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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Capitolo I - Si vive insieme, si muore soli (Parte prima) *** Capitolo 2: *** Capitolo II - Si vive insieme, si muore soli (Parte seconda) *** Capitolo 3: *** Capitolo III - Tutte le strade portano a te *** Capitolo 4: *** Capitolo IV - Ergastolo *** Capitolo 5: *** Capitolo V - Prigioniero *** Capitolo 6: *** Capitolo VI - Cicatrici *** Capitolo 7: *** Capitolo VII - Malfoy *** Capitolo 8: *** Capitolo VIII - La maschera migliore *** Capitolo 9: *** Capitolo IX - Il prezzo da pagare *** Capitolo 10: *** X - E venne il giorno *** Capitolo 11: *** Capitolo XI - Il male minore *** Capitolo 12: *** Capitolo XII - Easily torn *** Capitolo 13: *** XIII - Not easily mended ***
Capitolo 1 *** Capitolo I - Si vive insieme, si muore soli (Parte prima) ***
Espiazione
« È una storia da
dimenticare
È una storia da non
raccontare
È una storia un po’
complicata.
È una storia sbagliata.
Cominciò con la luna
sul posto
E finì con un fiume
d’inchiostro.
È una storia un poco
scontata.
È una storia sbagliata
»
Una storia sbagliata –
Fabrizio De Andrè
Diagon
Alley non era altro che un cupo agglomerato di casupole plumbee e vecchi negozi
dai muri incrostati e dagli interni polverosi. Gli antichi sogni di gloria che
aveva vissuto, e che molti maghi ricordavano ancora, si erano infranti insieme ai
vetri delle botteghe che un tempo costeggiavano la strada. La luce era
diventata presto memoria sbiadita: uno spesso strato di nuvole copriva il cielo
ormai grigio del luogo. Il sudiciume aveva preso possesso di ogni mattone,
incuneandosi tra gli stretti vicoli che separavano le dozzinali case dalle
finestre ricoperte di sporco, e rigagnoli fangosi scivolavano lungo le strade,
tuffandosi in pozzanghere dall’aspetto altrettanto lercio. Il lezzo che si
respirava, un misto di denso putridume e afrore grasso, marciume e sudore, era
il risultato di anni di incivile incuria e sporcizia accumulata. L’opaca
fuliggine dell’aria era stemperata solo da vaghi e incerti sprazzi di cielo che
si intravvedevano tra un tetto e l’altro.
Una
figura incappucciata si muoveva furtivamente tra i vicoli cupi, le braccia
avvolte attorno a un fagotto che emetteva piccoli lamenti inconsistenti. Il
mantello che ricopriva il viso della strega scivolò indietro, rivelando una
ciocca di ricci neri e una pelle di pesca, imbrattata qua e là da macchie di
terra e fuliggine. Un vagabondo, fermo in un angolo nella vana speranza di
ottenere un po’ di elemosina, le sorrise, scoprendo la macchia scura di un
dente mancante e indirizzandole proposte oscene. L’unica risposta che ricevette
fu un mugolio – la lingua stretta tra i denti e l’orgoglio sepolto sotto terra.
La giovane donna arricciò il nasino, sistemò meglio il cappuccio sul capo e,
dopo aver sussurrato dolci parole al fagotto che stringeva tra le mani,
proseguì a passo spedito verso il piccolo negozio che occupava il fono della
via.
L’insegna
della farmacia doveva aver conosciuto senz’altro tempi migliori, e di sicuro un
tempo le vetrine erano stato pulite, perché tra le macchie di unto e sporco
riuscivano ancora a intravvedersi flaconi di unguenti miracolosi e pubblicità
che promettevano risultati definitivi contro la maggior parte delle malattie del
mondo magico.
Quando
la strega spinse la porta, uno scampanellio stranamente allegro e dissonante
annunciò il suo ingresso. Un untuoso ometto spuntò all’improvviso da sotto il
bancone, sistemandosi sul naso gli occhiali dalle spesse lenti e rivolgendo alla
donna un’occhiata sospettosa. Ne sondò per qualche istante il volto in
penombra, soffermandosi sui ricci scomposti e sugli occhi sfuggenti, per poi
abbassare lo sguardo sul fagotto.
«
Come posso aiutarla? » domandò con tono professionale, il dubbio un’acquosa
nota di sottofondo che non intimorì la giovane.
Hermione
trasse un respiro profondo e si avvicinò un po’ di più al bancone. Un cono di
luce le colpì il profilo dritto e la bocca morbida, rivelando un viso dai
tratti fini e delicati e uno sguardo deciso e profondo. Con una leggerezza
delicatissima poggiò il fagotto sul legno liscio del tavolo, sotto gli occhi
attenti e curiosi del farmacista; poi, scostò un lembo.
L’uomo
emise un mugolio a metà tra il sorpreso e l’infastidito quando il minuto visetto
di un neonato fece capolino dal mucchio di stracci che ne avvolgevano il
corpicino. Aveva un colorito pallido e guance fin troppo scavate per un bambino
della sua età: era evidentemente malato.
«
Ha la febbre alta da quasi due settimane. Non so più cosa fare, ho provato con
ogni tipo di pozione, ma… » cominciò a spiegare la giovane strega, ma fu
interrotta da un brusco gesto del farmacista, che chinò il capo e si avvicinò
al neonato tanto che il suo naso ne sfiorò il visetto smunto. Lo squadrò con
occhio clinico solo per qualche istante, prima di parlare.
«
È Bugattola. Una malattia virale rara, ma che si sta
diffondendo sempre di più in questi ultimi anni. È dovuta a scarse condizioni
igieniche » Gli occhi dell’uomo si assottigliarono appena, il suo sguardo divenne
una lucente punta di spilla accesa dal sospetto. « L’ultimo caso che ho
trattato ci ha lasciato due settimane fa» La sua voce si inasprì « EmmelineVance, una sciocca
dissidente che ha pagato con la vita i suoi ideali ».
Hermione
riuscì a non trasalire solo con un grandissimo sforzo di volontà. Cacciò
indietro le lacrime che le erano risalite, immediate, fino agli occhi,
mascherando il dolore per quell’improvvisa e inaspettata notizia con un timore
che non era del tutto infondato.
«
Ce la farà, non è vero? » domandò, la gola annodata dall’ansia. Il farmacista
le scoccò un’occhiata sospettosa, prima di chinare il capo e osservare con
attenzione il neonato, che aveva cominciato ad emettere deboli vagiti di
protesta.
«
La malattia è già a uno stato avanzato. Servono immediatamente delle medicine »
Puntò gli occhi, scurissimi, sulla strega. « Medicine molto costose »
sottolineò con una sfumatura di crudele soddisfazione nella voce.
Hermione
sostenne con fierezza il suo sguardo indagatore, glissando con dignità su
quella luce malvagia che leggeva in fondo agli occhi dell’uomo: la disgustava
il suo modo di guardarla, e ancor di più la repelleva quella latente
compiacenza che vibrava dentro la sua voce, quella sua inquietante perfidia che
lo schermava dalla compassione.
«
Allora mi dia immediatamente queste medicine. Farò tutto ciò che è necessario
perché Ted guarisca » disse la giovane con tono
estremamente autoritario, sfidando con lo sguardo l’uomo. Lui indietreggiò
appena, colpito da quell’autorevolezza, così dissonante con la figura dimessa e
femminea della donna che aveva di fronte. Il suo sospetto fu scalfito dalla
capacità della strega di dissimulare, da quell’orgoglio mai seppellito che era
stato la più utile delle sue armi, in molte occasioni.
Il
farmacista si esibì in un piccolo, breve inchino, prima di sparire oltre la
porta che conduceva al magazzino.
Hermione,
finalmente rimasta sola, fu libera di respirare e di concedersi un attimo di
tregua dallo sguardo inquisitore dell’uomo. Si chinò sul piccolo Ted, regalandogli un bacio delicatissimo e cullandolo con
la dolcezza di una donna e la reverenza di una madre. Il bimbo aveva cominciato
a lamentarsi e piangere: i suoi vagiti, prima inconsistenti e deboli, si fecero
via via più rumorosi. La giovane aveva il sospetto che il suo evidente
nervosismo, tradito dagli scatti ansiosi delle sue braccia, contribuisse al
malessere del bimbo, ma non riuscì a controllarsi né a scacciare quella
sensazione che si stava aggrovigliando attorno al suo cuore.
La
porta della farmacia si aprì con uno scatto improvviso. I campanelli
risuonarono allegramente nell’aria, e una folata di aria putrida e fredda
investì il viso della strega che, d’istinto, nascose il volto alla vista del
nuovo avventore, fingendo di essere profondamente interessata a una mistura
maleodorante che prometteva capelli lisci e fluenti. Considerata la sua chioma
crespa e ribelle, non era una scusa poco plausibile.
«
Harris! » chiamò a gran voce il nuovo giunto, con un tono evidentemente
impaziente. Hermione gli lanciò un’occhiata furtiva:
le dava le spalle, ma anche se non ne vedeva il viso sarebbe stato impossibile
non riconoscere la chioma biondissima che ne ornava il capo. Le sfuggì un
rantolo di panico, soffocato sulla fronte di Teddy
con un bacio maldestro.
L’uomo
si voltò appena verso di lei, scrutandola con una luce infastidita nello
sguardo chiaro. Non fece in tempo a lanciarle più di uno sguardo: il farmacista
riemerse dalle tenebre del suo ripostiglio con diversi flaconi tra le braccia.
Quando vide il mago che attendeva davanti il bancone sussultò appena e, dopo
aver riversato alla rinfusa le boccette e le ampolle appena recuperate, si
avvicinò al giovane con un sorriso sornione sul volto.
«
Signorino Malfoy, è sempre un piacere vederla. È
venuto per il solito ordine settimanale? È tutto pronto, vado subito a prendere
le sue cose » La sua voce era intrisa di un opportunismo talmente strisciante
che ad Hermione risalì per la gola un conato di
nausea acidulo. Non era certa se ciò fosse dovuto al nome pronunciato dal
farmacista, che confermava i suoi peggiori sospetti, o alla meschina ipocrisia
dimostrata dallo stesso; tutto ciò che riusciva a fare, era cullare Teddy, ma lo faceva in modo tanto nervoso da risultare
maldestra.
«
E tu, fai stare zitto quel marmocchio » DracoMalfoy latrò quell’avvertimento scorbutico mentre il
farmacista spariva di nuovo oltre la porta del ripostiglio. Nonostante la
strega fosse perfettamente cosciente della sua posizione di inferiorità, del
pericolo che correva e della stupidità delle sue azioni, nonostante fosse risaputamente razionale e certamente poco impulsiva, non
riuscì a trattenersi dal ribattere: l’insolenza e l’arroganza di quel ragazzino
viziato erano una ragione sufficiente per rischiare.
«
È solo un bambino, non lo vede? E sta male » commentò caustica, nascondendo il
volto dietro l’ombra del mantello e tra le coperte che avvolgevano l’esile
corpicino del bimbo. Gli scoccò solo un’occhiata breve, abbastanza torva da
imprimere al suo tono e alle sue parole incisività, ma quel secondo fu
sufficiente: le pupille di Malfoy si dilatarono per
lo stupore.
Il
farmacista tornò dopo pochi minuti, tra le braccia un grosso scrigno
dall’interno del quale provenivano tintinnii dissonanti.
«
Ecco, Signorino Malfoy » Mentre l’uomo poggiava la
cassa sul bancone, la manica del braccio sinistro si alzò di qualche
centimetro, abbastanza perché un lembo del tatuaggio nero giaietto che spiccava
livido sulla pelle fosse visibile a tutti i presenti.
Hermione
deglutì in silenzio, stringendo a sé il piccolo Ted
con una punta di panico a destabilizzarle le mani. Mentre Malfoy
controllava il contenuto dello scrigno, consultando una lista appena tirata
fuori dalla tasca del lungo mantello scarlatto che contraddistingueva lui e la
sua casta, il farmacista presentò alla strega il conto da pagare.
«
Centodieci galeoni?! » ripeté lei, spalancando la bocca, oltraggiata da quel
prezzo eccessivo. « Ma sono solo tre flaconi, com’è possibile…? »
«
Questo è il prezzo! Se non può pagare, quella è la porta » ribatté caustico,
indicando l’uscio con un sorriso di crudele soddisfazione sul volto.
Hermione
strinse i denti, combattendo il desiderio di dare una lezione all’uomo dinnanzi
a sé e imponendosi una calma che non le apparteneva. Diede una carezza leggera
al piccolo Teddy, bollente di febbre, spegnendo tra
le dita i suoi flebili lamenti, mentre lo cullava con delicatezza. Quando alzò
lo sguardo, incrociò gli occhi grigi di DracoMalfoy fissi su di lei, una nota di incerta perplessità ad
aleggiare dietro le pupille dilatate.
«
Mi domando perché ragazze così giovani si ostinano a riprodursi se poi non sono
nemmeno capaci di mantenere il proprio figlio » Un ghigno divertito gli
arricciò le labbra sottili. Il giovane infilò nella tasca del mantello la lista
che il farmacista gli aveva consegnato poco prima, poi compì un paio di passi
in direzione di Hermione e lanciò un’occhiata al
neonato che lei teneva tra le braccia. Istintivamente, la ragazza strinse il bambino,
nascondendo il suo visetto pallido alla vista del Mangiamorte.
«
Se non sono capace di mantenere mio figlio, è solo a causa dei prezzi disonesti
che impongono i commercianti » Hermione era sempre
stata una donna orgogliosa e caparbia. Persino in una situazione come quella, in
un momento in cui sapeva di doversi nascondere, in un frangente in cui la
prudenza sarebbe dovuta essere la sua arma e difesa principale – se non per sé,
almeno per il piccolo Teddy – non riuscì a tenere a
freno la lingua. Le parole le sfuggirono dalle labbra prima che lei potesse
fermarle, con tono fermo e deciso, una punta di fierezza a colorarle la voce e
un’altezzosità che non le apparteneva ad accenderle lo sguardo.
Il
ghigno sul volto di DracoMalfoy
si allungò: divenne qualcosa di molto simile a un sorriso, nascosto sotto una
smorfia di velato disappunto.
«
Come ti permetti, piccola, sudicia… ? »
«
Devo andare, Harris » La rabbia del farmacista svaporò in un’accondiscendente
sorriso di circostanza. Nonostante il rossore del viso rivelasse una collera
non del tutto scomparsa, e lo sguardo, rivolto alla ragazza, brillasse di
indignazione, il viso dell’uomo era una perfetta maschera di servilismo e
compiacenza.
«
Arrivederci, Signorino Malfoy. Porti i miei saluti a
suo padre. E al nostro amato Signore Oscuro, naturalmente » L’inchino fin
troppo profondo in cui l’uomo si profuse permise a Hermione
di arricciare il naso in una smorfia di palese disgusto che non sfuggì al
giovane Mangiamorte. Prima di imboccare la porta, DracoMalfoy si fermò e si voltò
verso di lei. La cassa di legno che galleggiava a mezz’aria alle sua spalle
urtò la sua schiena con un leggero tintinnio.
«
E metta sul mio conto anche tutto ciò che serve alla signorina…? » Sfumò le
ultime parole, spostando lo sguardo da un perplesso e offeso farmacista a
un’incredula Hermione, che si riprese appena in tempo
per replicare, con tutta la dignità e la prontezza di cui era capace.
«
Edwards. Michelle Edwards. E non accetto elemosina » precisò con un’accesa
sfumatura di disappunto nella voce acuta. Le guance si colorarono di un
delicato rossore, senza alcun motivo apparente, quando lui, con due rapidi
passi, le si avvicinò tanto da poter sentire il suo profumo forte e sprezzante,
il suo respiro caldo e spezzato.
«
Le Mezzosangue come te dovrebbero solo ringraziarmi quando decido di essere
così generoso. Non credi, Granger? » Fu un sussurro
gelido che paralizzò ogni pensiero, mormorato con voce timida e piccola,
leggera, quasi quelle parole volessero imprimerle qualcosa in fondo all’anima. Fortunatamente,
fu anche un bisbiglio che solo lei udì.
Mentre
il farmacista guardava entrambi con espressione sospettosa, alternando lo
sguardo dall’espressione decisa e vagamente divertita dell’uno, alla smorfia
atterrita e incredula dell’altra, DracoMalfoy imboccò la porta e sparì tra le strade scure di Diagon Alley.
***
Quando
Draco varcò la porta di casa, una cassa tintinnante
ricolma di oggetti a galleggiare alle sue spalle, la donna gli lanciò
un’occhiata penetrante. Il pensiero irriverente che formulò nella sua testa le
disegnò sulle labbra un sorriso sarcastico, destinato a sfiorire sotto
l’occhiata implacabile che il figlio le lanciò.
«
Sei stato fuori tutta la notte » commentò con tono severo Narcissa,
sorseggiando con raffinata pacatezza il suo thè corretto, dal quale esalava un
sottile filo di fumo. I suoi occhi si socchiusero delicatamente, mentre le
labbra cesellate si chiudevano, modellandosi sulla forma della ceramica. Con
somma eleganza, si accomodò all’indietro, contro il morbido schienale della
poltrona, mentre Draco, stranamente iracondo, sbuffava.
La sua espressione era uno specchio fin troppo chiaro dei suoi sentimenti. Si
aspettava di vedere un’ombra calare implacabile su quel viso perfetto, per cui
fu sorpreso quando vi lesse solo una leggera indifferenza, quasi annoiata, la
stessa che lei indossava da diversi mesi, ormai.
Il
suo genuino stupore non ebbe modo di cristallizzarsi sul volto diafano: in quel
momento la porta si spalancò con uno schiocco.
«
Finalmente! » La vocetta infantile ma incredibilmente dura di sua zia trapanò
il cervello di Draco. Una smorfia increspò la
superficie nivea del suo volto di porcellana. « Era un compito piuttosto
semplice, perché ci hai messo tanto? » latrò con una dolcezza tanto allarmante
quanto inquietante.
Bellatrix
divorò la stanza con falcate rapide e precise, poi si chinò verso lo scrigno e
ne controllò il contenuto. Il suo sguardo brillò di sadica soddisfazione, prima
di posarsi, sospettoso, sul nipote.
«
Problemi? » chiese, un’occhiata carica di dubbio e inquisizione a perforare
persino l’anima di Draco. La vorace sollecitudine con
cui lo fissava suscitò nel giovane una crescente sensazione di claustrofobia. Un’espressione di riluttante rispetto aleggiò
per un attimo sui suoi lineamenti affilati.
« No » ribatté bruscamente lui, la voce accesa da
una sfumatura tagliente. Bellatrix, oltraggiata da
quell’impertinenza, aveva già poggiato le lunghe dita sulla tasca che conteneva
la bacchetta, quando sua sorella, con estrema pacatezza, parlò.
«
Draco è stanco, Bella. Lascia che vada a riposare »
esalò Narcissa, la voce accordata come un perfetto
strumento musicale. Pur occupando un angolo della stanza, la sua presenza era
ingombrante e stranamente prepotente.
Gli
occhi neri di Bellatrix, sottili come spilli,
saettarono per un attimo sullo schienale della poltrona dietro cui si
nascondeva la sorella. La donna, i capelli neri a contornarle il capo come il
disordinato velo di una sposa funebre, strinse le labbra, e lanciò un ultimo
sguardo a Draco, prima di scomparire oltre la porta
con lo scrigno sotto braccio.
Narcissa
attese qualche minuto, prima di parlare.
«
Moderazione. Autocontrollo » disse solamente, come se quelle uniche parole
fossero una spiegazione sufficiente. Nonostante il tono definitivo e lapidario
con cui le pronunciò, c’era qualcosa di caldo e rassicurante in quella voce.
Draco
strinse i denti nella parodia di un sorriso, ma lo scintillio inquieto dei suoi
occhi non si incrinò.
«
Non posso salvarti dai tuoi pensieri, Draco. Nascondili. » La dignità dello sguardo
che gli rivolse era forse l’unico motivo per cui Draco
la ammirava, segretamente, così tanto.
***
Nei
giorni successivi, Hermione non poté fare a meno di
pensare al suo incontro con Malfoy. La febbre di Teddy stava lentamente scomparendo, lasciando spazio a un
colorito roseo e sano, e questo era forse l’unico aspetto positivo della sua
gita fuori dall’accampamento. Nonostante il successo della sua missione, il
sorriso di Andromeda e il dolce sollievo nello sguardo di Tonks
e Lupin, infatti, la giovane Grifondoro continuava a
domandarsi il motivo non solo di quella gentilezza, stranamente dissonante se
accostata a una persona come DracoMalfoy, ma anche – soprattutto – della grazia concessa dal Mangiamorte che era il ragazzo.
Non
erano più un segreto i nomi dei seguaci di Voldemort:
da quando il Signore Oscuro aveva preso il potere, il veleno dei suoi ideali si
era esteso fino al Ministero, impossessandosi del cuore della maggior parte
della popolazione del Mondo Magico. Per paura, ipocrisia o reale intenzione,
molti si erano uniti a lui, e tutti portavano con estremo compiacimento la
divisa rossa che contraddistingueva i Mangiamorte.
Non c’era più vergogna, in quel Marchio Nero che un tempo veniva nascosto; non
più timore nel mostrare l’appartenenza a quei ranghi che ormai erano diventati,
più che l’eccezione, la regola.
E
l’Ordine della Fenice, o ciò che ne rimaneva, non poteva far altro che
nascondersi, nel tentativo di salvare i pochi rimasti fedeli a Silente e alla
sua causa.
La
guerra si protraeva da ormai due anni: quando il Preside di Hogwarts
era morto, assassinato da un uomo di cui si fidava ciecamente e che invece
aveva rivelato la sua vera faccia, Voldemort aveva
conquistato prima la scuola, poi il Ministero, e da Londra si stava estendendo
al Regno Unito intero, con l’intenzione di espandersi in Europa e poi anche
oltre i confini a lui conosciuti. Non si era fermato davanti a niente, non
aveva risparmiato nessuno.
Due
anni. Una carneficina continua.
I
Mangiamorte non facevano altro che mietere vittime,
poco importava da che parte stessero o quali colpe avessero: uccidevano
indistintamente, per il solo piacere di farlo. Lo facevano perché potevano
farlo, perché niente e nessuno glielo impediva.
E
a loro, l’Esercito di Silente, l’Ordine della Fenice; a loro – chiunque si
ostinasse a portare avanti un ideale che in troppo credevano morto – non
restava altro da fare che nascondersi, e agire silenziosamente quando potevano,
nella speranza, un giorno, di riuscire a vincere non solo quelle piccole
guerriglie che scoppiavano di tanto in tanto, come focolai di una malattia
difficile da estirpare, in villaggi o città, ma soprattutto le battaglie,
quelle vere, che decretavano il destino dei vincitori e dei vinti.
Hermione
aveva rischiato la vita e la libertà tante volte, e altrettante aveva tentato,
invano, di salvare chi poi aveva avuto un destino più ingiusto e crudele del
suo. Durante quegli anni aveva imparato a convivere con il dolore, la paura,
l’ansia di essere scoperti, catturati, uccisi. Aveva imparato ad accogliere la
morte con lacrime di contrizione che si spegnevano insieme alle prime luci
dell’alba, perché non poteva permettersi debolezze, perché i decessi e le
scomparse erano compagni indesiderati ma sempre presenti.
Eppure
mai, nemmeno una volta, le era capitato di incontrare un Mangiamorte
che l’avesse riconosciuta senza ingaggiare uno scontro all’ultimo sangue.
Soprattutto, non quelMangiamorte.
L’aveva
visto altre volte, DracoMalfoy,
questo è naturale. In quanto nipote di Bellatrix, la
prima e più leale servitrice di Voldemort, era
presente a qualsiasi battaglia lei avesse preso parte, mai schierato in prima
linea ma sempre pronto a difendere la linea nemica. In effetti, prima di quel
momento non ci aveva mai fatto caso, ma non l’aveva mai visto attaccare per
primo.
Ma
perché l’aveva lasciata andare? Se l’aveva davvero riconosciuta, perché non
l’aveva catturata, uccisa?
Hermione
sapeva che il suo travestimento e la sua Trasfigurazione potevano ingannare un
occhio poco attento o conosciuto, ma non chi per anni l’aveva vista camminare
tra i corridoi della scuola; tuttavia, non avrebbe mai immaginato di incontrare
proprio DracoMalfoy a Diagon Alley, soprattutto, non in un luogo in cui la luce
avrebbe potuto scoprirla.
E
invece aveva incrociato lo sguardo con uno dei Mangiamorte
più pericolosi in circolazione: non perché fosse il più preparato o abile, ma
perché era il più vicino a Voldemort in persona. E
lei non era forse la migliore amica di Harry Potter, il Ragazzo che è
Sopravvissuto e dal quale Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato è ossessionato?
Eppure,
lui non aveva mosso un muscolo per nuocerle in alcun modo, né aveva rivelato la
sua presenza. La sua supponenza era la stessa di sempre, i suoi occhi
raccontavano la stessa superbia che per anni lei aveva osservato, a scuola, e
da cui si era dovuta schermare il più delle volte. Cosa era cambiato in lui?
Cosa l’aveva spinto a tacere? Era un piano? Uno schema progettato per
annientarli, di cui le sfuggiva la trama precisa?
Erano
domande a cui Hermione non riusciva a dare risposta.
Non poteva fare a meno di pensare a quell’episodio, senza però riuscire a
venirne a capo.
«
Smettila di pensare alla fortuna sfacciata che hai avuto e concentrati » sibilò
con una sfumatura di irritazione Ginny, da dietro il
cappuccio che tentava maldestramente di celarne l’identità. Il viso smagrito
era incorniciato da ciocche castane insudiciate, tra le quali spiccavano però,
con insolita e orgogliosa ferocia, ciuffi scarlatti che chiedevano il riscatto
del suo cognome.
