Ouroboros

di Rexam
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sulle sponde dell'esistenza ***
Capitolo 2: *** La seconda occasione ***
Capitolo 3: *** La Collina dei Conigli ***
Capitolo 4: *** Il Collezionista ***
Capitolo 5: *** Il Nero Motore del Mondo ***
Capitolo 6: *** Questa non è un'isola! ***
Capitolo 7: *** L'inconsistenza onirica del sogno ***
Capitolo 8: *** La Nave di Teseo ***
Capitolo 9: *** La dea prigioniera ***
Capitolo 10: *** Sulla nave dei ricordi ***
Capitolo 11: *** La decisione finale ***



Capitolo 1
*** Sulle sponde dell'esistenza ***


Capitolo 1 : Sulle sponde dell’esistenza

“Risvegliarsi è rimettersi alla ricerca del mondo,
riportare alla luce un’identità perduta in un granello di sabbia.”

Quando Matthew si svegliò era stordito e confuso. Steso a terra, faccia in giù, senza forze, quasi privo di coscienza. Il suo corpo era rigido come un gigantesco tronco di legno. Le ossa gli dolevano e non riusciva a sentirsi le gambe. Riposava su una superficie calda e soffice. Non avrebbe saputo dire a cosa somigliasse quella sensazione. Era così familiare, ma anche così distante. Forse perché la sua testa ancora rimbombava di strani rumori immaginari. Percepiva i raggi del sole sulla sua pelle. Il suo respiro era regolare. Nonostante tutto, era felice di scoprirsi vivo.
Matthew, dopo alcuni interminabili minuti, decise finalmente di aprire gli occhi. Fu investito da una luminosità diffusa. Intorno a lui regnava un’atmosfera celestiale e serena. A quanto pare era disteso su una morbidissima spiaggia. Riusciva a sentire le onde dell’oceano infrangersi contro la costa. Intravide, per un attimo, della spuma azzurrina. Avrebbe proprio voluto bagnarsi il viso e bere. ‘Cipicchia, che sete che aveva! Matthew cercò di muovere un braccio ma era incredibilmente pesante. Sembrava che un enorme macigno si fosse depositato sul suo corpo. E lui era lì, cosciente e immobile, condannato. Cercò allora di rimettere ordine nella sua testa, ma era tutto così fumoso. Non riusciva a ricordare nulla di specifico, qualche immagine sparsa. E poi il vuoto. Una nebbia fitta e penetrante era scesa all’origine dei suoi ultimi ricordi e li aveva cristallizzati. Non riusciva più a distinguere il sogno dalle sue reminiscenze recenti. Matthew decise di provare nuovamente ad alzarsi. Poteva  muovere le dita delle mani, ma sentiva ancora un forte dolore. Riuscì per miracolo a contrarre il braccio e a poggiare il palmo della mano per terra, facendo leva. La sabbia era davvero calda. Aveva ripreso sensibilità alle gambe, ma era ancora troppo debole per tirarsi su. Riuscì a girare su se stesso, mettendosi seduto, con la schiena ritta. In questo modo poteva guardarsi intorno. Apparentemente, si trovava su una costa sperduta. Oltre l’enorme spiaggia si estendeva una fitta vegetazione lussureggiante. Sembrava proprio una jungla. Innumerevoli alberi dagli splendidi toni di verde intrecciavano i loro rami in una primitiva danza selvaggia, ergendosi a padroni di quei luoghi incontaminati.
All’improvviso, mentre contemplava quel luogo così puro, Matthew si accorse di un particolare che, per un momento, gli fece gelare il sangue. Era inspiegabile, eppure, a parte il continuo infrangersi delle onde, non sentiva assolutamente nessun altro rumore provenire dalla terraferma. Non c’era verso di insetto, scimmia o qualsiasi altro animale che raggiungesse le sue orecchie. Era tutto estremamente calmo. Troppo calmo. Mancava perfino il soffio del vento.
Incerto sulla sua situazione, con qualche frammento di ricordo aggrappato a sé, Matthew restò lì sulla spiaggia, in contemplazione, a guardare il mare finché il sole non iniziò ad eclissarsi oltre l’orizzonte.


L'Angolo dell'Autore
Ciao a tutti! Eccomi tornato a scrivere qualcosa qui su Efp (ancora in questa sezione!!). Diciamo due parole su qeusta nuova storia che ho inserito. Ho deciso di metterla nella categoria dei Gialli, perché di fatto è una storia gialla, piena di mistero e di suspence, ma non è il classico racconto alla Agatha Christie. Ouroboros è un giallo atipico, che mescola elementi introspettivi con immagini oniriche, il tutto unito ad un tocco di follia. Di fatto non ha un vero genere preciso di riferimento, perché ne mescola molti insieme. Inoltre, per la gioia di tutti quelli che vorranno leggere questa storia, vi farà piacere sapere che ho scritto già cinque/sei capitoli in modo tale da "portarmi in vantaggio" e riuscire a pubblicare abbastanza regolarmente ogni cinque o sei giorni! Altro appunto, la frase in corsivo che leggerete all'inizio di ogni capitolo è una citazione (personale o di un personaggio famoso) inerente agli eventi del capitolo stesso, in questo modo spero, ogni volta, di "preparare l'atmosfera giusta per la lettura". Detto questo, spero che questo racconto vi piaccia. Io ci metto tutto me stesso come al solito. Ovviamente è sempre gradito un commento, anche solo per farmi sapere se questa storia vi sta appassionando oppure no! Credo di aver detto tutto, quindi alla prossima!!

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Capitolo 2
*** La seconda occasione ***


Capitolo 2: La seconda occasione

“Non arrenderti mai,
 perché quando pensi che sia tutto finito,
 è il momento in cui tutto ha inizio.”

Matthew era seduto su quella spiaggia solitaria, mentre avanzava l’imbrunire. I granelli di sabbia scintillavano ancora qua e là, ma con colori più opachi ed evanescenti. Si era alzata una leggerissima brezza che con dolcezza cullava gli alberi più alti alle sue spalle. E lui era lì, quasi ai confini del mondo, rilassato e in pace. Aveva fame e sete, ma non gli importava. Cercava, piuttosto, di reprimere quelle necessità, godendosi le carezze che il vento gli riservava in quell’attimo d’estasi. Aveva il viso rivolto verso l’alto, gli occhi chiusi. I lunghi capelli ricci, castani, ondeggiavano all’indietro, oltre le sue spalle. Un leggero sorriso gli illuminava il volto. Era la speranza a sorridere, la speranza di raggiungere una fine. Di essere libero. Di essere salvato da qualunque cosa dovesse essere salvato. Si era svegliato, e aveva trovato un mondo in cui era ancora necessaria la sua presenza ad attenderlo. In quel momento, naufrago su una spiaggia di vita, reduce da chissà quale destino, vedeva davanti  a sé l’enormità di quello che poteva ancora fare. Un insieme di possibilità gli scorreva nella mente come in un rapidissimo flash. Quella spiaggia gli stava dando una seconda occasione. Lo sapeva. Lo aveva sentito fin da quando aveva aperto gli occhi. Ora doveva solo decidere quale mossa fare in quella scacchiera inesplorata.
Mentre Matthew era immerso in tali pensieri, il sole si spense definitivamente oltre l’orizzonte. Un'enorme macchia dalle infinite tonalità di rosso si estese nel cielo, creando forme confuse, idee vaganti trasformatesi in morbide nuvole d’arancio. Le prime stelle si resero visibili nel cielo, come bianchi spilli d’eternità, fisse su quella tela cremisi. Lo sguardo di Matthew era meravigliato. Aveva dimenticato il dolore alle gambe e al petto, le sue sciagure, la fame e la sete. Ogni cosa svaniva di fronte alla bellezza di una visione così suggestiva e ancestrale.
«Uno spettacolo impressionante, non è vero?»
Una voce limpida e penetrante ruppe con decisione quel momento contemplativo. Matthew era stupito. Per un paio di volte si domandò  se avesse sentito bene. Poi si voltò. Un ragazzo si ergeva, a braccia incrociate, al limitare della jungla. Aveva la carnagione scura, ma non nera come il carbone, piuttosto bruna e bronzea, i capelli erano aggrovigliati su se stessi, formando dei dreadlocks, e raccolti con una sorta di elastico dietro la testa. Indossava un gilet azzurro, molto leggero e per di più esageratamente usurato, tanto da lasciar intravedere dei piccoli buchi lungo la sua superficie.
Matthew era pietrificato. Cercò di parlare ma, quando ci provò, non uscì alcun suono dalla sua bocca. A quanto pareva, come conseguenza della sua disavventura da esule, aveva perso la voce.
«Non preoccuparti, non c’è bisogno che ti sforzi.»
Il ragazzo aveva parlato nuovamente con il suo tono  sottile, mentre avanzava a piccoli passi verso di lui.
«Non aver paura», disse, «ecco, tieni!»
Estrasse da una piccola borsa a tracolla una bottiglia di vetro, colma di freschissima acqua scintillante e la porse a Matthew insieme a della frutta che portava con sé. Quest’ultimo non fece troppi complimenti e, nonostante fosse molto sospettoso, iniziò a divorare il pasto che gli era stato concesso e a dissetarsi con piacere. Ogni tanto lanciava delle occhiate stranite al suo misterioso ospite.
«Sei un Esterno, non è vero? Io mi chiamo Nathan.»
Cosa voleva dire con “un Esterno”?, pensava Matthew. Le sue frasi erano criptiche, senza senso.
Nathan vegliò su di lui finché non ebbe finito di mangiare, poi pronunciò poche parole, ma intense e cariche di significati da poter a mala pena essere compresi.
«Raggiungimi solo quando sei pronto. Non avere fretta. Il tempo è tutto tuo. Quest’isola, dopotutto, è soltanto troppo piccola.»
Poi Nathan indietreggiò e, prima che Matthew avesse l’opportunità di replicare, era sparito nella selva. Come un fantasma.


