fosse solo un modo di dire, che quando si arriva in punto di morte si vede tutta la propria vita passare dinanzi agli occhi.
Mi sbagliavo: è la pura verità.
Mi vedo al mio primo compleanno, con l’orsetto di peluche che suona la chitarra tra le braccia, correre verso mio padre che mi sorride affabile dalla poltrona in sala.
Poi mi vedo a tre o quattro anni, che con mamma e i miei fratelli entro in piscina per la prima volta. Mamma spesso ricorda quel costume intero coi fiorellini con un sospiro, ben sapendo che ora non mi metterei mai una cosa simile.
Dopo mi vedo al mio primo giorno di scuola elementare. Mano nella mano con mio padre, timorosa per via di tutti gli sguardi puntati su di noi. Connor e mamma, davanti a noi che camminano incerti verso il grande portone.
In seguito mi vedo un po’ più grande, verso gli otto anni, in sala d’incisione insieme agli altri che, seduti a terra, giochiamo al gioco dell’oca.
Mi vedo scorrazzare in bicicletta per il lungomare di Huntington Beach. Mi vedo togliere i braccioli in piscina e cominciare a nuotare per davvero. Mi vedo tirare un rigore contro Jim e fare goal. Mi vedo sul palco degli Avenged Sevenfold mano nella mano a zio Matt, che saluto con un gesto timido della mano la folla di Deathbat dinanzi a me.
Mi vedo al mio primo giorno di medie andare incontro a Cherie e abbracciarla. Osservo Nathan che viene a stringermi a sua volta, che mi dice coi lucciconi agli occhi che adesso resterà da solo alla scuola elementare.
Mi vedo osservare gli Avenged Sevenfold che suonano da dietro le quinte. Mi vedo seduta su un divanetto sfondato di qualche backstage, con papà e Zacky accanto che si fanno le fusa. Mi vedo in macchina davanti al cimitero, a osservare mio padre che singhiozza davanti alla tomba del suo migliore amico.
Mi passa dinanzi l’immagine di me, Cherie, Alicia, mamma, zia Val e Gena che proviamo vestiti nel negozio più bello e costoso di Huntington Beach.
Mi vedo seduta sulle ginocchia di Johnny, a casa sua, ad assaggiare ben più di un goccio di Whiskey. Lo vedo ridere, mentre gli sorrido e gli dico se posso averne ancora un po’.
Mi vedo varcare la porta del liceo insieme a Connor. Vedo Lorenz che ci fissa ghignando nascosto per metà dallo sportellino del suo armadietto.
Vedo la mensa, i piatti mezzi pieni di pasta scotta. I miei compagni. Lorenz. Il nostro tavolino appartato e tutti noi seduti attorno ad esso che ridiamo e ripassiamo qualche materia.
Mi rivedo sfiorare per due volte la rissa con Lorenz.
Mi rivedo in piedi sulla mensola della finestra della mia soffitta, mentre sussulto al suono improvviso della voce di Johnny. Mi vedo martoriarmi la carne delle braccia, risento la voce di zio Matt che mi chiede che diavolo ho combinato.
Risento la voce di Zacky che ansima, rivedo lo sguardo cupo di Cherie. Percepisco le nostre mani strette sulla moquette dell’albergo.
Mi rivedo correre al citofono di casa e sfondarlo quasi per chiamare aiuto. Rivedo papà che si fionda addosso a Zacky e, urlando e spogliandolo, cerca di capire cos’abbia.
Rivedo mio padre allungato sotto il muraglione del porto, vedo zio che lo fa alzare e, aiutato dagli altri, lo trascina via.
L’ultima immagine è sfocata, ma riesco a capire comunque cos’è. Sono seduta sul divano di casa Sanders insieme agli altri, avrò avuto quattro o cinque anni. Zio fa una gara di flessioni contro Zacky, il quale sta perdendo miseramente. Johnny sorseggia una lattina di birra ridacchiando in un angolo, mentre papà guarda con uno sguardo di profonda nostalgia una foto attaccata alla parete dietro il divano. La foto del Rev. “Papà, non essere triste. James è sempre con noi” gli dico, sorridendogli appena. Lui annuisce e sorride a sua volta.




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Hi :3 eccomi tornata con questo capitolo che... aibwiowepfnqer mi dispiace tantissimo per Nicole, mi sento immensamente in colpa D:
...okay, a parte questo, ho deciso di lasciarvi anche un'idea di come sia Nic secondo me e.....

Ma nessuno mi recensisce più? :(
Io, beh, prima di cominciare a postare ho fatto una specie di scommessa con me stessa che prevede che se nella FF ci sono più capitoli che recensioni non vado più avanti, ma da un certo punto di vista mi dispiace lasciare così la storia.
Quindi boh, questo potrebbe essere anche l'ultimo capitolo... ma aspettatevi di tutto :')


Grazie a tutti quelli che leggono ancora questo prodotto della mia mente malata,
Echelon_Sun

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Capitolo 23
*** Promise me you'll never feel afraid. ***


