CAP 2: Capitano Hyuga
CAPITOLO 2: Capitano Hyuga
Per quanto fossero ormai diventati calciatori professionisti e di successo, e tutti
lontani dai propri luoghi d'origine per buona parte dell'anno già dai tempi
delle medie, né lui, Wakashimazu o Sawada avevano deciso di cambiare le loro
residenze.
Dopo la vittoria al World Youth e l’acquisto da parte
della Juventus, poteva dirsi finalmente benestante; eppure Kojiro Hyuga non
aveva posto obiezioni quando sua madre aveva preferito che acquistassero la
loro nuova casa al Meiwa. La signora Hyuga era una donna semplice, e pure se il
loro quartiere non poteva certo dirsi bello, lì c’era tutta la gente con cui
erano cresciuti e che era stata loro vicino nei momenti difficili, incluso
quando era stata in coma all’ospedale. Un po’ rozza certo, e indurita dalla
fatica quotidiana, ma schietta e di buon cuore. Proprio come erano gli Hyuga.
Quando Kojiro usciva tra le strade del suo quartiere,
sembrava non essere cambiato nulla. Tutti lo salutavano proprio come tanti anni
fa, quando vedevano passare il bruno e laborioso ragazzino con il suo
immancabile pallone al piede e i giornali sottobraccio. Certo, ora anche quelli
che erano stati semplici conoscenti lo fermavano per strada. Gli chiedevano
autografi, di fare una foto insieme; ognuno aveva sempre un fatto o un aneddoto
da ricordare. Ma non si sentiva una celebrità. Ed era incredibile come si
sentisse ancora tanto a suo agio, quando la sera andava a bere una birra all’izakaya(1) all’aperto dove aveva lavorato
tante notti fino a tardi; al punto da aiutare i ragazzi a sgombrare le casse di
birre alla chiusura.
Per quanto in Italia si fosse adattato benissimo,
nonostante le difficoltà iniziali, non vedeva l’ora che il campionato finisse, rientrare
a casa dai suoi cari e godersi quel breve periodo di vacanza a disposizione prima del ritiro
e della partenza per il Messico con la selezione olimpica.
Dopo aver terminato la sua telefonata, quella mattina un
po’ piovosa del sette luglio, Kojiro per distrarsi era andato in giro con sua madre e Naoko
per acquistare uno yukata per sua
sorella. Finalmente, dopo tanto tempo, la sua famiglia quella sera si sarebbe goduta la Festa delle
Stelle in tutta serenità.
Rientrati a casa, Naoko aveva tormentato i suoi fratelli
affinché preparassero con lei i tanzaku,
cercando di estorcere loro qualche confessione su eventuali fidanzate. Infine
la ragazzina ammise, con un pizzico di sfacciataggine, che invece lei ce
l’aveva un ragazzo che le piaceva, ottenendo finalmente una reazione da parte
dei due riservati e gelosi fratelli maggiori, pure se non fu quella sperata! Era
diventata proprio tremenda!
“E’ inutile che neghi Ko! Confessa! Tanto lo so! Cosa ci
sei andato a fare a Yokohama appena tornato dall’Italia? E quei viaggetti ad
Okinawa?”
“E tu che ne sai di Okinawa?” sussultò Kojiro, colto
sul fatto.
“Me l’ha detto Takeshi!”
“Take… Takeshi? E da quando in qua Sawada ora è per te Takeshi?” esclamò Kojiro, mettendo
per un secondo da parte gli istinti maneschi nei confronti di quella “bocca
larga” del suo amico, per farsene venire altri, ben più pericolosi!
La ragazzina arrossì violentemente e Kojiro ingaggiò
una lotta scherzosa con lei, proprio come quando erano piccoli, sotto gli occhi
divertiti della madre e dei fratelli. Sì, era gelosissimo della sua Naoko,
ma tutto sommato… se quella simpatia tra il suo amico fraterno e la sua sorellina
era destinata a crescere, non poteva desiderare di meglio per lei.
“Bene. Mi sa che sarai tu a confessarmi qualcosa più
tardi, ragazzina!” disse, ponendo fine alla questione.
Kojiro poi prese distrattamente un tanzaku dal tavolo, intinse il pennello
e vi scrisse sopra qualcosa.
“Ehi! Dai, fammi vedere cosa c’è scritto!” esclamò
Naoko che, sveglia come sempre, si era accorta dei movimenti furtivi del
fratello sul tavolo.
“Niente che ti interessi. Guarda, è uscito il sole!”
rispose Kojiro, indicando la finestra e distraendola.
“Evviva! Così Orihime e Hikoboshi potranno rivedersi!
E i nostri desideri si realizzeranno!” disse saltellando la ragazzina.
“Ok io esco, ci vediamo più tardi!”
La
signora Hyuga salutò Kojiro con il suo dolce sorriso.
