La valse des équivoques

di suni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo movimento: Sirius ***
Capitolo 2: *** Secondo movimento: Remus ***



Capitolo 1
*** Primo movimento: Sirius ***


Parentesi in due parti che fa luce sui cambiamenti e le distanze che possono portare due amici al fraintendimento totale, con tutto quel che ne consegue, sulla logorazione e le ferite che si infliggono in nome dell’affetto, perché non sempre essere amici è sinonimo di correttezza.

Buona lettura.

suni

 

 

 

 

 

La valse des équivoques

 

 

Primo movimento: Sirius

 

 

Sono le nove di sera e l’appartamento è buio, freddo. Sei stato fuori tutto il giorno – riunione, sopralluogo, pranzo, capatina al Ministero, rapido ragguaglio con un paio d’altri membri, ricerca sul campo – e il fuoco non è stato acceso da ieri.

Metti la legna nel camino prima ancora di sfilarti il mantello, hai il naso gelato per la corsa in moto nel cielo gelido e le dita della mani violacee, perché hai di nuovo dimenticato i guanti da qualche parte. La fiamma crepita prendendo vita, è luminosa e vivace e riverbera il rosso sulla parete, sul pavimento, sulla tua pelle. E’ una bella sensazione e per un attimo sorridi, accovacciato sul pavimento della tua mansarda vuota e semibuia. Hai lasciato il casco in terra in mezzo alla stanza e le chiavi sul tavolo, tra alle stoviglie mai sparecchiate della cena di ieri.

Dovresti almeno accendere la luce, ma non ne ti va. Pensi che ti farebbe male agli occhi, stanchi e pizzicanti per il vento; inoltre non hai voglia di luce, sei d’umore cupo. Ti senti affaticato, impotente e totalmente inutile. Hai la sensazione di non essere che un granello di sabbia talmente microscopico che non lo si può vedere a occhio nudo, davanti alla  vastità di un mondo immenso.

Non era così che avevi immaginato le cose; non è questo che ti aspettavi al castello, non è la vita come l’avevi vagheggiata. Hai sempre pensato che non sarebbe mai cambiato nulla, che avresti continuato ad essere Padfoot, un pezzo da novanta. Che tu, Prongs, Moony e Wormtail sareste rimasti qualcosa di significativo, qualcuno che non può passare inosservato: come quando scendevate dalla torre per colazione e gli altri studenti si voltavano a guardarvi passare, un po’ ammirati, un po’ sprezzanti, comunque mai indifferenti.

Voi eravate i vincenti: quelli che la fanno sempre franca, che in un modo o nell’altro cadono sempre in piedi, che bene o male arrivano sempre a ottenere quel che sperano. Hai avuto dei buoni MAGO senza mai troppo sforzarti ed evitato l’espulsione così tante volte che quasi hai perso il conto, persino quando hai quasi fatto ammazzare quell’idiota di Snivellus. Hai fatto piegare ai tuoi piedi schiere di ragazzine e ti sei beato dell’ammirazione che i tuoi occhi argentati e il tuo sorriso sfavillante suscitavano. Hai tentato ogni genere di impresa spericolata – dall’animagia alle incursioni nella Foresta Proibita – nella certezza che comunque fosse andata si sarebbe concluso tutto bene, hai partecipato a decine di progetti eccitanti ed esilaranti e hai riso fino alla nausea con i tuoi migliori amici, spesso per notti intere.

E adesso non riesci a capire dove sia finito tutto questo.

Niente di quello che hai intorno corrisponde all’immagine che ti eri costruito in mente della tua vita nel mondo adulto. Né la tua mansarda silenziosa né il volto teso e smagrito di James, o la paura che accompagna ogni giornata di tutti voi. Pensavi che sareste stati eroi, che avreste compiuto grandi imprese ma di fatto l’unica cosa che riuscite a fare, e nemmeno troppo bene, è rimanere a galla. Annaspando.

Ti eri fatto l’idea che in quanto Gryffindor un certo numero di cose di te fossero scontate: che chiaramente sei dalla parte della ragione, che agisci nel nome di quel che è più giusto, che meriti il rispetto dovuto a chi non si fa piegare dalla paura – e tu non lo permetti mai, è il tuo punto d’onore – e che non sei una persona qualunque. E i tuoi amici con te. Siete i Marauders, per Godric, anche se ormai non lo si crederebbe più.

Ma non è vero niente. Hai incontrato la realtà e il pugno che ti ha tirato in piena faccia è stato così forte che ti ha lasciato perpetuamente frastornato. Non interessa a nessuno che tu sia un Marauder e nemmeno che tu sia un Black, per quel che può valere. Le divisioni nette cui ti eri abituato nei corridoi di Hogwarts non esistono più e ci sono soltanto confusione e paura.

E no, non hai voglia di accendere la luce, di lasciare che i suoi raggi rivelino più crudamente e vivamente la realtà che hai intorno. Preferisci rimanere nella penombra per qualche altro minuto e covare la tua illusione di cecità, per tenere il mondo un po’ più lontano ed esserne meno amareggiato.

Padfoot.

Soltanto un gioco di parole.

E vorresti sapere dov’è Remus, perché non l’hai trovato a casa sua eppure ieri aveva detto che sarebbe stato lì per tutto il giorno, ma non c’era, di nuovo. Lo hai aspettato per quasi due ore perché volevi una spiegazione e lui non è arrivato.

Hai la nausea e vorresti solo metterti a dormire, ma la tua mente è perfettamente lucida e sveglia e non ti dà tregua. Non riesci a smettere di pensare alle tue due vite – quella di prima e quella di adesso – e notare quanto il confronto sia avvilente.

