Four children. Four
names. Four letters.
[Rory: Red King.]
Checkmate – Kings never die
«Prima regola: proteggi il tuo Re.»
Non volare via. Sara Rattaro
“Scacco!”
Rory rivolse un’occhiata trionfante al padre, spostando
il proprio alfiere vicino al re nero dell’uomo.
Joel sorrise sotto i baffi, divertito dalla
vivacità che il figlioletto stava mostrando mentre giocavano. Diceva ‘scacco’ talmente tante
volte che l’uomo aveva ormai incominciato a soprannominarlo così.
“Occhi sempre aperti, ragazzo…” lo avvertì, mangiandogli la pedina con il re. Rory sbuffò e si mise a braccia conserte.
“Te l’avevo detto di non muovere l’alfiere…”
mormorò Gale, esaminando la scacchiera. “Porta in avanti questo cavallo”
aggiunse poi, muovendo la mano del fratello minore per fargli spostare la
pedina.
Era domenica pomeriggio e, come tutte le settimane
da quando Rory aveva quattro anni, lui e il padre
avevano allestito sul tavolo la vecchia scacchiera di Joel; era sporca di
carbone e mancava qualche pezzo, ma avevano rimediato a quest’ultimo problema intagliando
qualche cubetto di legno.
Joel amava giocare a scacchi: quel passatempo era
una delle poche cose in cui riuscisse a mantenersi concentrato per più di una
manciata scarsa di minuti. Amava soprattutto insegnare quel gioco ai propri figli;
Gale non si era mai mostrato particolarmente interessato, ma Rory, che aveva cinque anni, adorava trascorrere i
pomeriggi cercando di battere il padre, aiutato dalla madre o dal fratello
maggiore. Faticava ancora a comprendere come funzionasse il gioco, ma ce la
metteva tutta; il suo nome, Rory, significava Re Rosso ed era convinto che, per
portarlo degnamente, dovesse imparare a
difendere il Re della sua scacchiera a tutti i costi.
Quel pomeriggio gli erano rimasti ormai pochi
pezzi, se messi a confronto con la schiera di pedine nere del padre. Tuttavia
il suo re era ancora vivo e il
bambino era deciso a battersi fino in fondo, prima di accettare la sconfitta.
Mosse il re in avanti, e fece la stessa cosa al
turno successivo. Lo spostava spesso, nel corso della partita: voleva sconfiggere
il padre proprio con quella pedina, nonostante Gale continuasse a suggerirgli
di cambiare tattica. Più volte, per via
di quegli spostamenti, aveva messo il pezzo principale del gioco in una
posizione di pericolo. Il padre fingeva spesso di non accorgersene, per
permettere al bambino di proseguire con la partita.
“Scacco!” ripeté dopo qualche minuto Rory, portando il re di fronte a quello avversario.
“Attento…” lo avvertì Gale, indicandogli la pedina
con un cenno del capo.
“Qual è la regola numero uno degli scacchi?” chiese
Joel al minore dei fratelli.
“Proteggi il tuo re” recitò il bambino, spostando
il suo all’indietro prima che quello del padre potesse mangiarglielo.
L’uomo gli sorrise.
“Ben detto, Re Rosso” si complimentò, strizzandogli
l’occhio.
Gale guardò fuori con aria impaziente, prima di
raggiungere l’ingresso per mettersi il cappotto. Si fermò a metà strada per
arruffare i capelli di Vick, che si era avvicinato al fratello per mostrargli il
suo disegno.
“Dove stai andando?” domandò un’incuriosita Hazelle, raggiungendoli dalla camera da letto.
“A caccia” rispose il ragazzino, mettendosi il
berretto.
“A quest’ora?”
Hazelle guardò fuori dalla finestra: il cielo
stava incominciando ad annerirsi.
Gale si strinse nelle spalle e restituì il disegno
al fratellino.
