cuor d'alloro

di Nimue07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** libero di ... ***
Capitolo 2: *** Scusa non richiesta accusa manifesta ***
Capitolo 3: *** Uno scheletro nell'armadio, al quanto pesante ***
Capitolo 4: *** Care moine ***
Capitolo 5: *** Tracce di me nel predente ***
Capitolo 6: *** Lo sporco mestiere di raccattare informazioni ***
Capitolo 7: *** A centosette passi e un battito d'ali ***
Capitolo 8: *** Cuore in standby ***
Capitolo 9: *** Accusa revocata, ansia ritrovata ***
Capitolo 10: *** scartoffie bagnate di pioggia e birra ***
Capitolo 11: *** Correre verso la fine ***



Capitolo 1
*** libero di ... ***


Prologo
Il talismano protetto
Vi erano, in un tempo lontano, tre guerrieri nomadi.
Con la loro compagnia viaggiavano di terra in terra, portando con se principi sempre vivi di giustizia, speranza e fedeltà; compivano le loro imprese con onore e rispetto l’uno nei confronti dell’altro.
 
Nel corso di una delle loro spedizioni, trovarono un alberello d’alloro nel mezzo di un paesino povero e desolato, dove la truppa di guerrieri trovò rifugio nel corso di una tempesta.
L’arbusto era avvolto da un alone di mistero. Nessuno lo aveva piantato, eppure era li, rigoglioso da molti anni. Tutti gli abitanti della contrada gli portavano riguardo come fosse un essere umano degno di rispetto.
 
I tre guerrieri, inseparabili, rimasero tanto affascinati dal profumo e la bellezza del piccolo albero, che la notte prima della partenza decisero di strapparne un rametto ciascuno per ricordo.
Nonostante l’alloro fosse una spezia, nessuno aveva mai osato torcerne una sola foglia, per via di una vecchia superstizione, giudicata dai tre guerrieri nomadi una stupida ossessione di vecchi contadini, dediti all’invenzione di vecchie maledizioni inesistenti.
 
La notte prima della loro partenza il cielo era illuminato da una luna nel pieno del suo splendore riflesso, e quando al culmine del suo sorgere divenne la regina del cielo stellato, l’arbusto cominciò a muoversi al soffio di un vento inesistente, le sue foglie divennero lucide, quasi brillanti, ed i suoi frutti simili a ciliegie mutarono in un ghiaccio perennemente intatto.
Tale avvenimento fuori dal comune non fece altro che accentuare la curiosità dei tre guerrieri che, ignorando le leggi della piccola contea, presero con se un rametto ciascuno.
Il primo con l’intento di conservare una parte tutta per se, di quella strana scoperta inaspettata, il secondo con il desiderio nascosto di ricavare danaro, il terzo, se pur indeciso sul da farsi, si fece convincere dai compagni a raccogliere il suo ramoscello  per non apparire un codardo.
 
Nessun cittadino si accorse del loro gesto, così non furono fermati ne accusati, e ripresero il loro cammino all’alba.
*.*.*.
Dopo alcune ore di cammino, la compagnia di guerrieri si accorse che nella cittadina appena lasciata imperversava un violento incendio, e nei cuori dei tre compagni cominciarono a farsi vivi il dubbio e il rimorso.
Potevano davvero essere loro la causa di tale disastro?
Insistettero per tornare indietro ma il capitano non era dello stesso avviso, non sapendo che era il rimorso a spingere i tre cavalieri e non la pena per i poveri abitanti della piccola contrada già tanto disastrata.
Dopo tante insistenze, ai tre fu dato il permesso di tornare indietro per aiutare i poveri contadini con la promessa di raggiungerli successivamente. I cavalieri volarono sui loro destrieri ma arrivarono troppo tardi; il fuoco aveva già inghiottito l’intero villaggio, lasciando intatto con loro stupore solo il piccolo albero di alloro, da sempre simbolo di vittoria aveva avuto la meglio anche di fronte a tale sventura.
Quella che poteva apparire una coincidenza, dava alla povera gente un’importante spiegazione -Se l’albero è ancora intatto, è la sventura del suo potere che ci ha colpito nuovamente!
Disse un uomo a gran voce, indicando l’arbusto odiato e rispettato allo stesso tempo.
Il cavaliere più sciocco dei tre, pensando di fare buona cosa, decise di confessare il proprio sbaglio convinto che, se avesse confessato prima di essere scoperto, i contadini sarebbero stati clementi con loro e la maledizione caduta su questi ultimi sarebbe svanita.
La povera gente, avendo perso anche i pochi averi conquistati dopo l’ultimo incendio a causa di una violazione della loro legge, giudicata assurda superstizione dai viandanti, non accettò di buon grado la confessione del cavaliere che spinse i suoi due compagni a restituire i loro ramoscelli in segno di riconciliazione.
Forse, se avessero restituito all’arbusto i suoi rami mancanti, esso avrebbe riportato la contrada all’antico splendore di una volta.
I cittadini accettarono ma i tre guerrieri non restituirono il torto con gesto sincero; il primo, avaro di soddisfazioni e conquiste, era segretamente contrariato, il secondo, che voleva trarre una compensa da tale scoperta, era pronto a riprendersi non solo il suo ramoscello ma anche quello dei suoi compagni, il terzo infine, agiva per paura di ritorsioni da parte dei contadini e non per il loro bene.
Così fu che i principi di giustizia, speranza e fedeltà furono sostituiti dall’avarizia, tradimento e codardia, non solo nei confronti degli sventurati cittadini ma anche nei loro stessi confronti, annullando il rispetto che univa i tre guerrieri un tempo fieri del potere più grande in loro possesso: l’amicizia e la fiducia.
*.*.*.
L’arbusto non ebbe alcuna reazione al loro gesto, così il capo della contea propose ai tre guerrieri di attenere fino a quella notte, quando la luna piena sarebbe sorta per la seconda e ultima volta in quel ciclo lunare. Se anche in questa occasione il magico arbusto non avrebbe accettato il torto subito, i tre uomini sarebbero stati costretti a partecipare alla ricostruzione degli averi distrutti durante il tremendo incendio senza alcun compenso.
I tre ancora non comprendevano pienamente cosa mai sarebbe cambiato se l’arbusto avesse accettato le loro scuse o meno: di certo, la cittadina non sarebbe risorta spontaneamente dalle proprie ceneri se una misera pianta di alloro avesse accettato delle scuse che non poteva comprendere, non possedendo una ragione pari a quella umana. Ma è proprio qui che i tre guerrieri non più valorosi si sbagliavano: l’arbusto era dotato di intelligenza, facendosi beffe di loro li aveva messi alla prova mostrandogli un tesoro che dovevano saper custodire se mai ne avessero preso possesso.
Ormai quei ramoscelli appartenevano ai tre guerrieri e non potevano restituirli; quella notte, quando i tre uomini furono lasciati soli con l’arbusto, l’albero non accettò nuovamente l’invito a riprendersi i suoi gioielli. Quando la luna illuminò l’alloro, esso si trasformò come fece la notte precedente, e parlò loro dicendo:
-La vostra irresponsabilità non avrà una reale punizione, poiché avrete la possibilità di redimervi- Trasmise l’arbusto alle loro menti, sorprese e spaventate –I frutti che mi avete sottratto diventeranno unica cosa, diventerà un tesoro da custodire, che porterà al suo custode poteri che un uomo in natura mai potrebbe ereditare.
I tre guerrieri, sempre più interessati alle parole dell’arbusto, videro trasformarsi sotto i loro occhi i tre ramoscelli, posati alla base dell’alberello che avevano osato sottovalutare. Al loro posto, comparve un diamante dalle sfumature grezze, che prese la forma di una foglia di alloro; la fogliolina si illuminò ed il suo picciolo sottile si dilungò a formare un piccolo anello, dandole la forma di uno strano ciondolo dall’aspetto fragile.
Non lasciandosi sfuggire la sterile spiegazione dell’alloro magico, i tre si avvicinarono furtivi al ciondolo per prenderne possesso e sfruttarne i poteri, senza ancora sapere a cosa avrebbero comportato; ma i loro tentativi di conquista furono vani, perché nessuno dei tre riuscì a tenere nelle proprie mani la gemma per più di qualche istante.
La gemma era fatta di un ghiaccio che scottava al tatto, così preso dalla rabbia il primo dei tre cavalieri si lamentò di tale affronto –Per quale motivo creare un amuleto unico, che non possiamo tenere con noi? Sarebbe stato meglio lasciare i ramoscelli com’erano in precedenza!
Ciò che i tre non comprendevano, erano i sentimenti con i quali avevano restituito il mal torto, sentimenti corrotti dall’avarizia. –L’amuleto sopravviverà solo in presenza di un cuore puro, dote che voi non possedete più – spiegò l’arbusto paziente –Un uomo può essere colto di sapere, ma una mente ricca di nozioni non fa un cuore ricco di buoni sentimenti.
I tre si osservarono a vicenda, come alla ricerca di una risposta alternativa –Cosa dovremmo fare adesso per redimerci dal nostro sbaglio?- chiese il più codardo dei tre –Se non possiamo neanche sfiorare l’oggetto che ci hai donato!?
A queste ultime parole l’alloro si infervorò, anche se non era capace di comunicare come gli uomini, sapeva trasmettere il proprio diniego nelle menti dei guerrieri intimoriti. –Chi mai vi ha dato il diritto di privarmi dei miei preziosi rami!- ruggì nelle loro menti –Chi mai vi ha detto che voi, meschini, codardi, ingrati uomini disonorevoli avreste diritto ad un tale tesoro?- gli sgridò impaziente –Non posso riprendere con me il vostro mal torto! Dovrete trovare un essere umano in grado di custodire l’amuleto che voi avete collaborato a creare. Se mai non avesse un protettore, cadrà la sventura sulla razza umana e sarà solo vostra la colpa.
I tre guerrieri fecero fatica a restare sul posto senza fuggire, tramortiti dal tono delle notizie ricevute e dal timore che sembrava non voler abbandonare i loro animi, pur sempre avidi di potere. –Come trovarlo mio signore?- chiesero ubbidienti, divenuti vermi al cospetto dell’arbusto che si rivolse con più cortesia –Cercate e troverete, la pietra stessa vi indicherà chi ha le giuste attitudini. Raccoglietela con guanti di cuoio, non mostratela a nessuno se non al prescelto, e fate in modo che esso corregga i vostri errori, con i suoi pregi.
Il primo dei tre, vuotò la piccola sacca legata alla cintura, la rivoltò e la usò come guanto per raccogliere l’amuleto che divenne per loro un tormento. Una volta raccolto, non ebbero da ridire, ne fecero richieste, nel timore di scegliere nuovamente le parole sbagliate.
La luna fu velata da una nube passeggera, portando con se una fitta pioggia, che il mattino dopo non donò solo la ripresa del piccolo bosco circostante la contea, ma anche una veloce ristrutturazione della cittadina che in pochi giorni si ristabilì, ritrovando magicamente il vecchio splendore.
*.*.*.
I tre uomini decisero di non ritornare sui loro passi, restando  il più vicino possibile alla locazione del magico alloro.
Furono ben accolti dai cittadini non più sventurati, ritenendoli i loro salvatori, dimenticarono che furono proprio loro a dare inizio all’ultima disavventura; non sapendo quale segreto serbavano i tre che, come promesso, non rivelarono a nessuno il patto stabilito con l’alloro.
 
I giorni passarono lenti, mentre l’attesa dei tre cavalieri aumentava. A turno si passavano il sacchetto di cuoio, contenente il tesoro che ambivano a sfruttare.
Il loro intento, benché incentrato sul rispettare la regola dell’alloro, ancora non aveva dei buoni sentimenti. Il loro progetto era scovare un cuore puro sprovveduto che, come possessore, gli avrebbe dato il consenso di utilizzare la gemma.
*.*.*.
Ogni notte i tre si recarono dinanzi all’alloro, tanto temuto dai cittadini dopo il tramonto che non osavano avvicinarsi ad esso, sommergendo i tre guerrieri di raccomandazioni che gli uomini fingevano di ascoltare e comprendere.
 
Una notte insolitamente buia, la luna non fece capolino nel cielo, dando spazio alle piccole stelle che poco illuminavano gli ansiosi guerrieri. Essi non litigavano su chi dovesse possedere la pietra quella notte dinanzi all’alloro, quasi con timore che gli stesse osservano e giudicando.
Proprio in quella notte buia avvenne la scelta dell’amuleto, che fece comprendere il suo bisogno di attenzione illuminandosi di luce propria.
Il primo dei tre guerrieri che aveva in custodia il sacchetto di pelle quella sera, spiò al suo interno per cercare di captare un messaggio dal magico oggetto che, al contrario dell’alberello, non proferì parola.
D’un tratto parte dell’attenzione dei tre uomini cadde su degli schiamazzi poco distanti; al suono di tali lamenti, la piccola foglia di ghiaccio avvampò in modo ancora più intenso: i tre capirono che dovevano seguire quelle voci se volevano una spiegazione, così chiusero per bene la sacchetta di cuoio che non fece trasparire la luce dell’amuleto, e si allontanarono dall’arbusto.
 
La voce udita apparteneva ad un uomo, che nel mezzo della piazza del paese, imperversava con le sue grida su un ragazzo dagli abiti succinti e l’aspetto trasandato.
L’uomo sgridava apertamente il ragazzo, che non poteva avere più di dodici anni, quest’ultimo lo ascoltava senza interromperlo restandosene al suo posto, se pur con sguardo accigliato, poco visibile sotto gli ispidi capelli troppo lunghi e  poco più scuri della carnagione, resa olivastra dalla troppa permanenza alla luce del sole.
I tre uomini ascoltarono attenti la conversazione a senso unico dell’uomo, per assorbire le più informazioni possibili: scoprirono che il ragazzo era un nomade in cerca di fissa dimora, senza famiglia ne averi. Tornava spesso nella contrada, trovando rifugio del loro piccolo bosco, e sempre mandato via con la forza ritenuto un vagabondo, solo in grado di rubare e far danni.
 
Erano tempi in cui povertà era sinonimo di criminalità, e i cittadini ben voluti non amavano mischiarsi al “diverso”, perché ritenuto sospetto e pericoloso. Eppure era proprio al ragazzo che l’amuleto aveva reagito; non certo poteva riferirsi al’uomo che adesso spintonava il ragazzino, i tre guerrieri lo avrebbero notato nel corso dei giorni passati in paese, che contava non più di duecento anime.
Uno dei tre guerrieri si avvicinò ai due che ormai davano spettacolo, avendo svegliato il vicinato con lamenti e schiamazzi
-Cosa ha fatto questo ragazzo per meritare tale trattamento?- domando il guerriero con aria virile guardando il cittadino infuriato negli occhi, che presto perse il suo temperamento aggressivo. –È un delinquente mio signore!- spiegò l’uomo con aria solenne.
Ormai i tre guerrieri erano delle autorità nell’esile cittadina, a loro veniva portato rispetto e ammirazione.
Il loro intento adesso era studiare il ragazzo per constatare la purezza del suo cuore.
Il guerriero parlò in difesa del piccolo squattrinato, nella speranza che fosse in suo potere il permesso di tenerlo con se, con la promessa di educarlo e renderlo un uomo onorevole.
I tre guerrieri il mattino seguente, dovettero mettere agli atti il loro proposito con il capo della contea che, dopo poche insistenze, accolse il loro piano di ripresa sul giovane vagabondo solo se si fossero assunti ogni responsabilità su di esso, e sulle probabili difficoltà che avrebbe portato alla cittadina.
*.*.*.
Il giovane, nato e cresciuto da selvaggio con animo gentile e aggressivo al tempo stesso, fece fatica a fidarsi dei tre uomini sospettando sulla loro buona fede.
Tutti in paese lo chiamavano Dark, non come segno di oscurità, ma di sconosciuto, invisibile, come il buio che nasconde cose a te altrimenti famigliari: questo nascondeva l’animo di un ragazzo giudicato degno di possedere un amuleto prezioso.
 
Per la sua tenacia, il ragazzo veniva chiamato dai suoi tre mentori “piccolo re”; non rendendo partecipe il ragazzo sulla verità che circondava il loro affetto nei suoi confronti, piccolo re passo alcuni giorni in compagnia dei tre guerrieri, che gli raccontarono delle loro imprese valorose, delle quali il ragazzo era fortemente affascinato.
*.*.*.
Così, arrivò la notte in cui i tre cavalieri portarono il ragazzo al cospetto dell’alloro magico. Era una notte di luna piena e, come avvenne il mese precedente, i tre uomini speravano di osservare l’arbusto prendere vita.
Così fu: le su foglie cominciarono a danzare e catturare i riflessi della luce lunare, come bagnati da una rugiada brillante, i suoi frutti si fecero di ghiaccio, ma la sua voce non si fece udire.
Piccolo re osservava stupefatto, incuriosito dal perché di ciò che accadeva, rivolse lo sguardo ai suoi salvatori, meravigliato dal loro stupore assente, cominciò a capire che tale avvenimento non era a loro inaspettato, e che i tre avessero un piano su di lui.
 
Senza badare al ragazzo, i tre guerrieri si inginocchiarono dinanzi all’arbusto, e posarono sotto le sue fronde il sacchetto di cuoio, contenente lo strano ciondolo –Come promesso, vi abbiamo riportato la gemma con un cuore puro da lei scelto- proclamò il primo dei tre.
Il ragazzo, stupito dal loro comportamento, gli interrogò con la solita sfacciataggine che i tre uomini avevano imparato a conoscere: -Per quale motivo vi inginocchiate, è forse Dio questo alberello?- domandò, a parere dei tre guerrieri, senza rispetto alcuno.
-Il ragazzo ha ragione!- intervenne finalmente l’alloro nelle menti dei quattro presenti –Ci si inginocchia solo al cospetto di Dio, ed io non lo sono di certo: continuate a portare rispetto solo per timore. Avete ancora tanto da comprendere e imparare- sentenziò calmo l’alloro.
I tre uomini si destarono immediatamente, guardando l’alloro con espressioni interrogative.
-Ma avete mantenuto la promessa data: avete trovato un cuore degno e puro di custodire la pietra di ghiaccio!-  si congratulò, di fronte allo stupore del ragazzo che cominciò a sentirsi ingannato dai tre uomini, che lo avevano salvato per secondo fine.
–Ora a noi ragazzo. Come ti chiami?- si rivolse l’alloro al piccolo re che rispose con un sorriso beffardo sul viso:
-Non ho memoria del mio vero nome!
-Allora come vieni richiamato?
-I cittadini mi chiamano Dark, come il buio. I miei salvatori si divertono a chiamarmi piccolo re.
-Un re squattrinato da quanto hai raccontato ai tuoi compagni alberi del bosco.- disse l’alloro
Il ragazzo si fece rosso in viso, come fosse stato scoperto a compiere un misfatto –Tutto sommato …- proseguì l’arbusto
–Quelli che chiami tuoi protettori hanno ragione, tu sei un piccolo grande re
-Come posso esserlo, povero di averi come sono?
-Perché sto per donarti un piccolo grande tesoro. Se te lo dono, e solo grazie a te
-Cos’è?
-Osserva tu stesso- spiegò l’alloro sollevando dal terreno una delle sue radici, per avvicinargli il sacchetto di cuoio che fece cadere nelle sue mani aperte. –Aprilo!- intimò l’alberello, con la sua voce di vento.
Il terzo dei tre guerrieri, fece istintivamente un passo in avanti, non per prendere la piccola gemma, ma per impedire al ragazzo di farsi del male, ricordando il segno lasciato dall’oggetto sul palmo della sua mano.
Comprendendo il sentimento che spingeva il guerriero, l’alloro fu felice di comprendere che il suo progetto cominciava già ad avere i suoi frutti.
Piccolo re aprì il sacchetto, vuotò il suo contenuto nel palmo della sua mano destra e non accadde nulla, se non uno splendore improvviso da parte della piccola foglia, come fosse contenta di essersi congiunta al suo custode e possessore tanto atteso.
–Sarai responsabile di questo amuleto, che da ora in poi sarà un tutt’uno con te e la tua anima- si affrettò a spiegare l’alloro –La tua purezza non è per via della tua età; ricorda di sfruttare le tue qualità in modo saggio e responsabile, e la gemma te ne sarà grata, prendendo somiglianza dalla tua anima. Se agirai con giustizia, essa sarà giusta, come i poteri che ne scaturiranno.
-Come faccio a comprenderne il potere?- chiese piccolo re leggermente intimorito
-Portala sul cuore e, se saprai ascoltarli entrambi, con l’esperienza saprai cosa fare. La pietra crescerà con te, e quando verrà il momento di tramandarla, insegnerai al futuro custode come utilizzarla- continuò –Ricorda: più che possessore, sei il custode di un grande potere che va protetto anche con la propria vita.
Il ragazzo ascoltò con la massima attenzione, mentre studiava l’elegante aspetto della pietra. Quelle furono parole che non dimenticò mai.
La luna cominciò a nascondersi, e l’alloro perse pian piano il suo aspetto soprannaturale.
Piccolo re sfilò una sottile corda da un tronco che, ormai robusto, non aveva più bisogno del sostegno di un bastone puntellato; porto al collo la cordicella, vi fece scorrere l’anello della pietra di ghiaccio e se la posò sul petto, al riparo sotto la camiciola. In contemporanea, i tre guerrieri tastavano affannati ogni lembo della corteccia del piccolo albero tornato alla normalità, alla ricerca di altre spiegazioni che non arrivarono.
*.*.*.
Quello di piccolo re era un dono al quale non poteva sottrarsi.
Gli costò impegno e fatica, e quando crescendo si accorse che quelli che chiamava i suoi tre salvatori, attendevano la sua morte per prendere possesso della pietra di ghiaccio, il suo istinto lo spinse ad un gesto estremo: in una notte di luna calante, la pietra penetro nel suo petto davanti agli occhi attoniti dei tre guerrieri, che non erano stati capaci di comprendere l’insegnamento posto come loro seconda possibilità.
La pietra emanò una luce talmente potente che li accecò, rendendoli dei vegetali, incapaci di provare emozioni, e di badare a loro stessi autonomamente.
Piccolo re ebbe pena per loro, se ne prese cura sino al loro decesso in tarda età, ma da allora smise di fidarsi della gente con facilità, ed il suo istinto continuava a tenerlo lontano dai luoghi affollati durante la notte, perché il timore che la pietra potesse cadere nelle mani sbagliate, spingeva il potere di quest’ultima a far del male a chi li fosse accanto, quando la notte, la luna faceva presenza nel cielo, rendendolo schiavo dei suoi istinti.
*.*.*.
Nelle notti di luna nuova, la pietra usciva dal petto di piccolo grande re, e in una di queste notti che il suo cuore prese a battere per quello che sarebbe stato il suo grande amore, di cui persino la pietra si fidava.
Avvenne il tempo di andare avanti e piccolo re, dopo aver provato il sentimento dell’amore, provò l’affetto di essere padre. Spiegò ai suoi figli la sua vera natura oltre l’apparenza,  insegnò loro come accostarsi ai compromessi della pietra di ghiaccio, che un giorno avrebbe tramandato al maggiore, che l’avrebbe tramandata a sua volta ai suoi figli.
*.*.*.*.*.*.*
 
Capitolo 1
                        Libero di …

 
Se ciò che voglio neanche io conosco,
Come potrò vedere in lontananza il fine del mio progetto?
Che cosa ne sarà di me, se mi farò trasportare dal vento
O prenderò possesso di questa gabbia in cui mi sono rifugiato?
 
La codardia non voglio diventi il mio mestiere,
affrontare il la vita come fosse una sfida con me stesso, proseguendo oltre
rallentando, senza fermarmi:
questo voglio fare,
per il resto ci sarà tempo.
Il tempo necessario a comprendere chi sono nel profondo
E chi voglio diventare.
 
Se parte dal cuore
Sarà certamente per me la via giusta!
 
 *.*.*.*.*.*.*
7 ˞ۥ Maggio ˞ 1997
Da questo giorno partirà la vostra esplorazione, alla ricerca dei misteri che circondano un piccolo paesino chiamato Grain. Contrada immersa in quella che un tempo era aperta campagna.
Vi racconterò di un ragazzo, che giaceva accaldato di fronte ad un ventilatore nella sua piccola ma pur sempre rispettosa villetta. Ryan era il suo nome e nei sui diciassette anni, pieni di fermento, scoperta e incomprensioni, si era costruito una fama di poco rispetto nella cittadina. Adocchiato come piccolo teppista alle prime armi, era per il padre ex poliziotto un disonore.
- Stai monopolizzando il ventilatore?- si lamentò Arthur Omalley, zoppicando verso il figlio sdraiato sul suo letto, con il ventilatore puntato addosso –Riportalo immediatamente al piano i sotto! L’ho comprato io, con i miei risparmi, e mi appartiene.
Era un uomo aitante un tempo, fiero del suo lavoro e dell’importanza del suo ruolo in polizia. Il lavoro era tutto per lui. Adesso aveva solo un oggetto sulla mensola a ricordargli quello che era; una medaglia al valore che non compensava la perdita subita durante una violenta sparatoria, nella quale si ruppe una rotula, incidente che lo rese storpio.
Pensione anticipata ed un bel soprammobile luccicante, che fa a mala pena da balsamo alla ferita morale di essere mandato via dal proprio ruolo, guadagnato con tanta fatica.
La reputazione era l’unica cosa che gli restava, ed era deciso a difenderla con le unghie e con i denti. Reputazione che suo figlio Ryan stava gettando al vento. Infangando il buon nome degli Omalley.
 *.*.*.
Le abitudini di Ryan comprendevano svaghi e pochi impegni, sino al giorno in cui, una delle sue peripezie prende un’angolazione più seria.
Grain era una cittadina che forniva pochi svaghi per il divertimento notturno. Vi era un solo Pub nei dintorni, dove il ragazzo passava la gran parte delle sue serate mondane, tra mille conoscenti e rari amici sinceri. In una di queste sere, preso dalla noia, il ragazzo decise che era il caso di movimentare l’atmosfera sfidando un noto delinquente della zona a bigliardo.
Una partita a bigliardo non ha mai fatto male a nessuno, ma Ryan aveva lo strano potere di portar guai in ogni gesto da lui compiuto; non era certo un’esemplare di bravura in quel gioco, ma il suo orgoglio non gli permetteva di ammetterlo neanche a se stesso. Fu così che perse e non poté non rispondere all’esultanza del vincitore, con una provocazione bella e buona sulle origini lavorative poco pulite della madre dell’uomo.
Una battuta abbastanza esilarante da far nascere molte risa all’interno del piccolo locale, dove tutti avevano le orecchie ben tese. L’avversario, da vincitore che era, a causa di una battuta diviene lo zimbello di tutti.
Da specificare che la sua corporatura era decisamente più massiccia di quella del nostro Ryan che, come sempre, troppo tardi si rese conto del suo azzardo.
 
Si sa! In certe circostanze le risse nascono con una facilità impressionante. In meno di pochi secondi nel locale vi erano già tre tipi di comportamenti ben delineati: chi si nasconde, chi le da e chi le prende.
-E tu, a quale dei tre gruppi appartenevi? – domanda Christopher Buld a Ryan, passeggiando per i sentieri del parco di Grain il giorno successivo.
-Ancora non mi conosci?-  replica Ryan con fare strafottente –Non appartengo a nessuno dei tre gruppi. Ero già fuori dal locale! Non ci tengo a rovinare il mio bel visino.- sorride beffardo piazzandosi di fronte all’amico –Per chi mi hai preso?
Christopher era quello che si poteva definire un amico/confidente, praticamente l’unico vero amico di Ryan, pur non condividendo le stesse passioni.
Chris non aveva mai conosciuto i suoi genitori, da sempre viveva nella casa famiglia ai confini di Grain, dove le rigide regole gli impedivano di far troppo tardi la sera. Al contrario, Ryan non aveva la minima regola, o meglio, non le rispettava minimamente.
I due, completamente diversi, sia nell’aspetto che nel carattere, risultavano a prima vista una coppia di amici decisamente improbabile. Christopher era un ragazzo studioso, dedito agli impegni famigliari, rispettoso e prudente. Ryan sguazzava nella sua indipendenza di diciassettenne, sfruttandone ogni anfratto di malizia e sarcasmo che i così detti adulti non sopportavano.
Eppure i due erano da sempre inseparabili; unica cosa ad accumunarli era il loro modo di nascondersi al mondo, cercando di apparire differenti da quello che erano in realtà, aspetto che l’uno leggeva nell’altro, incapaci di vederlo dentro loro stessi, come fosse un segreto inconfessabile.
-Credi che Paul Crow si segnerà ciò che hai fatto?- domandò Christopher
-Paul probabilmente neanche sa che ero nel suo locale ieri sera- taglia corto Ryan senza la minima preoccupazione al riguardo.
*.*.*.
In realtà sarebbe stato il caso di preoccuparsi, perché quella mattina, prima della sua fuga di casa in tutta fretta, per sfuggire alle grida del padre, il capo della polizia George Care fece una visita, non proprio di cortesia, a casa Omalley.
Care era un vecchio collega di Arthur Omalley, da sempre disposto a dargli una mano in memoria dei vecchi tempi, quando quel casinista del figlio ne combinava una delle sue.
Questa volta però, si stava cacciando in un guaio più grosso di un semplice sasso lanciato alla finestra di una vecchia signora la sera di halloween. Paul Crow: il proprietario del pub protagonista dei misfatti causati da una rissa, dopo aver raccolto diverse testimonianze e una prova tangibile, aveva deciso di citare Ryan per danni.
Il ragazzo restò ad ascoltare il poliziotto con finto interesse, mentre ad ogni parola suo padre stringeva sempre più i pugni per la rabbia; il ragazzo, che aveva già tratto le sue conclusioni, se ne stava stravaccato sulla poltrona senza preoccuparsi minimamente delle informazioni fornitali. Gli importava solo della così detta prova tangibile: si trattava della sua medaglietta metallica acquistata da un rivenditore ambulante, su di essa con un coltellino svizzero Ryan era stato capace di segnare solo le sue iniziali, a causa dello spazio limitato. L’iniziale del suo cognome era però sbarrata da una x in segno di protesta.
L’oggetto gli era stato restituito, ma il suo ritrovamento dimostrava la sua presenza all’interno del locale.
Ryan ridacchiava ogni qual volta veniva nominato il termine “indagini”, era una parola troppo grossa per una piccola questione risolvibile in un paio di giorni. Ciò che non riusciva a comprendere era l’importanza delle conoscenze del padre, senza esse non l’avrebbe avuta franca nelle sue disavventure precedenti.
Arthur appariva apatico nel suoi momenti di riflessione. Quel suo comportamento taciturno non portava mai a qualcosa di buono.
 
Il capo della polizia levò le tende rimandandoli ad un appuntamento successivo, prima dell’incontro in tribunale se mai Paul avesse deciso seriamente di sporgere denuncia.
L’avvertimento gettato li alla sprovvista durante il saluto, era un tentativo da parte di Care per far preoccupare il ragazzo.
Ci riuscì ma con poco successo, perché Ryan ci pensò su circa trenta secondi con aria leggermente preoccupata, prima di ritornare al suo solito sorrisino beffardo, come se qualcuno all’improvviso sarebbe sbucato dall’aiuola gridando: “Candid camera!”, al suo posto, ci fu un gesto repentino del padre che chiuse la porta di casa con uno strattone.
Il suo sguardo era gelo puro mentre avanzava verso Ryan che indietreggiava leggermente.
-Tu!- fa l’uomo puntando il dito indice alla fronte del ragazzo –Sei un disonore per la nostra famiglia!-
-Quale famiglia?- puntualizzò Ryan sollevando un cipiglio che leva dalle mani del padre un ceffone di tutto rispetto, lasciando stordito il ragazzo per qualche secondo; non certo per il ceffone ma per lo stupore di aver ricevuto uno schiaffo dal padre che raramente alzava le mani.
-Quant’è vero che sei mio figlio, ti farò diventare un uomo rispettabile– disse deciso  -comincerò subito a prendere provvedimenti.
-Lo fai per me o per quello che la gente dirà di noi?-  azzardò Ryan
-Dirà di te vorrai dire. Sono un uomo rispettabile io, non è colpa mia se mi è nato un figlio delinquente-
-Delinquente addirittura! Non ho mica ammazzato nessuno…manco picchiato a dirla tutta- gesticolò Ryan tranquillo -Dovresti essere fiero di me!
-Per quale motivo di grazia?
-Sono stato abbastanza intelligente da scappare dal locale a tempo debito-  confessò Ryan senza problemi
-Ammetti che sei stato tu a provocare la rissa!- fa il padre quasi stupefatto
-Quello che ho provocato è un tutto muscoli senza cervello, lui dovrebbe essere indagato!- sta volta Ryan era serio, finalmente cominciava a sentire il risentimento di un’accusa per lui ingiusta.
Arthur allora parlò, sfoderando uno dei suoi rari momenti di saggezza paterna:
-Se una tigre del circo sfugge al suo domatore ferendo degli spettatori innocenti, scredita il circo con cattiva pubblicità, di chi è la colpa?- spiegò calmo l’uomo -Del domatore o della tigre?
Ryan preso alla sprovvista non rispose immediatamente come era solito fare. Quella domanda sapeva di trappola.
-Deve per forza esserci un colpevole?- rispose Ryan –La colpa può non appartenere a nessuno dei due.
-Vero in parte- rispose Arthur con un sorriso –C’è sempre qualcuno che deve prendersi le responsabilità. Il colpevole è il proprietario del circo.
-Non mi dire!?- lo sbeffeggiò Ryan, già stufo di quel momento intellettuale –Perché mai?
-Perché non ha saputo educare a dovere il domatore, rendendosi responsabile di un’incompetente.
La questione ormai era chiara, per quanto i due si odiassero, erano pur sempre figlio e padre, quest’ultimo era suo responsabile sino a quando Ryan non avesse raggiunto la maggiore età. Cosa che sarebbe avvenuta a distanza di pochi mesi.
 *.*.*.
Arthur impone nuove regole, alcune delle quali sfiorano il ridicolo, tanto da rendere la punizione del figlio esagerata.
Il nuovo motto è: prevenire è meglio che curare. Se fino a quel momento non aveva saputo farsi ascoltare, adesso pretendeva rispetto senza in convenevoli.
Rinchiude il figlio in casa, rimuovendo ogni sua possibilità di svago; a Ryan viene persino reclusa la possibilità di andare a scuola per le ultime settimane del semestre. I colloqui come i risultati scolastici erano disastrosi, tanto da non dare molte speranze di promozione. Benché la scuola era un solo punto di incontro per Ryan e nulla più, il ragazzo arriva a replicare il diritto alla sua istruzione, minacciando il padre di riferirsi ai servizi sociali, Arthur però, prevedendo tale ribellione tirò fuori un documento che accertava il suo ritiro da scuola compilato una settimana prima, quando ancora Ryan non aveva commesso alcun crimine.
Le grida ormai regnavano sovrane in villa Omalley, quando Arthur si metteva in testa una cosa non la lasciava andare facilmente, più Ryan si ribellava più esso era meno disposto ad allentare la corda.
*.*.*.
Ryan, abituato ad una vita mondana piena di attività lecite e non, prova seria fatica a restare in casa giorno e notte, con la spesa cronometrata del mattino come unica possibilità di uscita.
Abituatosi alla sveglia all’alba non riusciva però ad abituarsi alla solitudine di restare senza far niente. Quando fa notare tale sentimento al padre, con la speranza di ricevere almeno un permesso per andare a trovare Chris, il ragazzo si ritrova con pezza, ramazza e uno scadente detersivo in mano:
-Se ti annoi vai a pulire la soffitta- conclude sbrigativo il padre mentre Ryan sbuffa scocciato, chiedendosi per quale motivo gli dia ancora retta.
 
La soffitta si rivela un posto decisamente impolverato ma interessante; Ryan finisce col passare tutta la mattina a ficcanasare tra la marea di ricordi abbandonati in quell’immenso stanzino.
Ritrova una vecchia scatola gommata, con ricordi dell’infanzia dimenticati quasi del tutto. Ogni singolo oggetto in quella scatola ha una storia: il vecchio salvadanaio a forma di tartaruga vinto a una fiera, vecchi fumetti, conchiglie raccolte sulla riva del mare conservate come fossero un tesoro prezioso, computisterie piene di vecchi disegni, scarabocchi ed esercizi di scrittura, biglie e macchinine assortite sparse qua e la; mentre pensa a quanto possa guadagnarci su e-bay con quella roba, il suo sguardo cade su di una vecchia scatola di scarpe poggiata in terra li vicino, non è la scatola in se ad attirare la sua attenzione, ma la scritta su di essa ancora visibile nonostante la polvere: Roba di Ryan. Quella non era la sua scrittura, ne si ricordava di una scatola come quella riposta in soffitta.
Ryan utilizzò per la prima volta quella mattina lo straccio umido, per ripulire e sollevare il coperchio della scatola.
All’interno non c’erano scarpe. Un piccolo oggetto attira subito la sua attenzione, un fermaglio di lamina e stoffa ormai sgualcita che Ryan comincia a rigirarsi tra le mani come fosse una reliquia.
Come in un sogno ricordò i tempi in cui sua madre andò via di casa lasciandoli soli, se pur contro la sua volontà. Mentre suo padre faceva sparire ogni sua fotografia, Ryan, allora solo un bambino, nascose quel fermaglio prima che il padre lo trovasse. Un fermaglio a clip, con un nastro di stoffa azzurra a formare un fiocco dalle nocche perfette, nonostante la sua semplicità era il fermaglio più amato dalla madre; probabilmente perché l’azzurro era il suo colore preferito, anche se Ryan amava pensare al momento in cui fu acquistato, spesso si faceva raccontare tale storia da sua madre, era un periodo gioioso per la famiglia Omalley, quando ancora la si poteva chiamare famiglia.
La storia che gli veniva raccontata parlava di una vacanza in Italia, paese di origine di sua madre. In riva al mare Sofia diede al marito Arthur la bella notizia: presto un bambino sarebbe arrivato nelle loro vite, l’uomo ne era così contento che non smetteva di sorridere, quando risalirono lungo la salita che portava in paese, il padre di Ryan acquistò il fermaglio per farne dono alla sua amata.
Quei tempi felici erano troppo lontani da apparire reali in quel momento, tanto che Ryan cominciò a dubitare sulla veridicità di quel racconto che era la sua favola prediletta da bambino. Quando rimase in compagnia del solo padre, Ryan lo pregò di raccontargli la storia del fermaglio, come faceva sua madre ma lui si limitò a sgridarlo -Smetti di pensare a lei, ormai e come non esistesse, dimenticala! Sofia Vento non è più tua madre- gli urlò strappandogli l’oggetto dalle mani.
Tra lacrime di rabbia quel bambino urlò contro il padre che quando sarebbe stato grande abbastanza, sarebbe volato via da lui, grazie al vento che scorreva nelle sue vene, ereditato da sua madre.
 
Ryan scosse la testa per allontanare l’intorpidimento causato da quei brutti ricordi. Tornò a rovistare nella scatola dove trovò un binocolo semi professionale, gli era stato regalato dal padre per il suo decimo compleanno. Ryan aveva richiesto in dono un fucile a piombini ritenuto inadatto dal padre, che aveva optato per un binocolo professionale abbastanza buono, conoscendo la passione del figlio per l’esplorazione nei boschi vicini alla loro abitazione. Ryan non volle dare la minima soddisfazione al padre nonostante gli piacesse il dono, lanciandoglielo contro una volta scartato. Quel gesto di pura ripicca spinse suo padre a riprendersi il binocolo, promettendogli di gettarlo via, lasciandolo senza alcun dono.
Eppure quei due oggetti non erano mai stati gettati via come promesso; forse quel comportamento burbero era una bella sceneggiata per far comprendere la sua autorità. Una domanda però incombeva: perché conservarli in una scatola col suo nome? Un giorno probabilmente gli avrebbe restituito tali oggetti. Magari quando anche lui avrebbe mantenuto la promessa di spiccare il volo come sua madre, anche se ormai quelle frasi prendevano un significato ben più drammatico.
Senza aspettare il giorno in cui avrebbe spiccato il volo, Ryan prese con se la scatola e se la portò nella sua stanza.
Per ripicca aveva rifiutato il dono, ed ora, sempre per ripicca, lo riprendeva con se.
*.*.*.
Presto il ragazzo si crea un nuovo passatempo per ingannare le ore passate in silenzio nella sua camera, ormai sprovvista di radio e tv. Si diverte a spiare i passanti dalla sua piccola finestra con l’aiuto del binocolo ritrovato.
La visuale non è delle migliori, ma quel che vede è da lui studiato nei minimi dettagli; scopre che gli abitanti del suo quartiere seguono sempre la solita routine, senza mai variare le loro abitudini, la loro vita programmata non pare preoccuparli, felici della loro assenza di originalità e imprevedibilità. Sarebbe diventato anche lui così?
Ovviamente no! Per questo tutti lo giudicavano per il suo comportamento e le sue scelte. Era diverso da quella gente, non lo capivano, e Ryan era contento così, contento di essere diverso, di uscire fuori dagli schemi definendosi un fuori classe invidiato dalle masse che non avevano il suo stesso coraggio, che non si ribellavano.
Contro cosa si ribellava Ryan però era un mistero anche per lui. L’importante era ribellarsi, perché le cose non andavano come voleva. Se avesse dovuto stilare una lista delle cose che non vanno, sarebbe stato capace di metter su un poema, lasciando però il foglio delle possibili soluzioni vuoto, se non per poche frasi: la generazione passata ha fatto fiasco, per questo tutto va a rotoli. Nessuno pare interessarsi a questo in questo buco di contrada, dove ognuno si fa i fatti suoi, facendo di questioni insignificanti grandi problemi.
Praticamente le solite frasi di circostanza, che tutti siamo capaci di pronunciare, alle quali pochi sono capaci di porre un rimedio.
 
Ryan continuava a sbirciare i cittadini: il vecchietto in bici che passa alle tre del pomeriggio sotto il sole cocente, giusto per dare una sbirciata ai giardini di famiglie ignare di avere un critico di giardinaggio nel quartiere, pronto ad assimilare ogni minima anomalia, per avere qualcosa da dire durante il caffè con suoi vecchi compari, dalle menti e arti intorpidite dall’anzianità. La donna di casa stressata dalla vita domestica, che approfitta di portare fuori il cane per sfogare un po’ di tensione, delle volte Ryan l’ha vista persino parlare da sola. La coppietta di ragazzi che si fa la solita passeggiata vicino casa, forse a uno dei due è stato vietato allontanarsi, giorno dopo giorno segnano la corteccia di ogni albero del viale con le loro iniziali all’interno di un cuore trafitto da una freccia –Incurabili dementi!- replica Ryan che non ha mai sopportato gesti sdolcinati di quel genere. Lui personalmente non ha mai avuto bisogno di tali espedienti per entrare nelle grazie di una ragazza. Gli bastava uno sguardo ed erano sue, quelle smancerie erano solo per i perdenti, convinti ancora che si nasconda l’amore dietro l’attrazione.
Una coppia era come un fuoco di paglia: si accendeva velocemente grazie ad una piccola scintilla, consumandosi inevitabilmente in fretta. Se si insisteva nel mantenere vivo quel fuoco, con ogni cosa che capiti a tiro, si finisce col bruciare materiali che portano cattivo odore finendo soffocati. Almeno questa era la filosofia di Ryan.
Ad un orario imprecisato del pomeriggio, ecco presentarsi i vicini più interessanti in quella massa di gente smorta che secondo Ryan popola Grain, i coniugi Brown, suoi dirimpettai. Unica coppia impossibile da prevedere, persino i loro orari lavorativi mutavano.
La donna, Beatrix era fuori ad innaffiare il suo giardino impeccabile; persino il vecchio del primo pomeriggio avrebbe dovuto faticare nel trovare un difetto. La bionda statuaria dal look sempre impeccabile, era l’unica donna che Ryan avesse mai visto, intenta a piantare dei tulipani in tacchi a spillo e abito che ne facevano risaltare le curve vertiginose. Ovviamente Ryan non si era mai azzardato a far pensieri indecenti sulla donna, nonostante essa avesse un comportamento decisamente ammiccante nei suoi confronti.
Il giorno precedente, mentre se ne stava sdraiato sul prato del suo cortile, sfuggito alle faccende domestiche, la donna lo aveva sorpreso sbucando da una fenditura della siepe. Cercava ogni pretesto per far conversazione, e salutarlo ogni volta con abbracci sin troppo affettuosi. Ryan si era sempre vantato del suo successo con le ragazze, ma attirare donne di una certa età non era mai stato il suo scopo –Sarà pure una bella donna, ma ha un non so che di …- spiegava ad un Chris che ridacchiava sotto i baffi -… inquietante!
-Non è che hai paura di quell’armadio di suo marito?-  lo stuzzicava l’amico
-Sentimi bene!- si avvicinò Ryan prorompente –Se volevo farmela non ci pensavo due volte … e che … semplicemente … non voglio.
-Però la spii!
-Fattela tu se ti piace!
-Sei disgustoso.
I due vengono interrotti da un grido del signor Omalley, accortosi che il figlio non ha ancora messo a lavare il bucato.
-Appena sarò maggiorenne mi farò una vita tutta mia, lontano da quell’impiastro di padre-  si lamenta Ryan, senza muovere un passo dalla piccola veranda
-Non è così semplice badare a se stessi- replica il saggio Chris –Se Paul ti denuncia davvero, da maggiorenne non la passeresti tanto liscia.
-Quando ho commesso il danno, non ero ancora maggiorenne- sogghigna Ryan
-Questa è la realtà per qualche mese ancora; e poi?-  fa notare Chris, cancellando il sorrisino dal viso di Ryan.
Il portone di ingresso si spalancò, rivelando un Arthur Omalley decisamente contrariato: -Quando hai finito di fare salotto …!-
-Andrò via immediatamente signor Omalley- si prodigò Chris in tutto rispetto –mi dispiace di aver trattenuto suo figlio durante le sue faccende.
Ryan sbuffa più per le eccessive buone maniere di Chris, che per il fatto di dover tornare ai suoi obblighi.
*.*.*.
Fa troppo caldo per dormire e la voglia di libertà si fa sempre più insistente, tanto da spingere Ryan a compiere una piccola fuga notturna.
Il ragazzo attende con orecchio teso il suono del russare di suo padre, pari ad un trombone. Con la massima leggerezza apre la porta della sua camera, attraversa il corridoio a piedi scalzi e dopo una sbirciatina alla camera del padre, immerso nel suo materasso troppo morbido, scende al piano di sotto.
Con trepidazione indossa le scarpe da ginnastica, la sua voglia di sfuggire a quella gabbia è così forte che non pensa neanche a recuperare dei calzini. Apre il portone, lo ferma con un mattone rimosso dal vialetto in modo che non si chiuda lasciandolo fuori, e a passo svelto percorre il vialetto che lo separa dalla strada, apre le braccia in modo che i polmoni possano aspirare a pieno il sapore della libertà, ma non ne viene neanche una boccata d’aria fresca. L’estate non è ancora iniziata stando al calendario, ma a Grain ci sono già temperature estive.
Dopo pochi minuti Ryan è seduto sul marciapiede a far niente, annoiato poggia il peso del corpo sulle ginocchia e gratta l’asfalto con le fragili foglie cadute dai pini che hanno tappezzato gran parte del marciapiede, neanche il più piccolo soffio di vento si fa vivo a spostarle. Presto Ryan si rende conto che la sua gabbia non si estendeva solo ai confini del suo terreno ma ben oltre. Si aspettava di ritrovarsi libero da ogni pensiero una volta fuori, ritrovando il Ryan spensierato che gli mancava tanto. Poteva mai essere cambiato così in fretta? Per qualcuno il giudizio arriva poco alla volta dosato negli anni, per altri non arriva mai, per Ryan si era fatto vivo nel giro di pochi giorni con gli interessi non acquisiti nei suoi diciassette anni di peripezie.
Col motorino sequestrato non poteva permettersi di andare lontano, di locali notturni nelle vicinanze neanche l’ombra.
Una pazza idea attraversa la mente del giovane: se fosse il momento giusto di spiccare il volo? Scappare via, lasciandosi indietro problemi e compari.
L’idea però ha vita breve. Se fosse scappato adesso sarebbe scappato tutta la vita e diventare un codardo di professione senza fissa dimora non era il suo progetto, benché non ne avesse uno preciso.
Eccola la conferma del suo diventare responsabile! Pensa sbuffando tra se e se.
Suo padre la stava avendo vinta –Va bene!- disse il ragazzo rivolto alla sua abitazione issandosi in piedi –Hai vinto tu pà, volevi un ragazzo responsabile? Eccolo! Torno a casa- pronuncia come fosse una resa.
Sto davvero impazzendo, comincio a parlare da solo! Si imbarazza di se stesso, mentre fa rientro a casa rimuovendo i mattone dalla porta socchiusa. Magari domani faccio compagnia alla signora stressata che parla da sola.
*.*.*.
Il mattino seguente una sorpresa poco gradita attende Ryan, viene svegliato da una luce improvvisa proveniente dalla finestra; è suo padre che aperte le tende all’improvviso gli da un buon giorno di novità.
Dominique Brown, si era recato a casa Omalley per informare Arthur su ciò che aveva visto la notte precedente. A quanto pare Ryan non era passato del tutto inosservato agli occhi dei vicini, il signor Brown l’aveva beccato, e prontamente l’uomo aveva riferito al padre le sue disobbedienze.
-Alle sei e mezzo del mattino?- dice Ryan al padre, non mostrando il minimo dispiacere al riguardo –E’ venuto a quest’ora solo per avvisarti? Non ha niente da fare quello?
-Questo non è l’importante!- replica Arthur –Tu sei scappato. Mi hai disobbedito!
-Ti pare che io sia scappato?- fa Ryan aprendo le braccia per far notare la sua presenza
-Sarà la prima e ultima volta che sgusci di casa di notte!-  irrompe deciso il padre.
 
