Secondo
movimento: Remus
Ti
stai lentamente richiudendo in te stesso, come da bambino. Più di
allora, perché non ci sono più i tuoi che dormono nella stanza
accanto.
Il
gufo di Sirius con l’invito a cena è arrivato nel momento
sbagliato. Hai passato quasi tutta la giornata tra i tuoi simili, a discutere e
affannarti, correndo da un posto all’altro. Sei stanco, fisicamente e
mentalmente, ti senti svuotato e smarrito perché nemmeno capisci
più bene quale sia il tuo mondo, se quello in cui hai vissuto
finirà o quello sordido e marginale dei reietti e degli ibridi che si
allontanano dalla società.
Non
hai più voglia di parlare, oggi, per questo gli hai risposto che non
andrai a cena da lui. Nemmeno tu sai concepire bene cos’avresti da dire e
sei quasi certo che comunque lui non lo capirebbe, non perché sia ottuso
o non ti conosca abbastanza ma perché non è facile rimanere in
sintonia quando si hanno sempre meno contatti.
Ed
è strano, perché quello tra te e Sirius siete è stato a
lungo un legame intenso, concreto, permanente. Come con James, seppure in modo
diverso. Perché l’amicizia che hai con James è sicura e
stabile, priva di scossoni, mentre tra te e Sirius è un continuo sbalzo
di alti e bassi e parabole ascendenti e discendenti.
Ti
siedi in poltrona, lasciando finalmente riposare le gambe, e ti sfugge uno
sbuffo.
Sei
scoraggiato e preoccupato, per i tuoi amici, per il tuo mondo. Hai paura che a
James succeda qualcosa di brutto e la questione della spia ti sta logorando i
nervi, perché apparentemente nessuno compierebbe un simile abominio ma
qualcuno lo sta facendo. E non si riesce a capire chi.
Fatichi
a dormire, così sei sempre più stanco; questo non aiuta i tuoi
già labili rapporti con l’esterno. James ti ha fatto notare che
non ti fai vivo quasi mai e Sirius, già lo sai, si risentirà per
l’ennesimo invito rifiutato. Non dirà nulla, per orgoglio, ma
glielo leggerai negli occhi al vostro prossimo incontro.
Sai
che in fondo ha ragione ma non riesci davvero a sentirti colpevole.
Perché più passa il tempo e più perdi la presa sulla tua
vecchia realtà. Sei diverso da loro e lo scopri ogni giorno di
più: non sei un pureblood, non sei ricco, non
sei appariscente. Sei Remus e poco a poco vedi l’oggettiva differenza dei
vostri universi personali.
L’hai
sempre saputo, ma un tempo credevi che non sarebbe stato mai importante, non
abbastanza da incidere sui vostri rapporti. E forse era vero, forse poteva non
incidere.
Ma
poi la vita ha preso questa piega strana e cupa.
O
forse l’aveva già presa da tempo, quando il tuo ingenuo idealismo
infantile si è scontrato col fatto che nulla è perfetto e che
chiunque, anche chi mai ti aspetteresti, può ferire e colpire
dolorosamente.
Anche
un amico.
“Esci immediatamente di
qui e non ti azzardare mai più a rivolgermi la parola o giuro che
farò a te quel che non ho fatto a Snape.”
Non riuscivi nemmeno a
guardarlo mentre pronunciavi quelle parole e la tua voce tremava talmente tanto
per la rabbia che tu stesso faticavi a capire cosa stavi dicendo. Avevi la
vista annebbiata e il respiro accelerato e in quel momento, se avessi potuto,
lo avresti davvero ammazzato.
“Remus…”
“Vattene! Esci di qui,
esci!” hai urlato, spossato, prima di tirare una botta contro il comodino
accanto al letto dell’infermeria, facendolo traballare rumorosamente.
Avresti voluto alzarti e
saltargli addosso, colpirlo e colpirlo ancora fino a vederlo cadere a terra e
poi ancora, infierire a calci e pugni e rompergli ogni singolo osso
perché sentisse quanto faceva dannatamente male essere distrutti da un
amico.