“Lascialo stare, ha un appuntamento” commentò il
padre con un ghigno, mentre il primogenito abbandonava l’abitazione.
La moglie gli rivolse un’occhiata perplessa.
“Un appuntamento? Ha undici anni!”
Joel le rivolse un sorrisetto divertito.
“Undici anni e una fila di ragazzette che gli fanno
la corte. Arrenditi, Haze: è un uomo, ormai.”
La moglie sospirò, prima di prendere in braccio
Vick, che era occupato a impiastricciare il retro del suo foglio con le mani
sporche di polvere di carbone.
“Tu non crescere mai. Okay, ometto?” esclamò,
dandogli un bacio sui capelli. Il piccolo annuì.
“Va bene, mamma!” acconsentì, mostrandole il
disegno.
Joel diede le spalle al tavolo, per seguire la loro
conversazione; con la coda dell’occhio si accorse che Rory
stava spostando delle pedine sulla scacchiera, credendo di non essere visto.
“I re non barano mai, Scacco” lo avvertì senza
girarsi, facendolo sussultare. “E tu sei o non sei un re rosso?”
Il bambino gli sorrise con fare da discolo, prima
di annuire.
“Sì, anche se i miei soldati sono tutti bianchi”
osservò, indicando la scacchiera; lo aveva sempre impermalito il fatto che ci
fossero solo pedine bianche e nere. Il suo nome parlava di un re rosso, perciò
gli sarebbe piaciuto avere dei pezzi di quel colore. Suo padre gli ripeteva
spesso che il rosso era il colore dei combattenti, fieri e intelligenti.
Rappresentava le persone astute e competitive, come lo stesso Joel. E come Rory sognava di diventare una volta cresciuto.
Il bambino sbirciò fuori dalla finestra per
inseguire con lo sguardo il fratello maggiore.
“Anche io sono un uomo, papà?” chiese poi,
mettendosi in ginocchio sulla sedia per sporgersi sul tavolo. “Come Gale?”
“Quasi” rispose il padre, esibendo il suo solito
sorriso un po’ storto. “Sei sulla buona strada per esserlo.”
“Come faccio a diventarlo?” lo interrogò ancora il
figlio, “Devo portare a casa la legna come fate tu e Gale?”
Joel scosse la testa.
“Capirai di essere diventato un uomo quando
riuscirai a prendere da solo la tua prima preda, durante la caccia. O quando
riuscirai a battere il tuo vecchio a scacchi senza aiuti…” aggiunse,
arruffandogli i capelli.
Rory gli sorrise vispo, prima di tornare a concentrarsi sulla
scacchiera; era sicuro che, presto o tardi, sarebbe riuscito a vincere senza
aver bisogno dei consigli degli altri.
Mosse il re in
avanti, sperando di non trovarsi sulla traiettoria di una pedina nera. Il padre gli indicò la propria torre,
sistemata sulla stessa fila.
“Proteggi il tuo re,
Scacco” gli ricordò, mentre il bambino
riportava la pedina alla posizione di partenza. “E tieni sempre gli occhi
aperti”.
“Quanti anni aveva
Gale, quando ha preso il primo coniglio tutto da solo?” chiese il ragazzino,
analizzando la scacchiera con sguardo attento.
Il padre ci pensò un
po’ su.
“Otto, credo”
rispose, prima di incolonnare il proprio re con quello del bambino.
Rory si precipitò a spingere in avanti il proprio e, con
quella mossa, la partita si concluse.
“Scacco matto!”
esclamò entusiasta, sollevando le braccia in un gesto di vittoria.
Joel sorrise sotto i
baffi.
“E bravo il mio Re
Rosso!” esclamò, alzandosi per sgranchirsi le gambe, mentre il figlioletto
smontava il ‘campo di battaglia’. “Ma la prossima volta mi aspetto che tu ce la
faccia da solo, senza aiuti. Puoi farcela, ragazzo?”