«
Sono concentrata » mugolò Hermione, che dopo l’ultima esperienza aveva deciso di
perdere più tempo per domare la ribellione dei suoi ricci – nemmeno quando era
a scuola si era impegnata tanto.
«
Che ore sono? »
«
Dodici e quattro » Una pausa. La maggiore lanciò un’occhiata al vicolo che
aveva di fronte: in fondo, due sagome scarlatte accesero di colore l’anonimo
grigio di Diagon Alley. « Andiamo. Abbiamo undici
minuti »
Erano
figure esili, incappucciate da stoffe scure e sdrucite, scialbe e impersonali
quanto tutto ciò che le circondava, e proprio per questo poco riconoscibili.
Percorsero con passi frettolosi, il capo chino e le dita serrate attorno al
legno caldo della bacchetta, una via stretta e sudicia: i denti stretti per non
soccombere all’orrore dei cadaveri abbandonati ai lati della strada,
raggiunsero l’uscio scardinato di una casupola diroccata. Due colpi secchi alla
porta, che si spalancò con un cigolio che sembrava un lamento. Con uno sguardo
a metà tra l’inorridito e il rabbioso, Ginny entrò
nell’abitazione mentre l’altra rimaneva fuori di guardia, ascoltando solo con
un orecchio ciò che succedeva all’interno.
«
Le medicine, Doris »
«
Grazie. Grazie, davvero » Una voce fin troppo commossa e colma di gratitudine
fino allo stremo. Troppo per non suscitare compassione, e la rabbia
dell’impotenza. « Le vostre provviste. Non è molto, ma è tutto quello che ho
potuto fare »
«
Andrà benissimo. Meglio di radici trasfigurate, comunque » La voce di Ginny voleva essere ironica, ma conteneva un’inconfondibile
nota di amarezza. « Ti ringrazio. Ora vado, prima che… »
Hermione
perse il filo della conversazione quando quella parte del suo cervello ancora
rimasta vigile e attenta a ciò che succedeva all’esterno registro un movimento
che non avrebbe dovuto presentarsi nel suo campo visivo. Un secondo dopo, un
lembo scarlatto comparve da dietro l’angolo.
La
sorpresa fu tale che la ragazza non riuscì a trattenere un sussulto, ma la sua
prontezza di spirito e il suo sangue freddo le permisero di pensare a un rapido
Incantesimo di Disillusione Non Verbale, e un altrettanto veloce, silenzioso,
avvertimento per Ginny.
Due
Mangiamorte le sfilarono accanto, ignari della sua
presenza, inghiottita dai mattoni sbiaditi e affumicati della casupola davanti
a cui, immobile e senza fiato, sostava.
«
Come hai potuto dimenticarlo? »
«
Non è stata colpa mia! »
«
Pregustavo già il mio vino d’ortica. Ah… »
Le
parole dei due uomini si persero nella nebbiolina leggera della via che avevano
imboccato. Hermione attese ancora qualche minuto,
prima di richiamare Ginny con un fluido movimento del
polso.
«
Che è succ… dove sei?! » Gli occhi scuri dell’amica
la trapassarono senza vederla, con una perplessa preoccupazione a velarle il
viso, quasi irriconoscibile a causa della Trasfigurazione dietro cui era
costretta a celarsi.
Hermione
si lasciò scivolare di dosso l’Incantesimo di Disillusione, ma non diede tempo
all’altra di meravigliarsi.
«
Muoviamoci: siamo in ritardo » disse pragmatica. La prese per mano e percorse a
ritroso lo stesso cammino attraversato precedentemente, gettando occhiate
preoccupate all’orologio: erano passati tredici minuti, due in più del
necessario, due in più del consentito. Due minuti che potevano costare loro molto,
troppo.
Camminavano
divorando metri, a loro volta divorate dalla fretta e dalla paura, il tempo un
carnefice crudele che non risparmiava né il cuore né i pensieri. Quando
intravidero il muro che le divideva dalla salvezza, quello che, una volta
superate, le avrebbe condotte dentro il Paiolo Magico e quindi fuori dal raggio
dell’incantesimo Anti-Smaterializzazione, imposto su Diagon
Alley e un altro centinaio di luoghi magici, si permisero di rilassarsi e
rallentare appena l’andatura. La fretta pungeva ad entrambe i piedi: era una
colpa che non avrebbero dovuto mostrare, fin troppo rivelatrice delle loro
intenzioni e del crimine che stavano commettendo.
«
Ehi, voi due! Perché tanta fretta? »
Non
si fermarono. Finsero di non aver sentito quella voce, che aveva punto le
orecchie e perforato il cervello, trivellando la ragione e scavando baratri di
paura dentro di loro. Chinarono il capo nel tentativo di nascondersi ancora di
più: la speranza che quei tre Mangiamorte le
lasciassero perdere rombava dentro di loro al ritmo sordo del cuore, che
pompava furiosamente.
Speranza
vana: la rinnovata fretta con cui si diressero verso il Paiolo Magico suscitò
il sospetto di quegli uomini vestiti di rosso, che le richiamarono ancora una
volta, prima di scambiarsi sguardi dubbiosa ma crudelmente soddisfatti e
sguainare le bacchette.
Li
separavano cinque metri, ma in linea d’aria i Mangiamorte
erano più vicini di loro al Paiolo Magico: avrebbero sbarrato loro la strada,
tagliando ogni via di fuga.
Hermione
elaborò un piano con la lucida razionalità che l’aveva sempre contraddistinta:
se era così che doveva finire, avrebbe perlomeno cercato di creare più problemi
possibile, e soprattutto di salvare la sua migliore amica.
«
Taglia per quel vicolo, arriva dietro il Paiolo. Io li distraggo » sussurrò
rapidamente a Ginny, che le scoccò un’occhiata
scandalizzata.
«
Cosa? Non se ne parla, non ti lascio qui » protestò a bassa voce, rallentando
il passo fino quasi a fermarsi del tutto. L’altra scoccò un’occhiata agli
uomini, che squadravano lei e l’amica con sguardi avidi ed espressioni maligne,
quindi riportò gli occhi in quelli della ragazza e la squadrò con serietà.
«
Vai. Io ti raggiungo » mentì con ferma prontezza, anche se nel fondo del suo
stomaco si agitava un mostro che si nutriva di terrore. Ma Hermione
aveva imparato da tempo a mettere a tacere l’ansia e la prudenza: perché se la
seconda non permette di mangiare, la prima rischia di ucciderti. O di uccidere
le persone a cui vuoi bene.
«
Non ci provare » Ginny digrignò i denti. Sembrava una
bestia ferita, e nei suoi occhi brillava l’oltraggio subito per quella che
sapeva essere un’enorme bugia.
Con
la coda dell’occhio, Hermione vide che uno dei Mangiamorte si stava avvicinando. Non c’era tempo per
discutere, né per litigare: la nobiltà d’animo della giovane Weasley, amicizia e lealtà che lei mai aveva messo in
dubbio, la lusingavano, ma suscitavano anche angoscia e rabbia. Non doveva
essere suo l’ennesimo nome aggiunto alla lista dei morti. Non poteva essere il suo.
Mentre
uno degli uomini, ormai a poco meno di due metri da loro, agitava la bacchetta
pronunciando, con voce ferma e decisa: « Finite
Incantatem », Hermione
spinse con quanta forza aveva in corpo la sua migliore amica verso il vicolo di
fronte, sperando che quella spinta fosse sufficiente a farla ragionare, e
fuggire. Il fascio di luce dell’incantesimo, però, colpì il corpo esile di Ginny proprio mentre l’altra la scagliava con energia il
più lontano possibile. Il movimento brusco e improvviso, del tutto inaspettato,
fece scivolare il cappuccio della ragazza sulle spalle. Una cascata di capelli
rosso fuoco esplose nel centro della via.
«
È una Weasley! » ruggì uno dei Mangiamorte,
indicando con selvaggia soddisfazione quel segno di riconoscimento che era
diventato una maledizione.
Ginny,
riacquistato un precario equilibrio, sgranò gli occhi e lanciò uno sguardo
furente all’amica: una supplica accorata e un’implorazione muta brillavano
dietro le iridi scure.
«
Vai! » urlò Hermione, prima di lanciare un
Incantesimo Esplosivo contro gli uomini. Non ebbe tempo di controllare se
l’altra avesse seguito o meno il suo consiglio: approfittò della confusione
generata, della polvere fitta, dei detriti e dei calcinacci volanti, per
fuggire nella direzione opposta, sperando vivamente che Ginny
fosse tanto intelligente e pronta da seguire il suo consiglio e defilarsi il
più in fretta possibile.
Il
cuore le batteva furiosamente nel petto, dandole l’impressione di poter
prendere il volo da un momento all’altro, strappando la prigione di ossa e
carne che lo teneva ancorato alla vita e fuggendo a quella pressione nervosa a
cui lei lo stava sottoponendo. La ragazza sentiva il moto laminare del sangue
che rombava nelle orecchie. La bacchetta stretta in pugno, non riusciva a
pensare a nient’altro che a quel suono: né i rapidi e precisi lampi che
guizzavano accanto a lei, né le urla dietro di lei dovevano distoglierla dalla
sua corsa folle.
Hermione
lanciò dietro di sé una Fattura, senza fermarsi né prendere la mira: non era
certa che lo scoppio che seguì fosse un buon segno, ma non si curò di voltarsi
indietro per controllare. Invece, imboccò una stradina alla sua destra, nascondendosi
nell’incavo creato dalle schiene di due case troppo vicine tra loro per poter
essere legali. Approfittò della nebbiolina scura che avvolgeva le strade per
fermarsi, riprendere fiato e controllare la situazione.
Al
di là del suo nascondiglio, il clamore raggiunse livelli allarmanti, per poi
scemare e infine spegnersi lentamente. I Mangiamorte
che la stavano inseguendo dovevano averla superata, ma lei non osò affacciarsi
per moltissimi minuti. Attese che il suo cuore riacquistasse un battito
normale, prima di spingere la testa oltre la cornice del muro. La strada
sembrava libera.
Senza
attendere un attimo di più e senza preoccuparsi di nient’altro che non fosse la
sua meta, Hermione ricominciò a correre, stavolta
nella direzione opposta: la bacchetta era ancora saldamente serrata tra le sue
dita e la sua mente vigile e attenta a ogni movimento o suono. Ben presto
riuscì a intravedere, a pochi metri da lei, l’insegna del Paiolo Magico, che
appariva e spariva, avvolta da un vapore lattiginoso. Proprio quando credeva di
essere salva, però, una sagoma scarlatta sbucò da un vicolo buio.
***
Ginny
avvertiva un dolore lancinante trafiggerle il petto, ma non osò fermarsi: la
vita della sua migliore amica era nelle sue mani, e lei non poteva permettersi
di perderla. Perciò, nonostante il fiatone e il dolore alle gambe, continuò a
correre fino a quando non giunse sul limitare di un bosco. Solo allora si
concesse una brevissima pausa: lanciò occhiate guardinghe e sospette intorno a
sé, prima di compiere un passo deciso e sicuro e scomparire nel folto del
bosco.
Ricomparve
dall’altro lato della barriera eretta per proteggere l’accampamento, e senza
guardarsi intorno si diresse di corsa verso una grande tenda gialla che
ondeggiava al lieve vento che spirava, pochi metri più in là. Riposava
all’ombra di un vecchio salice e aveva l’aria quieta e stanca di un vecchio
guerriero: qualche macchia scura e diversi strappi ne denunciavano un uso
prolungato ed eccessivo.
«
Lupin, mamma, papà! » chiamò Ginny, ormai senza
fiato. Si fermò solo quando i tre adulti si fiondarono fuori dalla tenda,
direttamente su di lei, la preoccupazione a lampeggiare negli occhi di tutti.
«
Che è successo? Sei ferita? »
«
No. Ma Hermione… » La ragazza ansimò, in preda al
panico e a un bruciore talmente intenso ai polmoni, che ogni respiro o parola
era sofferenza pura. « Li ha distratti per permettermi di scappare, credo sia
stata catturata » I suoi occhi scuri si puntarono dritti in quelli della madre:
la paura era schermata dietro un velo di lacrime che, più che renderla facile,
la facevano sembrare incredibilmente combattiva e assolutamente decisa a
tornare indietro. « Dobbiamo tornare indietro, dobbiamo aiutarla, dobbiamo… »
L’espressione
di sua madre, prima ancora che le parole di Lupin, le fecero morire le parole
sulle labbra. La voce le mancò quando la smorfia di Molly e il sospiro di
Arthur denunciarono la sua paura più profonda.
«
No » Fu Lupin a dirlo, con la decisione stanca e sofferente di un padre che
decide di abbandonare un figlio. Aveva il dolore negli occhi, ma sul suo viso
c’era la determinazione di un leader e la risolutezza di un uomo.
Ginny
spalancò lo sguardo ed emise un gemito incredulo. Se avesse avuto ancora un
briciolo di forza in lei, se solo le sue gambe, il suo corpo, avessero
ascoltato il comando imposto dal cervello, o anche solo il suo desiderio, si
sarebbe lanciata contro l’uomo e lo avrebbe preso a pugni e a calci fino a
quando non avesse acconsentito a tornare indietro, da Hermione.
Se avesse avuto fiato, avrebbe gridato, strepitato tutta la sua indignazione e
protestato contro quella decisione assurda, crudele, lapidaria. Il tono del suo
vecchio professore di Difesa Contro le Arti Oscure era fin troppo definitivo
per poter controbattere, ma lei non aveva intenzione di lasciar perdere.
«
Lei l’avrebbe fatto » pronunciò lentamente, un sibilo intriso di rancore e
disperazione insieme. Nel suo sguardò saettò un’ombra scura, densa d’odio ma
anche di speranza.
« Si vive insieme, si muore soli » Lupin emise un sospiro stanco. « Sono
le nostre regole, Ginevra. E le ha decise anche lei » mormorò, atono e
monocorde. Improvvisamente, sembrava invecchiato di centinaia di anni, come se
il peso di quella decisione, insieme a tutte quelle prese in precedenza, agli
anni di guerra, ai dolori e alle perdite, fosse precipitato su di lui in quel
preciso momento.
«
Pensaci. Quanti dei nostri sono stati catturati? » Arthur intervenne con tono delicato
e tenue, ma la smorfia sul suo viso lascia intravedere la sua totale
contrarietà a quella decisione.
«
Ma lei è diversa! » Ginny scosse il capo e fece un
passo indietro, ferita.
«
È una di noi, esattamente come gli altri » La voce di Molly era tanto asciutta
e risolutiva da mettere un punto a quella seppur breve discussione.
«
Harry non ve lo perdonerà mai » Ginny digrignò i
denti come una bestia ferita, stringendo i pugni e gonfiando il petto con
quanta più dignità possibile. Dietro i suoi occhi, si agitava un’ombra feroce
ma incerta. Pronunciare quel nome era al tempo stesso un balsamo e un dolore:
conteneva i suoi timori più crudeli e le sue speranze più dolci.
«
Harry non è qui adesso » disse Lupin voltandole le spalle.
«
Harry è solo un ragazzo » aggiunse nello stesso momento Arthur con un sospiro.
«
Harry è la nostra unica salvezza » Con un’espressione ferita ma combattiva, Ginny si Smaterializzò con uno schiocco.
***
Hermione
tentò di divincolarsi dalla presa salda dell’uomo che, tagliandole la strada
proprio quando credeva di essere salva, l’aveva privata di ogni speranza di
salvezza.
«
Non agitarti piccola » Il rude abbraccio dell’uomo si serrò maggiormente quando
lei si azzardò ad alzare un ginocchio per caricare un calcio. Il fiato le si
spezzò nei polmoni e per un attimo alla ragazza mancò il respiro: la morsa in
cui la stringeva era tanto forte da darle la sensazione che, da un momento
all’altro, le sue costole si sarebbero rotte. « Non vorrei rovinarti » Intorno
a lei si stava condensando un sottile fumo color cenere. Brandelli di
pulviscolo argentati danzavano dentro la lama di luce che, dalla finestra rotta
di una casa, si proiettava sulla strada, a pochi metri da lei. « Sono certo che
il Signore Oscuro mi coprirà di lodi e doni per il regalo che sto per portargli
» Il suo sussurro, basso e gelido, sapeva di alcool e tabacco; la sua pelle
odorava di sudore e muffa. Le mani ruvide del Mangiamorte
le sfiorarono in modo apparentemente casuale il seno, per poi serrarsi ancora
di più attorno alla sua cassa toracica. «Non posso portargli un regalo
danneggiato, non credi? ». La punta della bacchetta le sfiorò la guancia,
risalì lungo gli zigomi e si fermò sulla tempia. Con la coda dell’occhio, Hermione colse il sorriso sadico dell’uomo: gli mancava un
incisivo, e aveva una lunga cicatrice che gli attraversava la guancia destra.
«
Stupeficium
»
Hermione
chiuse gli occhi, aspettando il dolore, ma il dolore non giunse mai. Al
contrario, la sensazione di costrizione al petto si allentò, permettendo alla
paura di sgusciare fuori da lei con un’unica, lenta espirazione. Quando,
lentamente e con perplessa incredulità, la ragazza riaprì le palpebre, il Mangiamorte giaceva ai suoi piedi, Schiantato.
La
giovane strega si guardò intorno, spaesata, alla ricerca del suo salvatore. Si aspettava
di vedere capelli rossi, da qualche parte, come un unico punto di luce e colore
in quel buio sporco che era Diagon Alley; forse,
persino due dolci occhi verdi, un sorriso di incoraggiamento al di sotto di una
cicatrice che era la fonte di tutti i loro problemi. Invece, tutto ciò che vide
fu la foschia opaca di due iridi di ghiaccio che per un attimo, solo un istante
infinitesimale, sembrarono risolvere il proprio mistero, stemperando la
freddezza e l’orgoglio dentro la speranza di uno sguardo.
HermioneGranger era una strega potente, ma furba. Conosceva i
suoi limiti e, soprattutto, era capace di valutare con freddezza le situazioni.
Non rimase immobile a domandarsi cosa quegli occhi grigi volessero suggerirle, né
sapeva che quell’unico momento poteva rivelarsi catartico, in un certo qual
modo, risolutore, per un futuro prossimo che lei non poteva ancora vedere.
«
Dover »
Bastò
una voce lontana, l’eco di passi affrettati e voraci in lontananza.
Gli
voltò le spalle proprio mentre, lo sguardo ancora fisso su di lei, Malfoy si puntava la bacchetta alla tempia. Il tonfo che
seguì fu coperto dal sonoro schiocco della sua Smaterializzazione.
Capitolo 2 *** Capitolo II - Si vive insieme, si muore soli (Parte seconda) ***
2.
Si vive insieme, si muore soli
(Parte seconda)
Una
sottile lama di luce fendeva la fitta oscurità del sotterraneo. La fioca
penombra di quel luogo dimenticato era, insieme, una compagna docile e una
nemica sempre in agguato. Polvere e umidità, ormai, non potevano più
spaventarlo: Draco Malfoy, bambino viziato e cresciuto tra lusso e bambagia,
aveva imparato negli anni precedenti cosa significasse vivere all’addiaccio. Non
era nemmeno il buio a intimorirlo – quello era diventato un alleato prezioso –
né gli insulti aspri che la loro prigioniera lanciava, le maledizioni e le
minacce, l’asprezza e l’odio: a quello si era abituato già a scuola.
A
tormentarlo era più quel dolore dolcissimo che gli crepitava sotto la pelle,
l’angoscia che aveva scoperto di provare, incredulo, quando al suo risveglio
aveva saputo che i suoi compagni avevano catturato una donna dell’Ordine.
Saputo il suo nome, la morsa che gli stava lacerando lo stomaco si era
allentata diventando feroce speranza.
Poteva
sopportare le sue urla indignate, se il premio che gli si prospettava era meglio
di tutto ciò che aveva fino a quel momento ricevuto dal Signore Oscuro. Poteva
sopportare l’umidità, la scomodità di una branda improvvisata, il freddo e la
noia, l’attesa ossidante e l’ansia sorda, se il suo primo e ultimo desiderio
aveva anche una sola possibilità di realizzarsi.
Aveva
finto di accogliere con malagrazia e disinteresse quel compito ingrato che
aveva fatto storcere il naso a più di un Mangiamorte – fare la guardia a un
morto che cammina non era una prospettiva esaltante – ma dentro di lui un
mostro gridava con ferocia la sua compiacenza. Doveva essere una punizione, la
sua, assegnata dai suoi superiori per la sua inettitudine, ma qualcosa gli dava
un motivo per accogliere quella notizia con falso distacco.
Con
un mugolio di stanchezza, le ossa che scricchiolavano stancamente, si alzò
dalla branda. Poi, aprì la porta della cella e gettò ai piedi della ragazza un
tozzo di pane e una brocca d’acqua.
Ginevra
Weasley, i polsi legati da catene invisibili che la facevano somigliare a un
Cristo in croce, alzò il capo e lo inchiodò con il suo sguardo d’odio feroce.
Le lentiggini spiccavano livide sul suo volto pallido, solleticate da una
ciocca di capelli sudici, rosso fuoco nonostante tutto.
«
Di tutti i vermi, tu sei senz’altro il più schifoso » sputò con rabbia, lo sguardo
stretto dal rancore e dal disgusto.
Un
ghigno arcuò le labbra sottilissime e livide del giovane Malfoy.
«
Strano. Avrei giurato che fossi tu quella sporca di terra e lerciume » replicò
con leggerezza, mentre richiudeva la porta cigolante della cella e si
abbandonava sulla piccola sedia di legno assegnata al guardiano del momento.
«
Pagherai. Per ogni cosa » sibilò Ginny, indignata, mentre il ragazzo si
dondolava sulla sedia con gli occhi fissi sul soffitto.
«
Non sei nella posizione di minacciare » sussurrò debolmente il giovane, con
voce stanca e annoiata.
«
Non è una minaccia, ma una promessa » Sul viso della ragazza si disegnò un
lieve sorriso che ricordava la dolcezza di ricordi andati perduti, ma che
conservava una sfumatura di ferocia sottile e inquietante.
«
Non fare promesse che non puoi mantenere, Weasley » Quello di Draco, però, era
un sorriso ancor più accentuato. « Il Signore Oscuro non ti ha ancora messo le
mani addosso » Le scoccò un’occhiata carica di beffardo divertimento, che
poteva significare qualsiasi cosa, ma che aveva il solo scopo di sondare la sua
reazione. Nonostante il suo tentativo di rimanere impassibile, una goccia di
sudore freddo scivolò sulla tempia di Ginny.
***
“Si vive insieme, si muore soli”: era una
regola che avevano imparato a rispettare da quando la guerra li aveva costretti
a una vita nomade e incerta. Ogni giorno era un’incognita, il domani una remota
possibilità: in condizioni come quelle, lo spirito di squadra che aveva sempre caratterizzato
l’Ordine non era venuto meno, ma la stretta rete che erano un tempo aveva
ceduto e si era lacerata, lasciando buchi in più punti. Le scelte di ognuno
pesavano come macigni sul destino di tutti: era per questo che avevano
istituito quella legge, un monito e insieme una necessità.
L’Ordine
della Fenice, ormai, è solo uno sparuto gruppo di topolini che cerca di
difendersi con la ferocia di una tigre, ma che rimane pur sempre incapace di
contrattaccare efficacemente.
«
Anche io volevo bene a Ginny, ma la legge è uguale per tutti! » Dedalus Lux
batté con forza un pugno sul tavolo, scattando in piedi tanto repentinamente
che la sedia su cui era adagiato il suo scheletro sottile rotolò a terrà. «
Abbiamo stabilito delle regole ed è bene rispettarle. Non possiamo infrangerle
non appena le circostanze cambiano, cosa pensate che… »
«
È mia figlia! » Molly lanciò un mugolio isterico, lo sguardo indignato puntato
sull’uomo che aveva appena parlato. « Non lascerò mia figlia in mano a quei
mostri » Le sue spalle vibrarono in modo preoccupante, ma nonostante i segni
premonitori, che lasciavano presagire un pianto nervoso, la donna rimase
impassibile, il mento alto e gli occhi puntati su Dedalus.
«
Molly, non sappiamo nemmeno se... » Lupin, la voce pacata e il tono neutro,
intervenne nel tentativo di placare gli animi dei presenti, ma tutto ciò che
ottenne fu un’occhiata oltraggiata da parte di Molly.
«
Remus ha ragione, cara, forse si è solo nascosta… » balbettò impaurito Arthur,
aggrappandosi alla folle speranza che l’uomo accanto a lui gli aveva dato.
«
Hermione è tornata cinque ore fa. Cinque, Arthur! » ululò ferita la donna,
spostando lo sguardo da Dedalus al marito. « Se nessuno vuole andare a
riprenderla, ci andrò io, costi quel che costi » asserì con determinazione,
sfidando con lo sguardo chiunque osasse ribattere alla sua decisa affermazione.
«
Eppure avresti lasciato morire Hermione » Elphias Doge, i corti capelli
argentati che catturavano la fioca luce delle torce, prese la parola
all’improvviso. Molly guardò confusamente tutti i presenti, spostando lo
sguardo sulle loro espressioni altrettanto incerte e mortificate, prima di
individuare il vecchio mago, seduto in disparte rispetto al resto del gruppo.
«
Ginny è mia figlia… » mormorò la donna, in un pallido tentativo di difendere se
stessa e le sue idee. Era evidente, però, che nella sua voce cominciava a
serpeggiare un senso di colpa non indifferente.
