In guerra e in amore vince chi fugge? di owll (/viewuser.php?uid=45619)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. Come lo Yin e lo Yang ***
Capitolo 3: *** Oltre il cielo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
in guerra e in amore
A pochi giorni dalla
pubblicazione dell'ultimo capito di "Tentazioni" eccomi con
il prologo di una nuova fanfic. Non ho idea di quanti capitoli
prevederà, ma spero non troppi.
Non voglio svelarvi nulla, da quello che leggerete suppongo si riuscirà
ad intuire il filo conduttore, lo spunto di questa storia.
Aspetto commenti, non so bene quando riuscirò a pubblicare il primo
effettivo capitolo!
In guerra e in amore vince chi fugge?
Prologo
Un
cielo
terso e luminoso, probabilmente una tarda mattinata d'estate, montagne
rosse rocciose a
circondarli, in primo piano una giovane donna con una maglietta rosa, e
un
bambino con una tuta scarlatta. Lei, dai capelli turchini legati in una
treccia
sulla nuca con un fiocco rosso, occhi altrettanto turchini e felici, un
sorriso
sbarazzino e un fisico mozzafiato, indica verso una sfera dorata con
quattro
stelle e regge in mano uno strano oggetto tecnologico con un quadrante
verde, alla sua destra il bambino, non un semplice bambino, uno
incredibilmente spensierato sprizzante allegria, ma con qualcosa di
strano,
fuori dal normale, una lunga coda pelosa, regge la sfera osservandola
ammirato.
Quella vecchia foto era ora ingiallita dal tempo, ricoperta da quella
patina
ruvida che rende malinconici i vecchi oggetti e che nel contempo ne
aumenta il
loro valore affettivo. Ancora conservava lo spirito di quel giorno di
tanti
anni prima, di un periodo positivo e perfetto.
Era stata la loro prima avventura insieme, poco dopo il loro primo
incontro, si
erano conosciuti in queli luoghi incredibilmente lontani dalla civiltà
e subito
c'era stato feeling tra la giovane scienziata di città e l'improbabile
ragazzino delle montagne.
Bulma guardava con gli occhi lucidi quel piccolo pezzo di carta
incorniciata,
ormai non più lucida, che suo padre le aveva reso una settimana prima
affermando di averlo trovato tra vecchie cartine stellari e fascicoli
da
buttare all'interno del laboratorio 'piccolo' ora in fase di
ristrutturazione.
Altre erano state le notizie datele dal padre, ben più importanti di
quella
foto, che erano state capaci di portarla a vivere una delle settimane
peggiori
della sua vita, iniziata bene, ma finita nel peggiore dei modi.
Gli occhi di Goku in quella foto erano rimasti gli stessi con il
passare degli
anni, era lei quella cambiata. Dopo quel periodo orami incredibilmente
lontano,
Goku era diventato il suo migliore amico, il suo confidente, il suo
salvatore,
una persona sulla quale si poteva fare affidamento e che oggi purtroppo
non
c'era più.
Un nodo allo stomaco le ricordò il tragico evento, quel
suo ennesimo
stupido sacrificio per il bene dell'umanità, quando il Sayan prese la
pessima decisione
di portare Cell a morire sul pianeta di Re Kaio, una mossa davvero
assurda la
sua, dato che Cell poi tornò a combattere il suo Cell-game con la
stessa costanza di prima.
Calde lacrime presero a scenderle lungo le guance cadendo sul vetro che
preservava quel tenero ricordo. Ora più che mai aveva bisogno del suo
affetto e del suo sostegno, ora che
Vegeta aveva deciso di lasciarla lì con suo figlio, di aprire una
voragine nel suo cuore di gettarle in faccia tutti quegli anni passati
ad amarlo, per tornare a viaggiare per
lo spazio dichiarando di voler ritrovare i Sayan sopravvissuti.
Bulma aveva sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato, infatti era
stata capace di leggere la verità fra le righe, quella non era
altro
che una scusa, non era i Sayan che voleva ritrovare, ma se stesso, quel
vero se
stesso sopito da anni di vita terrestre, una vita che palesemente gli
era
sempre stata scomoda.
Continua...
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Capitolo 2 *** I. Come lo Yin e lo Yang ***
Premessa. Purtroppo il capitolo non è molto
lungo, ma spero vi piaccia lo stesso. Grazie a tutti quelli che mi
seguono e ai porssimi che verranno :)
Come lo Yin e lo Yang
…
una settimana prima.
La
prima cosa che vide entrando
in camera fu la sua schiena, una massa di muscoli ambrati, più simili a
dune
del deserto che a rocce, ma duri come esse.
Era
Vegeta, disteso su un fianco,
sul letto della donna, di spalle alla porta, con la testa ai piedi del letto. Se ne
stava comodamente
adagiato con una mano a reggere il capo e con la l’altra a maneggiare e
leggere
scartoffie.
Chissà
cosa ci faceva lì, le
venne da pensare.
Da
tempo ormai dormivano assieme
la notte, ma di solito era lei a raggiungerlo nella sua camera, lui la
preferiva, era decisamente più ‘sobria’ e la scarsità dei colori lo
mantenevano
concentrato. Nonostante tutti
quegli
anni sotto lo stesso tetto avevano ancora stanze separate, ciò serviva
a lei
per dormire in pace e a lui per potersi ritirare nel silenzio dei suoi
pensieri, di quelli ne aveva sempre in abbondanza.