L'Angolo dell'Autore
Ehilà! Siccome siamo ancora all'inizio, ho deciso di pubblicare almeno un altro capitolo, per farvi assaggiare un po' le atmosfere che si respireranno in questa storia. Sto procedendo spedito, quindi non credo che ci siano grossi problemi. Fatemi sapere cosa ne pensate! :) E, per il seguito, restate connessi!

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Capitolo 3
*** La Collina dei Conigli ***


Capitolo 3: La Collina dei Conigli

“Qui non c'è nessun pericolo, per ora.
Ma si sta avvicinando... è in arrivo.
 Oh, Moscardo, guarda! Il prato! È coperto di sangue!”

Matthew era disteso – ancora una volta – su quella sabbia finissima. Dormiva saporitamente mentre le stelle, dall’alto, vegliavano su di lui. La notte era placida ed era scesa silenziosamente, come una dolce coperta di velluto, ad avvolgere quei luoghi incantati. Sotto quel mantello oscuro, l’unica cosa che si riusciva a percepire era il silenzio, mentre, su quel tratto di costa, il ragazzo dai ricci capelli castani riposava le sue membra in una comunione perfetta con l’ambiente circostante.
Matthew aveva ripensato molto alle parole di Nathan, prima di addormentarsi, ma per lui avevano sempre meno senso. Voleva forse dirgli di inoltrarsi in quella jungla? Ma per fare cosa poi? Non c’era assolutamente niente lì, a parte alberi su alberi. Certo, non sarebbe potuto rimanere su quella spiaggia per sempre. E dopotutto non aveva nulla da perdere. Quindi decise che l’indomani sarebbe partito. Non sapeva per dove o perché, ma sarebbe stato meglio che rimanere lì. Poi, con la mente serena, chiuse gli occhi e cadde fra le braccia di Morfeo.
L’aurora giunse presto anticipando la venuta del sole, con i suoi colori lilla-lavanda prima, per poi passare a deliziosi toni d’arancio. Il mare iniziò a scintillare dall’emozione. Matthew si svegliò non appena i primi raggi luminosi varcarono i confini dell’orizzonte. Era riposato, e si scoprì stranamente euforico alla prospettiva dell’avventura che stava per vivere. Aveva inavvertitamente ripreso sensibilità alle gambe e riusciva a muoverle senza problemi. Il dolore era sparito, come portato via da una grande onda marina. Non era ancora riuscito a fare ordine nei suoi ricordi, ma almeno adesso credeva di poter riuscire a camminare. Titubante, si erse, mettendosi seduto sulla sabbia. Poi, poggiando entrambe le mani per terra, si diede una spinta, forte. Le gambe ressero. Matthew era in piedi, di fronte a quell’oceano sterminato che, scintillando, sembrava applaudire il suo trionfo. Il sole lo investì da lontano in tutta la sua interezza. Sentì i suoi caldi raggi sulla pelle come un premio.
Matthew si guardò intorno. Nonostante riuscisse a stare eretto aveva ancora paura di cadere nuovamente. Fortunatamente, poco distante da dove si trovava, le onde avevano riportato sulla riva un sottile tronco di albero, adatto a fare da bastone. Muovendosi con cautela, ponderando bene i singoli passi, si avvicinò ad esso e lo raccolse. Era perfetto. Liscio, quasi da sembrare lavorato, lo affondò nel terreno e iniziò ad avvicinarsi alla jungla.
La jungla, che Matthew aveva osservato finora solo da lontano, era un enorme intarsio di alberi dalle forme più varie e raccapriccianti. Le radici che riusciva a vedere si sovrapponevano le une sopra le altre, in una sorta di lotta per la sopravvivenza. Qua e là qualche fiore cercava di farsi largo, aggiungendo un tocco di colore a quei rami secolari, ma, nonostante questo, quel panorama era il caos. Matthew costeggiò la jungla per alcuni metri prima di trovare un’insenatura che, nelle sue condizioni, gli permettesse di accedervi, e poi, con circospezione, guardando attentamente in avanti, procedette. La rassicurante luce del sole sparì, sostituita da toni di chiaroscuro. I raggi cercavano di farsi largo dall’alto, in quella fitta rete di gallerie naturali, con difficoltà. Matthew aveva il cuore a mille. Sembrava che ad ogni passo, i rami lo tirassero per gli abiti logori, come un segno d’avvertimento, come se gli dicessero di tornare indietro. Ma lui era risoluto a proseguire. Non c’era nulla sulla spiaggia per cui valesse la pena tornare. Più volte si trovò  di fronte a un sentiero diramato in due e la scelta su quale strada intraprendere fu totalmente casuale. Dopotutto, non c’era rumore di sorta che potesse dargli un indizio sulla via giusta da percorrere. In quel regno, v’era il silenzio, un’assoluta assenza di suono, una musica perversa, priva di tono, timbro o intensità. Questo spaventava Matthew più di qualsiasi altra cosa. Era innaturale e claustrofobico. Era asfissiante. Alterava ogni percezione, rendendo tutti i sensi più recettivi, come se il pericolo fosse acquattato fra i cespugli e potesse emergere improvviso, ad ogni angolo.
Dopo un tempo indefinito, in quella boscaglia tremolante, Matthew intravide in lontananza un sentiero che conduceva verso l’alto. Forse sarebbe riemerso dal torpore della selva. E così fu. Si ritrovò all’improvviso su una piccola collinetta verde, una duna d’erba. Fu un sollievo rivedere la luce del sole. Dall’alto di quella gobba naturale che la jungla aveva risparmiato, riusciva a vedere la spiaggia lasciata alle spalle. Non aveva rimpianti, certo. Ma ripensare a quella sabbia così calda e soffice gli fece provare un senso di nostalgia. Davanti a sé, invece, non riusciva a intravedere granché. Alcuni alberi dalla portata colossale gli impedivano la vista. Fu solo quando provò a mandare il suo sguardo ancora più in là che se ne accorse. Sulla superficie dell’intera collinetta erano deposti, per terra, centinaia di conigli di carta colorata, dalle differenti forme e dimensioni. Erano degli origami perfetti in ogni dettaglio. Ce ne erano di rosa, celeste, bianchi, insomma di tutti i più chiari colori. E ognuno aveva un particolare comune: alcune chiazze rosso carminio macchiavano quei capolavori come sangue nei punti più disparati. Taluni erano deturpati interamente. Era uno spettacolo raccapricciante. Matthew si chiese il significato di tutto ciò. Ancora una volta, non aveva senso. Non potevano esistere conigli di carta in una jungla spersa chissà dove! Eppure eccoli lì, moribondi, a fissarti con le loro tinte sanguigne. Matthew continuò a guardarsi intorno cercando una spiegazione razionale a quello che gli stesse succedendo, invano. In quel momento, si accorse di un cartello di legno posto ai piedi della collina, dal lato opposto dal quale era salito. Si avvicinò guardingo e, allucinato, lesse la scritta che recitava:

QUESTA TENUTA, COMPRENDENTE TERRENO EDIFICABILE,
IN POSIZIONE IDEALE,
VERRÀ TRASFORMATA IN UN MODERNO
CENTRO RESIDENZIALE DALLA DITTA
SUCH AND MARTIN.

L'Angolo dell'Autore
Ciao ragazzi! Sto procedendo molto spedito, più di quanto avessi pensato quindi eccomi qui con un nuovo capitolo, sperando che cominci ad intrigarvi un po'. Come al solito, ogni commento/critica è ben'accetto!

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Capitolo 4
*** Il Collezionista ***


Capitolo 4: Il Collezionista

La vispa Teresa avea tra l'erbetta al volo sorpresa
gentil farfalletta e tutta giuliva stringendola viva
 gridava distesa: “L’ho presa! L’ho presa!”