Le immagini si sovrappongono in una schiacciante sconfitta.

 

La sciarpa rossodorata che portavi sempre al collo era il simbolo di una vittoria. Ti sentivi fiero di indossarla e per questo lo facevi anche quando non c’era motivo. Quel pomeriggio non faceva particolarmente freddo ma tu te l’eri avvolta intorno lo stesso, come al solito.

“Lo andiamo a cercare?” ti ha proposto James ansiosamente, vedendo che ti vestivi.

“Sì, certo,” hai confermato tu.

Vi siete guardati negli occhi per qualche secondo, cauti, sotto lo sbirciare inquieto di Peter. I vostri sguardi si sono fatti sicuri – la stessa sfumatura di decisione nelle iridi – e poi anche James si è infilato il mantello.

“Aspettaci qui, Peter, nel caso tornasse,” ha suggerito sicuro.

L’altro ha annuito, quasi sollevato. In quel momento hai pensato che fosse davvero un codardo, ma poi ti sei placato bonariamente: sapevi com’è fatto Peter, non c’era niente di sorprendente.

Siete usciti fianco a fianco dal dormitorio e poi dalla Sala Comune. Avete elargito qualche cenno di saluto agli studenti di vostra conoscenza che come voi si affaccendavano nei corridoio per le attività più disparate, cercando con gli occhi qualche traccia del vostro amico. Avete girovagato per tutto il castello e poi siete usciti, lungo la riva del lago.

Parlavate poco, concentrati nella vostra ricerca: ma non era un silenzio fastidioso quello che condividevate, non metteva a disagio. Ogni tanto uno dei due pronunciava qualche parola a cui l’altro rispondeva di buon grado, con indolenza. Vi siete messi a ridere come i tredicenni che di fatto eravate quando avete visto Snivellus camminare in corridoio col suo solito carico di libri e James gli ha puntato contro la bacchetta e li ha fatti cadere tutti, sparpagliandoli sul pavimento.

Va la siete svignata sghignazzando per qualche minuto prima di ritrovate la compostezza solerte consona alla vostra ricerca.

Ma non riuscivate a trovarlo.

“Ci dividiamo?” ti ha proposto allora James, indeciso.

Hai annuito risoluto, gettando uno sguardo intorno per riflettere.

“Io vado verso le serre e dalle parti di Hagrid,” hai deciso, allontanandoti di un passo.

James ti ha fatto un cenno di assenso, prima di indicare un punto vago alle proprie spalle.

“Io vado dall’altra parte. Forse verso il platano, poi faccio il giro del lago.”

Vi siete scambiati un cinque rapido e uno spintone prima di separarvi, incamminandovi ciascuno in una direzione diversa con velocità e una certa premura.

Alle serre non c’era nessuno, tranne Alice con un paio di ragazze di Hufflepuff che controllavano la crescita delle Mandragole. Hai chiesto loro se hanno visto Remus Lupin, ma ti hanno risposto di no con disattenzione, vagamente sorprese perché di norma ciascuno di voi quattro sapeva sempre dove si trovano gli altri, era una storia che andava avanti da due anni e rotti.

Nemmeno Hagrid ti ha saputo aiutare, poi ha tentato di offrirti i suoi terribili biscotti con una tazza di tè ma hai declinato decisamente l’invito giustificandoti con la motivazione della fretta e dei compiti da fare. A quel punto hai pensato di tornare al castello e provare a vedere se per caso si fosse infilato in qualche aula vuota, anche se l’impresa di controllarle tutte ti avrebbe portato via giorni interi ed era evidentemente inattuabile.

All’ultimo hai deviato per controllare il limitare della Foresta. L’hai trovato seduto su un ripiegamento del tronco di una quercia, in una minuscola radura che dà proprio sul fitto della boscaglia. Non ti ha sentito arrivare – sapevi essere molto silenzioso, all’occorrenza, anche se nessuno se lo sarebbe aspettato da un confusionario come te – e sei rimasto a guardarlo strappare via gli steli d’erba da terra con amarezza, le labbra serrate per la rabbia e gli occhi rossi.

Ti ha fatto tenerezza e ti sei sentito dispiaciuto per lui.

“Remus,” lo hai chiamato a voce bassa.

Quando ti ha visto ha spalancato gli occhi e stretto forte i pugni, ha voltato la testa dall’altra per dimostrarti distacco ma eri sicuro che fosse soltanto paura. Era una sensazione che conoscevi, avevi già sperimentato il rifiuto.

“Sei venuto per aggiungere ancora qualcosa?” ha chiesto freddamente mentre ti avvicinavi.

“Sono ore che ti cerchiamo,” hai risposto con inusuale pacatezza, ignorando per una volta una provocazione.

“Sì, avete dimenticato di chiamarmi schifoso ibrido, ma non era il caso di affannarsi tanto per farlo,” ha ribattuto lui, ostile.

Hai visto la sua spalla tremare per la tensione e ci hai appoggiato una mano automaticamente. Ti è venuto in mente tutto quel che ha sempre detto tua madre sui licantropi e ti sei reso conto istantaneamente che non credevi a una parola, non una. Che non ci volevi credere e non ti interessava.

“Occhio, che mordo,” ha mormorato Remus divincolandosi finché non si è liberato delle tue dita sulla sua scapola.

“Non essere ridicolo, Lupin,” lo hai redarguito meccanicamente, usando la stessa espressione che utilizzava lui di solito nei tuoi confronti. “Non ho certo fatto il giro della scuola per venirti a dare dell’ibrido.”