Sorrise
guardandolo e indugiando
sull’uscio, da un bel po’ tutto stava andando per il verso giusto,
erano già
passati quattro anni di pace dal Cell Game, anni in cui Trunks aveva
potuto
crescere serenamente con entrambi i genitori in vita; sorte che non era
potuta
toccare a Chichi e Gohan il
quale si era
ritrovato a dover fare anche da padre, nonché mentore al suo
fratellino.
Da
alcuni giorni, però, aveva una
strana sensazione che la prendeva alla bocca dello stomaco e che la
colpiva nei
momenti più strani della giornata. La attribuiva spesso all’ansia che
le
portava il lavoro, anche se questa volta sembrava essere qualcosa di
diverso.
Quella
sera, stava rientrando dal
laboratorio ‘piccolo’, quello al quale aveva accesso diretto dal
salotto di
casa sua. Avevano deciso, lei e suo padre, di ristrutturarlo in vista
di un
anno ricco di importanti progetti scientifico-meccanici, non ché di
notevoli
studi astronomici, studi che l’avrebbero portata, di lì ad un giorno a
dover
partecipare ad un congresso mondiale sull’astronomia e sullo studio
degli
asteroidi.
Di
questo aveva discusso con lui
tutto il pomeriggio.
“Tesoro, ho bisogno che ci
vada tu, lo sai che
i giornalisti ti adorano!” l’uomo aveva teneramente cercato di
convincerla con
quel suo fare calmo e ponderato, ma lei ormai non ci cascava più, o
meglio,
faceva finta di cascarci, sapeva bene perché il giornalisti la amavano
e non
era di certo per il suo intelletto, loro non erano comunque gli unici.
I
peggiori erano i suoi viscido-colleghi scienziati, così di solito
‘amava’
definirli, che provavano a conquistarla con ogni mezzuccio possibile.
Bulma non
poteva certo dirsi contrariata, le era sempre piaciuto stare al centro
dell’attenzione e anche se più di una volta questo le aveva creato
problemi la
sua bellezza le aveva aperto porte che il cervello da solo non poteva
sperare
di aprire. C’erano volte in cui, però, non riusciva proprio a lasciarli
fare, e
quindi aveva imparato, con gli anni, tecniche di ‘escapologia’ capaci
di non
lasciare nessuno contrariato. Era furba e intelligente su tutti i
fronti, e le
piaceva vantarsene, l’unica persona dalla quale non era riuscita a
scappare era
‘l’uomo’ che ora condivideva il suo letto, un sanguinario alieno Sayan
che
l’aveva fatta impazzire.
Oltre
che a discutere dei giusti
argomenti da esporre al congresso, suo padre le aveva reso una serie di
carte
astronomiche, documenti ed una foto incorniciata trovati negli angoli
impolverati del piccolo laboratorio, oggetti che aveva pensato le
avrebbe fatto
piacere riavere.
Aveva
ancora tutto con se quando
varcò la soglia della propria camera.
Trunks era già a letto, ne
era certa, si era
scatenato tutto il giorno con il nonno alla ricerca di tesori nascosti
nel
laboratorio da sfrattare. Era stato proprio lui, le aveva detto suo
padre, a
trovare la foto. Un vecchio scatto fatto da chissà chi in cui c’erano
lei e
Goku da bambino, lui aveva ancora la coda, questo le fece capire che
doveva
essere davvero datata.
“Di
che si tratta?” le chiese
Vegeta senza voltarsi, e riportandola alla realtà. Si riferiva ai fogli
che
stava leggendo, si trattava della sua ultima ricerca. Di solito non gli
interessava affatto sapere a cosa stesse lavorando, nonostante a lei
piacesse
spiegarglielo, la sua concentrazione era mirata solo al perfetto
funzionamento
e all’aggiornamento costante della Gravity Room. Solo quando si
trattava di
pianeti, stelle, metalli e leghe era sempre pronto ad ascoltarla. In
fondo era
un Sayan, e i Sayan da sempre apprendevano dalle altre razze ciò di cui
avevano
bisogno e probabilmente Vegeta era uno di quelli che si era sempre
occupato di
trattare con gli scienziati, spesso e volentieri sostenevano colte
discussioni
su determinate faccende spaziali o su determinati motori a propulsione.
Più di
una volta Bulma aveva provato ad indagare sulla sua vecchia vita,
cercando di
capire come fosse il suo pianeta di nascita, ma di solito, quando si
arrivava
al punto in cui entrava in
scena Freezer,
e cioè sempre, quel bianco lucertolone aveva fatto parte della sua vita
sin da
quando era ragazzino, si innervosiva e si incupiva. Di certo erano
stati giorni
assurdi quelli al servizio di un dittatore come quello, tutto il
rancore che
provava non si sarebbe mai assorbito, Freezer
era morto e purtroppo non per mano
sua.
Superò
il letto raggiungendo la
cassettiera già ingombra di carte, fascicoli, profumi e flaconi di ogni
sorta e
vi poggiò, come per coronare il tutto, le mappe stellari e gli altri
documenti .
La foto, invece, prese il posto d’onore sul comodino accanto
all’abatjour a
forma di cuore che inondava la stanza di una calda luce rossa.
“Si
tratta dell’ultima ricerca di
mio padre, quella che mi costringerà a scrivere STASERA…” sottolineò
lasciandogli intendere che non avrebbe avuto tempo per ‘altro’ “… il
discorso
che dovrò sostenere al congresso nel quale lui mi ha scaricato per
domani
sera!” continuò entrando nel bagno per farsi una rapida doccia. Aveva
passato
l’intera giornata chiusa nel laboratorio, aveva bisogno di una
rinfrescata.