Apro gli occhi con cautela, aspettandomi di ritrovarmi in una sala d’ospedale e con una flebo attaccata al braccio. O al massimo, in un posto tutto bianco con accanto un angelo dalle ali candide che mi sorride e mi comunica che non ce l’ho fatta.
“Nicole?”
Ecco, lo sapevo. Sono morta. Mi giro appena, aspettandomi di trovare un angelo... trovo Jimmy ‘The Rev’ al mio fianco. Me lo potevo aspettare.
Gli sorrido, mentre fatico per mettermi a sedere. Lui mi aiuta, posandomi con delicatezza una mano sulla schiena. Poi si siede a gambe incrociate al mio fianco.
“Sono morta?” chiedo, guardandomi attorno.
Siamo in un posto che assomiglia alla spiaggia di Huntington Beach, alla piccola spiaggia dietro la scogliera, per l’esattezza. Ma la sabbia sotto di me non è appiccicosa e non s’infila fastidiosamente ovunque. E non ci sono né i residui di un qualche falò né la musica a tutto volume né i bar aperti né le persone in costume ovunque.
“No, sei in coma” risponde Jimmy, prendendomi una mano e osservandomi come nessuno mai aveva fatto prima, quasi come se mi vedesse dentro.
“E perché ti vedo?” domando ancora, osservandolo attentamente.
È rimasto com’era a ventotto anni, quando è morto. Non sono comparse rughe sul suo volto o chili di troppo. Indossa un pantaloncino sportivo nero lungo fino al ginocchio e una maglietta sbracciata della Vengeance University. Dietro di lui si aprono due enormi ali di pipistrello. Mi soffermo per un po’ sui suoi occhi, che finalmente ho l’onore di vedere non attraverso uno schermo o una fotografia. Sono ancora più belli di quanto io potessi immaginare.
Mi sorride appena, notando che l’ho praticamente squadrato da capo a piedi.
“Ora dipende tutto da te” mi dice dolcemente, ignorando la mia domanda. “Puoi scegliere se tornare alla vita o farla finita.”
“Cosa è successo a Carlos?” domando.
“È morto” risponde lui stringendosi appena nelle spalle. “Dopo l’incidente era messo molto, molto male e i medici non sono riusciti a salvarlo.”
“Quel fottuto bastardo...”
Jimmy ride e i suoi occhi sembrano improvvisamente di un azzurro ancora più intenso.
“Assomigli così tanto a tuo padre” mi dice, passando un polpastrello su un mio zigomo con gli occhi socchiusi. Mi guarda come se fossi una reliquia sacra, un prezioso tesoro antico da custodire con cura e da trattare come un tempio.
Solo ora mi rendo conto di non essere ferita e di indossare un pantaloncino di jeans corto e la mia amata maglietta dei Misfits al posto della tuta e felpa che avevo al momento dell’incidente.
“Io… non dovrei essere piena di sangue?”
Jimmy abbozza un nuovo sorriso. Certo, potevo pure formularla un po’ meglio la domanda.
“Dovevi pur essere presentabile, no?” mi risponde affabile.
Incrocio le gambe e ritraggo la mano, ancora stretta in quella di Jimmy. Questa situazione mi turba.
Non posso solo morire o vivere? Per forza a metà devo starmene, indecisa sul da farsi?
“Jimbo...”
“Mh?”
“Se io decidessi di restare qui… nell’Afterlife, diciamo... potrò stare accanto agli altri comunque, anche se loro non possono vedermi?”
Lui ci pensa un po’ prima di rispondermi.
“Nicole, io sono stato accanto a tutti voi per tutto questo tempo” esordisce. “Ogni giorno ho visto crescere voi ragazzi, vi ho visti fare progressi, ho visto tutti voi piangere, gioire, chiedermi di tornare...”
“La mia supposizione era giusta?” incalzo, con un sorriso.
“Sì, giustissima,” mi sorride a sua volta. “La mia ala era sempre presente per proteggervi. In quest’ultimo periodo è stato difficile, però, continuare starvi vicino. Vi sentivo più distanti, soprattutto Brian...” Sospira amaramente. “Nicole, tu devi tornare da lui” mi dice, ed io non riesco a capire se la sua sia una richiesta o una supplica. “Sei forte e lui, per quanto si sforzi di dimostrarsi il solito presuntuoso, crollerà a pezzi senza di te. È stato già messo a dura prova dalla vita, dopo la mia morte, ma io non ho avuto l’opportunità di tornare... io avrei dato qualsiasi cosa per tornare dai miei amici e smetterla di vederli soffrire per me.” Si passa una mano tra i capelli corvini, china lo sguardo. “Potevo stare accanto a loro, abbracciarli, parlarci, ma loro non mi sentivano né vedevano. Potevano percepirmi chiaramente, a volte, ma non hanno mai saputo se fosse la loro immaginazione o la mia reale presenza.”
“Io voglio tornare a vivere, ma ho così tanta paura” affermo, guardandolo dritto negli occhi.
“Paura?” esala lui, piantando i suoi pozzi immensi nelle mie iridi scure. “Nicole, come puoi avere paura di vivere? Hai sedici anni e devi sorridere! Smettila di crearti paranoie. Sei Nicole Haner o sbaglio?”
“Ho paura di non poter reggere la situazione” ribatto.
“Tuo padre ha smesso con quello schifo di commercio d’armi, questa volta definitivamente, Nicole” mi dice con forza mista a premura. “Tu non lo hai visto, ma io sì, ed era così preoccupato che mi ha fatto tenerezza. Quando ha visto l’auto sbandare gli stava prendendo un colpo, poi vi siete schiantati contro un albero e lui è corso da te… Matt ci ha provato in tutti i modi a dirgli di non toccarti, perché sarebbe potuto essere peggio, ma lui lo ha ignorato e non la smetteva di accarezzarti e chiederti non lasciarlo. Non si metterà più in mezzo a quei guai né venderà mai un’altra sola arma” continua con convinzione, “puoi starne certa. Sei quasi morta per colpa di quel Carlos, il suo socio in armi.”
“Ora… ora papà sta bene?”
“Ora dorme sulla sedia accanto al tuo letto, con la testa posata sul materasso e la guance ancora bagnate di lacrime” mi dice con un mezzo sorriso.
“E mamma? Jim e Connor? E…”
“Hey, frena!” mi interrompe lui, facendo finta di non avere più fiato. “Tua madre è andata a prendere un caffè insieme a Valary alla macchinetta dell’ospedale. Non ti ha lasciata sola neanche per un istante. Jim e Connor dormono in corridoio, uno sull’altro insieme a Johnny e Nathan. Alicia, Cherie e Zacky hanno delle occhiaie da far paura, ma non riescono a dormire e stanno seduti accanto ai dormienti, tesi come corde di violino. Matt cammina avanti e indietro per il corridoio, non ha fatto altro da quando è arrivato” mi dice poi.
“E io come sto? Da quanto sono ricoverata?”
“È quasi ora di pranzo e ti hanno portata in ospedale alle quattro e mezza di mattina. Sei in coma, ma volendo non dovresti metterci troppo a rimetterti in sesto... hai la tibia fratturata” mi dice con uno sguardo di rammarico, “porti il gesso dunque, e hai sbattuto forte la testa, ma lì è tutto a posto.”
“Bene” mormoro ironica. “E il vetro? Ricordo che faceva un cazzo di male!”
“Sì, sei piena di tagli e graffi superficiali. Ma, come ti ho già detto, sei abbastanza forte da affrontare tutto a testa alta.”
“Ti sbagli...”
Lui china il capo, per un attimo credo che non sappia che dirmi. Ma dopo qualche instante mi sorride gioviale.
“Michelle ha appena svegliato Brian” mi comunica, “gli ha detto che ha capito perché l’ha tradita... dice che lo ringrazia perché, anche se non l’ha mai amata davvero, l’ha sempre rispettata, le ha voluto bene e l’ha trattata come una donna merita.”
Sento gli occhi gonfiarsi di lacrime. “Davvero?” chiedo, tartagliando.
Il Rev annuisce col capo, poi mi raccoglie una lacrima con un dito.
Restiamo in silenzio per qualche momento. “Sai” mi dice lui dopo un po’, guardando un punto indefinito senza vederlo, “quando tuo padre ha chiesto a tua madre di sposarlo, io avrei voluto strangolarlo. Purtroppo non potevo farlo, essendo morto, ma credo che lui l’abbia capito. Mi ha chiesto scusa, dicendomi che non sapeva che fare di meglio per nascondere la storia con Zacky.”
“Ma, se papà avesse seguito i tuoi consigli, io, i miei fratelli e Cherie non esisteremo” ribatto.
“Il fatto è che le cose succedono e basta” continua lui, “non è che puoi programmarle o decidere tu quando farle accadere e finire. Brian e Michelle si sono sposati, Zacky e Gena hanno fatto lo stesso, e tutti hanno messo su famiglia e cresciuto dei figli splendidi...” si blocca per un attimo, sospirando amaramente. “Ma” riprende, “guarda tuo padre insieme a tua madre, non sono neanche lontanamente affiatati quanto lo sono lui e Zack! E non si tratta di una questione di rispetto o di alti e bassi nella relazione tra tuo padre e tua madre... si tratta solo dell’amore tre Brian e Zacky, che non potrebbe essere barattato neanche con la donna migliore del mondo. Si amano, e non c’è niente da fare.”
Ha ragione. Non posso negarlo. Sebbene la relazione tra papà e Zacky non mi sia ancora andata giù del tutto, posso dire che si amano follemente. Mi è bastata l’ansia di papà mentre si fiondava nella macchina di Zack quando lui era in piena crisi asmatica, per capirlo. Sarebbe stato meschino tenerli divisi o soffocare in qualsiasi altro modo il loro amore.
Jimmy si alza in piedi di scatto, senza darmi altro tempo per restare a riflettere, poi mi porge le mani per aiutarmi a tirarmi su a mia volta. “Vieni” mi dice raggiante. Una volta in piedi non mi lascia una mano e mi conduce fino al limitare della piccola spiaggia. Ci sediamo sugli scogli, col mare alle spalle che si infrange lentamente contro i massi.
“Questo posto è sempre stato speciale per me e per gli Avenged Sevenfold” mi rivela.
“Perché?” domando.
“Perché il sabato sera, ancora mezzi ubriachi, venivamo qui a suonare. Io mi portavo il tamburello, Brian e Zacky la chitarra e Johnny il basso, e suonavamo e cantavamo fino all’alba. Qui ci abbiamo passato i momenti più belli della nostra giovinezza” mi dice, continuando a stringermi la mano con la sua. “Vieni a vedere” mi dice poi, abbassandosi di scatto.
Lo seguo e mi accovaccio al suo fianco di fronte alla scogliera. Inizialmente non vedo nulla di insolito, ma poi Jimmy mi indica con un dito una scritta a pennarello indelebile e capisco.
Avenged Sevenfold.
C’è scritto solo questo, in un punto basso della scogliera, dove nessuna onda potrà mai arrivare e cancellare questa scritta.
“Mi manca terribilmente, suonare con loro” mi rivela Jimmy, passando un polpastrello lungo la scritta.
Prima che io possa dirgli che anche a loro manca, lui riprende. “Quando ho visto Mike seduto al mio posto ero... bè, ero felice perché comunque è sempre stato uno dei miei batteristi preferiti, ma ero anche furioso. Pensavo: ‘hey, quello è il mio futtuto sgabello, levati da lì!’” Ridacchia. “Ero stupido, lo so.”
“No, non credo” ribatto prontamente, guadagnandomi un suo immenso sorriso di gratitudine.
“Per non parlare di Arin” continua divertito. “Dio, quel ragazzino proprio non lo sopportavo, all’inizio. Gli urlavo di stare lontano dalla mia batteria, gli dicevo di non toccare la mia fottuta roba ma, ovviamente, lui non mi poteva sentire.”
“Ti rivelo una cosa” gli dico, abbassando la voce quasi ad un sussurro, come se qualcuno potesse sentirci. “Arin non è mai stato tanto simpatico neanche a me.”
Scoppiamo a ridere. Una risata sbocciata fuori dal nulla e anche un po’ insensata, ma splendida. Immensa. Dopo qualche istante torniamo seri.
“Posso farti un paio di domande?” gli chiedo, guardandolo negli occhi e non riuscendo a non stupirmi di nuovo per la loro bellezza.
“Certo” mi sorride lui.
“Perché porti una maglietta della Vengeance University? A Zacky serve un po’ di pubblicità anche in questa vita dopo la morte?”
Scoppia a ridere di nuovo, ma questa volta non c’è la mia risata ad accompagnare la sua e posso sentirla per la prima volta in assoluto. È splendida, è una risata incontenibile, forte, folgorante. Una di quelle risate che potrebbero far fuori la tristezza.
“Mi piace sentire i miei amici vicini anche con gli indumenti” mi risponde semplicemente, con una scrollata di spalle. “Indosso spessissimo le creazioni di Zack e di Brian, o anche le magliette della band. Vai con la seconda domanda.”
“Perché le ali da pipistrello?” gli domando indicandole con un dito. “Non dovresti avere ali più... angeliche?”
Ride di nuovo, questa volta più sommessamente. “E chi ti ha detto che gli angeli e i demoni sono così in incompatibilità? O, forse, io non sono un angelo e questo non è il paradiso” mi dice, alzando un sopracciglio con fare misterioso.
“Impossibile...”
Un ghigno divertito compare sul suo volto. I suoi occhi si illuminano. “Ora non c’è bisogno che tu capisca, Nicole” mi dice, passandomi una mano tra i capelli, intrecciando lentamente le dita con le fibre bionde del mio cuoio capelluto. “Davvero. Queste ali me le sono scelte io, il motivo mi pare ovvio.”
Annuisco e mi sforzo di sorridergli. Vorrei toccarle, ma non lo faccio.
“Nicole, torna da tuo padre” mi dice Jimmy improvvisamente, alzandosi in piedi. Diavolo, quant’è alto. “In tutti questi anni ti ho osservata e ti assicuro che sarai in grado di reggere la situazione, di svegliarti dal coma e di andare avanti con la vita.”
“Sì, lo farò” dico alzandomi a mia volta. “Tutti dicono che davi ottimi consigli, dunque non vedo perché non dovrei ascoltarti.”
Si gratta la nuca un po’ imbarazzato. “Posso chiederti un favore?”
Annuisco col capo.
“Porteresti dei messaggi agli altri?” mi chiede vagamente impacciato. “Insomma, è da così tanto tempo che non li rivedo e non so in che altro modo potrei dirgli certe cose... ma dato che tu ora sei qui potresti fare da tramite.”
Sogghigno. “Avanti” lo incito, “sputa il rospo.”
Sorride. “A Zacky dì che se non la smette con quelle fottute sigarette e me lo ritrovo qui tra qualche giorno gli strapperò le orecchie a morsi e ci farò il purè di patate” esordisce con una sicurezza spiazzante. “Poi digli di andare a correre, perché se continua ad essere così mollaccione ai concerti non avrà abbastanza fiato per arrivare fino alla fine.”
Non riesco a trattenermi e mi lascio sfuggire una risatina.
“Hey!” si lamenta lui, facendo il finto risentito.
“Scusa, è solo che mi sembri una madre” gli dico, giustificandomi.
“Qualcuno deve pur tenerli sotto controllo, no?” ribatte lui con un sorriso. “Poi digli che sono felicissimo per la storia con Brian e che Cherie è splendida. A Johnny puoi dire che le sue feste non batteranno mai le mie, ma che comunque sono fiero dei suoi progressi. Digli che sta bene col suo colore naturale sulla testa, anche se preferivo quando aveva la cresta da gallo... diamine quanto mi manca sfottere quel nano” commenta aspramente. “E digli anche che, se deve parlarmi, non deve per forza prima chiamarmi a squarciagola come se fossi in Europa.”
Rido ancora. “Davvero Johnny fa così?” chiedo.
“Sì, è sempre stato un po’ scemo” mi dice lui trattenendo una risatina sotto i baffi. “A Matt dì che lui e Val restano la coppia più bella di sempre, e che Ali e Nate sono fantastici quanto loro due. Tra l’altro, adoro i capelli di Alicia. Poi digli che è rimasto bello come gli ho detto quella volta, dopo aver fatto l’operazione per correggere la vista e lui si è imbarazzato. Digli che mi emoziona ancora, sentirlo cantare So Far Away durante i concerti, ha la voce più fottutamente bella che io abbia mai sentito.”
Mi trovo concorde.
“Dì a quei tre che io ci sono sempre, al loro fianco” continua. “Dì loro che anche a me mancano, ma che sono sempre al loro fianco e se vogliono parlarmi, sfogarsi, ricordare i vecchi tempi, io sarò lì ad ascoltarli.”
Quasi sto per chiedergli se non devo portare nessun messaggio per mio padre, ma mi blocco. La parte migliore viene sempre alla fine, no?
“E poi” riprende James con un sospiro, “a Brian ci sono tantissime cose da dire. Digli che quando ha ricominciato con il fottuto commercio delle armi mi ha deluso fortemente, e mi ha deluso ancora di più pensando che sarebbe riuscito a tenere a bada la situazione, senza mettere in conto fin dal primo istante il pericolo a cui sareste stati esposti tutti voi.” Sospira. “Però digli che, soprattutto, sono fiero di lui. Sia per la fermezza con cui ha deciso di smetterla, sia per la relazione con Zacky e anche per il bravissimo padre che dimostra essere, soprattutto con te. Digli che lo ringrazio per aver chiamato ‘Jimmy’ il suo primogenito e che resterà per sempre il mio migliore amico.”
“Sarà fatto” gli dico, fingendo un goffo saluto militare.
“E poi digli anche che voglio che continui a parlarmi come faceva prima, anche solo per dirmi cosa ha mangiato a pranzo.” Mi guarda dritto negli occhi, facendomi boccheggiare. “Dì a tutti loro che mi mancano tantissimo, ma che se mi respingono, se tentano di allontanare il mio ricordo dalla mente per non addolorarsi, mi rendono più difficile il compito di stargli vicino.”
La sua voce mi suona vagamente più bassa durante le ultime parole e penso che sia solo un momento. Invece lui si irrigidisce.
“Jimmy, aspetta, voglio stare ancora un po’ qui con te!” urlo, sentendomi un po’ isterica.
Lui si avvicina a me e mi abbraccia. Mi stringe a sé con forza, avvolgendoci entrambi con le sue enormi ali di pipistrello. Io lo stringo più forte che posso, aggrappandomi alla sua maglietta della Vengeance University, ben sapendo che non lo rivedrò fino al momento della mia morte.
“Non voglio andare già via” gli dico, staccandomi appena da lui, sull’orlo delle lacrime.
Lui sorride, rincuorandomi. “Ma io non ti lascio mica Nicole, sarò sempre al tuo fianco.”
Mi prende un polso e, con un pennarello indelebile nero che tira fuori dalla tasca dei pantaloncini, ci disegna un veloce cuore.
“Non andrà più via” mi dice, mentre il contorno del suo corpo diviene sempre più sfuocato.
“Ma è solo pennarello indelebile!” ribatto senza convinzione.
“Ti fidi di me?”
Annuisco e lo abbraccio nuovamente, anche se lo sento di meno al tatto. La stretta delle sue braccia è meno forte e meno consolante. “Nicole?”
“Mh?” mugugno col viso affondato nel suo petto.
“Promettimi che non avrai mai paura.”
“Te lo prometto Jimmy.”