«
Dicevi che anche Hermione era come se lo fosse » ribatté Elphias, il capo chino
e gli occhi chiusi, come se stesse parlando a se stesso. Il cappello che
indossava lanciava un’ombra scura sul suo viso, una ragnatela di rughe senza
fine. Sembrava quasi dormire, e nella sua immobile pacatezza aveva l’aspetto
saggio e antico di quell’amico perduto che aveva elogiato poco dopo la sua
morte. « Eppure l’avresti lasciata morire » esalò con voce rauca.
«
Io… » Molly sembrava sull’orlo delle lacrime, adesso.
«
Siamo in guerra, Molly. Ci sono vittime ogni giorno. Ma noi abbiamo delle
regole; e le abbiamo decise insieme » La voce di Elphias, bassa e monocorde,
sembrava aver attratto l’attenzione di tutti, costringendo i presenti a un
silenzio attonito. « Non possiamo rischiare la vita di tutti per la
sopravvivenza di pochi. Tua figlia ha fatto la sua scelta: è stata lei a
tornare indietro, a voler rischiare. Una sciocca. Nobile, certo, ma pur sempre
una sciocca » Ora l’uomo sembrava cominciare a mostrare i primi segni di
affaticamento: la sua voce vibrò e il suo respiro divenne più affannato.
Un
silenzio implacabile calò sui presenti. Mentre Molly Weasley scoppiava in un
pianto disperato, un sottilissimo filo color carne scivolava lentamente tra le
foglie secche e il terriccio umido dell’accampamento, serpeggiando come una
vipera silenziosa e letale fino alle mani di due giovani nascosti dietro
l’ombra di un albero.
«
Noi non siamo mai stati d’accordo con questa stupida regola, vero? »
«
Mai, fratello »
I
due si scambiarono uno sguardo d’intesa. Perfino nel buio era impossibile non
notare che nei loro sguardi vispi brillava un sorriso.
«
Andiamo a riprendere Ginny »
***
«
Non posso scappare » Ginny tirò verso di sé i gomiti: catene invisibili
tintinnarono nell’oscurità. « Perché rimani qui? Pensi davvero che potrei andarmene?
»
Lo
sguardo di Malfoy si piantò dritto nei suoi occhi: le iridi plumbee, tanto
intense da farla rabbrividire per un attimo, sembravano beffarsi di lei. Il
sottile ghigno che gli arcuava le labbra avvalorava le sue ipotesi.
«
Aspetto che Potter venga a riprenderti » esalò con la compiacente soddisfazione
di un cacciatore che ha appena avvistato la sua preda. Ginny sbuffò, e un’ombra
scura le velò gli occhi per qualche istante.
«
Harry non verrà. Non è stupido » Nonostante la determinazione delle sue parole,
il suo tono vacillò per un istante. La sua voce tremava quando guardò Draco
negli occhi. « E poi, Malfoy, mi dispiace deluderti, ma è la nostra regola: si
vive insieme, si muore soli ».
Nonostante
il suo viso sembrasse una maschera imperturbabile, qualcosa dentro lo sguardo
di Malfoy si incrinò.
***
Nel
silenzio della notte, uno scricchiolio. Non diverso dai soliti che circondavano
il bosco durante la notte, e come di consueto accompagnato da bubbolii di gufi
e frusciar di fronde. Le torce vibrarono al vento sempre più freddo che spirava
da nord, ambasciatore indiretto di un inverno implacabile.
Hermione
non aveva niente con sé, se non la bacchetta che stringeva convulsamente,
mentre con il mento alto e lo sguardo combattivo e deciso di una dea camminava
verso la barriera magica eretta a difesa dell’accampamento.
«
Dove stai andando? »
Non
aveva raccontato a nessuno della sua decisione, perché sapeva che nessuno
avrebbe capito, approvato. Sapeva che nessuno l’avrebbe lasciata andare, e non
poteva permettersi di rimanere indietro, mentre la sua migliore amica si
sacrificava per la sua salvezza. Era solo colpa sua se era stata catturata,
d’altronde. Quella guerra poteva anche aver cambiato gli adulti, reso i
genitori meno attaccati ai figli e i capi più severi e inflessibili, ma lei non
era cambiata, era la stessa di prima, la stessa di sempre: un’amica fedele e
leale, pronta a morire per i suoi ideali e per i suoi compagni.
«
In nessun posto » ribatté con voce ferma, sondando l’oscurità con gli occhi
alla ricerca della fonte di quella voce.
«
E in questo nessun posto c’è Ginny, per caso? » Dal fitto buio del bosco
intorno all’accampamento sbucarono due sagome alte e snelle. Gli allampanati
gemelli Weasley, un sorriso furbo e ironico a far da contralto alla magrezza del
volto, la fissarono con sguardi compassionevoli, come se la ritenessero una
bambina talmente poco incline alle monellerie, da non riuscire nemmeno in
un’impresa estremamente semplice.
Hermione
aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse subito dopo. Non era mai stata
particolarmente brava a mentire, ed era sicura che, in quel frangente, i suoi
occhi l’avrebbero tradita.
«
Sentite, non m’importa cosa dicono gli altri o quali siano le regole, io… » Fu
interrotta da Fred, che alzò una mano in segno di monito e scosse la testa.
«
Non importa nemmeno a noi » disse, e questa volta persino dietro il suo sorriso
c’era la traccia di una determinazione dura e implacabile, impossibile da
sconfiggere.
«
Ginny è nostra sorella » soggiunse George. Anche lui aveva smesso di sorridere.
Entrambi la fissarono con risolutezza, nei loro occhi tutto l’affetto che li
aveva spinti fin lì. « Stiamo andando a riprenderla ». Hermione annuì, ma prima
che potesse replicare Fred sopraggiunse: « Noi due da soli » rimarcando con enfasi le ultime tre sillabe.
«
Io vengo con voi » asserì invece la ragazza, la bocca imbronciata e uno sguardo
contrariato. George scosse il capo.
«
No, è troppo pericoloso » La giovane strega stava per aprire la bocca e
replicare, ma lui continuò, ignorandola volutamente « Insieme a Ginny e Ron, tu
sei la persona più vicina a Harry in questo momento » spiegò pragmatico.
«
Siete carne da macello » precisò Fred con un tono che aveva una sfumatura di
divertimento piuttosto inquietante.
«
Prede fin troppo appetibili » George annuì. « Perdere te per recuperare Ginny
sarebbe davvero una mossa stupida. E lei non ce lo perdonerebbe mai, comunque.
Non dopo aver rischiato la pelle per te »
Hermione
arrossì violentemente, e il suo sguardo si oscurò. George sembrò rendersi conto
con un attimo di ritardo che le sue parole l’avevano ferita oltre ogni modo:
aveva parlato senza riflettere, con un’inclinazione divertita nella voce,
perché quello era il suo modo di fare. Non l’aveva detto con cattiveria, ma con
l’intenzione di convincerla a rimanere.
«
So badare a me stessa » sibilò Hermione, al colmo dell’irritazione.
«
Non ne dubitiamo. Ma sappiamo anche che non sei invincibile, e che Harry
sarebbe così stupido da venire a riprenderti » Le labbra di Fred si aprirono in
un sorriso angelico e sornione al tempo stesso. Suo malgrado, la ragazza non
riuscì a trattenere l’angolo della bocca, che si arcuò leggermente verso
l’alto.
«
E poi, se ti dovesse succedere qualcosa, chi lo sente Ron? » George sghignazzò,
assestando una gomitata nelle costole al gemello.
«
Già, non ho nessuna intenzione di sopportare i suoi piagnistei » aggiunse Fred,
prorompendo in una risata che avrebbe potuto svegliare l’intero accampamento.
Ancora
una volta, Hermione arrossì, ma stavolta per motivi del tutto diversi. Chinò il
capo ed emise un sospiro.
«
È colpa mia se hanno catturato Ginny. Non posso lasciarvi andare da soli, è mio
dovere… » Poteva anche essere una strega potente e attenta, Hermione Granger,
ma di certo non poteva aspettarsi un attacco in piena regola da due dei suoi
alleati, da due dei suoi amici, da due Weasley. Non intercettò lo sguardo
d’intesa che si lanciarono i gemelli: semplicemente, si ritrovò pietrificata
prima che riuscisse a concludere la frase.
***
Quei
giorni di nulla trascorsero vuoti, inutili, affollati da pensieri che di
concreto non avevano nulla, da speranze che scivolavano nel buio ogni giorno di
più, sbiadendo sotto l’incedere inclemente di un freddo sempre più pungente.
L’inverno cominciava a stringere con una morsa spettrale, e lui iniziava a
perdere ogni interesse in quel compito. La fiducia che nutriva quando aveva
accettato era scomparsa, sostituita da un desiderio di rivalsa che bruciava più
di ogni cosa.
Poteva
sopportare con indifferenza il freddo, il pessimo cibo, la scomodità della
branda e le urla di dolore della piccola Weasley, quando veniva torturata, ma
non quell’attesa logorante.
Adagiato
pigramente su una vecchia sedia cigolante, Draco fissava il soffitto con occhi
vuoti, socchiusi, perso in elucubrazioni di cui era difficile carpire il filo.
Lo
schiocco che risuonò nel sotterraneo arrivò al suo cervello solo dopo alcuni
istanti che si era realmente verificato, e la sua reazione non fu istintiva e
rapida come avrebbe dovuto essere. Saltò su dalla sedia tanto in fretta che
questa si attorcigliò attorno alle sue gambe, quasi fosse dotata di vita
propria. Crollò a terra con un tonfo sordo, il fiato spezzato, rumore di ossa a
risuonare per le pareti fredde della cella.
Ebbe
appena il tempo di darsi dello stupido, prima che uno dei gemelli Weasley gli
puntasse la bacchetta alla gola con un ghigno allegro, che non aveva nulla di
crudele, ma che sembrava, piuttosto, sinceramente divertito.
«
Troppo lento, Malfoy » lo canzonò, facendo dondolare la testa. Con il viso
schiacciato sul freddo pavimento in pietra della terra, Draco scoccò
un’occhiata adirata al giovane, per poi cercare con lo sguardo il suo fedele
fratello, intendo a liberare la più piccola dei figli Weasley dalle catene che
la tenevano prigioniera. Un sottile nervosismo gli crepitava sotto la pelle,
adesso: la pigra noia di qualche minuto prima era scomparsa, sostituita da una
scarica di adrenalina che gli faceva prudere le mani e galoppare il cuore. Gli
occhi grigi, torbidi, saettavano da un lato all’altro della piccola cella alla
ricerca di altri compagni, ma c’erano troppi angoli ciechi dalla sua posizione.
Tentò di muoversi per avere una visuale migliore, per poter controllare, ma lei
gli fu addosso prima.
Ginny
gli si era avvicinata con sguardo fermo e infuocato. Lentamente, l’andatura
ciondolante e stanca di una prigioniera che era stata costretta all’inedia e
alle torture, aveva raggiunto il corpo del suo secondino. L’aveva guardato come
si guarda il più disgustoso degli insetti, poi gli aveva sferrato un calcio dritto
tra le costole, tanto potente che il fiato gli si era spezzato.
Il
dolore, sordo e acuto, gli penetrò come un coltello nei polmoni e rimbombò
nelle orecchie per diversi minuti. Draco lo sopportò con stoico silenzio,
perché aveva subito di peggio e sapeva che era preferibile questo ai
trattamenti dei suoi compagni.
Quando
riaprì le palpebre, aveva gli occhi della Weasley a pochi centimetri. Non li
dimenticherà mai, Draco: quelli sono gli occhi di una donna. Neri pozzi senza
fondo, colmi d’odio e rancore, ribollivano di rabbia e risentimento.
Il
giovane Mangiamorte si guardò ancora attorno, costretto a terra come un verme
dal piede di uno dei gemelli, premuto sulla sua tempia. Impossibilitato a
muoversi, non poteva far altro che evitare quello sguardo vuoto e spaventoso e
continuare a sperare. Il cuore che batteva forte contro il petto rendeva ancora
più tangibile il dolore alle costole.
«
Lui non c’è. Te l’avevo detto che non sarebbe venuto » disse Ginny, e nella sua
voce c’era una latente sfumatura di amarezza. Se Draco non si fosse trovato in
una situazione di evidente difetto, gli sarebbe venuto spontaneo sorridere.
«
Che ne facciamo di lui? » Uno dei gemelli gli scoccò un’occhiata in tralice.
«
Lasciamolo marcire qui. Ci penseranno i suoi a dargli una lezione » Il cuore di
Draco diminuì i battiti: sembrava quasi che il suo corpo accogliesse quell’idea
con la placida calma di un’accettazione non violenta. Sia lui che i suoi aguzzini
sapevano qual era il destino che lo attendeva: Voldemort non accetta
fallimenti, e perdere un prigioniero così prezioso era un crimine che avrebbe
pagato con la morte.
Prima
che potesse anche solo tentare di ribattere, Ginny sospirò.
«
Se lo lasciamo qui lo condanniamo a morte » Il suo tono era stanco, ma deciso.
Draco non riusciva a guardarla in viso, ma sapeva che lei aveva preso la sua
decisione. Nonostante il disappunto dei suoi fratelli, la ragazza si chinò su
di lui e gli fece qualche rapida raccomandazione. Lui evitò il suo sguardo fino
a quando non ci riuscì, poi, incitato dalla ghigliottina del piede di uno dei
gemelli, fu costretto a incrociare il suo sguardo. Anche quegli occhi Draco non
li dimenticherà mai: sono gli occhi di una donna che sa.
Capitolo 3 *** Capitolo III - Tutte le strade portano a te ***
3.
Tutte le strade portanoa te
Draco
si svegliò con un dolore pulsante alla testa. Quando, lentamente e con cautela,
aprì gli occhi, fu colto da un attacco di panico improvviso e divorante nel
rendersi conto che non riusciva a vedere assolutamente nulla. Un rantolo di
terrore puro gli risalì per la gola, prima di rendersi conto che era solo il
buio fittissimo del luogo a dargli quell’impressione. Pian piano si abituò
all’oscurità e cominciò a distinguere qualcosa: il profilo di una brocca, lo
scheletro di un tavolo, una corda di luce a diversi metri da lui – la sua via
di fuga, l’uscio della tenda in cui si trovava.
Si
mosse piano, con gesti lenti e posati, un mugolio a sfuggirgli dalle labbra
ogni volta che un’inspirazione più intensa o un movimento meno delicato
facevano scricchiolare le costole nel punto in cui la Weasley
l’aveva picchiato, senza alcun riguardo per le sue povere, vecchie ossa. Si
rese conto di avere le mani legate dietro la schiena solo quando il bisogno di
tastarsi il torace per assicurarsi che fosse ancora integro si fece impellente.
Solo allora imprecò a denti stretti, muovendosi nella speranza che le corde si
allentassero.
«
Poche storie, Malfoy » ghignò una voce nel buio. Gli
occhi di Draco, due punte di spillo lucenti
nell’oscurità, saettarono intorno alla stanza nel tentativo di individuare il
proprietario della voce. La sagoma allampanata di uno dei gemelli sbucò da
dietro una tenda gialla che fungeva da divisorio.
«
Dove sono? » grugnì il biondo, scoccandogli un’occhiata minacciosa e feroce.
Non riusciva a vedere i suoi lineamenti ma, persino nel buio, sapeva che lui
stava sorridendo: glielo suggeriva quel suo tono leggero e canzonatorio, e il
brillio furbo degli occhi.
«
Prigioniero » rispose semplicemente l’altro, con una soddisfazione quasi
maligna nella voce. A Draco sfuggì una risata
beffarda.
«
In una tenda? Non avete nemmeno una cella per i vostri prigionieri? Certo che
siete messi proprio male » asserì con intenzione derisoria.
«
O forse abbiamo solo più riguardo per le persone » lo smentì una voce. Una
sagoma oscurò per qualche minuto la lama di luce che proveniva da fuori. Dopo
qualche istante, la tenda fu invasa da un piacevole tepore, e dal chiarore
aranciato di una lampada a gas. Draco rimase accecato
e fu costretto a chiudere le palpebre, ferito dall’improvviso bagliore che aveva
invaso il luogo. Dopo diversi minuti, riaprì gli occhi e guardò il nuovo
venuto. Gli ci volle qualche minuto per riconoscerlo.
«
Paciock?! » disse, incerto. Luì annuì debolmente,
mimando un sorriso stanco, amaro. Il biondo sbatté le palpebre un paio di volte,
perplesso, e lo osservò a lungo. Era senz’altro Paciock,
ma, al tempo stesso, non lo era più. Non era come con i Weasley
– quelli, nemmeno la guerra potevano cambiarli – che, sebbene più magri e
rabbiosi conservavano nella dolcezza dei lineamenti, nella determinazione degli
sguardi e nel rosso dei capelli le stesse caratteristiche di sempre. Questo
Neville Paciock aveva qualcosa di diverso, in un modo
inevitabile e spaventoso. Al di là della denutrizione, delle guance scavate e
dei cerchi scuri sotto gli occhi, oltre la cicatrice che gli tagliava
irreparabilmente l’angolo sinistro delle labbra, allungando in modo grottesco
il suo sorriso, c’era qualcosa – Draco non avrebbe
saputo dire cosa – che lo rendeva meno… meno Paciock.
Forse era la durezza dei suoi occhi: quella risolutezza che faceva quasi
spavento, e che gli fece correre un brivido freddo lungo la schiena. O il suo
modo di guardarlo: quelle occhiate prive di compassione o gentilezza che lo
facevano sentire carne da macello. O le dita strettamente serrate attorno alla
bacchetta. O la sua voce atona e stanca. Magari tutte quelle cose insieme.
«
Vi lascio soli allora. Se vuoi un consiglio da amico, Malfoy…
canta prima che sia troppo tardi » Il gemello uscì dalla tenda con un’ultima
occhiata di commiserazione.
«
Cantare? » Lo sguardo di Draco si posò su Neville.
Lui non lo stava guardando, sembrava immerso in pensieri impossibili da sondare
o comprendere. « Fammi capire… lasciano a te
il compito di interrogarmi? Molto, molto divertente… davvero, siete caduti
proprio in bas… »
Nel
silenzio della notte, un urlò squarciò la quiete dell’accampamento.
«
Io l’avevo avvertito » Fred scosse la testa ed emise un lungo sospiro.
Remus
Lupin, fermo sulla soglia della tenda, fissava con sguardo vuoto e allucinato
un punto non ben definito della stoffa gialla, macchiata e logora in più punti.
Quando si rese conto dell’occhiata quasi preoccupata che il giovane gemello Weasley gli stava lanciando, scosse il capo ed emise un
lieve sospiro.
« Quando siamo arrivati a questo? »
Fred non era sicuro si
riferisse all’urlo di Malfoy o allo stato d’incuria
della tenda, ma poteva capire, e di sicuro condividere, quel senso d’angoscia e
disgusto che gli stringeva lo stomaco.
« Quando la situazione
si è fatta disperata » replicò con insolita serietà. Lupin sollevò appena il
capo, l’espressione grave e colpevole ora fissa sul ragazzo.
« Non è mai stata una
giustificazione » Il suo sospiro sembrava un vero e proprio ululato di dolore.
Ma forse, si disse Fred, era solo l’eco delle grida di Malfoy
a dargli quell’impressione.
***
Alle
tre del mattino Draco non aveva ancora detto una
parola. I metodi di Paciock erano brutalmente
pacifici: niente torture, nessun dolore fisico, solo un estenuante scontro di
parole e immagini. Neville gli aveva scavato la mente con una Legilimanzia tanto potente che la resistenza aveva drenato
ogni energia: nonostante lui fosse un ottimo Occlumante,
aveva trovato serie difficoltà a contrastare quella particolare magia, che
oltre a ispezionare pensieri e ricordi, creava immagini che Draco
trovava difficile ignorare. Ma aveva i suoi buoni motivi per opporsi a quella
minuziosa ispezione.
Neville
non sembrava nemmeno minimamente stanco quanto lo era lui. Draco
aveva la pelle irritata dalle strette corde che gli serravano i polsi, la
schiena gli doleva e aveva come la sensazione che la testa gli si sarebbe
presto spaccata a metà: non sarebbe riuscito a contrastare quel continuo e
instancabile frugare ancora per molto.
Quando
il lembo della tenda frusciò leggermente e si aprì, Draco
tirò un breve e invisibile sospiro di sollievo, salvo poi stringere le labbra
quando si rese conto chi era la persona che era appena entrata. Lo stomaco si
contorse brutalmente e cominciò a bruciare nell’esatto momento in cui la sua
voce gli penetrò il cervello. Allora, fu certo che ogni difesa sarebbe stata
vana: l’armatura eretta dalla sua mente si era appena disciolta.
«
Neville, ora basta » La voce di Hermione era bassa e
monocorde, priva di qualsiasi inflessione. Era impossibile trovare la traccia
di un qualsiasi sentimento, nelle sue parole o nel suo volto, segnato dalla
stanchezza e dall’incuria. Draco non poté fare a meno
di notare che la guerra le donava: aveva le labbra screpolate, le guance
leggermente incavate e l’incarnato pallido; i capelli erano, se possibile,
ancor più crespi e disordinati del solito e la sua magrezza, pur se mascherata
da vestiti sformati e larghi, era fin troppo accentuata. Eppure, la scintilla
del suo sguardo era quella di una donna, fiera e indomabile ma, soprattutto,
implacabile e letale. Aveva qualcosa di bellissimo, pur nella sua spaventosa
forza.
«
Posso essere molto più persuasivo di così » Neville la guardava con la testa
inclinata da un lato e gli occhi curiosi e quieti di un bambino: sembrava
un’altra persona, adesso, mentre attendeva placido il verdetto.
«
Lo so » Le labbra di Hermione si incresparono appena.
Un sorriso affiorò anche sul volto dell’altro: entrambi, adesso, sembravano i
ragazzini che erano, quelli che Draco ricordava, ai
tempi di Hogwarts. « Ma per oggi può bastare. Gli
altri hanno bisogno di riposare » Un lieve, impercettibile sospiro. « E anche
tu ».
Neville
si alzò e, senza dire più una parola, uscì dalla tenda. La consapevolezza di
essere rimasto da solo con la Mezzosangue esplose dentro di lui sotto forma di
una strana, inconcepibile rabbia.
« Se ti aspetti che ti ringrazi per… » cominciò, la voce rabbiosa di un cane
randagio.
« Non mi aspetto niente da te, Malfoy»Hermione non gli permise neanche di concludere la
frase: lo interruppe con il suo tono pacato, intriso di una punta di amaro
rancore. Il modo in cui aveva pronunciato il suo cognome, poi, come per
rimarcare le differenze e tracciare confini netti e linee precise, lo irritò
oltremodo. Mentre Draco prendeva fiato per parlare,
lei, con gesti lenti e tranquilli, prese un vecchio bicchiere di latta e vi
versò dentro una generosa ondata d’acqua fresca. Il giovane si rese conto solo
in quel momento che la gola prudeva in modo fastidioso, e la visione fu tanto
dolorosa ed evocativa da indurlo al silenzio. Quando Hermione
si voltò, gli sembrò di vedere l’ombra di un sorriso sul suo volto, ma
probabilmente era solo uno scherzo giocato dalla luce intermittente delle
torce.
La ragazza si piegò su di lui senza
mai incrociare il suo sguardo. Draco, istintivamente,
si ritrasse quando la vide avvicinarsi, emettendo un ringhio rabbioso, come un
animale ferito e braccato, costretto in un angolo. Lei non batté ciglio, e si
adoperò con zelo sui nodi che gli stringevano i polsi.
Le corde si sciolsero, obbedienti, e
si adagiarono con dolcezza sul pavimento mentre Draco,
incredulo, si massaggiava i polsi irritati e doloranti, lanciando occhiate
rancorose alla giovane che, evitando il suo sguardo con sorprendente efficacia,
prese il bicchiere e glielo porse, insieme a una mela dall’aspetto marcio e
vecchio.
Lui si limitò a guardarla con aria di
sfida, osservando gli occhi scuri e stanchi tra le lunghe ciglia, le ombre
drappeggiate sugli zigomi, la piega delle labbra. Un violento dolore al petto
lo costrinse a distogliere lo sguardo nello stesso momento in cui lei, con un
sospiro, poggiava bicchiere e mela ai suoi piedi. Non si era accorta del suo
tentennamento.
« Non hai paura che scappi? » la provocò Draco
quando la ragazza gli girò le spalle ancora una volta.
« Non puoi scappare » replicò lei con tono tranquillo.
Anche se tutto ciò che il giovane vedeva era la sua schiena, immaginò che
stesse sorridendo con maligna soddisfazione.
« Mi hai appena liberato » le ricordò con tono beffardo. « Potrei ucciderti e fuggire, sarebbe
così semplice »Draco rise, accompagnando con uno sbuffo ironico la
sua affermazione.
Fu in quel momento che gli occhi di Hermione si puntarono dritti in quelli del ragazzo. Si
voltò lentamente, con gesti posati, apparentemente stanchi, eppure il suo
sguardo dardeggiò dritto nelle iridi di Draco fino a
trapanargli il cervello. Fu doloroso. C’era qualcosa di
strano, in quello sguardo: una curiosità accesa, un rancore evidente, una pietà
che forse era il fastidio più grande. Mentre le rivolgeva, tra le ciglia socchiuse, uno
sguardo raggelante, lei rispose.
« Non puoi scappare » ripeté. « Le corde erano solo un fastidio in
più che hanno voluto provocarti per dispetto »Hermione alzò gli occhi al cielo, ma l’angolo della
bocca era incurvato in un sorriso, come se trovasse divertente quel piccolo
scherzo giocato dai gemelli. Era una di quelle poche cose che la facevano
sentire a casa, al sicuro; una di quelle cose che le ricordavano i tempi di Hogwarts, della felicità e della spensieratezza. Erano
cambiate tante cose, ma Fred e George rimanevano i burloni di sempre, e anche e
soprattutto in quelle piccole azioni mostravano i segni di una maturità
acquisita per forza: il bisogno di una risata in quei tempi bui era maggiore
della paura e del nervosismo. «
Ci sono incantesimi di protezione posti lungo tutto il perimetro della tenda, e
anche se dovessi superarli, fuori ci sono molti uomini, e altri incantesimi » spiegò con quell’aria da maestrina
che aveva anche a Hogwarts.