Conosceva bene suo figlio ed ormai sapeva che aveva bisogno dei suoi
momenti di
solitudine, per quanto amasse stare con i suoi cari. Era sempre stato
così; e poi, quand’era morto suo padre, per tanto tempo
non aveva avuto più un momento per
se stesso. La sua naturale aggressività era cresciuta di pari
passo con la sua
introversione e la sua diffidenza. Poi, per fortuna, col tempo aveva
mitigato
certi aspetti del suo carattere e fatto emergere di nuovo la sua parte
migliore, palesandola anche agli altri, e non solo alla ristretta
cerchia della sua famiglia. Ma Midori(2),
per quanto amasse suo figlio incondizionatamente, era consapevole che
Kojiro
non fosse una persona semplice. E per stargli accanto, bisognava essere
pronti
ad affrontare quasi una battaglia a volte, o a saper tacere e
accettare, cosa
non meno difficile.
Ma
nonostante la sua indole, Kojiro era un gran ragazzo, con una forza
d'animo irriducibile. Nonostante tutti i problemi e la sorte avversa,
non si era mai lamentato o scoraggiato, e si
era sempre preoccupato e preso cura di loro. Con i primi soldi
guadagnati con
gli spot e l’ingaggio con la Juventus, aveva desiderato solo due
cose: far
costruire una tomba per suo padre e acquistare la loro nuova casa, che
chiamavano affettuosamente il “castello”. (3)
“E con i prossimi soldi che guadagnerò, compreremo un
castello ancora più grande”, le aveva detto prima della partenza per l’Italia.(3)
“No figlio mio. Hai già fatto abbastanza per noi. E’
ora che tu pensi anche a te stesso e che abbia un castello tutto tuo.” (3) gli
aveva risposto sua madre, sperando che Kojiro cogliesse bene il significato
delle sue parole.
“Cosa posso volere ancora?” diceva spesso il ragazzo in
quei giorni. Nient’altro… ah, be’, diventare uno dei migliori attaccanti del
mondo, certo. La strada per il vero successo era ancora lunga… ma già così
poteva dirsi soddisfatto.
Mancava solo, forse, la cosa più importante…
Kojiro era uscito portandosi dietro il tanzaku, lasciando la sorella a cuocersi
nella curiosità.
Passeggiando di nuovo per quelle strade che l’avevano
visto crescere, Kojiro non riusciva a sentirsi tanto diverso dal
dodicenne
incazzato con il mondo che le percorreva. Persino fisicamente non era
tanto
diverso da allora, a parte i venti e passa centimetri in più di
statura e i muscoli finalmente modellati, e riequilibrati, da un
allenamento vero, e non
solo forgiati dal duro lavoro. Inoltre, la lotta per emergere e trovare
il suo
posto nel mondo pareva far parte del suo karma; da sempre, ovunque
andasse,
aveva trovato tanti “Meiwa”, dove aveva dovuto lavorare
sodo per dimostrare il
suo valore. Incluso alla Juventus, dove sperava di rientrare presto
dopo il
positivo prestito alla Reggiana.
Rispetto a quei tempi era però meno solo. Dal
campionato nazionale delle elementari in poi, con gli anni aveva capito di non
essere circondato solo da nemici, e che l’amicizia, quella vera, esisteva anche
per lui.
Un
bel passo avanti per il tipo che era. Perché il
carattere di Kojiro non era diventato così solo per le tristi e
difficili
vicende vissute in tenera età. L’essenza più intima
di Kojiro aveva in sé la
stessa forza del tifone che affrontò ad Okinawa quando
scappò da scuola ai tempi delle medie. Pulsioni, istinti,
pensieri e
sentimenti così potenti e complessi, di cui Kojiro stesso aveva
paura a volte; paura
della loro forza totalizzante e a volte ingestibile. E che,
inevitabilmente,
rendevano difficile anche la vita di chi decideva di stargli accanto
come amico,
o altro. Eccetto forse, a chi aveva un animo così simile al suo,
dal non
limitarsi solo ad accettarlo e comprenderlo pazientemente… ma a sentirlo.
MEGADETH – Tornado Of Souls
This morning
I made the call (Questa mattina ho fatto la telefonata)
The one that ends it all (Quella che ha posto fine a tutto)
Hanging up, I wanted to cry (Riagganciando,
volevo piangere)
But dammit, (ma, dannazione)
this well’s gone dry (queste sorgenti sono diventate secche)
Not for the money, (non a causa dei soldi)
not for the fame (non a causa della fama)
Not for the power, (non a causa del potere)
just no more games
(ma solo perché non si poteva più giocare)
But now I’m
safe in the eye of the tornado (Ma ora sono salvo nell’occhio del tornado)
I can’t replace the lies, (Non posso
sostituire le bugie)
that let a 1000 days go (che consentono a
mille giorni di andare avanti)
No more living trapped inside (Non ci sto
vivendo più intrappolato dentro)
In her way I’ll surely die (Nella sua
strada morirò sicuramente)
In the eye of the tornado, blow me away (Nell’occhio del tornado, volerò lontano
)
You’ll grow
to loathe my name (Potrai
crescere e detestare il mio nome)
You’ll hate me just the same (Mi odierai per lo stesso motivo)
You won’t need your breath (Non avrai bisogno del tuo respiro)
And soon you’ll meet your death (E presto incontrerai la tua morte)
Not from the years, (Non per
colpa degli anni)
not from the use (non per come hai usato la tua vita)
Not from the tears, (Non per le lacrime)
just self abuse (solamente per aver fatto del male a te stesso)
No more
living trapped inside (Non vi vivrò più intrappolato dentro)
In her way I’ll surely die (Nella sua strada morirò sicuramente)
In the eye of the tornado, blow me away (Nell’occhio del tornado, volerò lontano)
Who’s to say
what’s for me to say (Chi può
dire cosa significa per me dire)
Who’s to say what’s for me to be (Chi può dire cosa significa per me essere)
Who’s to say what’s for me to do (Chi può dire cosa significa per me fare)
Cause a big
nothing it’ll be for me (Perché tutto ciò sarà un grande niente per
me)
The land of opportunity (La terra delle opportunità)
The golden chance for me (l’occasione d’oro per me).
