Soul Hunter-La giostra del tempo

di Lady Moonlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In Principio ***
Capitolo 2: *** Primo Atto: La caccia ha inizio ***
Capitolo 3: *** Antiquarian: Il tempo scorre, la ruota gira ***
Capitolo 4: *** Il Registro ***
Capitolo 5: *** Master di New York ***
Capitolo 6: *** Giornalisti invadenti ***
Capitolo 7: *** Erede di sangue ***
Capitolo 8: *** Gli angeli in cielo, i demoni in terra ***
Capitolo 9: *** Il legame ***
Capitolo 10: *** L'altra faccia del mondo ***
Capitolo 11: *** Naamah, dei serpenti ***
Capitolo 12: *** Schegge di luce ***
Capitolo 13: *** Secondo Atto: Un sosia perfetto ***
Capitolo 14: *** Questioni di fate, questioni di Nephilim ***
Capitolo 15: *** Il regno della Corte Unseelie ***
Capitolo 16: *** Figli di Re ***



Capitolo 1
*** In Principio ***



Dedicata a chi ha smarrito il cammino.
Ad Ale e Clà.
Alle fan di Sebastian. (LOL)

00

≈*≈*≈*≈*≈*
In principio

 

Che cosa c'è in un nome?
Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa,
anche se lo chiamassimo con un altro nome,
serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo.
{W.Shakespeare}

 

"Raziel."
Un brusio di voci si unì a quella che aveva appena parlato e l'anima si guardò attorno per scoprire a chi appartenesse il nome che era stato chiamato.
Una figura alata, avvolta in un alone dorato, emerse alle spalle dei compagni, andandosi a sedere su un trono di cristallo.
L'anima non poteva vederne il volto, celato da una luce troppo intensa per poter essere sopportata, ma ne avvertì comunque lo sguardo. Si sentiva onorata, perchè in qualche modo, sapeva che l'angelo non era solito rivolgere la sua attenzione ad anime così insignificanti.
"Conosci il tuo nome?" mormorò.
I serafini tacquero all'istante, portando la loro attenzione su di lei, ma l'anima rimase in silenzio. Cominciarono a parlare tra loro in una lingua sconosciuta, intonando una melodia che fece crescere in lei il bisogno di conoscerne il significato.
"Un'anima dalle potenzialità notevoli." Raziel distese le ali, scivolando lontano dal suo trono e mettendosi al suo fianco. "È raro entrare in contatto con uno spirito così incredibilmente dotato."
Non poté far altro che ascoltarlo, sebbene quelle parole per lei non avessero alcun significato.
Un serafino dagli occhi di ghiaccio si fece avanti. "È stata corrotta, Raziel. Non possiamo essere certi della sua lealtà." spiegò, stringendo le ali al suo corpo. "Non esistono garanzie e il rischio è troppo alto."
"Non ho richiesto la tua opinione, Enoch." Raziel si voltò per fronteggiare il compagno e l'anima si sentì immensamente fragile e indifesa. "Io ho guardato al di là delle sue imperfezioni e ho visto la luce. Una scintilla così potente da ricordare il Figlio dell'Aurora."
Il gruppo dei serafini si lasciò andare ad esclamazioni stupefatte, ma nessuno osò contestare quanto rivelato da Raziel.
L'anima rivolse nuovamente lo sguardo sul viso del'angelo, ma per quanto si sforzasse riusciva a cogliere solo sfumature dorate.
"Ombre mescolate a luci." Raziel girò i palmi delle mani e tra le sue dita, dal nulla, comparve un grosso tomo che lui sfogliò riluttante. C'erano parole scritte in ogni tipo di lingua e dialetti esistenti. "È questa la natura delle anime. Non possiamo aspettarci nulla di diverso e, comunque, questo spirito si è dimostrato più degno di tutti gli altri fin ora esaminati."
"Tuttavia, Raziel..." esitò la voce dell'angelo Enoch. "Le altre anime non presentavano lo stesso attaccamento, lo stesso scomodo legame, che lei sembra condividere con..." la frase rimase incompiuta, perché Raziel chiuse di scatto il libro intimando l'altro con un'occhiata a tacere.
L'anima tremò di paura, mentre attendeva fiduciosa il giudizio finale del Principe dei Serafini.
"C'è splendore in te e distruzione." osservò Raziel, rivolgendosi direttamente all'anima. "Una stella destinata ad eclissare lo splendore delle altre. Mi chiedo se..." fece una pausa e tutti i serafini riuniti in quel luogo trattennero il respiro. "Mi domando se cadrai come il tuo predecessore o se ti ergerai come nuova guida per gli angeli." la mano
carezzò il dorso del libro in modo quasi casuale. "Un astro cade ed un altro ne prende il posto." bisbigliò rivolgendosi a se stesso.

L'anima lo guardò affascinata, bruciante dal desiderio di poter vedere il volto dell'angelo.
"È una follia, Raziel!" esclamò Enoch, liberando le ali e affiancandosi al compagno. "Stai suggerendo l'idea che un giorno potrebbe prendere il posto di Lucifero? È solo un'anima! Senza più un corpo, senza ricordi, senza..."
Il volume di Raziel si alzò in volo, sospeso sopra quell'assemblea come un oracolo in procinto di rivelare le sue visioni. Il chiachiericcio della folla si interruppe nuovamente e l'anima se ne chiese il motivo.
"Così mi è stato rivelato dal libro. Quest'anima è importante, ma cosa realizzerà e cosa sceglierà non mi è ancora dato saperlo. Nemmeno a Mikhail è concesso intervenire."
Enoch annuì controvoglia. "Naturalmente." commentò in tono solenne. "Sarà eseguita la tua volontà, Raziel."
"Sempre, Enoch." lo riprese il serafino.
"Sempre." asserirono in coro gli altri angeli e per qualche ragione anche l'anima si ritrovò a condividere quell'opinione.
Poi ci furono solo canti e parole sconosciute.
L'anima si risvegliò.

 

  

†††
 

 

Sete.
La gola gli doleva. Era un dolore insopportabile, un dolore che solo il sangue avrebbe potuto calmare.
Tuttavia non c'era nessuna preda nelle vicinanze. Nulla che potesse placare quella sete insostenibile.
Quanto tempo era trascorso dal suo ultimo risveglio?
Si mosse nell'oscurità, leccandosi le labbra nella vana speranza di avvertire su di sé il sapore dell'ultima vittima che aveva assaporato.
Un ringhio sommesso fuoriuscì dalla sua gola, quasi un'implorazione.
Aveva bisogno di cibo. Voleva sangue e non si sarebbe accontentato di nulla che non fosse di origine umana.
All'esterno del mausoleo, che aveva scelto come rifugio temporaneo, avvertiva l'avvicinarsi del crepuscolo. Gli sarebbe bastato aspettare solo qualche attimo per poter tornare nel mondo senza il rischio di incorrere in qualche
pericolo.

Per prima cosa si sarebbe nutrito e in seguito si sarebbe occupato di vedere lo stato in cui la civiltà umana versava.
Non aveva dubbi sul fatto che gli umani lo avrebbero sorpreso nuovamente. Che tipo di conflitto avrebbe trovato in superficie? L'Europa era un continente che aveva visto numerose guerre, ma lui progettava di andare in America una terra con cui non aveva molta familiarità.
Sorrise, mentre i canini premevano sulle sue labbra per essere liberati.
Con un gesto elegante della mano sfiorò la pietra che lo teneva segregato in quel luogo. Il masso si sbriciolò e una lieve brezza invernale lo accolse nuovamente nel mondo.

 

***

 

Era un bambina. Occhi castani e capelli biondi.
L'infermiera l'avvolse in un asciugamano e l'affidò alle cure della madre, sfinita dal parto. La neonata si agitò per alcuni istanti prima di emettere alcuni disperati vagiti.
Al suo polso venne infilato un braccialetto di plastica con il nome scelto dai genitori e l'infermiera la riprese in braccio per trasportarla in un'altra stanza.
La bambina continuò ad agitarsi durante tutto il tragitto, stringendo i pugni in movimenti quasi ossessivi.
Quando spalancò gli occhi per puntarli in quelli dell'inserviente, quest'ultima provò l'irrazionale impulso di cederla alle cure di qualcun altro.
Oro e rame.
Rabbrividendo la donna posò la neonata in una culla, sperando in cuor suo di non dover avere mai più nulla a che fare con lei.
Prima di lasciarla scorse un'ultima smorfia sul suo volto e, per quanto inquietante le parve l'idea, fu certa di aver visto un timido sorriso comparire sulle sue labbra.
L'infermiera non si sarebbe mai più dimenticata di quella bimba, nata in una gelida notte di metà febbraio.

 

 

 

 

Capitolo gentilmente betato da: KumaCla
Mi trovate su Twitter: Qui

 

Note: Ebbene, sì, sono tornata a tediarvi con una nuova originale! XD
Dunque, per chi ha letto o seguito Contratto di Sangue-L'Ombra del Principio potete considerare questa storia un prequel, ma che narrerà avvenimenti molto precedenti la "storia madre". Per chi ha amato Sebastian, sappiate che questa volta sarà lui il protagonista! ù_ù
Per chi invece non ha mai letto l'altra storia non deve preoccuparsi: non ci saranno riferimenti se non qualche velato accenno, difficile comunque da cogliere.
Ad inizio di ogni capitolo, pubblicherò delle citazioni che in qualche modo rispecchieranno l'intera vicenda e i suoi personaggi. Ho già pronti diversi capitoli-che devo comunque rivedere- quindi non dovrei farvi attendere troppo con gli aggiornamenti.
Grazie in anticipo a chi leggerà e commenterà! :D Tengo davvero molto alla prima parte del prologo e farei i salti di gioia se mi diceste la vostra opinione! :)
Prossimo aggiornamento: 24 ottobre (salvo imprevisti)
By Cleo^.^




 

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Capitolo 2
*** Primo Atto: La caccia ha inizio ***


 

DISCLAIMER: Tutti i luoghi e i personaggi qui descritti sono di pura invenzione, ogni riferimento a fatti o luoghi realmente esistenti è puramente casuale. Idee politiche, musicali, letterarie (ecc.) espresse dei personaggi non corrispondono necessariamente alle opinioni dell'autrice.
Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. L’intreccio qui descritto e i personaggi rappresentati sono copyright dell’autrice (Lady Moonlight) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa. 

  

 

Primo Atto:
Quiete di Mezzanotte

 

01
≈*≈*≈*≈*≈*
La caccia ha inizio

 

 

Ai miei occhi, sembra un diamante
tra pezzi di vetro.
{W.Shakespeare}

 

"Va bene. Per oggi può bastare."
La voce del regista si sparse in ogni angolo del set cinematografico, decretando in quel modo la fine delle riprese. Le truccatrici si mossero per ripulire i volti degli attori, ricoperti da diversi strati di trucchi, ed osservando con aria critica il frutto di due ore di lavoro svanire in una manciata di minuti.
Gli addetti alla manutenzione del set, invece, si premurarono di ricoprire con dei teli bianchi i mobili e i candelabri in ferro battuto che adornavano gli angoli della chiesa. La grande bara nera con i contorni d'argento, a differenza di quella bianca e più piccola, fu trascinata verso l'antico altare di pietra.
La famosa chiesa San Patrizio di New York si era trasformata in un gigantesco rifugio per vampiri e lo sarebbe rimasta per altri tre giorni. Il vescovo della città aveva mosso numerose critiche e diverse accuse verso il regista, ma di fronte all'enorme somma di denaro che sarebbe stata donata alla Chiesa in cambio di alcune riprese all'interno dell'edificio non aveva saputo rifiutare l'offerta.
Sebastian si trattenne dal ridere. Per quanto la Chiesa si sforzasse di celare i suoi desideri di potere era evidente che non fosse cambiata poi molto dai tempi di Lutero. Anche all'alba del 2013 era in grado di cedere terreno di fronte ad una lauta ricompensa.
"Stai bene Sebastian?" La voce di Percy Oswald lo riportò alla realtà. "Sei più pallido del solito." gli fece notare, giocherellando con un mazzo di chiavi. "Problemi con Jen?" chiese dandogli una pacca sulla spalla.
Lui lanciò un'occhiata verso il fondo della chiesa dove Jennifer Losher, la co-protagonista del film stava sorridendo a due degli sceneggiatori.
La sua "fidanzata" non diede segno di averlo visto e lui tornò a portare l'attenzione sul regista.
"Solo un po' di stanchezza." commentò con un gesto vago della mano.
"Sai..." annunciò avvicinandosi. "Un giorno dovrai proprio spiegarmi il segreto dei tuoi capelli." gli sfiorò una ciocca corvina. "Non riesco a comprendere come possano essere sempre così dannatamente perfetti."
Lui sorrise, incrociando le braccia al petto e mostrandogli i canini. Il biancore dei suoi denti non parve disturbare più di tanto Percy.
"Incredibile!" lo sentì borbottare mentre scuoteva la testa. "Sono davvero notevoli i progressi che ha fatto la scienza. Quelle zanne sembrano autentiche."
Sebastian sogghignò. Avrebbe davvero voluto vedere l'espressione di Percy se gli avesse rivelato che quei canini erano veri in tutto e per tutto. Si passò una mano tra i capelli, lisciandoli all'indietro.
Probabilmente gli sarebbe venuto un infarto. Con i suoi quarant'anni e una brillante carriera alle spalle, Percy Oswald era diventato in poco tempo il regista più amato dalle ragazzine americane. I suoi film, incentrati su creature sovrannaturali e amori impossibili erano un successo garantito al botteghino.
Nemmeno il tanto acclamato Twilight era stato in grado di sminuire l'originalità e la brillantezza delle sue creazioni. Da parte sua, Sebastian detestava il genere di vampiro presentato in quel film. Per prima cosa, nessuna creatura appartenente al Popolo della Notte sarebbe riuscita a sopportare il nutrirsi di sangue animale per una durata di tempo così lunga. Inoltre, avrebbe rischiato di scommettere tutto il suo patrimonio, solo per poter vedere un vampiro sopravvivere alla luce del sole.
Solamente i più antichi e potenti della sua razza erano in grado di resisterle e in ogni caso per non più di due ore.
Riusciva quasi ad immaginarsi suo padre mentre, colto da un attacco d'ira, affondava le zanne nella gola della scrittrice che aveva sparso simili assurdità.
"L'uscita principale pullula di tue fan." gli comunicò Percy puntando il dito verso l'uscita. "Sperano davvero di riuscire ad allontanare Jennifer dal tuo cuore." rise della sua stessa frase e Sebastian gli concesse un fugace sorriso.
Ancora una volta cercò la brillante chioma rossiccia di Jennifer. L'attrice ventisettenne lo stava raggiungendo salutandolo raggiante con la mano. Il suono dei suoi tacchi sul pavimento rimbalzava tra le pareti affrescate della chiesa.
Gli occhi della ragazza erano di un'insolita tonalità di verde. Erano scuri, ombrosi, ma con sfumature castane.
Lo sguardo era sereno, ma nel profondo c'era ancora quel manto di malinconia che lui aveva notato la prima volta che si erano incontrati.
Si era cambiata d'abito. Indossava una gonna lunga fino al ginocchio e una camicetta rosa scollata sul davanti.
Lui inarcò un sopracciglio mostrandole la sua perplessità riguardante l'abbigliamento.
"Sono esausta." commentò Jennifer, andando ad appoggiare il capo sulla sua spalla. "Torniamo a casa?" gli domandò sporgendo il viso verso il suo. Percy le offrì un cioccolatino e per un momento l'espressione di Jennifer si addolcì. Il regista ne passò uno anche a lui, ma rifiutò l'offerta.
Sebastian passò un braccio dietro le spalle dell'attrice, in un gesto automatico. Non si curò dei borbottii canzonatori che Percy stava rivolgendo loro.
"Fuori è pieno di giornalisti." l'avvertì, lasciandola andare. Ignorò i suoi lamenti di protesta.
"Allora prendiamo un taxi!" esclamò lei, roteando gli occhi al cielo. "Sono e-s-a-u-s-t-a!" ripeté scandendo bene le lettere della
parola.

Sebastian sospirò, mentre osservava l'altare di pietra al di là delle sue spalle. Qualcuno ci aveva messo sopra un vaso con qualche rosa. Si chiese perché gli umani amassero tanto infilare per forza delle rose nei film sui vampiri.
"Sei sempre stata una bambina viziata." le concesse, prendendo a camminare verso un'uscita laterale. In ogni caso non le negò quel capriccio, dato che rimanere in quel luogo sacro aveva risucchiato le sue forze e indebolito il suo fisico.. "Muoviti!" le urlò divertito vedendo la sua esitazione.
"Ci vediamo domani!" gli ricordò Percy che era rimasto sulla scena del set.
Non si prese la briga di rispondere di fronte a quell'ovvietà. 
 

 

Jennifer si lasciò scivolare sul sedile posteriore, continuando però ad osservare la folla di curiosi e giornalisti assiepati davanti all'entrata della chiesa. Il brusio provocato dalla gente continuò a seguirli fino a quando il taxi si inserì in una delle strade principali di New York. La luna era ricoperta da un fitto strato di nubi, segno che presto avrebbe piovuto.
L'odore provocato dallo smog assalì Sebastian all'improvviso, provocandogli uno starnuto che non riuscì ad evitare.
Distese le gambe in avanti, chiudendo gli occhi per distrarsi dalla miriade di sensazioni contrastanti che la sua vera natura gli stava trasmettendo.
Fumo di sigarette.
"Ho fame." intervenne Jennifer, raccogliendosi i capelli in una coda. "Potremmo fermarci in un ristorante?"
"Vuoi dire che tu potresti fermarti in un ristorante." replicò Sebastian. "Comunque..." continuò. "Non eri esausta fino a un attimo fa?" la stuzzicò.
La vide mentre reclinava all'indietro la gola. Conoscendola sapeva perfettamente che quel gesto non era stato casuale.
"Ne abbiamo già parlato, Jen. Non intendo morderti e nemmeno farti diventare come me." Lei si voltò bruscamente, l'espressione dura.
Il tassista frenò di colpo, imprecando contro il proprietario della Porsche che li precedeva. Il suono del clacson ferì il suo udito, ma ignorando il fastidio Sebastian protese le braccia in avanti per riparare Jennifer dalla brusca manovra.
"Stai bene?" le domandò, rimettendosi seduto.
Lei annuì, rassettandosi i vestiti. "Cos'è successo?" La voce le tremò impercettibilmente e lui si chiese se quell'incidente le ne avesse riportato alla mente un altro, ben più spiacevole.
Colpi di pistola.
Dovevano essere avvenuti degli scontri tra le gang di quartiere. Da quelle parti era un evento piuttosto comune.
"Problemi del traffico newyorkese." la rassicurò lui, sfiorandole una guancia. Malgrado fossero trascorsi vent'anni dal loro primo incontro, Jennifer aveva mantenuto dei tratti infantili che a volte, per brevissimi istanti, gli facevano scordare la sua reale età.
"Torniamo a Londra. Odio questa città." mormorò l'attrice.
"Quando finiremo di girare il film. Quelle alla cattedrale sono le ultime scena."
"Lo prometti?" insistette, appoggiandosi alla sua schiena.
"Sì." la tranquillizzò. "Preferisco il Vecchio Continente a questa città priva di anima." soffocò una risata, rendendosi conto di ciò che aveva detto. Nemmeno lui possedeva un'anima, non nel senso convenzionale del termine comunque.
Sangue.
Sebastian si portò una mano alla gola. I canini premevano sulle sue gengive per essere liberati e un basso ringhio di impazienza fuoruscì dalle sue labbra. Jennifer non si voltò per guardalo. Era così certa che non le avrebbe fatto alcun male che neanche tentò di allontanarsi. Al contrario sembrò avvicinarsi maggiormente.
Sangue e...
Scosse la testa non riuscendo a comprendere cosa fosse l'altro odore. Era un sapore aspro, forte. Disgustato si rese conto di non aver mai avvertito un odore tanto stomachevole.
Il tassista era sceso dall'auto per verificare i danni che aveva subito il suo mezzo. L'autista della Porsche mantenne un tono distaccato anche quando l'altro minacciò di fargli causa. Entrambi si misero a conversare in mezzo alla strada, incuranti delle grida e dei fischi degli altri automobilisti.
"Che seccatura." fu l'unico commento che Jennifer si concesse per descrivere quella situazione.
Su uno schermo pubblicitario di uno dei grattacieli vicini stavano trasmettendo l'ultima pubblicità a cui lui aveva preso parte. L'immagine di un altro Sebastian ricambiò la sua occhiata perplessa, con un sorriso che nei secoli precedenti aveva conquistato il cuore di numerose donne.
Sangue. Sangue e...
Sebastian si irrigidì. Ora non era solo l'odore di sangue umano quello che avvertiva. Un vampiro era stato ferito. Se doveva fidarsi del suo olfatto era una ferita piuttosto grave.
Astaroth.
Avrebbe riconosciuto l'odore di quel sangue ovunque. La mano destra gli tremò impercettibilmente e Jennifer se ne accorse.
"Che succede?"
Invece che risponderle Sebastian uscì dalla macchina sbattendo la portiera.
Il tassista si voltò verso di lui, imprecando nella sua direzione quasi si fosse dimenticato dell'altro autista.
La scia di sangue veniva da qualche isolato più avanti.
Un brivido di eccitazione gli corse lungo la schiena. Erano secoli che non accadeva nulla di più insolito.
Astaroth era uno dei generali di Lucifero, un vampiro così potente che solo un angelo avrebbe potuto ferirlo, ma quelle creature non si vedevano da parecchi anni. Perfino lui faticava a ricordare il loro aspetto.
Tuttavia non avvertiva la presenza di nessun angelo, solo quell'odore disgustoso che non riusciva ad identificare.
Il tassista gli s'avvicinò puntandogli l'indice al petto e in un impeto di rabbia lo scaraventò contro il veicolo. Dal rumore sinistro che aveva sentito e dai grugniti disperati dell'uomo, intuì di avergli fratturato il polso.
Lo lasciò andare immediatamente, ma continuò a guardarlo. Catturò i suoi occhi nei propri inducendo l'uomo in una paralisi totalizzante. Non avrebbe mosso un solo muscolo a meno che non glielo avesse ordinato.
"Respira lentamente." comandò, ammorbidendo il tono di voce. Attese che l'altro obbedisse mentre ascoltava il battito del suo cuore riprendere un ritmo più regolare.
"Sei caduto e ti sei procurato una frattura al polso sinistro." spiegò avvicinandosi. "Devi andare all'ospedale."
L'uomo annuì, mentre la mano destra sfiorava il braccio sinistro.
"Riesci a guidare?" chiese.
Il tassista annuì nuovamente con fare incerto e lui fece un passo indietro. Da neri, gli occhi dell'autista ripresero il loro naturale colore castano.
Dal marciapiede una ragazza lo aveva riconosciuto come Sebastian Walker, il famoso attore americano, ed ora una decina di persone lo stavano chiamando a gran voce riportando su di lui l'attenzione di tutti.
"Jennifer." chiamò, cercandola alle sue spalle. "Dovrai tornare a casa da sola. Ci sono delle faccende che richiedono la mia attenzione."
"Vampiri?" bisbigliò, certa che lo avrebbe sentito.
Il suo silenzio dovette essere esaustivo perché la ragazza sbuffò energicamente.
In altre circostanze avrebbe trovato quelle smorfie divertenti, ma non in quel momento.
L'odore del sangue era aumentato e mille dubbi si stavano ammassando nella sua mente. Chi poteva aver avuto il coraggio di attaccare Astaroth? O la stupidità, si corresse.
L'inquietudine e un senso di minaccia affiorò in lui, inducendolo ad afferrare Jennifer per le spalle.
"Hai con te il ciondolo?"
La guardò mentre estraeva dalla camicetta il pendaglio a forma di croce, facendo ben attenzione a non rivolgerglielo contro. "Lascialo scoperto." la ammonì.
"C-Cosa sta succedendo?" balbettò guardandosi freneticamente intorno.
"Prendi un altro taxi e torna a casa." le ordinò sbrigativo.
Jennifer lo afferrò per un braccio, obbligandolo a voltarsi. "Tu cosa fai?" Poteva leggere l'inquietudine farsi largo nei suoi splendidi occhi smeraldini.
La strinse a sé in un gesto protettivo e pensò che con lei certe abitudini non riusciva a perderle.
Era notte, eppure erano circondati da una miriade di luci colorate. Fu impossibile per lui non notare le lacrime che le stavano rigando il volto.
"Jennifer." mormorò rassicurante. "Ho promesso che sarei rimasto al tuo fianco, ricordi? Non devi temere per la mia vita. Fra un paio d'ore sarò di ritorno."
"Giura." sibilò stringendo i pugni. "Hai promesso."
"Lo so." chiarì allontanandola. "Ma ora devo scoprire cosa sta avvenendo in questa città. Un vampiro..." esitò, decidendo cosa fosse meglio dirle. Alla fine optò per la verità. "È possibile che sia stato commesso un omicidio."
Lei trasalì, rilassando le spalle. Sicuramente si era aspettata qualcosa di più sconvolgente.
"L'omicidio di un vampiro, Jennifer." specificò. "Antico e molto potente." la lasciò con quelle ultime parole, mentre nascondendosi alla vista della folla si avviava alla ricerca di Astaroth.

 

***

 

Sangue, sangue e... Sangue.
Aveva fame. Aveva sete.
Doveva uccidere. Doveva combattere e... uccidere.
Doveva distruggere quel dolore che la consumava.
Era la cosa giusta.
Il sangue le scorreva tra le mani. Rosso, fresco, profumato.
Delizioso. Era delizioso.
Non riusciva più a fermarsi. Non voleva fermarsi.
Aveva ucciso il mostro disgustoso che aveva osato attaccarla. Lui pensava di essere forte, ma non lo era stato abbastanza, non per lei.
Quella cosa... Cos'era? Non lo sapeva.
E cos'era lei? Era davvero importante saperlo?
Si leccò la punta della dita, godendo del liquido scarlatto che le scorreva giù per la gola.
Era come farsi una dose, ma l'eccitazione che stava provando era molto più intensa.
Stava forse sognando? Quando sarebbe finito il sogno?
Non desiderava svegliarsi. Il sogno doveva continuare.
Continuare.
Sì, il sangue doveva continuare a cadere.
...Cadere, cadere, cadere.

 

 

 

 

Capitolo gentilmente betato da: KumaCla
Mi trovate su Twitter: Qui

 


Note: Ed eccomi qui con il primo capitolo! Che idea vi siete fatti per ora?
Al momento la storia non ha riscosso grande entusiasmo, spero di farvi cambiare opinione in futuro ù__ù.
La chiesa citata esiste realmente, ma quando nomino le vie di New York non fidatevi troppo del mio orientamento XD Per quanto riguarda Twilight: non è mia intenzione offendere la storia, ma a Sebastian non potrebbe mai piacere quell'idea di vampiro. LOL
Prossimo aggiornamento: 4 novembre (salvo imprevisti) per festeggiare il compleanno della mia beta u_u
By Cleo^.^ 









  

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Capitolo 3
*** Antiquarian: Il tempo scorre, la ruota gira ***


 

 

02
≈*≈*≈*≈*≈
Antiquarian: Il tempo scorre, la ruota gira

 Possiamo chiudere con il passato,
ma il passato non chiude con noi.
{W.Shakespeare}

 

 

La luce artificiale di New York era fastidiosa per un vampiro che possedeva al buio la stessa visione notturna dei felini. Era un elemento che stonava.
Sebastian si assicurò di non avere nessun umano intorno prima di spiccare un balzo sul cornicione di un palazzo d'epoca ottocentesco.
Atterrò senza far rumore e si preparò a spiccare un nuovo salto verso l'edificio vicino, un vecchio palazzo popolare degli anni '30.
Il vento gelido di inizio novembre gli strappò un gemito infastidito, ma quando l'odore del sangue si fece più intenso si accertò di fare il maggior silenzio possibile.
Gemiti strozzati.
Qualcuno era ancora vivo. Si sporse oltre la balaustra di una scala antincendio dall'undicesimo piano della costruzione.
C'erano bidoni della spazzatura divelti sul terreno e c'era sangue che imbrattava le pareti degli edifici. Bottiglie di vetro e pezzi di plastica erano sparpagliati ovunque. All'angolo della via, poco distante da quella scena, c'era un locale notturno con l'insegna luminosa che recava scritto in viola la parola: "Aperto."
La musica di una band sconosciuta doveva aver aiutato l'assassino a celare l'aggressione, perchè nessun umano era uscito dal night club.
Sebastian tornò con l'attenzione sulla strada sottostante. Due figure erano accasciate al suolo. Erano vampiri ed uno di loro si stava rimettendo in piedi a fatica. Aveva uno squarcio nell'addome e la ferita faticava a rigenerarsi.
"Sta morendo." fu il pacato commento di Sebastian osservando l'altro vampiro, appoggiato malamente ad una parete.
Astaroth.
Il grande generale dei vampiri stava morendo. La ferita aveva raggiunto il cuore ed il suo corpo mostrava i primi segni di cedimento. Lentamente, centimetro dopo centimetro, stava diventando polvere.
Osservò meglio, prendendosi tutto il tempo per poter analizzare la situazione. Qualcuno o qualcosa gli aveva strappato il cuore dal petto. Era uno scenario inconcepibile. Aveva mirato volutamente a quell'organo, quasi avesse avuto un piano ben preciso.
Fremendo di rabbia studiò la creatura che era stata in grado di compiere quello scempio. Stava in posizione eretta, leggermente china in avanti. Le braccia erano sporche di sangue fino al gomito e le mani erano ricurve come artigli.
Aveva sembianze umanoidi. Il viso era coperto da un cappuccio ed anche l'abbigliamento sembrava indicare che l'aspetto fosse simile a quello di un umano o di un vampiro. Indossava un paio di jeans ed una maglietta da pochi dollari.
E puzzava. Aveva su di sé un odore disgustoso.
Guardando atentamente gli sembrava il fisico di una ragazzina malnutrita.
La creatura sollevò il volto nella sua direzione e lui si ritrovò a fare un passo indietro. Le prime gocce di pioggia caddero sul terreno mentre lui distoglieva veloce lo sguardo da quelle orribili iridi giallastre.
Il mostro spalancò la bocca ringhiando nella sua direzione e si preparò a piegare le ginocchia per spiccare un salto.
Voleva raggiungerlo, comprese, e all'improvviso Sebastian non si sentì più così sicuro sull'esito dello scontro. Era stanco, affamato e quella cosa era stata in grado di sconfiggere il potente Astaroth.
Il sangue versato sul terreno aveva creato una superficie scivolosa e la creatura cadde più volte mentre tentava di rimettersi in piedi. Un urlo carico di frustrazione - unito al guaito di una bestia ferita - tuonò tra le abitazioni del quartiere.
Qualcuno, un ragazzo, uscì dal locale notturno per dirigersi verso il luogo del massacro e, prima che potesse urlare, il braccio del mostro gli trafisse il corpo più volte. Sebastian sentì distintamente le costole venire spezzate ed i polmoni essere asportati con la forza dalle loro cavità.
Nel frattempo, il vampiro sopravvissuto era riuscito a trascinarsi per qualche metro, lasciandosi alle spalle l'umano agonizzante e i cassonetti della spazzatura.
Stringendo i pugni e liberando i canini Sebastian saltò in direzione del ferito. Spalancò la bocca per lo stupore quando s'accorse delle lacrime rosate che rigavano il suo volto. Il motivo per cui stava piangendo non gli era chiaro.
Era terrorizzato all'idea di una morte definitiva o disperato per la morte del compagno?
Il corpo di Astaroth ormai era solo un mucchio di cenere in balia del vento e della pioggia.
La creatura stava ancora infierendo sul corpo inerme dell'umano e le sirene di una pattuglia di polizia si stavano avvicinando. Qualcuno del locale doveva aver visto qualcosa e aver chiamato gli agenti, oppure era stato qualche abitante della zona. La bestia infilò la mano nel torace
dell'umano ed afferrò con forza il cuore ancora pulsante, portandoselo alle labbra.

Lo stava divorando, si rese conto Sebastian.
Agire in fretta, quello era il piano. Doveva andarsene e portare con lui il vampiro sopravvissuto al massacro per poter ottenere informazioni utili su quel nemico.
La creatura sembrò infastidita dal rumore delle sirene e si accasciò al suolo portandosi le mani alle orecchie.
Senza perdere altro tempo, Sebastian passò un braccio sotto le ginocchia del vampiro e con l'altro gli sostenne il torace. Dopo essersi assicurato che la creatura non lo seguisse balzò sulla casa più vicina e si allontanò dal luogo del disastro.
Astaroth era morto.
Quel fatto non era una cosa da poter dimenticare facilmente. Con la morte di uno dei Primi spettava a lui il compito di affrontare quella minaccia sconosciuta. Solo che non aveva la minima idea di come fare per farlo.
Che tipo di creatura poteva essere quella cosa, se era stata in grado di annientare in pochi minuti uno dei vampiri più antichi che si aggiravano ancora sul pianeta?
 

 

In pochi minuti la pioggia aveva creato piccoli rivoli d'acqua che scivolavano leggeri sulle strade asfaltate di New York. L'odore del sangue si era affievolito e Sebastian si concesse una breve pausa. Appoggiò il corpo del vampiro sotto il portico di una casa ed osservò lo stile degli edifici che aveva davanti.
Erano abitazioni di tipo coloniale. Ville e piccoli palazzoni di mattoni e colonne marmoree. Non c'erano grattacieli, solo costruzioni di un tempo dimenticato-quando l'America era stata solo un ammasso indistinto di colonie europee.
La luce di un lampione tremolò un po' prima di spegnersi completamente. Una coppia di giovani fidanzati stava correndo sotto il riparo di un ombrello ed una donna anziana stava riportando il cane a casa.
Un'automobile della polizia stava percorrendo la strada e Sebastian intuì immediatamente che il suo aspetto e quello del vampiro svenuto avrebbero attirato l'attenzione. Avrebbe potuto ipnotizzare i poliziotti, certo, ma non voleva rischiare di sprecare energie nel caso la creatura fosse tornata a cercarli.
Si guardò attorno in cerca di un riparo, ma l'unica cosa che trovò fu un vecchio negozio di antiquariato, stranamente aperto.
Sospirò, intuendo che avrebbe dovuto in ogni caso manipolare la mente del proprietario.
Si caricò il vampiro sulle spalle ed attraversò velocemente la strada. Entrambi avevano i vestiti inzuppati d'acqua e di sangue. Riusciva già ad immaginare gli urli isterici dell'umano che li avrebbe visti.
La porta era inserita tra due grosse colonne di marmo ai cui lati partivano delle ampie vetrine. In mostra, c'erano una serie di orologi all'ultima moda tra gli adolescenti, affiancati da modelli in voga negli anni '50. Appoggiati ad alcuni mobili, invece, stavano delle clessidre e dei pendoli.
L'insegna di metallo recava la scritta "Antiquarian". Era stata incisa in uno stile delicato, con un fiore che si intrecciava alla lettera iniziale ed una mezzaluna stilizzata posta alla fine della parola. Più sotto, invece, era stato impresso: "Il tempo scorre, la ruota gira."
La porta di legno e vetri colorati sembrava ricreare la figura di un albero di pesco in fiore. Sebastian afferrò la maniglia e tirò nella sua direzione. Un campanellino appeso alla porta annunciò il loro arrivo e immediatamente lui appoggiò il vampiro ad una cassapanca.
L'interno era più confortevole di quanto avesse immaginato. C'era una camino acceso nell'angolo a sud del locale che emanava un piacevole tepore. Nell'aria aleggiava un profumo di spezie orientali, forse cannella.
Il negozio era anche molto più grande di quanto l'esterno desse a vedere. Una scala a chiocciola di marmo rosa dava ad un secondo piano e tutta la superficie era ricoperta da oggetti antichi e ricercati.
Orologi che si perdevano all'albore dei secoli e che stonavano con quelli moderni esposti in vetrina.
"Si effettuano solo riparazioni." lesse ad alta voce sorpreso.
Quindi il proprietario era un collezionista? Che senso avrebbe avuto altrimenti tenere tutti quegli orologi se di fatto era impossibile acquistarli?
Quella cosa lo lasciò parecchio perplesso.
Il vampiro alle sue spalle gemette, ma non diede segno di volersi riprendere.
Sebastian sbuffò infastidito. Era un redivivo. Un umano diventato tale solo dopo essere stato trasformato da un vampiro. Un Mezzosangue, com'erano meglio noti. Dunque la sua capacità rigenerativa era estremamente lenta.
Il fruscio leggero di alcuni passi sul pavimento, lo fece voltare in direzione del caminetto. Le braci danzavano al ticchettare degli orologi, quasi in sintonia con le lancette degli oggetti.
Con un sorriso, pensò che a Jennifer sarebbe piaciuto girare la scena di un film in un locale simile a quello.
Lo specchio al suo fianco rifletté l'immagine di una ragazza che lo stava raggiungendo con aria quasi annoiata.
Gli occhi, di una tonalità che andava dall'oro al rame, non sembrarono realmente far caso ai due individui che si erano presentati da lei nel
cuore della notte.

Forse, si disse, era abituata a vedere di peggio considerato l'orario lavorativo dell'Antiquarian.
Se anche fosse rimasta sorpresa, di vedere del sangue macchiare il pavimento color panna del negozio, non lo diede a vedere.
Indossava dei jeans scuri, un paio di Nike ed una camicetta che raffigurava la torre di Pisa. Lui aveva visitato la Toscana diverse volte nei corsi dei secoli e poteva dirsi uno dei pochi esseri viventi che avevano avuto l'onore di vedere la costruzione in posizione eretta e non pendente verso il terreno.
Scosse la testa, consapevole che simili pensieri erano del tutto fuori luogo in quel momento.
I capelli, un colore indefinito tra il biondo e il castano, le arrivavano alle spalle ed erano più corti sul davanti. La pelle era pallida quasi quanto la sua, ma le guance erano tinte di una sfumatura rosata.
La ragazza gli concesse un'occhiata veloce, quasi avesse visto un amico di vecchia data, poi sbadigliando si spostò dietro l'ampio bancone di mogano scuro. Sulla parte in basso c'era in rilevo una fascia più chiara con stelle e lune intrecciate tra loro da una sorta di filo che le teneva
collegate. Sul ripiano invece era stata intagliata una stella a sei punte, bianca e nera.

"Sei in ritardo." gli disse in inglese, ma l'accento gli rivelò le sue origini italiane.
"Come?" replicò, avvicinandosi alla sconosciuta. Ora capiva il motivo della torre di Pisa.
"Sei in ritardo." ripeté nuovamente, osservando i meccanismi di un orologio d'argento aperto sul bancone.
"Credo che tu ti confonda con qualcun altro." rispose lui, certo che non l'avesse visto bene in volto.
"Oh, so benissimo chi sei."
Sebastian rimase in silenzio. Quella ragazza di appena vent'anni doveva avere qualche problema. Poi, dandosi dello stupido, ricordò che era un attore famoso e che probabilmente la ragazza si riferiva a quello.
Tuttavia, non doveva essere una sua fan dato che non si era messa a strillare come una pazza.
"Stiamo facendo delle riprese qui a New York." esordì schiarendosi la voce. "Se mi dici il tuo nome potrei chiedere allo staff di riservarti un posto sul set." tentò, cercando di ottenere i suoi favori. Sperava di tenerla abbastanza occupata fino al momento in cui la polizia sarebbe sparita dalla circolazione.
Lei reclinò la testa all'indietro, scoppiando a ridere come un'isterica. Aveva gli occhi lucidi e un'espressione così divertita che fece infuriare Sebastian.
"È così divertente." annunciò, strofinandosi gli occhi con le dita. "Non pensavo potesse essere così divertente." proseguì appoggiandosi al balcone.
"Non riesco a capire." obiettò Sebastian, fremendo di collera.
"E come potresti?" commentò lei, torturandosi i capelli in un gesto nervoso.
A Sebastian quell'affermazione non piacque affatto. Gli stava, indirettamente, dando dello stupido?
Richiuse le mani su una delle clessidre esposte ed il vetro si sbriciolò in mille frammenti sotto il suo tocco. La sabbia cadde sul pavimento e il rumore sembrò destare la ragazza dal suo attacco di ilarità.
Un ghigno compiaciuto si fece strada tra i suoi lineamenti, mentre la commessa gli lanciava uno sguardo carico d''odio. Sembrava che quel gesto l'avesse irritata profondamente.
"Questo non avresti dovuto farlo, Semiael." Una risposta secca, precisa, amara quanto l'espressione sofferente sul suo volto.
Sebastian deglutì, mentre indietreggiava verso la luce scarlatta del fuoco. Era stato colto di sorpresa.
"Quel nome..." farfugliò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli corvini.
"È il tuo nome." constatò lei, porgendo le mani in direzione del suo viso, quasi volesse afferrarlo. Era stato un gesto sofferto, come se si rendesse conto del dolore insito in quel nome, come se lei sapesse.
Lui continuò a muoversi, finendo quasi per inciampare nei suoi stessi passi.
Era ridicolo. Temeva ciò che quel nome significava. Lo spaventava più della creatura che aveva visto nel vicolo della città.
Per la prima volta provò un sincero interesse per la ragazza che si trovava di fronte. I suoi occhi si specchiarono in quelli di lei, pronti a scovare la verità che le nascondeva ma l'unica cosa che trovò fu... il vuoto. Come se lei fosse morta, o priva di pensieri.
"I tuoi poteri non possono avere alcun effetto su di me." gli spiegò. "La mia essenza esula dal tempo e dallo spazio."
Lui mascherò il disagio, ponendole delle domande le cui risposte avrebbero potuto fornirgli qualche spiegazione. "Perché hai detto che ero in ritardo?" la interrogò mentre tentava di darsi una calmata.
"Ti stavo aspettando, Semiael."
"Non!" esclamò furibondo puntandole contro il dito. "Non pronunciare mai più quel nome!" ordinò autoritario.
"Continuerò a chiamarti così." replicò lei freddamente ed assolutamente tranquilla. "Ti nascondi sotto un falso nome, ma Sebastian non può cancellare ciò che ha fatto Semiael."
"Ragazzina umana." la appellò lui in tono gelido. "Parli come se mi conoscessi."
"Non sono umana, Semiael. Esattamente come non lo sei tu, lo sconosciuto a cui hai salvato la vita e la creatura che hai incontrato in questa notte senza luna." Sospirò, mentre spruzzava una sostanza nera e oleosa sul meccanismo dell'orologio al bancone.
Sebastian appoggiò la schiena al muro, poco distante dal camino, e lanciò fugaci occhiate in direzione dell'altro vampiro.
"Basta così."
La ragazza uscì dal bancone e prima che lui potesse fare o dire qualsiasi cosa si inginocchiò al fianco del redivivo. Le sue piccole mani corsero veloci lungo il taglio della ferita all'addome, esaminando lo squarcio.
Spinto dalla curiosità, Sebastian si spostò al suo fianco per poter osservare meglio ciò che stava facendo.
All'improvviso lei alzò il gomito e affondò le dita nella ferita con estrema violenza. Un fiotto di sangue cadde sul pavimento e il redivivo spalancò gli occhi, boccheggiando, quasi anche da morto avesse avuto ancora bisogno di aria.
"Che stai facendo?" domandò, afferrandole bruscamente il braccio insanguinato e tirandolo con forza lontano dalla ferita. Le gocce di sangue che gli scivolarono sul volto avevano il sapore disgustoso di quello della creatura.
Non poteva permetterle di uccidere l'unico sopravvissuto in grado di fornirgli delle risposte.
In tutta risposta, lei gli mostrò quello che a prima vista sembrava un artiglio.
Sebastian si passò il dorso della mano sulla guancia per pulirsi dal sangue, e dedusse che l'artiglio doveva essere appartenuto alla creatura dalla natura sconosciuta.
"Non riusciva a rigenerare i suoi tessuti a causa di questo." spiegò lei, indicando l'artiglio che fece prontamente scivolare sul pavimento.
"Ah." seguito da un paio di borbottii fu l'unica cosa che lui riuscì a dire.
"Cosa hai pensato, Semiael? Non è piacevole inserire le proprie mani nel corpo di un cadavere e ci sono modi meno disgustosi per uccidere un vampiro." volle sottolineare, lanciando occhiate schifate al suo braccio.
"Dammi il tuo giubbotto." ordinò.
"Come?" Sebastian era sempre più perplesso riguardo quella sconosciuta. Come faceva a conoscere il suo vero nome?
"Devo togliermi questo sangue. Tu sarai abituato, ma io non faccio cose di questo tipo ogni giorno."
Rassegnato si sfilò il giubbotto e glielo consegnò riluttante. Lo aveva comprato a Parigi il mese precedente e gli era costato una fortuna.
Il tessuto assorbì in pochi secondi il sangue sul braccio della giovane. Lui la studiò in silenzio.
I capelli sciolti sulle spalle, la postura rigida, i movimenti lenti e studiati... Era assolutamente certo di non averla mai vista prima di quella sera.
"Non sarai abituata, ma eri piuttosto certa di quanto stavi facendo."
"Deformazione professionale." commentò, come se lui avesse dovuto dedurre tutto da quell'affermazione. "Si riprenderà tra qualche minuto." annunciò. Infine, si alzò per raggiungere i resti della clessidra che lui aveva distrutto in precedenza.
"4 Novembre 2012, Allen Singh. Deceduto." decretò, esausta.
Di cosa stesse parlando lui non ne aveva davvero la minima idea. In una sola notte erano avvenute fin troppe cose inusuali per i suoi gusti e la sua sopportazione aveva raggiunto il limite.
"Posso sapere il tuo nome, considerato che tu sembri conoscere parecchie cose sul mio conto?" domandò, picchiettando il piede sulle piastrelle di granito. Ora che ci faceva caso il pavimento assomigliava ad una gigantesca scacchiera.
"Giusto. Le buone maniera prima di tutto." lo assecondò come se si fosse ricordata di qualcosa estremamente importante.
Fece una veloce giravolta su se stessa, poi gli offrì una mano da stringere.
"Clelia de Moonlight. È un onore poterti finalmente conoscere, Semiael."