Finalmente una verità! Matthew non era solo su quell’isola! Probabilmente lì vicino passava un’enorme autostrada asfaltata, con migliaia di automobilisti stressati che strombazzavano a destra e manca. Oppure era nei pressi di uno di quei villaggi vacanze immersi nel verde. Era salvo. Era vicino alla civiltà. Magari di lì a poco sarebbe arrivato un turista pronto a soccorrerlo. Forse, se avesse urlato, qualcuno sarebbe riuscito a sentirlo, ma riusciva a stento a pronunciare qualche parola. Inoltre, si scoprì la gola completamente secca. Diamine, da quanto non beveva? Preso dai recenti avvenimenti e dalla prospettiva di inoltrarsi nella jungla, aveva completamente trascurato il suo fisico. Eppure stava bene. Non aveva fame, e neanche sete, a dir la verità. Provava solo un ruvido, graffiante e pruriginoso fastidio alla gola. Matthew accantonò momentaneamente quei pensieri e prese a concentrarsi nuovamente sul cartello. Se davvero si trovava su terreno edificabile, a quanto pare acquistato da quella fantomatica ditta citata lì, perché i conigli? Non avevano senso in tutto quel panorama. Erano assolutamente fuori luogo e non c’era nessun modo per farli rientrare in uno schema sensato. Matthew ne raccolse uno da terra per esaminarlo. Era un delizioso coniglio di carta giallognolo, grande meno di una mano, con le sue piccole zampette, la coda, le orecchie e tutto il resto. Vicino quella che sarebbe dovuta essere la bocca, tuttavia, c’era una chiarissima macchia rossa e un’altra, dello stesso colore, percorreva tutta la sua schiena. Se quello era uno scherzo, allora non era divertente. Insomma a che scopo macchiare a sangue quegli innocui animaletti? Incerto sul da farsi, Matthew restò su quella collina bagnata dal sole a riflettere. Non riusciva a capire. Dopo alcuni minuti di riposo, decise di rimettersi in marcia. Doveva trovare gli uomini che avevano piazzato lì quel cartello. Doveva avvertirli che lui era lì. Che andava salvato. Impugnò allora saldamente il suo bastone e si mosse nuovamente dentro la jungla, oltre quel famigerato cartello. Le ombre si richiusero sopra di lui. Era di nuovo perso, in una fitta rete di sotterranei  umidi. Avvertiva quel senso di pericolo incombente, una minaccia inconsistente, ma vicina. Matthew si stupiva di se stesso. Credeva che adesso, data la recente scoperta, si sarebbe sentito più al sicuro, ma non fu così. Ogni passo era un fremito. Ogni volto roccioso un brivido. Quella selva lo opprimeva. Matthew continuò ad avanzare, cercando di mantenere sempre la stessa direzione presa. All’improvviso accadde qualcosa che lo animò. Giungeva da lontano, ma era netta e precisa non aveva dubbi, cristallina come un sasso che cade nell’acqua. Una voce stridula e fredda. Non riusciva a capire cosa dicesse, ma Matthew capì che quella era la sua speranza di salvezza. Corse come un forsennato, nei limiti della sue possibilità, in direzione del fragore e, ivi giunto, nascosto dietro un cespuglio, ciò che vide lo lasciò basito. E ancora una volta, nulla aveva senso. Di fronte a lui, illuminato da un raro raggio di sole che era riuscito a farsi largo in quella boscaglia, stava solitario un uomo di mezza età, con un completo da esploratore e un retino in mano che agitava come un forsennato.
«Neanche questa! Neanche questa! Neanche questa!!»
L’uomo era in preda a spasmi convulsi e incontrollati. Urlava quelle parole ai quattro venti, irato più di Zeus in persona. Il retino che stringeva dalla lunga asta metallica si muoveva su e giù fra gli alberi in un incessante battito ritmico. Dall’oscurità, Matthew non riusciva a osservare bene, perciò cercò di avvicinarsi con moderazione. Fu inutile. Un “crack” provocato dalla rottura di un ramo sotto il suo piede rivelò immediatamente la sua posizione. L’uomo si voltò in tutta fretta, e rimase stupito nel vedere di fronte a sé quel ragazzotto. Matthew, d’altro canto, era basito quanto lui.
L’uomo era tozzo e dal volto pungente, magro e dai radi capelli bianchi. Inforcava un paio di microscopici occhiali tondi, dietro i quali si riuscivano a distinguere castani occhi da talpa sormontati da folte sopracciglia nere. Il naso era grosso e adunco, e spiccava netto su quella faccetta da rospo.
«Chi sei tu? Ladro! Ladro! Vuoi rubarlo? Vuoi rubarlo? È mio! L’ho visto io! Lo troverò prima di tutti gli altri! Io!!»
Era folle, esaltato. Matthew cercò di parlare, ma riuscì a formulare solo poche parole, rantoli che spaziavano dal “Chi sei?” al “Cosa cerchi?”.
«Non fingere di non sapere!», disse l’uomo, «So cosa stai cercando di fare! Vuoi confondermi! Ma lo troverò io! Sarà il re della mia collezione!»
«Cosa collezioni?», disse Matthew con un sibilo.
«Farfalle! Farfalle!! Cos’altro, secondo te? Ah, ma non mi avrai! Sarò io a trovare il Brucaliffo, la leggendaria farfalla blu! Alice l’ha vista! La Regina la tiene prigioniera! Nessuno le crede, ma è qui, ne sono certo! È qui! Non provare a rubarla! La troverò io!»
E detto questo, l’uomo, con un balzo, si inoltrò nella jungla, producendo una risata dal gusto di delirio.


L'Angolo dell'Autore
Eccomi con il consueto aggiornamento! Buona lettura! ^^

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Capitolo 5
*** Il Nero Motore del Mondo ***


Capitolo 5: Il Nero Motore del Mondo

Se tutti i monti fossero libri, tutti i laghi inchiostro
 e tutti gli alberi penne, questo non basterebbe ancora
per descrivere tutto il dolore del mondo.

Matthew si chiese se in quel momento gli altri uomini sapessero cosa fosse il dolore. Quello autentico. Quello vero. Quello che spacca la schiena e proietta nell’oscurità più nera. Quello che fa sentire perso. Un bimbo sperduto. Un reietto, un dannato. Il dolore del corpo muore di fronte all’altare della mente, principio e dominio dell’essere, padrone delle emozioni. Perché non è sufficiente una parola per descrivere una sensazione. Non basta una bella poesia con un titolo altisonante per rendere giustizia allo stato dell’animo di un uomo e nemmeno mille parole potrebbero spiegarlo. È vivo, il dolore. Così come lo sono la gioia, il piacere, l’ossessione e l’odio. Ma il dolore è atroce, il più terribile. Paralizza, il dolore. È cieco. Ha nome Algos, figlio di Eris, dea della Discordia, figlia a sua volta della Notte, lato oscuro della vita. È subdolo. Si insinua nei momenti di debolezza. Causa guerre e pianto. Il dolore è il nero motore del mondo.

Matthew si trovava in quella piccola radura circondata da rami tenebrosi e, fino a qualche attimo prima, stava parlando con un Collezionista di Farfalle. Aveva gli occhi fuori dalle orbite, la fronte tirata. Gli sudavano le mani. Forse stava impazzendo.

Tutti possiedono ricordi, un modo come un altro per incontrare il proprio passato, analizzare gli errori commessi e le difficoltà affrontate perché siano di aiuto per il futuro. Esistono ricordi piacevoli, quelli allegri e spensierati, immagini di vetro che penetrano negli occhi producendo nostalgia. Ma esistono anche ricordi più tristi, giorni difficili, tiri mancini della Sorte. E sono proprio questi ad essere fondamentali per la crescita e la maturazione dell’individuo. Fanno rialzare l’uomo che è affondato nella disperazione. Per Matthew era impossibile risalire da quella disperazione. Lui non aveva ricordi a cui aggrapparsi. Non aveva niente. Non sapeva chi fosse il suo vero sé stesso, né chi fosse stato in passato. Rammentava soltanto il funzionamento del mondo. La Terra girava intorno al Sole. Le volte celesti non erano crollate. La gente andava ancora a spasso nei quartieri “in” a fare shopping. Le donne non avevano smesso di indossare i loro tacchi alti e i loro decolleté. I politici continuavano a starnazzare, dicendo che avrebbero fatto fare progressi al Paese, intascandosi, al contempo, bustarelle sottobanco. Le navi e gli aerei continuavano a collegare tutti i luoghi del mondo, anche i più lontani.
Non era cambiato nulla. Nulla. Matthew si era svegliato su quella spiaggia dorata e l'universo intero aveva smesso di interessarsi della sua esistenza, continuando la sua marcia come se nulla fosse. Questo lo opprimeva. E adesso, impregnato di situazioni paradossali, l’aveva raggiunto il tarlo del dubbio. Non sapeva più se il mondo che ricordava fosse davvero quello vero. Quello autentico. Se fosse realmente esistito. Se quello che rammentava fosse tutto falso oppure no. Chi avrebbe potuto dirglielo? Una scarica elettrica percorreva tutti i suoi arti, le gambe erano rigide, immobili. Chi le avrebbe sorrette senza la ragione? Non poteva permettersi di impazzire. Non sapeva perché, ma era fondamentale. Il suo istinto voleva vincere sul sentimento, e proseguire. E capire. E ricordare. Perché, nonostante avesse paura, fosse sconvolto dal dolore, sul punto di impazzire sul margine onirico, Matthew era vivo.