Stranamente Vegeta non la raggiunse, eppure era convinta che lo avrebbe
fatto,
gli piaceva da morire farle perdere tempo, invece continuò a decifrare
le
ricerche, dovevano interessargli davvero molto, anche se si trattava
dell’analisi di una macchia nera fra gli astri.
Una
strana piega al centro della
fronte se ne stava lì a dimostrazione del suo impegno mentale.
Rientrando
dal bagno indossò un
paio di pantaloncini e una canotta comoda per la notte, lo trovò ancora
lì immerso
con il naso nei fogli. I capelli turchini arruffati le incorniciavano
il volto
lievemente arrossato dal calore della doccia.
La
luce rossa illuminava il volto
contratto del Sayan che alzò gli occhi per guardarla, probabilmente
attratto
dal suo profumo, un profumo che gli era sempre piaciuto
particolarmente, glie
lo aveva confessato in una notte di passione qualche anno prima.
La
donna lo osservò per un
attimo, a dorso nudo con un paio di pantaloncini scuri se ne stava
ancora steso
su di un fianco, i muscoli contratti erano attraversati da sottili
venature
rosa e lisce, cicatrici segno indelebile del suo passato. Doveva
essersi
allenato molto, una vena ancora gli pulsava sul collo dallo sforzo.
La
sua rude bellezza la spiazzava
sempre, i Sayan non invecchiavano, acquistavano valore col tempo.
Ancora
ricordava bene il giorno
in cui, ignaro di cosa gli sarebbe accaduto, di ritorno da Namekk lei
gli aveva
aperto le porte di casa; era un ragazzo, sperduto, arrabbiato con se
stesso, ora
invece era un uomo ancora incazzato nero, ma maturo e le piaceva da
impazzire.
Lo
sguardo che si scambiarono fu
intenso e carico di ogni ricordo. Gli occhi neri del sayan erano due
pozzi di
pece liquida che la attirarono come una calamita, nei quali raramente
riusciva
a leggervi qualcosa che non fosse indifferenza, rabbia o lussuria.
Doveva
distogliere la vista “Ti spiegherei tutto, ma ho questo discorso di due
ore da
scrivere e devo sbrigarmi, domattina parto presto!” disse stendendosi
al suo
fianco, e posizionando il cuscino accanto al suo. Invece di scivolare
nel
sonno, raccolse le carte e accese il portatile poggiandolo sul morbido
guanciale.
Vegeta
le lasciò i fogli, ripiegò
il braccio destro sotto la testa e chiuse gli occhi, non una parola
dalle sue
labbra, nella stanza echeggiavano solo le battute che Bulma scriveva al
portatile. Il display le illuminava il viso con una strana luce
azzurrina. Ogni
tanto mugugnava contrariata a causa di qualche frase senza senso che le
veniva
fuori, o per concetti complessi da dover semplificare in poche parole,
ma senza
successo.
Dopo
tre ore ancora era lì, gli
occhi le bruciavano per la concentrazione, che non aveva mai perso, e a
poche
righe dalla fine. Le
conclusioni erano
la parte più semplice da scrivere, le avrebbe buttate giù dopo una
breve pausa.
Salvò il file, e gettò un’occhiata alla belva addormentata al suo
fianco; lui
se ne stava lì, con la sua aura selvaggia che gli aleggiava attorno
quasi come
se fosse tangibile, persino lei era capace di percepirla. Lo lasciò ai
suoi
sogni, sempre che effettivamente stesse dormendo, si alzò e si sgranchì
la
schiena annichilita da una scomodissima posizione tenuta per troppo
tempo, in
quei momenti si sentiva una debole mortale, Vegeta questi dolori non li
avrebbe
mai accusati. Sorrise fra se e si avviò in cucina, al piano inferiore.
Aprì il
frigorifero, riparandosi gli occhi dalla forte luce
dell’elettrodomestico e
si versò un bicchiere d’acqua.
La
Luna illuminava la Capsule
Corporation e l’intero salotto-cucina era inondato dalla sua luce
bianca. Tutto
era familiare per lei in quella casa, sotto quel chiarore si
profilavano le
sagome di ogni oggetto: il vecchio vaso rotto e ricomposto svariate
volte negli
anni, il divano con la tappezzeria vecchia 30 anni, i libri infilati in
ogni spazio
possibile degli scaffali, e anche la polvere sembrava sempre la stessa.
Si
sentì incredibilmente felice in quel momento, non rilassata ne
tranquilla, ma
felice, una sensazione che le mancava da tempo, dopo la morte di Goku
nulla
poteva apparirle più gioioso come prima, eppure adesso sembrava che
ogni tassello
fosse andato al proprio posto ricomponendo il puzzle della sua nuova
vita.
Sembrava che tutto stesse andando per il meglio non poteva chiedere di
più, era
una condizione nella quale era arrivata all’apice ad un punto oltre il
quale
non si poteva salire, questo lo sapeva bene. Suo figlio era un bambino
forte e
perfetto, nonostante avesse ancora la coda a dimostrazione della suo
sangue per
metà alieno, era davvero incredibile; poi, anche Vegeta le sembrava
tranquillo,
se un po’ pretendeva di conoscerlo, leggeva nei suoi modi di fare
scioltezza e
pacatezza. Tutto le apparve, improvvisamente, così metafisico da
sembrare
finto.