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Ciao a tutti :3
Ecco a voi la dolcezza di Jimmy e... beh, questo capitolo è il motivo per cui mi sono imposta di scrivere il precedente LOL


C'è nessuno che ascolta i Suicide Silence o che, anche se non ha idea di chi siano, ha voglia di leggere una OS che ho scritto dal punto di vista della figlia di Mitch a diciassette anni? In ogni caso vi lascio qui il link, mi farebbe un piacere immenso se qualcuno leggesse C:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2089458&i=1



G
razie a tutti quelli che recensiscono, leggono e hanno messo questa storia tra le preferite/seguite,
Echelon_Sun

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Capitolo 24
*** I'm in a fucking coma? ***


I give my heart, ‘cause nothing can compare in this world to you…
“Smettila subito, Matt.”
“Ma sono sicuro che a lei piace!”
Le palpebre mi pesano quanto macigni e non posso sorridere. Percepisco ogni cosa, la mano di papà stretta alla mia, le voci sue e di zio al mio fianco, l’odore di disinfettante tipico degli ospedali, l’ago della flebo conficcato  nel mio braccio, un tubicino nel naso che non ho idea di cosa sia, il peso del gesso sulla gamba sinistra... ma non posso muovermi.
“Brian, per l’ennesima volta, vai a riposarti” dice ancora zio Matt, con un tono di voce che rasenta la supplica.
“Non la lascio sola” ribatte papà con voce ferma.
Papà...
“Restiamo noi qui con lei.” Incalza zio, questa volta con fare più convincente. “Torna a casa, vai a farti una doccia e portale la radio e qualche cd. Sono sicuro che Nicole lo apprezzerà.”
Sento papà sospirare. “D’accordo” dice poi, “ma tu vedi di restare con lei fino a che io non torno.”
“Conta su di me.”
Il rumore dei piedi di una sedia che grattano il pavimento mi dice che mio padre s’è alzato, un attimo dopo mi bacia la fronte e mi accarezza una guancia con dita tremanti. Qualche istante più tardi sento i suoi passi che si allontanano fino a che il rumore non scompare, preceduto dallo schianto di una porta che si chiude.
“Finalmente è andato via” dice zio, prendendomi una mano nella sua enorme, avvolgendola interamente. “Sai, Nicole, è stato così in pena per te! Non ti ha abbandonato neanche un secondo, non appena i dottori gli hanno permesso di entrare qui dentro.”
Oddio... chissà che paura gli ho fatto prendere!
“Fino ad ora solo io e i tuoi genitori ti siamo stati accanto, nessun altro” dice stringendo un po’ più forte la presa sulla mia mano. “Sai, tuo padre non vuole che qualcuno dei ragazzi ti veda in queste condizioni... dice che per loro potrebbe essere un trauma.” Sospira stancamente. “Secondo me si sbaglia” afferma con convinzione dopo qualche istante. “I tuoi fratelli hanno tutto il diritto, e anche il dovere, in un certo senso, di starti vicino in questi momenti. Lo stesso vale per i tuoi amici.”
Hai ragione, zio, spiegaglielo tu a quel tordo di mio padre!
“Non so neanche se mi senti, ma i dottori dicono che parlarti, o farti ascoltare musica, dovrebbe aiutarti... non ho ben capito come, a dire il vero.”
Posso quasi immaginarmelo, in questo momento, ghignare appena e scoprire le meravigliose fossette nelle guance, che alla sua età lo fanno sembrare ancora un adolescente impacciato un po’ troppo cresciuto.
Non azzardarti a tacere! Sai quanto adoro il suono della tua voce.
“Ci hai fatto prendere un colpo, Nicole. Davvero... è stato bruttissimo” mi dice con un filo di voce. “Brian era disperato quando ti ha visto salire in macchina, poi, quando vi siete schiantati... è corso verso l’auto e ti ha tirata fuori da lì... sapevo che non doveva toccarti, che avremmo dovuto aspettare i medici, ma lui continuava a ignorarmi e ti teneva stretta tra le braccia, terrorizzato...”
No, dài, non piangere zio...
“Non so come sarebbe andata a finire se...” mormora zio, trattenendo un singhiozzo, “...se Zacky e Johnny non si fossero svegliati, accorgendosi della vostra assenza. Menomale che Cherie mi ha chiamato, dicendomi di andare almeno a controllare la situazione... veramente, sono sicuro che saresti morta tra le braccia di tuo padre, se non ci fossimo stati noi dopo l’incidente.”
Spiegati! Non ci sto capendo nulla.
Quasi in risposta alle mie lamentele, zio riprende a parlare. “Johnny è stato quello più lucido di tutti, ha subito chiamato l’ambulanza. Io cercavo di consolare tuo padre, mentre Zacky ti controllava il polso... se non ci fossimo stati, sono certo che tuo padre non avrebbe avuto il buonsenso di chiamare aiuto né di controllare che non morissi nel suo abbraccio.”
“Matt?” dice la voce di Zacky, seguita dal cigolio di una porta.
Ciao, Zack!
“Hey Zack, vieni... entra” gli dice zio.
Zacky cammina incerto verso il letto, lo sento chiaramente. Respira anche a fatica. Si china su di me e mi abbraccia per quel che ci riesce, stando ben attento a non toccare qualche tubo.
“Val è appena andata via con Alicia e Nathan” dice dopo essersi staccato dal mio corpo immobile, scostandomi qualche ciocca di capelli dal viso.
“E Michelle?”
“È andata via con loro. Hanno detto che sarebbero tornate dopo pranzo, ma senza i ragazzi” dice con un sospiro stanco, un attimo dopo lo sento sedersi di fianco a zio, sulla sedia lasciata libera da papà probabilmente. “Ho cercato di andare a casa con Brian, almeno gli cucinavo qualcosa per pranzo o... che ne so, potevo anche convincerlo a stendersi un po’ a letto... Ma lui mi ha detto di no” asserisce qualche istante dopo, sospirando, chiaramente dispiaciuto. “Mi ha detto che voleva stare da solo, e che comunque sarebbe tornato non più tardi di una mezz’ora.”
“Il solito...”
“Già.”
Entrambi restano in silenzio, zio comincia ad accarezzarmi lentamente la mano che tiene stretta nella sua con un polpastrello.
“Dici che può sentirci?” chiede Zacky dopo un po’.
“Non so dirtelo con sicurezza, ma io suppongo di sì” gli risponde zio. “E i medici ci hanno detto di parlarle.”
“Quindi dici che se le parlo non sembro uno svitato?”
No, idiota! Parlami, forza.
Zio sopprime una risatina. “No, Zack. Ci ho parlato anche io... se vuoi posso anche lasciarvi soli...”
Evidentemente Zacky deve aver annuito, o deve aver fatto un qualsiasi altro gesto che ha spinto zio ad alzarsi. Sento la presa sulla mia mano che si affievolisce fino a che non va via del tutto.
“Allora vado” dice zio. “Appena vuoi fai entrare Connor e Jim, sono sicuro che anche loro hanno qualcosa da dire a Nicole... e penso che anche lei non veda l’ora di stare con i suoi fratelli.”
Zacky, per tutta risposta, emette un mugolio non ben identificato.
“Vengo dopo, Nicole” mi saluta zio. M’immagino il suo sorriso tutto fossette rivolto a me, immobile su un lettino d’ospedale. Che peccato, dovermi perdere il suo volto ormai segnato dall’età che quando sorride pare trasformarsi in quello di un bambino.
Non appena la porta si chiude, Zacky si siede sul ciglio del letto, al mio fianco. Passa la mano sulla mia guancia, fermandosi poi su un taglio all’altezza dello zigomo sinistro.
“Strano come adesso si siano invertiti i ruoli” esordisce, “adesso sono io quello con i sensi di colpa... è tutta colpa mia, Nicole” mi dice, con una forte nota di malinconia nella voce.
Colpa tua? Che diavolo vai blaterando, Zack? Non è colpa tua! Affatto! È tutta colpa di quel delinquente Carlos, non tua! Perche mai...?
“Io e tuo padre ci siamo sempre amati, sin da quando eravamo adolescenti scalmanati. Ci siamo amati dal primo istante in cui i nostri sguardi si sono incontrati. Ci siamo amati ogni volta che finivamo nell’ufficio del preside e mentre lui ci sgridava Brian non riusciva a fare a meno di sghignazzare sotto i baffi insieme a Jimmy, ogni volta che ci ritrovavamo in bagno a fumare clandestinamente, ci siamo amati ogni pomeriggio nel garage di Matt e ogni volta che, ubriachi, ci trascinavamo a casa ridendo senza motivo. Ci siamo amati sulla moquette della camera insonorizzata di tuo nonno Brian Senior, Nicole, e nella mia stanza disordinata di adolescente. Abbiamo fatto l’amore ovunque, su ogni superficie che reggesse il nostro peso, sui letti sporchi dei Motel dove alloggiavamo durante i nostri primissimi concerti, contro i muri delle nostre case, sul divanetto dello studio di registrazione, in quasi tutte le camere da letto di Johnny.” Lo sento abbozzare un sorriso sfinito. “Lo amo, Nicole, che posso farci?”
La sua mano scende sul mio corpo e mi prende la stessa mano che sia papà che zio Matt hanno stretto fino a poco fa.
“Io e tuo padre ci siamo sempre amati. Io l’ho amato mentre soffocava le lacrime nel mio petto, alla morte di Jimbo. Lui mi ha amato quando l’ho chiamato alle tre di notte del ventinove dicembre duemilanove per supplicarlo di venire a casa mia.”
Frena, Zack! Che c’entra questo? Che colpa avresti? La colpa di amare incondizionatamente mio padre? Non è una colpa, questa!
“Voglio raccontarti una storia, Nicole. Voglio parlarti di noi due giovani innamorati.” Mi accarezza una guancia. “Quando Brian suonava Warmness On The Soul mi fissava sempre negli occhi, senza mai distogliere lo sguardo o chinare il capo. Suonava e i suoi occhi erano puntati nei miei. Jimmy diceva che questi sguardi riescono a rivolgerseli solo le persone davvero innamorate, quelle che sono fatte per stare l’una accanto all’altra per sempre...”
E...?
“Brian non avrebbe mai voluto nascondere la nostra storia. Sebbene lui e Michelle si stessero frequentando, lui era sempre legato indissolubilmente a me e...”
No, no, no! Non piangere anche tu, ti prego! Zacky, santissimo cielo, sii forte!
“... e io sono sicuro che lui avrebbe dato qualsiasi cosa pur di stare con me, qualsiasi” dice con voce rotta. “Lui... lui era totalmente preso da me, totalmente innamorato. Ma io avevo paura, una paura fottuta. Avevo conosciuto Gena e lei era così dolce, bella, femminile... era tutto ciò che un uomo desidera da una donna, insomma. Non l’amavo, ma se fossi stato etero e se non avessi conosciuto tuo padre sicuramente l’avrei amata.” Rompe in un singhiozzo soffocato. “Io mi sentivo così... normale” sputa quest’ultima parola come se a distanza di anni ancora non si capacitasse di quella presunta normalità che l’aveva fatto sentire un po’ meglio. “Quando stavo con lei, con Gena, stavo bene. E l’ho lasciato... ho detto a Brian che dovevamo smetterla di frequentarci, che ci saremo visti solo con la band, solo per ciò che riguardava la musica.”
Ma, Zack, non puoi addossarti tutta la colpa... posso capirti, posso capire le tue paure!
“Lui si è infuriato. Mi ha preso a sberle. Cioè, mi ha preso a di tutto.” Ridacchia, una risatina offuscata dai singhiozzi. “Pugni, calci, schiaffi... credo che mi abbia anche lanciato contro qualcosa. In quel periodo, avremmo avuto poco più di vent’anni anni e stavamo registrando Waking The Fallen, vivevamo tutti insieme per pagare poco di affitto e per fortuna... gli altri lo hanno fermato.”
Aspetta un po’... ti ha picchiato? E ti ha lanciato contro la roba? Certo, doveva essere davvero pazzo di te per averla presa così male!
“Ricordo che Jimmy e Matt lo hanno dovuto tenere schiacciato a terra per impedirgli di massacrarmi... ma io quasi non sentivo il dolore dei colpi, ero così desolato... mi sentivo un verme, un codardo, un vigliacco.” Singhiozza di nuovo, e questa volta ci mette un po’ di più prima di riprendere a parlare. “Ma poi parevamo aver accettato entrambi la cosa. Fino a che non siamo finiti di nuovo a letto insieme.” Stringe più forte la presa attorno alla mia mano inerme. “Erano passati un paio di mesi da quando eravamo in tour e una notte, dopo un incubo, mi sono ficcato nella cuccetta di Brian pensando che fosse quella di Jimmy... e lui mi ha baciato... cioè, io l’ho baciato.” Ridacchia appena, singhiozzando sommessamente. “Insomma, ci siamo baciati e siamo finiti a far l’amore. In seguito abbiamo deciso di tenere nascosta la cosa.”
E che colpa avresti, tu?
“Io potevo fermarlo, quando ha ripreso a contrattare con i suoi stupidi clienti e si è rimesso in mezzo al mercato in nero delle armi, Nicole” mi dice in un soffio. “Lo so benissimo e sono sicuro che anche lui se ne sia reso conto. Io avevo il potere di andare da lui e farlo ragionare... ma non l’ho fatto. E sai perché?”
Basta piangere, dannazione! Vai avanti, parla! Perché cazzo non l’hai fatto?!
“Io pensavo che lui potesse arrivarci da solo, pensavo che si sarebbe ricordato da solo di tutti i rischi corsi in passato e pensavo che sarebbe tornato sui suoi passi sapendo che, fornendo armi, avrebbe contribuito all’assassinio di poveri innocenti.” Digrigna i denti. “È un uomo maturo, mi sono detto, capirà senza di me che deve smetterla subito. E invece mi sbagliavo, e avrei dovuto capirlo all’istante... e ora tu sei qui, per colpa mia. Per colpa mia e delle mie fottute idee del cazzo.”