 

 

 

 Capitolo gentilmente betato da: KumaCla
Mi trovate su Twitter: Qui

 

 

Note: E come promesso eccomi! Direi che in questo capitolo le cose cominciano a smuoversi ed entrano in scena altri personaggi.
Come già annunciato, il capitolo è dedicato a Clà, che in realtà adora (?) Jennifer e che oggi compie gli anni! *_* Auguri, di nuovo xD

  • Se vi va di farmi domande in merito alla storia o di altra natura potete farle in forma anonima, oppure registrandovi: Qui

Prossimo aggiornamento: tra il 20 e 24 novembre (salvo imprevisti)
By Cleo^.^


 
 

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Capitolo 4
*** Il Registro ***


 



03
≈*≈*≈*≈*≈
Il Registro

Gli uomini dovrebbero essere
quello che sembrano.

{W.Shakespeare}

 

 
 

Sebastian moderò la forza insita nella sua mano senza nemmeno rendersene conto. Allentò di poco la presa quando la misteriosa ragazza che aveva detto chiamarsi Clelia tentò di allontanare il braccio. Gli occhi le lampeggiavano come fornaci ardenti: l'emozione di chi ha realizzato il sogno di una vita.
Riscuotendosi da quei pensieri, Sebastian ritirò la mano. Distolse lo sguardo da lei per puntarlo sul suo giubbotto che afferrò in malo modo e gettò nelle fiamme del camino. Una lingua di fuoco azzurro consumò il tessuto, riducendolo ben presto in cenere.
Solo in un secondo momento, si rese conto delle parole che la ragazza gli aveva rivolto. Anche per lei, era la prima volta che lo incontrava. La domanda gli sorse spontanea. Allora, come faceva a conoscere il suo vero nome?
"Non pensavo sarebbe stato così piacevole."
"Che cosa?" chiese lui perplesso.
"La stretta della tua mano. La tua pelle. La immaginavo..." sembrò rifletterci. "Diversa." concluse imbronciata.
Era assurdo. Aveva deluso le sue aspettative? E che aspettative poteva mai avere se nemmeno si conoscevano?
"Non è fredda, ma nemmeno calda. Tiepida non è l'aggettivo adatto, ma non saprei come altro descriverla." continuò lei, passandosi la mano sotto il mento. "La pelle del redivivo, invece, è molto più fredda."
Sembrava dovesse tenere una conferenza sulle abitudini e l'aspetto dei vampiri, mentre lui ancora si interrogava sulla sua natura.
"Anche i tuoi capelli..." mormorò.
Lui si sfiorò una ciocca. "Cosa hanno di sbagliato?" volle sapere lui, all'improvviso interessato alla questione.
"Nulla, nulla. Lasciamo stare." disse, tornando a mettersi dietro il balcone.
Sebastian incrociò le braccia al petto. Per quanto le apparisse stravagante, doveva ammettere che trovava interessante quel bizzarro incontro.
Il vampiro alle sue spalle gemette. Avrebbe dovuto trovargli del sangue ed un luogo sicuro per permettergli di riposare.
Tutte le lancette degli orologi segnavano con precisione assoluta che stavano per scoccare le due di mattina.
Clelia stava scrivendo qualcosa su un'agenda, borbottando tra sé lettere e calcoli inverosimili. All'improvviso alzò la testa, le labbra socchiuse pronte per esporre una domanda.
"Sapresti dirmi con precisione da che ora è deceduto il vampiro Astaroth?"
Fu come ricevere un pugno allo stomaco.
"No." il tono distaccato e l'espressione neutra. Era un attore nato. "Perché vuoi saperlo?"
"Il Registro deve essere compilato con assoluta precisione. Non sono ammessi errori."
Da come lo disse, Sebastian intuì che il Registro non era un semplice oggetto su cui prendere appunti. "Spiegati."
"Il Libro della Morte, il Libro del Destino. Chiamalo come vuoi. Per me è il Registro." indicò l'agenda su cui stava scrivendo. All'apparenza non aveva nulla di particolare. Fogli bianchi con note in penna nera.
"
Sembra il Death Note." osservò, nominando l'oggetto protagonista di un anime giapponese.
Quando era uscito dal mausoleo in cui aveva riposato per quasi cinquant'anni aveva scoperto una passione viscerale per la tecnologia e tutto ciò che riguardava l'industria cinematografica. Trovava estremamente divertenti soprattutto le vicende che parlavano di angeli e demoni, visto che la maggior parte delle volte davano informazioni errate sulle due razze. Aglio che feriva i vampiri? Sciocchezze.
"Oh!" esclamò battendo concitata le mani. "Lo conosci!" era il ritratto di una bambina che aveva scoperto il sapore della cioccolata. "Tifavi per Kira o Elle?"
"Kira, naturalmente."
"Allora eravamo in due. Un vero peccato che la storia sia..."
"Frena, frena!" esclamò Sebastian, sforzandosi di non ridere. Come erano arrivati a parlare di un manga giapponese? Riprese un'espressione seria. Era da parecchio tempo che non si trovava così a suo agio nel conversare con un altro essere vivente. Il problema era che, per quanto piacevole fosse, c'erano questioni più urgenti di cui tenere conto.
La responsabilità che gli era piombata addosso all'improvviso era una seccatura. Tuttavia non poteva tirarsi indietro. Farlo avrebbe significato incorrere nelle ire di Lucifero, se non peggio, in quelle di Lilth. Sua madre l'avrebbe disprezzato per il resto della vita - che a rigor di logica significava l'eternità - facendo spargere in giro voci fasulle sul suo conto. No.
Scosse la testa. Non poteva permettersi una tale umiliazione. Non lui che avrebbe potuto ricevere in dono l'eredità di suo padre, il suo unico re.
"Bhe, da un certo punto di vista, il Registro è simile al Death Note." scrollò le spalle ."Io annoto sul Registro il nome delle persone decedute. Non è il libro ad ucciderle, sono già morte." specificò.
"E in cosa consisterebbe la somiglianza?" Fin a quel punto riusciva a vedere solo le differenze.
"È una spiegazione troppo complessa e tu devi trovare un riparo per..." si picchiettò le mani sulla testa. "Wilfred. In teoria il tuo compagno vampiro si chiama Wilfred."
"E tu sapresti questo... Perché?"
"L'ho letto negli orologi."
"Negli orologi." ripeté lui con evidente scetticismo.
Clelia sbuffò, intrecciando le mani sul davanti. "Spiegazioni di questo tipo richiedono davvero molto tempo e non credo che saresti in grado di capire anche se ti esponessi lo stesso concetto per dieci volte di fila."
"Mi stai dando dello stupido?" fece lui stizzito.
Lei mosse le mani in modo vago. "Forse." gli sorrise.
Sebastian si ritrovò a ricambiare quel gesto affettuoso come se davvero si conoscessero da un ampio lasso di tempo, cosa assolutamente falsa.
Oro liquido.
I suoi occhi sembravano più luminosi dell'istante precedente, ma l'espressione di era fatta sofferente. La guardò mentre si sedeva sulla sedia e tentava di massaggiarsi i muscoli delle spalle.
"Perché il negozio è aperto a quest'ora della notte?"
"L'Antiquarian lavora ininterrottamente per trecentosessanta giorni l'anno. Per la precisione sono io che lavoro."
Per l'ennesima volta nell'arco di quella giornata lui si ritrovò senza nulla da dire. Aveva decine di domande che dovevano ottenere una risposta e l'alba si stava avvicinando inesorabile.
"È tardi." lo avvertì con fare accusatorio. "Devi assicurarti delle condizioni di Wilfred." Il Registro si chiuse con un tonfo e lei afferrò il tomo sottomano. "La polizia se ne è andata. Sai dove trovare la porta." concluse lapidaria, avviandosi verso la scala a chiocciola. 
  


La pioggia cadeva implacabile sulla città di New York. La ragazza rimase a guardare quel profilo perdesi tra le nebbia, tanto familiare quanto estraneo, chiedendosi quando lo avrebbe rivisto.
Tic toc.
In ogni caso, sarebbe passato troppo tempo.

 

L'edifico che stava cercando era nei pressi della 5th Avenue. Era un palazzo di dodici piani, sede al pianterreno di un negozio d'alta moda e risalente alla fine del 1800.
Senza farsi troppi scrupoli saltò sull'ampio terrazzo che dava ad un giardino interno provvisto di piscina. Aveva smesso di piovere, ma non era certamente il clima ideale per dare una festa. Evidentemente la folla ai suoi piedi non era dello stesso parere.
Si assicurò di avere ben saldo il corpo di Wilfred e si lasciò scivolare sull'erba. Atterrò imprecando dietro ad un cespuglio di rovi, mentre la musica di Lady Gaga feriva il suo udito. Con assoluta sicurezza fu certo che non sarebbe mai riuscito ad apprezzare la musica moderna. Gli mancavano le lussuose feste di Versailles e la musica di Mozart.
Jennifer era solito prenderlo in giro per i suoi gusti antiquati, ma aveva imparato ad ignorare quei suoi commenti pungenti. Sospirò, sapendo che al suo ritorno l'avrebbe ritrovata terrorizzata per la sua prolungata assenza.
Corpi seminudi di giovane ragazze si muovevano al ritmo delle canzoni, mentre i ragazzi assaporavano, con brevi sorsi, alcolici non meglio identificati.
Sebastian si guardò in giro, cercando di identificare la persona che avrebbe potuto dargli una mano. La trovò sdraiata su un materassino gonfiabile al centro della piscina.
Pierre De Lancourt non diede il minimo segno di riconoscere la sua presenza, occupato com'era nel tentare di slacciare la parte superiore del bikini di una delle sue ospiti.
Lanciando un'ultima occhiata a Wilfred, Sebastian si fece largo tra la folla ignorando le occhiate infastidite che gli rivolgevano gli umani presenti.
Le urla degli invitati si alzarono d'intensità, quando imbronciati criticarono il cambio della canzone che stavano ascoltando fino a un attimo prima. Qualcuno gli offri un cocktail a base di birra e brandy che lui rifiutò con un elegante gesto della mano.
Il suo obiettivo era davanti a lui, un vampiro di circa duecento anni che era caduto in acqua, trascinando con sé il corpo seducente di una bionda fotomodella.
"Pierre!" tuonò e la sua voce gli parve più roca di quanto avesse voluto.
L'altro ci mise poco per capire da quale direzione provenisse quel richiamo dal sapore antico.
Quando si voltò, lo vide sbiancare di colpo e nuotare con foga verso di lui. Aveva appoggiato le braccia sul bordo piscina e fatto leva per poter uscire dalla vasca. La modella l'aveva seguito nuotando, cercando invano di trattenerlo in acqua afferrandolo per le spalle.
Pierre si liberò facilmente da quella stretta indesiderata e in pochi secondi si ritrovò inginocchiato davanti a lui, la mano destra stretta a pugno sul cuore e il capo chino in avanti.
"La vostra presenza mi onora, Master." sussurrò, mantenendo quella posizione.
Sebastian fece una smorfia, invitandolo ad alzarsi. Un gruppo di curiosi si era riunito attorno a loro e la cosa lo stava infastidendo.
"Non ho tempo per i convenevoli, Pierre." Posò la sua mano sul capo del vampiro, lanciando occhiate cariche di disprezzo verso gli invitati. Qualcuno di loro dovette aver fiutato la minaccia insita nel suo sguardo perché si affrettò ad allontanarsi.
I riccioli castani di Pierre incorniciavano un viso magro, dagli zigomi sporgenti e una carnagione estremamente pallida anche per un vampiro. Gli occhi erano di un intenso color nocciola. Le labbra sottili e rosate erano arricciate in un'espressione di totale sottomissione.
...Riconosceva la sua superiorità.
Era a petto nudo e Sebastian riusciva ad intravedere la sottile linea biancastra che dal cuore raggiungeva la scapola destra. Una cicatrice che gli era stata inflitta quando lui era ancora umano e la Francia patria di Re.
Era stato Sebastian a trasformarlo, nel 1787, due anni prima dello scoppio della Rivoluzione.
Master era il titolo che veniva attribuito all'Alfa, il "padre" del redivivo trasformato. Tutti i mezzosangue dovevano rispetto e devozione per il loro creatore, per i purosangue in generale.
"La festa è conclusa." decretò, in un invito implicito nel far allontanare gli ospiti. 
Pierre accennò appena ad un inchino prima di rimettersi in piedi. 
 

 

All'epoca della sua trasformazione in vampiro, Pierre De Lancourt era poco più di un ragazzo.
A diciassette anni aveva intrapreso gli studi ecclesiastici, ma dopo un paio di anni aveva abbandonato il sentiero di Dio per entrare a far parte del glorioso esercito francese - che all'epoca era tutto fuorché glorioso. Si era conclusa da tempo l'epoca d'oro
di Luigi XVI, il Re Sole, e la povertà avanzava inesorabile nei ceti bassi della popolazione. Lui si era arruolato per far fronte al
bisogno di denaro di cui necessitava la sua famiglia per sopravvivere.

Come molti dei suoi compagni d'armi, patteggiava in segreto per la nascente fazione rivoluzionaria che da lì a qualche anno avrebbe spezzato la dinastia regnante e portato alla ghigliottina la regina Maria Antonietta e il consorte.
Durante alcuni scontri nei sobborghi di Parigi era rimasto ferito e, mentre i soldati sparavano sulla folla inferocita, lui era riuscito a trovare riparo in un vecchio cimitero abbandonato.
Era stato lì, ai piedi di una lapide e sotto i petali dei ciliegi in fiore, che aveva incontrato Sebastian.
Pierre era un giovane povero, ma non stupido. Aveva riconosciuto fin da subito il vampiro per ciò che era: una Bestia del Diavolo.
Avendo ricevuto insegnamenti ecclesiastici, in principio aveva tentato di scacciare quel demonio con formule e riti religiosi. Solo in seguito, quando aveva scorto nei suoi occhi la scintilla di un potere antico quanto il mondo, aveva compreso che scacciare quella bestia era un compito troppo arduo per lui.
Non gli era rimasto altro che accasciarsi al suolo, accettando il fatto che i suoi sogni si sarebbero spenti ancor prima di vedere la luce. Non avrebbe visto l'alba di una nuova Francia, libera dal potere del Clero e dalla nobiltà.
Sarebbe morto in quel luogo dimenticato da Dio e dalla luce della sua eterna salvezza. I cani si sarebbero cibati dei suoi resti mortali e, in quanto alla sua anima sarebbe sprofondata negli abissi dell'Inferno.
Sebastian gli si era avvicinato più incuriosito che preoccupato e gli aveva posto una semplice domanda: "Desideri la vita?"
"Sì." la sua risposta era stata un sussurro, ma l'altro aveva capito.
Mentre il demone calava le zanne sul suo collo, lui aveva pensato che per essere una creatura cacciata dal Paradiso, Sebastian fosse la cosa più simile ad un angelo che lui avesse mai visto.
Era morto e tornato alla vita il 7 Aprile del 1787.
Gli anni e i mesi seguenti Sebastian si era premurato di spiegargli i vantaggi e svantaggi che comportava essere un redivivo. Non gli aveva mai spiegato il motivo per cui, invece di ucciderlo, l'aveva riportato nel mondo.
A Pierre piaceva credere di essere stato un umano speciale, ma la verità era tutt'altra cosa e lui lo sapeva.
Era rimasto nel suo paese fino alla morte di Napoleone, poi era partito per l'America.
Si era separato dal suo Master e lo aveva incontrato nuovamente solo qualche anno prima dello scoppio del conflitto mondiale che in seguito sarebbe stato noto come la Grande Guerra.
Solo nell'ultimo decennio, aveva ripreso una sorta di rapporto fatto di gratitudine e amicizia con Sebastian. Aveva anche finanziato alcuni dei film in cui lui era l'attore protagonista. Era stato uno dei suoi modi per ripagarlo del dono che gli aveva
concesso regalandogli l'immortalità.

Dunque non si sorprese poi molto quando se lo ritrovò in attesa nel suo giardino. Tuttavia, comprese fin da subito che la sua comparsa non gli avrebbe portato altro che guai.
"Devo finanziare un vostro nuovo progetto cinematografico, Master?" domandò cercando di smorzare l'evidente tensione che si respirava.
"Hai sempre avuto una pessima ironia, in stile francese." rispose Sebastian, osservando la folla abbandonare in una fila silenziosa il palazzo.
"Merci." lo ringraziò con un sorriso divertito.
"Per prima cosa..." decretò Sebastian puntando un dito contro l'impianto stereo. "Liberami da quella.... musica." fece una smorfia, sottolineando a quel modo il suo fastidio per la musica moderna.
Pierre annuì, quasi aspettandosi una simile richiesta. Rimase in attesa di ricevere un secondo ordine, mentre si arrotolava intorno all'indice un ricciolo ambrato.
"Mi serve del sangue, Pierre. Molto sangue." sottolineò il vampiro con un ringhio.
"So dove trovarlo." La semplicità della risposta dovette sorprendere anche Sebastian, perché all'improvviso lo vide accasciarsi su una delle sedie di vimini piazzate un po' ovunque nel giardino.
"Vedi di muoverti, allora." concluse il suo Master, dandogli le spalle. "Pierre?" lo richiamò, facendogli segno di raggiungerlo nuovamente. "Nessuno deve sapere che sono stato qui, chiaro?"
Pierre non si azzardò a chiedergli il motivo di quella richiesta. Era suo dovere rispettare le scelte del Master.
In ogni caso, il fatto che Sebastian fosse giunto fin lì per lui non prometteva nulla di buono.
"Certamente, Master." 


 


Capitolo gentilmente betato da: KumaCla
Mi trovate su Twitter: Qui



Note: Sì, sono ancora io a tediarvi con un nuovo capitolo xD Che ne pensate del nuovo personaggio di Pierre De Lancourt? :)
Premessa 1: Death Note è davvero un anime/manga giapponese, ma non ha importanza che voi lo conosciate o meno. A cosa serve realmente il Registro verrà spiegato più avanti^^
Premessa 2: No, Sebastian non ama la musica moderna e nemmeno Twilight, ma queste sono opinione sue, non mie. XD

Premessa 3: Clelia è pure il mio nome, e scoprirete il motivo di questa scelta più avanti ù_ù Di fatto però, è un personaggio indipendente che condivide ben poco con me, tranne la passione per la scrittura e una folle adorazione per Sebastian. Beata lei che lo può vedere LOL

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Capitolo 5
*** Master di New York ***





 
04

≈*≈*≈*≈*≈

Master di New York

Nomen omen.
Il nome è destino.
{Detto latino.}

 

 

Il quinto piano dell'edificio, di cui Pierre era il proprietario, era tutt'altro che ordinario. Era stato pensato come una piccola riproduzione della reggia di Versailles, dunque non mancavano eleganti candelabri dorati che pendevano dal soffitto e affreschi che portavano ancora su di sé il fresco profumo della pittura.
Drappi di stoffa colorata adornavano porte e finestre in maniera quasi soffocante.
Sui mobili in stile barocco erano state poggiate candele profumate.
"Ti sarà costato una fortuna arredare questo piano." osservò Sebastian. Le mani sfiorarono le tende di velluto, quasi volessero saggiarne la qualità. "Alcuni mobili sono autentici."
"Sì, li ho fatti arrivare con me da Parigi quando ho lasciato la Francia." spiegò Pierre, intento a sostenere l'altro vampiro. Fece scivolare il corpo su una poltrona, spostando un cuscino sotto il capo di Wilfred.
"Trattalo bene." disse Sebastian. "Mi serve vivo."
Lo vide annuire, ma non gli prestò veramente attenzione. La sua mente doveva ancora elaborare i fatti di quella sera.
Astaroth, il grande Astaroth, era morto. Migliaia di anni di conoscenza trasformati in polvere. Una creatura sconosciuta e letale si aggirava indisturbata tra le strade di New York, e una strana orologiaia pretendeva di conoscere il suo passato.
"Potrebbe rovinarsi." lo avvisò, indicandogli la poltrona.
Pierre si strinse nelle spalle. Probabilmente, aveva già messo in considerazione quell'evenienza.
"Il sangue sta arrivando." replicò, andando ad aprire la porta di un corridoio laterale.
Sebastian gli diede le spalle, guardando fuori dalla finestra. Aveva nuovamente ripreso a piovere e sul vetro strisciavano serpentelli d'acqua. Vi appoggiò sopra la mano, specchiandosi nel suo pallido riflesso.
Capelli d'ebano e occhi argentei, con pallide sfumature verdi. Lo stesso colore appartenuto alle iridi di sua madre prima della caduta dall'Eden.
L'odore di sangue fresco dall'aroma speziato lo indusse a voltarsi e ad allungare i canini. Solo in quel momento si rese conto di quanto era affamato.
Il problema si presentò quando un cameriere, un vampiro, gli infilò tra le mani un calice di cristallo e ci versò all'interno il liquido cremisi che tanto agognava.
"Disgustoso." ebbe la forza di commentare di fronte a quell'affronto.
"Davvero?" Pierre si portò il suo bicchiere alle labbra e ne assaporò il contenuto. "Pino e Lavanda." commentò con un sospiro entusiasta. "Il donatore è un ragazzo di Miami." gli si avvicinò.
Sebastian chiuse gli occhi, respirando aria di cui non aveva alcun bisogno. Quando liberò i polmoni per poter parlare, le sue parole avevano acquisito la stessa consistenza del metallo. Pesanti, glaciali e dure.
"L'evoluzione, quel processo che voi umani tanto decantate, ha provvisto i vampiri di zanne per un motivo. Lacerare, strappare le carni... Sostanzialmente..." continuò con ironia. "Per nutrirsi degli esseri umani."
Pierre ingoiò quella predica amara senza interromperlo. "La nostra razza è infinitamente superiore agli uomini. Eppure, per qualche motivo a me ignoto, i vampiri moderni tendono a voler emulare il genere umano dimenticandosi della loro natura. Di questo passo, finiremo per fare di Edward Cullen un santo."
Pierre distolse lo sguardo riponendo su un tavolino il suo calice.
"Sfortunatamente." riprese Sebastian. "Il sangue è sempre sangue ed io ne ho bisogno." puntualizzò, inghiottendo la sua cena. Dovette ammettere con se stesso che non era poi così spiacevole.
"Nutri il nostro ospite." ordinò, celando le sue emozioni. 
 

 

Il pallore del viso di Wilfred risultava più che evidente alla luce artificiale che illuminava la stanza. In contrasto con i suoi corti capelli castani, le labbra rosse come ciliegie e gli occhi grigi come nubi cariche di pioggia, la sua pelle era avorio cristallizzato nel ghiaccio.
Quando si era risvegliato il suo sguardo aveva continuato a saettare da una parte all'altra del locale, finendo sempre con il soffermarsi in quello di Sebastian.
Lui lo guardò mentre beveva ogni singola goccia di sangue che Pierre gli aveva offerto. Si nutrì allo stesso modo di un assetato nel deserto.
Ci vollero trenta minuti prima che terminasse il suo pasto e quasi altrettanti affinché la ferita all'addome migliorasse.
Quando il suo incarnato accennò ad assumere una colorazione più simile a quella umana, che a quella di un cadavere, Sebastian decise che fosse giunto il momento per interrogarlo.
Erano quasi le cinque del mattino e lui non aveva telefonato a Jennifer per avvertirla della situazione. Tornato a casa, lei gli avrebbe fatto una scenata che avrebbe potuto insignirla di un premio Oscar.
"Dov'è il mio Signore?" mugolò Wilfred.
A Sebastian, la sua voce acuta e lamentosa ricordò il verso di un animale ferito. Fastidiosa, quanto le melodie delle canzoni moderne.
"Chi è il tuo Signore?" intervenne, ignorando la domanda. Era evidente che quel redivivo era un seguace di Astaroth, ma in ogni caso era preferibile avere una conferma.
"Mio Signore!" La supplica insita in quel richiamo era evidente.
"Rispondi!" tuonò Sebastian, avanzando minaccioso nella sua direzione.
Il vampiro si rannicchiò su se stesso, tremante di paura. Aveva portato le braccia sul volto come a volersi proteggere dalla sua furia.
"Patetico." lo insultò, afferrandolo per i vestiti e portandolo di peso ad un passo dal suo volto.
"Dimmi il suo nome." gli alitò in faccia. "Il nome!" ripeté scuotendolo con violenza.
I piagnucolii che Wilfred cominciò ad emettere in seguito finirono con il privarlo di tutte le buone intenzioni che poteva aver avuto in precedenza.
"M-Master." lo chiamò Pierre da dietro. La sua voce esitante non aiutò affatto a migliorare la situazione.
"Fa silenzio, Pierre."
I balbettii senza senso di Wilfred lo stavano infastidendo oltre ogni dire. Era stata una giornata troppo intensa per poter mantenere la calma.
"Chi era il tuo Master?" formulò, sforzandosi di abbassare il tono di voce. "Voglio quel nome e lo pretendo qui e ora." lo ammonì, stringendo una mano intorno alla sua gola.
Forse, Wilfred si rese conto del pericolo che stava correndo il suo corpo immortale, perché all'improvviso si dimostrò piuttosto collaborativo. Le parole che morivano sulle sue labbra acquisirono un senso compiuto e i gesti convulsi delle mani di acquietarono.
"As... Astar... Astaroth." riuscì a pronunciare dopo qualche tentativo.
Sebastian lo lasciò cadere sul pavimento. Poi, cominciò a percorrere con lunghe falcate l'intero perimetro della stanza aumentando la velocità ad ogni giro.
Strinse le mani tra loro quasi a voler testare la sua forza.
Ormai non c'erano più dubbi sul fatto che Astaroth era caduto.
"Maledizione!" imprecò dando un calcio alla poltrona su cui era stato posto Wilfred.
"Dannazione! Dannazione!" esclamò tirando indietro la testa e sfogando in quel modo la sua frustrazione.
"Mio Signore... Padrone." invocò Wilfred, scosso dai tremiti.
Sebastian si voltò, le dita protese in avanti. L'avrebbe ucciso, decise. Non poteva reggere oltre alla vista di quel patetico vampiro.
"Master!"
Pierre si era messo tra lui e la sua preda, mentre Wilfred aveva preso a camminare in ginocchio cercando speranzoso il suo Alfa. "Cos'è successo?"
Quell'unica domanda sembrò avere la forza necessaria per fargli riprendere il controllo di sé.

 

 "Morto?"
Sebastian annuì di fronte all'espressione stupefatta di Pierre. Si era liberato dell'altro redivivo inducendolo in un sonno prematuro, così da non dover sopportare oltre le sue piagnucolose lamentele.
"Le porgo i miei omaggi, Master."
Sebastian lo zittì con un cenno della mano. Era evidente che Pierre aveva frainteso la situazione.
In un passato recente, i vampiri Purosangue avevano combattuto e si erano uccisi tra loro per la conquista del potere. Per quel motivo, Pierre era giunto alla conclusione che fosse stato lui ad uccidere Astaroth. La verità era che lui non sarebbe mai potuto giungere a tanto e che non sapeva cosa dover fare per scoprire chi fosse l'uccisore del Master di New York.
"Ciò che ti dirò ora dovrà rimanere un segreto. Chiaro, Pierre?"
Lo vide annuire. Se Pierre avesse detto una sola parola su quel loro incontro sarebbe stato lui stesso ad ucciderlo. Gli aveva dato la vita e allo stesso modo gliela poteva togliere.
"Inchinati, Pierre." ordinò. La voce era sicura, fin troppo, per ciò che stava per dire. "Ora sono io il nuovo Master della città."
Suo padre, se fosse stato lì, probabilmente si sarebbe complimentato dandogli una pacca sulla spalla e con qualche parola arrogante. Avrebbe levato in alto Exaniha, la sua spada, e avrebbe affermato che potere e comando scorrevano nelle sue vene.
L'erede di Lilith, il prediletto di Lucifero.

 


Trovò Jennifer ad attenderlo, seduta sul divano e con gli occhi pieni di lacrime. I lunghi capelli ramati erano un groviglio di nodi e il viso tanto gonfio che ci sarebbe voluto un miracolo per nascondere il suo stato pietoso. Nemmeno i trucchi delle migliori marche e dieci dei truccatori più esperti di Hollywood avrebbero potuto fare qualcosa.
Gli corse incontro con un gemito soffocato e lui spalancò le braccia per poterla stringere a sé. Con gesti lenti e delicati le massaggiò le spalle, tentando anche di districare i nodi tra i capelli.
"Ero preoccupata." spiegò lei tra i singhiozzi.
"Lo so."
"Bugiardo." lo interruppe appoggiando la testa al suo petto. "Se lo sapevi mi avresti avvertito." si lamentò.
"Stai tremando." le fece notare accompagnandola verso la camera da letto.
"Sei gelido." gli spiegò, alzando lo sguardo sul suo.
Sebastian non rispose subito. Si limitò a rafforzare la stretta sulle sue spalle ed a spingere Jennifer sull'orlo del letto. Lei non oppose resistenza e piegò le ginocchia per accompagnare quella lieve pressione.
"Nutrirmi di sangue freddo ha avuto questo effetto sulla mia temperatura corporea." Le sfiorò una ciocca di capelli e le baciò la fronte. Un gesto innocente che gli ricordò il periodo in cui lei era solo una bambina impaurita da tutto e da tutti.
Il respiro affannoso di Jennifer si calmò, mentre ubbidiente si infilava sotto le coperte.
"Ora dormi." ordinò perentorio.
"Voglio restare con te, parlare di..."
"Quanto è successo questa notte?" Il suo tono di voce era divertito, ma manteneva comunque un gelido distacco dalla realtà.
Jennifer gli afferrò la mano, stringendola in modo tanto disperato che lui si zitti. A volte se ne dimenticava. Dimenticava che per Jennifer lui era ogni cosa. Famiglia, vita, dolore.
Ma per lui cos'era Jennifer, esattamente?
La bambina che aveva salvato all'età di sette anni, la ragazza delle scuole medie che lo pregava per uscire con gli amici o la giovane attrice che sedeva tra morbide coperte di velluto in quello stesso istante?
Jennifer, era come un fiore primaverile che in ogni momento rischiava di poter essere distrutto da una gelata improvvisa. Se il ghiaccio fosse lui o il mondo in cui vivevano, quello era tutto da capire.
In ogni caso, quando aveva deciso di salvarla si era anche fatto carico del suo futuro e per quanto fragile potesse essere la vita umana, lui doveva riuscire a preservare la sua.
Era un pensiero piuttosto buffo per un vampiro del suo lignaggio che di morti e battaglie ne aveva fatto un credo.
Sua madre trovava quel suo attaccamento ridicolo e inutile, ma Lilith, per quanto tentasse di nasconderlo, adorava gli umani molto più di lui. Più di suo padre, invero, che gli aveva amati tanto da essere cacciato dal Paradiso, dall'Eden.
"Ne parliamo domani." intervenne, allontanando la mano.
"Non torneremo a Londra tanto presto." la sua era un'amara constatazione che non aveva bisogno di alcuna risposta.
"No, infatti." detestava deluderla, ma non c'era altra soluzione per il problema.
"Posso comprare un nuovo abito da sera?" gli chiese.
Sebastian sospirò, leggermente rilassato. Spendere il suo patrimonio in vestiti, era il modo più carino che Jennifer aveva trovato per prendersi una rivincita sulle promesse che lui non riusciva a mantenere.
"Facciamo tre." la assecondò con un fugace sorriso.
"Qualcuno ha lasciato un biglietto per te. L'ho messo in soggiorno." lo avvertì lei girandosi su un fianco.
"Un messaggio?" non riuscì a nascondere la perplessità della sua voce.
Jennifer sbadigliò, nascondendo la testa sotto le lenzuola e decretando a quel modo la fine della conversazione. 
 

 

Master di New York.
Congratulazioni per la recente nomina a Guida di tutti i vampiri newyorkesi.
Le notizie viaggiano in fretta in questa fredda metropoli americana, anche quelle che si tentano di nascondere.
La morte di Astaroth è giunta alle mie orecchie alla stessa velocità di quella delle altre vittime mietute dalla Chimera. Un termine appropriato, non credi? Lo utilizzerò da qui in avanti per indicare la creatura a cui darai la caccia, presumo, facendoti carico delle responsabilità di Master.
Abbiamo un nemico comune. In virtù di questa considerazione, desidero incontrati per poter esporre il nostro futuro piano d'azione.

Il chiarore della luna illumini la via ai Discendenti.
Che il loro destino possa tornare a brillare sulle ali del sole.

 P.S: Porgi i miei saluti a Vlad e all'adorabile Lilith.

 Nevhiel

 

 
C'era solo una persona che poteva unire un lessico ricercato con uno più propriamente moderno. Un essere dalla mente deviata, che aveva perso il senno insieme al trascorrere dei secoli. Un Angelo Decaduto, più demone che creatura celeste: Nevhiel, la Luce del Tramonto.
Uno dei pochi angeli a cui non importava quasi nulla del genere umano, ma che combatteva per ridare ai demoni e alla loro progenie il posto che era stato strappato loro nell'Eden.
"Il chiarore della luna illumini la via ai Discendenti. Che il loro destino possa tornare a brillare sulle ali del sole." mormorò. L'angelo aveva fatto di quelle parole il suo motto ufficiale. Aveva radunato attorno a sé una schiera di sostenitori umani selezionati. Uomini che, essendo stati sottoposti a una "rieducazione", come lui sosteneva, potevano ambire ad un posto nell'Eden.
Più probabilmente avrebbero ottenuto un posto nel cimitero di New York, o Nevhiel li avrebbe utilizzati come pasto per gli stolti vampiri che davano credito alle sue parole.
Desiderava, davvero, riportare gli angeli divenuti demoni al Paradiso. Chiamava fratelli tutti i vampiri, la stirpe che per ovvie ragioni aveva mantenuto caratteristiche simili a quella angelica.
Era un folle che aveva perso la ragione. Si diceva che avesse amato Lucifero in modo così intenso, che dopo il suo tradimento aveva giurato di riportarlo nell'Eden. Per quel motivo gli era caro il destino dei vampiri.
Accartocciò il messaggio e lo gettò tra le fiamme del camino.
Pensava davvero che Vlad e Lilith sarebbero stati lieti dei suoi saluti? I suoi genitori ridevano della sua pazzia.
In ogni caso trovò curioso che si fosse riferito alla Stella del Mattino con il nome che aveva adottato nel quindicesimo secolo. Amava Lucifero così tanto che era arrivato ad accettare quel nuovo nome?
"Dopotutto, un nome rimane pur sempre solo un nome."
E chi meglio di lui poteva saperlo?
Semiael era davvero morto o era in agguato da qualche parte?

 




 
Capitolo gentilmente betato da: KumaCla
Mi trovate su Twitter: Qui  

 

Note: Dunque, questa volta non ho molto da dire xD Pian piano stiamo entrando nel vivo della vicenda e spero davvero che possa piacervi! :D Grazie a chi ha aggiunto la storia tra seguiti-preferiti ^^ Spero vorrete dirmi cosa ne pensate, giuro che non mordo e mi fareste davvero felice. :)

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Capitolo 6
*** Giornalisti invadenti ***






  
05

≈*≈*≈*≈*≈
Giornalisti invadenti

 

 

«Orrore e dubbio confondono i suoi pensieri affranti,
e dal profondo l'Inferno gli si agita dentro,
poiché l'Inferno ha dentro di sé,
l'Inferno attorno a sé,
e non c'è passo che valga ad allontanarlo
dall'Inferno che in lui alberga.»
{Da: Il Paradiso Perduto di J.Milton}

 

 

Azalya si era svegliata con un forte mal di testa quella mattina. Era rannicchiata su una panchina a Central Park e le dolevano tutte le ossa. Circondata da cespugli di bacche colorate e foglie arancioni, si rese improvvisamente conto di quanto fosse godibile il parco in autunno. Non certo per la temperatura, ma la bellezza della natura era innegabile.
Rabbrividì per il freddo e, in un istante di lucidità, si chiese se la dose che si era fatta la sera precedente l'avesse ridotta in uno stato tale da impedirle perfino di ricordare l'ubicazione della sua casa.
L'orologio, due cinghie di plastica verde con un cerchio centrale di metallo, che aveva comprato in una bancarella cinese il mese prima, indicava che erano quasi le otto. L'orario giusto per fare colazione, se solo si fosse trovata nel suo appartamento.
La ragazza fece un bel respiro, prima di trovare il giusto equilibrio che le permettesse di rimanere in piedi senza inciampare nei suoi stessi passi. Imprecò sottovoce, vedendo solo in quel momento di aver perso la giacca.
Si strinse nelle spalle. Poco importava. Era un vecchio maglione di lana ruvida che aveva rubato a qualche vecchietta l'inverno precedente - visto che i genitori adottivi non si erano sprecati nel cercarle qualcosa di adatto per affrontare il gelo della stagione. Sarebbe riuscita a trovare un capo migliore, chiedendo a qualche associazione benefica nell'ambito sociale.
Si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, tirandone fuori qualche spicciolo. Pochi dollari che dovevano bastarle per comprare un biglietto della metropolitana e tornare a casa.
Un cucciolo di Golden Retriever le stava correndo attorno, ma quando lei allungò una mano per accarezzarlo il padrone lo richiamò a sé.
Azalya si ritrovò a sbuffare. Nemmeno un animale riusciva a sopportare la sua presenza.
Pensò a Matt, il ragazzo/amico che frequentava da qualche tempo. Ricordava perfettamente tutti i dettagli delle due notti che avevano passato insieme. Si erano divertiti alla grande, mentre, come serpenti, si erano avvinghiati nel gigantesco letto dei suoi genitori. Assunse un'espressione distante, chiedendosi se anche Matt avesse ripensato a quelle avventure.
Naturalmente no, si disse. Non erano andati a letto insieme per una qualche idea romantica, avevano cercato il divertimento ed entrambi lo avevano ottenuto. Dopotutto, era solo di quello che era fatta la sua vita ultimamente. Sesso, droga, musica e discoteche.
Aveva abbandonato i suoi sogni di frequentare il college dopo la prima dose che un motociclista ubriaco le aveva fatto ingerire senza che nemmeno lei lo sapesse. Dal quel giorno la sua vita era degenerata, in peggio.
Azalya sapeva che ciò che stava facendo era sbagliato. Da qualche parte la ragazza carina e gentile con tutti, la secchiona della classe, le stava elencando i problemi legati all'assunzione di quelle sostanze, ma lei la ignorò. Per più di quindici anni si era mostrata cortese, accettando l'ideache i suoi genitori l'avessero abbandonata sul ciglio di un vecchio orfanotrofio, ma il continuo cambio da una famiglia all'altra l'aveva stremata. Quella condizione di stabilità precaria aveva distrutto la sua voglia di lottare, di battersi per ottenere una borsa di studio che le avrebbe concesso una nuova vita, lontana da assistenti sociali e stanze di orfanotrofi ammuffiti.
Con una smorfia constatò lo stato dei suoi vestiti. Sembrava una ragazzina vestita di stracci. Aveva diciassette anni e alle spalle un lunga carriera fatta di via vai tra istituti e casa-famiglia. Quella in cui viveva adesso non era migliore delle precedenti. L'unico punto positivo era che ai suoi attuali "genitori" non interessava nulla di ciò che faceva durante il giorno. La cosa importante era non portare la polizia sotto casa, il resto era irrilevante.
Con un cenno della mano Azalya salutò un paio di senza tetto che stavano mangiando avidamente un tozzo di pane che il venditore di Hot Dog aveva regalato loro. Amaramente pensò che anche lei un giorno, con molta probabilità, sarebbe stata costretta alla medesima vita di stenti e sofferenze.
Poi, fischiettando tra sé, si avviò verso l'ingresso della metropolitana.
Mentre si faceva largo tra la folla non ebbe problemi a sfilare dalla tasca posteriore di un uomo una copia del "New York Times".
Non le interessava leggerlo. La carta dei giornali era solo un buon combustibile per accendere il fuoco del caminetto. Tornata a casa si sarebbe crogiolata nel tepore delle fiamme.
Lo sguardo le cadde comunque sul titolo, scritto in grassetto. L'intera prima pagina era dedicata agli ultimi avvenimenti accaduti in città.
"Strage notturna, venti le persone coinvolte." tossì, mentre qualcuno la spintonava malamente a lato di una scalinata. "Omicidi efferati, turbano la quieta della città." Si appoggiò ad un muro. "Il killer potrebbe aver agito da solo. Nessun sopravvissuto."
Azalya roteò gli occhi al cielo. La stampa stava esagerando, come sempre faceva nei casi di cronaca.
"I cuori sono stati strappati brutalmente dal petto delle vittime. Il sospettato, probabilmente un deviato mentale, è stato soprannominato: Chimera."