Il bambino annuì con
decisione, continuando a riporre le varie pedine nella scatola.
Presto, si disse,
avrebbe imparato a giocare meglio e sarebbe riuscito a vincere da solo.
Presto sarebbe
diventato un uomo, come suo padre e suo fratello maggiore.
*
«Ultima regola: il Re non muore mai, conosce solo la resa.»
Non volare via. Sara Rattaro
Rory contemplò con espressione ammirata le pedine della
sua nuova scacchiera. Suo padre era riuscito a procurarsi un set di seconda
mano al Forno e, assieme a Gale, aveva trovato il modo di dipingere le pedine
bianche di rosso; quello era stato il regalo che Rory
aveva ricevuto per il suo settimo compleanno e il ragazzino non avrebbe potuto
esserne più entusiasta. Stava migliorando a vista d’occhio, con gli scacchi, e
non vedeva l’ora che suo padre rientrasse dal lavoro per poter fare qualche
partita con lui.
Quando rincasò, Joel aveva l’aria più stanca del
solito e lo sguardo incollerito.
“Che è successo?” chiese subito la moglie; lo
conosceva abbastanza bene da sapere che quell’espressione poteva significare
solo disgrazie, episodi ingiusti o guai in arrivo.
Rory sistemò i pezzi della scacchiera sul tavolo,
mentre l’uomo si lasciava ricadere pesantemente su una sedia.
“Una volta è crollata e un paio dei nostri sono
rimasti feriti” sbottò, stringendo convulsamente le mani a pugno. “Ce n’è uno,
il più giovane, che è stato colpito al collo e non sanno se si riprenderà: non
riusciva nemmeno a muoversi.”
Lo sgomento nello sguardo di Hazelle
si accentuò; la donna si avvicinò al marito per stringergli un braccio. Gli
passò una mano fra i capelli e poi gli accarezzò il volto, come se si volesse
assicurare che stesse bene. La preoccupazione continuò a velare gli occhi della
donna, mentre il suo sguardo si spostava dal marito al figlio, che stava
osservando entrambi con aria impensierita.
Rory chinò la testa, tornando a sistemare le sue pedine
rosse sulla scacchiera; una punta di paura continuò a stuzzicargli lo stomaco,
mentre dall’altra parte del tavolo i suoi genitori parlavano dell’incidente.
Era evidente che sua madre fosse spaventata e lo era anche lui, al pensiero di
tutte le cose che potevano succedere ai minatori. Sapeva che, un giorno, anche
lui sarebbe dovuto andare a lavorare nelle miniere, così come Vick e Gale. L’idea
lo preoccupava, perché capitava spesso che Joel tornasse a casa stanco e
rattristato, per via di un collega che era morto o di un amico che si era fatto
male. Non voleva che qualcosa di simile succedesse anche a suo padre. E non
voleva nemmeno che accadesse a lui. Se da un lato non vedeva l’ora di crescere,
per imparare a cacciare da solo e riuscire a battere suo padre a scacchi,
dall’altro lo frenava il pensiero che, una volta adulto, sarebbe stato
costretto a lavorare in un posto così pericoloso come le miniere.
Quella sera Rory fu insolitamente taciturno sia a cena che mentre
preparava ancora una volta la scacchiera; l’idea di giocare con le pedine nuove
non lo elettrizzava più come quella mattina.
“Chi comincia?”
chiese, dopo essersi messo in ginocchio sulla sedia. “La regola dice che
iniziano i bianchi, ma qui ci sono solo i neri e i rossi.”
Tamburellò con
impazienza le dita sul tavolo e, con un sorriso, si accorse che il padre stava
facendo lo stesso: quello era un tic che aveva ereditato da lui.
“Nella tua
scacchiera la regola dice che i rossi muovono per primi” rispose Joel,
rivolgendogli un cenno d’intesa.
Rory annuì e
studiò le varie pedine, per decidere con quale incominciare la partita.
