Fading fire

di PiGreco314
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 15: *** AVVISO 2.0 - MA PRIMA O POI LO SCRIVIAMO UN VERO CAPITOLO? ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Vuoto. Buio. Bombe. Prim. Morte.
Il 99 per cento dei miei pensieri. Ho provato a reagire ma non è servito a nulla, è tutto più forte di me. Molto più di quello che avrei potuto mai immaginare. D'altronde ha mai avuto davvero senso provare a reagire?
Peeta.
L'1 per cento, l'unica risposta che riesco a dare a questa domanda.
Che strano. L'unica cosa a cui posso aggrapparmi è un ragazzo per il quale non so cosa provo e che un tempo mi amava e ora mi vuole morta, il tutto perché le persone contro cui lottavo gli hanno fatto il lavaggio del cervello, mentre quelle con cui lottavo hanno ucciso la mia sorellina. Non ha senso, o almeno non riesco a coglierlo; mi scopro ancora una volta indifferente a trovarlo.
Voglio solo che finisca presto; il senso di vuoto e tutto questo dolore mi distrugge, il silenzio interrotto periodicamente dal suono di bombe che esplodono, armi da fuoco che sparano e cannoni che rimbombano mi fa impazzire; qualsiasi cosa sia questa che sto vivendo (non credo abbia più senso chiamarla vita) voglio che finisca.
Passo le giornate a fissare il vuoto, seduta sul divano in cucina, mentre il tempo passa. Vedo alternarsi i diversi momenti della giornata osservando la luce del sole che cambia colore. Mi perdo mentre osservo la polvere in un raggio di luce, un moscerino che vola in aria, la trama del tessuto del divano, un neo su quello che rimane della mia pelle, il suono ovattato dei passi di Sae, che gironzola in giro per fare le faccende di casa e prepararmi del cibo. Mi alzo sporadicamente per andare in bagno (a volte riesco persino a lavarmi e in quelle occasioni Sae sgattaiola in bagno per portare via i vestiti sporchi e farmene trovare di puliti) e gli unici altri movimenti che compio sono quelli che mi permettono di nutrirmi di qualche fetta di pane o bere un bicchiere d'acqua. Non tocco mai nulla di quello che prepara Sae.
All'inizio ho davvero provato a lasciarmi morire d'inedia ma non ce l'ho fatta; l'istinto di sopravvivenza ha operato grazie al mio stupido inconscio e alla fine mi ha sempre spinto a cedere. Senza contare ancora una volta Sae, e con lei Haymitch. Credo che qualche volta mi abbiano obbligata a mangiare, forti del fatto che non avessi abbastanza energia per oppormi, ma non ne sono sicura. Non sono più sicura di nulla.
Ho smesso di fare quel giochino idiota del dottor Aurelius, di ripetere le cose di cui sono certa per focalizzare la mia attenzione sul presente.
Prim appartiene al passato e io appartengo a lei. Appartengo a un passato di morte, che non riesco a lasciarmi alle spalle, che mi perseguiterà per sempre. E gli incubi ne sono solo una piccola dimostrazione. 
In ogni caso tutto questo non fa che aumentare il disprezzo che nutro nei miei confronti; ho permesso la morte di metà popolazione di Panem ma non sono capace di uccidere me stessa, l'unica persona al mondo che meriterebbe davvero la morte.
Ma forse la mia punizione consiste proprio in questo limbo infernale.
Il mio unico sollievo è che almeno non sono cosciente di molto altro, dell'esterno. Durante il giorno Sae resta a casa a tenermi d'occhio, a volte prova a parlarmi, senza ovviamente ottenere risposta, ma è tutto così annebbiato e confuso che non ci metterei la mano sul fuoco, nonostante abbia ricordi anche di Haymitch, che mi gira intorno cercando di fare chissà cosa in più di qualche pomeriggio assolato, i secondi scanditi dal ticchettio dell'orologio della cucina, che sembrava improvvisamente dieci volte più forte.
Forse all'inizio c'è stato un po' di scompiglio. I ricordi si mescolano tra loro e non sono in grado di scinderli, in una confusione di volti e persone che mi si accalcano attorno.
Il mio "1 per cento" invece sembra essere scomparso. Non ho più rivisto Peeta dal giorno delle primule, che potrebbe essere stato anche cento anni fa per quel che mi riguarda. L'ho rivisto solo nei miei incubi, mentre tenta di uccidermi o mentre viene ucciso da alcuni ibridi di Capitol City, dai pacificatori, da Snow, dalla Coin... Da Gale... Da me.
A volte penso sia meglio, se non lo vedo sarà più facile accettare che non potrà far parte della mia vita come un tempo, o come vorrei; altre volte mi manca a tal punto da aver una paura folle. Ho paura che un giorno, non vedendolo mai più, possa dimenticarmi di lui, del suo aspetto, della sua sua voce, del suo profumo. Dei suoi occhi azzurri, dei suoi capelli biondi e morbidi e del fatto che ama dormire con la finestra aperta e che l'arancione, quello tenue che tinge un tramonto, è il suo colore preferito. Così mi sforzo di ricordare quanto più è possibile di lui, qualsiasi dettaglio, ma a quel punto subentra il dolore. Soprattutto se invece dei suoi occhi azzurri il mio cervello mi rimanda l'immagine dei suoi occhi neri e l'impressione di un paio di mani che si stringono attorno al mio collo.
In quei momenti mi sento così prossima alla morte che quasi muoio davvero quando lo rivedo, un giorno, in carne ed ossa, nella mia cucina, mentre si accovaccia sull'altro lato del divano, di fronte a me, fissandomi, mentre ero intenta in questi pensieri e mentre mi sforzo di cacciarli via.
Non mi ha parlato, le sue labbra non si sono mosse, quindi ne sono abbastanza sicura. Si è semplicemente seduto di fronte a me e mi fissa, mentre io fisso lui. Dopo un po' gira leggermente il viso per dire qualcosa a Sae, ma le sue parole sono troppo lontane da me, non riesco a coglierle, la nebbia che ha circondato il resto del mondo in questi giorni cattura anche le sue parole; infine si riconcentra su di me.
Cosa vuole? Perché è qui? Perché non dice nulla? Perché è così calmo? Perché sì, nonostante i suoi occhi siano vuoti, il suo corpo è rilassato e il suo respiro regolare. L'immagine del suo corpo che si solleva e abbassa leggeremente mentre respira, per un po' mi rilassa. Poi però ritornano le domande e con loro la rabbia. Non può venire qui dopo avermi abbandonato... Per quanto? Giorni? Settimane? Mesi? Non lo accetto. Voglio che vada via. Vorrei strillarglielo ma le parole mi muoiono in gola. Così mi limito a fissarlo, così come lui fissa me. Mi chiedo cosa vedano realmente i suoi occhi, vigili. Una ragazza "mentalmente instabile" o un ibrido che sta studiando il modo migliore per ucciderlo? Cosa vedi in me, Peeta? Cosa sono? Capisco di aver bisogno di questa sua risposta: voglio che mi dica cosa sono perché io credo di averlo dimenticato e comunque non sono più attendibile.
È buio da un po' quando Haymitch arriva a casa e porta via Peeta.
Voglio fermarlo, così da poter trattenere Peeta ancora un po' e provare a rilassarmi di nuovo osservandolo respirare, come oggi pomeriggio. Poi mi ricordo di nuovo di essere arrabbiata con lui e di aver pensato di non volerlo qui. Sto impazzendo. Peeta in ogni caso va via, lasciandomi da sola, con Sae, che oramai mi si allontana sporadicamente e solo quando Haymitch le dà il "cambio".
Nessuna parola, nessun commento. Se ne va via, così come è venuto.
E così continua a fare nei giorni seguenti; passiamo la mattinata e il pomeriggio a fissarci, anche mentre pranziamo, io con qualche fettina di pane, lui accettando qualsiasi cosa Sae gli offra. Restiamo sempre così, senza fare nulla, finchè non fa buio e Haymitch decide che ne ha abbastanza di vederci così, riportando Peeta a casa.
All'inizio sento ribollire la rabbia nei suoi confronti, tutto il risentimento per non essere venuto da me prima, ma col tempo la rabbia diminuisce; sarà perché noto le sue occhiaie farsi sempre più profonde, un nuovo livido o altri graffi che si aggiungono alla collezione di cicatrici gentilmente offerte da Capitol City.
Se per una volta provi a non fare la "stronza" egoista -mi dico- puoi accorgerti che non sei l'unica a soffrire.
Ed è proprio mentre penso a questo che vedo una piccola e solitaria lacrima solcare la guancia destra di Peeta.
È quanto basta per farmi scattare. La vista di quella lacrima è intollerabile. Mi avvicino rapidamente a Peeta, gli afferro il volto tra le mani e gli asciugo la lacrima con il pollice, con una delicatezza di cui non pensavo essere capace dopo tutto questo tempo passato a vegetare su un divano.
- Perché piangi? - dico prima che possa rendermene conto e ancora - Non farlo, ti prego. -
Il suono della mia voce, che non udivo da tempo, roca dopo il mio ostinato silenzio, mi sorprende. E stupore è la stessa espressione che leggo sul suo viso, così vicino al mio...
Lo vedo irrigidirsi e prendere fiato per dire: - Perchè te ne sei andata Kat, e io non so come fare per aiutarti... Perchè non "posso" aiutarti. E perché proprio ora che sento di dover stare con te devo andarmene.- Pronuncia l'ultima frase col fiato corto, mentre si divincola dalla mia presa velocemente. Riesco appena a notare i suoi occhi improvvisamente scuri, prima che scompaia.
Peeta sta male; ha avuto chissà quanti attacchi mentre io ammuffivo sul mio divano e ne sta avendo uno anche ora. Mi alzo di scatto e questa volta non faccio in tempo a sorprendermi di me stessa che perdo l'equilibrio e cado a terra. Sento un dolore lancinante alla testa poi nulla più.

Quando mi risveglio per poco la luce della stanza non mi acceca. Penso di essere sul mio divano ma una breve occhiata alla mia sinistra mi dice che qualcuno deve avermi portato nella mia stanza. Mi volto dall'altro lato e questa volta i miei occhi incrociano quelli di Peeta, seduto sul letto, accanto a me. Sono di nuovo azzurri. Accenna un sorriso e mi sfiora la guancia in una carezza che sa di incertezza, paura di farmi male.  Sto quasi per iniziare a piangere, si è ancora fatto del male, ha nuovi graffi sul volto e una ferita sulla fronte, tutta circondata da lividi, ma prima che possa farlo la voce di Haymitch esplode nella stanza: - Ma bene, finalmente ti sei svegliata dolcezza. -
È furioso. - Ora voi mi ascoltate e per una dannata volta... -
-Haymitch, si è appena svegliata- interviene Peeta con voce bassa ma ferma. Non stacca gli occhi dai miei.
-Me ne sbatto caro il mio ragazzo! Non me ne importa minimamente se la povera ragazza in fiamme non può accompagnare il suo risveglio con latte e brioches appena sfornate. Ora per una dannata volta state zitti e la smettete. Vi ho tenuto in vita fino ad ora nonostante mezza Panem vi volesse morta e non permetterò che vi uccidiate voi, da soli. Tu, dolcezza- si rivolge a me - Ti è morta la sorellina? I tuoi amichetti Finnick e Cinna sono morti e non possono più saltare la corda con te, giocare con le bambole o farti tanti bei vestitini? Povera, mi dispiace tanto, è così ingiusto che sia capitato a te! Sei davvero l'unica persona al mondo ad aver perso delle persone care eh?- mi guarda, con sorriso sprezzante e ironico, le mani poggiate sul cuore in una posa beffarda.
-Smettila e vai avanti. È troppo difficile per te? Pensi che per qualcun altro sia stato facile o che lo sia ancora? Occorre davvero che ti dia la risposta? Occorre davvero che ti ricordi un motivo valido per continuare?- aggiunge e questa volta il suo tono è freddo, glaciale quanto il suo sguardo, che sposta leggermente su Peeta.
-E tu- aggiunge ora rivolto a lui, che per tutto il tempo è rimasto come pietrificato accanto a me, gli occhi persi fissi su chissà cosa sul pavimento ma ora posati su Haymitch. Trema leggermente.
-Smettila. Sì, smettila anche tu. Capitol ti ha fatto una bastardata ma sei ancora qui. E sei forte. Non fare la vittima perché non te lo permetto. Non fare il vigliacco perché non ti permetto nemmeno questo. Cosa vuoi fare? Ucciderti? Così madamoiselle cade in depressione una volta per tutte e addio anche a lei. Magari segue il tuo bell'esempio e si uccide pure. Ma sappiate una cosa, entrambi, non ve lo permetterò, perché dopo tutto quello che ho fatto, se proprio volete morire, la soddisfazione di uccidervi deve essere mia. -
Ci fissa ancora una volta, il suno delle sue parole sembra ancora riecheggiare nella stanza quando, come un lampo, si scaraventa fuori la porta, sbattendola. Sento il rumore dei suoi passi agitati lungo il corridoio poi nulla più.
Dopo qualche istante di silenzio riesco a sussurrare: - Peeta... - ma una fitta alla testa mi toglie il respiro e non riesco a continuare. Non so nemmeno cosa avessi intenzione di dire. Ma lui mi accarezza mentre un sorriso dolce e comprensivo gli distende leggermente le labbra.
- Shhh, non ti preoccupare... -
Riesco a stento a ricordare l'ultima volta che le sue labbra hanno sfiorato le mie. Poi il tepore della coperte mi assorbe completamente e io scivolo di nuovo nel sonno, mentre sento il tocco leggero della mano di Peeta e il suo odore. Haymitch ha ragione - è l'ultima cosa che risco a pensare, insieme alla risposta all'ultima domanda che mi ha rivolto
- No, non c'è bisogno che mi ricordi che ho un motivo più che valido per andare avanti. Peeta. -

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Mi risveglio con l'immagine dei corpi di Cinna e Finnick martoriati e ricoperti di sangue, urlante.
Stranamente la prima cosa che riesco a pensare è che nonostante Haymitch abbia ragione, perché per quanto odi ammetterlo non riesco a negarlo, devo andare da lui per dirgli quattro parole: bambole e vestitini, certo.
Ho ancora il fiato corto quando sento una mano stringere la mia, ma so già a chi appartiene: Peeta. Ha un aspetto orribile: è pallidissimo e le occhiaie marcate gli segnano il viso scavato. Non potrebbe essere più lontano di così dal mio ragazzo del pane se non fosse per gli occhi. Sono stanchi, ma mi guardano con intensità e qualcosa che riesco a identificare come dispiacere.
- Mi sono addormentato, scusa - riesce a dire. È seduto su una poltroncina che non ricordavo nemmeno di avere accanto al letto, abbassa lo sguardo e si porta le dita dell'altra mano sulla tempia.
- Non si direbbe. Hai un aspetto orribile, dovresti riposare. Io sto bene, davvero - la mia voce è un po' impastata dal sonno, ma spero di aver usato un tono abbastanza deciso.
Peeta annuisce leggermente e io continuo:
- Non hai una bella cera, se vuoi puoi dormire qui, non c'è bisogno che torni a casa -
Peeta sembra confuso, credo che la mia proposta l'abbia spiazzato.
Allontana la sua mano dalla mia, facendomi avvertire un pizzico di freddo; mi ero già abituata al calore della sua pelle.
Non sa che rispondere così provo ad avvicinarmi a lui con cautela. Porto le gambe fuori dalla coperta e mi metto seduta, facendole penzolare a lato del letto, lo sguardo fisso su di lui.  Gli afferro di nuovo la mano, che sento troppo tesa, così tento velocemente di rimediare.
- L'ho detto solo perché in queste condizioni potresti svenire lungo il vialetto e io, a differenza tua, non sono abbastanza forte per sollevarti e  riportarti a letto - tento di ironizzare. Caccio via la sensazione della sua mano così rigida nella mia.
- A quel punto però dovrebbe intervenire Haymitch. Potrebbe essere divertente osservarlo mentre tenta di tirarti su -  aggiungo provando a sorridergli.
Riesco a strapparli un piccolo sorriso e sento svanire un po' la sua tensione.
Restiamo in silenzio per un po'. Non so cosa dire. Osservo la finestra alle spalle di Peeta. Fuori il cielo è sereno, sento anche il cinguettio degli uccelli.
L'immagine di Rue che intona il suo motivetto per farlo ripetere alle ghiandaie imitatrici è come un lampo nei miei occhi.
Peeta deve aver avvertito che qualcosa non va, forse mi sono irrigidita troppo. Appoggia l'altra mano sulla mia ma tiene ancora lo sguardo basso. Sembra combattuto.
Mi chiedo perché non mi abbia detto ancora niente. Se non vuole restare non lo obbligo, non voglio la sua pietà. Non gli ho nemmeno chiesto di restare qui tutta la notte... Eppure l'ha fatto - penso, infine.
Non voglio innervosirmi con Peeta quindi mi impongo di calmarmi e di pensare come lui, chiedendomi cosa sia meglio per l'altro.
L'unica cosa a cui riesco a pensare è che probabilmente abbia paura di restare così a lungo con me. Non indugio a lungo sul perché (perché pensa di poter farmi del male o perché ha paura che io possa farne a lui?).
- Peeta devi riposare davvero. Io vado a farmi un bagno e poi scendo giù ad aiutare Sae. Tranquillo - provo a rassicurarlo senza fargli pesare troppo il fatto che non gradisca eccessivamente la mia presenza. La cosa non può che rattristarmi ma l'aspetto di Peeta è così malconcio che non posso permettermi altri egoismi.
Gli accarezzo la mano un'ultima volta e infine mi alzo dal letto, questa volta piano.
Peeta prende silenziosamente il mio posto e lo vedo armeggiare qualcosa sotto la coperta. Distolgo leggermente lo sguardo: la protesi. In ogni caso Peeta la appoggia un po' più in là, sempre sul letto, sotto la coperta. È davvero distrutto.
Gli rimbocco goffamente le coperte in un gesto meccanico. Quante volte l'ho fatto con Prim?
Penso a tutte le notti insonni nel Giacimento, soprattutto quelle vicino alla mietitura. Vedo Prim tremare nel suo letto, perché si è scoperta durante il sonno e penso che affronterei un'altra edizione degli Hunger Games per poterle rimboccare di nuovo le coperte. D'altronde è per lei che ho affrontato la mia prima edizione dei giochi.
E, in un modo un po' diverso, la seconda per Peeta.
Un bel fallimento entrambe.
Mentre Peeta chiude gli occhi e sembra abbandonarsi completamente, vado ad aprire la finestra, prendo i primi vestiti che trovo nell'armadio e vado in bagno. Appoggio il pantalone e la maglia che ho appena pescato su un mobiletto e inizio a spogliarmi, evitando con cura il mio riflesso nello specchio.
Non sono ancora del tutto abituata alla vista della mia pelle innestata.
Preparato il bagno, provo a strofinarla con delicatezza, per farne cadere il meno possibile, ma l'acqua si colora lo stesso di un tenue rosso. La sua vista mi dà la nausea, svuoto la vasca e opto per la doccia.
Una volta terminata la doccia, entro di nuovo in stanza per raggiungere il corridoio e infine il bagno del piano di sotto. Non voglio svegliare Peeta con il rumore di quell'affare per asciugare i capelli. Avrei anche lasciato che si asciugassero da soli, come eravamo costrette a fare quando vivevamo nella vecchia casa nel Giacimento, ma voglio tenermi impegnata.
Indugio un po' troppo nella stanza, ad osservare Peeta che sembra essere crollato e dormire come un sasso. Noto che la luce che penetra dalla finestra sta quasi per arrivare ai suoi occhi, scosto le tendine per coprirlo dai raggi del sole e infine mi costringo a scendere.
Sae è in cucina a pelare delle patate. Sembra sorpresa nel vedermi e le sue occhiaie, decisamente meno marcate rispetto a quelle di Peeta, mi dicono che a quanto pare non è stato l'unico a passare la notte sveglio.
Dopo lo stupore vedo subentrare la preoccupazione:
- Dov'è il ragazzo? Gli avevo detto di venirmi a chiamare non appena ti fossi svegliata. -
Nessun saluto. È Sae.
- Sta riposando, era distrutto. Ho lasciato che dormisse un po' anche lui - rispondo.
Sae annuisce e resta in silenzio, continuando il suo lavoro.
Vorrei ringraziarla per tutto quello che ha fatto per me in questi giorni, mi rendo conto di essere in debito con lei.
Ma Sae questo già lo sa, sa come ci si sente quando si è in debito con qualcuno, e si limita a dirmi:
- Visto che sei in piedi, oggi mi darai una mano in casa. D'accordo? -
- Certo. Vado ad asciugarmi prima i capelli. Torno subito -
Quando ritorno in cucina sul tavolo trovo una tazza di latte e qualche biscotto. Sae non ha voluto esagerare, forse pensa possa sentirmi male dopo tutto questo tempo di quasi digiuno.
Faccio colazione in silenzio. I biscotti non sono di Peeta, ma sono comunque buoni, sebbene non quanto i suoi.
Passo il resto della mattinata a eseguire gli ordini di Sae, che deve starmi continuamente dietro. Non mi sono mai occupata delle faccende di casa, a quelle ci pensavano Prim e la mamma, mentre io andavo a caccia.
Tuttavia sono contenta di essere tornata in movimento e quasi mi viene in mente di andare davvero nei boschi, a caccia. L'idea mi rimanda subito a lui, quindi la rimuovo e torno a concentrarmi sul tavolino che sto spolverando.
Quando Sae mi chiama per il pranzo riesce ad aggiungere un:
- Sono contenta che tu sia di nuovo in piedi -
Sorrido leggermente. Tutto sommato credo di esserlo anch'io.
 
È pomeriggio e Peeta ancora deve svegliarsi. Io e Sae abbiamo deciso che era meglio non svegliarlo per il pranzo, quindi abbiamo lasciato che dormisse ancora.
Ora sono un po' preoccupata, quindi giro per la casa nervosamente, controllando Peeta ogni quarto d'ora circa, cercando di non fare troppo rumore.
Se potessi resterei in stanza tutto il tempo, anche perchè la sua vista mi rasserena un po', ma se si sveglia e mi trova con lui ho paura di spaventarlo. L'idea non può che rattristarmi, sospiro ma non mi trattengo oltre in stanza. D'altronde ha acconsentito a restare solo quando gli ho detto che mi sarei tenuta alla larga. Trattengo una lacrima.
Mi sento insolitamente nervosa. Anche Sae si è appisolata, sul divano in cucina che ho occupato fino a ieri. Sembra quasi una vita fa.
Visto che non resisto a girare ancora per casa, senza far nulla, afferro una giacca al volo ed esco: sono nervosa ed Haymitch mi appare un'ottima possibilità per sfogarmi. Non ho dimenticato.
Mi dirigo in fretta alla sua porta e busso con forza. Sento salire la rabbia, accentuata dall'attesa.
Devo insistere un bel po' e quando Haymitch mi apre, lo colpisco in faccia con un pugno. Non volevo colpirlo, semplicemente stavo per bussare di nuovo alla porta e lui l'ha aperta di scatto un istante dopo. In ogni caso non posso ammettere che mi dispiaccia.
- Salve a te, dolcezza - mi dice per tutta risposta e si fa di lato per lasciarmi entrare, una mano poggiata sul naso, dove l'ho colpito (troppo debolmente mi dico), l'altra che regge una bottiglia di liquore quasi vuota.
Non fa domande, quindi gli lascio credere che il pugno sia stato volontario.
Chiude la porta dietro di me, mentre cammino verso la sua cucina, identica alla mia eppure irriconoscibile. Il disordine è allucinante e c'è puzza di chiuso e di alcol.
Apro il balcone che dà sulla veranda dietro casa, che affaccia sul giardinetto incolto di Haymitch, per far passare un po' d'aria.
Mi appoggio alla cucina, mentre lui mi raggiunge trascinando i suoi passi.
- Carina la giacca. Un po' grande forse - mi dice con tono sornione, quando mi è di fronte.
Perplessa, osservo la giacca che ho addosso. È quella di Peeta: nella fretta non ho controllato quale avessi preso. È di pelle scura, leggermente imbottita all'interno; credo l'abbia indossata durante il Tour della Vittoria ma non ne sono sicura. Ora che mi concentro riesco quasi a sentire il profumo di Peeta...
Scrollo le spalle e sto per rispondere ma Haymitch aggiunge con tono serio:
- È ancora a casa tua? Spero tu gli abbia dato un po' di tregua, anche lui è umano e sarebbe meglio per lui che si riposasse -
Le sue parole mi feriscono. Cosa ne sa lui tutto a un tratto di cosa è meglio per gli altri? Lui che passa le giornate a bere come una spugna e a svenire in giro per casa!
- Sì e dorme da stamattina comunque, stai pure tranquillo beniamino della salvezza altrui. Se vuoi essere promosso a balia, organizzati con Sae - gli rispondo, lasciando trasparire tutta la mia rabbia e il mio risentimento.
- Ascoltami dolcezza, sai benissimo anche tu che ho ragione. Non saresti qui altrimenti, per dirne una. E il ragazzo è stato male. Male, capisci? Quanto te, se non peggio. Lui è stato cosciente di tutto, tutto il tempo, capisci? Il che è ironico, visto che quello depistato è lui - mi risponde - Quindi cosa vuoi fare? Cosa vuole rimproverarmi la ragazza in fiamme? Dubito che tu sia venuta qui per ringraziarmi, cosa che dovresti seriamente prendere in considerazione di fare, dolcezza, dato che sono riuscito a farti alzare da quel dannato divano -
- Non sei stato tu, è stato Peeta - gli rispondo subito. È stata la sua lacrima a farmi scattare, lui non c'entra un bel niente.
Haymitch distende il volto e mi sorride di nuovo con fare sornione, soddisfatto di sè.
- Due a zero per me, ragazza in fiamme - sogghigna, e ancora - E attenzione alle guance dolcezza, sembrano davvero andare a fuoco -
Afferro  una mela, la prima cosa alla mia portata, e gliela lancio contro.
Haymitch riesce comunque a scansarla e aggiunge:
- Tre a zero -
Decido che ne ho abbastanza e me ne vado, mentre Haymitch rimane in cucina, sgnignazzante.
Prima di uscire però mi fermo. Senza farmi sentire mi dirigo velocemente nel salotto di Haymitch, più precisamente verso il mobiletto dove so che tiene la sua scorta di liquore. Trovo solo due bottiglie e le afferro, attenta a non farle tintinnare. Le lascio andare un istante quando vedo un blocchetto e una penna buttati per terra. Scrivo su un foglietto "tre a uno, dolcezza", lo strappo e lo metto nel mobiletto al posto delle bottiglie, che afferro mentre vado via quasi correndo, pregustando l'espressione di Haymitch quando scoprirà quello che ho fatto.
 
Quando rientro in casa poso le bottiglie di Haymitch in un mobile in cucina, poi ritorno indietro per posare la giacca di Peeta nell'ingresso. Guardo l'orologio: sono quasi le sei e mezza, di Peeta nemmeno l'ombra. Mi sento ancora un po' agitata quindi decido che è meglio non salire di sopra. Non voglio svegliarlo, anche se inizio a preoccuparmi... Dorme dalle otto e mezza circa di stamattina.
A quanto pare ho svegliato Sae mentre posavo le bottiglie. Non fa domande ma borbotta ancora assonnata: - La cena. È tardi. -
Si mette all'opera mentre io la osservo lavorare. Sono una frana in cucina, ma vorrei aiutarla. Lei non mi chiede di fare nulla. Il pensiero corre di nuovo a Peeta.
- Sae, ti va se prepariamo una torta? - propongo improvvisamente ricevendo come risposta un'occhiata strana.
- Per dopo cena, sai, come dolce... Non conosco nessuna ricetta - mi affretto ad aggiungere. Non mi va affato di dare ulteriori informazioni.
- Beh, al Giacimento non si fanno molte torte come ben sai... Almeno non di buone e belle come quelle del ragazzo -  mi risponde, alzando lo sguardo verso il soffitto, come a voler indicare la stanza dove ora dorme Peeta - ma se vuoi possiamo provarci - conclude.
Così mi unisco a Sae mentre che mi indica cosa fare. Il risultato è una torta semplicissima, un po' bruciacchiata sul fondo, ricoperta di panna.
L'aspetto non sembra male - penso - chissà se è anche commestibile.
Poso la torta in frigo e controllo di nuovo l'orario. Sono quasi le otto. Ciò significa che Peeta dorma da quasi dodici ore.
Sto per andare sopra a controllarlo ma appena alzo lo sguardo mi accorgo che sta scendendo le scale, mentre si stropiccia un occhio. Arriva in fondo alla scala e si accorge della mia presenza. Sono felice di vederlo, ora ha un'aria decisamente migliore. e gli è tornato un po' di colorito. Deduco dal suo aspetto apparentemente sereno che non abbia avuto incubi ma gli chiedo lo stesso:
- Dormito bene? - senza trattenere un enorme sorriso. Mi sento quasi stupida per questo.
- Niente incubi. Ma, Katniss, è buio, quanto ho dormito? - sorride un po' anche lui ma è ancora intontito dal sonno.
- Sono quasi le otto, hai dormito un bel po'. Ti trattieni a cena, vero? - Mi sento ancora più stupida dopo questa frase. Gli ho preparato anche una torta. Ma che ho nella testa?
- Certo, ho una fame da lupo - risponde. Sbadiglia un'ultima volta e mi sorride per poi andare verso la cucina.
Nonostante la stupidità, cucinerei altre mille torte per farlo sorridere di nuovo.
 
*******

 
Aaaaah, non ci credo, mi state seguendo davvero *-*
Vi sta piacendo aaaaaah *-*
(sono impazzita, perdonatemi)
 
Detto questo, salve! :3
 
Prima di poter dire altro devo assolutamente ringraziare la mia dolcissima Ccchh <3
Non solo mi ha spronato a scrivere questa fanfiction, ma mi ha anche spinto a pubblicarla e mi ha aiutata con il titolo, che è opera sua. *clap clap*
Sappiate che è merito suo se state leggendo tutto questo, senza la sua approvazione non se ne fa nulla u.u
Ti voglio tanto bene Ccchh, grazie ancora :3
 
Ovviamente ringrazio anche le altre persone che hanno recensito, giuro che mi avete mandato al settimo cielo! Ogni volta che vedevo una nuova recensione o una nuova persona che mi seguiva iniziavo a saltellare per la stanza (e rompevo le scatole alla mia povera Cch).
Grazie a tutti per i complimenti, sono strafelice che vi piaccia, e spero vi sia piaciuto anche questo capitolo :3
 
A coloro che mi hanno chiesto ogni quanto ho intenzione di pubblicare un nuovo capitolo rispondo che purtroppo sono una mina vagante XD
Ero partita con l’intenzione di pubblicare questo capitolo verso fine settimana, così da poter aggiornare settimanalmente e avvantaggiarmi nel caso non avessi avuto tempo per scrivere, ma non ho resistito molto! XD
Mi avete montato così tanto la testa che ora penso di essere il nuovo genio letterario del secolo e non faccio altro che pensare a cosa potrei scrivere (se non passo l’esame di martedì sappiate che è colpa vostra >>)
Vabè, inutile dire che sto scherzando XD (sono pazza, perdonatemi)
 
… Ok, non mi fila nessuno, fatemi credere per un po’ di essere il centro del vostro mondo XD
 
Ah e scusate se uso troppe emoticon ma mi sembra di essere troppo fredda se non ne ficco in giro XD
(commenti random)
 
Anyway,
 
a Alex995: spero che questo capitolo ti abbia incuriosita ancora di più. Sappi che in quanto prima persona ad aver recensito la mia fanfiction ti amerò per sempre <3
 
a Power99: sono contenta tu abbia apprezzato il modo in cui ho reso i personaggi di Peeta e Katniss, e soprattutto di Haymitch. Confesso che mi diverte troppo scrivere di lui! XD Spero solo di non esagerare! :P
 
a Gjo: Sono stata abbastanza veloce? :P So a cosa ti riferisci, è davvero orribile quando non aggiornano! Spero di non rientrare mai in quella categoria! Grazie per la recensione e per avermi aggiunte alle seguite. Spero di non deluderti nè con i tempi, nè con la storia :)
 
Oddio, credo di aver aggiunto fin troppi commenti. Scusate se vi ho annoiato. Grazie ancora! (Sono paranoica, lo so) E ricordate che ogni commento è bene accetto :3
*non preoccupatevi, passerò le prossime giornate ad aggiornare la pagina in continuazione solo per vedere se qualcuno ha recensito*
A presto :3

 
May the odds be ever in your favor.