 

***

 

La cattedrale di San Patrizio, di stile neogotico, aveva una forma a croce latina ed era una delle poche chiese che richiamavano alla mente quelle più antiche ed eleganti d'Europa. Il fiorone che spiccava sopra l'entrata principale rimandava un gioco di luci che andavano dal giallo al rosso.
Jennifer indossava un lungo abito perlaceo, le spalle erano lasciate scoperte e Sebastian la osservò mentre riversava sullo stretto corsetto, tutto il suo profondo odio per quegli abiti dalla fattura antica.
"Come potevano indossare questi abiti nel quindicesimo secolo?" chiese esasperata. I segni della notte passata senza dormire erano evidenti sul suo viso, ma il trucco era riuscito davvero a fare miracoli.
"Dov'è finito il nostro Dracula?" la voce squillante del regista, lo raggiunse nel momento esatto in cui lui finiva di stringere il mantello al collo.
"Se ti consola, Jen, è una domanda che mi sono posto pure io."
"Come no." fece lei roteando gli occhi al cielo e assicurandosi che la pettinatura non avesse subito danni. "Tu, le spogliavi le donne."
La risata a cui il vampiro si lasciò andare ebbe il potere di richiamare su di lui le attenzioni di Percy che si diresse immediatamente dalla sua parte.
"Le riprese cominciano tra due minuti." gli spiegò il regista, indicando il set che era stato preparato. "Siamo alla scena in cui il conte Dracula
tenterà di affondare le zanne nel collo di Gwen."

Sebastian incrociò le mani sul petto. Non aveva bisogno che qualcuno gli ricordasse cosa doveva fare. Quella versione alternativa di Dracula era una storia fatta per calcare l'onda cinematografica del momento: vampiri innamorati di donne umane.
Poco più in là, Jennifer/Gwen stava recitando per l'ennesima volta le sue battute.
Lui si sistemò l'orlo della camicia, ripensando al periodo in cui aveva indossato davvero abiti di fattura simile. Le differenze in ogni caso esistevano: i capelli gli erano stati lisciati all'indietro con una quantità eccessiva di gel e aveva un finto pizzetto di barba che gli solleticava il mento.
Trovava quella situazione ironica. Si apprestava a recitare la parte che la storia aveva attribuito a suo padre.
"Avete sentito degli omicidi?" stava bisbigliando poco lontano una truccatrice.
Sebastian si avviò lungo la navata centrale della chiesa seguito da Jennifer. La ragazza camminava in modo piuttosto goffo e dovette sostenerla un paio di volte per impedirle di cadere.
"Se vuoi essere credibile dovrai sforzarti di rimanere dritta." l'avverti lui, facendole appoggiare la mano sul suo braccio.
Prima di posizionarzi al centro della scena, Jennifer gli lanciò un'occhiataccia che avrebbe potuto significare qualsiasi cosa. La telecamera catturò il suo viso e al via del regista lei cominciò a recitare.
L'espressione sofferente, le mani protese in avanti, la voce tremante…
Lui si ritrovò a pensare che quella era sicuramente una delle migliori interpretazioni date da Jennifer fino a quel momento nella sua carriera.
Gwen le ricorda la sua situazione.
Il suo era un pensiero amaro, tanto quanto le finte lacrime che solcavano il volto dell'attrice. I singhiozzi di Gwen si fecero più forti, più sentiti e per un attimo Sebastian temette che Jennifer non stesse più recitando, ma che si stesse sfogando per i fatti della sera precedente.
Invece, subito dopo, lei riprese a parlare con più trasporto di prima.
In quel film, Dracula alias Vlad Tepes, dopo aver ucciso una giovane donna si era reso conto che la ragazza aveva da poco dato alla luce una
figlia. Il vampiro aveva raccolto la neonata e portatala con sé al suo castello l'aveva chiamata Gwen. In sostanza, la bambina era cresciuta fino a diventare una splendida donna che si era innamorata del suo salvatore e carnefice. La conclusione era aperta. Percy prevedeva di fare un seguito della pellicola.

"Ridicolo!" borbottò Sebastian, calandosi nella parte. " Gwen! Chi è stato? Dimmi chi è stato!" pronunciò Dracula mostrandole i canini.
"Uccidetemi se volete! Uccidetemi e gettate il mio cadavere sul fondo dello stagno!" replicò Gwen, voltandogli le spalle. "A tal punto! A tal punto giunge la vostra crudeltà?"
Sebastian la afferrò per il gomito destro, obbligandola a girarsi nuovamente. C'era sofferenza e c'era amore negli occhi di Jennifer, sentimenti reali che esulavano dal copione.
"Tu sai rendermi crudele, Jen." Le luci di scena furono abbassate e tutta la truppe trattenne il fiato.
Troppo tardi, lui stesso si rese conto del tremendo errore che aveva commesso.
"Stop!" Percy avanzò verso di lui con un'espressione minacciosa, ma che a Sebastian sembrò solo ridicola.
"Andavate così bene!” sbuffò il regista. “La scena era perfetta, l'atmosfera pure!" scosse la testa. "Dovremo rifare tutto da capo. Che errore da principiante, Walker!" lo rimproverò.
Sebastian assottigliò gli occhi, trattenendo a stento un sibilo. Non solo quelle parole erano una critica bella e buona, ma lo aveva anche chiamato con quello stupido cognome umano che si ritrovava a dover portare.
La sua mano guizzò sulle spalle del regista che però non sembrò stupito del gesto. Percy gli sorrise, appoggiando a sua volta le braccia sulle estremità del mantello di scena. "Oh, tranquillo!" lo rassicurò, quasi dovesse placare il suo figlioletto di sei anni. "Sono cose che capitano." gli fece l'occhiolino. "Jennifer può fare questo effetto, soprattutto se si è il fidanzato!" disse ridacchiando.
Lui non spostò la mano di un millimetro. Fu Jennifer che, con una pessima battuta, lo costrinse a liberare il regista.
"Riprendiamo!" ordinò Percy, soffiando sulla tazza di caffè bollente che qualcuno gli aveva portato. 
 

 

"Questa sera non riusciremo a sottrarci alle domande dei giornalisti." la avvisò Sebastian.
Jennifer fece una smorfia e lui non fu da meno. Questioni più importanti richiedevano la sua presenza. Non poteva perdere tempo con un branco di curiosi in cerca dell'ennesimo gossip tra lui e Jennifer.
Gli umani li credevano felicemente fidanzati da quasi due anni. Non sapevano che aveva salvato Jennifer quando lei non sapeva neanche leggere e che avevano trascorso insieme gli ultimi anni delle loro vite.
A passi pesanti entrambi si avviarono verso l'uscita della chiesa con ancora indosso i costumi di scena. Sebastian passò un braccio dietro la schiena di Jennifer e le porse la mano libera in un gesto cavalleresco.
I flash esplosero attorno loro, irritandolo profondamente. In ogni caso, regalò ai presenti uno dei migliori sorrisi che aveva perfezionato nel corso degli anni.
"Signor Walker"
"Sebastian Walker!" stava esclamando qualcuno, sbracciandosi nella sua direzione.
"Le ultime voci sono vere?" domandò una giornalista, mentre tentava di afferrare una manica del vestito di Jennifer.
La sua curiosità ebbe la meglio sul buon senso. "Quali voci?"
Il chiacchiericcio della folla aumentò in modo preoccupante. I membri dello staff erano impegnati nel disperdere quel branco di avvoltoi fastidiosi, ma naturalmente nessun fotografo desistette dallo scattare foto.
"Le voci sono fondate?" la stessa domanda passò sulle labbra di un altro uomo.
Sebastian guardò Jennifer, ma lei ricambiò con uno sguardo smarrito. Alcuni fischi alla loro destra fecero voltare il vampiro, che rischiò di far inciampare Jennifer su uno scalino del selciato .
"Un autografo! Jen, un autografo!" stava supplicando un ragazzo con un quaderno e una penna tra le mani.
"Guardate da questa parte! Di qua!"
"C'è aria di crisi nelle vostra relazione?" gridarono in contemporanea più reporter, gesticolando in maniera imbarazzante.
Ah, ecco, pensò Sebastian con una certa delusione. Non c'era nulla di curioso o di affascinante in quell'ultima trovata giornalistica. Tuttavia, ringraziò il fatto che non ci fossero truppe televisive nei dintorni che potessero riprendere quell’assalto mediatico.
Jennifer sorrise indulgente ad una donna che aveva posto quella domanda; da parte sua, lui mostrò quelle che per tutti erano finte zanne fatte di colla e ceramica.
Fu in quel momento che si accorse di una figura incappucciata che scrutava l'uscita della chiesa dal lato opposto della strada.
Alto, fisico atletico, biondo: nephilim.
Gli era bastata un'occhiata per capire che lo sconosciuto non era umano e che il fagotto che teneva avvolto in una giacca era una spada. Un spada angelica, per di più, strappata al precedente proprietario, o forse, raccolta dopo la sua morte.
In ogni caso, a Sebastian non piacque affatto il modo in cui il mezzosangue stava fissando lui e, soprattutto, Jennifer.
Il solo fatto che quel nephilim si trovasse armato, davanti al nuovo Master di New York lo innervosiva. Ma la cosa che più lo irritava era il non poter stanare quel cacciatore di vampiri lì e subito.
Occhi grigio-verdi, labbra sottili e denti candidi come neve. Lo sconosciuto gli rivolse un sorrisino ironico, certo che lui avrebbe notato quel particolare.
In tutta risposta, Sebastian alzò la mano facendo credere alla stampa di star salutando con trasporto un'altra celebrità. Soddisfatto di quella piccola performance, osservò con malcelata perfidia i risultati della sua azione.
"Chi? Chi ha salutato?" i bisbigli della folla si concentrarono sul nephilim che, notata l'improvvisa attenzione nei suoi confronti, guardò stupefatto prima Sebastian e poi i fotografi che avevano preso a scattare foto.
"Dove?"
"Jhonny Deep?" domandò qualcuno.
"No, non vedi quanto è giovane?" rispose qualcun altro.
L'attenzione di tutti si era concentrata sul ragazzo, che aveva preso a correre come se un branco di vampiri gli fosse alle spalle. Sebastian non dubitava, comunque, che il nephilim avesse maturato esperienze del genere con qualche redivivo in passato.
"Ehi! Sta scappando!" esclamarono i fotografi.
"Chi è? Chi è?"
"Inseguiamolo! Sta fuggendo!"
Approfittando della confusione generale, Sebastian riuscì ad afferrare Jennifer e a trascinarla con sé verso il primo taxi disponibile. Entrambi si infilarono con una sincronia incredibile nel retro dell'auto, mentre alcuni giornalisti, trovato l'inganno, avevano tentato un inseguimento. Ignorando le velate minacce di morte, con cui l’autista del mezzo li stava insultando, i fotografi continuarono imperterriti a picchiare le mani sulla carrozzeria del taxi.
"Dannati reporter! " gridò il tassista, mentre abbassava il finestrino nel tentativo di disperdere il gruppetto di giornalisti. Fece schioccare la lingua sul palato, schiacciando il pedale dell’acceleratore. "Sempre tra i piedi, dico bene?" domandò, guardando Jennifer attraverso lo specchietto retrovisore e facendole l’occhiolino.
Sebastian sbuffò spazientito. "Vada verso Riverside Drive." ordinò all'uomo.

 

***

 

Le labbra di Matt erano state come sempre soffici e calde, ma malgrado la naturale delicatezza che possedevano, erano riuscite a ferire la sua anima più di mille parole. Le brevi frasi, dure e ostili, che il ragazzo le aveva rivolto, avevano costretto Azalya ad allontanarlo con forza da sé, prima di fuggire senza alcuna meta tra i vicoli newyorkesi.
Era stato un errore andare da lui per cercare conforto. Si era illusa che i loro momenti sereni sarebbero potuti bastare per cercare in lui un po' di solidarietà.
Non avrebbe dovuto farsi troppe speranze sul conto di Matt.
Dunque, pensò amaramente, anche per lui valeva meno di nulla. L'unica cosa positiva, di quel loro rapido incontro, era stata la possibilità che aveva avuto di farsi una doccia calda e trafugare qualche vestito della sorella di Matt.
La testa le doleva da fare impazzire ed aveva fame. Con le mani in tasca e l'mp3 tra le orecchie si sedette su una delle tante panchine di Central Park. L'idea di passare un'altra notte all'aperto non la entusiasmava, ma non poteva presentarsi a casa a quell'ora.
Presto sarebbe scoccata la mezzanotte e lei non avrebbe avuto alcun principe da cui scappare. La carrozza sarebbe rimasta una zucca e Cenerentola l'ultima ragazza a cui concedere una scarpetta di vetro.
Azalya si strinse le ginocchia al petto e si dondolò, in precario equilibrio, tra lo schienale della panchina e l'erba del parco.
Ho fame.
Era l'unico pensiero sensato che l’animava in quel momento.
Ho paura.
Considerò che, forse, erano due i pensieri sensati. Aveva una paura folle. Circondata dagli alberi, sola e infreddolita, aveva il terrore di ciò che poteva accaderle rimanendo lì.
Ho paura.
Sussultò, scuotendo appena la testa. Erano stati reali o solo frutto della sua immaginazione i sussurri sinistri che aveva appena sentito?
Una folata d’aria fredda le scivolò addosso, quasi cercando di intrufolarsi tra i suoi vestiti.
Az…
Azal…
Azalya.
Tremò, stringendosi più forte nel giaccone invernale. Poco dopo sciolse l'abbraccio in cui si era avvolta ed appoggiò i piedi sul terreno.
Il vento poteva articolare il suo nome?
Le tornarono alla mente i titoli del giornale che aveva rubato quella stessa mattina e del misterioso killer che si aggirava indisturbato tra le strade di New York.
Forse, era solo la sua immaginazione. Forse, la testa stava dando i primi sintomi di pazzia-visto il suo costante uso di droghe.
Forse, si stava ponendo troppi dubbi che iniziavano con la parola "forse".
Il lampione acceso, a pochi passi di distanza da lei, distorceva le ombre del parco, ma lo starnazzare di alcune anatre nel laghetto vicino era davvero inquietante. Sembrava che anche gli uccelli temessero qualche pericolo in agguato nelle vicinanze.
Non cercò altre spiegazioni, non erano importanti.
Ciò che le interessava era allontanarsi il più possibile da quel luogo.
Corse, inciampando nella radice di un albero e mentre si rialzava nuovi mormorii la trapassarono da parte a parte costringendola a tapparsi le orecchie con le mani.
Si accorse di tremare più di una foglia lasciata in balia del vento.
Male. Fa male! Ho paura.
Quei pensieri accompagnarono Azalya per tutto il tragitto.
Si ritrovò a sfrecciare nel traffico della città ignorando le grida infastidite degli autisti e scostando, senza scusarsi, i passanti che attraversavano le strisce pedonali, finché esausta si lanciò all'interno di una chiesa e lì si accasciò sul pavimento marmoreo. 
 

 

 

Capitolo gentilmente betato da: KumaCla
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Note: u_u Ditemi, ditemi! Cosa pensate di Azalya? Vi piace, non vi piace? E Jennifer? Personalmente non simpatizzo per Jen, ma è anche vero che poveretta è stata pensata così nella mia testa! XD
Vi faccio fin da ora gli auguri per il prossimo 2013! :D Grazie infinite a chi continua a seguire la storia! Fatemi sapere la vostra opinione! ;) 
By Cleo^.^



Ceoì 

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Capitolo 7
*** Erede di sangue ***



 


 06

≈*≈*≈*≈*≈
Erede di sangue

 

Del passato dovremmo riprendere i fuochi,
e non le sue ceneri.
{Jean Juares}

 

 

Il Trinity era un locale notturno situato in Houston Street. Un tempo abitazione nobiliare, era divenuta col passare degli anni uno dei locali notturni più frequentati dagli adolescenti newyorkesi. Dall'aspetto antico e affascinante sembrava promettere la realizzazione dei sogni proibiti di tutti i quindicenni americani.
La fila di ragazzi che attendevano pazientemente di essere fatti entrare nel locale era davvero notevole. Accodati uno dietro l'altro, telefonino alla mano e cuffie alle orecchie, si stringevano nei cappotti tentando di trovare un riparo al freddo vento di inizio novembre.
Alle sue spalle, Pierre gli passò tra le mani una semplice maschera che gli avrebbe coperto la parte superiore del viso. Sebastian si affrettò ad indossarla facendo scorrere l'elastico dietro le orecchie. In quel modo non avrebbe corso il rischio che adolescenti dagli ormoni in subbuglio lo riconoscessero.
Lanciò una rapida occhiata a Wilfred. Il vampiro aveva un aspetto migliore rispetto la sera precedente, ma era evidente che necessitava ancora di riposo.
Avanzò, seguito dai due redivivi, spintonando di lato due adolescenti che avevano tentato di fermarlo. Dalla fila proruppero una serie di insulti e fischi concitati.
Il buttafuori, un vampiro di recente creazione, fece loro segno di fermarsi. Non si era nemmeno reso conto che lui e i suoi compagni appartenevano alla stessa razza.
"Documenti!" latrò. Evidentemente il fatto che avessero superato le altre persone non gli interessava.
"Porta rispetto!" Pierre si fece avanti, pronto a sbatterlo contro un muro, ma Sebastian lo fermò interponendo la mano tra i due.
"Documenti." ripeté l'altro per nulla impressionato.
"Togliti dai piedi." ordinò Sebastian con voce ferma.
Vedendo che l'altro insisteva nel sbarrargli la strada si limitò a concedergli un sorriso sinistro. "Pierre!" chiamò.
"Sì, Master?" Il vampiro si portò velocemente al suo fianco, mostrando le zanne al buttafuori.
"Spiegagli, gentilmente, chi è il padrone di questo posto, ora."
In quanto nuovo Master di New York a lui spettavano tutti i possedimenti e le ricchezze che Astaroth si era lasciato alle spalle con la sua morte. Di conseguenza, anche il Trinity, la perla dei night club newyorkesi, era di fatto una sua proprietà. Ciò che tuttavia lo infastidiva maggiormente era che quel vampiro -che a giudicare dai suoi comportamenti non doveva avere più di tre anni di vita- non lo avesse riconosciuto come suo diretto superiore. Era un affronto vedere che quelli che lui aveva battezzato come "vampiri moderni" non sapessero nemmeno riconoscere la differenza fra un umano e un vampiro e tra un mezzosangue e un purosangue.
Dall'alto della sua arroganza, Astaroth non si era nemmeno preso la briga di istruire i suoi sottoposti sulle regole gerarchiche e sociali vigenti tra la loro razza.
Vedendo la storia sotto quel punto di vista, non si sorprese nel constatare che pochissimi vampiri erano a conoscenza del fatto che il loro Master fosse morto la notte precedente.
D'altra parte, era proprio per quel motivo che si era recato al Trinity; per comprendere se l'omicidio era stato un atto premeditato o se era stato del tutto casuale. Quante possibilità esistevano che qualche folle creatura possedesse il potere di controllare la Chimera? E se esisteva qualcuno del genere, come poteva fermarlo?
Senza difficoltà Pierre strinse una mano sulla gola del buttafuori e lo sollevò da terra, tenendolo sempre in quella posizione.
Le grida, tra l'ignaro pubblico alle loro spalle, si intensificarono.
"Ehy, amico!" esclamò qualcuno, picchiettando sulle spalle di Sebastian. Era evidente che l'umano fosse preoccupato per le sorti del buttafuori e che non gli andasse a genio il loro comportamento.
Lui non si prese la briga di rispondergli e con malumore crescente osservò Wilfred che tentava di tranquillizzare la folla di adolescenti vestiti di nero. Sospirò, pensando che per lo meno il vampiro aveva perso gli atteggiamenti pazzoidi della sera prima.
Si sistemò meglio la maschera e varcò l'ingresso del locale. Wilfred e Pierre lo raggiunsero poco dopo, il primo totalmente a suo agio nell'ambiente, il secondo visibilmente scocciato nel trovarsi lì.
Nessuno fece caso al loro arrivo. La musica pulsante si riversò su di loro, nell'attimo stesso in cui un gruppo di ragazzi li spintonarono -senza alcun successo- verso il balcone del bar.
Di fronte a loro, ad attenderli c'era un massa sudata di adolescenti che ballavano un pezzo di rap.
"Adrian è al secondo piano." spiegò Wilfred indicando il vano delle scale.
"Muoviamoci." ordinò Sebastian.
Adrian, come gli aveva spiegato il redivivo al seguito di Astaroth, era il braccio destro del purosangue. Se c'era qualcuno in quel posto
che poteva sapere se l'ex Master di New York avesse dei nemici che desideravano vederlo morto era lui.

"Io facevo lo spogliarellista." stava spiegando Wilfred indicando il palcoscenico su cui si stavano esibendo due vampiri.
A prima vista, notò Sebastian, sembrava che tutto il personale fosse composto da redivivi. In tal modo, riusciva a spiegarsi il successo di tutti i night club di cui Astaroth era stato proprietario.
Era innegabile che i vampiri possedessero un fascino precluso agli esseri umani. Il trascorrere dei secoli non faceva altro che evidenziare quella loro caratteristica.
La sua razza si era evoluta, semplicemente, perfezionando i tratti fisici della loro struttura corporea.
I vampiri erano cacciatori. Se la preda cadeva nell'inganno creato dal loro splendido volto, non c'era bisogno di darle la caccia.
"Da quella parte." intervenne Wilfred con un cenno della mano. 
 

 

Adrian, come poté notare mentre il vampiro si esibiva in uno spettacolo tutt'altro che innocente, aveva un numeroso seguito di fan urlanti. Donne e ragazze di ogni età che avrebbero pagato una fortuna -a giudicare dai loro sguardi maliziosi - per poter trascorrere una notte con lui.
Biondo, alto e occhi azzurri doveva incarnare il loro tipo di uomo ideale. Un principe che sarebbe stato in grado di condurle nei vortici della perdizione.
E di un principe si trattava, in verità. Adrian von Hohenfels era un nobile di origini germaniche trasformato nel 1638, mentre in Europa ancora si svolgeva la guerra dei trent'anni.
Era stato il braccio destro di Astaroth e a quanto si vociferava anche il suo amante.
Avvolto in un attillato completo in pelle nera, stava afferrando al volo una banconota da venti dollari lanciata da qualcuno tra il pubblico.
Non potendo interrompere l'esecuzione di quello spettacolo, Sebastian fece cenno a Pierre e Wilfred di andarsi a sedere al tavolo libero.
"Ordinate da bere." ordinò, indicando loro la lista delle bevande.
"Ma non possiamo!" scattò in piedi Wilfred attirando l'attenzione di alcuni tra i presenti.
Pierre lo tirò velocemente per il braccio, costringendolo a sedersi nuovamente.
"Non possiamo, cosa?" proruppe infastidito il francese.
"Bere questi cocktail!" esclamò Wilfred con un sorriso nervoso.
Sebastian si portò una mano sul volto, sfiorando i contorni della maschera. Quanto si poteva essere stupidi?
"Perdonatelo, Master." intervenne Pierre con un sospiro. "Neanche da umano doveva essere stato un individuo intelligente." lo giustificò con una scrollata di spalle. Wilfred alzò una mano per replicare, ma il francese lo zittì. "Sapete come dicono gli umani: tutto muscoli, niente cervello." Lo guardò freddamente. "Ho il sospetto, però, che nemmeno la parte dei muscoli si addica molto a lui."
Il Master di New York si lasciò scivolare mollemente sulla sedia, trattenendo a stento una risata compiaciuta. "Pierre!" lo richiamò all'ordine, decisamente divertito.
Le dita di Sebastian si strinsero convulsamente attorno alla gamba del tavolo, attente a non distruggere l'oggetto. Alle sue spalle, alcune umane si sbracciavano in avanti, cercando di sovrastare con la voce il volume della musica.
"Avete visto quanto gli somiglia?" proruppe una ragazzina, indicando in direzione del palco.
"Dici?" l'amica al suo fianco parve scettica. "Secondo me è più simile ad Orlando Bloom!" esclamò, agitando in aria le mani.
Lui si ritrovò a serrare la mascella, infastidito dalla piega degli eventi.
"Ma che dici?" replicò la prima, che sembrava sconvolta per quel paragone. "Sebastian Walker è dieci volte meglio! Vedi?" continuò, facendo cenni verso Adrian.
Pierre tossì, dando a Sebastian una leggera gomitata di apprezzamento. Era evidente che il francese trovasse divertente quella frivola conversazione. Wilfred, al contrario, si limitò ad osservare con occhi spalancati ciò che stava facendo il principe tedesco.
"Va bene, va bene!" acconsentì la ragazza, alzando le mani in un gesto di resa. "Walker è meglio di Bloom!" concluse, estraendo dalla tasca un pacchetto di sigarette. "Vieni a fumare, ora?"
Sebastian distese le labbra, soddisfatto di aver vinto quella sciocca gara tra adolescenti. Se Jennifer fosse stata lì si sarebbe fatta delle grasse risate, prendendolo in giro per quella sua vena vanitosa.
La musica cambiò ritmo e insieme ad essa anche l'atteggiamento di Wilfred. Il redivivo sembrava essere più a suo agio, ora, come se quella musica o l'ambiente a lui familiare fosse riuscito a tranquillizzarlo.
"Sei certo di non aver visto il volto dell'assassino di Astaroth?" gli domandò Sebastian cercando qualcosa con cui intrattenersi.
Wilfred scosse la testa. "La Chimera aveva sembianze umane, sembrava una ragazzina, ma il suo viso mi è rimasto celato."
Annuì di malavoglia. Anche lui era giunto alla stessa conclusione.
"Quando sono uscito dal locale, Astaroth stava già combattendo. Ho cercato di aiutare il mio Master, ma..." le parole gli morirono in gola.
"Eri il suo amante, dico bene? O almeno uno dei tanti." aggiunse Sebastian, rivolgendo un'occhiata ammonitrice a Pierre che aveva fatto un espressione schifata. Era evidente che l'altro vampiro preferisse il genere femminile.
"Se Adrian lo sapesse..." disse Wilfred con voce tremante.
Un cameriere portò loro dei cocktail che appoggiò al bordo del tavolino. Era una mistura di ghiaccio, rum e succo di fragola.
"Oh, credo che lo sappia." intervenne Pierre indicando con un cenno della testa il vampiro che si stava avvicinando. "Non credo gli sia mai importato molto di Astaroth." commentò.
"Puro interesse." convenne Sebastian. "Tipico della nostra razza." continuò, stringendo tra le dita la bevanda.
Wilfred abbassò il capo. "V-Vi sbagliate... Io... No, erano amanti." balbettò delle frasi sconnesse, aspettandosi che qualcuno cambiasse quella opinione.
"Pateticamente umano." fu la conclusione di Sebastian davanti a quell'atteggiamento infantile.
"Non dirmi che provavi qualcosa per Astaroth!" lo beffeggiò Pierre, reclinando la testa all'indietro.
Wilfred socchiuse gli occhi. Sembrava sul punto di piangere e l'ultima cosa che voleva Sebastian era attirare su di loro l'attenzione con un vampiro che rivelava lacrime scarlatte.
"Basta così, Pierre." lo ammonì, facendogli segno di darci un taglio con quelle provocazioni. "È giovane." gli spiegò, riferendosi allo stato di immortalità di Wilfred. "Con il tempo, forse, riuscirà a liberarsi di certe fastidiose consuetudini umane." 
 

 

Adrian von Hohenfels li stava raggiungendo. Si muoveva sinuosamente tra la folla, spargendo sorrisi a chiunque incrociasse il suo sguardo.
Si stava sistemando i capelli, quando, con un movimento quasi impercettibile per l'occhio umano, afferrò una sedia e la trascinò con sé fino al tavolo in cui loro lo stavano aspettando.
Si posizionò tra Sebastian e Wilfred, dando volutamente le spalle a quest'ultimo. Il redivivo impallidì leggermente, ma riuscì a mascherare bene l'inquietudine che lo stava assalendo.
Osservando il nuovo arrivato, senza mascherare il proprio interesse nei suoi confronti, Sebastian si rese conto che effettivamente c'era una certa somiglianza tra loro. Avevano la stessa altezza, lo stesso profilo ed anche la pelle assumeva le stesse sfumature perlacee.
Non fosse stato per il colore dei capelli e degli occhi, qualcuno avrebbe potuto scambiarli per gemelli.
"Le mie congratulazioni, nuovo Master di New York." esordì, portandosi la mano destra sul cuore.
Sebastian gli rivolse un cenno d'assenso. "Si presuppone che io debba farti le mie condoglianze." lo interruppe.
Invece che rispondere, Adrian sorrise, mettendo in mostra la sua dentatura perfetta.
Wilfred si strinse le braccia al petto, gli occhi lucidi.
Sebastian gli lanciò un'occhiata ammonitrice. Se si fosse azzardato a piangere lo avrebbe ucciso seduta stante, poco importava del luogo in cui si trovavano.
"Le voci corrono in fretta in questa città." osservò.
"O, forse, c'è molta gente pronta ad ascoltare." lo corresse Adrian.
"Forse." gli concesse lui.
Furono interrotti dalle suppliche di una diciottenne che chiese ad Adrian un autografo. Il vampiro acconsentì, mormorandole qualcosa
all'orecchio. Poco dopo la ragazza se ne andò con il volto arrossato ed un'agenda autografata tra le braccia.

"Che seccatura." bisbigliò Adrian, giocherellando con i bicchieri intoccati dei cocktail. "Walker, come sopporta i suoi fan?" domandò, cercando di intuire la sua reazione.
"Non li sopporta, semplice." rispose Sebastian pacato. "Astaroth ti ha parlato di me." osservò.
"Più di tuo padre."
Pierre sussultò sulla sua sedia, Wilfred invece li guardò interrogativamente.
Naturale.
L' espressione di Sebastian non mutò, ma il senso di inferiorità che lo accompagnava quando si parlava di suo padre lo costrinse a distogliere lo sguardo. Dracula, Vlad Tepes, Vampiro Originario... Lucifero. Una serie di nomi che indicavano tutti il sovrano delle creature della notte.
"Chi è..." Pierre bloccò la domanda di Wilfred sul nascere, afferrandogli il polso destro.
Sebastian appoggiò i gomiti sul tavolo e curvò la testa di lato. Era veramente snervante constatare i livelli di ignoranza di quel redivivo.
Adrian concesse a Wilfred una breve occhiata carica di disgusto. Forse, si stava domandando che cosa potesse aver trovato di interessante Astaroth in un individuo come lui.
Era lo stesso quesito che Sebastian si era posto il giorno precedente, quando lo aveva salvato dalla Chimera.
"Master, se è un vostro desiderio posso sbarazzarmi di lui." dichiarò Pierre con un lieve accento francese.
"Perché dovrebbe..."
Pierre strinse la presa sul polso di Wilfred. "Tieni chiusa quella bocca." sibilò infastidito.
"Sfortunatamente, ho ancora bisogno di lui, Pierre." aggrottò la fronte, volgendo lo sguardo verso un gruppo di vampiri occupati dietro il ripiano bar. "Perché non gli illustri il mio grado di parentela?" dichiarò Sebastian, mentre tornava a rivolgersi ad Adrian. "Quanti vampiri lavorano in questo locale?" domandò.
Adrian sembrò rifletterci. "Una ventina, credo. Se però vuoi sapere quanti in totale lavoravano per Astaroth, direi un centinaio."
Lui annuì. Era possibile che tra loro ci fosse qualcuno che covava risentimento nei confronti del ex Master di New York?
"C'è una stanza in cui si può parlare senza temere di essere uditi da orecchie indiscrete?" volse un'occhiata significativa in direzione della folla.
Vide Pierre roteare gli occhi al cielo, mentre Wilfred balbettava qualche scusa mortificata. "Allora..." fece il punto della situazione il redivivo. "Significa che Sebastian è stato il primo vampiro creato da Vlad Tepes?" chiese Wilfred titubante.
"No!" esclamò il francese, indignato. "Il nostro Master è carne della sua carne." spiegò, massaggiandosi le tempie.
"Impossibile!" decretò Wilfred.
Adrian fece segno a Sebastian di seguirlo al piano superiore del Trinity e lui scostò la sedia quel tanto da attirare l'attenzione degli altri due vampiri. Entrambi si affrettarono a seguirli lungo il corridoio illuminato dalle luci al neon.
"Due vampiri, membri della stessa razza, non possono avere figli." continuò Wilfred.
"Allora, qualcosa lo sai sul nostro mondo." fu l'acida risposta di Pierre.
"Non è suo figlio. Vlad non ha figli!" proclamò soddisfatto, fiero di essere giunto a quella conclusione.
A quel punto Sebastian si fermò a metà della scalinata e si voltò verso di lui, gli occhi due braci ardenti.
Con uno scatto fulmineo, scaraventò Wilfred al suolo ed avvicinò il suo viso fino a che i loro nasi non furono a poca distanza l'uno dall'altro. La lingua sfiorò i contorni acuminati delle zanne e il sapore del sangue gli corse giù nella gola.
Quando parlò, la sua voce suonò aspra e roca.
Sarebbe stato facile e piacevole affondare le mani nel torace di Wilfred per liberarsi della sua, più che evidente, stupidità, ma quel briciolo di controllo che ancora possedeva gli impediva di ucciderlo.
Tuttavia, restare impassibile mentre subiva un tale affronto gli era impossibile. Quelle parole erano offensive nei suoi confronti tanto quanto lo erano per i suoi genitori.
"Non osare, mai più, insinuare una cosa del genere quando sei in mia presenza!" tuonò Sebastian, riassumendo una postura più eretta.
Tenuto a terra dalla pressione esercitata dalla sua gamba sul torace, il corpo di Wilfred tremava.
Nello stesso istante, Adrian e Pierre stavano facendo allontanare un gruppo di umani curiosi, esercitando il controllo mentale sui loro pensieri.
"Sai per quale motivo stai tremando? Lo sai?" gli chiese lui divertito. Vedendo il vampiro scuotere la testa il suo velato sorriso si allargò. "Perché il sangue che ti scorre tra le vene riconosce quello del tuo padrone. Il tuo corpo identifica il pericolo prima del tuo cervello."
Wilfred spalancò la bocca in cerca d'aria, una reazione tipica dei redivivi più giovani.
Sebastian spostò il piede verso la sua clavicola, spingendo verso il basso.
"Non puoi parlare." l'avvertì, mentre Wilfred si portava una mano alla gola, l'espressione terrorizzata.
"Vedi..." sussurrò, cercando il suo sguardo. "Se tu ti fossi informato un po' di più su ciò che riguarda la nostra razza, non avresti commesso questi banali errori."
La mano di Wilfred si strinse attorno al polpaccio di Sebastian, ma la sua forza era troppo debole per contrastare quella che lui aveva accumulato negli anni.

 

 
"Semiael, uccidilo." un ordine che non ammetteva repliche.
"Di cosa è accusato?"
"Tradimento." Una parola, una condanna.
Exaniha, la splendente spada dorata di suo padre, riposava quieta tra le sue mani.
"Cosa ha fatto?" la voce tremava.
"È proibito uccidere gli umani per un capriccio dettato dalla noia. La nostra sopravvivenza dipende direttamente dalla loro."
"Semiael." la supplica soffocata di sua madre, che lo pregava di compiere il suo dovere.

 

Turbato dall'intensità di quel ricordo, Sebastian si allontanò con un balzo dal corpo di Wilfred.
La maschera scivolò a terra, ma lui non se ne curò. Riprendendo a fatica il controllo su se stesso, fece cenno agli altri di seguirlo.
Aveva bisogno di vedere Jennifer. Lei era la sola che poteva trovare un modo per calmarlo o, almeno, lo sperava.

 

 

 

 

 

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Note: il capitolo era pronto da un po', ma non ho avuto tempo per postarlo prima. Sorry! Avrei pure voluto rivederlo e modificare qualcosina, ma nada. Per ora leggetelo così come è xD
Spero ugualmente che vi sia piaciuto! Fatemi sapere!
By Cleo^^



 


 

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Capitolo 8
*** Gli angeli in cielo, i demoni in terra ***



 

 

07
≈*≈*≈*≈*≈
Gli angeli in cielo, i demoni in terra

 

 Il principe delle tenebre è un gentiluomo.
{W.Shakespeare}

 

 

 

Un museo all'interno di un locale notturno. Non esistevano altri modi per descrivere la stanza in cui Adrian li aveva condotti.
Sebastian si avvicinò incuriosito ad una vetrina contenente un'antica maschera giapponese: rappresentava un oni, un demone, come venivano chiamate quel genere di creature dal popolo nipponico. Si spostò di qualche passo fino a sfiorare la superficie marmorea di una statua romana.
"Una riproduzione dell'imperatore Ottaviano Augusto." osservò con poco entusiasmo. Più in là, appeso ad un parete, c'era un quadro che dai tratti sembrava essere stato dipinto da Leonardo da Vinci. Un'opera inedita che pochi esseri viventi, oltre ad Astaroth, dovevano aver avuto
l'onore di poter vedere.

"Attento!" sibilò Adrian in direzione di Wilfred, che aveva preso a toccare alcuni oggetti.
Sebastian lanciò un'occhiata a Pierre che si affrettò a raggiungere l'altro redivivo. Lo allontanò con la forza, portandolo ai margini della sala.
"Sono tutti pezzi autentici e..." spiegò Adrian, cercando lo sguardo di Wilfred. "Unici." aggiunse.
"Testimoni del potere e dei secoli di Astaroth." specificò Sebastian, osservando una scultura ricavata dalla lava di Pompei. Si spostò verso una vetrata, apprezzando il mosaico di vetri colorati che la componevano.
"Com'è possibile che sia stato ucciso?" intervenne Pierre, a disagio.
"La domanda più importante è: Chi o cosa è la Chimera?" replicò lui, appoggiando le dita sui contorni del vetro, dove due linee nere si intrecciavano.
"Dovete vendicare il mio Master!" gridò Wilfred, cercando di liberarsi dalla stretta ferrea di Pierre.
Lui lo guardò divertito. Aveva rischiato di morire per mano sua solo qualche minuto prima e nonostante tutto, continuava ad usare a sproposito la lingua. Era irritante. Semiael reclamava il suo sangue, Sebastian la sua testa.
"Vendicare!" lo derise il purosangue, stringendo i pugni. "Astaroth non meritava la metà del tempo che sto dedicando per scoprire il suo assassino! Negli ultimi anni era diventato l'ombra di se stesso. Governava ancora sulla comunità di vampiri di New York esclusivamente
perché nessun altro appartenente alla nostra razza aveva abbastanza coraggio da sfidarlo. Ha lasciato che questa città marcisse, creando redivivi come te, che non conoscono nemmeno le regole basilari della nostra società."

"Mi disse che stava cercando un modo per redimersi dai suoi peccati." sussurrò Wilfred.
"Davvero?" lo interruppe lui per nulla sorpreso. "Ogni Caduto cerca il perdono. Nati dalla luce dell'aurora e destinati al crepuscolo, maledicono ed amano Lucifero per il loro triste destino. Astaroth, in passato, è stato un fedele generale della Stella del Mattino. Non è una novità sapere che attualmente stava tentando di tradire mio padre."
Il redivivo sussultò, non potendo fare a meno di tremare. Fu costretto ad appoggiarsi a Pierre che, in un gesto irritato, lo spinse lungo le pareti.
Dai piani sottostanti giungevano i flebili richiami di musica pop. Erano l'eco di una festa poco gradita ai vampiri, ma altamente apprezzata dagli adolescenti americani.
"Le chiacchiere che lo davano come seguace di Nevhiel?" azzardò Pierre come ipotesi.
"Esattamente." confermò Sebastian, cercando supporto in Adrian. L'altro vampiro annuì con una smorfia.
"Astaroth mi aveva parlato del suo desiderio di partecipare alle riunioni di quella setta." disse pensieroso lo spogliarellista del Trinity. "Se non erro si fanno chiamare Veglianti."
"Il mio signore, credeva molto negli insegnamenti di Nevhiel!" esclamò Wilfred adirato. Bastò uno sguardo di Sebastian per farlo tacere nuovamente.
"Ora sappiamo con certezza da dove è nata la debolezza di Astaroth. Mi disgusta l'idea che un vampiro della sua levatura abbia dato credito ai folli vaneggiamenti di un Angelo Decaduto."
"Nevhiel è un angelo?" la voce di Pierre era arrochita dallo stupore.
"Non lo sapevo." anche Adrian sembrava colpito da quella notizia.
"Ah!" Sebastian annuì, perso nei suoi ragionamenti. "Più simile ad un demone che ad un angelo." si affrettò a spiegare. "Non mi sorprende che non abbia rivelato la sua vera natura. La sua mente è deviata, perduta da secoli e secoli. Si è mai fatto vedere in pubblico?"
"Nessuno lo ha mai visto. Tutti lo conoscono per la sua fama." osservò Pierre.
Sebastian sorrise. Trovava estremamente divertente quella situazione. Più di tremila anni prima aveva avuto modo di vedere con i suoi occhi la Luce del Tramonto. All'epoca già si cominciavano a vedere i primi sintomi della sua pazzia, ma suo padre non aveva fatto nulla per mettere fine alle pene dell'angelo. 
 

