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Autore: suni    25/03/2008    4 recensioni
Gli amici si vogliono bene: si sostengono, si aiutano, si rallegrano a vicenda.
Ma a volte si feriscono, si colpiscono, si allontanano, non si capiscono.
Quando succede possono esserci conseguenze.
Devastanti.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parentesi in due parti che fa luce sui cambiamenti e le distanze che possono portare due amici al fraintendimento totale, con tutto quel che ne consegue, sulla logorazione e le ferite che si infliggono in nome dell’affetto, perché non sempre essere amici è sinonimo di correttezza.

Buona lettura.

suni

 

 

 

 

 

La valse des équivoques

 

 

Primo movimento: Sirius

 

 

Sono le nove di sera e l’appartamento è buio, freddo. Sei stato fuori tutto il giorno – riunione, sopralluogo, pranzo, capatina al Ministero, rapido ragguaglio con un paio d’altri membri, ricerca sul campo – e il fuoco non è stato acceso da ieri.

Metti la legna nel camino prima ancora di sfilarti il mantello, hai il naso gelato per la corsa in moto nel cielo gelido e le dita della mani violacee, perché hai di nuovo dimenticato i guanti da qualche parte. La fiamma crepita prendendo vita, è luminosa e vivace e riverbera il rosso sulla parete, sul pavimento, sulla tua pelle. E’ una bella sensazione e per un attimo sorridi, accovacciato sul pavimento della tua mansarda vuota e semibuia. Hai lasciato il casco in terra in mezzo alla stanza e le chiavi sul tavolo, tra alle stoviglie mai sparecchiate della cena di ieri.

Dovresti almeno accendere la luce, ma non ne ti va. Pensi che ti farebbe male agli occhi, stanchi e pizzicanti per il vento; inoltre non hai voglia di luce, sei d’umore cupo. Ti senti affaticato, impotente e totalmente inutile. Hai la sensazione di non essere che un granello di sabbia talmente microscopico che non lo si può vedere a occhio nudo, davanti alla  vastità di un mondo immenso.

Non era così che avevi immaginato le cose; non è questo che ti aspettavi al castello, non è la vita come l’avevi vagheggiata. Hai sempre pensato che non sarebbe mai cambiato nulla, che avresti continuato ad essere Padfoot, un pezzo da novanta. Che tu, Prongs, Moony e Wormtail sareste rimasti qualcosa di significativo, qualcuno che non può passare inosservato: come quando scendevate dalla torre per colazione e gli altri studenti si voltavano a guardarvi passare, un po’ ammirati, un po’ sprezzanti, comunque mai indifferenti.

Voi eravate i vincenti: quelli che la fanno sempre franca, che in un modo o nell’altro cadono sempre in piedi, che bene o male arrivano sempre a ottenere quel che sperano. Hai avuto dei buoni MAGO senza mai troppo sforzarti ed evitato l’espulsione così tante volte che quasi hai perso il conto, persino quando hai quasi fatto ammazzare quell’idiota di Snivellus. Hai fatto piegare ai tuoi piedi schiere di ragazzine e ti sei beato dell’ammirazione che i tuoi occhi argentati e il tuo sorriso sfavillante suscitavano. Hai tentato ogni genere di impresa spericolata – dall’animagia alle incursioni nella Foresta Proibita – nella certezza che comunque fosse andata si sarebbe concluso tutto bene, hai partecipato a decine di progetti eccitanti ed esilaranti e hai riso fino alla nausea con i tuoi migliori amici, spesso per notti intere.

E adesso non riesci a capire dove sia finito tutto questo.

Niente di quello che hai intorno corrisponde all’immagine che ti eri costruito in mente della tua vita nel mondo adulto. Né la tua mansarda silenziosa né il volto teso e smagrito di James, o la paura che accompagna ogni giornata di tutti voi. Pensavi che sareste stati eroi, che avreste compiuto grandi imprese ma di fatto l’unica cosa che riuscite a fare, e nemmeno troppo bene, è rimanere a galla. Annaspando.

Ti eri fatto l’idea che in quanto Gryffindor un certo numero di cose di te fossero scontate: che chiaramente sei dalla parte della ragione, che agisci nel nome di quel che è più giusto, che meriti il rispetto dovuto a chi non si fa piegare dalla paura – e tu non lo permetti mai, è il tuo punto d’onore – e che non sei una persona qualunque. E i tuoi amici con te. Siete i Marauders, per Godric, anche se ormai non lo si crederebbe più.