L'Angolo dell'Autore
Ciao a tutti, rieccomi con un capitolo un po' più introspettivo dalle tinte fosche. Una piccola pausa in attesa degli eventi del prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Questa non è un'isola! ***


Capitolo 6: Questa non è un’isola!

Il gioco di prestigio è una cosa onesta perché è chiaro
 in anticipo che la realtà è diversa da quella che appare.

Matthew, in quell’istante, non riusciva a credere ai suoi occhi. Dopo aver incontrato quel “Collezionista di Farfalle”, aveva camminato per ore nella jungla, protetto per mezzo di tralicci naturali dal caldo torrido di quelle bollenti ore pomeridiane, fino a trovare un’uscita. Si era mosso peregrino, intontito, senza una meta. Stranito. Andando avanti per inerzia. Era più il suo spirito che il suo corpo ad essere dolorante. Non riusciva a capire se fosse il mondo ad essere impazzito e lui l’unico ad essere ancora sano di mente oppure il contrario. Sta di fatto che, in quel momento, aveva gli occhi sgranati ancora una volta. Di fronte a lui, in una verde pianura al di fuori della selva, si ergeva un accampamento indiano. Sereno. Incontaminato.
L’accampamento comprendeva alcune tende bianche, di forma conica, fatte con una copertura di pelli o tele. Matthew le conosceva. Erano delle teepee, le stesse che usavano i nativi americani nelle Grandi Pianure. Erano disposte in un cerchio e al centro, vicino ad un piccolo falò, campeggiava un gigantesco totem. Questo era finemente decorato in modo da raffigurare più totem sovrapposti. Le due sculture alla base e al centro erano amorfe, ma ricordavano vagamente alcuni visi umanoidi. La parte alta, invece, era più complessa. Riproduceva un gigantesco uccello, forse un condor, con la testa nera e un becco rosso sporgente in avanti. Ai lati spalancava due grandi ali viola, le cui piume erano dipinte con un vivido colore marrone. Lo sguardo disegnato sembrava crudele e malvagio. Come se quel totem fosse stato messo lì apposta per giudicare tutti i membri dell’accampamento, senza distinzione.
Matthew era senza parole dallo stupore e dalla bellezza di quel luogo. In quella valle, regnava un silenzio irritante. Non c’era anima viva. O almeno così sembrava. Dai teepee non giungeva alcun rumore, ma, nonostante questo, il fuoco era acceso, quindi doveva esserci qualcuno.
«Sei arrivato giusto in tempo, ho appena acceso il falò.»
Una voce limpida e penetrante, sottile, che Matthew già conosceva. Da una delle tende, spuntò fuori un ragazzo dalla pelle scura, un gilet azzurro, dreadlocks per capelli. Nathan. Si avvicinarono finché non riuscirono a guardarsi negli occhi mantenendo comunque una certa distanza. Una freddezza emotiva. Matthew non sapeva cosa dire.
«Ti è piaciuta la foresta?», disse Nathan.
Aveva parlato con il tono più tranquillo di questo mondo. Come se fosse una cosa normale. Come se si stesse informando sulle previsioni meteo. Come se intendesse “piaciuta la passeggiata?”.
«Si può sapere chi diavolo sei? Cos’è questo posto?», disse Matthew, in un eccesso d’ira, «E chi è quel tipo strano che si aggira nella foresta?». Era rosso in viso. Voleva delle spiegazioni. Troppe cose non avevano senso e Matthew era sicuro che Nathan conoscesse una risposta precisa a tutte le sue domande.
«Hai incontrato qualcuno?», chiese Nathan, sinceramente curioso.
«Non fingere di non saperlo! Quel vecchio delirava! Ha detto che stava cercando il Brucaliffo, o qualcosa del genere. Tu devi sapere cosa significa!!», fece una pausa, poi riprese, più spedito di prima, «E i conigli poi? Che ruolo giocano in tutto questo? Insomma, cos’è quest’isola?»
Nathan si fece scuro in viso. Abbassò lo sguardo e poi parlò, molto lentamente.
«Questa non è un’isola, Matthew. Non è un’isola. La persona che hai incontrato e quelle che incontrerai... ascoltale attentamente, ma non fidarti di loro. È solo un trucco! Cercheranno di ingannarti.»
«E questo cosa vorrebbe significare?»
Nathan sorrise.
«Rispondi a questa domanda, Matthew. Nel profondo del tuo cuore, quando hai incontrato quel vecchio di cui parli, quando hai visto i conigli di cui racconti, hai sentito una scossa, non è vero? Una sensazione di familiarità, un dejà vu?»
Matthew rimase profondamente colpito da quelle parole. Lo aveva negato a se stesso per tutto il giorno, ma ciò che diceva Nathan era vero. Assolutamente vero. Non sapeva come spiegarlo. Era una sorta di nostalgia quella che aveva provato, mista a tristezza. Un sentimento alienante.
Nathan capì che aveva fatto centro, e sorrise.
«Ti ho lasciato della carne sul fuoco. Sarai affamato, presumo. Ti consiglio di riposarti bene. Ti aspetta un viaggio lungo e faticoso. Una scalata non indifferente, in effetti», e detto questo fece dietro front, allontanandosi nella vasta pianura, lontano dall’accampamento. Matthew provò a richiamarlo, a urlare con quanto fiato avesse in gola, a chiedere spiegazioni. Ma lui era già sparito. Un puntino all’orizzonte. L’unica cosa che credette di sentire fu una frase enigmatica: “Lasciati andare. Lasciati andare.”
Il ragazzo dai capelli ricci si avvicinò al falò per riscaldarsi e si accorse di non vederci più dalla fame. Era stanco. Per la faticosa giornata. Per gli eventi passati. Perché si sentiva solo. Mangiò quello che Nathan gli aveva conservato, e si dissetò con dell’acqua contenuta in una borraccia poco distante.
Ripensò a Nathan. Per la seconda volta, lo aveva aiutato. E Matthew non aveva la più pallida idea del perché.

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Capitolo 7
*** L'inconsistenza onirica del sogno ***


Capitolo 7: L’inconsistenza onirica del sogno

Quando in sogni opprimenti e orribili l'angoscia
 tocca il grado estremo, è proprio essa che ci porta al risveglio,
 con il quale scompaiono tutti quei mostri notturni.

La notte è buia e piena di orrori quando non ci sono luci ad illuminarla. Quando il black-out paralizza una città e le candele accese diventano spettri che si muovono fluttuando fra vie dall’odore di pericoli e le stelle brillano minacciose nel cielo, annunciano la rovina. Allo stesso modo Matthew era accucciano in un teepee, rannicchiato su se stesso, il suo ego annichilito da vicende di cui non riconosceva un volto o una ragione. Gli occhi chiusi, spenti. Le labbra leggermente pendenti, i capelli adagiati sul terreno a formale una spirale, che risucchia ogni emozione. Che spegne ogni sospiro. Il conforto sarebbe dovuto arrivare nel sonno ristoratore ma era proprio lui, il sonno – e il sogno – a offuscare ogni briciolo di felicità. Matthew non volava in alto, sereno, fra le nuvole, ma sprofondava sempre più giù, verso l’Inferno. E nonostante avesse paura, non aveva più forza per combattere.
Lasciati andare. Lascia che sia il dolore a conquistarti. L’Oscurità.
Muori in una pozza nera, senza implorare aiuto, lascia che mani di tenebra ti trasportino ai Campi Elisi, che ti cingano il petto, che ti sbattano in una cella grigia e buttino via la chiave. Non ti serve nient’altro di questo mondo. Sei una microscopica capocchia di spillo che si dibatte nelle viscere dell’esistenza, lì al margine fra ciò che è e ciò che non è. Allora non essere. Cessazione della fatica. Di ogni dolore. Annullamento della personalità. Cancellazione dell’ego dai registri dell’universo.
Cammini su una strada sbiadita, ondulata, percorsa solo da lucciole solitarie, forme tangibili di ciò che può essere uno spirito buono. Ma il mondo è percorso anche da spiriti malvagi. E sono loro che danno adito a plumbei pensieri quando non stai guardando. Quando la tua mente è distratta in un’immagine onirica. In un sogno.
Cammini su una strada sbiadita, Matthew, e le ombre di ogni individuo che osservi si contraggono su se stesse divorando i loro proprietari. Inglobano tutto in un’oscurità indistinta. Un macabro banchetto, senza pane né vino, in onore di Fobétore. E quei volti li hai già visti in passato, li conosci. Ma non riesci a ricordarli. Sono facce bianche e ovali come un pallone da rugby, vestite di tutto punto, senza occhi, né naso, né capelli. Senza tratti. Così è come essere nessuno. Eppure sai che basterebbe una spinta per rammentare. Ma sei debole. E ti trascini verso l’Inferno. Dannazione. Peccato. Spirale. Morte. Un ciclo senza fine che circonda ogni essere vivente. Che conduce al rosso acceso. E alla polvere.
Le fate ti salutano dall’alto, mentre ti aggrappi a un’ultima speranza. Mentre credi di poter ancora fare quando ormai il tuo compito è finito. Stai per cedere lo senti. L’incubo ti avvolge e vince.
Ed è così che emerge l’idea. Spontanea e innata. Incausata. Un bagliore leggero ma netto che si staglia contro il fronte ondoso delle tenebre. È così che ti accorgi che non è tutto bianco o nero. Che la natura è un continuo mescolarsi di tonalità e colori diversi. Che non è un discreto ma un continuo divenire. Il bianco e il nero sono solo più realistici. Non tutto è perso o salvato per sempre. Combatti per questa idea, Matthew. Lasciati andare. Perché, quando ti sveglierai davvero, potrai non essere più te stesso. Perché alla luce di quello che capirai e vivrai sulla tua pelle, il mondo potrà apparirti differente. Un chiaro oscuro. Dal gusto di delirio.
All’improvviso, mancanza di ogni sostegno. Sensazione di caduta nel baratro senza fine. Cuore che viene estratto dal petto e divorato. Lacerato. Masticato e gettato ai cani. Mente aperta in due. Dolore. Raggio di sole. Risveglio.

