Parentesi in due parti che fa luce sui cambiamenti e
le distanze che possono portare due amici al fraintendimento totale, con tutto
quel che ne consegue, sulla logorazione e le ferite
che si infliggono in nome dell’affetto, perché non sempre essere
amici è sinonimo di correttezza.
Buona lettura.
suni
La valse des équivoques
Primo
movimento: Sirius
Sono
le nove di sera e l’appartamento è buio, freddo. Sei stato fuori
tutto il giorno – riunione, sopralluogo, pranzo, capatina al Ministero,
rapido ragguaglio con un paio d’altri membri, ricerca sul campo – e
il fuoco non è stato acceso da ieri.
Metti
la legna nel camino prima ancora di sfilarti il mantello, hai il naso gelato
per la corsa in moto nel cielo gelido e le dita della mani violacee,
perché hai di nuovo dimenticato i guanti da qualche parte. La fiamma
crepita prendendo vita, è luminosa e vivace e riverbera il rosso sulla
parete, sul pavimento, sulla tua pelle. E’ una bella sensazione e per un
attimo sorridi, accovacciato sul pavimento della tua mansarda vuota e semibuia.
Hai lasciato il casco in terra in mezzo alla stanza e le chiavi sul tavolo, tra
alle stoviglie mai sparecchiate della cena di ieri.
Dovresti
almeno accendere la luce, ma non ne ti va. Pensi che
ti farebbe male agli occhi, stanchi e pizzicanti per il vento; inoltre non hai
voglia di luce, sei d’umore cupo. Ti senti affaticato, impotente e
totalmente inutile. Hai la sensazione di non essere che un granello di sabbia
talmente microscopico che non lo si può vedere a occhio nudo, davanti
alla vastità di un mondo
immenso.
Non
era così che avevi immaginato le cose; non è questo che ti
aspettavi al castello, non è la vita come l’avevi vagheggiata. Hai
sempre pensato che non sarebbe mai cambiato nulla, che avresti continuato ad
essere Padfoot, un pezzo da novanta. Che tu, Prongs, Moony e Wormtail sareste
rimasti qualcosa di significativo, qualcuno che non può passare
inosservato: come quando scendevate dalla torre per colazione e gli altri
studenti si voltavano a guardarvi passare, un po’ ammirati, un po’
sprezzanti, comunque mai indifferenti.
Voi
eravate i vincenti: quelli che la fanno sempre franca, che in un modo o
nell’altro cadono sempre in piedi, che bene o male arrivano sempre a
ottenere quel che sperano. Hai avuto dei buoni MAGO senza mai troppo sforzarti
ed evitato l’espulsione così tante volte che quasi hai perso il
conto, persino quando hai quasi fatto ammazzare quell’idiota di Snivellus. Hai fatto piegare ai tuoi piedi schiere di
ragazzine e ti sei beato dell’ammirazione che i tuoi occhi argentati e il
tuo sorriso sfavillante suscitavano. Hai tentato ogni genere di impresa
spericolata – dall’animagia alle
incursioni nella Foresta Proibita – nella certezza che comunque fosse
andata si sarebbe concluso tutto bene, hai partecipato a decine di progetti
eccitanti ed esilaranti e hai riso fino alla nausea con i tuoi migliori amici,
spesso per notti intere.
E
adesso non riesci a capire dove sia finito tutto questo.
Niente
di quello che hai intorno corrisponde all’immagine che ti eri costruito
in mente della tua vita nel mondo adulto. Né la tua mansarda silenziosa
né il volto teso e smagrito di James, o la paura che accompagna ogni
giornata di tutti voi. Pensavi che sareste stati eroi, che avreste compiuto
grandi imprese ma di fatto l’unica cosa che riuscite a fare, e nemmeno
troppo bene, è rimanere a galla. Annaspando.
Ti
eri fatto l’idea che in quanto Gryffindor un
certo numero di cose di te fossero scontate: che chiaramente sei dalla parte
della ragione, che agisci nel nome di quel che è più giusto, che
meriti il rispetto dovuto a chi non si fa piegare dalla paura – e tu non
lo permetti mai, è il tuo punto d’onore – e che non sei una
persona qualunque. E i tuoi amici con te. Siete i Marauders,
per Godric, anche se ormai non lo si crederebbe più.