“Papà?” chiese
all’improvviso, spostando un pedone in avanti di due caselle. “Da grande dovrò
fare il minatore anch’io?”
Joel fissò a lungo il
figlio, prima di sospirare e passarsi una mano fra i capelli arruffati.
“È probabile,
ragazzo. Ma io spero di no.”
Rory riprese a
tamburellare i polpastrelli sul tavolo, indirizzando un’occhiata preoccupata
alla scacchiera.
“Non voglio farmi
male…” mormorò, sfiorando uno dei suoi alfieri; non voleva fare la fine delle
sue pedine, quando cadevano a terra sul campo di battaglia.
Il pensiero di
rimanere ferito lo spaventava molto, anche se si vergognava ad ammetterlo.
Avrebbe voluto essere forte e coraggioso come suo padre, che si arrabbiava
spesso quando un collega si faceva male, ma non si arrendeva mai e continuava a
presentarsi al lavoro tutti i giorni senza mai vacillare o avere paura. Lui,
però, non si sentiva temerario come il capofamiglia di casa Hawthorne.
Era come il re rosso delle sue pedine: voleva vincere, ma aveva sempre bisogno
che ci fossero gli altri pezzi ad attorniarlo, a difenderlo. Non era come il
cavallo, o la regina, o l’alfiere, che avanzavano fieri per tutta la
scacchiera, senza aver paura di farsi del male e spesso pronti a sacrificarsi
per la vittoria.
Ancora una volta,
Joel guardò a lungo a suo figlio, prima di fargli cenno di avvicinarsi. Rory attraversò il tavolo per raggiungerlo.
“Non permetterò mai che
tu ti faccia male, ragazzo” mormorò a quel punto l’uomo, stringendogli con
affetto una spalla. “Qual è la prima regola degli scacchi?”
“Proteggi il tuo re”
rispose il bambino, fissandosi la punta delle scarpe.
Joel annuì.
“E io proteggerò
sempre il mio re…” rispose, prima di dargli un buffetto sotto il mento. …Il
mio Re Rosso.”
Rory abbozzò un
sorriso, tornando a guardare il padre negli occhi.
“E Vick; e Gale”
dichiarò, sentendosi tutto a un tratto più sollevato.
“Proprio così,
ragazzo” rispose Joel, ricambiando il suo sorriso “Voi tre siete i miei pezzi
migliori” aggiunse, indicando le pedine sulla tavola.
“Siamo un po’ come
una scacchiera, vero?” chiese il bambino, appoggiandosi al padre con il fianco.
“La mamma è la regina. Gale e Vick possono fare l’alfiere e il cavallo.”
“E io sono la torre
o un pedone?” domandò Joel, giocherellando con una pedina rossa.
Rory scosse la
testa, sorridendogli furbo.
“Tu sei un re; come
me. Sulla scacchiera ce ne sono due, no?”
Il padre gli scoccò
un’occhiata divertita.
“E allora giochiamo,
mio re” esclamò, arruffandogli i capelli.
“Giochiamo” confermò
il ragazzino, tornando a sedersi di fronte al padre.
Rory s’impegnò a
fondo per cercare di vincere. Più volte fu sul punto di cantar vittoria,
pensando di poter mettere il padre sotto scacco.
Alla fine cadde in
una trappola di Joel, che lo costrinse a lasciare scoperto il re, dando così il
via libera alle pedine nere dell’uomo.
“Scacco matto”
esclamò a quel punto il padre, muovendo in avanti la sua regina e facendo
cadere il re rosso del figlio.
“Mi hai ucciso”
borbottò Rory, deluso dall’ennesima partita persa.
Stava diventando bravo, ormai, ma non lo era ancora a sufficienza da poter battere
il padre.
Joel sorrise del suo
broncio, prima di alzarsi per raggiungerlo.