Ma non è vero niente. Hai incontrato la realtà e il pugno che ti ha tirato in piena faccia è stato così forte che ti ha lasciato perpetuamente frastornato. Non interessa a nessuno che tu sia un Marauder e nemmeno che tu sia un Black, per quel che può valere. Le divisioni nette cui ti eri abituato nei corridoi di Hogwarts non esistono più e ci sono soltanto confusione e paura.

E no, non hai voglia di accendere la luce, di lasciare che i suoi raggi rivelino più crudamente e vivamente la realtà che hai intorno. Preferisci rimanere nella penombra per qualche altro minuto e covare la tua illusione di cecità, per tenere il mondo un po’ più lontano ed esserne meno amareggiato.

Padfoot.

Soltanto un gioco di parole.

E vorresti sapere dov’è Remus, perché non l’hai trovato a casa sua eppure ieri aveva detto che sarebbe stato lì per tutto il giorno, ma non c’era, di nuovo. Lo hai aspettato per quasi due ore perché volevi una spiegazione e lui non è arrivato.

Hai la nausea e vorresti solo metterti a dormire, ma la tua mente è perfettamente lucida e sveglia e non ti dà tregua. Non riesci a smettere di pensare alle tue due vite – quella di prima e quella di adesso – e notare quanto il confronto sia avvilente.

Le immagini si sovrappongono in una schiacciante sconfitta.

 

La sciarpa rossodorata che portavi sempre al collo era il simbolo di una vittoria. Ti sentivi fiero di indossarla e per questo lo facevi anche quando non c’era motivo. Quel pomeriggio non faceva particolarmente freddo ma tu te l’eri avvolta intorno lo stesso, come al solito.

“Lo andiamo a cercare?” ti ha proposto James ansiosamente, vedendo che ti vestivi.

“Sì, certo,” hai confermato tu.

Vi siete guardati negli occhi per qualche secondo, cauti, sotto lo sbirciare inquieto di Peter. I vostri sguardi si sono fatti sicuri – la stessa sfumatura di decisione nelle iridi – e poi anche James si è infilato il mantello.

“Aspettaci qui, Peter, nel caso tornasse,” ha suggerito sicuro.

L’altro ha annuito, quasi sollevato. In quel momento hai pensato che fosse davvero un codardo, ma poi ti sei placato bonariamente: sapevi com’è fatto Peter, non c’era niente di sorprendente.

Siete usciti fianco a fianco dal dormitorio e poi dalla Sala Comune. Avete elargito qualche cenno di saluto agli studenti di vostra conoscenza che come voi si affaccendavano nei corridoio per le attività più disparate, cercando con gli occhi qualche traccia del vostro amico. Avete girovagato per tutto il castello e poi siete usciti, lungo la riva del lago.

Parlavate poco, concentrati nella vostra ricerca: ma non era un silenzio fastidioso quello che condividevate, non metteva a disagio. Ogni tanto uno dei due pronunciava qualche parola a cui l’altro rispondeva di buon grado, con indolenza. Vi siete messi a ridere come i tredicenni che di fatto eravate quando avete visto Snivellus camminare in corridoio col suo solito carico di libri e James gli ha puntato contro la bacchetta e li ha fatti cadere tutti, sparpagliandoli sul pavimento.

Va la siete svignata sghignazzando per qualche minuto prima di ritrovate la compostezza solerte consona alla vostra ricerca.

Ma non riuscivate a trovarlo.

“Ci dividiamo?” ti ha proposto allora James, indeciso.

Hai annuito risoluto, gettando uno sguardo intorno per riflettere.

“Io vado verso le serre e dalle parti di Hagrid,” hai deciso, allontanandoti di un passo.

James ti ha fatto un cenno di assenso, prima di indicare un punto vago alle proprie spalle.

“Io vado dall’altra parte. Forse verso il platano, poi faccio il giro del lago.”

Vi siete scambiati un cinque rapido e uno spintone prima di separarvi, incamminandovi ciascuno in una direzione diversa con velocità e una certa premura.