Ma avevi a malapena la forza di
stare seduto e comunque non sarebbe servito a niente. Non avrebbe cancellato
niente di quello che aveva fatto e forse, razionalmente, era la cosa peggiore
di tutte sapere quello che ti aveva strappato via, perché ti fidavi di
lui e avresti fatto qualunque cosa ti avesse chiesto, gli avresti messo in mano
la tua stessa vita senza pensarci su; sapere che si era preso tutto il tuo
affetto, tutta la tua amicizia e l’aveva fatta a brandelli e non era
giusto, non ne aveva il diritto. Perché non avevi tante cose belle ma
pensavi che Sirius Black fosse una di esse, una delle migliori, e invece lui ti
aveva deluso nel modo peggiore possibile, lui non era l’amico che credevi.
Lo odiavi perché non era
stato capace di essere la persona straordinaria che tu avevi visto in lui.
Perché ti eri illuso di conoscerlo e di poterlo stimare
incondizionatamente e ti eri sbagliato. Quindi alla fin fine la colpa era tua,
eri tu ad essere troppo ingenuo e non lui ad avere la responsabilità del
non essere quel che esisteva soltanto nella tua testa.
“Remus,
ascoltami…”
E non ti interessava che gli
tremasse la voce, innaturalmente acuta, o che apparisse devastato dal pianto.
Volevi solo che sparisse perché quello che aveva fatto era irrimediabile
e non volevi che restasse lì davanti a te a ricordarti tutto quel che
eravate stati e che aveva buttato via.
“Ti ho detto via!”
hai risposto sbraitando, poi hai preso il libro che James ti aveva portato poco
prima per ingannare il tempo e glielo hai lanciato contro. Eri talmente debole
che il volume è caduto in terra vicino al letto, senza nemmeno arrivare
verso di lui: Sirius si è chinato a raccoglierlo e lo ha posato sul
tavolino senza una parola e tu hai afferrato la sua mano tremante più
forte che potevi, piantandoci dentro le unghie, e ignorando il suo gemito
l’hai spinta via bruscamente. La rabbia ti ha dato un’energia
inaspettata e hai visto il graffio sulla sua pelle ma non ti ha fatto sentire meglio,
perché era troppo poco.
“Bastardo.
Vattene.”
Non avevi altro da dire
né intenzione di ascoltarlo e Sirius lo ha capito. Si è guardato
intorno quasi intimidito, poi si è voltato indietro e se
n’è andato.
Il rumore della porta che si
chiudeva ti ha colpito così forte che sei scoppiato in lacrime, hai
reclinato la testa e iniziato a singhiozzare silenziosamente. James ti aveva
detto che non sarebbe stato espulso, che Silente aveva deciso di graziarlo
perché era uno studente dotato e perché era giovane e non sapeva
cosa stava facendo. A te non interessava, tu avresti voluto che venisse mandato
via e scacciato dalla scuola, lontano da te.
Se lo meritava.
Sei rimasto in infermeria due
giorni e lui non è più tornato. Te ne sei sentito sollevato ma
non te lo aspettavi, perché di solito faceva quello che gli pareva
indipendentemente dal fatto che gli altri avrebbero preferito il contrario,
invece gli hai detto di sparire e lui è sparito.
Peter e James invece sono
venuti da te in ogni momento libero. Erano arrabbiati, come te. James era
pallido e affranto e stava male, in silenzio. Ma tu sapevi già che
avrebbe perdonato e giustificato, alla fine, come sempre. Perché per
quanto lui ti ritenesse importante, e sapevi che era così, Sirius lo era
di più. Anche se era un essere spregevole, anche se era un maledetto
egoista profittatore, sapevi che James lo avrebbe riaccolto a braccia aperte
non appena la mancanza fosse diventata troppo forte.
Ma non tu.
Per te era tutto cambiato,
anche se non lo avresti mai voluto. E avevi voglia di sapere perché lo
aveva fatto, proprio a te, che cosa lo aveva legittimato a compiere un simile
atto nei tuoi confronti.