“Ultima regola degli
scacchi, Rory” esclamò, cingendogli le spalle con un
braccio e sfregandogli un pugno sulla testa. “Il re non muore mai: conosce solo
la resa.”
Rory si
divincolò, cercando di sfuggire all’arruffata di capelli. Infine sorrise,
tornando a prendere posto di fronte alla scacchiera per elaborare qualche nuova
strategia di attacco.
Sollevò le sue
pedine e le sistemò nuovamente sul loro campo di battaglia.
Il re non muore mai, ricordò, posizionando il pezzo più importante del gioco
al centro della scacchiera.
Quella regola aveva
tutta l’aria di poter diventare la sua preferita.
*
“Bugiarda!”
Il grido di Rory impregnò il silenzio della cucina, mescolandosi ai
singhiozzi di Hazelle.
Il suono insistente
delle sirene d’allarme, che aveva tormentato il bambino sin dal pomeriggio, riprese
a rimbombargli nella testa.
“Sei una bugiarda,
lui si è salvato e sta per tornare!”
“Rory,
ti prego…” mormorò la donna, cercando di controllare il tremito della sua voce.
Si precipitò in avanti per stringerlo a sé e appoggiò la guancia umida di
pianto ai suoi capelli. “…Vorrei che fosse una bugia, lo vorrei tanto, amore,
ma non posso…”
“Smettila!”
Rory si separò dall’abbraccio della madre con uno
strattone e diede un calcio a una sedia,
serrando i pugni. La sua sfuriata avrebbe probabilmente svegliato Vick, ma non
gli importava. Sua madre gli stava mentendo, lui lo sapeva. Se lo sentiva.
“Papà adesso torna,
vedrai che torna!” sbottò, scacciando bruscamente le lacrime con il dorso della
mano. “Ho preparato la scacchiera” aggiunse, indicando la schiera di pedine
sistemate sulla tavola di legno. “Mi deve una rivincita e oggi lo batterò, oggi
posso farcela!”
“Amore, ascoltami…”
Hazelle cercò di raggiungerlo per calmarlo, ma Rory tornò a divincolarsi dalla sua presa.
“Papà non può
tornare. Papà è…”
“Non dirlo!” gridò
il ragazzino, mettendosi le mani sulle orecchie. “Non dirlo, non è vero!”
Sfuggì ancora una
volta all’abbraccio della madre, deciso a non crederle. Suo padre non era come
gli altri minatori: lui era forte. Lui
era un Re. E l’ultima regola degli scacchi parlava chiara, in tal
proposito.
“Il Re non muore mai.
Il Re non muore mai!” urlò, scattando verso l’ingresso.
“Rory!”
Fece appena in tempo
a ricambiare lo sguardo assonnato di Vick che si era appena intrufolato in
cucina, preoccupato da tutte quelle urla, prima di chiudersi la porta alle
spalle.
Incominciò a
correre, chiudendo fuori i richiami insistenti di sua madre e le esclamazioni
sorprese dei passanti. Era sera inoltrata e una pioggia fine aveva incominciato
a scivolare lungo le strade, mescolandosi al nero che le sporcava: il cielo
piangeva lacrime ornate di polvere di carbone.
Rory superò il Prato e continuò a correre, spingendosi fino
alla recinzione di filo spinato. Non l’aveva mai attraversata da solo – e mai al
buio - perciò esitò, quando si trovò davanti al punto che suo padre e Gale
attraversavano spesso, per passare dall’altra parte. Rabbrividì, stringendosi
nelle braccia per via del freddo, e trasse un lungo sospiro, prima di infilarsi
nell’apertura.
Si addentrò nel
bosco con passo esitante e vagò alla cieca, cercando la radura in cui suo
fratello si fermava spesso per preparare le trappole.
“Gale!” esclamò dopo
qualche minuto; incominciava ad avere paura.
Girò lentamente su
se stesso e provò o orientarsi, ma la pioggia, per quanto fine, lo confondeva e
il buio ostacolava i suoi tentativi.