Certo non era la prima volta che il ragazzo usciva di notte, ma la prima volta da quando la loro vita aveva preso una certa piega. Pensando che il padre stesse esagerando come suo solito, Ryan lasciò correre.
Quel pomeriggio un frastuono attirò la sua attenzione, proveniva dal piano di sopra; un dubbio pervase la mente di Ryan, se mai il padre avesse deciso di distruggere i suoi pochi averi rimasti a colpi di martello per vendetta?
Ryan dimenticava che i padri non agiscono per vendetta ma per castigo a scopo educativo.
Il padre stava usando il martello nella sua camera ma non con lo stesso scopo che sospettava; trova il padre intento ad affiggere un chiavistello all’esterno della sua porta, con l’aggiunta di un paio di anelli da bloccare con un catenaccio, la cui chiave era appesa ben in evidenza al collo da Arthur:
-Questa è l’unica copia e ne sono il padrone- fece l’uomo brandendo la chiave d’avanti agli occhi di Ryan. Il ragazzo sorrise immaginando il padre in vesti di moccioso, che fa notare il suo giocattolo facendo versi di sfida.
-Bravo, hai le chiavi del mio regno- lo sfotté Ryan con sarcasmo
-Scherza tu ragazzino, fin quando non comprenderai quanto sono serio- rispose Arthur.
Non scherzava sul serio, da quella sera avrebbe tenuto il figlio sotto chiave, sino al mattino successivo.
 
Quella sera, solo nella sua stanza Ryan riflette.
Perché mai Dominique Brown ce l’aveva con lui? Era una delle poche persone alle quali non aveva mai recato danno, che avesse fatto la spia solo perché era la cosa moralmente giusta da fare non era una storia che reggeva, non sapeva neanche che fosse a conoscenza della sua punizione. Forse le grida delle loro litigate erano andate oltre la siepe, e mai Ryan avrebbe sospettato che il signor Brown fosse uno spione. Cosa gli costava starsene zitto?
Pioveva quella sera, una pioggia estiva fastidiosa; non come quei bei temporali invernali vivacizzati da lampi e fulmini che imperversano i cieli, giorni in cui Ryan amava starsene all’aperto, nel boschetto vicino che col passare degli anni veniva sfoltito sempre più.
Quella sera invece era costretto a casa da un capriccio del padre, inventatosi il sistema che l’uomo amava chiamare Cenerentola.
-Che bel muso!- gli aveva detto in procinto di chiuderlo in camera –Povero cenerello!- lo prese in giro, quasi come se volesse constatare, se il figlio avesse imparato a starsene con la bocca chiusa senza rispondere; anche sta volta si sbagliava!
-Ricordi che fine fa la matrigna in quella favola?-  risponde Ryan da dietro la porta sigillata.
 
Cosa gli prendeva? Un tempo si sarebbe certamente lamentato con maggior vigore. Stava crescendo e tutto il giudizio e la saggezza dovuta alla crescita, che non erano arrivati al suo pensiero sino a quel momento, arrivarono tutti insieme ad ingolfare il suo giudizio, ammansendo il suo carattere ribelle.
Si sentiva un uccellino lamentoso in gabbia, che dopo un po’ di tempo si accorge che la porticina d’uscita è stata lasciata aperta ma non scappa per istinto contrario alla voglia di libertà.
*.*.*.*.*.*.*.
Buon dì a tutti :)
Grazie di aver dedicato una fetta del vostro tempo, per sbirciare nel mio primo racconto pubblicato ... spero diventi col tempo più che una semplice sbirciatina.
Alla prossima,
vostra
Missdream XD

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Capitolo 2
*** Scusa non richiesta accusa manifesta ***


Scusatemi gli errori grammaticali :|
Aprezzo anche critiche costruttive, in fondo servono a crescere, anche se questo per me è un semplice passatempo.
Vi lascio al secondo capitolo
vostra Missdream, ai miei preziosissimi lettori XD
*.*.*.*.*.*.*.
                       Scusa non richiesta
                                            Accusa manifesta

 
Ciò che viene celato ai nostri occhi attira il nostro spirito,
Ciò che abbiamo a portata di mano non viene considerato.
 
Se vuoi celar qualcosa
Posala nel buio della mente del tuo avversario
Li dove il tuo nemico non andrà a cercare.
 
Nel frattempo
abbi il coraggio di sbirciare nelle tue oscurità.
 
Il buio è un’illusione,
cela quel che ben conosciamo, non lo muta.
Accendi la luce, li dove vi è il buio nella tua mente
dove nascondi le tue debolezze,
imparerai da te stesso.

Se comprenderai il giusto
sarai superiore a chi vede con i soli occhi.
*.*.*.*.*.*.*.
 
Il temporale si imbatté violento su Grain quella notte, Ryan non riusciva a dormire, si sentiva soffocare.
I lampi fuori dalla finestra erano oppressivi, gli davano l’impressione di una discoteca a cielo aperto nella quale non puoi parlare per il troppo chiasso, anche se vorresti dire la tua in una conversazione con concetti che non condividi.
Il tutto era molto confuso, solo perché Ryan lo era.
Sbuffando si alzò dal letto, accese la luce e si affacciò alla finestra dalle serrande semi aperte; per via del risparmio energetico avevano fatto spegnere i lampioni del circondario, la visibilità dunque non era delle migliori ma, l’occhio attento di Ryan scorse un particolare abbastanza curioso.
Pensando all’uomo che aveva fatto la spia mettendolo alle strette, cominciò a fissare la sua casa, come se stesse interrogando lei ed i suoi abitanti. All’improvviso le luci di casa Brown si accesero tutte assieme, dopo qualche secondo cominciarono a lampeggiare convulsamente a ritmi differenti, non poteva essere un guasto tecnico per via del temporale perché nella sua stanza la luce non era mai andata via. La pioggia diventava meno fitta e Ryan riuscì a scorgere una figura sgusciare via dal retro della casa dei vicini; all’inizio non la riconobbe, quando la casa si accese nuovamente come un albero di Natale a festa, la vide nitidamente: si trattava di Beatrix Brown, aveva una torcia in mano che puntò dritta al contatore della luce alle spalle della casa. Ryan conosceva l’utilizzo insolito del vestiario della donna ma, non si sarebbe immaginato di vederla in abito da sera a quell’ora della notte, per di più scalza. La sua capigliatura una volta impeccabile adesso era appiattita dalla pioggia.
Doveva ammettere che anche in quelle vesti la donna aveva il suo fascino, Ryan però non sapeva spiegarsi perché fosse uscita così di corsa, senza neanche portare con se un ombrello.
La donna armeggiò all’interno della cabina elettrica, dopo qualche secondo le luci dell’abitazione si spensero portando il buio quasi totale, se non per una luce flebile puntata sul lato della casa; Ryan si accorse che quella luce proveniva dalla sua finestra, velocemente la spense per far si che la donna non lo notasse, sarebbe stato controproducente farsi pizzicare a spiarli dopo gli  avvertimenti di suo marito di quella mattina.
 
Quella notte non avvenne nient’altro di interessante se non la scoperta che, chi appare lontanamente interessante di giorno, lo è altrettanto se non di più nel corso delle ore notturne.
–‚—*.*.*.
Il mattino dopo la vita in casa Omalley si svolse come se nulla fosse successo. Dopo aver ripetuto a se stesso le scoperte della notte precedente, Ryan si rese conto che non c’era nulla di così eclatante in ciò che aveva visto. Ciò nonostante continuava a pensarci, come se dietro ci fosse un rebus che non poteva fare a meno di risolvere.
Cominciò col far domande sporadiche al padre, giusto per trarre qualche informazione su Dominique Brown.
Le domande pian piano si facevano più insistenti: “Come mai i Brown non hanno mai visite? Perché non hanno mai mostrato attenzione ai loro vicini di casa, se non adesso? Anche se risiedono in quella casa da ormai due mesi!
Perché Arthur si è fidato delle parole di Dominique senza dubitare, quando gli è stato riferito che il figlio passeggiava per le vie di notte?”
Le risposte monosillabi di Arthur non soddisfano affatto la curiosità del figlio che, con le sue domante sempre più azzardate, infastidì non poco il padre che si rifiutò categoricamente di rispondere.
Scambiandola per curiosità dovuta alla noia, Arthur permise al figlio una pausa dalla vita domestica, concedendogli di andare a trovare il suo amico Chris, a patto però, di fare ritorno a casa entro il tramonto e non soffermarsi nei pressi di casa Brown, non rivolgendo domande agli stessi.
-Dimentica i Brown, non interessartene, lasciali ai fattacci loro!- disse l’uomo a Ryan a denti stretti, prima dell’uscita.
Lasciali ai fattacci loro?
La scelta anche di un solo termine in una affermazione ne cambiano il significato e l’intenzione.
Cosa voleva dire suo padre con quell’ultima battuta non dosata?
Ormai era chiaro. I Brown non volevano essere disturbati.
Cosa avrebbe dato Ryan, per poter ascoltare la conversazione tra Dominique e suo padre del mattino precedente!
Il ragazzo non aveva alcun sospetto su i suoi vicini ma ora, le preoccupazioni eccessive del suo dirimpettaio lo avevano insospettito.
Se non avesse fatto la spia, se non si fosse raccomandato di tenere alla larga Ryan dalla sua abitazione, a quest’ora il ragazzo non rivolgerebbe all’uomo attenzioni maggiori a quelle rivolte al resto del vicinato.
Tante volte, più si è determinati a nascondere qualcosa, più si attira l’attenzione.
 
Cercando un parere o forse qualcuno che fosse dalla sua parte, Ryan raccontò il tutto a Chris che attese un attimo prima di dire la sua, quasi come se aspettasse maggiori informazioni per valutare meglio i dubbi dell’amico.
-Ti vuoi creare un nuovo nemico? Certo il comportamento di questo Brown è sospetto …- disse Chris, mentre l’amico gli mostrava più attenzione -E tuo padre sta davvero esagerando con il suo comportamento ossessivo!- aggiunse.
-Allora sei d’accordo con me?- ribatté Ryan con un sorriso soddisfatto.
-Sono d’accordo sul fatto che vi somigliate!-  rispose il ragazzo  -Per motivi differenti ma, siete entrambi ossessivi testardi.
-Uno dei due deve per forza avere ragione.
-Non è una gara a chi ha ragione.
-È stato Brown ad iniziare, se lui non avesse provocato … - ma Chris interruppe le spiegazioni di Ryan:
-Ci hai mai parlato con quest’uomo?
Ryan ci pensò su qualche secondo prima di rispondere.
Era vero, non ci aveva mai scambiato una parola con quell’uomo. Ogni tanto un buon giorno se ci si incontrava per strada, occasioni nelle quali l’uomo aveva sempre risposto in modo cortese.
Un particolare nei ricordi di Ryan si fece vivo, lo sguardo che l’uomo gli rivolgeva non era mai stato magnanimo. Se pur le parole fossero educate, le sue espressioni non erano mai sprovviste di cattiveria. In passato avrebbe detto che era il suo viso, molti non si rendono conto delle espressioni di mer****coledì che fanno.
Tali sguardi gli riservava solo a lui?
–—*.*.*.
Convincendosi a pensare ad altro, Ryan prese a leggere un quotidiano vecchio di due giorni, trovato in soggiorno.
Fu il sonnifero giusto, perché prese un sonno così profondo che non udì il chiasso provocato dal padre in giardino, a causa della sua fissazione col giardinaggio.
 
Si svegliò intorno all’una di notte con un grido del padre infuriato, perché le sue luci erano ancora accese.
Per tutta risposta, invece di spegnere la lampada sul comodino, Ryan accese anche la plafoniera del soffitto, prese la sua torcia e la fece passare sotto il varco troppo largo tra il pavimento e la porta. La conseguenza fu un maggiore urlo da parte del padre:
-È il mio ultimo avvertimento!- disse l’uomo che non si mosse dalla sua camera da letto per pigrizia –La tua punizione può ancora peggiorare, non sfidarmi!
Ryan ridacchiò fra se e se, sfottere il padre era un divertimento che sfruttava anche nei suoi tempi di piena libertà.
 
Improvvisamente, come rispondere al comando di Arthur Omalley, le luci si spensero nella camera di Ryan, lasciando come unica fonte luminosa, la torcia che teneva ancora poggiata per terra accanto alla porta.
Mentre il padre emetteva un grugnito di soddisfazione, pensando che il figlio avesse per una volta obbedito, rispettando la sua volontà, Ryan si recò alla finestra.
I lampioni erano spenti come al solito, la visibilità era comunque buona, grazie alla luce della luna che gli permise di assistere ad un fatto ben fuori dal comune.
Una ragazza passeggiava per strada con passo altalenante, era distante e Ryan non poté studiare nei dettagli il suo aspetto, aveva un non so che di attraente, come se non gli si potesse togliere gli occhi di dosso. Era sicuramente una povera sbandata fatta di qualche sostanza.
Finalmente qualcosa di diverso per le strade di Grain. Ryan sorrideva ancora fra se e se, quando ad un certo punto il suo sguardo mutò; un’ombra apparve in quello scenario rendendolo ancor più strano, si trattava di un uomo dalle larghe spalle che seguiva furtivo la giovane, nascondendo la sua figura con la complicità del fogliame dei giardini del vicinato.
Ryan rimase per qualche secondo a studiare la seconda figura per cercare di riconoscerla, afferrò il binocolo e quando l’uomo fece capolino da un cespuglio, quasi come fosse titubante all’idea di avvicinarsi alla ragazza, lo riconobbe; si trattava di Dominique Brown, Ryan ne era sicuro, si avvicinava sempre più alla sua vittima designata, ormai era a pochi passi da lei, ignara di tutto.
Il ragazzo lanciò un avvertimento alzando la voce nella sua camera, quasi come se potesse avvisare la ragazza, che si voltò proprio in quell’istante come se l’avesse udito. Lo spettacolo inaspettato a cui assistette Ryan in quel momento cambio le carte in tavola abbastanza repentinamente, colei che si voltò non era affatto una ragazza ma, una creatura sovraumana, tanto che il ragazzo strinse maggiormente il binocolo, col timore che quell’immagine gli sfuggisse. Il viso pallido della creatura, fissava con i suoi occhi tondi come biglie, l’uomo che paralizzato rimase temporaneamente nel suo nascondiglio.
I capelli della creatura erano di un colore indecifrabile, si muovevano ad una velocità differente dal suo movimento a tratti rallentato e velocizzato, come fosse uno strano video difettoso, mandato avanti e indietro a tempi differenti. Con lo sguardo cercava intorno a se, come se adesso sapesse di essere seguita.
Ryan si ritrovò a fare un tifo opposto al precedente, l’uomo avrebbe dovuto allontanarsi dal pericolo invece di cercarlo, eppure ci si buttò a capofitto, attese il momento giusto per saltar fuori dal suo nascondiglio, e in un attimo le sue forti braccia circondarono la creatura sorprendendola alle spalle. Ryan vide un leggero bagliore tra i due, come se si fossero illuminati.
Il lampo durò un secondo prima che la creatura/ragazza si accasciasse perdendo tutt’a un tratto la sua mobilità. L’uomo la caricò sulla sua spalla sinistra, voltatosi il suo sguardo andò dritto alla finestra di Ryan che con un gesto improvviso si abbassò al di sotto del davanzale per non essere visto.
Si sentì molto stupido in quel momento oltre che codardo, non aveva alcun motivo di nascondersi, le luci erano spente e l’uomo non l’avrebbe visto comunque. Mentre ci pensava su, seduto sul pavimento della sua camera tornò la luce. Prontamente andò a spegnerle, sbirciò dalla finestra ma, non c’era più nulla da vedere oltre la serranda semi chiusa.
23 ˞ۥ Maggio ˞ 1997
Avvenimenti che hanno dell’incredibile sono difficili da spiegare, ancor più difficile è far si che ti credano.
Ryan raccontò a Chris ciò che aveva visto, tralasciando il notevole particolare dell’anormalità di quella ragazza dalle fattezze mostruose. Anche senza tali particolari quella storia aveva dell’incredibile.
In fin dei conti cosa poteva dirgli il suo più caro amico in merito?
Chris gli consigliò di rivolgersi alla polizia ma la polizia non poteva essere messa al corrente, cosa avrebbe detto al capo Care? “Senta? Un mostro passeggiava di notte lungo il mio isolato, e il mio vicino l’ha fermato salvando noi poveri cittadini ignari del pericolo”.
Dare adito all’eroismo di Dominique, era un pensiero ancor più odioso del passare per uno sbandato, che sogna ad occhi aperti nelle calde sere d’estate.
Solo una cosa era certa: se avveniva qualcosa di anomalo, accadeva sempre nelle ore notturne, quella notte Ryan si sarebbe appostato alla finestra, non avrebbe fatto il minimo sbuffo nel doversi ritirare presto nella sua stanza.
L’attesa è sempre snervante. L’attenzione di Ryan cadeva su ogni più piccola foglia in movimento; poco distante uno scoiattolo correva furtivo da un tronco ad un altro; una civetta in veglia come lui su di un ramo di pino; neanche una macchina di passaggio, tanto che Ryan poteva ascoltare i rombi dei motori della strada esterna più vicina.
Ed ecco, all’una di notte, un movimento nel cortile di casa Brown attirò la sua attenzione; a passo felpato il suo vicino uscì dall’umbra, era più vicino alla sua abitazione rispetto alla sera precedente, Ryan poté osservare Dominique in modo più attento.
L’uomo pareva annusare l’aria a caccia di tracce invisibili al tatto.
Possibile che si sia lasciato sfuggire la creatura anche questa notte, si diverte a giocare al gatto e al topo?
Con gesto veloce Ryan vide l’uomo infilare il braccio sinistro in una delle siepi del suo giardino, ne tirò fuori come fosse un arbusto da estirpare la creatura vista la notte precedente. Ora che Ryan poteva meglio osservarla, non appariva tanto spaventosa, era semplicemente … insolita.
Si sa, il diverso fa sempre paura!
L’uomo trascinò in malo modo la creatura, vestita di una semplice camiciola troppo grande per la sua figura esile, tanto da spingere Ryan ad intervenire.
Il ragazzo, smontando le cerniere della vecchia porta riuscì a rendere inutili i chiavistelli posti dal padre, scese le scale il pochi balzi, recuperò le chiavi del portone di ingresso, prese fiato prima di affacciarsi all’esterno della sua abitazione ma troppo tardi, la strada ed entrambi i giardini erano deserti.
Un rumore attirò la sua attenzione nel cortile che raggiunse a passo incerto, deluso scoprì che il suono era stato causato da un gatto randagio a caccia di spuntini notturni. Essendo ormai sul posto, decise di ispezionare la siepe nella quale era nascosta la creatura. Se voleva scappare perché aveva scelto un posto così vicino al suo aguzzino? Non poteva correre via?
In quell’istante tutto venne interrotto, un forte dolore alla nuca e buio …
 
Che cos’è il buio?
Perché ne abbiamo paura da bambini?
Probabilmente continuiamo ad averne paura negli anni, anche se per motivi differenti.
Il buio nasconde ciò che di giorno conosciamo bene. Nasconde, cela, ma non fa realmente svanire.
Spesso è solo un’illusione, è solo paura di scoprire che ciò che abbiamo di fronte
non è altro che la realtà che non vogliamo accettare.
–—*.*.*.
Qualcuno stava canticchiando allegramente, senza parole, solo versi a tratti troppo acuti.
Il rumore dello scorrere dell’acqua era rilassante, quasi una ninna nanna che ti culla. Anche se parte di quell’acqua era finita sul suo viso.
Ryan sentiva di essere stanco ed intorpidito, eppure si stava appena svegliando.
Bel modo per iniziare una giornata!
Aprì gli occhi cercando di ignorare il gran mal di testa, vide sopra di se non il solito soffitto della sua camera ma, la scala da giardino del padre, utilizzata giorni prima e mai rimessa a posto. Sotto di lui un pavimento fatto di erbetta e fogliame umidiccio.
-Buon dì!- cinguettò una voce sopra la siepe che separa il suo cortile dal giardino laterale dei Brown -Ti stai godendo il fresco delle prime luci dell’alba?- continuò Beatrix Brown senza arrestare le sue attività di giardinaggio.
-Cosa?- chiese Ryan mentre intontito si sollevava dal tappeto di foglie che gli aveva fatto da letto.
-Che faccia ragazzo. Ti senti bene?- intervenne Beatrix mollando il suo innaffiatoio rosa Barbi, irrompendo nel suo cortile senza permesso.
Ryan non ricordava come fosse finito li, sapeva bene però che non voleva porgere a quella donna informazioni di alcun genere. Cercò di tagliar corto, tirando fuori il suo solito comportamento da gradasso che tanto piaceva alla donna, in modo da distrarla dal suo aspetto trasandato causato dalla notte passata in giardino.
Salutò velocemente la donna e fece rientro in casa.
Salì al piano di sopra a passo di zombie, dalla camera da letto di suo padre proveniva un sonoro russare, aveva un’altra oretta libera prima della sveglia giornaliera alle sette in punto, così si sciacquò velocemente il viso e si getto sul letto, non aveva forza e voglia di riflettere sull’accaduto e riprese sonno velocemente.
 –ƒ—*.*.*.
Il risveglio di Ryan, nel suo comodo letto, avvenne decisamente più tardi di quel che pensava.
Diede un’occhiata veloce alla sveglia:
-Cacchio! Sono le 10.00!-  strabuzzò gli occhi destandosi velocemente dal letto.
Il padre non gli aveva fatto la solita sveglia.
Il ragazzo diede un’occhiata alla sua porta, doveva rimetterla a posto prima che il padre si accorgesse della sua fuga. Una volta finito, la porta cigolando si aprì da sola, non era fissata da chiavistelli come la sera prima.
Troppe cose non avvenivano nel solito abitudinario quel giorno, forse Arthur l’aveva scoperto, ed ora progettava di vendicarsi cogliendolo di sorpresa. Il ragazzo uscì cauto dalla sua camera, una volta nel corridoio udì il russare del padre.
Sta ancora dormendo?
Entrò nella sua camera, benché all’uomo desse molto fastidio.
Con questo caldo dorme sotto le coperte?
Le sollevò con uno strattone, rivelando dei cuscini addobbati, in maniera che dessero l’impressione che qualcuno stesse dormendo in quel letto; accanto un registratore collegato alla presa elettrica vicino al comodino, che ritrasmetteva sempre il solito motivo, per simulare il russare profondo di un uomo di mezza età.
Anche il padre di Ryan dunque fuggiva di notte, per quello che il figlio poteva constatare non aveva fatto ancora ritorno. Aveva sicuramente aperto i chiavistelli della porta sigillata prima di andar via.
Perché non lasciare alcun biglietto?
Ryan si crogiolava all’idea del bel rimprovero, che avrebbe potuto rivolgere al padre appena avrebbe fatto ritorno.
–ƒ—*.*.*.
Ancora leggermente stordito Ryan si sforzò di ricordare cosa fosse successo la notte precedente. Scendendo al piano di sotto, stando ben attento a non inciampare andò in cucina e vi trovò il tavolo in disordine, con bicchieri di plastica e sei bottiglie di birra di cui quattro vuote.
Probabilmente non ricordava nulla perché ubriaco, anche se non era tipo da perdere la testa con sole quattro birre.
Appoggiandosi allo stipite della porta, un po’ per sorreggersi, un po’ in gesto di riflessione, Ryan non badò a ciò che aveva dinanzi, o meglio, a chi aveva davanti.
Sollevò lentamente lo sguardo, ritrovandosi di fronte ad un’esile ragazza in tuta, dai lunghi capelli spettinati castano chiaro, e occhi sottili che ne risaltavano il nocciola delle iridi. Lo stupore da parte del ragazzo fu una reazione del tutto normale all’occasione ma, il suo grido spaventò la ragazza che scappò via, proprio mentre suonava il campanello della porta.
Nel raggiungere l’ingresso Ryan continua a richiamare l’intrusa, guardandosi intorno.
Ad aver bussato però non era suo padre, bensì Chris:
-Che hai combinato?-  si stupì il ragazzo squadrando Ryan dalla testa ai piedi. Il suo aspetto non era certo dei migliori: spettinato, trasandato, scalzo e ancora sporco di terriccio lungo la canottiera una volta bianca.
-Sapessi quello che è successo …- brontolò Ryan chiudendo la porta.
-Cosa?- domandò preoccupato Chris, mentre Ryan non gli mostrava attenzione, guardandosi intorno alla ricerca della ragazza.
-Non lo so!
-Forse non hai capito la domanda- riprese Chris –Ti ho chiesto che cosa ti è successo? Tuo padre ti ha proibito la doccia?
-E io, ti ripeto- ribatté Ryan, questa volta concedendo all’amico un po’ di attenzione -Che non lo so che è successo, e non so dove sia finito mio padre.
-Lo stai cercando?- lo fissava Chris, mentre Ryan faceva un giro di ricognizione in cucina.
-Renditi utile- lo interruppe Ryan -Aiutami a cercare la zingara che si è intrufolata in casa.
-Hai ospitato una mendicante in casa? Tuo padre è d’accordo?-  domandò Chris stupefatto
-No! È la nuova badante di mio padre! Un regalo di compleanno in ritardo- fece Ryan sarcastico -La ragazzina si è intrufolata in casa mentre dormivo. Tu cerca al piano di sopra, mentre io do una controllata qui intorno.
 
I due ispezionarono ogni stanza ma della ragazza non vi era traccia.
Tornando al piano inferiore Chris notò le numerose bottiglie di birra tra il tavolo e il lavello:
-Hai festeggiato in solitario ieri!
-Probabilmente è opera di mio padre. Io non ho toccato una birra.
-Magari le ha bevute la senza tetto che si è intrufolata in casa- fece sarcastico Chris
-Si!- esclama Ryan come folgorato dalla verità -È stata lei sicuramente! Era scalza, non può essere andata lontano. Hai cercato bene al piano di sopra.
-Dappertutto!- risponde Chris con un cipiglio -Ora devo andare, avevo promesso di dare ripetizioni ai più piccoli di domenica mattina.
-Mi lasci da solo, prima di risolvere …
-Risolvere cosa Ryan? Tu ti sei preso solo una bella sbronza- proclamò Chris con poca pazienza -Fattela passare prima che ritorni tuo padre e fatti una doccia!-  gli disse prima di andar via.
 
In fin dei conti non gli piaceva affatto lo sguardo inquisitorio di Chris, non era stato capace di crederlo, non aveva avuto modo di spiegargli tutto, anche se forse era meglio così.
Il ragazzo dal basso morale, si recò al piano superiore continuando a pensare a ciò che aveva visto, possibile che quella ragazza fosse frutto della sua immaginazione?
No. Impossibile!
Se si fosse immaginato una ragazza, non certo gli sarebbe apparsa in tuta. Magari con un bel bichini, bionda e dalle curve mozzafiato, non una ragazzina poco più che bambina dall’aspetto trasandato.
Aprì la porta del bagno, allungò una mano al di là della tendina della doccia per far scorrere l’acqua calda, ma un gridolino lo fermò. Con uno scatto netto aprì la tenda da doccia, rivelando l’intrusa nascosta nella vasca da bagno.
-Ecco dove ti eri nascosta!- esultò Ryan contento più del fatto di non essersela immaginata, che dell’averla trovata
-No, no, no!- Fece la ragazza coprendosi il viso senza alzare troppo la voce. Rannicchiata appariva ancor più piccola.
Ryan le intimò di alzarsi ma lei rimase impassibile, come volesse scomparire magicamente dalla sua vista. Dopo un solo monito di insistenza Ryan perse la pazienza e la convinse ad alzarsi tirandola per un orecchio, come si fa con i bambini.
La ragazza, interpretando male il motivo della rabbia di Ryan, si scusò prontamente:
-Mi dispiace, mi dispiace davvero, non volevo fare del male!- disse tutto d’un fiato.
Dopo averla convinta a destarsi Ryan rimase perplesso da tali scuse.
-Non volevi cosa? Di che stai parla….- a Ryan bastò osservare l’espressione di terrore sul volto della ragazza per comprendere  -Mi hai colpito! Per quello mi sono ritrovato steso in giardino. Sei stata tu a colpirmi!- si infervorò.
La sconosciuta si rese conto di aver scelto male le parole ma, era troppo tardi per rimangiarsi le scuse.
-Ti ha fatto del male?-  chiese lei spiazzando Ryan  -Voglio dire … ti è stato fatto del male?- si corresse.
Sempre più confuso il ragazzo la fissava come a voler percepire il minimo indizio da ogni suo movimento.
-Vuoi dire che non mi hai colpito tu?- chiese Ryan abbassando il tono di voce.
-Sei stato colpito? Quando? Ieri notte? Chi hai visto?- partì la ragazza con le sue domande a ripetizione
-Stop!-  la fermò Ryan per le spalle
-Io sto ferma!-  lo fulminò lei spingendolo indietro –Sei tu che con la tua agitazione continui a non vedere aldilà del tuo naso.
-Eeee?- Ryan si rese conto in quel momento che continuava a marciare sul posto -Ok!- cercò di darsi un contegno -Cosa è successo ieri notte qui dentro?
-Come posso saperlo?-  replicò lei  -È vero! Mi sono introdotta in casa tua ma, non sono una ladra ne una zingara.- precisò dimostrando di aver udito la precedente conversazione con Chris. 
Ryan fu sorpreso del linguaggio utilizzato dalla ragazza, non aveva il minimo accento straniero, e mostrava una certa classe nonostante la presentazione lasciasse a desiderare.
-Allora perché ti scusi, chiedendo chi o cosa ho visto?-  ritornò Ryan sull’argomento imperterrito.
La ragazza era in trappola, unica a poter mettere un po’ d’ordine sugli avvenimenti delle ultime ore, stava portando ancora più scompiglio. Qualcosa nascondeva e Ryan, doveva dimostrargli che non era il tipo di qui prendersi gioco.
Ci furono alcuni momenti di silenzio, in cui i due si fissarono senza proferire parola.
-Ho bisogno d’aiuto!-  fu l’unica frase pronunciata dalla ragazza evidentemente imbarazzata.
Mai possibile che fosse capace di rispondere ad una domanda con frasi incongruenti?
Se era una tattica per confonderlo … ci stava riuscendo perfettamente! I’orgoglio di Ryan però gli impediva di dargliela minimamente vinta; se c’era una cosa che la vita le aveva insegnato era sfruttare l’occasione.
Una richiesta d’aiuto non andava per forza rifiutata o ignorata ma, rigirata, portandola a proprio favore con un metodo vecchio come il mondo: il baratto
-In cambio mi darai le informazioni di cui ho bisogno?- disse Ryan senza girarci troppo attorno.
Preoccupata la ragazza lo fissò avvicinandosi di un passo, come a volergli leggere dentro. Ryan indietreggiò sorpreso da quel comportamento imprevedibile. Leggendo lo spavento nei suoi occhi, la ragazza tornò al suo posto, deglutì:
-A costo che siano informazioni a te estremamente necessarie-  disse porgendosi inflessibile -Una domanda per una domanda. Sei d’accordo?
-Si!- rispose Ryan se pur riluttante. Quella affermazione gli dava l’impressione che le redini della conversazione gli fossero sfuggite dalle mani nuovamente -Come ti chiami?- domandò spiazzando la ragazza.
-È questa la domanda?-  chiese stupita lei.
-È solo la prima, che credi?!- rispose Ryan con un cipiglio di soddisfazione sul volto -Allora?
-Il mio nome è Dafne-  rispose lei con un filo di timidezza.
-Ryan Omalley-  disse Ryan allungando la mano destra verso la ragazza, che fissò il palmo teso per qualche secondo, prima di rispondere al saluto con una stretta di mano.
Il fascino era un’arma che il ragazzo non aveva previsto di utilizzare con un tale maschiaccio.
Le ragazze sono tutte uguali! Anche quelle prive di sex a pel.
Dafne lasciò andare la mano di Ryan, la sua espressione tornò improvvisamente dura e risoluta
-Hai visto qualcosa di strano la scorsa notte?-  partì subito con la prima domanda.
-Non perdi tempo!- disse Ryan sfoderando uno dei suoi sorrisi da sgamo che non fallisce mai … se non in questo caso, perché Dafne era li che attendeva la sua risposta senza la benché minima reazione al suo tentativo di incantarla -Va … va bene-  si arrese temporaneamente Ryan  -La tua domanda vale per tre, perché sarebbe più riduttivo elencare le normalità di ieri notte.
-Mattina vorrai dire.
-Mattina?
-Dopo l’una di notte viene ritenuta mattina, non più notte-  spiegò tranquillamente la ragazza.
-Va bene. Mattina …- acconsentì Ryan prima di essere interrotto.
-Allora l’hai vista! Se hai visto qualcosa di strano dopo l’una di notte, ti riferisci sicuramente a lei.- spiegò Dafne più a se stessa che al ragazzo.
L’aveva ingannato. Con un trabocchetto gli aveva fatto dire ciò di cui aveva bisogno, la cosa lo infastidiva, anche se attraverso quelle informazioni Dafne, aveva involontariamente ammesso di avere a che fare con il mistero dei Brown.
Ryan decise di andare dritto al sodo, senza il timore di apparire un mentecatto.
-Se ti riferisci a quella specie di … creatura, sbucata dal cortile dei Brown …
-Brown? Chi sono i Brown?
-I miei vicini di casa-  rispose Ryan sorpreso, forse la ragazza non aveva le informazioni necessarie a comprendere cosa fosse successo –Ma scusa! Il mio turno di fare domande quando arriva?
-Quando avrai risposto, in modo completo alla mia di domanda!-  affermò decisa Dafne.
 
Era come buttarsi da un trampolino, in una piscina ricolma di un liquido di cui non conosci l’entità; sei costretto a buttarti perché il flessibile trampolino non può reggere il tuo peso molto a lungo. Attendere ciò che comunque sarebbe avvenuto o lanciarsi, andando incontro al proprio destino, pensando a come uscirne solo dopo esserci entrato.
Ryan raccontò in grandi linee ciò che aveva visto dalla sua posizione di vedetta, studiando attento ogni minima reazione, della ragazza misteriosa che ascoltava come persa in quel racconto, senza mettere in dubbio le sue parole, benché il racconto avesse dell’assurdo.
Dafne credeva alla sue parole, Ryan così comprese che poteva fidarsi nel raccontare ciò che aveva visto, la sua era semplice insicurezza. Decise che appena possibile, avrebbe raccontato a Chris l’intera vicenda senza la paura del suo giudizio.
-Non racconterai questa storia a nessuno vero?- disse Dafne al termine della spiegazione.
-Cosa? Perché?
-Prima di tutto nessuno ti crederebbe, e poi, non hai motivo di raccontare ciò che hai visto.
-Ma sentila!-  sbottò Ryan  -Non ho motivo, fin quando una svampita mi si presenta in casa con mille domande … e poi … tu mi credi.
-Anche tu sei a caccia di risposte se non erro- rispose Dafne di rimando -comunque … io ti credo perché so che è vero- azzardò la ragazza abbassando finalmente lo sguardo.
-Sai che è la verità ma, hai chiesto ugualmente spiegazioni?! Mi hai per caso messo alla prova?- domandò Ryan
-No! So che è vero, perché so che la creatura che hai visto esiste-  rispose Dafne vaga, dimostrando ancora una volta la sua imprevedibilità  -e non si tratta di una leggenda metropolitana di cui non eri ancora a conoscenza, questa è la realtà.
La verità di qui Dafne parlava era molto più profonda e intricata di quanto Ryan avesse ipotizzato.
Quella che chiamava creatura, secondo ciò che la ragazza narrò a Ryan, era inconsapevole del luogo in cui si trovava, soggetta a vuoti di memoria che le impedivano di mettere in atto una vera e propria fuga. Nello spiegare dove veniva tenuta prigioniera e da chi, Ryan comprese che Dafne stesse descrivendo l’abitazione dei Brown, quando glielo fece notare la ragazza spiegò che i due coniugi utilizzavano quasi sicuramente un nome falso, il loro vero nome era Dark.
Fece una precisa descrizione dei due coniugi, così differente da quel che apparivano agli occhi della cittadina, Ryan fece fatica a figurarsi le stesse persone.
Dafne era la nipote di Dominique, appartenente anche lei alla famiglia Dark. Abitava con loro da poco tempo, scappata da loro perché maltrattata; non fece delle precisazioni e Ryan non la interruppe con domande, per paura che la ragazza mettesse fine al suo incredibile racconto.
Cresciuta in una tenuta distante da qualunque città, la ragazza era stata allevata in una sorta di base segreta, dove fu portata in tenera età.
Il motivo neanche lei se lo sapeva ben spiegare, pare che tutti i membri della famiglia Dark passassero da quel campo sperduto in terra di nessuno. Lei era l’unica sopravvissuta della sua famiglia, sin quando non ha scoperto di possedere uno zio: Dominique Dark, fratello di suo padre che, dopo essersi infiltrato all’interno della base, la ingannò con false speranze.
Con pazienza l’uomo l’aveva indotta a fidarsi di lui e aiutata a fuggire, dimostratisi meno benevolo una volta lontano dal campo. Lo scopo dell’uomo era un’eredità lasciata a Dafne per legittima successione, di cui lui voleva impadronirsi.
La creatura sovraumana era un errore causato da esperimenti mal riusciti nella base, che Dominique si era portato dietro per studiarla da vicino, essa poteva muoversi solo nelle ore notturne perché resa debole durante il giorno.
-Dunque non vuoi chiamare la polizia perché ti rispedirebbero in quel campo?!-  domandò Ryan.
-Prima o poi dovrò tornarci, non ho scelta, il mio addestramento non è terminato.
Addestramento?
-Perché sei scappata allora?- domandò Ryan confuso.
-Quell’uomo …- cominciò Dafne con gli occhi pieni di rabbia e tristezza -… mi ha spinto a scappare con la verità.
-Gli dai ragione adesso? Hai detto che ti ha rinchiuso e maltrattato!- Ryan non la comprendeva, quella ragazza soffriva della sindrome di Stoccolma, oppure era stato il suo desiderio di avere una famiglia a farla scappare della base?
-Mi ha mostrato dei documenti, che dimostrano l’esistenza di un altro Dark: mio fratello minore-  spiegò Dafne con meno enfasi -Io me lo sentivo. Nel profondo sapevo che il mio fratellino non aveva perso la vita come i miei genitori, anche se non l’avevo mai confessato a nessuno- improvvisamente alzò il tono della voce  -non potevo permettere che prendessero mio fratello … tu sai cosa vuol dire sentirsi in gabbia? Voler scappare da dove sei, a costo di trovare di peggio! Se non per me, dovevo farlo per mio fratello.
Il ragazzo sapeva bene cosa volesse dire ma, non rispose; il racconto udito appariva offuscato, come incompleto. Dal canto suo Ryan non comprendeva come potesse proprio lui, fornirle aiuto.
–ƒ—*.*.*.
La radio suonava un brano malinconico che Ryan riconobbe involontariamente, senza però conoscerne il nome.
Andò per cambiare stazione, quando scoprì che lo stereo dopo essere stato acceso era ripartito da dove era stato stoppato, su un nastro che Ryan non ricordava di aver inserito.
-Lo hai messo tu?- domandò Ryan alla ragazza, che si guardava intorno con grande interesse
-Blu Moon …- rispose Dafne, come sempre incongruente con la domanda postale. Il suo sguardo arrivò al volto di Ryan che la osservava con aria interrogativa -il brano. Si intitola Blu Moon … luna blu- spiegò lei.
-L’hai infilato?- riprese la parola Ryan.
-Ho fatto cosa …?- domandò la ragazza con atteggiamento tutt’a un tratto preoccupato.
-Si può sapere perché sei così nervosa? Parlo del nastro-  specificò Ryan sorridendo -Presumo tu sia una ragazza!- azzardò, ridacchiando sul doppio senso che Dafne non afferrò minimamente, restando a fissarlo per qualche secondo -Lascia perdere- smise di sorridere Ryan; non c’è gusto se non capisce le battute!
-Non so come funziona uno di quei cosi-  ammise Dafne  -alla base ascoltavo musica da un walkman che mi era stato regalato da un militare.
-Non sai come funziona uno stereo, ma sai il titolo di un brano di musica classica appena ascoltato!?
Ryan era sempre più affascinato dal modo di fare di quella ragazza, ed ancor più dalle informazioni che gli avrebbe fornito, la storia si faceva sempre più interessante, una manna per passare quei giorni di ozio chiuso in casa.
La ragazza però continuava ad avere momenti di tranquillità, intervallati da improvvise agitazioni apparentemente ingiustificate; tornato dalla cucina con un bicchiere di coca cola, curioso di scoprire se ne aveva mai sentito parlare, Ryan sorprese Dafne a fissare la porta dello stanzino sotto scala con aria preoccupata.
-Sei come una bambina che non conosce nulla del mondo-  ridacchiò alla sue spalle -è solo un ripostiglio. Oppure hai paura del buio? Ti faccio vedere che non c’è nulla di cui temere la dentro- fece Ryan avvicinandosi alla porta del sotto scala.
-No! Non farlo … non adesso-  lo fermò Dafne tirandolo indietro. 
-Cosa c’è?-  Chiese Ryan, il suo sorriso svanì dopo aver letto la preoccupazione sul volto della fanciulla  -Dafne? Cosa credi ci sia nell’armadio?
La ragazza parve stupita di essere stata chiamata per nome, non badando alla domanda postali:
-Cosa … che hai detto?- domandò confusa
-Ti sei portata appresso quella creatura?- domandò Ryan inquietato all’idea
-Ma … cosa? No!-  rispose lei decisa e spaurita allo stesso tempo
-L’hai nascosta li dentro?- domandò Ryan, consapevole di aver letto l’ansia sul volto della ragazza sempre sicura di se che, adesso se ne restava in silenzio a sguardo basso, come stesse scegliendo le parole giuste da esporre, prima dell’inevitabile.
-Mi dispiace, io non volevo- cominciò la frase Dafne  -è solo che tuo padre era … farò il possibile per riportarlo alla normalità.
-Che centra mio padre? Non sarà li dentro?-  domandò incredulo Ryan
-Quando sono entrata in casa l’ho trovato dietro la porta in allerta, aveva una mazza in mano … ho avuto paura …
-Vuoi dire che l’hai spinto li dentro?
Il fatto che suo padre fosse chiuso nell’armadio sotto scala, passava in secondo piano se confrontato al fatto che una ragazza così esile fosse stata capace di rinchiuderlo li dentro.
Continuava a chiedere scusa, e fare promesse di ripiego a ciò che aveva fatto ma, a Ryan non interessava. Quasi divertito scansò la ragazza e aprì la porta.
*.*.*.*.*.*.*.

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Capitolo 3
*** Uno scheletro nell'armadio, al quanto pesante ***


Scusate il ritardo :|
Questo è un capitolo abbastanza leggero, comico per certi versi.
Buona immersione! :)
*.*.*.*.*.*.*.
                        Uno scheletro nell’Armadio
                                                          al quanto Pesante

 
 
Sono bravo a nascondere.
Nascondo oggetti,
Persone,
Verità nascoste,
nascondo persino me stesso;
 
Vorrei però non essere bravo in quest’ultimo particolare.
Vorrei che qualcuno scovasse la maschera dietro la quale mi nascondo,
me la strappasse via con la forza,
contro la mia volontà
ma concorde alla mia integrità.
Qualcuno che mi costringa ad essere me stesso
Facendomi comprendere quanto sarebbe meglio uscire allo scoperto.
 
Potrei svuotare il mio armadio, ricolmo dei sogni che non avevo il coraggio di tirare fuori.
Potrei scoprire io stesso quello di cui sono capace.
 
… e se nessuno arriva
Vorrei … potrei …
Sono termini che “Dovrei” mettere in diverso ordine:
Volere è Potere!
*.*.*.*.*.*.*.
Lo spettacolo a cui assistette Ryan una volta aperta la porta dello stanzino, cancellò il restante del suo sorriso.
Il padre giaceva seduto infondo al ripostiglio. La schiena poggiata alla parete di fondo, circondato da ramazze e attrezzature.
Senza aggiungere altro Ryan si precipitò all’interno dello stanzino; dapprima cercò di destarlo ma l’uomo non dava segni di riconoscerlo. I suoi occhi erano sbarrati nel vuoto, immobili, gli arti atrofizzati.
I due ragazzi lo tirarono fuori, con fatica lo issarono sulla poltrona del salotto più vicina.
Ryan restò di fronte al padre a fissarlo per qualche secondo, mentre Dafne in preda all’angoscia attendeva il momento in cui il ragazzo le avrebbe rivolto la parola.
Arthur Omalley era ancora vivo, Ryan lo comprendeva dal lento movimento del suo petto; tastò il polso, il battito sembrava regolare ma la sua temperatura corporea era decisamente bassa.
-Tu, da sola, l’avresti ridotto in questo stato?- domandò il ragazzo, senza distogliere gli occhi dal padre
-Mi dispiace …
-Smettila di dire mi dispiace!- urlò Ryan rivolgendosi a lei questa volta.
I due si fissarono
-Posso risolvere-  disse decisa Dafne –farò il possibile per riportarlo alla normalità.
Un dubbio si insinuò nei pensieri di Ryan, bastava dare una fugace occhiata allo stato in cui riversava suo padre, per comprendere che era venuto a contatto con qualcosa che andava oltre l’ordinario.
-Puoi risolvere ma, non sei stata tu a ridurlo così, non ho ragione?-  disse Ryan alla ragazza, che rispose con un cenno –Voglio sentirtelo dire, non mi basta un cenno di assenso.
-È stata quella che chiami creatura; è successo quando sono entrata in casa. Nel tentativo di trovare un posto in qui nascondermi- rispose lei.
-La creatura dove si trova adesso?-  chiese Ryan, non certo di voler conoscere la risposta. 
-Non lo so davvero! Forse non farà più del male-  disse Dafne sollevata  -Almeno spero.
-Tu l’hai vista da vicino, sai risolvere i problemi che si lascia dietro? Come ha fatto a ridurre mio padre in questo stato?- Non era più un gioco, un passatempo nelle giornate di ozio, ormai era una cosa seria.
-La conosco abbastanza bene da poter … tentare di rimettere in sesto tuo padre.
-Se tornasse lei a mettere a posto ciò che ha sfasciato?-  domandò legittimo Ryan  -Forse Dominique l’ha ripresa, come due notti fa. Me la farò prestare per un po’ …-  ci ragionò su mentre raggiungeva l’ingresso ma, Dafne si frappose tra lui e la porta.
-Sei sempre così impulsivo?- domandò lei agitata  -Avevi promesso di aiutarmi in cambio di spiegazioni.
-Grazie delle spiegazioni!-  cercò di scansarla Ryan.
-Vuoi entrare in contatto con un mostro? Lo vuoi davvero?- chiese Dafne con tono di sfida  -Ti ho detto che di giorno non si fa vedere. Come spiegheresti a quei due matti ciò che intendi fare, senza metterci me di mezzo?
La ragazza aveva maledettamente ragione, l’unica soluzione era far tentare lei.
Così Ryan si lasciò convincere, promettendo a se stesso che sarebbe stata l’ultima volta, che si faceva comandare da una ragazzina.
Disse che voleva essere lasciata da sola con suo padre per concentrarsi sul da farsi. Passò molto tempo ad osservarla di nascosto, mentre se ne stava seduta di fronte al padre a fissarlo in quei suoi occhi spenti. Ogni tanto si alzava e gli poggiava il palmo della mano sulla fronte, o ancor più stranamente gli si sedeva vicino canticchiandogli una canzoncina, mentre gli accarezzava i capelli.
Ryan cominciò a pensare seriamente che i Brown … o meglio: i Dark, fossero chi più chi meno degli svampiti.
–ƒ—*.*.*.
Il salotto divenne la temporanea camera da letto di Arthur. Ryan con premura sistemò il divano per far si che il padre stesse comodo, sempre se sapesse ancora cosa volesse dire. Preoccupato che potessero dare a lui la colpa dell’accaduto, non si azzardò a chiamare rinforzi di alcun tipo.
Ogni qual volta Dafne si allontanava per un qualsiasi motivo, bisbigliava all’orecchio del padre, come se quelle parole potessero svegliare l’uomo. Aveva tante di quelle domande da porgli, davanti a lui c’era un padre catatonico che custodiva in se le risposte alle sue domande; per ora non poteva far altro che aspettare che accadesse qualcosa, nel frattempo, ospitava una svampita dallo strano nome, dagli strani modi di fare, che confessava di essere capace di riportare i vegetali alla normalità. Dafne rimase di sasso quando il ragazzo le disse che aveva intenzione di dormire al capezzale del padre quella notte, addirittura contrariata.
Cosa le importa?
Come se stesse dando un annuncio importante, la ragazza comunicò di voler dormire al piano di sopra con la sua solita aria di superiorità, accompagnata da uno strano senso dell’educazione, chiese a Ryan se le era permesso dormire nella vasca da bagno. Stupito il ragazzo acconsentì, non facendo in tempo a chiederle perché scegliesse proprio quella stanza, che lei salì di volata lungo le scale.
Si è affezionata alla doccia per via del nostro primo incontro!
Ridacchiava fra se e se il ragazzo, convinto di aver fatto breccia nel cuore della ragazza, dai lineamenti vagamente asiatici. Il che andava a suo favore, se Dafne come qualunque altra ragazza, sarebbe caduta ai suoi piedi, le avrebbe ceduto le sue verità, in cambio di un solo sorriso malizioso … se poi si sarebbe comportata bene, magari gli avrebbe concesso anche un bacio sulla guancia, ma nulla più, non voleva certo spezzargli il cuore visto che lui, Ryan Omalley, sarebbe stato la causa della sua prima infatuazione.
24 ˞ۥ Maggio ˞ 1997
Alla nascita del nuovo giorno, Ryan si svegliò per la seconda volta in un luogo che non riconobbe a primo impatto. Dimenticando di essere rimasto nel salotto durante la notte, il primo sguardo attento lo rivolse al padre disteso sul divano, così come lo aveva sistemato la sera precedente.
Tra uno sbadiglio e una stiracchiata di spalle, il ragazzo si recò al piano di sopra.
La porta del bagno era aperta, ingenuamente Ryan pensava che la ragazza avesse scelto tale stanza per la notte, perché unica ancora dotata di una chiave. Un dubbio si fece vivo: se fosse scappata, non mantenendo fede alla sua promessa di rimettere in sesto il padre?
La poca luce che perveniva dalla finestra chiusa, permise a Ryan di verificare la presenza della ragazza, che dormiva beatamente rannicchiata nella vasca da bagno.
Quindi non si era data alla fuga ma, quel comportamento non lasciava dubbi nei pensieri del ragazzo:
È una fissata!
Forse voleva davvero mantenere la parola data, riportando alla normalità Arthur, o più semplicemente non aveva davvero altro posto dove andare.
La creatura notturna di cui le aveva parlato esisteva; Ryan ci credeva solo perché l’aveva vista con i suoi occhi, creatura di cui Dafne aveva paura, glielo si leggeva nelle espressioni quando ne parlava, recarsi per strada di notte quindi diventava un atto decisamente avventato.
Il respiro della giovane era leggerissimo, come se volesse tenere nascosta la sua presenza anche nel sonno. La sua vita non doveva essere stata delle più semplici ma, non era facile intenerire il cuore di Ryan, anche se il suo sguardo si soffermò a lungo su quei lunghi capelli ribelli che le coprivano in parte il viso. Le braccia stringevano forte le ginocchia al petto, tanto che Ryan si stupì del fatto che riuscisse a star comoda.
La tentazione di avvicinarsi per studiarla meglio fu irrefrenabile; Ryan si inginocchiò accanto al bordo della vasca, allungò una mano verso quel viso finalmente rilassato grazie al sonno, e scostarne le ciocche che la nascondevano. La sua pelle era fredda, anche se non dava traccia di essere infreddolita, il ragazzo prese un telo dall’armadio li accanto, improvvisando una coperta per farle da protezione. Dafne si mosse nel sonno, borbottava qualcosa a bassa voce.
Come un ladro, Ryan avvicinò l’orecchio al viso della ragazza per meglio decifrare i mugolii.
-Ti ho detto di no …- disse Dafne nel sonno.
Ryan tentò di farle qualche domanda, nella speranza che nel sopore Dafne rispondesse in modo più completo:
-Perché sei qui?- domandò con tono flebile.
La ragazza con un movimento veloce e del tutto inaspettato, si rigirò nel sonno centrando il viso di Ryan con una gomitata ben assestata
-Finiscila!-  farfugliò ritornando alla sua posizione compressa –Ryan non ti sopporto!- continuò parlando nel sonno.
I semi dormienti sono come gli ubriachi: confusi, farfuglianti ma sempre sinceri.
Ryan si allontanò reggendosi il naso dolorante, il suo giudizio iniziale nei suoi confronti non era errato: una furba! Ecco cos’era! Una furba con i sensi di colpa per averlo messo nei pasticci, anzi, non poteva immaginare in quali guai lo avesse incastrato rendendo il padre un manichino in carne e ossa, visto che a pochi giorni avrebbe avuto a che fare con il capo della polizia, che si aspettava di trovare un Arthur Omalley decisamente più reattivo.
Che ne sarebbe stato di lui, se fosse circolata la storia che il suo tutore legale era diventato un vegetale?
 