 

"Ucciderlo? Perché pensi questo, Semiael?" la voce di suo padre rivelava una nota sorpresa.
Lui si era voltato verso la piramide in cui si era insediato l'angelo, ammirando la maestosa costruzione di pietra. "Non ha ricordato anche a voi un faraone abbandonato dal suo stesso popolo?" aveva chiesto.
Lucifero aveva appoggiato le mani sulle sue spalle e l'aveva fissato con una tale intensità che si era ritrovato a distogliere lo sguardo.
"Una giusta osservazione, figlio mio." aveva replicato, senza tuttavia fornirgli alcuna spiegazione. 

 

"Non ama avere pubblico." spiegò Sebastian ai compagni. "Una volta era un angelo dalla bellezza straordinaria, ma..." scosse la testa. "Il tempo non è stato clemente con lui." concluse.
"Pensate che Nevhiel centri con la morte di Astaroth, Master?" gli chiese Pierre, muovendosi in avanti e trascinandosi dietro Wilfred.
"No, non credo." Ricordò la lettera che l'angelo gli aveva inviato. Voleva il suo aiuto perché la Chimera minacciava realmente i suoi propositi. Nevhiel necessitava dei vampiri, non solo perché riportarli nell'Eden era diventato lo scopo della sua esistenza, ma soprattutto perché la loro
morte per lui avrebbe significato cadere nel pozzo della pazzia. L'angelo sembrava perfettamente consapevole del vortice in cui rischiava di finire intrappolato.

Sebastian osservò distrattamente un dipinto del XVIII secolo. Sapeva che prima o poi avrebbe avuto a che fare con quella creatura perduta. Come Nevhiel gli aveva scritto, si sarebbero dovuti incontrare faccia a faccia per discutere della minaccia incombente.
"Non ho mai visto un angelo." obiettò Adrian scettico.
"Perché non si fanno vedere. L'ultima volta che sono intervenuti in massa è stato durante l'incendio di Roma avvenuto nel 64 d.C. " lo informò.
"Allora, perché Nevhiel..." stava borbottando Wilfred.
"Ti ho già detto che la natura celeste di Nevhiel è deviata." lo interruppe Sebastian, studiando i tratti di un viso incisi in una scultura.
"Dopo la Caduta, e la graduale trasformazione di alcuni angeli in demoni, il Principe del Paradiso decretò che per gli umani fosse preferibile non entrare in contatto con loro. La bellezza e la potenza degli immortali avrebbe corrotto il loro spirito ed accorciato la loro, già breve, vita."
"Così gli angeli hanno preferito lasciare il mondo nelle mani dei demoni?" chiese Pierre. Era evidente che quella notizia non gli piaceva, considerato che in passato lui aveva studiato per diventare un ecclesiastico.
"Lo sorvegliano. Scendono ancora sulla Terra, ma raramente ingaggiano scontri con i loro nemici. Secondo quanto dicono le Profezie, verrà un giorno in cui scoppierà una battaglia tra angeli e demoni che decreterà il futuro di questo mondo; il primo che fu creato ed il più amato."
Il silenzio che seguì quell'ultima spiegazione fu interrotto solo dalle lamentele soffocate di Wilfred che non apprezzava il modo in cui Pierre stringeva le sue braccia. "Non sono mai stato una persona di fede." precisò il redivivo, lanciando un'occhiataccia al francese.
"I tuoi inutili commenti sono sempre fuori luogo." lo riprese Pierre, strattonandolo.
Sebastian li ignorò, tornando a guardare affascinato il mosaico di vetro. La scena sembrava rappresentare la leggenda di Re Artù, intento ad estrarre la mitica spada dalla roccia.
Accadde tutto in una frazione di secondo.
Un sibilo. Il suono del vetro che andava in frantumi.
Prima ancora di vedere l'oggetto che gli era stato lanciato contro, Sebastian era rotolato di lato, riparandosi dietro una colonna di marmo.
Della vetrata decorativa rimanevano solo pezzi di cristallo che volteggiavano in aria, costringendolo a ripararsi il volto.
"Trovate un riparo!" ordinò, sbracciandosi nella direzione degli altri vampiri.
Una freccia andò a conficcarsi a pochi centimetri dal suo piede. L'asta era nera come la pece, mentre la punta e la cocca erano rosse.
...Una dichiarazione di guerra.

 

 
"Vedi, mio Princeps?" La voce di Astaroth rivelava come sempre un certo disappunto. Le pellicce di lupo avvolgevano il corpo massiccio del vampiro, che sembrava indifferente al caldo di Babilonia.
"La punta va immersa nel sangue di un umano, così come le piume. Ora, se tu vorrai mai sfidare qualche altro membro della nostra razza..."
Lilith, alle loro spalle tossì un colpo d'avvertimento.
"Cosa della quale, comunque, io dubito..." proseguì, Astaroth mentre Semiael si sforzava di non dare credito alle sue parole "...Sapresti come fare." tagliò corto.
"Un rituale barbaro." decretò sua madre, appoggiata ad un basso muretto. "Semiael, vieni. Per oggi le tue lezioni sono finite."
 


Gli altri Master presenti a New York volevano far valere il loro diritto come successori legittimi dell'impero di Astaroth. Tuttavia, da soli possedevano poteri troppo inferiori ai suoi per sperare di riuscire a sconfiggerlo.
Sebastian si morse il labbro, assaporando il suo stesso sangue. I suoi nemici potevano arrivare a creare un'alleanza solo per ottenere il titolo di Master della città? Impossibile, decise, i vampiri raramente erano soliti lavorare in gruppo. Se anche fossero riusciti ad ucciderlo, poi sarebbe scoppiata una guerra interna ai clan per l'acquisizione del potere.
"Pierre!" chiamò sovrastando il rumore derivante dalle finestre distrutte. "Tu e Wilfred andate fuori e cercate di catturare l'assassino!" ordinò, scivolando di lato e riparandosi dietro ad un ripiano ligneo.
Chiuse gli occhi, aprendo subito dopo il palmo della mano destra. Una piccola fiamma nera e bianca danzava tra le sue dita. Sembrava seguire un ritmo tutto suo, scivolando gentile sulla sua pelle. C'erano voluti centinaia di anni per padroneggiare quella tecnica, che secondo Lilith
aveva ereditato da suo padre. Lucifero, controllava lingue di fuoco simili, ma le sue erano di uno sfavillante colore verde.

La fiamma si divise in cinque parti e uscendo allo scoperto, Sebastian lanciò ognuna di esse oltre la finestra distrutta, alla ricerca dei vampiri che avevano osato attaccarlo a quel modo.
Quando si rialzò, ad una velocità tale che l'occhio umano non sarebbe riuscito a cogliere il suo movimento, s'accorse che Pierre e Wilfred, così come il misterioso nemico, non c'erano più.
Adrian, invece, stava strappando da un braccio l'asta di una freccia che gli si era conficcata nella carne.
"Uno stupido errore." commentò a quel modo la ferita che si era procurato.
"Fa chiudere immediatamente il locale." intervenne Sebastian, sistemandosi meglio il giubbotto di jeans. "Ho deciso di indire una riunione." 
 

 

Dopo aver concluso la riunione con tutti i dipendenti del Trinity, per aggiornarli sulle ultime novità, Sebastian si era adoperato affinché i vampiri gli giurassero fedeltà, vincolandoli ad un patto che prevedeva la condanna a morte, se qualcuno avesse tentato di tradirlo.
Si era spinto troppo in là per lasciare che una manciata di redivivi incapaci mandasse tutto all'aria.
Quando il cellulare squillò, alle quattro del mattino, ci mise qualche minuto per associare la voce che sentì alla persona che lui conosceva come sua madre.
"Sei rimasto così sconvolto da non riuscire a parlare?" gli stava chiedendo la melodiosa voce di Lilith.
Sebastian soffocò la sorpresa, reprimendo un sussultò improvviso. Ipotizzò che sarebbe stato inutile chiedere a sua madre come fosse riuscita ad avere il suo numero privato.
"Se te lo stai chiedendo, è stata quella graziosa ragazza, che insisti nel portarti ovunque, a concedermi l'onore di avere il numero telefonico di mio figlio." spiegò lei, con una naturalezza che lo mise a disagio.
Da parte sua, Sebastian decise che avrebbe tenuto un bel discorsetto a Jennifer quando si fossero rivisti. Non parlava con sua madre dall'estate del... Ci pensò per qualche minuto, rendendosi conto di non ricordare quanto tempo era passato dall'ultima volta che si erano scambiati qualche parola. Annotò che quei termini così moderni, stonavano sulle labbra di Lilith.
"Madre." salutò pacatamente.
"Io e tuo padre abbiamo sentito dei disordini di New York." spiegò la sovrana dei vampiri. "Siamo preoccupati. La morte di Astaroth ci ha colti impreparati."
Dal telefono, Sebastian poteva sentire in sottofondo il suono dell'oceano. Lilith, ipotizzò, doveva trovarsi nei pressi di una scogliera.
"Hanno tentato di uccidermi."
Silenzio.
"Puoi ripetere? Credo che tuo padre non abbia ben capito." chiese Lilith.
Sospirò. A volte, sua madre sapeva essere davvero ridicola.
"Sto bene." si affrettò a precisare. "Solo una manciata di vampiri che non accettano che abbia preso io il posto di Astaroth." fece, mantenendo il
tono neutro.

"Ma sei tu, in quanto rappresentante più forte della nostra razza presente a New York, l'unico a poter assumere il titolo di Master." osservò lei.
"Evidentemente non tutti la pensano come noi." obiettò Sebastian.
"Osano andare contro le leggi?" il tono infuriato di sua madre non prometteva nulla di buono.
Dall'altro lato della linea ci furono alcuni rumori concitati, segno che Vlad e Lilith stavano discutendo su quelle nuove informazioni. Sebastian fece cenno ad Adrian, in fondo alla stanza, di lasciarlo da solo. Prevedeva tempi d'attesa lunghi e noiosi.
Afferrò una penna e giocherellò con l'oggetto, lanciandolo in aria e riprendendolo senza farlo cadere. La sala riunioni del Trinity era una stanza spoglia provvista di sedie e qualche tavolo, dunque non offriva grandi possibilità di svago.
"Semiael."
Sebastian si riscosse con un sobbalzo, facendo scivolare la penna sul pavimento.
La voce dura e imperiosa di suo padre, era riuscita a distrarlo. Vlad aveva sempre avuto quell'effetto su di lui.
D'altra parte, non esistevano parole per esprimere la profonda devozione che provava per la Stella del Mattino.
Lucifero esisteva per esistere.
Ogni cosa in lui mostrava magnificenza, passione, dolore e... amore. Lo stesso amore che l'aveva condotto a peccare contro l'Autorità, esiliandolo e separandolo dagli altri angeli.
Suo padre era l'esempio. Lui era la Guida, il Sovrano, il Re. All'improvviso, comprese perché Nevhiel avesse rinunciato a tutto pur di riportarlo tra le altre stelle del Paradiso, nell'Eden.
"Sì, padre." rispose, portandosi automaticamente la mano sul cuore. Solo in un secondo momento si rese conto di ciò che aveva fatto.
"Io e tua madre non possiamo venire a risolvere il problema di New York."
"Saprò gestire la situazione." gli comunicò lui, stringendo eccessivamente la presa sul telefono.
"Lilith è a disagio. Vede un'ombra che allunga furtiva i suoi artigli su di te, Sebastian." Vlad utilizzava raramente quel nome, lo trovava inadatto alla sua natura. Semiael era il nome di un angelo, il nome di un demone, il nome di suo figlio. Il figlio che aveva addestrato e preparato per poter essere un giorno il suo erede.
"Un vampiro non teme le ombre. La luce, invece, può rivelarsi un nemico mortale." rispose prontamente, sebbene una sensazione spiacevole si fece spazio nei suoi pensieri.
Lilith non sbagliava mai le sue previsioni. Se aveva avuto un oscuro presagio sulle sue sorti, allora era il caso che cominciasse a preoccuparsi. La risata bassa e soffocata di suo padre gli lasciò intendere di aver detto la cosa giusta.
Le sue labbra si distesero in un sorriso appena accennato.
"In ogni caso..." riprese Vlad. "Astaroth era debole. Aveva rinviato troppo a lungo il periodo di stasi. La sua mente vacillava da molto tempo."
Sebastian piegò la testa all'indietro, osservando distrattamente il soffitto.
"Lui non era te, Sebastian."
Non era Semiael. Era certo che fossero quelle le parole che Vlad avrebbe voluto pronunciare. Tuttavia, lui non poteva permettere che riemergesse quel lato del suo carattere. Aveva rinunciato a Semiael lo stesso giorno in cui la vita aveva minacciato di abbandonarlo.
Stava tremando. Ricordare quell'incidente gli provocava ancora una paura incontrollata. A distanza di tanti anni, ancora non si capacitava di come fosse riuscito a sopravvivere. 
 

 

Le lacrime di sua madre gli bagnavano il volto. Suo padre, invece, continuava ad invocare il suo nome, ma i suoi pensieri erano troppo annebbiati dal dolore per riuscire a rispondergli.
Una sofferenza tale da impazzire. Ogni centimetro del suo corpo, pregava affinché quel dolore avesse fine.
Desiderava la morte.
Voleva, doveva, morire.

 
 

"Fra pochi giorni, Exaniha ti verrà consegnata."
La spada dorata. La gemella di Excalibur.
Era l'arma di Lucifero, una spada celeste forgiata con i frutti dell'Albero della Vita. L'unico metallo in grado di sopportare l'essenza degli angeli e quella dei demoni.
Ogni angelo aveva diritto ad una sola arma. Quando i Caduti erano stati cacciati dall'Eden, avevano portato con sé quegli oggetti.
Tuttavia, il numero delle armi era limitato, poiché l'Albero della Vita risiedeva nell'Eden.
Di conseguenza, Sebastian non possedeva alcuna spada. Nei secoli aveva tentato di utilizzare quelle rubate agli avversari sconfitti, ma le spade celesti erano state create per riconoscere un solo proprietario e difficilmente si lasciavano manovrare facilmente da altri che non fossero il loro padrone.
Exaniha era l'eccezione. Sembrava che l'arma riuscisse a comprendere il legame che univa padre e figlio. Vlad era rimasto notevolmente compiaciuto la prima volta che l'aveva impugnata. Da allora, era solito affidargli la spada per brevi periodi, quando lo riteneva necessario.
Exaniha simboleggiava il legame della loro reciproca fiducia.
"Ne avrò cura, padre." lo rassicurò.
"Non ne dubito. Sai bene che non affiderei Exaniha a nessun altro che a te."
Il suono dell'oceano si intensificò, mescolandosi ai lievi singhiozzi di sua madre.
"Salutami Lilith." Sebastian riattaccò senza attendere risposta. Erano rari i momenti in cui loro tre si concedevano comportamenti degni di una famiglia umana.
Crescere come figlio di Lilith e Vlad Tepes non si era mai rivelato una passeggiata.
Crescere come discendente di Lucifero era stato ancora peggio.
L'Inferno non conosce pietà, sostenevano gli umani.
Quando l'Inferno è il tuo stesso padre, la pietà e l'ultima delle tue preoccupazioni.

 

 

Capitolo gentilmente betato da: KumaCla
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Note: Tranquilli, pian piano scoprirete cosa è accaduto nel passato di Sebastian u_u Tragedia sarà la parola d'ordine xD
Spero vi sia piaciuto :D
By Cleo^^






 


 

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Capitolo 9
*** Il legame ***



 


 
08

≈*≈*≈*≈*≈
Il legame

 

 

I confini che dividono la vita dalla morte
sono i più oscuri e vaghi.
Chi può dire dove finisce l'una ed inizia l'altra?

{Edgard Allan Poe}

 

 

 

Si era ritrovato a vagare da solo per le strade di New York. Pierre e Wilfred erano sulle ricerche dell'assassino, mentre Adrian si stava occupando del Trinity.
Con un gesto rapido, Sebastian si lanciò la giacca sulle spalle, stupito per essersi recato in quel posto così improbabile.
A est, oltre le chiome degli alberi di Central Park, il cielo si stava schiarendo. Una striscia blu cobalto che preannunciava l'arrivo dell'aurora.
Sebastian diede un'occhiata veloce all'Antiquarian. Il negozio era immerso nell'ombra e nel silenzio. A prima vista sembrava chiuso, ma la
sagoma di Clelia De Moonlight, china sul balcone, stava ad indicare il contrario.

Per quale motivo si era spinto fin lì?

 


La trovò in piedi, in equilibrio precario, sul ciglio di una sedia. Era protesa in avanti, intenta a sistemare un vecchio orologio a pendolo.
"Oh!" esclamò lei con fare concitato. "Il Master di New York è sceso tra i comuni mortali!" allungò la mano, spostando dallo scaffale una clessidra impolverata.
"Accidenti!" esclamò, abbassando lo sguardo su di lui. "Ho appena fatto una gaffe!"
Sebastian sorrise, lievemente divertito dalla situazione. Che Clelia non fosse di natura umana era un punto già chiarito in precedenza.
La sedia tremò visibilmente, ma l'orologiaia tornò a riprendere il suo lavoro.
"Temo mi sia sfuggito qualcosa." osservò lui.
"Semiael che ammette la sua ignoranza?" scosse la testa. "Mmh." mormorò pensierosa. "Non è qualcosa a cui si assiste tutti i giorni."
Lui non replicò. La sua attenzione si era indirizzata sull'ultimo modello di un orologio francese. Era una marca poco conosciuta, ma ogni pezzo costava diverse centinaia di dollari.
Lei seguì la direzione dei suoi occhi, incuriosita dalla sua reazione.
"Non è in vendita." ci tenne a precisare. "Nessuno degli oggetti che vedi esposti qui è in vendita." ricalcò il concetto.
Clelia gli picchiettò un dito sulle spalle, costringendolo a voltarsi. Finì con il ritrovarsi specchiato in due pozzi di rame liquido.
"I tuoi occhi..." bisbigliò meravigliato.
"Cosa?" lo interruppe accigliata.
"No, niente." Scosse la testa, aiutandola a sistemare meglio l'orologio.
"Grazie." asserì, poggiandosi a lui per scendere dal mobile. Si mosse in avanti e lui la seguì in silenzio.
Lingue di fuoco scarlatte si muovevano vivaci nelle fauci del camino di pietra. Il lastricato nero rifletteva i colori accesi del fuoco, mentre l'orologiaia allungava le mani verso le fiamme. I capelli biondo cenere le scivolarono sulla spalle, arricciandosi ai lati.
La guardò sedersi a gambe incrociate sul tappetto, intenta a giocherellare con alcuni fili della stoffa. Sebastian rimase in piedi, le braccia incrociate al petto, ancora confuso sul motivo per cui si trovava lì.
"Sono qui per ucciderti." decise di dire, infine, per osservare la sua reazione.
Clelia si portò le mani ai fianchi, in viso un'espressione neutra, quasi delusa.
A Sebastian sembrò che qualsiasi gesto lui facesse, continuasse a deluderla. Tuttavia, la cosa non aveva senso. No, decise, non c'era alcuna logica in quel comportamento.
"Se così fosse, mi avresti già ucciso."
Gattonando sul tappeto persiano, lei allungò un braccio sulla sua maglietta, trascinandolo con sé sul pavimento. Assecondando quel movimento, Sebastian fletté le ginocchia, lasciandosi cadere.
"Sei qui perché cerchi delle risposte." lo sorprese, ancora una volta.
"Me le darai?" la domanda gli uscì spontanea.
Clelia sospirò, obbligandolo ad appoggiare la testa sulle sue ginocchia e costringendolo ad avere un contatto visivo diretto.
"Posso aiutarti, Sebastian, ma non più di tanto. Sono una Custode. Interferire va contro le regole."
Cos'era un Custode? In tutta la sua lunga esistenza non aveva mai sentito di nessuno che svolgeva un simile compito. Sdraiato sul tappetto non voleva interrompere quel contatto visivo.
"Allora perché hai detto che mi aiuterai?" volle sapere.
Le mani di Clelia scivolarono tra i suoi capelli, lisciandoli gentilmente. Era una sensazione piacevole. Gli ricordava la stessa abitudine, che in passato, aveva Lilith. 
 

 

Candide ciocche di capelli che si mescolavano a quelle corvine di lui.
Il canto melodioso di sua madre che si innalzava al cielo.
"Sssh." un sussurro. "Sssh. Riposa, Semiael. Riposa."
Il lento movimento delle sue mani, insieme al profumo del mare.

 

"Anche mia madre..." fu interrotto da un suo cenno del capo.
"Lo so, Sebastian." Una risposta decisa, convinta.
Perché? Perché sembrava conoscerlo così bene? Perché lo guardava con un simile rimpianto negli occhi?
Posò una mano sulla sua guancia, chiedendole in quel modo di spiegargli. Doveva sapere, capire quel reciproco sentimento di accettazione.
Lei si allontanò bruscamente, lasciandolo ulteriormente perplesso. Ciò nonostante continuò a passare le dita tra i suoi capelli.
"Sai che giorno era quando ti sei risvegliato dal tuo periodo di stasi?" gli domandò, invece.
Sebastian ci pensò. Si era svegliato dal suo lungo sonno, nel 1989 alle pendici di una montagna italiana. Ricordava che era inverno e...
"Il 16 febbraio."
La vide annuire rigidamente. La sua espressione si era fatta distante e anche il movimento delle mani si fece incerto. Lui rimase in silenzio, godendosi quei momenti, deciso a non avere fretta. In altre occasioni, si sarebbe sorpreso nel constatare la calma e la stranezza con cui si stava
concedendo ad una sconosciuta, ma lì e ora si sentiva a suo agio.

...Come tornare a casa dopo un naufragio.
"Sono rare, rarissime, le occasioni in cui due esistenze totalmente differenti riescono ad incontrarsi ed, inconsciamente, influenzare il loro destino reciproco." Clelia si chinò su di lui e i loro sguardi si cercarono in un gesto naturale.
Erano rame e argento che si fondevano per creare un nuovo elemento. La perfezione, se esisteva, doveva essere quella.
"Clelia, è nata la stessa notte in cui tu ti sei risvegliato nel mondo, esattamente quarantaquattro anni dopo la tua ultima ibernazione."
A Sebastian non piacque il modo in cui si era riferita a se stessa.
"Esiste un legame, Sebastian." enfatizzò, raccogliendo le mani in grembo. "Un legame che unisce Clelia a Semiael e viceversa."
A quel punto fu lui a mettersi seduto sul tappeto. Le ultime braci si stavano spegnendo nel camino e l'alba era alle porte.
"Parli di te stessa come se fossi..."
"Morta?" lo interruppe, lisciando le pieghe di una maglietta sbiadita. Un sorriso amaro comparve brevemente tra i suoi lineamenti. "Questo
perché Clelia è effettivamente morta, il 16 febbraio del 2009, a vent'anni."

Sebastian spalancò la bocca. "Lo stesso giorno che un pazzoide mi sparò un colpo al petto." sussurrò incredulo.
"Sì." rispose lei, semplicemente. Con la mano sinistra, scoprì il braccio destro facendogli segno di seguire con lo sguardo la sottile cicatrice, dai bordi frastagliati, che dal gomito raggiungeva il polso.
"Impossibile!" decretò lui, balzando in piedi.
"Eppure, hai la verità davanti ai tuoi occhi." Non c'era traccia di alcuna accusa nella sua voce, tuttavia avrebbe dovuto essercene. Se l'idea che aveva in mente era vera, allora...
Scosse la testa. No, era semplicemente impossibile.
"Questa..." mormorò lei pensierosa passandosi la mano sulla cicatrice. "Quando tu ti sei fatto investire di proposito da un taxi nel centro di Londra, sotto lo sguardo scioccato di Jennifer, in Italia, Clelia è caduta dall'altalena del parco giochi provocandosi la medesima ferita. Aveva nove anni." aggiunse, parlando di se stessa come se non fosse presente.
Sebastian sibilò frustato la sua incredulità. Un verso tutt'altro che umano, che graffiò la sua gola, facendolo indietreggiare.
"C'è sempre stato un legame, Sebastian. C'è stato e ci sarà ancora." disse enigmatica.
Le diede le spalle, incapace di guardarla. Non voleva credere a quanto le aveva detto, ma una parte di sé sapeva che era tutto vero.
Lei lo conosceva.
Un orologiaia che sapeva il suo passato e con cui lo condivideva.
"Guardami, Semiael."
Ancora quel nome e un comando che non avrebbe eseguito.
Era troppo da sopportare per una sola notte. Troppe emozioni, ricordi e avvenimenti. In una frazione di secondi si ritrovò all'aperto, sotto la grigia nube di smog di New York e i pallidi raggi di un sole autunnale.
Fuggendo dai richiami di Clelia e dall'avvicinarsi del mattino, si lanciò tra gli squadrati pannelli di vetro dei grattacieli, simboli di una città che aveva fatto del denaro il suo unico Dio. 
 

***

Quando alzò la testa dal gelido pavimento marmoreo, che le aveva fatto da giaciglio per la notte appena trascorsa, Azalya si ritrovò a fissare, prima, un paio di Nike slacciate, poi, due splendide iridi celesti.
"Dovremmo aiutarla." stava dicendo una voce, a lei sconosciuta, appartenente ad una ragazza.
Facendo leva sui polsi, tentò di mettersi a sedere, ma il ragazzo proprietario delle Nike le poggiò brutalmente un piede sulla schiena, obbligandola a rimanere-letteralmente-incollata al pavimento.
"Violet, non possiamo occuparci di tutti i cani randagi che fanno visita al nostro tetto!" esclamò un terzo individuo.
"Ha bisogno di aiuto!" ripeté Violet, alzando la voce. "E santo cielo, Simon! Toglile immediatamente quel piede dalla schiena!" esclamò indignata.
Il ragazzo che la sovrastava sbuffò, decisamente contrariato, ma la liberò. Tremando, Azalya rotolò di lato, trascinandosi fino ad un angolo e rimanendo accucciata vicino al muro. Da quella posizione, poteva vedere lo strano trio di ragazzi che confabulavano tra loro. Erano piuttosto alti e giovani, intorno alla ventina.
La chiesa, in cui si era lanciata senza esitazione mentre sfuggiva alla voce malevola che era stata certa di sentire nella sua testa, non era altro che una piccola cappella, in grado di ospitare una trentina di persone, scarse.
Le pareti erano affrescate con episodi di chiara derivazione biblica, mentre una fila di vecchie panche era posta al centro dell'edificio. L'altare, invece, non era altro che un semplice blocco di granito, modellato dall'abile mano di qualche scultore.
Alla sua destra stava ciò che rimaneva di una fonte battesimale, spezzata in due metà esatte.
Con cautela si alzò in piedi, grata che i tre stessero ancora conversando, e si avviò furtiva verso l'uscita.
"Fermati subito!" gridò nella sua direzione il tipo di cui non aveva ancora avuto il piacere di conoscerne il nome.
Lei si immobilizzò all'istante, il volto arrossato per l'imbarazzo e il respiro fermo in gola. Eppure, annotò in qualche angolo della mente, avrebbe dovuto essere abituata all'imbarazzo. Era l'emozione più forte che negli anni aveva percepito maggiormente sulla pelle.
"Cosa volete?" riuscì a sembrare spavalda, quando l'unica cosa che voleva era uscire da lì per potersi andare a procurare una dose.
"Aiutarti." il sorriso di Violet, occhi lilla e capelli corvini, sembrava fin troppo bello per poter essere vero. "È nostro dovere aiutare le persone in difficoltà." proseguì, avvicinandosi a lei con esasperante lentezza.
"Perché?" domandò aggressiva. Aveva imparato a proprie spese che nessuno aiutava qualcuno senza voler avere altro in cambio. Era la semplice legge del dare e ricevere. "Cosa volete da me?" latrò, poggiando i palmi sul muro.
"Lasciala in pace, Violet." replicò il ragazzo biondo.
"Alex, è evidente che ha bisogno di noi! È un segno il fatto che sia entrata in questo luogo!" esclamò, spalancando le braccia a avvolgendo la chiesetta in un abbraccio immaginario.
"Non crederai a queste stronzate!" le sputò lei inviperita. Chi diavolo erano? Un gruppo di buoni samaritani cattolici, che occupavano il loro tempo libero cercando di aiutare il prossimo? Lei era sempre stata atea. Non credeva in nessun Dio, perché se davvero fosse esistito avrebbe dovuto provare un po' di pietà nei suoi confronti, concedendole una vita che potesse essere definita tale.
"Modera il linguaggio, mocciosa!" inveì Alex, avanzando minaccioso nella sua direzione. Quelle parole, stonarono incredibilmente in bocca a quel giovane.
Simon, il tipo delle Nike, scosse la testa, precedendo il compagno e frapponendosi tra loro.
"Datti una calmata, Alex!" ordinò autoritario.
"Non sei stato tu quello inseguito da una fiotta di giornalisti! Pazzesco! Credevano davvero che fossi Jhonny Deep!" il suo tono era incredibilmente irritato.
Azalya spalancò la bocca. "Tu?" domandò scettica. "Scambiato per Jhonny Deep?" Da come pronunciò quella frase, doveva essere evidente la perplessità che la animava.
"Senti, tu..." Alex non arrivò a concludere la frase. Violet aveva appoggiato la mano sul suo braccio, pregandolo con lo sguardo di tacere.
"Non sei cattolica?" le domandò a sorpresa la ragazza.
"Non credo in nulla." obiettò Azalya. Secca, precisa, non voleva perdere altro tempo con quegli sconosciuti.
"Stiamo perdendo tempo." intervenne nuovamente Alex.
"Bene, vedo che su qualcosa siamo d'accordo." osservò lei, facendo per andarsene. Stava per uscire dalla porta, quando si ritrovò il cammino sbarrato da Simon. Alto e grosso le stava ostruendo la strada.
Come aveva fatto a muoversi così velocemente?
Azalya sbatté alcune volte le palpebre, per essere certa di non esserselo solo immaginato.
No, Simon e le Nike erano proprio davanti a lei.
"Violet ha ragione." proferì, intrecciando le braccia al petto. "Non è un caso se sei entrata proprio in questa cappella."
Il verbo entrare non era esatto per descrivere la sua fuga notturna, ma Azalya non ebbe il coraggio di replicare. Scivolare, cadere, trascinata a forza dai muscoli delle gambe, quelle sarebbero state parole più adatte.
"Come ha fatto notare... uhm, Alex, stiamo perdendo tempo." si mosse in avanti con l'evidente intenzione di uscire, ma Simon non si spostò di un millimetro.
"Davvero, vogliamo solo aiutarti!" esclamò Violet, sfiorandole delicatamente una spalla. Lei si allontanò velocemente. Quante volte aveva utilizzato il verbo aiutare? Fin troppe per i suoi gusti.
"Sììì, certo." mormorò trascinando le vocali. "Un po' come Babbo Natale." continuò ironicamente.
Violet inarcò le sopracciglia. "Ma Babbo Natale non esiste!" ebbe il coraggio di risponderle.
"Non mi dire!" Azalya era sconcertata.
Lei non sembrò offesa dalla sua replica acida. "Gli angeli invece sono reali!" proclamò Violet, convinta.
Se Azalya aveva voluto aspettare altre conferme sulla pazzia dilagante tra quei ragazzi, ora ne possedeva la certezza. "Fate parte di qualche setta?" Quella possibilità avrebbe anche potuto accettarla.
L'esclamazione di sorpresa di Violet le fece intuire di essere molto lontana dalla verità. Alex, invece, appartato alle spalle della ragazza rideva senza ritegno. L'unico che apparentemente aveva mantenuto la calma era Simon.
"Siamo sicuri che non sia uscita da qualche circo?" chiese il biondo.
Azalya assunse un'espressione offesa, quando una fitta di dolore alla testa la costrinse a scivolare nuovamente a terra.
I personaggi degli affreschi erano mutati in spaventose creature dall'aspetto demoniaco che danzavano minacciose davanti ai suoi occhi.
Barcollò, reggendosi il capo con le mani. La faccia perse tutto il suo colorito, mentre indicava sconvolta una figura di fronte a lei.
"Sta per svenire." commentò saccente Alex.
Azalya lo guardò colma di rabbia. Quel ragazzo era tremendamente irritante.
Occhi cremisi la fissarono, mentre la creatura dipinta si faceva beffe di lei.
I tre ragazzi non sembrarono notare alcun cambiamento nel affresco. Faticosamente riuscì a rimettersi in piedi, convinta che fosse la mancanza di droghe a mostrarle quelle allucinazioni.
Con passo incerto e traballando vistosamente, spinse da parte Alex, desiderosa di sfuggire a quello terribile sguardo infuocato.
Tuttavia, si afflosciò come un panno sporco tra le braccia del ragazzo.
"Demoni..." deglutì. "Mostruos..." la parola le morì in gola e si ritrovò a sprofondare in una voragine oscura.
Le tenebre erano sempre state così dense?

 



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Note: Il capitolo non è betato, aggiungerò la nuova versione quando la mia beta avrà il tempo per farlo! Spero di non aver fatto troppi "orrori" :P
Non è un caso se la nascita/morte di Clelia corrisponde al 16 febbraio dato che è anche il mio compleanno! ù_ù Per questo ho deciso di postare il capitolo oggi! Festeggiamo insieme! :D
Fatemi sapere!
By Cleo
^^




 

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Capitolo 10
*** L'altra faccia del mondo ***


 

 

09

≈*≈*≈*≈*≈
L'altra faccia del mondo

 

 Prendi l'aspetto del fiore innocente,
ma sii il serpente sotto di esso.
{W.Shakespeare}

 

 

Sudata e tremante, Azalya aprì gli occhi con lentezza, nemmeno troppo sorpresa di vedere che era sfuggita ai suoi incubi per poi ritrovarli nella realtà.
Era stesa su un vecchio divano in pelle che doveva risalire agli anni '50, uno di quei modelli così scomodi che c'era da chiedersi chi avesse avuto il coraggio di progettarli.
Seduto vicino ai suoi piedi, c'era Alex, la mandibola contratta in una smorfia infastidita e gli occhi due pozzi insondabili. Aveva la mano chiusa a pugno che si apriva ad intervalli regolari rivelando un crescente nervosismo.
Le era stata poggiata una coperta sulle spalle, che lei lasciò scivolare sulle gambe quando fece forza sui gomiti per mettersi a sedere.
"Che bastardi!" sibilò Alex, facendola sussultare. Azalya si guardò attorno, ma l'unica cosa che scorse, oltre a Violet, tremante sulla
poltrona vicina, e Simon al suo fianco, fu un gigantesco televisore al plasma che rimandava in continuazione l'immagine di un uomo che si tramutava in cenere. La notizia era commentata in diretta da un gruppo di giornalisti, alcuni con il volto preoccupato, altri con uno decisamente più rilassato.

"È evidente che si tratta di un pessimo effetto digitale. Le persone non si tramutano in granelli di polvere. Potrei quasi affermare che il video è stato manipolato dagli oppositori del sindaco per farsi beffe di lui durante la campagna elettorale. Le persone non scompaiono, signori! Non svaniscono nel vento come non fossero mai esistite! Sono certo che la scienza sarà concorde con me nel confermare questo principio..." stava dicendo un giornalista e lei non poté che dargli silenziosamente ragione. Tuttavia, era l'unico uomo che sembrava dar credito alle sue stesse parole.
Nello studio televisivo calò un silenzio imbarazzante; una donna cominciò a singhiozzare senza motivo apparente, costringendo alcuni membri dello staff tecnico ad allontanarla dalla diretta.
L'immagine incriminata venne riproposta con un primo piano della vittima.
Vittima? Azalya scosse la testa. Era evidente che quella era solo una macabra trovata pubblicitaria, giusto?
Un uomo dal volto pallido prese la parola. "Credevamo di essere i soli esseri senzienti a dominare sul pianeta. Ci siamo sbagliati. Forse, tra tutti questi nuovi progressi scientifici, l'uomo ha dimenticato che le leggende nascondono sempre un fondo di verità. Abbiamo giocato con il mondo come bambini, sicuri che il castello di Lego non avrebbe mai potuto essere espugnato da un gruppo di orchi. Non sono orchi quelli con cui abbiamo a che fare, ma i mostri ci hanno ampiamente dimostrato che loro non sono mai stati fuori dalle mura. Sono sempre stati dentro; spie silenziose che attendevano il momento di colpire." Si sedette con un tonfo sulla sua sedia, tergendosi la fronte con un fazzoletto.
Perplessa, Azalya si costrinse a seguire incuriosita quel dibattito, totalmente dimentica del luogo in cui era e delle persone che la circondavano.
"Si rende conto di cosa sta dicendo?" tornò a parlare il primo giornalista, scattando in piedi. Aveva alzato il tono di voce, guardando incollerito il resto dei suoi colleghi.
"Non posso crederci." bisbigliò Simon.
L’ospite in trasmissione continuò. "Ora mi dirà che anche gli alieni e l'area 51 esistono! O magari, che ne dice di qualche supereroe Marvel? Proprio in questo momento Spider Man si starà arrampicando su qualche grattacielo pronto a trasformare in cenere qualche vampiro cattivo!" continuò l'uomo cercando di svilire le idee del collega.
"Santo cielo!" intervenne una ragazza, ospite della trasmissione. "Quella macabra dichiarazione si è svolta in diretta televisiva! Alla conferenza del sindaco di New York!" parlava così velocemente che Azalya non riusciva a stare dietro ad ogni cosa che diceva. "Dobbiamo accettare i fatti. Esistono altre creature, creature senzienti che vivono tra noi." concluse convinta, tornando al suo posto.
"Sta chiedendo al genere umano di credere a creature succhiasangue, frutto della letteratura per adolescenti?"
Azalya percepì una spiacevole sensazione all'altezza dello stomaco. Ora, possedeva una vaga idea di ciò che era accaduto quella sera. Alla fine, pensò, l'incubo era davvero divenuto realtà.
Alla tv venne trasmesso un aggiornamento in diretta. La telecamera mostrava una sala conferenze. Il sindaco della città era in piedi dietro ad un pulpito, il volto pallido visibilmente scosso e le mani che tremavano incessantemente.
Quando parlò la sua voce era diversa dalle solite volte in cui si rivolgeva alla popolazione newyorkese.
Azalya trovò quella situazione sbagliata, profondamente sbagliata. Si sistemò meglio sul divano, andando a far appoggiare i piedi sul pavimento.
Alex si voltò appena nella sua direzione, più per assicurarsi che lei fosse ancora lì che per vedere se stesse bene.
Il pubblico del sindaco era una folla di politici e giornalisti che scattavano foto con cellulari e commentavano concitati tra loro. Era il caos. Una folla di uomini urlanti che potevano gareggiare con una classe dell'asilo.
Alcuni fari di luce abbagliante furono puntati sul sindaco che stava soffocando nervosi colpi di tosse. Alle spalle dell'uomo, c'era una riproduzione gigante della Statua della Libertà.
"Concittadini!" esordì, quasi si trovasse ad un comizio elettorale.
Simon provò a cambiare canale con il telecomando, ma ogni rete televisiva riproduceva quell'evento insolito.
"Bram Stoker, ci starà maledicendo dalla tomba!" continuò il sindaco con quella che doveva sembrare una graziosa battuta. Qualche persona del pubblico applaudì, acclamandolo, ma nessuno trovò divertente quella frase.
La telecamera fece un primo piano sul volto del cittadino di New York. Il sindaco, sembrava sul punto di svenire da un momento all'altro.
"Signori! Il Presidente degli Stati Uniti è stato già informato!" la voce gli si spezzò, Azalya non seppe dire se per paura o eccitazione. "Una nuova specie si è rivelata ai nostri occhi. Come sindaco sono onorato nel poter confermare che i vampiri esistono. Esistono!" ripeté dando maggior enfasi all'annuncio.
Azalya perse i minuti successivi, troppo concentrata nel metabolizzare quella scioccante notizia. Si era portata una mano alla gola, in un gesto di deja-vu. Le dita percorsero esitanti il profilo del suo collo magro, quasi sicure di trovarci le cicatrici di due zanne. Naturalmente, non c'era nulla sulla sua pelle e lei si rese conto della tensione accumulata in quei minuti.
I vampiri esistevano... Esistevano? Come era possibile una cosa del genere?
Una risatina isterica le sfuggì dalle labbra senza che lei potesse fare nulla per evitarlo. I vampiri non potevano essere che vecchie leggende per bambini, personaggi frutto dell'ignoranza popolare e creature modellate dagli scrittori. Morti tornati alla vita? Demoni di cenere, polvere e sangue?
La verità come si era soliti dire, è difficile da accettare, eppure, sembrava che il governo americano fosse quasi entusiasta delle nuove possibilità che quella scoperta poteva rivelare.
"Il Congresso, in questo stesso istante, sta varando nuove leggi per una convivenza pacifica e i nostri ambasciatori si apprestano a discutere di questioni diplomatiche presso la loro leader." proseguì il sindaco con le guance arrossate.
Un donna? La cosa riuscì a farla sorridere per un breve istante. Davvero il loro capo, la loro ape regina, era una donna?
"I succhiasangue si ammazzeranno tra loro." si intromise Alex, piacevolmente entusiasta della cosa. Aveva sorriso, un'espressione che riuscì a gelarle il sangue nelle vene. Gli occhi, invece, gli brillarono di una luce spaventosa. Era lo sguardo di un cacciatore che fissava la preda l'attimo precedente la morte. Terribile.
E bellissimo.
"Vogliono creare delle leggi? Per loro!" Il pugno di Simon si abbatté sullo schienale della poltrona, su cui Violet era seduta. Se la ragazza fosse rimasta sorpresa dal gesto non lo diede a vedere.
A quel punto, sebbene ancora frastornata per la piega presa dagli eventi, Azalya non riuscì a trattenersi dal fare le sue domande.
"Cosa significherà che si uccideranno tra loro?" domandò lei sospettosa, squadrando Alex dalla testa ai piedi.
Lui si voltò, studiandola a sua volta, mentre incrociava le braccia dietro la testa. Era illuminato da alcuni raggi del sole che filtravano dalla finestra alle sue spalle e sembrava che la luce creasse una specie di aura intorno al suo corpo.
"Perché la lei di cui parla il sindaco non è il loro leader." spiegò con una scrollata di spalle. Lei sbuffò, convinta che la stesse prendendo in giro. Dopotutto, pensò, come avrebbe potuto, lui, sapere qualcosa del mondo di quelle creature? Glielo chiese e lui rispose con un
sorriso enigmatico, che non significava assolutamente nulla.