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Ecco qui la piccola Nicole che affronta il coma (povera piccola ç.ç)... E poi su, c'è Zack che è un amore eee... insomma, vi piace questo capitolo?
E c'è una novità, nel mio pc la storia è finita :D ...cioè, il prologo non mi convince molto, ma lo sto aggiustando!

Grazie ancora di cuore, polmoni, anima, arti (???) e tutto il resto a tutti voi che non mi avete ancora insultata o mandata a fanculo,
Echelon_Sun

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Capitolo 25
*** Brothers. ***


A volte le parole non servono a un bel niente. Non serve macchiare pagine su pagine d’inchiostro, non serve starsene ore seduti sul ciglio del letto a scervellarsi cercando di mettere una dopo l’altra frasi su frasi.
Un abbraccio vale molto di più. Un bacio vale molto di più. Una carezza, un sorriso, valgono molto di più.
Connor e io la pensiamo allo stesso modo, riguardo ciò. Perlomeno a noi due, sarà che siamo gemelli e che siamo sempre stati l’uno la parola mancante dell’altro, le parole non sono mai servite per comunicare. Uno sguardo fuggevole e la sua anima è sempre stata una porta aperta per me; un mio minimo movimento brusco e lui sapeva cosa mi passava per la testa. O, più semplicemente, ora lui è troppo triste per spiccicare una sola parola.
Se ne sta seduto sul letto accanto al mio corpo e lo sento scosso dai singhiozzi. Trema tutto il letto.
È entrato qui dentro da solo e mi ha abbracciato, senza aprir bocca. Mi ha baciato la fronte, le mani, le guance. Poi di nuovo mi ha stretta debolmente, tremando per la paura di potere farmi male. Ora mi accarezza il viso, seguendo i miei tratti somatici così simili ai suoi.
Piange così tanto che sto combattendo con tutta la mia forza per aprire questi fottuti occhi. Non voglio che Connor stia così in pena per me. Non voglio che qualcuno, che sia papà o mamma, uno dei miei fratelli, chiunque dei miei amici o i miei zii, stia così male vedendomi ridotta in questo stato.
Connor improvvisamente posa il capo sul mio petto, all’altezza del cuore, e schiaccia l’orecchio contro di me. Credo che stia seguendo i miei battiti cardiaci. Cerca invano di trattenere i singhiozzi, che lo scuotono violentemente, ma invano. Mi prende una mano e la stringe, rannicchiandosi sul mio corpo inerme.
Dài, Connor, non fare così... forza... vedrai che mi rimetterò. Andrà tutto bene...
“Che diavolo ci fai in corridoio?” strepita mio padre poco lontano.
Merda. Papà s’è fatto promettere da zio che sarebbe rimasto con me fino al suo ritorno.
“C’è Connor dentro, Brian” risponde zio pacato.
“Ti avevo detto di restare con lei!” papà quasi grida, tant’è infuriato. “E, per altro, non volevo che qualcuno dei ragazzi entrasse.”
Connor, ancora accoccolato sopra di me con mezzo busto, sussulta e scende dal letto. Mi bacia la fronte senza smettere di singhiozzare, piangere e tremare in modo incontrollabile.
“Io ora devo andare, Nic... papà sarà infuriato” mi dice, sforzandosi di ridacchiare nervosamente sull’ultima frase. Ah, fidatevi, mio padre incazzato fa tutt’altro che ridacchiare. “Io vado, ma sono qui fuori... non ti lascio... tu cerca di resistere, eh? Sei forte, sei una tosta...”
Si blocca, mentre la voce di zio che dice a mio padre di non entrare riempie il silenzio.
“Starai meglio, Nicole... te... te lo prometto.”
Il rumore di una porta che sbatte contro il muro lo fa trasalire, mentre mi stringe più forte la mano.
“Papà... io... mi dispiace, davvero...”
La sua voce trema, come tutto il resto del corpo.
Papà, non comportarti da cretino! Non ha fatto nulla di male!
“Connor...”
Sento la porta che viene chiusa con molta più delicatezza rispetto al colpo provocato per aprila, un rumore che non riesco ad identificare e poi i passi di papà che si avvicinano al mio letto. Dal tono di voce non mi sembra incazzato. Anche se da quello che ha detto a zio Matt lo sembrava parecchio.
“Lo so che non volevi... ma io... io non ci sono riuscito... volevo vederla...”
Hey, adesso basta con tutta questa disperazione! Fatti forza, fratello, me lo hai detto tu stesso che starò meglio. Anzi, me lo hai promesso.
“Dài, vieni qui” lo zittisce papà.
Anche se non posso vedere la scena, so benissimo cosa sta accadendo di fianco a me.
Papà deve aver capito di aver sbagliato impedendo ai ragazzi di entrare in questa stanza dove sono ricoverata. Dev’essere entrato qui e, vedendo Connor in lacrime, deve essergli passata l’arrabbiatura. Così adesso abbraccia suo figlio nell’intento di calmarlo.
“Scusami...”
“Sta’ zitto” lo rimprovera dolcemente papà. “Non fa niente, ti capisco.”
Una nuova raffica di singhiozzi soffocati squarciano l’aria. Me l’immagino perfettamente, papà e Connor abbracciati. L’immagine che si forma nella mia testa è così vivida che mi pare quasi reale. Vedo il viso del mio gemello affondato nella spalla di papà, il quale lo avvolge con le sue braccia tatuate e lo stringe contro il suo petto.
“Vuoi restare ancora un po’ da solo con lei?” domanda papà con un filo di voce.
Connor deve aver annuito, perché sento chiaramente i passi di papà farsi sempre più lontani e sento la porta che viene chiusa.
Connor torna a sedersi al mio fianco e mi accarezza una guancia sfiorandola appena coi polpastrelli. Sento il suo tocco delicato contro la mia pelle immobile, incapace di qualsiasi atto.
“Sai Nic, assomigli così tanto a papà” borbotta Connor. “E anche se lui sa essere molto più coglione di te, almeno ti ha trasmesso tutta la sua determinazione.”
Dove vuoi andare a parare?
“Per favore Nicole, per favore, mettiti in testa di aprire quei fottuti occhi e ti sveglierai. Torna qui.”
 

***

 
Jimmy entra nella stanza e, dopo essere entrato e essersi chiuso la porta alle spalle, si siede sulla sedia al mio fianco e mi prende una mano per baciarla.
“Hey, sorellina...”
Jimmy...
“Dio, com’è strano tutto questo... Neanche potevo crederci, quando stamattina alle sei Johnny è venuto da noi e ce l’ha detto. Mamma stava andando fuori di testa, sai?” Lo sento sospirare amaramente. “Continuava a dire che c’era un errore, e se non c’era era stata tutta colpa di papà...” Con un polpastrello mi accarezza il dorso della mano. “Poi siamo arrivati qui e quando io e Connor stavamo per entrare insieme a mamma, ma zio e Zacky ci hanno fermati dicendoci di restare fuori. Ci hanno detto che gliel’aveva raccomandato papà. A volte è proprio stupido...”
Non sei l’unico a pensarlo, Jim. Davvero, a volte proprio non lo capisco!
“Sono stato lì fuori, così in pensiero per te...”
Anche se non posso vederlo, so che sta piangendo. Me ne accorgo dal suono della sua voce.
“Non potevo crederci... e mi risulta difficile anche ora, che sono qui davanti a te e tu sei immobile in questo schifo di letto. Io ti conosco troppo bene, Nicole, e lo so che non mollerai” aggiunge con più forza nella voce. “Ne hai passate tante, Nicole, e le hai superate tutte. Ti ricordi quando ti sei tagliata? Mi sembrava assurdo che non volessero farci entrare in bagno e fino a che non ho visto il sangue sulle piastrelle non ho fatto altro che imprecare e incazzarmi. Non avrei mai pensato che tu fossi tanto triste da arrivare a tagliarti” mormora con voce tremante. “Ma ti sei rialzata. Sei crollata milioni di volte e ti sei sempre rialzata. Con fatica, certo, con le mani graffiate, le spalle stanche e le gambe instabili, ma ti sei rimessa in piedi.”
Oh Jim...
“Ed ecco perché non ho paura in questo momento, perché ti conosco e so che ti sveglierai. Lo so e basta. Non puoi mollare ora la lotta, Nicole, tu non potresti mai smettere di lottare, ne sono certo.”
Hai ragione. Fidati di me, non smetterò di combattere fino a che non starò bene di nuovo. Stanne certo, fratellone. Io mi alzerò da questo letto e tornerò a essere quella di sempre.
“Ti va di ascoltare un po’ di musica? Papà ha portato la radio e qualche cd.”
Si alza e cammina fino all’altro lato della stanza, lo sento trafficare per un po’ con qualche aggeggio e poi il suono della chitarra di Slash riempie la stanza.
Ottima scelta, papà.