“Gale!” gridò
ancora, appoggiando la schiena a un albero e lasciandosi scivolare a terra.
Non ottenne
risposta, perciò si limitò a raggomitolarsi su se stesso, arrendendosi alle
lacrime.
Continuò a chiamare
il fratello, intervallando le grida ai singhiozzi. Dieci minuti più tardi una
voce rispose alle sue urla. Era lontana e stava ripetendo il suo nome,
avvicinandosi man mano che il ragazzino replicava.
“Papà?” esclamò Rory, quando il richiamo incominciò a farsi più vicino.
Chiuse gli occhi e si aggrappò al filo sottile di speranza che, nonostante
l’evidenza, non era ancora riuscito a lasciare andare. “Papà, sei tu?”
“Rory!”
Il suo nome risuonò
nella radura e, un istante più tardi, Gale fece comparsa dietro uno degli
alberi.
Il ragazzo corse dal
fratello e si sfilò il giubbotto per coprirlo. Rory
abbandonò la testa contro il suo petto, tremando infreddolito.
“Che diavolo ci fai
qui?” sbottò il maggiore dei due, stringendolo a sé per scaldarlo. Lo fece con
gesti bruschi, arrabbiati. Era furioso e, nonostante facesse così buio, a Rory sembrò quasi di poter intravedere nell’oscurità i suoi
occhi fiammeggianti di collera. “Potevi
perderti, potevi farti male, che ti è saltato in mente?”
“Papà è morto”
mormorò il ragazzino in risposta, chiudendo gli occhi e abbandonandosi a
un’improvvisa stanchezza.
L’aveva detto, alla
fine. Ma non aveva previsto che il peso di quelle parole l’avrebbe schiacciato
con tutta quella forza. L’esplosione che aveva ucciso suo padre lo travolse
tutto a un tratto, come se la parete di roccia che faceva da tetto alle miniere
avessero incominciato a crollare anche addosso a lui.
Aveva perso la
partita, doveva ammettere la resa; era quello che facevano i re e lui era il re
rosso: il comandante delle sue pedine.
“Papà è morto!”
ripeté più forte, gridandolo alla radura, a suo fratello, a se stesso.
Gale non disse
nulla; si limitò a stringerlo più forte, addolcendo la presa brusca con cui
l’aveva afferrato poco prima.
“Lo so.”
Quelle due parole
furono le uniche che il ragazzo riuscì a pronunciare. Rory
sapeva che, se solo avesse cercato di aggiungere qualcosa, la sua voce si
sarebbe incrinata. E non poteva permetterselo, non in quel momento. Non quando
c’era già lui a piangere, rannicchiato fra le braccia del fratello.
“Prima regola degli
scacchi…” mormorò il bambino, tirando su col naso. “…Proteggi sempre il tuo Re.
Papà non l’ha fatto: non ci proteggerà più.”
Un singhiozzo gli si
annodò in gola e, quando lo lasciò uscire, altre lacrime scivolarono oltre le
sue palpebre.
“Pensavo che lui
fosse più forte degli altri” ammise ancora Rory,
sfregandosi il volto con la manica. “Pensavo che lui non sarebbe mai morto…”
“Lo pensavo anch’io”
ammise il maggiore dei due, abbandonando la nuca contro il tronco dell’albero.
“E credo che lo pensasse anche lui. Ma è così che va in miniera” aggiunse, in
tono di voce più duro.
Ancora una volta, Rory sentì la rabbia vibrare nelle parole del fratello; solo
che non era più rivolta a lui: quella di Gale era una collera più tagliente e massiccia,
che arrivò quasi a spaventarlo.
“Non voglio andarci”
mormorò a quel punto il ragazzino, scostandosi dal fratello. “E non voglio che
ci vada nemmeno tu. O Vick.”
Gale lo guardò a
lungo, prima di annuire.