Alle serre non c’era nessuno, tranne Alice con un paio di ragazze di Hufflepuff che controllavano la crescita delle Mandragole. Hai chiesto loro se hanno visto Remus Lupin, ma ti hanno risposto di no con disattenzione, vagamente sorprese perché di norma ciascuno di voi quattro sapeva sempre dove si trovano gli altri, era una storia che andava avanti da due anni e rotti.

Nemmeno Hagrid ti ha saputo aiutare, poi ha tentato di offrirti i suoi terribili biscotti con una tazza di tè ma hai declinato decisamente l’invito giustificandoti con la motivazione della fretta e dei compiti da fare. A quel punto hai pensato di tornare al castello e provare a vedere se per caso si fosse infilato in qualche aula vuota, anche se l’impresa di controllarle tutte ti avrebbe portato via giorni interi ed era evidentemente inattuabile.

All’ultimo hai deviato per controllare il limitare della Foresta. L’hai trovato seduto su un ripiegamento del tronco di una quercia, in una minuscola radura che dà proprio sul fitto della boscaglia. Non ti ha sentito arrivare – sapevi essere molto silenzioso, all’occorrenza, anche se nessuno se lo sarebbe aspettato da un confusionario come te – e sei rimasto a guardarlo strappare via gli steli d’erba da terra con amarezza, le labbra serrate per la rabbia e gli occhi rossi.

Ti ha fatto tenerezza e ti sei sentito dispiaciuto per lui.

“Remus,” lo hai chiamato a voce bassa.

Quando ti ha visto ha spalancato gli occhi e stretto forte i pugni, ha voltato la testa dall’altra per dimostrarti distacco ma eri sicuro che fosse soltanto paura. Era una sensazione che conoscevi, avevi già sperimentato il rifiuto.

“Sei venuto per aggiungere ancora qualcosa?” ha chiesto freddamente mentre ti avvicinavi.

“Sono ore che ti cerchiamo,” hai risposto con inusuale pacatezza, ignorando per una volta una provocazione.

“Sì, avete dimenticato di chiamarmi schifoso ibrido, ma non era il caso di affannarsi tanto per farlo,” ha ribattuto lui, ostile.

Hai visto la sua spalla tremare per la tensione e ci hai appoggiato una mano automaticamente. Ti è venuto in mente tutto quel che ha sempre detto tua madre sui licantropi e ti sei reso conto istantaneamente che non credevi a una parola, non una. Che non ci volevi credere e non ti interessava.

“Occhio, che mordo,” ha mormorato Remus divincolandosi finché non si è liberato delle tue dita sulla sua scapola.

“Non essere ridicolo, Lupin,” lo hai redarguito meccanicamente, usando la stessa espressione che utilizzava lui di solito nei tuoi confronti. “Non ho certo fatto il giro della scuola per venirti a dare dell’ibrido.”

Lui non ha risposto, continuando a darti la nuca, e tu ti sei seduto lentamente di fianco a lui, in modo abbastanza rumoroso da renderglielo noto.

“Che cosa vuoi?” ti ha chiesto freddamente.

“Farti un culo così,” hai risposto vivacemente. “Perché sei un gran contapalle e ci hai presi per il sedere per più di due anni.”

Avresti voluto aggiungere che era questa la cosa importante, non il fatto che lui fosse un licantropo in sé. Vi aveva mentito per molto tempo e questo era scorretto e inaspettato, vi ha feriti. Invece non hai detto più nulla, perché non sei mai stato bravo come lui con le parole e ti è sempre riuscito molto meglio spiegarti per gesti espliciti.

“Non sapevo se avreste capito. E non mi sono sbagliato,” ha risposto Remus a voce bassa.

“Ti sei sbagliato eccome, invece,” hai risposto tu piccato. “Perché abbiamo capito e va bene così.”

Per qualche secondo il silenzio è stato così intenso che ti ha dato fastidio. Poi Remus si è girato, lentamente, fino a guardarti in faccia con incredulità. Ha allungato lievemente il collo verso di te, come se non riuscisse a vederti bene.

“Va bene cosa?” ha chiesto in un mormorio.

Ti sei stretto nelle spalle con una smorfia quasi d’imbarazzo, poi hai sollevato la testa  verso l’alto e hai lanciato un ululato. Non sapevi perché lo stavi facendo, ma ti davano fastidio tutta quella serietà e l’ansia nella sua voce. Eri un buffone, in fondo, e un bambino.