Lui non ha risposto, continuando a darti la nuca, e tu ti sei seduto lentamente di fianco a lui, in modo abbastanza rumoroso da renderglielo noto.

“Che cosa vuoi?” ti ha chiesto freddamente.

“Farti un culo così,” hai risposto vivacemente. “Perché sei un gran contapalle e ci hai presi per il sedere per più di due anni.”

Avresti voluto aggiungere che era questa la cosa importante, non il fatto che lui fosse un licantropo in sé. Vi aveva mentito per molto tempo e questo era scorretto e inaspettato, vi ha feriti. Invece non hai detto più nulla, perché non sei mai stato bravo come lui con le parole e ti è sempre riuscito molto meglio spiegarti per gesti espliciti.

“Non sapevo se avreste capito. E non mi sono sbagliato,” ha risposto Remus a voce bassa.

“Ti sei sbagliato eccome, invece,” hai risposto tu piccato. “Perché abbiamo capito e va bene così.”

Per qualche secondo il silenzio è stato così intenso che ti ha dato fastidio. Poi Remus si è girato, lentamente, fino a guardarti in faccia con incredulità. Ha allungato lievemente il collo verso di te, come se non riuscisse a vederti bene.

“Va bene cosa?” ha chiesto in un mormorio.

Ti sei stretto nelle spalle con una smorfia quasi d’imbarazzo, poi hai sollevato la testa  verso l’alto e hai lanciato un ululato. Non sapevi perché lo stavi facendo, ma ti davano fastidio tutta quella serietà e l’ansia nella sua voce. Eri un buffone, in fondo, e un bambino.

Remus ti ha guardato ancora per qualche secondo e poi gli è sfuggito un risolino esterrefatto, emesso quasi sottovoce.

“Sul serio?” ha chiesto a bocca aperta.

Ti sei quasi arrabbiato, perché ti aspettavi più fiducia di così e non gli avevi mai dato ragione di dubitare di te e della tua lealtà. Eri il tipo di ragazzino che crede ciecamente nell’importanza dell’amicizia ed era per questo che ti sentivi offeso. Per questo e perché tu eri sempre stato sincero ed onesto, anche quando non era facile, e invece Remus aveva mentito un’infinità di volte su una cosa molto importante e tu non te lo saresti mai aspettato da lui.

“Sì,” hai risposto seccamente. “Sul serio.”

Ha abbassato lo sguardo a terra e si è stretto nelle spalle come in un’armatura protettiva.

“Mi dispiace,” ha sussurrato, intuendo la tua delusione. “Non volevo essere falso.”

Hai scrollato la testa, celando perfettamente l’amarezza.

“Non fa niente. Non parliamone più,” hai concluso con distacco.

In fondo sapevi che non te ne saresti mai potuto dimenticare. Ma ti sembrava che non avesse importanza, che tutto sarebbe comunque rimasto come prima, e anche migliore. Non c’erano più segreti ed eri con i tuoi amici.

Siete rimasti per qualche altro minuto in silenzio e poi vi siete alzati insieme, come per un segnale prestabilito. Vi siete guardati, circospetti, poi Remus ha schioccato la mascella e digrignato i denti come per morderti e siete scoppiati a ridere.

Siete tornati verso il castello camminando uno accanto all’altro e continuando a ridere, per andare a cercare James. Andava tutto bene.

 

Il biglietto di Remus diceva che aveva troppo da fare per venire a pranzo e che sarebbe rimasto a casa a lavorare per l’Ordine. Hai mangiato uno spezzatino con Peter e quando lui, nonostante la tua insistenza, se n’è andato per un impegno con sua madre hai pensato che era un peccato trascorrere da solo il tuo pomeriggio libero e hai deciso che potevi comunque passare da Remus e disturbarlo per una mezz’ora.

In quel momento non era a casa e hai dedotto che fosse uscito per un paio di commissioni, così ti sei ripromesso di tornare più tardi, magari con qualcosa di buono per fare uno spuntino. Sei andato verso il Paiolo con l’idea di fare un salto a Diagon Alley e poco distante dalla taverna hai incontrato Kingsley e Fabian. Ti sei fermato a bere un tè con loro in un bar babbano, discutendo sommessamente dei più recenti sviluppi della situazione e dello spinoso problema della possibile presenza di una spia all’interno dell’Ordine. Ti hanno raccontato vagamente della loro indagine mattutina e tu li hai aggiornati sulle tue scoperte di ieri relative all’operato di Dolohov. Fabian si è inferocito per lo sdegno e poi vi siete salutati; mentre loro andavano a raggiungere Bones tu sei tornato da Remus e lui non c’era di nuovo.

Hai pensato che non avrebbe tardato e sei rimasto ad aspettarlo perché non avevi niente di meglio da fare. E’ arrivato dopo mezz’ora e gli sei andato incontro con un sorriso.

“Sirius!” ha esclamato lui sorpreso. “Cosa ci fai qui?”

Ti sei stretto nelle spalle e gli hai mostrato il tuo pacco con la focaccia.

“Passavo e credevo di trovarti a casa,” hai spiegato, noncurante.

“Sono dovuto uscire una mezz’ora,” ti ha raccontato lui facendoti strada in casa, e tu hai notato mentre saliva i gradini che aveva le scarpe e il fondo del mantello completamente infangati. “Dovevo vedere i Prewett,” ha aggiunto, invitandoti ad accomodarti con un cenno.

Per un attimo non ti sei potuto muovere e hai aggrottato involontariamente la fronte, perplesso. Tu eri con Fabian Prewett fino a poco prima e lui non aveva nessun impegno con Remus. Ti ha anche detto che Gideon non era in città e che stava sbrigando delle questioni con Caradoc.