Senza il minimo riguardo Ryan aprì le serrande della finestra, illuminando la stanza una volta nella penombra. Con gesto veloce aprì il rubinetto della vasca da bagno, che cominciò a gettare acqua fredda sulla ragazza, Dafne improvvisamente sveglia, fece un maldestro balzo fuori dalla vasca, nel perdere l’equilibrio si aggrappò alla tendina da bagno che le evitò una rovinosa caduta, prima di staccarsi completamente dal tubo metallico che la sorreggeva.
-Sei impazzito?-  disse arrabbiata dando una fugace occhiata, alla situazione che si era venuta a creare nella stanza; il ragazzo per nulla pentito rispose con un semplice buon giorno, che fece infuriare Dafne maggiormente.
-Dovresti usare la vasca in modo differente-  disse Ryan, per nulla preoccupato che parte della doccia fosse ormai in terra
-Come sei entrato?- strillò in risposta Dafne furiosa.
Ryan era piacevolmente sorpreso da tutta quella forza da parte della ragazza, che il giorno precedente pareva così fragile se pur risoluta.
-Dalla porta- rispose lui tranquillamente
-Era chiusa a chiave!- si avvicinò la ragazza, dai capelli in parte gocciolanti
-È evidente che non sia così!- sorrise Ryan divertito dalla crescente indignazione di lei -Vieni- le disse facendole strada oltre la porta.
-No!- rispose seccata Dafne. Dopo ciò che aveva fatto pretendeva anche che lo seguisse?
-Va bene- disse Ryan arrendevole –Volevo solo mostrarti degli abiti puliti lasciati da mia madre. Sono nell’armadio della stanza affianco.
-Saprò fare da sola
-Sicuro?
-Cos’hai che non va?-  disse Dafne stizzita da quel suo atteggiamento di superiorità –Credi che non sia capace di vestirmi da sola?
-Credo che tu non sia capace di distinguere un abito femminile da uno maschile- rispose Ryan senza scomporsi. Si stava godendo l’indignazione della ragazza, come fosse uno spettacolo –Vista la tua scelta nel vestire!- Dafne lo guardò sbalordita:
-La moda non è di fondamentale importanza.
-Non parlo della moda. Quella tuta è sporca!-  disse Ryan sottolineando l’ultima parola –Non te l’ho fatto notare fino a questo momento, perché sapevo non mi avresti ascoltato a prescindere. Dare spiegazioni per me è uno spreco, le parole se non hanno un secondo fine ben preciso, non sono degne di essere pronunciate.
-Adesso stai parlando però!-  disse Dafne quasi soddisfatta
-Solo perché ho già abbastanza punti a mio favore contro di te, senza contare il fatto che non tieni alla tua igiene- rispose Ryan uscendo dal bagno.
-Punti? Per te è un gioco? Ti ho sopravvalutato! Ci tengo alla mia igiene, solo che non ho altri vestiti-  gli strillò Dafne affacciata allo corrimano, mentre il ragazzo scendeva al piano di sotto –e poi … vorrei ricordarti che la prima volta che ti ho visto, non eri tanto pulito neanche tu!
-Questioni di emergenza escluse, sono sempre impeccabile-  disse Ryan voltandosi tranquillamente verso di lei  -Signorina arrivata dalla base 51, che non capisce le battute sporche anche se lo è!
Dafne rispose con un grugnito di disapprovazione, sbattendo la porta del bagno dietro di se. Il ragazzo con qui aveva a che fare era un bambino troppo cresciuto, doveva calmarsi per dimostrargli la sua superiorità e maturità.
Il suo pensiero però vagava incondizionato sui segreti che gli aveva affidato; credeva di potersi fidare del suo istinto, benché fosse lo stesso che la spinse a fidarsi di suo zio. Ciò nonostante, non poteva ancora dire se avesse sbagliato o meno, per ora quello strano ragazzo, era l’unica persona che il destino le aveva mandato in soccorso, non aveva scelta.
–ƒ—*.*.*.
Il sole splendeva nel cielo, non una goccia di pioggia, ma la centralina elettrica risentiva del temporale passato e non dava segni di collaborare.
Ryan non ci aveva mai capito niente sul funzionamento dell’elettricità, non conosceva neanche il numero dell’elettricista chiamato dal padre in quelle circostanze, non gli andava di cercare tra le pagine dell’elenco telefonico, ne tra i disordinati post-it all’interdo della rubrica telefonica accanto al telefono.
Il suo stomaco brontolante lo spinse a non pensare a niente, rendendolo svogliato sin quando non lo avesse riempito.
Aprì il frigorifero e la dispensa, lasciandoli aperti a farsi ammirare come un quadro contemporaneo, di cui cerchi il significato nascosto. Ogni idea: pane tostato, brioche precotte, uova e pancetta, caffè, veniva immediatamente messa da parte calcolando l’andicap della corrente assente, e del mal funzionamento dei fornelli. Succo d’arancia e latte erano terminati; con tutto quello che era successo, fare la spesa era passato in secondo piano. C’era dell’aranciata, se pur gassata era sempre qualcosa.
Prese un barattolo di marmellata dal fondo della dispensa senza guardarne il gusto, ne spalmò una generosa cucchiaiata sulla superficie di una fetta di pane, ovviamente non tostato. Diede un’occhiata fugace a ciò che stava per addentare, appena in tempo per far volare la fetta di pane dall’altra parte del tavolo, in un lancio non ben calcolato.
-Questo è il tuo modo di fare colazione?- apparve una ragazza sorridente sulla porta del cucinino, in un semplice vestito estivo a fiori. L’azzurrò le vestiva di incanto, i capelli raccolti in una lunga treccia che stava ancora terminando, facevano notare il collo sottile sul quale sbucava un livido in fase di sviluppo.
Dafne notò che Ryan la fissava, imbarazzata chiuse velocemente la treccia con un sottile elastico, posando i capelli sulla spalla in modo che coprissero il livido.
Si sedette al tavolo di fronte a lui, che ancora non aveva proferito parola. La ragazza guardò la fetta di pane atterrata dalla parte della marmellata; la fisica non si smentisce mai … come la sfiga!
-Non insegnano a rispettare il cibo sul tuo pianeta?- disse Dafne pungente. La battuta di poco prima era per lei un’offesa, ma non voleva dare troppo adito al ragazzo spiegandogli perché quella frase le facesse così male.
-Mi sono accorto che la marmellata è di fragole-  disse Ryan stropicciandosi i capelli
-E bene?
-Sono allergico alle fragole.
-Buon per me!- disse lei, prendendo una fetta di pane e il barattolo posizionandoli di fronte a se –Mi passi un coltello?
Ryan si voltò per aprire il cassetto delle posate li vicino; a quale gioco stava giocando quella ragazza? Il suo scopo adesso era fare breccia nella sua mente con il suo fascino femminile, tenuto nascosto sino a poco tempo prima?
-Ecco …- disse passandogli tovagliolo e coltello.
-Adoro le fragole- disse lei, mentre spalmava con accuratezza la marmellata su di una fetta di pane, sorretta da sole tre dita, classe utilizzata in modo inappropriato dal punto di vista di Ryan.
È marmellata, mica caviale!
-Cosa stai bevendo?- domandò al ragazzo
-Aranciata!- rispose lui senza entusiasmo
-Ne voglio anch’io!- disse lei con un risolino
-I bicchieri di plastica sono accanto al lavello, l’aranciata in frigo- rispose Ryan senza muoversi dal suo posto.
-Grazie! Come fai bene gli onori di casa!- fece Dafne sarcastica alzandosi.
Come si fosse dimenticata di qualcosa, si voltò nuovamente verso il tavolo e prese la fetta di pane e marmellata, come a non fidarsi di lasciarla li sulla tovaglietta.
-Ti ho detto che sono allergico, perché dovrei rubarti la tua preziosa colazione?- disse Ryan riacquistando poco a poco il suo solito comportamento insolente.
-Poi perché hai preso una marmellata di cui sei allergico? Non hai letto l’etichetta?- chiese Dafne nell’aprire il frigo, senza aspettarsi una vera risposta
-È l’unica cosa rimasta in casa, mio padre l’ha presa non so quanto tempo fa … era ancora intatta solo perché non potevo consumarla- spiegò Ryan con aria svogliata, il suo stomaco brontolava ancora.
-Qui dentro non c’è il succo d’arancia- disse la ragazza con la testa nel frigo
-Questa è aranciata gassata!- spiegò Ryan alzando il suo bicchiere di vetro
-Tu hai il bicchiere di vetro, perché io dovrei prendere quello di plastica?- fece lei tirando il primo morso alla sua fetta di pane.
-Perché il bicchiere di vetro va lavato, ed io iodio lavare i piatti- rispose placidamente Ryan, cercando di accendere il televisore, dimenticandosi che anche quello strano aggeggio funziona ad elettricità –Chiudi quel maledetto frigorifero, prima che vada tutto a male, non c’è elettricità, dovremmo aprirlo il meno possibile.
-Questa marmellata ha uno strano sapore
-Se! Va be! Con te, quante volte è possibile cambiare discorso del giro di un minuto?
-Da quanto tempo hai detto che tenevi da parte questa marmellata?
-Da un po’ …
-Un po’ quanto?- chiese Dafne inquieta.
-Un annetto credo … non è che mio padre compri prelibatezze tanto spesso- Un piccolo grido e un tonfo seguirono la sua affermazione –finalmente hai chiuso quel dannato frig…
-Mi hai fatto mangiare una cosa andata a male?- Dafne furiosa lo prese per il colletto della polo, sollevandolo dalla sedia.
-Non è andata a male- rispose Ryan allontanandola con uno strattone –Guarda se sai leggere …- le mostrò il barattolo della confettura appena aperto.
-Da consumarsi preferibilmente entro …- lesse Dafne ad alta voce -… il quattro del novantasette!-  completò sbalordita –È un mese fa!
-Iiiiiiiii! Che vuoi che sia? Solo un mese!- disse Ryan serafico.
-Volevi avvelenarmi?- fece Dafne furiosa, cercando di spiaccicare la restante fetta di pane sulla faccia di Ryan.
-Mi pare tu stia benissimo!
Il campanello di casa risuonò come un avvertimento, i due si paralizzano sul posto.
-Salvato sul gong!- disse Dafne posando l’arma sul tavolo
-Salvato si, visto che sai benissimo che sono allergico a quella roba!
Il campanello suonò nuovamente.
-Io che faccio?- disse Dafne agitata
-Come vuoi! Io vado ad aprire- disse Ryan tranquillo, dirigendosi verso l’ingresso –Non ho intenzione di accogliere ospiti in salotto con mio padre in quello stato, quindi dovresti sparire dalla cucina.
Agli ordini, Dafne corse via dalla stanza, lasciando Ryan soddisfatto di averla fatta filare per una volta.
 
Alla porta non vi era nessuno di relativamente importante, a giustificare il trambusto e la preoccupazione di pochi momenti prima.
Il caro amico di Ryan era arrivato nonostante esso non l’avesse chiamato ma, l’atteggiamento di Chris non era dei più tranquilli.
-Ho un bordello di novità da raccontarti- disse Ryan all’amico ansante sulla porta, che lo spinse per sveltire la sua entrata in casa.
-Tutto passa in secondo piano confronto alla mia di novità!- rispose Chris, dopo averlo spostato.
-Vogliamo scommettere?
-Cuciti la bocca e ascolta!- lo interruppe con vigore Chris, lasciando Ryan senza parole. Quel comportamento non era affatto da lui  -Venendo qui in bici mi sono fermato nel minimarket accanto alla casa famiglia.
-Wao! Non mi hai portato niente?- sorrise Ryan a mo di sfottò
-Ho sentito Henry Care parlare con la sua ragazza sulla porta- raccontò Chris.
Henry Care era il figlio del capo della polizia, da poco tempo arruolato nelle forze dell’ordine. Come il padre, anche lui conosceva i due Omalley da molti anni, era un ragazzo sulle sue, riservato ma molto affabile; ci teneva a Ryan, per questo aveva accettato di occuparsi del suo caso, quella mattina si preparava con il suo collega a fare una visita al suo amico più giovane, riguardante il caso della rissa; questo raccontava alla sua ragazza, dicendole di rimandare il loro appuntamento per questioni di lavoro. La ragazza, che non doveva aver preso la questione molto bene, stava alzando la voce in segno di protesta, era il giorno del loro anniversario e Henry le aveva promesso di passare l’intera giornata con lei.
Gli schiamazzi avevano dato modo a Chris di ascoltare la conversazione, scoprendo che i due poliziotti di pattuglia stavano per raggiungere casa Omalley.
-Arrivano oggi?- chiese Ryan attento alle parole dell’amico
-Non oggi. Adesso!- rispose Chris più agitato del diretto interessato.
-Allora ho bisogno di una mano- disse Ryan con mille pensieri per la testa  -Io vado un attimo al piano di sopra, tu … tu aspettami qui- concluse frettolosamente prima di recarsi nelle stanze superiori, dove Dafne attendeva ansiosa; Ryan la prese per mano e la convinse a nascondersi nell’armadio della sua camera.
-Non ci entro li dentro!- cercò di ribellarsi lei –Mi sento soffocare!
-Devi per forza. Henri sta per arrivare, ed ha sempre la brutta abitudine di salire al piano di sopra, con la scusa di pisciare!
-Non dire parolacce!
Ryan prese fiato rilassando le spalle per un attimo:
-Capiamoci!- sentenziò a bassa voce, di fronte alla ragazza –Rimani nascosta, se non vuoi cacciarti in un altro guaio. Il ragazzo di qui parlo è un poliziotto, se si mette a ficcanasare, e ti trova qui … non farebbe bene ne a me ne a te.
-Perché hai chiamato la polizia?- domandò Dafne sentendosi tradita
-Non ho chiamato la polizia, stanno arrivando per … insomma … e per un’altra faccenda- si prodigò Ryan in veloci e deludenti spiegazioni.
-Sei un criminale?- domandò la ragazza a bruciapelo, leggendo nell’espressione di Ryan una verità scomoda.
In quel momento Chris cominciò a chiamare Ryan dal piano di sotto.
-Senti! Se non scendo, è Chris a salire … mi avevi detto che non volevi essere vista da nessuno giusto?- Dafne annuì –Allora abbi pazienza, aspetta qui, io risolvo questa cosa e poi ci organizziamo- Ryan squadrò la ragazza –Ci siamo capiti?
-Si, ok! Ma nell’armadio non ci vado …
-Nasconditi dove ti pare, basta che non ti fai vedere da Henry
-Su questo ci puoi contare!- sorrise lei.
Cosa avrà mai da sorridere in un momento del genere? Probabilmente i miei guai le mettono allegria!
-Ryan?- gridò nuovamente Chris. Ryan lo raggiunse, trovandolo in salotto -Tuo padre è … è sul divano!- balbettò Chris fissando l’uomo disteso sul sofà.
-Stavo proprio per dirti che l’ho ritrovato!- disse Ryan affiancandosi all’amico. Chris gli rivolse uno sguardo glaciale:
-È morto?
-N … no … non proprio!
-Che vuol dire non proprio?- scoppiò Chris rivelando il suo lato isterico, trattenuto sino a quel momento -Uno ho è vivo, o è morto!
-Ti spiego dopo …- cercò di farlo ragionare Ryan, facendogli distogliere gli occhi dal padre catatonico –Tu stesso mi hai detto che stanno per arrivare due agenti. Dobbiamo nasconderlo, non vorrai che lo vedano in questo stato?!
-Chi? … nasconderlo … dove?-  disse Chris sull’orlo di una crisi di nervi
-Mio padre Chris!-  avvampò Ryan scuotendo l’amico per le spalle, nella speranza che raccogliesse un po’ di lucidità –Io lo prendo dalle spalle e tu dalle gambe. Nascondiamolo nel sottoscala.
-Dimmi solo che non sei stato tu a ridurlo in questo stato!- pretese spiegazioni Chris
-Santo cielo!- riprese fiato Ryan, buttando gli occhi al cielo –Mi vedi capace di fare una cosa del genere?
-No!- risponde Chris sincero
-Allora aiutami e dopo ne parliamo, ok?
I due ragazzi issarono l’uomo, nascondendolo nello stesso luogo da cui era sbucato.
-Cosa gli racconti alla polizia adesso?-  chiese Chris asciugandosi il sudore dalla fronte, con uno dei suoi fazzoletti perfettamente stirati.
-Ho già in mente una storia … tu entra!
-Entro dove? Qui .. con lui?- chiese sconvolto Chris indicando lo stanzino.
Qualcuno bussò al campanello della porta.
-Appena in tempo!- esclamò Ryan quasi trionfante
-Li dentro non ci entro!- fece Chris.
Perché non gli davano retta? Avrebbe tanto voluto nascondersi lui da quella confusione e non poteva, loro che ne avevano la possibilità, e non volevano sfruttarla.
-Guardati Chris!- cercò ti convincerlo Ryan –Ti si legge in faccia che c’è qualcosa che non va, non sei mai stato un bravo attore. Quindi non puoi farti vedere!
-Allora vado al piano di sopra!
-No!- gridò improvvisamente Ryan, moderandosi un secondo dopo –D … dai, non hai mai sofferto di claustrofobia!
Il campanello suonò nuovamente.
-Non claustrofobia … ma …- disse Chris squadrando l’uomo riversato sul pavimento.
-Non credo proprio sia uno zombie, sta tranquillo e concentrati su qualcos’altro- proclamò Ryan spingendolo oltre la porta, chiudendola mentre il campanello risuonava insistente per la terza volta.
 
-Salve! Come mai da queste parti?-  saluto Ryan sulla porta, i due agenti in attesa di essere accolti in casa.
-Buon giorno Ryan!- salutò Henry cortese –Ci fai entrare?
-Potrei dire di no?- rispose beffardo il ragazzo, suscitando l’antipatia del collega di Henry.
I due poliziotti vennero accolti in soggiorno, Ryan andò prontamente a sistemarsi sullo scompigliato sofà, in modo da costringere i due poliziotti a sistemarsi sulle poltrone.
Il suo timore era che sentissero il calore lasciato dal padre dormiente, se quello lo si poteva definire sonno. Con stupore però, Ryan constatò che i cuscini erano addirittura freschi.
-Allora!- iniziò Henry –Tuo padre non è in casa?
-Per un po’ non credo avrete modo di vederlo. Perché? Il caso del locale di Crow procede?- chiese il ragazzo
-Servirebbe la presenza del tuo tutore legale, se c’è da aspettare per il suo ritorno …- illustrò Henry, mentre il suo collega continuava a squadrare Ryan come fosse un caso da ispezionare.
-Dovrete munirvi di sacchi a pelo perché non ho camere per gli ospiti-  disse Ryan mostrando il suo solito atteggiamento strafottente, degno di un grande attore.
-Non siamo qui a perdere tempo ragazzino!- di infervorò il poliziotto restato in silenzio sino a quel momento –Tuo padre è in casa o no?
-Sarebbe meglio chiedere: se è ancora in questo stato al momento- disse Ryan per nulla inquietato dall’atteggiamento del poliziotto –Sapete? Non è molto contento della piega che sto prendendo, dice che sono un tipo indomabile-  narrò Ryan accavallando le gambe sul tavolino di fronte a se  -ha deciso che mi ha sopportato abbastanza in questi anni, “adesso tocca ai tuoi nonni materni”, mi ha detto prima di partire per l’Italia.-  concluse intrecciando le mani dietro la nuca.
-Credi di stare a prendere il sole?- lo sgridò il poliziotto con la solita nota di antipatia  -Sii composto e porta rispetto!
-Lei in cambio non si è neanche presentato. Agente …?- chiese Ryan riportando i piedi al pavimento
-Lioyd- rispose l’agente –Harold Lioyd.
-Bene signor James Boond- lo sfotté Ryan -Per quanto io possa essere giovane, lei è comunque il casa mia, dove io, mi sistemo come più mi pare e piace-  disse stravaccandosi maggiormente, tanto per farlo infuriare.
Tale comportamento non aveva nulla a che fare con la copertura ma, dal punto di vista di Ryan era troppo divertente far infuriare un gente dal carattere bigotto, come l’uomo che aveva di fronte.
-Arrabbiarsi con uno come te, è spreco di energia.- concluse l’agente Lioyd inforcandolo con il suo sguardo carico di accusa.
-Non perdiamo di vista il motivo per qui siamo qui- disse Henry interrompendoli -Quando tornerà tuo padre?- aggiunse rivolgendosi a Ryan.
-Bella domanda!- fece un falso sorriso Ryan -Non so neanche se ha intenzione di tornare.
Battuta in realtà veritiera!
 
Dopo una breve spiegazione sul motivo della loro visita, i due poliziotti andarono via senza salire al piano superiore, lasciando Ryan più impegnato di quanto mai avessero immaginato.
Adesso, come promesso, avrebbe dovuto dare spiegazioni sia al suo migliore amico che a quella rompiscatole che alloggiava di nascosto in casa sua.
Sapeva già che sarebbe stato difficile, perché al contrario che con la polizia, con quei due non gli era facile mentire. In questo momento più che mai non poteva evitare le menzogne, ne le omissioni, in particolar modo con Chris, al quale non sapeva ancora se dire la verità sarebbe stata la scelta più saggia.
Di Dafne si preoccupava un po’ meno, con lei la cosa più difficoltosa sarebbe stata farla stare zitta e buona, evitando i suoi attacchi verbali e non, mentre le raccontava di non avere esattamente una buona reputazione a Grain.
–ƒ—*.*.*.
Le spiegazioni arrivarono brevi tempestive e soprattutto, non convincenti secondo il parere di Chris:
-Allora, l’hai trovato in questo stato al tuo rientro in casa, ieri all’alba-  ripeté Chris –Ma non hai chiamato aiuto?!
-Perché mi ripeti quello che ti ho appena detto come un automa?- replicò Ryan, con l’intenso desiderio di restare finalmente solo.
-Te lo ripeto, per farti rendere conto dell’assurdità della tua storia- ribatte Chris fissando il piccolo tavolo rotondo della cucina -Hai persino fatto in tempo a inscenare una colazione per due.
-Cosa?- domandò confuso Ryan, guardando a sua volta il tavolo lasciato in disordine.
-Perché l’hai fatto? Nel caso dovessi giustificare la mia presenza qui?!- rifletté Chris -Quando hai avuto il tempo di imbandirlo?
-Quante domande; e che paroloni!- cercò di cambiare discorso Ryan –Ho solo fatto un mezzo pasticcio con la colazione …. Non c’è elettricità e non so come sistemare … tu lo sai fare?- domandò trascinandolo fuori dalla cucina -Puoi dare un’occhiata al contatore? Tu che sai fare tutto!
-Adesso c’è elettricità- disse Chris, distratto dal discorso precedente.
-È vero che sei un genio ma, non dovresti dare un’occhiata prima?-  rispose Ryan divertito.
-Se ha funzionato il campanello, vuol dire che è tornata l’elettricità. Genio!-  lo sfotté Chris –Dove avevi la testa?
Come poteva spiegargli che la causa della sua distrazione, e di tutti quegli in convenevoli, partivano da una strana ragazza che stava guarendo suo padre, o almeno tentava?
Qualcosa lo spinse a modificare il suo progetto di raccontargli ogni cosa. Così, anche quando fu Chris stesso, a domandargli se avesse rivisto nuovamente la zingara in tuta intrufolatasi in casa, Ryan rispose che non aveva idea dove fosse finita.
Nascondere era un peso per Ryan, più di quanto avesse immaginato. Si sentiva sporco, ingrato nei confronti del suo migliore amico che si fidava così tanto di lui, da non mettere minimamente in dubbio la sua integrità, nonostante le poche spiegazioni.

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Capitolo 4
*** Care moine ***


Ecco a voi un capitolo dolce e complicato, come sanno essere i sentimenti :)
Vostra Missdream!
*.*.*.*.*.*.*.
Capitolo 4

              Care Moine

Qual è il prezzo del tuo umore?
Cosa ha scaturito quel sorriso?
Cosa ha provocato quel broncio sul tuo viso?
Il prezzo per conoscere le tue sensazioni e farle mie?!
 
Potrei ricevere il mal lato del tuo umore.
Rischierò!
Lascerò che mi colpisca.
Questo è il prezzo per conoscere il perché, dell’espressione dipinta sul tuo viso.
Come una tela da interpretare, voglio decifrarti.
 
Non so cosa sia:
Curiosità o richiesta d’attenzione.
 
Appaio come insensato,
Nel momento in cui l’unica cosa sensata sei tu.
*.*.*.*.*.*.*.
 
Ryan e Dafne procedevano con il loro patto. Entrambi, come sempre, agivano secondo i propri interessi. Il primo continuava a offrire ospitalità alla ragazza, quest’ultima in cambio, procedeva con lo strano percorso di cura nei confronti di Arthur Omalley che nonostante le aspettative negative di Ryan, portava i suoi effetti giorno dopo giorno.
Dopo circa una settimana l’uomo aveva riacquistato la mobilità delle pupille, e una minima gestualità a mani e piedi, ma non proferiva ancora parola.
I due cominciarono a conoscersi meglio: mentre Dafne imparava a fidarsi di Ryan, nonostante le avesse detto di avere una reputazione non proprio linda, il ragazzo al contrario, cominciava ad avere sempre più sospetti nei confronti della ragazza che, diventava ogni giorno più forte. Dafne aveva preso colore, e trovato il sorriso che i primi giorni non affiorava minimamente sul suo volto.
La speranza nutrita da Ryan che col tempo la ragazza gli avrebbe dato maggiori spiegazioni, si fece vana, perché ogni giorno che passava vi era una stranezza da aggiungere al bagaglio di assurdità, di cui si stava circondando. Cominciò a pensare seriamente di essere una calamita per guai e stranezze, quest’ultima avventura però non se l’era cercata, era l’anormalità che aveva cercato lui, una strana notte di luna piena.
*.*.*.
La stranezza quel giorno riguardava un lato più tosto estetico; Dafne insisteva con Ryan nel volersi tagliare i capelli. Inutili furono le insistenze della ragazza, Ryan non aveva la minima intenzione di impugnare le forbici che la ragazza le porse. La giustificazione era semplice e reale: non ne era capace, e non intendeva abbassarsi a tanto.
La ragazza continuava a spiegare che non le interessava quale taglio sarebbe sbucato dalle sue mani inesperte, importante era renderla diversa, il meno riconoscibile possibile una volta che sarebbe arrivato il momento di fuggire.
-Stai già pensando di andar via?-  chiese Ryan restando seduto a braccia incrociate
-Prevedo una pronta guarigione per tuo padre. Ormai non manca molto!
-Ancora non riesce a parlare!
-Quella è l’ultima cosa!
Ryan si destò dal su posto, andando incontro alla ragazza intenta a terminare la sua bistecca.
-Poi che farai? Te la saprai cavare da sola, in un mondo spietato che non conosci?- chiese avvicinandosi pericolosamente
-Rispetta le distanze prego!- lo spinse indietro la ragazza -Credi che in tutto questo tempo non ci abbia pensato? Ho messo su un mio piano.
-Tagliare i capelli fa parte del piano?- domandò Ryan non accennando all’allontanamento
-Avvicinati ancora di un passo e …- minacciò Dafne alzandosi dal suo posto come una furia -… te la faccio pagare!
-E che farai?- ridacchiò il ragazzo –È vero! Ti sei messa in forze ma, non abbastanza da battermi.
-Non parlo di lotta ma di pagare!- spiegò Dafne decisa -Se ti avvicini a meno di un metro da me, dovrai pagarmi … 5$
Ryan rimase per un attimo interdetto, non del tutto sicuro di aver compreso:
-Allora se arrivo a toccarti?-  sfotté poggiandole la mano destra sulla spalla, mentre Dafne indietreggiava sino alla parete alle sue spalle.
-20$-  rispose lei di getto, cercando di mantenere ferma la voce, mentre il ragazzo azzardava un avvicinamento maggiore, senza il minimo imbarazzo.
-Se ti baciassi?- disse lui in un sussurro
-200$-  rispose Dafne prontamente, puntando sul ragazzo i sottili occhi, divenuti ora due fessure. Ryan si allontanò con uno scatto divertito:
-200$? Un tuo bacio costa davvero caro!
-Avrò bisogno di soldi quando andrò via di qui!-  rispose amara la ragazza, dimostrando il suo disprezzo nell’essere costretta in quella abitazione.
-Lo sai che molte ragazze pagherebbero per ricevere una sola carezza dalle mie mani?- disse Ryan, quasi offeso dal comportamento di lei.
-Non sono come le altre ragazze!-  concluse Dafne voltandogli le spalle, dirigendosi a passo di marcia fuori dalla stanza, lontano dalla fonte del suo malumore.
 
Come si dice? …. Chi fa da se fa per tre?!
Dafne non ci aveva messo molto a prendere la decisione più azzardata, di fronte al rifiuto d’aiuto del ragazzo, prese forbici e buona volontà, presentandosi a Ryan dopo poco tempo con un look decisamente stravagante, che fece pentire all’istante Ryan di non aver accettato di tagliarle i capelli.
La bella chioma castana una volta lunga, ora si allungava non oltre le spalle in maniera del tutto scomposta, completando il tutto con una frangia diritta, che arrivava a coprire gli occhi della ragazza quasi completamente.
-Cosa diavolo hai combinato?-  disse Ryan sbalordito quando la vide scendere dalle scale
-È colpa tua!- lo accusò Dafne puntandogli contro l’indice destro -Mi hai costretto ad agire da sola, ed ecco cosa ho combinato!
-Sei proprio una bambina-  ridacchiò Ryan di fronte alla sua smorfia  -Vieni che ti do una sistemata-  si arrese il ragazzo.
Dafne scese velocemente gli ultimi gradini  -Aspetta! Mi dai il tuo permesso, o mi ritroverò con un debito di cinque dollari?- la prese in giro Ryan.
-Ti concedo il permesso di avvicinarti- disse solenne lei  -comunque hai già un debito con me di venticinque dollari- precisò Dafne.
-Hai conteggiato anche le moine di poco fa?- Si lamentò Ryan facendola sedere di fronte a se per ispezionare il danno.
-Non toccare la frangia, è l’unica parte venuta come volevo-  fece improvvisamente Dafne, coprendosi la fronte con le mani
-Quella cosa sarebbe voluta?- disse Ryan sorpreso.
-Meno mi si vede il volto, più difficile sarà riconoscermi.
Ci teneva davvero a lasciarsi il passato alle spalle, non le interessava cosa avrebbe trovato di fronte a se azzardando ogni passo, l’importante era fuggire dalla sua vita precedente e ritrovare suo fratello.
-A mio parere dovresti essere meno originale e dare meno nell’occhio-  disse Ryan tagliuzzando qua e la, alla luce del tramonto -Conciata così, sfido io che passando per strada si volterebbero in quattro su cinque- aggiunse Ryan, mentre Dafne sbuffava spazientita –e quell’uno che non si gira è per via della sua vista scadente.
-Hai finito di sfottere?- replicò la ragazza -Non sarò bella, ma non sono un fenomeno da baraccone.
-Non intendevo questo … - si corresse Ryan, apparendo più malleabile -Sei bella! Per questo non volevo tagliarti i capelli.
Si rese conto di ciò che aveva detto solo dopo aver pronunciato il complimento, sincero ma non premeditato; per un attimo i loro sguardi si incrociarono senza rabbia o risentimento.
Dafne vide la calda luce del tramonto, penetrare dalla vetrata coperta dalla sottile tenda, illuminare il viso del ragazzo. Come se qualcuno le avesse ricordato qualcosa di immensamente importante, si voltò immediatamente verso la vetrata, fissando la sagoma della casa dove era stata rinchiusa per molto tempo.
-Non possono vederci!- disse Ryan con un tono di voce basso, che non riconobbe come suo -Se dall’interno non si accende la luce, dall’esterno non possono vedere dentro- spiegò.
-Perché all’improvviso sei gentile? Un’altra delle tue moine a doppio fine?- domandò Dafne dopo qualche secondo di esitazione.
-S … si! Un’altra moina …
*.*.*.
Quella sera Dafne pose a Ryan un’altra delle sue strane richieste; vedendo a quale conclusione aveva portato il suo primo rifiuto, Ryan decise di acconsentire questa volta.
La strana richiesta consisteva nel catturare una falena!
Dafne confessò il suo timore all’idea di uscire dall’abitazione, in particolar modo al calar del sole. Sembra pero avere l’impellente bisogno di una falena.
Il ragazzo ormai rassegnato a non far domande per non rendere le cose ancor più complicate, con le strane spiegazioni della ragazza, decise di ingoiare le sue curiosità e fare un favore tanto piccolo quanto importante per Dafne.
Non gli fu difficile catturare il piccolo animale, abituato sin da bambino alla cattura di insetti e piccoli rettili, come fosse un gioco di caccia.
Orgoglioso della sua cattura, mostrò a Dafne la falena catturata all’interno di un barattolo di vetro, chiuso con una tavoletta di legno fatta scattare per la trappola.
La ragazza osservò attentamente l’animale attraverso il vetro: era così grande che le si poteva studiare attentamente ogni particolare, delle robuste ali ai grandi occhi lucidi come bottoni, incastonati nella testa pelosa.
Mentre lei osservava il piccolo essere, Ryan scrutava l’espressione della ragazza. Dafne poggiò il barattolo su di un ripiano, prese del nastro adesivo, un foglio di carta e un paio di forbici che aveva preparato in precedenza, il tutto mentre Ryan diveniva sempre più dubbioso.
Quando la ragazza gli chiese un ago, un brivido corse lungo la sua schiena:
-Sei una collezionista di farfalle?
-Che vuol dire?- chiese lei ignorante in materia
-Catturi insetti, li sventri e li metti sotto vetro?-  spiegò Ryan con una vena di disgusto
-Fossi matta!- esclamò Dafne inorridita –Che cosa orribile! Perché si dovrebbero tenere degli insetti sotto vetro?
-Allora perché vuoi un ago? So che vengono usati per tenere rigide le ali mentre …
-Basta!- lo fermò Dafne tappandogli la bocca con il palmo della mano –Mi stai facendo venire i brividi.
-Le origini di alcune usanze di noi umani, si perdono nell’idiozia- disse Ryan con aria riverente.
L’ago serviva a bucare la carta, fissata col nastro adesivo all’imboccatura del barattolo, in modo che la falena non morisse asfissiata.
 
Dafne portò con se l’animale al piano superiore dopo aver versato all’interno del barattolo dell’acqua e zucchero, tenendo il contenitore tra le mani come un importante tesoro.
Se voleva un animaletto da compagnia poteva chiedermi un gattino! Pensò Ryan fra se e se.
 
Il padre continuava a migliorare ad ogni seduta, senza l’aiuto di alcuna medicina, per quanto Ryan poteva capirne. Dafne insisteva sempre sul volerlo lontano dai piedi quando agiva, ritenendo la sua presenza di intralcio, la ragazza non sapeva che più di una volta Ryan l’aveva spiata durante le sue presunte cure.
Si! Presunte!
Perché il ragazzo cominciava ad avere seri dubbi sull’origine dei danni subiti dal padre. Cominciava a farsi vivo il dubbio che Dafne non volesse sul serio la completa ripresa dell’uomo.
La cosa più importante era far si che Arthur riacquistasse la parola, in modo che potesse spiegare di prima persona cosa gli fosse successo; cosa indicibile secondo Dafne che, da brava maestrina più volte aveva tentato di convincere Ryan che ciò non era possibile. Il suo sbaglio era però l’incoerenza: le spiegazioni si arricchivano di chiarimenti o impoverivano ogni volta in modo differente. Quindi, secondo il parere di Ryan, la ragazza mentiva.
In fondo era una brava ragazza, Ryan lo comprendeva ma, quale migliore copertura, se non lasciare la vittima impossibilitata ad esprimere la propria testimonianza?
Stanco di dubbi e perplessità che crescevano da una decina di giorni a quella parte, Ryan prese vigore e decise di affrontare la questione di petto, raggiunse Dafne che aveva appena terminato una delle sue miracolose sedute:
-Progressi?-  chiese con un tono sarcastico che Dafne non comprese all’istante
-Lenti ma costanti- rispose lei
-Toglimi una curiosità-  puntò il ragazzo dritto al sodo  -Sei dotata di poteri magici o hai tanta di quella esperienza in materia, che non hai bisogno di alcun supporto?
-Di che stai parlando?- domandò sincera Dafne
-Mi pare di essere stato chiaro
-È un altro dei tuoi interrogatori, per capire come faccio a guarire tuo padre?- fa lei con tono acceso
-Sempre se lo stai aiutando.
Dafne non credeva alle sue orecchie:
-Stai arrivando a metterlo in dubbio? Guardalo non vedi che sta meglio!- disse indicandolo
-Come mai non ha bisogno di sostentamento?
-Te l’ho già detto- sospirò la ragazza -è sotto flebo, quelle stesse flebo che mi ordini in farmacia.
-Che non hai utilizzato!- la accusò Ryan.
Quella mattina aveva chiesto al farmacista di turno, delle lucidazioni sulle sostanze all’interno delle flebo che ordinava periodicamente. Era alquanto strano che si potessero ordinare senza alcuna richiesta del medico, e il loro prezzo non fosse poi così eccessivo.
-Lo sai bene che ne faccio uso, lo puoi verificare ogni giorno …- cercò di spiegare Dafne
-Il farmacista mi ha detto che è semplice soluzione salina, ho fatto una ricerca-  spiegò Ryan –La soluzione salina serve a reidratare il corpo, non è nutritivo. Questo non spiega come mio padre sia sopravvissuto tutto questo tempo senza ingerire cibo.
Dafne lo squadrò per qualche secondo senza proferire parola
-Sei senza parole?- disse Ryan finalmente libero di potersi sfogare -ho studiato … dopo che tu ti sei presa gioco i me.
-Non ti ho preso in giro, i patti erano che l’avrei riportato alla normalità- urlò lei improvvisamente -non ti ho detto come avrei fatto.
-Allora te lo chiedo adesso-  disse Ryan in tono di sfida; questa volta non c’era la minima voglia di scherzare -Cosa gli hai dato per tenerlo in vita?
-Prima di tutto la soluzione salina gliel’ho data sul serio-  disse affannata dall’alto tono ti voce e dall’agitazione
-Poi? Non basta …
-Come faccio a spiegarti?- si lamentò Dafne più con se stessa che col ragazzo.
Ora ne aveva la certezza, quella ragazza si stava approfittando della sua accoglienza, per allontanare il momento in qui avrebbe dovuto affrontare il mondo esterno, era un peso e un danno per lui e suo padre.
-Bene allora! Ti ci vogliono almeno dieci secondi per raggiungere la porta …- disse serio Ryan  -io te ne do due!
-Sei sempre così impulsivo?-  si lamentò Dafne.
-Tredici giorni che sei qui ad inventare frottole. Solo adesso mi decido a farti sputare la verità, e tu mi dici che sono impulsivo?
Dafne si accasciò su di una poltrona, puntellò i gomiti sulle ginocchia lasciando cadere pesantemente la fronte sui palmi delle mani:
-Ti spiegherò tutto!
-Mi dispiace ma ho bisogno di guardarti in faccia per comprendere se menti- disse Ryan in piedi di fronte a lei.
La ragazza sollevò la testa ma continuò a guardare altrove, oltre la finestra, questa volta chiusa anche dalle pesanti tede vermiglio.
-Non ti ho mentito, lo sto guarendo davvero- disse Dafne alzandosi in piedi, restare li seduta con i suoi occhi puntati addosso le dava il tormento, andò ad appoggiarsi allo schienale del divano –Non mi serve dargli alcuna medicina, non gli serve ricevere nutrimento perché è come fosse … in stallo.
-Che vuol dire?- chiese diretto Ryan affiancandosi a lei
-Che è fermo, come bloccato al momento in cui è stato aggredito
-Vuol dire che lui non si rende conto del tempo che passa?
-Ha solo bisogno solo di essere idratato
-Infatti!- disse Ryan disgustato, ricordando le cerate cambiate due volte al giorno, con tanto amore disinteressato: pensò con spirito sarcastico.
-Ti sembro il tipo di persona capace di lasciar morire un uomo?- punzecchiò Dafne
-Mi sembri il tipo di persona che ne sa più di quanto vuole ammettere!- rispose Ryan a tono, per farle comprendere che non aveva la minima intenzione di cedere.
-È vero! Ne so più di quanto ho detto- ammise la ragazza di fronte ad uno stupefatto Ryan –Ho già visto uomini reagire a questo modo dopo essere entrati a contatto con la creatura, per questo so come comportarmi con i coinvolti.
-Dove?- riuscì a chiedere Ryan a gola secca
-Nel campo in cui ho passato quasi tutta la mia vita-  rispose lei come nulla fosse  -Non servono medicine, solo le mie potenzialità.
-Solo tu sei capace di …-  Ryan non sapeva neanche come scegliere le sue parole, Dafne in compenso sapeva benissimo a cosa voleva riferirsi.
-Solo io sono capace di guarire chi capita tra le grinfie di quell’essere-  disse con un’espressione truce in volto 
-Per questo tuo zio ha preso con se entrambe!- chiese Ryan meditabondo –Siete collegate … ma sei tu l’erede, perché non ha lasciato indietro il mostro?
Dafne rabbrividiva ogni volta che Ryan nominava lo strano essere dai capelli fluttuanti:
-L’hai detto tu-  rispose abbassando lo sguardo –siamo collegate.
-Non riesco a capire … dici di voler fuggire ma se non puoi stare lontana da quel mostro, da cosa stai fuggendo?
-Da mio zio!-  rispose Dafne alzando la voce  -Mi pareva ovvio!
Ryan la fissò non più preoccupato di non far notare la sua attenzione. Sapeva quanto fosse rischioso sfoderare la sua gentilezza con dei complimenti, eppure lo fece ugualmente:
-Sei in grado di fare cose … che nessuno sa fare …
-Stai per chiedermi perché non mi sono ribellata a mio zio con più vigore?-  disse Dafne interrompendolo  -Li dentro mi sentivo costantemente intontita, sin quando ho scoperto che mi stordivano con delle erbe … una roba che hanno piantata in casa.
-Per questo quando sei arrivata eri così debole?
-Diciamo che non avevo una ricca alimentazione- rispose lei. Mentre Ryan cominciava a vedere la situazione in modo più chiaro.
-Ho visto che hai dei lividi …-  le disse deglutendo. Dafne rispose stringendosi nelle spalle, come a voler sprofondare nei vestiti da lui prestati.
Ryan ricordò in quel momento le notti in cui vide la creatura dalla sua finestra: Dominique la prese di soppiatto per i capelli, e la trascinò con se senza la minima difficoltà, le abitudini dell’uomo non dovevano essere delle più tenere neanche con lei.
Una forma di rabbia, sino a quel momento sconosciuta lo pervase.
-Quell’uomo è davvero così forte, da tener testa ad un mostro?-  domandò senza nascondere la rabbia. Dafne rabbrividì nuovamente, rispondendo con un fil di voce:
-È  immune al potere di quell’essere, che tu hai visto dalla finestra.
-Che vuol dire immune?
-Si è conquistato la sua fiducia- spiegò Dafne.
-Basta che ci si fidi una volta … e si è immuni per sempre?-  disse Ryan indignato  -Anche dopo aver scoperto che imbrogliava?
-Pultroppo si- rispose Dafne.
Ryan poté vedere un leggero bagliore comparire nei suoi occhi, anche se nessuna lacrima cadde. La ragazza cercava sempre di apparire forte, con maggior vigore nelle situazioni difficili, anche per questo Ryan apprezzò la sua determinazione, gli si avvicinò mentre erano ancora poggiati allo schienale del sofà:
-Hanno usato il doppio gioco con te fin dall’inizio, perché sapevano di avere a che fare con qualcuno al di sopra delle loro possibilità-  la consolò, tranquillizzandosi lui stesso.
-Come puoi dirlo?
-Perché i grandi riconoscono i grandi!-  disse Ryan poggiando la mano sulla sua.
-E tu saresti … come si dice? Uno forte!-  sorrise Dafne, voltandosi per guardarlo, trovandosi ad un palmo dal suo viso.
-Ovvio!-  sorrise Ryan a sua volta
-Hai una strategia o sei solo fatalista?
Era bello prendersi in giro, scherzare, vederla sorridere per Ryan era fonte di felicità, anche se non sapeva spiegarsi il perché.
-Fatale come il tuo amico mostro!-  disse ridente Ryan. Improvvisamente irrigidita, Dafne si scostò da lui:
-Venti dollari- disse a voce sorprendentemente ferma
-Cosa?
-Mi hai toccato senza permesso … venti dollari!
-Oh!- esclamò il ragazzo lasciandola andare
-Posso restare adesso, o mi manderai via in due secondi?- domandò lei senza rompere il contatto visivo.
Come poteva mandarla via dopo quello che le aveva detto?
-Puoi restare!- rispose con tono rasserenante, permettendo a Dafne di comprendere che la rabbia del ragazzo, era volata via con gran parte dei suoi dubbi.
*.*.*.
La fiducia era un’arma a doppio taglio, a causa di essa Dafne si era ritrovata intrappolata con una strana creatura, sotto le grinfie di suo zio e, sempre grazie ad essa, aveva trovato un confidente in Ryan, nonostante l’avesse sgridata ripetutamente, accusata e presa in giro, Dafne si fidava di lui a tal punto di confessargli cose mai rivelate ad alcuno. 
Infondo, per quanto una persona possa ricevere delusioni, in un modo o nell’altro trova la maniera di guarire dalla sfiducia.
Ryan ci rideva su nel buio del suo salotto, in compagnia del padre paralizzato su di un divano maltrattato.
Quella ragazza lo aveva scelto, o più semplicemente era l’abitazione più vicina in cui rifugiarsi?
Fato o caso?
Sospirando Ryan si rese conto che probabilmente non avrebbe preso sonno quella notte. Si accostò alla grande finestra del salotto, sbirciò oltre la tenda scostandola appena.
Fissava la casa del mistero, mentre il pendolo all’ingresso gli indicava la mezza notte, con i suoi stonati rintocchi.
Aveva quasi dimenticato che fosse il suo compleanno, quel sei giugno compiva gli agognati diciotto anni che lo avrebbero reso indipendente. Ora non giudicava più tale traguardo così importante, non sarebbe certo cambiato dall’oggi al domani.
L’indipendenza cos’era?
Riusciva solo a figurarsi i lati negativi dell’indipendenza, ora che sapeva cosa volesse dire badare a se stessi.
Unico lato positivo che riusciva a vedere al momento, era l’indipendenza giuridica. Ora non avrebbe più dovuto giustificare l’assenza del padre; per legge avrebbe anche potuto vivere da solo, ed occuparsi delle sue questioni penali senza richiedere la presenza di un tutore legale.
Un fragoroso sbadiglio gli suggerì di recarsi in camera sua per un sonnellino. Passando dinanzi alla porta del bagno chiusa, ripensò a Dafne e al suo strano modo di dormire, scegliendo una vasca da bagno al posto di un comodo letto. Forse era vero che dormiva li dentro perché unica stanza dotata di chiave.
Meno male che si fida di me?!
 