Poi sei tornato in dormitorio e
te lo sei trovato davanti. Pallido, nervoso. Lo hai odiato ancora di più
perché non aveva il diritto di stare male, era stato lui a fare tutto e
a cercarsela, quindi che la piantasse.
Quando James, dopo la loro riappacificazione,
ha tentato di ammorbidirti e di indurti al perdono, ti sei arrabbiato anche con
lui. Perché non aveva senso che lo difendesse, era una cosa illogica e
ottusa. Tu eri dalla parte della ragione e lo sapevi, non ti interessava quanto
James tenesse a Sirius e anzi ti pareva un errore da parte sua, ti sembrava un
gesto masochista che volesse ancora credere in lui per non dover fare a meno
della loro amicizia. Sirius mancava anche a te, ma non per questo intendevi
cedere. E ti sei sentito tradito perché ti aspettavi il suo pieno
sostegno almeno in qualità di approvazione verso la tua, se non la sua,
inalterata collera e invece James era incline a minimizzare, come sempre.
Poi una sera hai fatto tardi in
biblioteca. Eri l’ultimo studente e non ti eri accorto di quanto fosse
tardi finché la Pince non ti ha gentilmente buttato fuori. E Sirius era
lì in corridoio, da solo. Ti aspettava.
Ti è salita di nuovo
l’arrabbiatura e quando ha tentato di trattenerti lo hai spintonato, ma
non si è dato per vinto ed è rimasto aggrappato al tuo braccio.
“Remus, ascoltami, per
favore,” ti ha pregato, senza lasciarti andare via per quanto tu strattonassi
il polso. Ti sei voltato e lo hai guardato cercando di trasmettergli il massimo
disprezzo possibile.
“Non mi interessa, Black.
Ti odio.”
Lui ha annuito, ancora senza
lasciarti.
“Lo so. Fai bene.
Però ascoltami, soltanto un momento. Tutti hanno diritto ad un equo
processo,” ha insistito, accorato.
Avresti voluto rispondergli di
infilarsi l’equo processo dove pensavi tu e di spingerlo bene in
profondità, invece hai solo fatto una smorfia sarcastica e hai di nuovo
cercato inutilmente di tirare via la mano.
“Remus, non sapevo cosa
stavo facendo. Mi devi credere. Pensavo… Merlino, non lo so nemmeno io
cosa pensavo. Non volevo…non mi sono reso conto di come sarebbe stata la
cosa dal tuo punto di vista. Te lo giuro, Remus, non avevo intenzione di farti
del male.”
Ti sentivi ancora più
furioso perchè sapevi che c’era una stupida parte di te che
nonostante tutto avrebbe tanto voluto potergli credere, se solo le cose non
fossero state quelle che erano. Dell’enfasi delle sue parole e della genuina
sincerità del suo sguardo non ti importava nulla, perché non eri
più disposto a darvi credito.
“Levami la mano di
dosso,” hai intimato, glaciale.
“Dammi un modo per
dimostrartelo,” ha insistito lui, caparbio.
“Dimostrare cosa?”
hai ringhiato, stremato.
“Che ti voglio bene.
Dimmi cosa devo fare.”
Per un istante lo hai solo
guardato, perché “ti voglio bene” era la frase meno Sirius
che ti potesse venire in mente, così nuda e inerme, senza corazza. Ti
sei sentito male perché hai pensato che magari era vera, che lui poteva
essere così stupido da aver fatto quell’obbrobrio nonostante
questo.
Ma qualunque cosa avesse fatto,
anche se fosse tornato indietro e avesse cancellato tutto, sarebbe stato lo
stesso perché tu ormai sapevi.
“Niente,” hai
risposto onestamente.
“Dai. Una cosa
qualunque,” ha insistito disperatamente, scuotendo la tua mano.
E ti sei sentito esplodere,
stufo.
“Buttati dal cornicione e
non rompere,” hai sbottato, aggressivo. Ti sei finalmente riuscito a
liberare e hai fatto per andare via, finché non ti sei reso conto che
lui aveva lasciato la tua mano solo per andare verso il muro e puntare la
bacchetta sulla maniglia del finestrone che dà
sul parco.