Hai stiracchiato un sorriso e posato la merenda sul tavolo, mentre ti rendevi conto amaramente che Remus ti stava mentendo, e che non era la prima volta recentemente. Hai sollevato lo sguardo, lo hai guardato dritto in faccia e ci hai letto cristallina onestà. Hai continuato a guardarlo e a cercare un segno di cedimento o di colpevolezza per la mancanza di sincerità nei tuoi confronti ma non ne hai trovato traccia e questo ti ha fatto male.

Tu non mentivi. Mai. Non ai tuoi amici.

“Cosa?” ti ha chiesto lui, accennando un sorriso.

“Niente,” hai risposto scrollando le spalle.

Vi siete seduti chiacchierando pigramente, perché ultimamente non vi vedevate affatto spesso e i vostri rapporti si erano diluiti, anche se prima pensavi che non ci fosse una vera ragione, che fosse semplicemente un’altra delle cose negative della tua nuova esistenza.

Ma qualcosa si è spezzato mentre inghiottivi quella focaccia e l’offesa, e l’equilibrio che siete riusciti a mantenere durante tutti gli anni della scuola, nonostante le frizioni e gli alterchi dovuti alla vostra diversità caratteriale, si è spezzato di netto.

O forse già stava cedendo e non te n’eri reso conto.

 

Accendi la luce perché hai improvvisamente bisogno di chiarore, di sicurezza. Il fuoco nel camino sta iniziando a fare il suo dovere e riscaldare la stanza, così posi la bacchetta e ti sfili finalmente il mantello. Lasci il casco lì dov’è e ti stravacchi sul divano con uno sbuffo. Getti uno sguardo intorno al vano illuminato e ti rendi conto che non basterà accendere una luce per mandare via i dubbi e le inquietudini.

Il gufo che picchietta alla finestra ti fa riscuotere di soprassalto e con un cenno della bacchetta spalanchi l’imposta per farlo entrare. Gli sfili la busta dalle zampe e sai di che si tratta, hai invitato Remus a cena questa mattina ed è per questo che sei passato da lui nel pomeriggio, per sapere come mai non dava notizie.

Ha scribacchiato solo poche parole. non ti sorprendi del suo rifiuto ma osservi con spossatezza la frase vergata come spiegazione, Remus ti dice che è stanco e che è stato in casa a lavorare tutto il giorno.

E sai che non è vero di nuovo.

Lasci cadere in terra la pergamena e ti poggi l’avambraccio sugli occhi come se così tutto - Londra, l’Inghilterra, forse il mondo intero – potesse svanire.

Ti senti sorpassare dagli eventi ogni giorno di più.

Sei sempre stato una persona aperta, ottimista, uno che pensa che fondamentalmente c’è del buono in tutti, o quasi, che l’umanità è portata per natura al bene. Sei abituato a cogliere il lato migliore delle persone e pensare che sia quel che conta di più. Ma questa guerra aberrante ti sta lentamente cambiando e sta lacerando la luminosità delle speranze poco alla volta, anche dentro di te, anche se giuravi che non sarebbe successo.

Per questo, adesso, quel che ti viene in mente con più nitore non sono le tante albe che hai trascorso con i tuoi amici alla Stamberga, ma le piccole bugie accumulate e le incomprensioni che si sono sovrapposte poco alla volta, pure se sai che la colpa è anche tua, che non avresti mai dovuto mandare Snape alla Stamberga al quinto anno e che sei stato un cazzone. Ma questo non basta a motivare la menzogna e non è più sufficiente a trattenerti dal sospetto.

E visto che non sei il tipo che rifiuta di prendere atto delle cose che pensa, anche quando sono spiacevoli, e questa lo è più di qualunque altra, lo fai. Anche se fa male, anche se brucia e ti fa sentire vuoto e dolorante.

Remus potrebbe essere la spia di Voldemort.

E tu lo sai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua a venirmi fuori roba che non so dove collocare e così la lascio a sé.

Scusate la logorrea verbale. E’ un problema, lo so.

 

Già che ci sono, continuo a farmi pubblicità che fa sempre bene (…).

Se i Black – e non solo Sirius – vi interessano minimamente, passate da qui e ci troverete la mia versione:

 

http://black-pf.livejournal.com

  

 

 

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Capitolo 2
*** Secondo movimento: Remus ***


Secondo movimento: Remus

 

Ti stai lentamente richiudendo in te stesso, come da bambino. Più di allora, perché non ci sono più i tuoi che dormono nella stanza accanto.

Il gufo di Sirius con l’invito a cena è arrivato nel momento sbagliato. Hai passato quasi tutta la giornata tra i tuoi simili, a discutere e affannarti, correndo da un posto all’altro. Sei stanco, fisicamente e mentalmente, ti senti svuotato e smarrito perché nemmeno capisci più bene quale sia il tuo mondo, se quello in cui hai vissuto finirà o quello sordido e marginale dei reietti e degli ibridi che si allontanano dalla società.

Non hai più voglia di parlare, oggi, per questo gli hai risposto che non andrai a cena da lui. Nemmeno tu sai concepire bene cos’avresti da dire e sei quasi certo che comunque lui non lo capirebbe, non perché sia ottuso o non ti conosca abbastanza ma perché non è facile rimanere in sintonia quando si hanno sempre meno contatti.