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Peeta si offre di aiutare ad apparecchiare la tavola. Sembra ricordare i posti di tutte le stoviglie, quindi procede silenzioso, mentre gli do una mano.
Tuttavia dopo un po’ si ferma, pensieroso.
- Viene anche Haymitch? – chiede.
Questa non ci voleva. Non mi va molto di averlo tra i piedi, non ora che stavo riacquistando un po’ di buonumore.
Immagino tuttavia di non avere molta scelta. Sollevo le spalle e mi sforzo di usare un tono noncurante quando rispondo : - Come vuoi. Qualcuno però dovrebbe andare a prenderlo. Probabilmente sarà svenuto da qualche parte in giro. –
Spero vivamente che Peeta si offra di andare e mi esoneri da questo arduo compito. Sono sicura che in questo momento anche Haymitch non sia molto contento di vedermi.
Come avevo sperato, Peeta decide di andare a chiamarlo, quindi posa i bicchieri che ha in mano e si reca alla porta. Ritorna dopo un istante, Haymitch è al suo fianco.
- Sei stato veloce, ragazzo - osserva Sae.
- Quando ho aperto la porta era già qui - risponde Peeta.
- Beh, oggi mi sento proprio in contatto telepatico con i miei cari tributi. – aggiunge Haymitch. Non ha distolto il suo sguardo da me nemmeno per un secondo.
- Dov’è  il liquore, dolcezza? - chiede, senza ulteriori preamboli.
Peeta e Sae sembrano confusi.
- Di cosa stai parlando? - gli rispondo, facendo finta di nulla.
Haymitch grugnisce e mi lancia contro il foglietto di carta che gli ho lasciato oggi pomeriggio. Riesco a schivarlo.
- Tre a due. Attenzione, sto rimontando in fretta - mi limito a dire.
Haymitch non aggiunge altro, alza gli occhi al cielo e si lascia cadere su una sedia. Lo sguardo di Peeta, che ha seguito attentamente la scena è così sconcertato che sembra quasi buffo.
In ogni caso Sae pone un freno alle sue domande ancora prima che riesca a porle. Annuncia che la cena è pronta e mette in tavola. Per fortuna non è mai stata una tipa curiosa, Sae.
La cena trascorre piacevolmente, contro ogni previsione.
La dormita deve davvero aver fatto bene a Peeta, che sembra decisamente tranquillo e a suo agio. Per un po’ faccio addirittura finta che sia quello di un tempo.
Parla con Haymitch e Sae del  più e del meno, ma soprattutto del distretto e dei lavori che sono iniziati per rimetterlo in piedi.
Quando arriva il momento del dolce sembra sorpreso e triste allo stesso tempo. Da quanto tempo è che non cucina? In ogni caso è solo un istante e il secondo dopo mi guarda dicendomi:
- Sembra deliziosa, Kat -
- Grazie, ma non è paragonabile nemmeno lontanamente a quelle che prepari tu -
Peeta arrossisce leggermente e ci fissiamo a vicenda per un po’. Il colorito lo rende ancora più vicino al ragazzo del pane di un tempo.
- Vi prego, siete vomitevoli. E smettetela di mangiarvi con gli occhi. -
Haymitch.
Questa volta tocca a me arrossire ma gli lancio comunque un’occhiataccia.
- Questo è per il liquore, dolcezza… Ma tranquilla, ti perdono, mi hai anche fatto la torta di compleanno - mi dice.
Penso già a una risposta a tono quando mi rendo conto che le sue ultime parole non hanno senso. Torta di compleanno? Cosa?
A quanto pare non sono l’unica ad essere sorpresa. Restiamo tutti in silenzio a fissarlo mentre lui afferra un tovagliolo e lo agita in aria leggermente, canticchiando un motivetto:
- Tanti auguri a me, tanti auguri a me… -
 
La torta si rivela decente. Non è il massimo e la parte bruciacchiata ne altera leggermente il sapore ma tutto sommato è ok.
La vera rivelazione però l’ha fatta Haymitch. Quanti anni ha ora? Quarantadue? Quarantatre?
Dopo aver realizzato il significato delle sue parole, tra l’imbarazzo generale, abbiamo fatto gli auguri a Haymitch.
La cosa sarebbe finita lì se solo non avesse aggiunto: - Coraggio Peeta, dai un bacino alla ragazza in fiamme, ho bisogno di una candelina! –
Ho dovuto dire definitivamente addio al buonumore che la vista di un Peeta più sereno mi aveva portato prima di cena.
A volte quell’uomo sa essere davvero odioso.
Prima di uscire controlla ogni mobile in cucina e recupera le due bottiglie di liquore.
- Grazie per il regalo, dolcezza – mi dice, ironico.
Lo ignoro, come ho fatto per tutto il resto della serata, mentre provo a convincere Sae a tornare a casa sua:
- Sto bene, non c’è bisogno che rimani. Ci vediamo domani mattina, non devi assolutamente preoccuparti. Sono in grado di passare una notte da sola - le dico, ma so bene che non lo sono. O meglio, so che passerò una nottata all’insegna degli incubi e che la presenza di Sae non li manderà certo via. Per quello ho sempre avuto bisogno di un’altra presenza. Osservo Peeta posare la forchettina nel piatto che ha vuotato della terza fetta di torta.
Nonostante la sua insistenza riesco infine a convincerla.
Dieci minuti dopo si avvicina alla porta seguita da un Haymitch che si è scolato già mezza bottiglia. L’altra è avvolta dalla presa solida della sua mano; forse crede che proverò a portargliela via di nuovo.
Peeta chiude il corteo, ma regge ancora in mano la sua giacca.
Guarda Haymitch con fare titubante, il quale si trattiene sulla soglia della porta fissandoci.
- Fate come se non esistessi - ci dice, sollevando la bottiglia e bevendo un altro sorso.
- Devo parlare con Katniss - la voce di Peeta mi coglie di sorpresa.
- “Devo parlare con Katniss”, certo - lo scimmiotta Haymitch. Non si sposta di un centimetro, non ha alcuna intenzione di lasciarci da soli, visto che Sae è già andata via.
Alla fine però cambia idea, ci volta le spalle e afferma: - Ti aspetto a casa, ragazzo. - Chiude la porta e se ne va.
Non ricordo l’ultima volta che siamo stati soli. Mi sento nervosa. Cosa vuole dirmi?
Alzo lo sguardo fino a incrociare i suoi occhi, ma poi li abbasso di nuovo. Qualsiasi cosa sia ho paura di ascoltarla. Ho paura che l’illusione che mi ero costruita stasera stia per essere distrutta in mille pezzi. Non posso sopportarlo e mi do della stupida: non avrei dovuto farlo. È la sensazione di un istante ma un’ultima occhiata al suo viso mi dice che ho ragione. È troppo serio, pensieroso, quasi affranto.
Guardo i suoi capelli scompigliati, la maglietta stropicciata, le spalle larghe, le braccia che mi hanno accolta così tante volte facendomi sentire al sicuro, il petto sul quale ho dormito le poche notti tranquille dopo gli Hunger Games. Senza preavviso, conscia del fatto che dopo sarà ancora più difficile ritornare alla realtà, mi ci tuffo dentro e stringo in un abbraccio il mio ragazzo del pane.
Peeta sembra avermi letto nel pensiero. Mi abbraccia mentre sento che scuote leggermente la testa. Vorrei piangere ma non ci riesco.
- Katniss… -
Non lo mollo. Voglio sentirlo vicino a me ancora per qualche istante. Ma qualche secondo dopo, la sua schiena che si fa improvvisamente più tesa sotto le mie mani mi dice che c’è qualcosa che non va.
- Katniss, vai via. Subito. -
Mi afferra i polsi quasi stritolandoli e mi lancia via per poi afferrarsi la testa tra le mani.
Sta succedendo di nuovo. Resto immobile, osservando Peeta che si appoggia al muro alla sua destra e fa scivolare la sua schiena fino a quando non si ritrova seduto a terra, il volto coperto dalle mani, il respiro affannoso.
So che quella in pericolo sono io ma mi chiedo davvero come sia possibile. Peeta sembra così vulnerabile in questo momento... Ed è già la seconda volta che riesce ad allontanarsi da me durante un episodio.
Mi si riaccende un briciolo di speranza; il mio ragazzo del pane è lontano ma non irrecuperabile.
Forse posso recuperarlo in qualche modo.
Mi avvicino a Peeta e mi inginocchio di fronte a lui. Trema. Poggio la mano sul suo ginocchio e lui alza lo sguardo nella mia direzione. I suoi occhi sono neri.
- Peeta, qualsiasi cosa tu stia pensando non è reale. Ascoltami ti prego - La mia voce è disperata ma non sembra raggiungere le orecchie di Peeta, il quale alza la mano destra e la stringe intorno al mio collo.
Le lacrime che prima hanno tardato a venire ora mi rigano copiose le guance.
Lui non sembra accorgersene, osserva il mio collo, che stringe sempre di più, mentre si alza trascinandomi con sé. Mi fa sbattere contro la parete di fronte, affianco allo specchio dell’ingresso, sotto il quale c’è il tavolino su cui di solito poggio le chiavi di casa.
Mi lascio sfuggire un singhiozzo, non so come, mentre Peeta solleva l’altra mano in un pugno.
Sta per colpirmi, sento già l’urto del suo colpo sulla mia faccia quando noto che Peeta ha bloccato il pugno a mezz’aria e si osserva allo specchio. Non ho il tempo di realizzare cosa stia succedendo: mi lascia di colpo e manda a segno il suo pugno, contro lo specchio.
Soffoco un urlo mentre vedo lo specchio andare in frantumi e il pugno di Peeta riempirsi di sangue. Lui si accascia a terra, in ginocchio, e scoppia in un pianto disperato, quanto il mio. Non per il dolore, lo so bene. Probabilmente non si è nemmeno accorto del sangue che ora gli sta sporcando anche i vestiti.
Così come la sua lacrima di… Quando? Ieri? Dieci anni fa? Così come quella lacrima, la vista di Peeta che piange mi è intollerabile. Asciugo le mie lacrime, ignorando il dolore al collo e ai polsi e mi avvicino a lui, di nuovo. Questa volta non mi farà del male.
- Katniss, non volevo, te lo giuro… Non volevo farti male, credimi davvero. - È terrorizzato, parla a scatti, quasi strillando. Credo sia in preda a un attacco di panico.
Non l’ho mai visto in queste condizioni quindi non so che fare:
- Non ti preoccupare, Peeta, sto bene, è tutto… -
- No! Non è per nulla ok! Katniss perdonami ti prego, sono un mostro -
Stringo Peeta forte a me, portando la sua testa sul petto e accarezzandogli i capelli, proprio come lui faceva con me quando mi svegliavo durante gli incubi.
Ricambia l’abbraccio e si tranquillizza poco alla volta. Sembra un bambino tra le mie braccia.
 
Haymitch irrompe nell’ingresso improvvisamente, alle mie spalle, facendomi  sobbalzare.
Ci osserva entrambi, per terra, circondati dai frammenti dello specchio. Sembra più vecchio e non di un solo anno.
Scuote la testa e calcia via qualche frammento con la scarpa, con foga. Non dice nulla.
Io continuo a stringere Peeta; continua a piangere, ma silenziosamente, e trema decisamente di meno.
Anche Haymitch sembra calmarsi; si avvicina a Peeta e prova a tirarlo su.
- Lascialo stare Haymitch - gli dico, stringendo Peeta ancora più forte. – Me ne occupo io -
- Tu non ti occupi proprio di un bel niente ragazza - mi risponde, poi si rivolge a Peeta: - Forza ragazzo, mettiti in piedi, dobbiamo andare -
Peeta si stacca da me e annuisce. Ha smesso di piangere.
- Peeta non ascoltarlo, puoi restare. - rispondo in fretta. Non voglio che Haymitch me lo porti via. Non ora che sono riuscita a calmarlo, non ora che sento il bisogno di aiutarlo.
Lui resta in silenzio e osserva il mio collo arrossato, poi i polsi e infine il resto del corpo, credo in cerca di ulteriori danni. Sembra allarmato dal sangue che mi sporca i vestiti ma poi si osserva la mano e capisce che non appartiene a me. Chiude gli occhi e distende ancora un po’ il viso per il sollievo.
Haymitch gli si avvicina ancora una volta per aiutarlo a mettersi in piedi, mentre sospira, stanco: - Cosa hai combinato ragazzo? -
Peeta si fa aiutare e la distanza tra i nostri corpi aumenta, lasciando spazio al freddo, al vuoto.
- Mi dispiace Katniss. Non avrei mai voluto che tu mi vedessi di nuovo in questo stato -mi dice.
- Io voglio solo aiutarti. - rispondo. E restare con te, penso, ma non aggiungo nulla. Mi alzo anch’io e incrocio le braccia, infreddolita, mentre Peeta mi si avvicina per sfiorarmi un’ultima volta il braccio, in una carezza, prima di voltarmi le spalle e andarsene, lasciandomi sola con Haymitch.
- Ero rimasto fuori casa di Peeta, ad aspettare che tornasse. Ho sentito il rumore dello specchio e lui che piangeva. -
Non gli rispondo.
- Sono entrato dalla cucina, dalla veranda. Ho provato a bussare alla porta ma non credo mi abbiate sentito, quindi… -
Silenzio.
- Per l’amor del cielo Katniss, cosa è successo? Cosa ha provato a farti? -
Haymitch mi afferra le braccia e mi guarda negli occhi. Sento la puzza di alcol del liquore che probabilmente ha già finito.
- Non importa. - gli rispondo mentre mi divincolo dalla sua stretta.
- Deve essere medicato. Puliscigli le ferite e disinfettale. I tagli non erano profondi, non credo abbia bisogno di punti - è tutto quello che riesco a dire.
Per un istante mi ricordo di Prim e del temperamento freddo che mostrava ogni volta che aiutava la mamma con qualche ammalato, o con qualche minatore ferito. Ovviamente io ne sono molto lontana. Mi trema la voce e soprattutto mi sento sconvolta, ferita, arrabbiata. Prim invece pensava solo al bene del paziente, soffocando il suo dispiacere.
Quello che tento di soffocare io invece è di tutt’altra natura. Io sono egoista. Haymitch ha fatto allontanare Peeta da me. Se fossimo rimasti da soli probabilmente sarebbe non se ne sarebbe andato.
- Katniss, era sconvolto. Doveva andarsene. - Haymitch sembra avermi letto nel pensiero, ma io non ho intenzione di aggiungere altro.
- Devi capire che per lui tutto questo non è facile… Diamine dolcezza, ci rinuncio. Sono stanco di dovervi spiegare sempre tutto -
Dà un ultimo calcio ai resti dello specchio e se ne va via.
 
Quando la porta si richiude mi siedo a terra, nel punto dove prima stringevo Peeta, lasciando che il nulla mi avvolga di nuovo.
Nella mia mente ripercorro gli eventi della serata.
Peeta che si stropiccia l’occhio, appena sveglio e mi sorride.
Peeta che mi stringe i polsi, gli occhi scurissimi.
Peeta che mangia una fetta di torta e se ne taglia un’altra.
Peeta che mi strangola, che vuole colpirmi.
Fa troppo male.
Mi alzo di nuovo ed esco.
 
*******
 
Saaalve :3
Sarò breve: questo capitolo non mi convince molto (e meno male che stiamo all’inizio) XD
Comunque, dovrebbe essere una sorta di transizione, quindi boh… Bene così, credo.
 
Ancora grazie alla mia Ccchh che si è rivelata essenziale come sempre :3
E ancora grazie a tutte le persone che mi seguono :3
 
Gjo e Alex995, siete la dolcezza, spero di non deludervi :)
 
Vi ricordo che qualsiasi commento è bene accetto, quindi se apprezzate o vi fa schifo quello che state leggendo, fatemelo sapere!
 
À bientôt <3
 
May the odds be ever in your favor.

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Una volta fuori casa provo a mettere a fuoco i miei pensieri ma non ci riesco; i miei piedi si muovono da soli, portandomi in direzione del bosco. Ricordo di aver deciso di andarci prima di uscire di casa solo quando mi trovo già vicino alla recinzione, o meglio, il luogo dove un tempo c’era la recinzione.
Il mio orecchio è teso a sentire il ronzio della corrente; immagino che certe abitudini siano dure a morire, contrariamente a tutto il resto.
Osservo il prato dove hanno seppellito gli abitanti del distretto che non sono sopravvissuti al bombardamento. Ho davvero il diritto di calpestare il terreno sotto il quale sono sepolti? Ho davvero il diritto di vivere, al posto loro?
Non so quanto tempo sia stata rannicchiata a terra, in casa, ma deve essere stato parecchio dato che il cielo si sta schiarendo e l’alba è vicina.
Resto immobile sul limitare del bosco incerta sul da farsi. Sarebbe stupido tirarsi indietro ora ma c’è qualcosa che mi blocca. Ricordi, pensieri, immagini, sensazioni. Il bosco richiama tutte queste cose e tutte insieme, mi sento vacillare. Non è stata affatto una buona idea fuggire qui. Da cosa poi?
Trovo la risposta nei cocci di vetro ancora sul pavimento del mio ingresso.
Fa freddo, si è alzato il vento.  Rimpiango di non aver portato qualcosa di più pesante, il cielo non è affatto sereno come ieri mattina.
Stringo a me l’arco e le frecce che ho afferrato al volo prima di uscire, insieme a una borsa con una coperta e un pentolino, presi sempre durante la furia della mia fuga. Le prime cose a cui ho pensato. Quanto spero di durare nel bosco così munita? Poi ricordo che mi sono trovata in condizioni ben peggiori durante i giochi, e questa volta so dove mi muovo; il bosco potrebbe essere definito la mia seconda casa. Eppure sono ancora ferma al limitare del bosco, ho paura di entrare.
Il fruscio delle foglie mi tranquillizza ma il cielo nuvoloso che incombe sulle cime degli alberi mi fa pensare che forse sarebbe meglio tornare indietro. Stanca dei miei continui ripensamenti, infine prendo fiato e procedo, diretta verso il bosco.
È ancora scuro ma i luoghi mi sono tutti familiari quindi è facile orientarsi e mentre lo faccio sembrano orientarsi anche i miei pensieri nella giusta direzione, nel mio cervello che al momento è esattamente come il bosco: buio, minacciato dalle nubi.
Devo procedere ancora avanti, poi svoltare per raggiungere il luogo dove di solito mi vedevo con… Gale. Il suo pensiero mi fa rabbrividire. Cosa sta facendo ora l’assassino di mia sorella? È nel distretto due a progettare altre bombe?
Avevo in mente di piazzare qualche trappola per procurarmi il pranzo ma il ricordo di Gale e di come abbia sfruttato le sue abilità a riguardo, proprio per progettare quelle bombe, mi fa venire la nausea.
Devo fermarmi un momento quando ripenso alla prime volte in cui mi ha spiegato come costruire le trappole, quando rivedo un ragazzino con a carico una famiglia numerosa  che ha deciso di aiutare un’altra ragazzina, che cercava di darsi da fare per lo stesso motivo: mandare avanti la sua famiglia. Poi mi torna in mente che quello stesso ragazzino un po’ di anni dopo avrebbe raccontato più o meno le stesse cose a un uomo, che le avrebbe trasformate in un arma per uccidere la sorella della ragazzina.
Mi manca il fiato e mi sento stanca, non ho dormito. Mi sento impazzire, gli incubi hanno trovato modo di manifestarsi anche quando sono sveglia, ora.
Non so quanto tempo rimango ferma nel bosco, ai piedi di un albero, con l’immagine di Gale davanti agli occhi che si aggira tra i cespugli e le piante, come l’ho visto tante volta fare nella realtà. Provo a immaginare che stia facendo questo al distretto due, che stia in un bosco a cacciare invece che in divisa da soldato a fare chissà cosa. Provo a immaginare cosa possa pensare, provo a non odiarlo per quello che ha fatto, ma  una folata di vento particolarmente forte mi fa tornare alla realtà. Devo muovermi.
Caccio via tutti i pensieri riguardanti Gale e provo a fare come prima. Provo a dare un senso, una direzione ai miei pensieri e anche se è difficile e devo fermarmi più volte ancora per mettere a fuoco la situazione, ce la faccio. Devo farcela. Il bosco non può farmi sentire così, il bosco è sempre stato “l’unico posto in cui sorrido”. No, ho sorriso anche altrove. Con Peeta.
Il vento aumenta, il cielo è nuvoloso. Devo assolutamente cacciare qualcosa, anche se sarà difficile trovare gli animali con questo tempaccio. Lo sarà ancora di più se inizia a piovere – penso – quindi devo darmi una mossa.
Riesco a colpire solo tre scoiattoli e nessuno nell’occhio. Mi ci è voluta tutta la forza di volontà di cui ero capace per tenere le braccia ferme e scoccare quelle frecce. Sarà perché mi sudavano le mani e il respiro mi si faceva affannoso. Sarà perché ogni volta mi sembrava di colpire una persona.
Una volta recuperate le mie prede mi ricordo del secondo punto del mio “piano”: devo raggiungere la baracca vicino al lago.
 
È mattina inoltrata quando finalmente intravedo la riva del lago. Mi stringo nella giacca di mio padre e mi lascio cullare dal rumore del vento e delle piccole onde che si infrangono ai margini del lago. Lo costeggio fino a quando non mi trovo a pochi passi dal piccolo casolare abbandonato, calciando di tanto in tanto un sasso per vederlo scomparire nell’acqua. La cosa mi fa un effetto strano. Il lago fa completamente suo ogni sasso, che scompare, per sempre, e mi chiedo se Capitol City non abbia avuto lo stesso effetto su di me, su di Peeta. Diversamente da me lui aveva capito che il rischio che potesse accadere era alto, aveva deciso di combatterlo, eppure…
Osservo cadere un ultimo sasso prima di girarmi ed esaminare il casolare. Una volta vicina, riesco a scorgere dalla piccola finestra sporca l’unica stanza vuota, buia.
Arrivata alla porta provo ad entrare ma questa si apre solo quando le do un sonoro calcio.
La stanza all’interno è sporca, impolverata e puzza di chiuso e di muffa ma andrà bene lo stesso. Lascio cadere la borsa e crollo a terra, stanchissima. La lunga passeggiata nel bosco mi ha davvero sfiancata ma devo fare ancora molte cose. Il mio corpo si rifiuta ma il mio cuore ha paura degli incubi, non vuole ancora cedere al sonno.
Devo accendere il fuoco.
Devo pulire gli scoiattoli e cuocerli.
Devo procurarmi dell’acqua.
Sto per uscire di nuovo quando mi blocco realizzando che quello che ho fatto oggi non è poi così diverso dal giochino del dottor Aurelius.
Sono Katniss Everdeen, vincitrice dei settantaquattresimi Hunger Games, sopravvissuta dei settantacinquesimi Hunger Games.
Sono Katniss Everdeen e devo andare al lago, devo cucinare gli scoiattoli.
È più o meno lo stesso. Tradita dal mio stesso cervello, mi mordo il labbro inferiore.
Una volta uscita mi procuro la legna per accendere il fuoco; la piccola stanza che è diventata il mio nuovo rifugio ha una sorta di camino. Nel farlo riesco a recuperare anche qualche bacca. Rientro, poso il mio bottino e accendo il fuoco, esco di nuovo, vado a bere al lago e riempio il mio pentolino con l’acqua. Sento i primi schizzi di pioggia bagnarmi la testa, quindi mi affretto e rientro in casa.
Proprio come ieri, tutto questo movimento mi tiene occupata e mi fa sentire meglio. Ignoro i segnali del mio corpo stanco, per rimandare ancora di un po’ i miei incubi. Ora capisco le occhiaie profonde di Peeta… Mi chiedo se lui sia riuscito a dormire o abbia intenzione di ridursi come ieri, ma subito dopo mi rimprovero per averci pensato. Ho fatto tutto questo per spegnere il mio cervello, per mettere quanta più distanza tra me e ogni possibile speranza che, so già, sarebbe inevitabilmente delusa.
Mi do da fare con gli scoiattoli e intanto mangio qualche bacca mentre la pioggia diventa sempre più forte e i miei occhi sempre più pesanti. Riesco a stento a mangiare metà scoiattolo quando il sonno mi prende del tutto; mi addormento avvolta nella coperta, davanti al fuoco che ho acceso.
Per fortuna il sonno pesante mi ha permesso di evitare gli incubi. Ho solo un vago senso di angoscia e tristezza ma nessuna sconcertante immagine di ibridi o gente morta.
È tardo pomeriggio e la pioggia continua a cadere, incessante. Faccio quello che ho fatto negli ultimi giorni, prima che Peeta venisse da me, che Haymitch si infuriasse, che il mio ragazzo del pane se ne andasse dopo essere stato vittima dell’ultimo dei suoi attacchi: nulla.
Riesco appena a ravvivare il fuoco del camino prima di ricadere in trance: mi perdo nelle fiamme che scoppiettano, nella loro strana danza, ricordando quando Cinna ne fece il mio simbolo.
Ma io non ce la faccio più a bruciare, non voglio più incenerire tutto quello che mi circonda, nonostante sia proprio questo che invece finisco sempre col fare, nonostante non sappia da dove riesca a prendere la forza per farlo. Mi sento così debole… Così sola.
Nel 13 mi nascondevo negli armadietti, ora mi sono nascosta qui.
Rimpiango di non avere con me la perla di Peeta; stringerla, in quei momenti, mi faceva sentire un po’ meglio. Fingo di portarmela alle labbra come ero solita fare, ma queste, ovviamente, incontrano il nulla.
La notte passa così, mentre osservo il fuoco, che lentamente svanisce, chiedendomi se un giorno sarò capace di farlo anch’io, se sarò capace di affievolire il fuoco che mi brucia dentro. Ogni tanto mi riaddormento e questa volta gli incubi non si fanno attendere, d’altronde sapevo che la tregua era solo momentanea.
Quando finalmente arriva il giorno, la pioggia incessante sembra diminuire fino a scomparire del tutto, in una mezz’ora.
Esco facendomi avvolgere completamente dal forte odore di pioggia, di terreno bagnato e fango e dal vento che invece non è diminuito affatto. Passeggio un po’ in riva al lago, la mente che vaga ancora fra gli incubi di questa notte. Calcio ancora qualche sasso nel lago e alzo di nuovo lo sguardo al cielo. È sempre scuro, pieno di enormi nuvole nere, inizierà a piovere di nuovo a breve. Rinuncio all’idea di cacciare qualcosa ma vado a recuperare la borsa per poter raccogliere qualche bacca o qualche frutto. La cosa mi tiene occupata per un’oretta, camminare nel bosco che odora di pioggia mi piace.
Rientrata nella piccola casetta non so che fare. La pioggia riprende poco dopo il mio rientro e questa volta sembra ancora più forte, il rumore improvviso di un tuono mi fa sobbalzare. Guardo fuori la piccola finestra e vedo imperversare una vera  e propria tempesta.
Vorrei accendere di nuovo il fuoco ma mi è rimasta poca legna, quella di oggi era troppo bagnata perché potesse essermi utile, e penso che sia meglio conservarla per la notte.
Per la prima volta da quando sono scappata mi chiedo a cosa stiano pensando gli altri. Haymitch sarà furioso, come sempre. Sae  sarà preoccupata. Peeta sarà… Sollevato? O in pensiero, come Sae? In fondo è il secondo giorno che non mi faccio viva. Decido di accantonare ogni mio pensiero a riguardo fino al mio rientro, perché so che sarò costretta a tornare a casa quanto prima. Non posso vivere per sempre rintanata nel bosco. Ho freddo. Ho la schiena a pezzi per aver dormito sul pavimento. Ho bisogno di farmi una doccia e cambiarmi i vestiti. Vivere nel bosco sarebbe come vivere nell’arena.
Mi do dell’idiota da sola. Qui nessuno tenta di ucciderti, Katniss, non è affatto come nell’arena – penso.
Il resto della giornata passa come la notte. Mi rannicchio in un angolino avvolta nella coperta, tremante, e aspetto che il tempo passi. Dopo un po’ però, come quando mi hanno imprigionato dopo aver ucciso la Coin, inizio a cantare, senza un perché. La tempesta infuria e io canto. Il vento fa scricchiolare la mia vecchia baracca e io canto. Finisco una canzone e ne inizio un’altra. Mangiucchio qualche bacca o una mela acerba e poi continuo per poi addormentarmi di nuovo.
 
Il bosco è poco distante da me, devo attraversare il prato. Devo raggiungerlo, qualcuno un tempo mi ha detto che lì sono felice. Qualcun altro un tempo mi ci portava per farmi nuotare nel lago; era divertente.
Avanzo timidamente facendo un passo in avanti ma sento risuonare in aria un colpo di cannone. Faccio un altro passo e il cannone rimbomba ancora. Ogni passo che faccio è accompagnato da quell’orribile suono che mi fa rabbrividire, finchè, al colmo della disperazione e della paura mi volto indietro e la vedo: dai miei piedi parte una lunga scia di sangue che si stende sul terreno che ho calpestato. Osservo le mie mani e anche quelle sono macchiate di sangue. Dalla mia gola esce un urlo, mentre il cannone continua a sparare.
 
L’urlo mi riporta alla stanza ammuffita della baracca vicino al lago. Sudo freddo ma mi avvolgo ancora di più nella coperta, stringendola con foga finchè non mi tornano in mente le immagini delle mie mani insanguinate. Continuo a strillare, il panico mi colpisce di nuovo. In preda al delirio esco fuori, sotto la pioggia fitta, sfregandomi le mani, a voler togliere via quel sangue immaginario, il sangue di tutte le persone che sono morte a causa mia, ma non è abbastanza; sento un tuono, ma nella mia mente è il cannone che continua a sparare. Guardo il lago e ho la soluzione: il lago pulirà tutto il sangue. Corro nella sua direzione e vi immergo le braccia, sfrego con forza le mani. Il sangue non va via e io sono disperata. Sento i vestiti attaccarsi al mio corpo, i capelli al mio viso, fradici. Voglio che quel sangue vada via, mi sta ossessionando. Urlo ancora e mi tuffo nel lago.
Prima di farmi completamente sommergere dall’acqua riesco a sentire un urlo, ma non proviene da me.
-KATNISS! – È Peeta.
 
L’acqua è ovunque, sopra e sotto. Quando riemergo l’acqua mi travolge di nuovo, mi trascina via nonostante riesca a toccare il fondo del lago con i piedi.
Lo shock dell’acqua che ha completamente investito il mio corpo mi ha fatto riprendere psicologicamente, ma ora devo lottare contro la corrente.
-Peeta!- riesco a strillare prima che la corrente mi trascini ancora.
Lotto con tutte le mie forze fino a quando vedo di nuovo Peeta. Ora è anche lui nel lago. Avanza verso di me fino a quando riesce a afferrarmi un braccio. Non so con quale forza riesca a trascinare sia me che lui contro corrente.
Giunti alla riva del lago cadiamo a terra, distrutti. Mi chiedo perché ci sia ancora acqua e poi ricordo la pioggia. Un lampo illumina il volto di Peeta che prova a riprendere fiato. Come ha fatto a venire qui?
Mi avvicino a lui e lo stringo mentre lui fa altrettanto. Mi stringe sotto la pioggia mentre appoggio la mia testa sul suo petto come sempre, mentre piango e provo a soffocare i singhiozzi.
Il tuono che segue il lampo di prima ci riporta alla realtà, mi stacco da lui mentre si rialza e mi tende la mano.  Una volta in piedi gli faccio cenno indicando il casolare e lui annuisce.
Nessuno dei due lascia la mano dell’altro mentre camminiamo sotto la pioggia, completamente bagnati. Deve essere quasi sera, non saprei, le nuvole oscurano completamente il cielo.
Una volta dentro vado direttamente verso la legna rimasta e accendo il fuoco. Peeta si inginocchia lentamente accanto a me senza dire una parola. Quando mi giro verso di lui mi trovo ad osservare la sua schiena nuda, ricoperta di cicatrici. Si è tolto la felpa e ora la strizza più in là.
Quando si gira di nuovo mi scopre con la mano tesa; stavo per toccare una delle sue cicatrici, assecondando il mio desiderio morboso di accarezzarlo.
Ci osserviamo di nuovo e come prima, quando eravamo fuori, ci stringiamo a vicenda
Sento Peeta rabbrividire leggermente per il contatto con i miei vestiti bagnati e faccio scorrere le mie mani lungo le sue spalle larghe per incrociarle dietro al collo, sfiorando la sua pelle con delicatezza mentre lui mi scosta i capelli dal viso, in una carezza e mi avvolge ancora nel suo abbraccio.
-Io e te dobbiamo fare un patto- sussurra al mio orecchio.
 
*******
 
More shirtless Peeta for everyone!
(motto gentilmente offerto dalla mia Ccch <3)
 
Aloha :3
Non so voi, ma questo capitolo mi piace *-* Spero ovviamente che piaccia anche a voi!
Come al solito, grazie a tutti per aver dedicato un po’ del vostro tempo a leggere il capitolo :3
 
A Alex995: grazie per il complimento e… tadààà! Ecco le tue risposte. Sono stata efficiente? Anche io non sapevo cosa farle fare di preciso, soprattutto di notte, quindi… Ecco che si fa magicamente mattina! Ahahahahahah xD Fammi sapere che pensi di quest’altro capitolo :3
 
A Gjo: prenditela con la mia amica, è lei che mi ha fatto rivedere il tutto! Ahahahah <3 (scherzo ovviamente, in realtà ero già poco convinta nel far restare Peeta) Direi che però ne è valsa la pena per la scena del lago, o no? Anche tu, fammi sapere che ne pensi :3
 
Detto questo boh, niente. Vi chiedo ancora di lasciare una qualsiasi recensione, così mi fate contenta e fate un’opera buona: non vorrete lasciare l’onere di recensire solo alla mia Ccchh, Gjo e Alex995? Suvvia!
 
Bye :3
 
May the odds be ever in your favor.

P.S. (06/03/2014)

Attention please!
La mia Cccchh (che se non l'ho mai detto, in realtà si chiama Flavia) ha finalmente deciso di pubblicare una sua fanfiction hungergamesiana! Inutivile dirvi che è bellissima!
Così come le faccio leggere i capitoli prima di pubblicarli, lei mi manda tutto in anteprima e vi assicuro che la sua storia è fantastica.
Vi lascio il link: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2494551&i=1
Amatela.
E se per farlo abbandonerete questa fanfiction, vi capirò XD
Ancora i miei complimenti Ccch <3


May the odds be ever in your favor.