Evidentemente era destino che quella notte non dovesse prendere sonno, perché venne svegliato da tonfi sordi ripetuti sempre più veloci e vicini.
-Che diavolo …?- si destò dando un’occhiata alla sveglia, non era passata neanche un’ora da quando era andato a dormire. Mentre a tentoni cercava l’interruttore del lume sul comodino, qualcuno aprì la sua porta con uno strattone violento, e accese la luce prima che potesse fare un’altra mossa.
-Delinquente! Fai pure finta di dormire?- gridò l’uomo sulla porta
-Co … cosa sta succedendo?
-Non mi prendi impreparato! Ho scoperto che esci di nascosto di notte ma, questa volta sono stato più furbo di te …
-Aspetta!- incalzò Ryan andando di fronte al padre infervorato –Stai bene? Ti sei ripreso!-  continuava osservandolo dalla testa ai piedi con attenzione.
-Cerchi di cambiare discorso?- disse l’uomo con tono acido
-Non ti ricordi niente?
-Certo che mi ricordo!- disse l’uomo –Mi ricordo di aver avuto il dubbio che tu fuggissi … me lo ha accertato Dominique Brown. Così ho messo un registratore sotto …
-Sotto il cuscino, e sei sceso al piano di sotto ad aspettare che rientrassi?- concluse Ryan per lui.
-No! Che senso avrebbe il registratore allora?- disse il padre –Ho messo su il nastro per farti credere che fossi addormentato nel mio letto, ti ho aperto i chiavistelli della porta e sono sceso al piano di sotto, volevo beccarti mentre uscivi … ma … ho preso sonno.
-Ho smontato la porta per nulla e mentre uscivo eri addormentato sul divano?- disse Ryan come folgorato, finalmente cominciava a comprendere.
-Hai smontato la porta?- disse l’uomo, sempre più arrabbiato.
-Papà!- lo prese Ryan per le spalle –Hai dormito per due settimane.
-Che … che stai dicendo?
-Aspettami qui!
Ryan corse fuori dalla sua camera, lasciando il padre da solo e confuso.
La porta del bagno si aprì senza problemi, non era chiusa a chiave dall’interno e nella vasca non vi era nessuno.
Ryan percorse il corridoio, sbirciò nella camera di suo padre:
-Vuoi vedere che proprio sta sera …- accese la luce che, gli permise di osservare la bella fanciulla che dormiva pacifica nel letto a due piazze del padre.
La cercava per svegliarla e dargli la buona notizia ma, sarebbe stato volentieri li osservarla, per una volta la vide serena, non più rannicchiata nel sonno com’era abituato a vederla.
-Eccola, l’hai trovata l’altra fonte della mia rovina!- irruppe nella stanza Arthur Omalley, brandendo le braccia come fossero armi puntate.
-Papà! Che stai dicendo? Lei ti ha aiutato a riprenderti- cercò di calmarlo Ryan ancora con il sorriso sulle labbra per la sorpresa.
Dafne si era svegliata e con gesto istintivo si era tirata il lenzuolo sin sopra il naso, come potesse proteggerla:
-Impudente- continuò l’uomo –Osi persino infilarti nel mio letto?!
-Papà …- cercò di tranquillizzarlo Ryan, non aspettandosi l’improvviso spintone che lo fece finire contro il comodino, facendogli battere la schiena; vide di sfuggita il padre trascinare Dafne fuori dalla stanza.
Ryan si sollevò a fatica reggendosi la schiena dolorante, si precipitò al piano inferiore dove Dafne cercava di divincolarsi dalla presa dell’uomo che, continuava ad imprecare contro di lei.
Il ragazzo recuperò il vaso di antica fattura dalla mensola dell’ingresso, e lo gettò sulla testa del padre con forza.
L’uomo cadde inerme sulla ragazza, che  velocemente sgusciò via.
-Va via!- le gridò Ryan -Io ti ho tenuto nascosta ma lui non accetterebbe mai una cosa del genere, se pensa che l’hai colpito tu.
-Ryan non …-  si soffermò Dafne spaventata.
L’uomo lentamente cercava di rialzarsi:
-Cosa hai fatto tu?- brontolò verso il figlio reggendosi la testa.
Ryan prese la mazza da baseball li vicino, la stessa che il padre tentò di utilizzare la notte in cui fu aggredito. Adesso era lui quello che attaccava, non poteva crederci, minacciava di colpire nuovamente suo padre per proteggere un’estranea.
-Ryan metti giù quella mazza!- implorò Dafne, dalla parte opposta del largo ingresso
-Perché lo difendi? Ti ha aggredito!
Perché meritava di essere difeso? Più ci pensava, più la rabbia sormontava. L’uomo che aveva dinanzi meritava di essere punito, non solo per quello che aveva fatto a Dafne, ma anche per quello che aveva fatto a lui; tutti i soprusi, le restrizioni insensate, non gli aveva permesso di piangere l’assenza della madre, ne di replicare. Perché poi? Solo perché era impazzita?
Si! Era una pazza, e dunque? Era pur sempre una madre, gli voleva bene.
Ricordava chiaramente il giorno in cui fu portata via, per ordine di suo padre. La trascinarono via dal suo letto, giù per le scale. Lui non fece niente per fermarli, tratteneva suo figlio e basta, impedendogli di seguire i richiami della madre che implorava perdono per le sue mancanze senza colpe. Grida che furono semplicemente ignorate dall’uomo che l’aveva sposata.
-Ryan!- qualcuno gridò. Un grido che arrivò come da un luogo lontano, eppure proveniva da una ragazza ad un metro da lui. Un uomo disteso in terra che cercava di rialzarsi a separarli –Ryan tuo padre ha ragione ad essere arrabbiato. Io l’ho aggredito- Dafne piangeva. Ryan non l’aveva mai vista piangere sino a quel momento, era una ragazza forte ma cadeva adesso.
-Cosa? Il mostro …
-Sono io il mostro Ryan-  ammise Dafne tra le lacrime –siamo più che mai collegate perché siamo la stessa persona.
L’uomo con un grugnito si afflosciò al pavimento perdendo i sensi; Ryan lo invidiò profondamente.
*.*.*.*.*.*.*.
 

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Capitolo 5
*** Tracce di me nel predente ***


 
 Ecco a voi un nuovo capitolo, postato con un paio di giorni di anticipo, per festeggiare un mio personale mesiversario. Oggi il mio racconto compie un mese da quando ho cominciato a pubblicarlo su questo sito, che mi da la meravigliosa possibilità di mostrare un piccolo lato di me stessa, attraverso la mia storia.
Buona lettura :)
Vostra Missdream!
*.*.*.*.*.*.*.
Capitolo 5
                        Tracce di Me
                                      nel presente
 

 
Il dubbio rende il Cuore stanco,
il suo battito procede per forza di cose,
si lascia trascinare dal flusso sanguigno che continua a girare
mentre il cuore sta li, ad osservare il panorama attraverso i miei occhi,
che gli mostrano la mia realtà delle cose.
Probabilmente differente da quella che vedrebbe qualcun altro,
ognuno di noi vede con i propri occhi
con il proprio cuore
e la propria mente.
Dar retta a tutte e tre è impresa ardua.
 
Senza scegliere credo di aver dato la mia vista al cuore,
che impunemente ha scelto per me
rendendomi  schiavo dei miei sentimenti,
ha scelto la via delle risposte alle mie domande,
dove non le ha trovate
vi ha piazzato le mie convinzioni.
 
Tornare indietro adesso è troppo difficile,
adesso che ho conosciuto la pace, data dall’illusione.
 
*.*.*.*.*.*.*.
                                                                                                                                       6 ˞ۥ Giugno ˞ 1997
La tv non forniva nulla di interessante, quantomeno nulla che potesse a distrarre Ryan dai suoi pensieri.
Come previsto quella notte non chiuse occhio.
Arthur, dopo essere rinvenuto, si sistemò sul divano lamentando un forte mal di testa. Ryan si ritenne fortunato, non era nelle condizioni di affrontare una conversazione col padre, voleva semplicemente starsene da solo, cercando di non pensare a ciò che era accaduto; avrebbe tanto voluto fregarsene di tutto come faceva una volta, ma cominciava a credere di non esserne più capace.
Sbuffando spense il televisore. Sin quando non avrebbe affrontato Dafne non poteva aspettarsi un momento di pace; dopo essere venuto a conoscenza dell’ennesima verità, la più scottante, l’aveva vista dirigersi al piano superiore in lacrime, non l’aveva seguita, impegnato nel far rinvenire il padre.
 
Al mattino, salì a falcate la rampa di scale, cercò in tutte le camere ma di Dafne non vi era alcuna traccia. Il davanzale dove aveva posizionato il barattolo con la sua falena, era vuoto, al suo posto un biglietto che recitava:
Mi dispiace di aver causato tutto questo trambusto.
Ora Arthur è guarito, il nostro patto è venuto a termine;
Ho risolto ciò che io stessa avevo guastato.
Cerca di capirmi, quando ti dico che ero costretta a tenerti nascosta la verità.
Grazie per la tua accoglienza e pazienza.
Io prenderò la mia strada, sperando che la tua sia più facile d’ora in poi.
Dimentica ciò che è accaduto.
Dafne
 
Incredulo Ryan rilesse il messaggio più volte.
Sen’era andata …
Ryan riportò alla mente le ultime parole rivoltale, incentrate sull’andare via. Sicuramente la ragazza non aveva compreso, lui non intendeva cacciarla via  dall’abitazione ma, allontanarsi da Arthur prima che si infuriasse nuovamente.
Forse, adesso che la verità sull’accaduto era venuta a galla, Dafne non se la sentiva più di continuare quella convivenza forzata, in fondo non vedeva l’ora di andarsene.
Codarda!
Aveva osato scappare prima di chiarire per non doverlo affrontare!
Ryan scese in giardino a prendere un po’ d’aria, diede un’occhiata alla villetta dei Brown. Era solo grazie a lui se non era ricaduta nelle grinfie di suo zio. Probabilmente la stava ancora cercando …
Con gesto di pura rabbia Ryan gettò il biglietto appallottolato nella pattumiera, come Dafne scriveva nel suo messaggio: avrebbe preso la sua strada, dimenticandosi di lei.
Ogni avvenimento porta del bene per il proprio bagaglio di esperienze … di questa esperienza però, lui avrebbe ben fatto a meno.
*.*.*.
Facendo rientro in casa, Ryan scoprì che i guai non erano ancora terminati, gli bastò uno sguardo al padre disteso sul divano per comprenderlo.
L’uomo, con gli occhi sbarrati nel vuoto come nei giorni precedenti, non dava segni di miglioramento. Come se il nuovo giorno l’avesse riportato al vecchio stato. I tentativi di destarlo furono vani, a mala pena muoveva la testa nella direzione di Ryan, che poteva sentire una leggerissima pressione delle dita del padre, poggiata sulla sua mano. Tutta la forza mostrata la notte precedente era andata via con Dafne, mostrandosi come il pomeriggio precedente.
Ryan prese la decisione matura, che avrebbe dovuto prendere giorni prima: chiamare i rinforzi.
Ora che Dafne era andata via, non aveva più senso mantenere segreti di tale portata.
Delineò un piano per non ritrovarsi nei guai con la polizia e non destare sospetti, ci pensò su nei pochi minuti in cui attese l’arrivo dell’ambulanza.
Raccontò dell’improvviso rientro del padre quella notte dopo il viaggio in Italia, di averlo lasciato che dormiva in salotto, ritrovato quel mattino nelle condizioni in cui versava.
 
Passarono delle ore, in cui Ryan attese nella sala d’aspetto senza noia, aveva molto a cui pensare. Ogni tanto sbucava un dottore che lo teneva informato sul procedere delle visite: i risultati non apparivano stabili, facendo letteralmente impazzire i dottori che non comprendevano le motivazioni di quello stato catatonico. Alla fine della giornata comunicarono che molto probabilmente si trattava di un ictus, giustificando il bernoccolo dietro la nuca come causa di una caduta dopo aver perso i sensi.
La particolare situazione dell’uomo aveva attirato l’attenzione della polizia, che fece non poche domande al ragazzo, la sua storia apparve sin troppo plausibile, tanto che Ryan si sorprese di quanto fosse facile, cancellare il passaggio della misteriosa ragazza alla quale aveva offerto protezione e ospitalità. Nessuno l’aveva vista ne le aveva parlato tranne lui.
Dopo una visita al padre, Ryan cominciò ad afferrare un importante lato della situazione non calcolato sino a quel momento, non aveva pagato somme aggiuntive al ricovero, tuttavia i medici di loro volontà, decisero di mettere il padre in una stanza privata. La polizia faceva il proprio dovere, in particolar modo per un ex agente, ma le voci corrono sempre veloci agli orecchi di chi sta all’erta, il passo dalla polizia alle forze speciali di cui parlava Dafne, non doveva essere difficile; avrebbero potuto fare un paragone tra i sintomi di suo padre e le aggressioni avvenute alla base, dove Dafne passò gran parte della sua infanzia. Ryan avrebbe potuto ritrovarsi nel mezzo di un caso giudiziario, ben diverso da quello di una sciocca scazzottata in un pub.
Nel recarsi a casa in autobus, il ragazzo continuava a rimuginare. Se se ne fosse mostrata l’occasione, avrebbe dovuto parlare di Dafne o avrebbe fatto meglio a mantenere il suo stato di ignoranza apparente dei fatti, continuando a negare?
Se avesse deciso di mantenere il segreto, non l’avrebbe certo fatto per favoreggiare la ragazza, alla quale Ryan dedicava in quel momento tutto il suo disappunto; l’avrebbe fatto per lui, per non apparire un pazzo … nella sua mente balenarono i ricordi della notte precedente: Dafne che lo implorava di fermarsi, mentre lui fuori di se brandiva una mazza, pronto a colpire suo padre con tutta la rabbia repressa negli anni.
Il ragazzo rabbrividì, alzò lo sguardo, a passo meditabondo e abitudinario aveva già raggiunto il vialetto di casa. Come risvegliato dal torpore dei pensieri indesiderati, attraversò la soglia di casa chiudendosi la porta alle spalle con foga, quasi a voler cacciare fuori l’intero mondo. Desiderava restare solo, doveva mettere pace ai suoi dubbi, prima che qualcun altro glieli leggesse in volto; la storia raccontata ai dottori e alla polizia aveva funzionato, ci avevano abboccato … troppo facilmente, il tutto era davvero stato troppo semplice. L’invenzione appariva in modo ridicolo, persino più veritiera della realtà stessa.
Forse sono davvero impazzito!
Continuava a ripetere Ryan a se stesso; questo era il dubbio principe che doveva cancellare assolutamente. Adesso non per la polizia, ne per nessun altro, solo per lui doveva cercare delle tracce che testimoniassero la presenza di Dafne, qualcosa per dimostrare a se stesso che l’accaduto non fosse solo frutto della sua fantasia.
Cercò indizi ovunque il suo istinto lo portasse.
I vestiti che indossava Dafne erano di sua madre. Il ragazzo li trovò riposti ordinatamente nell’armadio impolverato; poteva averli rimessi apposto! La tuta che indossava quando la sorprese in casa, era appesa ad uno sbrindellato attaccapanni nell’armadio sottoscala, che Ryan si soffermò ad osservare.
Se solo gli oggetti potessero parlare!
Nella targhetta interna alla tuta sgualcita, vi erano delle iniziali scritte a penna: A. O. stavano per: Arthur Omalley.
Ryan non la ricordò subito, ma quella era una vecchia tuta usata dal padre per lavorare in giardino. La riduceva ogni volta in maniera pietosa, tanto che per pigrizia, la mandava a lavare in lavanderia, per questo vi segnò le iniziali. Dafne dunque l’aveva sottratta dallo stanzino quando vi spinse suo padre.
Ovvio! Doveva togliersi quella camicia da notte troppo grande, altrimenti lui avrebbe subito capito che lei e la creatura, erano la stessa persona.
Le aveva anche lasciato un biglietto a testimoniare il suo passaggio … ma lo aveva gettato via!
Ryan corse fuori, il camioncino del ritiro spazzatura però era già passato per quell’isolato. Si maledisse, l’unica prova tangibile era a sua portata di mano e l’aveva gettata via.
Avrebbe potuto far vedere il biglietto a Chris … Chris aveva visto il padre il primo giorno in cui arrivò Dafne, parlando con lui sicuramente avrebbe fatto un po’ di chiarezza, sapendo già che si sarebbe dovuto scusare, per non averlo messo al corrente degli avvenimenti di quella mattina.
Inforcò la bicicletta quando il sole stava già tramontando, corse il più velocemente possibile verso la casa famiglia, dove alloggiava il suo migliore amico.
 
Miss Order, la direttrice della casa famiglia, non aveva mai visto di buon occhio Ryan, del resto come la maggior parte della gente sopra i trent’anni a Grain. Quindi non si sforzò di chiudere un occhio, permettendo al ragazzo di vedere Chris nonostante fossero passate le diciannove.
-Dieci minuti!- replicava il ragazzo –Sono le diciannove e dieci. Uno sgarro di dieci minuti si può pure concedere …
-Le regole sono regole- disse la donna da sopra i suoi occhiali spessi dalla chiara montatura –Si possono ricevere visite solo fino alle diciannove. I ragazzi stanno cenando … anche tu dovresti essere a casa.
-Come le galline!- borbottò Ryan a bassa voce
-Scusami?
-Niente- rispose Ryan prontamente –Io non posso entrare ma, Chris può uscire.
-Lo stai domandando ho imponendo?- chiese la donna sull’attenti, facendo sobbalzare il chignon troppo alto
-Potrei mai azzardarmi di imporre a voi?- canzonò Ryan con tono quasi strafottente –È una questione …
-Di vita o di morte?- completò la donna –Per te sono sempre questioni di massima urgenza.
- … se lo fosse mi farebbe oltrepassare la porta?- disse Ryan, in un paio di battiti di ciglia da cucciolo
-Motivazione?- chiese lei, come stesse chiedendo un beige d’ingresso
-Mio padre è finito in ospedale a causa di un sospetto ictus- disse Ryan tutto d’un fiato.
Due secondi dopo, Ryan si ritrovò la larga porta a  zanzariera, chiusa quasi sul naso.
-Potevi inventartene una migliore!- replicò la donna con la maniglia alla mano, pronta a chiudere il portoncino.
-È la verità …- continuò Ryan. Perché le menzogne risultavano più veritiere della realtà? –… come è vero, che se mi fa entrare potrei offrirmi di lavare Duca- aggiunse il ragazzo –Gratis!
Duca era il grande e agitatissimo labrador, che l’edificio aveva adottato per volere dei ragazzi, tutti poco per volta se ne prendevano cura ma, convincere il cagnone a far lavare il suo bel pelo chiaro con sfumature caramello, la si poteva considerare un’impresa. Andava in giro così sporco, che nessuno aveva più voglia di coccolarlo, persino all’auto lavaggio non lo accettavano più, dopo che con un morso incrinò uno spazzolone rotante, confondendolo per uno dei suoi giochi di pezza.
-Voglio la sicurezza che lo farai sul serio!- disse la direttrice attraverso la zanzariera
-Sarò un teppista … ma un teppista di parola- disse Ryan sostenendo lo sguardo della donna che, rimase li per qualche secondo impassibile –non si fida di me?- domandò Ryan non ricevendo risposte –Devo firmare qualcosa?- ridacchiò, più per l’espressione della donna che sembrava volergli leggere nella mente.
Miss Order riaprì la zanzariera, restaurando un rapporto civile:
-Se non lo farai, potrei essere poco accondiscendente nei tuoi confronti in tribunale- disse a bassa voce.
Tribunale?
-Di che sta parlando?- chiese Ryan sinceramente sorpreso
-Faccio parte del comitato difesa dei minori fornito dallo stato. Scommetto che non lo sapevi ma, sono laureata in legge e quando posso, do una mano- spiegò la donna, mantenendo un tono basso
-Sa del casino al pub?
-Chi non lo sa?!- rise la donna
-Allora perché bisbiglia?-  disse Ryan bisbigliando a sua volta –Perché non dovrebbe farmi tali proposte? Nessuno ha ancora parlato di tribunali- fece notare Ryan, pienamente consapevole della pecca della donna.
Miss Order si raddrizzò nuovamente, riacquistando un tono di voce più consono:
-Allora tornatene a casa!
-Accetto!- aggiunse velocemente Ryan
-Domattina alle sette in punto
-Cosa?
-Il cane!
Ma che hanno queste donne da essere così convincenti? Se solo fosse un uomo l’avrei già mandata a quel paese da un pezzo!
-Va bene … ma dovrà permettermi di vedere Chris, ogni volta che verrò per badare a Duca- contrattò Ryan una volta entrato nell’istituto.
-Solo se entro le diciannove!- acconsentì la donna –Solo!- aggiunse fermandosi dinanzi alla porta del soggiorno  –E dico: solo se non farai alcun danno!
-Quale danno vuole che faccia con questo viso d’angelo?- disse Ryan accompagnando la battuta, con la sua solita smorfia insolente.
-Sai già dove andare!- rispose rigida la donna girando sui tacchi con gesto meccanico, lasciandolo da solo.
*.*.*.
Con non poca fatica, Ryan racconto a Chris cosa fosse successo nell’ultima decina di giorni nella sua casa, questa volta senza censure.
Chris restò ad ascoltarlo, interrompendolo solo nei momenti che secondo lui, raggiungevano un livello di assurdità troppo elevato.
Ryan si aspettava da parte di Chris: stupore, curiosità persino rabbia, ma non si aspettava quel fastidioso atteggiamento circospetto, che l’amico non destava di mostrare. Quando gli chiese se gli credeva, ricevette la più enigmatica delle risposte:
-Credo tu sia convinto del tuo punto di vista, anche se non potrebbe rivelarsi la verità.
Ryan restò a fissarlo, come prima Miss Order fissava lui: senza azzardarsi a rispondere per non sfornare sproloqui.
-Sei venuto qui per avere un mio parere o no?- chiese Chris per scuotere l’amico seduto accanto a se –Quell’albero laggiù reagisce più di te!
-Cosa vorresti dire con quella frase da strizzacervelli?- si infervorò Ryan, restando al suo posto –Non sono venuto per chiedere consiglio ma per un appoggio!
-Allora, dovrei solo dirti che hai ragione e che non ti sei inventato un’amica immaginaria. Dovrei dirti che quella ragazza esiste.
-Emm … s …si!- rispose Ryan con una smorfia di concentrazione
-Magari vuoi pure sapere dov’è adesso-  disse Chris serafico
-Perché dovrei? Visto che ha preso la sua strada-  rispose Ryan, con sguardo truce rivolto alle foglie svolazzanti ai loro piedi.
-Non ci sono sue tracce
-Non è così …
-Certo!- disse Chris –Ha rimesso a posto i vestiti, compresa la tuta di lavoro; il biglietto è andato perduto; nessuno l’ha vista ne sentita- continuava sarcastico -neanche io, che l’ho cercata al piano di sopra quando venni da te … mi hai detto che era nella vasca da bagno. Io avevo controllato in bagno cosa credi? E non c’era nessuno. Tuo padre l’ha trascinata al piano di sotto? Tuo padre è zoppo! Come avrebbe potuto strascinarla per e scale? Poi non ti sembra troppo simile alla storia di tua madre: trascinata via dalla sua camera …-  spiegò Chris, pur consapevole di pugnalare Ryan con quelle parole, se solo avesse accettato il fatto, che quella ragazza era una sua invenzione.
-Davvero credi che me la sia inventata?- chiese calmo Ryan, ripensando a tutti quei tasselli della storia che non aveva considerato.
-Una bella ma selvaggia ragazza, che non bada alle apparenze e si fida di te. Mette ko tuo padre, e ti permette di riflettere su chi vuoi essere veramente …-  narra Chris - … Hai ricominciato a fumare canne? Quello che descrivi è il tuo grillo parlante!
-Cosa vuol dire che è il mio grillo parlante?-  chiese Ryan indispettito dal comportamento dell’amico.
-La tua coscienza o se preferisci: alter ego.
Ryan aveva gli occhi puntati su Chris e lo sguardo che andava ben oltre. Voleva ribattere con tutta la sua decisione, l’impegno però non valeva la candela, perché l’amico non era affatto disposto a screditarsi; era andato li con una situazione da spiegargli e lui gli aveva smontato su due piedi le sue considerazioni, facendolo sentire un incompreso, essere li non era più di alcuna utilità.
Ryan decise che era meglio andare via. Si destò senza rivolgere attenzione a Chris, che continuava con diverse parole a spiegargli il motivo della sua ragione. Quel dargli torto martellava nella mente di Ryan che si sforzò nel non rispondere, conoscendosi sapeva già che non sarebbe finita bene, Chris sapeva essere un gran rompiscatole quando ci si metteva, se solo si fosse trattato di un’altra persona, e non del suo migliore amico di sempre, gliele avrebbe date di santa ragione.
*.*.*.
Il ragazzo si diresse nuovamente a casa, la strada era maledettamente silenziosa, in quel noioso paese dove non succedeva mai nulla di eclatante, lui e le sue gesta risalavano maggiormente. Forse sarebbe dovuto nascere in una grande e caotica città, dove la gente è così affannata nelle proprie faccende che non si ferma a cercare il pelo nell’uovo.
Ormai la voglia di fare qualunque cosa era svanita, Ryan era così: o tutto o niente! Dopo un periodo di piena attività e novità, adesso il vuoto, nel quale si trovava benissimo al momento. 
Voleva mollare quel filo di nylon e bugie che aveva tessuto, una volta spezzato però dove sarebbe atterrato? A quale conclusione sarebbe arrivato? Sino a quel momento non aveva avuto bisogno di aggrapparsi a nessuno, gli bastava se stesso, adesso aveva la sensazione di perdere anche quella convinzione.
Il suo desiderio era sempre stato di non prendere esempio dall’odiato padre, persino nelle movenze che si sforzava a modificare pur di non somigliargli, non era quello il problema che si sarebbe dovuto porre; se non somigliava a suo padre, a chi altro poteva assomigliare se non a sua madre?
Anche lei come Dafne, era stata trascinata fuori dal suo letto, giù per le scale per non fare più ritorno.
In quei momenti Ryan avrebbe voluto condividere con lei quel che provava, per compagnia, per constatare quanto fossero simili, ed in quali lati. L’avrebbe aiutato nel capire come comportarsi e agire in determinate situazioni, una guida che non imponga ma ammaestri per la vita.
I’interessamento a qualcosa di estraneo lo aveva portato a questo punto. Quando agiva senza pensare alle conseguenze la vita era più facile, la mente più leggera; tornare indietro però non era facile, decisamente non sarebbe stato un atteggiamento maturo.
Magari se si sarebbe lasciato andare solo per un po’, avrebbe trovato la forza di affrontare le avversità del presente.
Ora come ora non poteva farci niente per migliorare le cose, non sapeva neanche da dove cominciare … per questo decise di fermarsi, un periodo di pausa da tutto e tutti era l’idea più allettante che gli venne in mente. In fondo è come in un vecchio proverbio: “Se c’è rimedio, perché t'incazzi? E se non c'è rimedio che t'incazzi a fare?"
Confucio era un grande saggio, afferrerò il suo consiglio! Pensò Ryan tra se e se.
 
Così fu che Ryan chiuse fuori i problemi, prendendosi una vacanza da tutto. Usciva solo per rifocillarsi, ogni tanto si recava in ospedale, dove il padre continuava la sua degenza nella sua stabilità clinica. Non andava per locali, anche se avrebbe potuto, ed in quei giorni si diresse alla casa famiglia solo per tener fede alla sua promessa di lavatore canino.
Il problema si fece più sentito quando non si mosse di casa, persino il giorno in cui avrebbe dovuto presentarsi all’udienza, che lo vedeva accusato di istigazione e danneggiamento di luogo privato, ai danni del pub di Paul Crow che non intendeva abbattere la denuncia.
L’aver ignorato il caso giudiziario di cui era protagonista non era cosa da poco, persino il capo della polizia George Care si mobilitò per un rinvio e, dare a Ryan un’altra possibilità, non prima di una risonante predica al ragazzo, che continuava a disinteressarsi altamente riguardo la vicenda. Inutili erano le insistenze dell’uomo, persino premere su quel futuro compromesso a causa della sue sbandate, che rischiavano di macchiargli la fedina penale.
*.*.*.
Una lenta settimana d’estate passava, ricordando a Ryan che il suo secondo appuntamento con Duca si avvicinava. Poco mancava e Miss Order avrebbe segnato i suoi orari di inizio e fine lavoro come un dipendente. Se ci metteva troppo poco passava ad ispezionare il cane cercando un difetto, nonostante fosse ben visibile dall’aspetto di Ryan quanto fosse stato ravvicinato il suo incontro col dispettoso cane, persino la pompa da giardino risentiva dell’attacco dell’animale, bucherellata qua e la, a causa dei morsi eseguiti per gioco ma, che causavano comunque danno.
Ultimamente metteva impegno solo in quel lavoro non retribuito, cercando di non pensare al perché si trovava in quella situazione. Aveva accettato tale impegno, in cambio di qualcosa che non sfruttava: incontrare Chris. Infatti dal loro ultimo incontro i due non avevano più parlato. Ryan era troppo orgoglioso per rivolgergli la parola, persino quando incrociava il suo cammino nell’ampio giardino della casa famiglia, i loro sguardi si toccavano ma non si scambiavano una parola, al massimo un cenno di saluto. Chris pensava che il tempo guarisse ogni cosa, attendeva un passo indietro dell’amico, nella speranza che dimenticasse quella fantomatica ragazza di cui parlava. Se non gli era stato d’aiuto parlandogli, sperava di esserlo facendo l’indifferente, lasciandolo ai propri pensieri, pur sapendo quanto fosse difficile osservarlo nel giardino della sua casa, intento nell’inseguire Duca senza poterlo raggiungere.
 
I giorni di lavoro pattuiti volgevano al termine, anche se la direttrice della casa famiglia non fece sapere nulla a Ryan, esso lo sapeva benissimo, per questo si diresse nel suo ufficio. Non intendeva essere sfruttato maggiormente, anche se quel piccolo lavoro part-time in realtà era un svago per lui.
Dopo aver bussato ripetutamente senza ricevere risposta, entrò in ufficio senza consenso alcuno. Era una piccola stanza dalle mille scartoffie perfettamente assestate, rispecchiando in modo impeccabile lo stile della signora Order: di piccola statura, sempre in ordine.
Un piccolo uscio all’interno dell’ufficio, portava ad uno stanzino dedicato alla fotocopiatrice, dal chiassoso fragore che proveniva oltre la porta a vetri offuscati, Ryan comprese che il vecchio macchinario doveva essere in funzione; probabilmente la donna si trovava li!
Ryan irruppe senza bussare:
-Miss …
Miss Order però non c’era; di fronte a lui un trepidante Chris, che sbandò al comparire di Ryan. I due rimasero per qualche secondo ad osservarsi reciprocamente.
-Sei da solo?- chiese Chris, con un tono di voce troppo basso per essere udito col chiasso provocato dalla fotocopiatrice che, continuava a sputare fogli velocissimi contro il sostegno del blocco per risme, tanto che Ryan comprese la domanda dal labiale.
Studiò l’atteggiamento del vecchio amico, aveva un che di sospetto; capì immediatamente che si trovava li per svolgere qualcosa di proibito, non era mai stato capace di mentire.
-Ho bussato … visto che nessuno ha risposto …- spiegò Ryan un tantino confuso
-Non dovresti entrare in un ufficio, solo perché nessuno risponde al tuo bussare!- rimproverò Chris alzando la voce, proprio nel momento in cui la fotocopiatrice terminò il suo lavoro, riportando il silenzio.
-E tu che stai facendo qui?- chiese Ryan indugiando lo sguardo sulle scartoffie tra le mani di Chris.
-Niente!-  rispose lui, riponendo velocemente le cartelle su uno stretto scaffale li accanto.
-Non pare niente
-Tu invece?-  ribatté Chris in uno scarso tentativo di distogliere l’attenzione di Ryan
-Se lasci quei fogli così disordinati, Miss Ordinatezza si accorgerà che qualcuno ci ha messo mani- fece notare Ryan.
Sull’attenti Chris si voltò a sistemare le cartelle, facendole ben combaciare una sull’altra.
-Usciamo di qui prima che ritorni- si affrettò Chris, spingendo Ryan fuori dalla stanza della fotocopiatrice
-Al tuo contrario, io ho un motivo legittimo di essere qui dentro-  disse Ryan divertito
-Anche io!- rispose Chris –Sono qui per fare delle fotocopie- aggiunse prontamente
-L’alibi crolla se lasci qui le prove-  disse Ryan, pensando a quanto quella frase fosse vera anche nei suoi confronti. Doveva assolutamente approfittare di quell’occasione per restaurare un rapporto pacifico con Chris, evitando questa volta il discorso “Dafne”.
Chris fece appena in tempo a ritornare in ufficio con la pila di fotocopie tra le mani che, Miss Order entrò nel suo ufficio, sfoderando un atteggiamento spaventato alla vista inaspettata dei due ragazzi.
-Cosa ci fate voi due qui?- disse ispezionandoli
-Fotocopie!- disse meccanico Chris, sollevando ad altezza spalle i fogli che cominciarono a svolazzare a causa del movimento repentino. Sul viso della donna non comparve un’ombra di dubbio, o Chris era uno scarso attore solo agli occhi di Ryan o, Miss Order era così distratta dai suoi pensieri che non badò all’atteggiamento sospetto, di uno dei suoi allievi più diligenti.
-Comunque sia, devo lavorare-  gesticolò la donna –Lasciatemi sola!
Chris approfittò dell’occasione per volatilizzarsi. Ryan avrebbe voluto seguirlo ma, vi erano altre priorità al momento:
-Quando dovrei terminare il mio servizio alla comunità?- disse sarcastico Ryan a Miss Order, mentre lei dava attenzione a dei fogli di calcolo. Non ricevendo risposta Ryan continuò, quella donna era specializzata nell’ignorare la gente per lei di poco conto. –Miss? Le finanze della scuola vanno così male?!- ridacchiò. La donna non comprese il tono della battuta, ma diede improvvisamente attenzione al ragazzo.
-Finanze?
Da segnare fra gli argomenti, per attirare l’attenzione della direttrice!
-Avete intenzione ancora per molto di farmi lavorare gratis?
-Vorresti anche essere pagato?- domandò lei indignata, poggiando gli spessi occhiali sulla scrivania.
-I giorni di lavoro pattuiti sono terminati- spiegò Ryan –se vuole che continui non è un problema, ma dovrà pagarmi!
-Semplice, non tornare più!- rispose lei, riafferrando la calcolatrice.
Ryan sapeva che la situazione gli stava sfuggendo:
-Ho fatto un buon lavoro?
-Purtroppo si!- disse Miss Order nel mentre, segnava dei calcoli su di un foglio di appunti
-Che vorrebbe dire?
La donna arresa mise completamente da parte i suoi compiti, e rivolse la piena attenzione al ragazzo:
-Che sei capace di impegnarti se vuoi!- disse risentita –Vuol dire che se ci metti l’impegno riesci. Se non hai concluso nulla nella vita sino a questo momento, è solo colpa della tua svogliatezza.
Ryan deglutì prima che la direttrice continuasse: -Non c’è cosa peggiore che ignorare le proprie capacità e non farle fruttare!
In quel momento Ryan avrebbe tanto voluto che la donna tornasse a metter attenzione alle sue carte, smettendo di fissarlo con il suo sguardo accusatorio.
-In conclusione-  aggiunse lei –Hai fatto un buon lavoro. Che termina qui!
Le sue parole non lasciavano scampo. Prima di salutare però, Ryan rivolse una domanda di ben altro argomento alla donna:
-Miss?
-Cos’altro c’è?
-L’udienza a cui non ero presente …- ma Ryan non sapeva come continuare la frase; si sentiva un imbecille, in quel momento comprese a pieno la gravità del suo passato disinteressamento.
-Il non presentarsi, non è stato un bel gesto devo dire-  spiegò la Order con calma. Proprio quando Ryan si sarebbe aspettato una sfuriata –Finalmente ti sei deciso a chiedermelo … meglio tardi che mai!
-Vuole davvero tenermi sulle spine?- disse Ryan sedendosi su di una sedia dall’altra parte della scrivania. Il suo gesto stava a spiegare quanto fosse determinato su tale argomento.
-Lo meriteresti ragazzo- disse la donna –Ma sei fortunato! Non dovrei dirtelo ma … ci sono buone probabilità che ti diano un’altra possibilità.
*.*.*.
Congedandosi dall’incontro con Miss Order, Ryan si diresse fuori dall’edificio a cuor leggero. Non avrebbe mai immaginato che cominciare ad interessarsi a se stesso e al suo futuro, lo avrebbe reso così tranquillo. Si rese conto di quanto fosse profondamente più stressante fregarsene di tutto e tutti; forse perché si costringeva ad essere quello che non era. Neanche ricordava quando avesse iniziato, ad essere il ragazzo che gli altri descrivevano e non se stesso.
Ci vuole coraggio ad affrontare il mondo con la propria faccia, senza maschere; a qualcuno viene naturale non possono farne a meno, ad altri risulta decisamente difficile, perché profondamente non si è contenti di se tessi, non ci si accetta, e si cerca di essere quello che non si è.
 
La preferenza di restare nell’ufficio non seguendo Chris, si rivelò la scelta più giusta; tutto arriva se serve realmente, persino le occasioni perse ritornano.
Ryan vide Chris seduto su di una panchina del giardino della casa famiglia, proprio quella panchina dove ebbero il loro ultimo discorso. Gli si avvicinò a passo sostenuto. Stava guardando delle fotografie.
-Ciao.-  salutò senza entusiasmo –Posso sedermi?- chiese indicando il posto vuoto li accanto.
-Quando mai hai chiesto il permesso?!- disse Chris dando delle pacche al rovinato legno della panchina.
Dopo essersi seduto, Ryan si rese conto che non aveva parole da rivolgergli, qualunque discorso sarebbe andato bene pur di rompere il ghiaccio ma, al momento restava un teso silenzio.
Fu Chris a dare il via alla conversazione:
-Sei uscito adesso dall’ufficio di Miss Order?
-Si!
-Cosa ti ha detto?
Fu strana come domanda, dato che Chris non conosceva il motivo di quella chiacchierata. Un tempo si dicevano tutto, ma era un bel po’ che i due non parlavano.
-Ho finito il mio lavoro con Duca- disse sbrigativo Ryan, tralasciando gli altri argomenti affrontati. Sapeva che Chris avrebbe dato ragione alla direttrice, l’ultima cosa che Ryan voleva era un’altra litigata causata da una ripresa della direttrice.
-Ti ha detto niente di me per caso?- chiese Chris rivolgendogli finalmente lo sguardo
-No!- rispose Ryan sorpreso, un secondo prima di comprendere la preoccupazione di Chris –A proposito! Cosa ci facevi nel suo ufficio? … Non dire fotocopie!
Chris fece un sospiro:
-Sai che aiuto Miss Order nei conteggi delle diverse spese-  spiegò tranquillo Chris
-Idem sfruttamento!- ridacchiò Ryan, ma l’amico non era divertito –Che c’è? Hai scoperto qualche inghippo?- Ryan studiò l’espressione di Chris –Non posso crederci! È davvero così?
Chris si guardò intorno per essere sicuro di non essere ascoltato da alcuno:
-Eravamo in serie difficoltà economiche- disse –Ma ora non lo siamo più! I conti improvvisamente tornano, anzi, abbiamo persino un fondo cassa adesso.
-E questa sarebbe una preoccupazione?- chiese sbalordito Ryan
-L’inquadramento dei conti è cambiato nel giro di qualche giorno e, non di mesi-  spiegò Chris
-Una donazione?- disse spicciolo Ryan
-Allora perché Miss Order, mi ha detto di non avere più bisogno del mio aiuto tre giorni fa … esattamente un giorno prima che le finanze della casa famiglia migliorassero notevolmente?!- spiegò Chris sventolando nervosamente i fogli che teneva tra le mani.
-“Levati di torno che quando c’è grana me la vedo io!” Ecco la semplice spiegazione- disse Ryan sorridente -Poi hai detto finanze?
-Si!
-Argomento che desta molto interesse per la nostra Miss- disse Ryan con falso atteggiamento sofisticato.
-Che ti ha detto? Hai visto qualcosa?- scattò sull’attenti Chris
-Calma, calma! Stava solo facendo dei conti- spiegò Ryan –sembrava preoccupata.
-Ti credo!- sbuffò Chris risedendosi –Dovrà dare delle spiegazioni allo stato per tutti quegli introiti.
-Se ti ha gentilmente buttato fuori come contabile … come fai a sapere tutto questo?- domandò Ryan ben sapendo la risposta –Hai visto al nostro Chris?! Altro che santarellino!
-È una cosa seria Ryan!- rimproverò Chris –Quei soldi arrivano da … una donazione illecita
-Che vorresti dire?
-Sai quanto ci vuole per adottare un bambino? Quante peripezie devono superare i futuri genitori?- disse Chris –Un ragazzo dell’istituto sta per essere adottato, i futuri genitori hanno terminato le pratiche sin troppo velocemente, e non ci sono tutte le informazioni necessarie, a constatare che siano persone adatte all’essere genitori.
-Stai cercando di dirmi che hanno svuotato il loro conto bancario, pur di accelerare i tempi?- chiese Ryan attento
-Non è tutto!- aggiunse Chris completamente preso dalla vicenda –Il bambino in questione, non è più un bambino; si tratta di un adolescente in sedia a rotelle. Chi si impegnerebbe così tanto per adottare un ragazzo con problemi? Tutti cercano sempre neonati in buona salute.
-Stai facendo il geloso adesso?- sfotté Ryan
-Come sempre fuori luogo Ryan,- rispose Chris con una smorfia di disapprovazione –Cosa avranno il mente i due che vogliono adottarlo?- domandò a se stesso con lo sguardo perso nel vuoto.
-Devi essere davvero affezionato a Lauren!-  disse Ryan
-Come hai fatto a capire che parlavo di Lauren?
-Quale altro ragazzo in sedia a rotelle c’è in questo istituto?
Chris sospirò, mentre Ryan intervenne nuovamente:
-Potrebbe essere una fortuna per lui non ci hai pensato?-  disse Ryan comprensivo, poggiando una mano sulla spalla dell’amico –Avrà una famiglia, sfondata di soldi per giunta.
-Ryan! Non tutte le persone lo fanno con buone intenzioni- evidenziò i suoi dubbi Chris.
-Poi ero io quello che si faceva i film!- ridacchiò Ryan
-Cosa hai saputo sui Brown?- chiese alla sprovvista Chris
-E chi ci ha pensato a quelli; ho già i miei guai a cui pensare- disse Ryan –Non avevi detto anche tu di lasciar perdere quella storia?
Forse l’amico lo stava mettendo alla prova con quella strana domanda. Constatare, se nei suoi pensieri regnassero ancora dei dubbi sui suoi vicini di casa.
-Se ti dicessi che la coppia che sta per adottare Lauren, sono i tuoi fantomatici vicini?- disse Chris a bruciapelo –Crederesti alle coincidenze?
 *.*.*.*.*.*.*.
Fatemi sapere cosa ne pensate !
Nella buona o cattiva sorte :)

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Capitolo 6
*** Lo sporco mestiere di raccattare informazioni ***


Capitolo 6
                        Lo sporco mestiere
                                       di Raccattare Informazioni

 
 
Le mie mani sarebbero come vuote,
se gli strumenti che contengono non venissero utilizzati.
Le mie braccia vuote invece,
spingono una manovella a girare, mettendo in funzione l’intero meccanismo.
 
Cos’è la giustizia degli uomini?
Incentrata sul non dare ciò che non si crede di avere o
dare anche quando non ci si domanda cosa avere in cambio,
sapendo però che è la cosa giusta da fare?!
 
Se anche sei un semplice moscerino nell’aria
sbattuto dal vento.
Se anche sei una goccia dolce
dispersa in un mare salato.
Dovresti per forza scioglierti?
Dovresti per forza cadere nella tela di un ragno,
per comprendere l’importanza delle cose?
 
Potresti vedere un calabrone sgusciar via dalla tela del ragno con gesto veloce.
Potresti vedere un ghiacciolo di acqua limpida e pulita,
in un mare che non offre una casa degna per i suoi abitanti.
 
Sii acqua pulita e forte, se non per te
che il tuo gesto sia d’esempio.
*.*.*.*.*.*.*.
Secondo quello che Miss Order disse a Ryan; gli era stata offerta una seconda possibilità, non perché fosse di normale ruotine. Le insistenze del capo della polizia su un rinvio della causa, giravano attorno alle spiegazioni riguardo alla vita privata della famiglia Omalley. George Care si era aggraziato il giudice, spiegando la difficile situazione del ragazzo, ritrovatosi da solo a causa della degenza in ospedale del padre.
Una volta che questa difficile storia fosse finita, Ryan avrebbe dovuto ringraziare più di qualcuno.
Nel frattempo, non poteva aspettare che fosse risolto un problema, per dare il via ad un’indagine personale che non poteva evitare. Lui e Chris avevano molto di cui parlare, entrambi avevano svariate informazioni sui Brown, sommandole vennero a capo non di una soluzione ma, fu abbastanza da comprendere cosa stessero architettando i due coniugi.
Chris dovette cedere, ed ammettere che forse una ragazza di nome Dafne esisteva sul serio, Ryan gli diede maggiori spiegazioni, riguardanti l’eredità della famiglia Dark. Dominique aveva bisogno di entrambi i fratelli per entrare in possesso del denaro. Che Lauren fosse il fratello minore di Dafne non c’era più alcun dubbio ma, la  ragazza era davvero riuscita a scappare?
*.*.*.
Presto Lauren sarebbe andato a vivere nella famiglia tanto attesa, doveva essere messo al corrente dei pericoli ai quali andava incontro, e Chris in questo poteva dare una mano, i due erano molto legati, di certo avrebbe dato una possibilità alle affermazioni di un amico, benché Lauren avesse fama di uno dal carattere difficile.
 
Ryan non riusciva a crederci: aveva il fratello di Dafne sotto il naso e non se ne era mai accorto. Se avesse posto alla ragazza una domanda spontanea, facendosi dire come si chiamasse suo fratello, avrebbe subito compreso che si trattava del ragazzo orfano, conosciuto nell’istituto anni prima. Lauren in fondo non era un nome comune, esattamente come Dafne.
-Dafne però non mi ha detto che suo fratello non poteva camminare- disse Ryan a Chris nel silenzio della biblioteca cittadina. Incontrati li, usando come scusa lo studio di Chris, appassionato di ricerche e approfondimenti, mondo incomprensibile per Ryan.
-Te lo dico solo perché c’è di mezzo il suo futuro- disse Chris, facendo cenno a Ryan di abbassare la voce -Sono uno dei pochi all’istituto a sapere i particolari del suo incidente, non gli piace far sapere di se.
-Non è nato così allora!- chiese Ryan da dietro un libro recuperato per copertura
-Si trovava in un altro istituto prima. Fu investito mente attraversava la strada, in pieno giorno-  spiegò affranto Chris -il pirata della strada non porse soccorso, lasciandolo in fin di vita. Riuscì a sopravvivere ma, perse l’uso degli arti inferiori e …- Chris si fermò.
-Tutto qui? È questo che non vuol far sapere a nessuno?- chiese Ryan
-Più o meno!- rispose Chris in evidente imbarazzo
-C’è qualcos’altro che devi dirmi?- chiese Ryan ispezionando l’amico
-Non è di conto per le nostre ricerche, è solo un motivo in più per dubitare dei Brown … o come gli chiami tu: Dark
-Dici poco?!
Arreso Chris completò la sua spiegazione:
-Venne fatta una diagnosi a Lauren … i dottori non gli diedero più di due anni di vita, dissero che non avrebbe superato l’età dello sviluppo. Eppure sono passati dieci anni dal momento dell’incidente.- terminò Chris
-Perché non gli davano speranze?- chiese Ryan interessato.
-Questi particolari davvero non li conosco, lui me lo confessò in un momento di crisi. Dicendo che per lui ogni giorno era come l’ultimo, non vedendo come una fortuna l’essere sopravvissuto sino all’età di quattordici anni- raccontava Chris -dopo che la sua situazione si stabilizzò, vedendo che il suo stato non peggiorava come predetto dai medici, fu trasferito a Grain. La nostra casa famiglia fornisce gli spazzi adatti ad un ragazzo in sedia a rotelle. Doveva essere una sistemazione temporanea, che lui non ha mai accettato.
-Perché? Voleva tornare nel luogo dove lo hanno quasi ammazzato?- Chiese stupefatto Ryan
-Voleva essere ritrovato dalla sua famiglia- spiegò Chris
Difatti Lauren raccontava sempre di voler conoscere al più presto le sue origini, dato che aveva poco tempo per farlo, visto le sue condizioni di salute.
Le suore, organizzatrici dell’orfanotrofio dove Lauren passò i primi anni di vita, non avendo conoscenza del suo cognome gli affibbiarono Edwards, che voleva dire “esposto”, quindi il ragazzo, aveva ben poco per avviare una ricerca sulla famiglia dalla quale discendeva. Vedendosi trasferito in un paese lontano, vedeva svanire ancor più l’opportunità di trovare suoi parenti.
Destino volle che avesse davvero trovato dei suoi consanguinei, anche se le loro intenzioni non erano delle più nobili.
-Ho visto i due venire alla casa famiglia per parlare con Lauren- disse Chris –Solo oggi, leggendo gli ultimi documenti ho scoperto che si trattava dei tuoi vicini. Non gli avevo mai visti, ma tu mi avevi detto i loro nomi.
-Hanno già parlato con lui allora?!-  disse Ryan pensoso -Posso scommettere che gli hanno raccontato di essere i loro zii.
-Non credo si esporrebbero così tanto!- disse Chris convinto
-Tu non sai con che mentalità agiscono- disse Ryan certo, come li conoscesse da sempre -Spingono le persone alla fiducia, prima di attaccare.
-Come fai a saperlo?
-Perché hanno agito in questo modo con Dafne- sentenziò Ryan riponendo il libro, al quale non aveva dato la minima attenzione.
-Adesso che fai?
-Che domande! Andiamo a parlare con Lauren?!
-Andiamo?- domandò Chris titubante
-Vorresti mandarmi da solo?- domandò Ryan –Se davvero i Dark hanno puntato sulla famiglia, facciamolo anche noi.
*.*.*.
Il piano di Ryan consisteva nel raccontare a Lauren di sua sorella.
Piano che non ebbe gli effetti desiderati, perché il ragazzo pur fidandosi di Chris, restava fermo sulle sue idee. Secondo lui i Brown erano delle brave persone, disposte a prendersi cura di lui. La questione dell’eredità a suo avviso non era plausibile, affermava di non possedere nulla.
Lauren spiegò, di non avere informazioni ne danaro lasciatogli dai genitori biologici. L’unica cosa che gli avevano lasciato era una lettera dove spiegavano il perché avessero scelto un nome per il loro figlio, tanto inusuale.
Chris raggiunse Ryan fuori dalla casa famiglia. Prima ancora di rivolgergli la parola, Ryan capì dall’espressione delusa dell’amico che il tentativo era fallito. Senza attendere una spiegazione gli passò accanto, entrando a passo diretto nell’istituto.
-Ryan dove vai?
-Ho il permesso di entrare quando voglio, dopo aver badato a Duca. Non possono dirmi niente!-  spiegò sbrigativo Ryan.
Ma Chris non si riferiva a quel particolare: se non era riuscito lui a convincere Lauren, come poteva Ryan ottenere la sua collaborazione?
 