Ed è strano, perché quello tra te e Sirius siete è stato a lungo un legame intenso, concreto, permanente. Come con James, seppure in modo diverso. Perché l’amicizia che hai con James è sicura e stabile, priva di scossoni, mentre tra te e Sirius è un continuo sbalzo di alti e bassi e parabole ascendenti e discendenti.

Ti siedi in poltrona, lasciando finalmente riposare le gambe, e ti sfugge uno sbuffo.

Sei scoraggiato e preoccupato, per i tuoi amici, per il tuo mondo. Hai paura che a James succeda qualcosa di brutto e la questione della spia ti sta logorando i nervi, perché apparentemente nessuno compierebbe un simile abominio ma qualcuno lo sta facendo. E non si riesce a capire chi.

Fatichi a dormire, così sei sempre più stanco; questo non aiuta i tuoi già labili rapporti con l’esterno. James ti ha fatto notare che non ti fai vivo quasi mai e Sirius, già lo sai, si risentirà per l’ennesimo invito rifiutato. Non dirà nulla, per orgoglio, ma glielo leggerai negli occhi al vostro prossimo incontro.

Sai che in fondo ha ragione ma non riesci davvero a sentirti colpevole. Perché più passa il tempo e più perdi la presa sulla tua vecchia realtà. Sei diverso da loro e lo scopri ogni giorno di più: non sei un pureblood, non sei ricco, non sei appariscente. Sei Remus e poco a poco vedi l’oggettiva differenza dei vostri universi personali.

L’hai sempre saputo, ma un tempo credevi che non sarebbe stato mai importante, non abbastanza da incidere sui vostri rapporti. E forse era vero, forse poteva non incidere.

Ma poi la vita ha preso questa piega strana e cupa.

O forse l’aveva già presa da tempo, quando il tuo ingenuo idealismo infantile si è scontrato col fatto che nulla è perfetto e che chiunque, anche chi mai ti aspetteresti, può ferire e colpire dolorosamente.

Anche un amico.

 

“Esci immediatamente di qui e non ti azzardare mai più a rivolgermi la parola o giuro che farò a te quel che non ho fatto a Snape.”

Non riuscivi nemmeno a guardarlo mentre pronunciavi quelle parole e la tua voce tremava talmente tanto per la rabbia che tu stesso faticavi a capire cosa stavi dicendo. Avevi la vista annebbiata e il respiro accelerato e in quel momento, se avessi potuto, lo avresti davvero ammazzato.

“Remus…”

“Vattene! Esci di qui, esci!” hai urlato, spossato, prima di tirare una botta contro il comodino accanto al letto dell’infermeria, facendolo traballare rumorosamente.

Avresti voluto alzarti e saltargli addosso, colpirlo e colpirlo ancora fino a vederlo cadere a terra e poi ancora, infierire a calci e pugni e rompergli ogni singolo osso perché sentisse quanto faceva dannatamente male essere distrutti da un amico.

Ma avevi a malapena la forza di stare seduto e comunque non sarebbe servito a niente. Non avrebbe cancellato niente di quello che aveva fatto e forse, razionalmente, era la cosa peggiore di tutte sapere quello che ti aveva strappato via, perché ti fidavi di lui e avresti fatto qualunque cosa ti avesse chiesto, gli avresti messo in mano la tua stessa vita senza pensarci su; sapere che si era preso tutto il tuo affetto, tutta la tua amicizia e l’aveva fatta a brandelli e non era giusto, non ne aveva il diritto. Perché non avevi tante cose belle ma pensavi che Sirius Black fosse una di esse, una delle migliori, e invece lui ti aveva deluso nel modo peggiore possibile, lui non era l’amico che credevi.

Lo odiavi perché non era stato capace di essere la persona straordinaria che tu avevi visto in lui. Perché ti eri illuso di conoscerlo e di poterlo stimare incondizionatamente e ti eri sbagliato. Quindi alla fin fine la colpa era tua, eri tu ad essere troppo ingenuo e non lui ad avere la responsabilità del non essere quel che esisteva soltanto nella tua testa.

“Remus, ascoltami…”

E non ti interessava che gli tremasse la voce, innaturalmente acuta, o che apparisse devastato dal pianto. Volevi solo che sparisse perché quello che aveva fatto era irrimediabile e non volevi che restasse lì davanti a te a ricordarti tutto quel che eravate stati e che aveva buttato via.

“Ti ho detto via!” hai risposto sbraitando, poi hai preso il libro che James ti aveva portato poco prima per ingannare il tempo e glielo hai lanciato contro. Eri talmente debole che il volume è caduto in terra vicino al letto, senza nemmeno arrivare verso di lui: Sirius si è chinato a raccoglierlo e lo ha posato sul tavolino senza una parola e tu hai afferrato la sua mano tremante più forte che potevi, piantandoci dentro le unghie, e ignorando il suo gemito l’hai spinta via bruscamente. La rabbia ti ha dato un’energia inaspettata e hai visto il graffio sulla sua pelle ma non ti ha fatto sentire meglio, perché era troppo poco.

“Bastardo. Vattene.”

Non avevi altro da dire né intenzione di ascoltarlo e Sirius lo ha capito. Si è guardato intorno quasi intimidito, poi si è voltato indietro e se n’è andato.

Il rumore della porta che si chiudeva ti ha colpito così forte che sei scoppiato in lacrime, hai reclinato la testa e iniziato a singhiozzare silenziosamente. James ti aveva detto che non sarebbe stato espulso, che Silente aveva deciso di graziarlo perché era uno studente dotato e perché era giovane e non sapeva cosa stava facendo. A te non interessava, tu avresti voluto che venisse mandato via e scacciato dalla scuola, lontano da te.

Se lo meritava.