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


Dipendesse da me, non lascerei mai più Peeta ma lo stringerei per tutto il resto della mia vita, congelando questo momento per viverci per sempre.
Ma Peeta sta rabbrividendo e anche io. Il fuoco dona un piacevole tepore ma i vestiti bagnati sembrano ghiaccio sulla pelle.
- Dovresti spogliarti - mi dice Peeta.
Mi irrigidisco fra le sue braccia mentre sento le guance avvampare. Cosa ha detto? Non può essere Peeta la persona che ha appena pronunciato queste parole!
- Beh, in realtà dovrei finire di spogliarmi anch’io… -
Non ci credo. È serio? È questo il patto di cui parlava?
Peeta si allontana per osservarmi il viso, che non riesco a nascondere in tempo ai suoi occhi indagatori. Sento risuonare una risata fragorosa, accompagnata dopo qualche secondo da un tuono che sembra amplificarla. Mi allontano velocemente da lui e gli volto la schiena; perfetto, scommetto di essere arrossita ancora di più.
- Katniss… È per i vestiti… Sono bagnati - sento Peeta giustificarsi mentre tenta di trattenere le risate.
I vestiti, giusto. Che idiota. Ho davvero pensato che Peeta volesse…  Altro?
Provo a darmi un contegno per potermi girare di nuovo verso di lui ma un’istante prima Peeta scoppia di nuovo a ridere, facendomi cambiare idea.
Non ci posso credere: siamo bloccati nel bosco, in mezzo a una tempesta, stavamo per essere trascinati nel bel mezzo del lago e lui ride.
Lui… Ride.
Ho appena realizzato la cosa. Non riesco nemmeno a ricordare quanto tempo sia passato dall’ultima volta che ho sentito Peeta ridere. Non sono nemmeno sicura di averlo mai sentito, il mio cervello annebbia tutto mentre mi abbandono al suono della sua risata. Il mio corpo si rilassa, la schiena si distende mentre lascio andare le braccia che prima avevo inavvertitamente incrociato al petto.
Quando mi giro la risata di Peeta è ormai scemata, ma ha ancora sul viso un espressione divertita e non posso non pensare che sia proprio bello: ha tirato indietro i capelli bagnati ma un paio di riccioli ribelli li cadono ancora sulla fronte, il fuoco lo illumina solo a tratti, in uno strano gioco di luci e ombre.
- Non volevo metterti in imbarazzo, scusami. Quasi dimenticavo fin dove arrivasse la tua purezza - riprende, infine.
Ecco. La solita storia sulla mia purezza, dannazione. Mi mordo il labbro inferiore.
- Lascia perdere - rispondo, più fredda di quanto avrei voluto.
Il problema è che ha ragione; devo spogliarmi, sto congelando nei miei vestiti, ma ho troppa vergogna. Mi allontano un altro po’ da lui e prendo fiato portando le mani ai lembi del maglione.
- Se vuoi saperlo la cosa imbarazza un po’ anche me - mormora Peeta.
- Perché non ti giri allora? - ribatto, ironica, mentre questa volta è Peeta ad arrossire, leggermente.
Soffoco una risatina nervosa, in parte lieta del fatto che non sia l’unica a non sentirsi a proprio agio, mentre afferro il maglione e lo tiro su. Sembra pesare tre quintali, zuppo com’è; lo strizzo anch’io più in là e noto che Peeta si è davvero girato, e ora è in piedi, ancora più lontano. A un certo punto però nota qualcosa ai suoi piedi e la afferra.
Ritorna da me prestando attenzione a dove posa gli occhi, lo so. Si mordicchia anche lui le labbra, mentre mi porge la coperta che avevo gettato via prima di uscire.
La afferro subito bisbigliando un qualche ringraziamento per poi avvolgermela attorno, come faccio con l’asciugamano dopo aver fatto la doccia, e ne approfitto per togliermi anche i pantaloni.
Siamo bloccati nel bosco, in mezzo a una tempesta, stavamo per essere trascinati nel bel mezzo del lago e io sono quasi nuda.
Soffoco un’altra risatina nervosa. La cosa sta degenerando.
Lascio cadere il pantalone vicino al fuoco e riprendo il mio posto iniziale, sotto lo sguardo di un Peeta immobile. Fisso il fuoco e spero con tutte le mie forze che la luce rossa che proietta sul mio viso sia riuscita a nascondere in parte la nuova ondata di sangue alle mie guance.
Mi sembra quasi di sentire Peeta deglutire prima che mi dica, con tono decisamente più naturale di quanto mi aspettassi: - Immagino che ora sia il mio turno. -
Ridacchiamo insieme, entrambi imbarazzati. La cosa sta decisamente degenerando.
Non distolgo il mio sguardo dal fuoco mentre si toglie il jeans e come me, lo appoggia per terra, vicino alle fiamme, per farlo asciugare. Si accovaccia affianco a me e restiamo ad osservare entrambi il fuoco in silenzio.
Penso a quando lo trovai vicino al fiume, nell’arena, con la gamba ferita, la gamba che ora non ha più. Penso a quando lo lavai, all’imbarazzo che provai quando rimase solo in mutande, come ora.
Ti prego, fa che non si accorga che sono arrossita di nuovo – penso.
Aspetto ancora un po’ prima di girarmi verso di lui e accorgermi che sta tremando. Fa davvero freddo, in effetti.
- Peeta stai congelando - osservo, mentre gli sfioro il braccio che è stranamente caldo.
Fa spallucce mentre indica la stanza intorno a noi.
- Dubito tu abbia un’altra coperta – mi dice sorridendomi gentilmente – Non ti preoccupare. Mi sto riscaldando vicino al fuoc…- Sternutisce prima di poter concludere la frase.
Alzo gli occhi e faccio un lungo respiro. Srotolo la coperta dal mio corpo e la getto un po’ anche sulle sue spalle, facendo aderire il mio fianco destro al suo fianco sinistro. La sua pelle è calda, mi chiedo come faccia tremare di freddo in effetti. In ogni caso il contatto tra i nostri corpi mi crea un tale imbarazzo che già mi pento della mia mossa.
- Non essere sciocco - gli dico, ma in realtà lo ripeto a me stessa.
È tutto ok. Non potete mica morire di freddo – insisto, nella mia mente.
- Katniss, non so davvero se sia il caso. Sono… - inizia a dirmi Peeta, ma non lo lascio finire.
- … stato depistato e hai paura di uccidermi? Andiamo Peeta, mi hai appena salvata e non ho intenzione di farti morire di freddo. –
Da dove mi sono uscite queste parole? Mi maledico per la mia poca delicatezza, ma sono tesa come una corda di violino.
- … Sono pur sempre un ragazzo. - completa lui, questa volta arrossendo completamente.
- Oh - è tutto quello che riesco a dire.
Dopo un po’ di silenzio Peeta sternutisce di nuovo, seguito a ruota da me.
Ridacchia un po’ e ammetto tra me e me che la situazione è alquanto buffa, ma non riesco ancora a sciogliermi del tutto.
- Allora? Come hai fatto a trovarmi? - dico infine, nella speranza di iniziare un dialogo, anche se in realtà sono davvero curiosa di sentire la sua risposta.
Appoggio la testa sulle mia ginocchia, le gambe piegate in alto, gli occhi che cercano i suoi, ancora fissi sul fuoco. Sono pur sempre un ragazzo; le sue parole mi rimbombano ancora in testa mentre ruota il corpo nella mia direzione, facendo passare una gamba sotto le mie, l’altra dietro di me.
Sospira e poggia anche lui la testa sulle mia ginocchia, permettendomi di incontrare finalmente i suoi occhi limpidi. Mi gira un po’ la testa, che all’improvviso sembra scoppiare. Sbatto gli occhi velocemente per potermi concentrare di nuovo su Peeta, che intanto ha socchiuso i suoi e mi dice:
- Quando me ne sono andato ho passato l’intera notte a dannarmi. Volevo ritornare da te, ma non potevo, quindi mi sono dato da fare in cucina, ho preparato un po’ – sorride mentre dice quest’ultima parola – di pane. -
Libero una mano dalle ginocchia e inizio ad accarezzargli i capelli. Non credo di sentirmi molto bene. Peeta rabbrividisce, ma continua il suo racconto.
- La mattina dopo volevo portarti le focaccine al formaggio - si interrompe di nuovo. - Sono le tue preferite. Vero o falso? –
- Vero - rispondo risoluta, ricordando bene la sorta di gioco che era nato dopo il suo depistaggio.
Lui sembra rilassarsi nuovamente e inizia ad accarezzare anche lui i miei capelli. Il suo atteggiamento ha un non so che di strano, ma non mi ci soffermo; non mi sento granché lucida.
- Non che avessi intenzione di rimanere, avevo paura che tu fossi arrabbiata con me. Speravo che Sae fosse già arrivata, così avrei potuto lasciarle a lei. -
Peeta aveva paura che fossi arrabbiata con lui? Cosa? Mi sento ferita ma ricordo che in parte era così. No, ero arrabbiata con Haymitch, credo.
La testa sembra scoppiarmi ma una nuova carezza di Peeta mi riporta alla realtà.
- Tuttavia, mentre mi stavo preparando per uscire, Haymitch ha bussato alla porta. Sembrava preoccupato ma non mi ha voluto dire nulla. Mi ha solo detto che forse era meglio se stavo alla larga da casa tua per un po’, anche perché a quanto pare eri andata a caccia, così ho pensato che fosse solamente sorpreso, come lo ero io d’altronde. Ho passato il resto della giornata con Haymitch. Io cucinavo e lui beveva, al solito. Credo di aver preparato quintali di pane. E una torta. Quella che avete preparato tu e Sae mi ha fatto venire voglia di prepararne una. Verso sera Sae ha bussato alla porta e Haymitch è scattato a parlare con lei. Hanno parlato per un po’ sottovoce, non sono riuscito a sentirli. Ho sentito solo Haymitch farneticare qualcosa contro la pioggia, probabilmente voleva cercarti ma non poteva dato il buio e, appunto, la pioggia. Ma queste sono le mie conclusioni ora. In ogni caso Sae ci ha lasciato la cena e se n’è andata. Ero così distrutto che dopo mangiato non sono nemmeno andato a letto ma sono crollato come un sasso sul divanetto della cucina. –
Si interrompe e per qualche istante il suo sguardo si perde nel vuoto.
– Ti risparmio i dettagli sugli incubi - sospira - Ero quasi tentato dal correre da te. -
Gli accarezzo momentaneamente la guancia prima di ritornare sui suoi capelli, che si stanno asciugando poco alla volta. Immagino Peeta sul divano, mentre, come me poco fa, urla nel sonno.
- Ma ho seguito il consiglio di Haymitch. Perché sono un codardo. –
- Falso. - gli dico prontamente, ma me ne accorgo solo dopo, quando uno sconcertato Peeta mi risponde: - Non era una domanda.-
- Era comunque un'affermazione falsa - ribatto e il mio tono non ammette repliche.
- Ok... Dunque... Haymitch si è catapultato in casa, era agitato, immagino avesse scoperto che non eri tornata a dormire e chissà, forse si aspettava di trovarti da me. -
Provo a immaginare Haymitch che sfreccia verso casa di Peeta mentre la sua piccola testolina perversa pensa già a quale battuta rifilarci.
- Comunque sembrava molto sorpreso. Ha farfugliato qualcosa, all'inizio credevo fosse più ubriaco del solito. Magari lo era. Si è trattenuto pochissimo e mi ha ripetuto di nuovo di starmene a casa. Ho iniziato a pensare che ci fosse qualcosa che non andasse quindi dopo un poco sono andato a casa sua. O meglio, mentre ero fuori la porta ho sentito delle voci all'interno e, lo sai, Haymitch non ha mai ospiti. Ho origliato la conversazione dalla finestra del salotto. È sbagliato, lo so, ma c'erano un paio di uomini del distretto e parlavano di venirti a cercare, nei boschi. Poi ho collegato il tutto: Haymitch che mi dice di farmi da parte, che si comporta in modo strano e parla sottovoce con Sae, la quale ci ha portato una cena a base di pesce. Così ho mollato tutto e sono venuto nei boschi, a cercarti. Non è stato propriamente... Facile… -  vedo la sua espressione, e so che non allude solo alla pioggia o al fatto che non avesse mai messo piede nel bosco - ... Ma alla fine ce l'ho fatta. - sospira, concludendo il suo racconto.
- Mi hai fatto prendere un colpo quando ti ho vista gettarti nel lago - vedo parte del suo volto incupirsi e noto che la sua voce si è leggermente incrinata.
- Per favore Katniss, non farlo mai più - aggiunge infine.
 
Dopo il suo racconto, la mia testa era completamente nel pallone. Tremavamo entrambi, così Peeta ha provato ad avvolgerci nella coperta ma era troppo corta. Così ho ruotato anche io il mio corpo verso di lui e, in un attimo che potrei giudicare solo di follia, mi ci sono appoggiata contro, la testa sulla sua spalla destra, le gambe incrociate dietro di lui, eliminando gli ultimi centimetri di distanza che separavano i nostri corpi.
Il contatto tra la nostra pelle nuda è ancora una volta strano e imbarazzante, ma tutto sommato piacevole. E Peeta, come al solito, profuma di pane e dolci, nonostante sia stato tutto il giorno sotto la pioggia e si sia tuffato nel lago. Ma forse sono io a immaginarmelo.
- Katniss, non credo di sentirmi molto bene - riesce a dire, e noto che chiude gli occhi e alza la mano sinistra dal pavimento quasi a cercare di mantenere l'equilibrio.
Quando riapre gli occhi, noto che sono lucidi. Sto per portargli la mano destra sulla fronte, per sentire se scotta, ma a metà strada devio il suo tragitto per portarmela alla bocca e coprirla mentre tossisco.
- Andiamo bene - gli dico quando smetto di tossire.
Peeta si stringe ancora di più a me, per coprirci bene con la coperta, e intanto porto la mano sulla sua fronte.
- Non saprei, non sembri più molto accaldato - è il mio responso.
Lui fa altrettanto con me e poi dice: - Questo perché secondo me abbiamo entrambi la febbre. -
Non lascia andare la mano dal mio viso, ma la sposta solo verso la guancia.
Sento il cuore battere all'impazzata. Non riesco più a formulare un solo pensiero coerente. Il mio respiro è irregolare.
Noto che anche Peeta non è del tutto tranquillo. Chiude ancora gli occhi e poggia la sua fronte contro la mia, mentre prova anche lui a regolarizzare il respiro. In effetti non c'è molta differenza di temperatura.
Respira Katniss, respira - mi ripeto. Cosa sta succedendo?
- Dicevi di un certo patto... - provo a riprendere il discorso ma le mie parole sono evanescenti, probabilmente le ho solo pensate, non so; l'unica cosa che so è che le labbra di Peeta sono tremendamente vicine alle mie.
Siamo bloccati nel bosco, in mezzo a una tempesta, stavamo per essere trascinati nel bel mezzo del lago e Peeta mi sta baciando. E io ricambio il suo bacio.
 
Un solo istante di incertezza lascia subito spazio alla fame di baci. Quella fame che ho provato nella grotta, sulla spiaggia. Non mi ero mai resa conto di quanto mi mancasse, o forse non l’ho mai saputo.
Peeta ora ha poggiato l'altra mano sul mio fianco e inizia a baciarmi delicatamente il collo ma si ferma un'istante dopo. Scosta il viso delicatamente ma fa schizzare via la sua mano dal mio fianco. Lo sento farfugliare qualcosa. Si sente in colpa per essersi spinto così oltre, lo so, ma al contrario suo proprio non riesco a fargliene una colpa, anzi.
Non credo che le sue parole abbiano molto senso, quindi provo ad andargli incontro, provando a mascherare la mia voce che trasuda imbarazzo a ogni sillaba: - Forse è meglio se proviamo a dormire... -
Ancora una volta mi sembra di rivolgere la frase più a me che a lui, perché in questo momento - e sento il viso andare in fiamme per questo - non desidero altro se non baciarlo ancora.
Peeta annuisce e prova a stendersi, trascinando con sé la coperta e obbligandomi involontariamente a seguire il suo gesto. Proviamo quindi a sbrogliarci a vicenda, intralciati dalla coperta, fino a quando riusciamo a stenderci finalmente uno accanto all'altro, vicino al fuoco che scoppietta vivo.
- Stasera non avremo incubi, vero? - chiedo supplichevole, pensando a cosa è successo l'ultima volta che ne ho fatto uno.
- Mi sembra di ricordare di essere un bravo acchiappasogni - mi risponde Peeta e allarga le sue braccia, tacito permesso per affondare la mia testa sul suo petto.
 
*******
More shirtless Everlark for everyone!
(Combo! Ahahahahah XD)
 
Saaaalve a tutti! :3
Ecco il nuovo capitolo… Avete appena scoperto il mio lato da ragazzina in piena crisi ormonale! Ahahahahha XD
Perdonatemi e, vi avviso da ora, ce ne sarà qualche briciola anche nel prossimo capitolo! XD
 
Detto questo, vabè, solite cose, ringraziamenti a gogo a tutti <3
Chiedo scusa a chi ha recensito per non aver capito che potevo rispondere direttamente lì; non sono così scema di solito, ve lo assicuro!
E a proposito di recensioni, finalmente nuovi recensori DJFJHVPòEFJòAWPWD *-*
Grazie a tutti per i complimenti e, al solito, fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo.
Rimembro a tutti che le vostre opinioni/consigli/idee/qualsiasi cosa, anche insulti (magari non troppo pesanti XD) sono bene accetti :3
 

Ah, vi lascio ancora una volta il link della storia della mia Ccchh, che è millemila volte più brava di me e che ringrazio come sempre:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2494551
 
Un abbraccio <3
 
May the odds be ever in your favor.

P.S. (18/03/14)
Ho fatto la cattiva? Ho scritto la schifezza di tutti i capitoli? Vi prego recensite, mi state mandando in crisi! D:
Anche voi, lettori silenziosi (che ringrazio comunque tantissimo), fatevi sentire! Devo sapere cosa apprezzate e cosa invece non va u.u
Vabè, torno a piangere nel mio angolino buio, addio ç_ç

May the odds be ever in you favor.

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


Sento dei colpi.
Mi sveglio e cerco di mettere a fuoco la stanza ma ci impiego un bel po’. Sollevo la testa dal petto di Peeta. Mi ci vuole qualche secondo prima di ricordare gli avvenimenti della sera prima e intanto i colpi, che identifico provenire dalla porta, si amplificano nella mia testa.
Peeta farfuglia qualcosa nel sonno con voce roca ma colgo solo l’ultima parola mentre tossisco: - Sonno. –
Riesco a stento a scuoterlo per farlo svegliare quando la porta si apre di colpo lasciando entrare una luce abbagliante e infine Haymitch.
Mi lascio sfuggire un mugolio di sorpresa che strozzo a metà quando riconosco la figura del mio mentore, che dopo qualche secondo sbatte le mani rumorosamente:
- Un applauso a voi, piccioncini da due cuori e una capanna! Mi avete fatto impazzire! -
Peeta scatta a sedere e si afferra la testa tra le mani.
- Haymitch - è l’unica cosa che riesce a dire; un colpo di tosse particolarmente forte lo costringe a interrompersi.
- Sì sì, ho capito, certo, starò zitto. Per il momento. Sono uscito quasi all’alba per venirvi a cercare ma starò zitto - riprende Haymitch, che continua comunque a borbottare imperterrito qualcosa, nonostante la mia occhiataccia. Se possibile mi sento ancora peggio di ieri sera ma almeno sia io che Peeta non abbiamo avuto nessun incubo.
Tiro su col naso e esco da sotto la coperta per raggiungere i miei… Vestiti.
No. Ti prego, no. Fa che io stia ancora dormendo e che questo sia solo un incubo.
Mi blocco un istante mentre realizzo quello che è appena successo: Haymitch mi ha vista mentre ero con Peeta, sotto una coperta, soltanto in biancheria.
Vedo Haymitch sbarrare gli occhi a bocca aperta e poi voltarsi per osservare Peeta, che si è appena alzato, stropicciandosi gli occhi silenziosamente.
- Santi numi… - è tutto quello che riesce a dire.
Il suono della voce del nostro mentore sembra riportare Peeta alla realtà: vedo la sua espressione cambiare in un lampo, il suo corpo farsi rigido per l’imbarazzo.
È strano, di solito le allusioni di Haymitch non lo hanno mai toccato più di tanto, ma immagino che la situazione ora sia ben diversa.
- Potevate farlo prima se proprio volevate che stessi zitto. - aggiunge infine Haymitch.
Restiamo bloccati per qualche istante, senza sapere che fare, mentre il panico aumenta sempre di più dento di me.
Sento le guance andare ancora una volta a fuoco, in contrasto con l’aria gelida che invece, entrando dalla porta spalancata, investe il mio corpo, ma nonostante questo non riesco a spostarlo di un millimetro.
Non riesco nemmeno a parlare per mettere in chiaro la situazione e spiegare a Haymitch come sono andate realmente le cose, il che naturalmente va solo a nostro svantaggio perché lui ne approfitta per scatenarsi; sul suo viso lo stupore viene infatti velocemente sostituito da un ghigno malizioso.
- Bene bene… Capisco che in certe occasioni l’intimità sia indispensabile, ma non vi è sembrato di esagerare? Insomma, bastava anche una semplice cravatta annodata al pomello della camera da letto del fornaio… -
Quel suo tono sornione mi manda sui nervi. Mi sblocco e indosso velocemente la maglia, come una furia, maledicendomi per la mia poca accortezza, per essere uscita così velocemente da sotto quella coperta, anche se probabilmente sarebbe stato lo stesso se non l’avessi fatto.
- Sì, ecco, copritevi – aggiunge Haymitch, che ormai sghignazza senza pudore e infine indica Peeta.
- Soprattutto tu, ragazzo. -
Vedo Peeta scattare verso i suoi jeans mentre Haymitch, battendo i pugni contro la porta, ride come un matto, martellando ancora la mia povera testa.

Una volta indossati di nuovo i vestiti, recupero i miei pochi averi. Haymitch non ha aggiunto altro ma continua a sghignazzare e la cosa mi fa così innervosire che finalmente riesco a trovare la forza di reagire.
- Haymitch, piantala, o giuro che ti pianto una freccia dritto in mezzo agli occhi e lascio marcire il tuo corpo nel lago - gli dico, con tono velenoso.
- Calma ragazzina… - mi risponde, ma poi, rivolgendosi a Peeta, aggiunge:
- Devi essere davvero un fenomeno sotto a quella coperta per riuscire a tenere a bada una ragazza del gener… -
- Basta Haymitch, non è successo assolutamente nulla. –
Il tono di Peeta non ammette repliche. È freddo, deciso, le sue parole sono come scolpite nella pietra.
- C’era una sola coperta e i vestiti erano bagnati. Fine della storia. -
Non sono l’unica ad essere meravigliata, infatti vedo Haymitch di nuovo senza parole; è la seconda volta che succede nella stessa giornata: un record. 
In ogni caso Peeta sembra riprendersi e aggiunge con tono sommesso, quasi pentendosi delle cose che ha detto: - E ora torniamo a casa, prima che la febbre ci salga alle stelle. -
Mi rivolge un sorriso timido, apprensivo, ma io sono rimasta di stucco: non avevo mai sentito Peeta rivolgersi a Haymitch in questo modo. Ma c’è qualcos’altro, la sorpresa non è l’unica emozione che sto provando in questo momento, sono triste, anche se non ne capisco il perché.
Fa cenno alla coperta che tengo ancora in mano: - Faresti meglio a mettertela addosso, stai tremando - mi dice, ed esce dalla capanna.
Stringo la coperta tra le mani mentre ripenso a quello che ha detto qualche istante fa: non è successo assolutamente nulla.
È vero, almeno per quanto riguarda le supposizioni di quella spugna di un mentore, ma non del tutto: ci siamo baciati; abbiamo dormito di nuovo insieme dopo millenni.
So che probabilmente l’ha detto solo per mettere a tacere le fastidiose allusioni di Haymitch, ma una piccola parte di me ha paura che possa davvero pensare quello che ha detto, che per Peeta l’abbraccio sotto la pioggia, i baci, la notte passata insieme siano nulla.
Mi metto la coperta sulle spalle ma non trovo più la mia borsa; scopro infine che l’ha presa Haymitch.
Esco anch’io dalla capanna e constato con sollievo che non piove; il cielo è ancora nuvoloso, ma non credo che pioverà, i nuvoloni neri dell’altro giorno sono scomparsi.
Probabilmente nel pomeriggio uscirà anche il sole.
Mi godo per qualche secondo il venticello leggero che soffia sul mio volto, lontano anni luce dalle tremende raffiche dell’altra sera.
Inizio a camminare mettendomi alla testa del gruppo ma dopo dieci minuti di cammino mi sento già sfinita; noto che Peeta non è in condizioni migliori: la sua carnagione, già chiara di suo, è ancora più pallida.
Sospiro consapevole che sarà una lunga mattinata; ogni passo è un’impresa, e non solo per me.
Dopo qualche minuto ancora rallento fino a fermarmi completamente, mettendomi a sedere su un enorme roccia. Sto morendo di freddo e sono stanchissima; e non abbiamo fatto nemmeno un decimo del nostro percorso- penso.
I vestiti sono ancora un po’ umidi e nonostante la giacca e la coperta continuo a tremare.
- Perché ti sei fermata? - sento.
Sto per rispondere ad Haymitch, ma poi mi blocco. È stato Peeta a parlare e ora si guarda intorno sospettoso, quasi temesse un’imboscata.
Non è stato propriamente… Facile.
Le sue parole, quelle del racconto di ieri, mi ritornano in mente; avevo ragione, non avevano nulla a che fare con la pioggia o il fatto che il bosco gli sia completamente sconosciuto.
Penso a Peeta che vaga per i boschi da solo, sotto la pioggia, alla mia ricerca, fermandosi ogni dieci minuti in preda a un episodio ma che appena mi ha vista non ha esitato un’istante a tuffarsi nel lago per venire in mio aiuto. Mi sento stupida per aver dubitato di lui prima di uscire dalla capanna, per essermela presa come una qualunque ragazzina quando ha detto a Haymitch che non era successo nulla.
Per Peeta non sono nulla. Peeta ha affrontato il bosco da solo per venirmi a cercare. Per cercare me, la persona che ancora una volta è scappata via mettendosi al primo posto, invece di stare accanto a lui.
Temevo fossi arrabbiata con me.
Perché le parole di Peeta continuano a tornarmi in mente?
Ancora una volta realizzo quanto sia migliore di me, anche ora che lo vedo muoversi a scatti per esaminare la zona dove ci siamo fermati, anche ora che i suoi occhi si fanno di una tonalità più scura.
Potresti vivere mille vite e non meritarlo ancora.
Il mio cervello gioca in ultimo le parole di Haymitch. Le parole che mi disse una vita fa ma che nonostante tutto continuano a valere. Il colpo di grazia.
- Peeta - lo chiamo, cerco di attirare la sua attenzione.
Haymitch, che gli andava dietro cercando di calmarlo, viene allontanato con una spinta.
La mia voce è stanca, provata, forse disperata, non saprei. La testa mi gira vertiginosamente. 
Peeta sembra fermare l’impulso di scattare verso di me e noto che i suoi occhi non sono ancora neri, sono solo più scuri; forse la febbre inibisce in parte questo nuovo episodio, d’altronde è visibilmente stanco.
- Ieri sei venuto a cercarmi nei boschi e ora stiamo tornando a casa – gli dico e nel frattempo mi avvicino leggermente a lui con le mani bene in vista, fuori dalla coperta.
- Katniss, non fare idiozie. – mi dice un Haymitch barcollante.
- Ti sei tuffato nel lago per aiutarmi – aggiungo, provando a dare un po’ di dolcezza alla mia voce; voglio davvero aiutare Peeta ma non so come fare.
Non posso più agire impulsivamente con lui, non in queste situazioni, ricordo ancora lo specchio del mio ingresso. Eppure tutto quello che vorrei fare ora e corrergli incontro e abbracciarlo, fargli capire che non deve temere nulla, soprattutto me.
Mentre penso ancora ai frammenti dello specchio lo sguardo mi cade sulla mano di Peeta; i graffi sono ancora visibili ma decisamente in via di guarigione.
- Mi sono tuffato nel lago… - esordisce, con il tono di una persona che cerca con tutte le forze di ricordare qualcosa di essenziale.
- … Per proteggerti. Perché è questo che facciamo io e te… - mi dice infine, crollando in ginocchio, gli occhi che si schiariscono. Gli occhi del mio ragazzo del pane.
- … Ci proteggiamo a vicenda - concludo.
Peeta socchiude gli occhi e si accascia per terra; provo a raggiungerlo ma Haymitch è più veloce di me, per fortuna, e riesce ad afferrarlo prima che la testa sbatta per terra.
Non ha perso del tutto i sensi, infatti bisbiglia qualcosa fra le labbra. Haymitch gli tocca la fronte.
- Potremmo cuocerci la cena sulla sua fronte... E ora sta anche delirando, bene - borbotta - Altro che mentore, qui vi ci vuole davvero una balia -
Lo ignoro e mi tolgo la coperta dalle spalle per poggiarla su quelle di Peeta, mentre penso a un modo per andarcene alla svelta dal bosco che inizia a portarmi di nuovo alla mente strani ricordi. Non ne trovo quindi l'unica soluzione è portare Peeta di peso, sperando di non crollare come lui.
- Proviamo ad alzarlo - mi dice Haymitch dopo uno sguardo di intesa, quindi mi porto il braccio destro di Peeta dietro al collo e faccio pressione sulle mie gambe per alzarci entrambi.
Peeta poggia quasi tutto il suo peso su noi due che lentamente proviamo ad avanzare; se prima ogni passo era un'impresa ora è follia.

Giunti a metà del percorso io e Haymitch ci concediamo una pausa; è mezzogiorno, o giù di lì, trasportare Peeta ha richiesto il triplo del tempo necessario, considerando che anche io non mi sento proprio in forma.
Io e Haymitch abbiamo camminato in silenzio, pensierosi.
Per un po' la mia mente malata mi ha portato di nuovo agli Hunger Games, ho provato a immaginare Haymitch tra i boschi, come ora.
Chissà quanto è stata dura stare nell'arena sapendo che nessuno fuori avrebbe cercato di aiutarti in qualche modo, sapendo di non avere un mentore.
Ricordo quando Haymitch mi mandò il primo paracadute, la pomata per curare la scottatura provocata dall'incendio degli strateghi; quando mandò la zuppa per Peeta e capii il mesaggio che nascondeva; a poco a poco ricordo tutte le volte che il suo aiuto è stato prezioso mentre eravamo nell'arena.
Mentre il mio cervello indugia sull'immagine della spillatrice che ancora conservo, sento la voce di Haymitch, seduto sull'erba poco distante da me.
- Cos'è questa storia del lago? - mi chiede.
- Incubi. Dormivo e un'istante dopo mi buttavo nel lago, per pulirmi dal sangue che ho sognato - gli dico. Non mi va di parlarne ma so che sarebbe diventato insopportabile se non gliel'avessi detto, senza contare che avrebbe saputo comunque tutto da Peeta, una volta ripresosi.
Non so perchè non mi vada di parlarne con lui, soprattutto dopo i pensieri di prima, dopo aver realizzato quanto devo a Haymitch.
- Capisco. -
Haymitch non aggiunge altro. Anche lui è un tributo, anche lui ha gli incubi, può capire davvero.
Si porta una mano sotto alla giacca per cacciarne fuori una fiaschetta da cui inizia a bere avidamente. Alzo gli occhi al cielo; sperare che non bevesse per più di mezza giornata è stata un'illusione.
Peeta è ancora nel suo stato di semi incoscienza e la cosa inizia a preoccuparmi non poco; avrei preferito non fermarmi e continuare a camminare ma stavo per svenire.
La pausa comunque dura poco e Haymitch ed io ci rimettiamo in marcia: dobbiamo assolutamente portare Peeta a casa.

Quando arriviamo al villaggio mi sembra di essere dentro un sogno.
Vedo delle persone affollarsi intorno a noi, sento il corpo di Peeta scivolare via sostituito da qualcun altro; Sae mi afferra la mano con delicatezza e mi conduce verso il villaggio dei vincitori.
Tutto sembra irreale, i suoni sono ovattati, i colori tenui sfumano gli uni negli altri così che ogni cosa perde il suo contorno.
Riconosco la mia casa, sto per varcarne la soglia, poi mi ricordo nuovamente di Peeta; mi volto indietro giusto in tempo per osservare la porta di casa sua chiudersi.
Sae continua a trascinarmi e non so come riesce a convincere il mio corpo a salire le scale per andare in camera da letto, mentre la mia mente indugia ancora un po’ sulla capigliatura bionda che mi è sembrato di vedere qualche istante prima, mentre quella porta si chiudeva.
Ce l’ho fatta, ho portato Peeta a casa.
La vista del letto tuttavia annulla ogni mio pensiero; ci crollo sopra mentre intorno a me si fa buio.

*******

Saaaalve a tutti! :3

Scusate il ritardo ma sono ripresi i corsi e come avevo previsto, non c'è via di scampo T_T
Annuncio che purtroppo sarò costretta a rallentare l'uscita dei capitoli mio malgrado :\ (tipo ogni due settimane, boh, poi si vedrà)

Detto questo, che ne pensate del nuovo capitolo? È tornato Peeta "passa guai" (come direbbero i miei compaesani XD) e soprattutto... Ecco a voi la grande entrata di Haymitch che li becca sul fattaccio muahahahahahahahah! (residui della crisi ormonale)

Ancora una volta, recensite per favoooooooore T_T con lo scorso capitolo mi avete mandato in crisi XD lo so che così posso risultare antipatica e scocciante però davvero, inizio a pensare che sto sbagliando tutto e che aaaaah boh. (sono pazza)
Se ci tenete alla mia sanità mentale quindi, lasciate un commentino, anche piccino picciò.
Ringrazio comunque tutte le persone che mi seguono e anche quelle che hanno recensito, con l'aggiunta ovviamente della mia Ccchhh (
link della sua storia bellissimissima here: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2494551).

Spero ancora una volta di non avervi deluso :3
Rimembrate sempre: #MoreShirtlessPeetaForEveryone!
Hasta la vista amigos! <3

May the odds be ever in your favor.