La
strana sensazione che sarebbe
durato tutto ancora per poco la colpì improvvisamente mentre beveva
l’ultimo
sorso d’acqua. Si presentò come un morso allo stomaco e la mancanza del
suo
migliore amico la trafisse, forse era solo quello il motivo di tanta
angoscia,
altrimenti cos’altro poteva essere? Si chiese risalendo velocemente al
piano
superiore.
Sbirciò
dietro la terza porta e
rassicuratasi che Trunks stesse effettivamente dormendo tornò nella
propria.
Riprese
posto davanti al pc,
nonché al fianco del suo uomo, bello ed impossibile. Finire il discorso
era
nelle sue intenzioni, per poi scivolare nei sonno, ma quando, uscendo
dallo
standby, la luce del display investì la camera, immersa in precedenza
nel
buio, Vegeta
protestò e contrariato le
abbassò lo schermo chiudendo l’aggeggio elettronico “Adesso basta!” le
ordinò.
A Bulma venne da sorridere, forse poteva anche lasciar perdere, le era
sembrato
di capire che il suo uomo volesse attenzioni.
La
mano del Sayan, infatti, passò
dallo schermo alla sua schiena. Si fece strada sotto la canotta e
toccandole la
pelle liscia come seta l’attirò a se. Fu un gesto come un altro, quasi
abitudinario, eppure così incredibilmente dolce, che da un sayan come
il
principe non ci si doveva, ne poteva mai aspettare.
“Ok
ok Vegeta, come vuoi! Spengo
tutto!” gli disse lasciando scivolare il pc oltre il letto per terra.
Poggiò
la testa sul cuscino
accanto a lui, beandosi del suo tocco. Le sue mani che la sfioravano,
nonostante il tempo passato insieme, continuavano a farle un certo
effetto, a
farla sentire strana, ad accenderle una fiammella dentro. Corpi
estranei quelle
mani, fatti di ruvida consistenza un tempo alla ricerca di ossa da
maciullare e
ora alla ricerca di morbidezza, una morbidezza che gli era diventata
familiare
con lo scorrere delle lancette e che aveva conosciuto il giorno in cui
aveva
messo per la prima volta le mani sulla terrestre, mai prima di allora
le sue
dita avevano potuto toccare qualcosa di così sensuale ed erotico come
la pelle
di quella donna.
Il
sayan teneva gli occhi chiusi,
ma sapeva bene che lei era a pochi centimetri dal suo viso, ne sentiva
il
respiro e l’odore, e sotto ogni cellula dell’epidermide lei era
penetrata.
“Vegeta!”
disse in un sussurro a
poca distanza dalla sua bocca “MhMh!?” mugugnò lui di rimando “Come è
andata la
giornata?...” prese ad accarezzargli il collo “… ti sei allenato
molto?”
terminò, una vena su quel collo taurino ancora pulsava in tensione. “Non abbastanza di certo,
e adesso sta zitta!”
i suoi modi erano sempre gli stessi, sgarbati, ma ormai aveva imparato
a
capirlo, era stato firmato una sorta di silenzioso armistizio tra loro.
Gli
baciò le labbra. Non voleva
risvegliare i suoi bollori, altrimenti sarebbero andati avanti tutta la
notte e
non poteva permettersi di fare tardi il mattino seguente, ma sentiva il
bisogno
di bacialo ogni tanto, e quella era una di quelle volte. “Smettila!” le
ringhiò
sulla bocca “Dammene solo uno e la smetto!”gli rispose secca.
Il Sayan aprì di scatto un
occhio.
Le
sue iridi profonde e buie la
inchiodarono. A sua volta lui fu colpito dall’azzurro che riusciva ad
intravedere al buio, gli occhi della donna nemmeno in quelle occasioni
erano
scuri, c’era sempre dell’indaco a riflettere il minimo raggio di luce.
E quella
sera, nonostante il chiarore lunare fosse filtrato dalle tende,
riusciva a
percepirli, quelle iridi riuscivano a convincerlo anche senza parole.
“Starò
via per un paio di giorni
per questo congresso!” lo informò, sperava di convincerlo a lasciarle
qualche
tenero ricordo. Il sayan aumentò la stretta sulla schiena e la attirò
maggiormente a se, ora il loro corpi aderivano come lo yin e lo yang.
“D’accordo!”
sussurrò prima di afferrarle il labbro superiore e, chiudendo gli
occhi,
allungò la lingua fra le labbra della donna e la baciò come lei gli
aveva
insegnato a fare.
Bulma
adorava quando la belva era
così mansueta, quando si lasciava coccolare, se così si poteva dire, e
la
accontentava in stupidi capricci da terrestre. Dopo la loro prima
volta, quasi
da dover dimenticare, erano stati così tante volte a letto assieme che
non
potevano più essere numerate, c’era intimità ora, non come allora, una
intimità
intensa, fatta di sguardi e silenzi, proprio come quella sera.
Percepiva
sullo stomaco il cuore
pulsante dell’alieno, che pompava forte quasi quanto il suo. Si erano
scambiati
un bacio morbido, umido, sensuale. Allontanandosi da lui tenne gli
occhi
chiusi, voleva scivolare nel sonno con quel suono a cullarla.
“Vegeta?”
chiese sussurrando poco
dopo, pensava non le avrebbe risposto e invece “Cosa vuoi ancora?”
grugnì sistemandosi
sul cuscino, sapeva che Bulma era una donna che non si accontentava
facilmente.
“Ti
amo!”
“Sta
zitta!”