Ti sei immobilizzato nel
corridoio, guardandolo mentre la apriva. Hai aggrottato la fronte vedendo che
si arrampicava sul davanzale e rimaneva accucciato lì a guardare in
basso, finchè non si è voltato.
“Non penso che
sopravvivrò all’atterraggio,” ha osservato, vagamente
ironico.
“Cazzi
tuoi,” hai sibilato, di nuovo sul punto di allontanarti dalle sue
buffonate.
“Remus,” ti ha
richiamato, e ti sei fermato solo perché si era alzato in piedi e quel
davanzale era sottile. “Se mi butto tu mi perdoni?”
“Merlino, Black,
finiscila!” hai risposto esasperato. “Non serve a niente che tu
faccia il buffone, non sei divertente e mi hai scocciato! Scendi di lì e
levati di torno.”
Lui ha scrollato la testa e ha
fatto un passo indietro. I suoi talloni sporgevano di qualche centimetro nel
vuoto e aveva allargato le braccia per mantenere l’equilibrio. Ti sei
reso conto che non stavi respirando quando hai visto il suo piede sinistro
sollevarsi e protendersi nel vuoto. Hai pensato che era completamente pazzo.
“Scendi di
lì,” hai ordinato, mascherando l’inquietudine con
imperiosità.
“Lo sto facendo,”
ha annuito lui.
“Da questo lato,”
hai precisato nervosamente.
“Hai detto che mi perdoni
se mi butto giù,” si è limitato a rispondere lui.
Ti ha fatto uscire dai gangheri
che facesse una recita per smuoverti e renderti debole, che montasse una
scenetta plateale delle sue per una cosa così seria e stavi per dirgli
di fare un po’ come credeva, poi lo hai visto inarcare il busto un
po’ indietro e guardandolo negli occhi ti sei reso conto che era
abbastanza folle da buttarsi davvero.
“Scendi di
lì,” hai ripetuto, e questa volta ti tremava la voce. “Non
hai motivo di buttarti di sotto.”
“No?” ti ha
risposto lui scettico. “Tu non moriresti per un amico?” ha
aggiunto, serio.
E ti sei reso conto che Sirius
era così. Che non metteva calcoli o premeditazioni nelle proprie azioni
e che agiva d’impulso, senza riflettere sulle conseguenze. In quel
momento aveva deciso di dimostrarti la sua amicizia in qualunque maniera, trascurando
di considerare il fatto che implicava lo sfracellarsi quaranta metri più
in basso, esattamente come aveva deciso di colpire Snape
senza afferrare quali sarebbero stati gli effetti.
Il suo piede, l’unico
ancora poggiato sul davanzale, è scivolato ancora più indietro e
Sirius ha chiuso gli occhi. Ti sei reso conto di esserti mosso soltanto quando
hai capito di aver afferrato la sua gamba tirandola verso di te.
“Sirius, scendi!”
hai urlato, mentre lui ti cadeva addosso e rotolavate per terra.
Sei rimasto semisdraiato
a pancia in giù sul pavimento, mentre lui, pallido e supino,
boccheggiava. Ti ha guardato ed ha sorriso e tu hai voluto convincerti che
sarebbe passato tutto senza lasciare strascichi, che potevate dimenticare. Hai
strisciato in avanti e hai appoggiato la testa sul suo stomaco per essere
sicuro che fosse davvero lì e non spappolato ai piedi delle mura.
“Cosa ti è saltato
in testa?” hai sussurrato contro la sua camicia.
“Niente. Ero sicuro che
mi avresti fermato e in caso contrario me lo meritavo, di finire maciullato,”
ti ha risposto lui, con la voce un po’ tremante.
Non sapevi nemmeno cosa
rispondere e sei rimasto zitto di nuovo, restando a respirare il silenzio del
corridoio deserto finché Sirius non ha ridacchiato sommessamente.
“Siamo pari con la storia
della licantropia occultata,” ha mormorato, sempre ridacchiando.