Ma
non è vero niente. Hai incontrato la realtà e il pugno che ti ha
tirato in piena faccia è stato così forte che ti ha lasciato
perpetuamente frastornato. Non interessa a nessuno che tu sia un Marauder e nemmeno che tu sia un Black, per quel che
può valere. Le divisioni nette cui ti eri abituato nei corridoi di
Hogwarts non esistono più e ci sono soltanto confusione e paura.
E
no, non hai voglia di accendere la luce, di lasciare che i suoi raggi rivelino
più crudamente e vivamente la realtà che hai intorno. Preferisci
rimanere nella penombra per qualche altro minuto e covare la tua illusione di
cecità, per tenere il mondo un po’ più lontano ed esserne
meno amareggiato.
Padfoot.
Soltanto
un gioco di parole.
E
vorresti sapere dov’è Remus, perché non l’hai trovato
a casa sua eppure ieri aveva detto che sarebbe stato lì per tutto il
giorno, ma non c’era, di nuovo. Lo hai aspettato per quasi due ore
perché volevi una spiegazione e lui non è arrivato.
Hai
la nausea e vorresti solo metterti a dormire, ma la tua mente è
perfettamente lucida e sveglia e non ti dà tregua. Non riesci a smettere
di pensare alle tue due vite – quella di prima e quella di adesso –
e notare quanto il confronto sia avvilente.
Le
immagini si sovrappongono in una schiacciante sconfitta.
La sciarpa rossodorata
che portavi sempre al collo era il simbolo di una vittoria. Ti sentivi fiero di
indossarla e per questo lo facevi anche quando non c’era motivo. Quel
pomeriggio non faceva particolarmente freddo ma tu te l’eri avvolta
intorno lo stesso, come al solito.
“Lo andiamo a
cercare?” ti ha proposto James ansiosamente, vedendo che ti vestivi.
“Sì, certo,”
hai confermato tu.
Vi siete guardati negli occhi
per qualche secondo, cauti, sotto lo sbirciare inquieto di Peter. I vostri
sguardi si sono fatti sicuri – la stessa sfumatura di decisione nelle iridi
– e poi anche James si è infilato il mantello.
“Aspettaci qui, Peter,
nel caso tornasse,” ha suggerito sicuro.
L’altro ha annuito, quasi
sollevato. In quel momento hai pensato che fosse davvero un codardo, ma poi ti
sei placato bonariamente: sapevi com’è fatto Peter, non
c’era niente di sorprendente.
Siete usciti fianco a fianco
dal dormitorio e poi dalla Sala Comune. Avete elargito qualche cenno di saluto
agli studenti di vostra conoscenza che come voi si affaccendavano nei corridoio
per le attività più disparate, cercando con gli occhi qualche
traccia del vostro amico. Avete girovagato per tutto il castello e poi siete
usciti, lungo la riva del lago.
Parlavate poco, concentrati
nella vostra ricerca: ma non era un silenzio fastidioso quello che condividevate,
non metteva a disagio. Ogni tanto uno dei due pronunciava qualche parola a cui
l’altro rispondeva di buon grado, con indolenza. Vi siete messi a ridere
come i tredicenni che di fatto eravate quando avete visto Snivellus
camminare in corridoio col suo solito carico di libri e James gli ha puntato
contro la bacchetta e li ha fatti cadere tutti, sparpagliandoli sul pavimento.
Va la siete svignata
sghignazzando per qualche minuto prima di ritrovate la compostezza solerte
consona alla vostra ricerca.
Ma non riuscivate a trovarlo.
“Ci dividiamo?” ti
ha proposto allora James, indeciso.
Hai annuito risoluto, gettando
uno sguardo intorno per riflettere.
“Io vado verso le serre e
dalle parti di Hagrid,” hai deciso,
allontanandoti di un passo.
James ti ha fatto un cenno di
assenso, prima di indicare un punto vago alle proprie spalle.
“Io vado dall’altra
parte. Forse verso il platano, poi faccio il giro del lago.”
Vi siete scambiati un cinque
rapido e uno spintone prima di separarvi, incamminandovi ciascuno in una
direzione diversa con velocità e una certa premura.
Alle serre non c’era
nessuno, tranne Alice con un paio di ragazze di Hufflepuff
che controllavano la crescita delle Mandragole. Hai chiesto loro se hanno visto
Remus Lupin, ma ti hanno risposto di no con disattenzione, vagamente sorprese
perché di norma ciascuno di voi quattro sapeva sempre dove si trovano
gli altri, era una storia che andava avanti da due anni e rotti.