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Capitolo 3 *** Oltre il cielo ***
Chiedo
umilmente perdono per questo aggiornamento estremamente tardivo. Il
lavoro e lo studio chiamano. Spero sarà di vostro gradimento. A
presto!
II
Oltre
il cielo
E così era
partita.
Aveva passato
gran parte del
viaggio a scrutare le nuvole all’orizzonte attraverso il vetro della
navicella
che era passata a prenderla in perfetto orario.
Fin troppo
perfetto.
Gli scienziati
erano davvero le persone
più precise e meticolose del mondo, le avevano fatto trovare a bordo il
programma dell’intero meeting; aveva impegni fin dal primo momento in
cui
avrebbe messo piede a terra. Sbuffò. Non era ancora convinta che
avrebbe
passato giornate interessanti, la convention verteva sulle nuove
scoperte
astronomiche e su nuovi modelli di robot da lavoro capaci di riparare
da soli i
satelliti in orbita attorno alla Terra; le premesse erano buone, ma i
nomi che
aveva letto sul depliant degli scienziati che vi avrebbero preso parte,
non la
entusiasmavano, alcuni li conosceva bene e sapeva che si trattava di
perfetti
imbecilli, altri erano dei farfalloni, e pochissimi erano intelligenti
abbastanza per poter sostenere dei discorsi sensati.
Il meeting si
sarebbe tenuto
presso Il Villaggio della Scienza a quattro ore di volo da casa sua,
sorrise
tra se pensando che conosceva chi in un battito di ciglia avrebbe
potuto coprire
distanze incredibili, cose che la scienza non avrebbe mai potuto
spiegare, e
probabilmente nemmeno accettare. Goku ci avrebbe messo un attimo a
percorrere
quella distanza, Vegeta un po’ in più, lei purtroppo era una terrestre,
e
doveva accontentarsi di un noioso e
lungo viaggio. Quattro ore non erano poi così tante calcolando che la
fortuna
era stata dalla sua, era sola, almeno quello. Intrattenere giornalisti
scientifici e ricercatori non era proprio rilassante di prima mattina,
e di
sicuro non avrebbe accorciato i tempi.
Il cielo era
terso quella mattina,
poche nuvole rade lo tagliavano in orizzontale, qualche gruppo di
uccelli
migratori passò sotto di loro. Era una splendida giornata, e sarebbe
stata
ancora più splendida se Vegeta, appena sveglio, non le avesse messo i
bastoni
fra le ruote, come al solito.
La dolcezza
della sera precedente
era completamente scomparsa al sorgere del sole. Quelle effusioni
pacate, non
sarebbero durate a lungo, lo sapeva, aveva avuto uno strano
presentimento che
pensava fosse riferito ad altro, ed invece sembrava proprio riferito a
quella
giornata.
Quel dannato
scimmione.
Era riuscita a
tenerlo a bada,
certo, ma a volte proprio non sopportava quei suoi modi arroganti,
soprattutto
quando aveva appuntamenti di lavoro importanti. Forse stargli lontana
per un
po’ era giusto, le avrebbe giovato e avrebbe raddrizzato anche lui.
Che illusa.
Con la stessa
velocità con cui
aveva formulato questo pensiero aveva formulato quello opposto, adorava
il suo
modo ‘carnale’ di volerla, e lui era così, duro, orgoglioso e pieno di
pretese,
lo amava anche per questo, purtroppo.
“Due ore
all’arrivo!” esclamò una
voce metallica femminile attraverso l’alto parlante.
Bulma bevve un
sorso di caffè, si
era ormai raffreddato, aveva passato tutto il tempo a guardare fuori,
piuttosto
che a fare colazione. Sbuffò infastidita, chiese di averne dell’ altro,
ma poi
ci ripensò, avrebbe lasciato freddare anche quello di sicuro. Aprì il
computer portatile,
e si mise a rileggere il discorso scritto la sera precedente; si
meravigliò di
come avesse riassunto così abilmente certi passaggi complicati, ebbe da
correggere ben poco, e in fretta ebbe terminato anche quel ‘lavoro’,
ora non
poteva fare altro che rimettersi a pensare a quello stupido di un
alieno che
viveva con lei.
Al risveglio non
le aveva
permesso di ultimare le valigie, era una tipa diciamo… previdente e
avrebbe
voluto portar con se ricambi per almeno dieci giorni, invece che per
due. Una
donna, scienziato non poteva apparire mai con un capello fuori posto, e
poi a
lei piaceva essere guardata, era sempre stato quello il suo punto
debole. Aveva
a stento messo insieme in necessario.
Vegeta aveva
preteso attenzioni.
“Credi che ti
lasci andare così?”
le aveva chiesto inchiodandola al letto, occhi negli occhi le aveva
lasciato
capire che voleva solo farle perdere tempo, quella mattina non la
desiderava,
voleva darle fastidio e nient’altro. Gli piaceva molto vederla
arrabbiata, era
reattiva e giocare con lei aveva un gusto diverso.
Il sole che
penetrava dalla
finestra lo illuminava di taglio, i suoi muscoli levigati erano già in
tensione, e lo modellavano come un bronzo di Riace, le aveva spesso
fatto
perdere la testa a quel modo, con il solo guardarla, o il solo
sfiorarla.
“Vegeta!!!” lo aveva ammonito, ma non era quello il momento migliore
per non
capirci più nulla, “Si sono io!” le aveva risposto di rimando con fare
sfacciato prendendo a tormentarle una spalla con dei piccoli morsi. Una
mano le
teneva fermi i polsi, mentre l’altra indagava sotto la maglietta.