Remus ti ha guardato ancora per qualche secondo e poi gli è sfuggito un risolino esterrefatto, emesso quasi sottovoce.

“Sul serio?” ha chiesto a bocca aperta.

Ti sei quasi arrabbiato, perché ti aspettavi più fiducia di così e non gli avevi mai dato ragione di dubitare di te e della tua lealtà. Eri il tipo di ragazzino che crede ciecamente nell’importanza dell’amicizia ed era per questo che ti sentivi offeso. Per questo e perché tu eri sempre stato sincero ed onesto, anche quando non era facile, e invece Remus aveva mentito un’infinità di volte su una cosa molto importante e tu non te lo saresti mai aspettato da lui.

“Sì,” hai risposto seccamente. “Sul serio.”

Ha abbassato lo sguardo a terra e si è stretto nelle spalle come in un’armatura protettiva.

“Mi dispiace,” ha sussurrato, intuendo la tua delusione. “Non volevo essere falso.”

Hai scrollato la testa, celando perfettamente l’amarezza.

“Non fa niente. Non parliamone più,” hai concluso con distacco.

In fondo sapevi che non te ne saresti mai potuto dimenticare. Ma ti sembrava che non avesse importanza, che tutto sarebbe comunque rimasto come prima, e anche migliore. Non c’erano più segreti ed eri con i tuoi amici.

Siete rimasti per qualche altro minuto in silenzio e poi vi siete alzati insieme, come per un segnale prestabilito. Vi siete guardati, circospetti, poi Remus ha schioccato la mascella e digrignato i denti come per morderti e siete scoppiati a ridere.

Siete tornati verso il castello camminando uno accanto all’altro e continuando a ridere, per andare a cercare James. Andava tutto bene.

 

Il biglietto di Remus diceva che aveva troppo da fare per venire a pranzo e che sarebbe rimasto a casa a lavorare per l’Ordine. Hai mangiato uno spezzatino con Peter e quando lui, nonostante la tua insistenza, se n’è andato per un impegno con sua madre hai pensato che era un peccato trascorrere da solo il tuo pomeriggio libero e hai deciso che potevi comunque passare da Remus e disturbarlo per una mezz’ora.

In quel momento non era a casa e hai dedotto che fosse uscito per un paio di commissioni, così ti sei ripromesso di tornare più tardi, magari con qualcosa di buono per fare uno spuntino. Sei andato verso il Paiolo con l’idea di fare un salto a Diagon Alley e poco distante dalla taverna hai incontrato Kingsley e Fabian. Ti sei fermato a bere un tè con loro in un bar babbano, discutendo sommessamente dei più recenti sviluppi della situazione e dello spinoso problema della possibile presenza di una spia all’interno dell’Ordine. Ti hanno raccontato vagamente della loro indagine mattutina e tu li hai aggiornati sulle tue scoperte di ieri relative all’operato di Dolohov. Fabian si è inferocito per lo sdegno e poi vi siete salutati; mentre loro andavano a raggiungere Bones tu sei tornato da Remus e lui non c’era di nuovo.

Hai pensato che non avrebbe tardato e sei rimasto ad aspettarlo perché non avevi niente di meglio da fare. E’ arrivato dopo mezz’ora e gli sei andato incontro con un sorriso.

“Sirius!” ha esclamato lui sorpreso. “Cosa ci fai qui?”

Ti sei stretto nelle spalle e gli hai mostrato il tuo pacco con la focaccia.

“Passavo e credevo di trovarti a casa,” hai spiegato, noncurante.

“Sono dovuto uscire una mezz’ora,” ti ha raccontato lui facendoti strada in casa, e tu hai notato mentre saliva i gradini che aveva le scarpe e il fondo del mantello completamente infangati. “Dovevo vedere i Prewett,” ha aggiunto, invitandoti ad accomodarti con un cenno.

Per un attimo non ti sei potuto muovere e hai aggrottato involontariamente la fronte, perplesso. Tu eri con Fabian Prewett fino a poco prima e lui non aveva nessun impegno con Remus. Ti ha anche detto che Gideon non era in città e che stava sbrigando delle questioni con Caradoc.