« Potrei usarti come ostaggio. Se ti
portassi al Signore Oscuro… »
Ancora una volta, Hermione non gli permise di
concludere la sua velata minaccia.
« Non lo farai » disse con pacatezza.
« Cosa te lo fa pensare? » Una sfumatura di rabbia crepitò nella
voce di Draco, che era rimasto immobile, seduto sul
freddo pavimento a massaggiarsi i polsi.
« Hai già avuto l’occasione, e non
l’hai fatto »
Adesso, nello sguardo di Hermione brillava un vivo interesse.
Per qualche istante, sembrò valutare l’idea di andarsene, ma alla fine la
curiosità ebbe la meglio. «
La domanda è: perché? »
Inclinò la testa di lato, come una bambina, lo sguardo ostinatamente fisso in
quello del ragazzo. Non sbatteva nemmeno le palpebre, per timore di perdersi
una seppur minima reazione. Non le sfuggì la scintilla che saettò negli occhi
di Draco per un istante infinitesimale, né il
serrarsi improvviso della mascella, che denotava un nervosismo crescente.
« Non so di cosa tu stia parlando » Il suo tono serbava una durezza
latente, che recava l’eco di una traccia difficile a morire. La sua voce era lo
specchio dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti, tanto limpida quanto
incomprensibile.
Hermione lo guardò a lungo, indecisa se
indagare ancora o meno. Dopo molti istanti di silente contemplazione, emise un
lungo sospiro e gli voltò le spalle.
« Non parlerò mai. Tanto vale mi
uccidiate »
La voce del ragazzo la raggiunse quando era ormai a un passo dall’uscita. Hermione non si voltò per rispondere.
« Parlerai, Malfoy.
Te lo assicuro »
Nel suo tono c’era un evidente traccia di dispiacere.
***
La mente di Malfoy
era un labirinto di porte serrate e solide resistenze. Le capacità di Neville,
sviluppate solamente negli ultimi anni di guerra grazie ai consigli e al prezioso
aiuto di Lupin, furono messe a dura prova più di una volta. Laddove la porta
era più resistente e protetta, lui insisteva perché pensava che Malfoy cercasse di nascondere informazioni importanti.
Talvolta era così; spesso, però, lui non faceva altro che attirarlo in trappole
che, alla fine, lo lasciavano stremato e senza forze. Neville cercava di non
dare a vedere quanto frugare nella mente altrui fosse estenuante, ma rimanere
impassibile davanti al ghigno malizioso di un ragazzino arrogante che si divertiva
a metterlo in imbarazzo non era sempre facile.
Draco provava un piacere quasi sadico nel
destabilizzare la sua concentrazione, giocandogli tiri mancini e agguati nei
momenti più inaspettati, proprio come faceva quando erano a scuola.
Neville poteva superare facilmente la
vergogna di situazioni scabre e oscene: non era più un bambino, e il disagio
che un tempo provava – quando il contatto con il sesso femminile si faceva più
intimo e provocava scomode reazioni – era scomparso con l’arrivo dell’amore e
con l’incedere di una guerra che non aveva più lasciato spazio per niente. Non
lo infastidiva nemmeno più il fatto che Malfoy
provasse piacere nel prenderlo in giro o nell’attirarlo in trappole che lo
facevano arrossire: la vendetta era un eccesso che non gli era mai appartenuto,
né avrebbe cominciato in quel momento per colpa di un ragazzetto inutile e
sciocco.
Ma la fatica si faceva sentire dopo
quelle violente incursioni, che lasciavano entrambi sfiniti, l’uno per lo
sforzo di resistere, l’altro per l’energia spesa nell’assalto. Almeno, Malfoy poteva consolarsi con la soddisfazione di vedere il
rossore invadere il viso di Neville; a lui, invece, non restava altro da fare
se non prendere un respiro profondo e ricominciare, nella speranza che almeno
quella porta verso cui si stava fiondando avrebbe condotto a informazioni
utili.
Ce n’era una in particolare che
l’aveva incuriosito fin dall’inizio. La prima volta che era penetrato nella sua
mente era stato come atterrare nel bel mezzo di un labirinto: ovunque spingesse
il suo sguardo si snodavano corridoi, e sulle pareti si aprivano porte e
porticine, finestre oppure oblò, di diverse forme, colori, materiali e
dimensioni, ma quella spiccava in modo inequivocabile, talmente sfacciata che
sarebbe stato impossibile non notarla.
Era un gigantesco portone dorato,
altissimo e altrettanto spesso, con doppi battenti e stranamente intarsiato con
motivi che lui non era riuscito a decifrare. Era ben diversa dalle piccole
porticine di legno o ferro battuto che aveva visto lungo le pareti, anche perché
sembrava maggiormente serrata, con catenacci e travi, come se Malfoy stesso non volesse accedervi. Tutti i corridoi
sembravano portare verso quel punto, per cui a Neville era venuto istintivo
puntare verso quel portale, che era certo conducesse a informazioni preziose.
Malfoy era sempre stato molto più veloce di
lui: la nascondeva, la proteggeva in modo rapido ed efficace, la allontanava
ogni volta che lui tentava di avvicinarsi, o ergeva muri di mattoni davanti ad
essa per non fargliela raggiungere.
Neville aveva desistito dopo qualche
tentativo, ripromettendosi di tornarci quando le sue forze glielo avrebbero
permesso. Ora, sentiva che era il momento: quella, ne era certo, era la porta
che nascondeva i suoi segreti più profondi, le informazioni più importanti.
Forse, avrebbero potuto trovare il loro quartier generale; forse, avrebbe
potuto conoscere i loro piani – numeri, condizioni, intenzioni, mezzi – e così mettere
fine a quella guerriglia che si stava protraendo da troppo tempo.
Non fu facile trovare quella porta,
non perché fosse difficile individuarla – era fin troppo grande – ma perché
sembrava quasi che Malfoy avesse capito le sue
intenzioni.
L’incursione di Neville fu silenziosa
e discreta, mirata, più che a indebolirlo o stancarlo, a distrarlo. La tecnica
del ragazzo era simile a quella che usavano durante le battaglie, in campo
militare: scartare a destra e a sinistra senza mai guardare la propria meta era
un ottimo metodo quando non si volevano scoprire le proprie carte. Così fece
lui: aprì diverse porte e ne indebolì delle altre, facendo credere a Malfoy che il suo obiettivo fosse uno di quegli usci
facilmente cedibili. Sebbene il fu Serpeverde
tentasse di guidarlo tra i corridoi della sua mente verso un punto ben preciso
– un altro scherzo o forse solo la paura che arrivasse davvero dove lui voleva?
– non fu semplice capirne le intenzioni né ingannarlo un’altra volta: ormai Paciock aveva capito i suoi metodi, e aveva imparato ad
aggirare gli ostacoli o volgere la situazione a suo favore. Perciò Draco eresse barriere più potenti laddove pensava che lui
avrebbe attaccato, tralasciando per un istante i ricordi lontani. Un istante di
troppo.
A Neville bastò allungare una mano,
spingere i due grossi battenti, forzare di più l’incantesimo e annientare le
ultime, blande difese. La grande porta si aprì placidamente, con un’obbedienza
che fece gemere Malfoy di dolore e rabbia. Sul suo
volto passò un lampo di paura che Neville non riuscì a vedere, troppo attento a
mantenere la concentrazione, troppo impegnato a chiudere il giovane fuori dalla
stanza per esplorarla fino in fondo, fino all’ultimo ricordo.
Quando il portone si dischiuse, la
prima cosa che Neville avvertì fu un delicato profumo di pergamena. La luce lo
accecò solo per un attimo, cogliendolo di sorpresa: nella mente di Malfoy, fino a quel momento, tutto era stato buio, cupo,
oscuro. C’era poca luce, prevalentemente negli anni dell’infanzia e della prima
adolescenza, nessun odore, una minima e frammentaria felicità. Le stanze erano
piccole, anonime, talvolta pregne di paure e dolori.
Quella stanza, invece, era enorme e
invasa dalla luce. Aveva un profumo meraviglioso, e lui riusciva quasi a
sentire il battito stonato del cuore di DracoMalfoy, un ritmo alternato che sfogava paure e ansie, gioie
e dolori. Quel chiarore improvviso gli ferì gli occhi. Neville li chiuse, per
poi riaprirli lentamente. Quello che vide lo lasciò senza fiato.
Gli avevano detto che il primo amore
non si scorda mai.
La prima a dirlo era stata sua madre,
quando le aveva chiesto perché avesse sposato proprio suo padre, quand’era
chiaro almeno quanto che lui fosse un Serpeverde che erano
troppo diversi per stare insieme. Narcissa aveva
risposto che le apparenze ingannano, e che gli
occhi sono ciechi, bisogna cercare con il cuore.
Gliel’avevano ripetuto i suoi amici,
quando l’età era diventata quella dei sospiri e dei primi affanni del cuore.
L’amore aveva cominciato a bussare alla porta di qualcuno, i più temerari o
forse solo i più folli; quelli che poi si erano sentiti in dovere e in diritto
di spiegare come funzionava il mondo, cos’era l’amore.
Tutti, comunque, gli avevano detto che
il primo amore non si scorda mai.
Avevano
ragione.
Nonostante i suoi tentativi di
liberarsi di quei ricordi, emozioni scomode ma intense che lo avevano seguito
per tutta la sua vita, l’unica cosa che Draco era
riuscito a fare era stata rinchiudere tutto in un angolo della sua mente.
Questo non era servito a dimenticare, ma aveva imparato a pensarci solo quando
ne aveva voglia, o bisogno, o quando era tanto debole da non riuscire a frenare
le sue fantasie.
Hermione si era incollata alla sua anima come
una mosca si invischia nella ragnatela del suo carnefice. Lui era la mosca; lei
il ragno pronto a distruggerlo.
E in effetti l’aveva demolito, pur
senza toccarlo. Con le mani o con il pensiero, Hermione
non lo aveva mai sfiorato, eppure l’aveva dilaniato, senza saperlo.
Aveva divorato la sua anima,
consegnandola nelle mani di un destino crudele e senza scampo: quello di un
amore impossibile e colpevole di cui lei non aveva mai avuto sentore né
conoscenza, ma che Draco si portava addosso da anni,
con un turbamento ogni volta maggiore.
Aveva dilaniato il suo cuore con
desideri inconfessabili che lo svegliavano la notte e lo tormentavano il
giorno.
Aveva annullato la sua mente con la
semplice forza della sua presenza. O ancor di più, con la sua assenza, che
bruciava ogni giorno di più.
Gli avevano detto che il primo amore
non si dimentica mai. Quello che non gli avevano detto, è che il più delle
volte non lo riconosci, il primo amore, quando ti ghermisce senza più lasciarti
via di fuga.
Draco aveva visto per la prima volta Hermione quando aveva undici anni. Hermione:
ricci ribelli e denti da castoro. Però, addosso la fierezza di una Purosangue,
il timore di una bambina e la determinazione di una donna. Il vapore l’aveva
ingoiata dopo il primo sguardo: un secondo, un refolo di vento, e lei era
scomparsa, inghiottita dal metallo di un treno scarlatto.
L’aveva incrociata poco più tardi nel
corridoio di un treno, la divisa stirata e pulita addosso a quel corpo che,
qualche anno più tardi, aveva occupato gran parte dei suoi sogni e dei suoi
pensieri. Le aveva rivolto un sorriso che lei non aveva nemmeno visto.
Aveva scoperto poco dopo che lei era
una Mudblood. La sua reazione naturale era stata
quella di mostrare disgusto, come gli era stato insegnato, ma nella sua mente
non era stato capace di ripudiare del tutto l’idea che aveva accarezzato il
ragazzino che era dentro di lui. Hermione si era già
incollata alla sua anima, con quella determinazione dignitosa e fiera che lui
le aveva letto addosso in tutti gli anni di scuola; non se n’era più andata,
perché lei era fatta così. E quando aveva provato a mandarla via, era già
troppo tardi.
Non l’aveva mai detto ad alta voce,
perché le parole hanno un’ineluttabilità che non lui non era capace di
accettare, ma sapeva, già da quel momento, che non l’avrebbe dimenticata
facilmente.
Hermione era sbagliata. Per questo Draco teneva per sé la verità di ciò che aveva capito. A
undici anni si era domandato per poco se sarebbe stato poi un vero crimine fare
amicizia con lei: lo sguardo di suo padre e le sue urla indignate erano state
una risposta sufficiente.
A dodici anni era stato facile
mascherare con l’arroganza e la crudeltà il suo piccolo segreto.
A tredici anni aveva tentato di
nascondere malamente il suo desiderio, distraendosi con ragazzine che avevano, in
qualche modo, un riflesso di lei. Il risultato era stato deludente e
catastrofico, perché il bisogno di lei si era acuito a dismisura.
A quattordici anni, il desiderio si
era fatto tanto bruciante da farlo svegliare la notte con gli occhi spalancati
dal piacere e le coperte appiccicose di un bisogno represso.
Era stato allora che Narcissa l’aveva saputo. Vegliava sul sonno del figlio con
la fedeltà di una donna e l’amore di una madre. La prima volta che aveva
sentito quel nome tra le belle labbra di Draco aveva
pensato di aver frainteso. La seconda si era convinta che quel nome era solo
una coincidenza. Alla terza aveva cercato giustificazioni o rari casi di
omonimia. Quando si era arresa all’evidenza, Draco si
era svegliato: la vergogna ad accendergli le gote, la rabbia a saettargli negli
occhi. Aveva urlato, aveva negato. Narcissa aveva
taciuto.
Quando la Umbridge
aveva fondato la Squadra d’Inquisizione, Draco aveva
finalmente avuto la sua occasione di spiare Hermione
con una scusa plausibile. Non era stupido: aveva capito da tempo che c’era
qualcosa tra lei e il giovane Weasley, e il bisogno
di controllarla, di frenare sul nascere quel germoglio da estirpare, aveva
accresciuto la sua accecante gelosia e il suo desiderio di far più male
possibile alla specie dei Weasley.
Compiere sedici anni era stato, per
lui, l’avverarsi di un sogno e, al tempo stesso, l’ingresso in un incubo che
aveva compreso solo più tardi. Accanto all’entusiasmo dell’adolescente c’era,
infatti, il desiderio del bambino infine diventato uomo, e la consapevolezza
che i suoi ideali andavano fin troppo contro il suo bruciante desiderio.
Hermione era stata causa ed effetto. Gli piaceva, anche se era una Sanguesporco, ma la disprezzava per lo stesso motivo. Quel
marchio che gli aveva morso la pelle era lì solo perché lui, ragazzino, si era
illuso di poter inquinare il suo cuore con obiettivi diversi da quelli che esso
gli imponeva.
Ancora una volta, era stata Narcissa a prenderlo per mano e guidarlo verso la giusta
direzione.
« Mi dispiace, mamma. Ho provato a
impedirlo. Non ce l’ho fatta » Draco aveva il capo chino e il
viso rosso di vergogna. Una rabbia latente incrinava la sua voce. Le mani
tremavano; la mascella, contratta, si serrava stringendo tra i denti parole che
lui non voleva pronunciare.
« Solo gli sciocchi chiedono scusa per
i propri sentimenti »Narcissa era come sempre bellissima nella sua
dignitosa eleganza. Le parole fluirono dalla bocca con una naturalezza
sorprendente, la pacatezza di sempre a modulare un tono già dolcissimo. Draco l’aveva guardata con due occhi enormi da bambino.
« Ma lei… lei è… » Non era riuscito a terminare la
frase: il dolore si era fatto tanto intenso che le parole gli erano mancate.
« Cosa? Cosa è Draco?
» La donna aveva posato i suoi occhi,
chiarissimi e del tutto identici ai suoi, nella forma e nel colore, sul figlio.
L’aveva fatto con grazia, senza violenza, e quella carezza l’aveva sgonfiato di
ogni timore, curando il suo male.
« Una Mudblood» aveva ammesso in un soffio.
« Intendo dire cosa è per te»
A sedici anni, Draco aveva finalmente imparato a convivere con il suo
demone interiore.
A diciassette, aveva
smesso di combatterlo e aveva deciso di farci la pace. O l’amore, a seconda
delle circostanze.
***
Draco non era mai stato una persona buona. Ciononostante, non era
nemmeno capace di autodefinirsi esattamente cattivo,
perché non aveva mai fatto niente che lui potesse dire terribile. Dispetti e
marachelle da adolescente, insulti sprezzanti o tiri mancini non rientravano
nell’accezione del termine. DracoMalfoy
sapeva che il suo cognome e, ancor di più, il suo sangue, gli conferivano
privilegi di cui aveva tutta l’intenzione di godere, per cui non riteneva
malvagie nemmeno le sue azioni volte a denigrare i più deboli o gli emarginati.
Draco, comunque, non era nemmeno lontanamente cattivo come lo era Hermione. Col passare del tempo, il giovane Serpeverde aveva sviluppato nei confronti di quella ragazza
un’avversione talmente eccessiva che trasformare tutto l’odio in amore era
stato un passo semplice e decisivo, naturale come l’arrendersi a quel
sentimento devastante.
Hermione aveva mangiato il suo cuore e divorato la sua anima con la
ferocia delle belve e la grazia di una donna.
Ogni tanto, Draco
immaginava di strapparla ai suoi amici per farne ciò che voleva; ogni tanto, si
ritrovava vicino a lei, nascosto nell’ombra di un corridoio, con la bacchetta
in mano e uno Schiantesimo sulle labbra. L’avrebbe
rapita, portata dove nessuno avrebbe potuto salvarla; lei sarebbe finalmente
stata sua.
Non era mai riuscito a pronunciare
l’incantesimo: sapeva che un’unica volta non gli sarebbe bastata, sapeva che la
sottomissione e la violenza non erano ciò che desiderava davvero. Draco voleva divorarle l’anima come lei aveva fatto con lui.
Hermione era una condanna a vita: non poteva liberarsi di lei e non
poteva appagare il suo desiderio.
Gli avevano detto che l’amore è un
petalo delicato che ti accarezza con dolcezza, rapendo il cuore con pensieri
solitari e bellissimi. Per Draco, l’amore ha sempre
avuto la ferocia di un
predatore solitario e paziente, resistente e ostinato. Perché Hermione era una condanna vita. Il suo ergastolo.
***
«Il cuore muore di morte lenta. Perdendo
ogni speranza come foglie.
Finché un giorno non ce ne sono più.
Nessuna speranza. Non rimane nulla.
Se un albero non ha né foglie né rami,
si può ancora chiamarlo albero?»
Draco aveva sperato fino all’ultimo, ed era
il motivo per cui si trovava prigioniero, adesso. Ginevra Weasley
poteva anche pensare che l’unico motivo per cui aveva accettato di farle la
guardia fosse Harry Potter, e la gloria che avrebbe conseguito a una sua
improbabile cattura, ma la verità era un’altra, e cioè che durante gli anni
passati ad Hogwarts lui aveva spiato Hermione forse più del dovuto, e aveva capito di lei più di
quanto gli piacesse ammettere, più di quanto lei avrebbe mai potuto immaginare.
Il legame di amicizia con la Weasley era uno dei suoi punti a favore; lo spirito Grifondoro – leale, coraggioso, imprudente – sarebbe stato
la sua arma più grande. DracoMalfoy
era sicuro che HermioneGranger
avrebbe cercato di liberare la sua migliore amica, poco importava se sarebbe
stato pericoloso, impossibile, sciocco, complicato. Si era sbagliato, ma ciò
non gli aveva impedito di continuare a sperare.
Quando le sue difese erano crollate e Paciock era riuscito a forzare la sua mente e penetrare
dentro i suoi ricordi, dentro i suoi pensieri, dentro le sue emozioni, per la
prima volta da tanti, troppi anni, Draco si era
sentito libero, e leggero. Non è per un Mangiamorte
desiderare.
Non è per un Mangiamorte provare sentimenti. Lui
aveva dovuto nascondere tutto, seppellire ogni cosa sotto strati di dolore e
paura, rinforzare le difese, rinsaldare la convinzione che quell’ossessione
fosse sbagliata, inutile, facilmente annientabile e assolutamente deplorevole.
In quel momento, invece, oltre la vergogna, al di là del fastidio, c’era un
piacevole tepore che aveva reso molli le gambe di Draco.
Forse era perché si stava abbandonando
ai ricordi. Magari era la semplice presenza di Hermione
nella sua testa. O semplicemente la leggerezza dell’arrendevolezza, e la
consapevolezza di non dover per forza vivere nascosto, sempre con la paura che
un passo falso o un attimo di disattenzione avrebbero potuto costargli la vita.
O, forse, era solo la battaglia finale
di una guerra che durava da troppi anni.
***
Hermione.
Solo Hermione.
Sempre Hermione.
Hermione dappertutto.
Hermione in biblioteca, china sui libri, la luce pallida di un sole
d’argento che le bacia la pelle chiara. Hermione che
dorme, le ombre delle lunghe ciglia nere come pennellate di tenebre sugli
zigomi eleganti. Hermione che cammina per i corridoi,
i libri stretti contro il petto, come una fragile armatura alla sua essenza. Hermione in classe che alza la mano, con quelle dita
piccole e pallide, palmi eleganti e dorsi da baciare. Hermione
che ride a una battuta di Harry, che sfiora timidamente Ron,
che inarca un sopracciglio quando Luna parla o che sospira pazientemente a un
dubbio di Neville – sono i momenti in cui la luce impallidisce e nuvole di un
temporale figlio di chissà che cielo oscurano la felicità che si avverte dentro
la stanza.
Hermione ovunque – nel parco, su una sedia, per strada, a lezione –
sempre bellissima. Neville non l’aveva mai vista sotto quella luce: gli occhi
brillanti, le gote arrossate, un sorriso ad arcuarle le labbra, un ricciolo a
solleticarle lo zigomo. Nei ricordi di Malfoy, quella
ragazza bruttina con i denti da castori e i capelli indomabili aveva sempre un
particolare incredibile, una fierezza fuori dal comune, una bellezza unica e
preziosa. Non vistosa; non del genere che ti giri a guardarla. Più semplice. Ma
aveva qualcosa che ti accalappiava, niente da dire, ce l’aveva. Come una specie
di limpidezza, di trasparenza. E la cosa più bella, la più sorprendente in
assoluto, era che lei era assolutamente inconsapevole dello splendore che si
portava addosso. Di quella bellezza che ti spaccava il cuore.
Neville visse in un
solo istante due vite: quella di Hermione e quella di
Malfoy. Vite diverse, separate, eppure in qualche
modo collegate. Draco era sempre presente, nascosto
dietro l’ombra di un albero, oltre l’armatura di un angolo buio, sempre con
occhi vigili e attenti. Hermione, la strega più
brillante e promettente di Hogwarts, non se n’era mai
accorta: forse perché non se lo sarebbe mai aspettato, magari perché lui era
semplicemente troppo bravo a celare la verità.
Una cosa era certa: la
verità di ciò che lui stava guardando era assolutamente incontrovertibile, e
anche se Neville aveva avuto qualche dubbio, le fantasie che si inframmezzavano
ai ricordi – avevano confini meno netti, margini sfocati; erano memorie accese
da una luce accecante – avevano annientato ogni perplessità e confermato le sue
prime ipotesi, per quanto assurde potessero sembrare.
Neville aprì gli occhi lentamente, il
respiro affannato spezzato dalla sorpresa e dall’incredulità. Quando puntò lo
sguardo sul viso di Malfoy, lui aveva la mascella
serrata e lo sguardo irrigato d’odio, ma i suoi occhi erano limpidi, sembravano
acqua profonda. L’imbarazzo delle emozioni scomode che lui aveva scoperto era
una crepa visibile nella sua maschera di rigida imperturbabilità.
Lo sguardo di Neville era acuto e
diretto, privo della vergogna che invece stava infiammando lo stomaco
dell’altro. Se Draco non fosse stato tanto intento a
provare una rabbia cieca, avrebbe visto l’ombra di un sorriso dietro
quell’espressione quieta.
Il ragazzo si alzò, gli voltò le
spalle ed uscì dalla tenda. Draco non ebbe il
coraggio di aprire bocca, di implorargli di tacere: era già abbastanza
umiliante dover sopportare il suo sguardo, sapere che quell’inutile essere, da
sempre disprezzato, denigrato e deriso, era a conoscenza del suo segreto più
intimo e profondo, del più importante, dell’unico che aveva il bisogno di tenere
per sé, per non soccombere alla vergogna, al desiderio, all’amore.
« È innocuo »
La sua voce, attutita dalla stoffa
della tenda, fu un pugno allo stomaco che acuì ancora di più il senso di
bruciore che provava.
Neville ebbe almeno la
delicatezza di non rientrare. Fu Remus Lupin, il suo
ex insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, a liberarlo dalla sua prigionia,
invitandolo fuori. Draco lo guardò con rabbia e
sospetto, domandandosi quanto, in silenzio o solo con un breve contatto
mentale, Paciock gli avesse rivelato, quanto
quell’uomo sapesse. Non c’era traccia di sorriso sulle sue labbra, e
quell’aspetto bonario e pacato che gli ricordava addosso era scomparso,
sostituito da una trasandatezza se possibile ancora maggiore di quella di un
tempo, accompagnata da un grigiore cupo e solitario che incuteva quasi timore.