Sentiva su di
se il suo corpo potente e non poteva reagire, avrebbe dovuto fregarlo
con
l’astuzia, come al solito.
Aveva allentato
la resistenza e
lo aveva lasciato fare, sapeva che presto si sarebbe accorto della sua
resa, e
così era stato. L’aveva guardata malizioso, lei gli aveva sorriso, gli
aveva
gentilmente chiesto di invertire le posizioni, capitava che lui la
lasciasse
fare e così era stato.
A cavalcioni
sulla belva si
sentiva sempre molto potente, lui le aveva afferrato i fianchi e chiuso
gli
occhi attendendo qualcosa, respirava a pieni polmoni con il petto,
attraversato
da piccole striscioline rosa che, possente, si muoveva lento. Bulma si
era
avvicinata al suo orecchio e gli aveva bisbigliato dapprima delle
parole
impronunciabili, che lui e solo lui avrebbe ricordato per sempre e poi,
con suo
sommo stupore, delle cattiverie, cose che lo avevano infastidito, che
lo
colpivano nell’orgoglio; sapeva sempre dove ferire con la bocca, lei.
Fu a quel punto
che l’uomo aveva
intuito che non avrebbe avuto niente da lei, almeno non quella mattina,
che
aveva intuito il suo gioco “Vuoi solo farmi perdere tempo scimmione che
non sei
altro!” lo aveva accusato alzandosi, lui aveva preso a ridere come un
pazzo,
una risata dura e rauca “Credi di averla vinta vero?” le aveva risposto
continuando a ridere.
Era riuscita a
mettere al volo
delle cose in valigia, Vegeta non avrebbe riso ancora per molto. Si
chiuse in
bagno, e per fortuna le lasciò fare una doccia, le concesse anche il
tempo di
organizzare un beauty con il necessario da viaggio; trucchi, saponi,
acque
profumate, creme. Indossò qualcosa di
comodo, ma sensuale, una camicia rosa e un pantalone lungo e stretto,
bianco; i
suoi colleghi scienziati volevano lei non solo per la testa, anche se
sarebbe
bastata quella per metterli nel sacco, tutti.
Fuori dalla
finestra aveva visto
atterrare la navicella privata, c’era stato un momento in cui era
arrivata
quasi a pensare di abbandonare tutti e rimanere con lui; nonostante la
sua
violenza, tra le sue braccia si sentiva completa e appagata, forse le
avrebbe
concesso qualche bacio, ma Vegeta non ne era il tipo, avrebbe preteso
di più e allora
aveva accantonato l’idea dirigendosi verso la porta.
Stava
cominciando male quella
giornata, ma forse avrebbe potuto ancora recuperare.
“Un ora
all’arrivo!”
l’altoparlante la distrasse da quei pensieri, era ancora arrabbiata con
lui, ma
già le mancava, sapeva che due giorni sarebbero stati lunghi per
entrambi, per
non parlare di Trunks che era abituato ad averla sempre a casa,
fortunatamente
a lui avrebbe pensato il nonno, con suo nipote era riuscito a
raggiungere
soglie di dolcezza impensabili per un uomo di scienza.
Le balzò alla
mente la foto ingiallita
che avevano ritrovato insieme nonno e nipote nel piccolo laboratorio,
una
giovanissima se stessa e un piccolo Goku, felice e spensierato. Non
riusciva a
ricordare chi aveva potuto scattarla, ma poco importava tutto sommato.
Una
fitta allo stomaco le ricordò che le mancava quella testa a punta, ogni
giorno;
in ogni ricordo felice c’era lui, accettare la sua scomparsa definitiva
non era
stato semplice, ma per fortuna lui aveva lasciato la testimonianza del
suo
amore lì sulla terra in Gohan e Goten, due splendidi esemplari di
vitalità e in
Goten lei lo rivedeva tutte le volte, erano due gocce d’acqua. Le venne
da
sorridere.
A volte
immaginava un Vegeta
buono e gentile come il suo migliore amico, ma poi ci rifletteva, di
sicuro non
le sarebbe piaciuto come le piaceva ancora quel rude principe alieno.
“Non penserai
che sia finita
qui?” le aveva chiesto poche ore prima, ringhiando, mentre lei, con
passo
rapido aveva provato a svignarsela. Lui l’aveva raggiunta alle spalle
con un
balzo e l’aveva costretta con il viso sulla porta. Il suo fiato le
aveva
riempito le orecchie “Vegeta su, devo andare, sarò di ritorno fra un
paio di
giorni!” aveva provato a convincerlo, inizialmente senza risultato “Non
farmi
venire lividi sul viso altrimenti..!” “Cosa?” aveva risposto lui
mettendo su
quel suo ghigno malefico che lei amava tanto quanto odiava “… mi
faresti fare
delle figure orribili alla convention, sai quanto ci tengo!” “Quanto ci
tieni a
mettere la mercanzia in mostra eh!?” le rispose tormentandole i seni da
sopra
alla camicia “Non fare il geloso!” era riuscita a girarsi mentre lo
diceva, ora
erano nuovamente occhi negli occhi, a pochi centimetri l’uno
dall’altro,
respiro dentro respiro “Valgo più io che tutta quella banda di
spocchiosi messi
insieme!” aveva ruggito sulle sue labbra, sapeva bene che così lo
avrebbe
innervosito, odiava quando lei gli attribuiva sentimenti umani insipidi
quali
la gelosia, a quella frase infatti risero insieme, lei divertita, lui
un po’
meno.