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


Quando ero malata era soprattutto Prim a prendersi cura di me; non che alla mamma non importasse, credo piuttosto che sapesse che preferivo la compagnia di Prim. La mia paperella.
Sento il mio cuore mancare.
La mia Prim è stata divorata dal fuoco, il fuoco della ribellione a cui ho dato vita. La mia Prim non c'è più.
La ribellione è finita, io sono qui ma lei è andata via per sempre.
Lacrime calde e silenziose mi bagnano il viso, l'immagine del mio sogno ancora in testa; non era un incubo, ma è stato altrettanto doloroso.
C'era Prim che mi preparava un infuso con un miscuglio di erbe, mentre la mamma la osservava silenziosa, muovendo leggermente la testa in cenni di approvazione: la prima volta che lasciava preparare un infuso a Prim completamente da sola.
Ero stata fuori a caccia tutta la giornata, in pieno inverno e con temperature da gelo, ma avevamo bisogno di cibo e Prim iniziava di nuovo a scomparire nei suoi vestiti.
L'ultima cosa che ho visto è lei che mi porgeva la tisana con una mano mentre l'altra controllava la mia fronte. Proprio come ha fatto Peeta, nella baracca.
Peeta. Dov'è?
Ancora stordita per il sonno, la febbre e il ricordo del sogno cerco di dare un contorno a ciò che mi circonda; sono nel letto della mia stanza, sotto le coperte. Allungo un braccio ma Peeta non c'è. D'altronde perché dovrebbe essere qui? Non so rispondermi eppure una vocina dentro di me dice che è così che dovrebbe essere.
Con fatica immane provo a mettermi a sedere per poter guardarmi intorno. Sono sola, così mi abbandono ancora un po' ai ricordi di mia sorella, di ogni singolo graffio che ha curato, del primo infuso che ha preparato per me.
Il tutto si accompagna alla febbre che è decisamente peggiorata, lo sento.
Il sonno prova a trascinarmi di nuovo a sè ma ho paura di cedervi: e se questa volta Prim non stesse preparando l'infuso ma stesse bruciando viva?
Al solo pensiero mi lascio scivolare per sprofondare nel letto, come a voler scomparire per sempre.
Ho fatto di tutto per poterla salvare, ho partecipato agli Hunger Games per lei. La mia vita in cambio della sua. Io sono sopravvissuta, lei no.
È tutto così ingiusto - penso, trattenendo a stento le lacrime, mentre mi riaddormento mio malgrado.
 
La febbre mi costringe a letto per un paio di giorni, sotto le premurose cure di Sae, che cerca di fare del suo meglio tra me, Peeta e la sua famiglia, e i continui rimbrotti di Haymitch, che in realtà non fa nulla se non materializzarsi nella mia stanza per qualche minuto e lamentarsi.
- Scappare nel bosco, che ideona… -
- …Tra tanti, di sicuro siete i due tributi più smidollati… -
- Vorrei tanto capire cosa ti salta in testa… -
Cose del genere. Dovevo immaginarlo che non avrebbe resistito a lungo senza farci un’altra ramanzina per la questione del bosco ma la mia insofferenza ha raggiunto ormai livelli inesplorati.
Tutto quello che so di Peeta è che anche lui è malato e che deve restare a casa a riposare, fine.
Volevo andare a fargli visita ma me l'hanno vietato ed ero troppo debole per poter disobbedire, anche se in realtà avrei voluto davvero: a quanto pare gli incubi hanno un loro modo particolare di manifestarsi quando si è febbricitanti e speravo che vedere Peeta avrebbe fatto da tranquillante. In fondo quando ho dormito con lui non ho avuto nessun incubo.
Il terzo giorno dal nostro rientro nel villaggio finalmente mi sento meglio, o almeno abbastanza in forma per andare da lui.
Così mi alzo e faccio una doccia, in modo da svegliarmi anche psicologicamente dandomi una bella rinfrescata, godendomi la sensazione dell’acqua fresca sul mio corpo intorpidito, districando l’ammasso informe dei miei capelli ancora bruciacchiati.
Li raccolgo nella mia solita treccia per provare a dargli un ordine e pesco dall’armadio uno dei caldi e comodi completi che Cinna ha disegnato e confezionato per me, mentre provo a reprimere i pensieri tristi e l’enorme senso di gratitudine che accompagna sempre il ricordo del mio vecchio stilista, dell’unico amico che ho avuto a Capitol, dell’uomo che avrebbe scommesso sempre e comunque su di me.
Quando finalmente scendo in cucina per mettere qualcosa nello stomaco, mi accorgo di essere completamente sola: mi aspettavo di trovarvi Sae ma non c'è.
In ogni caso mi sento decisamente meglio, almeno fisicamente, e soprattutto affamata, dato che gli ultimi due giorni li ho passati a bere brodino e a mangiare a stento due fette di pane.
Metto a bollire l'acqua per il tè, mentre cerco qualche biscotto. Ne trovo una scatola piena su un ripiano della cucina: sono bellissimi, ma un po' stantii.
Evidentemente Peeta ha cucinato qualcosa in più oltre al pane e alla torta, quella sera.
Divoro metà scatola ancora prima che il tè sia pronto. Quando finalmente stringo la tazza calda tra le mani vedo un movimento in un angolino della cucina: è Ranuncolo.
Quello stupido gattaccio in effetti non si faceva vedere da un po'.
Mi rabbuio mentre mi torna in mente il sogno di Prim e sento all'improvviso mancare l'aria. Dura un attimo ma poso ugualmente la tazza per andare ad aprire le finestra e il balcone della veranda per far passare l'aria.
Un venticello leggero mi sfiora il viso e i miei occhi incrociano le primule che Peeta ha piantato per me, per mia sorella.
Respiro a pieni polmoni l'aria mattutina, cercando di tranquillizzarmi osservando i primi boccioli. Ranuncolo sgattaiola tra i miei piedi e scompare tra i cespugli.
Richiudo tutto e finisco il mio tè in fretta, cercando di non pensare, mangio ancora qualche biscotto ed esco, percorrendo i pochi metri che separano la mia casa da quella di Peeta in una manciata di secondi.
Busso alla porta della casa di Peeta e dopo qualche istante mi apre Sae. Sembra sorpresa.
- Perché sei fuori? Dovresti stare al caldo o finirai con l'ammalarti di nuovo. Torniamo a casa tua - borbotta come risposta al mio saluto.
- Sae, voglio vedere Peeta - rispondo a mia volta.
- Adesso sta riposando, rientriamo a casa - insiste, mentre prova a spingermi delicatamente giù per i gradini davanti alla porta.
C'è qualcosa che non va.
- Sae, sai benissimo che non me ne andrò -
Ed è vero. Non me ne andrò più quando Peeta starà male, e ora deve esserlo abbastanza se Sae vuole impedirmi di vederlo.
- Lasciala entrare Sae - sento la voce di Haymitch alle sue spalle - l'ultima volta che ho provato a tenerli lontani lei è scappata nel bosco e stava per affogare nel lago e lui l'ha seguita a ruota. -
Sae è titubante.
- Ma il dottore... - accenna, ma io, ormai stanca di aspettare, sono riuscita a divincolarmi, ho spalancato la porta alle spalle di Sae e sono finalmente entrata.
Le sue parole però mi preoccupano.
- Potete dirmi cosa sta succedendo? - chiedo, innervosita; come sempre, non so mai niente mentre gli altri sembrano quasi divertirsi nel tenermi segreta qualsiasi cosa.
Haymitch si appoggia lentamente al muro e incrocia le braccia alzando lo sguardo su di me.
- Il ragazzo sta male, ecco tutto. Ha la febbre alta da quando siamo tornati, anche se ora ha smesso di tossire come un dannato. Il dottore è dell'opinione che stesse per buscarsi una polmonite. -
Resto in silenzio stordita, ma so che non è tutto. Haymitch mi nasconde qualcosa e lo capisco perché abbassa lo sguardo per cercare in apparenza la sua amata fiaschetta, come a voler evitare il mio.
- Cos'altro? - domando.
Hamitch apre la bocca per parlare ma si interrompe da solo; è strano, sembra quasi che non riesca a trovare le parole, e quelle di certo non gli sono mai mancate.
- È difficile da spiegare - riesce a dire infine - È come se avesse avuto un crollo psicologico. Quella cosa che è successa nel bosco, lui che si blocca sul nascere di un episodio in quel modo, è stato strano. Il dottor Aurelius non sa spiegarselo, teme che rivedendoti possa avere un altro crollo. Stupidaggini, dico io; se c'è una cosa da imparare da tutto questo è che non potete stare lontani. -
Haymitch distoglie ancora lo sguardo ma questa volta è tutto. Non gli rispondo ma mi dirigo direttamente verso le scale, per poter raggiungere la stanza di Peeta.
Il dottor Aurelius non ha capito proprio nulla, Haymitch ha ragione.
Apro la porta della sua stanza con delicatezza, per non far rumore; Peeta è ovviamente a letto. Sta dormendo ma sembra agitato, lo vedo rigirarsi tra le lenzuola. Mi siedo sul margine del letto, incerta sul da farsi.
Chissà quale incubo starà facendo, chissà se ci sono io dentro ad ucciderlo. Provo a carezzargli la testa, sistemandogli i capelli e toccando la sua fronte che è ancora calda. Peeta non si sveglia, ma la cosa sembra tranquillizzarlo. Mi appoggio con la schiena contro la spalliera del letto e resto ad accarezzarlo, mentre dorme con la guancia poggiata contro il mio fianco.
Dopo qualche minuto tuttavia si sveglia; alza lo sguardo intontito e dubbioso verso di me: - Katniss... Io... Come stai? -
Lo stringo forte mentre affondo il viso tra i suoi capelli.
- Sto bene, ora non ti preoccupare. Riposa - sussurro.
Peeta mi stringe a sua volta e mi fa un po' di spazio, così da permettermi di appoggiare le gambe sul letto.
- Resta con me - mi dice e le sue parole riescono a farmi scaricare la tensione della mattina, cacciando via i pensieri su Prim e il nervosismo di qualche minuto fa.
Questa volta è lui a chiederlo a me. Questa volta lo farò.
- Sempre - gli rispondo, e Peeta appoggia la sua testa sulle mie gambe, addormentandosi di nuovo.
 
La mia veglia procede tutta la mattina senza nessun intoppo; Peeta dorme, io gli accarezzo i capelli.
Per la prima volta dopo tanto tempo mi sembra di essere in pace; non importa se qualche giorno fa sono scappata nel bosco, se Peeta ha avuto un crollo emotivo, se stamattina il ricordo di Prim mi ha travolto per qualche istante. Ora sto bene, ora sento che il fuoco della distruzione che mi brucia dentro potrebbe davvero affievolirsi, come ho desiderato nella capanna.
Per la prima volta penso alla possibilità di poter passare ogni giorno così, con Peeta, accarezzandogli i capelli mentre dorme ogni mattina.
Ed è strano.
Sento Peeta rabbrividire e lo vedo stringere di più gli occhi. Un altro incubo. E se si svegliasse in preda a uno dei suoi attacchi? So che non se lo perdonerebbe.
Le carezze sembrano aver perso il loro effetto così provo a intonare la canzone della valle, a bassa voce, in un sussurro. Non so nemmeno perché lo faccio ma Peeta si tranquillizza e anche io; inavvertitamente mi ero tesa insieme a lui.
Il motivetto della canzone mi accompagna fino all'ora di pranzo, quando Sae entra in camera con un enorme vassoio.
Il mio stomaco brontola quando l'odore delizioso di uno stufato di carne arriva al mio naso.
Peeta si sveglia proprio in quell'istante, facendomi sperare che il tintinnio dei piatti sul vassoio abbia coperto il brontolio. Arrossisco quando Peeta mi rivolge un sorrisetto divertito, facendo morire la mia speranza sul nascere.
Per fortuna vengo salvata da Sae, che chiede a Peeta come si sente e gli porge il termometro, aggeggio che ho scoperto in questi giorni si usa per misurare la temperatura del corpo.
Per un attimo mi fermo ad osservare Sae la Sozza. Ha un'espressione stanca e quasi mi commuovo nel vedere quanto abbia preso a cuore anche Peeta, nonostante i pregiudizi che una vita intera nel Giacimento possa aver portato con sé.
Con la coda dell'occhio riesco a scorgere Haymitch che si appoggia allo stipite della porta, il suo solito sguardo torvo su Peeta.
Non posso fare a meno di pensare che Peeta finalmente stia ricevendo le adeguate attenzioni; le attenzioni che non ha mai avuto, né dalla famiglia, né da qualche amico, quelle che io per prima non sono stata capace di dargli perché troppo egoista.
Haymitch si accorge che lo sto osservando e mi rivolge uno sguardo da "dobbiamo parlare". Annuisco ma può aspettare. Per il momento il mio posto è qui.
La temperatura di Peeta è scesa di un po'. Lo vedo bere un enorme bicchiere d'acqua per inghiottire la sua razione di pillole mentre Sae e Haymitch ci lasciano di nuovo soli.
Peeta mi porge un piatto colmo di stufato.
- Per la ragazza in fiamme e il suo stomaco brontolone - mi dice, accennando un sorriso.
- Smettetela con quello stupido nomignolo - gli rispondo con tono offeso, dovuto in maggior parte all'imbarazzo per la questione dello stomaco più che per il nome, mentre afferro il piatto.
Peeta sembra colto alla sprovvista e il sorriso che aveva accennato va via, facendomi sentire in colpa.
- Scusa - mi dice infine, mentre si serve da solo versando lo stufato nel suo piatto.
- No, scusa tu. È che a volte vorrei davvero che questa storia della ragazza di fuoco finisse. Il fuoco brucia, uccide. -
La mia risposta sorprende anche me, ma è nulla in confronto a quella di Peeta.
- Ma riscalda anche. E illumina. - Un sorriso timido prova di nuovo a riaffiorare sulle sue labbra. - Ci permette di cucinare. Grazie al fuoco riesco a cucinare il pane e le focaccine al formaggio che ti piacciono tanto. - aggiunge e me ne porge una, afferrandola dal vassoio su cui si trova anche la pentola. Non le avevo notate. Peeta mi informa che risalgono sempre a quella famosa sera, quindi sarà un po' vecchia. Addento la focaccina, che è comunque buonissima - Sae deve averle riscaldate al forno per renderle più morbide - mentre rimugino ancora un po' sulle parole di Peeta.
- Grazie per essere rimasta - mi dice, e ancora non mi capacito di come riesca a parlare con così tanta naturalezza di qualsiasi cosa.
- Di niente - gli rispondo, trovando finalmente la forza di ricambiare il suo sorriso, mentre rubo un pezzettino di carne dal suo piatto.
 
Dopo aver mangiato raccolgo posate, piatti e pentola sul vassoio per riportarlo giù.
- Torno subito - gli dico, e mi sembra quasi di scorgere un bagliore negli occhi di Peeta, già lucidi per la febbre. Mi giro rapidamente e raggiungo la cucina. Sae sta lavando i piatti, cui si aggiungono quelli portati da me ma Haymitch non c'è.
Ritorno da Peeta, che intanto si è disteso di nuovo, circondato dai cuscini.
Ci posizioniamo come stamattina, così torno ad accarezzargli i capelli. Ho scoperto che è una cosa che mi piace molto e ora capisco perché un tempo anche lui amasse farlo.
Mi impongo di non pensare al fatto di aver utilizzato un passato quando all'improvviso mi torna in mente una cosa.
- Peeta - lo chiamo, e lui apre gli occhi; li aveva socchiusi, probabilmente stava per riaddormentarsi.
- Nella capanna, prima che... - mi trattengo. Prima che ci baciassimo - continuo nella mia testa ma l'imbarazzo mi blocca.
- ... Sì, insomma, hai parlato di un patto. A cosa ti riferivi? - concludo, provando a nascondere il mio rossore. Non so perché mi sia ritornato in mente ora; durante la mia convalescenza ci ho ripensato diverse volte, ma da stamattina il pensiero era stato come rimosso.
- Non lo so nemmeno io di preciso - risponde, serio. - Vorrei solo trovare un modo per starti vicino senza farti del male, o senza spingerti a fartelo da sola. -
- Vorrei trovare anche io un modo per starti vicino senza farti soffrire - gli dico e mi sorprende il fatto che trovare il coraggio per dire queste parole non è stato poi così difficile, nonostante abbia ammesso a Peeta che vorrei stare con lui.
- Non so se troveremo mai un modo - riprende Peeta - o meglio, non so se riuscirò a trovare un modo. Ma lo vorrei. Anche perché non so se riuscirei a sopportare di nuovo l'immagine di te che provi a gettarti nel lago - rabbrividisce, e in un lampo di genio capisco che forse è proprio questo che lo ha fatto crollare nel bosco; in effetti stavo cercando di aiutarlo a ricordare proprio questa scena.
Come stamattina affondo di nuovo la testa nei suoi capelli, stringendolo e restiamo così per un po'.
Forse Peeta non è perduto.
Peeta ha avuto paura per me.
Peeta non sopporta l'idea che io possa morire, proprio come nell'arena.
Il vero Peeta almeno pensa questo. Il vero Peeta esiste da qualche parte.
No, il vero Peeta è tra le mie braccia, e si sta addormentando mentre gli accarezzo i capelli.

*******

Saaaalve :3
Eccomi qui, ancora viva nonostante tutto, e con un nuovo capitolo :3
Ve gusta? Spero proprio di sì ma come al solito vi invito a esprimere la vostra opinione in una recensione!
Lo scorso capitolo avete recensito un sacco... Devo di nuovo mettermi a implorare? XD O tipo boh, vi minaccio dicendo che non pubblicherò più nulla finchè non mi fate sapere che ne pensate? Ahahahahah XD (sì, fatemi credere di essere importante e che la mia fanfic sia la vostra ragione di vita ahahahah XD)

Vabè, pazzia a parte, ringrazio tutti tutti tutti :3 (recensori, persone che mi seguono/preferiscono/ricordano, la mia adorabile Ccch che mi aiuta sempre <3 )


Al solito eccovi il link della storia della mia Ccchhh, che è tipo la fanfic più fantabulosa del mondo: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2494551

Infine, perdonate il mio ritardo, ma mi sa che meglio di così non riuscirò a fare :/
Rimembrate sempre #moreshirtlessPeetaforeveryone

Love you so much, Sara :3
(oh, ve l'ho mai detto il mio nome? vabè, si intuisce dal nickname truzzo di quando ero una stolta giovincella XD)

May the odds be ever in your favor.


P.S. (15/04/14)
No ragazzi, cioè, boh. Sono triste. Prima recensite e poi mi appendete? T_T
Dai dai, che in questo preciso istante sto lavorando per voi, spronatemi un po'. Vi preeego, I need you! (buttarmi di nuovo a pietà servirà a qualcosa? XD)
Vogliatemi bene ♥ :(

May the odds be ever in your favor.

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


Mi risveglio dopo essermi addormentata anch'io e sfioro la fronte di Peeta, che ancora dorme, con delicatezza; non sembra molto accaldato.
Ripenso a quello che ci siamo detti prima di addormentarci.
Vogliamo stare insieme e vogliamo poterlo fare senza essere causa di sofferenza per l'altro; io stessa l'ho ammesso, ma c'è qualcosa ora che mi tormenta.
Cosa mi è saltato in mente? A cosa stavo pesando?
Non posso. Non posso permettermi di dire cose che poi non posso realizzare. Non posso illudere Peeta; perché se Peeta non é perduto, forse un giorno tornerà da me e io che farò?
Ci sono momenti in cui desidero con tutta me stessa un suo ritorno, di poter stare con lui senza riserve, ma ora ho paura di prenderlo in giro.
E se volesse approfondire il nostro legame? Se avesse intenzione di crearsi una nuova famiglia, perché no, con dei figli? Sarebbe il padre perfetto, meriterebbe di esserlo, ma io... Non posso essere madre. Nè una moglie. Una fidanzata? Forse. Ma quanto potrebbe durare?
E poi me l'ero ripromessa. Niente ragazzi. Niente figli.
So che ora sarebbe tutto diverso, che Panem è diversa, che lo è lo stesso distretto dodici, che sta leggermente risorgendo dalle sue ceneri. Le ceneri che ha lasciato la ragazza di fuoco, penso tra me, e all'agitazione subentra un senso di triste consapevolezza.
- A cosa stai pensando? -
La voce di Peeta giunge inaspettata alle mie orecchie facendomi sobbalzare leggermente. Si è svegliato e mi scruta con fare indagatore, come suo solito; mi rendo conto di non essere molto estroversa ma che nonostante tutto Peeta non si sia mai arreso con me, provando sempre a immagine cosa potessi pensare, cosa desiderassi, in modo da potersi mettere da parte e fare quello che era meglio per me.
- Io... Nulla. Cose a caso. Come ti senti? -
Non sono brava a mentire, quindi provo a cambiare discorso, ma so bene che mi ha colto in flagrante e che non si arrenderà facilmente.
- Sto bene ma tu sembravi triste. Preoccupata. -
Mi afferra il polso.
- Mi stai nascondendo qualcosa. -
La sua espressione è di pietra e vedo ancora una volta i suoi occhi incupirsi, mentre il familiare azzuro dei suoi occhi lascia posto al nero.
Boccheggio, colta di nuovo alla sprovvista, mentre penso a qualcosa da dire ma il mio cervello è fuori gioco e non riesco più a formulare un pensiero coerente se non un "non di nuovo, Peeta" che sembra quasi una supplica.
Non di nuovo, Peeta. Resta con me.
Ma perché dovrebbe? Non ho appena finito di pensare che non potrei mai dargli quello che lui invece finirà col volere e che merita decisamente più di qualsiasi altra persona sulla faccia del pianeta? Una famiglia che lo ami... No, non posso dargliela. Eppure vorrei che restasse con me.
Peeta stringe il polso ancora più forte. Quasi mi sfugge un gemito, ma lui mi lascia repentinamente e mi volta le spalle.
Si tiene la testa tra le mani per qualche secondo, come ha fatto quella sera a casa mia, poi lo vedo armeggiare con la protesi sul bordo del letto.
- Peeta... - lo chiamo, ma non risponde e si alza silenziosamente abbandonando il letto.
- Pensavo a... Al mio futuro - rispondo provando a tenere ferma la mia voce tremante, anche se in ritardo.
A quello che non potrà mai essere il mio futuro - penso tra me.
Mi maledico perché ancora una volta non trovo il coraggio di essere del tutto sincera con Peeta ma in questo momento non posso esserlo, perché allora lui avrebbe tutto il diritto di abbandonarmi a me stessa e io non posso perderlo. Non ancora.
Vorrei solo non essere così egoista.
- Mi dispiace ti renda triste - mi risponde mentre si gira verso di me. - E mi dispiace per prima. -
Distoglie in fretta lo sguardo e arranca verso l'armadio, prendendo dei vestiti alla rinfusa.
- Non ti preoccupare, non è successo nul... -  provo a dirgli ma vengo presto interrotta.
- Vado a farmi una doccia. Se vuoi puoi tornare a casa. - 
Peeta mi congeda freddamente, senza nemmeno guardarmi.
Mi accorgo di non respirare solo quando giunto alla soglia della porta della sua stanza si ferma titubante per poi aggiungere: - Ci vediamo a cena... Vero? -
Caccio fuori l'aria dei polmoni, insieme alla tensione che ha accompagnato la paura di aver fatto qualcosa di enormemente sbagliato e che Peeta non mi volesse più vicino a sè.
- Certo. - rispondo, e lui scompare dalla mia vista.

Torno a casa ancora scombussolata, evitando di fare rumore, soprattutto nei pressi della cucina, per non allarmare Sae. Non mi va di vedere nessuno al momento.
Tuttavia una volta fuori, mentre litigo con la chiave e la serratura della mia porta, sento qualcuno pronunciare il mio nome.
- Ehi Katniss! -
Mi volto di scatto, trasalendo. Per un istante mi sembra di vedere Gale e resto paralizzata, almeno fino a quando non mi accorgo che in realtà la persona che mi sta di fronte è Thom.
Immagino che il marchio da Giacimento - capelli e carnagione scura - abbia fatto la maggior parte del lavoro, insieme a una corporatura che è all'incirca la stessa.
- Thom. -
Non so che dirgli quindi mi rigiro la chiave tra le mani, che inesorabilmente cade a terra, proprio ai piedi di Thom, che si china per raccoglierla.
- Sono venuto a trovarti. Volevo sapere come stai... Come state... Insomma, tu e Peeta. Non avevate un gran bell'aspetto quando siete tornati. Anche gli altri del distretto erano in pensiero - mi dice mentre mi si avvicina ancora di più per porgermi la chiave.
- Gli altri del distretto? Cosa? - resto interdetta per qualche secondo, cercando di non pensare che i suoi occhi sono della stessa tonalità di quelli di Gale.
- Noi, sì, stiamo bene. - aggiungo infine e prendo la chiave che continua a porgermi per poi restare immobile, imbarazzata.
Sae mi ha detto che Haymitch aveva organizzato un gruppo du uomini per venirmi a cercare nel bosco e ricordo vagamente una piccola folla accalcarsi attorno a noi, al nostro riento nel distretto. Non ci voleva. Non mi va di avere gente in giro.
Thom mi sorride, poi alza un sopracciglio e fissa la porta dietro di me, a cui accenna con il capo. 
- Non si fanno più entrare gli ospiti in casa? - mi dice, indicando la porta anche con il dito.
- Oh, sì, scusa. -
Mi giro e infilo finalmente la chiave nella serratura, entro e trattengo una porta con il braccio, mentre Thom entra in casa, fermandosi dopo qualche passo nell'ingresso.
Cosa vuole da me? Tutte le risposte che trovo hanno a che fare con Gale e non mi piace.
Lo accompagno in cucina dove prendo posto appoggiandomi al bancone.
- Non prendo nulla grazie, solo un bicchiere d'acqua se è possibile - mi dice, accomodandosi sul divanetto della cucina alla mia destra.
Arrossisco imbarazzata.
- Non sono brava a fare gli onori di casa, scusa. Se ne occupavano mia madre e Prim. - Recupero un bicchiere che riempio di acqua.
- Anche se... - continuo, ma vengo interrotta.
- ... Anche se al Giacimento non c'era molto da offrire e di solito le persone che venivano a farvi visita avevano bisogno di medicine, non di dolcetti. -
Mi sorride ancora una volta e vuota il bicchiere che gli ho offerto in un solo sorso.
- Mi hai tolto le parole di bocca. - gli dico, accennando un sorriso, troppo teso per essere del tutto sincero.
- Katniss, ascolta, so che ci conosciamo a stento e che in questo momento penserai che sono una spia inviata da Gale per controllare la tua vita, ma non è così. -
Le sue parole mi sorprendono ma proprio non riesco a evitare di pensare che in realtà è proprio come ha detto, il che mi rende ancora più sospettosa. E furiosa. Gale non ha alcun diritto di impicciarsi della mia vita, l'ha già devastata abbastanza portandomi via Prim, che era come una parte di me stessa. E così facendo mi ha portato via anche l'unico amico che avessi mai avuto e di cui continuo a sentire la mancanza nonostante tutto.
- Ok, in realtà è un po' preoccupato e vorrebbe sapere come stai ma non gli dirò niente che tu non voglia, promesso - aggiunge sottoposto alla mia espressione sospettosa e nei suoi occhi grigi leggo infine la verità.
- Sai, in realtà siamo un po' tutti preoccupati. Come ti dicevo anche gli altri abitanti del distretto erano in pensiero, penso che verranno a trovar... -
- No, Thom, ti prego - lo interrompo.
- Non ce la faccio. Non sono un tipo molto... Socievole. Ringraziali di cuore da parte mia e di Peeta, ma ti prego, tienili lontani - aggiungo.
- La nuova Haymitch Abernathy - ridacchia lui, accennando a me, ma si interrompe quando nota la mia espressione tutt'altro che divertita.
- Tranquilla, posso capire. Li terrò alla larga. -
Dopo un lungo silenzio imbarazzato Thom si alza e poggia il suo bicchiere sul tavolo.
L'ho visto poche volte nella mia vita, principalmente in compagnia di Gale, ma la cosa che più mi colpisce è che questa volta è particolarmente... pulito.
Non l'ho mai visto senza le macchie di carbone sulla pelle e sui vestiti, segni indistinguibili di chi lavora nella miniera.
Mi chiedo cosa ne sia ormai di quel luogo, se c'è qualcuno che ci lavora ancora, cosa ne è insomma dell'anima dannata del distretto 12.
- Come vanno le cose al distretto? Lavori ancora nella miniera? - gli chiedo di getto.
Ricordo ancora quando Gale mi disse che avrebbe iniziato a lavorare in miniera.
Sapevo che era il suo piano sin dall'inizio, cacciare e sopravvivere alle annuali mietiture, nonostante ogni anno avesse chiesto le tessere per le provviste per la sua famiglia e i biglietti con il suo nome aumentassero sempre più di numero, fino a quando non avrebbe avuto l'età per andare a lavorare in miniera, ma è stato comunque strano ritrovarsi di nuovo sola nel bosco, come quando ero una bambina impaurita e inesperta.
- La miniera è stata chiusa e dubito che la riapriranno. Era un lavoro da cani, senza contare che abbiamo scavato così in fondo che era diventata ancora più pericolosa - risponde - Sto lavorando per la ricostruzione del distretto. Panem ha stanziato dei fondi per rimettere in piedi i distretti più devastati e qui al villaggio c'è davvero tanta voglia di fare... Dovresti farci un salto qualche volta. -
Annuisco distrattamente ma non so se sono pronta a vedere il distretto.
Da quando sono tornata non sono mai uscita di casa se non per arrivare al bosco - percorrendo comunque una strada esterna, senza contare la poca lucidità - o per andare a casa di Peeta e Haymitch.
- Mi dispiace - gli dico, improvvisamente.
Thom mi guarda confuso e alza ancora una volta il suo sopracciglio, così provo a spiegarmi.
- Non sono stata molto d'aiuto al distretto. Dopo tutto quello che ho combinato credo fosse il minimo che potessi fare ma... -
Mi interrompo per paura di tradirmi e rivelare a quello che per me è un perfetto sconosciuto che il mio egoistico dolore per la perdita di Prim è stato troppo forte per permettermi di fare qualsiasi cosa che non fosse lasciarmi vivere in qualche modo sul divano su cui era seduto poco fa.
Sento i sensi di colpa stringermi sempre di più ma Thom interrompe la loro ascesa.
- Ehi, non ti preoccupare. Non sei mica sotto accusa. E poi sei sempre in tempo, un paio di braccia in più fanno sempre comodo... Ma Katniss, davvero, prenditi tutto il tempo che vuoi. D'altronde quando ti ho detto di fare un salto non volevo mica metterti ai lavori forzati! -
Thom mi sorride ancora e mi sento un po' meglio.
- Grazie - gli dico e lui mi dà una leggera pacca sul braccio.
Il suo gesto mi lascia interdetta così lui alza entrambe le mani e mi dice:
- Poco socievole, schiva al contatto umano... La nuova Haymitch Abernathy in tutto e per tutto! -
Grugnisco, leggermente infastidita dal paragone ribadito ancora una volta ma mi sfugge comunque un sorriso.
- In ogni caso spero che mi permetterai di esserti amico e non lo faccio perché me l'ha chiesto Gale - continua, aggiungengo l'ultima frase prima che potessi controbbattere.
Non so nulla di Thom e a stento lo conosco ma c'è qualcosa in lui che mi ispira fiducia; riesco a capire perché Gale, il ragazzo che ce l'aveva con il mondo, abbia invece stretto amicizia con lui.
- Vedremo -  è la mia risposta.
- Ok. Ora scappo. - Ritorna di nuovo nell'ingresso, seguito da me che lo accompagno alla porta. Sulla soglia però si ferma e mi dice:
- Potresti chiamarlo per fargli sapere che è tutto ok. Lui ci ha provato diverse volte ma...-
- No. -
Non riesco ad aggiungere altro. La sola idea di rivolgergli la parola è inconcepibile.
- Permittimi almeno di dirgli che stai bene. Non so cosa sia successo nel bosco e non m'importa, ma lui ha saputo da Hazelle che sei stata via e che al ritorno eri malata. Era davvero preoccupato. -
Thom mi guarda serio, mentre aspetta una mia risposta; era davvero sincero quando mi ha detto che non avrebbe detto nulla a Gale che io non volessi.
- Ok. -
- Grazie. Ci vediamo presto. -
Thom mi ridà di nuovo una pacca sul braccio e se ne va, lasciandomi da sola sulla soglia della porta a rimuginare su Gale.

La mia testa è un turbine di pensieri.
Ancora non so se ho fatto bene a fidarmi di Thom anche se poco fa la sua richiesta di amicizia sembrava davvero disinteressata.
Tuttavia è amico di Gale.
Gale che improvvisamente si  preoccupa per me.
È vero, Thom mi ha detto che ha provato a telefonarmi, ma cosa si aspettava? Che una telefonata avrebbe sistemato tutto?
D'altronde non ho voglia di sentirlo. Non ho nulla da dirgli e non mi interessa sapere cosa abbia da dirmi lui. Che resti pure nel suo nuovo distretto.
Mi faccio una doccia, perché non so che fare, e giro per casa fino a quando arrivo fuori alla stanza di Prim.
Provo a raccogliere il mio coraggio per entrare ma non ce la faccio e la mia mano resta sul pomello freddo della porta per un po' per poi scivolare via e riprendere il suo posto.
Mi siedo per terra, con la schiena poggiata contro la parete di fronte la porta e resto a guardarla.
Ricordo quando Prim vide per la prima volta la casa nel villaggio dei vincitori. Ne era entusiasta. È stata l'unica cosa buona dell'esserci trasferite qui.