Matthew si svegliò di soprassalto. Una luminosità fioca si estendeva in tutto il teepee, facendo risaltare le strane figure dorate dipinte al suo interno. Era stato un sogno così reale, così reale… Matthew pensava, ma non riusciva a focalizzare. Credeva di aver visto un volto ovale prendere forma.
E la forma assunta era stata quella del Collezionista di Farfalle.


L'Angolo dell'Autore
Doppio aggiornamento questa settimana! Questo week end sarò un po' impegnato quindi pubblico adesso. E poi non vedo l'ora che arrivi il prossimo capitolo, presto vedrete perché! Io sono cattivo e non vi anticipo niente!! :)

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Capitolo 8
*** La Nave di Teseo ***


Capitolo 8: La Nave di Teseo

“Viviamo tutti a bordo di una nave salpata da un porto
 che non conosciamo, diretta a un porto che ignoriamo;
 dobbiamo avere per gli altri una amabilità da viaggio.”

“Allora forse ti ho già visto. Ti conosco. Chi sei? Chi sei?”
Questo pensava Matthew arrancando nella pianura, allontanandosi dal calore e dalla sicurezza che i teepee infondevano. Si sentiva rigenerato, ma non era sereno. Per nulla. Nella testa gli ronzavano mille pensieri, come uno sciame di api in agguato in un nido. Era certo di avere già incontrato in precedenza il Collezionista di Farfalle. Credeva di averlo visto, nel sogno della scorsa notte. Alcuni contorni avevano preso forma, ma non riusciva a focalizzare. Era tutto così oscuro e nebuloso. Come se mancasse la chiave di volta del tutto. Immagini cangianti gli vorticavano davanti agli occhi, e forse fu proprio per questo che non si accorse del cambio di ambientazione. Aveva la pianura alle spalle, e stava percorrendo un dissestato sentiero montano, pieno di ciottoli e terriccio fangoso. Certo, era curioso. Dall’accampamento era sicuro di non aver intravisto alcuna catena montuosa, per quanto piccola, all’orizzonte. A questo punto non sarebbe riuscito a tornare indietro neanche volendolo. Era sicuro che Nathan lo avesse previsto.
Nathan. Un personaggio bizzarro. Nitido come una sfera di cristallo. Dalla sua limpida serenità emotiva, dal suo distacco terreno da ogni cosa, sembrava conoscere tutto. Infondeva negli altri un senso di sicurezza. “Ci sono io a proteggerti, non preoccuparti”, questo sembravano dire i suoi occhi. E quegli occhi, dio, quegli occhi! Ti uccidevano come una coltellata! Potevi perderti in mille labirinti solo a guardarli, potevano stregarti più di Medusa. Potevano, da soli, sorreggere il mondo. Nathan era una figura teatrale e pura. Una presenza solida. Matthew non ce la faceva ad avercela con lui per non avergli dato spiegazioni. Come faceva ad essere arrabbiato? Gli aveva praticamente salvato la vita.
«Ci siamo persi, ragazzo?»
Una voce ruvida e grinzosa fendette l’aria come una lama deformata. Matthew si riscosse e si guardò intorno. C’erano solo rocce e alberi, e quel piccolo sentiero acciottolato pieno di buche.
«Sembra proprio smarrito, non è vero?»
Un’altra voce. Questa era sottile, di seta. Ma immancabilmente sgradevole e pungente.
«Chiamerà la mamma adesso?»
Una risata collettiva. Sembravano in due. Ma non c’erano. Non c’era nessuno su quel sentiero. Nessuno. Neanche un’anima. Il vuoto. Matthew pensò che forse era giunto in un punto di non ritorno nel baratro della sua follia. Quando si iniziano a sentire voci, o si è pazzi o sono gli altri ad esserlo. E in ogni caso non è un buon segno. Ma qui di altri non se ne vedeva l’ombra, quindi rimaneva soltanto una conclusione.
«Credi che lo abbiamo spaventato?»
Di nuovo la voce di seta, questa volta con un accento un po’ più incerto. Poi una risata ruvida.
«Non avercela con noi, ragazzo, volevamo soltanto divertirci un po’. Non passa mai nessuno da queste parti!»
Nessuno dietro agli alberi, nessuno all’orizzonte. Le rocce sono vuote. Le foglie non parlano! Il vento non sussurra! Dove siete? Dove siete? Dove siete?
«Sai, il fatto che tu non sappia dove guardare fa pensare che tu non sia una persona molto ottimista. Il terreno è come un muro. Non saprà mai darti giusti consigli, per quanto tu voglia sbatterci la testa contro.»
Gli occhi di Matthew si erano ridotti a fessure. Continuava a guardarsi intorno con circospezione. Poi, la rivelazione.
«Osserva il cielo!», disse la voce ruvida.
Alzò lo sguardo. Bastò poco per capire. Come aveva fatto a non vederla? Una vista così stupefacente. E anormale, tanto per cambiare. A tratti sinistra.
Ancorata saldamente fra gli alberi, avvinghiata nei rami di tronchi millenari, riposava una nave gigantesca. Sospesa nel cielo, ma attratta al suolo. A metà fra il tetraedo e il cubo platonico. Era una nave maestosa. Di un legno lucido, che non mostrava il minimo segno di invecchiamento o di usura. Con fregi dorati che si raffinavano in morbide curve lungo i fianchi. Le vele bianchissime. Non aveva bandiera. A prua una polena dall’enigmatico sorriso guardava Matthew dall’alto. E il ragazzo era incantato. Fu solo a quel punto che si accorse dei due uomini che si muovevano freneticamente lungo il bordo, sporgendosi e cercando in tutti i modi di farsi notare. Il primo, quello dalla voce ruvida come la suola di una scarpa, era corpulento, con una fitta barba nera. Indossava un vestito da capitano e aveva sulla testa uno di quei cappelli marinareschi che probabilmente oggigiorno vedresti solo in un fumetto. O su una nave, appunto. L’altro era smilzo, più giovane, con un’uniforme blu e una barbetta incolta a segnargli il viso. Sarebbe stato pure un bel ragazzo se non avesse avuto una grossa cicatrice che gli segnava i lineamenti da parte a parte. Un volto angelico trasformato in demone.
L’uomo con il vestito da capitano lasciò cadere una lunga scala di corde e invitò il ragazzo a salire, con dei modi un po’ rozzi ma, almeno all’apparenza, amichevoli. Matthew era ancora fermamente attaccato al terreno, magnetizzato, e non sapeva decidere se scappare a gambe levate, evitando altri pazzoidi, o cercare di capire qualcosa in più sulla assurda situazione in cui si era andato a cacciare. Ma il suo innato istinto di curiosità lo spinse a mettere i piedi su quella scala di fortuna e a salire lentamente. Si sentiva come se stesse scalando un cielo invisibile, coperto dall’ombra di quella nave misteriosa.
Giunto sulla cima, Matthew venne tirato su dai due uomini e letteralmente scaraventato sul ponte. Si rialzò a fatica e riuscì finalmente a vedere distintamente i due figuri che fino a qualche istante prima erano solo puntini nel cielo. Fu l’uomo dalla voce ruvida a rompere il ghiaccio.
«Benvenuto a bordo, straniero!», incominciò, «Perdonaci per averti spaventato. Non era nostra intenzione. Permettimi di presentarmi, io sono Capitan La Roche», disse, togliendosi il cappello e mimando un inchino. Poi indicò il suo compare, «e questo è il mio primo ufficiale Sebastian Leroux.»
Il tipo mingherlino abbozzò anche lui un inchino.
«Io mi chiamo Matthew», disse il ragazzo, adeguandosi a loro, «e credo di essere un po’ confuso… Cosa vi è capitato, monsieur La Roche? Cosa ci fa una nave come la vostra qui sugli alberi? E dov’è il resto del vostro equipaggio?»
Lo sguardo del capitano si fece di cenere.
«Sono tutti scomparsi.»
«Intende dire che sono… morti?»
«No, no, parbleu», rispose Leroux, «sono semplicemente andati avanti.»
Matthew non riusciva a comprenderli.
«E anche noi li seguiremo al momento opportuno!», riprese La Roche, «Alla prossima mareggiata! È vicina, lo sento! Me lo dicono queste vecchie ossa, e credimi, ragazzo, non ho mai sbagliato. È in arrivo una tempesta!»
Matthew non sapeva più cosa pensare.
«Piuttosto, ragazzo, tu cosa ci fai qui? Non capita spesso di avere visitatori!»
«Io…», iniziò, «io credo di essermi smarrito. Mi sono svegliato sulla spiaggia… credo di aver perso memoria dei miei avvenimenti recenti… Non saprei cosa rispondervi, davvero. Ormai non sono più sicuro nemmeno di chi sono davvero.»
Tirò un sospiro, Matthew, uno di quelli rassegnati all’ineluttabile corso degli eventi. Capitan La Roche guardò il suo compare di sottecchi e sorrise leggero.
«Questo problema assai interessante è», disse, sgrammaticando la frase, «Mi ricorda un racconto che ho sentito, una volta, navigando per mare. Conosci la storia della Nave di Teseo? Ne hai mai sentito parlare?»
Matthew scosse la testa.
«È racconto antico. Certamente avrai sentito parlare di Teseo, il mitico eroe greco, il signore dei Dori e degli Iori, l’uccisore del Minotauro, no? Ebbene, il vascello sul quale Teseo si imbarcò insieme ad altri giovani guerrieri era una galera a trenta remi, che gli Ateniesi custodivano fin dall’epoca di Demetrio Falereo. Costoro ne asportarono via i pezzi man mano che si deterioravano e li sostituirono con altri, esattamente identici agli originali, finché non rimase nulla, assolutamente nulla, neanche un chiodo o un asse, della nave originale. Ma allora la nave si è conservata oppure no? Nonostante i cambiamenti, è rimasta la Nave di Teseo che venne condotta per mare in origine?»
Matthew rimase sovrappensiero. Non sapeva cosa rispondere. Improvvisamente, era affascinato dalle parole di La Roche.
«Pensa questo, ragazzo», continuò il capitano, «una persona negli anni cambia, il giovane muta in adulto, l’adulto in vecchio, il bambino si trasforma perdendo la sua purezza, succede a tutti. Anche a me. Anche a te. Eppure, noi siamo sempre lì dentro, nel nostro corpo. Non cambiamo mai davvero. Pensaci.»
E Matthew ci pensò. Ci aveva già pensato, in realtà. Per ore. Era il suo Nero Motore del Mondo. Se lo era chiesto dal primo istante in cui aveva scoperto di non poter ricordare. Chi avrebbe potuto assicurargli di essere ancora se stesso? Chi poteva dargli la garanzia del fatto che, prima di precipitare su quest’isola, non fosse stato una persona completamente differente?
«Vedo che le parole del Capitano ti hanno colpito.»
Matthew si riscosse, aveva le braccia poggiate alla balaustra, lo sguardo perso verso l’orizzonte. L’imbrunire. Uno spettacolo ancestrale. Una danza di colori ai confini della terra. Nuvole fumose e chiaroscuri. E poi all’improvviso, nella contemplazione di quel divino, l’inaspettato. Una mancanza di sensibilità nelle gambe, una caduta ripida verso il centro della terra. I colori che sfumano.
Dissolvenza in nero.