I loro occhi si
agganciarono in
punto imprecisato tra il naso e la fronte, nessuno dei due fece un
passo verso
l’altro. “Ti diverti a darmi fastidio vero?...” gli chiese “… dopo
tutti questi
anni ti diverti ancora un mondo!” sorrise terminando, lui le baciò le
labbra,
non sapeva mai cosa risponderle e l’unico modo che conosceva per
zittirla era
quello.
Fu un bacio
casto.
A rimbombare
nell’aria erano solo
i battiti di due cuori affannati “Devo andare!” “Non così presto!” la
interruppe lui facendola aderire a se e alla porta. Nel frattempo
dall’esterno
si udirono i passi di qualcuno che si avvicinava, probabilmente stavano
arrivando
a prendere i suoi bagagli, doveva districarsi in fretta da questa
situazione
complicata.
“Facciamo un
accordo…” gli
propose.
Aveva il fiato
spezzato per la
pressione contro la porta, e un timore stava salendo a galla: di li a
poco
avrebbe ceduto alle sue avance. Vegeta prese a baciarle il collo
alternando
baci e morsi lievi, se avesse potuto se la sarebbe mangiata sul serio.
“Cosa aspetti,
prosegui!” la
esortò, sapeva che così facendo le faceva perdere il tempo e la testa,
ma
quella mattina Bulma era irremovibile, le era venuta un’idea malsana “…
se mi
lasci andare ora… al mio ritorno…” allungò la bocca verso il suo
orecchio per
poter essere più sensuale possibile “… ti farò godere così tanto da
farti
gridare il mio nome!” sentì il cuore dell’alieno perdere un battito,
poi lo
vide allontanarsi dal suo collo e sorridere “Mi ricatti con il sesso
ora?”.
Sentì la sua presa allentarsi per un attimo prima di diventare ancora
più
forte, allora gli rispose “Nessun ricatto, è una promessa!” gli baciò
il mento
dolcemente.
Si persero
ancora una volta l’uno
negli occhi dell’altro, pece liquida e un mare cristallino che si
incontravano
e si cozzavano dentro e fuori. “Vedremo chi dei due griderà più forte!”
la
minacciò lasciandola andare del tutto. Le concesse solo un ultimo
sguardo prima
di dirigersi verso il bagno, poi riprese a ridere. Aveva calcolato ogni
singolo
secondo quell’uomo, perché nell’attimo in cui si chiuse la porta la
voce del
pilota echeggiò per la casa “Signora Brief, siamo pronti alla partenza!”
“Signora Brief,
siamo arrivati!”
Bulma distolse
lo sguardo dal
finestrino, quella voce l’aveva riportata alla realtà, non si era
nemmeno resa
conto che la navicella era atterrata, non stava cominciando bene questa
settimana lavorativa, proprio no.
Si riscosse dai
pensieri e gli
sorrise. Il Villaggio della Scienza era davvero enorme, un posto in cui
le
scoperte erano all’ordine del giorno, mise un piede sull’asfalto e
respirò a
fondo. Avrebbe dato il meglio di se!
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“La mamma uscirà
in tv oggi
pomeriggio Trunks, ti va di vederla vero?!” il nonno Brief, con la sua
solita
sigaretta attaccata ai baffi, e voce dolcissima, stava portando il
nipote con
se nei laboratori per continuare il lavoro di smantellamento iniziato
da giorni.
Il bambino aveva
pianto un po’
per l’assenza improvvisa della madre, ma si era subito ripreso grazie
ad un
nuovo giocattolo super tecnologico che lo scienziato gli aveva appena
regalato.
Si trattava di un grandioso dinosauro verde, cavalcabile, che
rispondeva ai
suoi comandi, solo a quelli del bambino. Bastava poco per farlo felice
e quando
sorrideva chiunque si scioglieva. Chiunque tranne suo padre,
ovviamente.
Vegeta si
trovava di passaggio in
cucina proprio in quel momento, e allungò l’orecchio quando sentì il
bambino
frignare. ‘Se fosse stato sul pianeta Vegeta a questa età sarebbe nel
deserto a
combattere contro la fame, la sete e una buona dose di mostri letali!
tsk!’
storse il naso alla sua vista, raramente aveva provato sentimenti
d’affetto nei
confronti di quell’essere messo umano.
Per quanto
riguarda l’altra
notizia, pensò che forse la donna avrebbe parlato di quelle sue
ricerche
intergalattiche che tanto gli erano interessate. Fra quelle carte, il
giorno
prima, aveva trovato la risposta ad alcune domande che si poneva da
sempre, o
meglio, da quando era stato costretto sulla Terra da una serie di
fattori
esterni, quali la morte di Freezer e la sfida aperta con, l’ormai
defunto,
Kakaroth, una morte che anche lui ancora non aveva accettato, il suo
unico
rivale rimasto se ne era andato e tutto stava diventando noioso e
ripetitivo.
“Vegeta!” la
voce del vecchio lo
fece voltare, da dolce era diventata seria. Quell’uomo gli parlava
raramente,
ma quando lo faceva era sempre per dirgli qualcosa che poteva
interessarlo sul
serio, stimava la sua intelligenza, e l’abilità che aveva avuto nel
dare alla
luce una femmina perfetta. Si scrutarono per un istante brevissimo, poi
il
dottor Brief parlò sostenendolo “Stasera Bulma esporrà in diretta della
nostra
ricerca… vieni ad ascoltarla, potrebbe interessarti!” Vegeta trasalì,
che
avesse capito qualcosa anche lui? Si trattava di un consiglio fin
troppo
esplicito.