Sei rimasto in infermeria due giorni e lui non è più tornato. Te ne sei sentito sollevato ma non te lo aspettavi, perché di solito faceva quello che gli pareva indipendentemente dal fatto che gli altri avrebbero preferito il contrario, invece gli hai detto di sparire e lui è sparito.

Peter e James invece sono venuti da te in ogni momento libero. Erano arrabbiati, come te. James era pallido e affranto e stava male, in silenzio. Ma tu sapevi già che avrebbe perdonato e giustificato, alla fine, come sempre. Perché per quanto lui ti ritenesse importante, e sapevi che era così, Sirius lo era di più. Anche se era un essere spregevole, anche se era un maledetto egoista profittatore, sapevi che James lo avrebbe riaccolto a braccia aperte non appena la mancanza fosse diventata troppo forte.

Ma non tu.

Per te era tutto cambiato, anche se non lo avresti mai voluto. E avevi voglia di sapere perché lo aveva fatto, proprio a te, che cosa lo aveva legittimato a compiere un simile atto nei tuoi confronti.

Poi sei tornato in dormitorio e te lo sei trovato davanti. Pallido, nervoso. Lo hai odiato ancora di più perché non aveva il diritto di stare male, era stato lui a fare tutto e a cercarsela, quindi che la piantasse.

Quando James, dopo la loro riappacificazione, ha tentato di ammorbidirti e di indurti al perdono, ti sei arrabbiato anche con lui. Perché non aveva senso che lo difendesse, era una cosa illogica e ottusa. Tu eri dalla parte della ragione e lo sapevi, non ti interessava quanto James tenesse a Sirius e anzi ti pareva un errore da parte sua, ti sembrava un gesto masochista che volesse ancora credere in lui per non dover fare a meno della loro amicizia. Sirius mancava anche a te, ma non per questo intendevi cedere. E ti sei sentito tradito perché ti aspettavi il suo pieno sostegno almeno in qualità di approvazione verso la tua, se non la sua, inalterata collera e invece James era incline a minimizzare, come sempre.

Poi una sera hai fatto tardi in biblioteca. Eri l’ultimo studente e non ti eri accorto di quanto fosse tardi finché la Pince non ti ha gentilmente buttato fuori. E Sirius era lì in corridoio, da solo. Ti aspettava.

Ti è salita di nuovo l’arrabbiatura e quando ha tentato di trattenerti lo hai spintonato, ma non si è dato per vinto ed è rimasto aggrappato al tuo braccio.

“Remus, ascoltami, per favore,” ti ha pregato, senza lasciarti andare via per quanto tu strattonassi il polso. Ti sei voltato e lo hai guardato cercando di trasmettergli il massimo disprezzo possibile.

“Non mi interessa, Black. Ti odio.”

Lui ha annuito, ancora senza lasciarti.

“Lo so. Fai bene. Però ascoltami, soltanto un momento. Tutti hanno diritto ad un equo processo,” ha insistito, accorato.

Avresti voluto rispondergli di infilarsi l’equo processo dove pensavi tu e di spingerlo bene in profondità, invece hai solo fatto una smorfia sarcastica e hai di nuovo cercato inutilmente di tirare via la mano.

“Remus, non sapevo cosa stavo facendo. Mi devi credere. Pensavo… Merlino, non lo so nemmeno io cosa pensavo. Non volevo…non mi sono reso conto di come sarebbe stata la cosa dal tuo punto di vista. Te lo giuro, Remus, non avevo intenzione di farti del male.”

Ti sentivi ancora più furioso perchè sapevi che c’era una stupida parte di te che nonostante tutto avrebbe tanto voluto potergli credere, se solo le cose non fossero state quelle che erano. Dell’enfasi delle sue parole e della genuina sincerità del suo sguardo non ti importava nulla, perché non eri più disposto a darvi credito.

“Levami la mano di dosso,” hai intimato, glaciale.

“Dammi un modo per dimostrartelo,” ha insistito lui, caparbio.

“Dimostrare cosa?” hai ringhiato, stremato.

“Che ti voglio bene. Dimmi cosa devo fare.”

Per un istante lo hai solo guardato, perché “ti voglio bene” era la frase meno Sirius che ti potesse venire in mente, così nuda e inerme, senza corazza. Ti sei sentito male perché hai pensato che magari era vera, che lui poteva essere così stupido da aver fatto quell’obbrobrio nonostante questo.

Ma qualunque cosa avesse fatto, anche se fosse tornato indietro e avesse cancellato tutto, sarebbe stato lo stesso perché tu ormai sapevi.

“Niente,” hai risposto onestamente.

“Dai. Una cosa qualunque,” ha insistito disperatamente, scuotendo la tua mano.

E ti sei sentito esplodere, stufo.

“Buttati dal cornicione e non rompere,” hai sbottato, aggressivo. Ti sei finalmente riuscito a liberare e hai fatto per andare via, finché non ti sei reso conto che lui aveva lasciato la tua mano solo per andare verso il muro e puntare la bacchetta sulla maniglia del finestrone che dà sul parco.

Ti sei immobilizzato nel corridoio, guardandolo mentre la apriva. Hai aggrottato la fronte vedendo che si arrampicava sul davanzale e rimaneva accucciato lì a guardare in basso, finchè non si è voltato.

“Non penso che sopravvivrò all’atterraggio,” ha osservato, vagamente ironico.

Cazzi tuoi,” hai sibilato, di nuovo sul punto di allontanarti dalle sue buffonate.

“Remus,” ti ha richiamato, e ti sei fermato solo perché si era alzato in piedi e quel davanzale era sottile. “Se mi butto tu mi perdoni?”