My future looks so bright (Il mio futuro appare così luminoso).
Now I think I’ve seen the light (Adesso penso di aver visto la luce)
Can’t say what’s on my mind (Non posso dire cosa penso)
Can’t do what I really feel (Non posso fare cosa veramente sento)
In this bed I made for me (In questo letto che ho fatto per me)
Is where I sleep, I really feel (qui dove dormo, provo davvero emozioni)
I warn you of the fate (Ti ho messo in guardia dal destino)
Proven true to late (che si è dimostrato vero alla fine)
Your tongue twist perverse (La tua lingua
gira perversamente)
Come drink now of this curse (Vieni a
bere ora questa maledizione)
And now I
fill your brain (E adesso riempio il tuo cervello)
I spin you round again (Ti giro ancora intorno)
My poison fills your head (Il mio veleno riempie la tua testa)
As I tuck you into bed (Come quando ti metto a letto)
You feel my
fingertips (Senti le punta delle mie dita)
You won’t forget my lips (Non dimenticherai le mie labbra)
You’ll feel my cold breath (Sentirai
il mio freddo respiro)
It’s the kiss of death (È il bacio della morte)
***
KOJIRO
Sinceramente non me n’è mai fregato un cazzo della
leggenda di quei due. Quasi non ricordo nemmeno il loro nomi. Quando eravamo
bambini, la festa di Tanabata era la scusa per far casino alla fiera con i miei
fratelli e gli altri bambini del quartiere, giocare, guardare i fuochi di
artificio e mangiare a sbafo dalle bancarelle. Però ne ho un bel ricordo. Anche
papà si divertiva tanto con noi e ci dava man forte. La mamma diceva sempre che
doveva badare a quattro bambini(4),
ma si vedeva che scherzava e ci lasciava fare. Bei tempi… che rimpiangerò per
sempre, pure se, dopo tante sofferenze e sacrifici, ora posso dire di aver
raggiunto finalmente un qualcosa che si avvicina alla felicità per me e i miei
cari.
Poi una sera, alle superiori, ne ho parlato con lui. Doveva per forza esserci anche lui. Pure se ci siamo conosciuti
dopo anni, siamo pur sempre nati e cresciuti non solo nella stessa città, ma
persino nello stesso quartiere.
Me la ricordo ancora quella notte; ci trovavamo al
solito di nascosto sulla terrazza dei nostri dormitori della Toho(5),
a
fumare e bere birra o saké un'ultima volta, prima di iniziare a
dare il massimo per i campionati nazionali. Un po' brilli, avevamo i
nasi in aria, a cercare invano le stelle nel
cielo inquinato di smog e luci di Tokyo. A quei tempi ci sentivamo
‘grandi’ e
guardavamo con sufficienza a queste feste tradizionali, dove si
divertivano solo
i bambini e le “donniciuole”. E poi, dopo la morte di mio
padre, la Festa di
Tanabata ormai non era più tra i miei primi pensieri. A cosa
sarebbe servito
poi portarci i miei fratelli? Sarebbe stata una sofferenza per loro
girare tra
tutte quelle bancarelle e non poter comprare nulla. Però la
mamma non
dimenticava mai di appendere i tanzaku nel nostro minuscolo giardino.
Io non l’ho più fatto.
In verità non ho mai creduto in queste cose, a
differenza tua, Wakashimazu; e sono sempre stato convinto che è con le nostre forze, e con
la forza, che otteniamo quello che desideriamo. E quando tu, con quella tua finta
noncuranza, mi hai candidamente detto - dopo esserti scolato l’ennesima tazzina
di saké - che anche a te non fregava un cazzo della leggenda, ma al destino un
po’ ci credevi e ogni tanto un tanzaku lo
appendevi la notte del sette luglio, ti sono scoppiato a ridere in faccia per
evitare di riempirtela di baci e di carezze. E, quando mi hai chiesto,
guardandomi con i tuoi occhi, gli unici che riescano a sostenere il mio sguardo
e farlo capitolare, se non volevo sapere quali fossero i tuoi desideri, ho chiuso
frettolosamente il discorso e ricordato che era ora di rientrare nelle nostre
camere, prima che i tutor si accorgessero della nostra assenza.
Dal primo giorno in cui parasti per caso la mia
pallonata uscita fuori campo(6),
ho provato qualcosa che ancora oggi non riesco a descrivere. Un qualcosa che, a
distanza di dieci anni, ancora non mi abbandona, nonostante i conflitti, gli
ostacoli, le persone, e gli eventi che hanno separato le nostre strade. E credo
che non mi abbandonerà mai, per il resto della mia vita.