“Coglione,”
hai borbottato tu. Avevi voglia che tornasse tutto come prima e che foste
ancora gli stessi, anche se non sapevi esattamente prima di cosa.
Ma eri più leggero.
Adesso
sai che la vita non è una partita a Quidditch
e che due tiri andati a segno non riportano la situazione al punto di partenza.
I colpi incassati rimangono e incidono in profondità, anche se capita di
non rendersene conto a lungo.
L’episodio
dello scherzo a Severus non è sparito dopo
essere stato perdonato. Ti è rimasto sulla pelle e ha intossicato
lentamente il tuo legame con i tuoi amici. Poco a poco, senza che te rendessi
conto, la delusione che ti era restata incollata alla carne ha messo allo
scoperto tante piccole cose che avresti voluto non vedere. Cose insignificanti,
microscopiche, ma che si sono accatastate una sull’altra. E’ stato
il tuo modo stesso di guardare a loro che è cambiato e non hai potuto
farci niente.
Dici
che è perché in ogni caso crescendo si cambia la propria maniera
di concepire gli affetti, come quando ci si rende conto che anche i propri
genitori sono semplici esseri umani, e forse è davvero soltanto questo.
Ma quell’episodio ti è rimasto vivido nella memoria e anche se
vuoi bene a Sirius, come ne vuoi a James e Peter, non hai più nutrito
quella cieca fiducia.
Forse
potevate approfondire la cosa ed estirparla, ma fuori dal castello
c’è un mondo che ha assorbito in altri modi la vostra attenzione,
c’è una guerra da combattere che chiede dei sacrifici, e i
rapporti umani sono tra essi. Non avete veramente tempo per voi, se non il
minimo indispensabile a aggiornarvi vagamente sulle vostre vite. Li hai visti
cambiare: James sempre più stanco e ansioso, Sirius cupo e tormentato,
Peter pavido e ritroso. Hai visto l’allegria smettere un po’ alla
volta di permeare i loro gesti e le loro risate farsi meno convinte, come la tua.
Questo te li ha resi ancor più cari, perché nei loro occhi leggi
la tua stessa pena e lo stesso attaccamento, ma anche più distanti,
perché state crescendo ma non più così insieme. Non
dormite più ogni notte nella stessa stanza.
Soprattutto
tu e Sirius siete un filo debole che si sta logorando. Non sei mai stato
eccessivamente attaccato a Peter e la vostra distanza è qualcosa di
normale, ma fatichi a tenere dietro al baratro che si sta frapponendo tra te e
il rinnegato dei Black. Discutete spesso, vi scontrate per delle
banalità relative agli incarichi da portare a termine, a piccolezze
insignificanti. Lo vedi via via più ostile,
più distaccato, e non capisci perché.
Da
un lato ti sta persino bene, perché avete sempre avuto un legame
violento. Siete sempre stati un’altalena di sensazioni rapide brutali,
l’avversione dei primi mesi di scuola, la scherzosa, amichevole
guerriglia di caratteri opposti del secondo anno, il viscerale attaccamento
seguito alla scoperta della tua licantropia, la confidenza assoluta del quarto
anno e la rottura brutale del quinto, i successivi alti e bassi; da sempre
gestire te e Sirius richiede un impegno di cui al momento non disponi,
assorbito come sei dalla lotta in corso nel mondo magico. Sai che per lui
è lo stesso.
Questa
mancanza di chiarezza tra di voi vi rende spigolosi. Spesso il suo
comportamento ti innervosisce e lo stesso vale per lui, perché diversi
come siete non vi è facile capirvi se non siete in stretto contatto, vi
mancano troppi passaggi della logica dell’altro.
Ti
dispiace, seriamente. Ma le cose stanno così.
Non
hai mai creduto davvero che dopo la scuola il mondo sarebbe stato ai vostri
piedi, ma non avevi previsto neanche che sarebbe stato così faticoso.