Prima di andare a dormire e passare la prima notte nella casa del villaggio dei vincitori Prim mi si avvicina e mi chiede:
- Sai perché sono così contenta di essere qui? -
Le sorrido e le accarezzo le trecce bionde mentre le rispondo che è stata una giornata pesante e dovrebbe andare a dormire e che no, non so perché è così contenta.
- Perché significa che hai vinto gli Hunger Games... Significa che hai mantenuto la tua promessa e sei tornata. -


- Katniss -
La voce di Peeta mi riporta alla realtà. Mi giro a guardarlo con gli occhi gonfi per aver pianto a lungo.
Peeta si siede accanto a me, con non poca difficoltà, e resta in silenzio, prendendomi la mano e fissando a sua volta la porta.
Noto che si è tenuto comunque a una certa distanza.
- Prima o poi dovrai entrarci -  mi dice dopo un po' e io annuisco anche se so di non averne ancora la forza.
- Sono venuto a chiamarti per la cena. Se non ti va di venire, vado a prenderti qualcosa e mangiamo qui - continua.
- Non ti preoccupare, andiamo pure - gli rispondo.
Mi alzo e gli porgo una mano per aiutarlo ad alzarsi. Una volta in piedi non la lascia ma la stringe più forte e io ricambio la stretta.
So che vuole parlarmi di oggi pomeriggio ma per il momento abbiamo entrambi bisogno di stare insieme e basta.
- Mi dispiace averti fatto uscire con la febbre. Come ti senti? - gli chiedo mentre ci incamminiamo verso casa sua.
- Bene. Ormai si tratta di decimi e comunque mi andava di prendere un po' d'aria. -
Peeta mi sorride e arrivati alla porta di casa sua mi lascia la mano per aprirla con la chiave.
- Prima le signore - dice, provando a imitare la voce di Effie in quello che credo sia un disperato tentativo di tirarmi su di morale, mentre mi fa cenno di entrare.
- Pessima imitazione, Mellark - gli dico ed entro, ma mi lascio sfuggire comunque un piccolo sorriso a dispetto degli occhi gonfi.

*******

Aloha! :3
Sì lo so, sono in ritardissimo!
Avrei dovuto aggiornare la settimana scorsa ma non avevo previsto che con Pasqua e le vacanze avrei perso ancora più tempo a... Non fare nulla XD
Sorry >.<

Ringrazio ancora una volta tutte le persone che leggono questa storia (recensori e non) perché il primo capitolo ha superato le 1000 visualizzazioni e tipo boh sono contenta :3
(anche se solo la metà circa ha continuato a leggere, ma vabè, dettagli XD)
(ovviamente ringrazio ancora di più chi ha continuato ♥)

In particolare però ringrazio ben due persone:
- la mia dolcissima Ccchh per il supporto, l'aiuto, le dritte e l'approvazione, sempre indispensabile per ogni capitolo ♥

E con i ringraziamenti per la mia Ccchhh ecco ovviamente il momento che tutti stavate aspettando, ovvero il link della sua fantabulosa fanfic: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=2494551
Leggetela o vi picchio u.u (?)
- l'altrettanto dolce Nina93 che mi ha mandato un messaggio di incoraggiamento e che ha mandato me al settimo cielo! ♥ Sei stata troppo tenera, grazie ancora *-*
(dopo mi sono messa subito all'opera, spero che il capitolo ti piaccia :3)

A tal proposito, come sempre vi invito a recensire!
So di essere scocciante e ripetitiva ma ne sarei davvero contenta, quindi... PLEEEASE! T^T
Ok, basta pietà XD

Ah, ho cambiato nickname perchè boh. Quello vecchio non mi andava a genio xD
(sì, potete aggiungerlo pure alle liste delle cose di cui non ve ne frega un... tubo XD)

Ok basta, me ne vado, vi ho annoiato abbastanza xD
Ciaaaao,
Sara ♥

May the odds be ever in your favor.

P.S. (29/04/14)
Ommioddio quante recensioni tutte insieme *-*
Vabè in realtà aggiungo questo post scriptum solo perché mi sono dimenticata di chiedervi cosa ne pensate di Thom!
(se mai ci sarà qualcun altro che recensirà XD)
È un personaggio di cui si sa poco e niente quindi mi sono lasciata andare e boh... Ne è uscita fuori la versione simpatica di Gale XD
Fatemi sapere che ne pensate :3
Ah, e chiedo scusa per i continui errori di battitura nella storia... Ne ho corretti alcuni ma già so che appena avrò finito ne troverò altri (per non parlare degli altri capitoli XD), quindi perdonatemi!
(e perdonate anche l'italiano orribile delle note e delle risposte alle recensioni, ma le scrivo di corsa, spesso anche dal cellulare, quindi non controllo quasi mai, sooorry)
Ok, mi volatilizzo via, bye!

May the odds be ever in your favor.

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


Una volta entrati in cucina Sae abbandona i fornelli sui quali stava riscaldando la cena per andare a casa; sono giorni che quasi non vede la sua famiglia e ora che Peeta sta meglio non è il caso che si trattenga anche la notte.
Peeta la saluta tra mille ringraziamenti e lei gli sorride mentre per l’ultima volta si assicura che stia bene, rivolgendo anche a me uno sguardo indagatore.
La rassicuro anche sul mio stato di salute, lei dà un’ultima occhiata a Peeta e se ne va. Ho il sentore che anche lei abbia capito quanto Peeta sia stato trascurato tutti questi anni; tuttavia, non leggo pietà né commiserazione in lei. Quando nasci nel Giacimento impari a cavartela da solo ben presto, ma in un modo o nell’altro puoi sempre fare affidamento su qualcuno, sulla tua famiglia: io avevo Prim, che mi dava conforto e amore, e lei aveva me, che cacciavo e cercavo di procurarle tutto quello di cui aveva bisogno; Sae ha avuto i suoi figli e poi la sua nipotina.
Peeta non è del Giacimento, ma lui non ha avuto mai nessuno e la cosa ancora una volta mi turba.
Ed è ancora per questo che in Sae non vedo altro che affetto nei confronti di Peeta e basta, perché a prescindere dal sostegno materiale le persone hanno sempre bisogno di qualcuno su cui contare e che si prenda cura di loro. 
Per la cena dunque restiamo soli io, Peeta e un Haymitch dalla sobrietà discutibile che farnetica qualcosa.
- Come mai ci avete messo tutto questo tempo? - ci chiede infine, mentre io e Peeta prendiamo posto a tavola. Per un breve istante, ancora persa nei miei pensieri, mi è sembrato che fosse quasi preoccupato ma poi mi rendo conto che è semplicemente ubriaco, come sempre.
- Come mai non riesci a passare un'ora senza bere? - gli rispondo, di cattivo umore.
Sto pensando ancora a Prim. E a Peeta.
La tristezza si fonde inspiegabilmente alla rabbia, ma non riesco a capire se sia dovuta alle allusioni di Haymitch o ad altro.
- Ho molto tempo libero, in un modo dovrò trascorrerlo - ribatte Haymitch, fiondandosi sulla zuppa di verdure che Sae ha preparato e servendosene una generosa porzione.
- Un modo davvero utile, devo dire -
- Almeno mi rende felice, mentre tu dolcezza... Cielo, sei sempre così truce. Goccettino? -
Caccia fuori dal nulla la sua solita fiaschetta e me la porge ma io lo ignoro e mi servo la carne avanzata dallo stufato di oggi.
- Pessimo umore eh? Cosa succede, il ragazzo ha fatto cilecca? - ridacchia tra sè per poi aggiungere - Immagino che sia per questo che non vi siete trattenuti più a lungo. -
Stringo la forchetta che ho in pugno combattendo contro l'impulso di lanciargliela addosso mentre sento la faccia avvampare.
- Oh andiamo dolcezza, un tempo ti scaldavi di più, sei soltanto di un rosso pomodoro, che fine ha fatto la tonalità peperone? -
Le mie guance vanno in fiamme e sto per sbraitargli contro quando sento Peeta emettere un suono a metà tra uno sbuffo e una risata che mi lascia interdetta.
Il mio sguardo interrogativo ottiene come risposta un: -Lascialo stare, è ubriaco fradicio… - a cui aggiunge in fretta – Sì lo so, lo è quasi sempre ma mi fa quasi tenerezza, guardalo… -
Peeta fa cenno verso di Haymitch la cui testa, già pericolosamente ondeggiante, ricade infine sul suo petto.
Si è addormentato mentre ancora impugnava il cucchiaio, il suo orribile ghigno stampato ancora in faccia.
-Non ci posso credere!-
Sono indignata e divertita allo stesso tempo e intanto Peeta scoppia in una risata fragorosa che smorza subito non appena vede Haymitch sobbalzare al suono.
Quando finisce di ridere mi dice : -Dovremmo portarlo a casa. –
-Per me sta benissimo dov’è- rispondo, ancora leggermente risentita.
Peeta mi guarda con finto rimprovero ma io mi limito semplicemente a finire il mio stufato. Anche Peeta si convince a finire di mangiare quindi in cucina cade il silenzio interrotto a tratti dal respiro pesante di Haymitch.
Vorrei dire qualcosa a Peeta ma tutto d’un tratto mi sento imbarazzata; probabilmente penserà che sono una bambina permalosa e irascibile, estremamente volubile.
Quando finisco di mangiare alzo lo sguardo verso Peeta e incontro i suoi occhi, che mi osservano silenziosi e limpidi.
-Che guardi? – gli chiedo
Scrolla le spalle e mi risponde: -Te.- per poi iniziare a sparecchiare la tavola.
Ancora più imbarazzata di quanto non fossi già resto in silenzio senza porre ulteriori domande e mi dirigo al lavello per lavare i piatti. Tuttavia Peeta insiste per farlo al posto mio, dicendo che se ne occuperà lui dopo aver accompagnato Haymitch a casa. Provo a ribattere ma è inutile quindi lo osservo mentre prova a svegliare Haymitch e in seguito a guidarlo verso la porta.
Li seguo incerta offrendo un ulteriore appiglio a Haymitch quando vedo Peeta ondeggiare pericolosamente per mantenere l'equilibrio.
Haymitch ora sembra una furia; non fa che dimenarsi e sbraitare qualcosa contro persone sconosciute e portarlo a casa diventa una vera impresa. Mi porto il suo braccio sinistro sulle spalle, storcendo il naso per il sentore d'alcol e procediamo silenziosi, attraversando i pochi metri del villaggio dei vincitori che separano le nostre case, splendenti sotto i raggi della luna.
Io e Peeta rinunciamo a trascinarlo nella camera da letto al secondo piano e optiamo per il divano del salotto.
- Vado a prendergli una coperta, controllalo - mi dice Peeta e lo sento sparire alle mie spalle nello stesso momento in cui Haymitch sembra improvvisamente realizzare di trovarsi a casa e notare la mia presenza.
- Tu dolcezza, eccoti, parliamo di te ad esempio. -
Sospiro irritata. Non sono davvero in vena di sentirlo, ne ho abbastanza di lui per stasera.
- Continui a farlo, sempre! Non ti è bastato farlo una volta, ma hai continuato, imperterrita, nonostante le condizioni fossero peggiorate! E quel povero diavolo non fa che dannarsi perché continui a illuderlo, poi scappi, poi ritorni... -
- Haymitch, di cosa stai parlando? - gli chiedo ma lui mi ignora e continua il suo monologo.
- ... E passate la giornata a letto perché vi amate ma ammetterlo sarebbe troppo per le vostre stupide testoline bacate, soprattutto la tua! E allora se proprio non lo ami, cosa che reputo abbastanza improbabile, lascialo perdere ma non riempirgli la testa con altre bugie che non saprà distinguere dalla realtà! -
- Idiozie! - grido come punta sul vivo, mentre sento il peso di tutto quello che ha detto ricadermi sulla coscienza che sento improvvisamente sporca. Non voglio illudere Peeta ma io stessa l'ho pensato, proprio questa mattina, nella sua stanza.
La stanza dove sono stata tutta la mattina ad accarezzargli i capelli e dove mi sono sentita in pace dopo tanto tempo.
La stanza dove ho realizzato che il mio futuro non potrà mai essere così.
- Guardami negli occhi e prova a dirmi che non provi nulla per quel ragazzo! - ribatte lui, interrompendo il mio conflitto interiore con una zaffata di alcol che mi arriva direttamente in faccia.
Balbetto qualcosa senza senso ma i miei occhi non provano nemmeno a guardarlo. Non ce la faccio.
Haymitch mi ha spiazzata e resto immobile per qualche secondo prima di sentire un rumore; mi volto di scatto verso la sua fonte: Peeta.
Non so quanto abbia visto o sentito ma non riesco a guardarlo negli occhi; per fortuna Haymitch resta zitto e Peeta non sembra accorgersi che sto accuratamente evitando di guardare il nostro mentore e ora lui.
Haymitch sprofonda ancora di più sul divano sul quale era seduto e Peeta lo copre con una coperta; noto che ha portato con sè anche un secchio che lascia ai piedi del divano, all'altezza della testa di Haymitch.
- Gliel'ho portato nel caso dovesse vomitare - mi spiega alla vista della mia espressione interrogativa - o almeno così immagino, visto che mi rifiuto di guardarlo.
Annuisco.
Haymitch si addormenta una decina di secondi dopo, stringendo la coperta con un braccio, la sua fiaschetta con l'altro.
Chissà dove ha lasciato il suo coltello - penso.
- Andiamo, sembra tutto tranquillo - mi dice Peeta e come prima, a casa mia, mi prende la mano e ci avviamo insieme fuori.
Il contatto con la sua mano mi dà la forza per guardarlo e vedo che sembra piuttosto sereno; non credo che abbia sentito nulla del mio discorso con Haymitch e la cosa mi tranquillizza così mi distendo un po'.
Vedo la bocca di Peeta incurvarsi leggermente in un sorriso  che rivolge al vuoto; si è accorto che ero tesa per qualcosa e ha provato a tranquillizzarmi. Come sempre. E c'è riuscito. Come sempre.
Stringe forte la mia mano e dimentico qualsiasi cosa abbia voluto dire Haymitch.
Arrivati fuori casa sua mi fermo per salutarlo, anche se non ne ho voglia: vorrei passare tutta la serata così, a godermi l'aria fresca dopo giorni di convalescenza e a tenere per mano Peeta ma lui rabbrividisce e ricordo che ha ancora un po' di febbre.
- Mi è concesso accompagnarti a casa? - mi chiede, accennando alla mia casa.
Annuiso ancora una volta, leggermente delusa perché per un istante ho creduto che mi stesse invitando ad entrare.
Arrivati al portico di casa mia cerco qualcosa per temporeggiare un po' ma Peeta parla subito dopo:
- Katniss, ti va di parlare un po'? - mi chiede.
- Certo, lo sai che sono un fenomeno con le parole - ironizzo, ma Peeta è diventato così serio che a poco è valso il mio sarcasmo.
- Vuoi entrare? - propongo, ma lui mi dice che preferisce stare fuori, all'aperto. Come me sentiva la mancanza di aria fresca.
Prendiamo posto sui gradini che conducono alla mia porta e per farlo Peeta mi lascia la mano, che poi non recupera più nella sua.
La mia delusione aumenta.
- Innanzitutto, e ti prego di non interrompermi, voglio chiederti scusa per oggi - comincia.
Resto in silenzio, stringendo da sola la mia mano. Si sente ancora in colpa, avrei dovuto immaginarlo.
- E ringraziarti, perché davvero non so come tu faccia a starmi vicino nonostante tutto - continua, ma al suono di quelle parole non ne posso più.
- Peeta non puoi parlare seriamente. Sei la persona migliore di questo mondo e io... -
Mi interrompo. Non so come continuare senza tradirmi troppo ma una paio di occhi azzurri mi incitano a continuare.
- ... Io ho bisogno di stare con te per stare bene - concludo, abbozzando le parole.
- A volte mi sento così egoista... Probabilmente tutto quello che vuoi è essere lasciato in pace una volta per tutte e, ribadisco, ti capirei se non fossi così egoista. -
Mi cingo le gambe con le braccia e mi rannicchio su me stessa, mentre osservo ancora il villaggio dei vincitori, silenzioso a parte qualche piccolo refolo di vento.
- Eppure non faccio che riportarti alla mente brutti ricordi, o ricordi inesistenti, il che è ancora peggio. -
Evito di nuovo di guardarlo, troppo imbarazzata, e mi trovo a chiedermi per l'ennesima volta come faccia Peeta e parlare tranquillamente di ogni cosa, di odio, d'amore, d'amicizia, degli altri, di se stesso.
Vorrei aggiungere altro ma mi riesce impossibile; Katniss Everdeen non parla di se stessa e di quello che prova.
- Grazie. -
La voce di Peeta è un sussurro; mi circonda le spalle con un braccio e mi stringe forte a sè inondandomi del suo profumo.
- E  di cosa precisamente? - gli chiedo sorpresa, riducendo anche la mia voce a un lieve sussurro.
- Per essere stata sincera con me e avermi detto quello che senti. -
Appoggio la testa sull'incavo del suo collo e quasi mi viene voglia di piangere, sollevata da un peso che non conosco e che non sapevo nemmeno di avere.
Peeta mi stringe ancora di più e mi dà un bacio tra i capelli.
- Buonanotte Katniss - mi dice e scioglie il suo abbraccio mentre provo a catturare un'ultima volta il suo profumo.
- Resteresti a dormire con me? - gli chiedo, quasi in preda alla disperazione quando mi accorgo che sta davvero per andarsene.
Peeta chiude per qualche istante gli occhi.
- Non posso. Scusami. -
Il suo rifiuto mi ferisce anche se ne ho colto la motivazione: non si è perdonato, nonostante le mie parole.
Resto seduta sugli scalini mentre lo vedo tornare indietro verso casa sua e sparire oltre la porta d'ingresso, poi mi alzo e rientro anche io.
La casa è più buia del villaggio dei vincitori ma non accendo nessuna luce.
Faccio finta di ignorare il suo silenzio assordante e il suo vuoto disarmante e cammino lentamente verso la mia stanza, facendo attenzione a non urtare nulla.
Arrivata in stanza mi metto a letto senza nemmeno cambiarmi.  Ignoro anche il pensiero di Peeta, che mi ha lasciato da sola, ad affrontare una notte che sarà piena di incubi.
Chiudo gli occhi e sento i miei demoni arrivare per tormentarmi.

Alle sette di mattina decido che ne ho abbastanza di provare a riaddormentarmi per poi svegliarmi in preda agli incubi quindi mi alzo e vado direttamente in bagno a farmi una doccia.
Quando ne esco lo specchio mi riinvia l'immagine di un volto devastato, marcato da occhiaie profonde.
Passo un'oretta a chiedermi cosa fare, scartando subito l'idea di prepararmi la colazione; non ho molta fame.
Vorrei andare da Peeta ma il mio orgoglio mi trattiene; qualsiasi siano state le sue motivazioni per lasciarmi da sola, l'ha fatto senza troppe storie e la cosa, me ne rendo conto solo ora, mi ha un po' indispettita.
Il ricordo degli incubi è però troppo fresco per essere ignorato e allontanato così in fretta e c'è sempre stato un unico e solo antidoto ai miei incubi. 
Dieci secondi dopo busso alla porta di Peeta ma resto interdetta quando sento delle risate provenire dall'interno.
Una è di Peeta, la riconosco, ma l'altra è... di una ragazza?
Peeta apre la porta improvvisamente.
- Oh, buongiorno Katniss, entra pure - mi saluta e sto per rispondergli quando sento la voce femminile di prima.
- Peeta non chiudere, devo davvero andare ora, grazie per la colaz... Katniss! Ciao, come stai? -
Delly.
Sbuca dalle spalle di Peeta improvvisamente, travolgendomi con un abbraccio ancora prima di darmi la possibilità di rispondere.
- Ciao Delly. Che ci fai qui? Quando sei tornata? - le chiedo, provando ad essere cordiale e non risultare... Accusatoria?
- Sono tornata ieri sera, avrei voluto passare a salutarvi ieri ma ero davvero distrutta per il viaggio. Katniss, hai una cera orribile, ti senti bene? - Delly mi si allontana e mi afferra il viso con delicatezza per controllare che vada tutto bene. Nonostante tutto resta sempre una ragazza dolce e premurosa.
Provo a rassicurarla ma lei si rivolge a Peeta:
- Tienila d'occhio, mi raccomando. -
Peeta annuisce ridacchiando, non so se per la raccomandazione di Delly o l'occhiataccia che gli rivolgo subito dopo.
- Ragazzi ora scappo davvero, ho un mucchio di cose da fare con questo rientro. Katniss verrò a trovarti molto presto e mi raccomando, riguardati. Peeta grazie ancora per la colazione e per il quadro, sei davvero formidabile, e riguardati anche tu - ci saluta Delly.
Abbraccia prima me e poi Peeta - abbastanza a lungo aggiungerei - per poi andare via.
Restiamo qualche secondo in silenzio, ancora sulla soglia della porta.
- Di quale quadro parlava? - gli chiedo infine, all'improvviso. È da una vita che Peeta non dipinge, almeno credo.
- Nulla, mi ha soltanto incitato a dipingere di nuovo. Mi ha chiesto di fare un quadro per il compleanno di sua zia - mi risponde.
- Capisco.-
D'un tratto l'orgoglio di prima mi punge di nuovo, insieme a una strana sensazione.
- Oh, scusa Katniss, ti ho lasciata ancora all'ingresso, entra dentro, ho preparato la colazione... - mi dice, ma lo interrompo subito.
- No lascia stare, ti ringrazio, mi sono appena ricordata che ho un impegno. -
Peeta mi guarda dubbioso, sta per chiedermi di che impegno si tratta quando vedo apparire la mia ancora di salvezza.
- Thom, eccomi, arrivo! -
Thom, che si stava dirigendo verso casa mia, devia verso di noi e ci saluta entrambi da lontano.
- Allora ti lascio al tuo impegno. Ciao  - mi saluta Peeta, particolarmente freddo.
- Ciao - gli rispondo e lo vedo rivolgere un breve cenno con la mano a Thom e poi rientrare in casa.
Raggiungo Thom, ora leggermente in colpa.
- Katniss Everdeen, come facevi a sapere che stavo venendo da te? - mi chiede sorridendomi.
- Intuito - mento, e Thom mi dà di nuovo un buffetto sul braccio.

*******

Prima di cominciare: preparatevi alla nota più luuuunga di sempre xD

Hem hem... Saaalve! *si porta le braccia davanti alla faccia per difendersi*
Lo so, sono in ritardo di secoli. Ma credetemi, non c'è stato proprio tempo per fare altro oltre allo studio!
Senza contare che questo è stato un capitolo molto travagliato, l'ho riscritto tipo tre volte perché non mi convinceva mai XD
Spero ne sia valsa la pena e che vi piaccia! :3
Contenti dell'arrivo di Delly? :P Dopo quello di Thom, mi sembrava giusto che anche Katniss patisse un po' di gelosia u.u :P

Come sempre ringrazio tutte le persone che seguono in qualche modo questa storia e che mi supportano!
Ma anche questa volta devo ringraziare particolarmente delle persone:
- GiulsBlack, che allo scorso capitolo mi ha mandato al settimo cielo e che ringrazio ancora infinitamente per avermi fatto montare la testa :P
- fefefe96 che è tipo così pazza da credere che la mia sia la miglior ff su Hunger Games e che per questo amo alla follia! Grazie mille per le recensioni e i messaggi, sei diventata la mia supporter n°1 mi sa XD
- la mia adorevole Ccchh, che questa volta ringrazio non solo per l'aiuto con la ff e perchè mi incita sempre a scrivere (davvero, non fa che ripetermi SCRIVISCRIVISCRIVISCRIVISCRIVI e io non lo faccio mai perchè non ho tempo e sono una cattiva persona e oddio, scusate di nuovo per il ritardo enorme) ma in generale, nella vita.
Perché è un'amica preziosa e sopporta la mia inabilità alla vita e al mondo e riempie le mie giornate di risate e affetto. (Pensavi che saresti sfuggita alla mia sviolinata dopo il diabete di ieri sera?)
Grazie per i mille fazzolettini che mi presti e perchè come me appallottoli il pan bauletto prima di mangiarlo ♥
Ti adoro! ♥


Ah e cari giovincelli, vi faccio notare che ieri la mia Ccchh ha pubblicato un nuovo capitolo della sua storia, che vi linko qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2494551
Leggetela, recensitela e amatela.

E a proposito di recensioni, anche se non merito quanto la  mia Ccchh, vi invito a lasciarne anche qui u.u
Fatemi sapere tutti che ne pensate!
Io in cambio prometto che proverò ad aggiornare più velocemente XD

Oh dai, alla fine questa nota non è tanto lunga.
(Sì, sono pazza)

Vi chiedo scusa in anticipo se ci saranno errori di battitura... Già so che, nonostante lo abbia letto infinite volte senza trovare nulla, in realtà sono lì, pronti a sbucare solo solo dopo che li avrò pubblicati XD

Vabè, tanti saluti e rimembrate: more shirtless Peeta for everyone!
(era tanto tempo che non lo scrivevo, non va affatto bene u.u)

May the odds be ever in your favor.


21/06/2014
Sono in ritardo. Un ritardo bestiale. Lo so.
Perdonatemi tutti vi prego ma vi giuro che davvero non ho tempo! La sessione estiva è appena iniziata e io sono nel panico!
Appena riesco a rubare un po' di tempo scrivo e aggiorno!
(Dopo quello che ho scritto nella nota potete anche picchiarmi XD)
Voi però non mi abbandonate please T_T (follia post-abbandono di alcuni seguiti)
Abbiate pietà! XD
Baci ♥

May the odds be ever in your favor.

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


Passeggiare accanto a Thom è strano. O forse lo è passeggiare per le strade del distretto o semplicemente passeggiare. Non so nemmeno che emozione provare; tristezza, colpevolezza... Speranza.
Ho insistito affinché Thom mi accompagnasse, con l'intenzione di mettere quanta più strada tra me e il villaggio dei vincitori, ma ora non sono più sicura che sia stata una grande idea.
Il distretto è come un enorme cantiere: alcune case e alcuni negozi sono stati già ricostruiti ma la maggior parte sono ancora da rimettere in piedi.
Altri ancora sono ridotti a un cumolo di macerie.
La cosa positiva è che le persone sono davvero troppo impegnate per notarmi e le poche che lo fanno sono quelle che si fermano per salutare Thom.
Non sembrano arrabbiate con me, anzi, mi sorridono debolmente, qualcuno con l'aria di chi guarda un cane bastonato, ma in generale come se fossero preoccupati per me. E per Peeta.
Sembra che anche lui non si sia fatto vedere per un po' e mi chiedono sue notizie, portando la mia mente di nuovo a questa mattina, a pochi minuti fa, e facendomi sentire stranamente stupida.
Tutti però non si trattengono a parlare molto e riprendono presto il loro lavoro.
- Katniss, sei sicura di stare bene? - mi chiede Thom d'un tratto.
- Perché continuate a chiedermelo tutti? - rispondo, leggermente infastidita.
- Perché, senza offesa, la tua faccia è davvero orribile - continua.
Resto in silenzio, incerta su come rispondere.
- Nottataccia? Troppi pensieri per la testa? - prova a venirmi incontro lui ed io annuisco.
- Mmh... - Thom si mordicchia le labbra; sembra quasi che voglia dirmi qualcosa ma, non so perché, si trattiene.
- Devi dirmi qualcosa? - gli chiedo.
Lui sembra soppesare la domanda e pensarci su ma infine risponde: - No. -
Sorrido, ripensando alle mie scarse abilità nel mentire: ho trovato una persona ancora più inabile.
- Penso proprio che tu mi stia mentendo – gli dico, mentre i miei occhi si posano su una casa - o quello che ne rimane - in cui credo abitasse un'amica di Prim. Qual era il suo nome? Lily? Che fine avrà fatto?
- E ora guarda e dimmi cosa ne pensi! -
Thom richiama la mia attenzione indicando qualcosa davanti a sé e cambiando abilmente discorso.
Lo osservo per qualche secondo, intontita, chiedendomi cosa debba fare e ancora, delle sorti di quella bambina, ma quando finalmente vedo il suo dito puntare qualcosa alla sua destra mi giro nella direzione da lui indicata e resto di stucco.
Il Forno.
Il Forno è stato ricostruito.
- È davvero...? - provo a chiedere, ma lo stupore è davvero troppo.
- Sì è davvero il Forno, con la differenza che ora è tutto legale - risponde Thom con un sorriso.
Mi avvicino per poterlo osservare meglio; non è uguale a quello che c'era prima ma è chiaro che sia stato progettato su ispirazione di quello vecchio.
Sfioro con la mano una parete, fredda e impolverata, mentre sento stringermi il cuore. Non ho parole per esprimere quello che provo e sento; il Forno è associato a troppi, troppi ricordi, sia belli che brutti.
È associato alla fame ma anche alle zuppe improponibili ma squisite di Sae, alla miseria ma anche alla soddisfazione dell’aver venduto un buon bottino, allo smarrimento che provai quando varcai la sua soglia per la prima volta da sola, senza mio padre, per provare a vendere qualcosa, ma anche a tutte le volte che l’ho varcato con Gale.
- È stata una delle prime costruzioni rimesse in piedi – afferma Thom, alle mie spalle.
- A breve i lavori saranno definitivamente conclusi e il Forno vivrà di nuovo – conclude.
Mi volto, gli occhi che trattengono a stento le lacrime.
Respiro con fatica. Chiudo gli occhi e provo a tranquillizzarmi.
- Dammi solo qualche minuto – gli dico e mi siedo piano per terra.
Il distretto dodici sta rinascendo dalle ceneri.
È tutto ok.
Thom si siede al mio fianco, lasciando un po’ di spazio e restiamo in silenzio, mentre il mio respiro si fa regolare.
Il sole fa capolino da dietro una nuvola illuminando il distretto e dandogli una nota di colore che prima non avevo notato: hanno dipinto le case con tanti colori diversi.
Il calore del sole sulla pelle mi rincuora.
Niente più baracche sporche e grigie.
È tutto ok.
 