Sarà che io con le parole non ci ho mai saputo fare,
ma forse queste non esistono per davvero per descrivere esattamente la forza di
quello che ho sentito.
Ti volevo. Ti volevo a tutti i costi. Semplificando al
massimo, queste sono le parole che potrebbero in parte descrivere le sensazioni
che avevo provato. Mi costava ammetterle, ma pensai
che ero sempre stato un po’ prepotente e possessivo, sin da piccolo. Mi convinsi che ti volevo così tanto
perché ne avevo bisogno per la mia squadra, certo, per renderla imbattibile.
Pensavo fosse questo il motivo e nessun'altro... Ma sentii anche come la
sensazione di non essere più solo. Ma non nel senso comune del termine. Dai
tuoi occhi senza ombre, dal tuo sguardo dritto e fiero, sentii che non sarei
stato più solo nel percepire e dare il mio significato alle cose e la vita.
E poi, a poco a poco, dovetti anche ammettere che mi
piacevi. Più mi tenevi testa, ed eri l’unico sulla faccia della terra, più ti
ammiravo. Se ai tempi l’avesse fatto qualcun altro, non garantisco che ne
sarebbe uscito tutto intero. Ma quando lo facevi tu, non so perché, riuscivo ad
accettarlo, come se fosse la prova che eri simile a me. E ne ero felice.
Quando ti ho sfidato in questi boschi, dove ora mi
ritrovo a passeggiare, stavamo quasi finendo alle mani; e tu hai deciso che
sarei stato il tuo Capitano solo dopo essere stato sconfitto… e non sapevi
nulla di me, della mia vita. Ma l’hai accettato solo perché ho dimostrato di
avere il tuo stesso spirito: quello di un orgoglioso combattente.
Anch’io, come te, ero sempre solo. Avevo scelto di
esserlo, per tutto quello che mi era successo, e per alcune persone che ci
avevano voltato la faccia. Solo dopo ho capito che per me è anche un bisogno,
per rigenerare me stesso e far chiarezza in questo mio animo così difficile. Ma
quando ti conobbi, ero colpito dalla tua solitudine. Per te era naturale. Io
invece, devo ammetterlo, dopo un po’ ne ho paura.
E continuavi a piacermi sempre più, mano mano che passavano i giorni. Quando vidi il tuo corpo per la
prima volta, così simile al mio, non provai quelle sensazioni di confronto e
invidia come spesso succede a quell’età. Ma ammirazione, fascinazione e infine…
desiderio. Quante volte ho dovuto reprimere anche solo la voglia di posare
semplicemente le mie mani su di te, stringerti forte e accarezzarti. Ho fatto
tanti sbagli, coinvolto troppe persone, pur di soffocare e non cedere più a
quello che io credevo qualcosa di sbagliato. E anche quando capii che mi
ricambiavi, la vera paura era quello che tu rappresentavi per me, molto più del
fatto di amare un altro uomo.
Temevo che mi rendessi debole. Come quei due tizi
della leggenda, pensavo che la passione mi travolgesse e mi distogliesse dai
miei obiettivi, dalle mie responsabilità. Perché per quanto tu sia così sicuro
di te e di quello che vali, e non fai nulla per farti amare… forse non hai
nemmeno minimamente idea di quanto tu possa diventare indispensabile.
Per quanto tutti mi dicessero che ero un bambino forte, quando ho perso
mio
padre avevo ancora tanto bisogno di lui, della sua guida, dei suoi
consigli,
anche della sua autorità. E all'improvviso mi sono ritrovato ad
essere io
invece quello a dover essere tutto questo, e a negare a me stesso
qualsiasi
lacrima, qualsiasi bisogno... soprattutto il bisogno di un legame che
mi fosse necessario più dell'aria che respiro. Come quella che
ho sentito mancarmi
quel giorno di febbraio. Perché non ho mai saputo bene come
spiegarlo ma...
starti accanto è vita. E' la mia vita, quella che abbiamo
costruito insieme,
crescendo insieme. O meglio, quella che tu mi hai aiutato a costruire,
dedicandoci
anima e corpo al mio sogno, che è diventato poi anche il tuo; la
vita che hai scelto
di vivere stando al mio fianco per quasi dieci anni, pure se in certi
momenti
il mio egoismo lo aveva dato per scontato. Eppure, anche se i nostri
sentieri
si sono allontanati, forse per sempre, ancora oggi non so in quali
altri mani
rimetterla la mia vita, se non nelle tue.
Anche quando tutto sembrava finito e mi è sembrato di cadere
di nuovo nel baratro, tu eri di nuovo al mio fianco.
Lo ricordo ancora quel
giorno in ospedale, al capezzale di mia madre, mentre stavo per telefonare l’agente
degli Urawa Red Diamonds. Qualcuno pose la mano sul telefono per bloccare la
chiamata. Una mano familiare, che avrei riconosciuto tra tante anche ad occhi
chiusi; bella, grande, elegante e forte, alla cui presa era impossibile
sfuggire e che racchiudeva quell’energia inconfondibile, che solo io e te possiamo
percepire. Capii che eri tu, ancor prima di girarmi e fingere sorpresa.
Eri lì per me. Tu c’eri e ci saresti sempre stato per
me, forse da prima che nascessimo, in un'altra vita, così come piacerebbe dire a te.