"Anche se sei atea..." sputò quella parola come fosse veleno. "Avrai ancora sentito parlare di Lucifero."
"Satana? Cosa c'entra il diavolo con..." non le permise di finire la frase.
"Perché è Lucifero il loro sovrano, il loro Master, leader, re... Chiamalo come ti pare." disse con una scrollata di spalle.
"Dovresti mostrati più educato con gli ospiti." lo riprese Violet, seccata da quel comportamento tipico da "migliore della classe".
Simon si spostò dalla sua posizione e si accovacciò davanti a lei, prendendole una mano tra le sue. Lei cercò di opporsi, ma non riuscì a liberarsi.
"Lucifero, non era un angelo?" chiese, allora, picchiettando il piede sul pavimento.
"È anche precipitato dal Paradiso." commentò Violet, prendendo posto al suo fianco. Azalya annuì. Era una drogata, vero, ma un tempo il suo cervello era stato il migliore dell'istituto scolastico che frequentava.
Si morse il labbro, chiedendosi quanto tempo fosse trascorso da quel periodo così piacevole della sua vita.
La sua mente era sempre stata predisposta per lo studio. Le bastava leggere un libro un'unica volta per ricordare ogni dettaglio e a differenza degli altri suoi compagni di classe desiderava davvero poter ottenere una borsa di studio per poter lasciarsi la lunga lista di case famiglia alle spalle.
Il college era l'occasione giusta per ricominciare. Una nuova vita, un nuovo futuro. Si era giocata entrambi quei propositi quando una sera era uscita con un motociclista che dopo averla drogata, offrendole un drink alla menta e averla sedotta, l'aveva abbandonata sul ciglio di una strada.
Quell'unica dose l'aveva resa dipendente dalla droga. Matt non aveva facilitato le cose, invitandola a feste frequentate da persone che normalmente avrebbe evitato come la peste.
Ed ora si ritrovava lì, in un soggiorno estraneo, circondata da perfetti sconosciuti. Pazzoidi che credevano che gli angeli esistessero. Sussultò, resasi conto che il mondo aveva appena fatto la conoscenza dei vampiri. Dunque, perché gli angeli non potevano esistere?
"Volete dirmi che gli angeli sono in realtà vampiri?" quella domanda suonò sbagliata perfino a lei, che non credeva in alcun Dio.
"Solo quelli scacciati dal Paradiso. Da angeli a demoni: vampiri." Violet liquidò frettolosamente quella questione con un cenno della mano. Simon, invece, continuava a stringere la sua. Cosa voleva?
Era decisamente troppo. Voleva andarsene.
Si alzò, strattonando il braccio per liberarsi e con passo veloce riuscì perfino a raggiungere la porta, prima che la sua fuga venne bruscamente interrotta da un nuovo individuo.
Inquietante.
Rimbalzò sul suo petto e sarebbe finita sul pavimento se Alex non l'avesse afferrata per le spalle.
"Vanhel." salutò pacatamente il ragazzo, allontanandola da sé.
Lei deglutì, nervosamente, cercando riparo in un angolo della stanza. Quell'uomo era spaventoso. Alto quasi due metri, capelli bianchi come il latte-bevanda che lei detestava- e occhi di un profondo nero slavato che le fecero credere che fosse cieco. Magro, dai tratti del
volto affilati e con il braccio destro pieno di orrende cicatrici slabbrate.

Quando aprì la bocca per parlare, Azalya riuscì ad intravedere due finti denti dorati.
"Violet." la voce di lui era così roca, che sembrava non la utilizzasse da un sacco di tempo. "Hai portato a casa un nuovo caso disperato?"
Caso disperato? Cosa significava? Non le piacque per nulla il modo in cui lo disse e ancora meno lo sguardo che le lanciò.
Solo allora si accorse dell'abbigliamento. Armi, armi e ancora armi. Pugnali, spade e pistole. Occupavano tutta la superficie disponibile e... Era sangue quel liquido denso che macchiava le lame?
Il grido che le uscì dalle labbra non fu nulla di umano.

 ***

 

Jennifer fissava incredula lo schermo televisivo, sperando inutilmente che quello che stava accadendo fosse uno scherzo di pessimo gusto. Mezzogiorno era passato da un pezzo e il telefono non aveva smesso di squillare un secondo. La segreteria telefonica registrò l'ennesimo messaggio, mentre lei ascoltava i commenti appassionati di alcuni adolescenti.
Da quando, solo poche ore prima, era stato rivelata al mondo l'esistenza dei vampiri la maggior parte degli americani si era mostrata oltremodo entusiasta della notizia. Un atteggiamento morboso che aveva contagiato l'intera classe politica.
Oltreoceano, in Europa, le cose erano state differenti. Gli europei non avevano preso bene quella scoperta e il Papa in persona aveva dato il via libera per la creazione di un corpo militare in grado di fronteggiare la minaccia. Francesi e spagnoli erano stati i primi ad appoggiare la causa.
Percorse nervosamente il profilo della stanza, sussultando ogni volta che sentiva nominare la parola vampiro. I notiziari non parlavano d'altro. Si mordicchiò le unghie, ripensando al povero redivivo che era stato giustiziato in diretta. Era stata Namaah, come l'aveva chiamata Sebastian, l'artefice di quel piano.
Si sfregò le braccia tra loro, prima di scendere le scale che conducevano al rifugio diurno di Sebastian. Bussò tre volte all'ingresso di una spessa porta di metallo e indietreggiò, attendendo che lui le aprisse.
Sapeva che lui, a differenza dei comuni vampiri, non necessitava di riposo durante il giorno quindi non si meravigliò quando entrando si ritrovò nella simulazione di un campo di battaglia.
Furioso, era un termine riduttivo per descrivere lo stato in cui versava Sebastian. Aveva distrutto metà dei mobili presenti nel rifugio, ma la tv era miracolosamente ancora intatta. Probabilmente era perché voleva seguire gli sviluppi della vicenda, ma il suo sguardo aveva assunto pericolose sfumature cremisi che non promettevano nulla di buono.
I suoi lineamenti erano distorti in smorfie tutt'altro che piacevoli e i canini erano in bella mostra.
Jennifer prese un bel respiro e gli si avvicinò. Lo abbracciò come quando era una bambina, pregandolo in quel modo di tornare se stesso. Una parte di sé, avrebbe voluto scappare, l'altra parte invece -quella meno razionale- non poteva fare a meno di amare anche quel lato oscuro di Sebastian.
Dopotutto, sapeva che a lei non avrebbe mai fatto del male. Era una certezza che si era rafforzata negli anni che avevano passato insieme, unitamente a quella che lui non l'avrebbe mai considerata nulla di più della bambina che aveva salvato.
E da qualche parte la ragazzina urlante che invocava il suo aiuto c'era ancora. Nascosta, mascherata da una adulta che di adulto aveva solo l'aspetto.
Se chiudeva gli occhi si vedeva. Una bambina di sette anni, che vagava tra le strade innevate di montagna dopo essere riuscita a scivolare fuori dall'auto dei genitori, precipitata sul fondo di una scarpata. Loro erano morti, lei era stata salvata da Sebastian. L'aveva pregato di portarla con sé e così lui aveva fatto.
Era diventato il fulcro della sua esistenza.
Sebastian era il mondo, il mondo era Sebastian. Una verità sciocca, sotto molti punti di vista, ma che per lei era tutto. La prima volta che era uscita con un ragazzo l'aveva fatto nella speranza di ingelosirlo, ma a lui la cosa non aveva fatto né caldo né freddo. Dubitava persino che se ne fosse accorto.
Tra le sue braccia, Sebastian grugnì infastidito e non ricambiò il gesto. Rimase immobile, una statua sul punto di spezzarsi, fissando ostinatamente la televisione.
"Cerca di calmarti." gli propose lei gentilmente.
Sebastian la allontanò infastidito. "Da questa sera avrai una guardia del corpo." asserì deciso.
Jennifer fece per replicare, ma bastò uno sguardo di Sebastian per farla tacere.
"Non c’è nulla da dire, Jennifer. La decisione è presa. Fine della discussione." Dopodiché, tornò a immergersi totalmente tra le varie trasmissioni televisive. 
 

 


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Note: capitolo decisamente di passaggio. Serve principalmente per far accettare ad Azalya il nuovo status del mondo u_u Sicuramente non è un capitolo che mi è venuto molto bene e presumo di rivederlo prima o poi LOL Però ho amato citare qualcosa dell'universo Marvel! xD
Anche questo capitolo non è betato, lo inserirò quando sarà pronto^^
By Cleo^^





 

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Capitolo 11
*** Naamah, dei serpenti ***



 

 

10

≈*≈*≈*≈*≈
Naamah, dei serpenti

 

 

Tutto il mondo è una perpetua tempesta
in cui perdi via via le persone che ami.
{W.Shakespeare}

 

 

"Il Presidente si è mostrato turbato dalla parole pronunciate dal Santo Padre ed ha espresso tutta la sua solidarietà nei confronti della comunità vampirica." Il telegiornale stava mandando in onda le dichiarazioni dei politici .
Sebastian fece schioccare la lingua sul palato. Trovava quella situazione esasperante e non poteva contare sull'aiuto di Vlad per occuparsene.
Il giornalista della CNN riprese a parlare. "La loro leader, Naamah, continua a rassicurare gli abitanti di New York sostenendo che il vampiro giustiziato fosse un pericoloso criminale che aveva più volte tentato di fare stragi di uomini."
Ascoltando quella ridicola storia, Sebastian non poté che mostrare un sorriso ironico.
Per quanto lo riguardava gli umani erano stupidi e la loro stupidità era sotto gli occhi del mondo ogni giorno che passava. Non avrebbero dovuto esserci dubbi in merito al fatto che la maggior parte dei vampiri uccideva gli esseri umani. Si chiese quanto tempo avrebbe impiegato la gente per giungere a quella verità.
Il Papa era stato uno delle poche autorità a livello mondiale che non aveva sbagliato con il giudizio dato ai vampiri. Tuttavia, doveva ammettere che la Chiesa era da secoli a conoscenza della presenza di demoni nel mondo. Le Crociate in passato si erano rivelate un'ottima scusa per tentare di liberare Gerusalemme dalla presenza di un antico vampiro che aveva preso possesso della città. In seguito quella lotta era sfociata in una guerra di conquista, perdendo la sua iniziale connotazione sacra. Gli uomini si erano dati ad una lotta di potere e i mussulmani avevano preso il posto dei redivivi.
"Sebastian..." I suoi pensieri furono interrotti da una supplica sussurrata alle sue spalle; Jennifer lo stava chiamando.
Non fece nulla per nascondere l'irritazione che in quel momento lei gli procurava. Era ben consapevole del suo comportamento egoistico, ma sapeva che l'attrice era preoccupata. Trovava la cosa semplicemente ridicola visto che era lui quello che aveva sempre pensato all'incolumità di Jennifer. In ogni caso, non aveva voglia di incrociare con lei lo sguardo che le avrebbe rivelato la furia che a stento riusciva a controllare.
"Jennifer." pronunciò Sebastian, seccamente.
Lo innervosiva l'idea che qualcuno avesse tentato di ucciderlo. Certo, anche la scoperta di un insolito legame che lo univa ad un'orologiaia e l'annuncio di Naamah che aveva rivelato l'esistenza dei vampiri agli umani e che aveva avuto il coraggio di sfidare apertamente la volontà di Vlad Tepes non lo acquietavano. L'unica nota positiva, in quello spartito stracciato, era che Chimera non aveva fatto la sua comparsa.
La mano di Jennifer si posò tremante sul telecomando della tv e lui gliela afferrò più bruscamente di quanto avrebbe voluto. La sentì sussultare per lo spavento e l'oggetto le scivolò sul pavimento.
"Ti stai torturando inutilmente." gli bisbigliò Jennifer affranta.
Era vero. Continuava a guardare le immagini di Wilfred, mentre veniva impalato di fronte agli occhi di una telecamera e veniva fatto passare dai giornalisti per un pericoloso assassino.
Era stata colpa sua.
Aveva ordinato lui a Pierre e al redivivo di seguire il sicario, ma aveva commesso un errore. Non tenendo conto della poca esperienza di Wilfred e della sua debolezza l'aveva mandato al macello.
L'esecuzione pubblica aveva mostrato i lineamenti del vampiro sconvolti dalla paura. Mentre Sebastian scopriva la verità su Clelia, un vampiro moriva nel nome di una causa a cui non credeva. Nonostante quello, non poteva dire che Wilfred gli sarebbe mancato. Ciò che lo preoccupava al momento erano le sorti di Pierre. Era vivo? Lo avevano catturato?
E naturalmente rimaneva la questione più spinosa: Naamah. Non aveva più dubbi sul fatto che fosse stata la vampira a mandarle quel sicario. Come Lucifero, anche Naamah era un angelo caduto. Era rimasta al fianco della Stella del Mattino per migliaia di anni, ma evidentemente si era stufata di ricoprire un ruolo minore in quella ribellione guidata da suo padre. Non solo si era autonominata come guida dei vampiri, ma
aveva avuto la pessima idea di spodestare il ruolo che toccava di diritto a Lilith.

Quella era la cosa che lui più mal sopportava dell'intera vicenda.
A quel punto aveva da chiedersi e da scoprire se fosse stata proprio lei ad aver creato la misteriosa Chimera. Con Astaroth morto e lui fuori gioco, Naamah avrebbe potuto facilmente conquistare il titolo di Master.
Sebastian l'aveva incontrata, Naamah. Avida di potere, amava assumere le sembianze di un rettile. Il veleno prodotto dal suo sangue era micidiale, una sostanza in grado di provocare seri danni anche ai vampiri più antichi. 
 

 

"Ama i giochi, le sfide, le competizioni. Quando la incontreremo non indugiare eccessivamente sul suo sguardo, Semiael. Come i serpenti che tanto ama, i suoi occhi sanno ipnotizzare chi gli sta attorno."
Aveva annuito poco convinto a quel consiglio di suo padre, mentre varcavano l'entrata di un tempio greco.
"Naamah venera solo se stessa. Non simpatizza per nessuno, tranne che per i suoi adorati serpenti." aveva commentato acido.
"Serpenti?" si era ritrovato a mormorare, osservando il lento oscillare di Exaniha.
"Adamo ed Eva, ricordi?"
Lui aveva rischiato di inciampare, mentre la leggenda vorticava nella sua mente. Per lui che era nato sulla Terra, successivamente al momento della Caduta, era strano dover immaginare un altro mondo, l'Eden.
"Si era trasformata in uno splendido serpente dalle squame celesti per tentare Eva dall'Albero della Conoscenza."
Oh, naturalmente, era anche riuscita a farla peccare.
Il Creatore, il Trono, aveva condannato il serpente a strisciare sulla terra come il più infimo degli animali, ma aveva perdonato Naamah, o perlomeno lo aveva fatto in quella occasione. Gli umani, invece, credevano stupidamente che fosse stato Lucifero l'autore di quel gesto sconsiderato.
Semiael annuì, animato dalla voglia di poter conoscere Naamah.
"Non essere così ansioso di incontrarla, Semiael. Potresti pentirti di questo tuo desiderio."

 

E Sebastian si era pentito, ovviamente, esattamente come aveva detto Vlad. Tuttavia, centinaia d'anni erano trascorsi e a lui piaceva pensare di non essere così sprovveduto come lo era stato una volta.
Sciocco... Uno stupido.
Pensare di ingannare Naamah era come illudersi di avere tra le mani la vita di Lucifero. Impossibile e inverosimile. Bisognava giocare d'astuzia, rimanere sempre un gradino davanti a Naamah per scoprire i suoi obiettivi.
Il problema era che lui era dieci gradini indietro rispetto alla vampira. Quale sarebbe stata la sua mossa successiva?
E all'improvviso lo seppe, seppe ciò che doveva fare. Ma aveva bisogno di tempo e della collaborazione di Jennifer per riuscire nei suoi intenti. 
 

 

Mentre il mondo era in fermento per l'evento che aveva modificato il modo di vedere ogni cosa, Sebastian espose ad una Jennifer attonita il suo piano. Le raccontò tutto quello che le aveva taciuto fino a quel momento, sorpreso che lei accettasse in modo così passivo ogni parola.
"Presumo che non torneremo a Londra tanto presto." commentò l'attrice.
La malinconia insita nella sua voce era palpabile. Sebastian non le disse che, forse, a Londra non ci sarebbero mai tornati. Jennifer, però, sembrò capire ugualmente e una parte di lei -un frammento del suo cuore- andò in frantumi.
Sebastian era certo che non fosse né il primo né l'ultimo, di una lunga serie di pezzi di cui lui l'aveva privata.
"Se ci fosse un altro modo..." tentò di dirle, prima che lei lo fermasse.
"Non c'è." C'era rassegnazione in quella semplice constatazione. "Mi sta bene, poteva andare peggio di così."
Lui le prese le mani, baciandole con gesti delicati i palmi.
A Jennifer sarebbe andato bene anche morire, se fosse stato lui a chiederle di compiere quel gesto estremo. Fu a causa di quel pensiero che Sebastian decise fosse giunto il momento di intraprendere un discorso che aveva lasciato in sospeso tra loro da anni.
Con la mente rivide la serie di fotografie che ritraevano Jennifer al suo fianco. C'era un unica cosa in quelle immagini che rimaneva immutata e non era il sorriso dell'attrice. Sebastian non era cambiato per nulla in quella ventina d'anni. Per lui, semplicemente, non era possibile mutare nell'aspetto fisico. Invecchiare non era nelle prerogative dell'immortalità.
Non era sempre stato così, però.
Un tempo era nato dall'utero di sua madre, come un comune essere umano. Era cresciuto, lentamente ma inesorabilmente, finché il suo corpo aveva raggiunto lo stadio di sviluppo adeguato alla sua razza. Per quello ed altri motivi non v'erano dubbi sul fatto che lui fosse figlio di carne di Lilith e Lucifero.

 

Le ali di suo padre erano splendide nel loro riflesso di morte.
Aveva allungato le mani per sfiorarle e Lucifero ne aveva protesa una nella sua direzione per ripararlo dagli occhi indiscreti di un gruppo di vampiri.
Le sue dita avevano percorso a lungo quel profilo oscuro, avvertendone la morbidezza ed il calore. Dopo un tempo infinito, aveva invocato con voce indecisa suo padre che si era voltato per guardarlo.
"Piccolo, adorabile Semiael." l'aveva chiamato nello stesso modo di Lilith.
Lucifero si era accovacciato al suo fianco, posando le mani sulle sue spalle minute. Le ali, fremevano impazienti di essere distese e Semiael dovette ricacciare
indietro la fitta di gelosia che lo attraversò prepotente.

Anche lui voleva volare, desiderava avere delle ali. Sbuffando aveva lanciato un'occhiata alla sua schiena. Niente.
Ridendo, Lucifero lo aveva stretto al petto e ogni dubbio era scivolato via dai suoi pensieri.
"Devi avere pazienza, le ali hanno bisogno di tempo per svilupparsi." aveva spiegato.
"Cresceranno?"
"Saranno magnifiche." aveva assicurato suo padre prima di gettarsi nelle tenebre notturne.

 

Sebastian aveva lasciato che Jennifer si accomodasse su una poltrona, prima di rendersi conto di non sapere affatto come introdurre l'argomento che dovevano affrontare.
Irrequieto, camminava avanti e indietro per la stanza, lanciando sguardi nervosi all'orologio che aveva al polso. Erano quasi le quattro del pomeriggio e in meno di due ore il piano che aveva elaborato doveva avere inizio.
"Jen." Lui la chiamava raramente a quel modo e quando lo faceva c'erano sempre questioni spinose da sostenere.
"Sebastian." gli rispose lei, che doveva trovare divertente la novità.
Lui si fermò all'improvviso, avvertendo un flebile dolore al braccio sinistro. Colse l'odore del sangue, prima ancora dei suoi occhi. Il liquido scivolò ai suoi piedi gocciolando sulla moquette e rovinandola irrimediabilmente.
Jennifer balzò in piedi gridando, lui si limitò a pulire la pelle con un pezzo di stoffa. Non era nulla di grave, nulla che potesse preoccuparlo sul piano fisico.
"Cosa è successo?"
Sebastian non le rispose. Rimase in silenzio per esaminare meglio la ferita. Recava i segni di un morso, un attacco che non era stato destinato a lui. Non solo perché oltre a lui e Jennifer non c'era nulla in quella stanza, ma perché di fatto se ne sarebbe accorto se qualcuno avesse tentato di attaccarlo.
Jennifer gli si avvicinò cauta, sfiorando i contorni dei solchi provocati dai denti di una qualche misteriosa creatura. A giudicare dai segni lasciati nella carne, lui ipotizzò che il responsabile doveva trattarsi di qualcuno appartenente al popolo fatato.
"Com'è possibile?" si domandò, mentre studiava il braccio con estremo interesse.
Semiael.
Sussultò impercettibilmente, riprendendosi però all'istante.
Semiael.
Un nome. Il suo nome sussurrato da lei, da Clelia, nella sua testa.
La sera prima l'orologiaia aveva tentato di spiegargli... di fargli capire. All'improvviso si domandò perché non fosse rimasto all'Antiquarian, per sapere cosa la ragazza voleva rivelargli e si pentì della sua fuga precipitosa.
"È a causa del legame." si ritrovò a dire. "Clelia non aveva detto che anche io avrei potuto avvertire il suo dolore." osservò Sebastian, in un'accusa silenziosa.
E la sorpresa per quella nuova notizia lasciò il posto alla perplessità, al dubbio.
Se lo chiese: le era accaduto qualcosa? Cosa significava la presenza di quel morso? Fino a che limiti poteva spingersi quel legame?
"Non mi piace." intervenne Jennifer mettendo il broncio.
"Cosa?" intervenne Sebastian.
Lei sbuffò. "Non cosa, ma chi. L'orologiaia di cui mi hai parlato è... Non lo so, non mi piace."
Sebastian sfiorò la superficie della televisione. In diretta dallo studio ovale stava parlando il Presidente degli Stati Uniti. Un discorso che per quanto lo riguardava non aveva alcun senso. Pari opportunità per vampiri e umani, era quello il tema centrale. Qualche pazzoide doveva aver scambiato i membri della sua razza con qualche sottospecie fuoriuscita dal film "Twilight".
Tornò a prestare attenzione a Jennifer. Non era rilassata nei suoi comodi vestiti di cotone. Negli ultimi giorni era sfuggente, nervosa e le ultime notizie avevano destabilizzato il suo equilibrio interiore.
Non era il mondo di Jennifer, quello. Però era il suo e lui aveva il dovere di difenderlo.
"Non è a te che deve piacere, Jennifer." replicò amaramente. "Non essere gelosa."
Era sempre quello il problema con Jennifer. La gelosia. Non poteva vedere una donna che Jennifer se ne usciva con una delle sue scenate da Oscar. Peccato che non si trovassero sulla scenografia di un film quando accadeva, perché era certo che per lei sarebbe stata la migliore occasione per vincere una delle famose statuette dorate.
Da adolescente, Jennifer era sempre riuscita a controllare le sue emozioni, ma da quando lui avevano annunciato alla stampa il loro finto
fidanzamento la situazione era degenerata.

Di fatto, era proprio quello l'argomento di cui voleva parlarle.
A quel punto, però, Jennifer si era già alzata in piedi e si stava dirigendo con passo pesante in prossimità dell'uscita.
"Non essere ridicola, Jen!" chiamò Sebastian, spostandosi rapidamente per impedirle d'uscire. Si era appoggiato agli stipiti della porta, sbarrandole in quel modo la via di fuga.
"Ti voglio bene, lo sai. Desidero che tu sia felice e al sicuro."
In tutta risposta lei abbassò lo sguardo, nascondendogli gli occhi con la frangia.
"Non capisci." rispose lei in un sussurro che solo il suo udito avrebbe potuto cogliere.
Invece Sebastian capiva. Fin troppo bene, per lasciare che le cose continuassero a quel modo.
"Il sentimento che tu provi o che credi di provare..." si fermò. Jennifer aveva alzato la testa di scatto, gli occhi due braci di collera ardenti. "Jen." Il suo era un ammonimento a mantenere la calma.
"Credi che non lo sappia?" esplose l'attrice, tempestando il suo petto di pugni.
Sebastian non si mosse, non voleva, e in ogni caso era meglio se l'attrice si sfogasse lì, e con lui. "Vedo come mi guardi e lo so. Per te rimarrò sempre la tua piccola, preziosa, bambina salvata da una tormenta di neve."
Sebastian trovò che le parole di Jennifer fossero dure, ingiuste sotto molti punti di vista.
Non era possibile definire il sentimento che lui provava per lei in modo tanto semplicistico. Per molti versi, Jennifer si era dimostrata la sua ancora di salvataggio, colei che gli aveva impedito di ricadere nel vortice oscuro generato da Semiael. L'intento di Jennifer era solo quello di ferirlo, ma l'unica che avrebbe sofferto era lei.
"Sei molto più di questo, Jennifer, lo sai."
Sebastian la guardò mentre lei si attorcigliava nervosamente una ciocca di capelli attorno al dito, avvertendo distintamente il battito cardiaco accelerato dell'attrice.
"Dimostramelo!" lo sfidò Jennifer.
"Vuoi che finga? Devo recitare una parte speciale solo per te?" Ora, anche lui era arrabbiato. La afferrò brutalmente per le spalle, baciandola senza preavviso sulle labbra e ferendola con i suoi canini. Il sangue scivolò sulle loro lingue e quando anche Jennifer si rese finalmente conto di quanto stava accadendo dei singhiozzi incontrollati le salirono dalla gola.
Lui la lasciò, pulendosi con il bordo della camicia il mento. Gli occhi di Jennifer avevano un'espressione che lui aveva avuto modo di conoscere molto bene. In quell'istante, l'attrice era una lepre che fissava inorridita il suo cacciatore. Le pupille erano dilatate ed il nero aveva ingoiato quasi ogni traccia del verde.
Crack.
Un altro frammento del cuore di Jennifer era andato in frantumi e, come sempre, era lui la causa di quel dolore.
"Sei crudele... Così crudele." gemette lei tremando.
Sebastian si fece da parte mentre lei lo superava senza degnarlo di uno sguardo. "Nessuno ha mai affermato il contrario." commentò lui lapidario, guardandola mentre affannosamente si affrettava a salire la scalinata.

 

 

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Note: Ovviamente fatti storici e reali sono usati qui in modo diverso da ciò che è accaduto/accade realmente u_ù
Sì, Wilfred è morto... Vi mancherà? LOL
Spero vi sia piaciuto e prometto di non assassinare nessuno se qualche lettore silenzioso vorrà dire la sua ;P
By Cleo^^

 


 
 

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Capitolo 12
*** Schegge di luce ***





 


11
≈*≈*≈*≈*≈

Schegge di luce

 

 Gli angeli ancora risplendono,
anche se è caduto quello più splendente.
{W.Shakespeare}

 

 

 

Aveva smesso prima di urlare o di tentare la sua fuga precipitosa dalla finestra?
Era quella la domanda che continuava a porsi Azalya, mentre sorseggiava nervosamente una tazza di cioccolato bollente.
Deglutì il liquido, non emettendo un lamento nemmeno quando si scottò la lingua. Le sembrò di aver perso la facoltà di parlare e trovò il tal fatto grave. Molto grave, considerando il fatto che era riuscita a mantenere il silenzio stampa per più di dieci minuti.
Violet stava mormorando qualcosa, ma lei non la stava seguendo e neanche faceva finta di farlo. Ogni suo pensiero si era cristallizzato sull'attimo in cui aveva visto lo sconosciuto e aveva notato i vestiti grondanti sangue. Perché era sangue quella sostanza rossa che impregnava i tessuti degli abiti; non aveva avuto dubbi in proposito.
Distrattamente, Azalya si rese conto che Alex aveva girato una sedia e si era seduto di fronte a lei, poggiando i gomiti sullo schienale del mobile.
Sfortunatamente si accorse troppo tardi del bicchiere d'acqua che lui le rovesciò dritto in faccia. Un grido del tutto involontario le uscì dalle labbra mentre guardava le gocce cadere dai suoi capelli ai pantaloni.
"Sei matto?" se ne uscì con una voce stridula.
Alex le sorrise di sbieco, un gesto che lei avrebbe voluto cancellare con un bel pugno nel naso. Violet mormorò l'ennesima scusa sul pessimo comportamento del compagno, guardandola comprensiva con i suoi occhi di ametista. Erano di un colore così innaturale che ad Azaya facevano dubitare della natura umana della ragazza.
"Tutti noi possediamo il seme della pazzia." osservò Alex, cauto.
"Non è divertente." gli rinfacciò lei, strizzandosi una ciocca di capelli. "Voglio andarmene. Non potete costringermi a rimanere qui."
"Con noi sei al sicuro." intervenne Simon, affacciandosi alla porta del piccolo locale con le braccia intrecciate al petto. "Vanhel se ne andato. Non devi temerlo, lui non voleva spaventarti."
Azalya sbatté più volte le palpebre. Come si era cacciata in una situazione tanto assurda? Secondo Simon quella frase doveva rassicurarla?
Però, effettivamente, fu quello l'effetto che ottenne. Sapere che quell'uomo era lontano l'aveva calmata, seppur lievemente.
"Il sangue che..." Azalya deglutì. "Bhe, insomma..." cercò lo sguardo di Violet "Quell'uomo era zuppo di sangue!" riuscì a buttar fuori tutto d'un fiato.
I tre ragazzi, chinarono il capo all'unisono in un gesto quasi imbarazzato.
"Era sangue." confermò Simon, andando tranquillamente al lavello per prendersi un bicchiere d'acqua.
"Ora non avere un altro attacco di panico!" intervenne Alex, prima ancora di lasciarle il tempo per metabolizzare quell'ultima frase.
Azalya si mise faticosamente in piedi e traballando in avanti, domandò: "Dove si trova il bagno?"

 

 Violet era rimasta al suo fianco. Le aveva carezzato gentilmente la schiena, mentre il suo stomaco rimetteva la bile che le era salita in gola. China sulla tavoletta del water, un sottile strato di sudore che le incorniciava il volto, Azalya non si era mai sentita tanto umiliata.
"Fai dei respiri profondi." le consigliò Violet, aiutandola ad alzarsi.
"Perché mi aiutate?"
"Sei una nostra compagna. A lungo abbiamo cercato qualcun altro come noi. Vanhel temeva che noi tre fossimo gli ultimi."
Azalya comprese che si stava riferendo a Simon, lei e Alex, ma oltre a quello la sua mente era sempre più confusa.
"Ultimi?" riuscì a domandare perplessa.
"Andiamo in soggiorno." propose Violet, prendendola per un braccio. "Credo che per te sarebbe meglio rimanere seduta, mentre ti spieghiamo come stanno le cose." Docile come un agnellino e ormai priva della volontà di agire, Azalya si lasciò condurre per il corridoio della casa, non opponendo resistenza nemmeno quando Violet la lasciò cadere sul divano. Era esausta e il nervosismo non riusciva ad abbandonarla.
Simon era seduto sulla poltrona di fronte, mentre Alex, fortunatamente, non era nelle vicinanze.
"È andato a caccia?" domandò Violet, prendendo posto al suo fianco.
Azalya annotò da qualche parte nel suo cervello che avrebbe dovuto chiedere a Violet che shampoo utilizzasse, perché i suoi capelli emanavano davvero un buon profumo. Poi, dandosi della stupida cercò di prestare attenzione a quanto stava accadendo.
"No, sta preparando le armi." intervenne Simon.
"Armi?" ripeté Azalya per nulla entusiasta di quella nuova informazione. "Cosa intendete dire con l'andare a caccia? Siete un gruppo terroristico?"
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo complice, prima di tornare a rivolgersi a lei.
"A caccia di vampiri. È questo quello che fanno le persone come noi." disse Simon, includendo nel "noi" anche lei.
"I vampiro non..."
"Esistono?" completò Violet, scuotendo la testa. "Hai visto anche tu i telegiornali. Se loro sono reali, allora anche..."
"Cosa?" gridò Azalya, scattando in piedi come una molla. "In ogni caso, io non ho nulla a che vedere con questa storia!"
"È proprio quello che stiamo cercando di spiegarti." riprese a parlare, Simon. "Tu sei dentro questa faccenda fino al collo."
"Come hai detto di chiamarti?" Alex era emerso dal corridoio laterale, abbigliato con abiti di pelle nera e una spada infilata nel fodero al suo fianco destro.
Azalya scosse la testa, cercando di distogliere lo sguardo dagli occhi grigio fumo del ragazzo.
"Non l'ho mai detto." affermò lei con una decisione che non possedeva.
"Ah, ecco." commentò Alex infastidito.
Violet le afferrò la mano e alla fine si costrinse a cedere di fronte a quel silenzio che attendeva una sua risposta. "Azalya." si annunciò con un sorriso tirato.
"Più un nome da demone che da angelo." constatò Alex, andando ad appoggiare la spada sul cornicione del caminetto.
In qualche modo quel commento la ferì.
"Non dire sciocchezze, Alex." lo riprese Violet. "Azalya è una nephilim, non ci sono dubbi. È una di noi."
Azalya boccheggiò alla ricerca di aria. Seguiva abbastanza telefilm da sapere il significato letterale di quella parola biblica, ma la cosa la sorprese ugualmente.
"F-Figlia..." deglutì rumorosamente. "I nephilim sono nati dall'unione di angeli ed esseri umani." mormorò tra sé.
"Stiamo facendo qualche progresso." annunciò Alex, picchiettando il piede sul pavimento.
"Voi credete..." si fermò. "Voi credete di essere dei nephilim?" aveva gridato così forte che la gola aveva cominciato a dolerle.
"Noi lo siamo." la corresse Simon.
"Naturale!" esclamò lei, liberando la mano dalla stretta di Violet. "Siete un gruppo di spostati che fa parte di qualche setta, dico bene?" Annuì. Sì, era quella la spiegazione più giusta. Afferrò un vecchio giornale e lo tenne alzato sopra la testa, pronta a lanciarlo contro il primo che avesse tentato di fermare la sua fuga. "Siete tutti pazzi. Avete bisogni di aiuto." continuò, indietreggiando verso una porta che sperava fosse l'uscita.
"Te l'avevo detto, Simon." dichiarò Alex con fare sconsolato. "Non ci crederà mai senza avere delle prove. Non possiamo nemmeno
biasimarla."

Simon la guardò, superò agilmente il tavolino di vetro e le fu a pochi centimetri di distanza.
"Azalya." Era la prima volta che qualcuno di loro pronunciava il suo nome.
"Stai indietro." l'avvertì minacciosa. "Chiamerò la polizia." annunciò.
"La cappella in cui ti abbiamo trovato." disse lui, ignorando totalmente la sua minaccia. "È un luogo accessibile solo per chi porta su di sé il Sigillo Celeste, solo un nephilim o un angelo poteva varcare i suoi confini. È stata creata come rifugio per gente come noi."
"Io non sono un angelo." sottolineò lei con voce stridula.
"No." Simon scosse la testa. "Non lo sei."
Fu raggiunta alle spalle da Violet, che le tolse il giornale dalle mani. Quando si voltò per affrontarla, la ragazza le appoggiò le mani sulle spalle, fissandola per alcuni intensi secondi.
"Bene. Dico davvero. Mi avete tolto un grosso peso dal cuore." disse sarcastica.
Sentì Alex ridacchiare dal fondo del soggiorno.
"Fai un piccolo sforzo e cerca di ascoltarci fino alla fine delle spiegazioni." Una delle mani di Simon si richiusero sul suo braccio e Azalya trattenne a stento un lamento di dolore. La ricondusse sul divano, sordo di fronte alle sue proteste.
Violet si affacciò ad una finestra, scostando un poco le tende. Alex, invece, passava avanti e indietro le mani sull'elsa, a forma di croce, della spada che gli aveva visto in precedenza.
"Bene." constatò Simon.
"Come ti ha detto Alex, i vampiri originariamente erano angeli." intervenne Violet, infilando le mani nei capelli. "Dunque, anche gli angeli esistono." insistette.
"Nessuno gli ha mai visti, però." obiettò Azalya, incrociando le braccia al petto.
"Nemmeno l'aria si vede, eppure sai che c'è." ribatté Alex.
"Gli angeli si sono ritirati da questo mondo. Stanchi del genere umano, hanno preferito esplorare nuove terre ai confini dell'universo conosciuto. Cerca di capire..." continuò Simon. "Lucifero era il loro fratello più amato, il più potente, il più deciso. Nulla poteva opporsi al suo volere, ma ciò non gli impedì di tradire il Padre, l'Autorità. Si innamorò di una fanciulla, un'umana, e ciò segnò la sua rovina. Fu la rovina di tutti gli angeli." Lo sguardo del ragazzo era distante, come se la sua mente cercasse di tradurre in immagini la rivolta che aveva sconvolto l'ordine celeste ma non ci riuscisse.
Azalya rilassò i muscoli, assaporando suo malgrado la vicenda che gi veniva raccontata. C'era una parte di lei-una minuscola parte- che riusciva ad afferrare l'immagine di una cascata di piume smeraldine. Piume, leggere come petali di fiori, che si posavano sul capo di una lei bambina.
"Le schiere degli angeli si divisero in due. Un gruppo appoggiò Lucifero, l'altro il fratello gemello, Michele. La guerra fratricida minacciava di estinguere gli angeli e il Padre decise di esiliare Lucifero sulla Terra, impedendo a lui ed ai suoi seguaci di poter tornare nell'Eden.
Inizialmente, ciò non fu un problema. I Caduti amavano il genere umano ed insegnarono agli uomini ciò che loro avevano appreso nel Paradiso."
Simon si interruppe e toccò a Violet riprendere a raccontare la storia. "Tuttavia, ben presto, la Caduta si rivelò essere anche una maledizione. Per sopravvivere gli angeli si ritrovarono costretti a strisciare nelle tenebre ed a nutrirsi di sangue umano."
"Come i vampiri." non riuscì a trattenersi dal dire, Azalya.
"Alcuni cominciarono ad odiare gli esseri dai quali, ora, dipendeva la loro sopravvivenza. Persero il controllo. Uccidevano per divertimento, ignorando apertamente le leggi che aveva imposto Lucifero."
Simon poggiò la schiena alla poltrona, gettando di tanto in tanto qualche sguardo in direzione di Alex.
"Rispondendo alle suppliche del genere umano, Michele guidò gli angeli contro i Caduti e la loro progenie demoniaca. Poco a poco, però, nel
corso dei secoli gli angeli si ritirarono, abbandonando nuovamente i mortali." concluse Violet.