Ryan si diresse nella sala svago dell’istituto; accanto ad un vecchio divanetto, Lauren se ne stava sulla sua sedia a rotelle a fissare lo schermo della tv.
-Buon dì!- disse Ryan, abbandonandosi su di una poltrona, prima che qualcuno gli chiedesse di accomodarsi.
Un bimbo che giocava col lego sul tappeto gli rivolse un largo sorriso:
-Ryan!- corse ad abbracciarlo -Cosa mi hai portato questa volta?
Essendo una casa famiglia, non era affollata come un orfanotrofio vecchio stile e, i due più piccoli della famigliola assortita, conoscevano bene Ryan.
-Vanno bene queste mini boom?-  disse Ryan, tirando fuori dalla tasca un pacchetto di cartone, non più grande di uno scatolo di fiammiferi, contenente delle miccette rosse.
-Belle!- disse entusiasta il bambino
-Mi raccomando, appena le accendi scappa subito …
- … non accenderle al chiuso o vicino al cane-  completò il piccolo, come fosse una cantilena.
-Sei tu che gli rifornisci di quella roba allora!-  disse Lauren una volta che il bambino fu lontano.
-Che ci vuoi fare? Sono ragazzini!-  disse Ryan a sua discolpa, poggiandosi pesantemente sullo schienale della poltrona.
-E tu? Sei ancora un ragazzino?-  domando Lauren con aria saccente
Ryan gli rivolse un sorriso amaro:
-Sentitelo! Il ragazzino sei tu. Porta rispetto per uno più grande di te-  disse Ryan
-Eppure sono più saggio
-Ma io sono più alto!- ribatte Ryan levandosi in piedi.
Lauren rise di cuore:
-Sai perché mi piaci Omalley?
-Perché piaccio a tutti?
-Perché non hai paura di scherzare con me-  disse Lauren, mantenendo parte del sorriso.
Ryan restò a guardarlo, ricercando nel suo sguardo una qualche somiglianza, con la ragazza che torturava i suoi pensieri.
-Stai cercando Christopher?- chiese Lauren –Strano tu non l’abbia incrociato, è uscito da poco.
-Non cerco lui …- disse Ryan lasciandosi trasportare dal suo istinto, abbandonando parte il piano -… lo sai che avevamo litigato?
-Lo immaginavo- disse Lauren -Ho visto dalla finestra della mia camera che sei venuto a lavare Duca. Mentre Chris se ne stava al chiuso a leggere, invece di raggiungerti-  disse rivolgendo lo sguardo a Ryan.
-Già!- ridacchiò lui in procinto di risedersi -Buffo! Abbiamo litigato proprio perché anche io ho sbirciato da una finestra.
-Che vuoi dire?- chiese curioso Lauren.
Approfittando del suo interesse, Ryan si fece più vicino, come stesse per raccontargli qualcosa di scabroso:
-È successo circa un mese fa- cominciò a raccontare -mi sono messo alla finestra ad aspettare.
-Aspettare cosa?- chiese Lauren dubbioso. Convinto che Ryan lo stesse prendendo in giro.
-Ad aspettare che accadesse qualcosa!- esclamò Ryan, cercando di creare la più suspense possibile -Mi sono accorto che accadeva sempre qualcosa di strano di notte, solo nelle notti in cui la luna splendeva nel cielo più visibile.
-È una di quelle storie da campeggio al chiaro di luna?-  domandò il ragazzo, drizzando le ruote della sedia in modo da osservare meglio Ryan, mentre quest’ultimo si faceva serio:
-Dubitavo anch’io su quel che vidi quelle notti- disse Ryan sfoderando un suo lato nascosto, che difficilmente tirava fuori -c’è stato un momento in cui credevo di essere impazzito. Ho conosciuto una ragazza …
-No?!- esclamò divertito Lauren -C’era in giro una ragazza a Grain, con cui non eri ancora uscito? Deve essere una forestiera.
Ryan dovette trattenersi dal non rispondere in malo modo. Sapeva bene di non essere stato insultato, mesi prima avrebbe riso ad una battuta simile perché vera ma, non era questo il caso. Gli dava fastidio il sol pensiero che Dafne, fosse considerata alla pari di una tipica ragazzina di Grain. Forse avrebbe potuto esserlo ma, non ai suoi occhi.
Non ricevendo risposta immediata, Lauren comprese che qualcosa non andava, decise così di pesare meglio le parole.
-Cosa ti ha fatto questa ragazza?- chiese con una smorfia che sapeva di rammarico.
-Non mi aspettavo una domanda simile-  esclamò sincero Ryan  -perché pensi mi abbia fatto qualcosa?
-Lo si vede da come reagisci
-Lei non mi ha fatto niente, sono io che non ho rispettato i patti-  si fece sfuggire Ryan. Cosa gli era preso? Aveva perso la vera motivazione della chiacchierata indotta! –Le avevo promesso di aiutarla, ma non l’ho fatto; è iniziato tutto per un patto in cui volevo guadagnarci ma, poi …
-Va sempre a finire così!- disse Lauren con tono saggio che non gli si addiceva -Quando meno lo vuoi arriva.
-Cosa?
-Il batti cuore!
Adesso ne era certo. Il discorso era finito in ben altre acque, sorprendentemente più agitate.
-Cosa hai capito? Ma che stai dicendo? Non avevo intenzione di …- si alzò di scatto Ryan. Avrebbe dovuto andarsene, lasciando in sospeso quella strana quanto inaspettata conversazione. Il problema era che non poteva andarsene via, il tempo a disposizione era ristretto, aveva bisogno di convincere Lauren prima che fosse trasferito dai Brown.
-Con questo atteggiamento mi dimostri solo che ho ragione-  ridacchiò Lauren soddisfatto –Che fine ha fatto questa ragazza? Scommetto che non ci sta alle tue attenzioni.
Ryan prese fiato, riprendendo posto: -Hai mai visto una ragazza non accettare le mie attenzioni?- disse decidendo di stare al gioco, se pur la domanda rivoltagli fece venire a galla un po’ d’ansia repressa.
-Allora come intendi procedere?- domandò Lauren
-Prima di tutto cerco di capire chi sia-  disse Ryan  –Ti apparirà una cosa alquanto strana
-Invece no!-  si sorprese serio Lauren -Quando ci interessiamo a qualcuno, la chimica che ci unisce a quella persona in particolare ci attrae. Benché lei non si mostri mai a noi al cento per cento, anche fosse spontanea e disinvolta una parte di quella persona è celata, sarà l’interessato a dover indagare, il bello del conoscersi sta in questo, scoprire!
-… capisco perché tu e Chris siete così legati-  disse Ryan stupefatto –Fate entrambi papponi di parole.
-Continua a fare lo sbruffone- aggiunse Lauren sorridendo -Se ti aiuta ad essere meno imbarazzato riguardo l’argomento …
-La ragazza di cui sto parlando è tua sorella!- sparò Ryan come se quella frase fosse ormai arrivata al limite, non potendo più restare in incognito.
-Eeee?
-La ragazza che ho conosciuto … mi ha chiesto aiuto, cerca suo fratello
-Anche tu con questa storia?- esclamò Lauren fuori di se -Sai? Sei diventato un attore formidabile-  disse facendo marcia indietro con un gesto veloce di polso.
-Non sto recitando!- replicò Ryan andandogli dietro senza difficoltà -Se solo ti fermassi ad ascoltare?!
-Ascoltare cosa? La stessa storia ridicola, già sentita?- disse Lauren, voltandosi con una mossa degna di essere ripresa al rallentatore.
-Chris non è bravo come me, nel presentare una situazione-  disse Ryan con un mezzo sorriso beffardo -Non puoi vedere il cento per cento di una persona se ti fermi alle apparenze, bisogna indagare, scoprire … dopo potrai dare un giudizio.- disse citando le stesse parole di Lauren.
-Dovrei darti una possibilità?-  disse Lauren abbassando il tono della voce -Portami qui questa fantomatica ragazza.
-Non posso
-Perché?
-Non so dove sia
-Cosa?
-Dafne. È un po’ che non la vedo- disse Ryan, con l’amara sensazione di perdere l’opportunità fornitali
-Come hai detto che si chiama la ragazza?- si soffermò Lauren
-Dafne!- rispose Ryan cauto, senza aggiungere altro per paura di perdere quella piccola occasione
-Lo sai che ho solo un’informazione riguardante i miei genitori naturali?- disse Lauren senza alcun preavviso -Il perché del mio nome.
-Me lo ha accennato Chris
-Lui non mi ha detto che la ragazza si chiama Dafne
-È importante?
Come già Ryan sapeva, Loren era in possesso di una lettera lasciatagli dai suoi genitori.
Parlando venne fuori un’informazione fondamentale, inizialmente sottovalutata. Il nome Lauren gli era stato dato per il suo significato: portatore di energia. Una pianta legata ad un’antica leggenda portava un nome dalle stesse radici e significato, l’arbusto in questione era l’alloro.
I genitori di Lauren, legati inspiegabilmente al vecchio racconto di origine greco/romana, scrissero nella lettera dedicata al loro figlio un altro nome legato alla tradizione, quel nome era proprio Dafne. Non parlavano di lei come una sorella, la citavano come metafora:
Come Dafne sfuggì al suo inseguitore, affascinato da lei a causa di un inganno. Tu sii capace di sfuggire alle avversità, trovando lungo la tua strada, gli strumenti per procedere secondo le leggi del tuo cuore; mantieni esso saldo e fiero in onore del nome che porti.”
-Questo è il messaggio principale delle lettera che conservo e odio-  confessò Lauren -Si sono presi tanta premura per narrarmi del significato del mio nome, tralasciando tutto il resto. Ho sempre fissato il vuoto lasciato ai bordi del foglio. C’è tanto di quello spazio che avrebbero potuto sfruttare, per scrivere molto altro ma, hanno scelto di lasciarmi all’oscuro.
Ryan ascoltò, paragonando i sentimenti e le parole di Lauren a quelle udite da Dafne. Le loro impressioni erano differenti, accumunate da un solo sentimento: la ricerca di una via migliore in futuro, venendo a conoscenza del proprio passato.
Per capire dove andiamo, abbiamo bisogno di sapere da dove veniamo. L’ambigua lettera lasciata da due genitori preoccupati, sapeva però di avvertimento per il futuro e, non un messaggio per comprendere il passato.
Era bastato un nome ad attirare l’attenzione di Lauren ma, Ryan sapeva bene che confessargli altro o insistere sarebbe stato davvero troppo. Entro poco tempo, il ragazzo si sarebbe trasferito dai Brown, per le prime settimane gli assistenti sociali sarebbero stati degli ospiti fissi, se mai i Brown avessero in programma un trasferimento, si trovavano costretti ad attendere pazienti che le pratiche di adozione terminassero.
 
Come ogni carattere difficile appartenente ad un adolescente con problemi, ha bisogno di trovarsi ogni situazione davanti agli occhi prima di porvi fiducia, esattamente come sarebbe capitato a Lauren. Ryan era sicuro che dopo aver conosciuto Dominique e Beatrix nel quotidiano, sarebbe stato più propenso a credere alle parole dei suoi amici, e soprattutto, ai loro avvertimenti.
Il seme che quel giorno lui e Chris avevano piantato nella mente di Lauren, nella solitudine avrebbe dato i suoi frutti, quando lontano da occhi indiscreti, il ragazzo avrebbe riflettuto sul da farsi.
Ryan poteva comprendere quel comportamento: intollerante nel dare una soddisfazione a chi ti consiglia una certa condotta, non volendo apparire malleabile o arrendevole, cercando di dar vigore alla propria volontà, ribellandosi a priori di fronte ad un consiglio; Ryan lo comprendeva, perché anche lui agiva a questo modo. Si sorprese di quanto l’atteggiamento contrariato di Lauren gli desse fastidio; lui era una vita che agiva a quel modo con il prossimo, ora che si trovava dall’altra parte, capiva quanto fosse spiacevole essere ignorati da qualcuno che vuole solo il tuo bene.
                                                                                                                                     21 ˞ۥ Giugno ˞ 1997
Quel pomeriggio Chris accompagnò Ryan a casa. Notando il suo comportamento silenzioso non poté non essere preoccupato. Gli chiese più volte come intendesse procedere, pacato Ryan lo tranquillizzava senza rispondere alle sue domande, dicendogli che non avrebbe compiuto gesti avventati.
In realtà non sapeva davvero come agire, non prevedendo un rifiuto così drastico da parte di Lauren, adesso avrebbe dovuto riscrivere il suo piano.
Salutò il suo compagno di investigazione e si diresse in cucina, ad ispezionare il calendario. In un angolo apposito vi erano segnati i giorni in cui ci sarebbe stata la luna piena o la luna nuova; non gli era mai parsa un’informazione utile, tanto da essere segnata sulla maggior parte dei calendari, adesso però era diverso.
Con suo stupore constatò che quella notte ci sarebbe stata la luna piena, -Dovrai scusarmi Chris!- disse ad alta voce, puntando il dito sul piccolo simbolo accanto alla data del giorno –Mi vedo costretto a farne una delle mie.
La scelta più incosciente è sempre quella più sfavillante, a maggior ragione quando altre opzioni tardano ad arrivare.
Ormai era deciso! Quel giorno Ryan si sarebbe avvicinato al problema, sarebbe andato dai Brown di sua spontanea volontà, e fare ciò che molte volte aveva meditato e mai aveva compiuto, perché ostacolato da qualcuno o qualcosa, una banale scusa l’avrebbe trovata per presentarsi a casa loro, non era certo quello il problema maggiore.
Un tempo ammirava i suoi vicini per la loro originalità, adesso restava dubbioso di fronte alla loro imprevedibilità a causa di essa, non poteva architettare delle mosse specifiche, si sarebbe affidato alle sue capacità di improvvisatore dalla fortuna sfacciata.
Nei pochi passi compiuti nel raggiungere il vialetto di casa Brown, Ryan rifletté sul comportamento acquisito da Dominique nei suoi confronti. Fu proprio lui, con le sue azioni a portare Ryan a spiarlo, se si fosse ritenuta una persona discreta, il ragazzo non avrebbe mai scoperto le sue angherie. Dimostrazione che mantenere un segreto può diventare così  stressante, da portarti ad agire contro o propri interessi.
Il loro segreto però, stava portando in rovina la vita di una ragazza, alla quale Ryan suo malgrado, si era affezionato.
Bastò portare la nocca della mano destra, al contatto con l’elegante portoncino d’ingresso per far venire un brivido lungo la schiena a Ryan, non volendo assolutamente scambiarla per codardia dell’ultimo secondo ma, con insicurezza. Sperava con tutto il cuore che di fronte a lui non si parasse il padrone di casa, perché trovandoselo di fronte, pensando a ciò che aveva fatto e, che forse compiva ancora, sarebbe stato difficile trattenere il proprio istinto impulsivo, dettato dalla rabbia del momento. Un solo gesto avrebbe potuto rovinare tutto.
 
Alla porta, per sua fortuna non vi era l’uomo dal fisico possente ma sua moglie, che con un sorriso lo accolse in casa senza neanche chiedergli il perché di quella visita.
-Hai notato che il campanello non funziona-  gli disse tutta miele
-Veramente, non mi sono neanche accorto ci fosse un campanello-  rispose Ryan leggermente teso, mentre la donna faceva partire una di quelle sue risatine stridule, nonostante la battuta di Ryan non avesse il secondo fine di rallegrarla … non aveva nessun secondo fine, era semplicemente una risposta.
-Con tutto quel vai e vieni di corrente, con i temporali estivi, il campanello ne ha risentito-  diede spiegazioni non richieste la donna -Vuoi qualcosa da bere?- chiese esponendo il suo largo sorriso, appena uscito da una pulizia dentaria.
Accettare da bere in casa del nemico non era sua intenzione, lo attirava però l’idea che la donna si sarebbe dovuta allontanare, dandogli modo di studiale il luogo, visto che non aveva mai messo piede in quella casa. -Ho solo del te freddo- aggiunse lei in preda ad una felicità immotivata.
-Andrà benissimo!- rispose Ryan, accomodandosi al piccolo tavolo da pranzo dalla delicata superficie in vetro, rivolgendo a Beatrix un sorriso a suo parere poco convincente, che invece ebbe sulla donna un effetto elettrizzante.
Seguì con lo sguardo l’andatura saltellante della donna verso la stanza adiacente, una volta che fu nascosta dalla parete di cartongesso Ryan si guardò intorno, indugiando su ogni particolare che attirasse la sua attenzione. Era un soggiorno come tanti altri: un caminetto in un angolo con mille soprammobili dalla diverse etnie, una cristalliera priva di ante scarseggiava di cristalli in realtà, sovraffollata di porcellane dall’aspetto sofisticato.
Solo un quadro appeso ad una parete sprovvista di altro sfarzo, raffigurava un paesaggio notturno di campagna, i colori non erano vivi, la poca luce rappresentata nel dipinto ad olio, proveniva dalla luna del cielo raffigurato. Un cielo nuvoloso, privo di stelle, lo avrebbe definito in procinto di pioggia. L’unica persona raffigurata nel dipinto, era in lontananza, poco più che un’ombra: il cavaliere a cavallo se ne stava li fermo, quasi stesse osservando anche lui il paesaggio. Ryan seguì la traiettoria di quello che doveva essere il suo sguardo, puntato al bosco presente nello scenario, l’occhio cadde subito su di un albero, perché differente dagli altri, più basso ma, non per questo si faceva sovrastare dalla natura intorno a lui. Capì che il soggetto del dipinto era quel piccolo albero, non si era mai interessato all’arte ne, ne aveva mai capito granché di quel mondo, eppure si riscoprì a comprendere quella tela.
Cercò la firma dell’autore in basso a destra. Inizialmente pensò di aver visto male.
-Ti piace?- comparve nella stanza Beatrix -Lo ha dipinto mio marito-  disse, rivelando nell’ultima frase un tono amaro, che stonava con la gioia dimostrata in ogni suo gesto, sino a quel momento.
-Interessante- rispose sincero Ryan.
Aveva letto bene. L’autore era Dominique, si era firmato col solo nome, senza neanche accennare al cognome. Per quanto Ryan non fosse un intenditore, sapeva che le firme comprendono, se non il nome completo, anche solo il cognome. Con una smorfia ricca di soddisfazione personale, Ryan comprese al volo il perché di quella scelta. L’uomo, tenendo nascosto il suo vero cognome, non avrebbe potuto mostrarlo nella sua firma ma, per orgoglio o puntiglio, aveva scelto di non menzionare il suo falso nome nel dipinto costato evidente fatica. Ciò che rendeva Ryan inquieto in quel momento, era l’evidente attrazione che provava per un’opera creata dal suo nemico. In ogni dipinto persino nel più banale dei disegni, se ben si osserva, vi è un messaggio o un sentimento, che l’autore l’abbia fatto volontariamente o meno. Ryan sentiva di aver compreso quel qualcosa in più raffigurato sulla tela, oltre le forme e la composizione dei colori. Voleva dire che comprendeva i sentimenti di Dominique?
-Ma non parliamo di lui-  intervenne la donna, dimostrando il suo rancore nei confronti dell’uomo. Era evidente che Dominique non si trovava in casa, il ragazzo non sapeva se esserne contento o dispiaciuto.
Ryan decise di puntare sul vivo senza mezzi termini, dando modo alla donna di sfogare il proprio astio nei confronti dell’uomo, che poteva diventare un nemico in comune.
-Una persona capace di dipingere con così tanto romanticismo, deve essere una persona molto dolce-  disse Ryan, quasi disgustato dalle sue stesse parole.
-Romanticismo?-  disse la donna osservando risentita la tela alla sua sinistra –Solo perché c’è la luna piena? Non per tutti è simbolo di sentimento … per me è simbolo di disunione-  si fece sfuggire Beatrix.
Contento del risultato che stava ottenendo, Ryan cercò le parole giuste per far arrabbiare la donna, spingendola a dare le proprie ragioni.
-Per suo marito deve essere diverso. Provi ad andargli incontro-  cercò di stimolarla, mentre lei osservava il ragazzo con espressione eccessivamente sofferente, come volesse dargli tutte le motivazioni che la spingevano ad essere cosi contrariata, nei confronti del marito.
-Non sai quanto ciò provato Ryan-   disse la donna allontanandosi dal quadro, come se il sol vederlo le causasse dispiacere.
Per Ryan fu strano sentirsi chiamare per nome da quella donna. Continuava a guardarsi attorno, per reprimere la sensazione di claustrofobia che gli portava quella casa -In una coppia c’è sempre chi ama di più … quella purtroppo sono io.
Avrebbe tanto voluto gridargli “Cosa diavolo vuoi che mi importi dei tuoi problemi sentimentali?”, ma in fondo non poteva mica chiedergli dove tenessero nascosta Dafne, sempre se, si trovasse nuovamente in quella casa. Non sapendo che altro dire, tirò fuori una frase di circostanza:
-Se non si sente a suo agio con lui, probabilmente è perché sente di meritare di meglio- disse con tono composto. Arruffianarsi Beatrix poteva ritenersi utile in futuro.
-Lo penso anch’io!-  sobbalzò la donna cambiando atteggiamento sin troppo velocemente -Come lui ha trovato un’altra donna, dovrei cercare anche io qualcuno degno delle mie attenzioni-  aggiunse avvicinandosi pericolosamente al ragazzo.
Ryan preoccupato cercò di recuperare come poteva:
-Signora?-  disse facendo qualche passo indietro per mantenere le distanze
-Non chiamarmi signora!- si paralizzò la donna -Pensi sia troppo vecchia. Che ormai sia una donna da buttare?!
-Ma no …!- esclamò Ryan senza riflettere sulle possibili conseguenze a quella risposta.
-Sono una donna desiderabile?-  disse lei in atteggiamento prorompente.
-Suo marito non la comprende-  disse Ryan, insistendo sul termine “marito
-Tu mi comprendi
-No!- disse deciso Ryan, come un’imposizione. Di fronte all’espressione turbolenta di Beatrix, provocata dal suo rifiuto poco galante. Ryan cercò di recuperare un po’ del suo appoggio ma, non troppo –Bisogna tener fede alle proprie promesse.
-In realtà non siamo sposati, non ci sono promesse-  disse la donna riacquistando un po’ di vigore
-Come?-  ecco un’altra magagna!
-Siamo solo conviventi-  ammiccò la donna pericolosamente
-Lei è bella ma …-  aggiunse prontamente Ryan  -… ma l’età è un ostacolo imprescindibile.
Questa scusa sembrava sortire il suo effetto. Beatrix lasciò a Ryan un po’ di spazio, lasciando intuire una sua resa, anche se temporanea era pur qualcosa.
-Dominy non si è fatto di questi problemi però- disse lei, volendo apparire compassionevole
-Dominy?-  disse a bassa voce Ryan. Che razza di nomignolo è?
-Proprio così!-  affermò Beatrix, come se Ryan avesse chiesto maggiori informazioni  -Preferisce una ragazza più giovane a me. L’ho visto mentre la riempiva di attenzioni … ma lei fa la smorfiosa, fa finta di non starci, rendendo il mio tesoro ancora più irrequieto.
-È una cosa buona se questa donna non sta alle avance di suo marit… convivente … quello che è!-  disse Ryan arreso al fatto, che da quella conversazione non avrebbe tratto altre informazioni utili -Vedrà che prima o poi si arrederà, e tornerà da lei.
-Non è facile se quella sgualdrina non può starci alla larga-  disse Beatrix con una punta di invidia -Pensavo che avrei trovato pace prima o poi … ma …
-Di chi sta parlando?-  si fece vivo l’interesse di Ryan
-Della giovane a cui va dietro il mio compagno. Rifiutando me!- disse Beatrix mettendo nelle ultime due parole maggiore enfasi, pensando che Ryan l’avrebbe accompagnata con frasi ricche di complimenti e rassicurazioni, che non arrivarono.
-Sta parlando come … come se la ragazza in questione vivesse con voi-  disse Ryan avvicinandosi ad un argomento dolente.
La donna non rispose subito, tentennò stando li a fissare i grandi occhi verdi del giovane.
Cercando di recuperare Ryan aggiunse: -Dovrebbe mandarla il più lontano possibile, in modo che il signor Brown la dimentichi-  disse cercando di immaginare cosa la donna volesse sentirsi dire, per avere da lei maggiori informazioni.
-Ti ho detto che non può stare lontano!-  disse Beatrix nel solito tono apro, utilizzato ogni qual volta raccontava della ragazza senza nome.
-Lui continua a cercarla?-  domandò Ryan, costringendo le mani nelle strette tasche dei jeans, per tenere a bada il tremito dettato dalla rabbia.
-Io avevo dei sospetti, anche se agli occhi di Dominique sono sempre apparsa una sciocca, l’avevo ritrovata e non gli ho detto niente! Se fosse scomparsa dalla nostra vita, avrebbe dedicato tutte quelle attenzioni a me-  disse la donna con rabbia  -Il suo comportamento invece si fa sempre più freddo, ho capito che non smetterà mai di cercarla-  ammise la donna, con una smorfia comparabile a quella di una bambina capricciosa. A bassa voce aggiunse: -Nascondergli l’esistenza delle piantine è stato inutile. Tanto vale che se la riprenda, però ci sto ancora pensando.
-Lei sa dove si trova l’amante di suo marito?- chiese Ryan incapace di trattenersi, mentre la donna lo sospingeva nella cucina.
All’esterno della casa, due persone stavano avanzando lungo il pianerottolo, una delle due voci pareva famigliare ma Ryan non ci mise molta attenzione.
-Adesso devi andare ragazzo mio-  disse la donna aprendogli la porta sul retro  -Dominique non deve vederti-  ribadì quasi divertita, come si stesse rivolgendo ad un amante. Ryan avrebbe chiesto di più, proprio adesso che la conversazione si faceva utile.
-Ci rivedremo?-  disse alla donna stando al gioco contorto
-Presto mio amore!-  rispose lei impulsiva, scoccandogli un bacio sula guancia, prima di spingerlo fuori con una spinta vigorosa.
Non sapendo ancora come reagire, Ryan a passo felpato fece il giro della casa. Sbirciò l’ingresso, l’uomo era già entrato, la persona che lo accompagnava si stava allontanando. Piano Ryan si affacciò per non essere visto, facendo appena in tempo a riconoscerlo, si trattava di Chris, ora cavalcava la sua bici ed imboccava la via velocissimo.
Ryan non poté urlare per richiamarlo, avrebbe attirato l’attenzione dell’uomo appena rientrato in casa.
*.*.*.
La sua ragione non aveva mai vacillato, ora ne aveva la certezza. Dafne esisteva, i Dark esistevano!
Doveva contattare Chris e chiedergli cosa stesse facendo sul pianerottolo dei Brown a quell’ora. Doveva mettere da parte i suoi giudizi poco positivi riguardanti la polizia e richiedere il loro aiuto. Doveva farlo perché l’unico in grado di aiutare Dafne e Lauren era lui, con le sue informazioni.
Doveva fare tutto ciò che era in suo potere, anche se non riguardava se stesso.
 
La polizia non si fece attendere a lungo. Ryan non aveva fornito molte informazioni, difatti ad intervenire fu una sola pattuglia.
Parlarono con Ryan, che sempre più insistente li convinse ad irrompere nell’abitazione dei Brown, nonostante i due coniugi fossero incensurati.
Avrebbe voluto essere presente ma, aveva più di qualche motivo per estraniarsi durante il controllo. Primo fra tutti, doveva mantenere la copertura, lasciando che i Brown non sapessero che lui fosse coinvolto.
Non fu affatto difficile convincere Dominique e la sua convivente a procedere con il controllo, nonostante la polizia non avesse alcun mandato. I due si mostrarono abbastanza tranquilli e collaborativi.
Superati i diversi controlli, i poliziotti dovettero scusarsi per il loro intervento senza giustificazione valida, dato che nella casa non trovarono nulla di anomalo.
Come da prassi, gli agenti andarono via senza al momento rivolgere domande a Ryan, per mantenere intatto il suo anonimato. Nel frattempo il ragazzo, se ne stava allarmato dietro la doppia tenda all’ampia finestra del salotto, ad osservare la coppia rientrare in casa sotto braccio, dopo aver salutato i due poliziotti rammaricati.
Era odioso osservare la loro tranquillità, senza poter fare altro.
La telefonata di Henry non si fece attendere a lungo:
-Sei fortunato a non essere stato denunciato!- partì in quarta senza la minima presentazione -Ti chiamo per avvisarti; sappi che mio padre ti vuole qui in centrale domattina per una chiacchierata.
-Come avrebbero potuto denunciarmi, non sanno che sono stato io a chiamarvi?-  disse Ryan serio  -Sempre se avete rispettato la legge-  aggiunse con una punta di insoddisfazione nei loro riguardi.
Come avevano potuto lasciarli andare? Sicuramente non avevano controllato a dovere!
-Parli a me di rispetto della legge? Il signor Brown ha capito che sei stato tu a chiamarci, per tua fortuna siamo riusciti a convincerlo che è stata una delle tue mascalzonate di poco conto-  urlò Henry nella cornetta. Ryan non lo aveva mai sentito tanto furioso  -Mille volte ti ho difeso, maggiormente con mio padre. Sembra tu abbia dimenticato che non è solo mio padre, ma anche il capo della polizia. Dopo questa non ho intenzione di prendere ancora le tue parti.
-Non ti ho mai chiesto di farlo!- rispose Ryan di rimando, più arrabbiato per il fatto che Dominique, avesse capito chi gli aveva mandato il controllo, che non per il resto.
-Cresci!- disse in risposta Henry
-Domani ci sarò.
-Sei obbligato, non era una richiesta alla quale servisse una conferma-  rispose Henry prima di cessare la conversazione, così come era iniziata, senza mezzi termini.
*.*.*.*.*.*.*.
Buon dì miei cari lettori,  il mio racconto continua anche se un pochino in ritardo :)
Non dimenticatevi di recensire! Ho davvero bisogno di sapere cosa ne pensate.
Vostra Missdream!

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Capitolo 7
*** A centosette passi e un battito d'ali ***


Capitolo 7
                        A Centosette Passi 
                                            e un battito d’Ali

 
 
Quando la mia resa è vicina, e li che torni.
Quando il respiro si quieta nella rinuncia, e li che ti sento.
Quando i miei occhi vedono i miei pensieri e non ciò che c’è fuori, e li che vedo il tuo riflesso
Sbiadito, incerto ma tuo.
 
È qui che torni, dove tutto è iniziato per porre fine ai miei tormenti.
Comprendi adesso che il mio non era un gioco,
mentre io comprendo di aver dato tutto pur di riaverti.
 
Riconosco in quell’ombra,
la persona per la quale trema la mia voce e incespica il mio respiro.
Non sono per te il primo di ogni cosa, se tu non sei la prima che
mi abbia fatto comprendere, la differenza tra il panico dettato dalla codardia
e quello suscitato, dalla paura della perdita.
 
*.*.*.*.*.*.*.
 
Dopo la telefonata disarmante, Ryan spense le luci e nel buio tornò al suo inutile posto di vedetta.
Represse il desiderio di recarsi al piano superiore per farsi una dormita, nonostante l’idea di restare ad osservare, uno spettacolo a cui non poteva intervenire non lo allettasse. Tuttavia, se si fosse permesso di prendere sonno quella notte, non se lo sarebbe mai perdonato, doveva almeno constatare se la tradizione delle notti di luna persisteva.
Perché io?
Perché Dafne ha scelto me?
Perché ero la persona più a disposizione?
Si torturava con le solite domande che ormai, non lo abbandonavano.
-Hai scommesso sul cavallo sbagliato mia cara ragazzina dall’aspetto squinternato-  ripeté a se stesso -io non sono capace di nulla!- disse a mo di sfogo, senza aspettarsi di certo una risposta, che in realtà arrivò.
-Veramente sei stato tu ha trovarmi!-  rispose una voce femminile alle sue spalle -Non voltarti!-  ammonì velocemente la ragazza.
-Dafne?-  chiese incerto Ryan sollevando lo sguardo, senza però voltarsi.
-Fermo!- esclamò preoccupata lei, mentre Ryan osservava il suo riflesso sbiadito, attraverso i vetri della finestra di fronte a lui.
-Non mi muovo- disse restando seduto in poltrona, alzando gli avambracci in segno di resa  -Vuoi attaccarmi?-  domandò tranquillo, con lo scopo di studiare le sue reazioni.
-Intenzioni di fare del male non ne ho mai avute-  disse Dafne con tono sofferente non da lei.
-Mi dispiace per ciò che ti ho detto quella sera …-  disse Ryan abbassando lentamente le braccia -… non avresti dovuto scappare a quel modo. Sappi che come tu non vuoi farmi del male, non voglio fartene io-  disse sospirando, accennando con un lento movimento di spalle.
-Non ti voltare!- avvertì Dafne
-Perché? Tanto già ti vedo!-  disse Ryan incapace di trattenere un sorriso, indicando il riflesso nel vetro di fronte a lui.
Per qualche secondo vi fu silenzio, Ryan cercò di mettere a fuoco il più possibile il suo riverbero. Si alzò.
-No!-  gridò la ragazza rannicchiandosi a terra, nascondendo il viso tra le braccia.
Nel voltarsi Ryan sapeva di rischiare, ormai la luna piena era sorta e, Dafne in quel momento era quella che chiamava creatura; la stessa creatura che atterriva, attaccava senza scampo ma, con la voce della Dafne che aveva imparato a conoscere.
Li a terra, racchiusa in un fremito vi era una ragazza dai capelli bianco cenere svolazzanti, la pelle bianca e lucente come una perla. Trattenendo uno sbuffo di paura dettato dal buon senso, Ryan le si avvicinò, poggiando un ginocchio a terra, in una scomoda posizione tra seduto e destato. Senza pensare alle conseguenze, poggiò una mano sulla sua spalla, coperta da una camicia da notte di un orribile grigio topo.
Quanti ne ha di questi vestitini sbiaditi e mal cuciti?
Al contatto entrambi ebbero un sobbalzo, lei per la paura, lui per la pelle gelata di lei.
Per questo tremava, non sapeva potesse sentire freddo.
Ryan si alzò velocemente, cercando di ricordare dove conservasse i plaid, messi ovviamente da parte vista la stagione estiva. Prendendo quel gesto fulmineo per il peggio, Dafne si allarmò, mettendosi a sedere sul tappeto ai piedi del sofà:
-Ryan! Stai bene?- gridò preoccupata. Mentre il ragazzo recuperava una copertina, nascosta sotto i cuscini del divano più grande.
In quel momento vide anche il suo viso: pallido più della sua chioma, gli occhi vitrei di un intenso blu apparivano troppo grandi, circondati da lunghe ciglia rimaste nere, come quelle che ricordava appartenere alla Dafne che conosceva, il viso sottile e sciupato rigato di lacrime, le davano una spetto ben diverso da come la ricordava ma, sapeva ugualmente che fosse lei. Se lo sentiva.
Senza attendere oltre, aprì con un gesto secco la coperta appena recuperata, andò incontro alla ragazza e gliela poggiò sulle spalle per poi avvolgerla. Lei però continuava a tremare come una foglia al vento. Era imbarazzante sentirsi osservato da quei grandi occhi innaturali ma, non doloroso. Si sforzo di scrutarla senza riserbo, una volta che fu di fronte a lei.
Continuava a piangere. Velocemente Ryan tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans un fazzoletto di stoffa porgendoglielo, lei però non lo prese.
-Perché stai piangendo? Vedi che è pulito-  disse Ryan, accostando il fazzoletto alla guancia bagnata di lei –Smettila di piangere adesso-  esclamò con tono di rimprovero il ragazzo.
-Stai davvero bene?-  disse lei ispezionandolo
-Si!-  rispose Ryan intento ad asciugare le sue ultime lacrime.
-Stai tremando-  fece notare lei.
La situazione aveva un che di spinoso, tanto da farlo stare in tensione. Non provava freddo, quei brividi però, non avevano nulla a che fare con la paura.
-È vedere te tremare a quel modo … fai venir freddo anche a me!-  sorrise, nel tentativo di allontanare la sensazione di disagio.
Dafne allontanò la mano del ragazzo dal suo viso, al tatto delle loro mani non accadde nulla. Comprendendo che tutto era apposto, finalmente Dafne si rilassò e, con uno dei suoi soliti gesti impulsivi abbracciò Ryan senza dargli il tempo di allontanarsi -Ora si che fa davvero freddo!-  disse Ryan con un sorriso nascosto nell’incavo tra la spalla e il collo di lei. La ragazza continuava ad essere come congelata.
-Scusa!-  esclamò lei facendo gesto di allontanarsi. Atto che venne interrotto da Ryan che la strinse più forte a se.
-Non ho mica detto di andar via!-  esclamò astuto.
-Ryan!- rimproverò lei allontanandolo. Dopo aver constatato che il ragazzo non sortiva effetti negativi in sua presenza, Dafne si sentì libera di agire con tranquillità  -Perché stai bene?
Sgomento Ryan restò in ginocchio a terra a fissarla: -Siamo passati dal lacrimevole, oh mio Dio Ryan stai bene? Al dissacrante, perché stai bene?-  le fece l’imitazione esagerata.
-Che hai capito? Sono contenta che tu stia bene-  si corresse Dafne  -Ma non è mai accaduta una cosa del genere.
-Io sono quello delle prime volte, non ricordi?-  disse scherzoso -Il primo ragazzo incontrato al di fuori del campo in cui vivevi. Il primo ad averti fornito il primo abbigliamento decente …- elencò Ryan, facendo riferimento all’abito decisamente poco avvenente di lei.
-Va bene, va bene!-  lo trattenne
-Forse sono diventato immune-  disse Ryan più serio  -La notte in qui mio padre si è risvegliato, ho controllato sul calendario, quella era una notte di luna nuova, per questo eri … insomma … normale?
-Si ma, comunque non spiega il perché tu riesca a restare in mia presenza senza danno. Essere immune non vuol dire questo!-  spiegò Dafne osservandolo -Essere immune vuol dire non svenire in mia presenza, non dovresti comunque essere in grado di parlare con me tranquillamente, io non dovrei essere così … malleabile e controllata.
-In fondo, tolto l’aspetto e il freddo … sei sempre la mia Dafne!-  disse Ryan senza pensarci su due volte
-La tua Dafne?-  domandò lei, dimostrando di poter mostrare un’espressione stupita.
-Hai capito!-  tagliò corto lui, cercando di dare meno importanza alle parole appena pronunciate.
-Forse perché il mio istinto mi spingeva a difendermi … invece adesso … - disse lei pensosa
-Adesso?
- … mi sento al sicuro!
Si sente al sicuro in mia presenza? In compagnia dell’unico ragazzo conosciuto dopo le numerose difficoltà incontrate, poco più che uno sconosciuto. Del ragazzo che non era stato capace di proteggerla, cacciandola addirittura via dall’unico luogo sicuro.
-A cosa stai pensando?-  chiese Dafne osservando il viso preoccupato di Ryan
-Ho mandato la polizia dai Brown, per cercarti. Loro sanno che sono stato io a richiedere il controllo-  disse Ryan
-Lo so!- rispose Dafne permissiva  -Per questo ho deciso di tornare.
-Cosa? Vuoi dire che sei sempre stata qui?-  disse Ryan sconvolto
-Avevo previsto l’opportunità di restare in incognito ma, quando ho visto che non lasciavi perdere questa storia, ho stabilito di riapparire-  alzò il tono Dafne  -Dovevi lasciar perdere. Dimenticarti di tutto.
-Non ci posso credere!-  sbuffò Ryan alzandosi in piedi  -Bella gratitudine!
-Il patto ormai era terminato. Te l’ho lasciato scritto nella lettera.
-Sei scomparsa all’improvviso, non sapevo se eri finita la dentro o chissà dove-  disse Ryan indicando nella direzione di casa Brown.
-Non ti avevo chiesto aiuto!-  disse seccata la pallida Dafne.
Come un dejà vu, passò davanti agli occhi di Ryan la conversazione a telefono con Henry: “… dopo questa non ho intenzione di prendere ancora le tue parti” - “Non ti ho mai chiesto di farlo!”
La sua risposta aveva lo stesso scopo.
-Saresti tornata per impedirmi di insistere-  disse Ryan guardandola dall’alto –tuo fratello sta per finire nelle loro grinfie, non era quello che volevi evitare?
-Si … ma da sola, senza coinvolgerti-  alzò lo sguardo  -Avevo solo bisogno di un rifugio sicuro per un po’, senza metterti nei guai.
Ryan sbuffò camminando sul posto:
-Saranno anche guai che non ho cercato-  disse dandogli le spalle  -ma non posso far finta di niente.
-Perché? Tu stesso hai detto che non ti fregava niente di nessuno, vivevi la tua vita per conto tuo, come veniva … il mio, non è il tuo mondo!-  aggiunse diretta Dafne
-Come sarebbe adire, non è il mio mondo?-  chiese Ryan voltandosi nuovamente verso di lei, ancora seduta per terra. Probabilmente non era in grado di reggersi in piedi.
-Non hai mai avuto a che fare con cose di questo genere, ne eri all’oscuro come tantissimi altri-  spiegò la ragazza a volto chino.
-Però sei venuta qui
-Non avevo altra scelta
-Perché non ti ho visto per tutto questo tempo? Cosa vuol dire che hai stabilito di riapparire?-  domandò Ryan gesticolando.
Dafne non credeva che Ryan avesse posto attenzione ad ogni sua parola, ormai mentire avrebbe solo peggiorato le cose. Vista la buona reazione del giovane, in presenza della sua doppia personalità, Dafne si sentì libera di raccontare le sue azioni. Per quanto le fosse difficile ammetterlo, la situazione le stava sfuggendo di mano, sentendosi costretta ad accettare l’aiuto del ragazzo, che la studiava con occhi pieni di mille sentimenti, esclusa la paura.
*.*.*.
Cosa era cambiato nella vita di Dafne, nel momento in cui prese a vivere con suo zio?
Al di là del luogo e della quantità di persone, un cambiamento era in cima a qualunque altro.
Dafne per gli studiosi era un oggetto da esaminare, trattata con riserbo, talvolta anche con affetto, quasi fosse stata la piccolina a qui tutti offrono mille attenzioni. Alcune di quelle attenzioni però divenivano pericolose per la sua incolumità. Cercando un profitto decisamente differente dello zietto Dominique, gli studiosi in divisa militare con cui la ragazza era cresciuta, compirono degli esperimenti di diversa entità, per meglio comprendere come quel suo potere potesse giovare ed essere sfruttato.
Il problema del pericolo nelle notti luna piena, fu associato alla sola vista della ragazza. Per evitare che facesse del male, se pur involontariamente agli addetti, fu studiato un metodo che potesse far apparire Dafne nelle sue normali condizioni, anche nelle ore notturne, così da evitare che facesse male il sol vederla da vicino.
Da soprannaturale, avrebbe dovuto diventare invisibile ma qualcosa andò storto. Come per ogni cosa messa in atto per la prima volta, senza precedente esperienza, il risultato dell’esperimento ebbe una conclusione differente da quella attesa.
Dafne risultava invisibile agli occhi di chi la guardava di giorno, mentre durante la notte poteva essere vista da chiunque. Una sola persona poteva vederla durante il giorno, quell’individuo poteva essere chiunque, bastava solo farsi vedere per primi al suo risveglio il mattino dopo una trasformazione, che si trattasse di un periodo di luna crescente, piena o calante. Quanto riguardava la luna nuova, era ancora in fase di studio quando fu portata via con l’inganno. L’unica cosa che potevano constatare senza difficoltà, era la piena normalità della ragazza in quelle notti senza luna, quando Dafne poteva approfittare di una lunga nottata di sonno senza paura, tensioni e trasformazioni, fingendo come in un sogno ad occhi aperti di essere una ragazza come tutte le altre.
 