Mi conosci bene, e lo sapevi che mi sarei pentito un giorno di
quella decisione, pure se dettata dall'amore per mia madre. Tu hai
sempre saputo capire cos'era giusto per me, e sei stato anche
capace di metterti da parte per questo. Non l'ho mai dimenticato.
Così come non ho mai dimenticato l'eccezionale Capitano che sei stato
durante la mia punizione alla Toho, e il tuo essere sempre e comunque
dalla mia parte. Quello che invece non ho fatto io quando lasciasti la
Nazionale. Me ne sono accorto troppo tardi... e anziché dirti
quello che finalmente avevo capito, e provavo, ho trovato solo la forza
di risolvere tutto con la forza. Che tu forse hai forse più di me, e non solo fisicamente.
Cosa mi dicevi sempre? “Ricorda Capitano. Non sono solo le battaglie sul campo quelle sulle
quali potrai contare su di me”. C’eri tu quel giorno e non lei, pure se non poteva sapere.
*****
“Capitano!” esclamò Ken.
L'aveva detto ancora una volta, nonostante da un po’ si
imponesse di chiamarlo semplicemente Hyuga. E non perché i tempi del Toho ormai
erano passati. Anche quando erano in Nazionale, e il capitano era Oozora o Matsuyama,
aveva sempre continuato a rivolgersi a lui così. Perché era il suo eterno Capitano (7), il Capitano della sua vita. Ed ora non lo era più.
Quando Ken l’aveva chiamato, era ancora seduto a
terra, con la schiena appoggiata al tronco dell’albero, e gli occhi chiusi. Ma
aveva avvertito la sua presenza, percepito la sua energia. Quando però li
riaprì, rimase quasi sorpreso di vederlo.
“Sapevo di trovarti qui” disse semplicemente Kojiro.
Non erano mai stati tipi da convenevoli o manifestazioni
esplicite di amicizia. Ma quello che sentivano dentro ogni volta che erano
vicini, pure dopo tanti anni, era forse qualcosa di troppo forte e speciale,
per esprimerlo. E forse, era meglio trattenerlo a volte.
Kojiro prese in braccio il cagnolino che, dalle
braccia di Ken, era corso verso di lui per fargli festa.
“Anche tu non sei cambiato, pure se ormai sei un
vecchio! E’ sempre tutto uguale qui al Meiwa, o è una mia impressione? Di
sicuro tu ci sei ritornato più spesso di me.”
“Non spesso come avrei voluto. Nagoya non è
vicinissima e poi con gli impegni in Nazionale non ho avuto molto tempo”
“Nemmeno di scrivere… vero?”
Ken non rispose. Sapeva che Takeshi spesso scambiava delle mail
con il
Capitano, ogni tanto una telefonata. Sì, avrebbe voluto
scrivergli, almeno una volta, come si era ripromesso. Ma sarebbe stato
inutile. Quello che avrebbe voluto in realtà esprimergli, non
avrebbe portato più da nessuna parte.
La verità è
che, dopo un illusorio riavvicinamento con il suo rientro a Jakarta durante il
World Youth, si erano di nuovo allontanati, soprattutto con la partenza di Kojiro per
l’Italia.
“Ho del saké. Vieni a farti un goccio” cambiò discorso
Ken, rivolgendogli un delicato sorriso.
Kojiro sorrise a sua volta e andò a sedersi accanto a lui sotto l’albero. Per
un attimo, la pelle delle rispettive braccia nude entrò in contatto. Calda e
solare quella di Kojiro, fresca e lunare quella di Ken.
“Nemmeno tu sei cambiato Wakashimazu, pure ora che sei
un Maestro! Ma “astinenza” non era tra le parole d’ordine di Mister Kira? Porca
puttana… mi stava prendendo un colpo tanto che ho riso, quando Takeshi me lo ha
scritto!”
Ken scoppiò a ridere, ricordando la prima conferenza
stampa di Mister Kira, quando fu nominato CT della Nazionale olimpica.
“Appunto… e non solo riferita a lui! Perciò, meglio
che ne approfitti! Comunque è un grande, come sempre. Sono felice che
finalmente sia arrivato anche il suo momento.”
“Già. Anche il fatto di averti spostato in attacco, si
è rivelata una mossa vincente. Non ne avevo dubbi, io so quali sono le tue
capacità.”
“Te li ricordi allora?”
“Cosa?”
“Quei giorni in cui Kira ci fece giocare in attacco…
insieme.”
“Sì… come potrei scordarli? Anche se abbiamo voluto
dimenticarcene in tutti questi anni.”
Kojiro andò un attimo indietro con la memoria. Quante volte durante le partite l'aveva visto fremere quando,
costretto a stare fermo tra i pali, osservava la 'battaglia' sotto la porta
avversaria alla quale non poteva partecipare. Insieme a lui.
“Io non rimpiango di aver scelto di ritornare in
porta." disse poi Ken "Io amo essere un portiere. Tutto sommato, è quello il ruolo per il quale
tu e Kira mi avete voluto al Meiwa. Proteggere la porta della nostra squadra e
difendere le nostre vittorie, mi ha fatto sempre sentire importante. Però… in quel momento mi sembrò come
se finisse un' illusione. Anche dopo che ho dimenticato, o in parte rinunciato a
quel debole sogno infantile… giocare in avanti e formare una coppia d’attacco
con te” (8)
I
loro sguardi si incrociarono e per un attimo si rividero ragazzini. Un
lieve alito di vento accarezzò i loro volti, che già ai
tempi erano quelli di due piccoli uomini.