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Okay, lo so che ormai non mi sopportate più, ma altri pochissimi capitoli e questa tortura storia sarà finita ;)
Coomunque, grazie a tutti voi che continuate a seguirla e recensite :3
Echelon_Sun

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Capitolo 26
*** I need to talk to you. ***


Sospiro stancamente e riprendo fiato, appoggiandomi con i gomiti alla ringhiera. Ho raggiunto le scale. Missione compiuta. Scommessa vinta.
“Tieni” mi dice Connor, allungandomi una banconota da dieci. Anche se ha perso la scommessa, sorride. Sorride perché sa che mi sto riprendendo in fretta.
“E adesso come ci torno indietro?” chiedo sfinita, voltandomi verso i miei fratelli con l’ausilio delle stampelle.
“Non hai imparato la lezione, allora?”
Sussulto, zio è spuntato alle mie spalle insieme a zia Val, Ali e Nate. “Dov’è Brian?” mi chiede.
“È andato al bar, così ne abbiamo approfittato per fare una scommessa” risponde Connor con una risatina.
Sono stata in coma quasi due interi giorni, ho passato dieci, ehm... stupendi giorni in ospedale e domani finalmente uscirò per tornare a casa.
Mi è difficile camminare con le stampelle, anche perché sono ancora debole. Ieri non arrivavo neanche alla porta del reparto dove mi hanno confinata, invece oggi ho scommesso qualche soldo con Connor che sarei arrivata da sola almeno fino alla macchinetta del caffè che sta nel mezzo del corridoio che separa il mio reparto da quello della chirurgia toracica.
Un paio di giorni fa sono quasi caduta, per colpa di queste stupide scommesse. Ma, come zio mi ha appena ricordato, non ho imparato la lezione.
“Prima o poi cadrai, Nic” mi riprende zia Val, incrociando le braccia al petto.
“Avanti mamma” ride Alicia, avvolgendole le spalle con un braccio, “lasciala perdere.”
Zio Matt alza gli occhi al cielo e mi prende in braccio come se fossi una piuma. Strizzo l’occhio ai miei fratelli e ai miei cugini da sopra una sua spalla.
“Devo parlarti” mormoro a zio Matt, mentre si mette di lato per entrare nella mia stanza. “A te e ai Sevenfold.”
Bè, non ho ancora raccontato a nessuno che ho incontrato Jimmy ‘The Rev’. Non ne ho avuto il tempo. Di continuo nella mia camera si sono alternati medici, fisioterapisti, parenti, amici, membri dello staff della band... persino i Good Charlotte sono venuti a trovarmi.
Zio Matt mi lancia una veloce occhiata e annuisce col capo. Mi posa sul letto e si siede al mio fianco, mentre anche gli altri entrano.
“Come stai, Nic?” mi domanda subito Nathan, prendendo una sedia e sedendosi di fronte a me.
“Bene!” gli rispondo allegra. “Come vedi, riesco ad arrivare fino alle scale.”
“Nicole, non credo che sia prudente che tu...” ricomincia zia.
“Dài mamma, è pieno di dottori qui! Che vuoi che le succeda?” Nathan interrompe sua madre, sorridendo gioviale.
“E poi, zia, che credi? Che io e Connor non le stiamo vicini pronti a soccorrerla in caso di pericolo?” gli fa eco Jim, prendendo posto alla mia destra, dall’altro lato di zio Matt.
“Di nuovo con queste scommesse?”
Merda.
La testa di papà spunta dalla porta. L’uomo saluta con un cenno della mano la famiglia Sanders e si avvicina a noi.
“Meglio che vostra madre non ne sappia nulla, altrimenti ci farà a pezzi tutti quanti” continua, poggiando una mano sulla spalla di Connor, che si lascia andare a un sospiro di sollievo.
“Che dicono i medici? Domani si esce?” domando a mio padre speranzosa. I dottori hanno detto che domani uscirò, sempre se non trovano una qualsiasi scusante che possa farmi restare.
“Credono ancora che non sarebbe una cattiva idea se passassi qui qualche altro giorno, ma potrai uscire” mi risponde papà sorridendo.
“E... verrò a stare da te?”
Sospira e, guardando a terra, annuisce. “Potete...?”
“Certo” esclama zia Val, balzando in piedi dalla sua sedia.
Alicia mi strizza l’occhio alzandosi dalla sua sedia. Poi osservo tutti uscire fino a che papà non prende il posto lasciato libero da Jim.
“Ieri tua madre s’è infuriata, per questo” esordisce. “Ha detto che ora lei è perfettamente in grado di tenerti sotto controllo, quindi potresti tornare a casa.”
“Zia Val è ancora lì?”
“È andata via da qualche giorno” mi risponde velocemente papà. “Ma tu dimmi cosa preferiresti.”
“Io... se andassi a stare da mamma dovrei affrontare le scale ogni giorno...” abbozzo, “e poi... bè, mamma non è così forte da sorreggermi. E tu e Zacky lavorerete al disco, dunque potrò avere più pace... invece stando a casa...”
Lo vedo sopprimere una risata. È risaputo che mamma non dà pace a nessuno quando si è soli in casa. Posso già vederci tutt’e due sprofondate nel divano a guardare Gossip Girl, mentre i miei fratelli sono in garage a riparare la moto da cross.
“Allora preferisci venire a stare da me?”
“Sì” mormoro, “ma non dirlo a mamma.”
“Le dirò che lo abbiamo deciso insieme” mi dice lui sfoggiando un ampio sorriso. “Le dirò che da lei ci sono le scale e tu non te la senti ancora di affrontarle.”
Annuisco. “La verità è che mi piace vivere con te, Zack e Cherie” ammetto.
“Sul serio?”
“Sì” assicuro con forza. “All’inizio mi è dispiaciuto un sacco lasciare la mia vera casa, ma poi mi ha quasi fatto piacere. È molto più divertente stare con voi.”
“Grazie!” esclama Zack, entrando nella stanza insieme a zio Matt e Johnny.
Sorrido, un po’ impacciata. Adesso devo raccontare loro del mio viaggetto nell’Afterlife. Devo raccontare loro del mio incontro con James. Da dove diavolo posso cominciare?
Zio Matt torna ad occupare il suo posto, mentre Johnny e Zacky siedono di fronte a noi.
“Devo dirvi delle cose” incomincio, “a tutti voi.”
Mi fissano tutti e quattro, mentre io non ho il coraggio di guardare nessuno di loro.
“Mentre ero in coma ho incontrato The Rev” sputo fuori d’un fiato.
Me l’aspettavo quasi, la reazione che ora stanno avendo. A Zacky e a zio Matt si sono fatti subito gli occhi lucidi, Johnny ha esclamato ‘oh’ con fare meravigliato e papà ha spalancato tanto gli occhi che temo possano saltargli fuori i bulbi.
“Davvero?” mi chiede Zacky con voce rotta.
“Come l’hai trovato? Stava bene?” lo sovrappone Johnny.
“Che ti ha detto?” gli fa eco papà.
“Ma ne sei sicura? Non poteva essere solo un sogno?” conclude zio Matt.
Ridacchio appena e mi passo una mano tra i capelli. Zia Valary ha proprio ragione quando li definisce peggio dei bambini, penso divertita.
“Non era un sogno” dico con convinzione. “Mi sono svegliata in un posto molto, molto simile alla piccola spiaggia dietro la scogliera e lui era al mio fianco.”
“Ci credo che ti sei svegliata lì...” dice zio in un sussurro.
“Solo che... bè, era tutto un po’ diverso. La sabbia non era appiccicosa e non entrava nei vestiti. Era tutto più luminoso, più... puro” spiego. “E lui era vicino a me.”
“Com’era?” mi chiede subito papà.
“Era rimasto a ventotto anni. Non un chilo di troppo o una ruga. Era vestito con un pantaloncino e una maglietta della Vengeance University” dico, sorridendo appena a Zacky. “E aveva le ali del Deathbat.”
“Le ali del Deathbat?” esclama Johnny.
“Anche a me è parso strano” asserisco. “Gli ho chiesto se le sue ali non dovessero essere più angeliche ma lui ha cominciato a dire scemenze... alla fine mi ha detto che se l’era scelte lui.”
“E di cosa avete parlato?” domanda Zacky.
“Mi ha detto cosa stavate combinando voi qui mentre io ero in coma e mi ha detto che potevo decidere io se tornare o restare lì” dico, abbassando la voce senza rendermene conto. “E poi mi ha detto delle cose da dire a voi, dei messaggi da riferirvi... a ognuno di voi quattro.”
Credo che Johnny stia per piangere, così mi rivolgo a lui prima che a chiunque altro.
“Johnny...” lo chiamo, facendogli alzare lo sguardo verso di me. “James mi ha detto di dirti che le tue feste non batteranno mai le sue, ma che è comunque fiero dei tuoi progressi.”
Papà, al mio fianco, sghignazza. Johnny annuisce e si asciuga le lacrime con l’orlo della giacca.
“Mi ha detto che gli manca tantissimo prenderti in giro” gli dico con un mezzo sorriso, “che stai bene col tuo colore naturale di capelli, ma che ti preferirà sempre quando avevi la cresta da gallo... e che se vuoi parlargli non devi prima chiamarlo come se si trovasse dall’altro capo del mondo.”
Riesce a ridere persino lui, sebbene sia nascosto da un velo di lacrime che gli ricoprono il volto.
Zacky e  zio Matt anche mi sembrano propensi alle lacrime, così mi decido a rivolgermi a zio.
“Zio, il Rev vuole che tu sappia che considera te e zia Val sempre come la coppia più bella di sempre...”
Zio rompe in un singhiozzo soffocato, mormorando che Jimbo lo ripeteva sempre.
“Dice che Ali e Nate sono fantastici quanto voi due e gli piacciono i capelli di Alicia” continuo. “Poi ha detto che sei rimasto bello come ti aveva detto quella volta, dopo aver fatto l’operazione per correggere la vista e tu ti sei imbarazzato e che hai la voce più fottutamente bella del Mondo e riesci a farlo emozionare ogni volta che canti So Far Away.”
Bene. Stanno piangendo tutti e quattro.
Fanno tenerezza. Sono quattro uomini ancora muscolosi, che suonano musica metal, pieni di tatuaggi, e piangono disperati per il loro batt... per il loro fratello morto una ventina di anni fa.
“Zack...” chiamo, facendogli alzare lo sguardo velato di lacrime verso di me. “James mi ha detto di dirti che se non diminuisci col fumo e vai da lui tra qualche giorno, ti strapperà le orecchie a morsi e ci farà il purè di patate.”
Tutti ridacchiano appena, mentre Zacky si sforza di sorridere ma piange con veemenza nascondendosi il volto con le mani.
“Mi ha detto che Cherie è splendida e tu dovresti cominciare ad andare a correre, perché se continui così non reggerai i concerti” concludo, mentre lui comincia a singhiozzare violentemente.
“Il solito...” commenta papà, portando le ginocchia al petto.
Ora comincio a fare un po’ di fatica anche io, a proseguire col discorso. Mi guardo il polso sinistro segnato indelebilmente con un piccolo cuore nero, e mi faccio forza.
Mi volto appena a guardare mio padre, che mi osserva con gli occhi lucidi. “Papà, Jimmy è molto contento per te e Zacky” gli dico con un sorriso. “Ha detto che è si è sentito un po’ deluso da te, quando hai ricominciato con la storia del commercio delle armi. Mi ha detto che non si aspettava, che dopo aver corso un rischio così grande anni addietro, potessi riprendere un’attività tanto disonesta quanto pericolosa...” Un singhiozzo lo scuote, così mi affretto a continuare. “Ma mi ha detto che, soprattutto, è orgoglioso di te per la fermezza con cui hai deciso di smetterla, per la relazione con Zack e anche per l’ottimo padre che dimostri essere... con me in modo particolare.”
Mi blocco un attimo. “Poi mi ha detto che in quest’ultimo periodo vi ha sentiti distanti, principalmente a te papà...”
“Lo... lo so” spasima lui, e non so se si stia rivolgendo a me o direttamente a James.
“Ha detto che non dovete allontanare il suo ricordo per non soffrire” dico, posando una mano sulla spalla scossa dai tremiti di mio padre, “perché così gli rendete più difficile il compito di starvi accanto.”
“Sono stato un completo idiota... ma... ma non riuscivo più a parlarti come facevo prima, Jimbo... non sapevo se eri realmente al mio fianco...”
“Papà” dico in sussurro, avvicinandomi a lui. “Me lo ha assicurato lui stesso” lo rassicuro, “che è sempre al nostro fianco.”