Dominique Dark, in incognito all’interno del campo di ricerca, fornì alla ragazza informazioni attraverso delle lettere, suggerendole come comportarsi in alcune situazioni: come evitare di essere vista anche da quella prima persona osservata al risveglio; come farsi vedere da più persone; come resistere ad alcuni esperimenti, insegnandole come mandare in tilt alcuni macchinari a cui veniva collegata durante lo studio delle sue reazioni, manipolando l’elettricità; tante piccole informazioni dalle meno alle più utili e allettanti, informazioni che l’uomo misterioso delle lettere le forniva gratuitamente, l’uomo che sapeva più degli studiosi e le diceva come fosse difficile e pericoloso, restare in incognito in quel campo, facendo sentire Dafne sempre più grata nei suoi confronti.
Un giorno le arrivò una lettera a lei cara, perché sprigionava una speranza che non aveva mai osato sfoderare; le era sempre stato spiegato che non aveva alcuna speranza di vita al di fuori di quello che era un rifugio e non una gabbia, l’uomo delle lettere invece le spiegava che poteva vivere fuori da quel campo di ricerche, nel mondo vero, grazie ad una guida che comprendesse le sue difficoltà, che le insegnasse il modo giusto di affrontare la sua natura senza annullarla ma, comprendendola, in modo da renderla governabile. Quell’uomo si metteva a disposizione per aiutarla, in più di un’occasione aveva dimostrato di comprenderla, anche se a suo sapere, non l’aveva mai vista. Spiegava finalmente il perché sapeva così tanto di lei: era un suo parente, a conoscenza delle abitudini, tradizioni e gestione dell’eredità della sua famiglia: la famiglia Dark.
Descrisse su un foglio precedentemente bianco, prezioso come l’oro per Dafne, quanto fosse importante per un Dark avere una giusta istruzione da parte dei suoi famigliari, unici a poterle insegnare come controllare il suo potere. A detta del suo interlocutore misterioso, la grande sfortuna della ragazza era l’essere finita nelle mani di estranei, dopo la tragica morte dei genitori, non avendo una giusta guida, la sua doppia personalità aveva preso il sopravvento.
Anche se erano informazioni di cui Dafne non era a conoscenza in precedenza, sentiva in cuor suo che si trattava della verità, fidandosi ciecamente di quelle parole, lette e rilette con avidità in modo da imprimerle nella sua memoria, visto che l’uomo nei suoi post scriptum, la pregava di distruggere le lettere una volta lette.
Dominique era in realtà sincero, tutto ciò che le scriveva era la pura verità ma, una persona non ha per forza bisogno di menzogne per tradire, con lo scopo di raggiungere i propri interessi.
Vi era un piccolo oggetto, dal quale scaturiva il potere. Chiunque l’avesse visto non gli avrebbe dato la giusta importanza, se non un Dark, perché quell’oggetto portava alla persona che lo indossava potenzialità inimmaginabili. L’eredità di cui si parlava dunque, non era in denaro ma, consisteva in quell’unico pendaglio freddo come il ghiaccio, intagliato a formare una singola foglia di alloro.
Dafne per suo zio, era una risorsa da spremere, in modo che l’oggetto tramandato di generazione in generazione dalla famiglia Dark, passato al defunto padre della ragazza e poi a lei per ordine di successione, passasse finalmente a lui: Dominique, da sempre invidioso del fratello maggiore a causa di quel magico oggetto, acquisito per il sol fatto di essere nato esattamente un anno prima di lui, vedeva come unico scopo nella vita prendere possesso della piccola foglia che l’avrebbe reso il nuovo custode di essa.
Un solo anno creava una notevole differenza tra i due per termini di importanza, all’interno della gerarchia di famiglia. Nonostante Dominique fosse il minore, fu istruito anch’esso sul funzionamento dell’amuleto che il loro padre chiamava: “talismano dell’Alloro”.
I due fratelli dal carattere opposto, una volta cresciuti si separarono, i loro rapporti non erano mai stati dei più rosei. Anni passarono prima che si rincontrassero, tanto che Dominique, non sapeva nulla sulla vita privata del fratello tanto odiato.
Era una notte di luna nuova quando lo uccise, come appreso dai vecchi insegnamenti, Dominique sapeva che non correva pericolo nell’attaccare il custode in quella notte buia. L’amuleto però non era con lui, lo cercò ovunque nella sua casa ma, l’unica cosa che trovò fu una giovane donna in lacrime chiusa in bagno dall’esterno; prevedendo il pericolo, il fratello aveva chiuso quella che doveva essere la sua ragazza nella stanza, per evitare che intervenisse tra i due, non sapendo che così facendo l’aveva messa in trappola.
La ragazza non forniva indizi, ad ogni domanda postale rispondeva con un insulto, anche dopo essere stata minacciata gravemente continuava a tacere. Che avesse davvero informazioni o meno, vedendo l’inutilità della donna, Dominique le tolse la vita, costringendolo a procedere con le indagini, senza alcuna informazione utile alle ricerche della foglia di ghiaccio perenne.
Come da regolamento della famiglia, un custode non può assolutamente abbandonare l’amuleto, se esso non era al collo dell’uomo, ne presente in casa, doveva averlo già tramandato alla generazione successiva, anche se non vi erano bambini in casa.
Dopo alcuni mesi e diverse ricerche, Dominique scoprì che la donna nascosta in bagno, era sposata con suo fratello e che i due avevano due figli lasciati in adozione, uno dei quali risultava disperso. L’amuleto doveva essere sicuramente col maggiore, non aveva alcun nome o data di nascita sulle quali indagare, dopo non poco tempo e fatica trovò Lauren, in un orfanotrofio di una cittadina americana piuttosto mediocre.
Solo dopo aver tentato di ucciderlo scoprì che l’amuleto non era con lui. Il bambino non dava segni di miglioramento e non ricordava nulla della sua famiglia. Così Dominique partì alla ricerca del primo figlio. Unica cosa a tranquillizzarlo erano le gravi condizioni di Lauren, quando sarebbe arrivato a mettere le mani sul primogenito, alla sua morte la pietra sarebbe passata direttamente a lui.
Se pur l’uomo non fosse il custode, era comunque un discendente Dark e questo lo rendeva capace di intercettare un membro della sua famiglia, in particolar modo il custode. Se si fosse avvicinato ad esso, avrebbe potuto riconoscerlo, capace persino di sentire il battito del suo cuore nelle notti di luna piena, quando la pietra costringeva il suo custode ad un completo mutamento.
*.*.*.
Passarono altri anni e l’unica notizia che venne alla luce, dopo diversi tentativi di contatto, portarono ad una congrega di scienziati militari sotto il controllo del governo. Riuscì ad infiltrarsi grazie ad una sudata raccomandazione, acquisita grazie ad una bella ragazza dal carattere malleabile, figlia di un pezzo grosso. La ragazza di nome Beatrix si invaghì perdutamente di lui, tanto da renderla ceca, non vedendo le maniere subdole del suo falso innamorato. La convinse a fare qualunque cosa pur di raggiunge i suoi scopi. Se pur complice non la mise mai a conoscenza della piena verità sulla sua famiglia. Le questioni dei Dark non erano mai uscite dalla cerchia di consanguinei.
Le cose però stavano cambiando. Adesso c’era un estraneo che aveva conquistato, ciò che le tradizioni tramandate non narravano. Come un ladro maldestro, Ryan aveva rapito l’attenzione di entrambe le personalità dell’attuale custode, dando vita ad una alternativa.
-A pochi metri c’è l’unica persona che ti troverebbe anche in capo al mondo-  disse Ryan deglutendo –e tu, te ne sei stata tranquilla qui, per tutto questo tempo?
-Sono al sicuro!-  disse tranquilla la pallida creatura  -Come uno stupido è stato proprio mio zio ad insegnarmi a sfuggire ai nemici.
-Nelle lettere?
-Già!-   sorrise lei  -Altrimenti non pensi che mi avrebbe già trovato? Ero io a mandare in tilt la centralina elettrica per distrarli, purtroppo non so ben controllare le mie capacità, ed ho mandato fuori uso per un po’, anche il tuo sistema elettrico-  si scusò la ragazza. Mentre Ryan non riusciva a non sorridere, una parte di se era tentata dal prenderla a schiaffi, se solo gli avesse detto tutto fin dall’inizio, tutto sarebbe stato più semplice.
-Hai detto che solo la persona su cui posi lo sguardo appena sveglia può vederti di giorno, per questo Chris non ti trovava, per questo sono stato scambiato per un matto-  disse Ryan con astio -in questi giorni mi passavi d’avanti agli occhi senza che ti potessi vedere?
-No! Aspettavo che tu uscissi per … attingere dal tuo frigo-  rispose Dafne senza mezzi termini
-Ah!-  sospirò Ryan cercando di nascondere il risentimento  -E se qualcuno t’avesse visto?
Dafne lo fermò con un semplice gesto della mano: -Nessuno mi ha visto in questo periodo, se non la tua falena
-Per questo me l’hai fatta catturare? Come fai?
-È uno dei trucchi che Dominique mi ha insegnato: se guardo un’animale notturno al mio risveglio, vale come se vedessi una persona-  spiegò come se non vedesse l’ora, di liberarsi di un segreto mantenuto a lungo.
-E lui? Se è immune come mai non ti ha trovato?-  disse Ryan frettoloso  -non voglio che ti trovi …. ma …
-Quello è un altro trucco-  disse mostrando a Ryan un sacchetto che portava legato alla cintola.
-Cos’è?- domandò Ryan, dando sfogo alle fantasie più disparate, immaginando chissà quale arma magica all’interno del fagotto in stoffa verde scuro.
-Semi!-  rispose Dafne orgogliosa, versandone alcuni sul palmo della mano.
-Semi? Solo, semplici … semi?!-  chiese deluso Ryan
-Cosa ti aspettavi?-  domandò Dafne
-Qualcosa di più eclatante, vista la storia che mi hai appena raccontato-  disse Ryan cercando di non offenderla -Come intendi difenderti con quelli?
-Sono piantati intorno a tutta la casa. Il loro profumo tiene lontano Dominique, rendendogli impossibile trovarmi sia di giorno che di notte-  spiegò Dafne accoccolandosi ai piedi del sofà -Sono semi dalla pianta Daphne di maggio. Una piccola pianta dalle lunghe foglie sottili e piccoli fiori rossi e bianchi, velenosa in ogni sua parte anche se molto bella.
-Farai un infuso per avvelenarli?- domando Ryan scettico
-Servono solo per copertura. Non ho intenzione di ucciderli-  replicò lei
Incredulo Ryan la osservò con attenzione, ormai aveva completamente dimenticato di trovarsi dinanzi ad una creatura soprannaturale, notando il suo comportamento, ignorando il suo aspetto.
-Vuoi dirmi che non vorresti fargliela pagare?
-Ma non con la stessa moneta con cui lui agisce-  rispose Dafne seria  -Non voglio diventare un’assassina.
Chi era la creatura orribile adesso? Colui che va avanti spintonando tutto e tutti, pur di raggiungere il suo desiderio malato o chi con rammarico, lotta per la propria libertà, soffrendo per i propri sbagli, ingiustificati e giusti allo stesso tempo. Ingiustificati per via del suo limitato autocontrollo, giusti perché gli attacchi più violenti avvenivano sempre per legittima difesa.
Dafne si riteneva un mostro, sapeva che quel fardello era destinato a lei, lasciarlo a suo zio sarebbe stata una liberazione, sapeva però che non poteva permetterselo. L’uomo che tanto desiderava il motivo della sua pena, avrebbe puto essere capace di controllare l’amuleto in modo più esatto, sfruttando le sue numerose conoscenze ma, l’avrebbe utilizzato nel modo peggiore, a meno che, l’amuleto non lo avrebbe punito per i suoi atti sconsiderati. Di questo però, Dafne non poteva averne la certezza.
 
Dopo le parole udite, Ryan ricordò cosa Beatrix gli disse quel pomeriggio. Discorsi apparentemente superflui, adesso prendevano importanza.
-Beatrix mi ha detto che aveva capito dove fossi nascosta-  disse Ryan con lo sguardo perso nel vuoto.
-Forse si stava solo pavoneggiando. Se sapeva, perché non l’ha detto al suo compagno? Accetta e ubbidisce ad ogni suo comando-  disse Dafne disgustata quasi quando Beatrix, quando a sua volta parlava della ragazza.
-Possibile che Dominique, abbia insegnato a Beatrix a riconoscere le piantine di daphne?-  chiese Ryan, mentre a passo lento procedeva verso la porta di ingresso.
-Non lo so … non ha mai rivelato molto a sua moglie-  disse Dafne per nulla preoccupata. Era evidente che sottovalutasse Beatrix, ed il suo ruolo nella vicenda.
-Beatrix non ha informato Dominique volutamente. Non voleva che ti ritrovasse, mi ha detto di non aver detto niente sulle piantine. Ora capisco a cosa si riferiva-  fece il punto della situazione Ryan
-Perché dovrebbe andare contro la persona che più ama per proteggermi?-  chiese giustamente Dafne
-Proprio perché lo ama. Collega la tua presenza alla sua collera-  disse Ryan con la mano sulla maniglia –Resta qui e non ti muovere!
-Dove stai andando?
-A controllare se le piantine ci siano ancora.
Sebbene non avesse mai visto quei piccoli fiori, Ryan gli identifico quasi immediatamente: piccole piantine dai tronchi ricchi di corteccia nonostante la loro magrezza, mostravano le radici al di fuori del terreno, non vi erano fiori rossi ad arricchire quei rami, ma piccoli boccioli secchi del colore del legno,.
Ryan controllò intorno alla casa, le uniche piante sradicate erano quelle sul lato della casa che affacciava ai Brown, piante messe in modo più disordinato per evidente fretta, erano state viste da Beatrix e fatte fuori.
-Hanno sradicato alcune piante, a giudicare dall’aspetto da minimo un giorno-  disse Ryan una volta rientrato. Dafne si destò lentamente –Cosa vuoi fare? Uscire adesso! Sei matta?
-Stai dando della matta ad una creatura dalle potenzialità pericolose!-  disse seriosa lei guardandolo dritto negli occhi, senza sortire la minima paura nel ragazzo.
-Se anche tre piantine sulla stessa linea sono morte, non ci vorrà molto prima che Dominique senta la mia presenza qui, ora che è notte e sono trasformata-  disse Dafne arricciando il naso in una smorfia.
-Perché non mi hai informato prima? Avrei controllato, le avrei piantate io …
-Se le avessi piantate tu, sarebbero nate semplici piante, senza alcun potere
-Vuoi dire che non posso fare niente?- disse Ryan in modo frettoloso. Adesso ogni secondo era prezioso.
Dafne gli si avvicinò con passo leggermente fluttuante, la sua chioma una volta lunga ed i suoi abiti stracciati, fluttuavano come fosse immersa in un’acqua inconsistente.
-So che me ne pentirò ma, una cosa puoi fare-  disse al ragazzo.
-Sei ancora gelata, perché hai lasciato andare la coperta?-  le strinse le mani come a volerle riscaldare  -E per via dell’amuleto di ghiaccio di cui parlavi?
Senza lasciare le sue mani, Dafne si inginocchiò costringendo Ryan a fare lo stesso.
-È formata da una specie di brina, come quella che si forma sulle foglie al mattino dopo una giornata di pioggia-  spiegò Dafne con aria austera, mentre tirava fuori dal vestito una lunga catenina.
-La brina non si solidifica-  disse Ryan, tutt’a un tratto si sentiva un bambino al quale viene spiegato qualcosa di elementare. Le labbra di Dafne si piegarono in un sorriso ma, i suoi occhi restavano tristi.
-Ti chiedi ancora come possano avvenire cose incomprensibili?-  disse retorica, mostrando a Ryan la piccola foglia illuminata di luce propria. La fece scorrere fuori dalla catenina, porgendola al ragazzo tenendola con entrambe le mani, come se fosse più pesante di quel che era.
-Appare così fragile, non parla ma si fa comprendere-  disse senza pensarci su Ryan osservando l’amuleto.
-Sapevo che avresti capito l’amuleto, come hai compreso me-  disse Dafne lentamente, quasi a non voler disturbare il prezioso oggetto che, cambiava intensità in base alle sue parole  -Non te lo sto solo mostrando. Ricorda che l’amuleto è dotato di vita propria, dovrai trattarlo come fosse una vita preziosa nelle tue mani.
-Eih!-  Si alzò di scatto Ryan  -Cosa intendi dire?
-So che non ti farebbe del male Ryan. Dovrai solo custodirla per un po’ al posto mio, solo un temporaneo sostituto del guardiano-  disse Dafne come fosse la cosa più ovvia.
-Io non sono nessuno. Non sono un Dark. Come fai a sapere che la pietra non si … arrabbierà?-  disse incerto Ryan.
Ridendo di gusto alla battuta del ragazzo, Dafne gli fece segno di risedersi acconto a lei.
-Non serve essere un Dark, se la pietra accetta il tuo spirito, sei adatto- spiegò Dafne -Anche tu la comprendi. Si vede!
-Il fatto che non dai di matto in mia presenza, vuol dire che la pietra mi accetta?-  disse Ryan incapace di star fermo.
-Il fatto che non mi sia ancora arrabbiata per il tuo linguaggio, ne è una dimostrazione più che sufficiente!-  rispose Dafne risentita ma tranquilla  -Allora? Il tempo stringe.
Per un secondo Ryan aveva dimenticato Dominique, e il rischio che la ragazza correva a restare li con lui.
-Vogliamo proprio ignorare il divano vedo- disse arrendevole il ragazzo, sedendosi in terra accanto a lei -Dove andrai dopo?
-Ho un mio rifugio nel piccolo bosco alle spalle della tua abitazione-  rispose Dafne allargando lo sguardo  -Mi sono creata un piccolo sentiero di daphne di maggio nei giorni in cui sono stata qui, in modo che fosse un rifugio sicuro, l’ho trovato per caso, un piccolo ripostiglio di campagna sotterrato per metà, vi ho trovato all’interno persino delle armi.
-Hai intenzione di usarle?
-Ti ho detto che non voglio diventare un’assassina-  insistette Dafne  -ora devo andare, ho ancora poco tempo per fare ciò che va fatto.
-Dominique e il suo maledetto sesto senso dove lo mettiamo?- chiese Ryan intimorito dall’importanza che la ragazza vedeva nella sua figura e, che lui non riusciva a vedere in se stesso.
-È legato alla pietra, non mi troverà se essa rimane qui e, non troverà te perché non sei un Dark-  spiegò Dafne paziente. Portò le mani al collo di lui, sfilandogli la catenina metallica che indossava. Fece passare sotto i suoi occhi increduli, il piccolo amuleto attraverso la catenina, facendola adagiare accanto alla medaglietta metallica con le sue iniziali –Sii forte Ryan Omalley perché lo sei!-  bisbigliò al suo orecchio, posandogli nei palmi delle mani il pendaglio, in modo che potesse indossarlo. In quel momento la luce della pietra si affievolì come morente. Ryan sfilò la medaglietta prima di rindossare la catenina, per un attimo Dafne temette che gli stesse restituendo l’amuleto.
-Posso?-  chiese il ragazzo e, senza attendere una risposta si sporse verso di lei, sfilandole dalla testa la lunga catenina più splendente e preziosa della sua. La aprì e ci fece passare la sua piastrina metallica. Dafne lo lasciò fare senza timore, quando si sporse nuovamente per sistemargli la lunga catenina, ospitante un diverso pendaglio rispetto al solito -So che non vale niente ma …
Dafne fermò le sue mani e la sua voce: -Per me vale, questo lo rende prezioso!- si avvicinò al suo viso e gli baciò la guancia. Ryan non poté non notare il cambiamento della ragazza che, cominciava ad acquistare un aspetto più umano. Senza fiatare il ragazzo sistemò la piccola foglia cadente sul petto, all’altezza del cuore, ed essa riprese pian piano a splendere.
-Tienilo sempre qui-  disse Dafne poggiandogli la mano sul petto  -ha bisogno di sentire il battito del tuo cuore per sopravvivere.
-Non mi trasformerò vero?-  chiese Ryan fissando il piccolo oggetto, come potesse esplodere da un momento all’altro.
-Ti prometto che non ti farà del male-  sorrise Dafne. Il sorriso semplice e umano che tanto piaceva a Ryan  -Diciamo che la pietra in questo momento è in standby. Se trovi difficoltà, l’alcol e la musica classica possono essere d’aiuto-  disse Dafne, destandosi come una normalissima ragazza di diciassette anni qual’era.
-Alcol?- chiese Ryan restando seduto per terra 
-Aiuta a contenere i danni della trasformazione. Anche se in minima parte … può ritenersi utile-  aggiunse lei facendo passetti frettolosi sul posto.
-Allora hai bevuto tu, tutta quella birra?-  chiese Ryan stupefatto, rimettendo finalmente apposto anche i più piccoli tasselli che componevano i dubbi passati.
-La birra te la sconsiglio … ci vuole qualcosa di più forte. Il brandy di Dominique faceva più effetto.-  disse lei come fosse la cosa più naturale di questo mondo, mentre Ryan continuava a fissarsi, nel cercare possibili cambiamenti.
Dafne si diresse nella piccola cucina, il ragazzo la raggiunse prima che lei potesse arrivare alla porta sul retro:
-Non andare via di nuovo!-  le disse, ricordando una implorazione non voluta  -Sembrerò un moccioso impaurito ma, non è così. La fiducia adesso non basta, hai davvero intenzione di restare da sola? Per quanto tempo …?
-Avverrà tutto a tempo debito-  rispose la ragazza con un sorriso rassicurante
-Come farò a ritrovarti?
Dafne sviava dal suo sguardo come avesse paura di vacillare, e decidere di restare li con lui ma, ogni minuto che passava diventava sempre più rischioso, doveva allontanare la sua persona dalla pietra, se non voleva rovinare tutto.
-Quando arriverà il momento, basterà seguire il sentiero di Daphne. Il rifugio non è molto distante, è ad esattamente centosette passi dall’inizio del boschetto, a venti passi da qui-  disse Dafne sospirando.
-Hai contato i passi?- disse Ryan cercando quello sguardo dal quale lei sfuggiva.
-Nel caso avessi voluto farmi vedere da te di giorno, dopo il mio risveglio. Dovevo sapere quanti passi fare ad occhi chiusi per raggiungerti!
Finalmente gli occhi della ragazza si posarono su di lui, attirati dalla luce emanata dalla pietra che, con il suo risplendere, indicava a Dafne lo stato d’animo che Ryan non era ancora in grado di riconoscere.
-Che succede?- chiese Ryan allarmato, prendendo la piccola foglia tra le mani.
-Non è niente!-  accennò un sorriso la ragazza -La pietra percepisce i tuoi sentimenti.
-Come fai ad essere così tranquilla? Come fai a sapere che questo è davvero il tuo destino?-  domandò Ryan, in un ultimo magro tentativo di trattenerla li con se.
-La prospettiva di una persona può cambiare le cose Ryan-  disse la ragazza, facendo scivolare la sue mani lungo gli avambracci di lui  -Guarda avanti, cosa vedi di fronte a te?
Ryan la fissò a bocca aperta: -Vedo te!-  rispose di getto, e quando le mani di Dafne arrivarono alle sue, le strinse tirandola a se, baciandola senza preavviso, non più un casto bacio sulla fronte, ne a fior di labbra ma, un bacio profondo, dal quale Dafne non si scostò, chiedendo un rimborso di duecento dollari per mancato preavviso.
*.*.*.*.*.*.*.
Salve! :) Vi è piaciuta la sorpresa dal tocco romantico?
Vi faccio delle piccole anticipazioni riguardanti il prossimo capitolo: ci saranno litigi, nuove scoperte e ritrovate domande, ma soprattutto un colpo di scena che mescolerà le carte in tavola, prima del finale sempre più vicino …. Non vi dico di più :)
A martedì prossimo
Vostra Missdream!

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Capitolo 8
*** Cuore in standby ***


Capitolo 8
                        Cuore in standby

                                      
 
Il mondo che mi circonda ora si spacca in due.
La ragione logica da una parte, mentre dall’altra ci sei tu ed il tuo essere contro corrente.
 
Camminavo un tempo, ed ora tu mi chiedi di fermarmi, indugiare,
senza sapere cosa attendere ti aspetto ancora una volta, con impazienza.
Attendo senza risposte e senza scopo,
chiedendomi se vali davvero così tanto.
 
Sono di fronte allo spacco.
Sono di fronte al tempo che passa inesorabile.
Di fronte a me solo dubbi e domande, alle quali nessuno risponde
quei nessuno che accusano le mie fantomatiche allusioni,
eppure continuo a seguire la mia fede.
 
Non posso dare la colpa al destino
perché non esiste,
ciò che ho di fronte, parte solo in direzione della mia spinta.
Io decido cosa fare di me, anche se
adesso cammino da fermo, senza spegnermi.
Resto in standby
In attesa che accada qualcosa,
mentre il resto si muove intorno a me.
*.*.*.*.*.*.*.
 
La lasciò andare, senza aggiungere altro, la seguì solo con lo sguardo finché non fu più visibile.
Restando a fissare la radura oltre il suo giardino, Ryan ricordo la cosa più importante: non le aveva chiesto quali fossero i suoi piani, dal momento che ora era libera di agire, avendo lasciato a lui l’amuleto. Così concentrato sullo stupore generale, non le aveva fatto la domanda più ovvia, tra le mille domande che avrebbe voluto porgli, pur di trattenerla li con se.
Quanto avrebbe dovuto attendere prima di rincontrarla non lo sapeva, ne  sapeva cosa avrebbe dovuto fare con quella piccola foglia dalla luce sbiadita, ora che la sua autentica padrona era andata via.
 
La pietra sa che Ryan è una persona buona e lo accetta; la pietra sa come resistere al trambusto creato intorno a lei; la pietra sopravvive attraverso le generazioni; la pietra sa come sopravvivere senza la sua custode, basterà che senta il battito di un cuore giudicato adeguato allo scopo. La pietra pare essere più in gamba di me!  Pensava Ryan tastandola attraverso la canotta. Di certo “sa”, più di quanto io sia in grado di fare!
Nonostante la grande responsabilità riposta con fede nelle sue mani, Ryan continuava a sottovalutarsi. Forse anche per questo l’amuleto accettava il suo cuore; il cuore di un delinquente in erba, dotato di scrupoli e sentimenti nobili.
Si dice che chi è pazzo, lo è per la sua troppa intuizione ed intelligenza; forse sua madre era un genio, dimostrandosi tale anche nella scelta del nome del suo unico figlio; difatti il nome Ryan significava “piccolo re”.
–ƒ—*.*.*.
Dafne non aveva dato a Ryan altro incarico se non badare al suo prezioso amuleto di famiglia. Cosa stesse combinando nel frattempo restava un mistero.
L’ultima volta che Ryan se ne era stato con le mani in mano, stava causando più danni di quando decideva di agire. Ora che sapeva di non essere pazzo non poteva starsene li ad attendere buono il ritorno della ragazza. Avrebbe approfittato di quel periodo di standby per approfondire le sue conoscenze. Chiamò Chris, la sua occhialuta enciclopedia ambulante.
-Come mai tutta questa voglia di conoscenza?-  chiese l’amico scettico.
-Ho voglia di studiare!
-Se hai voglia di studiare perché non matematica? Così eviti la bocciatura agli esami di recupero! Perché vuoi che ti aiuti a studiare astronomia?-  fu affollato di domande Ryan
-Sei mio padre? Complimenti! Ti mantieni perfettamente, o sono io che sembro decisamente più vecchio-  rispose scherzosamente Ryan
-L’ultima volta che mi hai chiesto di incontrarci in biblioteca, era per parlare delle tue … ricerche sui Brown-  aggiunse Chris a bassa voce -Adesso cosa c’è sotto?
-Voglio saperne di più sul ciclo lunare- rispose Ryan godendosi il sole estivo.
-La luna è il satellite naturale del nostro pianeta. Ruota intorno alla terra, che a sua volta ruota attorno al sole …- spiegò Chris con aria professionale, tirando un calcio ad un sassolino lungo la via.
-Questo non mi interessa. Voglio che mi parli della luna piena-  lo interruppe Ryan
-Visto che vuoi queste informazioni per uno scopo preciso?!-  domanda Chris strattonando l’amico per al manica.
-Ti ho già detto che è per scopo informativo!
Ryan aveva raccontato in passato ciò che provava, le numerose perplessità che invadevano i suoi pensieri da maggio. Aveva anche riferito all’amico molti particolari riguardanti Dafne ma non gli disse nulla sull’amuleto, ne di ciò che era accaduto qualche sera prima in casa sua, quando Dafne era ricomparsa. La fedeltà riposta nel mantenere un segreto, erano più forti della voglia di soddisfazione. Forse un giorno avrebbe potuto raccontare tutto a Chris ma, non in quel momento.
Arreso Chris decise di raccontare all’amico ciò che sapeva sulle così dette fasi lunari, senza apporre altre domande. Raccontò di quattro fasi ben identificate: la fase di luna nuova, altrimenti detta novilunio; primo quarto; luna piena o plenilunio e l’ultimo quarto. Al novilunio, la faccia della luna è a noi invisibile perché oscurata, rendendosi visibile invece nel periodo di plenilunio. Entrambi gli avvenimenti avvengono per una o due notti consecutive ogni ciclo lunare che, a sua volta avviene ogni venticinque/trenta giorni. Nel mezzo vi sono le notti chiamate “falce di luna”, andando verso la luna piena vi sono le notti di luna crescente, verso la luna nuova le notti di luna calante.
-Di Dafne nessuna notizia?-  domandò Chris che smise una volta per tutte, di ignorare i veri motivi di tutta quella curiosità da parte dell’amico.
-Non so cosa abbia in mente ma, ho il diritto e il dovere di aiutarla-  rispose Ryan senza dare maggiori informazioni.
-Chi ti da questa responsabilità?-  domandò Chris spazientito  -Perché non lasci perdere e basta?
-Dafne esiste!
-Lo so!
Ryan sospirò impaziente senza sapere cosa aggiungere. Chris non gli avrebbe mai detto una cosa simile se non ci avesse creduto sul serio.
-Se ci credi perché ti sembra strano che voglia aiutarla?-  domandò senza perderlo di vista
-La situazione non porta a nulla di buono. Questa ragazza, ho la netta sensazione si stia approfittando di te-  disse Chris più serio che mai  -Mandala a quel paese e dille di sbrigarsela da se.
-Non eri tu a dire di dovermi impegnare in qualcosa?
-Ma Ryan?!-  lo riprese Chris –Tu non conosci le mezze misure. Questa ragazza adesso dov’è? Scommetto che stai facendo tutto tu, senza il suo aiuto.
Chris non sapeva tutta la verità ma, in qualche modo aveva colto nel segno. Dafne stava mandando avanti un piano tenendolo all’oscuro, quali altri segreti doveva tirarle fuori con la forza? Alla prossima occasione avrebbe preteso spiegazioni ma, quando ci sarebbe stata un’altra occasione? Solo due volte al mese, facevano si che le cose potessero avere una svolta. Luglio era alle porte, da calendario allo scadere della prima settimana ci sarebbero state due notti di luna nuova, il momento perfetto per attendere mutamenti, ed agire di conseguenza.
                                                                                                                                        4 ˞ۥ Luglio ˞ 1997
Era notte, qualcuno festeggiava il quattro luglio sfoggiando fuochi pirotecnici acquistati per l’occasione e qualcun altro dormiva, fregandosene delle tradizioni. Uno di questi ultimi era Ryan Omalley che, come un anziano sul divano di fronte alla tv, prese sonno alla prima pubblicità, troppo stanco anche solo per arrivare alla mezzanotte.
Una telefonata stranamente lo svegliò, benché i botti di festeggiamento non fossero riusciti nell’intento.
La chiamata proveniva dall’ospedale, suo padre si era risvegliato; evento tanto inatteso e senza alcuna spiegazione, tanto da spingere i medici ad avvisare l’unico parente.
In modo più che cortese Ryan ringraziò i medici per il loro lavoro, annunciando di non poterli raggiungere immediatamente, non avendo un mezzo a propria disposizione per raggiungere l’ospedale in piena notte. Sarebbe andato il mattino dopo in ospedale, anche se già sapeva che avrebbe trovato il padre nuovamente in stato vegetale; particolare che ebbe la buona creanza di non riferire ai dottori.
Si era entrati nel periodo di luna nuova quella notte e, come già accaduto in precedenza, gli atti della Dafne incantatrice che, volgarmente potevano essere chiamati incantesimi, perdevano il loro effetto. Al mattino l’uomo sarebbe tornato in uno stato semi comatoso, mandando in crisi professionale i medici già abbastanza esasperati, per le quantomeno strane circostanze sanitarie dell’uomo, alle cui reazioni non riuscivano a dare spiegazione logica.
Il ragazzo chiuse la chiamata sospirando, portando la mano al petto, abitudine che aveva preso da quando portava la piccola foglia al collo che non ritrovò al suo posto. Dopo un primo momento di incertezza i suoi movimenti divennero più veloci e agitati, per quanto cercasse la pietra non era li sul suo petto. La catenina che la reggeva era ancora chiusa, se anche qualcuno gliel’avesse sottratta, perché disturbarsi nel riallacciargli la catenina?
Corse alla porta per verificare che nessuno avesse fatto infrazione, porte e finestre erano perfettamente come le aveva lasciate: chiuse e  sbarrate.
La strana sensazione da quando portava la pietra addosso, come indossasse un abito prezioso non era svanita ma, l’angoscia di aver perso un oggetto importante non poteva non apparire.
Negli ultimi giorni si sentiva sempre più stanco, come se il suo corpo stesse subendo un mutamento. Più di una volta cercò di ignorare tale sensazione sempre più viva. Possibile che la pietra lo stesse accettando come suo nuovo custode?
Non vi erano precedenti nella storia dei Dark. Mai l’amuleto era passato in mani estranee alla loro discendenza, non vi erano precedenti che dimostrassero quello che gli stesse succedendo.
Il primo pensiero, la prima preoccupazione avrebbe dovuto rivolgerla a se stesso, al suo cambiamento ma, la domanda che ora lo tormentava era un’altra: Perché la pietra sentirebbe il bisogno di trovare un nuovo custode, se il vecchio è ancora in vita?
Ryan riportò alla mente l’ultima notte di luna nuova vissuta. Era la notte in cui Dafne andò via, sembrava essere passata un’eternità.
Quella notte la trovò dormiente nel letto di suo padre. “Unica notte in cui posso anche solo fingere di essere una ragazza normale” gli aveva detto lei. Unica notte in cui poteva dormire tranquilla, senza il timore di una trasformazione. In quelle notti cosa faceva la pietra senza luce lunare? Come la proteggeva Dafne, visto che sarebbe stata visibile a chiunque essendo notte?
Raggiunti tali pensieri, Ryan corse al piano superiore, per quanto la stanchezza nelle sue gambe glielo permettesse. Come prevedibile non c’era nessuno tra le stanze perlustrate, lasciò per ultimo il bagno, dove decise di chiudersi a chiave. Aprì la tendina della doccia, si sedette nella vasca da bagno, come a voler raccogliere i ricordi lasciati da Dafne nelle tante ore passate rannicchiata in quella vasca, come fosse un rifugio dove restare protetta, nel proteggere il resto del mondo dal suo potere, a causa del quale si giudicava un mostro. Ryan probabilmente le aveva fatto cambiare idea, quando le aveva dimostrato con la sua presenza di potersi controllare, anche nelle ore più critiche delle notti di plenilunio.
Quanto l’aveva criticata per le sue stranezze, per i suoi segreti … ora che anche lui, si avvicinava a quella realtà, non poteva far altro che comprenderla sempre più.
Ryan cadde nel sonno quasi immediatamente, come travolto da una stanchezza sia fisica che mentale dalla quale non poté sfuggire.
Le prime luci dell’alba lo svegliarono con un fremito di freddo, nonostante il termometro atmosferico indicasse un’alta temperatura, in una regione caratterizzata dall’afa in quella stagione. Un alito freddo pervase il suo petto, combattendo la sensazione di freddo Ryan andò a controllare il suo riflesso nello specchio sopra il lavandino. Cercò minuziosamente una qualche ciocca bianca ma, i suoi capelli con suo piacere erano impeccabilmente castani, come i suoi occhi verdi non erano mutati. La sensazione di freddo all’altezza dei polmoni però persisteva, che avesse preso un colpo d’aria?
Tastandosi il petto, al contrario della notte precedente, questa volta i polpastrelli trovarono la piccola foglia. Ryan la tirò fuori da sotto la polo. Era ghiacciata, e una piccolissima luce splendeva al suo interno pacifica, come a volerlo salutare.
Il ragazzo scosse la testa come a scacciare un pensiero errato, la sensazione che la pietra stesse comunicando con lui lo accompagnò tutto il giorno, anche in ospedale, dove non fu stupito nel trovare il padre nuovamente immobile in un letto, al contrario di quanto gli avevano riferito i medici la notte precedente.
Tornò a casa eludendo le domande di medici ed ex colleghi del padre. Stanco decise di dar retta alla pietra che diveniva sempre più fredda col passare delle ore, si sedette in terra in salotto, li dove la pietra gli era stata consegnata; la prese tra le mani senza sfilarsela dal collo e chiuse gli occhi in gesto di meditazione. Ci volle qualche minuto per far si che smettesse di sentirsi un imbecille, si alzò un paio di volte per controllare che le tende fossero ben chiuse, dopo un tempo imprecisato, riuscì finalmente a concentrarsi. Fece ciò che gli consigliò il cuore: chiamò a bassa voce il nome di Dafne, come se essa potesse rispondergli attraverso la pietra. Con suo rammarico, nell’oggetto di lei non c’era nulla, chiudendo gli occhi non riusciva a vedere altro che se stesso in quel piccolo amuleto che, pareva essersi dimenticato completamente di Dafne.
Preso dall’ansia e dalla paura, Ryan lasciò perdere avvertimenti e promesse, uscì fuori dalla sua abitazione, fuori dal suo recinto e cominciò a seguire il percorso delle piccole piantine dai bei fiori letali. Camminando si concentrò sul contare i propri passi. Non era ancora arrivato a contare centosette che il boschetto si fece più fitto, fu più difficile individuare le piantine di daphne, finche non fu più necessario seguirle.
Ryan trovò il piccolo rifugio di campagna, al di sotto di un grosso tronco cavo di una vecchia quercia. Un contadino di altri tempi ci aveva costruito un piccolo fortino, impreziosito e reso robusto da pietre incastonate a formare una copertura senza cemento ma, altrettanto sicuro e resistente. Inginocchiandosi Ryan entrò nel covo, scavato in parte nel terreno. Dall’esterno non appariva tanto grande quanto lo era all’interno, era comunque un luogo angusto ed inadatto al viverci. Dafne lo aveva arredato alla belle e meglio. Creando un piccolo tavolino di radici al centro, gli si poteva camminare intorno incurvandosi leggermente per la bassezza del tetto terroso, tenuto su da travi grezze e robuste.
Per terra era stato sparso del pagliericcio, creando un pavimento meno melmoso possibile. Negli angoli Dafne aveva posato delle pietre lisce dai diversi colori, sicuramente trovate nel bosco nei momenti di noia. Qua e la, la ragazza aveva piantato piccole daphne di maggio anche all’interno del suo rifugio. L’ingresso dall’interno, era addobbato da ghirlande ormai secche di rami di pino, due radici robuste che sbucavano dalle pareti, erano servite come appiglio, una per una piccola lampada ad olio dall’aspetto antico, mentre ad un’altra vi era appeso un sostegno in legno, tenuto alla meglio da un paio di vecchi lacci, sostenevano un barattolo in vetro con un tappo bucherellato, contenente la falena che Ryan le aveva catturato.
Quanto poteva vivere una falena? Probabilmente l’animale non era lo stesso da lui catturato. Il fatto che la tenesse li, dava l’idea che Dafne avesse un piano alternativo.
La falena però non si muoveva, ne aveva cibo nella sua piccola gabbia. Ryan la osservò da vicino, pur sapendo che Dafne se la sarebbe presa con lui, strappò via il coperchio per permettere alla bestiola di volare via ma, essa non si muoveva. Dopo aver agitato il barattolo in un vano tentativo di destarla, Ryan si rese conto che il fragile insetto era morto. Ad una visione più attenta notò che accanto al barattolo, vi era un sacchetto con del cibo destinato alla bestiola, nessuno l’aveva però rifocillata. Con orrore Ryan pensò ad una Dafne sempre presente in quei luoghi, che mai si sarebbe dimenticata di dar da mangiare alla falena, molto più importante di un semplice animale domestico. Lo stato del rifugio non faceva intuire da quando la ragazza fosse assente. Ryan prese a cercare tra le coperte lasciate nell’angolo più lontano dall’entrata, dove probabilmente la ragazza si poggiava per riposare, erano fredde ma pulite, senza traccia di terriccio caduto su di esse. La terra al di sotto era smossa, il ragazzo si mise a scavare. A pochi centimetri dalla superficie, trovò sepolto un involucro di vecchi stracci, contenenti due vecchi schioppi e un sacchetto di munizioni.
Ricordò vagamente quando Dafne gli raccontò di aver trovato delle armi all’interno del rifugio. Doveva averle tenute nascoste per ogni evenienza, anche se i due fucili, dall’aspetto, non promettevano una efficace funzionalità. Il fatto che non fossero state utilizzate tranquillizzò Ryan, che si sedette ai piedi del tavolinetto in radice, in modo da poter finalmente raddrizzare la schiena.
Attese in quel luogo a riflettere sino a sera, tenendo i bella vista sul suo petto l’amuleto per constatare anche il più piccolo cambiamento. Se Dafne fosse entrata nel rifugio, se anche i suoi occhi non avessero potuto vederla, l’amuleto gli avrebbe dimostrato al sua presenza in qualche modo, ne era certo.
Il sole calò, a quel punto Dafne avrebbe comunque dovuto essere visibile ma, non fece ritorno alla piccola povera casa, facendo salire le preoccupazioni di Ryan. Quando il sole calò del tutto l’amuleto cominciò a vibrare, Ryan non face in tempo a fermarla che la piccola foglia svanì dalle sue mani, trapassò la leggera stoffa della maglietta, ed entrò nel suo petto senza causargli alcun dolore. Quella notte, come la precedente sarebbe stata una notte di luna nuova, luna buia e invisibile nel cielo. La pietra durante la notte precedente non era svanita, era sempre stata li con lui. Suo malgrado Ryan comprese che l’amuleto, per auto proteggersi nelle notti in cui il suo custode non aveva alcun potere, si rifugiava nel suo petto, questo gli dava la piena conferma che, il magico oggetto lo stava mutando nel nuovo custode.
*.*.*.
Sconfitto Ryan uscì dal piccolo fortino. Non era ancora giorno, il solo pensiero di tornare a casa gli dava un senso maggiore di sconfitta. Decise così di vagare per quello spazio aperto, tante volte teatro dei suoi giochi nella sua tenera età, adesso gli ricordava solo momenti tristi. Stando solo con se stesso, con il suono del vento tra gli alberi come unico rumore ad accompagnarlo, si lasciò andare, ascoltando ciò che la foglia di cristallo ghiacciato aveva da dirgli.
Raccontò di quando fu creata, come fosse una favola. Ryan ascoltò con attenzione, lasciando andare temporaneamente i ricordi della sua vita, affacciandosi a quel nuovo e diverso mondo di cui Dafne gli parlava. Ora non era più un curioso temporaneo di un luogo inesplorato, ora ne faceva parte. Si stupì di quanto fosse facile cambiare frangente, cominciò a pensare che forse era destinato a tutto quello che era successo. Le coincidenze non esistono!
Il pensiero di essere comandato a bacchetta da un oggetto che non aveva nulla di umano, gli sfiorò il pensiero solo per un istante. La voce che sentiva dentro di se non aveva nulla di estraneo, era in parte se stesso, la sua coscienza arricchita da un qualcosa di estraneo col quale imparava a convivere col passare del tempo. Sentiva che al compimento del suo primo ciclo lunare, quell’unione sarebbe stata indissolubile e probabilmente, avrebbe cominciato a mutare, divenendo una creatura alla ricerca di stabilità, e di qualcuno che gli insegnasse ad auto controllarsi, come faceva Dafne.
Nuovamente chiese a se stesso dove fosse la ragazza, questa volta la pietra rispose, nel suo solito modo di comunicare, senza parole, con sensazioni impossibili da confondere. Indicava al ragazzo che il motivo del suo tormento era li, vicino a lui. Intorno a lui però vi erano solo radura e pini sparsi.
Chissà! Forse dovrò aspettare la prossima luna piena per avere una risposta sensata, sempre se allora non sarà troppo tardi. Si rinfrancò Ryan.
 *.*.*.
Passarono alcuni giorni nella stanchezza crescente e notti, passate nascoste nello stanzino sottoscala, nella speranza che il non esporsi alla luce lunare rallentasse la trasformazione.
Chris sempre più preoccupato per il comportamento taciturno dell’amico, studiava il suo comportamento, ipotizzando le possibili cause. Il fatto che Ryan pretendesse di restare solo dopo il calare del sole, non faceva che accentuare il suo desiderio di non lasciarlo solo, sentiva di essere l’unica persona rimasta al suo fianco, viste le condizioni precarie di suo padre, progettava seriamente la possibilità di richiedere a Miss Order di farlo trasferire in istituto. Quando riferì a Ryan il suo progetto, come prevedibile, esso ne fu nettamente contrario. Anche senza le difficoltà notturne, benché non ci fosse stata alcuna trasformazione, Ryan non avrebbe mai accettato una proposta simile.
 
Quasi tutti i giorni Ryan andava a fare visita al padre in ospedale, attendendo possibili cambiamenti nel suo stato che, per quanto potesse apparire macabro, restava la sua unica ancora di salvezza. Un ragionamento alquanto contorto, lo spingeva a pensare che se la situazione del padre persisteva, voleva dire che Dafne, se pur lontano era al sicuro. Mentre il miglioramento del’uomo avrebbe voluto dire che per Dafne non c’era più alcuna speranza; per paura di possibili ripercussioni sulla ragazza, Ryan non si era neanche azzardato a far altre visite improvvisate a casa Brown, persino i consigli dell’amuleto remavano contro tale idea, quasi come se Dominique avrebbe potuto riconoscere il nuovo custode, se si fosse trovato a sua stretta distanza; il che aveva dell’incredibile, come tutto il resto!
Anche se non poteva entrare in contatto con loro, il più grande interesse di Ryan divenne l’osservare gli spostamenti dei due, sempre più impegnati nel termine delle documentazioni di adozione.
Ogni giorno veniva ben evidenziato sul calendario, come fosse un conto alla rovescia sino alla prossima luna. Il giorno decisivo, in qui la luna piena sarebbe sorta, Chris ebbe la splendida idea di presentarsi a casa Omalley con sacco a pelo e spazzolino alla mano:
-E che vuol dire?-  chiese Ryan quando si ritrovò l’amico sulla porta di casa, ben deciso a non lasciar perdere.
-Non ho convinto ne te, ne Miss Order a farti trasferire in istituto fino al miglioramento di tuo padre-  spiegò Chris con un sorriso incoraggiante, non molto apprezzato da Ryan  -Quindi mi trasferisco io qui, anche se solo per una notte … forse due.
-Forse neanche un’ora!-  rispose Ryan più che spazientito  -Lo sai che succede stasera?!-  domandò facendo riferimento al trasferimento di Lauren dai Brown nelle prossime ore. La fatalità restava sempre la più sorprendente!
-Proprio per questo ho deciso di passare la notte qui-  tagliò corto Chris, spingendo Ryan oltre la soglia, in modo da poter entrare con l’ingombrante bagaglio  -Nonostante ci dovrebbe essere un letto libero, ho deciso di portare con me un supporto-  ridacchiava Chris lanciando l’involucro cilindrico sul pavimento, nella speranza di motivare un sorriso nell’amico e sciogliere la tensione.
-Non me lo hai neanche chiesto!-  si lamentò Ryan sollevando il sacco a pelo dell’amico, pronto a sbatterlo fuori di casa
-Posso restare qui per la notte?
-No!
La testardaggine di Chris andava ben oltre le aspettative di Ryan  -Vuoi tenermi d’occhio?-  chiese Ryan, riflettendo su un metodo efficace per convincere il ragazzo ad andar via –Pensi che sarei capace di sbarrare la strada, nel tentativo di impedire a Lauren di superare la soglia di casa Brown?
-Probabilmente te ne starai affacciato alla finestra a deprimerti, attendendo un suono, un movimento sospetto che ti dia la scusa per fare irruzione nella loro casa-  rispose Chris franco  -e non sono qui per impedirtelo- aggiunse velocemente, sorprendendo Ryan.
-Allora non sei qui per fermarmi?
-Sono qui per esserti di supporto-  rispose Chris  -non era quello che volevi? Ascoltare, aiutare, senza giudicare?
-Pensavo l’avessi dimenticato quel discorso-  disse Ryan scontento  -le cose nel frattempo sono cambiate. Adesso ho bisogno di restare solo.
-Ed io resto perché è adesso che hai più bisogno di me, proprio perché il tuo atteggiamento è cambiato.
Psicologo del cavolo!
Ogni tentativo di mandarlo via ormai sarebbe stato un fallimento. Ryan pensò seriamente ad un metodo per addormentare Chris senza causargli danno. Come avrebbe giustificato altrimenti il suo nuovo luogo di riposo? Uno sgabuzzino buio in qui si barricava! Con suo rammarico la situazione si era ribaltata, ora era lui ad avere dei segreti, a doversi nascondere escogitando mille progetti e scuse, come faceva Dafne. Forse l’idea di chiudersi in bagno non era tanto male. Avrebbe detto a Chris di voler fare un lungo bagno rilassante, non avrebbe avuto niente in contrario.
Appena trovò il metodo per sbarazzarsi della presenza del ragazzo nelle ore salienti, Ryan si tranquillizzò, lasciando fare a Chris tutto ciò che voleva, compreso preparare la cena, una vera cena! Cosa che Ryan non vedeva da molto tempo.
Quando a tarda sera la pietra cominciò a vibrare impaziente di svolgere il suo compito primario, Ryan scattò in piedi, annunciando all’amico che avrebbe preso possesso del bagno, e se anche avesse intenzione di utilizzarlo, ormai troppo tardi.
Il piano funzionò, Chris appariva perplesso ma, non poté impedire a Ryan di chiudersi in bagno, benché avesse capito che quella era una scusa per sfuggirgli.
Ryan preparò un giaciglio il più confortevole possibile per la notte, attutendo la durezza della vasca con delle asciugamani. Fu una notte da dimenticare, nella quale Ryan non riuscì a chiudere occhio per la tensione. Coprì i possibili spiragli di luce che avrebbero potuto penetrare nella stanza dalla finestra, in modo che la luce lunare non lo raggiungesse, se ne stette ad attendere il mattino che si divertiva dispettoso a tardare il suo arrivo, quel giorno buio dal cielo denso di nuvole di pioggia estiva.
Quello fu il giorno in qui Ryan si sentiva stanco, eccentrico, confuso e deciso tutt’insieme. Vagava per casa senza meta, parlottando fra se e se di tanto in tanto. Chris lo osservava come fosse un fenomeno da baraccone, senza più essere disposto a pazientare attese ugualmente che l’amico raggiungesse un accordo con se stesso, sul da farsi. Lo vide fermarsi alla finestra senza toccare una briciola della sua colazione. Inaspettatamente si destò, e a passo deciso si diresse all’eterno dell’abitazione, senza neanche indossare delle scarpe. Chris abbandonò ciò che stava facendo per seguirlo, sapeva già dove fosse diretto.
Dominique, Beatrix e Lauren erano in giardino a passeggiare fra i tulipani gialli di Beatrix, chiacchieravano e scherzavano tra loro come un’amabile famiglia. Ryan non aveva mai visto Lauren ridere a quel modo, appariva realmente felice, dal canto loro i suoi nuovi genitori erano degli attori provetti.
Chris affannato raggiunse Ryan alle spalle, mentre impettito fissava i vicini attraverso la bassa siepe.
-Che diavolo fai?-  lo tirò indietro Chris, pensando che il ragazzo avesse in mente di dare spettacolo  -Ti hanno visto?
-No!-  risponde secco Ryan  -Nessuno di loro mi ha visto-  aggiunse, riferendosi non solo a quel momento.
-Cosa vuoi fare?-  insistette Chris nervoso
-Lo vedi come se la ride?-  disse Ryan imbronciato ed immobile
-Il signor Brown? Si stanno solo godendo la mattinata …
-Ma che mattinata? Sta per piovere!-  rise sprezzante Ryan –Non mi riferivo a Dominique comunque ma, a Lauren.
-Io sono contento che sia felice-  si impuntò Chris  -Deve per forza avere un altro colpo di sfortuna?
Ryan finalmente si mosse, per voltarsi e fulminare con lo sguardo Chris, che fece spallucce in un disordinato gesto di scuse. Non era più certo che Chris gli avesse dato retta, forse faceva finta anche lui, come tutti gli altri.
-Questo hai da dire?-  chiese guardandolo negli occhi per la prima volta quella mattina  -Dopo tutto quello di cui sei a conoscenza? Sai dire solo “sono contento che sia felice”. Mi stai prendendo in giro?
-Sei stato tu stesso a dirmi in passato, che l’essere adottato per Lauren poteva rivelarsi una buona cosa-  spiegò Chris.
-Cosa?-  alzò la voce Ryan.
-Entriamo per piacere?-  lo pregò Chris, guardandosi intorno come se stesse sotto tiro  -Ne parliamo dentro.
Superata la soglia Ryan continuava a fissare l’amico, sempre più imbarazzato per quello sguardo di accusa puntato addosso.
-Cosa devi dirmi?-  partì Ryan puntandogli il dito contro -Hai ascoltato la storia di Dafne, il fatto che sia la sorella di Lauren tenuta prigioniera per mesi dai Brown, ora quei due hanno preso anche suo fratello per impossessarsi della loro eredità, lo hanno adottato con l’inganno è tu lo sai benissimo … cosa fai adesso dopo aver tentato con me di far ragionare Lauren? Dai ragione a quei due, che per altro vanno in giro sotto falso nome!
Chris si ritrovò con le spalle al muro, sentendosi accusato e sommerso dalle parole di Ryan che non dava ragioni di calmarsi, sino a quel momento teso come una corda di violino per motivi a lui sconosciuti, ora quella corda era saltata via, a causa di parole scelte senza pensare.
-Ti sei calmato adesso? Posso parlare?-  disse Chris con una mano sul petto, come se anche lui avesse perso fiato.
-Parla!-  disse con sdegno Ryan facendo un passo indietro  -Ti avviso però che non sono disposto ad ascoltare cretinate.
-Quali sono le cretinate per te, tutto ciò su cui non sei d’accordo?-  domandò Chris ritrovando il suo spazio nella conversazione  -Ti ho ascoltato sempre ma, di questi tempi sei sempre più … strano. Credo tu sia ben radicato nelle tue convinzioni-  disse Chris prudente  -È vero! I Brown hanno imbrogliato ma, … ma sai quanti lo fanno anche a fin di bene? È probabile che ci tengano sul serio a Lauren.
Ryan prese fiato per evitare di sbraitare nuovamente, sentiva che la soglia del suo autocontrollo quel giorno era più facile da abbattere, forse per il mancato sonno, o per la trasformazione.
-Hai sospettato anche tu di loro. La testimonianza di Dafne dove la metti?
-Ti ripeto ancora: dov’è questa ragazza che ti sta facendo andare fuori di testa?-  si infervorò Chris  -Con tutte le mie forze ho cercato di darti retta su questa storia, per un momento ho anche creduto all’esistenza di una ragazza dalle spiccate potenzialità, che aveva estremamente bisogno di te …
-Allora è questo il problema?-  intervenne Ryan con la rabbia che sormontava nuovamente  -È così strano che abbia chiesto aiuto a me? Che non sono nessuno, uno sfigato! Me lo sono chiesto anche io: perché a me?-  Ryan non si rese subito conto che Chris ormai lo fissava senza rabbia ma, con espressione seria e preoccupata  -Forse ha visto in me qualcosa che nessuno, ha mai avuto gli occhi di vedere!- in quel momento la pietra prese nuovamente a ghiacciarsi sulla sua pelle, costringendolo a stringere la mano al petto, l’oggetto era così ghiacciato che lo stava ustionando.
-Piacerebbe tanto anche a me, che questa ragazza fosse qui a confermarci la sua esistenza-  disse Chris sospirando  -Ma questa persona non c’è. Altre persone ci sono, e ci sono state, tu continui ad ignorarle, se solo ti limitassi a lasciarti aiutare.
 