“Merlino, Black, finiscila!” hai risposto esasperato. “Non serve a niente che tu faccia il buffone, non sei divertente e mi hai scocciato! Scendi di lì e levati di torno.”

Lui ha scrollato la testa e ha fatto un passo indietro. I suoi talloni sporgevano di qualche centimetro nel vuoto e aveva allargato le braccia per mantenere l’equilibrio. Ti sei reso conto che non stavi respirando quando hai visto il suo piede sinistro sollevarsi e protendersi nel vuoto. Hai pensato che era completamente pazzo.

“Scendi di lì,” hai ordinato, mascherando l’inquietudine con imperiosità.

“Lo sto facendo,” ha annuito lui.

“Da questo lato,” hai precisato nervosamente.

“Hai detto che mi perdoni se mi butto giù,” si è limitato a rispondere lui.

Ti ha fatto uscire dai gangheri che facesse una recita per smuoverti e renderti debole, che montasse una scenetta plateale delle sue per una cosa così seria e stavi per dirgli di fare un po’ come credeva, poi lo hai visto inarcare il busto un po’ indietro e guardandolo negli occhi ti sei reso conto che era abbastanza folle da buttarsi davvero.

“Scendi di lì,” hai ripetuto, e questa volta ti tremava la voce. “Non hai motivo di buttarti di sotto.”

“No?” ti ha risposto lui scettico. “Tu non moriresti per un amico?” ha aggiunto, serio.

E ti sei reso conto che Sirius era così. Che non metteva calcoli o premeditazioni nelle proprie azioni e che agiva d’impulso, senza riflettere sulle conseguenze. In quel momento aveva deciso di dimostrarti la sua amicizia in qualunque maniera, trascurando di considerare il fatto che implicava lo sfracellarsi quaranta metri più in basso, esattamente come aveva deciso di colpire Snape senza afferrare quali sarebbero stati gli effetti.

Il suo piede, l’unico ancora poggiato sul davanzale, è scivolato ancora più indietro e Sirius ha chiuso gli occhi. Ti sei reso conto di esserti mosso soltanto quando hai capito di aver afferrato la sua gamba tirandola verso di te.

“Sirius, scendi!” hai urlato, mentre lui ti cadeva addosso e rotolavate per terra.

Sei rimasto semisdraiato a pancia in giù sul pavimento, mentre lui, pallido e supino, boccheggiava. Ti ha guardato ed ha sorriso e tu hai voluto convincerti che sarebbe passato tutto senza lasciare strascichi, che potevate dimenticare. Hai strisciato in avanti e hai appoggiato la testa sul suo stomaco per essere sicuro che fosse davvero lì e non spappolato ai piedi delle mura.

“Cosa ti è saltato in testa?” hai sussurrato contro la sua camicia.

“Niente. Ero sicuro che mi avresti fermato e in caso contrario me lo meritavo, di finire maciullato,” ti ha risposto lui, con la voce un po’ tremante.

Non sapevi nemmeno cosa rispondere e sei rimasto zitto di nuovo, restando a respirare il silenzio del corridoio deserto finché Sirius non ha ridacchiato sommessamente.

“Siamo pari con la storia della licantropia occultata,” ha mormorato, sempre ridacchiando.

Coglione,” hai borbottato tu. Avevi voglia che tornasse tutto come prima e che foste ancora gli stessi, anche se non sapevi esattamente prima di cosa.

Ma eri più leggero.

 

Adesso sai che la vita non è una partita a Quidditch e che due tiri andati a segno non riportano la situazione al punto di partenza. I colpi incassati rimangono e incidono in profondità, anche se capita di non rendersene conto a lungo.

L’episodio dello scherzo a Severus non è sparito dopo essere stato perdonato. Ti è rimasto sulla pelle e ha intossicato lentamente il tuo legame con i tuoi amici. Poco a poco, senza che te rendessi conto, la delusione che ti era restata incollata alla carne ha messo allo scoperto tante piccole cose che avresti voluto non vedere. Cose insignificanti, microscopiche, ma che si sono accatastate una sull’altra. E’ stato il tuo modo stesso di guardare a loro che è cambiato e non hai potuto farci niente.

Dici che è perché in ogni caso crescendo si cambia la propria maniera di concepire gli affetti, come quando ci si rende conto che anche i propri genitori sono semplici esseri umani, e forse è davvero soltanto questo. Ma quell’episodio ti è rimasto vivido nella memoria e anche se vuoi bene a Sirius, come ne vuoi a James e Peter, non hai più nutrito quella cieca fiducia.

Forse potevate approfondire la cosa ed estirparla, ma fuori dal castello c’è un mondo che ha assorbito in altri modi la vostra attenzione, c’è una guerra da combattere che chiede dei sacrifici, e i rapporti umani sono tra essi. Non avete veramente tempo per voi, se non il minimo indispensabile a aggiornarvi vagamente sulle vostre vite. Li hai visti cambiare: James sempre più stanco e ansioso, Sirius cupo e tormentato, Peter pavido e ritroso. Hai visto l’allegria smettere un po’ alla volta di permeare i loro gesti e le loro risate farsi meno convinte, come la tua. Questo te li ha resi ancor più cari, perché nei loro occhi leggi la tua stessa pena e lo stesso attaccamento, ma anche più distanti, perché state crescendo ma non più così insieme. Non dormite più ogni notte nella stessa stanza.