Lo sguardo del giovane
era rancoroso e collerico, pregno di risentimento e odio, ma Lupin non si
scompose più di tanto: lo invitò fuori con un gesto della mano, illustrandogli
brevemente le regole dell’accampamento e spiegandogli che non sarebbe potuto
scappare – soffermandosi, con dovizia di particolari, sulle conseguenze di una
sua eventuale fuga, che terminavano tutte con una terribile e dolorosissima
morte.
Una volta terminato il
suo discorso, però, gli sorrise, in quel modo che gli era appartenuto
tantissimi anni prima, e nella linea delle sue labbra sottili e secche, tra le
pieghe di quel viso costellato di cicatrici, Draco
rivide l’insegnante che molti, a Hogwarts, avevano
amato. Non certo lui, troppo occupato a badare all’aspetto esteriore, troppo
attento ad escogitare un’altra cattiveria per infliggere danno a qualcuno;
troppo intento a spiare quella ragazza che ora, con uno sguardo libero da
rancore o dispiacere ma colmo di quella curiosità limpida che da sempre la
contraddistingueva, lo osservava con intensità.
Hermione spese solo qualche istante in quella silente contemplazione,
affatto imbarazzata dallo sguardo impudente del ragazzo fisso su di lei. Un
minuto, poi tornò alle sue occupazioni: raccogliere la legna, procurare cibo,
medicare le ferite di Ginny e degli altri alleati.
A Draco
non rimase altro da fare se non allontanarsi, mettere quanti più chilometri
possibili tra lui e la ragazza e ignorare bellamente gli sguardi colmi di
livore e astio che gli altri gli scoccavano, senza timore di farsi scoprire in
accese discussioni su quanto fossero orribili le sue azioni, efferati i suoi
crimini, opinabili le sue scelte.
Era strano, e sciocco,
per non dire assolutamente imprudente, che lui, da prigioniero, fosse libero di osservare, toccare, camminare
lungo le stesse strade che percorrevano i suoi aguzzini.
Quello che loro
chiamavano quartier generale, si accorse con poco stupore, non era altro che
uno sciatto agglomerato di tende ordinate alla rinfusa o casupole improvvisate
con legni marci e gonfi d’umidità. Il pozzo che avevano costruito al centro
dell’accampamento aveva l’unico scopo di raccogliere l’acqua piovana, ma la sua
reale funzione era un mistero persino per lui: a che pro utilizzare quella
costruzione, quando un semplice “Aguamenti” sarebbe stato sufficiente a dissetarli? La
risposta che si diede, le mani in tasca e un ghigno sul volto, era tanto idiota
quanto superba, in pieno stile Malfoy: nessuno di
loro era capace di eseguire un incantesimo basilare come quello, perché, in
caso contrario, non avrebbero speso tempo ed energie per costruire una
struttura inutile.
Draco superò il pozzo con un lungo passo, storcendo il naso
davanti ai profili fatiscenti e rozzi delle tende logore e sudicie che
fungevano da abitazioni.
A dispetto di ciò che
pensava lui e tutta la sua banda di folli assassini, l’Ordine della Fenice era
molto più numeroso di quanto si potesse pensare. Non che quella masnada di
vecchi e bambini malnutriti potessero in qualche modo dar loro del filo da
torcere – non li considerava nemmeno un pericolo – ma durante quegli anni di
guerra pensava che il Signore Oscuro ne avesse decimati molti di più. Lo aveva
fatto, senz’altro, ma per ogni morto c’erano almeno dieci vivi.
Ed eccoli lì, fieri e
combattivi, ad aiutarsi l’un l’altro in faccende banali e quotidiane come
accendere il fuoco per scaldarsi, o in quelle più rischiose e complicate come
il procacciare cibo per sé e per gli altri – missioni di pace, o di guerra, nel
tentativo di sopravvivere o di vincere.
Draco li studiò a lungo.
I primi giorni rimase
nascosto all’ombra di un ulivo che protendeva le sue fronde su un laghetto
naturale la cui superficie cominciava a venarsi di ghiaccio. Li guardava da
lontano chiedendosi quale artificio li legasse tanto indissolubilmente da
spingerli a collaborare senza ricevere in cambio nient’altro che un sorriso;
per quale motivo si aiutassero tra di loro se non c’era paura nei loro sguardi
né terrore a guidare e motivare le loro azioni. Aveva dimenticato la complicità
dell’amicizia e, ora, la gentilezza di un gesto spontaneo o la curva di un
sorriso sembravano esse stesse magie, eredità di un mondo di cui aveva scordato
l’esistenza e che credeva sparito, e invece trovava, con stupore, ancora in
piedi, come l’ultimo granello di un universo che non aveva intenzione di
scomparire.
Di tanto in tanto,
qualcuno si avvicinava per lavare i panni o le vecchie pentole sbreccate. Lui
cercava di ignorarli, loro lo evitavano, ma senza dimenticarsi di scoccargli
occhiate colme d’odio. Draco non poteva nemmeno
biasimarli del tutto: lui, la sua famiglia, i suoi alleati, avevano fatto cose
orribili, sterminato senza pietà la popolazione magica e non, mietuto vittime,
distrutto famiglie.
Quanti di loro aveva
ferito?
Ne aveva riconosciuto
uno, in particolare. Un ragazzo che aveva più o meno la sua età, ma a cui
mancava un braccio. Era sicuro di essere lui l’artefice di quell’amputazione;
qualcosa, nel suo sguardo, glielo suggeriva. Qualcosa, nei suoi ricordi, urlava
e chiedeva il suo tributo. Draco era certo che
l’avrebbe pagato.
***
Hermione impilò con cura l’ultimo ciocco di legno in cima alla
piccola torretta che avevano appena finito di creare, poi spostò lo sguardo su
Neville che, il volto paonazzo, si era appena passato una mano sulla fronte per
detergere il sudore.
La ragazza emise un
lungo respiro, gli occhi ostinatamente fissi sull’amico.
« Che cos’hai visto? »
chiese limpidamente, senza mai staccare gli occhi dal volto del giovane. Era
una domanda che le ronzava in testa da troppo tempo. Per mille volte l’aveva
scacciata e se l’era tolta dalla mente, evitando lo sguardo di Neville o
cercando di trovare occupazioni migliori che non fossero saziare la sua
irrefrenabile curiosità. Quella volta, però, proprio non riuscì a frenare la
lingua: le parole le sfuggirono dalla bocca prima di avere il tempo di
ingioiarle.
Neville le scoccò
un’occhiata a metà tra il divertito e il dispiaciuto, prima di rispondere.
« Non capisco di che
parli »
Hermione emise uno sbuffo spazientito, infastidita da quella plateale
menzogna: Neville poteva anche essere un impavido condottiero, ma non era
capace di mentire.
« Nella testa di Malfoy » precisò con pedanteria. « Cosa hai visto? » Il suo
sguardo si fece più penetrante e attento, concentrata com’era a non perdere
nemmeno una delle sue reazioni.
Neville chinò il capo
ed emise un lungo sospiro, poi si strinse nelle spalle.
« Poca roba » replicò
lui, stranamente vago nella risposta, ma per nulla impacciato. La giovane
strega scosse il capo, come a voler chiedere di più, ma dalla bocca non le uscì
alcun suono. Era una richiesta silenziosa, la sua, una pretesa delicata ma che
aveva molto della ragazzina che Neville aveva conosciuto a scuola, con quel suo
candore delicato ma deciso. Ciononostante, non aveva intenzione di rivelarle
niente. Non lo aveva fatto con nessuno, e non perché dovesse qualcosa a Malfoy, o perché lo rispettasse, quanto piuttosto per
l’affetto che lo legava a Hermione e Ron, per il timore che l’impatto con quella nuova, assurda
realtà destabilizzasse entrambi più di quanto fosse lecito. Non era sicuro di
aver preso la scelta giusta, e talvolta si domandava se avrebbe dovuto dire
qualcosa, magari solo accennarla, gettarla quasi per scherzo nel bel mezzo di
un discorso.
Quando ne aveva parlato
con Luna, senza mai dire chiaramente come stavano le cose, lei aveva risposto
che la verità, qualsiasi verità, somigliava a una pietra che viene lanciata nel
bel mezzo di un lago. La pietra scompare subito, affonda in pochi istanti, ma
lascia segni indelebili del suo passaggio: cerchi che increspano la superficie
dell’acqua e che continuano ad allargarsi fino a raggiungere la riva, allagando
le sponde con una tenacia piccola e crudele.
Neville aveva capito
poco di quelle parole, ma sapeva che ogni azione ha conseguenze, perciò aveva
taciuto.
Da un lato, gli
dispiaceva dover mentire alla sua migliore amica; dall’altro, però, sapeva che
era la cosa giusta da fare. Lo sguardo che lui e Malfoy
si erano scambiati alla fine di quella lotta silenziosa che avevano sostenuto
per giorni era stato come un suggello: avevano siglato un patto. Lui l’aveva
costretto alla resa, l’altro l’aveva invitato al silenzio. Il risultato era una
strana forma di tacito rispetto a cui entrambi guardavano con stupore e
sospetto.
« Hai detto che è
innocuo. Perché? » L’insistente voce di Hermione
venne incrinata da una punta di panico che gli fece crepitare la pelle.
« Perché non ci farà
del male »
« Come fai a esserne
sicuro? »
« Sono sicuro »
« C’entra qualcosa il
fatto che mi ha salvata per due volte? »
Neville si fermò
all’improvviso, il passo che lo stava conducendo verso la sua tenda sospeso a
metà da una sorpresa che non era nemmeno poi così intensa come si aspettava. Quella
ragazza era sempre stata troppo intelligente, troppo perspicace, per poterle
nascondere qualcosa. La sua esitazione fu per Hermione
una conferma sufficiente, e anche se lui si affrettò a scuotere il capo lei
comprese perfettamente che c’era qualcosa di vero nella sua intuizione.
« Neville » lo
richiamò, una sfumatura di preoccupazione ad oscurarle il volto.
« Hermione,
ti fidi di me? » Lui la guardò negli occhi, con una determinazione che lei gli
aveva letto addosso solo negli istanti prima di una battaglia. Annuì piano, con
timore, ma senza la minima esitazione.
« Allora non farmi
domande a cui non posso rispondere »
Prima di voltarle le
spalle, non riuscì a trattenere un sorriso. Hermione
non sapeva perché, ma, più che esserne rassicurata, si sentì ferita e
inquietata da quell’ombra sul volto dell’amico. Istintivamente, il suo sguardo
si spostò verso il lago.
Gli occhi mercuriali di
Draco erano pozzi senza fondo, insondabili e superbi,
ma in qualche modo adombrati da una sfumatura di sospetto che somigliava
pericolosamente a rabbia. La sua mascella vibrava impercettibilmente, il corpo
teso come una corda di violino. Guardava Neville con supponenza, e solo quando
il ragazzo scomparve dentro la sua tenda i suoi occhi, acuti e pungenti, si
spostarono lentamente su Hermione, senza mai perdere
quell’ombra scura, inquietudine segreta che lei non riuscì a comprendere. Non
poté fare a meno di pensare a quanto desiderasse conoscere la verità.
***
La guerra li aveva
cambiati tutti, in modo impercettibile ma inequivocabile. Lo capiva dagli
scatti nervosi delle mani, dalla vacuità degli sguardi attenti e sempre
all’erta, dai sussurri disperati e sospettosi di una confessione di nascosto.
Lo capiva ogni volta
che qualcuno tornava da una delle loro strane missioni suicida, scarmigliato e
con l’espressione sconvolta di chi ha visto in faccia il dolore. Lo capiva ogni
sera, quando, come una litania, ripetevano i nomi delle vittime e dei caduti,
dei defunti, dei cari che avevano perso, degli amici scomparsi mai trovati.
Erano cambiati.
Eppure, erano sempre
loro.
Draco li guardava con una punta di invidia, quando, stretti
intorno al fuoco come un saldo anello indistruttibile, si facevano forza con un
semplice sguardo o un sorriso di nascosto.
E la risata di Hermione tintinnava limpida al di sopra delle altre, la sua
voce risuonava più alta di quella dei suoi compagni e, in qualche modo, il suo
viso era illuminato dalle fiamme in modo diverso, come se quella luce fosse
riservata a lei soltanto.
E lui, in disparte, la
guardava con un desiderio che gli corrodeva lo stomaco e che lo faceva sentire
prigioniero più di quanto non fosse.
Lo avevano liberato da
catene o carceri, non era rinchiuso in segrete né costretto da corde, eppure,
mai come allora Draco si era sentito recluso,
soffocato da quella sensazione che si acuiva ogni volta che uno sguardo castano
cadeva su di lui quasi per sbaglio. Averla accanto era una maledizione peggiore
di qualsiasi morte.
« Tu non vieni? »
Draco sussultò, preso alla sprovvista da quella voce che non si
aspettava di udire. I suoi occhi, primi fissi su Hermione,
seduta a moltissimi metri di distanza, si spostarono su quella figura
allampanata che sbucava dall’ombra, illuminata solo a intermittenza dalle
fiamme del grande falò che avevano acceso al centro dell’accampamento.
« No »
Il ragazzo non poté
fare a meno di notare che le mani di Paciock erano
sporche di terra, le unghie incrostate di polvere umida e fango e il viso
stranamente paonazzo.
Neville intercettò il
suo sguardo. Chinò il capo ed emise un sospiro amaro, prima di parlare,
mostrandogli le mani quasi come fossero un trofeo insanguinato.
« Si chiamava Micheal Corner. Era un nostro compagno di scuola, un Corvonero » disse piano, con voce atona e monocorde. « È
stato colpito da una Maledizione, non so chi sia stato, non sono riuscito a
vederlo » Il timbro divenne più asciutto, calò di un’ottava e vibrò, per poi
tornare di nuovo fermo, irremovibile in quella freddezza fallace.
Draco lo guardò con le sopracciglia corrugate.
« Ti aspetti che dica
che mi dispiace? » sibilò, gli occhi ridotti a due punte di spillo lucenti
nella semioscurità.
La luce della luna
illuminava solo metà del viso di Draco, ma Neville
riuscì comunque a intravedere il puro disgusto che gli arricciava le labbra.
« Ci sono voluti
ottantatré colpi di pala per scavare la sua tomba » disse lui, come se l’altro
non avesse mai parlato. Il biondo sbuffò. I suoi occhi si posarono sul lago,
che luccicava quietamente, quasi la sua superficie fosse accesa da centinaia di
piccoli diamanti. Tacque, con l’indifferenza della viltà e il distacco dei
vincitori.
Poi fu il turno di
Neville di sospirare.
« Vieni vicino al
fuoco. Fa freddo qui » disse soltanto, prima di allontanarsi con passi misurati
e precisi, senza più attendere una risposta. Draco
dovette fare un enorme sforzo per non guardarlo andar via. Solo quando si fu
allontanato strinse con forza i pugni.
***
Hermione si avvicinò cauta, il corpo esile avvolto da un maglione
sformato che era stato il regalo di Natale di Molly, in un tempo in cui il
Natale esisteva ancora e permetteva persino lo scambio di doni. Le braccia
strette intorno a sé nel tentativo di trovare in quel piccolo gesto un calore
che difendesse anche dalla paura, si affacciò per cercare di spiare il volto
del giovane, impegnato in gesti che lei riconosceva solo perché si era sempre
applicata in quel tipo di magie.
« Stai cercando di lasciarti morire
di fame? » esordì con un sorriso incerto ma amichevole sul volto.
Gli occhi di Draco
erano immobili, fissi sulle acque ormai ghiacciate di quel lago che era
diventato il suo rifugio. La sua espressione si indurì quando la vide arrivare
e i suoi gesti divennero meccanici, ma lui tacque ostinatamente.
« Molly mi ha detto che non hai
toccato cibo da quando sei qui » continuò la ragazza. Si era fermata a pochi
metri da lui, e lo fissava dall’alto, stretta nel suo grande maglione color
melanzana. Nonostante i suoi vestiti fossero molto più larghi, Draco riusciva a immaginare senza alcuno sforzo ogni forma
del suo corpo. « Tieni » Hermione si sporse verso di
lui, tirando fuori da chissà quale piega del suo maglione due grosse mele
verdi. Lo stomaco del ragazzo mugolò, ma lui cercò di ignorare quella
sensazione fastidiosa. I suoi occhi si piantarono dritti in quelli della
giovane strega all’improvviso, con forza.
« Non cercare di fare la gentile
con me, Granger » ringhiò ostile, arricciando le
labbra come una belva che mostra i denti per difendersi dal predatore che ha
dinnanzi. Hermione roteò gli occhi e sospirò.
« Non c’è di che, Malfoy » Il suo tono era fortemente impregnato di
sarcasmo.« Perché devi essere sempre
così insopportabile? » Hermione si chinò leggermente
e poggiò le due mele che gli aveva appena porto accanto a lui, ai piedi
dell’albero. Draco la osservò con la coda
dell’occhio, e non poté fare a meno di respirare profondamente nel tentativo di
trattenere dentro di sé pensieri e bisogni: le mani piccole di Hermione, il profilo dritto di Hermione,
le labbra rosee di Hermione, Hermione,
che era una tentazione sufficiente senza che lei gli fosse accanto.
« E tu perché cerchi di piacere
sempre a tutti? » ribatté lui caustico, inchiodandola con lo sguardo. Lei
rimase immobile, la testa voltata verso di lui e il corpo ancora piegato, a
guardarlo ora con una punta di ostilità dietro quel tentativo di tregua ormai
chiaramente fallito. Non poteva comprendere quanto rancore, quanta amarezza,
quanto dolore ci fosse dietro quell’affermazione che, più che un insulto, era
una constatazione, la dichiarazione di quella gelosia acuta e colpevole che lui
avrebbe dovuto a tutti i costi sopprimere. Draco lo
capì immediatamente e si morse la lingua, ma troppo tardi, mentre lei alzava il
mento con fierezza, come a volersi difendere con quello sguardo determinato che
forse faceva più male di tutto.
« Che ti piaccia o no rimarrai qua
per molto tempo. Credo che sia ora che cominci ad abituarti » disse Hermione con freddezza, facendo un passo indietro.
« A cosa? » sibilò il ragazzo con
espressione ostile e minacciosa.
« A socializzare. A collaborare.
Tutti devono fare la loro parte qui » Anche il viso della giovane strega, ora,
era una maschera di distacco, ma dietro il velo opaco di uno sguardo
indifferente v’era una traccia di dispiacere che lo sorprese. Sembrava ferita
dalla sua reazione, in qualche modo. Forse sperava davvero in qualcosa – cosa, Draco se lo sarebbe chiesto per sempre.
« Sono un prigioniero, Granger » le ricordò con pungente sarcasmo.
« Sì » Hermione
annuì duramente « Un prigioniero, non un ospite » precisò piccata. Poi, senza
attendere una replica, puntò la bacchetta contro il suolo: dalla punta della
sua arma strisciarono fuori piccole lingue di fuoco violetto che si raccolsero
ai piedi del ragazzo, sprigionando un piacevole tepore. Mentre gli voltava le
spalle, Draco ebbe la sensazione che la sua
condizione fosse cambiata solamente nell’ultimo secondo.
Hermione
trasse un respiro profondo, gli occhi chiusi e una lacrima a disegnarle il
profilo della gota arrossata. Il riposo era un eccesso che non si poteva
concedere ma in quel momento, mentre premeva con forza la mano sul lato destro
del torace, ne sentiva il bisogno. Abbassò il capo e osò lanciare un’occhiata
alla ferita pulsante, per constatarne la gravità: una grossa trave di ferro
sbucava, come un macabro bruco da una mela, dal fiore scarlatto che era la sua
pelle. Un rantolo di dolore e paura le sfuggì dalle labbra, mentre un’altra
lacrima si univa alle altre.
La giovane strega abbandonò la testa contro il tronco
dell’albero accanto al quale si era accasciata, ormai priva di forze. La mano
destra era ancora stretta intorno alla bacchetta; la sinistra, poggiata
malamente sulla ferita nel tentativo di fermare l’emorragia nonostante
l’acuminato arnese, tremava bruscamente.
Hermione
trasse un respiro profondo, e poi un altro: ormai era una prassi quotidiana,
non un lavoro di cervello, tentare di trovare in se stessi un equilibrio capace
di difendere dal dolore e dalla paura.
Intorno a sé udì gli schiocchi delle Materializzazioni dei
suoi amici. Li contò mentalmente, nella speranza di contarne tredici – in
tredici erano partiti, in tredici dovevano tornare – e nel tentativo di
rimanere lucida e cosciente.
Uno. Due. Cinque. Nove. Dieci. Undici. Dodici. A ogni
schiocco un respiro, di sollievo, di bisogno. Dodici.
Un minuto, due minuti, cinque minuti, dieci minuti. Ancora
dodici. Poi, il tredicesimo. Hermione sorrise e si
concesse il suo meritato riposo. Mentre chiudeva gli occhi, le sembrò di vedere
due lampi grigi in quel doloroso sollievo che era abbandonarsi al sonno.
***
Quando Hermione aprì gli occhi, la
prima percezione che avvertì fu la mancanza alla mano destra, troppo vuota.
Scattò a sedere con gli occhi spalancati dal terrore, perchè
non era più abituata a trovarsi sprovvista di bacchetta. Senza arma e difesa si
sentiva vulnerabile. La spezzò il dolore che provò all’altezza del torace, e fu
costretta a stendersi di nuovo, un gemito a sfuggirle dalle labbra.
« Va tutto bene, Hermione » Gli
occhi enormi di Luna sembravano due fari nella semioscurità della tenda, due
luci di speranza, di salvezza.
« Ginny? » Hermione
aveva la bocca asciutta, la gola secca e la voce le tremava. Chiuse gli occhi,
nella speranza che almeno quella sensazione di vorticare incessante si
spegnesse.
« Sta bene » rispose con pacatezza Luna.
« Neville? » chiese ancora la ragazza. L’amica esitò un
attimo di troppo, ed Hermione si ritrovò con gli
occhi spalancati dal terrore su di lei.
« È già ripartito » la bionda tentò di nascondere l’amarezza
e il disappunto dietro un sorriso di rassicurazione. « Vado a chiamare Abigail, mi ha detto di avvertirla non appena ti fossi
svegliata. Non fare sforzi »
Hermione
chiuse gli occhi e rimase stesa, immobile. Al di là delle palpebre, intuì la
luce della torcia che si affievoliva e quella, molto più forte, del sole, che
penetrava per un istante e poi si estingueva. I rumori dell’esterno giungevano
attutiti: passi, voci, cinguetti e fruscii, era tutto ovattato dal rassicurante
tepore della tenda. Il dolore, però, niente poteva spegnerlo: era un tamburo
atroce e insopportabile.
« Sei sveglia? » Un sussurro lieve, preoccupato e incerto.
« Ginny? » La voce di Hermione tremò, di paura e sollievo, dolore e piacere. Con
gli occhi chiusi, allungò una mano, nel buio, e quando l’amica la strinse si
sentì improvvisamente meglio. Una lacrima calda le scivolò lungo la tempia.
« Stai bene? » pigolò la piccola Weasley,
preoccupata. La giovane strega dovette appellarsi a tutta la forza che aveva in
corpo per rispondere. “Fa male”, avrebbe voluto dire, “fa un male terribile”;
invece ingoiò le lamentele e la sofferenza e annuì, perché sapeva che la voce
l’avrebbe tradita.
« Avevi un polmone bucato. Quando Malfoy
ti ha portata qui respiravi appena, Abigail ha detto
che avevi le pleure allagate dal sangue, stavi affogando nel tuo sangue,
eravamo così preoccupati, noi non riuscivamo a trovarti… » Ginny
esplose in un pianto disperato. Mentre le parole le sfuggivano dalle labbra
come una raffica di proiettili vaganti – parole incerte e vacillanti, voce
tremante e timbro sfumato di terrore e panico e paura – Hermione
riuscì a percepire solo una cosa, in quel discorso, nota stonata e nome fuori
luogo. Allora aprì le palpebre, ma prima di poter chiedere l’immagine che le
entrò negli occhi le gelò il sangue nelle vene e congelò ogni parola sulla
punta della lingua.
« Che è successo? »
« … non hai idea di quanto ci ha messo, ore a medicarti… come?
» Ginny sembrò accorgersi solo in quel momento dello
sguardo dell’amica fisso su di lei. Abbassò gli occhi su Hermione
solo per un istante, giusto il tempo di rendersi conto che la stava osservando
con occhi colmi di terrore e dispiacere e compassione e pena, poi le strinse la
mano e si concentrò su un particolare del tutto privo di importanza – la benda
di Hermione, le lenzuola, una venatura del legno,
qualsiasi cosa pur di non specchiarsi nella verità incontrovertibile di quello
che era successo.
Hermione avrebbe
dovuto capirlo dalla sua voce, che c’era qualcosa che non andava – quella voce
così insicura e traballante non poteva appartenere a Ginevra Weasley – ma il dolore l’aveva distratta. L’avrebbe dovuto
capire dalle sue lacrime – perché Ginny non aveva mai
pianto, in due anni di guerra. Mai.
« Abigail mi ha detto di darti
questo » Ginny slacciò la presa dalla mano dell’amica
e si sporse per prendere una tazza, colma di un liquido maleodorante. « È un
po’ occupata, adesso, Neville è appena tornato con la sua squadra e Adam ha
qualcosa che non va, non si capisce bene… »
« Ginny, che cosa ti è successo? »
Il ciarlare della ragazza non era una distrazione sufficiente; forse, era solo
un’ulteriore conferma, rafforzativo necessario a porle di nuovo quella domanda.