L'Angolo dell'Autore

Avevo promesso ad un utente che avrei aggiornato oggi, per cui eccomi qui! Vi ragguaglio un po' sulla situazione: diciamo che stiamo per entrare nelle battute finali (manca ancora un pochetto, ma con questo capitolo si conclude un po' il blocco centrale del racconto). Sto scrivendo il successivo e, se tutto va bene, dovrebbe essere online questo fine settimana o al massimo all'inizio della prossima. So che probabilmente avete tante domande e del racconto ancora non avete capito bene il senso, vi prego di avere ancora un attimo di pazienza e spero che finale non vi deluda. Perciò... restate connessi!

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Capitolo 9
*** La dea prigioniera ***


Capitolo 9: La dea Prigioniera

“I discendenti di Noè vollero costruire nella città di Babele una
Torre così alta da toccare il cielo. Ma Iddio, sdegnato da tanta
superbia, confuse il linguaggio di quelli che la costruivano, i quali
 – non potendo intendersi fra loro – lasciarono l’opera incompiuta.
Opera che fu detta Torre della Confusione.”

Spesso è una torre a dare matto negli scacchi. È uno degli ultimi pezzi ad entrare in gioco, e per questo, solitamente, rimane viva in almeno uno dei due schieramenti. Ha un raggio d’azione più grande di un alfiere, preciso più di un cavallo. È l’emblema della solidità. Dell’immobilità di fronte alle catastrofi.
Una torre è spesso sviluppata in altezza, la base può essere circolare o rettangolare ma il risultato è sempre lo stesso: uno slancio verso il cielo. Una proiezione di se stessa in una dimensione onirica superiore, che trascende quella delle persone comuni, costrette a guardare dal basso in alto. A chinarsi di fronte a tanta magnificenza. Credete che Pisa sarebbe forse la stessa senza la celebre opera di Giovanni Pisano? Londra perderebbe un po’ della sua luce, evanescendo il Big Bang?
Probabilmente si.
Perché le Torri sono state per secoli il pilastro degli uomini sulla Terra: una monolitica testimonianza di essenza in un regno che si discioglie nel peccato.

Matthew si risvegliò intontito. Gli girava la testa, e sentiva il suo cuore pulsare a mille. Maledisse la terra e il cielo. Se c’è un dio a questo mondo, maledisse anche lui. Ancora una volta era tutto scomparso. Non c’era più nulla. Né Capitan La Roche, né Leroux, e nemmeno la nave nel cielo … era tutto svanito. Come una bolla di sapone scoppiata al sole. Forse Matthew si trovava in un sogno, senza saperlo. Magari da qualche parte c’era un “altro lui” che dormiva beatamente, in attesa solo di risvegliarsi. Attendendo i titoli di coda del film, il sipario della Divina Commedia.
Aspettando semplicemente di rivedere le stelle.
Matthew si alzò in piedi. L’erba gli aveva solleticato il viso e aveva ridato coscienza al suo spirito. Sintomo che allora, magari, era tutto reale. Che quella torre che vedeva davanti a sé non se la stava immaginando ma esisteva davvero. Un edificio imponente che fendeva il cielo come una spada demoniaca. Nuvole candide danzavano intorno a quella lama di pietra. Non si riusciva a vedere dove terminasse. Era ancestrale. Pietra su pietra si portava su, sempre più su, come a voler raggiungere un qualche scopo. Ma le pietre erano nere, e oscure. Regnava, anzi, in quella valle, un’aria di tenebra.
Con passo incerto, Matthew si avvicinò al grande portone di ingresso. Oramai aveva deciso di lascarsi semplicemente andare. Anche se sarebbe più preciso dire lasciarsi condurre. Lo sentiva nelle vene e nella testa. Qualcuno lo aveva portato lì, qualcuno gli aveva fatto incontrare Nathan, il Collezionista, La Roche, Leroux. Qualcuno aveva eretto quella folle torre nera.
E adesso quel qualcuno lo stava implicitamente invitando ad entrare.
Tutto finiva lì, in quella torre. Matthew lo sentiva. Lo aveva capito dal momento in cui aveva parlato con la Roche. Forse avrebbe trovato delle risposte. E forse quelle risposte lo avrebbero distrutto, annichilito, ma almeno avrebbe saputo la verità. Perché nulla – nulla! – è più importante della verità.
Matthew spinse la ferrea maniglia circolare, finemente ornata con il fregio di un serpente, e si lasciò immergere nella più cieca oscurità.