Hai stiracchiato un sorriso e posato la merenda sul tavolo, mentre ti rendevi conto amaramente che Remus ti stava mentendo, e che non era la prima volta recentemente. Hai sollevato lo sguardo, lo hai guardato dritto in faccia e ci hai letto cristallina onestà. Hai continuato a guardarlo e a cercare un segno di cedimento o di colpevolezza per la mancanza di sincerità nei tuoi confronti ma non ne hai trovato traccia e questo ti ha fatto male.

Tu non mentivi. Mai. Non ai tuoi amici.

“Cosa?” ti ha chiesto lui, accennando un sorriso.

“Niente,” hai risposto scrollando le spalle.

Vi siete seduti chiacchierando pigramente, perché ultimamente non vi vedevate affatto spesso e i vostri rapporti si erano diluiti, anche se prima pensavi che non ci fosse una vera ragione, che fosse semplicemente un’altra delle cose negative della tua nuova esistenza.

Ma qualcosa si è spezzato mentre inghiottivi quella focaccia e l’offesa, e l’equilibrio che siete riusciti a mantenere durante tutti gli anni della scuola, nonostante le frizioni e gli alterchi dovuti alla vostra diversità caratteriale, si è spezzato di netto.

O forse già stava cedendo e non te n’eri reso conto.

 

Accendi la luce perché hai improvvisamente bisogno di chiarore, di sicurezza. Il fuoco nel camino sta iniziando a fare il suo dovere e riscaldare la stanza, così posi la bacchetta e ti sfili finalmente il mantello. Lasci il casco lì dov’è e ti stravacchi sul divano con uno sbuffo. Getti uno sguardo intorno al vano illuminato e ti rendi conto che non basterà accendere una luce per mandare via i dubbi e le inquietudini.

Il gufo che picchietta alla finestra ti fa riscuotere di soprassalto e con un cenno della bacchetta spalanchi l’imposta per farlo entrare. Gli sfili la busta dalle zampe e sai di che si tratta, hai invitato Remus a cena questa mattina ed è per questo che sei passato da lui nel pomeriggio, per sapere come mai non dava notizie.

Ha scribacchiato solo poche parole. non ti sorprendi del suo rifiuto ma osservi con spossatezza la frase vergata come spiegazione, Remus ti dice che è stanco e che è stato in casa a lavorare tutto il giorno.

E sai che non è vero di nuovo.

Lasci cadere in terra la pergamena e ti poggi l’avambraccio sugli occhi come se così tutto - Londra, l’Inghilterra, forse il mondo intero – potesse svanire.

Ti senti sorpassare dagli eventi ogni giorno di più.

Sei sempre stato una persona aperta, ottimista, uno che pensa che fondamentalmente c’è del buono in tutti, o quasi, che l’umanità è portata per natura al bene. Sei abituato a cogliere il lato migliore delle persone e pensare che sia quel che conta di più. Ma questa guerra aberrante ti sta lentamente cambiando e sta lacerando la luminosità delle speranze poco alla volta, anche dentro di te, anche se giuravi che non sarebbe successo.

Per questo, adesso, quel che ti viene in mente con più nitore non sono le tante albe che hai trascorso con i tuoi amici alla Stamberga, ma le piccole bugie accumulate e le incomprensioni che si sono sovrapposte poco alla volta, pure se sai che la colpa è anche tua, che non avresti mai dovuto mandare Snape alla Stamberga al quinto anno e che sei stato un cazzone. Ma questo non basta a motivare la menzogna e non è più sufficiente a trattenerti dal sospetto.

E visto che non sei il tipo che rifiuta di prendere atto delle cose che pensa, anche quando sono spiacevoli, e questa lo è più di qualunque altra, lo fai. Anche se fa male, anche se brucia e ti fa sentire vuoto e dolorante.

Remus potrebbe essere la spia di Voldemort.

E tu lo sai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua a venirmi fuori roba che non so dove collocare e così la lascio a sé.

Scusate la logorrea verbale. E’ un problema, lo so.

 

Già che ci sono, continuo a farmi pubblicità che fa sempre bene (…).

Se i Black – e non solo Sirius – vi interessano minimamente, passate da qui e ci troverete la mia versione:

 

http://black-pf.livejournal.com

  

 

 

   
 
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