Ryan osservò il vecchio amico di giochi andar via, non aveva più alcun senso che restasse; Chris aveva cominciato a camminare lungo la strada del suo destino, un tempo le loro strade viaggiavano parallele, i lembi della catena che li univa erano stati strattonati una volta di troppo ed ora avevano ceduto, un tempo la catena era resistente ma, le loro strade ormai erano troppo lontane, e nessuno dei due era stato capace di trovare altri anelli ad allungare quella catena, per renderla più lunga.
Molto elegantemente Chris gli aveva dato del pazzo. Faceva male non potergli mostrare il rifugio nel bosco. La prova tangibile della sua ragione era riposta sul suo cuore ma non poteva mostrarla, le parole non erano bastate a convincere la persona che per prima avrebbe dovuto fidarsi ciecamente di lui, se non il suo migliore amico, con chi altro avrebbe avuto speranze?
Reso stanco dalla delusione e dallo stomaco vuoto, Ryan si addormentò sul divano facendo passare anche quel brutto giorno, colmo di stranezze alle quali dare spiegazioni convincenti.
Ogni tanto qualcosa lo svegliava, come un consiglio dalla sua mente, che lo spingeva a non lasciarsi andare del tutto, e quando finalmente la sua mente si svuotava dai pensieri e dalle preoccupazioni, per quanto la sensazione fosse piacevole, il  freddo che ormai aveva imparato ad associare alla pietra e le sue stranezze, lo svegliavano di soprassalto, ritrovandosi a guardare il muto soffitto, portandogli alla mente solo una persona, una ragazza che non sapeva se amare o odiare.
Non riusciva neanche più a sognare, una delle poche lezioni di scienze umane che ricordava, riguardavano proprio le fasi del sonno: dopo varie fasi di dormi veglia si raggiunge la fase rem, nella quale si entra nel sonno profondo, momento in cui si sogna. Dafne non gli aveva fornito più di qualche particolare, l’aveva messo in guardia senza insistere come era abituato ad essere trattato dal prossimo, raccomandazioni e rimproveri continui non ne aveva mai ricevuti da lei, forse il suo unico sogno era quella ragazza, anche se non sognare poteva avere i suoi vantaggi, chissà quali incubi gli avrebbe regalato il suo subconscio, con tutte le disavventure che stava affrontando in quella estate senza fine.
 
In un istante non ci fu più il problema di svuotare la mente dai pensieri pesanti, tutto venne dimenticato da un diverso peso meno astratto e più consistente: delle mani sulla gola ed un fiato caldo sul viso che gli parla, quando ancora non era in grado di ascoltare e connettere cosa stesse succedendo intorno a lui.
Dafne è tornata? No! Dafne non cercherebbe mai di strozzarmi … forse.
Con un’eccessiva fatica Ryan portò le mani alla gola per liberarsi dalla presa, mentre con lo sguardo divorava il buio nel tentativo di scorgere almeno il viso del suo aggressore.
Una frase riuscì a distinguere fra i movimenti limitati ed i lamenti sordi: -Dov’è? Dove l’hai nascosta?-  se pur trasformata dalla rabbia, Ryan riconobbe il proprietario di quella voce. Tante volte Dafne aveva ascoltato quel basso tono rabbioso.
Come poteva pretendere che potesse rispondere alle sue domande se continuava a stringerlo così forte? A meno che non volesse risposte, probabilmente era solo diventato lo strumento sul quale sfogare la sua rabbia repressa.
Con uno sforzo sovraumano Ryan riuscì a farlo cadere dal divano con uno spintone; non mangiare e il non aver avuto un attimo di riposo negli ultimi giorni, non era stata una grande idea!
Alzandosi in piedi a fatica, Ryan non riuscì a fare molti passi che Dominique gli sbarrò la strada. La sua vista non ancora abituata al buio, come avesse avuto una forte luce negli occhi durante il sonno, non gli permisero di evitarlo prontamente, una spinta dell’uomo lo fece schiantare contro il tavolinetto del salotto, mandando in frantumi la superficie in vetro che, finì col tagliare i palmi delle mani e le braccia del ragazzo.
Scansando il sostegno del tavolo ormai senza ripiano, Ryan si lasciò cadere per terra cercando di rendersi il meno pesante possibile, ed evitare che i frammenti di vetro avessero presa sulla sua schiena. Dominique soddisfatto emise una bassa risata senza gioia:
-L’ho cercata ovunque, anche in quello stupido rifugio nel bosco. Solo oggi quella stronza mi ha detto di aver scoperto che Dafne è qui. Dove la nascondi?- disse Dominique tra i denti, in un’espressione di rabbia se pur sorridente.
Approfittando dell’abbassamento di guardia del suo nemico, Ryan distese le gambe in un gesto meccanico, causando una sforbiciata fra le gambe dell’uomo che gli fecero perdere l’equilibrio; Dominique non smise di reclamare neanche dopo la caduta, continuando a minacciare il ragazzo, se mai non gli avesse detto dove fosse sua nipote.
Stando ben attento a dove metteva mani e piedi Ryan si rialzò, fissando l’uomo a terra, a rigirarsi fra le schegge taglienti.
-Neanche se lo sapessi te lo direi!- gli disse trattenendo l’impulso di prenderlo a calci, mantenendo la promessa di non agire con violenza. Dominique ormai aveva perso ogni inibizione e pretendeva la verità da Ryan, non accorgendosi che aveva l’amuleto tanto cercato proprio sotto il naso; a Ryan quell’uomo non faceva altro che pena.
Il giorno in cui Beatrix avrebbe parlato, prima o poi sarebbe arrivato, lui lo sapeva ma, non era questo che lo preoccupava; Dafne non era in mano al suo aggressore, non era nel rifugio e non era li; una strana sensazione lo spingeva a non dedurre nulla di buono da quelle informazioni. Forse la ragazza teneva sotto controllo suo zio, ed ora lo attendeva in giardino.
Ryan afferrò al volo il telefono senza fili dalla console, digitò il numero rapido della polizia, ora non avrebbe faticato a far notare la colpevolezza di Dominique Brown.
Tre squilli lunghissimi prima che qualcuno rispondesse al centralino, mentre gli avambracci tremolavano per il dolore dei tagli subiti.
-Pronto? Mi sentite? Sono Ryan Omalley, chiamo da Evergreen Street n. 777 …- uscì fuori di volata guardandosi in giro sotto la pioggia battente ma, di Dafne nessuna traccia, urlò il suo nome per quanto gli fosse possibile, ma nessuno rispose. Gli mancava il fiato e non era del tutto sicuro che la causa fosse il tentato strangolamento, una luce abbagliava nuovamente i suoi occhi mentre la pioggia appesantiva i suoi passi sempre più; non poté mettere attenzione all’ombra che lo raggiunse alle spalle.
Dall’altra parte della cornetta, una voce che ben conosceva insisteva col conoscere il motivo di quella chiamata –Henry  manda qualcuno, adesso!-  Ryan non poté aggiungere altro, la linea non era caduta, Henry non aveva chiuso la chiamata, era Ryan a non poter più rispondere, perché giaceva disteso sul prato bagnato privo di sensi.
*.*.*.
L’aria si era fatta più respirabile, nessuna luce lo accecava. La pioggia ed il freddo erano svaniti, sostituiti da un caldo risveglio in un letto che profumava di pulito.
Ryan aprì gli occhi, si sorprese nello scoprire che era giorno, la luce proveniva da una finestra spalancata, le tendine si muovevano al ritmo di un leggero venticello, che passando dal ripiano poco distante ricolmo di fiori e ramoscelli verdi, portava sino a lui il loro profumo. Le piantine ed i vasi traboccanti di fiori erano mal assortiti ma allegri, portavano colore nella stanza altrimenti bianca. Il suo era l’unico letto, riconobbe una delle stanze private dell’ospedale di Grain dove era ricoverato suo padre, solo che questa volta era lui ad occupare il suo posto. Qualcuno gli aveva messo in dosso un pigiama ospedaliero, ebbe la sensazione di essere li da molto tempo, cercò la pietra ma intorno al suo collo non vi era nulla; non richiamò l’attenzione delle infermiere attraverso il bottone di chiamata, fin quando poteva desiderava restare solo, in silenzio ad ascoltare il rumore dei pini al vento che proveniva dalla finestra. Il profumo si faceva sempre più intenso, un profumo speziato che non aveva nulla a che fare con i fiori.
-Se avessi dato uno sguardo al cielo, ti saresti reso conto che non era il caso di uscire all’aperto in tutta fretta-  disse una voce accanto a lui.
Su di una poltrona nell’angolo che notò solo in quel momento, Ryan vide la ragazza alla quale pensava ad ogni suo risveglio:
-Dafne?!-  cercò di raddrizzarsi a sedere.
-Cosa hai combinato?-  disse lei con un sorriso, messo li prima di una brutta notizia.
-Cosa è successo?-  domandò Ryan teso.
-Sei uscito all’aperto, in una notte di luna piena, senza minimamente preoccuparti delle conseguenze-  spiegò Dafne senza fretta  -la pietra è viva! Non ha preso bene il tuo tentativo di imbrogliarla nascondendoti in bagno, chiudendo la finestra. Così ha sfogato la sua forza tutta insieme la notte successiva, in un momento di tua distrazione.
Ryan ripercorse con fatica gli ultimi momenti di quella sera …
-Allora è vero che la pietra si vendica-  si rilassò minimamente Ryan  -Dove eri finita?-  cambiò improvvisamente discorso, tentando di scendere dall’alta branda.
-E tu dove eri finito?- domandò Dafne, costringendolo a restare seduto, rimboccandogli le coperte  -Sei stato via per tanto tempo.
-Da quanto sono qui?
-Stai dormendo da quasi quarantatre giorni-  rispose Dafne, ancora orrendamente serena.
-E più di un mese che sono qui?-  si raddrizzò Ryan velocemente, non capiva come Dafne potesse essere così tranquilla  -Cosa è successo nel frattempo? Dominique è stato preso? Quando sono venuti a prendermi non si sono accorti del … del mio … stato? L’amuleto?
-Tranquillo!-  lo accarezzò Dafne, spostandogli indietro la frangia spettinata dalla fronte  -Agitarti non servirà a nulla. C’è il tempo che serve per capire. Mio zio è stato incriminato; grazie a te non ha trovato l’amuleto dei Dark, anche se non è più dei Dark-  gli sorrise dolcemente  -Nessuno ha visto la tua diversità, ti ho protetto con il mio mantello, nessuno ha visto più di quel che andava visto.
-Mi hai protetto? È tutto così strano …-  disse Ryan spostando il suo sguardo alla porta dai vetri offuscati, al di là di essa vi erano delle ombre, presto anche gli altri si sarebbero accorti del suo risveglio.
-Ora devo proprio andare Ryan-  disse Dafne mentre un’ombra attraversava il suo viso. Prima di andar via si avvicinò a Ryan, gli baciò la fronte: -Mi dispiace di averti dato questo peso.
-Quale peso?- chiese Ryan –La pietra non è più con me.
-Non è così! Non tutto è come sembra-  disse Dafne uscendo dalla stanza, richiudendo subito la porta alle sue spalle. Al suo passaggio le ombre oltre il vetro svanirono, scacciate dalla sua presenza.
Ryan disubbidì, e scese dal letto. Il pavimento era freddo sotto i suoi piedi, quello non poteva essere un sogno. Corse alla porta, nell’ampio corridoio però non c’era nessuno, ne Dafne ne le ombre.
Troppo pulito e luminoso per essere il corridoio di un ospedale. Che fosse finito nel centro in cui Dafne passò l’infanzia? Ora era lui ad essere sotto un vetrino.
Si incamminò lungo il corridoio, in una direzione scelta a caso, girando un angolo incontrò un corridoi identico al precedente, questa volta però non era vuoto, un ragazzo in lontananza lo aspettava in piedi. Cominciò a raggiungerlo, più gli si avvicinava, più la luce diventava abbagliante, quando si ritrovò ad un passo da lui, tenere lo sguardo rivolto in avanti era ormai impossibile. Ryan allungò un braccio toccando la figura che aveva raggiunto, appena toccato la luce cominciò a sbiadire.
-Ti sei allontanato troppo squinternato. Non ti è stato detto di restare dov’eri?-  disse la figura, mentre Ryan si stropicciava gli occhi  -Torna dov’eri e aspetta, come sempre fai tutto di testa tua.
-Cosa devo aspettare? Dove sono finito …- disse Ryan con tono di rimprovero, fermandosi immediatamente quando vide il volto della persona che aveva di fronte:
-Lauren? Tu cammini!-
-Un particolare che ho notato anch’io- disse Lauren prendendolo in giro 
-Sei guarito?
-Certo che no cretino! Forse da un certo punto di vista si … ma no, direi che sono cambiato-  spiegò Lauren rilassato.
Come mai tutti erano così calmi? Quando lui sentiva di avere una certa fretta.
-Anche io sono cambiato. Dovrei essere il nuovo custode della pietra che apparteneva alla tua famiglia-  disse Ryan.
-Perché dici dovrei? È tua, ti ha scelto. Ed io da Dark quale sono, approvo-  disse Lauren sornione
-La pietra è stata presa.
-No! È al tuo collo, nessuno l’ha toccata.- Ryan portò la mano al petto. Ora vi era la catenina, senza l’amuleto, sostituito nuovamente con la medaglietta metallica.
-Non c’è!
-Perché nel profondo tu non la vorresti. Tu vorresti lei-  disse Lauren  -Leggi cosa c’è sulla medaglietta.
-Ci sono le mie iniziali R. O.-  disse Ryan senza degnare la medaglietta di uno sguardo.
-Guarda meglio-  lo riprese Lauren indicandolo.
Ryan prese la medaglietta con entrambe le mani. Lauren aveva ragione, sul lato opposto alla lamina, vi era una nuova iscrizione: D. D.
-Dafne Dark!-  disse Ryan più a se stesso, scoprendosi sorridente nel leggere tali iniziali  -Come la pietra è passata a me, la medaglietta è passata a lei. Anche se questa non vale niente-  disse mostrandola al ragazzo come fosse un trofeo di cui essere orgoglioso.
-Ti sbagli Ryan-  gli disse Lauren  -Quello che hai dato a mia sorella non è la tua medaglietta, è il tuo cuore. Ti sono grato per averla protetta e aiutata quando io non c’ero.-  aggiunse abbassando lo sguardo  -Mi dispiace di non averti creduto.
-Perché tutti dite mi dispiace … adesso. Lo fate sembrare una finzione-  disse Ryan.
-Cosa, sembra una finzione?-  chiese Lauren, quasi lo stesse mettendo alla prova.
-Tutto questo!-  riprese Ryan allargando le braccia, alzando la voce nel vuoto corridoio. La sua frase rimbombò lungo le pareti dell’ospedale deserto.
-Questo luogo è quello che vorresti, e credimi quando ti dico, che è quello che vorrei anch’io!- disse Lauren alzando lo sguardo verso di lui  -I ringraziamenti sono veri al contrario di questo corridoio.
-Che vuol dire, che questo è solo quello che vorrei?-  domandò preoccupato Ryan –È questo a non essere reale, o ciò che ho vissuto? Chris ha ragione. Forse sto diventando pazzo.
-Ora che dovresti averla, dove è finita la tua fretta? Non è il tuo scopo restare qui. Il tuo scopo lo devi ancora portare a termine-  disse Lauren.
-Che cosa devo cercare ancora? Ormai è tutto risolto!-  ribatté Ryan
-Non farti abbattere ne sconvolgere da ciò che dicono gli altri. Sei vicino alla soluzione, non lasciartela sfuggire!-  insistette Lauren  -Continua a cercare la verità, non ti arrendere. Anche se la pietra ha trovato un altro custode, mia sorella ha bisogno di giustizia, io ho bisogno di giustizia.
-I tuoi soliti papponi di parole …- si lamentò Ryan.
-Mia sorella ti ha protetto, adesso tocca a te proteggerla da quelle ombre-  disse serio Lauren.
-Dafne sta bene-  soffiò tra i denti Ryan, come fosse una minaccia  -L’ho vista.
-Non prendertela con me. Io non posso fare più nulla.
-Dov’è?
-Dovrai scoprirlo da te.
-Dov’è?-  lo strattonò Ryan  -Tu non sei Lauren. Loren non poteva camminare. Loren era malato.
-Loren era …-  rispose amaro il ragazzo -… Ryan invece è!
-Chi sono?-  chiese Ryan con le mani ancora sulle spalle di Lauren.
-Il piccolo re!-  rispose Lauren soddisfatto  -Ora devi andare!
-Non ho intenzione di andare da nessuna parte-  disse fermo Ryan, mentre Lauren gli girava intorno, arrivando alle sue spalle. Un forte dolore si fece vivo alla base della testa, mentre le sue gambe diventavano pesanti  -Cosa mi stai facendo?
-Ti riporto sui tuoi passi.
-Dammi almeno un indizio.
-Segui i sette-  disse Lauren all’orecchio di Ryan –Segui i sette verso la verità, segui i sette del tempo, segui i sette e potrai andare avanti, e diventare un custode degno del proprio compito. Ricorda che la pioggia non basterà ad abbassare le fiamme che dovrai affrontare, ci dovrai mettere dedizione e impegno-  così dicendo Lauren diede a Ryan una forte spinta in avanti, la luce tornò abbagliante. Ryan voleva restare, fare altre domande, sgridare Lauren per la sua gratitudine mal espressa ma, era troppo impegnato a precipitare in un vortice di gelo e luce che terminò nel buio di una stanza notturna, ed un forte mal di testa.
*.*.*.*.*.*.*.
Ecco qui l’ottavo capitolo. Parte della storia a cui tengo tantissimo, forse il mio capitolo preferito … un piccolo suggerimento per meglio comprendere cosa in tendesse Lauren con il suo strano discorso; portate attenzione alla frase: -Loren era … Ryan invece è!- e -Ricorda che la pioggia non basterà ad abbassare le fiamme che dovrai affrontare, ci dovrai mettere dedizione e impegno-
Secondo voi a cosa si riferisce Lauren quando dice: –Segui i sette verso la verità, segui i sette del tempo, segui i sette e potrai andare avanti …
Cos’altro dire? … Attendo con ansia vostre notizie!
Vostra Missdream!
 

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Capitolo 9
*** Accusa revocata, ansia ritrovata ***


Capitolo 9
                         Accusa revocata
                           Ansia ritrovata
 
 
L’entusiasmo di un tempo vola via, sulle ali del vento che mi portò
quasi alla pazzia.
Mi lasciò da bambino con un sogno come tanti,
un sogno che sa di zucchero e poesia.
Mi ritrova grande nel corpo, quasi nella mente.
Mi ritrova intorpidito, dalla vita adulta che mi ha assalito all’improvviso.
Mi ritrova, grazie al mio ricordo di lei
che non volerà via, come un tempo volò l’entusiasmo
alla ricerca di un sogno
che ormai appartiene alla fantasia.
*.*.*.*.*.*.*.
 
2 ˞ۥ Settembre ˞ 1997
L’aria si era fatta più respirabile, attraverso le palpebre intuiva una fonte luminosa in un punto imprecisato della stanza. La pioggia ed il freddo erano svaniti ma non il forte dolore alla testa. Le lenzuola non profumavano di pulito, non avevano alcun odore se non quello di naftalina.
Ryan aprì gli occhi, tutto intorno a lui era poco visibile, offuscato. Non era più giorno, e nessun vento muoveva le tende, la finestra era stata chiusa. Nessun mazzo di fiori e profumo di spezie invadeva la stanza, se pur essa restava una camera singola dell’ospedale di Grain. In un gesto simultaneo porto una mano al petto, e si voltò verso l’angolo della stanza dove avrebbe dovuto esserci una poltrona occupata; ne poltrona ne Dafne erano presenti, l’amuleto al contrario era li al suo posto. Avrebbe volentieri fatto a cambio.
Un’infermiera entrò nella camera senza bussare, quando lo vide cosciente per poco non fece cadere per terra la pila di cartelle fra le braccia.
-Tu sei sveglio!
Avrebbe voluto rispondere con una battuta sarcastica ma, un affare fastidioso tra le narici lo distrassero, levandoselo con un gesto secco, tirò un tubicino che mobilitò la flebo ben fissato con un ago a farfalla sulla sua mano.
-Cosa fai? Fermo, fermo!-  sbraitò la giovane infermiera  -Combierai un casino.
-Credo di averlo già fatto!- gracchiò Ryan, cercando in vano di scendere dal letto.
-Dove credi di andare?-  domandò l’infermiera, che pur essendo di bel aspetto, cominciava a prendere una sfumatura antipatica.
-Sono stato qui anche troppo tempo-  disse Ryan, ben consapevole di aver sognato un risveglio differente che, aveva comunque un fondo di verità.
-Sei stato in coma farmacologico-  spiegò l’infermiera.
-Per quarantatre giorni. Lo so!- la informò Ryan.
-Come … come fai a saperlo?-  chiese stupefatta la giovane donna  - Qualquno ti a parlato?
-Non nel mondo che conosci-  rispose Ryan, con lo scopo di confondere la donna già abbastanza agitata.
-Devo chiamare il dottore-  insistette lei  -Tu resta al tuo posto-  aggiunse pigiando il bottone di emergenza.
-Non avevi detto che saresti andata a chiamarlo?- domandò Ryan sornione.
-Io non ti lascio solo, furbacchione!- ammicca lei al ragazzo, mentre Ryan sfoggiava il suo solito sorriso malizioso, con lo scopo di comprarsi l’infermiera. Da quanto poteva constatare il piano funzionava, ora la donna gli sorrideva beata.
-Qualcuno è venuto a trovarmi in questi giorni?-  chiese Ryan, ormai certo che la donna avrebbe risposto ad ogni sua domanda.
-Si. Un ragazzo. Lo hanno fatto entrare nonostante non fosse un tuo parente-  spiegò l’infermiera  -È venuto qui quasi tutti i giorni. Ogni tanto sono venuti a farti visita dei poliziotti … un certo George Care con suo figlio. Ora che sei sveglio ti faranno molte domande.
-Nessuna ragazza?- domandò Ryan, immaginando con avversione la risposta.
-Nessuna ragazza!-  sorrise melliflua la donna –La tua fidanzata pare essersi dimenticata di te!-  lo sfotté.
Il dottore entrò nella stanza in quel momento, interrompendo la loro conversazione. Procedette con una visita di controllo.
Informarono Ryan sul suo stato non più grave, come i giorni in qui fu ricoverato. Portato li da un’ambulanza chiamata dalla polizia, giunta a casa sua dopo una chiamata.
La diagnosi, a parere di Ryan ridicola, riportava un urto alla nuca, causato da una caduta sul ciglio di casa.
Secondo loro è così che sono finito in mezzo al prato?
Gli dissero con sua grande sorpresa che la sua vicina di casa Beatrix Brown, gli aveva salvato la vita con una manovra di emergenza.
Si sentiva in colpa per ciò che ha fatto il suo compagno?
Eppure, nel sogno gli era stato riferito che Dominique era dietro le sbarre. Se non era stato ritenuto colpevole della sua aggressione, ci doveva essere stata un’altra accusa. Quando chiese spiegazioni non gliene fu data: -Questioni personali della famiglia Brown, problemi di cui non devi curarti nel tuo stato!
Assurdo! Quale questione sarebbe più importante?
La storia sul suo ferimento che gli fu narrata quella notte aveva dell’incredibile, per non dire ridicolo. Secondo la loro ricostruzione Ryan dopo aver bevuto, in stato confusionale era caduto sul tavolo del salotto mandandolo in frantumi, più di una testimonianza dichiarava di averlo sentito urlare, prima di cadere rovinosamente dalle scale della veranda e battere la testa, su di un massiccio vaso in pietra del vialetto. Accortasi di tutto la sua splendida e amabile vicina, era accorsa ad aiutarlo, porgendogli i primi soccorsi.
Le proteste di Ryan non tardarono ad arrivare. Con un discorso confuso, nel tentativo di dare maggiori informazioni nel minor tempo possibile, espresse le proprie ragioni senza dare spiegazioni al perché ce l’avesse tanto con i suoi vicini.
In sogno Dafne gli aveva detto che nessuno si era accorto del suo così detto cambiamento, causato dalla pietra. Il mantello che lo aveva protetto doveva essere una metafora, qualunque cosa avesse usato aveva svolto il suo scopo, perché nessuno fece domande inerenti al ciondolo appeso al suo collo.
I dottori rimasero sbalorditi, nello scoprire che il ragazzo era a conoscenza di molti particolari riguardanti il suo ricovero e la sua durata. Continuavano a far domande senza dare troppe spiegazioni al ragazzo, che dopo poco più di un’ora già cominciava a chiedere quando avrebbe potuto far ritorno a casa.
Quando per la troppa agitazione Ryan cadde dal letto, in un fallito tentativo di fuga, le sue gambe ancora leggermente atrofizzate non ressero il peso del suo corpo, il medico di turno pensò bene di prescrivergli un tranquillante, che gli regalò un sonno piatto e istantaneo sino alla tarda mattina del giorno successivo, quando risvegliandosi scoprì di avere una visita da parte di un volto amico. Il ragazzo a qui era stato permesso di fargli visita nel corso del suo lungo sonno, era Chris. L’amico, indeciso se mostrare un’espressione rattristata o un sorriso, aveva dimenticato il passato litigio.
-Finalmente qualcuno in grado di darmi spiegazioni.-  disse Ryan, quando lo vide intento a trafficare con il libro che stava leggendo, nell’attesa che Ryan si risvegliasse.
-Dopo i saluti di circostanza, questa è la prima cosa che ti viene in mente?-  domandò, falsamente risentito Chris.
-Qui nessuno mi dice niente. Dicono che dovrei pensare solo a rimettermi in sesto-  si lamentò Ryan  -Mentre io mi sento già in prima base!-  sorrise della sua stessa battuta.
-Ma che simpaticone. I medici hanno ragione!-  aggiunse prontamente Chris.
Meditando sulle possibili mosse, Ryan decise di accantonare il discorso “aggressione Dominique”, per evitare un nuovo litigio o tranquillante.
-Che voglia sapere che fine abbia fatto … la mia salvatrice Beatrix Brown … è perfettamente … nella normalità-  scandì con attenzione, non potendo evitare un filo di sarcasmo nella voce.
-Che tu voglia sapere … i fattacci dei tuoi vicini, è perfettamente nella tua normalità!-  gli fece il verso Chris, facendosi scappare un sorriso  -Dove vuoi che sia? La signora Brown è a casa sua.
-Come a casa sua?-  saltò Ryan sul letto, facendo tremale il vassoio della colazione sul tavolino pieghevole.
-Si! Satanasso!-  disse Chris allontanando il braccio pieghevole dalla zona di turbolenza. Tanto sapeva che il nostro Ryan non avrebbe perso tempo in una futile azione come il rifocillarsi, sin quando la fonte del suo sapere fosse stata li presente  -Dove volevi che fosse?
-In carcere per esempio!-  gesticolò Ryan –Non mi dire che l’hanno graziata, solo perché afferma di avermi salvato?!
Ormai nulla appariva inverosimile!
-Cosa vuoi? Che sia sempre appiccicata al marito?-  disse Chris  -Ma tu, come fai a sapere che è finito in carcere per coltivazioni illecite? Meno male che non eri informato?
-Come scusa? Dominique perché sarebbe dietro le sbarre?
-Per coltivazione di marijuana … perché, i tuoi informatori ti avevano riferito diversamente?-  disse Chris, godendosi ogni minima reazione sul volto di Ryan.
-Per questo è stato arrestato?-  chiese Ryan stupefatto
-Si!
-Nessun’altra accusa?
Chris si rattristò, come se un ricordo amaro fosse tornato all’improvviso.
Prendendo tale espressione per un si, Ryan cominciò ad esultare: -Visto che avevo ragione?! C’è qualcos’altro sotto. Dimmi tutto!-  si porse attento Ryan.
-La polizia ha scoperto gli intoppi riguardanti l’adozione di Lauren … è sotto controllo persino Miss Order-  disse Chris ponendo lo sguardo altrove.
-Ci stiamo avvicinando al punto-  esultò Ryan  -Ma che faccino triste. Non dirmi che ti dispiace per Miss Order?!-  chiese Ryan, mentre Chris si alzava dal suo posto, raggiungendo la finestra  -Non farmi alzare Chris. L’ultima volta che ho tentato sono finito giù dal letto …
-Non voglio che ti alzi-  apostrofò Chris dandogli le spalle  -Il motivo della mia reazione non ha nulla a che fare con Miss Order. Lei se la caverà.
-Certo-  disse Ryan tranquillo  -lavora per il dipartimento. Capirai con tutte le conoscenze che ha, non finirà mai in guai seri … ma dimmi invece, perché mi stai preoccupando?-  divenne serio Ryan. Quell’atteggiamento di Chris improvvisamente distaccato, non presagiva nulla di buono.
Chris si voltò, sorpreso da quelle ultime parole. Le sue spalle si abbassarono in un segno di abbandono, continuando a guardare altrove, come a cercare le parole giuste da acchiappare, e dare la notizia più difficile.
-Il giorno successivo al tuo incidente, hanno frugato in casa Brown … così hanno scoperto i documenti contraffatti e le piante di marijuana.-  temporeggiava Chris. 
-Chi ha spinto la polizia a controllare la loro casa?- domandò Ryan scrutando l’amico.
-Lauren!-  rispose secco Chris, rivolgendo improvvisamente lo sguardo a Ryan in attesa.
-Lauren ha chiamato la polizia?-  chiese Ryan con un leggero sorriso di soddisfazione che affiorava. Adesso aveva la piena conferma che Lauren aveva compreso la gravità della sua situazione, presto lo avrebbe aiutato a rintracciare Dafne, ed avere la giustizia da lui richiesta nel suo realistico sogno.
-Da quel che mi hanno detto è stato lui ha chiamarli-  disse Chris sospirando.
-Che vuol dire: da quel che ti hanno detto?-  domandò Ryan preoccupato  -Cosa ha detto alla polizia?
-Nulla-  disse secco Chris con gli occhi improvvisamente lucidi  -Non ha potuto dire nulla. Quando la polizia è arrivata, lui era già morto.
Il tragitto che fecero quelle ultime parole fu lunghissimo, arrivarono all’orecchio di Ryan, raggiungendo la sua mente come un’eco lontano. Dopo aver appreso la notizia, ed averla ripetuta a se stesso, fu attraversato da incredulità e ricordi di ogni tipo, per ultimo arrivò il ricordo di un ragazzo sano e splendente, dopo una vita passata ad affannarsi per sopravvivere, raggiunge solo alla fine la verità e chiede a lui, Ryan Omalley, giustizia.
Adesso, le parole dette dal Lauren del suo sogno, prendevano un senso differente, più profondo. L’aveva visto, non era solo frutto della sua fantasia. Lo aveva spinto verso la via da seguire, senza preoccuparsi di informarlo su ciò che gli era accaduto.
Dopo l’incredulità sormontò la rabbia:
-Lo hanno ucciso …- disse con un tono di voce basso. Come se quelle parole stessero uscendo, dai pensieri che non vanno espressi ad alta voce.
-Nessuno gli ha fatto del male-  disse Chris, ma Ryan non lo vedeva, adesso era il suo lo sguardo ad essere altrove –Era malato, lo sapeva. Da tempo mi diceva che era stato fortunato, ad aver raggiunto il traguardo dei quattordici anni-  continuava Chris, mentre Ryan cercava di non ascoltare -I dottori hanno confermato che la sua situazione era instabile negli ultimi tempi. Dicono che non abbia sofferto …-  disse Chris, quasi a voler alleviare ciò che era accaduto con tali parole.
Poteva essere la verità ma, dopo aver ascoltato la storia della sua caduta, sommato alla delusione, Ryan non credeva più a nulla, non si sarebbe più fidato di ciò che i medici e la polizia avevano da dirgli.
-Ryan?-  chiamò Chris, come lo stesse reclamando dal sonno.
-Cosa?-  rispose a voce sorprendentemente dura Ryan, mentre fissava un lembo del lenzuolo stritolato dalla sua stretta, con entrambe le mani.
-Ho chiesto informazioni alla polizia, se hanno trovato tracce su un altro possibile inquilino all’interno della casa-  disse Chris.
Un tempo Ryan sarebbe stato felice nell’ascoltare tali frasi; significavano che Chris credeva alle sue parole e finalmente, si rendeva disponibile nel cercare con lui in modo concerto, la ragazza di nome Dafne di cui gli aveva parlato ma, adesso no! Non voleva sapere altro, non avrebbe retto al concretizzarsi dell’idea che si faceva spazio nella sua mente: Lauren gli chiedeva giustizia non solo per lui ma anche per sua sorella. Ryan aveva visto anche Dafne in quell’ospedale deserto, forse era morta anche lei.
Qualunque piano avesse in mente la ragazza, riguardava prima di tutto mettere in salvo l’amuleto della sua famiglia; lo aveva consegnato a lui non per non farsi scoprire ma, in modo che potesse esserci un nuovo custode, se lei avesse fallito.
Lo aveva imbrogliato nuovamente, quel che non aveva mai permesso a nessuno di fare, glielo aveva fatto una ragazza sbucata dal nulla. Nessuna domanda vi era stata da parte sua, solo richieste mascherate da atteggiamenti ostinati ed ammalianti, ai quali Ryan non era stato capace di rispondere con un no.
-Non voglio saperne più niente!-  rispose secco Ryan  -Non mi interessa-  mentì.
-Era la tua principale preoccupazione un tempo-  disse Chris indagando sulla reazione dell’amico, alle ultime notizie.
-Cosa vuoi sentirti dire?-  disse calmo Ryan, lasciando andare il martoriato lenzuolo  -Sto cercando di crescere. Se mai una ragazza misteriosa è esistita, dovrà cavarsela da sola dora in poi, li dov’è adesso non posso raggiungerla.
Chris parve arrendersi a tali parole. Allontanando l’argomento che destava tanto sconforto, si scoprì triste nel comprendere che il suo amico non aveva più fiducia in quella ragazza, di qui un tempo gli parlava con tanto entusiasmo. Come un bambino che crescendo smette di credere a fate e folletti, contento della sua nuova mente adulta aperta al mondo, eppure rammaricato al pensiero, che il bene di quello stesso mondo, sia una finzione da buttar via con le favole.
*.*.*.
Arrivata sera, pensando a tutto e niente, Ryan approfittò della poca forza ritrovata per fare una passeggiata, nei corridoi mai del tutto bui dell’ospedale. Le infermiere erano più docili con lui, da quando si mise a sfoderare un atteggiamento triste e ciondolante, per nulla recitato.
Qualcuno che aveva vagamente ascoltato senza porgere attenzione al suo viso, lo aveva informato sulle condizioni di suo padre, ancora residente in ospedale. Probabilmente gli era stato anche detto come raggiungere la stanza in cui l’uomo era stato spostato, ma non porgendovi attenzione non ricordava l’informazione ricevuta.
Camminò alle luci dei fastidiosi neon blu, percorrendo la strada intrapresa nel sogno. I corridoi erano leggermente diversi da quelli visionati in fantasia. Arrivò all’altezza in cui aveva visto Lauren, non si aspettava nessuno, eppure rimase deluso nel trovare il corridoio vuoto. Voltandosi come ad obbedire nuovamente alla richiesta del ragazzo, di tornare nella sua camera, lo sguardo gli cadde su un cognome famigliare stampato su di un foglio, nel porta cartelle affisso al di fuori dalla camera privata alla sua sinistra.
La porta non era del tutto chiusa, gli bastò spingerla leggermente per spiare all’interno. Suo padre dormiva rumorosamente nel suo letto, non appariva malato, Ryan gli si avvicinò prendendo posto alla sedia accanto alla branda ospedaliera.
Guardò minuziosamente l’intera camera sospirando, anche il suo comodino era sprovvisto di fiori e ricordi lasciati da visitatori. -Siamo soli e papà?-  disse all’uomo, che non vedeva quasi mai da così vicino.
Strano è l’effetto della perdita e del dolore sulla mente di un uomo, rimette al giusto posto le priorità, ti spinge ad afferrare quei concetti che in precedenza disprezzavi.
In fondo, anche se molto in fondo, suo padre doveva avergli voluto un po’ di bene, perché se anche lui ragazzo scapestrato, scavava affondo nella sua mente, in un angolo polveroso poteva trovare il bene che voleva a suo padre, vedendo i suoi gesti degli ultimi anni con un’ottica differente.
Quelle rughe rilassate sul volto stanco che tante volte aveva osservato con disprezzo, ora dormivano. Sotto quegli occhi c’era la verità tanto osannata, se c’era un altro uomo che poteva testimoniare l’esistenza di Dafne era suo padre.
Ryan andò alla finestra, porta che l’aveva affacciato a quella vicenda. Con uno strattone aprì le tende. Nessun chiarore nel cielo, neanche una stella in vista, forse offuscata dall’inquinamento delle luci della città. Neanche la luna si mostrava quella notte di novilunio. Il padre avrebbe dovuto svegliarsi, come da programma nelle notti di luna nuova, il non modificarsi di tali abitudini dava da sempre la certezza a Ryan che Dafne stesse al sicuro.
Scosse il padre più volte per destarlo, ma l’uomo modificò solo l’intensità del suo respiro profondo. Lo scosse sempre più forte, quasi lo fece rotolare giù dalla branda, ora che tutti stavano andando via non avrebbe mai permesso che lui non tornasse indietro. Se era in quel letto era anche colpa sua, se solo non si fosse affacciato a quella finestra, se gli avesse dato retta lasciando in pace la strana vita dei suoi vicini, ora sarebbe li a sgridarlo per averlo svegliato. Ryan smise di spintonare suo padre, cercò l’amuleto con lo scopo di utilizzarlo per la prima volta, non lo trovò, la catenina non reggeva nulla, nuovamente.
La pietra si nasconde nelle notti di novilunio!
Riportò alla mente Ryan in quel momento.
Le poche cose imparate sull’amuleto restavano coerenti, tutto era coerente alle sue ricerche, anche se lui attendeva una svolta che cambiasse nuovamente le carte in tavola. Smovendo la situazione avrebbe trovato qualcosa sul fondo del tavolo ma, le carte stavano li ben ordinate, ci aveva messo tanto la sua Dafne ad organizzarle in modo che fosse davvero difficile mandarle all’aria, persino per Dominique. Anche se qualcosa era sfuggito alla ragazza: suo padre probabilmente non si sarebbe mai ripreso o forse era lui che avrebbe dovuto portare a termine quel progetto. Il suo primo compito da nuovo custode. La paura di quella nuova responsabilità era svanita, si sentiva più forte in merito, qualcosa gli diceva che ce l’avrebbe fatta. Nonostante questo non riusciva a gioire.
 
Dopo quella notte Arthur Omalley si risvegliò, anche se non era in grado ne di parlare ne di reagire se non ha riflessi condizionati. Al calar del sole cadeva in un sonno profondo, svegliarlo diventava impossibile ed i medici come sempre, cercavano una spiegazione plausibile che non arrivò sino a poche ore prima del termine del ricovero dei due, quando dichiararono l’uomo affetto da un morbo incurabile che non degenerava. L’attività celebrale del signor Omalley era positiva, anche se non ancora in grado di comunicare, dalle sue espressioni giorno dopo giorno sempre più vivide, si poteva comprendere la sua voglia di miglioramento. Se pur suo figlio fosse la persona al suo fianco per la maggior parte della giornata, l’uomo restava apparentemente indifferente alle sue domande; Ryan non sapeva se quell’atteggiamento distaccato fosse volontario o meno, smise di fare domande, anche per il timore che qualcuno potesse ascoltarli.
*.*.*.
Quando finalmente i due fecero ritorno a casa, nella seconda settimana di settembre, l’estate stava volgendo al termine. Presto Ryan avrebbe dovuto affrontare gli esami di recupero, e comprendere dal loro risultato se avrebbe superato l’anno. Nel corso delle giornate passate in ospedale da sveglio, il capo della polizia George Care si era gentilmente offerto di fargli reperire i suoi libri di testo. Contro ogni loro aspettativa, Ryan si mise a studiare seriamente, non solo perché non aveva altro da fare ma, per tenere la mente occupata, desiderando che il tempo passasse più in fretta.
Gli argomenti che aveva a cuore in quei momenti, non poteva tirarli fuori con nessuno. Così, senza neanche accorgersene smise di parlare, chiacchierare e scherzare, nessun argomento a suo giudizio valeva la candela. Atteggiamento che continuò ad avere, anche dopo il ritorno nella sua abitazione.
Vicini, lontani cugini comparsi dal nulla e semplici conoscenti della cittadina, di cui Ryan neanche ricordava il nome, gli fecero visita per sapere come andassero le cose. Molte di quelle persone non avevano mai messo piede nella sua casa, solo grazie alle notizie sui giornali, sapevano dove andare a cercare l’abitazione dei protagonisti, dell’evento del momento. Curiosi che non avevano mai avuto a che fare con gli Omalley, se non per parlottare delle mascalzonate del giovane Ryan, comodamente seduti ad un tavolino di un bar. Persino Paul Crow bussò alla sua porta, chiese scusa al ragazzo per la sua irruenza, annunciando che avrebbe ritirato le accuse rivoltagli mesi prima; a questo punto Ryan non ebbe più dubbi: la gratitudine offerta per pena, non è mai del tutto sincera.
I cittadini di Grain erano dei bigotti impiccioni, nessuno di quei visitatori provava vero interesse per sua salute e quella del padre, continuavano a proclamare la loro disponibilità, una donna si offrì persino di rifargli il bucato, ovviamente Ryan si rifiutò, convinto che quella richiesta gentile fosse una messa in scena, per permettere alla donna di mettere il naso nelle sue faccende, sbirciando nelle tasche degli indumenti, ispezionando ogni macchia.
Le osservazioni negative da parte del ragazzo, fondate o meno che fossero, non venivano più mostrate come un tempo, con atteggiamenti strafottenti e frasi sarcastiche; Ryan affrontava ogni visitatore con cortesia ed educazione, accogliendoli in una casa ordinata e pulita. Faceva il loro gioco, mostrando il suo lato garbato, se pur molto falso, in modo che non mettessero in giro per la città voci discriminanti nei suoi confronti. Alcuni di loro ebbero il coraggio e la faccia tosta, di chiedere cosa ne pensasse sulle vicende dei Brown, tali elementi il ragazzo apprezzava anche se in minima parte, almeno erano capaci di rubargli un sorriso con il loro modo di fare. Con semplicità Ryan spiegava ciò che i visitatori curiosi già sapevano: che Dominique era in arresto, mentre sua moglie si era sentita costretta a trasferirsi in una nuova città, più vicina al carcere dove era detenuto il suo ex convivente.
Ryan era certo che la donna non si fosse trasferita per tali motivi ma, per sfuggire agli sguardi e alle parole dei suoi concittadini, che ora non avevano altri se non Ryan, da spremere di domande, come fosse un gazzettino informativo. Le sue informazioni, per loro dispiacere, erano sempre deludenti, perché il ragazzo non forniva alcun ragguaglio degno di chiacchiere scandalistiche.
Sfoggiare un’educata accoglienza a cattivo gioco però, non serviva con la gente che lo conosceva sul serio: Chris, Henry e George Care non domandavano mai se avesse bisogno di aiuto col bucato, ne cosa ne pensasse dei suoi ex vicini. Anche Chris, unico a conoscere particolari scottanti riguardanti i due coniugi e la loro storia, non tirava in ballo l’argomento, dalla loro prima conversazione dopo il risveglio di Ryan. Le loro non erano domande ma richieste: richiedevano al ragazzo una maggiore collaborazione, con chi tentava di aiutarlo a superare quel momento difficile, non chiudendosi in se stesso; lo pregavano di avere più cura del suo futuro oltre lo studio, cominciando a pensare cosa avrebbe fatto a proposito del padre e delle sue condizioni. Conversazioni che invece di sollevarlo, lo abbattevano maggiormente. Inutili anche i tentativi di nascondere il suo malumore con loro che, ebbero comunque la pazienza di non insistere eccessivamente … almeno sino a quel momento.
17 ˞ۥ Settembre ˞ 1997
Un brusco risveglio lo attese una mattina dall’aria autunnale. Ryan si pentì di aver fornito a Chris una copia delle sue chiavi di casa.
-Cosa vuoi da me? Vattene!-  gridò Ryan coprendosi con il lenzuolo sin sopra la testa.
Come poteva sapere il suo caro amico mattiniero, che il nostro Ryan aveva passato la notte in bianco per la preoccupazione, nell’attesa che qualcosa di assolutamente soprannaturale si facesse vivo in lui. Contro le sue aspettative non era avvenuto nulla di anomalo, anche se la luna appariva notte dopo notte sempre più splendente.
Secondo i calcoli, e ciò che era ben evidenziato sul suo calendario personale, Ryan sapeva che quella notte sarebbe stata una notte importante. Doveva ancora prendere decisioni organizzative, su dove e come passare quelle ore, per evitare danni durante il plenilunio, il progetto più adeguato restava il nascondersi nel rifugio della pineta, luogo dove non aveva messo piede una seconda volta.
-Oggi ho lo scopo di portarti in giro, hai bisogno di svagarti.-  disse Chris deciso a non andar via senza di lui.
-Dove dovremmo andare?-  chiese scettico Ryan da sotto le lenzuola  -Non posso lasciare solo mio padre, sin quando non arriva l’infermiera-  aggiunse rigirandosi dall’altro lato.
-Arriverà entro un quarto d’ora-  rispose Chris orgoglioso di se stesso  -Tutto organizzato in modo che tu possa passare una giornata in piena libertà. Ringraziami!-  disse allargando le braccia, come in attesa di un ringraziamento.
Ryan, che nel frattempo stava rovistando nel suo armadio, alla ricerca di jeans possibilmente puliti e una t-shirt dal mucchio di roba abbandonato sul fondo di uno scomparto, rispose con un poco entusiastico mugugno -Quando uscirai da quell’armadio?-  domandò improvvisamente alle sue spalle Chris, facendo sobbalzare il ragazzo che urtò il ripiano poco distante dalla nuca.
-Ma dico … lo sai che sono stato vittima di un trauma cranico?!-  si lamentò Ryan strofinandosi la testa, per un attimo pensò che l’amico stesse alludendo a ben altro discorso.
-Mi dispiace!-  si scusò Chris, dopo aver constatato che non c’era nulla di grave  -Non si può essere vittima di un trauma cranico … forse intendevi: subito …. Anche se neanche questo è esatto, visto che è stata una caduta accidentale …
La cosa diventava davvero insopportabile, sentire continuamente quella versione dell’accaduto gli dava su i nervi. Se quello sarebbe stato il suo giorno di libertà, decise che non doveva esserlo solo nelle azioni ma anche nelle parole.
-Posso decidere cosa fare allora?-  chiese a Chris con una smorfia soddisfatta, cambiando immediatamente discorso.
-S …si!-  rispose incerto Chris, colpito dal suo mutamento -Sei più lunatico del solito oggi!-  aggiunse mentre Ryan litigava con una cinta logora, che si attorcigliava nel farla procedere dai passanti.
-Chi te lo scrive il copione?-  disse Ryan dandogli prontamente le spalle, in modo da non far notare la sua espressione eccessivamente preoccupata. Chris non sapeva quanto significasse per lui quella giornata, eppure colpiva nel segno con frasi che agli orecchi di Ryan, prendevano un preoccupante doppio senso.
-Ci hai messo un secondo a cambiare idea, non sembravi convinto poco fa-  spiegò Chris, cercando di rattoppare l’intoppo.
-Comprendimi. Ero ancora nel mondo dei sogni-  rispose Ryan dandogli una pacca sulla spalla, rendendosi conto in quel momento che anche lui sfoderava frasi dal significato inerente a ciò che gli era successo, probabilmente perché era il suo pensiero fisso  -Mi scuserai se solo per oggi, torni ad essere l’amico sul quale scarico le mie malsane angosce … come ai vecchi tempi.
-Ne sarei felice ma …?-  domandò Chris, seguendolo non solo con lo sguardo  -Perché malsane angosce?
-Perché oggi mi aiuterai in una materia in qui non hai competenza-  rispose Ryan, superando il letto con un balzo, invece di aggirarlo  -C’è un reparto sulla magia alla biblioteca del paese? Per una volta la sfrutteremo per i suoi libri, e non come luogo di chiacchiere sconvenienti.
*.*.*.*.*.*.*.
Ciao gente!
Be?! …. Che ve ne pare? Sorpresi; delusi; contenti; ecc…. non lasciatemi senza notizie !
Anche se le recensioni scarseggiano, il che mi rammarica :(, in onore di chi mi segue continuerò a postare la mia storia, che si avvicina sempre più al termine, ringrazio di cuore <3 dreamisland, GatesIloveyou7, Ehileen e Gretel85 per il vostro appoggio e la vostra attenzione :D

Alla prossima
Vostra
Missdream XD

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Capitolo 10
*** scartoffie bagnate di pioggia e birra ***


Scusate il ritardo!:( Un po’ per la linea che non va, un po’ per gli impegni vicino pasqua, non ho potuto rispettare il giorno di pubblicazione.
Spero possiate perdonarmi con questo nuovo capitolo, un po’ più lungo … adesso vi lascio alla storia
Buona lettura!
 