« Non lo so, Hermione » La giovane
emise un sospiro stanco, rassegnato. « Non mi ricordo. Ricordo solo qualcosa
che mi colpiva in faccia, non ho visto cos’era. Non so se era un incantesimo o
qualcos’altro. Mi ha riportata Fred. O George » Un lieve sorriso, amaro quanto
la sua voce, che si spezzò piano, con la dolcezza di uno sguardo orbo, a metà.
« Non ho ancora avuto il coraggio di guardarmi allo specchio » sussurrò piano,
e finalmente guardò Hermione, ma senza vederla
davvero, perché non poteva più farlo, non completamente, guardava Hermione ma con un occhio solo e senza guardarla negli
occhi, perché le pupille di Hermione erano specchi e
lei, specchi, non ne voleva vedere, non ancora, perché gli unici specchi che
avrebbe voluto erano verdi, ma quegli specchi erano lontani, persi « E se… » un
singhiozzo, il terrore a spezzare ogni singola cellula del suo essere « Io non…
» La voce che perde colpi, tossisce e si ferma come un treno sfinito, esausto.
« E se… » Perché non riusciva a dirlo, a pronunciare il suo nome o forse la sua
paura.
Allora Hermione la prese per mano.
« A Harry non importa. Non gli importerà, lo sai. Sei
bellissima, Ginny, lo sei sempre stata… » La presa
calda non era rassicurazione sufficiente, per lei.
« Non sai mentire, Hermione » Era
dura, adesso, la voce di Ginny, e ferma. L’unico
occhio che lei poteva vedere era implacabile e rabbioso, duro e diretto com’era
sempre stata lei – lei, che però non era più lei. Era bellissima, Ginny, ora non lo era più. Una cicatrice le deturpava irrimediabilmente
il viso, tagliandole a metà l’occhio destro. La pupilla lattiginosa in
quell’orbita turgida e sfregiata era stata il prezzo che aveva dovuto pagare
per il suo amore – nel tentativo di tacere e aiutare.
Era bellissima, Ginny, ma ora non lo
era più, ed Hermione non riusciva a non pensare che
quella fosse una crudeltà forse peggiore della morte, perché non se lo
meritava, perché la sua bellezza doveva rimanere intatta, perché forse sarebbe
stato meglio se fosse successo a lei, che tanto non era dotata di un grande
fascino.
« Abigail non ha potuto fare
niente? » domandò piano Hermione, ingoiando un
boccone amaro.
« È magia nera, e lei è troppo inesperta. Non ha saputo fare
di meglio. La scheggia mi stava trafiggendo il cervello, è riuscita appena ad
estrarla » Ginny chinò il capo, incapace di guardare
il viso dell’amica, adesso. « Meglio cieca che morta, comunque » aggiunse
asciutta, con un filo di voce, come se non ci credesse più di tanto.
« Mi dispiace » La voce di Hermione
si spezzò. Un’altra lacrima, più dolorosa delle precedenti, in modo implacabile
e inevitabile.
« Non è colpa tua » mormorò Ginny.
Il suo tono era duro, ma sincero. Eppure, Hermione
non poté fare a meno di pensare che non era vero. Aveva organizzato lei le
squadre; lei aveva chiesto all’amica di affiancarla, per paura, perché le
mancava la sicurezza se non aveva un’amica accanto – perché morire dentro gli
occhi di Ginny sarebbe stato meglio che morire da
sola. Era colpa sua perché era stata vigliacca, ed era stata vigliacca perché
era più egoista che leale. Perché non era una vera Grifondoro.
« Bevi questa » disse l’amica dopo qualche minuto di
silenzio. La sua affermazione aveva qualcosa di definitivo, perciò Hermione non aggiunse nient’altro: ci sarebbe stato tempo,
per parlarne, per superare anche quel dolore.
Ma ci sarebbe
stato davvero?
Non poté fare a meno di domandarselo, mentre con una smorfia
di disgusto mandava giù quell’intruglio, e un calore piacevole le intorpidiva
le membra.
Passò del tempo vuoto, durante il quale Hermione
cercò di dominare il desiderio di abbandonarsi al sonno e alla sofferenza, e Ginny la guardava impensierita, chiusa in pensieri che
erano solo suoi.
« Luna mi ha detto che Neville è ripartito » disse la maggiore
dopo un po’, nel tentativo di non addormentarsi di nuovo, di spazzare via la
colpevolezza e il dolore.
« È tornato pochi minuti fa. I Mangiamorte
avevano rinchiuso alcuni maghi e Babbani dentro un
casolare, nell’Essex, e si stavano divertendo » Ginny strinse i denti per dominare il senso di nausea che
l’idea le provocava. La rabbia stillava da ogni parola. « Li hanno salvati
quasi tutti, ma alcuni hanno preferito nascondersi altrove. Meglio per noi,
meno bocche da sfamare » La durezza di quell’affermazione era così tanto in
contrasto con la dolcezza dei lineamenti di Ginny,
che Hermione non poté fare a meno di aprire gli occhi
per assicurarsi che fosse ancora lei a parlare. La vista di quella cicatrice,
però, la convinse a richiuderli di nuovo, prima che un conato di vomito le
risalisse su per l’esofago. Il senso di colpa per non averla aiutata, salvata,
per non essersi trovata lì al momento giusto, si mescolò all’acuto dispiacere
per l’amica, che avrebbe dovuto sopportare, oltre alla guerra, anche quella
battaglia psicologica per accettare se stessa nonostante quella cicatrice
deturpante che lei, al momento, nemmeno riusciva a guardare. Era Ginny, che parlava, ma non era più lei.
« Che ha Adam? » domandò, cercando di appellarsi a frammenti
di ricordi, alla poca lucidità che le era rimasta addosso.
« Non lo so. Neville dice che è stato colpito da un Imperius, ma qualcosa deve essere andato storto. È convinto
di avere cinque anni, continua a ripetere di non voler aspettare Babbo Natale
per mangiare le uova di cioccolato » L’evidente confusione sul viso di Ginny strappò a Hermione una
risata di puro divertimento. Non doveva essere divertente, non doveva ridere;
non poteva permettersi di prendersi gioco del malore di uno dei suoi compagni,
ma quella smorfia perplessa sul viso dell’amica era quanto di più simile al
passato avesse in quel momento, e il ricordo del Natale, della Pasqua, il
pensiero che, nonostante tutto quello che stava succedendo là fuori, quelle
verità esistessero anche dentro la testa di qualcun altro, nel passato di
qualcun altro, la faceva sentire meglio.
Anche se Ginny non aveva idea di
cosa fossero Babbo Natale e le uova di cioccolato, anche se inizialmente sembrò
preoccupata da quella risata fuori luogo che pareva l’inizio di una precoce e
preoccupante pazzia, non potè fare a meno di ridere
anche lei. Ricordando, così, che c’era ancora qualcosa per cui ne valeva la
pena.
***
Era una mattina pacifica, come non ne esistevano da troppo
tempo. Il cielo, una placca d’argento sopra un deserto brullo, emanava i
bagliori bianchi di un inverno senza clemenza. Un fruscio leggiadro viaggiava
tra le fronde degli alberi; qualche foglia ocra si staccava dai lunghi rami
ombrosi, volteggiava per qualche istante nell’aria e poi si posava sulla
superficie ghiacciata del laghetto. Il lontano gracchiare di un corvo
stemperava quell’atmosfera quieta.
L’aria era pulita, ma Hermione non
riuscì a respirare a pieni polmoni, perché, nonostante le cure di Abigail, la Medimaga
dell’accampamento, il dolore era ancora vivido e pulsante. Mentre si sedeva
sulla riva del lago, accanto al biondo che ormai era una presenza fissa, si
sentì stranamente serena. Non lo guardò negli occhi, presa com’era a fissare
quel cielo terso, privo di pinnacoli di fumo o simboli di morte. Si chinò
lentamente, emettendo un unico gemito soffocato, perché alcuni movimenti le
provocavano ancora una certa sofferenza, poi, sempre con lo sguardo puntato
verso la volta celeste, parlò.
« E così, ti devo la vita per la terza volta » Un lieve
sorriso le arcuò le labbra. Con la coda dell’occhio, vide l’espressione
immobile del ragazzo accanto a lui. Sembrava indifferente, disinteressato a
quello che gli succedeva intorno e assolutamenteinsensibile alla sua presenza. Non poteva
sapere quanto amore stesse bruciando dentro di lui, in quel momento, né quanto
quella piccola vicinanza lo facesse fremere, bravo com’era a nascondere le sue
emozioni. « Attento, Malfoy. Sta diventando un vizio.
La gente potrebbe anche pensare che sei dei buoni » continuò lei,
sdrammatizzando con una risata cristallina che, però, le strappò una smorfia di
sofferenza.
« Che vuoi? » sputò scontroso, scoccandogli un’occhiata priva
di gentilezza. Hermione si voltò verso di lui e
incrociò mitemente il suo sguardo.
« Niente. Sono venuta a ringraziarti » rispose con
semplicità. Lui la guardò con una vaga incredulità, smorzata dalla smorfia
beffarda sul volto: le sue labbra si arricciarono in un sorriso di compiacenza
che fu solo l’ombra di un momento.
« Non l’ho fatto per te » disse asciutto. Tentare di negare
sarebbe stato stupido, era certo che i suoi amici le avessero raccontato che
era stato lui a trovarla. Quello che non le avevano detto – quello che non
potevano sapere – era quanto tempo avesse perso a guardarla. Quando si era
Materializzata lì, sulle rive di quel lago che era diventato il suo rifugio e
la sua fuga, si era sentito ferito e offeso, invaso nel suo territorio. Poi
aveva capito che era lei, e il fastidio si era trasformato in speranza, e poi
in panico. Questo non gli aveva impedito, però, di rimanere per interminabili
minuti ad osservarla.
Hermione era
bellissima.
Draco non aveva mai
avuto la possibilità di vederla così da vicino, né aveva mai nemmeno osato
sperare sfiorarla. Ora che ne aveva l’occasione, era certo che la morte non
gliel’avrebbe portata via: sarebbe stato troppo crudele. Così le aveva sfiorato
la pelle, percorso gli zigomi, accarezzato le palpebre. Quando i suoi
polpastrelli erano passati sopra le sue labbra, era stato il momento in cui il
fremito si era trasformato in urgenza. Sentirsi il suo corpo addosso sarebbe
stato tanto doloroso che, ne era certo, si sarebbe pentito di non averla
lasciata morire lì; perciò aveva chiamato qualcuno, gli aveva detto con timbro
monocorde dove si trovava e poi l’aveva guardata mentre andava via – via da
lui, com’era giusto, com’era sempre stato.
« E per cosa, allora? » domandò Hermione
strappandolo ai suoi pensieri – ai suoi ricordi, una fitta di dolore e un
conato di vomito ogni volta che ci rifletteva. Lui scostò lo sguardo, nascose i
suoi occhi alla vista indagatoria e impaziente della ragazza, ma non impiegò
molto a rispondere.
Si trattava semplicemente di decidere: dire la verità o
continuare a mentire. Se la seconda opzione avrebbe potuto, forse, donargli la
pace, la prima era senz’altro la via più facile da seguire.
« Voglio quanto te che la guerra finisca »
Hermione
corrugò la fronte, confusa da quella risposta. Stava per aprire la bocca,
quando lui parlò di nuovo. « Lui dov’è? » chiese, inchiodandola con uno sguardo
implacabile che sembrava frugare in ogni angolo della sua mente.
« Chi? » domandò la giovane, pur non avendo bisogno di
conferme.
« Potter » Quel nome, sulle sue labbra, aveva un suono aspro,
un sapore amaro. Hermione tacque. Le labbra di Draco si arcuarono in un sorriso di strafottente
compiacenza. « Chissà che reazione avrà quando vedrà la sua amichetta. Ora sì
che sono anime gemelle: entrambi orrendamente sfregiat-
»
Il lampo che lo colpì in pieno petto lo lasciò senza fiato
per diversi minuti. Quando alzò lo sguardo su Hermione,
la cui bacchetta esalava un sottile filo di fumo, lei era in piedi,
un’espressione furente nello sguardo ferito. Nei suoi occhi era riflessa una
luce di disgusto pura, accesa da un dolore che non le apparteneva, da una
rabbia che le accendeva il viso di un rossore stranamente attraente.
« Perché? » sibilò lei, senza fiato. « Perché lo fai? Perché
devi per forza farti odiare? » La sua voce si alzò fino a diventare un urlo
disperato, un appello che lui percepì con un fremito mascherato da sospiro.
Non rispose. Non chinò lo sguardo, perché non riusciva a
staccare gli occhi di dosso da lei, così bella nella sua indomita fierezza di
amica protettiva e leale; non chinò il capo perché non voleva essere vinto da
lei ancora una volta, perché non voleva mostrarsi debole, o pentito, o colpito,
o ferito. Anche se tutto di lei lo rendeva debole, o pentito, o colpito, o
ferito.
La seguì con gli occhi, mentre lei si allontanava con una
lacrima incastrata tra le ciglia e una strana sensazione a premere nel petto;
la guardò andare via ancora una volta, stavolta per sempre, e si sentì uno
stupido. Uno stupido con l’orgoglio intatto, ma pur sempre uno stupido.
Incrociò solo per un istante lo sguardo confuso e infuriato
di Paciock, ma lo fuggì per timore di domande a cui
non avrebbe saputo rispondere. Ignorò, invece, le occhiate furiose degli altri,
semplicemente perché non gli importava nulla di loro.
Le parole di Hermione
riecheggiavano nella sua testa con un’eco difficile a morire, tamburi di guerra
trasportati dalla frustrazione.
Perché devi per
forza farti odiare?
“Perché non posso farmi amare, Hermione”.
***
Ha occhi voraci, Draco, e sorrisi
enigmatici e appena accennati.
Hermione aveva
imparato a osservarlo, a volte persino a studiarlo, per cercare di
comprenderlo, nel tentativo – vano – di diradare il mistero dei suoi
comportamenti e delle sue parole.
Alcuni volevano lasciarlo andare, perché non sopportavano più
di vederlo lì, con loro, a occupare un posto che non gli spettava, a sprecare
cibo che non si guadagnava. La maggior parte non volevano quelMalfoy vicino.
Neville, con un sorriso sicuro di sé, affermava che quello
non era più lo stesso Malfoy di prima.
Fred e George rispondevano che non sarebbe bastato un mese di
prigionia a cambiarlo, perché quella non si poteva definire esattamente una
prigionia.
Ginny spingeva per
interrogarlo – perché voleva per sé il piacere di torturarlo, così da pagare
vecchi debiti e saldare nuove vendette.
Hermione lo
guardava e non sapeva cosa pensare.
Qualche volta pensava che, prima o poi, sarebbe riuscita a
sopportarlo, forse persino a instaurare un rapporto civile con lui – magari,
sarebbe anche successo, un giorno, che avrebbero riso insieme, che sarebbero
diventati qualcosa di simile a degli amici. Ogni tanto ci pensava. Accarezzava
l’idea con un sorriso, e le veniva da ridere a quella buffa idea. Sarebbe stato
strano, ma aveva imparato che di normale, nella sua vita, non c’era più niente.
Draco era scostante
come il tempo e lontano come la fine della guerra. Il suo ostinato mutismo era
certo preferibile ai suoi insulti sprezzanti, ma Hermione
non poteva fare a meno di pensare che la sua superbia nascondesse in realtà più
di quanto lui stesso fosse disposto ad ammettere. Cicatrici che nascondeva con
la stessa cura con cui si impegnava ad apparire forte.
Qualche volta pensava che lui fosse simile a lei. L’idea le
balenava nella mente all’improvviso, poi la scacciava con la vergogna dei
pensieri scomodi. Eppure, non poteva fare a meno di riflettere che, in fondo,
la sua altezzosa indifferenza, quell’armatura di offese e rabbia che si era
costruito intorno, era fin troppo simile allo schermarsi di Hermione
dietro libri e saggezza acquisita. Modi diversi di difendersi e nascondersi,
certo, ma pur sempre tentativi di celare l’essenza sotto forme diverse e più
accettabili. Espedienti che servivano solo ad accettare le cicatrici di cui la
loro anima era costellata.
Draco aveva smesso di
pensare, invece. Le sue giornate scivolavano via, come parole di una liturgia
antica, scompigliate dall’immaginazione e riordinate dal fedele compasso di una
quotidianità conquistata a fatica. Riposavano immobili su se stessi, i giorni,
esattamente in bilico tra ricordi e sogni.
« Continuerai a rimanere isolato ancora per molto? »
Ogni tanto ci provava, la Granger,
a capirlo, a comprendere la natura dei suoi gesti e il mistero dei suoi occhi
sempre fissi su di lei. Lui non faceva altro che arroccarsi dentro la sua
brutale arroganza.
« Lasciami stare, Granger » Era la
risposta che gli piaceva di più, tanto vera quanto menzognera. La guardava
negli occhi, con quella
voce sommessa e dura, una minaccia latente sepolta a fatica sotto una
superficie di autocontrollo che svaporava ogni volta che lei gli voltava le
spalle. Perché solo quando lei non guardava poteva concedersi l’eccesso di una
frustrazione sempre nascosta, negata persino a se stesso. Solo quando lei non
guardava, lui poteva guardarsi dentro, scoprendo ogni giorno una cicatrice
diversa e più profondo, incisa nel suo cuore.
***
Neville non si era mai sentito così stanco, ma non voleva
comunque concedersi il vizio del riposo. Mentre le ultime luci di un giorno da
dimenticare sfioravano pigramente la superficie ghiacciata del lago, lui e Luna
trasportavano, con una certa fatica, due grossi sacchi neri verso il centro
dell’accampamento.
La bionda accanto a lui sbuffò per lo sforzo. Si fermò solo
per raccogliere i capelli sulla spalla destra, giusto il tempo di guardarsi
intorno.
« Può aiutarci lui » disse con tono pacato e vagamente
soddisfatto, come se avesse appena scoperto uno dei suoi preziosi e strani
mostriciattoli. Con l’indice piccolo e affusolato indicò una sagoma scura,
accucciata ai piedi di un grosso albero. Neville, le dita appese a un grosso
sacco nero che cercava di trascinare senza troppo successo, lo fissò come se
fosse stato l’ultima persona al mondo a cui avrebbe voluto chiedere un favore,
ma la ragazza gli risparmiò lo sgradevole compito di domandargli aiuto.
« Ciao, Malfoy, ti dispiacerebbe
darci una mano? » domandò Luna con gentilezza, senza mezzi termini né giri di
parole.
Il ragazzo si limitò a scuotere le spalle, senza degnarsi di
voltarsi verso di lei per darle una risposta diretta.
« Questi sacchi sono un po’ pesanti » insistette allora la
giovane, gli occhi chiari puntati su di lui.
« Usa la magia » bofonchiò Draco,
le braccia conserte e lo sguardo ostinatamente fisso sul lago dinnanzi a sé,
come se non ritenesse Luna Lovegood una persona degna
della sua attenzione.
« Cerchiamo di limitarla al minimo per preservare lo Statuto
di Segretezza » intervenne Neville, con un’evidente nota di fastidio nella
voce. Si avvicinò ai due quel tanto che bastava per sfiorare la mano di Luna e
tirarla verso di sé, in silenzio, perché era chiaro che Malfoy
non li avrebbe mai aiutati, e lo infastidiva quell’atteggiamento borioso e
arrogante, specie se rivolto alla sua ragazza.
Draco emise una risata
bassa e monocorde, poi con sguardo beffardo e derisorio piantò i suoi occhi
chiari dritti in quelli di Luna.
« Siamo tutti maghi, qui » disse, un ghigno divertito sul
viso pallido e affilato.
« Non tutti » Neville strinse gli occhi e sussurrò tra i
denti quella rivelazione. Poi, con una certa, malcelata soddisfazione osservò
la sorpresa dipingersi sul volto di Malfoy con
pennellate scure e precise.
« Perché credi che ci sia un pozzo, qui? A parte per
difenderci dai Gervoni Maculati, intendo » aggiunse
Luna con semplicità, stringendosi nelle spalle. Poi, con un sorriso, prese per
mano Neville e si allontanò.
***
Se c’era un momento della giornata che
Hermione poteva permettersi di amare, era la sera,
dopo cena, quando tutti si riunivano davanti al fuoco, e in quelle fiamme
bruciava la consapevolezza di una guerra interminabile, il dolore dei morti, la
colpa di un’impotenza destinata a generare dolore. Era il momento che preferiva
perché dentro il fuoco ogni cosa sembrava fragile, e la speranza di una fine
diventava vera. Era il momento che preferiva perché quando si stringevano tutti
intorno al fuoco, poteva permettersi la pace di un sorriso e il pianto dei vinti.
Forse, era il momento che le piaceva di più anche perché le ricordava le serate
in Sala Comune, in un tempo che sembrava appartenere a un’altra vita.
Fred e George facevano i buffoni come
sempre, strappando un sorriso persino a chi un sorriso sembrava non avercelo
più. Il cicaleccio che accompagnava lo scoppiettio del fuoco, quel vociare a
tratti allegro, a tratti timoroso – come se avessero paura di concedersi alla
pace, di lasciarsi andare alla serenità – rendeva la fine della giornata più
dolce. Al di là del dolore e della paura, c’era un mondo che Hermione poteva ancora amare. Lei lo sapeva, e quei momenti
la aiutavano a ricordare.
Ginny, accanto a lei, guardava le fiamme
senza davvero vederle. La luce scostante delle fiamme rendeva giustizia al suo viso
ingiustamente sfigurato. Come per un bisogno insito e non detto, le sue dita
scivolarono accanto a quelle di Hermione, fino a
stringerle con forza, come a suggellare anche fisicamente il pensiero comune
che le univa – perché se a una il fuoco ricordava la passione, all’altra
rammentava capelli che sentiva il bisogno di toccare.
Quando, dopo molti minuti di silenzio,
Ginny si alzò, lei non sentì il bisogno di
trattenerla. Hermione, però, rimase immobile dov’era,
cullata dal vociare che la circondava e rassicurata dal tepore del fuoco.
«Babbani» Una voce strisciante la fece
sussultare. «
Mi avete portato in un posto pieno di Babbani» Il suo tono era fortemente impregnato
di disprezzo. Quando lei individuò la sua sagoma, discosta dagli altri di modo
che solo lei potesse vederlo, ne fu sorpresa. Nell’oscurità incompleta il
grigio dei suoi occhi era scuro e profondo, eppure una scintilla inquieta li
accendeva.
« Chi te l’ha detto? » domandò a bassa voce Hermione, il tono calmo e gli occhi fissi su di lui.
« Lunatica » rispose Draco,
accentuando l’ironia di quel soprannome con un disgusto fin troppo eccessivo. Lei deglutì, ingoiando la collera leggera che
il suo atteggiamento provocava, poi spostò lo sguardo sulle fiamme, offrendogli
il profilo piccolo e gentile del naso e quello, più promettente, delle labbra
opache.
« Stavate distruggendo tutto » La voce di Hermione
sembrava provenire dai più profondi recessi della sua anima. « Non potevamo permettervi anche
questo. Avevano bisogno di aiuto, di protezione; nient’altro potrebbe salvarli,
non possono difendersi da qualcosa di cui non conoscono nemmeno l’esistenza » C’era una rabbia latente che vibrava
nella sua voce, cupa e diaframmatica, eppure il suo viso sembrava sereno.
Per
tutta risposta, Draco emise una bassa risata
impregnata di sarcasmo.
« Lo sapevo » Il suo ghigno beffardo era visibile
persino nel buio. «
Sapevo che non potevate essere così tanti. Siete solo un pugno di morti di fame
che sperano ancora di poter vincere » Un’altra risata, stavolta più
cattiva. Le sopracciglia di Hermione si corrugarono
appena, ma il suo viso rimase ostinatamente rivolto verso le fiamme, cosicché
lui poteva vederne solo metà. «
Ma non avete idea di quello di cui
sono capaci » Il tono di Malfoy vibrò appena, ma abbastanza perché la ragazza
cogliesse la nota di panico che ne aveva corrotto la voce. L’angolo della bocca
di Hermione si arcuò in un sorriso.
« Appena un mese, Malfoy, e già non
ti senti più parte di loro? » lo provocò, e questa volta piantò entrambi gli
occhi su di lui.
Gli occhi di Hermione.
Draco non avrebbe potuto conoscere condanna peggiore che quello
sguardo puntato su di lui, come un pugnale in pieno petto. Il ringhio roco che
gli sfuggì dalle labbra sembrava il lamento di una bestia ferita, un’eco appena
udibile nella notte.
« Come? » domandò, confuso, gli occhi improvvisamente
incupiti da un velo di perplessità.
« Hai detto sono.
“Quello di cui sono capaci” » recitò lei, con una punta di evidente
soddisfazione nella voce.
« Sai cosa intendevo » ribatté Draco,
nascondendo l’improvviso timore della voce dietro un petto gonfio e una
spavalderia di carta.
« Anche noi abbiamo le nostri armi segrete, Malfoy » Hermione si voltò,
regalandogli un sollievo di cui il ragazzo avrebbe dovuto esserle grato, se non
fosse che sentiva addosso quello sguardo addosso, a frugare in ogni recesso
della sua anima con la prepotenza di un amore scomodo.
Draco stava aprendo la bocca per ribattere, quando la voce di
George risuonò alta e gioconda nell’accampamento.
« Ehi, Hermione, quel tipo ti
importuna? » Entrambi avvertirono i rigidi sguardi dei presenti che si
puntavano su di loro, ma se lei ne era abituata, lui avvertì, fastidioso, il
bisogno di fuggire da quelle centinaia di occhi fissi su di lui.
« Non lo so » rispose lei, un sorriso a fior di labbra che
non riusciva a trattenere. Si voltò verso di lui con uno sguardo limpido, privo
di ogni pregiudizio o ombra, e quando parlò, anche la sua voce era trasparente.