- Forse non avremmo dovuto andare al distretto – mi dice Thom mentre torniamo indietro al villaggio dei vincitori.
È quasi ora di pranzo, il sole ora è alto e cocente.
- Non ti preoccupare, mi ha fatto piacere – ribatto, ma evidentemente con tono poco convinto perché Thom risponde con una smorfia di disappunto.
Non ha parlato molto da quando abbiamo lasciato il Forno; credo di aver fatto preoccupare un’altra persona per l’ennesima volta.
In ogni caso sono davvero contenta di questa mia visita. Non posso non pensare al fatto che le mie intenzioni erano semplicemente allontanarmi da Peeta e alla strana sensazione di quando ho visto il nuovo Forno ma tutto sommato è stato bello vedere la gente combattere ancora per il proprio distretto, questa volta in maniera diversa: niente armi, solo duro lavoro e sudore.
Vorrei tranquillizzare Thom, riferirgli i miei pensieri ma c’è qualcosa che mi frena.
Mentre imbocchiamo un’altra strada ricordo che anche Thom voleva dirmi qualcosa ma che poi ha cambiato idea. Mi chiedo di cosa si trattasse ma trattengo la domanda a fior di labbra: forse non è il caso che insista, sembra piuttosto affranto.
Provo a dargli un colpetto sul braccio, come ha fatto lui con me questa mattina.
- Non ci provare nemmeno Everdeen! – dice trattenendo una risata - Sei l’ultima persona al mondo che farebbe una cosa del genere, mi dai i brividi! –
Accenno un sorriso mentre Thom inizia a ridere.
- Mi conosci a stento! –
- E la colpa di chi è? Aspetta, forse è di quella ragazza… Ma sì, quella con i capelli scuri, sai, raccolti in una treccia, il muso lungo fino a terra, che quando incontravo con il mio amico a stento rispondeva al saluto! Molto simpatica, nulla da ridire! –
Il mio sorriso diventa più ampio ma allo stesso tempo acquista una piccola sfumatura amara.
Continuiamo a camminare ma all’improvviso, come un lampo, nella mia mente appare un’immagine.
Mi fermo di colpo.
L’immagine ora sta prendendo di nuovo forma davanti ai miei occhi, lentamente; case vengono ricostruite in pochi secondi, persone compaiono dal nulla e una bambina con due trecce bionde corre in direzione di un negozio, si gira verso di me e con un sorriso mi indica una vetrina piena di dolcetti.
Tuttavia un battito di ciglia cancella la visione, e dove prima c’era il negozio ora ci sono solo resti cadenti e bruciati: tutto quello che resta della panetteria Mellark.
- Qui è dove abitava Peeta. Dove avevano il negozio – dico in un sussurro.
Non mi avvicino ma osservo tutto da lontano mentre provo con la mia mente a ricostruire la scena e bearmi ancora un po’ dell’immagine della mia paperella felice, dell’idea che nulla sia cambiato, che non ci sia niente da ricostruire perché nulla è stato mai distrutto, che ci sia un Peeta non depistato a decorare una splendida torta all’interno del negozio ma la mia testa mi gioca uno scherzo crudele e io continuo a fissare sempre e solo delle macerie.
- Gli abitanti del distretto sono stati tutti d’accordo nel lasciarlo così. Abbiamo pensato che Peeta l’avrebbe preferito ma lui… Non è nemmeno passato a vederlo e nessuno ha avuto il coraggio di parlargliene – è tutto quello che dice Thom e io annuisco distrattamente in risposta.
Pensavo che Peeta ci fosse già stato ma mi sbagliavo.
Il ricordo di noi due davanti alla stanza di Prim solo la sera prima si tinge di una nuova sfumatura e il mio cervello sembra finalmente realizzare che non sono l’unica ad aver subito delle perdite: Peeta ha perso tutta la sua famiglia.
Certo, una famiglia che non gli ha dato mai abbastanza amore ma erano pur sempre i suoi genitori e i suoi fratelli. E non li rivedrà mai più così come io non rivedrò più la mia dolce Prim.
Inoltre, come se non bastasse, non sarà mai più lo stesso ragazzo che un tempo parlava con loro, che lavorava in quel negozio; troppe cose sono cambiate e lui non tornerà mai più come prima.
Quest’ultima consapevolezza mi stringe il cuore con particolare dolore perché mi costringe a dire addio al ragazzo del pane come l’ho sempre conosciuto… Al ragazzo innamorato…
Al ragazzo che ora non mi ama più.
Al ragazzo che merita qualcosa di meglio, una ragazza dolce e premurosa come io non potrò mai essere - ma come potrebbe Delly.
Volto leggermente la testa e i miei occhi lo vedono: l’albero sotto il quale mi accasciai il giorno in cui Peeta mi offrì il pane e che per ironia della sorte, è rimasto in piedi, nonostante tutto.
Osservo le piccole foglie verdi che stanno rinascendo ondeggiare pianissimo in un suono ovattato e il tronco dalla corteccia solida terminare in un intreccio di radici e mi avvicino lentamente; anche da lì, le cose non cambiano e le macerie restano macerie.
Eppure non molto tempo fa dallo stesso punto osservavo il mio ragazzo del pane, sotto la pioggia, disobbedire all’ordine di sua madre.
- Katniss, andiamo? –
La voce di Thom mi giunge distante, come in un sogno.
Poco più avanti di me noto una piccola macchia gialla: un piccolo dente di leone sbuca fra l’erba incolta dandomi un briciolo di speranza con il suo colore.
Ripenso anche alle case del distretto, ora tutte colorate e strane idee si fanno spazio nella mia testa.
Non è tutto perduto.
E io non ho perso Peeta.
Peeta è il dente di leone che fiorisce a primavera, il motivo che mi ha spinto a reagire e ad andare avanti e l’ultima cosa al mondo che mi è rimasta per essere felice.
E merita anche lui di essere felice.
Raccolgo il dente di leone e seguo Thom in direzione del villaggio dei vincitori stringendo forte il piccolo stelo nella mano, i delicati petali gialli che tremano come me.
Thom mi accompagna fino a casa, mi saluta in fretta e scappa via, lasciandomi sola.
Do un’occhiata alla casa di Peeta ma di lui nessuna traccia.
Ancora tremante entro nella mia; distrattamente mi giro alla mia sinistra dove mi aspetto di trovare uno specchio e controllare così la mia faccia, che a detta di tutti oggi è orribile, ma ricordo solo dopo che questo è andato in mille pezzi a causa di un pugno di Peeta.
Stringo ancora più forte il fiore, sospiro stanca e arrivo in cucina dove trovo un fagotto sul tavolo, e scopro quindi che Sae è venuta a portarmi il pranzo; spero di non aver fatto preoccupare anche lei.
Butto qualcosa nello stomaco mentre ripenso ai fatti di questa mattina e osservo il dente di leone poggiato sul tavolo poco più avanti.
È possibile che ci sia ancora speranza? E soprattutto è speranza quello che sto provando ora?
Ora se penso al distretto non lo vedo più distrutto ma vedo le case colorate illuminate dal sole, le persone che lavorano, il Forno nuovo… Eppure la panetteria di Peeta è sempre distrutta.
E i nostri fantasmi continuano a tormentarci, così come gli incubi.
Il peso di una notte insonne mi raggiunge poco alla volta ma c’è una cosa che devo fare prima di poter andare a dormire.
Non importa se mi farà soffrire, se me ne pentirò ma raggiungo la porta della stanza di Prim come ieri sera.
Non posso aiutare Peeta se prima non affronto il mio dolore e le mie paure e ho promesso a me stessa che l’avrei fatto. Ho promesso che non l’avrei abbandonato, che avrei messo da parte il mio egoismo e il mio dolore e l’unico modo per farlo è affrontarlo una volta per tutte.
Poggio la mia mano sul pomello tremando ancora più di prima e finalmente apro la porta, abbattendo qualsiasi barriera contro il più grande tormento che mi porto dentro.
Solo una sera fa non ci sono riuscita ma ora, dopo aver visto il distretto, ce la posso fare. Come ce l’hanno fatta tutti gli altri, come ce la farà Peeta.
Faccio un passo in avanti e entro nella stanza dove l’aria pesante quasi mi toglie il respiro. Nonostante tutto però si avverte ancora un leggero profumo di fiori.
La stanza è esattamente come me la ricordavo, in ordine, luminosa, ma allo stesso tempo vuota e polverosa.
Sul letto di Prim ci sono dei nastri.
Mi accoccolo sul letto e stringo i nastri in un pugno; solo ora permetto alle lacrime di inondarmi il viso e ai singhiozzi di percuotermi il petto.
Infine, dopo quelli che mi sembrano essere secoli, mi addormento.
 
Quando mi risveglio mi sento stordita; ci vuole qualche minuto prima che i miei sensi si attivino tutti.
Sento il cuscino umido a causa delle mie lacrime e la pelle del viso tesa e secca dove hanno tracciato il loro cammino.
La gola mi brucia implorando dell’acqua e il mio naso inizia ad avvertire di nuovo il delicato profumo di fiori, ma gli occhi, una volta abituatisi al buio che mi circonda, intravedono l’ultima delle cose che mi sarei mai aspettata: dei riccioli biondi su una testa che non può non appartenere che a Peeta.
Si è addormentato anche lui, testa poggiata di lato, sul bordo del letto, la schiena contro il comodino che lo affianca.
La curiosità su come abbia fatto ad arrivare qui è nulla, me ne rendo conto solo dopo, rispetto al sollievo che provo nel vederlo affianco a me.
Incredibilmente, la vista di quei riccioli biondi mi riscaldano il cuore al punto di farmi sorridere, anche se debolmente, nell’ultimo posto al mondo nel quale avrei giurato di poterlo fare e dove poco fa versavo lacrime cocenti.
Apro piano il pugno dove mi accorgo di continuare a stringere i nastri e che per questo è particolarmente indolenzita e la allungo verso Peeta.
Gli accarezzo i capelli e lui si sveglia, volta la testa e raddrizza la schiena strizzando i suoi occhi, che alla fine posa su di me.
Ha una macchia sul naso e una sullo zigomo sinistro, che copre non appena inizia a stropicciarsi l’occhio.
- Buongiorno – gli dico, anche se per quanto è buio dev’essere ormai notte.
- Buongiorno – mi risponde accennando un sorriso.
Si alza faticosamente dal pavimento e stende ancora la schiena; deve essere a pezzi per aver dormito in quella posizione.
Mi porge la mano e io la afferro per ritrovarmi in piedi accanto a lui, che mi circonda le spalle con un braccio e mi attira a sé.
Ora l’odore di fiori si mischia a quello di dolci e cannella di Peeta, insieme a un altro odore pungente che non riesco ad identificare, ma non importa; lui affonda il viso nei miei capelli e io ricambio il suo abbraccio.
Dopo un po’ Peeta si stacca da me e mi dice scherzando: - Ho bisogno di dormire su un letto – così usciamo insieme fuori dalla stanza.
- Lascia la porta aperta – gli dico; voglio che passi un po’ d’aria in quella stanza.
Arrivati nella mia stanza mi congedo un attimo per poter andare in bagno e rinfrescarmi il viso con dell’acqua fredda che non riesco a trattenermi dal bere avidamente.
Quando rientro in stanza Peeta è già sul letto ma mi aspetta sveglio.
Mi sistemo accanto a lui e per un po’ restiamo ad ascoltare i nostri respiri nel silenzio della notte, interrotto solo dopo dalla mia voce.
- Grazie per esserci stato – gli dico
- Scusa se ieri non ci sono stato – risponde.
Ignoro le sue scuse mentre lui mi stringe la mano.
- Come hai fatto ad entrare? – gli chiedo.
- Dimentichi sempre la veranda della cucina aperta –
Peeta mi sorride ma continua dicendo:
- Mi dispiace se sono stato invadente ma Sae mi ha telefonato dicendo che non riusciva a portarci la cena perché la nipotina si è ammalata. Volevo venire da te ma non hai risposto alla porta e mi sono un po’ preoccupato fino a quando non ti ho trovata che dormivi nella stanza di Prim. -
Mentre mi parla però nota il mio sguardo allarmato così aggiunge subito:
- La bimba sta bene, tranquilla, ha solo un po’ di febbre. Povera Sae, è circondata da malati. –
Sorridiamo insieme e accarezzo il suo zigomo sporco.
- È solo pittura – mi dice, ma c’è qualcosa di più; al tatto sento dei piccoli graffi, là dove ci scommetto, le sue unghie hanno penetrato la carne.
- Oh, Peeta… - è tutto quello che riesco a dire perché poi combatto per ricacciare indietro altre lacrime.
Ci stringiamo di nuovo e lascio che sia il silenzio a dire a Peeta tutto quello che vorrei dirgli in quel momento: che troveremo tutti la forza di andare avanti, che verranno tempi migliori, che riusciremo a combattere tutto questo e che può contare su di me.
- Andrà tutto bene. –
Peeta dice queste semplici parole e so che mi ha capita.
- È tutto ok – rispondo, la voce ancora incrinata.
Ma questa volta niente lacrime; penso a Peeta e al dente di leone che ho raccolto fino a quando le strane idee di oggi prendono una forma più limpida nella mia testa.
Potrebbe essere una follia eppure mi sembra un punto di partenza, qualcosa per aiutare concretamente Peeta e far capire a lui – e anche a me - che non tutto è perduto, nemmeno lui.
Ricostruirò la panetteria di Peeta.

*******

Ooooook, da dove iniziare...
È stata dura. Durissima. Vi giuro che ci ho provato ad aggiornare prima ma non ce l'ho fatta, sorry.
Non vi nego che il capitolo l'ho finito pochi minuti fa, mentre quasi dormivo sulla tastiera ma ora signori e signore eccolo qua.
Vi piace?
Ditemi di sì vi prego, perchè io non ne sono ancora convinta! XD
La mia Ccchhh ha dovuto strapparmelo dai tasti (?) per poterlo salvare dalla mia furia omicida (trad.: stavo per cancellare il capitolo, di nuovo.)
Vabè in realtà mi piace.
Però boh.
Ragazzi sto dormendo, scusate XD

Fatemi sapere che ne pensate del nuovo distretto, del forno, di Thom, di Katniss e della sua idea. Ho bisogno di voi e dei vostri pareri please!
(trad.: RECENSITERECENSITERECENSITERECENSITE)

Ah, premetto che purtroppo passerà ancora un po' di tempo fino al prossimo aggiornamento! :/ La sessione estiva incalza! >.<
Spero che tutti voi lettori (silenziosi e non) abbiate la pazienza di aspettare e ringrazio anticipatamente chi lo farà e chi l'ha già fatto!

Inoltre, cari giovincelli, devo ringraziare la mia Ccch, che è davvero eccezionale: fan accanita, lettrice esperta, fonte di conforto, toccasana per l'autostima e preziosissima amica ♥

Come sempre vi suggerisco la sua ff, che ha aggiornato anche lei oggi :D Quindi forza, non perdertevi la sua storia e il nuovo capitolo, correte tutti a leggerla! U.U
(link: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2494551)

Vabè cari, non so che altro dirvi.
Vogliatemi bene.
Un bacio,
Sara ♥

May the odds be ever in your favor.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


La luce della luna entra dalla finestra che Peeta ha lasciato aperta rischiarandone il viso. Sotto le macchie di pittura ora si scorgono i graffi, la cui vista mi fa sentire ancora più in colpa per questa mattina, quando l’ho piantato su due piedi, da solo.
Non sono riuscita a dormire molto; il respiro regolare di Peeta ha cullato i miei pensieri soltanto per un paio d’ore, immagino perché abbia già dormito parecchio.
Lui invece dorme tranquillo, ma c’è voluto un po’ affinché si rilassasse; sentivo la sua mano tenere rigida la mia, il suo corpo rigirarsi nel letto ogni due minuti e potrei giurare di aver visto i suoi occhi scurirsi per qualche istante. Alla fine però la sua stretta si è fatta più leggera e le sue palpebre si sono chiuse lentamente, a coprire i suoi occhi, azzurri e limpidi.
In quell’istante ho sentito un profondo senso di gratitudine; è rimasto, nonostante non si sentisse a suo agio, solo per me, che sono la causa di quasi tutti i suoi mali. È rimasto nonostante i suoi dubbi e le sue insicurezze.
Ieri sera mi sono sentita profondamente ferita dal rifiuto di Peeta, non avevo capito quanto per lui fosse difficile, ma lui non aveva capito che è forte e può farcela. Forse non l’ha capito nemmeno ora.
E non ha capito che è la sua presenza a darmi forza.
Non sarei mai entrata nella stanza di Prim se lui non mi avesse dato un valido motivo, né ne sarei uscita se lui non fosse stato lì accanto a me, come se ci fosse sempre stato, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Probabilmente avrei finito col passare il resto dei miei giorni su quel letto, a lasciarmi vivere, ad aspettare chissà cosa fino a quando non sarebbe svanito, insieme alla mia sorellina, anche il profumo di fiori.
No, non avrei potuto sopportare un’altra notte da sola. Non questa, che si va ad aggiungere alla lista di cose per cui devo ringraziare la persona che ora è accanto a me.
È come se la vista di Peeta riportasse ordine dentro di me, come se tutto tornasse improvvisamente al suo posto. O meglio, come se Peeta mi facesse intravedere un ordine che in realtà già c’è ma che io, da sola, non riesco a vedere: Prim non c’è; i suoi nastri sono nella sua camera, vuota; io sono qui e Peeta dorme accanto a me; il dente di leone che ho raccolto stamattina è sul tavolo in cucina. E, in un certo senso, va bene così.
Peeta ha detto che tutto andrà bene ed è quello che succederà.
Altrimenti nulla ha più davvero senso.
 
Ho passato il resto della notte accanto a Peeta, ad osservarlo dormire e a pensare a cosa dovrei fare per rimettere su la panetteria della sua famiglia.
Non ho idea di dove cominciare quindi immagino di dover chiedere aiuto a Thom anche se la cosa non mi convince del tutto. Non vorrei dargli noia, né rubargli tempo, ma non so davvero a chi rivolgermi. Per un istante ho pensato ad Haymitch ma ho scartato subito l’idea: non mi darebbe più tregua, senza contare che vorrei che fosse una sorpresa per Peeta.
Thom ha detto che non ha mai chiesto della panetteria, mantenere il segreto non dovrebbe essere molto difficile e non vorrei che il nostro mentore rovinasse tutto.
Sono circa le sei del mattino quando Peeta, che dormiva supino, rotola sul suo fianco, portando il suo viso a qualche centimetro dal mio e interrompendo qualsiasi mio pensiero coerente quando mi accorgo che sta sorridendo nel sonno.
Il mio viso va in fiamme prima che io possa impedirlo in qualche modo e riesco a stento ad allontanarmi di un altro paio di centimetri prima che Peeta, aprendo gli occhi, si accorga di essermi così vicino e del mio colorito acceso.
Sussulta appena e prova a scandire le parole, la voce ancora impastata dal sonno.
- Katniss, scusa… Mi dispiace. –
- Era un bel sogno? –
La mia domanda esce spontanea dalle mie labbra; il sorriso di Peeta sembrava così spensierato e sincero che per un po’ mi sono sentita anch’io leggera, senza nessuna preoccupazione.
Mi guarda stordito ma poi risponde:
- Sì, era decisamente un bel sogno, contro ogni mia aspettativa. –
- Cosa intendi dire? –
- Avevo paura. –
Peeta prende la mia mano e poco a poco i nostri corpi si avvicinano di nuovo.
- Inutilmente. Come vedi, sto bene – gli dico.
Sapevo che era preoccupato, me ne ero accorta. E so che il motivo ero io; ha paura di farmi male.
- Colazione? – chiede dopo un po’ e io annuisco, contenta che abbia cambiato discorso.
Arrivati in cucina io e Peeta frughiamo nei mobili e nel frigorifero, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti ma ne caviamo ben poco.
- Mi dispiace, non ho granché – ammetto ma a quanto parte per Peeta è sufficiente e inizia già a mettersi a lavoro.
- Hai farina, uova e un po’ di latte, va più che bene. Ah, e avevo visto anche della marmellata in frigo, o sbaglio? Vanno bene le frittelle? – mi chiede.
- Certo – rispondo, e non sapendo che fare resto ad osservarlo mentre cucina, porgendogli quello che gli serve quando me lo chiede.
La sue frittelle ovviamente si rivelano squisite. Facciamo colazione in tranquillità e Peeta mi dà una mano a sistemare tutto.
A un certo punto però si blocca, come se si fosse ricordato improvvisamente di una cosa.
- Oh no – esclama.
- Che c’è? –
- Delly. Mi sa che devo proprio andare. –
Il rumore di un piatto infranto rende inutile il mio tentativo di mascherare lo stupore. Ancora Delly?
- Katniss, stai bene? Ti sei tagliata? –
Peeta mi raggiunge subito e controlla che sia tutto ok. Sta per darmi una mano con i cocci nel lavandino ma io lo fermo.
- Non preoccuparti, me ne occupo io. Non far aspettare Delly a causa mia. –
Peeta mi guarda dispiaciuto, eppure leggo qualcos’altro nella sua espressione che non riesco a decifrare; mi osserva come se cercasse di capire qualcosa e alla fine vedo gli angoli della bocca curvarsi di qualche millimetro.
- Devo completare il quadro per sua zia. Viene a prenderlo oggi pomeriggio. Mi ha dato poco preavviso quindi devo darmi da fare – mi dice infine.
Il quadro. Me ne ero completamente dimenticata, nonostante la macchia di pittura blu sotto l’occhio di Peeta, il cui azzurro risalta ancora di più.
Resto in silenzio, leggermente sollevata, anche se non saprei dire per cosa. Peeta deve semplicemente completare il quadro.
- È tutto ok, davvero. Vai pure e buon lavoro. – Provo a dare un tono noncurante alle mie parole ma non so se ci sono riuscita.
Peeta appoggia una mano sulla mia spalla e mi saluta, lasciandomi sola a tentare di occupare la mattinata in qualche modo e a distogliere continuamente il pensiero da lui, Delly e il suo quadro.
Ancora non capisco perché la cosa mi faccia questo effetto. Peeta e Delly sono amici, e lei gli è stata particolarmente vicina dopo il suo arrivo al distretto tredici.  Come una qualsiasi amica avrebbe fatto.
Mi rendo conto che in casa ho ben poco da fare ma non ho molta voglia di uscire, nonostante l’idea di un giro nel bosco solletichi la mia mente; non ci sono più tornata da quando è accaduto l’episodio del lago e ripensandoci un brivido percorre la mia schiena facendomi cambiare repentinamente idea.
Mi torna in mente che solo l’altro ieri Peeta aveva ancora la febbre eppure stamattina sembrava stare bene per fortuna.
A dirla tutta, stamattina Peeta sembrava davvero in forma. E quel sorriso… Credo sia stata la cosa più bella che ho visto dopo tanto tempo. Nel pensarlo arrossisco di nuovo, dandomi della sciocca.
Noto che il dente di leone che ho raccolto ieri è ancora sul tavolo, già appassito. Voglio metterlo in un posto al sicuro e all’improvviso mi assale un dubbio. Poso il fiore che intanto avevo preso tra le mani e mi dedico alla disperata ricerca di un libro. Il libro.
Lo cerco ovunque per ricordarmi solo dopo che è nella mia stanza, in uno dei cassetti dell’enorme comò in dotazione con la casa che raggiungo in un baleno, recuperando al volo il dente di leone.
Apro piano il cassetto e ancora più lentamente ne estraggo il contenuto. Un pesante libro dove mio padre e mia madre hanno collezionato dozzine di informazioni riguardanti piante ed erbe e che io oramai conosco a memoria.
Sfoglio le pagine ingiallite, ruvide e spesse, ma allo stesso tempo delicate, e con le dita sfioro i disegni che affiancano la descrizione di ogni pianta, arbusto, bacca.
Ed eccole lì… I morsi della notte: piccole, rotonde, scure e fatali come la povera Faccia di Volpe ha imparato a sue spese.
Non mi occorre nessuno sforzo per ricordare il colpo di cannone che sancì la sua morte e la paura che provai in quell’istante, per Peeta.
I miei passi affrettati rimbombano ancora tra fogliame inesistente, le mie mani avvertono ancora il contatto con i cespugli che spingevo via mentre correvo alla sua ricerca. Cosa avrei fatto se invece di Faccia di Volpe avessi incontrato Peeta, disteso per terra, le mani sporche del succo rossastro delle bacche?
Il solo pensiero mi atterrisce.
 
Ho passato tutto il tempo a sfogliare il libro delle piante, saltando anche il pranzo. A colazione ho mangiato così tante frittelle che non avevo molto appetito.
Nel pomeriggio sento bussare alla porta.
Chiudo con delicatezza il libro e lo appoggio in vista sul comò per poi andare ad aprire la porta.
A farmi visita è Delly, allegra e sorridente, in un vestito bianco, leggero, con dei fiori ricamati sul colletto e sulle maniche.
- Ciao Katniss! Come promesso, sono venuta a trovarti. Spero di non disturbarti! – mi saluta.
La sua visita mi ha preso alla sprovvista, così ci metto un po’ per capire cosa fare.
Non si fanno più entrare gli ospiti in casa? – sento nella mia testa la voce di Thom rimbeccarmi di nuovo.
- No, figurati, io… Non stavo facendo nulla, non disturbi. Entra pure – riesco a balbettare, facendole spazio per lasciarla entrare.
- Che casa magnifica! Davvero bellissima, è uguale a quella di Peeta vero? –
La domanda di Delly, come il suo riferimento a Peeta, è assolutamente innocente ma non mi sfugge.
- Sì, qui al villaggio dei vincitori sono tutte uguali. Anche quella di Haymitch è così. –
Rimprovero me stessa per aver utilizzato un tono così freddo ma fortunatamente Delly non sembra averlo notato.
- Purtroppo non ho molto tempo, ma ci tenevo davvero a vedere come stai e visto che dovevo passare da Peeta a prendere il quadro - è stata una vera fortuna che avesse ancora un paio di tele bianche – ho pensato di approfittarne. E poi ieri avevi davvero un aspetto strano, mi hai fatto preoccupare. Come stai? –
Delly mi travolge con il suo fiume di parole mentre ancora ci dirigiamo verso il salotto.
- Non preoccuparti, avevo solo del sonno arretrato, è tutto ok. –
- Mmh… Voglio crederti, d’altronde mi sembri davvero un’altra persona oggi. Sai, trovo che anche Peeta stia molto meglio da quando… Da quando sì, insomma, avete lasciato il distretto tredici. Certo, ho notato che ha ancora dei brutti segni sulle mani e sulle braccia, ma ora sembra così tranquillo… Non sai quanto ne sono contenta. Spero che anche fra voi due le cose siano migliorate – risponde Delly.
Raccoglie dolcemente le mie mani fra le sue e mi sorride incoraggiante. Anche lei sembra molto cambiata dal distretto tredici; sebbene la ricordi ugualmente sorridente, questa volta il suo sorrido è più sereno, i suoi occhi più dolci, la sua espressione più distesa.
- Anche tu sei cambiata dal distretto tredici. In meglio, ovvio – le dico, glissando sulla sua ultima affermazione.
Pensarci mi imbarazza non poco, senza contare che non saprei davvero come replicare; non so se le cose tra me e Peeta siano migliorate, non so nemmeno definire il nostro rapporto in questo momento. Sempre che ci sia un qualche rapporto in particolare.
Le parole di Delly mi hanno mandato così in confusione che a stento ascolto cosa dice dopo e lascio che sia lei a guidare la conversazione, limitandomi ad annuire ogni tanto e aggiungere qualche parola di rado.
- Credi che Peeta abbia finito con il quadro? Non sai che enorme piacere che mi ha fatto, non sapevo davvero che regalare a mia zia. È stata così gentile a prendere con sé sia me che mio fratello… - riesco a captare infine.
- Prendere… Con sé? -  chiedo sorpresa.
- Sì... Sai, dopo che i nostri genitori sono morti nel bombardamento io e Dew non sapevamo cosa fare. Pensavamo saremmo rimasti nel distretto tredici per sempre, poi per fortuna zia ha deciso di ritornare qui e ci ha chiesto di andare con lei, per provare a rimettere su il negozio di scarpe. Suo figlio invece è rimasto al tredici, ha conosciuto una ragazza… Spero proprio che si sposino, fanno proprio una bella coppia, quasi quanto te e Peeta. –
Delly accompagna le ultime parole con un risolino che mi mette ancora più in imbarazzo.
- Credo che tu abbia frainteso la cosa Delly. Fra me e Peeta non c’è niente – ribatto, con uno strano groppo alla gola.
- Certo – conclude Delly, con tono sornione e per fortuna la discussione termina lì; controlla l’orologio al suo polso e avanza scuse su una certa festicciola in famiglia che deve finire di organizzare e, ancora, al quadro che deve andare a prendere.
La accompagno alla porta mentre lei si dà una breve sistemata ai capelli e spiega meglio la gonna dell’abito. Sono quasi tentata dall’accompagnarla da Peeta ma mi trattengo; non voglio essere di troppo, né dare adito ad ulteriori allusioni. Né illusioni.
- … Allora ci vediamo presto. Ciao Katniss! – mi saluta entusiasta Delly, con un breve abbraccio
- Ciao Delly - è tutto quello che riesco a rispondere.
Il vestito di Delly svolazza tutto intorno mentre si gira e se ne va, e ancora, mentre si allontana da casa mia, per dirigersi verso quella di Peeta.
La vedo bussare alla sua porta, mentre tengo la mia ancora aperta, e rivolgermi un altro saluto agitando la mano in lontananza. Ricambio il suo saluto ma rientro prima che Peeta possa andare ad aprire, ritornando alla mia precedente occupazione e leggendo ancora qualche pagina del libro delle piante.
A distogliermi dall’ennesima lettura è ancora una volta una visita, anche questa inaspettata.
- Haymitch! –
Non pensavo che sarebbe mai riuscito a risollevarsi da quel divano, non dopo averlo visto in quelle condizioni.
- Lieto di apprendere di essere così importante per te da ricordare il mio nome. Il fornaio ci ha preparato la cena, sono venuto a chiamarti. Questa volta non ho bevuto – è la sua risposta ma, quando nota la mia occhiataccia, ammette: - Ok, solo un poco. –
 
I giorni che seguono passano in un baleno.
Sono andata alla ricerca di Thom, per parlargli della mia idea sulla panetteria e lui si è dimostrato davvero disponibile; qualsiasi cosa l’abbia preoccupato l’ultima volta che ci siamo visti sembra non dargli più problemi e ho deciso di non insistere, accettando per una volta l’aiuto di qualcuno.
Ci vediamo ogni mattina con un alcuni signori, che Thom mi ha indicato essere i responsabili della ricostruzione del distretto, progettisti e quant’altro. Alcuni provengono addirittura da altri distretti, compreso il tredici, ma con noi però lavora solo un tale signore Evergreen.
- Che singolare coincidenza, non trova? – mi ha detto quando ci siamo presentati.
Sembra un uomo concreto, con una certa esperienza, per cui lascio che sia lui a decidere quasi tutto. Voglio che la panetteria sia completamente diversa dalla precedente, voglio che Peeta si senta a suo agio lì dentro, che non sia tormentato ancora dal passato e la mia esperienza nel campo edilizio è praticamente nulla.
In ogni caso, per costruirla, bisogna presentare il progetto al direttore dei lavori del distretto e poi al nuovo sindaco. Non ho idea di chi sia, ma sembra che sia ben voluto da tutti.
Personalmente non ho avuto il coraggio di chiedere ulteriori informazioni. Non dopo che Thom mi ha detto di Madge.
Per quanto riguarda i fondi non c’è stato alcun problema: unirò parte dei soldi dalle “generose” rendite di Capitol che ancora conservo a dei fondi speciali stanziati dal nuovo governo di Panem.
Quando ho chiesto da dove la Paylor riuscisse a prendere tutti questi soldi il signor Evergreen mi ha risposto: - I paradossi sono davvero una cosa divertente: chiami un crudele massacro di ventiquattro ragazzini “i Giochi della Fame” ma per organizzarli butti via ogni anno tanti soldi quanto basterebbero a saziare l’intera popolazione di Panem. –
In quel momento le mie unghie hanno lasciato dei piccoli segni sui palmi delle mie mani, chiuse in un pugno.
Peeta ovviamente è all’oscuro di tutto. Sa che vado a trovare Sae ogni mattina, per darle una mano e ringraziarla dell’aiuto che ci ha offerto finora e in parte è vero. Passo da lei ogni giorno e porto sempre con me qualche dolcetto, preziosa refurtiva delle colazioni offerte da Peeta, da regalare alla sua nipotina. Dopo i primi due giorni però il fornaio ha preso l’abitudine a prepararmi un sacchetto con dentro i dolci; mi sorride ogni volta che me lo porge, appoggiandolo sul bancone della cucina.
Le cose con lui vanno molto meglio; da quando ha ripreso a dipingere sembra aver riacquistato una certa sicurezza, un controllo di sé che temeva perduto.
A volte scompare l’intera giornata, per andare a dipingere, e io lo lascio fare, ritornando al mio libro delle piante, che ultimamente è come un chiodo fisso.
Ho anche ripristinato la linea telefonica di casa mia, ricevendo ogni tanto qualche chiamata del dottor Aurelius: a quanto pare si era tenuto in aggiornamento tramite Haymitch. La cosa inizialmente mi ha dato un profondo fastidio ma poi ho deciso che non me ne importa granché, visto che mi ha evitato, in fin dei conti, una gran seccatura.
Ciononostante le sue telefonate non mi dispiacciono più di tanto; si limita a chiedermi cosa stia combinando di bello al distretto e io gli rispondo in tono vago, ma, quando ha mostrato una certa titubanza nel sentire quanto tempo passiamo insieme io e Peeta, ho preferito tenere anche lui all’oscuro del mio progetto. Probabilmente non capirebbe, come nessuno mai potrà capire il bisogno che ci spinge ogni notte a cercarci, a dormire insieme, a vegliare reciprocamente sul sonno dell’altro, provando a scacciare via gli incubi.
Che quelli di Peeta siano un pericolo è un dettaglio per me irrilevante; per il momento è riuscito sempre a vincerli e i suoi occhi sono sempre ritornati azzurri in pochi secondi.
In quelle occasioni, dopo, lo stringo più forte, come a trattenerlo dall’andare ancora via da me.
- Resta con me – gli dico e lui risponde: - Sempre. -

*******

Alohaaa :3
Ecco a voi il nuovo capitolo che, per farmi perdonare dell'attesa, è un po' più lunghetto, contenti? :3
Vabè, dirò la verità, in realtà è che ero partita da un'idea completamente diversa per questo capitolo ma poi è uscito ciò. Spero di non avervi deluso troppo (ad alcuni avevo promesso cose eccezionali, ma ripeto, questo capitolo si è voluto scrivere completamente diverso XD)
Morale della favola: mi conviene non dire più niente, altrimenti non arriverò mai alla "cosuccia" che avevo in mente XD
Comuuuunque, ringrazio ancora una volta tutti tutti tutti e vi chiedo come sempre di lasciarmi qualche opinione.

Ma, come ben sapete, non ci sarebbe nessun capitolo senza la mia Ccchh ♥ (ringraziate lei per il finale sdolcinato, io, cattiva, lo stavo per lasciare "appeso" :P)

Anyway, la mia adorabile Ccchhh (nonchè mia futura sposa e co-madre dei bambini biondi di nome Peeta che adotteremo) se non lo sapete ancora, è una scrittrice millemila volte più brava di me e per vostra fortuna ha deciso di scrivere una fanfic strebellissima. Vi lascio il link della sua storia: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=2494551

E ora, cari miei, levo le tende.
#moreshirtlessPeetaforeveryone
Un bacio, Sara ♥

May the odds be ever in your favor.



Avviso! (In un coloro abbastanza improbabile, ma ok)
Non sono morta ma sono semplicemente in "ferie" (si fa per dire)
Mi sa proprio che aggiornerò la storia a fine settembre! Voi però non abbandonatemi please T.T
Buone vacanze a tutti!
Baci, Sara ♥


May the odds be ever in your favor.