Un odore stantio invase i suoi sensi. C’era puzza di chiuso e di muffa, come se quel luogo non avesse visto la luce da millenni. Una luminosità soffusa permetteva di intravedere qualcosa all’interno di quella stanza polverosa. Le pareti erano composte, come dall’esterno, da grandi pietre, impilate le une sulle altre, ma, al contrario, erano grigie. Il soffitto era basso e opprimente. C’erano ragnatele ovunque. Da una piccola finestrella posta in alto filtrava una pallida luce biancastra.
Per il resto la stanza era vuota. Piena di umido e in stato di abbandono, ma vuota.
Matthew si guardò intorno. Doveva esserci dell’altro. Quello che aveva capito, dalle sue esperienze passate sull’isola, era che ogni cosa sembrava avere uno scopo. Quindi anche lì avrebbe trovato qualcosa. Magari qualcosa di folle come in precedenza, ma sicuramente più di niente.
Fu allora che si rese conto che la follia era proprio davanti ai suoi occhi. All’interno di quella stanza circolare, in quella torre altissima che toccava il cielo, una scala che conducesse verso l’alto non esisteva. Era presente, di contro, una minuscola distesa di gradini che conduceva verso il basso. La contrazione di ogni logica. Cautamente, Matthew gli si avvicinò e, dopo aver dato una rapida occhiata al portone d'ingresso ancora spalancato sul mondo, iniziò a scendere.
Le discesa non fu ardua. Le scale si sviluppavano a spirale mantenendosi sempre all'interno del perimetro della torre in una ricorsiva chiamata su se stesse. Alle pareti erano incastonate delle torce e risplendevano cupe. Matthew scendeva lentamente, ma senza timore. Non aveva mai avuto davvero paura da quando si era svegliato sulla spiaggia. Anche se ogni cosa che aveva vissuto da quel momento in avanti non sembrava avere alcun senso, lui era stato inconsciamente sereno. Come se tutti i suoi problemi non fossero incominciati davanti all'oceano, ma fossero finiti proprio lì, e fossero stati trasportati lontano, dalle onde. Dopo alcuni interminabili minuti, Matthew intravide la fine di quella discesa uroborica. Dopo l’ultimo gradino, oltre un’arcata, si estendeva una piccola sala circolare di pietra, identica in tutto e per tutto a quella in superficie. Dall'altro lato, si ergeva un enorme portone di legno sigillato. Era chiuso, ermeticamente. Una porta senza pomello e senza maniglia, con un'unica fessura per sbirciare all'interno. Il ragazzo si avvicinò con curiosità e tese l’orecchio per cercare di cogliere qualche rumore che potesse provenire dall’altra parte. Riusciva a percepire un suono indistinto. Come un lamento continuo, ma lontano, lontanissimo. Come se provenisse da un altro tempo o da un altro spazio, da una dimensione diversa, estranea alla sua.
Matthew non resistette più alla tentazione, e sbirciò guardingo all’interno tramite quella piccola fessura posta proprio al centro della porta. Quello che vide non si può descrivere. Al di là, si allungava un lunghissimo corridoio di pietra, tanto grande da non riuscire a poterne vedere la fine. E a terra, da un lato, appoggiata ad una parte, una creatura singhiozzava furiosamente. Era in ombra e non era possibile distinguerne bene i lineamenti. Era una donna. Portava uno straccio in vita, aveva le gambe al petto e il viso appoggiato su di esse, con le mani a cingerlo in un abbraccio di disperazione. I suoi capelli erano ricci, e rossi, focosi più di una fiamma, e cadevano con eleganza sulle sue spalle.
Matthew guardò quella creatura per qualche istante, poi provò a parlare. A dire qualcosa di indefinito. Bastò questo per farla riscuotere e farle guardare in alto, verso quello che – forse – pensava essere il suo carceriere. Con passo felpato, la donna si alzò e in un attimo fu alla porta. I loro sguardi si incrociarono.
«Charlotte», disse Matthew in un sussurro talmente flebile da trascinarlo nell’Ade.
La donna iniziò a battere furiosamente contro il portone e a gridare come una forsennata. Il ragazzo urlò e, come accecato da una visione di sangue, scappò via. Su per le scale! Su, ancora più su!
Aria, aria!
La testa scoppia!
Non ho più respiro!
Grida più forte! Non ti sento!
Le scale si riavvolgono al contrario!
Non farmelo rivivere!
Non farmelo rivedere!
Mostrami il mare e la libertà oltre le onde che si allungano in una notte scura!
Oltre il portone d’ingresso di quella folle torre!
Oltre la donna che urla al piano di sotto!
Oltre il mare di ricordi in cui annego!


L'Angolo dell'Autore
Rieccoci con un nuovo capitolo. Perdonate la mia esasperante lentezza ad aggiornare, ma in questo periodo sono abbastanza preso da diverse cosette. Coooomunque, stiamo per arrivare alla fine, mancano un paio di capitoli e ci siamo. Nel prossimo probabilmente troverete la maggior parte delle risposte alle domande che vi sarete posti per tutta questa storia. Spero solo che il finale non vi deluda. Anche perché, come dissi all'inizio di questa storia, è vero che la pubblico qui nella categoria dei gialli, ma si tratta di un giallo atipico, quindi.... lo scoprirete nel prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** Sulla nave dei ricordi ***


Capitolo 10: Sulla nave dei ricordi

“I giorni in cui dimentico sono finiti,
stanno per cominciare i giorni in cui ricordo.”

«Ancora con quel libro, Matt? Non ti ha stancato?»
Matthew sedeva nella hall della “Città di Smeraldo”, sprofondato in una poltrona elegantemente ricamata e dal morbido cuscino colorato. Aveva deciso di affrontare quel viaggio, alla fine. Era stata una decisione improvvisa e irrevocabile. Ci aveva pensato per giorni, rimanendo sveglio fino a tardi, nudo nel letto, con gli occhi fissi contro il soffitto. A riflettere. Una di quelle notti, alla fine, gli aveva portato consiglio. Così aveva messo tutto quel poco che aveva nel minuscolo appartamento in valigia ed era partito.
La “Città di Smeraldo” era stata pronta ad attenderlo. Si trattava di una modesta nave passeggeri vecchio stampo, di quelle antiche che mantengono ancora il fascino del secolo scorso, delle lunghe traversate oceaniche, delle feste e dei gala. A Matthew non importava nulla di tutto questo, purché arrivasse a destinazione.
«Come potrebbe mai stancarmi, Walt? Ti ho già raccontato di cosa parla?»
L’uomo lo fissò divertito.
«Si, almeno… dieci volte direi!»
I due risero. Il professor Walter era un uomo di mezza età, tozzo e dai radi capelli bianchi. Portava un paio di microscopici occhiali toneggianti dalle lenti spesse come fondi di bottiglia sopra i quali si scoprivano folte sopracciglia nere. Il naso era grosso ed adunco, e spiccava netto su quella faccetta da rospo. Indossava una camicia almeno due taglie più grandi della sua statura, il che, su quel corpo magrolino, era un autentico controsenso. Ma a lui sembrava non importare.
«Avanti», disse Matt, «La Collina dei Conigli di Adams è uno dei libri più significativi di fine Novecento! La storia di questi conigli che sfuggono alla distruzione della loro conigliera fa riflettere sulle azioni degli uomini, no? E poi, il veggente è un personaggio interessante. Quando lui ritorna a casa ad avvisare gli altri conigli del pericolo, questi non gli credono! Mi sono sempre chiesto cosa avrei fatto io se mi fossi trovato in quella situazione. Probabilmente non avrei creduto alle parole di Quintilio… Non lo so...»
«Sono certo invece che uno come te gli avrebbe creduto. Matthew, da quando ci siamo incontrati qui sulla Smeraldo non ti sento che parlare di quel libro.»
Il professore si sedette sulla poltroncina di fianco a lui, fissandolo intensamente.
«Lei però non è da meno con i suoi discorsi sugli insetti!», protestò Matthew.
«Touché!», rispose ironico l’altro, «ma è il mio lavoro e la mia passione, cosa posso farci?», disse mentre si passava una mano fra i pochi capelli argentei che gli rimanevano, «a proposito, ti ho già detto che durante questo mio ultimo viaggio sono riuscito a mettere le mani su un raro esemplare di Farfalla Monarca?»
«Si, più o meno… centomila volte!», rispose, con un sorrisino ironico.
Il professore sbuffò in segno di stizza, ma poi estrasse un piccolo taccuino nero dalla tasca e si immerse nei suoi pensieri.

I tre giorni precedenti trascorsero così, per Matthew, fra la contemplazione dell’oceano e lo scambio di qualche parola con quel buffo ometto amante degli insetti che aveva conosciuto a bordo. Vedeva il sole tramontare e risorgere dal mare come una fenice e i suoi pensieri si perdevano spesso nei più oscuri abissi dell’oceano. Ripensava a Charlotte, a quello che aveva fatto, a quanto stupido era stato.
Ma stava tornando, avrebbe rimediato e tutto si sarebbe sistemato. Come un tempo.
«Domani a quest’ora dovremmo essere in porto.»
Una voce ruvida e grinzosa fendette le sue orecchie. Capitan La Roche si ergeva di fronte a lui nel piccolo salottino. La sua presenza era accompagnata sempre da gesti molto teatrali che il capitano, involontariamente, compiva mentre parlava o teneva un discorso. Anche questa volta, discutendo con lui, lo si poteva vedere allargare le braccia e distendere le mani, gesticolando.
«Molto bene, capitano, molto bene», disse il professore.
Matthew annuì. Il suo cuore perse qualche battito al solo pensiero che l’indomani sarebbe giunto a destinazione.
«Sono venuto ad avvertirvi che questa notte sarà un po’ movimentata per via del cattivo tempo», continuò il capitano, «quindi vi consiglio di ritirarvi nella vostra cabina per evitare problemi a bordo.»
«Nessun problema, capitano», rispose il professore, «tanto qui c’è qualcuno che non vede l’ora di giungere a destinazione», disse riferendosi a Matthew, il quale gli lanciò una frecciatina impercettibile con lo sguardo, «faremo i bravi, promesso», concluse sorridendo amabilmente.
«Benissimo, allora buona notte!», disse il capitano e si allontanò.
Matthew a quel punto si alzò dalla poltroncina, squadrò il professore che gli sorrise di rimando, e uscì dalla sala senza dire una parola.