"Alle loro spalle si lasciarono un manipolo di nephilim che si fecero carico del compito di custodire il mondo dalla minaccia rappresentata dai demoni."
Azalya rimase in silenzio, mentre nella sua mente scompariva nel buio l'ultima traccia delle piume che l'avevano avvolta in precedenza. Si ritrovò a sbattere più volte le palpebre, nel vano tentativo di riafferrare quell'immagine dai contorni confusi.
"Tra noi, ci chiamiamo Cacciatori."
Violet le allungò dal lato opposto del tavolino una ciotola di ceramica contenete qualche caramella e lei ne ingoiò immediatamente una.
"Io non faccio parte di questo noi." ci tenne a sottolineare Azalya.
"Basta così!" esclamò Alex. "Si sta facendo tardi. Non possiamo perdere una serata di caccia per questa ragazzina."
"Ho diciassette anni." sbottò infastidita.
"Davvero?" lui sembrò stupito dalla notizia. La spada appoggiata al caminetto scivolò sul pavimento provocando un leggero tintinnio.
"È fondamentale che lei capisca." riprese la parola Simon, che tra tutti sembrava il più calmo e riflessivo.
Azalya si alzò in piedi, furente di rabbia. "Ne ho abbastanza!" annunciò. Si lanciò sull'elsa dell'arma e la afferrò senza troppi problemi, portandosela davanti al petto.
Alex aveva gli occhi spalancati per la sorpresa, mentre Simon urlò qualcosa in direzione di Violet.
Tenendo alta la spada, Azalya indietreggiò verso l'uscita. Sbatté contro un pianta e il contenuto del vaso si sparpagliò sul pavimento.
"Abbassa la spada, Azalya." la voce di Violet era calma, ma c'era una punta di panico nella voce.
Dalla finestra, la luce del sole stava calando di intensità, segno che era già pomeriggio inoltrato. Il richiamo di alcuni piccioni, la resero improvvisamente consapevole dell'arma che stringeva tra le mani e del piacevole calore che emaneva, quasi fosse stata viva.
"Ora me ne vado e dimenticherò di avervi incontrati." avvertì, puntando la spada contro Simon che le si era avvicinato. "Non provate a fermarmi se non desiderate assaggiare il metallo di questa spada."
"Non l'hai nemmeno tolta dal fodero." la provocò Alex.
Azalya lo ignorò, tastando la porta alla sue spalle e cercando di trovare la maniglia.
"Quella non è l'uscita." la informò, nuovamente, Alex guardandosi annoiato le unghie.
"Stai zitto, Alex!" risuonò la voce cristallina di Violet.
Era davvero agitata, anche se ad Azalya sfuggiva il motivo di tutta quell'ansia.
Le mani cominciarono a sudarle e anche i muscoli delle spalle diedero i primi segni di cedimento per lo sforzo di mantenere alzata la lama. Era evidente persino a lei che non avrebbe potuto resistere ancora a lungo, malgrado la spavalderia mostrata.
Simon le si era avvicinato di nuovo e per allontanarlo Azalya fece fare alla spada un movimento oscillatorio che colpì il cacciatore ad un braccio.
"Simon!" strillò Violet, lanciandosi sul compagno e facendogli da scudo con il suo corpo. Azalya indietreggiò ulteriormente. Il silenzio era rotto solo dai suoi respiri accelerati.
Fu allora che la stanza cominciò ad illuminarsi come se tutte le luci del soggiorno avessero convogliato la loro luce in un unico punto.
Socchiudendo gli occhi, lei vide Alex mentre sembrava diventare, a tutti gli effetti, una torcia umana. Guardarlo era doloroso, ma Azalya non riusciva a staccare gli occhi da quanto stava avvenendo.
Era come immergersi nella luce del sole o delle stelle. La pelle del ragazzo divenne bianca come il latte e gli occhi grigio-azzurri mutarono in un celeste più chiaro.
Azalya fece cadere la spada a terra, tremante dal desiderio di poter sfiorare il viso del cacciatore e al tempo stesso dal terrore che quella visione le stava mettendo addosso.
"Alex!" l'urlo paralizzante con cui lo chiamò Violet, mise fine al silenzio in cui erano stati avvolti fino a qualche secondo prima. Alex però non diede segno di averla sentita e dalla schiena, poco sotto le spalle, cominciarono a spuntare delle ali.
Candide ali angeliche, le cui piume tremavano come foglie in balia del vento. Apparivano fragili, come fiori sbocciati prima del tempo.
Azalya spalancò la bocca, ma non un suono le fuggì dalle labbra. Constatò che era come trovarsi seduti in un cinema, davanti ad uno schermo gigantesco ad osservare la metamorfosi di un attore avvenuta grazie all'aiuto degli effetti speciali.
Solo che l'effetto risultava molto più potente, reale e nitido.
La luce che aveva avvolto Alex, cominciò a diminuire poco alla volta e il ragazzo tornò ad assumere le precedenti sembianze umane, ad eccezione delle enormi ali che occupavano buona parte del piccolo soggiorno.
In qualche modo, Azalya capì che le stava tenendo vicino al corpo per evitare di compiere ulteriori danni alla casa.
Lei deglutì, ora spaventata, e distolse lo sguardo. Le iridi blu notte di Simon stavano seguendo i suoi movimenti, ma quelle di Violet erano concentrate sulla figura angelica stagliata sullo sfondo della finestra.
All'improvviso lei la osservò mentre un tremito incontrollato la squassava da capo a piedi. Simon abbracciò Violet da dietro, cercando di calmarla con parole sussurrate all'orecchio, ma nulla sembrava avere effetto.
"Che diav..." le parole le morirono in gola.
Alex le si stava avvicinando e Azalya, camminando attaccata al muro, finì con il crollare su un tappeto, in ginocchio. Gattonò velocemente verso il divano che aveva superato e sussultò quando alcune piume di lui le sfiorarono le pelle.
Tuttavia, il ragazzo la ignorò e dopo aver afferrato la spada oltrepassò la prima porta che lei aveva scambiato per l'uscita.
Il sorriso ironico che Alex aveva sul volto sembrava dirle: "Ci credi ora, ragazzina?"

 

***

  

"Sarai soddisfatto, Vanhel!" esclamò Alex, aggirandosi infastidito attorno ad una vecchia scrivania. Le ali gli impedivano certi movimenti ed erano fastidiosamente pesanti. "L'hai terrorizzata a morte, presentandoti a lei ricoperto di sangue!" Le piume strisciarono sul pavimento e lui fece una smorfia. Era troppo inesperto per riuscire a ritirare le ali subito dopo averle materializzate.
La figura longilinea di Vanhel, si decise a voltarsi verso di lui e Alex rabbrividì. Non gli era mai piaciuto Vanhel, con quei suoi atteggiamenti ambigui e spesso insopportabili. Non era un nephilim, quello lo sapeva, ma non era nemmeno umano. La sua brutalità, quando combatteva con i vampiri non aveva eguali. In ogni caso, era grazie a Vanhel se lui, Simon e Violet erano riusciti a trovarsi.
L'uomo fece un gesto stizzito con la mano. "Cosa puoi dirmi del nuovo Master?" quasi ringhiò, mentre pronunciava quelle parole.
"Professione: attore. Età: indefinita. Simpatia: Zero." ironizzò, giocherellando con un fermacarte. Vanhel grugnì, infastidito. "Ha capito chi ero non appena mi ha visto e mi ha fatto inseguire per mezza New York da un gruppo di giornalisti assetati di gossip."
"Informazioni irrilevanti." lo ammonì l'altro.
Lui fece per dirgli che non aveva affatto apprezzato quell'inseguimento gratuito, ma il peso delle ali lo infastidiva e quindi non replicò. "Non sembra il figlio di un leader." commentò. Le piume frusciarono su un mucchio di carte finite a terra.
Vanhel serrò la mascella e una ciocca bianca gli scivolò sopra gli occhi. "Tu, cerca di tenerlo d'occhio."
Alex annuì con un sospiro insoddisfatto. "Hai ricavato notizie utili dai tuoi... prigionieri?" gli domandò. Doveva pur aver scoperto qualcosa, dopo aver fatto un bagno nel sangue di vampiri!
L'altro gettò uno sguardo ai suoi vestiti, poi alle ali che lui si trascinavano sul tappeto. "Ci servono tre delle tue piume." disse semplicemente.
"Perché?" chiese Alex guardingo.
"Dovrai andare a parlare con la Regina della Corte Unseelie e questo è il pedaggio richiesto per attraversare il Confine."
Alex si irrigidì. "Vuoi mandarmi lì?" tuonò furibondo. Vanhel sapeva benissimo cosa significava per lui avere a che fare con quelle creature. "Perché non mandi Simon? Perché non ci vai tu?" gridò, sbattendo un pugno sulla scrivania.
"Le fate sembrano avere una predilezione per la tua... famiglia." pronunciò quell'ultima parola con vena critica.
Il nephilim strinse i pugni, cercando di soffocare l'ondata d'odio che lo travolse. "Spero che il sangue sia stato di tuo gradimento." sibilò, strappandosi con rabbia tre candide piume dalle ali. Un lieve bruciore si propagò in quel punto, ma lui strinse i denti con rabbia
Vahnel ghignò, rivelando i due denti dorati. "I vampiri sono poco collaborativi, lo sai." replicò per nulla infastidito dal suo comportamento. "Ma noi dobbiamo sapere cosa fare, per poter stanare Chimera. Desidero ucciderla con le mie stesse mani se ne avrò la possibilità." rivelò emozionato. A lui sembrò che quell'uomo potesse provare un qualche tipo di sentimento solo quando si parlava di dare la caccia a dei demoni.
Alex si diresse verso l'uscita con la mano ben ferma sull'elsa della spada.
"Tieni la schiena più dritta." gli ordinò Vanhel con tono autoritario. "Non puoi trascinare le ali a quel modo." Lui si chiese se fosse gelosia quel sentimento che colse dalla sua voce.
"Dunque come si chiama, questa nuova nephilim?" domandò l'uomo.
"Ti interessa veramente?" Alex fece schioccare la lingua sul palato e senza attendere una sua eventuale risposta se ne andò. Le ali sfumarono dalla sua schiena, lasciandogli per qualche minuto i muscoli indolenziti.
Ebbe quasi l'impressione che la spada celeste sulle spalle potesse schiacciarlo con il suo peso.
Azalya.
Quel nome... Sembrava appartenere davvero ad un demone.

 

 

 
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Note: Sorry, sorry, sorry!
Sono in tremendo ritardo anche se il capitolo era pronto, ma ultimamente il mio tempo libero è ridotto al minimo T.T Per farmi perdonare cercherò di pubblicare il prossimo entro una decina di giorni!
Capitolo interamente dedicato ad Azalya, dato che era necessario inserirlo, ma dal prossimo Sebastian tornerà u_u
Cosa ne pensate per ora di questo gruppetto nephilim? Fatemi sapere ;P
By Cleo^.^


 

 


 

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Capitolo 13
*** Secondo Atto: Un sosia perfetto ***





  Seconda Atto:
Patto di Mezzanotte

 

  

 12

*≈*≈*≈*≈*≈
Un sosia perfetto

 

 

È ovvio che mi sarei dovuto liberare di te,
avrei dovuto cacciarti via, scuoterti via dalla mia vita
come un uomo scuote dai propri vestiti una cosa che lo ha punto.
{Oscar Wilde}

 

 

 

Era stato facile per Sebastian mettersi in contatto con Adrian. Era bastata una veloce telefonata al Trinity e il vampiro si era presentato alla sua porta con Pierre al seguito.
Entrambi avevano il volto stanco e provato e Sebastian si chiese se anche il suo apparisse a quel modo. Aveva passato la mattinata ed il pomeriggio ad ascoltare telegiornali e ad elaborare un piano d'azione, ma ora che il sole si era immerso nel buio della notte era il momento di agire. Era fondamentale distrarre l'opinione pubblica e al tempo stessa quella di Naamah.
Li fece accomodare nel salotto, dove Jennifer li stava già aspettando.
Notò che l'attrice sembrava essersi ripresa piuttosto bene dalla loro ultima discussione. Le labbra di Jen erano ancora gonfie dopo il bacio che le aveva dato, ma il volto manteneva un'espressione neutra. I capelli erano acconciati in uno chignon pieno di spilli, mentre alcuni ciuffi le scivolavano lungo il collo.
Dalla posizione in cui teneva le spalle, lui dedusse che quella resa apparente era solo temporanea. Jennifer gli aveva promesso il suo aiuto e glielo avrebbe dato.
Lealtà. Sebastian considerò che quello era un valore che era riuscito a insegnarle molto bene.
Quando tutti si furono sistemati sorprese l’attrice mentre si lisciava le pieghe della gonna che si era comprata quello stesso pomeriggio. Una frivolezza che lui ignorò. 
"Siete davvero simili." gli sussurrò Jennifer quando il principe tedesco le passò davanti. L’attrice teneva gli occhi puntati su Adrian, dunque non si accorse delle occhiate maliziose che le stava lanciando Pierre.
"Quindi è lei." bisbigliò il francese.
Sebastian si sedette su una poltrona e allungò le gambe verso il tappetto. "Jennifer sa tutto." affermò con un sospiro. "È cresciuta con me da quando aveva sette anni." spiegò, rivolgendosi ad Adrian.
"Le ha concesso un grande onore, Master." osservò Pierre, mentre il suo sguardo indugiava un po' troppo sulle gambe di Jennifer.
"Pierre!" lo richiamò lui all'ordine.
Adrian sorrise appena, ricordandogli la sua stessa espressione.
"Lieto di fare la vostra conoscenza, Madame." Pierre si sporse in avanti per stringere la mano di Jennifer. "Pierre De Lancourt. " si presentò.
L'attrice ricambiò la stretta, ma i suoi occhi continuarono a guizzare da Sebastian ad Adrian.
Al centro del tavolino di vetro,  il vaso contenente dei fiori si crepò lungo la superficie. Sebastian si affrettò a distogliere lo sguardo da quel punto e si massaggiò il collo. Si era reso conto che lo stress accumulato in quei giorni minava il suo autocontrollo, necessario per mantenere la stabilità sui suoi poteri.
"Adrian Von Hohenfels." Si esibì in un inchino il principe tedesco. "Terzo." aggiunse subito dopo.  
Sebastian si domandò se fosse il caso di informare i due vampiri che aveva già raccontato a Jennifer della loro esistenza. Allungò una mano dietro la testa, non molto sicuro di come dover iniziare il dialogo.
La televisione al plasma, accesa ma privata del suono, stava rimandando le immagini degli ultimi istanti di vita di Wilfred. Tutti si voltarono verso il telegiornale, ma solo Jennifer si mostrò turbata da quella visione.
"Mi assumo io la colpa per quanto accaduto." intervenne Pierre alzandosi in piedi. "Avrei dovuto tenerlo d'occhio." proseguì. Dalla postura rigida del suo corpo si poteva intuire che in gioventù il redivivo aveva ricevuto degli insegnamenti militari. Era avvenuto più di due secoli prima, a Parigi, ma la sua mente non aveva dimenticato quel periodo. "Accetterò la vostra punizione, Master." concluse il vampiro.
Con la coda dell'occhio, Sebastian vide Jennifer sobbalzare e portarsi una mano alla bocca. Evidentemente, non le doveva piacere molto l'idea che lui impartisse una punizione.
"Fai bene a prenderti le tue responsabilità." sbottò Adrian. "La tua negligenza ha contribuito a rendere di opinione pubblica l'esistenza della nostra razza."
Pierre incassò l'accusa senza reagire. Per uno come lui, abituato a feste e sangue conservato in botti di legno, doveva essere stato piuttosto difficile ambientarsi in quel nuovo clima politico.
Adrian, invece, l'irritabile principe tedesco che pensava esclusivamente ad un suo tornaconto personale, si trovava perfettamente a suo agio nel lanciare ordini in ogni dove. A Sebastian non appariva così strano, dunque, che Astaroth avesse scelto Adrian come suo amante e stretto collaboratore.
"No." Sebastian scosse la testa. "Naamah avrebbe comunque rivelato al mondo la presenza dei vampiri. Il suo messaggio era per mio padre."
"Quindi si tratta di una sfida." intervenne Jennifer pensierosa.
Lui voltò la testa nella direzione dell’attrice. Per un istante gli era sembrato che quella faccenda suscitasse l'interesse di Jennifer. Era perché lei avrebbe voluto essere come una di loro?
"Naamah possiede un grande impero finanziario." disse Adrian. "Si è fatta conoscere tra gli umani come Nadine Smith, ma non ha mai mostrato il suo volto in pubblico."
"Certo che no." lo interruppe Sebastian. Rispondendo agli sguardi dubbiosi dei compagni, continuò: "A Naamah piace assumere le sembianze
di un rettile. Raramente rivela il suo aspetto umano."

"Ora che ci penso..." Pierre prese a camminare in circolo lungo la superficie della stanza, passandosi nervosamente la mano sotto il mento. "I vampiri che ho inseguito insieme a Wilfred avevano il volto ricoperto da scaglie luccicanti. Sembrava pelle di serpente, ma credevo fosse una maschera."
"Allora la situazione è più grave di quanto avevo sospettato." commentò Sebastian.
Jennifer si diresse verso l'armadietto degli alcolici e si riempì un bicchiere con del whisky. "Cosa vuoi dire?" Lo bevve tutto d'un fiato.
"Vacci piano, Jen" le raccomandò lui con una smorfia. Adrian emise dei versi soffocati di apprezzamento per quell’esibizione.
In tutta risposta lei gli mostrò la lingua e Sebastian si dovette trattenere dal riprendere il suo comportamento infantile di fronte agli altri vampiri.
"Naamah sta creando un esercito di redivivi." li informò.
"Tutto qui?" sogghignò lei, raggiungendolo alla poltrona. Si sedette sul bracciolo, lasciando una gamba a penzolare nel vuoto.
Infastidito da quel comportamento, Sebastian si alzò in piedi e la costrinse a prendere il posto che aveva occupato fino a un attimo prima. Adrian le strizzò l'occhio.
"Non di vampiri normali." puntualizzò. "Naamah li nutre con il suo sangue."
Pierre lo guardò senza capire. "Li rende più forti, più veloci dei vampiri appena creati. Il suo sangue li rinforza, accelerando il processo di trasformazione."
"Spiega come mai sono riusciti a sfuggirmi." considerò Pierre.
Adrian si portò un braccio all'altezza degli occhi, quasi avesse avuto bisogno di studiare i muscoli o i tendini che gli permettevano il movimento. "E la pelle da serpente?" domandò.
"Un effetto collaterale per chi ingerisce il suo sangue." Spiegò Sebastian. “I redivivi finiscono con l’assomigliarle fisicamente.”
"Non ho mai sentito di Master che permettano a vampiri di recente creazione di ottenere nutrimento dal loro sangue." dichiarò Pierre, tornando a sedersi sul divano. "Bhe..." si corresse. "Nemmeno che lo concedessero a vampiri più anziani."
Jennifer ridacchiò, ma Sebastian fece schioccare nervosamente la lingua sul palato.
Da qualche parte, nella sua mente c'era l'immagine di un Semiael agonizzante che invocava la morte. Gli costò un grande sforzo di volontà, tornare a concentrarsi sul presente.
"In ogni caso, ciò non spiega perché Naamah abbia voluto informare il mondo umano della nostra presenza." replicò Adrian. "Che vantaggio ne può ottenere?"
"Ha ottenuto delle pedine." commentò Pierre, che stava sfogliando una rivista di moda di Jennifer.
"Pierre ha ragione. Per creare un esercito di redivivi servono corpi umani e per mantenere un esercito di vampiri occorre sangue." Sebastian arricciò l'orlo della camicia fino ai gomiti.
"Molto sangue." sottolineò Jennifer allarmata.
"Ha ottenuto l'attenzione dei governi facendo credere di aver giustiziato un temibile killer vampiro." considerò lui. A giudicare dallo sguardo che Sebastian scorse sui loro visi, tutti loro stavano ricordando l'esecuzione di Wilfred.
Pierre chinò lo sguardo sul giornale, contemplando l'ultima collezione di capi d'abbigliamento maschili realizzati da Armani. Borbottò qualcosa in francese, guadagnandosi una pacca sulla schiena da parte di Adrian.
"La maggior parte della popolazione americana si è proclamata favorevole alla convivenza. Gruppi di persone si riuniscono in ogni punto di New York, offrendosi volontarie come donatori di sangue." spiegò Sebastian.
"Concedono intenzionalmente il loro..." Era stata Jennifer ad esporre con una certa dose di incredulità quella frase.
"E tutto questo in meno di ventiquattro ore!" C'era una mal celata soddisfazione nel commento di Pierre, che fece impensierire Sebastian.
"Naamah mira ad ottenere consensi. Un'astuta mossa politica." Adrian si passò una mano tra i capelli, ed una ciocca, chiara come spighe di grano, gli scivolò sugli occhi.
"Sì, Naamah è la personificazione della scaltrezza. Ha costruito il suo impero con l'inganno. Un tempo, la Cina era la sua dimora. Sfida le leggi di mio padre e costringe me a fare le sue veci, illudendosi di riuscire ad ottenere in tal modo il titolo di Master."
"L'avete conosciuta, Master?"
Sebastian voltò appena la testa in direzione di Pierre. "Ho avuto questo onore e questa sfortuna. Non è piacevole avere a che fare con lei." tagliò corto.
Jennifer fece per replicare, ma bastò una sua occhiata per zittirla. "Cercherà di catturarti o, peggio, ucciderti." Il dito era puntato sull'attrice che impallidì visibilmente.
I redivivi voltarono la testa su di lei, fissandola come se avessero appena visto una preziosa opera artistica in balia delle intemperie.
"Cosa stai..." la voce di Jennifer tremò. "Cosa stai dicendo, Sebastian?" Aveva perso l'aria annoiata e quasi divertita che come una maschera aveva indossato fino a qualche minuto prima.
"Non l'ho detto in precedenza per non farti preoccupare inutilmente, Jen." Si difese Sebastian, con una scrollata d spalle. Sospirando le si avvicinò, accucciandosi di fronte alla poltrona e stringendole le mani. "Naamah tenterà di colpirmi in ogni modo possibile. Tu sei l'anello debole della mia catena."
Se fosse stato Semiael a parlare, si sarebbe scavato una fosse dove nascondersi per l'umiliazione dell'aver rivelato la breccia delle sue difese, ma Sebastian si limitò ad intensificare la stretta sulle mani di Jennifer.
"Sebastian..." mormorò lei, con la stessa intensità che utilizzava quando era bambina.
"Ti terrò al sicuro, Jen. Sai che lo farò." La vide annuire con immediata sicurezza, sebbene un tremore mal nascosto la percorse dalla testa ai piedi.
"Adrian ti seguirà per proteggerti. Ti avevo avvertito che avrei trovato una guardia del corpo."
"Si fingerà te." aggiunse l'attrice. Lei distolse lo sguardo, puntandolo su Adrian che sembrava disorientato dalla notizia, ma che tuttavia rimase in silenzio. "Ma Clelia, lei potrebbe..." Jennifer si fermò prima di concludere la frase.
Sebastian si staccò da lei, la mascella serrata e gli occhi irrequieti. Si rimise in piedi, eludendo quelle parole con un cenno secco del capo. Nessuno doveva sapere dello strano legame che sembrava avere con l'orologiaia.
"Chi è Clelia?"
Sebastian si voltò verso Adrian, chiedendosi all'improvviso se quella mancanza di rispetto dovesse essere punita. Suo padre lo avrebbe fatto. Nessun redivivo poteva intervenire a quel modo solo per poter soddisfare la sua curiosità.
"Nessuno." lo liquidò sbrigativamente.
Lui sembrò essere ferito da quel comportamento. Adrian era stato un principe ereditario tedesco e cresciuto come tale. Non doveva piacergli essere tenuto all'oscuro di certe informazioni. Dopotutto, come amante di Astaroth era probabile che fosse sempre al corrente di quanto accadeva nella società segreta dei vampiri. A differenza di Pierre, addestrato come un soldato obbediente e devoto, lui era nato per comandare, non per essere comandato.
Sebastian si ritrovò a pensare che Adrian era simile a lui non solo per l’aspetto fisico. "Nessuno di cui dobbiamo preoccuparci." si affrettò ad aggiungere, ripensando all’orologiaia.
"Comprendo." fu la pacata risposta di Adrian.
Lui lo guardò chinare il capo in segno di rispetto.
Pierre sussurrò qualcosa rivolto al lavoro di qualche stilista e si diresse verso la collezione di cd di musica classica. Le sue mani sfioravano le copertine di plastica rigida, soffermandosi di tanto in tanto su qualche titolo in particolare.
"Jennifer, occupati di Adrian. " ordinò Sebastian.
"Cosa significa?" chiese l’altro vampiro, in una domanda più che legittima.
"Adrian Von Hohenfels." esordì lui, schiudendo le labbra in un sorriso compiaciuto. "Prenderai il posto di Sebastian Walker."

 

***

 

"Mi dispiace." Jennifer ripose le forbici sul tavolo ed osservò dallo specchio il lavoro che aveva realizzato. Adrian non le rispose, invece si sfiorò una ciocca di capelli, ora neri e non più biondi.
L'attrice si morse il labbro, dispiaciuta e frustrata per quanto stava avvenendo. Aveva sempre saputo di essere un peso per Sebastian, ma comprendere di essere anche una facile preda per i suoi nemici era qualcosa che non riusciva a sopportare.
Adrian alzò il capo in un'espressione così contrita che Jennifer fu costretta a distogliere lo sguardo. Al vampiro non era affatto piaciuto il cambio di look. Capelli biondi e neri si mischiavano sul fondo del lavandino e un perfetto sosia di Sebastian era a pochi centimetri da lei. A differenza del purosangue, però, Adrian emanava una sensazione di maggiore serenità a chi gli stava attorno. Non aveva lo sguardo distante e inquieto di Sebastian e i movimenti erano più fluidi, non possedevano la studiata eleganza e raffinatezza del Master di New York.
L'incarnato era meno pallido e la postura meno rigida.
"Non dispiacerti. Sono lieto di poter essere utile." Non c'era traccia di rimprovero nelle sue parole e Jennifer ne fu grata.
"Sembrate gemelli." Azzardò lei, mentre cominciava ad asciugare la chioma mora.
"Il piano prevede che io prenda il posto di Sebastian al tuo fianco per far credere a Naamah che le sue azioni non abbiano significato nulla. Nel frattempo il vero Sebastian avrà il tempo necessario per scoprire dove si trova il luogo in cui Nadine Smith nasconde se stessa e il suo presunto esercito."
"Già." commentò Jennifer, che non si era resa conto di tremare, finché non spostò lo sguardo sullo specchio. "E per saperlo è disposto a fare un patto con il popolo fatato. Le fate..." bisbigliò, ricordando le numerose leggende che circolavano su quelle creature.
"È un buon piano." la rassicurò Adrian, voltandosi con la sedia verso di lei.
"Se funziona." le sfuggì in un sussurro.
Adrian sorrise, ma c'era qualcosa che stonava in quell'espressione, anche se Jennifer non seppe dire a cosa fosse dovuto.
"Adrian..."
"Sì?" lo vide inclinare la testa sulla spalla, e lo avrebbe scambiato davvero per Sebastian se non avesse saputo la verità.
"È da quando ti ho visto che mi chiedo perché hai deciso di rimanere a New York dopo la morte di Astaroth." Afferrò una ciocca dei suoi capelli, la arrotolò su un pettine e accese il phone.
Tracce di colore le sporcarono le mani, ma lei non ci prestò molta attenzione. "Sebastian dice che non provavi molta simpatia per lui."
"Tu cosa credi?"
"Che sei un vampiro sufficientemente vecchio da poter diventare Master, se solo lo volessi."
Lui sembrò pensarci per un istante, quasi stesse cercando le parole più giuste con cui rispondere. "L'età non è il fattore fondamentale per poter ambire ad essere Master." le comunicò, spostando i bracci sui braccioli della sedia girevole. "In ogni caso." continuò. "New York è una città che offre molti stimoli e per un vampiro è fondamentale trovare una valvola di sfogo alla noia."
"Non mi sembri annoiato." obiettò Jennifer, assaporando il suo profumo d'acqua di colonia che come una nuvola avvolgeva il redivivo.
"Non lo sono." replicò lui, afferrandole il polso.
Jennifer sussultò, mentre rapida lo vedeva chinare il capo sulla sua mano e baciarle il dorso.
"Dall'epoca da cui provengo, mi hanno insegnato ad essere educato con le signore." Dischiuse le labbra, rivelando il bianco luccicante dei canini.
Jennifer deglutì mentre un lieve rossore le imporporava le guance. Si chiese se quella considerazione l'avesse detta ricordando il modo in cui Pierre l'aveva studiata con interesse fino a poco prima. Gli occhi blu notte di Adrian seguirono i suoi fino ad una cornice che recava una fotografia con lei e Sebastian in visita a Mosca. Ricordò, con una fitta di nostalgia, che erano andati in viaggio in Russia l'estate del suo ventesimo anno di vita, per festeggiare quell'evento.
"Eri sposato?" La curiosità ebbe la meglio sul suo buon senso, ma era la prima volta che incontrava un vero vampiro che non fosse Sebastian. Lui preferiva tenerla lontana da quel mondo fatto di sangue e oscurità.
"Come?" lo vide esitare, sorpreso per quella richiesta e si accorse anche di qualcos'altro. I tratti di un dolore a lungo trattenuto erano così visibili nelle sue espressioni che lei subito si pentì per avergli posto quella domanda così personale.
"Sì, mi sono sposato all'età di sedici anni." Non disse altro sul suo passato e lei non replicò.
I capelli ormai erano asciutti e Jennifer si fece da parte per farlo passare. Erano quasi le sette di sera e anche lei doveva finire di prepararsi per la conferenza stampa con i giornalisti. Una parte di lei era ansiosa di dare l'annuncio solo per vedere la reazione dei giornalisti, l'altra metà non riusciva a capacitarsi di come avrebbe potuto dire una simile menzogna senza provare il minimo rimorso. Si morse il labbro.
Lo stava facendo per il bene di Sebastian, si ricordò, e per il suo. Annunciare una finta gravidanza, avrebbe attirato l'attenzione dei giornali scandalistici e distolto una parte della popolazione dalla rivelazione sui vampiri. La fama di Sebastian Walker era talmente nota che tutte le adolescenti americane ed europee sarebbero rimaste incollate costantemente a google per scoprire le ultime novità sul loro presunto fidanzamento e bambino.
Era una fortuna che per qualche misterioso motivo, Naamah non avesse voluto rivelare la vera identità dell'attore. Forse, era tanto sicura di sé e sulle sue possibilità di vincere che l'ultima delle sue preoccupazioni era il doversi occupare di una sciocchezza come quella.
Dopotutto il mondo era in fermento, ma per quanto furba Naamah aveva dimenticato una cosa fondamentale. Non c'era nulla, che la popolazione del ventunesimo secolo amasse più di una notizia di gossip.
Gli esseri umani erano curiosi per natura. Anche i suoi genitori erano stati curiosi.
Avevano voluto esplorare la cima di una montagna svizzera nel bel mezzo di una tormenta di neve, alla ricerca di un antico maniero, ma l'unica cosa che avevano ottenuto era stata una morte rapida.
Una volta si era fatta portare da Sebastian al presunto luogo in cui doveva erigersi il castello. Avevano trovato solo le rovine di un vecchio ponte e lei aveva avuto un attacco d'ansia così violento che lui aveva dovuto ipnotizzarla per riuscire a tranquillizzarla.
"Non parlare troppo o i giornalisti riconosceranno la tua voce." rammentò ad Adrian, mentre lo seguiva in soggiorno.
"Nel qual caso, userò i miei poteri per fargli credere il contrario."
Certo. Jennifer non aveva pensato a quella possibilità, ma era abbastanza ovvia come soluzione.
Quando varcarono la porta del salotto, trovarono solo Sebastian ad attenderli. Il vampiro era di spalle e sembrava stesse cercando di vedere qualcosa tra le ombre del giardino.
Quando si voltò i suoi occhi si spalancarono per lo stupore e Jennifer superò Adrian per fargli ammirare l'ottimo lavoro che aveva fatto.
"È..."
"Perfetto." completò lei al suo posto, fiera del risultato ottenuto.
"Non ancora." la interruppe Sebastian che si era avvicinato ad Adrian per porgergli una piccola scatoletta di lenti.
Senza dire nulla, Adrian ne estrasse un paio di colore grigio e le infilò agli occhi.
"Straordinario. Il colore non è proprio lo stesso, ma dubito che qualcuno possa notare la differenza." la voce di Sebastian era calma, come se Adrian con quella trasformazione fosse riuscito a levargli dalla mente una delle tante preoccupazione che la affollavano.
"Credo che quando questa storia sarà finita…" esordì Adrian, schioccando la lingua. "Avrò diritto ad un piccolo favore."
La mascella di Sebastian si irrigidì per un istante, ma i suoi occhi rimasero limpidi e chiari come la superficie ghiacciata di un lago. Impenetrabili perfino a Jennifer che credeva di conoscerlo come nessun altro al mondo.
Naturalmente, però, era un'illusione. Fino al giorno prima lei non sapeva nemmeno che Sebastian avesse una madre -che l'aveva chiamata per avere il numero telefonico del figlio- o che suo padre fosse il sovrano dei vampiri, facendo di Sebastian una specie di erede al trono. Avrebbe voluto discutere con lui di quelle questioni, ma era evidente che problemi più importanti dovessero avere la sua completa attenzione.
"Così simili..." farfugliò lei, camminando intorno ai due vampiri. Sfiorò la mano di Sebastian e lui la afferrò, lasciandola andare poco dopo.
"Andrà tutto bene Jen. Non ti accadrà nulla." le ripeté lui per l'ennesima volta, con l'intento di rassicurarla.
Ma lei non aveva paura, non per lei almeno. Era Sebastian quello che correva i rischi maggiori e con Adrian al suo fianco lui aveva un vampiro in meno su cui contare.
Con un sorriso forzato e un gesto frettoloso della mano, liquidò la faccenda sul nascere. Riempì nuovamente un bicchiere con del whisky e lo sorseggiò con fare nervoso. Era maggiormente agitata per l'annunciò che stava per dare, che per la minaccia rappresentata da Naamah. Era ridicola.
"Tu cosa preferisci? Un bambino o una bambina?" Sebastian la guardò senza capire e lei lasciò scivolare il contenuto ambrato del bicchiere nello stomaco.
"Meglio un maschio." intervenne Adrian, evidentemente più sveglio di Sebastian da quel punto di vista. "Le fan impazziranno per un piccolo Walker."
"Non ci sono dubbi." replicò, allora, Sebastian ghignando.
Jennifer sbuffò, passandosi una mano sul ventre piatto. "Saranno nove mesi particolarmente intensi." ironizzò, soffocando un colpo di tosse che le era salito alla gola.
"Oh." la rassicurò Sebastian puntando lo sguardo in quello del suo gemello. "Non sai quanto." E Jennifer seppe con certezza che quella situazione lo divertiva e irritava al tempo stesso.
"Spero solo di non perdere la linea. La cerimonia degli Oscar si avvicina." Concluse lei, gettandosi teatralmente sul divano e facendo scivolare una mano sulle gambe.
"Non sei mai stata portata per le tragedie, Jen." aggiunse Sebastian con fare sconsolato.
"Nemmeno tu per le commedie." replicò cauta.
"Credo che Shakespeare avrebbe avuto qualcosa da dire su questa osservazione." disse lui, pensieroso.
Lei arricciò le labbra, perplessa. "Dov'è Pierre?"
"L'ho mandato a pattugliare le strade della città, mentre io mi dirigerò alla Corte Unseelie. Se c'è qualcuno in grado di sapere dove si nasconde Naamah e la Chimera, quello è il popolo fatato." L'espressione di Sebastian si era fatta distante e lei si chiese se stesse pensando ai segni del morso che in precedenza era comparso sul suo braccio. Se era stata davvero opera di un fatato, allora era possibile che anche Clelia si trovasse in una delle Due Corti o che avesse incontrato un membro di quella razza.
"Dove puoi trovare le... fate?" esitò, su quell'ultima parola.
Adrian si voltò verso di lei. "Un passaggio per il loro Reame si trova a Central Park. Chiederanno un pedaggio." le spiegò.
"Devi proprio chiedere il loro aiuto?" si lamentò, avvicinandosi a Sebastian.
Il vampiro scrollò le spalle. "Preferisco avere un debito con loro che con Nevhiel." tagliò corto. "Lui è fin troppo instabile. In passato, diede fuoco a Roma per liberarla da umani e nephilim. Fu un disastro, anche se personalmente non assistetti allo spettacolo. Preferirei evitare che un destino simile tocchi pure a New York."
"Dove eri quando Roma bruciò?" gli chiese, Adrian, incuriosito.
In tutta risposta, Sebastian lo gelò con lo sguardo. Jennifer sapeva -anche se non ne conosceva il motivo- che il Master della città detestava parlare di quel passato così distante. Non si era mai azzardata a chiedergliene il motivo.
"La curiosità uccide il gatto." commentò, infine, Sebastian.
Jennifer interpretò la frase come un invito per Adrian a rimanere al suo posto. "Credo che sia tempo per noi due di avviarci alla conferenza stampa." intervenne lei, prima che la situazione degenerasse. "Adrian?" chiamò.
"Vedi che non le accada niente." concluse lapidario, Sebastian.
Lei si morse la lingua e lo osservò, mentre con movimenti agili e aggraziati li abbandonava uscendo dalla finestra.

 





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Note: LOL Sono pessima, me ne vergogno, ma ho avuto parecchio da fare in questo periodo.
Ad ogni modo dal prossimo capitolo si entra nel vivo della vicenda e incontrerete potenziali personaggi di Contratto di Sangue ;P Non vi anticipo nulla! u_u
Voi cosa mi raccontate? Chi preferite tra Adrian, Pierre e Sebastian?
By Cleo^^


 

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Capitolo 14
*** Questioni di fate, questioni di Nephilim ***



 

 

13
≈*≈*≈*≈*≈

Questioni di fate, questioni di Nephilim

 

 

 

Spesso ci indebitiamo con il futuro
per pagare i debiti con il passato.
{Kahlil Gibran}

 

 

Lo stretto sentiero di ciottoli, muschi ed erbe, che proseguiva in un viale rettilineo circondato ai lati da alte betulle dai rami spogli, terminava con un vecchio arco di pietra ricoperto da fitti strati di edera. Al suo fianco c'era una piccola fontana a forma di coppa, con un cigno di marmo al centro e dalla cui bocca usciva un rivolo d'acqua. Qualche piccione ed altri tipi di uccelli selvatici si erano affacciati sui bordi per abbeverarsi, ignari delle minuscole creature alte non più di trenta centimetri che facevano a gara per riuscire ad ottenere qualcuna delle loro preziose piume.
I pixie erano, tra i numerosi tipi di fate, i più fastidiosi. Piccoli, blu, con denti aguzzi e orrende ali da insetto erano quanto di più diversi da come venivano descritti nei film della Disney.
Sebastian li guardò con un moto di disgusto, mentre si azzuffavano tra loro per avere una delle piume catturate da un compagno. I versi che emettevano ricordavano quelli emessi da uno sciame di vespe.
Il vampiro emise un lungo fischio per ottenere la loro attenzione. I pixie si fermarono a mezz'aria e i loro occhi scuri puntarono nella sua direzione. Si avvicinarono a lui guardinghi, come a volersi sincerare delle sue intenzioni.
"Vampiro." esordì quello che aveva svolazzato fino all'altezza del suo volto.
"Ro-ro." gli fecero eco i compagni.
Sebastian digrignò i denti. Doveva sopportare quelle creature per ottenere il permesso di varcare il Confine, la barriera magica che separava il reame fatato da quello umano. Doveva parlare con qualcuno che potesse rivelargli il luogo segreto in cui si nascondeva Naamah e in genere le fate erano le creature a conoscenza di un gran numero di segreti. Tuttavia, lui detestava dover avere a che fare con loro. Non si sapeva mai fino a che punto ci si poteva fidare di quella razza.
"Cosa sei venuto a fare?" domandò il pixie, rivelando una fila di denti taglienti affilati come pugnali.
"Are-are."
Ignorò quella domanda. "Si è conclusa la guerra tra le due Corti?"
Il pixie lo guardò furente di rabbia, quasi che non rispondendo gli avesse arrecato un grave torto. "Sono giunte ad una tregua." lo informò con voce metallica.
Sebastian annuì, per nulla colpito da quella notizia. La Corte Seelie e la Corte Unseelie erano costantemente in lotta tra loro, ma nessuna aveva mai il sopravvento sull'altra. Le tregue erano numerose quante le battaglie. Nessuno che non fosse parte del popolo fatato era mai riuscito a capire l'origine dell'ostilità tra le due Corti e Sebastian sospettava che la motivazione si fosse persa all'alba dei secoli.
In genere le fate non si intromettevano nelle faccende dei mortali, ma sotto lauta ricompensa cedevano informazioni ed aiuto ai demoni che ne facevano richiesta. Per quanto ne sapeva lui, le fate avevano abitato il mondo prima dell'avvento degli uomini, ma si erano ritirate nei loro luoghi incantati con l'arrivo dei Caduti e degli angeli.
"Gua-gua." ripeterono come pappagalli i restanti pixie.
"Siete voi i guardiani del Confine?" domandò lui, allungando il braccio verso l'arco di pietra.
"Se siamo noi, noi. Esiliati, la guardia facciam." intonarono insieme i fatati, in una sgradevole cantilena dai suoni acuti.
La luce del lampione vicino tremò e si spense del tutto. Sebastian diede uno sguardo alle sue spalle; non c'era nessuno a Central Park. La popolazione probabilmente era occupata a seguire gli aggiornamenti sul "caso vampiri".
"Sono qui per pagare il pedaggio." comunicò loro. "Devo vedere il Reame." Si era recato nel Reame solo due volte prima di allora, ma la situazione senza precedenti creata da Naamah necessitava di essere risolta con velocità e prudenza.
Il pedaggio era sempre diverso. In passato, a lui erano stati chiesti un pugnale d'oro ed un cavallo dal manto bianco. Era curioso di sapere il prezzo che avrebbe pagato quella volta.
Un pixie dalle ali verdi si allontanò dal resto del gruppo.
"Dormono le regine nella valle silente.
Dove sono i loro re? Perduti negli abissi sono andati.
Scomparse son le loro armi. Armi.
Chi la corona ora porterà? L'infante senza trono ora la otterrà." canticchiarono, volando in cerchio attorno a lui.
Con gesti bruschi e irritati Sebastian cercò di disperderli. Il problema quando si aveva a che fare con i pixie era che loro non mollavano tanto facilmente la loro vittima. Alcune di quelle creature si misero a ridere. Una risata insopportabile che ricordava lo stridore dei freni dei treni sulle rotaie.
"Testa di serpente, corpo d'anguilla. Coda di leone, corna caprine.
Oh, piccola chimera!
Lacrime di inchiostro solcan il tuo viso.
Perché piangi, piccola chimera? Sei agile, forte e bella!
Ti disperi giovane chimera?
Scappa dal vampiro, scappa! Prima che l'alba affogar ti faccia!"
Sebastian rimase impassibile di fronte a quelle ballate dal significato ambiguo. Per lui quelle frasi erano prive di logica, sebbene per i fatati ci fosse un senso per ogni cosa. Si era appena appoggiato con la schiena al tronco d'albero alle sue spalle, quando il pixie messaggero dalle ali smeraldine ricomparve nuovamente tra i suoi simili.
Stava comunicando ai compagni in una lingua aspra e ai toni gutturali, che Sebastian non conosceva. Quando gli si avvicinò, occhi neri come il carbone e un'espressione incuriosita, lui gli andò incontro.
"Qual è il pedaggio per attraversare il Confine?" ripeté il vampiro, sollevando il mento in direzione dell'arco di pietra.
"La regina della Corte Unseelie ha parlato."
"Ato-ato." ricominciarono a fare il verso i pixie.
"Ebbene?" domandò Sebastian, spazientito. In passato, Semiael non era stato famoso per la sua tolleranza ed aveva il forte dubbio che anche Sebastian lo fosse mai stato.
"Se il figlio di Lucifero il Confine vuole attraversare, allora tre dei suoi capelli sarà il pedaggio da pagare." recitò.
"Tre dei miei capelli?"
Il pixie roteò su se stesso. "Se il figlio di Lucif..." non riuscì a terminare di ripetere la frase, perché Sebastian lo afferrò brutalmente, stringendo
le dita attorno al suo torace.

"A cosa vi servono?" gli alitò in faccia. Era risaputo quanto fosse sconveniente cedere ai fatati oggetti o cose personali. Potevano lanciare
maledizioni che duravano più di cento anni o obbligarti a servirli in ogni modo possibile.