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Capitolo 12
*** Capitolo Dodici ***


Fa caldo. Sento i vestiti aderire alla mia pelle madida di sudore. Abbasso lo sguardo e noto che sto indossando la mia divisa, quella da ghiandaia imitatrice, mentre le mie mani, anch’esse sudate, reggono l’arco che Beete ha costruito solamente per me.
Aspetto degli ordini, perché la ghiandaia è il simbolo della ribellione e deve combattere.
Sono un fascio di nervi.
- Colpiscili. –
Il comando mi giunge, finalmente, ma da lontano. Non so nemmeno chi sia stato a pronunciarlo.
Davanti a me si stende una lunga fila di persone e tutte mi danno le spalle.
Alzo l’arco e prendo la mira, tendendo la corda.
Mi sento anch’io tesa, come se da un momento all’altro potessi spezzarmi, ma non posso lasciarmi sopraffare dalle emozioni così: devo colpire il mio obiettivo, come mi è stato comandato.
Sto per scoccare la prima freccia quando mi accorgo contro chi sto puntando il mio arco.
Sono tributi.
Non ho idea di come faccia a saperlo ma è così. Sono tributi.
E più mi sforzo più ne vedo, finché non diventano una vera e propria folla, ma nessuno si gira verso di me.
- Non posso – mormoro, abbassando l’arco.
- Devi. –
- Non ce la faccio. Non posso, non voglio! – le mie parole sono una supplica, la mia voce si spezza, le lacrime inondano il mio viso.
- Sì che puoi. Colpiscili. Uccidili. –
Scuoto la testa, disperata, mentre con la mano sinistra provo ad asciugare le lacrime, che continuano a scendere lo stesso, annebbiando la mia vista.
- Non li conosci nemmeno – dice ancora la voce, con tono quasi beffardo.
Ed è vero. Non li conosco, davanti a me c’è una folla di estranei.
Ma alla fine riconosco un gruppo di persone: i tributi della settantaquattresima edizione.
Vedo i capelli biondi di Cato e Lux, quelli rossi di Faccia di Volpe, le enormi spalle di Tresh, la piccola Rue… E non solo. Ci sono anche i morfaminomani e Mags e Finnick che le cinge le spalle con un braccio.
I tributi della settantacinquesima edizione, e avanti ancora chissà quale altra.
- No. Li conosco. –
Non possono obbligarmi a ucciderli. Non più.
Continuo ad osservarli finché mi accorgo che oltre ai tributi ci sono anche altre persone.
C'è quel signore del distretto undici, morto durante il Tour della Vittoria. Ci sono Boggs e la Jackson. C'è Prim.
- Ne sei sicura? –
Certo che ne sono sicura. Come potrei dimenticarli? I loro nomi, le loro esistenze, sono marchiate a fuoco dentro di me. E poi c'è la mia dolce paperella con le sue trecce bionde e il lembo della camicia che le sporge dietro.
Eppure quando li osservo di nuovo i loro contorni si fanno meno definiti.
- Dimenticali. –
Il panico si impossessa di me mentre vedo scomparire tutti, poco alla volta. Lancio via l’arco e corro verso di loro, ma i miei sforzi si rivelano inutili: per quanto io corra la distanza che ci separa sembra non diminuire mai.
Ho bisogno di vederne i volti, la forma e il colore degli occhi, il contorno delle labbra e del naso: tutti dettagli che ora sembrano essere scomparsi nella mia testa.
Mi fermo e con quanta aria ho nei polmoni grido i loro nomi, o almeno ci provo. Il suono della mia voce sembra infatti distorcersi per poi svanire ogni volta che provo a pronunciare un nome.
Il sollievo che provo nel vederli girare verso di me dura pochi istanti, giusto il tempo di rendermi conto che i loro volti sono vuoti, come dei manichini senza forma.
Lo stesso tempo che mi occorre per un ultimo respiro prima di strillare.


- Katniss! Katniss! -
Peeta prova a tenermi ferma mentre le mie urla danno sfogo ai miei pensieri.
- Non voglio, non voglio! I loro volti, erano piatti, e io li chiamavo ma i loro nomi... - annaspo tra i singhiozzi.
Il ragazzo del pane stringe rigidamente la mia testa contro il suo petto e io mi ci aggrappo con tutta me stessa, bagnandogli la maglia con le mie lacrime.
Peeta mi lascia solo quando non mi sente più sussultare e tremare tra le sue braccia; si allontana da me con gli occhi socchiusi emettendo un lungo sospiro, facendomi realizzare che è accaduto di nuovo.
Almeno non è stato come una settimana fa.
Al pensiero le mani si dirigono inavvertitamente verso il mio collo ma riesco ad accorgermene in tempo e a deviare il loro tragitto per asciugarmi invece le lacrime.
Peeta conclude il lavoro per me, accarezzandomi l'altra guancia e asciugando con il pollice l'altro lato del viso, con movimenti fin troppo impacciati.
Il contatto con la pelle leggermente ruvida della sua mano mi risolleva ma non del tutto e rabbrividisco ripensando a quei volti senza espressione, angosciandomi ancora di più.
Quest'incubo è diverso, diverso da qualsiasi altro che abbia mai fatto: sangue, ibridi e cadaveri sono nulla rispetto a quei volti, migliaia di volte più terrificanti.
E se davvero li dimenticassi?
La vita delle ultime settimane, eccetto questa ovviamente, ha riportato un po' di pace e iniziavo quasi ad abituarmici. Ora però sento risvegliarsi una vecchia afflizione e quella vita mi sembra di averla rubata a persone che la meritavano molto più di me e che, proprio io, non posso dimenticare.
- Katniss, ehi... -
Peeta si è accorto che mi sto agitando di nuovo ma è combattuto; quando però inizio di nuovo a piangere, silenziosamente, mi trascina delicatamente a sé, circondandomi con il suo corpo e cullandomi come se fossi una bambina. Probabilmente al mattino, quando ricorderò tutto questo, mi sentirò così in imbarazzo da non riuscire nemmeno a rivolgergli la parola ma per il momento resto immobile, inerme, troppo stanca e provata per oppormi a qualsiasi cosa, figuriamoci a un abbraccio del ragazzo del pane.
- Vuoi raccontarmi il tuo incubo? - mi chiede mentre allontana una ciocca di capelli dalla mia fronte.
Provo a mettere insieme le parole per raccontargli quello che ho visto in sonno ma tutto quello che riesco a dire è:
- Non voglio dimenticare. -
Peeta aspetta paziente che io vada avanti, continuando la sua opera e allontanando tutti i capelli che mi ricoprono il viso.
- Non  voglio dimenticare - ripeto ancora una volta prima di procedere con il racconto e arrivare al finale con voce quasi strozzata.
- Era solo un incubo - mi dice per rassicurare me ma, lo so, anche se stesso.
- È successo di nuovo vero? - gli chiedo e lui annuisce in risposta, dando conferma a tutti i miei sospetti.
- Mi dispiace. -
È la seconda volta che lo colgo di sorpresa con i miei incubi, mentre dorme, provocandogli un attacco. E a distanza di pochissimo tempo.
- Non dirlo nemmeno. È colpa mia, della mia dannatissima testa. È che, davvero, io... Non so nemmeno spiegarlo. -
Mi scosto da lui mentre ancora parla per poterlo guardare in faccia e leggere nei suoi occhi azzurri tutto il suo tormento, mentre si abbandona contro la spalliera del letto, scuotendo la testa.
- Avremmo dovuto aspettare - mormora.
- Non mi hai fatto nulla Peeta, guardami - lo imploro.
- Ti guardo Katniss e sai cosa vedo? - la voce di Peeta è disperata e all'improvviso ho paura di ascoltare la sua risposta. Ho paura che mi dica che non può fare a meno di vedere la stronza del distretto tredici invece della ragazzina del distretto dodici che cantava la canzone della valle.
Non sei più quella ragazzina da un po' - mi costringo a pensare.
- Vedo i segni sul tuo collo. Quelli che io ti ho lasciato una settimana fa, provando a strangolarti. Vedo la persona che... Una persona molto importante per me, che piange e trema e si dispera quando l'istante prima credevo stesse per uccidermi. Io... Sono così confuso. E ho paura di farti male. Tanta.-
Copre il suo viso con le mani spingendolo leggermente in alto.
Solo ora mi accorgo della sua maglietta stracciata lungo la sua spalla desta e, ancora, al centro, dove tre bottoni, di cui uno mancante, avrebbero dovuto chiudere lo scollo.
Dove, qualche istante prima, mi sono aggrappata, ancora sconvolta dall'incubo.
Un nuovo e tremendo senso di colpa si aggiunge alla mia inquietudine. Non c'è da meravigliarsi che abbia reagito in quel modo se la mia, di reazione, è stata questa.
Eppure quel sogno ha mosso qualcosa dentro di me, qualcosa di terribile, e sento di non poterlo affrontare senza Peeta.
Allontano le sue mani dal volto stringendole piano tra le mie e obbligandolo a guardarmi negli occhi, rimandando ancora una volta l'imbarazzo a domani.
- Prima che io dica qualsiasi altra cosa promettimi che resterai. Per favore. –
Peeta distoglie lo sguardo scuotendo la testa.
Mi sento di nuovo come nel sogno, tesa fin quasi a spezzarmi, con la differenza che questa volta basterebbe una parola di Peeta a mandarmi in frantumi.
Una sua parola e il ricordo di questo tremendo incubo, la promessa di chissà quanti altri.
Peeta non risponde e il silenzio diventa una tortura ma non glielo richiederò di nuovo; se vuole andar via lo capirò o almeno ci proverò, tenterò di tenere insieme i pezzi di me stessa in qualche modo, come ho sempre fatto.
Anche se l’ultima volta a permettermi di farlo è stata una lacrima sul viso tormentato che mi sta davanti.
- Katniss… -
Sussulto appena quando infine pronuncia il mio nome ma la sua voce è un tuffo al cuore.
Non resterà. Ha scelto di andarsene, lo capisco dal tono della sua voce.
Blocco di nuovo l’impulso di portarmi le mani al collo indolenzito ma ho meno fortuna con i ricordi di quella notte.
Non ne ho parlato con nessuno anche se sono sicura che Haymitch abbia notato i segni sul mio collo, nonostante i miei tentativi di nasconderli. Forse ne ha parlato con Peeta ma immagino che in parte sia stata anche per colpa del nostro comportamento visto che dopo quella notte il fornaio si è tenuto alla larga da me ed è tornato solo dopo una settimana, distrutto almeno quanto me e chissà, forse altrettanto solo.
Qualcosa di strano è accaduto nell’ultimo mese, qualcosa che non ritenevo possibile: quel dente di leone ha messo radici nel mio cuore riempendomi la testa di illusioni che all’improvviso non sembravano così folli, nemmeno a me. Svegliarsi al fianco di Peeta, vedere il suo sorriso mentre mi porge i dolcetti per la nipotina di Sae, lavorare alla sua panetteria, occuparmi alla meglio della casa, leggere il libro delle piante mentre Peeta si dà da fare in cucina era diventata una routine così perfettamente normale. E Peeta. Ci sono stati istanti in cui ho creduto che provasse ancora qualcosa per me, istanti in cui un suo sorriso riusciva a farmi pensare che magari anche io avrei potuto…
- Resto. – 
Non è la parola che mi aspettavo, quella che avrebbe dovuto mandarmi in mille pezzi eppure, in un modo tutto suo, lo fa.
Sento le mani di Peeta vacillare nelle mie quindi mi faccio forza stringendole più forte e provando a mettere insieme le parole, invidiando ancora una volta il fornaio per le sue abilità di oratore.
- Peeta non posso prometterti che non riaccadrà di nuovo e so che tu non puoi prometterlo a me anche se vorresti. Quello che è successo una settimana fa e stanotte non ha importanza finché continuerai a combatterlo e io credo in te. Anche tu avevi iniziato a farlo e con ottimi risultati, non puoi negarlo. Non mollare adesso Peeta, ti prego. E non mollare me – dico in un soffio, combattendo contro il solito istinto di restare in silenzio e tenermi tutto dento.
Il ragazzo del pane sospira ancora ma ricambia la stretta delle mie mani e mi attira con delicatezza a sé, abbracciandomi, in silenzio.
Quando scioglie l’abbraccio il suo viso è solo a pochi centimetri dal mio. Non ha detto ancora nulla.
Poggia la sua fronte contro la mia ricordandomi quella notte nella capanna, quando venne a cercarmi nei boschi e ci siamo ritrovati febbricitanti in una posizione simile.
Quando ci siamo baciati.
Osservo le sue labbra all’improvviso così silenziose e sento il mio cuore battere più forte fino a rabbrividire quando, involontariamente, sfiorano in modo impercettibile le mie nello scostarsi via.
Ha un’espressione strana che, paradossalmente, non riesco a distinguere se imbarazzata o completamente a suo agio.
- Anche io non voglio dimenticare – dice quando ci sistemiamo di nuovo a letto e io appoggio la mia testa sul suo petto.
- Non voglio dimenticare quello che ci è successo e non voglio dimenticare questo momento. E non voglio mollare. Niente.–
Le sue parole mi riportano all’incubo appena fatto ma la mia agitazione viene subito spenta da un bacio tra i capelli.
Inoltre Peeta ha detto che non vuole mollare niente.
Mentre mi chiedo se in quel niente sia inclusa anche io, lascio che il suo bacio mi culli verso sogni più tranquilli.

Al mattino non è la luce del sole a risvegliarmi ma il vento che penetrando dalla finestra aperta soffia sulle mie braccia scoperte, facendomi avvertire un po’ di freddo.
All’inizio l’aria fresca sulla pelle mi dona una sensazione piacevole ma dopo un po’ inizio a rabbrividire svegliando Peeta che mi saluta sussurrando un “buongiorno”.
La giornata tuttavia si prospetta grigia e uggiosa e sebbene ricambi il saluto, sento che sarà tutt’altro che buona - e non solo per il brutto tempo. Sembra infatti che si stia preparando un bel temporale.
Quando Peeta accenna alla colazione rispondo che preferisco restare a letto, ancora spossata per la notte trascorsa e stranamente inquieta.
Mi avvolgo ancora di più nelle lenzuola tirandole a me e scoprendo involontariamente Peeta sul lato sinistro.
- Hey! - mi rimprovera scherzosamente lui - Ladra di coperte! -
La sua accusa e la sua voce ancora un po' assonnata riescono a strapparmi un debole sorriso che addirittura diventa una risata quando, dopo una finta lotta per ottenere di nuovo la sua parte di coperta, Peeta inizia a farmi il solletico.
Non ho mai sofferto il solletico se non in un punto, che Peeta scova dopo pochi secondi; quando la sua mano sfiora la mia pelle appena sotto la scapola provo a trattenere la risata ma non c'è nulla da fare.
Col fiato corto provo a liberarmi dalla sua presa e alla fine riesco a sfuggirgli arrotolando ancora di più il mio corpo tra le coperte e lasciando Peeta completamente scoperto.
Ora posso notare meglio lo strappo lungo la sua maglia o il pantalone che si appiattisce d'un tratto là dove avrebbe dovuto esserci la sua gamba ma, all'improvviso, tutto quello che conta sono i due occhi azzurri che mi fissano  in una tenera espressione da cucciolo bastonato.
- Non vale così, imbroglione - borbotto sbrogliandomi dalle coperte e porgedogliene un lembo, nella speranza che non mi abbia vista arrossire.
La cosa però mi riporta alla sera precedente, alle mie parole e alle labbra di Peeta che hanno sfiorato per un istante la mia bocca.
Mi sforzo di cacciare via questi stupidi pensieri prima che il ragazzo del pane smetta di ridere per festeggiare la sua vittoria e possa accorgersi del mio imbarazzo.
Quando finisce Peeta mi prende la mano e mi dice, senza ulteriori preamboli:
- Ora mi dici perchè vuoi restare a letto? Sei solo stanca o il motivo riguarda ieri sera? -
Nella sua voce si scorgono note di preoccupazione, soprattutto nel formulare la seconda domanda.
- È quel sogno. E questa giornata. Non so, sento non sarà affatto delle migliori - confesso ricambiando la sua stretta.
- Vedremo se sarai della stessa opinione dopo una delle mie fantastiche colazioni - asserisce Peeta con aria di sfida per poi sorridermi dolcemente.
Sento il mio stomaco accettare la sfida con una improvvisa fitta ma probabilmente oggi sarà una giornata vuota e qualsiasi cosa metterò nella pancia non sarà mai abbastanza, nonostante ora il cibo non sia più una preoccupazione.
- Grazie - è l'unica cosa che riesco a dirgli in risposta.
- Grazie a te, per ieri. Le tue parole mi sono state davvero d'aiuto - mi sussurra Peeta nell'orecchio.
Poi mi dà un bacio sulla guancia e abbandona la stanza, diretto in cucina.

Quando suona il campanello io e Peeta abbiamo appena finito di mangiare.
Il fornaio ci ha messo un po' ma alla fine ha preparato una colazione che sarebbe bastata per una decina di persone: frittelle, biscotti, dolci ripieni di crema e pane dolce con una deliziosa cioccolata calda.
Abbandono la tazza che ho vuotato della seconza razione di cioccolata e controvoglia mi alzo per andare a vedere chi è mentre Peeta prova a rimediare alle due enormi macchie sulla sua maglia già malandata a causa mia.
- Vado ad aprire - gli dico ma lui, distratto, mugugna: - Che pasticcio! Forse dovrei provare in bagno con dell'acqua... -
Esco dalla stanza e di nuovo, come stamattina, il vento raggiunge le mie braccia facendomi rabbrividire.
Raggiungo in fretta la finestra in fondo al corridoio e la chiudo.
C'è qualcosa di strano nel vento questa mattina, qualcosa che mi turba.
Il campanello però suona di nuovo e non mi permette di pensare oltre.
Probabilmete sarà Haymitch, ubriaco e affamato, sia di cibo che di giovani mentori da prendere in giro.
Ma quando apro la porta nella mia testa l'immagine del mentore è allontanata subito da quella in carne ed ossa dell'ultima persona al mondo che avrei immaginato qui al distretto dodici.
Per un brevissimo istante ho pensato - o sperato? - che fosse Thom ma poi il dubbio, già fugace, è stato spazzato via da due semplici parole.
- Ciao Catnip. -

*******

Cosa? Qualcuno vi ha detto che avrei pubblicato a fine mese? Mh, dite che quel qualcuno ero io?

SAAAAAAAAAAALVE :D
Eccomi in anticipo perchè boh. In realtà è una triste e lunga storia. No scherzo, è che sono reduce da una lunga giornata passata a disegnare linee random su un foglio (esame di Tecniche della Rappresentazione che tu sia dannato!) e avevo bisogno del supporto dei miei numerosissimi fan!
*balla di fieno e frinire di cicali*

E quindi... Ehm... GALE!
Che ne pensate? Muahahahahahahahah
(no davvero, sto male, sto pensando anche di cancellare la nota e scriverne una decente in cui non sembro pazza ma mi scoccio troppo di ricominciare XD)
Vabè, seriamente, fatemi sapere le vostre opinioni su Gale, i due piccioncini, la storia, il mio italiano inesistente e tutto quello che vi viene in mente! Non sapere quanto mi fa piacere leggerle! :3

Ancora, come sempre, un ringraziamento a tutte le persone che in qualche modo seguono questa storia. Siete dolcini ♥

E grazie anche alla mia Cccchhh, compagna fedele in questo tour disperato di disegni e non solo. Grazie perchè mi sopporti/supporti e perchè non hai lanciato dal balcone la scatolina di Budapest ♥
(Ah, giovincelli, eccovi il link della sua bellissima fanfic:
 http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=2494551)

Per il resto potrei dirvi una data a caso per il prossimo aggiornamento ma onde evitare altri miei colpi di testa vi dico solo che proverò ad aggiornare il prima possibile ♥
(Grazie anche a voi per la sopportazione, io probabilmente mi odierei XD)

Alway remember: #Peetaaudacecipiace #moreshirtlessPeetaforeveryone
Baci,
Sara ♥

May the odds be ever in your favor.

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Capitolo 13
*** Capitolo Tredici ***


Il vento fa ondeggiare la mia maglia larga.
Gale è ancora sulla soglia della porta e aspetta una mia risposta ma per me il tempo si è come fermato.
Guardo quegli occhi grigi, occhi da Giacimento, e mi sembra quasi di vedervi dentro la mia espressione dura e gelida, impenetrabile. Quasi quanto il loro colore.
Vorrei urlargli contro, abbandonarmi alla rabbia come sfogo, colpirlo o scappare via. Vorrei fare qualunque cosa ma non ci riesco.
Il vento ha spazzato qualsiasi cosa dentro di me, lasciandomi lì impalata, un vuoto involucro di carne ed ossa rigido e silenzioso.
- Catnip... -
Ancora quella parola. Quella vecchia parola. Quante volte l'ho sentita pronunciare da quelle labbra?
E quante volte, al suo suono, mi sono girata istantaneamente verso il volto che mi sta davanti?
- Katniss, ti prego, mi stai facendo paura. Dì qualcosa. -
Le sue parole mi raggiungono come un lontano eco ma alla fine riesco a sciogliere la mascella dalla morsa di ferro che la serrava involontariamente per chiedergli:
- Cosa ci fai qui? -
Un triste sollievo trova espressione sul suo volto.
- Giorni di licenza. Volevo salutare la mamma e i ragazzi... E te. -
- Gale... -
Pronunciare il suo nome fa male eppure per un istante mi trovo a combattere contro l'impulso di abbracciarlo.
- ... Non so se ce la faccio - ammetto in un sussurro e forse è la cosa che mi fa più male, perchè, all'improvviso, realizzo che davvero non so se riesco a sostenere la sua presenza. La presenza del mio migliore amico.
Mi sento esausta e provata come stamattina, quando ho ripensato all'incubo di ieri, se non peggio.
Gale afferra gli stipiti della porta con le sue mani grandi e forti, quasi a voler disintegrare il legno sotto la sua presa. La sua espressione è un misto di frustrazione e dolore.
- Katniss dammi solo una possibilità. Non ti chiedo altro. Io... - mi dice prima di interrompersi quando sente dei rumori provenire dal piano di sopra.
Peeta. Quasi mi ero dimenticata di lui.
- Gale devi andare - gli dico, terrorizzata.
Non posso permettere che Peeta abbia un attacco. Non stamattina, non a causa di Gale.
Provo a spingere via Gale ma le mie deboli braccia, ancora leggermente chiazzate a causa della pelle innestata, ottengono scarsi risultati contro il suo corpo robusto.
Gale allontana le mani dagli stipiti per afferrare le mie spalle e portare così il suo viso più vicino al mio, costringendomi a guardarlo negli occhi.
- Lui è qui? - mi chiede stupefatto per poi allungare la mano verso il mio collo sfiorandolo con le dita.
- È stato lui? -
C'è qualcosa nel suo tono di voce quando pronuncia "lui" che mi manda sui nervi.
- Peeta è qui. Ti prego di andartene. E non toccarmi - gli dico alzando la voce, gelida, allontanando la sua mano.
Mi sembra di sentire ancora la lieve pressione delle sue dita sul mio collo, là dove immagino siano ancora visibili i pallidi lividi causati da Peeta, ma ora le sue mani sono poggiate di nuovo sugli stipiti della porta.
- È stato lui? - ripete in un ringhio e ora nei suoi occhi vedo ardere un fuoco grigio che mi paralizza.
Eppure devo trovare il modo di farlo andare via.
Tiro un profondo respiro, pensando a cosa dire ma troppo tardi.
- Katniss che succede? Sento gridare... -
Impreco mentalmente per aver alzato la voce e per la stupida insistenza di Gale.
Sento i passi di Peeta raggiungere le scale e fermarsi quando raggiungono metà scala. Mi volto immediatamente verso di lui, cercando un qualsiasi indizio sui suoi pensieri ma il suo volto è una maschera senza espressione. Mi sembra quasi di essere di nuovo nel mio incubo.
- Cosa ci fa Peeta Mellark seminudo a casa tua? - esplode Gale alla sua vista.
Ci impiego un po' per dare senso alle sue parole ma poi mi accorgo che effettivamente Peeta non indossa la maglia e quando mi giro verso Gale ho la conferma del suo enorme fraintendimento.
Mentre provo a cercare le parole per spiegare la situazione, Peeta continua a restare immobile.
- Cosa ci fa qui? - è tutto quello che dice, dopo un lasso di tempo enorme, proprio come ho fatto io.
La risata amara e sprezzante di Gale raggiunge le sue parole dopo pochi istanti.
- Ti riferisci a me fornaio? Cosa ci faccio io? Cosa ci fai tu! Io... Io... Non posso crederci. Katniss devi essere completamente impazzita! È un pericolo! Guarda che ti ha fatto! E tu... Tu... Ci vai a... - le parole irose di Gale sembrano quasi accavallarsi ma nonostante la furia non riesce a completare la frase.
Improvvisamente Peeta mi raggiunge e mi sposta bruscamente di lato per raggiungere Gale e in un solo rapido e fluido movimento assestargli un pugno in faccia, cogliendolo di sorpresa.
Sento una prima lacrima solcare il mio viso ma mi affretto ad asciugarla. Mi odio per questa mia debolezza e mi odio perchè non sono riuscita ad evitare a Peeta altro dolore. E anche a Gale.
Ma a quanto pare la cosa soprende pure lo stesso Peeta. Con la mano ancora stretta in un pugno vedo i suoi occhi, improvvisamente più scuri, schiarirsi mentre cercano i miei.
Il dolore che racchiudono è troppo grande per impedire ad altre lacrime di scendere ma la loro vista mi è concessa per poco: Peeta infatti mormora un 'mi dispiace' e scompare, oltrepassando Gale oltre la porta e lasciandoci soli.
Gale mi raggiunge lentamente tenendo una mano sul viso, nel punto in cui Peeta l'ha colpito.
Lo odio. Lo odio per essersi presentato qui all'improvviso, per essersi riferito a Peeta con quel tono sprezzante, per non avermi dato ascolto.
- Catnip - sussurra, ma non ottiene risposta.
Allunga una mano come ad accarezzarmi ma si ferma a metà strada cambiando idea.
- Io e Peeta dormiamo insieme e basta. Per gli incubi. È capitato... È successo che l'ho spaventato. L'ho colto di sorpresa, lui... - provo a spiegare troppo tardi, il mio sguardo perso nel vuoto, in direzione della porta.
- Lui è un pericolo Katniss! E lo so che le mie parole ti sembreranno crudeli ma è così! È instabile! Non mi importa se colpisce me ma tu... - mi interrompe Gale, ma per poco.
- E se non importasse nemmeno a me? Sta imparando a controllarsi! A volte non riesce a controllare le sue azioni ma non è colpa sua a differenza... -
- A differenza mia, è questo che vuoi dire? -
Gale mi afferra di nuovo per le spalle ma quando riprende a parlare il suo tono è pacato.
- Katniss non è stata colpa mia. Non avrei mai voluto che accadesse una cosa del genere. Prim... So quanto era importante per te. Quanto lo è ancora e quanto continuerà ad esserlo. Non era questo quello che speravo di ottenere. Ho dato una mano come meglio credevo per il bene della Ribellione, come hai fatto tu, come ha fatto chiunque altro, come fai a non capirlo? Non faccio altro che tormentarmi da quel maledettissimo giorno. E non faccio che chiedermi se riuscirai mai a perdonarmi. -
Le sue parole si susseguono velocemente e terminano con un rapido abbraccio, facendomi desiderare di riuscire a perdonare Gale con la stessa facilità con cui mi sono lasciata circondare dalle sue braccia. Ma le cose stanno diversamente e, inoltre, le mie braccia dovrebbero stringere un'altra persona al momento.
- Gale ho bisogno di tempo. Non è facile - è tutto quello che riesco a dirgli. Distolgo lo sguardo mentre cerco una giacca da indossare sopra la mia sorta di pigiama per raggiungere Peeta.
- Lo immaginavo. Ma ti prego, ho bisogno di sapere che ci proverai davvero e che non mi eviterai come hai fatto finora - mi dice ancora Gale, afferrando una mia mano per fermare la mia ricerca e assicurarsi che io stia ascoltando - Ti ho scritto. Ho provato a chiamarti. E sarei partito già molto tempo fa se Thom non mi avesse convinto a rimandare ogni volta. -
- Thom... ? - gli chiedo confusa, ricordando di quando circa un mese fa si comportò in maniera strana, come se avesse voluto dirmi qualcosa...
- Promettimi che ci proverai - insiste ancora e io finisco con l'annuire.
- Ora devo andare Gale - gli dico, ritraendo la mia mano.
Mi sento un po' in colpa per avergli chiesto di non toccarmi, prima, ma non posso nascondere che in effetti il contatto con la sua pelle è strano, forse perchè familiare ed estraneo allo stesso tempo.
Strano come il vento che mi ha svegliato questa mattina e che ancora ora colpisce la mia faccia, avvicinandomi alla porta.
- Va bene. -
Nonostante il suo viso corrucciato al pensiero di dove io stia andando Gale non aggiunge altro se non un'ultima frase che mi lascia sconcertata.
- Immagino che dopotutto avremmo tempo per stare insieme, soprattutto a Capitol. -
- Cosa? -
Mi giro di scatto verso di lui esattamente sotto la soglia della porta, appoggiando le mani sugli stipiti come ha fatto lui.
Capitol? Il solo pensiero mi fa rabbrividire, concatenato da tanti altri, tra cui l'incubo di stanotte. Mi costringo a ritornare alla realtà aggrappandomi ancora di più ai lisci pannelli di legno dell'arcata.
- Non ti hanno ancora avvisata? -
Il mondo intorno a me sembra rallentare e mi trovo a pensare che non sarei mai dovuta scendere da quel letto stamattina. Che avrei dovuto ignorare il vento, il campanello e bere un'altra tazza di cioccolata calda con Peeta ma che invece sono in piedi, infreddolita a causa del vento, con Gale e un orribile presentimento.
- La Paylor ha ripreso in considerazione l'idea degli Hunger Games della pace. -

Le parole "Hunger Games della pace" mi rimbombano ancora in testa quando ci raggiunge Haymitch.
La mia mente aveva come rimosso il ricordo di quella riunione, poco prima della condanna di Snow. O meglio, della Coin.
Sì. Per Prim.
Sono state queste le mie parole e non ho esitato a pronunciarle.
Il mio sguardo si perde nel vuoto, in un punto indistinto sulla maglia nera di Gale.
Hunger Games della pace. Hunger Games della pace. Hunger Games della pace.
È come un indovinello a cui non so trovare risposta. Qualcosa che va oltre la mia comprensione nonostante il ricordo appena recuperato.
- Dolcezza puoi spiegarmi perchè poco fa ho visto sfrecciare il fornaio in direzione casa seminudo? Siete impazziti o... O cielo. È tornato il soldatino. -
- Haymitch... - riesco a dire in un soffio mentre provo a contrastare il panico e a prendere aria.
Non li voglio altri Hunger Games. Non voglio altre morti, non voglio che altri sconosciuti senza volto si uniscano a quelli che ho sognato stanotte. E  Haymitch saprà come aiutarmi. Lui ha sempre saputo come aiutarmi.
Sento lo sguardo preoccupato di Gale sondare il mio viso ma Haymitch richiama di nuovo l'attenzione su di sè.
- Tranquilla dolcezza, per quanto davvero potrei passare il resto della giornata a prendervi in giro e tormentarvi per poi mettermi in disparte e guardare l'emozionante evolversi delle vostre peripezie amorose mentre mi scolo un altro paio di bottiglie di liquore, sono venuto qui per ben altri motivi quindi non dirò nulla a riguardo. Ad ogni modo, prepara le valigie. Annie è prossima al parto e Johanna si è fratturata una gamba. Dobbiamo prendere il primo treno se vogliamo arrivare in tempo. -
- Cosa? -
È troppo.  Mi lascio scivolare a terra prima che Haymitch possa ripetere quello che ha detto.
- Hey dolcezza che hai? -
Haymitch mi si avvicina ma è preceduto da Gale che mi afferra saldamente per sollevarmi di peso e portarmi dentro.
Mi lascio depositare sul divano della cucina, cercando di venire a capo dell'enorme confusione nella mia testa.
Il mentore ci raggiunge subito.
- Dolcezza calmati si tratta solo di un parto. Certo, un po' anticipato ma capita spesso e non è un problema. E Johanna sta bene, credo sia caduta dalle scale nella fretta di raggiungere Annie. Non ho capito bene ma credo che la prenderò in giro per il resto della sua vita per questo. In ogni caso tua madre mi ha assicurato che entrambe stanno benone ma che chiedono di essere raggiunte al più... -
- Mia madre? -
- Sì, sveglia fiammiferino. Per l'amor del cielo, che ti prende oggi? So che non avete un gran bel rapporto ma credo tu sappia che ora lavora al distretto Quattro, no? -
- Haymitch... Le ho detto degli Hunger Game della Pace. Pensavo tu l'avessi già fatto - spiega Gale al mio posto.
Haymitch si blocca per qualche secondo in una maschera indecifrabile, facendo cadere un pesante silenzio, acuito dal sibilare del vento.
- L'ho saputo qualche giorno fa e fidati, non era proprio il caso di riferirglielo, nè a lei nè al ragazzo - riprende Haymitch alla fine - Ma tu vieni qui e riesci a far impazzire non uno solo ma entrambi i soli due tributi che sono riuscito a salvare da ben due edizioni degli Hunger Games e da una ribellione. Complimenti soldatino e sentiti ringraziamenti! - 
Mentre Gale e Haymitch discutono provo a fare un breve conto ma ci rinuncio presto e d'altronde è inutile; Annie sta per partorire e dare alla luce il bimbo di Finnick e lui non lo vedrà mai.
Sento i suoi occhi verdi scrutarmi l'anima anche se so che quegli occhi si sono chiusi da tempo e non si apriranno più. Mi ritrovo persino a chiedermi cosa avrebbe fatto al mio posto o cosa mi avrebbe detto.
Ma qualsiasi cosa avesse fatto di certo non avrebbe mai immaginato di non poter mai vedere suo figlio nascere, crescere, dire le sue prime parole. Eppure, una voce dentro di me mi dice che Finnick non avrebbe mai immaginato nemmeno che un suo ipotetico figlio fosse costretto come lui a competere negli Hunger Games e che questo è uno dei motivi per cui ha combattuto e si è sacrificato.
Niente più Hunger Games: abbiamo tutti combattuto per questo ma appena ci è stata presentata l'occasione di una più crudele e diretta vendetta solo Beete, Annie e Peeta hanno detto di no.
Io invece mi sarei aggrappata anche alla più flebile illusione di poter colmare in qualche modo il vuoto lasciato da Prim e il desiderio di vendetta che provavo in quel momento era molto più che "flebile". E Haymitch  lo sapeva. I suoi occhi hanno incrociato i miei e ho capito che provava le mie stesse emozioni. Ma ora?
Lo guardo litigare con Gale mentre agita le mani che non stanno mai ferme ma che raggiungono il suo collo, la barba incolta, i capelli spettinati. Ha detto di sapere degli Hunger Games della pace già da qualche giorno.
Ed è mentre penso a questo che mi assale un terribile timore: e se Haymitch non avesse cambiato idea? Se li volesse ancora questi Hunger Games della pace e avesse dato per scontato che anche io li volessi ancora?
Del resto nemmeno io so spiegare questo cambiamento. E poi bisognerebbe combattere ancora, rimettere insieme i pezzi di quel che rimane di se stessi e delle proprie convinzioni e tutto per cosa?
Rimettere insieme i pezzi richiede dieci volte il tempo che serve per crollare - ricorda la mia testa e capisco che Finnick ha ragione ora come allora. Rimettere insieme i pezzi è difficile e richiede molto tempo, come guarire da una grave malattia.
Come recuperare i propri ricordi e la propria persona. Come perdonare gli altri e se stessi - penso, lanciando un breve sguardo prima alla cucina ancora sporca, dove Peeta mi ha preparato la colazione, e infine a Gale, che cerca di difendersi dalle accuse di Haymitch.
E capisco infine che un'ulteriore edizione degli Hunger Games è sbagliata, che i tributi siano sorteggiati tra i distretti o tra i ragazzini imparentati con i potenti di Capitol.
Non potrei più guardare in faccia Annie e il bambino che sta per partorire, e nemmeno Peeta, se alla fine l'idea dei Giochi fosse approvata. Perderei anche l'ultimo e piccolissimo frammento di umanità e compassione che ancora mi resta e che ho riscoperto solo da poco, per diventare definitivamente la pedina di Capitol, come ho già permesso per troppo tempo.
- Haymitch. -
Non so quanto tempo sia stata in silenzio ma appena sente la mia voce l'unico mentore che il distretto dodici abbia mai avuto si volta verso di me inchiodandomi con il suo sguardo.
- Questi Giochi sono sbagliati. Devi aiutarmi a convincere la Paylor ad annullarli - gli dico d'un fiato senza distogliere lo sguardo dal suo. Ho bisogno che sia al mio fianco, che capisca anche lui l'enorme sbaglio a cui andiamo incontro se pensiamo ancora di poter guarire le ferite che portiamo dentro con altro sangue, altre morti, altra sofferenza.
- Io dovrei aiutarti? Non vedo perchè debba convincere la Paylor a non fare una cosa per la quale io ero d'accordo... E anche tu per quel che mi risulta - risponde Haymitch con la sua aria beffarda, confermando le mie paure.
- Ci sbagliavamo, è tutto un grosso errore. Non possiamo permettergli di farlo di nuovo anche se per l'ultima volta. Non devono esserci altri Giochi e altri tributi - controbbatto provando a spiegarmi ma mi basta vedere l'espressione di Haymitch per sapere che non cambierà idea. Non così facilmente almeno.
- È tutto molto nobile da parte tua dolcezza ma io non lo sono mai stato e... Diamine Katniss credevo fossimo dello stesso parere! Tu sei stata nell'Arena, hai perso Prim, sai cosa significano questi Giochi! Non sono solo un capriccio... -
- ... Ma una vendetta che non cambierà proprio nulla e non mi restituirà ciò che ho perso! - ribatto ancora, stringendo i pugni per la rabbia.
- Mi aspettavo l'avresti capito anche tu, come me, ma evidentemente mi sbagliavo. E se proprio vuoi, lotta pure per fare di nuovo da mentore a dei ragazzini che vedrai morire dolorosamente. Io non ci sto e lotterò per il contrario. Anche se dovrò fare a meno del mio mentore - concludo, sollevandomi dal divano.
Queste parole mi costano caro ma so di non avere altra scelta; ho preso una dura decisione ma so che è quella giusta anche se dovrò fare dolorosamente a meno di Haymitch.
Anche perchè so di avere un'altra persona su cui contare.
- Vado da Peeta - dico per congedarmi, dopo di che abbandono la cucina e esco di casa.
Il vento mi colpisce in pieno penetrando in ogni spiraglio aperto dei miei abiti, congelandomi.
Il Villaggio dei Vincitori è deserto come sempre.
Mi affretto verso casa di Peeta anche se non so bene cosa dirgli, da dove iniziare, come fargli capire quello che penso e che provo. Come sempre.
- Katniss. -
La parola raggiunge le mie orecchie trasportata dal vento che soffia contro la mia schiena.
Mi volto e Gale è a qualche metro da me. Mi si avvicna e mi porge la giacca che che cercavo questa mattina: la giacca di mio padre.
- Sicura di volerci andare? Da sola? - continua, preoccupato.
Afferro la giacca e la infilo velocemente, grata della protezione che mi offre contro il vento gelido.
- Gale non ho bisogno di nessuna guardia del corpo e scusa, ma devo davvero andare - gli rispondo ma quando lui dopo qualche secondo volta le spalle per andarsene aggiungo:
- Grazie per la giacca. -
- Di niente Catnip - risponde per poi allontanarsi verso l'uscita del Villaggio.
Mentre se ne va, provo a immaginare la sua espressione triste e preoccupata e i suoi occhi grigi, come i miei, che non vedevo da molto tempo e che, me ne accorgo solo ora, in qualche modo mi erano mancati.
Quando infine la sua figura scompare dalla mia vista mi volto e raggiungo la porta della casa di Peeta, tiro un lungo respiro e busso.