Nemmeno Hagrid
ti ha saputo aiutare, poi ha tentato di offrirti i suoi terribili biscotti con
una tazza di tè ma hai declinato decisamente l’invito
giustificandoti con la motivazione della fretta e dei compiti da fare. A quel
punto hai pensato di tornare al castello e provare a vedere se per caso si
fosse infilato in qualche aula vuota, anche se l’impresa di controllarle
tutte ti avrebbe portato via giorni interi ed era evidentemente inattuabile.
All’ultimo hai deviato
per controllare il limitare della Foresta. L’hai trovato seduto su un
ripiegamento del tronco di una quercia, in una minuscola radura che dà
proprio sul fitto della boscaglia. Non ti ha sentito arrivare – sapevi
essere molto silenzioso, all’occorrenza, anche se nessuno se lo sarebbe
aspettato da un confusionario come te – e sei rimasto a guardarlo strappare
via gli steli d’erba da terra con amarezza, le labbra serrate per la
rabbia e gli occhi rossi.
Ti ha fatto tenerezza e ti sei
sentito dispiaciuto per lui.
“Remus,” lo hai
chiamato a voce bassa.
Quando ti ha visto ha
spalancato gli occhi e stretto forte i pugni, ha voltato la testa
dall’altra per dimostrarti distacco ma eri sicuro che fosse soltanto
paura. Era una sensazione che conoscevi, avevi già sperimentato il
rifiuto.
“Sei venuto per
aggiungere ancora qualcosa?” ha chiesto freddamente mentre ti avvicinavi.
“Sono ore che ti
cerchiamo,” hai risposto con inusuale pacatezza, ignorando per una volta
una provocazione.
“Sì, avete
dimenticato di chiamarmi schifoso ibrido, ma non era il caso di affannarsi
tanto per farlo,” ha ribattuto lui, ostile.
Hai visto la sua spalla tremare
per la tensione e ci hai appoggiato una mano automaticamente. Ti è
venuto in mente tutto quel che ha sempre detto tua madre sui licantropi e ti
sei reso conto istantaneamente che non credevi a una parola, non una. Che non
ci volevi credere e non ti interessava.
“Occhio, che
mordo,” ha mormorato Remus divincolandosi finché non si è
liberato delle tue dita sulla sua scapola.
“Non essere ridicolo,
Lupin,” lo hai redarguito meccanicamente, usando la stessa espressione
che utilizzava lui di solito nei tuoi confronti. “Non ho certo fatto il
giro della scuola per venirti a dare dell’ibrido.”
Lui non ha risposto,
continuando a darti la nuca, e tu ti sei seduto lentamente di fianco a lui, in
modo abbastanza rumoroso da renderglielo noto.
“Che cosa vuoi?” ti
ha chiesto freddamente.
“Farti un culo così,” hai risposto vivacemente.
“Perché sei un gran contapalle e ci hai presi per il sedere per
più di due anni.”
Avresti voluto aggiungere che
era questa la cosa importante, non il fatto che lui fosse un licantropo in
sé. Vi aveva mentito per molto tempo e questo era scorretto e
inaspettato, vi ha feriti. Invece non hai detto più nulla, perché
non sei mai stato bravo come lui con le parole e ti è sempre riuscito
molto meglio spiegarti per gesti espliciti.
“Non sapevo se avreste
capito. E non mi sono sbagliato,” ha risposto Remus a voce bassa.
“Ti sei sbagliato eccome,
invece,” hai risposto tu piccato. “Perché abbiamo capito e
va bene così.”
Per qualche secondo il silenzio
è stato così intenso che ti ha dato fastidio. Poi Remus si
è girato, lentamente, fino a guardarti in faccia con incredulità.
Ha allungato lievemente il collo verso di te, come se non riuscisse a vederti
bene.
“Va bene cosa?” ha
chiesto in un mormorio.
Ti sei stretto nelle spalle con
una smorfia quasi d’imbarazzo, poi hai sollevato la testa verso l’alto e hai lanciato un
ululato. Non sapevi perché lo stavi facendo, ma ti davano fastidio tutta
quella serietà e l’ansia nella sua voce. Eri un buffone, in fondo,
e un bambino.