*.*.*.*.*.*.*.
Capitolo 10
                       Scartoffie bagnate di pioggia
                                                                 e birra

 
 
Aspetto una domanda
che metta fine alle ambiguità in qui nuoto da un po’, una boccata d’aria
tra una bracciata e lo schianto del muscolo, sulla superficie dell’acqua gelida
che riporta il tuo ricordo;
il tempo sufficiente a far si che il mio sguardo, si liberi dalla foschia che mi annebbia.
Non posso trovare risposte, qui seduto a far niente
sin quando la domanda che aspetto non farà ritorno
con la sua mano gelida e rassicurante, prima che sia io a diventar gelo.
*.*.*.*.*.*.*.
 
 
Chris si mise a frugare nel primo scomparto della cassettiera, mentre Ryan gli urlava da sotto la doccia cosa fare.
-Certo che sei un bel tipo!-  lo rimproverava Chris  -Prima ti vesti, e poi decidi fare una doccia?
La pietra e la sua influenza, davano a Ryan un comportamento imprevedibile e mutevole.
-Ho cambiato idea. Lascia perdere i calzini neri, trovane un paio bianchi … di quelli corti-  gridò Ryan, indossando il voluminoso accappatoio, mentre Chris sbuffava impaziente.
Probabilmente più che lunatico, Ryan si divertiva ad indispettirlo; ora che Chris difficilmente gli diceva di no.
-Cercare un paio di calzini uguali è un’impresa qui dentro, ora che li ho trovati il principe ha cambiato idea!-  disse sarcastico il ragazzo, lasciando perdere calzini bianchi, neri o colorati che fossero.
-Hai detto tu che dovevamo darci una mossa-  rispose Ryan in tutta calma, raggiungendolo nella sua stanza  -è per risparmiare tempo.
-Sai cosa farebbe risparmiare tempo?-  gli disse Chris  -Rimettere a posto i calzini in coppia.
-L’ordine è per i pigri-  rispose Ryan, ficcanasando nel cassetto  -Guarda che casino hai combinato!
-Sarei stato io ha metterlo in disordine?
-Nel mio disordine, c’era un ordine. Ora non troverò nulla-  disse Ryan scostando gli abiti arruffati ed i calzini spaiati. Nel movimento qualcosa urtò il fondo del cassetto, un suono che non avrebbe mai potuto fare la stoffa.
Dimenticando ogni altra cosa, Ryan prese a tastare il fondo del cassetto, fino agli angoli ma, esso era troppo pieno per permettergli di arrivare all’oggetto estraneo. In un gesto impulsivo ormai da lui, sfilò il grande cassetto facendolo scivolare fuori dai binari, e lo abbandonò sul letto che cigolò sobbalzando per il peso.
-Devono per forza essere bianchi questi calzini?-  domandò Chris, con le mani arpionate ai fianchi in segno di stizza.
-E chi ci pensa ai calzini?-  disse Ryan svuotando il cassetto con poco garbo, facendo volare indumenti dove capitava  -Il mio obbiettivo è un altro.
-Approfittarti del mio buon cuore?-  disse Chris camminando per la stanza  -Almeno non fai il depresso come il tuo solito.
-Ecco!-  gridò di colpo Ryan, brandendo sopra la testa l’oggetto che cercava.
Chris osservò attentamente: tra le mani di Ryan, vi era un mazzolino di erbette dalle foglie verde scuro, grandi non più di sei centimetri, dalla sfumatura luccicante.
-Sistemare le spezie tra gli indumenti intimi fa parte del tuo ordine, oppure è un originale sistema di profumazione?-  domandò sarcastico Chris.
-Non ce le ho messe io-  disse Ryan, che ora guardava il mazzolino da vicino.
Le foglie erano accompagnate da piccole bacche nere, ancorate ai ramoscelli secchi, legati insieme da un fermaglio a clip con un fiocco azzurro  -Il fermaglio è quello di mia madre. Ci avevo legato tempo fa …-  ci pensò su, prima di ricordare il giorno in cui ripose quel fermaglio in fondo al cassetto.
-Cosa?-  chiese Chris curioso, mentre Ryan non distoglieva lo sguardo dai corti ramoscelli.
-Il giorno che ho tagliato i capelli a Dafne- disse Ryan  -Ho conservato una ciocca dei suoi capelli, tenendoli fermi con questo fermaglio. Non so perché …- terminò incerto.
-Già! Mi avevi accennato di averle tagliato i capelli-  disse Chris serio.
-Mi stai facendo il verso?-  si voltò Ryan infervorato, convinto che l’amico lo stesse prendendo in giro, per aver menzionato nuovamente la ragazza del mistero.
-No!-  rispose Chris alzando la voce  -Come sei suscettibile!
-Se fossi al posto mio, lo saresti anche tu.
Chris si fermò a riflettere, guardandosi le mani:
-Perché non parli più di quella ragazza?-  chiese serio
-Per il quieto vivere-  rispose Ryan con un’espressione enigmatica.
-Se non chiudi un debito in modo adeguato, continuerai a pensarci all’infinito; a meno che tu non sia un menefreghista-  gli disse Chris.
-Come si fa a diventare un menefreghista?-  chiese Ryan.
-Restando indifferente alla richiesta che ti viene fatta-  rispose il saggio ragazzo  -Cosa di cui tu non sei capace, per fortuna!
-Sarebbe una fortuna?-  disse Ryan afferrando al volo i vestiti sistemati su di una sedia.
-Hai bisogno di metterci un punto a questa storia, ho quella ragazza non te la leverai mai dalla testa-  disse Chris, tirando fuori il buon senso che mancava a Ryan  -Sfrutta il tuo giorno di libertà per chiedermi di aiutarti a risolvere questa cosa.
-Sei disposto a credere che questi erano capelli?-  lo mise alla prova Ryan, sventolando il fermaglio ricolmo di spezie, sotto il suo naso.
-Sono disposto a credere che questo è alloro … per il resto indagheremo-  rispose Chris.
*.*.*.
Come promesso i due andarono in biblioteca. Un reparto dedicato alla magia non esisteva ma, Chris sapeva dove andare a mettere le mani, in quel luogo che conosceva come le sue tasche.
L’alloro e i nomi: Dafne e Lauren, fecero venire in mente al ragazzo una leggenda dell’epica greco romana, di cui Ryan non aveva conoscenza.
-Dafne, figlia e sacerdotessa di Gea la Madre Terra,  e del fiume Peneo, era una giovane ninfa che viveva serena passando il suo tempo a deliziarsi, della quiete dei boschi.
Secondo la leggenda un giorno Apollo, fiero di avere ucciso a colpi di frecce il gigantesco serpente Pitone, incontrò Eros che era intendo a forgiare un nuovo arco. Apollo, ancora fiero di se stesso si burlò di lui, del fatto che non avesse mai compiuto delle azioni degne di gloria.
Il dio dell’amore, profondamente ferito dalle parole di Apollo, volò in cima al monte Parnaso e lì, preparò la sua vendetta: prese due frecce, una spuntata e di piombo, destinata a respingere l'amore che lanciò nel cuore di Dafne, ed un'altra ben acuminata e dorata, destinata a far nascere la passione che scagliò con violenza nel cuore di Apollo.
Da quel giorno Apollo iniziò a vagare disperatamente per i boschi alla ricerca della ninfa, perdutamente infatuato di lei. Il suo però, era un amore malsano, ossessionato, nato dal capriccio di una divinità offesa, e non scaturito dal puro sentimento.
Dopo varie ricerche Apollo riuscì a trovare la ninfa che, appena lo vide respinse la sua corte, intimorita e disgustata dal comportamento del dio, che per quanto insistette con dolci parole, non riusciva a far breccia nel cuore della giovane Dafne.
La fanciulla scappò da lui tra i boschi, sfuggendo per sempre dalle sue braccia.-  terminò la lettura, Chris  -Ricordavo un personaggio di nome Dafne in queste storie. Da bambino adoravo i miti e le leggende degli dei-  sorrise.
-Mentre i tuoi coetanei si facevano raccontare cappuccetto rosso, tu leggevi le gesta di mostri e anti eroi?-  ironizzò Ryan.
-Trovo più violenta la storia di un lupo che divora nonna e nipote-  rispose Chris scettico.
-Si va be …! Ma questa storia non ha nulla a che vedere con Dafne, se non il nome della ninfa che fuggiva-  disse Ryan con scarso interesse.
-La pagina che racconta il resto della storia è stata strappata via-  disse Chris, sfogliando li voluminoso libro  -qui dice che il nome Dafne proviene dal termine greco dafnos, che vuol dire lauro: antico nome con il quale veniva chiamata, l’attuale pianta di alloro- Chris ricominciò a leggere  -“In onore dell’amore perduto, il dio proclamò a gran voce che la pianta dell’alloro diventasse sacra al suo culto, e segno di gloria da porsi sul capo dei vincitori. Così ancor oggi, in ricordo di Dafne, si è solito cingere il capo di coloro che compiono imprese memorabili, con una corona di alloro.”-  terminò il trafiletto, successivo alla pagina strappata via  -Secondo te è un caso, che sia il nome Dafne che Lauren derivino dalla pianta sacra ad Apollo, e tu ti ritrovi un mazzolino della stessa pianta nel cassetto, al posto della ciocca di capelli che avevi conservato?-  aggiunse Chris  -Non eri tu quello che non credeva alle coincidenze?
-Non dico che la cosa non mi metta all’erta ma, tutto questo non ci porta a nessuna conclusione.-  replicò Ryan.
-Potrebbe essere un buon punto di partenza-  suggerì Chris  -Forse lo ha sostituito lei per farti comprendere qualcosa.
Sul volto di Ryan comparvero delusione è allo stesso tempo leggerezza; la leggerezza donata, da una persona vicina che ti accompagna lungo la via che ti sei prefissato di attraversare. Le incomprensioni e gli scontri magari tra i due non sarebbero cessati, perché i conflitti nascono da confronti, se manca il litigio viene a mancare anche il confronto, e non sempre si riesce a veder tornare un amico a camminare lungo i tuoi stessi passi. Non solo per metafora i due camminavano lungo la stessa strada, Chris con la sua bici alla mano accompagnò Ryan a casa, approfittando della passeggiata per continuare a chiacchierare.
Raggiunto il portoncino di casa Omalley, lo sguardo di Chris andò a quella che una volta era casa Brown:
-Nonostante abbiano trovato i documenti-  disse Chris pensoso  -non hanno scoperto il vero nome del signor Brown.
-I documenti che testimoniano la sua provenienza, gli avrà fatti fuori già da un pezzo-  disse Ryan  -ha un quadro in salotto, dipinto da lui, pensa che persino la tela è firmata col solo nome. Forse non se lo sono portato dietro, ci sono molti particolari a cui Beatrix non dava importanza … magari lo ha lasciato con il mobilio.-  spiegò Ryan, rivolto anch’esso alla vuota abitazione.
-Sarebbe così importante questo quadro?-  domandò Chris.
-Lo era per Dominique, quindi deve essere importante. Io non ne capisco niente ne di arte, ne di storie di dei e compari-  gesticolò Ryan in modo convulso  -magari se lo vedessi tu, ci capiresti qualcosa.
-Non provarci nemmeno!-  avvampò Chris improvvisamente  -Aver pranzato insieme; ricercato su libri di giardinaggio ed epica, i molteplici utilizzi dell’alloro; andare a sfottere Miss Order facendo finta di essere un povero ragazzo sconvolto dagli avvenimenti, va bene … ma questo no, infrangere i sigilli della polizia, no!
-In fondo oggi ci siamo divertiti-  disse Ryan, con un sorrisino che voleva essere convincente.
-Ciao Ryan!-  tagliò corto Chris, saltando in sella alla sua bici.
-Non era il mio giorno di libertà?-  gli urlò dietro Ryan  -Non mi dici di starmene buono a casa, senza far danni?
Chris voltò l’andatura, tornando in dietro:
-Perché? Se ti dico di non farlo mi starai a sentire?-  chiese con una smorfia poco convincente.
-Forse si … molto probabilmente no-  si riprese Ryan, mentre Chris sbuffava  -Oggi sei una locomotiva.
-Almeno non lasciare tracce del tuo passaggio-  bisbigliò Chris, senza scendere dalla bicicletta.
-Penso che entrerò rompendo la vetrata sul retro-  disse Ryan meditabondo.
-Atto che lascerà qualche traccia non credi?-  lo riprese Chris  -Vuoi cacciarti di nuovo nei guai? Le grazie per te sono finite.
-Non sarà una banalità come questa a fermarmi. Ci sono indizi la dentro che solo io posso notare, conoscendo Dafne.
-Indizi che neanche la polizia a notato?-  chiese Chris occhi negli occhi.
-Esatto!-  rispose Ryan sprezzante ed inflessibile.
Chris si trattenne dal sospirare nuovamente, si schiarì la voce e disse con estrema nonchalance:
-Una copia delle chiavi sono nel terriccio della pianta grassa, appesa al soffitto sotto la veranda d’ingresso.
-E tu come fai a saperlo?-  sorrise stupito Ryan.
-Il giorno in cui andammo a parlare con Lauren alla casa famiglia-  spiegò Chris  -me lo ricordo perfettamente, era il venti di giugno. Ti lasciai a casa, avevi mille pensieri per la testa. Deluso dal fatto che Lauren non ti avesse dato retta, che il tuo piano fosse da cambiare … quel giorno tornai indietro. Qualcosa mi diceva che ne avresti fatta una delle tue, volevo capire meglio chi era questa Dafne, perché più di un particolare mi era sfuggito, o omesso-  aggiunse rivolgendogli uno sguardo fulmineo che, andò a colpire l’orgoglio di Ryan  -fatto sta, che non eri in casa. Non era passato molto da quando ci eravamo salutati, ti ho aspettato per un po’ nel vialetto, e quando ho visto passare la macchina di Dominique Brown ho capito che dovevi essere in casa sua. L’ho visto prendere le chiavi del vaso in alto, ho capito da quel gesto che la moglie non doveva trovarsi in casa. Per evitare che ti sorprendesse in casa sua come un ladro, gli sono andato in contro per parlargli e distrarlo, ho volutamente alzato il tono della voce, in modo che tu dall’interno, potessi sentirmi e scappare in tempo.
-Cosa vi siete detti?-  chiese Ryan così teso, che solo se sue labbra si mossero.
-Di cosa avremmo dovuto parlare? Ho improvvisato sul momento domande riguardanti Lauren, gli ho detto che ero un suo compagno alla casa famiglia. Lui però non mi ha dato molta attenzione, mi ha snobbato ed è entrato in casa.
-Ero uscito dal retro. Ti ho visto andare via, pensavo volessi parlare con i Brown dell’adozione, e che ti fossi tirato indietro-  disse Ryan  -mi ha accolto Beatrix, non sono entrato di nascosto … quella volta!
-Ok! Non voglio sapere altro sulle tue violazioni e roba varia-  gesticolò Chris nervosamente  -Io non so niente, e non ti ho detto niente.
-Grazie!-  sorrise Ryan, sinceramente grato.
-Ci vediamo domani a scuola!-  lo salutò Chris prima di schizzare via.
Domani c’è scuola?
Ryan l’aveva completamente dimenticato.
Contrassegnata ogni luna e cambiamenti sul calendario, aveva dimenticato di segnare il primo giorno di scuola, dopo aver superato gli esami di recupero con successo.
Per quanto tempo ancora, avrebbe continuato a pensare alla giustizia mancata, che non sapeva neanche dove cercare?
*.*.*.
Solo una veloce capatina in casa, per dare il cambio all’infermiera di suo padre, prima di addentrarsi nella casa dei vicini: almeno questo era il progetto ma, i passanti gli impedirono nell’immediato di agire nell’ombra, dovette attendere il tardo pomeriggio, quando il passeggio di Grain andava a dormire con le galline.
Tranquillo Ryan uscì dalla sua abitazione, nonostante la sua breve assenza chiuse a chiave la porta: abitudine presa dalla notte in cui Dafne entro in casa sua. Non meditava di restare a lungo, presto avrebbe dovuto recarsi nel rifugio della pineta, attendendo la notte illuminata dalla luna: nuovamente padrona del cielo quella notte, con la sua pienezza.
Guardandosi intorno, Ryan fece scivolare le dita all’interno del piccolo vaso, pungendosi più volte prima di raggiungere la chiave. Un’ultima occhiata veloce alla strada deserta e Ryan fu dentro l’abitazione. Il piano inferiore apparve così come lo ricordava, con un po’ di polvere sparsa. Il quadro di Dominique era assente, sulla carta da parati vi era ancora l’ombra della sua prolungata presenza. Meditabondo Ryan soppesò ugni gradino che lo portava al piano superiore, era stato montato un attrezzo elettronico lungo la parete per il trasporto di invalidi.
Ogni stanza, parete, oggetto non gli dava altro che malinconia, al sol pensiero che Lauren aveva passato lungo quegli ambienti i suoi ultimi momenti. Gli abitanti di quella dimora, sembravano essere fuggiti all’improvviso lasciando tutto intatto, senza però dimenticare oggetti che potessero richiamare la loro identità, non una foto, una agenda o un oggetto strettamente personale.
Tutte le porte erano aperte, tranne una in fondo al corridoio. Con cautela Ryan abbassò la maniglia, aspettandosi di trovarla chiusa a chiave ma, non fu così; si trattava di un ristretto ufficio di classe, addobbato da semplici scaffalature in mogano, ancora ricolme di libri ed oggetti d’arredo di classe. Il ragazzo andò a sedersi dietro la sontuosa scrivania sprovvista di carte. Approfittò della comoda poltrona a rotelle per girare su se stesso, ed avere una rapida panoramica della stanza, a caccia di indizi o di un guizzo del suo istinto, che lo portasse ad intercettare un qualche particolare sfuggito ad altri occhi.
Fermò la giravolta allungando le gambe verso la cassettiera ancorata alla scrivania, scheggiandola. Cominciò ad aprire ed esplorare cassetto dopo cassetto, quello più in basso conteneva una risma quasi intatta, i restanti scomparti erano vuoti, probabilmente vuotati dalla polizia o da Beatrix. Ryan ebbe la sensazione che fosse più importante ciò che mancava, rispetto a ciò che era stato lasciato indietro. Quell’ispezione andava fatta prima, cosa sperava di trovare dopo così tanto tempo?
Con un gesto di irritazione, diede una manata al cassetto scorrevole per tastiera che sobbalzò tornando indietro, ed un foglio volò a terra, seguitò dal un piccolo blocco di appunti che Ryan afferrò senza pensarci due volte, probabilmente si trovava in fondo al cassetto scorrevole, ed il suo gesto ne aveva provocato la caduta.
Il blocco non aveva nulla di interessante al suo interno: vi erano segnate delle date con trafiletti scritti velocemente, con una scrittura stenografica incomprensibile. Se la polizia non l’aveva ritenuto importante alle indagini, non doveva esse nulla di rilevante.
Ryan si rigirò il foglio volante tra le mani, non apparteneva al blocco, appariva come un foglio strappato da un libro stampato. Distese meglio la pagina e cominciò a leggere:
“La ninfa terrorizzata, scappava tra i boschi. Accortasi però che la sua corsa era vana, in quanto Apollo la incalzava sempre più da vicino, invocò la madre terra di aiutarla, e questa, impietosita dalle richieste della figlia, sapeva che accelerare la sua corsa non sarebbe valso a nulla, sua figlia non avrebbe mai potuto scappare all’infinito, così rallentò il suo passo, sino a fermarla del tutto. Il corpo della giovane cominciò ad ancorarsi al terreno, i suoi delicati piedi si tramutarono in robuste radici, i suoi capelli mutarono in rami ricchi di foglie, le sue braccia si sollevarono verso il cielo diventando flessibili rami, il suo corpo sinuoso si ricoprì di tenera corteccia, ed il suo delicato volto svanì tra le fronde dell'albero venuto a crearsi.
Quando Apollo la raggiunse non poté prenderla con se. Dafne era salva dal suo aggressore, se pur condannata ad una vita in vesti differenti da quelle umane ma, pur sempre vivente, in nome della libera scelta.”
Si trattava della pagina strappata via dell’enciclopedia della biblioteca.
Perché mai un uomo in possesso di così tanti volumi, avrebbe strappato un libro appartenente alla biblioteca della cittadina?
Un tuono improvviso fece sobbalzare Ryan, prendendolo come un avvertimento si mobilitò per andar via, portando con se il quaderno e la pagina strappata.
Scendendo al piano di sotto passò dalla cucina, aprì le dispense in cerca di qualcosa che l’aiutasse a capire, ma niente. Attraversò il salotto e si diresse alle scale che portavano al seminterrato. Come un tempo gli dissero i poliziotti, si trattava di uno scantinato come tanti altri: polveroso, ricco di ragnatele e vecchie scatole con decorazioni natalizie.
Ryan cominciò ad aprire le scatole, tracciando il nastro adesivo senza preoccuparsi delle inevitabili tracce che avrebbe lasciato dietro di se, aveva perso troppo tempo al piano superiore.
Presto scoprì che targhette e spesse scritte sulle scatole, mentivano come i loro padroni. Le decorazioni natalizie contenevano vecchi indumenti sfusi, molto simili alle larghe camicie indossate da Dafne. Una busta nera nell’angolo aveva un post-it che recitava con un’elegante scrittura femminile: “raccolta lattine”. Ryan la strappò senza complimenti; all’interno vi erano una trentina di lattine, nulla di strano calcolando il compenso fornito da alcune associazioni pro riciclaggio, in base alla quantità di latta ricevuta, il lato bizzarro stava nel fatto che i barattoli vuoti, contenevano tutti birra, di diverse etichette ma sempre e solo birra. In fine, nascosto nell’ombra delle scale in legno grezzo, Ryan intravide un piccolo baule; la serratura non fu difficile da scassinare, il legno marcio si sbriciolo alla minima forzatura, il catenaccio a forma di cuore cadde per terra, creando un piccolo colpo che nel silenzio circostante dell’abitazione vuota, apparve come un tonfo sordo che fece rabbrividire Ryan, facendolo sentire un codardo.
Con cautela aprì il baule mentre la pioggia battente, bussava al vetro della piccola apertura del seminterrato. Un brutto odore di polvere e umidità fuoriuscì dalla cassa, facendolo sternutire, all’interno vi erano dei giochi per bambina, tra i quali: vecchie barbi, pettinini, cavallucci impolverati e nastri dai colori un tempo vivaci. Una scatola di scarpe tinta di rosa con dei fiori mal dipinti sul coperchio, incorniciavano il nomignolo “Bea”. Ryan non poté non sorridere, dinanzi al comico appellativo della donna un tempo bambina, era evidente che la sua abitudine ai diminutivi nasceva dalla tenera età…la scelta di brutti diminutivi.
Aprì la scatola, nella parte interna al coperchio in cartone, una scritta sbiadita recitava “i miei tesori. Intrusi mollate la presa!”. Prima descrive il contenuto della scatola e poi, intima a chiuderla con una richiesta scritta?
Ebbe pena per Beatrix, se pur quei ricordi accuratamente conservati appartenevano alla sua infanzia, restava una donna ingenua, in un certo senso vittima di Dominique anch’essa.
All’interno della logora scatola, vi erano un paio di scarpette da danza classica di una minuta misura; collanine in corda e perline colorate, un orsacchiotto di peluche con della bambagia fuoriuscita dalle cuciture rattoppate, con cotone di un colore differente alla pelliccia sintetica.
Ryan si domandò se l’abbandonare quel baule nel seminterrato, fosse un atto voluto o costretto dalla donna, trasferita in tutta fretta.
L’intero baule era impolverato, tranne il contenuto della scatola; la cosa incuriosì Ryan che, cominciò a rovistare tra i vecchi quanto preziosi oggetti. Sul fondo trovò una lettera chiusa, senza destinatario ne mittente. L’aspetto lindo ed ordinato della carta, fece capire al ragazzo che si trattava di un messaggio lasciato li da poco tempo.
Nessuno avrebbe mai reclamato una lettera non spedita, senza destinatario, chiusa in un baule ammuffito. Quando e soprattutto, se mai Beatrix fosse tornata, avrebbe avuto altri pensieri più importanti di cui occuparsi.
Come previsto, la lettera scritta a mano su carta da lettere floreale, apparteneva alla donna. Non una data ne un iniziale indicazione sulle motivazioni, che la portarono a scrivere i suoi pensieri su quelle tre pagine, probabilmente uno sfogo da conservare, in modo da non poter essere mai più dimenticato.
Scriveva soprattutto di Dominique, senza mai farne il nome. Di come si fosse innamorata di lui senza alcun preciso motivo, delle sue fantasie dell’immediato futuro, dei sogni insieme, della delusione nello scoprire quanto fossero poco considerati quei desideri, dall’uomo che non era mai stato davvero suo.
Sulle loro malefatte nessuna parola esplicita, solo piccole spiegazioni di quello che la donna descriveva come un terzo incomodo, causa del progressivo declino della sua vita sentimentale. Terzo incomodo che nello scorrere della lettera, si arricchiva di particolari inconfondibili alla lettura di Ryan.
La donna insisteva sulle priorità dell’uomo, sempre pronto a specificare quanto lei non fosse al primo posto, probabilmente neanche al secondo. Sottolinea le affermazioni riascoltate mille volte da lui, come fossero richiami; i suoi giudizi, l’importanza del progetto da lui pianificato per anni. Piani che l’uomo comincia a modificare, dopo aver fatto una più approfondita conoscenza di colei, che viene etichettata come terzo incomodo; Beatrix descrive Dafne come fosse un’amante che non si concede mai, spingendo Dominique ad un’infatuazione senza sbocchi, che lo spinge ad insistere sempre più, lasciando perdere persino i suoi progetti per lui più importanti. Accusa Dafne di essere una presuntuosa viziata, sempre bisognosa di attenzioni, alle quali il suo compagno non metteva mai un freno, perdonandola anche dopo aver scoperto i suoi piccoli furti all’interno dell’abitazione; pone l’esempio di birra e alcolici mancanti: “Trovate le prove della sua colpevolezza, invece di punirla, crede alle sue scuse e le fornisce addirittura altri alcolici ogni notte”, lesse Ryan concentrato, ricordando quando Dafne, gli consigliò di bere alcolici nel caso la pietra gli avesse dato fastidio. Ryan percorse nei suoi pensieri il tragitto compiuto dalla ragazza, la notte in cui penetrò nella sua casa: dopo aver aggredito involontariamente suo padre, svuota il frigo col desiderio di auto controllarsi con l’aiuto dell’alcol, mette su un nastro di musica classica, e si chiude nello stanzino, dove trova una vecchia tuta da giardino che indossa per stare più calda.
Continuando a leggere avidamente, Ryan trovò una descrizione di se stesso, era l’unica persona nominata nella lettera. Notò quante volte veniva ripetuto in suo nome, come se Beatrix ne fosse orgogliosa. Il fatto che il suo nome fosse l’unico citato apertamente, era sintomo della sua diversità agli occhi della donna, Ryan apparteneva a qualcosa di diverso, qualcosa che non deve per forza essere nascosto, rappresentava per Beatrix l’alternativa alla sua vita ricolma di sotterfugi.  
Parlava di lui, come uno strumento da utilizzare per il suo riscatto, accompagnando progetti ed idee al quanto assurde, con complimenti ed apprezzamenti imbarazzanti, fino ad arrivare al suo primo atto di forza: Beatrix raccontava della notte in cui Dafne riuscì a fuggire, lei stessa aiuta la ragazza a scappare a sua insaputa, distraendo l’uomo, che accortosi della fuga della sua sottoposta corre a cercarla nella direzione indicata da Beatrix, ovviamente errata. Dopo aver allontanato Dominique, la donna intravide un movimento attraverso uno squarcio nella siepe, notò Ryan e con un gesto impulsivo lo colpì, con timore che potesse venire a conoscenza del lato nascosto della sua vita. Si trattava di una ferita lieve, ed il posto forniva una buona protezione dallo sguardo dei passanti, così lo lasciò li dov’era.
Distratta da Ryan, Beatrix perse Dafne, senza preoccuparsene più di tanto, riportò Dominique in casa tranquillizzandolo per quanto possibile. All’alba, preoccupata per la sorte del ragazzo, Beatrix uscì, trovandolo con suo stupore ancora sdraiato dietro la siepe. La donna racconta di aver gettato dell’acqua addosso al ragazzo, in modo che si svegliasse, facendo credere di essere li per puro caso. In quella occasione notò una piantina di Daphne di maggio, comprese che Dafne doveva essersi intrufolata in quella casa, pensando che durante il giorno la ragazza si sarebbe allontanata il più possibile dalla sua abitazione, non riferì al convivente ciò che aveva scoperto, fiduciosa che l’uomo potesse col tempo dimenticarsi della nipote.
Progetto che andò disgregandosi, quando l’uomo trovò una pagina strappata tra le cose di Dafne. Beatrix si trovò costretta a confessare di aver stipulato un patto con sua nipote, in cambio della buona condotta della ragazza, lei le avrebbe fornito qualcosa dal mondo esterno, in qui Dafne non poteva recarsi; la ragazza espresse il desiderio, di ricevere il libro più massiccio di miti e leggende degli dei che avesse trovato, visto che non gli era permesso accedere alla libreria dello zio, perché tenuta costantemente sotto chiave. Beatrix non sapeva che la ragazza, avesse tenuto per se una pagina di quel libro riportato in biblioteca ma, confidava nel fatto che Dominique avesse apprezzato la sua sincerità, dimenticava che l’uomo non mostrava ne provava vero rispetto nei confronti di nessuno, se non di se stesso.
La lettera terminava con la descrizione di una Beatrix demoralizzata, a causa di un uomo in qui aveva riposto tutte le sue speranze, un uomo talmente ossessionato che anche adesso, in assenza del terzo incomodo, passava ore chiuso nel suo ufficio a fumare erbe, in precedenza piantate per creare tisane calmanti per la ragazza ormai svanita, e leggere e rileggere una pagina tracciata da un libro di epica.
Ryan si soffermò a rimuginare: perché mai una vecchia leggenda, dava tanto da pensare ad un uomo di alta cultura?
La risposta era li tra le sue mani: una lettera di sfogo; fogli volanti; appunti scarabocchiati e lattine di birra. Non si trattava di una leggenda, quello era il piano alternativo di Dafne.
Ryan ricominciò a tremare, per il freddo, per l’ansia, per l’avvicinarsi della notte.
Richiuse il baule, non tentò neanche di ripararlo. Corse fuori dalla casa del ribrezzo dalla porta principale, nascose le importanti scartoffie conquistate sotto il k-way per proteggerle dalla pioggia, correndo verso la sua casa, mai apparsa così rassicurante, dopo essere stato in quel luogo denso di rabbia e tensione lasciata dai vecchi abitanti.
Grato dell’aver trovato un luogo finalmente asciutto, si fermò a controllare il suo orologio, si era fermato alle 7.00 pm. Si scosse la pioggia di dosso e rivolse uno sguardo dubbioso al cielo, il temporale aveva accelerato l’imbrunire, doveva darsi una mossa. I suoi occhi corsero nuovamente verso il basso, posandosi sul numero civico affisso accanto alla sua porta: 777; la data di quel giorno era il 17, settembre: settimo mese dell’antico calendario romano, 1997.
I tasselli mancanti erano arrivati a completare il puzzle, con l’aiuto non solo dell’indizio di Lauren ma, anche delle apparenti povere tracce, lasciate dai suoi nemici.
La Dafne della leggenda per sfuggire al suo aggressore, come ultimo rimedio, come ultima speranza, fu mutata in un arbusto di alloro.
La ciocca di capelli nel cassetto era stata sostituita, o mutata in foglie?
Per questo la pietra gli ripeteva che lei era li, accanto al rifugio nel bosco?
Lauren aveva dato quel compito a lui, avrebbe ritrovato sua sorella come promesso, gli avrebbe rivendicati; eppure i suoi piedi restavano incollati al pianerottolo, temendo di avvicinarsi alla verità.
Ritrovarla, anche in vesti differenti, avrebbe dato giustizia e riscatto alla dinastia Dark?
Di certo non avrebbe dato a Ryan la pace nel cuore.
*.*.*.
Incurante della pioggia, del buio che sopraggiungeva, dei fulmini in avvicinamento, Ryan continuava a correre a perdifiato verso il cuore del bosco. Le scarpe zuppe per le numerose pozzanghere calpestate, cambiarono colore a causa del fango.
Il vento sempre più energico, soffiava le sottili gocce di pioggia sul volto di Ryan che, sempre a fronte bassa per evitare che la pioggia gli offuscasse la vista, rallentava leggermente la sua corsa sino a fermarla del tutto, dinanzi alla vecchia quercia.
Lo scorrere della pioggia, aveva deformato l’ingresso del rifugio in fanghiglia scivolosa che rese difficile a Ryan penetrare all’interno, dove non vi era stato mutamento dalla sua ultima visita, se non fogliame sparso che dava all’ambiente un’aria trasandata. Avrebbe dovuto rimanere li dentro, sin quando i tremori non sarebbero cessati, sin quando il suo corpo e la sua mente, sarebbero tornati alla normalità ma, adesso era così vicino alla verità che non avrebbe potuto attendere oltre. Era sempre stato così: impulsivo e irrequieto, non avrebbe smesso di esserlo proprio quella sera.
<Continuava a ripetersi Ryan, mentre si arrampicava verso l’uscita, senza preoccuparsi delle conseguenze del suo gesto.
Un tempo la pietra gli aveva indicato una direzione a cui non aveva dato retta, convinto che quella sensazione udita, fosse frutto della sua fantasia.
Il consiglio di Lauren non era vano, sentiva che se non avrebbe trovato Dafne, entro lo scadere del diciassette settembre, non avrebbe avuto altre opportunità, ora era pronto a porgere l’orecchio a quel che la pietra gli avrebbe detto. Si guardò intorno, stringendo nella mano destra l’amuleto che sprigionava sempre più luminosa la sua energia, tanto che faticava a tenerlo stretto; cercava camminando ad occhi chiusi in segno di concentrazione, attendendo un segno, un breve rimando che, non arrivò alle sue orecchie ma, al suo naso: riconobbe un profumo conosciuto in sogno. La fragranza di spezie si faceva sempre più intensa, Ryan aprì gli occhi, non fu difficile scovare il fulcro del profumo, proveniente da un arbusto distante da altri alberi, come fosse messo in disparte, un fulmine lo aveva sfiorato, e delle piccole fiammelle cominciavano a comparire sui ramoscelli più alti. Velocemente Ryan si svestì del suo impermeabile, frustando con esso le fiamme per spegnerle, l’azione non fece che aggravare la situazione, dato che l’indumento prese fuoco a causa del suo tessuto infiammabile, con le pagine conservate all’interno delle tasche. Imprecando Ryan gettò a terra la giacca calpestandola velocemente.
Ricordandosi delle lenzuola di lana nel rifugio corse a recuperarle, rendendosi conto di quanto fosse distante. Se non fosse stato per le fiamme, che accentuarono il profumo dell’arbusto, non avrebbe mai notato la pianta.
Qualche secondo era bastato, che al suo ritorno Ryan vide la piccola fiammella non più tanto innocua, nonostante la pioggia che imperversava.
“Ricorda che la pioggia non basterà ad abbassare le fiamme che dovrai affrontare, ci dovrai mettere dedizione e impegno” : le parole di Lauren non erano semplice metafora.
Frustò più volte i rami, sino a spezzare i più deboli. Quando il fuoco cessò, il ragazzo si lasciò scivolare a ginocchia in terra per la fatica; se non fosse stato per lui, probabilmente l’iniziale fiamma avrebbe ridotto in cenere il bosco.
Ora che osservava meglio l’arbusto, notò che si trattava di un sempre verde, evergreen: il nome della sua via. Il fogliame era identico ai ramoscelli visti in sogno, trovati nel cassetto, visti nella foto della pagina strappata ormai bruciata, gli indizi erano ovunque, perché lo si comprende, sempre e solo alla fine?
Senza distogliere minimamente lo sguardo Ryan si destò, avvicinandosi titubante al giovane albero malconcio. Sfiorò col palmo della mano i tralci più bassi, qualcosa attirò il suo sguardo all’interno delle fronde, affondò il braccio tra i rami, sino a raggiungere un brandello di stoffa. Non era l’unico, osservando meglio ne contò altri quattro, tra i rami alti e incastrati nella corteccia del tronco, la stoffa aveva lo stesso colore della camicia da notte indossata da Dafne. Era solo l’ultimo, ennesimo indizio che Ryan non poté fare finta di non vedere. L’aveva trovata, Dafne era li d’avanti a lui, mutata in albero di alloro.
 
*.*.*.*.*.*.*.
Eccoci qui al termine del penultimo capitolo.
Vi avviso che il prossimo sarà piccolino, giusto il finale ma, soprattutto vi prometto puntualità :)
Alla prossima
Vostra Missdream

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Capitolo 11
*** Correre verso la fine ***


Capitolo 11 - ultimo capitolo
                                            Correre verso la
                                                                Fine.

 
 
Vedo i tuoi occhi ringraziarmi,
ringrazi me: l’eroe senza atto alcuno,
perché così mi sento!
Colui che ha pianificato gesta mai intraprese.
Eppure adesso posso gioire, di una vittoria
che non sento completamente mia.
 
Cos’ho fatto se non inseguire la giustizia?
Sotto le mie unghie non vi è traccia della pelle del mio nemico,
esso è al sicuro dai miei colpi, li dove non posso colpirlo.
 
Non sento vittoria, se non percuoto almeno l’animo
di chi mi ha ferito.
Non sento vittoria se non ritrovo le tue mani
tra le mie.
*.*.*.*.*.*.*.
 
Si sogna spesso che la vita diventi come una fiaba. Ogni azione avviene per un motivo ben preciso, con lo scopo di insegnarti una regola di vita fondamentale, apparentemente facilissima da apprendere e rispettare; e se anche qualcosa va storto, c’è sempre qualcuno o qualcosa che riporta tutto ad un felice quanto atteso lieto fine.
Qui non si trattava di fiabe ma, di una leggenda divenuta realtà, una crudele verità, davanti alla quale Ryan si trovava, senza poter fare nulla.
Questa sarebbe la vittoria?
La sospirata giustizia tanto richiesta e cercata, lo portava ad un vicolo cieco, con tante risposte e misteri svelati ma, pur sempre in un vicolo cieco.
Preso da un impulso immaturo, avrebbe voluto puntare i piedi in terra, arrabbiarsi con Lauren per averlo illuso portandolo ad una soluzione che non riusciva proprio a vedere, infuriato con Dafne per essere stata così responsabile da preferire un tale mutamento, pur di non macchiare il buon nome della sua famiglia, avrebbe dovuto rimproverare anche se stesso, perché se ne stava li a compiangersi. La verità non gli bastava come modello di vittoria, lui voleva lei, sana e salva, a dispetto della leggenda che condannava Dafne, ad una vita appartenente alla flora.
Osservò le sue mani, pallide come non erano mai state, risaltavano sullo scuro tronco dell’arbusto che ora tastava come stesse cercando un qualcosa al suo interno. I tremiti divennero troppo forti, e Ryan si trovò costretto a sedersi ai piedi del frutice, guardò il cielo, neppure si accorse che la pioggia era cessata. Senza paura fissava la luna, come a volerla sfidare, mentre lo mutava per la prima volta, consacrandolo come nuovo custode dell’amuleto, che avrebbe dovuto portare solo temporaneamente. Impresse le mani nel terreno, quasi a voler scaricare in esso la tensione che continuava ad accumulare attimo dopo attimo; d’un tratto ritrovò la forza perduta, acquistandone di nuova, si alzò in uno scatto veloce facendosi paura per ciò che avrebbe potuto fare, si rendeva conto in quei pochi momenti di lucidità, quanto i suoi atti fossero stati dettati da un’incoscienza rivestita di coraggio. Allargò le braccia, come a voler spiccare il volo; non gli importava più di essere visto.
Urlò al cielo, un unico grido roco e prolungato. Cominciava ad avere una strana percezione di se stesso, come si vedesse dall’esterno senza la libera scelta di come muoversi e agire. La pietra volò d’avanti ai suoi occhi, almeno è quello che riuscì ad intuire, perché la sua vista si faceva sempre più incerta. L’amuleto cominciò a muoversi, nel seguirlo girò su se stesso, trovandosi nuovamente a fronteggiare l’arbusto al quale non voleva più rivolgere lo sguardo ma, la sua volontà svaniva col passare dei secondi, fu costretto dal magico oggetto a fare qualche passo avanti; la piccola foglia andò a posarsi su di un ramo all’altezza della sua spalla, sembrava fare il verso alle comuni foglie, gelose della sua bellezza.
La vista diveniva sempre più offuscata dall’abbagliante luce della pietra, Ryan era convinto fosse un qualcosa che solo lui poteva vedere, un fastidio tutto suo, che gli fece vedere una mano al posto di quelle foglioline non più invidiose; la mano si allungò verso di lui, come alla ricerca di un appiglio, ed uscire da sabbie mobili invisibili; Ryan afferrò la mano tanto forte che rischiava di rompere le esili dita. Tirò verso di se con tutta la forza, quando vide che un robusto ramo prendeva la forma di un avambraccio, la pioggia ricominciò a cadere, rendendo la presa sfuggente, le sue mani scivolarono quel tanto da far tornare l’avambraccio di una scura sfumatura bruna.
Ryan allungò il braccio sinistro verso un ramo distante, dove aveva poggiato il lenzuolo di lana, con esso la presa sarebbe stata meno vischiosa. Con tutte le sue forze cominciò a tirare verso di se, il lato dell’arbusto che magicamente mutava in un braccio, in una spalla, all’altezza di essa un rivolo di sangue sgorgava da una bruciatura, li dove l’arbusto era stato colpito dal fulmine, la presa di Ryan divenne sempre più debole, le sue gambe puntellate nel terreno fangoso perdevano aderenza. Stava per perdere i sensi al culmine della trasformazione, come succedeva a Dafne.
-Non adesso ti prego!- urlò a se stesso, con una voce arrochita dallo sforzo.
Il tronco ebbe un sussulto …
Un ultimo strattone prima della perdita di coscienza …
La caduta inesorabile sul terriccio … non c’è due senza tre!
Questa volta però qualcuno era al suo fianco, avvolta nel suo pesante lenzuolo azzurro, azzurro come gli occhi che la fissavano, li c’era Dafne, finalmente tra le sue braccia:
-Mi hai trovato-  bisbigliò lei affaticata  -Tutta la mia vita è stata storta, non mi sono mai lasciata andare sino a questo momento, perché sapevo ci saresti stato tu a prendermi al volo!
Ryan ebbe giusto il tempo di udire le ultime parole rivoltagli, che l’udito andò via prima della vista, seguita dal tatto.
*.*.*.
Sentiva ogni cosa.
Ogni movimento in casa, il chiacchiericcio, i passi strascinati del padre in pantofole, la risata e il battito di mani di George Care ad una battuta poco pulita del suo vecchio compare. Il suo risveglio si era fermato li, alle sue orecchie.
Mise a posto i ricordi. Cosa era successo prima della sua perdita di coscienza? Niente buio, nessuna luce abbagliante, solo occhi. Sottili occhi castani sul punto di lacrimare, frasi ascoltate che presagivano vittoria, dette da labbra che divennero mute ai suoi orecchi, mimavano il suo nome ripetutamente, come a volerlo accompagnare nel sonno in qui era caduto chissà quanto tempo prima.
Ricordava gocce non di pioggia che cadevano sui suoi zigomi, cadevano dagli occhi di lei; che quelle fossero lacrime di gratitudine, gioia o tristezza a Ryan non importava in quel momento, tutto quel miscuglio di sentimenti era roba da ragazze che, uno come lui non avrebbe mai capito a fondo, gli importava del bacio a fior di labbra a cui non aveva potuto rispondere, per via della sua immobilità prima del vuoto; ed un secondo dopo era li, sdraiato sul suo letto ad ascoltare, senza ancora poter agire, e la cosa gli dava un enorme fastidio.
Finalmente riuscì a far rispettare l’ordine ai suoi occhi che si aprirono, non aveva più freddo, anzi, faceva un gran caldo, dalla finestra penetrava un sole cocente che lo colpiva in pieno. Non si sentiva ancora abbastanza in forze da destarsi, allungò la mano verso l’interruttore del ventilatore portatile, pigiando sulla programmazione a velocità massima.
Con la coda dell’occhio vide qualcuno comparire sull’uscio della sua camera:
-Stai monopolizzando il ventilatore?- si lamentò Arthur, zoppicando verso il figlio ancora sdraiato sul suo letto -Riportalo immediatamente al piano i sotto! L’ho comprato io, con i miei risparmi, e mi appartiene.
La forza arrivò improvvisamente senza mezze misure, Ryan si issò a sedere come sull’attenti.
Ciò che più lo sconvolgeva, non era il fatto che suo padre fosse in piedi li di fronte a lui ma, la strana sensazione, quasi inquietante di dejavu.
Portò la mano al collo, dove trovò la catenina di Dafne, con appesa la piccola foglia di ghiaccio perenne che tirò fuori dalla canotta. Un attimo dopo si rese conto che il padre lo stava ancora guardando, inizialmente preoccupato per aver reso pubblico il suo segreto, il padre gli disse che non vedeva nulla appeso al suo collo, ne catenina, ne amuleto.
Mentre il padre sbuffando di insoddisfazione, si lamentava col figlio di una questione appresa da George Care quella mattina, riguardante una rissa in un pub, Ryan non gli poneva il minimo interesse, l’attenzione la dedicava al suo calendario affisso al muro che, riportava la data di quel giorno: 7 maggio 1997.

*.*.*.*.*.*.*.

Ciò che vedo io, solo lei può vederlo,
colei che comparì in una sera d’estate,
con il vento tra i capelli, profumati di fiori di maggio,
quel vento
che mi somiglia,
che l’ha portata a me,
a centosette passi dietro il sempre verde,
dopo quarantatre giorni di sonno,
dopo un’estate da sogno.
Se sei un miraggio mento, perché se non esisti e come non esistessi io stesso.
Il gioco di parole mi confondeva
come tutto il resto ma, adesso son desto.
Libero di camminare verso il giudizio,
di chi dall’esterno vede ciò che passo.
Libero tu che leggi di comprendere il tuo nesso, magari
diverso dal tuo compagno,
diverso da me che scrivo
perché diverso è il cuore di ciascuno.
 
Il mio è un cuor d’alloro,
prima immobilizzato dal ghiaccio freddo della paura,
poi riscaldato dal sole d’estate e dalle calde foglie d’autunno,
è un cuore che muta, guai se non lo facesse,
cuore che cerca sempre di seguir la via adeguata,
che questa sia retta o meno non so,
nessuna strada è solo giusta o sbagliata.
Lo scoprirò a tentoni, camminando, cadendo, zoppicando, correndo, tentando.
 
 
*.*.*.*.*.*.*.
 
Salve a tutti :)
Oggi si concludono le vicende dei miei amati Ryan, Dafne e Chris, con un finale un tantino stronzo .. lo so :) ma, alla fantasia non si danno regole, e la mia fantasia ha partorito un finale ad interpretazione.
Credete quello che volete: che Ryan in realtà abbia sognato; che abbia ereditato la pazzia di sua madre; o, che sia stato messo in guardia sul suo futuro, mostrandogli come risolvere la situazione senza troppi trambusti, lasciandogli la pietra, (che solo lui può vedere) come guida e testimonianza che ciò che ha visto, non era fantasia.
 
Grazie a tutti vuoi che avete dedicato una fetta del vostro tempo, per seguire la mia storia “squinternata” , in particolare a: Ehileen, GatesIloveyou7, Angie97, Gretel85 e __DareToDream XD
…che altro dire…
Ciao, ciao
Alla prossima
Missdream XD.

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