Si degnò di non
rispondergli,
come al suo solito, ma era bastato uno sguardo tra i due per
intendersi. Se ne
avesse avuto voglia, sarebbe passato per il salotto; lì, lui e sua
moglie,
avrebbero ammirato la loro figlia geniale ‘esibirsi’ in diretta
mondiale.
Che donna! Pensò
fra se.
Non avrebbe
potuto trovarne una
migliore in tutta la galassia, lo sapeva benissimo, aveva cominciato a
capirlo
fin da subito; eppure doveva allontanarsi da lei, quella droga che gli
iniettava ogni volta che lo baciava stava diventando letale.
Quale folle lo
avrebbe accolto
fra le sue mura? Quale folle lo avrebbe affrontato così apertamente,
faccia a
faccia ogni giorno? Non aveva forza fisica, ma una forza mentale che lo
spiazzava giorno dopo giorno. Anche quella mattina, lo aveva raggirato,
solo in
parte l’aveva lasciata fare. Quella sua lingua tagliente lo faceva suo
in poco
tempo. Si era divertito un po’ con lei
semplicemente perché adorava tenerla sulle spine, le aveva concesso fin
troppo
la sera prima, tutta quella intimità così familiare non poteva durare
ancora
per molto, non era uno stabile lui. Da sempre nomade, aveva vissuto in
giro per
la galassia, tutti quegli anni sulla Terra lo stavano rovinando,
pensava.
Tutta quella
rabbia accumulata lo
stavano macerando dentro. L’amore di ‘lei’ non poteva bastargli, non
gli
sarebbe mai bastato, almeno questo era quello che ripeteva a se stesso
ogni
santo giorno.
Ma poi l’amore
che cos’era?
Non si vive di
sentimenti, un
sayan non vive di sentimenti, ma di
guerra, conquista e odio. Espansione coloniale e sviluppo della razza.
Nient’altro.
Da quanto non
uccideva qualcuno?
Un tempo il
sangue chiamava altro
sangue, ora solo l’apatia avvolgeva il suo sayan interiore.
Tra le carte
stellari di quella
donna era riuscito a leggere qualcosa che aveva risvegliato il suo lato
animalesco.
Forse, oltre quel cielo che vedeva fuori dalla finestra della sua
spoglia
stanza terreste, qualche altro sayan era alla ricerca dei suoi simili,
e forse,
aveva capito come raggiungerlo. Il principe sopito stava risvegliandosi
per
tornare all’attacco, era vivo dentro lui prepotentemente. Il sangue
reale aveva
cominciato a pompargli forte nelle vene quella notte precedente. Una
notte che
non avrebbe dimenticato, una notte in cui una fiammella si era accesa
nell’oscurità
di quella galassia.
Bulma, un’altra
galassia
incredibile, aveva dormito fra le sue braccia, il suo respiro leggero
lo aveva
cullato, mentre vigile aveva vagato con la mente nello spazio, fra le
stelle, individuando
forse il punto in cui loro lo stavano aspettando, perché i sayan sono
fedeli
alla corona e nulla possono, o riescono, senza un comandante.
L’aveva
desiderata, quasi tutta
la notte, aveva finto di non volerla per non cedere ulteriormente a
quel corpo
così perfetto che, ad un tocco più forte si sarebbe potuto spezzare.
Fra una
fantasia legata al ritornare principe, ne susseguiva una legata alle
gambe di
quella terrestre e si era odiato profondamente per questo. Per questa
sua
futile debolezza. Avrebbe potuto portarla con se, ma lei non avrebbe
mai
abbandonato né la sua famiglia, nè quel mezzosangue nato da una notte
di
passione fin troppo focosa.
Reagiva male
quando i
‘sentimenti’ di cui tanto Bulma vociferava, lo assalivano, si
presentavano a
lui come realtà tangibili ed esistenti. Reagiva male, e doveva darle
fastidio.
Volentieri le avrebbe fatto far tardi, molto più tardi, fino a
costringerla a
letto sotto la sua forza, fino a farle gridare sul serio il suo nome,
fino a
farle rompere la voce facendole raggiungere l’apice del piacere, ma
alla fine
aveva ceduto alla sua sensualità.
Riusciva a
prenderlo sempre nell’
orgoglio, e per la cintura.
“Ti adoro!” gli
diceva quando
sapeva che ‘Ti amo’ non gli sarebbe andato a genio.
L’intera
giornata l’aveva passata
nella Camera Gravitazionale, asettica e fredda come d’altronde era la
sua
camera, ma l’unico luogo dove la sua forza poteva esprimersi al cento
per cento
e dove, con il sudore, andavano via anche certi pensieri legati a lei.
Anni in
quella casa e quel corpo di donna, perfetto, lo facevano ancora
dannare.
Durante le fasi lunari la situazione peggiorava, Bulma sapeva che era
meglio
non farsi trovare in quei giorni, il taglio della coda non aveva
eliminato ‘quel
se stesso’, lo aveva solo incatenato infondo al suo petto, al suo
stomaco.
Decise di uscire
da lì solo
quando sentì che i muscoli stavano per esplodere, nel momento in cui il
suo
corpo cedeva, lo spirito si rinforzava. Ponderare con il sudore che gli
scorreva sulla pelle lo portava quasi sempre alle scelte più giuste.
Aveva un
nuovo scopo ora, ritrovare gli ultimi della sua razza, ciò implicava
andare via
da lì per sempre, era arrivato il momento.
Era deciso.
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