Soprattutto tu e Sirius siete un filo debole che si sta logorando. Non sei mai stato eccessivamente attaccato a Peter e la vostra distanza è qualcosa di normale, ma fatichi a tenere dietro al baratro che si sta frapponendo tra te e il rinnegato dei Black. Discutete spesso, vi scontrate per delle banalità relative agli incarichi da portare a termine, a piccolezze insignificanti. Lo vedi via via più ostile, più distaccato, e non capisci perché.

Da un lato ti sta persino bene, perché avete sempre avuto un legame violento. Siete sempre stati un’altalena di sensazioni rapide brutali, l’avversione dei primi mesi di scuola, la scherzosa, amichevole guerriglia di caratteri opposti del secondo anno, il viscerale attaccamento seguito alla scoperta della tua licantropia, la confidenza assoluta del quarto anno e la rottura brutale del quinto, i successivi alti e bassi; da sempre gestire te e Sirius richiede un impegno di cui al momento non disponi, assorbito come sei dalla lotta in corso nel mondo magico. Sai che per lui è lo stesso.

Questa mancanza di chiarezza tra di voi vi rende spigolosi. Spesso il suo comportamento ti innervosisce e lo stesso vale per lui, perché diversi come siete non vi è facile capirvi se non siete in stretto contatto, vi mancano troppi passaggi della logica dell’altro.

Ti dispiace, seriamente. Ma le cose stanno così.

Non hai mai creduto davvero che dopo la scuola il mondo sarebbe stato ai vostri piedi, ma non avevi previsto neanche che sarebbe stato così faticoso. Eri abbastanza convinto che vi sareste barcamenati più o meno bene, unendo gli sforzi, e per certi versi è così. James ti aiuta economicamente e per quanto ti imbarazzi gliene sei grato, perché lui ha anche troppi soldi e tu nemmeno un po’ ed era nella sua natura rimediare al dislivello. Sirius ha continuato per tutto il primo anno dopo il diploma a condividere i tuoi pleniluni, diradando man mano la sua presenza a sporadiche occasioni.

E anche tu hai fatto cosa potevi per loro. Ma qualcosa non è andato bene lo stesso. Ed è per via della guerra e del modo in cui annienta la vostra vita quotidiana, ma è anche perché Sirius e James, in fondo, hanno più cose in comune tra loro di quante ne abbiano con te; hanno poco tempo libero e quel poco amano trascorrerlo insieme, loro due. E ti va bene così, li capisci. Sai che comunque tengono a te.

Ma questo diventa comune un mattone in più del muro che ti isola, un po’ per caso, un po’ per tua volontà e un po’ per cause esterne.

Sei lontano e ti allontani ancora di più.

Non sei esuberante e vivace come Sirius o come James. Non hai lo stesso gusto per il movimento e l’attenzione che caratterizza il giovane Black, non hai bisogno di avere gente intorno per natura, e adesso che sei sempre così stanco e preoccupato, sfibrato, la solitudine ti è ancora più confacente. Anche se significa distacco.

Avrai tempo per recuperare. Ti piace pensarlo, e immaginare gli aspetti trascurati della tua vita che sistemerai quando questa storia della guerra sarà finita, quando tutta la tua attenzione non sarà più calamitata dai problemi da risolvere, dagli incarichi, dalle strategie di lotta. Immagini il giorno in cui, con calma e senza più preoccupazioni esterne, ti siederai davanti a un tavolo con Sirius e parlerete senza fretta di tutto quanto, chiarirai i perché della tua assenza e della distanza che si è formata tra voi e ripartirai dal punto in cui eravate rimasti abbracciandovi al momento dei MAGO, ma senza più l’ombra nera dello scherzo a pesarti addosso. Lo farai, presto o tardi, ne sei certo.

Per questo stasera ti concedi la tua tranquilla serata solitaria. Domani, tanto per rinforzare il vostro filo sottile, chiederai a Sirius di pranzare con te.

Domani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   FireAngel: oh beh, se mi approva pure una psicologa allora posso anche dare un party! ^__^ La buona Jk comunque si è dimenticata parecchie cose, ma mi fa in ogni caso piacere che questa versione sia di tuo gusto. Spero che anche questo Remus abbia incontrato il tuo favore.

   fog: Gesù, quanta poesia. Tu mi fai sempre struggere a suon di lusinghe. Piango. Posso piangere? Sic. Mi dici sempre cose bellissime e io rimango sempre lì come una scema e non so mai cosa risponderti perché mi mancano le parole (evento di una rarità immensa). Ti posso solo ringraziare, ecco. Di cuore. Ecco, vedi, sono qui e vorrei aggiungere qualcosa e non mi esce nulla. Sic. Sei un tesoro.

   LilyLuna:… mmmh… ragazzi, a sto giro mi sa che mi sono fatta passare un po’ per una depressa. Forse non ci crederete ma a me capita rarissimamente, direi praticamente mai di sentirmi come Sirius in quella scena. E di solito la luce la tengo accesa anche quando sto male, per guardare bene le cose in faccia finché non mi si incidono nelle ossa, di modo da assorbire l’impatto e oltrepassarle. Non funziona molto bene come tecnica ma sono fatta così. Questo per dire che, ecco, non mi aspettavo che quella scena fosse così vivida e intensa e sono oltremodo contenta di aver scoperto che invece pare esserla. Quindi, ecco, prego. E grazie a te.

   l3l4: grazie. In effetti cerco di effettuare un certo approfondimento, anche perché ormai i punti salienti di questi personaggi per come li vedo io li ho più o meno toccati tutti, quindi non resta che scavare tanto per cambiare un po’. Grazie anche per l’appoggio a Perfect Family!

   A presto

 

suni

 

 

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