Eri abbastanza convinto che vi sareste barcamenati più o meno bene,
unendo gli sforzi, e per certi versi è così. James ti aiuta
economicamente e per quanto ti imbarazzi gliene sei grato, perché lui ha
anche troppi soldi e tu nemmeno un po’ ed era nella sua natura rimediare
al dislivello. Sirius ha continuato per tutto il primo anno dopo il diploma a
condividere i tuoi pleniluni, diradando man mano la sua presenza a sporadiche
occasioni.
E
anche tu hai fatto cosa potevi per loro. Ma qualcosa non è andato bene
lo stesso. Ed è per via della guerra e del modo in cui annienta la
vostra vita quotidiana, ma è anche perché Sirius e James, in
fondo, hanno più cose in comune tra loro di quante ne abbiano con te;
hanno poco tempo libero e quel poco amano trascorrerlo insieme, loro due. E ti
va bene così, li capisci. Sai che comunque tengono a te.
Ma
questo diventa comune un mattone in più del muro che ti isola, un
po’ per caso, un po’ per tua volontà e un po’ per
cause esterne.
Sei
lontano e ti allontani ancora di più.
Non
sei esuberante e vivace come Sirius o come James. Non hai lo stesso gusto per
il movimento e l’attenzione che caratterizza il giovane Black, non hai
bisogno di avere gente intorno per natura, e adesso che sei sempre così
stanco e preoccupato, sfibrato, la solitudine ti è ancora più
confacente. Anche se significa distacco.
Avrai
tempo per recuperare. Ti piace pensarlo, e immaginare gli aspetti trascurati
della tua vita che sistemerai quando questa storia della guerra sarà
finita, quando tutta la tua attenzione non sarà più calamitata
dai problemi da risolvere, dagli incarichi, dalle strategie di lotta. Immagini
il giorno in cui, con calma e senza più preoccupazioni esterne, ti
siederai davanti a un tavolo con Sirius e parlerete senza fretta di tutto
quanto, chiarirai i perché della tua assenza e della distanza che si
è formata tra voi e ripartirai dal punto in cui eravate rimasti
abbracciandovi al momento dei MAGO, ma senza più l’ombra nera
dello scherzo a pesarti addosso. Lo farai, presto o tardi, ne sei certo.
Per
questo stasera ti concedi la tua tranquilla serata solitaria. Domani, tanto per
rinforzare il vostro filo sottile, chiederai a Sirius di pranzare con te.
Domani.
FireAngel: oh beh, se mi approva pure una psicologa allora
posso anche dare un party! ^__^ La buona Jk comunque
si è dimenticata parecchie cose, ma mi fa in ogni caso piacere che
questa versione sia di tuo gusto. Spero che anche questo Remus abbia incontrato
il tuo favore.
fog: Gesù, quanta poesia. Tu mi fai sempre struggere
a suon di lusinghe. Piango. Posso piangere? Sic. Mi dici sempre cose bellissime
e io rimango sempre lì come una scema e non so mai cosa risponderti perché
mi mancano le parole (evento di una rarità immensa). Ti posso solo
ringraziare, ecco. Di cuore. Ecco, vedi, sono qui e vorrei aggiungere qualcosa
e non mi esce nulla. Sic. Sei un tesoro.
LilyLuna:… mmmh…
ragazzi, a sto giro mi sa che mi sono fatta passare un po’ per una
depressa. Forse non ci crederete ma a me capita rarissimamente, direi
praticamente mai di sentirmi come Sirius in quella scena. E di solito la luce
la tengo accesa anche quando sto male, per guardare bene le cose in faccia
finché non mi si incidono nelle ossa, di modo da assorbire l’impatto
e oltrepassarle. Non funziona molto bene come tecnica ma sono fatta
così. Questo per dire che, ecco, non mi aspettavo che quella scena fosse
così vivida e intensa e sono oltremodo contenta di aver scoperto che
invece pare esserla. Quindi, ecco, prego. E grazie a te.
l3l4:
grazie. In effetti cerco di effettuare un certo approfondimento, anche perché
ormai i punti salienti di questi personaggi per come li vedo io li ho
più o meno toccati tutti, quindi non resta che scavare tanto per
cambiare un po’. Grazie anche per l’appoggio a Perfect
Family!
A
presto
suni