Remus ti ha guardato ancora per
qualche secondo e poi gli è sfuggito un risolino esterrefatto, emesso
quasi sottovoce.
“Sul serio?” ha
chiesto a bocca aperta.
Ti sei quasi arrabbiato,
perché ti aspettavi più fiducia di così e non gli avevi
mai dato ragione di dubitare di te e della tua lealtà. Eri il tipo di
ragazzino che crede ciecamente nell’importanza dell’amicizia ed era
per questo che ti sentivi offeso. Per questo e perché tu eri sempre
stato sincero ed onesto, anche quando non era facile, e invece Remus aveva
mentito un’infinità di volte su una cosa molto importante e tu non
te lo saresti mai aspettato da lui.
“Sì,” hai
risposto seccamente. “Sul serio.”
Ha abbassato lo sguardo a terra
e si è stretto nelle spalle come in un’armatura protettiva.
“Mi dispiace,” ha
sussurrato, intuendo la tua delusione. “Non volevo essere falso.”
Hai scrollato la testa, celando
perfettamente l’amarezza.
“Non fa niente. Non
parliamone più,” hai concluso con distacco.
In fondo sapevi che non te ne
saresti mai potuto dimenticare. Ma ti sembrava che non avesse importanza, che
tutto sarebbe comunque rimasto come prima, e anche migliore. Non c’erano
più segreti ed eri con i tuoi amici.
Siete rimasti per qualche altro
minuto in silenzio e poi vi siete alzati insieme, come per un segnale
prestabilito. Vi siete guardati, circospetti, poi Remus ha schioccato la
mascella e digrignato i denti come per morderti e siete scoppiati a ridere.
Siete tornati verso il castello
camminando uno accanto all’altro e continuando a ridere, per andare a
cercare James. Andava tutto bene.
Il biglietto di Remus diceva
che aveva troppo da fare per venire a pranzo e che sarebbe rimasto a casa a
lavorare per l’Ordine. Hai mangiato uno spezzatino con Peter e quando
lui, nonostante la tua insistenza, se n’è andato per un impegno
con sua madre hai pensato che era un peccato trascorrere da solo il tuo
pomeriggio libero e hai deciso che potevi comunque passare da Remus e
disturbarlo per una mezz’ora.
In quel momento non era a casa
e hai dedotto che fosse uscito per un paio di commissioni, così ti sei ripromesso
di tornare più tardi, magari con qualcosa di buono per fare uno
spuntino. Sei andato verso il Paiolo con l’idea di fare un salto a Diagon Alley e poco distante
dalla taverna hai incontrato Kingsley e Fabian. Ti sei fermato a bere un tè con loro in un
bar babbano, discutendo sommessamente dei più
recenti sviluppi della situazione e dello spinoso problema della possibile
presenza di una spia all’interno dell’Ordine. Ti hanno raccontato vagamente
della loro indagine mattutina e tu li hai aggiornati sulle tue scoperte di ieri
relative all’operato di Dolohov. Fabian si è inferocito per lo sdegno e poi vi siete
salutati; mentre loro andavano a raggiungere Bones tu
sei tornato da Remus e lui non c’era di nuovo.
Hai pensato che non avrebbe
tardato e sei rimasto ad aspettarlo perché non avevi niente di meglio da
fare. E’ arrivato dopo mezz’ora e gli sei andato incontro con un
sorriso.
“Sirius!” ha
esclamato lui sorpreso. “Cosa ci fai qui?”
Ti sei stretto nelle spalle e
gli hai mostrato il tuo pacco con la focaccia.
“Passavo e credevo di
trovarti a casa,” hai spiegato, noncurante.
“Sono dovuto uscire una
mezz’ora,” ti ha raccontato lui facendoti strada in casa, e tu hai
notato mentre saliva i gradini che aveva le scarpe e il fondo del mantello
completamente infangati. “Dovevo vedere i Prewett,”
ha aggiunto, invitandoti ad accomodarti con un cenno.
Per un attimo non ti sei potuto
muovere e hai aggrottato involontariamente la fronte, perplesso. Tu eri con Fabian Prewett fino a poco prima
e lui non aveva nessun impegno con Remus. Ti ha anche detto che Gideon non era in città e che stava sbrigando delle
questioni con Caradoc.