"Lasciare! Lasciare! Male, male!" squittì il pixie, cercando di divincolarsi. "Queste sono solo parole della regina."
"Regina, regina!" esclamarono i pixie, lanciandosi in aiuto del compagno. Sebastian fletté le ginocchia e balzò in avanti. Atterrò, tenendosi in equilibrio, sull'orlo della fontana, facendo scappare gli uccelli che in precedenza la circondavano.
"Perché vuole i miei capelli?" riformulò, rivolgendosi al pixie che aveva immerso i denti appuntiti nella carne della sua mano. Fece una smorfia infastidita.
"Regina non svela suoi segreti. Regina non parla con pixie suoi motivi." rispose l'altro affannato. Poi, lanciò un grido ed i compagni si voltarono nella sua direzione.
"Tu lasci andare me, eh?"
"No." la risposta tagliente e decisa fece sussultare il pixie che si agitò ancora di più.
Sebastian saltò sul vecchio arco di pietra, rimpiangendo di non aver portato con sé qualche oggetto di ferro, l'unico materiale in grado di ferire mortalmente una creatura del Reame.
"Non uccidere. Se uccidere, regina uccide te." lo avvertì la creatura, sbattendo furiosamente le ali.
"Tu credi?" lui piegò le labbra in un'espressione vagamente curiosa, come se l'idea stuzzicasse la sua fantasia. Si sedette sul bordo del cornicione, facendo dondolare le gambe nel vuoto.
Sebastian alzò lo sguardo. Davanti a lui stava avanzando una figura incappucciata. Stava camminando con passo furtivo, attento. Nessuno dei pochi visitatori del parco sembrò prestargli attenzione quando si diresse nello stesso punto in cui c'era Sebastian. I suoi passi fecero ben attenzione a non produrre eccessivo rumore sui ciottoli del viale.
Il gruppo di pixie gli andarono incontro, allungando furibondi le mani per vedere chi si celava sotto il cappuccio. Se fosse stato umano, lo sconosciuto avrebbe creduto che il vento gli aveva fatto scivolare la stoffa, ma se avesse avuto origini sovrannaturali si sarebbe accorto dei piccoli fatati.
Sebastian si accorse ben prima dei pixie che l'individuo non era umano. Si immobilizzò sul muretto, ricordando improvvisamente dove avesse già sentito l'odore di quel ragazzo.
"Chi si rivede!" esclamò, facendo sobbalzare l'altro che alzò il viso nella sua direzione. Il cappuccio era caduto sulle spalle e una chioma bionda incorniciava un viso giovane e tagliente.
"Sebastian Walker." pronunciò il ragazzo con evidente disgusto.
"Il presunto sosia di Johnny Deep. A vederti da qui..." affermò Sebastian, stringendo la presa sul pixie nella sua mano "Non gli assomigli per niente, nephilim."
"Alex Lewis." si presentò l'altro stizzito, rivelando ciò che celava sotto il mantello. C'era la stessa spada celeste che Sebastian aveva notato tra le sue mani quando aveva aizzato la folla di giornalisti contro di lui.
"Sei qui da solo?" si informò il nephilim.
Sebastian incrociò le gambe, guardando prima lui e in seguito i pixie. "Stai meditando di uccidermi?" replicò tranquillamente. "Devi essere piuttosto sicuro delle tue capacità."
"Ho una buona dose di pazzia dalla mia parte." Alex allungò le mani dietro la schiena afferrando l'elsa.
Per nulla turbato, Sebastian rimase immobile. "Incredibile notare come a volte la pazzia venga identificata con il coraggio e viceversa."
"Non è il mio caso."
"Se lo dici tu." Scrollò le spalle come a voler sottolineare che per lui la cosa non aveva alcuna importanza. Il pixie protestò, emettendo fragili versi di protesta. "Perché un nephilim dovrebbe voler varcare il Confine? Cosa stai cercando nel Reame?"
"Risposte." Ora Alex teneva la spada ben salda davanti a lui. Era un oggetto semplice. L'elsa era a forma di croce con dei cristalli incastonati ai lati e la lama era grigio scuro con parole latine incise nel metallo. Non possedeva nulla della bellezza di Exaniha o della sua gemella, Excalibur.
Sebastian posò lo sguardo su quello del pixie. "Qual è il suo prezzo? Quale pedaggio?" gli domandò indicandogli il ragazzo.
"Tre piume. Piume delle sue ali." rivelò il fatato che all'improvviso sembrò diventare molto collaborativo.
Sebastian si accigliò, domandandosi perché all'improvviso le fate chiedessero pedaggi così personali. Ad ogni modo lui preferiva i capelli alle piume. Erano trascorsi quasi cento anni dall'ultima volta che aveva liberato le sue ali di discendenza celeste.
"Sembra che siamo entrambi alla ricerca di informazioni." fece notare Sebastian, mettendosi in piedi.
La spada di Alex ondeggiò a destra, inclinandosi come la Torre di Pisa che lui aveva visto sulla maglietta di Clelia. Per un nephilim non era mai facile riuscire a padroneggiare un'arma celeste. Sebastian si ritrovò ad ammirarlo per un brevissimo istante, prima che la consapevolezza che erano nemici riaffiorasse nei suoi pensieri.
"Stai attento a quel che dici, vampiro." dichiarò Alex, alzando la lama. "Non intrometterti in faccende che non ti riguardano, Master di New York."
"Non intrometterti in faccende che non ti riguardano." gli fece eco lui, saltando a terra. Doveva averlo colto di sorpresa, perché il nephilim indietreggiò di qualche passo. Una falce di luna illuminò pigramente l'acqua della fontana alla sua sinistra.
"Ero convinto che i nephilim si fossero estinti." considerò il vampiro, avvicinandosi.
"Siamo una specie in via di estinzione." convenne Alex, le spalle ingobbite.
"Sangue non può macchiare territorio della Corte Unseelie." gracchiò il pixie, come se avesse qualcosa incastrato nella gola.
"Vietato, vietato."
Sebastian rivolse una rapida occhiata alla creatura. "La spada non è mia." rispose freddamente.
Un pixie di un colore più pallido sfrecciò tra lui e Alex, allargando le braccia come a voler mettere fine a quelle ostilità, stando bene attento a non sfiorare la superficie dell'arma. Guardò con un moto di disgusto il compagno che Sebastian teneva prigioniero, poi si schiarì la gola e cominciò a parlare.
"La regina vi fa riferire che ascolterà le richieste di entrambi." esordì in una parlata più fluida di quella dell'altro fatato.
"Com'è generosa." ironizzò Alex, piantando la spada nel terreno.
Trattenendo una risata, Sebastian spostò qualche foglia con la punta delle scarpe.
"Vi darà le risposte che cercate." continuò il messaggero. Si rivolse a Sebastian: "Figlio di Lilith. Ella non cambierà il prezzo richiesto per il
pedaggio, ma tu puoi scegliere liberamente se andare da lei o meno."

"Come se potessi tirarmi indietro." commentò Sebastian, liberando il pixie nella sua mano, che infuriato si nascose tra i compagni. Quello era l'unico modo per poter ottenere rapidamente delle informazioni sui piani di Naamah e non aveva intenzione di tirarsi indietro.
"Dovrei attraversare il Confine con il vampiro?" la voce di Alex era alterata.
"Questo è il volere della nostra regina." spiegò il pixie per nulla turbato.
"La vostra regina." ci tenne a specificare Sebastian.
Il pixie si esibì in una rapida reverenza, scusandosi a quel modo per le sue parole.
"Non ho problemi nel trascorrere del tempo con il nephilim." considerò.
"Io, invece, sì." intervenne Alex, guardando prima lui e poi la spada.
"Un senso del dovere encomiabile." fece notare Sebastian al pixie che aveva spalancato gli occhi, neri come braci spente. "Temi che possa ucciderti, nephilim?"
"Che assurdità!" esclamò il ragazzo indignato. "Non ho paura di te, vampiro."
"Allora non dovrebbero esserci problemi se andiamo insieme nel Reame."
Alex spalancò la bocca per dire qualcosa, ma sembrò ripensarci. Alla fine borbottò: "Nessun problema." disse, stringendo i pugni lungo il fianco.
Sebastian si portò una mano alla testa e dopo aver afferrato tre capelli ed esserseli strappati li consegnò al pixie messaggero che gli si era avvicinato. "Tanto vale andare a fondo della vicenda, visto che ora sono qui. Nephilim?" chiamò, visto che Alex continuava a rivolgersi a lui con la parola vampiro.
Alex allungò una mano nella tasca della giacca, mormorando qualcosa che lui non riuscì a capire. Sbuffando mostrò al pixie tre lunghe piume, bianche come petali di rosa, e la creatura si affrettò a stringerle tra le piccole dita. Esitando, il mezzosangue afferrò la spada e la rimise nel fodero.
"Trema la luna sulla superficie dello stagno.
Vola l'angelo su vette innevate.
Grida il demone negli abissi ghiacciati.
Giocano i pixie coi poveri mortali."
I fatati avevano ripreso a cantare, rincorrendosi tra loro fino al portale di pietra. Poi lo attraversano tutti insieme, sparendo alla vista di Alex e Sebastian.
In loro assenza nulla era cambiato nell'ambiente esterno. Un umano avrebbe potuto credere che i pixie si fossero nascosti oltre la siepe o tra l'edera che ricopriva l'antico monumento, ma Sebastian sapeva perfettamente che avevano oltrepassato una dimensione preclusa allo sguardo dei mortali.
Alex era alle sue spalle che giocherellava nervoso con i lacci della giacca. Il cappuccio del mantello nascondeva l'elsa della spada e Sebastian si chiese se quello fosse un fatto casuale o meno.
Infilandosi le mani nelle tasche del giubbotto, Sebastian superò l'arco di pietra seguito dal nephilim. Non poteva più indugiare sui dubbi riguardanti i fatati. Aveva un Caduto da eliminare e un'umana da salvare.

 

***

 

La sala scelta da Percy per la conferenza stampa del film era situata in un altolocato albergo di lusso situato nel cuore di Manhattan, a quindici minuti di macchina da Central Park. Mentre prendeva posto al fianco di Adrian e del regista, Jennifer studiò con ammirazione il locale che aveva di fronte.
Il soffitto era alto tre volte una stanza normale e lunghe colonne granitiche, avvolte da spirali di rose, si levavano al cielo facendo da sfondo alla vetrata posta alla loro sinistra.
Allo staff era stato dato posto su un palco rialzato, mentre per i giornalisti erano state messe a disposizione sei file ordinate di sedie imbottite. Addossato sulle pareti in fondo era stato preparato un buffet.
Il profumo delle tartine stuzzicò l'appetito di Jennifer che però si vide costretta ad accontentarsi di bere dell'acqua. Alcuni giornalisti scattarono delle foto e lei sorrise indulgente verso l'obiettivo. Percy non aveva ammesso telecamere alla conferenza-sosteneva che portasse sfortuna per l'uscita del film-ma aveva fatto intervenire parecchi suoi colleghi del cinema.
"Cioccolatino?" le domandò porgendole la scatola del suo marchio preferito. Lei gli sorrise. "Grazie." Allungò una mano e dopo aver scartato il cioccolatino dalla carta protettiva lo assaporò grata.
Adrian si voltò verso di lei, un'espressione curiosa sul viso. "Buono?" domandò interessato.
Lei ci mise qualche secondo per capire che si stava riferendo al cioccolatino.
"Ottimo!" sorrise.
"A te non provo più nemmeno ad offrirtelo." commentò Percy imbronciato. "Ci tieni più tu alla linea che la tua fidanzata."
"Jennifer sta bene così come è." rivelò il vampiro, fissando il regista negli occhi. Evidentemente, pensò lei, Adrian stava esercitando i suoi poteri mentali per fargli credere di essere Sebastian in tutto e per tutto.
Non che avesse bisogno di fingere. Adrian sembrava davvero la copia del Master di New York non solo per l'aspetto, ma anche nei modi di comportarsi.
"Fra pochi minuti cominciamo, il tempo di sistemare il proiettore." li informo un tecnico.
Jennifer annuì distrattamente, mentre le luci venivano spente e nella sala il chiacchiericcio dei giornalisti scemava. Alcuni camerieri dell'hotel in fondo alla stanza stavano sistemavano il banchetto e oscuravano con le tende la gigantesca vetrata.
Furono proiettati i primi poster promozionali del film, mentre Percy cominciava a spiegare i motivi che l'avevano portato a girare quella storia.
Una locandina era totalmente dedicata a Sebastian nel suo ruolo di Dracula. La bocca ed il collo erano macchiati di sangue ed una mano era stretta attorno al collo di una ragazza con il viso in ombra. Alle sue spalle si stagliavano le immagini di un castello e di una carrozza al chiaro di luna.
Il secondo poster presentava Jennifer vestita con un abito da sposa ed il volto parzialmente coperto. Era immortalata nell'atto di una fuga, con un bosco che le faceva da contorno. Tre corvi fissavano la figura, appollaiati da un ramo, mentre un lupo con i denti scoperti guardava un punto non meglio precisato alle sue spalle.
"Sì, come già precisato, il film è in fase di montaggio. Le ultime scene che la truppe sta girando in questi giorni a New York saranno aggiunte il prima possibile." stava dicendo Percy.
"Ci saranno ritardi con l'uscita del film?" intervenne un giornalista in prima fila.
"No. Il ventuno dicembre potrete vederlo nei cinema."
Gli ospiti presero a scrivere appunti sui loro taccuini. Jennifer si voltò verso Adrian, che annuiva compiaciuto verso alcuni rappresentanti del
New York Times.

Il proiettore mostrò alcune immagini di scena e Percy giocherellò con la penna che stringeva tra le dita.
"Come pensa potrebbe reagire il pubblico, ora, di fronte alla consapevolezza che i vampiri non sono più semplici creature di fantasia?"
"Il cinema non smetterà di produrre film solo per questo motivo." dichiarò Percy, con tono duro. "Ogni opera cinematografica si è conquistata l'immortalità nella sua fetta di storia."
"Come i libri e le altre opere d'arte." bisbigliò Jennifer, sporgendosi verso Adrian.
Il vampiro scosse la testa. "Ogni cosa prodotta dall'uomo è effimera. Durano il tempo, la moda, che trovano. Nulla è immortale, neanche i vampiri." le sussurrò all'orecchio, facendola rabbrividire. "Anche noi possiamo morire." le ricordò.
"Sebastian, lei cosa ha provato seguendo i telegiornali in quest'ultimi giorni?" si rivolse ad Adrian una donna.
Jennifer guardò il suo compagno, che apparentemente non sembrava essere turbato per quella domanda.
"Trovo che sarebbe stato utile fare prima questa straordinaria scoperta." nella sala scese un silenzio sorpreso. "Prima delle riprese del film." sottolineò Adrian, accennando ad un sorriso. "Sono certo che in tal modo avrei potuto esprimere un'interpretazione più reale di Dracula."
Un mormorio di sincero apprezzamento calò sul pubblico. Jennifer sorseggiò compiaciuta la sua acqua minerale, sorpresa nel constatare che anche Sebastian avrebbe esposto un pensiero simile. Forse, il fatto che entrambi si considerassero gli eredi di un regno, dei principi, rendeva simile il loro modo di pensare. Facendo attenzione a non disturbare Percy, rubò dalla sua scatola un altro cioccolatino.
"I sondaggi più recenti la danno come favorito per la statuetta come miglior attore agli Oscar di quest'anno. A qualcosa da dire in proposito?"
Adrian si passò una mano tra i capelli, lisciandoseli all'indietro. "Interpretare ruoli di demoni affascinanti e crudeli, fa esprimere tutto il mio potenziale." commentò, facendo l'occhiolino alla giornalista.
"Nel film interpreta un vampiro che si innamora di una giovane umana." osservò qualcuno. "È stato complicato recitare al fianco della sua fidanzata?"
Adrian strinse una mano all'attrice, portando le loro dita intrecciate sul tavolo, alla vista dei fotografi. "Jennifer è una piacevole compagna di cinema e di vita."
Lei arrossì, tendando inutilmente di liberarsi dalla sua stretta. I flash dei fotografi caddero su di loro come comete attratte dall'orbita terrestre.
"Percy ci può dire perché ha scelto quella data come uscita ufficiale del film? Secondo alcuni, coincide con la fine del mondo. Crede che la comparsa dei vampiri si possa collegare alla profezia dei Maya?"
"Temo che quest'ultima affermazione potremo verificarla tra poco più di un mese. Per quanto mi riguarda, quella data coincide con il compleanno di mio fratello."
"Jennifer, lei cosa pensa del suo personaggio, Gwen?"
"Bhe..." Jen si schiarì la voce, sfuggendo allo sguardo di Adrian. "È un personaggio forte. Sfida il conte Dracula per far valere i suoi ideali e riesce ad accettare la sua natura sovrannaturale. Lo ama e lo odia alla stesso tempo. Lui l'ha strappata dalle braccia di sua madre, ma le ha donato un'infanzia circondata dal lusso, assecondando i suoi desideri."
"Ci può svelare la conclusione della vicenda? Gwen resterà umana o diventerà anche lei un vampiro?"
Jennifer dondolò sulla sedia, sorridendo nervosamente. "Percy mi ha espressamente vietato di svelare la conclusione."
Le immagini delle locandine pubblicitarie furono riproposte ai giornalisti.
"Sarà un sorpresa." la appoggiò Adrian. "Sono certo che il pubblico ne rimarrà sorpreso." aggiunse.
Jennifer annuì, ricordando quanto gli aveva spiegato sulla sceneggiatura del film. Gwen sarebbe morta, ma la sua anima si sarebbe reincarnata in un'altra persona. Anche quella scelta era stata dettata dalla moda letteraria del periodo. Finale apprezzabile o meno l'avrebbero scoperto all'uscita del film.
"Comincerete da New York il tour promozionale?"
"Certamente." intervenne Percy, cominciando ad esporre le sue idee in proposito.
Al suo fianco, Adrian sembrava inquieto. Il piede picchiettava nervoso sul pavimento e le mani si contraevano continuamente a pugno.
"Qualcosa non va?" gli sussurrò Jennifer, scatenando l'ennesimo stato di interesse dei fotografi.
"Non ne sono sicuro." le svelò il vampiro, spostandosi impercettibilmente verso di lei. "Dovremo rimandare la lieta novella." La fece alzare in piedi, guadagnandosi le occhiate perplesse di tutti i presenti.
"Adrian, cosa..." Non ebbe modo di completare la frase. Il vampiro l'aveva gettata a terra nell'istante stesso in cui la vetrata si era sbriciolata sotto gli occhi increduli dei giornalisti.
Fu il caos.





 

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Capitolo 15
*** Il regno della Corte Unseelie ***



14
≈*≈*≈*≈*≈

Il regno della Corte Unseelie


Mi batterò, finché dalle mie ossa
non si stacchi la carne a brandelli.

{W.Shakespeare}

 

 
 Il panorama era mutato all'improvviso. Il freddo vento di New York e gli alberi spogli di Central Park avevano lasciato il posto ad una brezza estiva e ad una valle verdeggiante. L'aria trasportava il profumo dei fiori e la luna splendeva luminosa nel cielo.
Sebastian osservò il castello di pietra che sorgeva ai piedi di un piccolo lago. Si stagliava come un profilo scuro e minaccioso all'orizzonte, illuminato da tremolanti luci celesti.
Alex lo raggiunse, mormorando insulti ai pixie che si erano infilati tra i suoi capelli.
"Alcune leggende dicono che i fatati hanno un debole per gli uomini dagli occhi chiari e i capelli biondi." Spiegò Semiael, scacciando un pixie con la mano.
"Ti preoccupi per me, vampiro?" domandò Alex irritato. "Davvero commovente." aggiunse superandolo.
"Le fate si cibano di carne umana." lo mise in guardia. "Fornisci loro un pretesto per ucciderti e lo faranno."
Alex si fermò, voltandosi per guardarlo. "Conosco le leggi del Reame e conosco le creature che lo abitano. Dimentichi che uccidere demoni e fatati è compito mio."
Sebastian ricambiò lo sguardo senza dire nulla, mentre i pixie cominciarono a cantare un'altra delle loro ballate.
"Potrei anche credere all'idea che tu riusciresti ad uccidere un centinaio di vampiri, ma i fatati?" Sebastian scosse la testa, sorridendo divertito. "No, secondo me non hai mai ucciso una fata. Nemmeno un pixie." precisò, afferrando per le ali una di quelle creature.
"Potresti rimanere colpito dalle mie capacità."
"Ne dubito." tagliò corto Sebastian. "Sono abbastanza certo di aver assistito alle maggiori stranezze che questo mondo poteva offrire."
"Tuo padre sarà in cima a questa lista, allora." lo provocò Alex.
Sebastian si mosse così velocemente che Alex ebbe appena il tempo di rotolare a terra, per evitare il colpo che gli avrebbe inflitto se lo avesse toccato. Il cacciatore ruzzolò sul terreno, rimettendosi immediatamente in piedi, ma il vampiro aveva riassunto l'aspetto composto che l'aveva caratterizzato fino a quel momento.
"Non è saggio, provocare un vampiro." l'avvisò Sebastian, mentre costeggiavano il torrente che aveva origine dal lago. "Anche gli angeli hanno le loro croci da portare." commentò. "Voi nephilim vi credete tanto in gamba solo perché nelle vostre vene scorre sangue celeste. Bhe, ho una notizia dell'ultima ora per voi, mezzosangue." ironizzò. "Anche noi vampiri possediamo sangue di origine celeste."
"Sono i pensieri, le idee, a decretare chi siamo realmente. Lucifero ha deciso di tradire l'Autorità. Lui ha rinnegato il suo posto nell'Eden ed altri hanno seguito il suo esempio." obiettò Alex.
"Vedo che a scuola hai fatto i compiti, moccioso. Vuoi che ti faccia i complimenti?" lo derise Sebastian. "La tua comprensione di questa antica vicenda è a livelli ecclesiastici. Sei un fedele, vero?"
Vedendo la sua esitazione, Sebastian sogghignò compiaciuto. "Non è un crimine seguire gli insegnamenti biblici." constatò, gettando uno sguardo al ponte di pietra che li precedeva. I pixie l'avevano già superato in volo.
Accanto ai pilastri della struttura, c'erano tre donne anziane che filavano della paglia. Tuttavia, erano fili d'oro quelli che uscivano dai loro rispettivi filatoi. Le creature, che di umano possedevano solo vagamente l'aspetto esteriore, li fecero segno di oltrepassare la soglia del ponte.
"Perché hai chiesto udienza presso la Corte Unseelie? Gli umani e i nephilim sono accolti con maggior calore dalla regina Seelie." disse, precedendo Alex.
"La Corte Unseelie cede più facilmente le sue informazioni." replicò il cacciatore, fermandosi ad osservare i fili dorati.
"Con questo filo realizzeremo un vestito." gracchiò una delle vecchie, cercando di afferrare la mano di Alex.
"Un vestito?" le fece eco il nephilim. Sebastian sbuffò infastidito, occupato com'era nel tentativo di trascinare il ragazzo sul ponte. Detestava l’idea che il nephilim gli facesse perdere altro tempo in sciocchezze.
"Stoffa dorata. La doneremo a lei." intervenne un'altra delle tre vecchie filatrici. La massa dorata intorno ai loro fusi s'ingrossava sempre di più, creando una piccola matassa brillante.
"Sì, a lei starà benissimo." rincarò la dose l'ultima fatata.
"A chi regalerete il vestito?" domandò Alex, irritando maggiormente Sebastian.
"Alla principessa."
"La principessa adorerà il suo nuovo vestito."
"La dolce Cristavia indosserà la migliore stoffa dorata." rivelò il nome la prima filatrice ad aver parlato. I pixie tornarono verso di loro, fischiettando allegri e girando in cerchio attorno alle tre donne.
"Migliore. Migliore." ripeterono in coro.
Sebastian batté un colpo con le mani e le filatrici scomparvero in un battito di ciglia. Solo un mucchietto di paglia rimaneva testimone del loro passaggio.
Alex fissò smarrito il punto che fino ad un istante prima era stato occupato dalle tre vecchie ingobbite e dalla voce rasposa. I suoi occhi continuavano a vedere i frammenti di un gomitolo d'oro.
"Andiamo." lo richiamò al presente, Sebastian. "E, possibilmente, evita di farti incantare dai fatati."
"Io non ero affatto..."
Lui liquidò la sua frase sul nascere, zittendolo con uno sguardo truce. "Qualche altro secondo e avresti tentato di rubare il loro oro. Se lo avessi fatto, ti avrebbero ucciso, nephilim."
"Quando sono stato nella Corte Seelie..."
"Questa è la Corte Unseelie." gli rispose freddamente, indicandogli la sagoma di uno scheletro umano appeso come spaventapasseri al ramo di un albero. "Vedi di ricordartelo, d'ora in avanti. Fare da balia a te non è compito mio."
 
 
Il castello, la sede della Corte, era esattamente ciò che appariva dall'esterno: un maniero dal sapore antico e dal fascino pericoloso. Appariva ancora più cupo, rispetto all'ultima volta che lui era stato lì. Le due volte precedenti, Sebastian era rimasto entusiasta della musica e dall'atmosfera di festa che animava gli ospiti della Corte.
In quel momento, si trovava di fronte ad un corteo di maschere funebri che si agitavano attorno a lui come corolle di fiori avvizziti.
Il nero ed il blu erano i colori predominanti, come se la Corte stesse vivendo un grave lutto.
Gli invitati avevano tutti un aspetto fuori dal comune: uomini dai capelli verdi, donne con piume al posto dei capelli, pixie dalla pelle bluastra e ragazzi dagli occhi fiammeggianti. I loro volti erano coperti, ma ovunque si coglievano le ombre di un'opprimente preoccupazione.
Sebastian trovò quell'atteggiamento piuttosto strano. Non era usuale per i fatati farsi affliggere da inquietudini mortali. Era come cogliere un vampiro nell'atto di compiere un suicidio. Era contro natura.
Alex stava conversando con alcuni ospiti nella speranza di ottenere delle informazioni, ma tutti eludevano le sue domande offrendogli cibo che lui puntualmente rifiutava.
Sebastian guardò con scarso interesse i piatti sul tavolo che lo affiancavano. Carne, frutta, fiori. C'erano persino delle diverse qualità di legna tra cui scegliere.
Come discendente diretto di Lucifero, a differenza dei vampiri mezzosangue, lui poteva nutrirsi di alimenti differenti dal sangue, ma da essi non avrebbe potuto trarre alcuna energia. Anche il sapore sarebbe stata una pallida imitazione del loro gusto originale.
Con un cenno della mano, rifiutò il drink che un servo della regina gli aveva offerto.
I bisbigli dei fatati aumentarono di intensità, quando l'elsa della spada di Alex sfiorò le ali membranose di uno degli ospiti, che lanciò un urlo agghiacciante.
Quasi avendo ricevuto un ordine silenzioso, la folla si divise in due parti, creando uno spazio vuoto che conduceva al trono della regina: un ceppo di legno secolare dal quale era stato plasmato un seggio.
Seduta in un abito grigio, con perle rosate ricamate tra gli orli di pizzo nero, Morwen li stava invitando con la mano a raggiungerla. Capelli viola ed occhi scuri, con deliziose ali da farfalla che le spuntavano dalla schiena, irradiava il fascino di una creatura antica.
China su di lei, intenta a bisbigliarle qualcosa all'orecchio e pallida come la luna, c'era Clelia. O quello che rimaneva di lei, ricordò a se stesso Sebastian. Clelia era morta; era stato lui ad ucciderla.
Notò che aveva un'espressione stanca, infelice, e che i capelli erano stati raccolti in una crocchia. Morwen la stava studiando come uno scienziato avrebbe analizzato le sue provette da laboratorio: in modo maniacale.
La regina si voltò impercettibilmente verso l'orologiaia, affidandole alcune carte e Clelia accennò un sorriso. I lineamenti del viso si rilassarono e lei fece qualche passo all'indietro, allontanandosi dal trono.
Quando si girò ed i loro occhi si incontrarono, la vide irrigidirsi per la sorpresa.
Sebastian incrociò le braccia al petto, mentre ordinava ad Alex di muoversi. Clelia li stava raggiungendo a testa bassa, come se volesse evitare di dovergli rivolgere la parola.
Sul braccio aveva i segni del morso di un pixie, lo stesso -identico- che quella mattina era comparso sul suo. Notando la sua occhiata, la ragazza aveva tentato di nascondere l'arto dietro la schiena, ma era troppo tardi. Lui aveva visto.
L'idea che lei volesse tenergli nascosto quel particolare lo infastidì più del fatto che il nephilim aveva cominciato a spintonarlo di lato per poter vedere cosa stava accadendo.
Sebastian si fermò al centro della sala e quando Clelia fece per superarlo, senza avergli nemmeno rivolto un saluto, la afferrò per un gomito, facendola scivolare al suo fianco.
"Oh!" esclamò lei, simulando finta sorpresa. "Sebastian." una risata isterica le affiorò alle labbra e lui strinse la presa, facendola gemere per il dolore.
"Cosa ci fai tu, qui?" la sua voce apparve più tagliente di quanto avrebbe voluto.
"Questioni..." Clelia esitò, come se fosse indecisa su cosa dire. "Questioni personali." lo informò, sfuggendo ancora una volta al suo sguardo.
Gli invitati della Corte li accerchiarono, cominciando ad ondeggiare sulle note di una malinconia melodia.
"Chi è stato a ferirti?" domandò irritato.
Clelia sembrò mettersi sull'attenti. Si guardò in giro guardinga, soffermandosi sulla presenza di Alex. "Come lo sai?" disse, evitando la risposta.
"A quanto pare, il legame che sembriamo avere sta cominciando ad agire anche su di me. Il morso è comparso sul mio braccio questa mattina. Jennifer era sconvolta." Aggiunse, quasi fra sé.
L'orologiaia sobbalzò, quasi la notizia l'avesse preoccupata ulteriormente. Ed effettivamente turbata lo sembrava. Aveva cominciato a sudare e le mani le tremavano.
"Conosci questo vampiro?" era intervenuto Alex, guardingo. "Cosa ci fa un essere umano in questo posto?"
Clelia ci mise un po' prima di rispondere. Dischiuse la bocca in un sorriso appena accennato e al contempo poggiò la testa sulla spalla destra. "Siamo amici di vecchia data." disse.
"Amici?" il tono sfacciatamente ironico di Alex, indusse Sebastian a roteare gli occhi al soffitto. "Vuoi dire che sei stata vittima dei suoi canini?" le suggerì.
Clelia scoppiò in un'allegra risata e Sebastian la liberò dalla sua presa, contagiato da quell'improvviso cambio d'umore. Non poté fare a meno di chiedersi se quella sua reazione fosse dovuta al loro legame. Cosa condividevano oltre che al dolore fisico, sentimenti?
"Prima della fine dell'anno ti ricrederai su molte cose, Alexander Lewis."
Per qualche assurdo motivo, Sebastian non dubitò di quelle parole, Alex invece apparve piuttosto scettico al riguardo.
"Non sei umana." decretò allora il nephilim con una smorfia, studiandola con più attenzione.
"Neanche tu." rispose lei in tutta tranquillità. "Lo sono stata, però. Tutt'ora sono più umana di quanto immagini. Ad ogni modo, io sono Clelia." tese una mano in avanti.
"Secondo le Leggi..."
"Ah, le Leggi!" esclamò lei, sciogliendosi il nastro che aveva tra i capelli e facendoli scivolare sulle spalle. "Credo di conoscerle meglio io di te." gli fece l'occhiolino.
Alex si ammutolì come se qualcuno lo avesse schiaffeggiato. "Solo i nephilim conoscono le Leggi."
A quel punto toccò a Sebastian sorridere con aria canzonatoria. "Rimarresti sorpreso per quanti conoscono le cosiddette Leggi."
La melodia composta dai fatati si alzò di intensità ed un violino si unì alle note solitarie del pianoforte.
"Comunque." li interruppe Sebastian prima che i due ricominciassero a fare conversazione. "Non dovresti essere all'Antiquarian?" domandò, rivolgendosi a Clelia.
"Qualcuno si sta occupando del lavoro al posto mio, un'apprendista." gli spiegò, sebbene la voce non avesse un tono fermo.
Intuì che gli stava nascondendo qualcosa, ma non insistette oltre, perché la musica era cessata e brusii indistinguibili stavano riempiendo il salone del ricevimento. I cortigiani si divisero ancora una volta in due gruppi, lasciando che la regina sfilasse in mezzo a loro.
Aveva un atteggiamento sicuro, mentre si avvicinava al loro gruppo mal assortito.
Sebastian spinse Clelia dietro di sé per precauzione, mentre Alex valutava se dover ricorrere ai servigi della spada celeste o meno.
Morwen appariva senza età. Possedeva l'aspetto giovanile di una ragazza, ma il fascino antico e pericoloso dei vampiri. Il suo sguardo li percorse uno ad uno, ma si soffermò in particolare sull'orologiaia.
La cosa, a Sebastian non piacque affatto. Era come osservare una farfalla puntare alla corolla di un fiore.
"I miei ospiti sono arrivati!" annunciò al resto della Corte, rivelando i suoi denti aguzzi. "Vogliamo danzare?" continuò, schioccando le dita nella loro direzione.
Sebastian scambiò un'occhiata perplessa con Alex. Annuì molto lentamente, sapendo che avrebbe dovuto esaudire i capricci della regina se avesse voluto ottenere delle informazioni.
"Nephilim, sarai il mio cavaliere." intervenne Morwen, tendendogli la mano. Imbarazzato, Alex la afferrò, accennando una breve riverenza. "Musica!" tuonò chiara e vibrante la voce della regina.
Sospirando, Sebastian si voltò verso Clelia che lo guardava a bocca spalancata.
"Non so ballare." ci tenne a specificare, prima che lui la lanciasse con sé nella sala da ballo.
 

 
***
 
Jennifer non aveva avuto il tempo di urlare. Il boato provocato dalla vetrata in frantumi aveva superato d'intensità -per un breve istante- le urla di sconcerto e terrore dei giornalisti e dei membri dello staff.
Rannicchiata sul pavimento, dietro il tavolo della conferenza, stringeva convulsamente le mani sul torace di Adrian, che le aveva fatto da scudo per i frammenti di vetro. La pelle del redivivo era gelida al tatto, ma lei registrò quel dettaglio in modo automatico, come faceva ogni volta che sfiorava Sebastian.
Alcune lampadine erano saltate e le risultava difficile vedere bene cosa stava accadendo attorno a loro. L'odore del sangue la colpì alla gola e solo in quel momento si rese conto che Adrian l'aveva aiutata ad alzarsi.
Aveva la mano scivolosa e si accorse troppo tardi che quella sensazione di bagnato era dovuta al sangue che era uscito dalle ferite superficiali del vampiro.
"Cosa è successo?" gridò per sovrastare le urla dei presenti.
Adrian aveva i canini scoperti ed i suoi occhi stavano studiando la scena di fronte a loro.
Jennifer lo affiancò, i denti che battevano tra loro ed il cuore che pompava sangue ad una velocità pazzesca.
La prima cosa che pensò, la più sciocca, fu che le sembrava di trovarsi sulla scena di un film. Pozze di sangue nero, macchiavano le piastrelle di granito dell'hotel e una folla di fotografi e giornalisti si accalcava alle porte. Il tavolo del rinfresco era spezzato in due ed il cibo era scivolato a terra. Crocchette di patate erano immerse nel sangue, tanto da sembrare essere inzuppate di ketchup.
Alcuni coraggiosi fotografi erano rimasti per scattare foto alla creatura che aveva fatto quello scempio. La protagonista dei flash, che per una volta non era lei, si ergeva in mezzo la sala. Il volto non era visibile, immerso nel torace di un uomo privo di vita.
Qualcuno stava gridando al vampiro, proprio mentre le uscite di emergenza vennero spalancate ed entrarono degli agenti di sicurezza, pistole alle mani.
La figura umanoide alzò la testa. Le braccia erano lasciate penzolare in avanti e nella bocca stringeva ancora brandelli di carne umana.
Jennifer soffocò un grido, tappandosi la bocca con le mani. Sulle guance avvertiva il calore delle sue lacrime e nello stomaco il sapore della bile.
Con uno strattone, Adrian la nascose nuovamente dietro di sé, inducendola a non guardare oltre quel macabro spettacolo.
Partirono alcuni colpi d'arma da fuoco e la creatura emise una sorta di ruggito che le provocò un attacco di tosse isterico. Jennifer si artigliò la gola come se stesse soffocando, in preda ad una paura spaventosa.
"Credo sia il mostro soprannominato Chimera." le espose Adrian, voltandosi verso di lei.
Il vampiro allungò un braccio per afferrarla, ma l'attrice fu più veloce. Si lanciò tra le sue braccia, come un cucciolo animale in cerca di conforto.
"Spaventoso." la voce di Adrian si incrinò. "Che creatura spaventosa." sussurrò stordito.
Jennifer deglutì, stringendo a sé la maglietta del vampiro. Dov'era Sebastian? Perché non era lì per proteggerla come le aveva promesso?
Si avvicinò maggiormente ad Adrian, soffocando i singhiozzi che le stavano salendo alla gola.
"Non è un vampiro." le rivelò all'orecchio. "La sua pelle..." continuò esitante. "È grigia come quella dei cadaveri." Lei non trovò la forza per replicare. "Non credo sia mai esistito nulla di simile."
Confortante.
"Andiamo via." lo pregò. "Adrian..." le parole le morirono sulla punta della lingua.
Si portò le mani alla testa, mentre un altro urlo agghiacciante riempiva il vuoto del locale.
"Adrian." lo chiamò, scuotendolo dallo stato di torpore in cui era caduto. Non ebbe bisogno di aggiungere altro.
In una frazione di secondo si ritrovò con le mani intrecciate dietro il capo di Adrian, ed un suo braccio posizionato sotto le ginocchia. L'aveva sollevata da terra ed ora la teneva stretta al suo torace.
Jennifer appoggiò la testa sulla sua spalla, distogliendo la vista dai cadaveri e dalla creatura che si stava buttando contro gli agenti della sicurezza.
"Tieniti stretta." le suggerì, impaziente di spiccare un salto. "Dobbiamo scappare prima che si accorga della nostra presenza."
Prima ancora della conclusione di quella frase, si ritrovarono all'aperto sotto un cielo coperto da fumo e smog. Erano usciti dalla vetrata ed una scheggia le aveva provocato un taglio sul viso. Il sangue le scivolò sul collo, provocando nei lineamenti di Adrian degli spasmi incontrollati.
Jennifer alzò il volto verso quello del compagno, ammirando il cambiamento di colore nelle iridi degli occhi. Erano velate di un colore rosso, ma le lenti a contatto mascheravano bene la trasformazione in atto.
Sfrecciarono sopra il traffico newyorkese da un balcone all'altro degli edifici, evitando i numerosi gruppi di persone che si erano riuniti per manifestare contro o a favore dei diritti per i vampiri.
"Mi devi scusare." prese la parola, Adrian. Erano atterrati sul tetto di un locale notturno e la musica rap rimbalzava nelle loro orecchie.
Lo guardò mentre barcollava all'indietro e solo allora si rese conto della ferita che si era procurato proteggendola e che continuava a sanguinare. "Ho bisogno di nutrirmi."
Lei accorse per sostenerlo e lo aiutò a sedersi sul bordo sporgente di un comignolo.
"Scusa. Sono stato indelicato." proseguì, dovendo aver notato il suo silenzio.
 

 
***
 
Alex appoggiò una mano sul fianco della regina, con l'altra afferrò quella che Morwen gli aveva dato e l'accompagnò al centro del salone. Un coro di voci armoniose prese immediatamente ad intonare una melodia, che tuttavia non aveva nulla di dolce o rassicurante. Le ali della fata si muovevano ad ogni loro spostamento, producendo una polvere dorata che gli provocava un leggero fastidio agli occhi.
La regina socchiuse le labbra e i suoi artigli violacei lasciarono dei graffi sul dorso della sua mano.
Il nephilim aggrottò la fronte, ma si guardò bene dal lasciarsi sfuggire qualche indelicato commento. Era la prima volta che gli capitava di osservare la regina della Corte Unseelie, sebbene avesse intrattenuto affari con altre creature fatate, e si augurò di non dover avere più nulla a che fare con lei in futuro.
La pelle di Morwen era soffice e fredda tra le sue dita, quasi quanto quella dei vampiri. Gli occhi, neri quanto i capelli di Sebastian, erano inquietanti. Non rispecchiavano alcuna immagine ed era difficile intuire cosa guardassero.
La collana della regina si mosse in avanti e quelle che all'apparenza sembravano semplici perle ornamentali di rivelarono qualcosa di tutt'altro che piacevole.
Lo stomaco di Alex protestò alla vista dei bulbi oculari che scintillavano sul petto di Morwen, attirando la sua attenzione. Lui si affrettò a distogliere lo sguardo, ma non mancò di sentire l'irritante risata della fata alla sua reazione.
Si chiese se fossero occhi umani quelle iridi che lo fissavano incessantemente.
Inquieto, osservò il vampiro mentre tentava di convincere la sua compagna a danzare. Sebastian aveva il viso contratto in una smorfia, mentre la ragazza stringeva infastidita il suo braccio. Stavano avendo un'animata conversazione e Alex per poco non inciampò quando Clelia sembrò in procinto di picchiare il suo accompagnatore.
"Hai rallentato il ritmo." commentò Morwen, piccata. Affondò le unghie nella sua carne e Alex le lanciò un'occhiata infastidita. "È trascorso molto tempo da quando ho danzato con un nephilim." Commentò lei, alzando il mento. "Come immaginavo avrei fatto meglio chiedendo a Sebastian, ma ero curiosa di osservare la reazione della mia ospite." spiegò, guardando in direzione di Clelia.
Lui non replicò e l'aiutò a fare una piroetta nel momento in cui altri fatati si unirono al ballo.
"Ti piace la mia festa?" chiese all'improvviso la regina, obbligando Alex a fermarsi. Le voci del coro tacquero e le note del pianoforte si abbassarono di intensità. Attorno a loro la folla continuava a muoversi a passo di danza.
"È un modo piacevole per trascorrere la serata." osservò, sviando la domanda. Per esperienza passata sapeva che con le fate era preferibile dare risposte vaghe, senza rivelare pensieri troppo personali.
Le ali di farfalla si mossero più velocemente e la regina si picchiettò l'indice sulle labbra, nell'imitazione di un gesto fin troppo umano. "Dimmi Alexander..." lui rabbrividì. "Come stanno i tuoi genitori?"
Alex aprì la bocca per parlare, ma gli sembrava che un cubetto di ghiaccio gli fosse stato fatto scivolare nella gola. Boccheggiò alla ricerca di ossigeno, mentre un senso di crescente terrore si faceva largo in lui.
"Oh, Alexander!" esclamò la regina, leccandosi il sangue che aveva sulle dita. "Credevi davvero che non sapessi chi fosse il nephilim che si intrattiene con i miei sudditi per avere una cura alla maledizione dei suoi genitori?"
Alex distese i bracci lungo i fianchi, incapace di dare un ordine logico ai pensieri che affollavano la sua mente. Era sconvolgente sapere che quella creatura conoscesse così bene i suoi segreti.
Chiuse gli occhi e davanti a sé vide i corpi cinerei dei genitori e della sorella, addormentati in alcuni letti d'ospedale. "Se hai accettato di venire qui questa sera non è stato solo per avere informazioni sul mostro che disturba la quiete di New York." Morwen avvicinò le labbra al suo orecchio, sfiorandogli la guancia con le dita. "Potrei avere la soluzione ad ogni tuo problema." Rivelò lei, schioccando la lingua.
"Perché dovresti aiutarmi?" replicò Alex, mascherando la propria agitazione. Si morse la lingua, ricordandosi qual era il compito dei nephilim. Sapeva che se i suoi genitori fossero stati presenti non avrebbero mai e poi mai approvato che lui si lasciasse aiutare dalle creature fatate. Tuttavia, loro potevano aiutarlo e lui desiderava disperatamente liberarli dal sortilegio che li teneva sospesi tra vita e morte.
"Cosa saresti disposto a pagare per salvarli? Fin dove ti spingeresti per riaverli al tuo fianco?" bisbigliò Morwen. "Quali sono i confini che oltrepasseresti per loro?"
Qualunque fossero i confini che Morwen ipotizzava, Alex sapeva che suo padre avrebbe preferito morire piuttosto che vederglieli varcare.
Sebastian alzò lo sguardo nella loro direzione e lui si chiese se avesse origliato quella conversazione. Clelia gli rivolse un sorriso esitante, ma Alex non rispose a quel gesto.
"Se ti chiedessi di uccidere quella ragazza..." continuò imperterrita la regina Unseelie.
"Quale ragazza?" ribatté Alex riprendendo il controllo. Poi, abbassando la voce aggiunse "Non ucciderò nessuno per te."
Morwen fece schioccare la lingua sul palato. Era evidente che non lo sopportava.
"Debole." sibilò lei scostando di poco la testa. "Io, invece, sono disposta a tutto." la sua voce era diventata roca. "Ed ottengo sempre ciò che voglio." aggiunse.
Alex non si preoccupò di domandarle quale fosse il suo obiettivo, semplicemente fece un passo indietro e accennò un inchino con il capo per lasciare allontanare la fata.
Il cacciatore strinse i pugni, domandandosi -non per la prima volta- se avesse appena gettato al vento la possibilità di poter parlare nuovamente con i suoi cari.
 