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Ciao a tutti :D
Come vedete in questo capitolo finalmente Nicole sta meglio, si è svegliata dal coma e ha parlato ai Sevenfold del suo incontro con Jimmy (che poi, ho quasi pianto scrivendo di loro che piangevano, ma vabbè...).

Grazie mille a tutti quelli che resisteranno fino alla fine, a tutti quelli che recensiscono e che hanno messo la FF tra le preferite e le seguite.
Un forte abbraccio,
Echelon_Sun

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Capitolo 27
*** Oh, Jimmy... ***


L’ho promesso a mio padre, penso, mentre mi alzo a fatica dal letto. Sono a casa da pochi giorni e già devo andare dallo psicologo. Non che mi dia fastidio, ma preferirei di gran lunga esercitarmi per casa con queste stramaledettissime stampelle.
Non credo che qualcuno mai abbia avuto tanti problemi a camminare con le stampelle. Io rischio di rompermi l’osso del collo ogni pochi passi.
“Andiamo?” mi chiede papà, affacciandosi nella mia stanza.
Io annuisco e comincio ad andare verso di lui. Ride. Ma grazie, papà! Come sei simpatico a ridere delle mie sciagure!
“Avanti, salta in spalla” mi dice, girandosi di spalle a me e chinandosi.
Mi aggrappo alle sue spalle e salgo a cavalcioni sulla sua schiena.
“Sai quante ragazzine hanno sognato un momento così con Synyster Gates?” mi dice beffardo, cominciando a camminare.
“Sbruffone” lo prendo il giro io.
Zacky e Cherie ridacchiano appena vedendoci passare, impegnati a preparare un dolce al cioccolato. Credo che pochissimi godano dello splendido rapporto che ha Cherie con suo padre, e tutto questo semplicemente perché Zack è ancora un mezzo bambino.
Ad esempio, ora che mi saluta sorridendo di buon umore, noto che Zacky la faccia imbrattata di farina e nutella. Mentre Cherie ne ha ovunque sul grembiule che porta addosso. Devono aver fatto una battaglia.
Papà mi scarica sul sedile del passeggero e si siede alla guida. Da quando sono tornata a casa mi è parso molto più concentrato sul lavoro. Resta in sala prove per molto più tempo rispetto a Zacky, che, invece, torna sempre per pranzo e per cena.
“Come procedono i lavori per il disco?” mi informo mentre lui mette in moto.
“Non male quanto prima” mi dice lui con un mezzo sorriso. “Stiamo cercando di recuperare in fretta il tempo perso.”
“Su cosa sarà orientato? Qualcosa tipo City Of Evil?” chiedo speranzosa. City Of Evil è sempre stato il mio cd preferito degli Avenged Sevenfold. E Seize The Day la mia canzone preferita.
Lui scuote il capo. “Non credo, Nicole” mi risponde, lanciandomi una veloce occhiata. “Credo che somigli più a Nightmare.”
“Mh...” dico pensierosa, allacciandomi la cintura.
“Credo che potrà somigliare all’atmosfera di Save Me” mi rivela dopo qualche istante, lasciandomi meravigliata.
“Qualcosa che ha a che fare col soprannaturale?” chiedo, volendo racimolare più informazioni possibile.
Papà ridacchia e si ferma al rosso di un semaforo, così mi guarda negli occhi. “Voglio che sia una sorpresa, ok? Matt aveva buone idee e io ci ho messo molto del mio... forse potrebbe venir fuori un qualcosa simile a Save Me e Almost Easy... non so dirti di preciso.”
Alzo un sopracciglio e resto della mia idea del soprannaturale.
Papà accosta davanti l’edificio dello psicologo, mi aiuta a scendere dalla macchina e sale con me con l’ascensore.
“Salve” ci saluta il dottor Baker che evidentemente ci stava aspettando in sala d’attesa.
“Salve” gli risponde papà cordiale, “gliela lascio.”
Il dottore gli sorride serenamente e io lo seguo saltellando fino allo studio. Quando mi lascio andare sulla sedia di fronte a lui, mi lascio andare anche ad un sospiro di sollievo.
Camminare con le stampelle non mi piace. Non mi piace affatto.
“So tutto quello che è successo, Nicole” esordisce, poggiando i gomiti sul legno della sua scrivania.
“Lo credo bene” ribatto seccamente. “Su internet praticamente non s’è parlato d’altro. Un sacco di gente mi ha anche mandato dei regali...”
“Non l’ho saputo su internet” mi interrompe lui. “Me lo ha detto Lorenz, il tuo compagno di scuola.”
Oh. E, di grazia, perché mai Lorenz parla allo psicologo di me?
“E...”
“Ma parliamo di altro, ora. Mi sono preparato delle domande apposite da farti, in questi giorni di tua assenza” mi interrompe, sorridendomi tranquillamente.
Io annuisco col capo.
“Bene. Innanzitutto vorrei sapere come si è svolto l’incidente.”
“Non glielo posso dire” affermo con durezza. Non posso rivelare nulla riguardo il socio in armi di mio padre né dell’attività illegale che i due stavano svolgendo insieme.
“Allora dimmi solo quello che ritieni sia possibile rivelarmi” mi dice lui con un sorriso gentile sul viso. “Sai” riprende dopo qualche istante di silenzio, “ho sentito diverse versioni sull’accaduto e mi piacerebbe sapere cos’hai da dire tu a riguardo.”
“Bè...” incomincio, un po’ presa alla sprovvista, “...ero uscita a fare una passeggiata con mio padre e abbiamo incontrato Carlos, un... un conoscente.”
“Lo sai che non sei affatto brava a mentire?” mi prende in giro il dottor Baker.
“Gliel’ho detto che non le avrei potuto dire tutta la verità” ribatto prontamente. “Comunque” riprendo, “ci siamo fermati a parlare e questo Carlos mi ha puntato contro un coltello...”
“Cos’hai provato?”
“Paura” rispondo immediatamente. “Inizialmente solo paura.”
Lui si gratta lentamente il mento, pensieroso, e poi mi esorta a continuare.
“Poi sono arrivati anche gli altri... mio zio, Zacky e Johnny... ma non hanno potuto fare nulla” continuo. “Carlos mi ha portata in macchina, dicendo che avremmo passato solo una notte insieme.”
“E allora si è schiantato contro l’albero” conclude lui per me. “Era ubriaco?”
“No. Si sbaglia” gli dico lentamente. “Io mi sono buttata su di lui, ho afferrato il volante e ho svoltato a caso.”
Sembra stupefatto. Boccheggia un momento. “Tu...” mormora quasi, “hai avuto tanto sangue freddo da mandare fuori strada la macchina?” mi chiede, alzando un sopracciglio.
“Io... io non volevo che lui mi facesse del male...”
Lo fisso negli occhi azzurri, anche se ora che ho visto quelli del Rev dal vivo non sembrano più così somiglianti ai suoi. Quelli del dottore sono meno immensi, meno radiosi di vita.
Il dottore sospira e torna a sorridermi gentilmente. “E come sono stati i due giorni di coma?”
“È successa una cosa strana... ho incontrato Jimmy ‘The Rev’, in una specie di Afterlife.”
Anche ora mi pare stupefatto. Alza un sopracciglio e mi dice in tono sbrigativo: “e che cosa avete fatto? Cosa vi siete detti?”
“Abbiamo parlato” dico, stringendomi nelle spalle. “Lui mi ha detto che ero in coma, mi ha detto che ci è stato accanto in tutti questi anni e mi ha dato dei messaggi da portare alla band...”
Lo sguardo mi scivola sul piccolo cuore che mi ha disegnato James, fin’ora non ne ho parlato con nessuno. Facendomi la doccia ho messo alla prova la parola di Jimbo, provando a toglierlo col sapone, ma lui aveva ragione. Il cuore è rimasto indelebile al suo posto, e, benché Cherie l’abbia visto, non mi pare che sospetti qualcosa d’insolito. Dopotutto, io mi sono sempre scritta addosso col pennarello indelebile.
“Mi ha disegnato questo” dico al dottore, allungando il braccio sulla scrivania.
Lui mi prende la mano e osserva il disegnino sul mio polso con gli occhi socchiusi. Mi sembra molto concentrato.
“È strano” gli rivelo, “perché me lo ha disegnato col pennarello indelebile ma non sono riuscita a farlo andare via.”
Lui mi pianta i suoi occhi azzurri nei miei. “Io trovo strano, invece,” mi dice lentamente, “che sia rimasto sulla tua pelle nonostante te lo abbia disegnato in un sogno.”
“Non era un sogno” mi infiammo. “Io sono davvero andata da lui, e questo tatuaggio ne è la prova.”
“E chi mi garantisce che questo tatuaggio te l’ha fatto davvero il Rev e non il tizio che fa tatuaggi agli Avenged Sevenfold?” mi rimbecca lui.
Ritiro il braccio con uno scatto e mi alzo in piedi. Barcollo un po’ per via del gesso, ma poi mi riprendo e afferro le stampelle.
“Scappi di nuovo?”
“Non sto scappando, sto andando via” chiarisco con rabbia. “E questa volta non tornerò. Che lei ci creda o meno, io nell’Afterlife ci sono andata e James l’ho incontrato. Non m’interessa parlare con qualcuno che non mi crede e, a questo punto, non credo sia neanche il caso di continuare a pagarla. Se ho abbastanza sangue freddo da tentare di uccidermi per tre volte, vuol dire che ne ho abbastanza anche per affrontare questa vita senza il suo aiuto.”
Zoppico fino alla porta, senza quasi il sostegno delle stampelle. Mi blocco con la mano sulla maniglia.
“E, cortesemente, si trovi un argomento decente di cui parlare con Lorenz qui dentro” concludo, inviperita.
Uscendo sul pianerottolo chiamo mio padre al telefono e gli dico... ehm, gli urlo di venirmi a prendere immediatamente.
Dopo essere scesa con l’ascensore, mi lascio cadere sulla panchina davanti il palazzo dello psicologo, la stessa su cui Lorenz e io abbiamo parlato per la prima volta da persone civili, senza insulti.
Aspetto mio padre mentre nella mia testa sto ancora offendendo il dottor Baker. Lo so che avevo detto che non sarei più fuggita, ma questa volta è stato diverso. Che vado a farci da uno psicologo che neanche mi crede, eh?
Dopo qualche minuto papà accosta davanti a me e mi corre incontro. Credo che sia spaventato, a giudicare dal colorito biancastro che ha assunto.
“Dio, Nicole, che diavolo è successo?”
Bè, lo credo bene che sia così impaurito. Al telefono devo avergli gridato un qualcosa come: vienimi a prendere immediatamente! Lì dentro non ci torno, okay?! Mi fa schifo, quell’uomo!
“Nicole, stai bene? È tutto okay? Al telefono mi sembravi infuriata” mi dice, senza quasi staccare le parole.
Io sospiro, leggermente divertita. “Papà, siediti. Devo dirti una cosa” gli dico.
Lui annuisce e mi siede accanto. “Sei sicura che sia tutto a posto...?”
“Sono andata via” esordisco, zittendolo, “perché il dottore non mi ha creduto sulla storia del Rev e...”
Alzo la manica della felpa quel tanto che basta per mostrare a papà il piccolo cuore.
“Ma è... vero?” mi chiede, passandoci sopra un dito.
Sospiro. Lui mi crederà, ne sono certa. È mio padre, il migliore amico di Jimbo. Come potrebbe dubitare di ciò che sto per rivelargli?
“Me lo ha disegnato Jimmy prima che ci lasciassimo” sussurro. “Lo ha disegnato con un pennarello indelebile, ma è rimasto nonostante i lavaggi. Lui me lo aveva detto che non sarebbe andato via...”
Papà segue il contorno del cuore col polpastrello dell’indice, guardandolo rapito. Poi alza lo sguardo su di me. Sorride appena, anche se ha gli occhi rossi e gonfi di lacrime.
“Oh, Jimmy...”