« Mi importuni? »
Draco le regalò un ultimo sguardo ferito, prima di sparire nel
buio.
Un vento freddo agitava le fronde più alte degli alberi, le
cui foglie ormai ingiallite dall’autunno frusciavano e crepitavano al di sotto
di un cielo grigio e minaccioso. Un velo opaco di nuvole navigava leggiadro
sopra l’accampamento dell’Ordine, piangendo una pioggia sottile che trafiggeva
la superficie del lago con piccoli aghi implacabili. Le sponde ghiacciate
cominciavano a sciogliersi al tocco di quelle dita, creando rigagnoli fangosi
sulla riva.
Draco osservava la cortina d’acqua che cadeva fitta dal cielo,
dentro gli occhi pensieri impalpabili. Si riparava sotto i rami ombrosi di
quell’albero che era diventata la sua casa; le mani in tasca e la schiena
mollemente poggiata sull’ampio tronco, sembrava quasi essere parte integrante
della vegetazione.
Hermione impiegò qualche istante ad individuarlo, al di là del velo
di pioggia. Gli si avvicinò lentamente, concedendosi il vizio di un incedere
lento e pacato, sereno, e regalandosi poi un attimo per osservarlo meglio.
I capelli biondissimi gli ricadevano sulla fronte,
stranamente scomposti, e il viso affilato, più pallido del solito, era rivolto
verso il lago, immobile come una statua. I vestiti sgualciti con cui l’avevano
catturato, ormai logori e sporchi in più punti, gli ricadevano mollemente
addosso, accentuando l’asciuttezza del suo corpo.
« Che vuoi? » La sua voce, stranamente pacata
nonostante il distacco gelido con cui aveva parlato, la fece sussultare. Hermione realizzò con qualche istante di ritardo che i suoi
occhi la stavano scrutando.
« Ti ho portato la zuppa » Avrebbe voluto che la sua voce
suonasse ferma e sicura di sé, ma al suo orecchio giunse solo un pigolio. Sperò
che il tuono che aveva appena rimbombato in lontananza attutisse quella
sensazione, ma il sorriso sghembo che si disegnò sul volto dell’altro le fece
capire che non era così.
« Intendo dire che vuoi davvero, Granger» Draco incrociò le
braccia sul petto, gli occhi scintillanti di divertimento.
Hermione emise un sospiro infastidito, mentre poggiava a terra la ciotola
che gli aveva portato, opportunamente incantata perché la pioggia non potesse
intaccarne il contenuto.
« Non lo so, Malfoy.
Dimmelo tu »
Puntò gli occhi scuri su di lui con decisione, lo sguardo determinato di sempre
a brillare oltre la penombra di quel giorno piovoso. « Ieri sera sei venuto a cercarmi, e
non credo che tu l’abbia fatto solo per dirmi che ti infastidiscono i Babbani»
Una
saetta tagliò il cielo a metà, in silenzio. A Hermione
sembrò di vedere un lampo di luce negli occhi del ragazzo, ma si convinse che
era stato solo un gioco d’ombre quando un ghigno fastidioso tagliò il suo volto
bianco. Un tuono esplose in lontananza, compagno in ritardo del fulmine di
prima.
« Cerco di strapparti informazioni, Granger, e tu sei così stupida da non capirlo » disse con voce ricolma di risentimento, quasi sputandole in
faccia quelle parole. L’angolo della bocca di Hermione
si alzò verso l’alto.
« O forse lo stupido sei tu, che non
hai ancora capito che non uscirai da qui fino alla fine della guerra » La sua voce era pacata e serena, nonostante la velata
minaccia insita nelle sue parole.
« O fino a quando sarete tutti morti » precisò Draco
con una pedanteria che non gli apparteneva, uno scintillio divertito e
vagamente malvagio negli occhi grigi. La giovane strega si strinse nelle
spalle. Il suo silenzio era un modo implicito di dargli ragione senza però
regalargli la soddisfazione di farlo davvero.
« Io invece penso che tu ti senta
semplicemente troppo solo »
considerò Hermione, senza dare alcuna particolare
inflessione alla sua affermazione, come se volesse riservare a lui il compito
di interpretare ciò che aveva appena detto. Draco,
per tutta risposta, emise uno sbuffo simile a uno sghignazzo divertito.
La
ragazza sospirò.
« La zuppa puoi mangiarla con noi, se
vuoi. Nessuno ti chiederà di andare via » disse piano, guardandolo con un
dispiacere palpabile a brillare nelle iridi scure. Quello sguardo, per lui, era
qualcosa di molto simile all’inferno. Si sarebbe domandato per sempre il motivo
per cui quegli occhi sembravano così delusi dai suoi silenzi, dalla sua
arroganza; si sarebbe chiesto in ogni momento della sua vita, da quel momento
in poi, cos’era quella ferita che le aveva aperto in fondo all’anima e che
sanguinava da quello sguardo castano. Per sempre sarebbe stato tormentato da
quegli occhi.
E
Draco conosceva un solo modo di difendersi dalla
paura del tormento.
« Ecco cosa me ne faccio della tua
schifosa zuppa »
disse prima di assestare un calcio deciso alla ciotola che Hermione
aveva poggiato a terra. La zuppa, ancora calda, abbeverò l’erba che cresceva ai
piedi dell’albero che offriva loro riparo. Mentre lei abbassava lo sguardo, lui
le piantò due occhi enormi di paura addosso.
La
ragazza rimase immobile a guardare le ultime gocce del lavoro di Molly assorbite
dal terriccio spugnoso. Non gli rivolse nemmeno un ultimo sguardo, prima di
andare via. Né sguardi né parole. E Draco si sentì
improvvisamente colpevole, e capì che avrebbe dovuto fare i conti con quella
nuova sensazione per il resto della sua vita. Capì che quello sguardo mancato
era il suo castigo.
***
Luna gli si avvicinò in
un giorno di sole. Si sedette accanto a lui e cominciò a intrecciare un cestino
di vimini a una vicinanza che Draco riteneva
semplicemente scandalosa, ma che, era evidente, metteva la ragazza a proprio
agio. Rimase in silenzio a lungo, impegnata nel suo preciso compito. Dal suo
collo ciondolava una strana collana composta da quelle che somigliavano
pericolosamente a cipolle. Puzzavano, anche, come cipolle.
Draco storse il naso e strisciò lentamente lontano da lei,
lanciandole occhiate cariche di disgusto che lei non sembrava vedere.
« Neville mi ha
baciato, qualche mese fa » esordì dopo diversi minuti di silenzio. Quando parlò
aveva il timbro acceso da qualcosa di incomprensibile, una sfumatura di
leggiadria intrisa da una nota di naturalezza che rendeva la sua voce soave, e
dolce.
« Cosa vuoi che me ne
importi? » Draco non riuscì a tacere quel pensiero,
perché l’affermazione di Lunatica era tanto inopportuna quanto assurda.
« Desiderava farlo da
tanto tempo. O almeno, così mi ha detto » La ragazza gli rivolse un sorriso
tenue e delicato quanto la tinta bionda dei suoi capelli sporchi, ben diversa
da quella di lui, così arrogante nel suo splendore. Draco
sbuffò, domandandosi il motivo per cui il destino si stesse accanendo così
tanto contro di lui.
« E allora?! » Inarcò
le sopracciglia e allargò le braccia, incapace di cogliere la destinazione
finale di quel discorso per lui privo di ogni logica.
« Penso che tutti, prima
della fine, debbano trovare il coraggio di fare ciò che desiderano. Di baciare
la persona che amano » Gli occhi di Luna erano enormi, tanto sporgenti che
sembravano entrargli dentro l’anima e sondarne ogni angolo. La semplicità della
sua voce era così tanto in contrasto con il contenuto delle sue parole, che la
pura meraviglia di Draco si trasformò in stupore,
senza avere il tempo di mutare in rabbia.
***
Il silenzio della tenda
era rotto solo dal respiro quieto e controllato di Neville. Una leggera brezza
trapelava dall’entrata tramite un lembo aperto che lasciava filtrare anche una
parziale luce. L’odore tenue e appetitoso del coniglio arrosto di quella sera
gli stuzzicò i sensi al punto che il suo stomaco rispose con un leggero
brontolio.
« Credevo che avessimo un patto » La voce di Draco era strisciante e fredda, un basso sibilo monocorde
che recava con sé lo strascico ingombrante di una minaccia. Spezzò la quiete
apparente della tenda in modo tanto inaspettato che l’altro non poté fare a
meno di sussultare lievemente, perché non l’aveva sentito arrivare.
Neville, chino su una
mappa che si affrettò a nascondere con un rapido movimento di polso, si voltò a
guardarlo lentamente. Stranamente, non c’era sorpresa, nel suo sguardo, quando
incrociò l’occhiata severa del biondo, penetrato nella sua tenda di nascosto,
in silenzio.
« Sai, potrei anche
ucciderti nel sonno. Potrei uccidervi tutti » Gli occhi grigi scintillanti come
diamanti, e altrettanto duri, erano due stelle scure nella penombra
dell’abitacolo; il suo corpo, teso e rigido, sembrava pronto a scattare da un
momento all’altro. Draco sembrava una bestia ferita
in procinto di attaccare, eppure, Neville non aveva paura.
« Non capisco, Malfoy » esalò in un sospiro, con una calma che innervosì
il biondo.
« Non devi capirmi, Paciock » ringhiò l’altro in un cupo tentativo di difesa
che culminò con uno sbuffo impaziente. Draco strinse
il pugno, che tuttavia rimase inerte lungo il braccio.
Neville lo guardò
dritto negli occhi con espressione limpida, ma incerta.
« Se la ami così tanto »
cominciò il ragazzo, un passo verso di lui con lo sguardo fisso sul suo volto,
all’erta ma disposto al dialogo. « perché non… » Draco
ruggì un gemito di dolore e gli impose di tacere con uno sguardo infuocato di
orribili minacce, ma l’altro non colse la sua provocazione silenziosa « …non glielo
dici e basta? » Neville allargò le braccia, quasi ad accogliere la risposta con
entusiasmo « Perché continui ad essere così odioso, insopportabile e… » esitò
un attimo, nel tentativo di trovare le parole giuste «… e stronzo » concluse
con l’ombra di un sorriso a far capolino dalla bocca sfigurata.
« Perché io sono così »
ribatté rapidamente Malfoy con tono gelido.
« No tu fai così » Neville gli puntò contro un
lungo indice accusatorio, penetrandogli dentro con uno sguardo tagliente e
sincero. Draco masticò il dolore con la mascella tesa
e una scintilla incomprensibile negli occhi. Il tempo vuoto dei loro sguardi si
infranse nella sua domanda.
« Perché l’hai detto a
Lunatica? » domandò con una strana pacatezza, fin troppo accentuata per essere
vera. Infatti, dal cono d’ombra in cui era nascosto il suo viso, emergeva l’eco
di un sorriso denigrante.
« Si chiama Luna » precisò
Neville, digrignando i denti per cercare di nascondere il fastidio e la rabbia
per quel nomignolo infamante.
« Perché? » insistette
il biondo, che non voleva perdere tempo in dettagli di poca importanza. Questa
volta, fu il turno del Grifondoro di sorridere.
« Io non ho detto
niente, Malfoy. Luna è molto più intelligente di quel
che pensi » Gli voltò le spalle con un sospiro stanco, e mentre Draco emetteva un suono a metà tra una risata e uno sbuffo
spazientito, lui raccolse le carte che stava consultando, gettate alla rinfusa
sul tavolo, e dopo averle arrotolate le dispose in un’unica, ordinata pila.
« Tieni la bocca chiusa
» esalò il fu Serpeverde, con un tono che aveva
qualcosa di così definitivo, che per un attimo Neville fu tentato di non
replicare; di invitarlo fuori e mettere fine a quella conversazione che, lo
sapeva, non avrebbe portato da nessuna parte. Eppure, sapeva anche che c’era
qualcosa, dentro di lui, qualcosa che lui aveva visto nella sua mente ma che
era nel suo cuore, scolpito fin dentro l’anima, da scoprire.
« Perché? » domandò
allora, gettandogli uno sguardo strano da oltre le spalle tese e rigide.
« Non sono affari tuoi
» ribatté l’altro, sulla difensiva. Fece un passo indietro e lo guardò con
espressione ferita. Neville si voltò verso di lui proprio mentre un tuono
spezzava la quiete della notte.
« Sai, lei potrebbe
anche amarti se tu non fossi così… » Il suo era un sussurro fermo, ma talmente
flebile che per Draco non fu difficile interromperlo.
« Così come? Mangiamorte? »
ringhiò, divorando la distanza che li separava. Quasi gli finì addosso, tanta
era la sua foga. Il viso rosso di rabbia, sputò quelle parole a pochi
centimetri dal suo viso. C’era una traccia di profondo risentimento in quella
parola appena pronunciata.
« No. Malfoy » Neville
era perfettamente padrone di sé quando gli rispose con la calma che un tempo
era appartenuta a Silente.
« E che differenza fa?
» Quella di Draco, più che una domanda, era una
risata beffarda uscita dalle labbra con intenzione derisoria. L’altro, però,
rispose con una pacatezza che lo infastidì, se possibile, ancora di più.
« Tutta la differenza
del mondo »
Malfoy piantò le iridi grigie, colme di risentimento e rabbia,
dentro quelle scure di Paciock. Si guardarono l’un
l’altro, squadrandosi con astio, o con semplicità, come se entrambi fossero in
attesa di qualcosa. Draco respirava a fatica, la
mascella tesa e i pugni serrati nel vano tentativo di controllare la rabbia che
colava come lava dal vulcano che era il suo cuore. Non riusciva a capire il
motivo per cui si trovava lì, con quell’essere inutile, a discutere di faccende
così personali che non osava parlarne nemmeno con se stesso. Non riusciva a
capire cos’era quella sensazione prossima alla gratitudine, quel barlume di
speranza – sbagliata e inutile – che gli si era acceso dentro e che sentiva il
bisogno di distruggere prima che fosse troppo tardi. Non voleva crederci. Non
poteva permettersi di crederci.
« Malfoy è quello che sono » disse
dopo molti minuti di silenzio, marcando con enfasi orgogliosa il suo cognome.
« Malfoy
è solo come ti chiami » lo corresse Neville, che invece si curò di tralasciare
il particolare che lui aveva tanto attenzionato.
« Ti sbagli » concluse
asciutto Draco, prima di voltargli le spalle. Stava
per uscire dalla tenda, quando Paciock gli parlò.
Quella che per lui era una provocazione, per l’altro non era che un semplice
tentativo di spingerlo verso la retta via. Per quale motivo lo stesse facendo,
nemmeno Neville lo sapeva. Forse, in un certo qual modo, si sentiva legato a
lui. Il motivo poteva essere uno qualsiasi tra quelli a cui aveva pensato negli
ultimi giorni.
Si sentiva legato a lui
perché gli aveva invaso la mente e aveva scoperto un segreto, sepolto sotto
strati di menzogne e paure, che non si aspettava di scoprire. Il tacito patto
che avevano stretto, che lo invitava al silenzio, non era stato rotto per
rispetto, verso di lui e verso i suoi amici.
Si sentiva legato a lui
perché su di lui incombeva la minaccia del tempo. Si sentiva legato a lui
perché anche Draco, esattamente come era stato per il
ragazzino che era, sentiva il bisogno di trovare la pace dell’amore, prima
della fine. A differenza sua, però, Neville aveva avuto modo e occasione di
confessare a Luna dei suoi sentimenti. Dopo, si era sentito in pace con il
mondo, pronto ad affrontare tutto ciò che sarebbe venuto con un nuovo spirito.
A Draco, questo non sarebbe mai toccato. Lo conosceva
abbastanza da sapere che non avrebbe mai rivelato ad Hermione
dei suoi sentimenti, e d’altronde, gli ostacoli da superare erano così tanti, e
il tempo così poco, che era certo non sarebbe stato capace di farlo comunque,
vigliacco com’era. Ma voleva comunque dargli la possibilità di tentare. In
qualche modo – non sapeva come, né perché – sapeva che era la cosa giusta da
fare; sapeva che avrebbe affidato Hermione in mani
sicure. Era assurdo anche solo pensarlo, ma era la verità. Lo sentiva.
« Ti piace pensare di
non avere scelta perché ti senti più al sicuro, vero? Così non devi prenderti
la responsabilità delle tue azioni, lasci solo che le cose accadono… »
Draco gli fu addosso in un attimo, gli occhi implacabili e le dita
serrate attorno al polso ormai smagrito del ragazzo.
« Paciock,
tu non sai niente di me » sibilò inviperito, respirandogli addosso tutta la sua
frustrazione.
« So quello che ho
visto, Malfoy » Ancora quella calma, così limpida e
scintillante che Draco ne risultò infastidito.
« Quello che hai visto
era solo… solo… » gli mancarono le parole e non riuscì a continuare. Si ritirò
nel suo guscio, come una tartaruga alla vista di un predatore, ma prima che
potesse fuggire del tutto Neville gli venne in soccorso.
« Eri tu » disse, un
sorriso incoraggiante a far capolino dalle sue labbra. « Era Draco. Quello che ho visto era solo Draco.
Senza maschere, senza pregiudizi o inibizioni. Senza il peso del tuo cognome »
Draco gli soffiò addosso tutto il suo disgusto. Ferito nel suo
punto più debole, si sentì improvvisamente nudo, vulnerabile, esposto a quel
ragazzetto che era sempre stato deriso e che ora - gli sembrava - stava
deridendo lui, mettendo sul tavolo della verità il suo animo, che però era
fatto di bugie e apparenze, finzioni e menzogne, una tragedia che non poteva
venire smascherata prima che il sipario si chiudesse sull’atto finale.
Così, Draco tirò fuori l’unica arma che conosceva: l’offesa.
« Io sono fiero di
essere quello che sono, Paciock. A differenza tua, i
miei genitori non sono patetici vegetali, ma potenti e ricchi Purosangue nel
pieno del loro splendore, sottoposti del più grande mago di tutti i tempi » Un
ghigno malvagio, un passo in avanti. Un respiro più lungo, per riprendere il
controllo di sé e ricordare a se stesso l’importanza del suo cognome.
Neville emise un
sospiro profondo, tentando di dominare il tremito alla mano destra. Le dita
pungevano fastidiosamente, inondate dalla magia che la rabbia aveva fatto
deflagrare dentro di lui, ma riuscì comunque a controllarle. Affondò le unghie
nel palmo nella mano, quasi fino a farle sanguinare, pur di non cogliere la
provocazione e rispondere a quell’affermazione cattiva, fatta solo per ferire.
Il ragazzo chinò il capo, così da sfuggire allo sguardo malvagio e derisorio di
Malfoy. Si concesse qualche minuto di riposo, una
pausa prima del round finale. Quando puntò gli occhi su di lui, fu per
replicare. Il suo sguardo, però, colse un movimento al di là della spalla del
biondo. Gli bastò un’occhiata per comprendere, un minimo di autocontrollo per
evitare che gli sfuggisse un sorriso.
« Fai come vuoi, Malfoy » disse semplicemente. Poi, esalò un altro sospiro e
gli voltò le spalle.
Draco corrugò la fronte, offeso da quel ripensamento, irritato dal
suo silenzio. La pacatezza dei suoi modi, l’indifferenza del suo sguardo e la
calma che trasparivano dal suo viso, lo irritarono oltremodo, tanto che sarebbe
bastato un attimo di silenzio in più a farlo esplodere.
« Ho interrotto
qualcosa? » La voce di Hermione non era limpida come la
ricordava, incrinata com’era dal dubbio e dal timore, ma bastò il solo pensiero
della sua vicinanza a farlo irrigidire. Un fremito gli percorse la schiena. Quando
si voltò a guardarla, lei aveva gli occhi fermi sulla schiena di Neville, e
un’adorabile ruga di preoccupazione le tagliava a metà la fronte bianca.
« Niente. Malfoy stava andando via » Neville puntò gli occhi scuri
sul biondo, che gli voltò le spalle senza aggiungere una parola. Forse era
stata solo la sua immaginazione, ma gli sembrò di intravedere un lampo di
gratitudine nel suo sguardo.
***
« Cosa vi siete detti tu e Neville? » Hermione
poggiò ai piedi del grande albero un vassoio, sul quale erano adagiati un pezzo
di pane, due fette di formaggio e una brocca d’acqua. Draco
gli scoccò solo un’occhiata gelida, prima di voltarle le spalle.
« La curiosità è donna » sibilò con tono piatto, tornando
alla sua precedente occupazione – muovere il polso con scatti strani e
pronunciare tra le labbra incantesimi che lei non conosceva, o che fingeva di
non conoscere.
« Malfoy! » Hermione
espirò rapidamente, spazientita da quel comportamento tanto diffidente e
freddo. Fece un passo in avanti e gli afferrò un braccio, con l’intenzione di
costringerlo a voltarsi verso di lei, di darle ascolto. Lo fece con calma,
quasi senza pensarci, uno sbuffo a sfuggirle dalle labbra, ma la pacatezza dei
modi di sempre.
La reazione di Draco fu repentina
quanto il fremito che gli attraversò il corpo, come una dolorosissima scarica
elettrica, quando il contatto si fece reale. Forse erano i riflessi sviluppati
durante la guerra, o, più semplicemente, il bisogno bruciante che gli corrose
lo stomaco; o ancora, la consapevolezza che toccarla avrebbe significato
l’inizio di una follia che non sarebbe riuscito a fermare. Perciò, Draco le afferrò il polso con forza, le dita strette
attorno all’ossatura esile con una morsa ferrea, dolorosa per entrambi, e la
spinse contro un albero, lontano da lui.
Hermione
sussultò, colta alla sprovvista da quel gesto fulmineo. Un fremito di paura le
lampeggiò negli occhi quando lui la scaraventò senza gentilezza contro il
tronco, il fiato a spezzarsi in gola e un urlo a cristallizzarsi tra le labbra
– troppo orgogliosa per lasciarlo sfuggire ma troppo spaventata per non
chiudere gli occhi.
« Non - » Draco respirò a fondo, nel
tentativo di dominare se stesso e infondersi una calma che in realtà non aveva.
Il calore che si irradiava dal suo corpo era tanto forte che temeva che lei lo potesse
sentire. « toccarmi. Non osare toccarmi, Granger »
disse, strascicando la voce, già più padrone di sé di quanto non fosse pochi
istanti prima. Riacquistato un barlume di lucidità, fu persino in grado di
vestirsi di un ghigno feroce e sardonico, prima di aggiungere, a voce più bassa
e con tono beffardo: « Mi contamini ». Spolverò la manica della camicia nel
punto in cui l’aveva toccato con un sorriso sornione e sbruffone sul volto,
prima di puntare gli occhi sul suo volto, come in una sfida.
Hermione, la
fronte corrugata in un’espressione inquieta e confusa, impiegò qualche istante
a riacquistare il suo autocontrollo. L’ultima affermazione del ragazzo le
illuminò il volto di una consapevolezza amara e a tratti dolorosa. Solo quando
lui sorrise, con quella smorfia cattiva e ingiusta, la confusione svaporò e si
trasformò in orgoglio ferito. Se solo avesse fatto più attenzione, forse
avrebbe visto quel lampo di furente dolore negli occhi di Draco,
quando lei alzò il mento e strinse le labbra, colpita da una sofferenza
interiore che non avrebbe dovuto esserci, non davanti a lui e, soprattutto, non
perché lui l’aveva ferita nel suo punto più debole – il sangue, che era sempre
stato un problema in quel mondo, maledizione a metà e condanna al purgatorio.
Se solo avesse avuto meno pregiudizi e più presenza di spirito, avrebbe
certamente intravisto il lieve tremare delle mani, o il rigido indurirsi della
mascella, che denotavano turbamenti ben più profondi di un semplice timore di “contaminazione”
– in effetti una contaminazione c’era, ma ben diversa da quella che si
immaginava lei.
Hermione
poteva anche essere la strega più brillante di Hogwarts,
ma rimaneva pur sempre una ragazzina di vent’anni, e, soprattutto, l’idea che
lui potesse provare qualcosa di anche solo lontanamente simile al rispetto, per
lei, era talmente assurda che lei nemmeno l’aveva presa in considerazione.
« Che vi siete detti? » ripeté, questa volta con tono più
determinato, gli occhi fissi sul suo volto e le braccia mollemente abbandonate
lungo i fianchi. Il corpo, però, era teso, quasi fosse pronto a scattare al
minimo tocco.
« Credevo che Paciock fosse tuo
amico. Fattelo dire da lui » sputò Draco con
minimalismo, muovendo una mano come se stesse cercando di scacciare una mosca
fastidiosa. Hermione inarcò un sopracciglio.
« A quanto pare, è anche amico tuo » considerò con tono
provocatorio. Lui le scoccò un’occhiata a metà tra l’amaro e il divertito.
« Sei gelosa, Granger? » la
provocò, l’angolo della bocca alzato in un ghigno beffardo. « Non temere… Io
non ho amici » disse, con un tono tanto definitivo e amaro che lei, per diversi
istanti, fu costretta a tacere, abbeverandosi di quel timbro e dell’eco triste
della sua voce.
Draco le voltò le
spalle e si allontanò da lei, costeggiando le rive del lago fino a quando la
voce di Hermione non tornò a ronzargli attorno, come
una mosca fastidiosa.
« Potresti averne se non fossi così… così… » si fermò,
incapace di trovare le parole.
Draco si bloccò di
colpo, in attesa del verdetto finale. Quando capì che lei non avrebbe
continuato perché le mancavano le parole, si voltò verso di lei. Aveva il capo
chino, come se potesse trovare la risposta finale a terra, tra il terriccio
umido e le foglie secche.