 
 
 
 
Note: Ed eccomi! Morwen è detestabile e io la odio assai xD Anche se ammetto che qui come in CS è affascinante scrivere su di lei ù_ù
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! :D Per chi segue Contratto di Sangue-La Guerra Celeste probabilmente ci saranno ritardi con il nuovo capitolo, causa miei altri impegni. Nel frattempo gustatevi SH^^
P.S: Causa problemi con l'html ho cambiato carattere di scrittura. Sorry!
By Cleo!


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Capitolo 16
*** Figli di Re ***



15
≈*≈*≈*≈*≈
Figli di re


Io fuggirò da te, mi nasconderò nella selva
e ti lascerò in balia delle bestie feroci.
{W.Shakespeare}
 
 


 
Non c'era nulla di entusiasmante in quella macabra festa fatata. Sebastian si chiese se trovasse quel luogo così inospitale perché si era abituato alle comodità moderne o se il motivo fosse che le creature fatate non gli erano mai andate a genio.
Nella sala gli ospiti avevano ricominciato a parlare tra loro, commentando con parole sprezzanti il comportamento irriguardoso che il ragazzo nephilim aveva tenuto nei confronti della regina.
Clelia lanciava occhiate infastidite alla folla e guardava insistentemente la ferita al braccio che le aveva procurato qualche pixie. Aveva smesso di lamentarsi del ballo nell'istante stesso in cui Morwen aveva lasciato Alex per dirigersi verso una bambina seduta compostamente su una poltrona all'estremità della sala.
Lui la studiò mentre arricciava una ciocca di capelli e si mordeva il labbro inferiore.
"Dobbiamo seguirla." mormorò lei, tirandolo per l'orlo della giacca. "Morwen." si affrettò ad aggiungere con un sospiro.
"Va bene." si limitò a dire Sebastian con una scrollata di spalle.
"Adesso." ordinò Clelia indicandogli di fare strada. "Alex." chiamò quando raggiunsero il nephilim. "Seguici." il suo tono di voce era così deciso che nemmeno lui osò opporsi alla decisione.
Morwen fece un sorriso compiaciuto nella loro direzione e indicò loro un corridoio che portava ai sotterranei del castello. La bambina si agitò e la regina si chinò al suo fianco per sussurrarle qualcosa. Senza dire una parola, la principessa si alzò e precedette tutti loro lungo il passaggio.
Clelia si irrigidì sul posto e dovette fare dei profondi respiri prima di riprendere a camminare. Non toglieva gli occhi dalla bambina, quasi si fosse trattata di un fantasma.
"Cristavia sta bene." commentò lei, rivolgendosi a Morwen.
La regina incrociò le dita tra loro, rivelando un'espressione pensierosa. Sebastian pensò che fosse l'emozione più vera che probabilmente gli avesse visto esprimere quella sera.
"Tutto per merito tuo, Soul Hunter."
L'orologiaia trattenne il fiato e Sebastian si voltò appena per guardarla. Cosa indicava quel termine?
"Non..." Clelia sospirò. "Non fare questo, Morwen." la supplicò. "Cristavia è sana e salva, proprio come volevi." si passò stancamente le mani sulla fronte. "Ascolta cosa hanno da dire e poi lasciaci andare." Le ali della regina fremettero di collera.
"Andiamo." le interruppe Sebastian. "Abbiamo degli affari da sistemare."
Alex annuì e il gruppo si avviò lungo la scalinata di pietra.
 
 
Sebastian non si stupì più di tanto quando varcarono la soglia di quelle grotte sotterranee. Morwen era in testa al loro gruppo e lui chiudeva la fila. Come sempre, da quando l'aveva conosciuta, la sua attenzione si spostò su Clelia che senza accorgersene era andata a sbattere contro la spada di Alex, dato che il nephilim si era fermato bruscamente.
Lei mormorò qualche parola di protesta, poi quando il suo sguardo si spostò sulle pareti delle grotte il suo viso si fece cinereo.
Dall'altro lato dello spazio scuro e poco illuminato, Cristavia era sdraiata su un divano, intenta a giocherellare con i bordi del suo elaborato abito celeste. La fata bambina rideva per qualcosa che un pixie al suo fianco le aveva appena detto, ma si ammutolì non appena sua madre prese posto su una poltrona al suo fianco, assaporando una pietanza che il vampiro non perse tempo a identificare.
Ciò che però identificò, esaminando le facciate rocciose, proprio come aveva fatto Clelia, lo lasciò basito.
Alex deglutì nervoso. "Sembrano uova di Pasqua giganti." borbottò il nephilim studiando i numerosi bozzoli verdi stipati ai lati della grotta. All'interno, sotto la loro superficie trasparente, si muovevano corpi violacei e neri. Sembrava di assistere alla riproduzione gigante dell'evoluzione di un bruco in procinto di trasformarsi in farfalla. "Non credo siano commestibili, però." si azzardò a commentare Alex, sfoderando la spada dal fodero.
Sebastian avanzò di qualche passo e Clelia si spostò indietreggiando di lato, verso la parete rocciosa. Prima che potesse avvertirla di cosa c'era alle sue spalle, l'orologiaia lanciò un urlo disgustato. La sua mano destra aveva toccato la superficie di un bozzolo e una sostanza chiara, simile a bava, le si era attaccata alla pelle.
Clelia sbarrò gli occhi per l'orrore, mentre tentava di ripulirsi utilizzando il tessuto della sua maglia. "Che..." tremava visibilmente e anche Sebastian si sentiva scosso per quanto stava vedendo.
"Schifo." completò Alex per lei. "È disgustoso." Ora la spada celeste era ben salda davanti a lui. "Cos'è questo posto?"
Cristavia si lasciò sfuggire un gridolino divertito, mentre afferrava il pixie che le volava accanto, stringendolo quasi fosse stato un pupazzo di pezza.
Superando il ribrezzo iniziale, Sebastian si avvicinò ad uno dei gusci. Era l'unico che poteva affermare di aver incontrato creature più disgustose, così si mise ad esaminare il bozzolo.
"Sono soldati." spiegò Morwen dando vita ai suoi stessi pensieri. "In fase di gestazione. Innocui, quindi." tagliò corto lei.
Sebastian alzò gli occhi. Lì attorno dovevano esserci centinaia di soldati. "C'è una guerra in arrivo?" domandò prudente. Non era mai accaduto che i fatati si immischiassero nelle faccende umane, ma era risaputo che la Corte Seelie e Unseelie erano in continuo contrasto tra loro. Dopo aver saputo dei piani di Naamah e della creazione di un suo personale gruppo di non morti la prudenza non era mai troppa.
"Potrebbe esserci." replicò la regina, guardinga. "Le Corti sono sempre..." lei ci rifletté, scuotendo i capelli. "Non siamo mai state in amicizia." tagliò corto. "Accomodatevi, prego, miei ospiti." allargò le braccia invitandoli sulle poltrone disponibili. "So che avete delle domande per me."
"Infatti è così." rispose Alex in modo brusco.
"Questi soldati avranno bisogno di nutrirsi." bisbigliò al nephilim l'orologiaia. "Morwen avrà bisogno di carne. Molta carne. Ci sta nascondendo qualcosa." aggiunse Clelia, staccandosi da lui con indifferenza, mostrando una sicurezza che non aveva.
Sebastian incrociò le mani sul petto e seguì il nephilim fino al piccolo salotto improvvisato, lasciandosi scivolare pigramente su uno dei divanetti. Clelia, invece, rimase in piedi, a qualche metro di distanza.
Morwen fece schioccare le dita e davanti a loro si materializzarono dei tavolini ricoperti di pietanze d'ogni genere. Alex fece una smorfia vedendo la carne cruda e per tranquillizzarsi sfiorò la spada che aveva appoggiato al fianco della poltrona.
Carne umana.
Era stato il profumo del sangue a tradire quella provenienza e Sebastian si chiese se il poveretto, prima di essere ucciso, si fosse reso conto di quanto gli era accaduto.
"C'è un prezzo da pagare per ogni domanda." proseguì la regina, ignorando il nephilim.
Sebastian allungò le gambe in avanti, domandandosi cosa avrebbe dovuto fare per ottenere le risposte che gli occorrevano. Morwen non sarebbe stata clemente con il prezzo, non quanto la regina della Corte Seelie.
"Clelia..." chiamò la fata con voce melliflua. Sebastian voltò immediatamente il capo verso l'orologiaia e la guardò deglutire nervosamente, prima che avanzasse di qualche passo.
"Cosa vuoi in cambio delle risposte?" intervenne Alex, con il volto arrossato per la rabbia. Evidentemente, Sebastian aveva sottovalutato il suo disprezzo per il popolo fatato, perché da quando erano scesi in quelle grotte Alex si comportava in maniera strana.
"Da voi due nulla." annunciò Morwen, leccandosi le labbra. Cristavia annuì distrattamente in direzione della madre, prima di tornare al suo pixie. "Sarà lei a estinguere il vostro debit-" disse, indicando l'umana.
"No." la interruppe Sebastian, stupendosi della sua decisione.
"Sebastian." lo chiamò Clelia, raggiungendolo alle spalle. Aveva un tono preoccupato, ma non per le parole della regina.
"Ho detto di no." obiettò il vampiro. Morwen sorrise, rivelando la sua dentatura aguzza.
"Non sarà nulla di doloroso. Non ho intenzione di farle del male." dichiarò la regina.
"Dimmi il prezzo." intervenne Clelia, stringendo i pugni sullo schienale del divano.
"Lo sai." ridacchiò la fata. "Quando tornerete a New York, desidero che tu spieghi a Sebastian la natura del vostro legame e qual è il compito che svolge un Soul Hunter."
"N-Non... Non è..." balbettò la ragazza. "È contro le regole."
"Tuttavia, sei qui." considerò la regina. "Non deve importati poi molto delle regole se ti sei spinta fino alla mia Corte."
A Clelia si bloccò il respiro in gola, ma non tentò di replicare. "A quale scopo?" bisbigliò più a se stessa che agli altri presenti.
Alex tamburellò nervoso le dita sulla poltrona. La spada celeste cadde sul pavimento e Sebastian spostò con cautela l'attenzione sul nephilim. Era stato così preso dall'orologiaia che si era dimenticato della sua presenza.
"E il mio prezzo?" domandò quello, alzando la voce.
La regina scosse il capo sconsolata, quasi avesse a che fare con dei bambini. "Clelia." tornò a rivolgersi alla ragazza. La invitò a raggiungerla al suo fianco e lei fece dei passi esitanti verso Morwen.
Fu a quel punto che Sebastian scattò in piedi e afferrò la ragazza per un braccio, costringendola a sedersi sul divano.
"Non avvicinarti a lei mai più." scandì bene le ultime parole, per assicurarsi che Clelia afferrasse appieno il messaggio. Lei sbiancò, ma fece come lui le aveva ordinato.
"Come sei suscettibile." La voce di Morwen tradì una punta di ostilità mal trattenuta. "La tua informazione sarà gratuita, allora, Alexander."
La regina sistemò la lunga gonna dell'abito grigio, e allungò una mano per afferrare alcune foglie violacee e mangiarle. Cristavia continuava a ridacchiare, ignorando le occhiate infastidite dei presenti e Sebastian notò che Clelia cercava in ogni modo di non incrociare gli occhi della principessa. Il suo disagio strisciò fino alla sua mente, costringendolo a prestare maggior interesse alla madre.
"Bene." riprese Morwen. "La tua domanda, nephilim. Ma ricorda: una ed una sola." aggiunse sovrappensiero.
 
 
Un'unica domanda. Alex sapeva che la regina si stava facendo beffe di lui. Non le avrebbe dato alcuna altra occasione per sapere come spezzare la maledizione dei suoi genitori. Questo significava che avrebbe dovuto cercare altre soluzioni per aiutarli, ma non sapeva da dove cominciare. Chiedere aiuto a Simon o Violet sarebbe stato inutile, visto che ne sapevano tanto quanto lui o ancora meno. Vanhel, invece, parlava solo per dare ordini e difficilmente si vedeva in giro. Azalya era talmente ignara di ciò che realmente accadeva nel mondo che era impensabile domandarle un qualche tipo di sostegno.
Sarebbe toccato a lui, con la sua mente e la sua spada, trovare la soluzione a quei problemi.
Al momento, però, doveva concentrarsi sul killer sovrannaturale che aveva massacrato umani e vampiri.
"Cosa puoi dirmi sulla creatura soprannominata Chimera?" Era quello il motivo della sua presenza lì. Vanhel era stato chiaro: qualunque cosa fosse quel mostro doveva essere fermato prima che potesse compiere ulteriori stragi.
Il vampiro si lasciò sfuggire un fischio compiaciuto ed Alex intuì che quell'informazione faceva comodo anche a lui.
"Chimera è un ibrido. I segni sono chiari." cominciò a spiegare la regina. "Solo altre due volte, nel corso della storia è stato generato un essere simile e in entrambi i casi l'ibrido è stato ucciso prima che potesse giungere all'età adulta."
Clelia tirò indietro la testa, poggiandola sul divano. Alex notò che aveva un'aria sfinita, come se non dormisse da giorni. Non che a lui importasse della sua salute, dopotutto qualunque cosa fosse un Soul Hunter non era umano e quindi un potenziale nemico.
"Un ibrido di che genere?" intervenne Sebastian, con un'espressione assorta.
Morwen sfiorò la superficie delle sue ali disneyane, talmente simili a quelle dei cartoni animati che all'inizio lui aveva dubitato potessero essere vere.
"Metà angelo e metà vampiro." sorrise la fata.
Sebastian si lasciò sfuggire un sibilo incredulo e Alex spalancò la bocca per lo stupore.
"Impossibile!" tuonò il nephilim, saltando in piedi. Scosse la testa, rifiutandosi di dar credito ad una simile sciocchezza. Ciò che quella rivelazione implicava era a dir poco stomachevole. Un angelo e un demone che procreavano un figlio? No, era qualcosa di così distante da quanto aveva imparato dai suoi genitori che la cosa lo lasciava totalmente spiazzato.
"Impossibile!" gli fece eco Sebastian, mostrando i canini.
"Siete liberi di credere a ciò che volete." disse Morwen per nulla impressionata dal loro scetticismo. "Io vi sto solo esponendo i fatti per quanto ne so. Tuttavia..." aggiunse, rivolgendosi al vampiro. "A livello teorico la nascita di questa creatura è possibile."
"È terribile. Se fosse così..." mormorò Clelia.
"Chimera avrebbe l'immortalità delle due stirpi, i loro poteri e-" continuò Alex, rimuginando sulle complicazioni di quella doppia natura.
"Nessuna debolezza." completò Sebastian, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche. "Non avrebbe problemi con la luce del sole ad esempio, ma nemmeno possederebbe la linea di condotta morale di un angelo. Chimera è una macchina da guerra." decretò con una smorfia. "Chi sono i genitori?" sbottò infuriato. "Per colpa di chi è nata questa... creatura?"
"Ha importanza?" li interrogò la regina, lisciandosi i capelli. "Nulla potrà cambiare il fatto che la Chimera esiste. Accettalo, vampiro."
Dalla gola di Sebastian proruppe un suono che ricordò vagamente il ringhio di un cane ferito.
"Da quanto hanno compreso i miei servi, Chimera per sopravvivere si nutre di cuori. Che siano umani o di altra natura non ha alcuna importanza. È una ragazza, e Naamah sembra molto interessata a lei. Ha mandato i suoi vampiri a cercarla." Morwen socchiuse gli occhi e annuì tra sé. "Chimera ha attaccato in città." spiegò, senza rivolgersi a nessuno in particolare. "Attualmente ci sono sei morti e tredici feriti, esclusivamente umani."
Alex strinse la spada, sperando di riuscire a sfogare in quel modo la rabbia che covava nel suo cuore. Aveva la sensazione che se fosse rimasto a New York sarebbe riuscito ad evitare tutto quello spargimento di sangue.
"Naamah la sta cercando?" rifletté Sebastian. "Si può, quindi, presumere che l'ibrido non stia lavorando per lei."
"Forse." lo assecondò la fata, ma non sembrava convinta. "Non c'è modo di saperlo. Questo però ci riporta alla tua domanda, figlio di Lucifero."
 
 
Jennifer non ricordava più da quanto tempo le sue mani tremavano. Dieci minuti? Un'ora? Sembrava trascorsa un'infinita da quando lei e Adrian erano fuggiti dalla conferenza stampa. L'aveva portata al Trinity, il locale notturno di Astaroth che ora apparteneva a Sebastian.
L'aveva lasciata nella stanza del vecchio Master di New York, in compagnia di un canarino giallo che, rinchiuso nella sua gabbia dorata, non smetteva più di pigolare, mentre lui era andato a nutrirsi di qualche ignara vittima umana.
In quel lasso di tempo si era fatta una doccia, ed ora i capelli le gocciolavano inarrestabili sul pavimento.
Con curiosità si era messa a frugare nei cassetti del comodino ed aveva trovato centinaia di foto che rappresentavano tutte il medesimo soggetto nel corso di una decina d'anni. Una bambina che rincorreva un pallone, la stessa seduta nel banco di scuola a colorare un disegno, mentre passeggiava per le vie di New York... Poi gli scatti si erano fatti meno fitti, man mano che la ragazza cresceva. L'ultima rappresentava un'adolescente che percorreva di corsa Central Park. Ne afferrò qualcuna decisa a mostrarle a Sebastian.
Qualcuno bussò alla porta e incredibilmente il fastidioso canarino si zittì.
"Jennifer?" il tono di Adrian tradiva il suo nervosismo. Era la prima volta che lei percepiva in modo tanto netto l'accento tedesco della sua patria.
Aprì la bocca, ma le parole rimasero in sospeso tra loro. L'asciugamano che aveva usato per tamponare i capelli era umido e i suoi vestiti non erano da meno. Rabbrividì, questa volta per il freddo anziché per la paura.
"Jennifer, stai bene?" l'urgenza nascosta nella voce di Adrian la sorprese. Con una smorfia si disse che era perché Sebastian avrebbe voluto la sua testa su un piatto d'argento se le fosse accaduto qualcosa, o almeno sperava che fosse così.
Jennifer si alzò dal comodo letto matrimoniale per andargli incontro, spalancando la porta e lasciandolo passare. Adrian aveva ancora l'aspetto di Sebastian, ma lo sguardo era più umano, meno freddo.
La musica proveniente del locale le giungeva attutita, ma le provocò ugualmente un senso di disagio che cercò di mascherare mordendosi il labbro.
"Sarai sollevata nel sapere che la creatura non ci ha inseguito." le comunicò Adrian, lasciandosi sprofondare in una poltrona. "I telegiornali non fanno che parlare di quanto accaduto." continuò con un sospiro. "Credo che ci considerino tra le vittime. Te e Sebastian, intendo."
Jennifer rivolse una veloce occhiata alla televisione nell'angolo: non aveva avuto il coraggio di accenderla. Alcune gocce d'acqua le scivolarono sul collo e lei le tamponò prima che bagnassero ulteriormente il suo abito da sera.
"Devo fare una telefonata." annunciò, muovendosi per quella stanza estranea alla ricerca di un telefono.
"Sebastian non ha risposto alle mie chiamate. Alla Corte Unseelie la tecnologia non funziona." la interruppe Adrian.
"Lo so. Non è lui che devo chiamare." replicò Jennifer, stringendosi al petto le braccia. "Devo dire al mio agente che stiamo bene, prima che il mondo ci creda morti."
Adrian le allungò il suo cellulare senza protestare e lei si affrettò a spiegare al suo interlocutore l'accaduto. Chiuse la chiamata e si rannicchiò sul letto in posizione fetale, fingendo di essere sola. Era troppo scioccata per piangere, ma non abbastanza per dimenticare che aveva avuto una reazione simile dopo la morte dei suoi genitori. Aveva passato giorni in completo silenzio, osservando una parete bianca. Adrian le aveva detto qualcosa, ma non aveva capito molto.
"Tu, stai bene?" indagò, girandosi su un fianco per osservarlo. Adrian si era cambiato e non c'era più alcuna traccia di sangue sugli abiti. Si era tolto le lenti a contatto e gli occhi erano tornati alla loro naturale tinta blu-notte.
Lui sembrò colpito dalla domanda, perché inclinò la testa di lato con un'espressione buffa. "Cortese da parte tua chiedermelo. Sono un vampiro con molti anni alle spalle, quindi sto bene. Non c'è alcuna necessità che tu ti preoccupi per la mia salute, ma apprezzo il gesto." Si alzò e si affiancò al letto.
Prima che Jennifer potesse fermarlo o capire cosa stava facendo, lo guardò mentre le sistemava l'asciugamano sui capelli, aiutandola ad asciugarli. Fu avvolta da una ventata d'aria calda e rimase così sorpresa che l'unica cosa che fece fu di spalancare la bocca in un gesto assai poco femminile.
"Non è il periodo adatto per prendersi un'influenza." commentò Adrian, quasi sovrappensiero. "Ci sono troppi vampiri in città e non è il caso che tu manifesti questa debolezza così... umana." mormorò.
"Ho bisogno di bere." decretò, mettendosi seduta. I capelli erano asciutti, anche se in compenso erano un groviglio di nodi.
Lui annuì. "Del thè, della cioccolata calda, oppure un caffè?" chiese, più rilassato.
Jennifer si avvicinò alla gabbia del canarino, scuotendo divertita la testa. "Qualcosa di forte. Molto più forte." sottolineò con noncuranza. "Ho intenzione di ubriacarmi." specificò, voltandosi per osservare la reazione dell'altro.
Adrian sorrise, rimanendo comunque composto. "Astaroth teneva una riserva di vini speciali per i suoi soci d'affari umani. Credo che potremo cominciare con quelli, se non riuscirò a farti desistere da tal proposito."
"Non ci riuscirai." lo rassicurò l'attrice.
 
 
Figlio di Lucifero.
Erano pochi a chiamarlo a quel modo e per un breve istante si domandò cosa stese facendo suo padre di tanto urgente per non avere ancora fatto la sua comparsa a New York. Sebastian serrò la mascella, deciso a scoprirlo.
Voleva risolvere la faccenda con Morwen al più presto, farsi spiegare da Clelia cosa intendeva dire la regina con il termine Soul Hunter e trovare il modo più rapido per annientare Naamah. Per non parlare della questione spinosa che riguardava Chimera e che l'aveva sorpreso più di tutto il resto messo assieme.
"Come o dove posso trovare la Caduta, Naamah?" domandò a Morwen, ansioso di poter mettere fine a quel problema.
Al suo fianco, Clelia torceva nervosamente le dita della mano e Sebastian la costrinse a smettere lanciandole un'occhiata spaventosa.
Morwen si alzò i piedi, imitata subito dalla figlia Cristavia, e girò attorno alla poltrona di Alex un paio di volte.
"Non ho idea di dove si trovi. Naamah è molto abile nel nascondere le tracce." confessò la fata, facendo ondeggiare pericolosamente in avanti il vestito.
"Questa non è una risposta accettabile." replicò freddamente Sebastian.
"Infatti." convenne Morwen, stringendo tra due dita la strana collana d'occhi. "Nessuno ha mai detto che le risposte ti sarebbero state gradite."
Sebastian contrasse impercettibilmente la mascella, mentre sul palmo della sua mano prendeva forma l'essenza di una fiamma nera. Era poco più grande di una pallina da tennis ma, se l'avesse lanciata, i suoi effetti molto più disastrosi.
"Morwen." chiamò Clelia, raggiungendo velocemente la regina. L'orologiaia si chinò in avanti, bisbigliandole qualcosa all'orecchio e l'espressione seccata della fata si trasformò in una entusiasta.
La cosa non fece che irritarlo maggiormente ed il fuoco sul suo palmo crebbe esponenzialmente di volume.
"Ti avevo detto di non avvicinarti a lei!" tuonò lui, infastidito. Era snervante constatare che qualcuno sfidava i suoi ordini. Certo, Jennifer raramente faceva quello che le diceva ma il rapporto tra loro era differente. Cristavia gridò qualcosa di incomprensibile e l'umore di Morwen cambiò nuovamente.
Il colore degli occhi della fata si era fatto più chiaro: un grigio sbiadito. "Stai venendo meno alla mia ospitalità, vampiro." lo accusò.
"Non esiste ospitalità che regga all'interno delle due Corti." obiettò Sebastian con una smorfia.
"Come osi!" esclamò la regina. I capelli di Morwen rilucevano di macabri riflessi violetti. Le ali si dispiegarono in tutta l'ampiezza che era loro consentita e Cristavia applaudì in segno di apprezzamento.
Alle spalle della fata si materializzarono una decina di rami spinati, che con un gesto imperioso del braccio furono scagliati in avanti.
Alex si gettò a terra, trascinando con sé la spada e imprecando ad alta voce qualcosa riguardante il pessimo carattere dei fatati. Clelia si nascose rapidamente dietro ad una poltrona, ma non abbastanza velocemente. Un dardo spinato le aveva lacerato la carne poco sotto il ginocchio destro, strappandole un grido di dolore e l'orologiaia era scivolata a terra, frenando la caduta con le mani.
Fremendo di rabbia, Sebastian aveva liberato le sue fiamme che avevano avvolto i rami della regina riducendoli in cenere.
Il vampiro si piegò su un ginocchio e quando il suo sguardo individuò la medesima ferita che in realtà era stata inflitta a Clelia, richiamò a sé il fuoco demoniaco e lo indirizzò verso un paio di bozzoli, bruciandoli completamente.
Morwen lanciò un urlo così agghiacciante che tutti i presenti si coprirono le orecchie con le mani. La regina, invece, si portò le dita ai capelli simulando il gesto di strapparli. Gli occhi stavano assumendo una colorazione sempre più chiara, finché divennero totalmente bianchi.
"Merda!" si concesse di inveire Alex, prima di correre al fianco di Clelia per aiutarla a rimettersi in piedi.
Attirati dalle grida della loro regina un branco di pixie era appena comparso nella grotta, fermo ai margini del corridoio che loro avevano percorso in precedenza.
"Uccideteli!" ordinò Morwen indicandoli. Cristavia si aggrappò all'orlo dell'abito della madre, apparentemente impaurita, ma Sebastian notò perfettamente il lampo di divertimento che attraversò i suoi lineamenti, deformandoli per qualche istante.
"Siamo morti!" gridò Alex per sovrastare il ronzio fastidioso prodotto dalle ali dei pixie. Stavano correndo verso il corridoio, l'unica via di fuga che conoscevano, ma i fatati erano tra loro e l'uscita.
Sebastian non lo degnò di una risposta, mentre passava un braccio sulle spalle di Clelia per permetterle di appoggiarsi a lui. Guardò il nephilim mietere le prime vittime con la spada celeste, mentre lui guidò le sue fiamme contro una piccola avanzata fatata.
Sulla sua gamba, la ferita causata dal legame era già guarita, ma lo stesso non si poteva dire per Clelia.
"Stai bene?" domandò Sebastian, afferrando un pixie e lanciandolo contro la parete di pietra.
"No che non sto bene, idiota!" lo apostrofò lei ansimante.
Schivando un ghiacciolo di ghiaccio, opera di Morwen, Sebastian pensò che la ragazza non doveva stare poi così male se aveva la forza per criticarlo.
"Andiamocene!" ordinò lui, indicando l'uscita. Alex li precedette, mulinando la spada in aria quasi si trattasse di un giocattolo. La luce azzurra della lama era come un faro che segnalava ai nemici la loro posizione.
"Che disastro, Semiael!" borbottò Clelia, inciampando.
Sebastian la aiutò a rimanere in piedi, sebbene non riuscì affatto ad apprezzare la pronuncia del suo vero nome. "Non ci aiuterà più! Né io, né te e nemmeno Alex!" disse lei, stringendo i denti e prendendo un bel respiro.
"Bene!" esclamò esasperato. "Staremo benissimo anche senza il suo aiuto!"
"Tu, forse!" replicò Clelia, incespicando nei suoi stessi passi.
Davanti a loro, la spada celeste di Alex, calò su tre pixie gettandoli a terra. "Smettetela!" li riprese il nephilim, facendo strada nel corridoio. "Ho intenzione di tornare a New York tutto intero!"
"Per fare a pezzi i vampiri." osservò Sebastian dando una rapida occhiata alle sue spalle. Il numero di pixie era diminuito, ma i pochi rimasti non avevano intenzione di lasciarli in pace.
"Vero." asserì Alex per nulla turbato.
Sebastian appoggiò Clelia ad una parete e dopo aver osservato pensieroso il palmo della sua mano, fece apparire nuove fiamme striate d'argento che scagliò contro i fatati. I pochi sopravvissuti al suo attacco furono fermati da Alex.
"Non avrei mai creduto che un giorno avrei dovuto ringraziare un vampiro per avermi salvato la vita." intervenne Alex, accostandosi anche lui alla roccia sporgente.
"Sì, bhe." lo interruppe l'orologiaia con un cenno della mano. "Tutto ciò è davvero commovente, ma vi sarei grata se ce ne andassimo. Non sono troppo esaltata all'idea di finire al banchetto di Morwen come portata principale." mugolò, portandosi una mano sulla ferita.
"Il dardo ha colpito il muscolo, nessun danno ad arterie importanti." le comunicò Sebastian, dopo l'ennesima occhiata alla ferita.
"Questo non mi conforta."
Fu zittita da un gesto di Alex che con la spada alzata aveva indicato un punto impreciso dalla direzione da cui erano venuti. C'erano degli strani rumori, come se una folla avesse deciso all'improvviso di applaudire le mani di fronte ad uno spettacolo particolarmente riuscito.
"Cosa altro succede?" chiese Alex, infastidito dall'ennesimo imprevisto. I boati si susseguirono con cadenza sempre più ravvicinata, fino a cessare dopo una decina di minuti.
"Io avrei una mezza idea e non voglio essere qui per scoprire se ho torto o ragione." avvertì Clelia, avviandosi per prima verso l'uscita. Le sfuggì un gemito di dolore e fu costretta ad aggrapparsi al muro per riuscire a sostenersi.
Sebastian la raggiunse in una frazione di secondo. Appoggiandole un braccio sotto le ginocchia e l'altro attorno al collo la sollevò da terra, strappandole un grido di sorpresa.
"Muoviamoci!" esclamò balzando in avanti, seguito subito da Alex. Abbassò il viso su quello di Clelia che continuava ad agitarsi come un serpente. "Smettila." le ordinò con voce piatta. "Non vorrei essere costretto a lasciarti qui."
"Non lo faresti!"
Sebastian scosse la testa. "Non esserne così sicura."
"A cosa credevi fossero dovuti i suoni di prima?" Alex si voltò verso l'orologiaia per attendere la risposta e la vide mordersi le unghie per l'ansia.
"Ho il forte sospetto che Morwen abbia fatto schiudere le sue covate di guerrieri. Per ucciderci." sottolineò Clelia, come se il concetto dovesse essere rinforzato.
Alex scocchiò la lingua sul palato, bisbigliando delle imprecazioni. "Abbiamo sprecato il nostro tempo." ansimò, saltando un gradino di pietra.
Avevano raggiunto il piano del ballo, ma non c'era più musica nell'aria e tutti gli ospiti erano scomparsi. Le uniche presenze erano date dalle tre vecchie filatrici di paglia che Sebastian e Alex avevano incontrato in precedenza.
Lavoravano incessantemente senza staccare gli occhi dai gomitoli di stoffa dorata che si trovavano ai loro piedi.
"Un regalo per la principessa." gracchiò una delle fatate.
Un'altra alzò il viso inespressivo in direzione di Clelia. "Ha aiutato la principessa."
La terza si alzò dal suo filatoio. Era la più anziana e la più gobba delle sorelle. Si avvicinò al loro gruppo e Sebastian acconsentì a rimettere a terra l'orologiaia che avanzò traballante verso la fata.
Lei accennò ad un inchino e la vecchia sorrise, sfiorandole una guancia con la punta delle dita.
"Onorevoli dame." salutò Clelia. "Cristavia sta bene, ma io non possiedo nulla che potrebbe alleviare la vostra condizione."
"La principessa sta bene." ripeté la prima fata, sospirando di sollievo.
Sebastian incrociò le braccia sul petto, chiedendosi ripetutamente perché stavano sprecando tempo a quel modo. Anche Alex doveva essersi posto il problema visto che gettava continue occhiate verso l'uscita.
"L'erede è salva, Cristavia è salva." continuò la seconda.
Clelia annuì. "Sì, non dovete più temere per la sua vita." spiegò.
Il Master di New York sbuffò, scambiando un rapido sguardo con Alex.
"Siamo in debito con te, Soul Hunter." intervenne la più anziana. Allargò le braccia e comparve della splendida stoffa dorata che mise goffamente tra le mani dell'orologiaia. "Un dono come ringraziamento."
La ragazza strinse il tessuto al petto, osservando il mucchio di paglia ai piedi dei filatoi venire trasformati in fili d'oro. "Cristavia attenderà ancora un po' per il suo nuovo abito." commentò la fata, seguendo la direzione dei suoi occhi.
Alex diede dei leggeri colpetti di tosse.
"Non posso aiutarvi." mormorò Clelia, ignorando il nephilim. "Però posso darvi un piccolo aiuto. Per porre rimedio alla vostra condizione dovete recarvi alla Corte Seelie, portando con voi tre galli e tre dei vostri gomitoli. Quando sarete in presenza del guardiano del castello lui vi impedirà di entrare a palazzo. Dovrete cedergli i tre galletti prima dell'arrivo dell'aurora e procedere dritte verso il salone da ballo." si interruppe, assicurandosi che le tre vecchie avessero capito.
Sebastian la guardò stupito, osservando come le fate si erano avvicinate per stringersi tra loro emozionate. Le rughe si erano allontanate dai loro occhi, regalandole un'espressione meno stanca.
"Cosa sta facendo?" bisbigliò Alex, affiancandolo. Lui si limitò a stringersi nelle spalle, perché come il nephilim non aveva la minima idea di ciò che stava accadendo. Possedeva solo la vaga certezza che Clelia sapeva esattamente cosa stava facendo, come se lei conoscesse più cose del dovuto.
Si accigliò. Non era la prima volta che rifletteva su quella questione. Clelia sapeva davvero più del dovuto, ma il motivo non gli era chiaro.
"Lì troverete un grosso leone alato. Gettategli uno dei vostri gomitoli e proseguite. Più avanti troverete la regina della Corte Seelie. Datele come pagamento il secondo gomitolo e chiedetele come spezzare la maledizione. Dovrete essere rapide e concludere prima del sorgere del sole o non riuscirete a fuggire!" le avvertì, abbassando il tono di voce. "Al leone di guardia lanciate l'ultimo gomitolo e tornate svelte dal guardiano. Quando all'alba i galletti canteranno il loro canto lui non sopporterà quel suono e voi potrete fuggire dalla Corte."
Le sorelle si abbracciarono, piangendo e singhiozzando tra loro. "Grazie." gracchiarono in coro, prima di scomparire insieme ai loro filatoi.
"Muoviamoci." concluse Sebastian, spalancando le porte del salone da ricevimento.
 
 
Avevano appena superato il ponte quando Alex si fermò per poter riprendere fiato.
Appoggiato ad un albero, con le mano sulle ginocchia e il capo chino in avanti, il nephilim diede un'ultima occhiata al maniero della Corte Unseelie che si scorgeva in lontananza.
"Quelle vecchie erano davvero inquietanti." commentò, boccheggiando alla ricerca di aria.
"Sono state maledette." disse Clelia, cercando i suoi occhi. "Secoli fa." riprese, passando distrattamente una mano sulla stoffa che le tre fate le avevano donato. Dal modo in cui lo stava fissando in quel momento, Alex provò la spiacevole sensazione che lei conoscesse la storia dei suoi genitori. L'idea era così inverosimile che decise di ignorare il tono di voce che Clelia aveva utilizzato quando aveva cominciato a parlare di maledizioni.
Tra i tre l'unico apparentemente disinteressato alla cosa e per nulla stanco era Sebastian, che giocherellava con quelle strane fiamme nere e bianche che aveva creato.
"In realtà." riprese Clelia. "Loro sono figlie di Morwen, tre gemelle nate prima di Cristavia."
"Davvero?" chiese Sebastian perplesso.
"Sono così vecchie perché una maledizione pende sulle loro teste. Non ho idea di cosa abbiano fatto per meritarselo, ad ogni modo Morwen le ha allontanate dalla Corte Unseelie non appena ha scoperto cos'era accaduto loro. Ha fatto credere ai suoi sudditi che fossero morte, l'insulto arrecato dalla loro bruttezza era troppo da poter sopportare."
"Sì, ha senso." concordò il vampiro. "I fatati amano le cose belle." dichiarò con convinzione.
"E tu le hai aiutate a liberarsi dalla maledizione?" chiese Alex, assicurandosi che la spada fosse al sicuro nel fodero alle sue spalle.
"Ho suggerito loro un modo. Se avranno successo dipenderà solo da loro."
"Perché lo hai fatto?"
Clelia si strappò una fascia di stoffa dalla maglietta e la utilizzò come benda per la ferita. Le sue mani sfiorarono il punto in cui la pelle era lacerata, strappando con violenza quanto restava del dardo che l'aveva trafitta. Soffocando un lamento annodò la stoffa in una medicazione provvisoria.
"Una domanda alquanto stupida." obiettò lei con una smorfia. "Come se io ti chiedessi il motivo per cui aiuti gli esseri umani dalla minaccia dei demoni." Si voltò verso Sebastian come se avesse temuto di averlo offeso. "Le ho aiutate perché potevo farlo. E, lo ammetto, perché in questo modo si riterranno in debito con me e cercheranno di rendermi il favore." aggiunse.
Alex serrò i pugni, infastidito da quel comportamento. "I demoni non aiutano nessuno se non per ottenere qualcosa in cambio."
L'orologiaia zoppicò in avanti, fino a raggiungerlo. "Mi credi un demone, Alexander?" Non aveva avuto esitazioni a chiederglielo e perfino il vampiro sembrava davvero interessato alla risposta.
"Lo sei?" la aggredì Alex.
Clelia sorrise tristemente, come se quella domanda fosse qualcosa con cui lei facesse i conti tutti i giorni. Le occhiaie sotto gli occhi era più che evidenti in quel momento; i capelli erano disordinati e in balia del forte vento che li aveva accompagnati da quando erano usciti dalla Corte.
"Credo che mi appellerò al diritto di non rispondere." replicò lei, suscitando un'ondata di divertimento in Sebastian.
Prima che Alex potesse trovare qualcosa di altrettanto pungente con cui rispondere all'affermazione, il vampiro fece loro segno di rimanere in silenzio e di seguirli.
Ogni tanto, lungo il percorso di ritorno incontrarono qualche creatura fatata, ma la maggior parte di quelle li ignorò. Solo qualche pixie tentò di attaccarli, ma Sebastian si sbarazzò di loro così velocemente che Alex era certo non avessero avuto nemmeno il tempo di rendersi conto di quanto li stava accadendo.
In breve il portale fu davanti a loro, all'apparenza un vecchio arco di pietra avvolto dall'edera. Manteneva lo stesso aspetto anche a Central Park, ma lì era annerito dallo smog e la pietra era ruvida, rovinata dalle intemperie.
"Torniamo a New York prima di incappare in altri contrattempi." fece Sebastian, aiutando Clelia ha spostarsi.
Alex annuì, chiudendo la fila e godendosi per l'ultima volta il panorama che solo una terra popolata da creature millenarie poteva offrire. Confuso si domandò che aspetto potesse avere l'Eden, la patria degli angeli.
 





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