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In questo capitolo non succede niente di che, lo so, ma volevo che Nicole e Brian si riservassero un piccolo momento tutto per loro nel momento il cui Nic avesse deciso di parlargli del cuore sul suo polso.

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo prima del prologo, e io ho già in mente una nuova storia da pubblicare... a dire il vero mi era passato per la testa di scrivere anche un sequel che vede i ragazzi cresciuti o un prequel che li vede bambini, ma non so! A voi piacerebbe?

Grazie mille a tutti voi che leggete questa FF,
Echelon_Sun

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Capitolo 28
*** I am home. ***


L’inverno di quest’anno, a detta di tutti i telegiornali, è uno tra i più freddi che la California abbia mai avuto nell’ultimo secolo. A detta di mio padre, i telegiornali dicono così ogni anno. In ogni caso, fa un freddo boia.
È la mattina della vigilia di Natale e Cherie mi sta aiutando a vestirmi. In assenza di mia madre e essendo lei l’unica presenza femminile in casa, è sempre stata lei ad aiutarmi col gesso.
Indossiamo due tute smesse per poter aiutare in casa con i preparativi.
Prendo le stampelle e la seguo fino in sala, dove la casa è in subbuglio. Quest’anno la vigilia sarà festeggiata a casa di papà e Zacky e gli invitati saranno così tanti che quasi ne ho perso il conto.
Ci saranno i miei nonni paterni, i miei zii, la famiglia di Zacky, la famiglia di Johnny, la famiglia di zio Matt, la famiglia intera di mamma e zia Val e verranno anche i roadie Jason e Matt con le rispettive famiglie.
Saremo più di venti persone, neanche lo voglio sapere il numero esatto.
Al momento sono impegnata a stare in pena per papà che, con un buffo grembiule rosa, cerca inutilmente di aiutare Valary a cucinare le lasagne. Zia è piuttosto irascibile al momento, poiché è l’unica donna in casa e pare che sia anche l’unica in grado di cucinare senza mandare a fuoco qualcosa.
Io e Cherie ci lasciamo cadere sul divano, accanto ai miei fratelli e Nathan. Alicia è andata ad aiutare suo padre e Johnny con i dolci.
“Brian, santissimo cielo, sei un incapace! Devi stare qui come aiuto cuoco, non come un fottutissimo combina guai!” sbraita zia Val, facendoci ridere.
“Scusami... scusa, Valary... pensavo che...”
“Pensavi male!” continua a urlare istericamente la donna. “Anzi, vai subito via da vicino a me prima che ti infilzi con questo coltello! Vattene, su! E dì a Matthew che deve venire immediatamente a darmi una mano.”
Papà esce dalla cucina annuendo convulsamente col capo e camminando all’indietro con le mani in alto, in segno di resa. Ha ancora il grembiule rosa addosso, cosa che rende la scena ancora più divertente.
“Matt!” urla papà, passandoci davanti senza vederci e dirigendosi alla cucina in taverna.
“Credete sul serio che riusciranno a preparare tutto?” domanda Nathan, esibendosi in un grande sbadiglio.
“Forse, se voi deste una mano...” mi appresto a dire, ma ci ripenso dopo essermi beccata quattro occhiatacce di rimprovero.
Un tonfo ci fa sussultare, ma la colorita imprecazione che ne segue non può che scaturire nuove risate. Zio Matt appare dalle scale che portano in taverna, corre attraverso la sala e si precipita in cucina dalla moglie.
“Dimmi, tesoro, ti serve aiuto?” le chiede cauto.
“Sì, tesoro, dobbiamo preparare gli antipasti” risponde lei, inviperita.
La giornata prosegue così. Papà dopo aver notato che siamo tutti accomodati pigramente sul divano è venuto ad assegnarci dei compiti da svolgere. Persino a me, povera ingessata, ha detto di aiutare a pulire.
Io, Jim, Connor, Cherie e papà ci siamo attrezzati di scale, pezze, secchi d’acqua e buste della spazzatura e abbiamo pulito la sala fino a renderla lucida. Abbiamo buttato via tutte le cose inutili accumulatesi sul pavimento, abbiamo ripulito il divano dalle briciole dei cibi più vari, abbiamo rimesso ogni chitarra, ogni mascara e ogni libro al suo posto.
Un lavoraccio. Anche se io ho praticamente solo spolverato i mobili e i soprammobili con un panno, è stato faticoso per via del gesso che mi sono dovuta trascinare dietro continuamente.
Nathan, zio, Johnny e Zacky si sono alternati nel preparare i dolci e aiutare zia con il secondo e gli antipasti. Verso metà pomeriggio è venuta mamma ad aiutare la gemella, che l’ha chiamata sull’orlo di una crisi isterica.
“Non vorrai davvero mollare le posate a tua sorella, Jim!” strepita mamma, cogliendo mio fratello in flagrante.
Noi ragazzi siamo stati ingaggiati per preparare la tavola enorme allestita in sala. O meglio, mamma, zia Val e Alicia hanno disposto i posti, i segnaposti, le candele, i piatti in porcellana e i bicchieri raffinati. Noialtri non dobbiamo fare altro che mettere le posate e i fazzoletti.
“Ha il gesso, deve stare a riposo” continua mamma, puntando le mani sui fianchi.
“Mamma posso benissimo aiutare!” ribatto irritata.
“No, tesoro! Hai già lavorato troppo essendo in convalescenza, ok?” mi riprende lei. “Adesso io e te ci andiamo a preparare per la sera” continua, sorridendomi docilmente.
E così dicendo fa un cenno a Jim per esortarlo ad andare a mettere le forchette in tavola e mi porge le stampelle.
La seguo fino alla mia stanza, dove lei ha messo un piccolo trolley con tutto l’occorrente per lei e i miei fratelli per la sera. Neanche dovessimo andare a un gran galà.
Scegliamo insieme i vestiti per me e ci mettiamo parecchio più tempo del previsto, poiché non andiamo affatto d’accordo riguardo il vestiario. Io sono per uno stile rock, grunge, mentre lei adora le cose femminili.
Alla fine zia Val viene a dirci che dobbiamo muoverci e corriamo a farci la doccia, che già richiede diverso tempo più del previsto per via dell’ingombrante gesso.
Dopo la doccia mamma non ha più tempo per discutere con me del vestiario, in quanto gli ospiti saranno da noi entro mezz’ora scarsa. Così Cherie e Alicia, già pronte, mi aiutano.
Una volta pronte tutt’e tre, ci mettiamo davanti allo specchio enorme che campeggia su una parete della stanza di Cherie e ci osserviamo compiaciute.
Alicia indossa un leggings nero e un enorme maglione di lana viola, di quelli che andavano di moda negli anni ’80. Ai piedi ha un paio di Creepers altissime, si è truccata con tanto mascara e un po’ di matita viola. Sta d’incanto, per non parlare dei capelli! Li ha avuti blu, neri, rossi, arancioni, con i colpi di sole, tutti neri con un ciuffo verde, sopra neri e sotto biondi e rasati a sinistra con un enorme ciuffone blu dall’altro lato. Al momento li ha in una cresta castana alta dieci centimetri.
Cherie, al mio fianco, si sta passando una mano lungo i fianchi, che ha sempre considerato troppo larghi ma che sono assolutamente perfetti. Lei indossa un vestito color panna lungo fino alla metà delle cosce, aderente e che le mette in risalto il seno. Ai piedi porta delle zeppe non troppo alte e ha truccato gli occhi con un leggero ombretto rosso, dice che è per restare in tema natalizio.
Io, da parte mia, sono un mostro accanto a loro. Porto un vestitino per far piacere a mia madre, nero e con le borchie attorno al punto vita per compiacere me. È scollato, dunque porto anche un copri spalle a maniche lunghe, anch’esso nero. Al piede non ingessato ho messo una mia amata Dr. Martens e mi sono truccata gli occhi di nero.
“Ragazze, venite?” ci chiama zia Val, comparendo sulla porta insieme a mia madre.
Seguiamo le due donne in sala, dove gli uomini ci aspettano seduti sul divano. Non riesco a sopprimere una risatina, vedendoli tutti vestiti a puntino. Zia Val deve aver costretto i suoi uomini ad indossare giacca e cravatta, mentre Johnny, che è quello che sembra più impacciato, deve essere stato costretto a sua volta a cambiarsi. Ora indossa un pantalone elegante e una camicia bianca. Papà e Zacky credo che si siano messi d’accordo. Papà indossa un pantalone beige e la camicia nera con la cravatta rossa, mentre Zack un pantalone rosso con la camicia bianca.
“Connor, non azzardarti a toglierti il papillon!”
Mamma e Connor stanno litigando sulla porta della cucina. Mamma deve aver obbligato lui e Jim a mettersi lo smoking e, anche se le giacche di entrambi sono già sull’appendiabiti dietro la porta, vuole che almeno Jim porti la cravatta e Connor il papillon.
“Ma mamma...” protesta questi sbuffando, nell’esatto momento in cui suonano il campanello.
I miei nonni, Brian Sr. e Suzy, entrano in casa sorridendo e sorreggendo in due un cesto enorme e un vassoio di dolci. Anche se di solito non ci vediamo proprio spessissimo, ultimamente sono venuti a trovarci frequentemente dato che entrambi si sono preoccupati per me.
“Buon Natale” esclama mio nonno gioviale, abbracciando Connor, in assoluto il suo nipote prediletto, con la mano libera dal cesto.
Mentre io zoppico verso i miei nonni per salutarli, il mio gemello e zio Matt portano il cesto fino all’albero di Natale. L’albero l’ha scelto Zacky, è enorme e arriva quasi fino al soffitto, l’ha addobbato con tantissime lucine bianche e palline rosse. Credo che ci abbia messo una giornata intera.
Dopo qualche minuto la casa è così gremita di gente che a stento riesco a muovermi. Saluto tutti alla rinfusa, abbracciando per sbaglio mia zia McKenna due volte. Tutti hanno portato tantissimi regali, così tanti che mi chiedo cosa mai avrebbero escogitato se mai tra di noi ci fossero stati anche dei bambini.
Solo dopo aver ascoltato una lunghissima raccomandazione sullo stare attenti al gesso del signor Seward riesco a prendere posto a tavola. Per fortuna hanno pensato bene di mettere noi ragazzi a un lato e gli adulti dall’altro. Diciamo che siamo disposti per età.
Al capo tavola dell’altro lato c’è il padre di Zacky, che chiacchiera animatamente con mio nonno e col padre di zio Matt, seduti al suo fianco. Appena dopo ci sono il padre di Johnny e tutte le mogli. Mamma, zia Val e Amy, la sorella di zio Matt, parlottano sottovoce, tutt’e tre sedute vicine.
“Nicole...” mi chiama Cherie, dandomi di gomito dal capotavola.
“Dimmi”.
“Credi che ne usciremo vive?”
Sorrido, notando che gli Avenged Sevenfold si sono improvvisati camerieri e stanno portando maldestramente i piatti con gli antipasti. Zio ride animatamente, mettendo il piatto dinanzi alla sorella e dandole un bacio sulla guancia.
“Sì, sempre se zia non delira un’alta volta” le rispondo sottovoce.
Dopotutto ora pare tranquilla, oserei definirla persino rilassata. Ma, non so, forse impazzirà nuovamente notando che i piatti che Zacky porta traballano più... ehm, molto più del normale.
“Eccoti servita, tesoro” ride papà, posando il piatto dinanzi a me.
“Grazie” gli rispondo, pronta a tuffarmi sul cibo.
Improvvisamente mi arriva un messaggio, da un numero che non conosco.
Buon Natale piccola Haner. Scusami per aver parlato col dottor Baker di ciò che ti è successo... spreco il mio tempo facendomi prendere a pugni da te e chiedendoti scusa, lo so, ma non sono perfetto. Spero che tu stia bene e ti prometto che a scuola se avrai bisogno di aiuto col gesso io ci sarò. Sei bellissima, te l’ho mai detto?
Questo c’è scritto, e anche se non è firmato so che è Lorenz. E non riesco ad arrabbiarmi con lui per aver parlato di me con lo psicologo.
Dice che sono bellissima, dannazione.
“Non mangi?” mi chiede Connor, sorridendomi con la bocca piena di cibo.
“Ma sei matto?” gli dico, sorridendo a mia volta. “Mangerò tanto che mi sentirò male.”
E infatti mangiamo così tanto che mi sorprendo di non scoppiare o di non correre a vomitare. Zia Val è stata mitica, davvero. A partire dall’antipasto vario e squisito, passando per le lasagne buonissime al coniglio delizioso fino ad arrivare alla valanga di dolci su cui tutti quanti ci avventiamo.
Alla fine della serata ci ritroviamo in sala, con zia Val e mamma che rimettono a posto le ultime cose. Sono quasi le due di notte e i genitori e il fratello di Zacky sono appena andati via, lasciandoci soli.
“Suoniamo qualcosa?” propone papà, alzandosi dal divano su cui era spaparanzato per andare a prendere la sua chitarra.
“Certo” esclama Zacky, seguendolo di corsa insieme a Johnny.
Ci ritroviamo immersi nella musica. Cantiamo, suoniamo, ridiamo, balliamo sul divano, sulle sedie. Io, al massimo, posso ondeggiare sul posto aggrappata a qualcuno, ma mi va bene così. Mi soffermo a guardare i miei fratelli e Nathan, che improvvisano delle mosse pelviche davvero esilaranti; poi guardo Cherie e Alicia che ballano sulle sedie. Guardo zio Matt che canta e prende a pugni Johnny, stuzzicandolo e cercando in ogni modo di farlo sbagliare, mentre lui resta imperterrito con lo sguardo fisso su quelle quattro corde che tanto ama; sembrano essere tornati ragazzini. Rivolgo lo sguardo a Zacky che suona la sua chitarra senza badare ad altri. Osservo mio padre, infine, che, seduto al mio fianco, suona come se fosse nato sapendolo fare e rivolgo lo sguardo alla fotografia del Rev sul pianoforte. Gli sorrido, perché so che è con noi anche adesso, a ridere e a cantare.
Sono a casa.