Hai stiracchiato un sorriso e
posato la merenda sul tavolo, mentre ti rendevi conto amaramente che Remus ti
stava mentendo, e che non era la prima volta recentemente. Hai sollevato lo
sguardo, lo hai guardato dritto in faccia e ci hai letto cristallina
onestà. Hai continuato a guardarlo e a cercare un segno di cedimento o
di colpevolezza per la mancanza di sincerità nei tuoi confronti ma non
ne hai trovato traccia e questo ti ha fatto male.
Tu non mentivi. Mai. Non ai
tuoi amici.
“Cosa?” ti ha
chiesto lui, accennando un sorriso.
“Niente,” hai
risposto scrollando le spalle.
Vi siete seduti chiacchierando
pigramente, perché ultimamente non vi vedevate affatto spesso e i vostri
rapporti si erano diluiti, anche se prima pensavi che non ci fosse una vera
ragione, che fosse semplicemente un’altra delle cose negative della tua
nuova esistenza.
Ma qualcosa si è
spezzato mentre inghiottivi quella focaccia e l’offesa, e
l’equilibrio che siete riusciti a mantenere durante tutti gli anni della
scuola, nonostante le frizioni e gli alterchi dovuti alla vostra
diversità caratteriale, si è spezzato di netto.
O forse già stava
cedendo e non te n’eri reso conto.
Accendi
la luce perché hai improvvisamente bisogno di chiarore, di sicurezza. Il
fuoco nel camino sta iniziando a fare il suo dovere e riscaldare la stanza,
così posi la bacchetta e ti sfili finalmente il mantello. Lasci il casco
lì dov’è e ti stravacchi sul divano con uno sbuffo. Getti
uno sguardo intorno al vano illuminato e ti rendi conto che non basterà
accendere una luce per mandare via i dubbi e le inquietudini.
Il
gufo che picchietta alla finestra ti fa riscuotere di soprassalto e con un
cenno della bacchetta spalanchi l’imposta per farlo entrare. Gli sfili la
busta dalle zampe e sai di che si tratta, hai invitato Remus a cena questa
mattina ed è per questo che sei passato da lui nel pomeriggio, per
sapere come mai non dava notizie.
Ha
scribacchiato solo poche parole. non ti sorprendi del suo rifiuto ma osservi
con spossatezza la frase vergata come spiegazione, Remus ti dice che è
stanco e che è stato in casa a lavorare tutto il giorno.
E
sai che non è vero di nuovo.
Lasci
cadere in terra la pergamena e ti poggi l’avambraccio sugli occhi come se
così tutto - Londra, l’Inghilterra, forse il mondo intero –
potesse svanire.
Ti
senti sorpassare dagli eventi ogni giorno di più.
Sei
sempre stato una persona aperta, ottimista, uno che pensa che fondamentalmente
c’è del buono in tutti, o quasi, che l’umanità
è portata per natura al bene. Sei abituato a cogliere il lato migliore
delle persone e pensare che sia quel che conta di più. Ma questa guerra
aberrante ti sta lentamente cambiando e sta lacerando la luminosità
delle speranze poco alla volta, anche dentro di te, anche se giuravi che non
sarebbe successo.
Per
questo, adesso, quel che ti viene in mente con più nitore non sono le
tante albe che hai trascorso con i tuoi amici alla Stamberga, ma le piccole
bugie accumulate e le incomprensioni che si sono sovrapposte poco alla volta,
pure se sai che la colpa è anche tua, che non avresti mai dovuto mandare
Snape alla Stamberga al quinto anno e che sei stato
un cazzone. Ma questo non basta a motivare la
menzogna e non è più sufficiente a trattenerti dal sospetto.
E
visto che non sei il tipo che rifiuta di prendere atto delle cose che pensa,
anche quando sono spiacevoli, e questa lo è più di qualunque
altra, lo fai. Anche se fa male, anche se brucia e ti fa sentire vuoto e
dolorante.
Remus
potrebbe essere la spia di Voldemort.
E
tu lo sai.
Continua a venirmi fuori roba
che non so dove collocare e così la lascio a sé.
Scusate la logorrea verbale.
E’ un problema, lo so.
Già che ci sono,
continuo a farmi pubblicità che fa sempre bene (…).
Se i Black – e non solo
Sirius – vi interessano minimamente, passate da qui e ci troverete la mia versione:
http://black-pf.livejournal.com