“Stasera è Tanabata." disse Kojiro, abbassando gli occhi. "La notte dei desideri. Non ho mai chiesto nulla che sia
solo per me. Prima di partire per l'Italia mia mamma mi ha detto: "costruisci il tuo castello ora". Io all'inizio non avevo capito fino in
fondo cosa intendesse. Io il mio castello credevo di averlo già realizzato. La
casa, la tomba per mio padre, il mio sogno di diventare un calciatore
professionista. Cos'altro potevo desiderare?”
“Sai bene invece cosa intendeva tua madre. Come va con... con quella tipa di
Okinawa?”
“Niente... io... io non sono una persona facile, Wakashimazu. Anche se col
tempo sono un po' cambiato, la mia anima è un qualcosa di
troppo complicato e incomprensibile, di violento a volte, per essere
capita ed accettata da chi non è cresciuto con me, da chi non mi ha conosciuto
nel profondo, da chi con me non ha condiviso tutto, anche il male che compare a
causa di quello che sono, e quindi non sa come comprenderlo, né gestirlo. E c'è
solo una persona di fronte alla quale non ho paura di mostrare tutto questo e
che può capirmi, davanti alla quale non ho paura di essere me stesso... in
fondo e sempre, in ogni istante, senza pormi il problema di dover essere
migliore, perché... solo quando mi rispecchio nei suoi occhi, gli unici che
riescono a sostenere il mio sguardo, io riesco a vedere la mia immagine”.
Kojiro pronunciò le ultime parole girando di nuovo il suo volto
verso quello di Ken, i loro profondi occhi neri in quelli dell’altro, diversi
nella forma ma identici nello sguardo e nella forza che emanavano.
L'atmosfera tra loro stava per diventare troppo densa
di emozioni e sentimenti inespressi. Cosa volevano dire quelle parole? L'aveva
lasciata?
“Io... io credevo che tu desiderassi una famiglia, prima o poi...” disse Ken,
dopo un silenzio che parve lunghissimo, e senza staccare i suoi occhi da quelli
di Kojiro.
“Sono già stato padre. Io ora vorrei solo... solo qualcuno che si prenda cura
di me. Voglio solo amare e basta, non chiedo altro”.
“Wakashimazu... ricordi?” continuò Kojiro, che aveva rotto gli argini ed era
ormai incapace di fermarsi “In quello
spazio tra quegli alberi … Qui ti ho sfidato la prima volta, chiedendoti di
entrare nella mia squadra. Ed è qui che i nostri fili rossi si sono annodati...
e prima che le stelle inizino a comparire, voglio appendere il mio desiderio,
anche se forse è troppo tardi!”
Hyuga si alzò di scatto e appese il suo tanzaku
ad uno dei rami più bassi dell’alberello vicino, per poi allontanarsi a passo
svelto.
“Capitano… Capitano, aspetta!” Ken balzò in piedi e prima di raggiungere
Kojiro, si affrettò a leggere la scritta sul tanzaku.
健
Ken. Il suo nome. Nient’altro.
"Capitano!" lo chiamò a voce ancora più alta, affrettandosi a
raggiungerlo.
Kojiro si fermò, ma per qualche secondo non osò girarsi. Chissà se aveva
letto... sentiva la presenza e il respiro un po’ affannato di Ken alle sue
spalle.
"Non so cos'altro chiedere per me stesso, per il mio castello, se non...
te, Ken! Ma..."
Kojiro avrebbe voluto aggiungere qualcos'altro, ma Ken lo abbracciò con forza e
dopo averlo costretto a girarsi, posò le labbra sulle sue. Esprimere i
sentimenti con semplicità e naturalezza non era mai stato il loro forte,
soprattutto se erano così enormi, assoluti e contenessero in sé la forza di una
tigre, di un leone, di un antico guerriero, del tifone e del fulmine; proprio come erano i loro caratteri, i loro
spiriti indomiti e liberi, che liberamente avevano scelto a chi appartenere. Le
parole tra loro non erano mai servite, se non a velare un po’ pudicamente
quello che in realtà provavano dentro.
Kojiro rispose alle tanto anelate labbra di Ken con
passione crescente, e al termine di quel lungo, profondo e intimo bacio, che
finalmente suggellò il loro ritrovarsi, Ken per la prima volta pronunciò il
nome del suo Capitano:
"Non aver paura… Prima che le stelle inizino a comparire nel cielo,
non è mai tardi ed io ti amo Kojiro, da sempre, da prima che iniziassi a
vederle le stelle..."
I lembi del tempo strappati e portati lontano dal vento degli eventi, sembrarono ricucirsi all'istante.
Non
esistono cuciture invisibili, così come non è possibile
coprire le crepe di un qualcosa di rotto... ma può essere
riparato e talvolta diventare ancor più bello e prezioso.