“Non permetterò mai
che tu e Vick facciate la fine di papà” lo rassicurò poi fasciandosi il corpo
con le braccia, per ripararsi dal freddo. “Te lo prometto.”
Le sue parole
riuscirono ad arginare per qualche istante le lacrime che continuavano a
sfuggire al controllo di Rory.
“E come faremo a
mangiare?” mormorò poi il ragazzino, balbettando per via dell’aria gelida. “Se
non andiamo nelle miniere ci serviranno dei soldi.”
“Scapperemo nei
boschi” rispose Gale, sistemandogli meglio il giubbotto sulle spalle. “Potremmo cacciare, pescare e raccogliere le
erbe commestibili.”
Rory rimuginò per qualche istante sulle sue parole, valutando
in silenzio quell’opzione. Non era sicuro che fosse possibile e l’idea lo
spaventava un po’, ma preferiva quell’immagine al pensiero di dover trascorrere
il resto della sua vita in miniera.
“Ti proteggerò io,
Re Rosso” promise quel punto Gale, sollevandosi da terra. “La prima regola
degli scacchi è ancora valida” aggiunse, aiutando il fratellino ad alzarsi.
Rory inspirò a fondo, ignorando le lacrime che continuavano a
rigargli il viso.
“Li proteggeremo
assieme” dichiarò a quel punto, scoccando un’occhiata al cielo; si accorse solo
in quel momento che aveva smesso di piovere. “La mamma, Vick e il fratellino
che deve nascere. Tra qualche mese faccio otto anni” aggiunse, incominciando a
camminare di fianco al fratello. “Devo essere un uomo, adesso. Vero?”
Gale sfilò le mani
dalle tasche e gli circondò le spalle con un braccio.
“Papà te l’ha detto
come si diventa uomini?”
Rory annuì.
“Devo cacciare il
mio primo coniglio” rispose, mentre un nuovo singhiozzo minacciava di sgusciare
via dalla sua gola. E batterlo a scacchi,
pensò, tirando su col naso un’ultima volta.
Quello non avrebbe
più potuto farlo: la partita di suo padre era finita.
*
Rory esaminò con
attenzione tutte le trappole, facendo tamburellare i polpastrelli contro la
sacca della selvaggina. Gale lo sorvegliava da poco distante, deciso a non
intromettersi: ciò che stava facendo il fratello minore era un compito che,
quel giorno, spettava solo ed esclusivamente a lui.
Il nervosismo di Rory sfumò all’improvviso, nel momento in cui il ragazzino
trovò ciò che stava cercando. Un paio di trappole non erano scattate, ma
l’ultima sì e, intrappolato fra le sue corde, giaceva il corpicino di un
coniglio.
In altre occasioni Rory avrebbe provato tristezza di fronte a una scena simile,
ma in quel momento non poteva permetterselo: ce l’aveva fatta. Aveva cacciato
la sua prima preda.
Gale si avvicinò per
aiutarlo a smontare la trappola e a raccogliere il coniglio.
“Bel lavoro,
fratellino” si congratulò con lui, arruffandogli i giocosamente i capelli
“Adesso sei un uomo.”
Rory abbozzò un
sorriso – il primo, da quando suo padre era morto.
Scoccò un’occhiata trionfante
alle trappole, prima di infilarsi una mano in tasca, alla ricerca di qualcosa.
Ne estrasse una pedina, uno dei pezzi più importanti della sua scacchiera: un re
rosso.
La settimana prima
si era sbagliato; la partita in corso con il padre non si era conclusa con la
sua morte: gli spettava ancora la rivincita.
E in quel momento,
mentre infilava il coniglio nella sacca, il gioco si concluse.
Il re avversario era
stato sconfitto, questa volta per davvero.
“Sono un uomo”
ripeté, prima di riporre la pedina nella tasca, stringendola con forza. “Scacco Matto.”