«E’ davvero tanto grave la situazione, capitano?»
La Roche sedeva, visibilmente agitato, in cabina di comando, di fianco al primo ufficiale, Sebastian Leroux.
«E’ disastrosa, Leroux. Quella che vedi è solo la calma prima della tempesta, ma la strumentazione non mente. Ci aspetta un vero uragano, di qui a poco. Dobbiamo essere preparati. Dai ordine a tutti gli uomini di tenersi pronti a qualsiasi condizione di emergenza», disse congedando Leroux, «Ah, Leroux, niente errori», concluse serio.

Matthew era disteso mezzo nudo a pancia in su nella sua cabina. Gli ormai vacui riflessi del tramonto già spento mettevano in risalto il suo petto glabro e i suoi addominali leggermente scolpiti. I lunghi capelli castani appiattiti sul cuscino.
Charlotte…
Ancora una volta la focosa chioma di lei fece capolino sui suoi ricordi. Non basterebbe una vita forse a raccontare tutto. Di lui. Di lei. Di loro. A Matthew era stato insegnato che ogni storia ha sempre un principio e una fine ma la vita vera non funziona allo stesso modo. E’ un continuo divenire. Un mutevole riflesso nello specchio. Nessun “e vissero tutti felici e contenti” nella realtà perché tutto cambia e si trasforma, elevandosi verso picchi di gioia o crollando in abissi di disperazione. E chi lo sa dove ti porta, poi, il domani.
Charlotte… Sto tornando da te.
Sembrava non riuscire ad articolare le parole né a delineare con esattezza la lunga catena di eventi che lo avevano condotto lì, sulla Città di Smeraldo. Tutto era accaduto velocemente, così velocemente da non dare il tempo ai ricordi di formarsi. Erano stagliati lì, su quel margine onirico, ma impalpabili e irraggiungibili. Tutto ciò che contava era il futuro. Era Charlotte.
Con questo pensiero, sprofondando nel cuscino, Matthew si lasciò andare al più mite dei sogni.

Quando Matthew si svegliò era già troppo tardi. Era sempre stato troppo tardi. Matthew venne sbalzato dal letto come se un terremoto avesse colpito un edificio fino a farlo crollare. L’acqua salmastra, oscura come quella notte senza stelle, lambiva già buona parte della cabina. Tutto era in pezzi, nelle stanze della mente e fuori. Tutto era perduto. All’improvviso venne risucchiato da un gigantesco buco che si era aperto al centro della piccola stanza, finendo per annaspare nei sotterranei paludosi d’oceano.
Non riusciva a respirare, non sentiva niente. Nessun grido d’aiuto, nessuna campana squarciava il silenzio attonito. Perfino la paura si era attutita facendo spazio alla rassegnazione.
Sto per morire.
Forse fu proprio questo pensiero a dargli la spinta per non arrendersi, ad usare tutte le sue forze, fino alla fine, comunque sarebbe andata. Lo doveva a Charlotte. Lo doveva a se stesso.
Un battito d’ali e risalì in superficie, respirando aria pulita, nell’andirivieni violento delle onde. In lontananza vide la Città di Smeraldo. Distrutta. Non dalla Strega dell’Ovest, ma da un avversario molto più concreto, e temibile, e sottovalutato.
Matthew non riusciva a decidere cosa fare. Cercava solo di restare a galla e pregava che le energie non lo abbandonassero proprio in quel momento.
Poi accadde il miracolo.
Credeva – no, non poteva essere vero – di aver visto qualcosa stagliarsi nell’alto di quella notte oscura, dal lato esattamente opposto a quello in cui il relitto della Città di Smeraldo stava affondando.
Iniziò a nuotare con forza, Matthew. Forte sempre più forte.
La testa mi scoppia.
Grida più forte, non ti sento!
Le onde si infrangono al contrario!
Se solo riuscissi ad arrivare lì, se solo riuscissi a raggiungere quel miraggio!
Se.



L'Angolo dell'autore
Vedere questa storia incompleta mi dava una stretta al cuore. Dopo un periodo di "crisi creativa" e varie difficoltà di sorta che mi hanno tenuto impegnato ho deciso di concluderla. Chiedo scusa a quanti hanno seguito questo racconto per poi vederlo interrotto proprio alla fine. Ho ultimato i due capitoli finali che mancano, pubblico questo oggi e il prossimo fra qualche giorno. Grazie per la pazienza e un commento è sempre gradito!

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Capitolo 11
*** La decisione finale ***


Capitolo 11 – La decisione finale

“Attento a ciò che scegli. È possibile che tu lo ottenga!”

«Ho sempre creduto che ce l’avresti fatta!»
Nathan era in piedi, come una statua di cristallo osservava Matthew in ginocchio davanti a lui. Matthew, che era scappato urlante da quella folle torre della rovina, uscito in cerca d’aria e, incespicando, capitato lì, quasi come se fosse suo destino. Ormai tutto era chiaro. La nebbia si era dipanata, mostrando una voragine di oscurità.
«Allora…», disse Matthew tremante, «allora è tutto vero? È successo per davvero?»
Nathan lo guardò con un’espressione malinconica, inclinando il capo.
«Si», disse infine senza alcuna tonalità.
«E io…», proseguì Matthew, sempre in ginocchio davanti a lui, le mani a toccare l’erba fredda, «sono morto?»
Nathan tornò alla sua enigmatica espressione di sempre, chiudendosi nel suo alone di mistero.
«Ah, è tutto qui il problema, vero?»
Matthew non capiva più niente, sentiva solo il cuore martellargli forte nel petto. Avrebbe voluto estirparlo per far finire tutto. Non era riuscito a tornare. A salvare lei. A salvare se stesso.
Giunto sull’isola, Matthew era stato felice di scoprirsi vivo, ma il fato trucca le carte in modo bizzarro.
«Cos’è quest’isola?», chiese, poi, rincarando la dose.
«Te l’avevo già detto, no? Questa non è un’isola! Non è un’isola…», rispose Nathan rimarcando più volte le sue parole.
«E allora che cos’è?», chiese infine, le lacrime agli occhi a bruciare le calde guance con scie roventi.
Nathan si accovacciò a terra, stando in punta sui piedi e ponendo le braccia sulle ginocchia.
«Rispondi a una domanda, Matt: tu sei sopravvissuto? Qual è l’ultima cosa che ricordi del naufragio? Forse un’isola lontana che cercavi disperatamente di raggiungere mentre i polmoni bruciavano per la richiesta d’ossigeno? Non tutti riusciamo a metabolizzare certi dolori con facilità… Abbiamo bisogno di tempo, abbiamo bisogno che ci sia qualcuno ad indicarci la strada e che, a piccole dosi, ci permetta di ricordare quanto abbiamo lasciato indietro, perché troppo doloroso. Tu hai affrontato tutto questo. Charlotte è stata rinchiusa qui per tutto questo tempo.»
Sentendo quel nome, Matthew si fece forza e guardò Nathan dritto negli occhi. In quei tunnel oscuri in cui era facile perdersi. I loro volti erano vicinissimi, così vicini da potersi quasi toccare. Sentiva il respiro di Nathan su di lui come una presa psichedelica.
«Ma tu l’hai liberata.», proseguì il ragazzo scuro, «Hai vinto i tuoi fantasmi e reclamato la tua identità. Ora sei libero di andare.»
«Andare dove?», chiese Matthew.
«Questa è una tua scelta. Tu hai affrontato la tempesta e le violenti onde oceaniche. Sei arrivato sull’isola oppure no? Magari tutto questo è solo una tua proiezione onirica o forse questo posto è…»
«…il Purgatorio?», concluse Matthew.
Nathan sorrise e fece spallucce con noncuranza, quasi a voler dire “ogni cosa è possibile”.
«Dietro di me troverai due strade, Matthew. Due vie verso differenti destini. Entrambi ti ricondurranno a Charlotte, ma in quale modo o in quale tempo spetta solo a te decidere. E pagarne il prezzo.»
«Il prezzo?»
«Ma è chiaro. Non lo sai? Ogni cammino ha un costo, oltre ad una destinazione, ed ora spetta a te pagarlo.»
«Continuo a non capire…», disse Matthew, fra i brividi.
«Allora non pensarci e vai avanti, ti verrà qualche idea lungo la strada.»
Detto questo Nathan si alzò nuovamente in piedi e Matthew fece altrettanto, non senza difficoltà. Era ancora provato per quanto accaduto, ma si sentiva sereno, come se si fosse liberato di un grosso peso sul cuore. Si girò indietro ad osservare quella folle torre. Fu solo un momento e Nathan era sparito, come se non fosse mai esistito.
A quel punto, camminando lentamente, trascinato dal peso dei suoi ricordi, Matthew si mise in marcia verso il suo destino.

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