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Siamo giunti all'ultimo capitolo prima del prologo! ...ammetto che sento già la mancanza di questa storia, ma intanto sto pensando seriamente di scrivere un prequel o forse, ma meno probabile, un  sequel.

Spero vi piaccia il capitolo, aspetto con ansia di farvi leggere il prologo.
Siete tutti bellissimi,
Echelon_Sun

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Capitolo 29
*** Epilogo. ***


Caro Jimmy,
ti sto scrivendo una lettera proprio oggi che è un anno esatto di relazione tra me e Lorenz. Caspita, un anno che lo sopporto.
Non mi domandare come possa essermi passata per la testa l’idea di scriverti, so solo che in questo momento sento il bisogno di parlare con te e questo mi sembra il modo migliore di farlo.
Verba volant, scripta manent, no?
Sì, hai ragione, lasciamolo perdere il latino. Oggi io e Lorenz facciamo un anno di relazione.
Devo ancora riprendermi completamente dalla festa di capodanno a casa di Johnny, a dire il vero, ma Lorenz mi ha detto che passeremo la giornata insieme e ormai gliel’ho promesso. Come lui non risenta ancora dei postumi di tutto quello che abbiamo bevuto e fumato, resta un mistero.
Comunque io sono ancora sfinita, sento addirittura la testa pesante come se fossi ancora sbronza, ma ci tengo a uscire con lui oggi.
Quando penso a come siamo finiti a metterci insieme, mi viene sempre da ridere. Lo guardo negli occhi, spesso, e lo rivedo ghignante prima che gli tiri un pugno davanti scuola. Ripenso spesso alla nostra prima conversazione da persone civili davanti lo studio dello psicologo che ci teneva entrambi in cura e che ambedue abbiamo poi abbandonato e mi viene da ridere.
Era lo stronzo, bullo, ripetente, ai miei occhi, il ragazzo che ho baciato allo scoccare della mezzanotte. Era per me un bastardo che non perdeva occasione per insultare me, gli altri e i Sevenfold, ed è stato colui con cui ho fatto l’amore.
Lo amo. Oh, dannazione, lo amo tanto che anche nelle giornate più buie riesce a farmi tornare il sorriso solo con uno sguardo.
Quando portavo il gesso mi scorrazzava da una parte all’altra della scuola tenendomi sulla sua schiena forte e scatenando le chiacchiere di tutti i nostri compagni, e per questo gli sarò sempre grata. Quest’estate non ha rinunciato neanche a un singolo pomeriggio in spiaggia con me anche se c’erano i miei fratelli che non gli risparmiavano nessuna occhiataccia e per il compleanno mi ha regalato un weekend a Long Beach. Soli io e lui in un albergo da quattro soldi, abbiamo fatto l’amore per la prima volta e per la seconda e la terza e la quarta. E dopo il mio compleanno siamo tornati a Huntington Beach più innamorati che mai.
Lo sai che anche Cherie, Alicia e Connor si sono fidanzati?
Connor è stato il primo. Il mio fratellone combina guai ad aprile dell’anno scorso ha fatto la corte a una ragazzina più piccola di noi di anno, bruna, minuta e dallo sguardo dolce. È un po’ troppo pacata, per i miei gusti, ma in questo modo compensa il carattere esplosivo del mio gemello.
Insieme sono divertimento puro. Lui che non sta fermo un attimo e che se la trascina dietro come un pupazzo e lei che si lamenta e piagnucola al suo seguito che vuole riposare.
Però, seriamente, stanno bene insieme. Connor lo vedo molto preso da lei, non smette un momento di parlare dei suoi occhi, del suo sorriso, del suo corpo perfetto, delle sue passioni eccetera eccetera.
Poi, se lei è in grado di sopportarlo e di stare a sentire tutte le cavolate che dice ogni quindici secondi, significa che è davvero innamorata e Connor se lo merita un vero amore.
Cherie si è fidanzata a luglio. Sta insieme a un ragazzo alto, magro e dagli occhi neri. È un ragazzo perfetto per lei, che la coccola molto, la prende in braccio se per terra ci sono le pozzanghere e lei porta le ballerine, che le ripete spessissimo che la ama e le regala le rose rosse a ogni mesiversario.
Cherie ha proprio bisogno di uno così, dolce e protettivo nei suoi confronti, e questo ragazzo è talmente tanto gentile che persino Zacky non ha avuto da ridire sul suo conto.
Alicia, infine, si è fidanzata a ottobre con una sua coinquilina. Sì, avete capito bene. Non solo Alicia Sanders ha deciso, per il college, di convivere in un misero appartamento con altre persone sconosciute, ma si è anche fidanzata con una donna.
Sono stupende, insieme. Chiunque le abbia viste passeggiare mano nella mano, scambiarsi un’occhiata o anche solo stare sedute una accanto all’altra a pranzo può confermarlo. Sembrano calamitate una all’altra, sembra che i loro sorrisi si susseguano a ruota, quando sono insieme, e le frasi che una non sa come completare sono sempre finite dall’altra.
Zio Matt, quando Ali gli ha rivelato che il suo nuovo fidanzato si chiamava Mary, ha perseguitato per giorni papà e Zacky chiedendosi se non fosse stata colpa della loro cattiva influenza.
Ma tu tutto questo già lo sai, no?
Dopo averti incontrato ti sento vicino più che mai, Jimbo, mi sento come se una presenza costante e invisibile fosse con me e mi sorvegliasse.
Dovresti sapere anche che Zacky è finito in ospedale un paio di mesi fa, quando erano in tournèe. Quella sera era nervoso, il giorno dopo avrebbero avuto un concerto importante e non è riuscito a tenere a bada la tentazione di fumare. Ha fumato venti sigarette di mio padre una dopo l’altra e poi ha avuto un attacco d’asma tanto forte che persino l’infermiere che lo ha caricato sull’ambulanza si è spaventato.
Non ti dico quanto ha pianto Cherie quando ha saputo che suo padre era ricoverato in ospedale a Orlando e lei non poteva far di meglio che parlargli per telefono da Huntington Beach.
E penso che sia chiaro, a questo punto, che gli Avenged Sevenfold ora lo sorveglino come se fosse un bambino parecchio spericolato. Papà, tra l’altro, ogni volta che litigano non fa che rinfacciargli questo episodio.
E, a proposito di papà, oltre il pestaggio che ha subito il giorno dopo dell’anniversario della tua morte nessun’altro dei suoi vecchi clienti ha tentato di contattarlo.
Te lo ricordi quel giorno, Jim?
Io me lo ricordo perfettamente e anche se è passato più di un anno ricordo ogni minima sfumatura dei suoi lividi sulla pelle, ricordo il suo tono di voce strascicato, il suono dei singhiozzi sommessi di Zack, le mani di Connor tremanti che lo aiutavano a togliersi la maglietta. Ricordo alla perfezione ogni minimo istante di quei momenti.
Per fortuna dopo quell’episodio non ce ne sono altri e oggi posso dire che papà si è ufficialmente tirato fuori dal commercio in nero delle armi.
Mia madre si sta frequentando con un uomo da un paio di mesi e mi fa immensamente piacere sapere che si sta rifacendo una vita e noi abbiamo formato una band.
Esatto, abbiamo formato una band.
Dopo essere uscita dal coma ho passato molti pomeriggi chiusa in camera mia con la musica a tutto volume cantando a squarciagola ed è stato in uno di quei pomeriggi che zio Matt mi ha sentita cantare.
Dire che è rimasto strabiliato, significa dire poco. Per ore si è proferito allegramente sulla mia tecnica vocale, sulla mia tonalità alta e sul mio timbro graffiante, il tutto blaterando che mio padre aveva dovuto fare parecchi esercizi per affinare la tecnica e non stonare mentre io ero assolutamente perfetta pur non avendo mai studiato canto.
E così è nata anche l’idea della band.
Connor si è subito piazzato come primo chitarrista, Nathan come chitarrista ritmico, hanno messo me al microfono e, dopo molte perplessità da parte del mio gemello, siamo stati d’accordo nell’offrire il posto di batterista a Lorenz.
Sicuramente lo avrai sentito suonare, James, e non puoi non dire che sia davvero un bravo batterista. Forse, dopo Connor, quello che più ci sa fare è proprio lui.
Ci mancava un bassista, in ogni caso, ma l’abbiamo trovato in fretta. Si chiama Patrick ed è uno dei migliori amici di Lorenz. È un tipo simpatico, Pat, basso, con gli occhi scuri sempre vispi e sorride sempre. Ormai è uno di noi.
Ora stiamo tutti bene Jim.
Stiamo tutti bene, davvero, e quest’estate i Sevenfold ci porteranno con loro per la tournèe europea. Hanno addirittura detto che la nostra band potrebbe aprire i loro concerti e, anche se non credo che siamo pronti a suonare davanti a tutta quella gente, mi tremano le ginocchia al solo pensiero. Poi sosteremo qualche giorno a Londra. Non vedo l’ora!
Anche io sto bene, per la cronaca, e cerco in ogni modo di tener fede alla promessa di non avere mai paura che ti ho fatto. Mi sento bene, ora, Jimmy. E mi sento giusta.
Nicole











 
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...e con questo capilolo dichiaro conclusa la Fan Fiction!
È stata la mia prima long, questa, e devo dire che sono rimasta molto contenta del risultato. Ho ricevuto splendide recensioni e moltissime visualizzazioni. Quando ho visto che alcuni avevano inserito la mia storia addirittura tra le preferite sono rimasta a dir poco sioccata!
Vi ringrazio infinitamente tutti quanti, in modo particolare coloro che si sono proferiti in complimenti per il mio modo di scrivere e per la trama. Grazie mille a tutti quelli che sono arrivati fino a questo capitolo e che hanno apprezzato il prodotto della mia mente non del tutto sana.
Grazie, grazie, grazie,
Echelon_Sun

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