THE DOORS - Touch Me
Come on, come on, come on, come on (vieni, vieni, vieni, vieni)
Now, touch me, babe (adesso, toccami, babe)
Can’t you see that I am not afraid? (Non vedi che non sono spaventato?)
What was that promise that you made? (Cos’era quella promessa che hai fatto?)
Why won’t you tell me what she said? (Perchè
non vuoi dirmi di cosa lei parlava?)
What was that promise that you made? (Cos’era quella promessa che hai fatto?)
I’m gonna love you, (Ti amerò)
Till the heavens stop the rain. (fino a che dal cielo smetterà di piovere)
I’m gonna love you, (Ti
amerò)
Till the stars fall from the sky for you and I ( fino a che le stelle le
stelle cadranno dal cielo per me e
per te)
Now, touch me, babe. (adesso, toccami, babe)
Can’t you see that I am not afraid? (Non vedi che non sono spaventato?)
What was that promise that you made? (Cos’era quella promessa che hai fatto?)
Why won’t you tell me what she said? (Perchè non
vuoi dirmi di cosa lei parlava?)
What was that promise that you made? (Cos’era quella promessa che hai fatto?)
I’m gonna love you, (Ti amerò)
Till the heavens stop the rain. (fino a che
dal cielo smetterà di piovere)
I’m gonna love you, (Ti amerò)
Till the stars fall from the sky for you and I (fino a che le stelle le
stelle cadranno dal cielo per me e per te)
I’m gonna love you, (Ti amerò)
Till the heavens stop the rain. (fino a che
dal cielo smetterà di piovere)
I’m gonna love you, (Ti
amerò)
Till the stars fall from the sky for
you and I (fino a che le stelle le stelle cadranno dal cielo per me e per te )
OZZY OSBOURNE
- I Just Want You (Voglio Solo Te)
There are no
unlockable doors (Non ci sono porte che non si possono aprire)
There are no unwinnable wars (Non ci
sono guerre che non si possono vincere)
There are no unrightable wrongs (Non ci
sono torti ingiusti)
or unsingable songs. (O canzoni
che non si possono cantare.)
There are no
unbeatable odds (Non ci
sono quote imbattibili)
There are no believable Gods (Non
ci sono Dei credibili)
There are no unnameable names (Non ci sono nomi innominabili)
Shall I say it again? Yeah (Devo dirlo ancora una volta? Sì.)
There are no
impossible dreams (Non ci sono sogni impossibili)
There are no invisible seams (Non ci sono cuciture invisibili)
Each night when the day is through, (Ogni
notte quando il giorno è finito)
I don’t ask much (Non chiedo molto)
I just want you
(Voglio solo te)
I just want you
There are no
uncriminal crimes (Non ci sono crimini senza criminali)
There are no unrhymable rhymes (Non ci sono rime senza rima)
There are no identical twins (Non ci sono gemelli uguali)
or forgivable sins (o peccati perdonabili)
There are no
incurable ills (Non ci sono mali incurabili )
There are no unkillable thrills (Non ci sono emozioni che non ti uccidono)
One thing and you know it’s true, (Una cosa sola tu sai è vera)
I don’t ask much (Non chiedo molto)
I just want you
(Voglio solo te)
I just want you
I just want you
I just want you
I’m sick and tired of bein’ sick and tired (Sono stufo di essere stufo)
I used to go to bed so high and wired (Ero
solito andare a letto così ubriaco e tirato)
Yeah – yeah – yeah
I think I’ll buy myself some plastic water
(Penso che mi comprerò dell’acqua
di plastica)
I guess I should have married Lennon’s daughter (Credo che
avrei dovuto sposare la figlia di Lennon)
Yeah – yeah – yeah – yeah
There are no
unachievable goals (Non ci
sono obiettivi irraggiungibili)
There are no unsaveable souls (Non ci sono anime insalvabili)
No legitimate kings or queens, (Non ci sono re o regine legittimi)
Do you know what I mean? Yeah (Capisci cosa intendo dire? Sì)
There are no
indisputable truths (Non ci sono verità indiscutibili)
And there ain’t no fountain of youth (E non c’è alcuna fonte della giovinezza)
Each night when the day is through (Ogni notte quando il giorno è finito)
I don’t ask much (Non chiedo molto)
I just want you
(Voglio solo te)
I just want you
I just want you
I just want you
Tanabata... La tradizione vuole che in questa festa si
realizzino i sogni più a lungo rincorsi, i desideri più a lungo sperati.
Calligrafati su foglietti colorati poi legati alle fronde dei bambù
o sui rami di un albero, i desideri vengono affidati al vento perché li spinga
verso il cielo…
KEN e KOJIRO
Prima delle Olimpiadi, la Nazionale giapponese U-23
ebbe un ultimo test match con la fortissima Nazionale greca, in memoria delle
vittime di Hiroshima.
Durante il secondo tempo, il CT Kozo Kira, così come già sperimentato durante i
test match contro la Danimarca e la Nigeria, e le qualificazioni asiatiche,
sposterà il portiere Ken Wakashimazu in attacco, aggiungendolo alla prima punta
Kojiro Hyuga. Quello fu in assoluto il loro primo esordio come “two top” della
Nazionale, seguito poi dal test match contro la rappresentativa olimpica della Nuova
Zelanda durante il training camp in Messico, dove Hyuga segnerà un grande goal
grazie ad un perfetto postplay di Wakashimazu.