*******

Hello people!
Sorpresi di vedermi così presto, senza nemmeno dover aspettare un mese? XD
Da dove iniziare... DITEMI CHE QUESTO CAPITOLO VI PIACE O POTREI MORIRNE!
Ok, sono su di giri per come si stanno mettendo le cose: Gale, Annie e il bambino, la madre di Katniss, i Giochi della Pace, Haymitch... AAAAH sono troppo contenta di questo capitolo, sì, ce n'è per tutti i gusti u.u
Maaaa... La mia opinione non conta u.u Spero davvero che piaccia anche a voi e se così fosse (ma anche se non vi è piaciuto!) fatemelo sapere in una recensione!
(Tranquilli non morirò davvero)
(Forse)
Anyway, come sempre voglio porgere enormi e "sentiti ringraziamenti" ai miei cari recensori e anche a chi invece legge in silenzio e segue la storia ♥
Siete una delle rare gioie nella sequenza infinita di "mai una gioia" che è la mia vita XD


Ma se proprio volete saperlo un'altra gioia (una delle più grandi eh u.u) è la mia Ccchh ♥ Senza di lei sarei persa e per questo la ringrazio per l'enorme aiuto che mi dà, con la storia e in generale, nella vita XD
(Ragazzi lo so, ve la dovete sorbire a ogni capitolo questa sviolinata u.u ♥)
Ah, e, cosa molto importante, la devo ringraziare anche per aver scritto una delle fanfiction più belle su Hunger Games sìsì u.u Vi lascio come sempre il link: 
http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=2494551. Se ancora non l'avete fatto, andate a leggerla tutti, svelti! :3

E quindi boh. Sono contenta. (L'ho già detto, lo so)
Ci sentiamo al prossimo capitolo?
Abbracci,
Sara ♥

May the odds be ever in your favor.


P.S, (26/10/14)
Panico! Giuro che non ho avuto un secondo per scrivere! E mi dispiace davvero tanto perché mi sono venute pure un paio di idee ma davvero non so quando riuscirò a metterle per iscritto. Spero abbiate la costanza e la pazienza di aspettarmi >.< Io intanto proverò a darmi da fare, I promise. (sìì, lo so, dico sempre così XD)
Mi aspetterete? ♥
Baci, Sara :3

May the odds be ever in your favor.

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Capitolo 14
*** Capitolo Quattordici ***


Peeta mi guarda con sospetto, indugiando sulla porta quasi a nascondersi, come se avesse paura .
- Devo parlarti – esordisco mentre sento abbandonarmi la sicurezza di qualche minuto prima e premere l’istinto di scappare via per rifugiarmi in qualche angolo buio di casa mia.
- È una pessima idea. Gale ha ragione. Corri da lui prima che… - mi risponde, senza terminare la frase.
- È per la Paylor. Vuole organizzare gli Hunger Games della pace. –
Rapida e priva di ogni tatto, la risposta mi sfugge prima che possa rendermi conto di quello che ho detto.
Vedo Peeta spalancare i suoi occhi azzurri per la sorpresa e lasciare andare il braccio che teneva la porta semichiusa. Si allontana di qualche passo e attraverso i suoi occhi vedo scorrere nella sua testa un’infinità di pensieri e, per la seconda volta questa mattina, rivedo in lui la mia stessa reazione.
Entro dentro chiudendo la porta alle mie spalle, sperando con tutto il cuore che Peeta capisca. Ho bisogno di lui ora come nell’arena, come quando l’ho trovato nella stanza di Prim, come quando mi ha lanciato quelle pagnotte bruciate. Ho bisogno del suo aiuto, del suo supporto, del suo coraggio.
- È impossibile. Era la Coin a volere quei Giochi.-
La sua voce è ferma ma dubbiosa, come se stesse provando a convincersi di una cosa di cui non è completamente certo.
- Lo so ma… - provo a spiegargli ma vengo interrotta.
- Era la Coin a volere quei Giochi. Vero o falso? -
Le ultime parole mandano in frantumi l’ultimo briciolo di sicurezza; la riunione è avvenuta dopo il suo depistaggio, non fa parte dei ricordi impiantati o modificati dal veleno degli aghi inseguitori.
- È vero. Ma la Paylor ha deciso di riorganizzarli. Non so di preciso cosa sia successo ma… -
- E tu… Tu hai votato di sì. Anche tu li volevi. E anche Haymitch. Eravate favorevoli. Hai detto che era per Prim. –
Distolgo lo sguardo dal suo viso, provando a respingere il senso di accusa che provo nel sentire le sue parole.
- Vero o falso? –
- Vero – sussurro, sollevando di nuovo lo sguardo.
Non so cosa mi aspettavo di vedere, probabilmente credevo che ad osservarmi ci fossero due occhi neri o una mano tesa pronta a strangolarmi, ma non c’è nulla di tutto ciò.
C’è Peeta con i suoi occhi limpidi, interdetto e deluso. Credeva gli avrei risposto che era falso, che non era vero fossi favorevole. Credeva fossi una persona migliore ma non ho potuto dargli la conferma che lui cercava.
- Chi ti ha detto dei Giochi? – mi chiede quando vede che non accenno a parlare.
- Gale, anche se pensava che io già lo sapessi. Haymitch sapeva già tutto – rispondo, la voce leggermente roca.
Peeta si limita a scuotere la testa, non ancora convinto della faccenda.
- E ha detto anche che non intende aiutarmi – concludo.
Il fornaio ferma il movimento della sua testa .
- Aiutarti a fare cosa? – mi dice mentre stringe le braccia al petto, a disagio.
- Ad annullare i Giochi –
Ora Peeta appare ancora più confuso e, in cuor mio, non riesco a dargli torto così provo a spiegarmi meglio.
- Ho fatto uno sbaglio Peeta. Vorrei essere abile come te con le parole e trovare quelle giuste ma non penso che riuscorei comunque a nascondere di aver pensato ai Giochi come a un’occasione per vendicarmi. Mi dispiace. Ho capito di aver sbagliato solo ora che la faccenda si è presentata di nuovo, insieme alla notizia del bambino di Annie e… -
Non termino la frase. Il nome di Finnick mi si strozza in gola, senza un preciso motivo.
- Il bambino? Katniss ma cosa stai dicendo? –
Peeta ormai è nella confusione più totale ed è stranamente inquieto. Provo ad assumere un tono calmo nonostante ora sia anch’io visibilmente agitata e a spiegargli tutto d’accapo, cercando di essere chiara e dando ancora qualche minuto al ragazzo del pane per riflettere.
Noto che ha indossato una maglia pulita, di un arancione sbiadito che mi riporta in mente un certo discorso fatto molto tempo fa, quando Peeta mi confessò il suo colore preferito. Sembra una maglia molto vecchia ma non ricordo di averla mai vista.
- Sono confuso, sembra tutto così irreale. Che hai intenzione di fare Katniss? – mi dice alla fine il ragazzo del pane.
- Non lo so. Non ne ho la più pallida idea Al momento credo ci aspettino al distretto quattro.Per il resto non so quanto siano andati avanti con questa idea, immagino che dopo dovremo andare a Capitol per capire com'è la situazione - rispondo con tono fintamente risoluto.
Solo ora che l'ho detto ho realizzato il fatto che dovrei tornare nello stesso posto dove Prim è morta. Sento improvvisamente l'aria farsi più pesante, soprattutto quando Peeta si allontana velocemente da me.
- NO! - esclama, spaventato.
Mi occorre ancora qualche secondo per capire di non aver considerato ancora un'altra cosa: Capitol è il posto dove Peeta è stato torturato. Dove è stato depistato. Dove ha desiderato la morte.
Come posso essere stata così insensibile? Come ho fatto a pensare che Peeta mi avrebbe appoggiato ciecamente ? Come ho fatto a non pensare ancora una volta a cosa significa per lui tutto questo?
Guardo in silenzio il ragazzo del pane voltarmi le spalle mentre prova a calmarsi e stringe forte i pugni.
- È una trappola - è tutto quello che dice, dopo un'eternità.
- Cosa? -
- Volete portarmi di nuovo a Capitol con l'inganno. Hai inventato tutto questo. Tu e Gale aspettavate solo il  momento giusto. -
Una alla volta, le sue parole mi trafiggono mentre sento crollare via in un solo istante tutto quello che io e Peeta abbiamo costruito dal nostro rientro al distretto Dodici.
Rivedo Peeta a Capitol, i segni delle manette sui polsi, gli occhi scuri, la sua espressione implorante mentre mi chiede di ucciderlo.
Corro ad abbracciarlo prima che sia troppo tardi e Peeta si allontani di nuovo da me, per sempre. Le mie braccia non rescono a circondarlo tutto ma vi si aggrappano disperatamente.
- È tutto falso Peeta. Tutto falso. Non è reale - ripeto con voce tremante almeno una decina di volte.
- Non ce la faccio Katniss. Non ce la faccio. È nella mia testa. Come faccio a sapere sempre a cosa credere? Come? -
Peeta si volta verso di me, gli occhi lucidi pronti alle lacrime che si schiariscono.
- Mi stai chiedendo troppo Katniss. Capitol è... Non ce la faccio a tornarci. Mi dispiace. -
La sua voce ora si indurisce e le mani, ferme, spazzano via le lacrime che non ha ancora versato.
- Capisco - gli dico, e una piccola parte di me lo crede davvero. L'altra, egoista, non riesce nemmeno a immaginare un simile rifiuto, probabilmente perchè non se l'aspettava minimamente.
- Devo andare - dico ancora, schiarendomi la voce, provando a non far trapelare niente, nessun pensiero, nessuna emozione. La cosa, stranamente risulta più facile di quanto mi aspettassi: per la seconda volta nella giornata mi sento vuota, il che è assurdo se penso a tutto quello che è accaduto intanto.
Peeta si limita ad osservarmi senza dirmi una parola.
L'aria si fa ancora più pesante.
Quelle due parole erano un'ultimo e disperato  'Resta' ma questa volta non c'è stato nessun 'Sempre'.
C'è solo il vuoto.

Guardo Haymitch prendere abiti alla rinfusa dal mio armadio per riporli a casaccio in una valigia. Non ho avuto il coraggio di parlargli, nonostante mi abbia tempestato di domande.
Sono semplicemente corsa nella mia stanza per tuffarmi di nuovo nel letto, facendo finta di ignorare l'enorme vassoio su cui c'era la colazione preparata da Peeta.
Mi giro dall'altro lato in modo da non guardarlo e mi copro con la coperta fino al mento.
Varcata la soglia di casa ho pensato che forse ero ancora in tempo per tornare a letto e far finta che non fosse successo nulla.
Haymitch mi raggiunge in stanza qualche istante dopo; probabilmente aspettava che rientrassi, ma so per certo che non ho intenzione di parlargli del ragazzo del pane e di come anche lui non mi abbia voluto aiutare. O peggio, di quanto sia stata insensibile ancora una volta nei suoi confronti.
Alla fine Haymitch mi rivolge uno sguardo truce e scompare dalla stanza per riapparire solo più tardi con la valigia in mano. Quando vede che non accenno a muovermi impreca e si mette a lavoro, facendo cadere la "conversazione".
Provo a mettere a tacere i miei pensieri osservando il mio mentore per un paio di minuti, giusto il tempo che mi guardi a metà tra l'arrabbiato e l'annoiato per dirmi:
- Il primo treno utile per il distretto quattro è tra un paio d'ore.  Arriveremo in nottata. Ti passo a prendere un po' prima per andare in stazione. E per l'amor del cielo, la biancheria te la prendi da sola! -
Quando Haymitch se ne va controllo l'ora per poi abbandonarmi ancora un po' al tepore della coperta. Senza che me ne accorga cado in una sorta di dormiveglia mentre davanti ai miei occhi compaiono immagini dai contorni confusi. Mi sveglio prima che la mia mente possa mettere a fuoco quelle immagini e scoprire cosa raffigurano; non posso avere altri incubi, non ora che sono sola. Anche se qualcosa mi dice che proprio per questo, tornerrano presto.
Mi preparo in fretta e furia facendo una doccia veloce per poi aspettare Haymitch in salotto, fissando il vuoto, concentrandomi unicamente sulla mia prima destinazione e pensando per la prima volta alla possibilità di incontrare mia madre. Mi rincuora solo il fatto che sia una possibilità: in fondo c'è sempre una probabilità che decida di non farsi vedere, il che forse è meglio.
Non sono pronta a rivederla. Non ho la forza di affrontare anche lei e il suo dolore; ho già il mio da sopportare. Ho già il mio da preparare per quando sarò a Capitol, da sola.
Il suo pensiero però mi riporta al libro delle piante che è ancora nella mia camera e corro a prenderlo, trovando un po' di sollievo nel rileggere ancora le sue pagine.
Quando Haymitch bussa alla mia porta, solo, do un'ultima occhiata al salotto e all'ingresso, entrambi scuri e silenziosi, prima di uscire fuori con la mia valigia, dentro cui ho infilato con forza anche il libro.
- Hai preso tutto? - mi chiede annoiato e io gli rispondo annuendo.
- Immagino sia un passo in avanti - conclude.
Mi chiedo se abbia parlato con Peeta. Il fatto che sia venuto a bussare alla mia porta da solo e che non accenni a dirigersi verso la porta del fornaio me ne dà la conferma.
Mentre camminiamo per le strade del distretto veniamo fermati un paio di volte da alcune persone che si mostrano preoccupate: fortunatamente Haymitch risponde per entrambi e riferisce la notizia del bimbo di Annie. Vorrei poter ricambiare i loro sorrisi mentre ci salutano ma la cosa mi risulta difficile; mi limito a salutarli con un cenno della testa e tiro dritto, sperando allo stesso tempo di arrivare il più presto possibile al distretto quattro e di non arrivarci mai.
Nei pressi della stazione veniamo fermati infine da una voce familiare.
- Katniss! -
Thom corre verso di me e afferra la mia valigia.
- Lascia, la porto io. Ho provato a raggiungerti a casa ma eri già uscita. So tutto, ho parlato con... -
Thom si zittisce improvvisamente con aria colpevole.
- Mi dispiace Katniss, avrei dovuto parlartene - sossurra alla fine guardandosi i piedi.
- Avresti dovuto - gli dico mentre riprendo la mia valigia.
- Andiamo Katniss, non sapevo niente di quest'ultima sua idea. Ok, è da circa un mese che aveva in programma di venire qui al dodici ma l'ho sempre persuaso a rimandare. Non volevo metterti altri pensieri per la testa. Nè volevo far soffrire ancora lui visto che le cose con Peeta... -
Thom lascia di nuovo la frase in sospeso ma questa volta è Haymitch a prendere la parola mostrando un raggiante quanto ironico sorriso:
- Le cose con Peeta...? Su giovanotto, continua, sono curioso. -
- Thom lascia stare - dico in tono brusco, in parte perchè non mi va di parlarne, in parte per zittire Haymitch.
- Dai Katniss, abbiamo ancora un po' di tempo e ci tengo ad essere aggiornato. Vediamo... Ti riferisci al fatto che nell'ultimo mese i due hanno praticamente vissuto insieme? Colazioni, pranzi, cene e notti comprese? O al fatto che lei sta facendo ricostruire la panetteria di famiglia? -
Lancio a Haymitch un'occhiata collerosa cercando di reprime la sorpresa nell'apprendere che è a conoscenza dei miei piani riguardo la vecchia panetteria Mellark, anche se più che rabbia il mio è principalmente dolore.
- Come potrai notare la convivenza è finita: Peeta non è qui - rispondo.
Thom è senza parole e ha la faccia di una persona che si scaverebbe volentieri una fossa nel terreno. Mi sento quasi in colpa per essere stata così brusca con lui; in fondo so che non è colpa sua se Gale è tornato e so che non avrebbe comunque potuto evitarlo.
- Ci vediamo - lo saluto provando ad addolcire il mio tono fin troppo tagliente,  per poi allontanarmi, seguita  a ruota dal mio mentore che ora sembra meno in vena di risate.
Risate che sono decisamente ben lontane dalla sua testa alla vista del treno. Tuttavia a me basta ancor meno e sento una strana angoscia farsi avanti già solo osservando la stazione. O quel che ne rimane. L'edificio che prima permetteva l'accesso ai binari infatti non c'è più e ne rimangono ormai solo dei detriti allontanati dai binari e, al suo posto, una specie di tendone, grigio quasi quanto il cielo che lo sormonta.
Al mio rientro da Capitol non vi avevo fatto quasi caso. La distruzione dentro e fuori di me non mi ci hanno fatto prestare troppa attenzione immagino.  Il treno però desta un'inquietudine ancora più grande; stringo la presa attorno all'impugnatura ruvida della valigia desiderosa che al suo posto vi sia la mano del ragazzo del pane, calda e solida e sospiro. Una, due, tre volte.
Haymitch non muove un passo. Sembra entrato in una sorta di trance da cui si risveglia solo quando una folata di vento alza un enorme polverone che ci costringe a riparare i nostri occhi.
- Che fortuita combinazione - commenta borbottando -Muoviamoci, il nostro treno ci attende. -
Il nostro treno. Il treno che ha accompagnato per molti anni i tributi del distretto dodici verso la morte. Eccetto tre.

Siamo soli nel treno, fatta eccezione dei due macchinisti che fanno cenno ad Haymitch al nostro arrivo. A quanto pare il treno ora viene usato come treno merci.
- Ogni risorsa rimasta al paese è essenziale. Mi dispiace per la vostra sfortunata coincidenza - ci dice uno dei due mentre ci accompagna verso le prime carrozze. Ci spiega che solo le prime due conservano ancora qualche poltroncina, mentre le altre, ora vuote, servono al trasporto di merci provenienti dagli altri distretti. Vedo Haymitch fare una strana smorfia ma non aggiunge nulla e io non chiedo spiegazioni.
La mia voglia di parlare, già bassa, si è del tutto azzerata.
Una volta saliti a bordo del treno deposito la mia valigia in un angolo del vagone, ora molto più spoglio di come lo ricordavo; tutto quello che rimane infatti sono quattro poltroncine e un tavolo scuro e lucido, circondato da quattro sedie. Quando mi ci avvicino noto un piccolo ma deciso solco che sfioro con le dita.
- Attenta dolcezza - mi dice Haymitch osservandomi - quello è mogano! -
Il ricordo di Effie rievocato dall'imitazione del mentore riesce a strapparmi un debole sorriso, troppo teso per poter essere definito vero.
Seguo Haymitch che intanto ha mollato il suo zaino accanto al mio per poi recarsi verso le poltroncine.
Prendo posto anch'io e mi stringo nella giacca, osservando il paesaggio fuori al finestrino.
L'altro macchinista ci raggiunge poco dopo.
- Due minuti e partiamo. Arriveremo al distretto quattro poco dopo la mezzanotte - ci informa.
Annuisco in risposta, anche se sento aggiungersi ulteriore nervosismo al mio stato d'animo già fortemente instabile.
Haymitch fa un cenno con la mano e li ringrazia per poi portarla, una volta che i due escono, al petto, sotto la giacca, per estrarre la sua amata bottiglietta.
Tira giù un lungo sorso e la rimette a posto per estrarre, con mia sorpresa, un piccolo libro che inizia a leggere. Sono curiosa di sapere di cosa si tratti ma una breve occhiata del mentore mi convince ancora una volta a non porre domande e a restare zitta al mio posto con le ginocchia al petto, mentre tormento nervosa la fine della mia treccia fino a quando sento accendersi i motori del treno.
Fisso un punto indistinto tra le case del distretto e le macerie ancora presenti iniziando a tremare.
Provo a bloccare le mie mani afferrando i braccioli della poltrona ma è del tutto inutile, soprattutto quando il treno inizia finalmente a muoversi facendomi sussultare.
Ma il mio sussulto è dovuto anche alla strana immagine che compare improvvisamente davanti ai miei occhi.
In fondo al treno infatti, vicino al tendone che sostituisce la stazione, c'è Peeta che corre arrancando, trascinando una borsa. Mi ci vuole qualche secondo per riuscire a trovare il pieno controllo del mio corpo e alzarmi per poter aprire con difficoltà il finestrino.
- Katniss! -
La voce di Peeta è come un balsamo; sento la tensione di prima esplodere in lacrime che senza preavviso solcano il mio viso. Ma il treno inizia a muoversi più in fretta e Peeta, che ha quasi raggiunto il vagone inizia a strillare qualcosa sul fermare il treno.
Come un fulmine mi allontano dal finestrino nello stesso istante in cui Haymitch invece lo raggiunge, in direzione della cabina di guida.
Attraverso correndo il vagone che la separa del mio lanciando uno sguardo disperato ai finestrini per scorgere Peeta solo alla fine, quando batto forte i miei pugni contro la porta della cabina e unisco la mia voce alle grida di Peeta.
- Fermate il treno! Fermate subito il treno! -
Le mie parole, fortunatamente vengono ascoltate e il treno inizia a rallentare mentre la porta viene aperta e ne esce un macchinista con sguardo sconcertato.
- Peeta. Deve salire a bordo - è tutto quello che riesco a dire, trafelata e in lacrime mentre ricevo un'occhiataccia.
Probabilmente si sta preparando a farmi una ramanzina ma non ci bado e, mentre il treno rallenta ancora, corro alla porta della carrozza inseguita da Peeta.
Attraverso il vetro della porta vedo il suo viso arrossato e sudato per lo sforzo, i suoi capelli biondi arrufati dal vento e i suoi occhi che si incatenano ai miei, ancora bagnati.
Non mi ha abbandonato - penso, mentre un'altra lacrima si fa spazio.
Quando finalmente il treno si ferma e le porte si aprono allungo una mano verso il ragazzo del pane e lo attirò a me , buttandogli le braccia al collo e piangendo.
Non lo meriterò mai. Non meriterò mai il suo affetto, la sua cura, le sue attenzioni, la sua infinità bontà eppure lui è qui, tra le mie braccia.
- Potrei vivere mille vite... - balbetto afferrando il suo viso tra le mie mani ma uno strano imbarazzo mi blocca e lascio ancora una volta che sia il silenzio a parlare.
Stringo la sua testa al mio petto sfruttando la differenza di altezza creata dai gradini per raggiungere la carrozza mentre affondo il volto tra i suoi capelli.
Peeta, che fino ad ora è stato zitto mi stringe più forte e posso solo sperare che abbia capito quello che volevo dirgli.
Non sarò mai abbastanza per lui ma so che la mia vita non ha alcuna speranza senza il ragazzo del pane, senza il mio dente di leone.
Peeta si allontana un po' per asciugarmi il viso con le sue mani e nei suoi occhi vedo un turbinio di emozioni.
- Stai tranquilla Kat. Sono qui. -
- Grazie - sussurro in risposta mentre la porta dietro Peeta si richiude e penso che non ci sia nulla, ora, che potrei desiderare di più del contatto rassicurante della sua mano contro la mia guancia.

*******

Ma saaalve!
Eccomi qui, incredibile ma vero, dopo mesi di pura follia!
Sono stata davvero impegnatissima e, come al solito, ho dovuto trascurare - con mio dispiacere - questa storia a cui, nonostante la mediocrità ahimè,  tengo veramente molto.
Potrei raccontarvi le mie fantabulose avventure di questi mesi (studiostudiostudioprovafebbrestudiostudiostudio) ma vi "evito" la scocciatura :P
Piuttosto, parliamo del capitolo... Come vi sembra?
La mia Ccchh dice che è uno dei migliori che ho scritto finora ma probabilmente è di parte :P ♥
Personalmente non so che pensare; ci sono cose che mi piacciono molto, altre che boh... Sono uscite così e quindi tanti saluti.
Vi prego, anche se non lo merito per tutto il tempo che vi ho fatto aspettare *l'umiltà di dare per scontato che alla gente importi della tua storia*, fatemi sapere quello che ne pensate *^*
E vabè. Scusate. Non mi odiate.
Comunque, tanto per intenderci... Peeta ♥ Aw ♥ Dolcezza ♥

(follia)

Anyway, gente bella, se volete leggere un'altra storia mentre aspettate i miei aggiornamenti, vi suggerisco quella della mia Ccchhh, che è proprio questa qui: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=2494551
Che poi ripensandoci non vi ho mai detto nè il nome nè il titolo, che forse è meglio XD
Quindi correte tutti a leggere "
Mentre cadevo mi hai preso la mano" di "flajeypi" ♥

Ultime note dolenti e vi saluto: quando aggiornerò? Non lo so T_T
Proverò a farlo entro Natale ma non so proprio come si metteranno le cose quindi abbiate pazienza e aspettatemi please!
Intanto vi saluto e vi ringrazio per avermi aspettato tutto questo tempo ♥

Un bacio,
Sara :)

May the odds be ever in your favor.

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Capitolo 15
*** AVVISO 2.0 - MA PRIMA O POI LO SCRIVIAMO UN VERO CAPITOLO? ***


Probabilmente questo avviso sarà più difficile da scrivere che non un capitolo vero ma devo.
So di aver scritto un altro capitolo-avviso in precedenza ma sento il bisogno di spiegarvi cosa sta succedendo alla mia vita.
Non che importi a molti di voi, lo so, ma devo placare i sensi di colpa xD

Non aggiorno da molto tempo, quasi un anno mi sa, e ho perso il conto delle volte in cui vi ho detto, e ho detto a me stessa, che avrei scritto.
Mi dispiace tantissimo :(
Purtroppo la storia è sempre la stessa: poco tempo e molti impegni, l'università, la vita. Senza contare che da qualche mese che il mio pc è out XD
Non voglio nascondermi dietro una scusa così banale ma vi assicuro che è stata una delle cose che mi ha frenato molto nell'ultimo periodo, considerando che quando mio fratello mi concede il suo pc non è mai per più di un'oretta. Non che lo stia accusando (davvero!) ma ho bisogno di molta calma e tranquillità per scrivere e sapere di avere il tempo contato mi blocca xD
Inoltre, lo ammetto, mi blocca anche il fatto di essermi un po' allontanata dalla saga. Vi spiego: sento il bisogno di rileggere la saga perchè ho paura che tutto questo tempo passato a fare e pensare altro possa rovinare oltre che la ff anche la splendida storia della Collins.
So che sembrerà folle ma nutro una sorta di riverenza verso gli scrittori e le loro opere originali e mi sentirei malissimo a boh... Scrivere cose totalmente contrastanti.
E questo significa che sì, ci sarà ancora da aspettare.
Molto probabilmente. Non voglio dare nessuna indicazione sul tempo questa volta XD

Mi sento un po' triste, sarò sincera, e parecchio delusa, da me stessa per di più.
Ci tengo molto a questa storia, anche se non è granchè, anche se è piena di imperfezioni, perchè mi ha dato davvero molte soddisfazioni.
Tutti i vostri commenti, i vostri complimenti! Mi sa che non sarò mai in grado di ringraziarvi abbastanza! Senza contare che questa storia mi ha permesso di conoscere persone davvero dolcissime ♥
Chiedo scusa ad ognuno di voi.
Ero arrivata a ben 100 seguiti. 100 seguiti per la miseria! Lo so, ci saranno storie più belle con molti più seguiti ma 100 persone! 100 persone che hanno apprezzato la mia storia! Per non parlare di tutte quelle che l'hanno letta!
Non potete capire quanto la cosa mi renda felice.
L'altro giorno però un paio di persone hanno rimosso la storia tra le seguite e la cosa mi ha fatto riflettere. Non che la cosa non fosse successa già in passato e lungi da me l'idea di lamentarmi e roba simile, anzi.
Ho pensato che queste persone, così come tutte le altre che continuano a seguire la storia, in qualsiasi modo, meritassero le mie scuse. E ve le porgo veramente di tutto cuore.

Detto questo mi rendo conto di aver scritto un "papiello" esageratamente lungo e piagnone e vi chiedo scusa anche per questo XD
Spero di non avervi fatto deprimere XD
E spero di riprendere questa storia al più presto, perchè sì, definitivamente non mi arrendo. Prima o poi la riprenderò lo giuro e quando lo farò, spero ci sia ancora qualcuno che si ricordi di me XD
Spero molte cose vero? :P

Ah, ultima cosa - che a dir la verità c'entra poco e niente ma che vi dico lo stesso.
Ultimamente mi è capitato di scrivere cose random, senza impegno, che ho pubblicato sempre su efp. Se volete dare un'occhiata o siete semplicementi curiosi di vedere fin dove arriva la mia follia fatevi avanti :)
Mi imbarazza un po' farmi della pubblicità ma ve lo dico perchè mi è capitato che alcuni di voi mi abbiano chiesto di pubblicare anche qualcos'altro XD
A tutte queste persone, e ai curiosoni, dico: stay tuned!
Può darsi che una sera la mia mente partorisca qualcosa che decido di scrivere, come è accaduto in questi giorni, non si sa mai!

E ora potete tirare un sospiro di sollievo! Ho finito XD
Grazie ancora a tutti. Per aver letto, per il supporto, per avermi aggiunto tra seguiti e i preferiti o qualsiasi altra cosa abbiate fatto inerente a questa storia, fosse anche leggerla e spegnere subito il pc in preda al disgusto.
Grazie di cuore.
E scusa.
Perdono.
Scusa scusa scusa.


Baci,
Sara π ♥


May the odds be ever in your favor.

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