La loro perfetta intesa in campo, li fece
immediatamente definire dai cronisti “Dreamy Two Top” e “Double Golden Combi”,
al pari di quella storica formata da Tsubasa Oozora e Taro Misaki.
"In quel momento mi sembrò come
se finisse un' illusione. Anche dopo che ho dimenticato, o in parte rinunciato a
quel debole sogno infantile… giocare in avanti e formare una coppia d’attacco
con Hyuga Kojiro” (8)
Quel sogno finalmente sembrò realizzarsi per il
giovane Ken, quasi in contemporanea a quello che desiderava il suo cuore.
Al termine dell’avventura olimpica, ciascuno sarebbe
ritornato alle proprie vite. Un’eventuale medaglia d’oro del Giappone avrebbe
forse aperto nuovi scenari nelle loro carriere, soprattutto quella di
Wakashimazu. Quello che al momento era certo, era il rientro di Hyuga in Italia
una volta ripreso il campionato.
Probabilmente la distanza li avrebbe ancora una volta
separati, anche se stavolta solo fisicamente. Ma la loro città natale sarebbe
stata il loro Tanabata per sempre.
(1) Izakaya (居酒屋) è un
termine giapponese composto dalle parole "i" (sedersi), saka (sake) e
ya (negozio) è un tipico locale giapponese, che vende bevande
accompagnate da cibo a poco prezzo. Quelli all'aperto, tipo chiosco,
sono forse gli oden-ya: sono bancarelle di strada con posti a sedere e
popolari d'inverno, specializzati in oden.
(2) "Midori" è il nome che diedi alla signora Hyuga anni fa e significa "verde".
(3) v. "Road to 2002" e anime "Holly&Benji Forever"
(4) Pare che Masaru sia nato dopo la
morte del signor Hyuga.
(5) Le vacanze scolastiche estive in
Giappone vanno dal 20 luglio al 31 agosto.
(6) Versione di “Holly e Benji Forever”
(7) v. "Road to 2002" e anime "Holly&Benji Forever"
(8) testuali parole di Ken dal Golden 23, dopo il goal segnato alla Nigeria “At the moment it ended like
an illusion... Even afterwards I had forgotten or partly gave up... On this
faint childhood dream... form the two top with Hyuga Kojiro..."
Note di chiusura
Che Ken e
Kojiro abbiano molte cose in comune e similitudini tra loro, è innegabile. Già
il fatto che due asociali e individualisti come loro stiano sempre insieme e
vadano pure d’accordo, è un sintomo ;-)! Però, ragionandoci su nel corso degli
anni, ho intravisto tra Kojiro e Ken sempre più differenze, ma di tipo
complementare, che diventano poi quelle che uniscono per davvero due persone. E
quindi, la vera similitudine tra loro è forse una questione di ‘sentire’ in
modo simile, di avere uno spirito simile, più che il carattere in sé.
Il
mio amore
per il pairing KojiroxKen non nasce solo dalla vecchia fantasia di
un'adolescente, desiderosa di vedere i suoi pg più amati e
preferiti (due ragazzi bellissimi e pieni di fascino, non solo
esteriore^^) insieme e innamorati. C'è sempre stata una parte
di me che ha maturato la convinzione che loro due fossero Anime
Gemelle, che ognuno
potesse capire l'altro come nessuno al mondo. Sono
due ragazzi che difficilmente condividono qualcosa di se stessi con gli
altri. Hanno bisogno di intesa profonda con poche parole, di gesti
importanti, di lealtà, e soprattutto fiducia reciproca. Ho
sempre pensato che, per come sono fatti, Ken e Kojiro potessero legarsi
solo a qualcuno con cui sono cresciuti insieme e con cui hanno
condiviso momenti importanti.
Ripeto,
sono andata sul sicuro e sono stata prevedibile, parlando per
l'ennesima volta
della mia OTP del cuore. Eppure mi son resa conto che, in effetti,
tutto quello
che ho scritto, e voglio ancora esprimere su di loro, non è noto al
mondo (e si vede... scusate, appunto, la mia pipposissima
prolissità^^?). Quindi, dedicarmi a questo contest mi ha dato
l'opportunità di
mettere nero su bianco una delle mie tante emozioni e immagini su di
loro, e ringrazio di <3 Karon per questa possibilità! Grazie di <3 anche a Melanto per gli apprezzatissimi consigli post-contest, le sue parole e il suo entusiasmo!
Questa FF
la dedico a Ko_chan,
(sempre nel
<3) con la quale condivido l’amore appassionato per questi due
pg (pure se lei è decisamente più "Kojiriana" ^^) e con
l'augurio che si realizzino i desideri dei tanzaku che ha appeso il sette luglio scorso! Un
ringraziamento particolare a Releuse per
il supporto e per lo stesso ideale di Amore in cui crediamo! E un
abbraccio fortissimo a tutte le ELFine, siete meravigliose.
Un ultimo ringraziamento a Jim Morrison e zio Ozzy,
per avermi accompagnato in tutti questi anni e aver dato sempre voce a
quello che avevo dentro, com'è successo anche questa volta, per
puro (apparentemente) caso...
BUON SAN VALENTINO! <3
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