« Così? » la esortò lui con tono caustico. La sua voce, però,
alle sue orecchie, risuonò traboccante di speranza. Ingoiò un amaro boccone e
strinse i pugni, pungendosi la lingua con i denti come se quella punizione
avesse potuto espiare il suo errore.
Hermione non
sembrava essersi resa conto di niente. Aveva alzato gli occhi su di lui e lo
fissava con sguardo limpido, incattivito da una punta di dolore.
« Così Malfoy
» disse semplicemente.
Era il suo cognome, in fondo. Ed era stato abituato a
sentirlo fin da quando era piccolo, pur con quella punta di timore e reverenza
che da sempre aleggiava intorno alla sua famiglia; o con la sfumatura di
disprezzo che spettava a chi utilizzava la manipolazione o la corruzione come
metodo privilegiato per arrivare ai suoi scopi. Eppure, sulle sue labbra aveva
un sapore diverso, un suono dissonante che lo rendeva infelice e insoddisfatto
delle sue origini. Forse, era l’eco delle parole di Neville a rimbombargli
nella testa, un urlo tanto forte da rendere vero, per la prima volta, tutto ciò
che aveva vissuto ma nascosto.
E allora Draco ebbe la sensazione
che, in fondo, quella prigionia era quanto di meglio potesse capitargli. Dentro
di lui si accese un faro di speranza.
Capitolo 8 *** Capitolo VIII - La maschera migliore ***
8.
La maschera migliore
Quella all’accampamento era una vita tutto sommato
tranquilla, che scorreva su binari di placida quotidianità.
Hermione e Ginny avevano imparato quasi ad amarla, perché amare ciò
che avevano era l’ultima risorsa di una vita alla deriva. Esonerate dal rischio
delle missioni in quanto ferite – Lupin aveva concesso alla prima una licenza
mai richiesta e mai voluta, Molly aveva impedito alla seconda di mettere piede
fuori dall’accampamento – a loro non rimaneva altro da fare se non impegnarsi
al meglio per rendere efficiente quell’angolo di pace che si erano ritagliati
nel bel mezzo di un bosco dimenticato dal resto del mondo.
Sebbene l’angoscia di sapere i loro compagni impegnati in
pericolosi incarichi fosse maggiore della serenità che, nel bel mezzo della
quiete, riuscivano a raggiungere, non potevano fare a meno di notare quanto di
buono ancora ci fosse in quel loro piccolo universo: una donna Babbana aveva da poco dato alla luce un bel maschietto, e ChoChang si era innamorata di un
ragazzo che non aveva avuto paura di ammettere che la magia era tanto
spaventosa quanto bellissima.
E mentre raccoglievano legna per il fuoco, individuavano erbe
curative, andavano in cerca di cibo, Ginny e Hermione trovavano persino il tempo di sorridere. Perché
piangevano abbastanza quando i loro compagni tornavano all’accampamento, in
numero sempre minore. Perché piangevano abbastanza, la notte, quando l’assenza
dei loro fidanzati si faceva tanto dolorosa da costringerle a singhiozzare di
paura.
« Credi che stiano bene? » Ginny
aveva osato chiederlo durante una pigra giornata di rara pace. Tutti i membri
dell’Ordine erano al campo, stranamente quieti e per nulla intenzionati a
partire di nuovo. Le notizie che giungevano alle loro orecchie erano sempre
meno, anche se i problemi diventavano più gravi ogni giorno che passava.
« Ne sono sicura » Hermione non la
guardava negli occhi, ma la sua voce era ferma, determinata. Diede una rapida
occhiata intorno e, dopo essersi assicurata che non ci fossero Babbani in giro, agitò la bacchetta. Un allegro fuoco si
accese sotto la pentola di latta che aveva precedentemente riempito d’acqua.
« Come fai ad esserlo? » Ginny le
si avvicinò con la scusa di sistemare le stoviglie in una credenza improvvisata
con qualche trave di legno scheggiata.
« Perché lo sento » L’amica non traballò nemmeno per un
istante: rispose senza esitazione, puntando gli occhi dritti in quelli dell’altra,
sul volto un sorriso incoraggiante. La piccola Weasley
chinò il capo, un’espressione seria sul viso sfigurato.
« Lo senti o lo speri? »
L’acqua nella pentola comincio a bollire. Hermione
mascherò il suo sospiro stanco e impaziente voltandole le spalle, così da
nascondere l’espressione inquieta e amara che le aveva tagliato il viso,
cicatrice molto meno visibile di quella dell’amica, ma più profonda e forse
anche più dolorosa.
« Harry e Ron sanno cavarsela »
disse, mentre versava delle foglie profumate nella pentola. Una delicata
fragranza si levò dall’acqua, sottili fili di fumo a spandere quel gradevole
odore in tutto l’accampamento.
Preparare il tè era una di quelle azioni tanto semplici e
quotidiane, che compierle in quel frangente sembrava strano, anormale. Forse
era per questo che Hermione tremava, mentre poggiava
la grande pentola sul tavolo di legno che troneggiava al centro del campo.
« Anche senza di te? »
Forse, invece, era la perspicacia di Ginny,
la sua capacità di guardarle dentro anche quando lei stessa non era capace di
farlo. Magari era il pensiero dei suoi amici lontani, perduti, dispersi. In
pericolo.
« Io non… » cominciò, gli occhi lucidi e l’espressione
smarrita.
« Li hai perdonati, Hermione? Se » Ginny aveva cominciato con tono concitato, ma fu costretta
a bloccarsi, ingoiare l’amaro boccone che leera risalito su per l’esofago e farsi forza. Si morse un labbro, tanto
forte da sanguinare, prima di continuare « Quando » disse, e marcò con enfasi quella
congiunzione temporale, perché aveva bisogno di convincersi che era necessario
solo più tempo. Non un’ipotesi, ma una questione di istanti. « Quando
torneranno, potrai dire di averli perdonati? ». Gli occhi di Ginny erano scure luci di una guardia impertinente e ligia
al dovere, del tutto decisa a scovare il ladro che si era infiltrato nel suo
territorio di competenza. Hermione sospirò, prima di
rispondere, fuggendo quello sguardo inquisitorio con fin troppa cura.
« Non hanno niente da farsi perdonare » disse, ma senza
convinzione. L’amica distolse lo sguardo da lei, forse intuendo che non era ciò
di cui aveva bisogno l’altra. Le concesse una breve tregua, ma non si trattenne
dall’esprimere a voce alta il suo pensiero.
« Sai, io posso capirlo. Posso capire Harry per aver lasciato
me qui » C’era amarezza nelle sue
parole, un rancore leggero impregnato di qualcos’altro, qualcosa di molto più
dolce « ma non posso giustificarlo per aver fatto questo a te » Una breve
pausa, poi aggiunse « E nemmeno tu puoi, lo so ».
Hermione
strinse le labbra, trattenendo tra i denti la risposta che l’amica sapeva già.
Continuò a evitare con zelo gli occhi di Ginny,
perché temeva che avrebbe letto dentro i suoi una risposta di cui non aveva bisogno,
dato che la conosceva fin troppo bene. O forse temeva solo che scoprisse
sentimenti che non era ancora pronta ad affrontare, che negava persino a se
stessa perché li riteneva sciocchi, spaventosi, cattivi.
« È lo stesso motivo per cui ha abbandonato te, Ginny. Harry voleva solo proteggerci » Cercò di modulare la
voce, di accordare il suo timbro su accenti bassi e privi di tonalità o
particolari inflessioni. Voleva risultare distaccata, forse persino
indifferente, ma la sfumatura di rancore che assunsero le sue parole – la
stessa che aveva lo sguardo di Ginny – non sfuggì
alla più piccola dei Weasley.
« Non è giusto. Siamo perfettamente in grado di proteggerci
da sole » affermò, per poi chinare lo sguardo con rabbia, come se volesse
prostrarsi a quell’evidenza tanto dolorosa quanto ineluttabile. Quando alzò di
nuovo il capo, lo fece per dire qualcosa: aveva già aperto la bocca, quando il
suo sguardo si indurì improvvisamente.
Hermione si
voltò di scatto seguendo la traiettoria di quell’occhiata priva di gentilezza,
la bacchetta stretta tra le dita e un incantesimo a fior di labbra. Quando
incrociò gli occhi grigi di DracoMalfoy,
severi almeno quanto quelli dell’amica, emise un fioco sospiro di sollievo, che
sorprese persino se stessa.
« Volevo solo un po’ d’acqua » disse il ragazzo a mo’ di
spiegazione, stringendosi nelle spalle con un gesto semplice e in apparenza
casuale. A Hermione, però, non sfuggì il ghigno di
compiacente derisione che gli aveva appena tagliato il viso.
Solo poche ore più tardi, incrociò il suo sguardo nei pressi
del pozzo. Era evidente che lui fosse lì per lei, perché non si allontanava
quasi mai dalle rive del lago, e soprattutto, non per fatiche inutili, non per
faccende Babbane.
Un vento prepotente soffiava sul paesaggio muto. Il silenzio
spettrale e freddo che aveva avvolto l’accampamento quando la nebbia era
scivolata con spesse dita di piombo tra le tende e fra gli alberi aveva
qualcosa di sinistro.
La sua voce risuonò come un fruscio, insinuazione spavalda e
sfrontata che aveva il solo scopo di provocarla.
« E così Potter ha abbandonato le sue amichette, eh?»
DracoMalfoy non aveva mai osato così tanto con lei. Forse
avvertendo un’improvvisa debolezza, una crepa nel cuore che si rifletteva negli
occhi vacui e spenti, come un tremulo accenno di lacrime nel fondo dello
sguardo deciso, si avvicinò più di quanto avesse mai fatto, tanto da sentire il
calore della pelle di Hermione, china verso il fondo
del pozzo.
Lei, dal canto suo, incapace di prestare attenzione a un
particolare futile come quello della vicinanza – incapace di vedere la realtà
delle cose e soprattutto di leggere in quei gesti un desiderio recondito – gli
scoccò un’occhiata tagliente. Ingoiò saliva amara, fremendo di rabbia inconsulta,
mentre lui, con uno sprezzo che rendeva le sue parole ancora più irritanti,
aggiungeva: « Davvero idioti fino alla fine, hanno lasciato qui la loro unica
speranza di salvezza ». Era un sussurro sinuoso e insinuante, che tintinnò
nell’aria insieme alla catena che Hermione teneva tra
le dita malferme.
« Sarebbe un complimento, Malfoy? »
lo provocò velata, incapace di trovare parole pungenti quanto il suo sguardo
infastidito.
« E dov’è andato? » Draco non colse
la provocazione sottile delle sue parole. Con un rapido allungo le fu davanti,
proprio mentre lei issava il secchio sul bordo del pozzo.
« Non sono affari che ti riguardano » Il leggero tremito
delle sue mani fu evidenziato solo dal brivido che percorse la superficie
dell’acqua: piccoli cerchi si allargarono rapidi, dal bordo fino al centro. Un
ghignò si incise sul viso del ragazzo, ma lei finse di non vederlo,
concentrandosi sul suo lavoro.
« Ho toccato un tasto dolente, Granger?
»
Hermione esalò
un sospiro che sembrava più un rantolo sfuggito alle sue labbra per sbaglio.
Gli voltò le spalle, il manico del secchio ben stretto tra le dita piccole e
bianche, le spalle magre e sottili scosse da un tremito piccolo e leggero,
segreto spasmo del cuore.
« Cosa ti aspettavi da Potter? Ha sempre voluto tutta la
gloria per sé, e il suo piccolo amico dai capelli rossi non ha- » Draco non ebbe il tempo né i riflessi. Si ritrovò con la schiena
premuta contro l’ampio tronco di un albero, la bacchetta di Hermione
puntata alla gola e i suoi occhi, una doppia minaccia, a fissarlo come
impazziti. Accanto a lei, il secchio rotolava a destra e sinistra con rantolo
metallico.
Il respiro gli si bloccò in gola, insieme a quello che era
certo fosse il suo cuore, giunto al cervello per vie nascoste e sconosciute e
poi esploso nel petto dopo un balzo dolorosissimo. Draco
osò abbassare gli occhi solo un istante: la bacchetta della ragazza era una
scusa sufficiente. Il suo cuore scoppiò di nuovo, e questa volta gli sfuggì
persino un rantolo disperato, quando si rese conto che le labbra di Hermione erano a una distanza così infinitesimale che
sarebbe bastato un respiro per sigillare il suo desiderio e appagare il suo
bisogno. Sarebbe bastato un niente. E avrebbe anche potuto scambiarlo per un
errore, lei, che si era avvicinata troppo perché lui l’aveva sfidata, e che
voleva a sua volta sfidarlo, e vincerlo, per non cedere alle sue ingiuste
provocazioni, per non permettere alle sue offese, alla sua invidia, di avere il
sopravvento sulla bontà.
Sarebbe stato un battito di ciglia, il nulla dopo la morte,
la cosa più autentica del mondo. Ed era così vero, così possibile, che lui ne
ebbe paura. Il terrore si cristallizzò negli occhi di Draco,
nebulosa sfumatura di grigio che tinse di cenere il suo sguardo spaventato. Hermione osservò il temporale addensarsi dentro le sue
iridi cristalline, e fece un passo indietro.
« Tu non sai niente di Harry » sibilò, scandendo a fatica le
parole. Ogni sillaba era un distillato di rabbia, di amarezza, di rancore, e
lei stessa non era capace di capire da dove venissero quei sentimenti, perché
era certa che non avevano mai abitato dentro di lei. « Né di Ron » aggiunse piano, la voce incrinata da una nota di
collera sfrontata che accompagnava quei nomi da pochi anni a questa parte.
Se ne rese conto solo in quel momento, Hermione,
di quanto l’abbandono dei suoi amici bruciasse ancora dentro di lei. Erano
state necessarie l’amarezza di Ginny e la sincerità
brutale di DracoMalfoy
perché si rendesse conto, con un poderoso ed egoistico moto d’orgoglio, che lui
aveva ragione – che lei era la loro unica speranza di salvezza.
Si pentì immediatamente di quel pensiero arrogante e superbo.
Una sfumatura cremisi le colorò le guance all’improvviso. Chinò il capo proprio
mentre una lacrima le pungeva le palpebre. Si accorse, però, con un certo
stupore, che non aveva voglia di piangere, perché era troppa la rabbia che, in
quel momento, si agitava dentro di lei.
Draco deglutì un amaro
boccone e trasse dei profondi respiri, riprendendo il controllo di sé. La
guardò in silenzio, immaginando i segreti pensieri che le frullavano nella
testa – quasi poteva vederli nella piega delle labbra, nel brillio degli occhi,
nella ruga che le increspava la fronte bianca.
« Ti hanno abbandonata perché sono stupidi e ti credono
inutile » La sottile insinuazione delle sue parole, quel velato complimento che
lei non riuscì a percepire, costò a Draco più di
quanto lei stessa potesse immaginare.
Ti credono inutile
ma non lo sei.
Ti credono inutile
ma si sbagliano.
« Ti sbagli » rispose lei, seguendo il filo dei suoi pensieri
in modo del tutto inconsapevole ed errato. Aveva risalito al contrario il
sentiero di riflessioni che aveva portato DracoMalfoy a formulare quella precisa frase, e come intuendo
una certa sorpresa da parte sua alla risposta appena data, alzò lo sguardo su
di lui.
C’era rabbia, nei suoi occhi. Un tremito lieve la scuoteva da
dentro, eppure non poté fare a meno di vederlo.
DracoMalfoy.
Hermione non
l’aveva mai visto così, senza quel ghigno a deformare i lineamenti stranamente
puliti del viso, solo con uno sguardo limpido, quasi smarrito, a fissarla
dall’alto di un complimento mancato. Era come se, pur stando fermo, stesse
camminando verso di lei, per la prima volta senza maschere, parlandole delle
altre facce indossate fino a quel momento. Era come se, da quell’attimo, ma
senza pensarci, fosse diventato diverso da quel che era un tempo.
Durò solo un istante. Quando Hermione,
perplessa, sbatté le palpebre per convincersi che quella visione era davvero
reale, per trovare un senso a quel nuovo viso che non conosceva, lo trovò
uguale a quello che aveva conosciuto un tempo – il DracoMalfoy con cui aveva sempre avuto a che fare.
L’impalpabile cambiamento di Draco
fu tutto interiore: le barriere che, senza volerlo e in modo del tutto
inconscio, aveva improvvisamente abbassato, divennero insormontabili barricate
di paura. Il sorriso beffardo che gli increspò il volto era solo un sintomo di
difesa, l’unica arma che conosceva per dissimulare il suo essere. Eppure, una
parte di sé, quella più autentica, rimase affacciata oltre il profilo spento
della sua maschera peggiore.
« Ti senti abbandonata, vero? Ti senti tradita » Un sussurro lieve, stranamente privo di arroganza, che
sulle sue labbra, però, assunse un sapore acre. Hermione
digrignò i denti.
« Non dirmi come mi sento, Malfoy.
Tu non sai niente di me, non sai cosa significa, non sai cosa si prova… » La
voce stridula si ruppe in una lacrima che le scivolò sulla gota.
« Lo so, Granger, perché anche io
sono stato abbandonato » Lo disse con tono piatto e monocorde, DracoMalfoy. Quella confessione
che poteva anche sembrare una supplica, umiliazione mai detta di una colpa non
sua, sembrava più una semplice constatazione distaccata che ciò che era
davvero: l’amara constatazione di un abbandono.
« Tu non hai amici » esalò Hermione
tremando. Lo disse con disgusto, ma non nascose una certa, selvaggia
soddisfazione nell’affermare quella che entrambi sapevano essere la verità. Se
ne sorprese lei stessa, perché non era mai stata cattiva, e quell’irriverenza
non le apparteneva. Era la rabbia a parlare, quel dolore spesso che le scavava
dentro ferite sempre più profonde. La sofferenza dell’abbandono, il terrore
della scoperta – “Sono ancora vivi, Hermione”, lo so,
ma poi lo sapeva davvero o ci sperava soltanto? - l’angoscia di una guerra che
non era più sicura fosse la sua, perché in fondo lei non apparteneva a quel
mondo, non completamente. Erano troppe sensazioni per una persona sola, un peso
troppo greve da sopportare. E allora, mentre DracoMalfoy insinuava, la provocava, la svuotava – ma solo per
riempirla di nuovo, e lei ancora non lo sapeva – quelle emozioni crudeli e selvagge,
desolate e desolanti, si mescolarono ed esplosero, e il risultato fu una
malignità crudele che lei era certa fosse stata richiamata da lui.
Poi, solo dopo qualche istante, solo dopo che lui rispose,
tornò in sé.
« Fa differenza? »
Ed Hermione capì quanta disperazione
ci dovesse essere in quella prigionia senza scampo e senza vie d’uscita. Si
rese conto che la maschera che DracoMalfoy indossava non era la stessa che lui aveva scelto di
portare, ma solo quella che gli altri gli avevano cucito addosso; e che persino
quel suo bisogno di prevaricare gli altri derivava non da un animo cattivo, ma
piuttosto da un insieme di circostanze che l’avevano reso tale.
Divisa tra gratitudine
ed irritazione, Hermione fece un passo verso di lui.
Non era nello stato d’animo di sopportare altre provocazioni, altre offese, e
avrebbe preferito girargli le spalle e andare il più lontano possibile da lui,
eppure, in qualche strano modo, gli era grata. Semplicemente perché era ancora
lì, forse perché le aveva mostrato il prezzo da pagare per una guerra che, ora
lo sapeva con certezza, era anche e soprattutto la sua.
« Anche io sono stato abbandonato » continuò Draco, dopo averla guardata a lungo negli occhi, per
cercare dentro di lei una conferma. « Nessuno dei miei compagni è venuto a
cercarmi. Nessuno » rimarcò, stringendo i denti. La sua voce aveva assunto un
colore cupo e nero, nonostante l’impassibilità dello sguardo « Nemmeno » Soffiò
forte dalle narici, prima di continuare, in un’esternazione di rabbia « nemmeno
mio padre. Solo che per me non è una novità ».
Draco la guardò con
occhi spenti, i pugni chiusi e un’espressione immutabile. Si domandò per quale
motivo avesse confidato proprio a lei quella profonda amarezza, frutto di una
consapevolezza che non era nemmeno sorpresa – perché sapeva già da tempo quale
sarebbe stato il prezzo da pagare per militare tra le fila del male.
Lei, disse una voce nella sua testa. Me stesso, aggiunse lui a fior di labbra, in un mormorio che la
ragazza non poté udire.
« Nemmeno io sono andata a cercarli » disse Hermione, dopo qualche minuto di silenzio, gli occhi
ostinatamente fissi dentro quelli di Draco. Ora,
però, ogni traccia di rabbia era scomparsa; c’era solo tristezza, dentro di
lei, e un accenno leggero di lacrime. Il suo sguardo era acquoso, delicato come
la tenue tinta del cielo dopo un temporale estivo. « Ma non l’ho fatto perché
non m’importa di loro, solo… per proteggerli. Per… » Prese un profondo respiro,
tentando di accettare quella verità, per la prima volta dall’inizio della
guerra.
Harry e Ron non l’avevano mai
abbandonata, avevano solo cercato di proteggerla, perché le volevano bene. Ma
non era questo il motivo della rabbia di Hermione,
perché più che il loro abbandono, ciò che la addolorava era il suo.
Non era mai andata a cercarli. Non aveva mai tentato di
seguirli. E non perché pensava di non poterli trovare – li conosceva abbastanza
da poter prevedere le loro mosse – ma per pura vigliaccheria. Aveva
giustificato se stessa in mille modi, ma non era mai riuscita a perdonarsi.
Ora, però, dentro lo sguardo di Draco,
l’aveva fatto. E l’aveva fatto scoprendo un lato comune con quel nemico di
sempre; capendo che le sue paure erano anche quelle che provava lui. Aveva
cominciato con l’intenzione di consolarlo, e aveva finito per scoprire verità
che forse sapeva, ma che aveva tenuto nascoste a se stessa.
Ecco da cosa nasceva quella sua sensazione prossima alla felicità. Forse
non era poi così debole come aveva sempre creduto; dopotutto, ci si misura
rapportandosi agli altri, non esiste alternativa. E, di quando in quando, in
modo assolutamente involontario, arriva qualcuno e ti insegna qualcosa sul tuo
conto.
Così, non per la prima volta, Hermione
pensò che lei e Draco avevano qualcosa in comune. Non
per la prima volta, Hermione accarezzò, con il timore
di una bambina e la reverenza di un prete, un’idea che gli era balenata in
mente già da prima: che tra loro due ci potesse essere un qualcosa di simile
non tanto all’amicizia, quanto al rispetto reciproco. Un muto rapporto fatto di
elogi nascosti dietro offese e complimenti mutati in insulti. Un sodalizio di
sguardi di nascosto.
Era, in fondo, qualcosa che già c’era ma che Hermione non riusciva a vedere: Draco
che si nascondeva dietro un muro di bugie e indifferenza, e lei che andava a
scovarlo al di là di quell’armatura di freddo distacco, con la grazia di una
donna e la docilità di una bambina. Non se n’era mai resa conto, prima di
allora, e forse nemmeno in quel momento le fu chiaro, ma l’attraeva il mistero
di DracoMalfoy: la
disperazione leggera del suo essere e la contraddizione costante del suo
apparire. Quel tentativo di lasciare fuori il mondo, di
non farsi corrompere e non per paura. Quello schermarsi dietro offese e
parolacce per sentirsi più forte, per prevalere. Quell’arroganza che era solo
facciata, perché il suo bisogno di prevaricare gli altri derivava solo da una
debolezza interiore che lei non sapeva spiegarsi.
Perché HermioneGranger, un po’, segretamente, invidiava DracoMalfoy. D’altronde, si
giustificava, chi, in vita sua, non aveva mai invidiato la fama, la gloria, il
potere, la ricchezza? E, più di ogni altra cosa, la purezza del suo sangue,
quella che a lei mancava e che la faceva sentire straniera in terra natale. Lo
invidiava solo un po’, con l’educato distacco di una bambina che si scopre
ferita dagli insulti di un suo compagno di scuola, ma non osa ribattere perché
sa che ha torto, torto marcio. Solo allora Hermione
si rasserenava, solo quando quel pensiero le attraversava la mente trovava la
pace: capiva di essere superiore a lui perché non aveva bisogno di essere
cattiva per essere migliore.
Quei pensieri per Hermione
erano piante contorte e incolte, germogli neonati; per Draco,
erano l’ennesima foglia di una quercia ormai millenaria.
Draco sapeva già quanto loro si
assomigliassero, e avrebbe solo desiderato una maggiore consapevolezza da parte
della ragazza, o, forse, meno vigliaccheria da parte sua. Aveva intuito già da
tempo quanto, in lui, fosse cambiato: del ragazzino che era stato era rimasto
poco. Forse era stata la guerra, forse la maturità acquisita nel corso degli
anni, o ancora quel sentimento estenuante che drenava, giorno dopo giorno, ogni
sua energia, la lucidità di una vita che non viveva, non completamente. Era
stato un mutamento graduale, forgiato dal dolore e cesellato dalla paura, ma
infine levigato dall’amore per Hermione. Quando
quella presa di coscienza era diventata certezza, Draco
aveva capito, con una sicurezza senza misura, che di lui era rimasto ben poco,
e che avrebbe dovuto indossare altre maschere per nascondere se stesso, facce
diverse che gli avrebbero permesso di sopravvivere in quel mondo che si era
scelto per errore.
Ora, però, nonostante quella ferma
consapevolezza, mentre si specchiava nell’acqua limpida del lago, non riusciva
più a riconoscersi: il riflesso che vedeva non gli apparteneva più, e persino
nei suoi occhi c’era una luce nuova, irriconoscibile persino a se stesso.
Cos’era, Draco
lo capì solo dopo, quand’era già troppo tardi.
***
« Dovresti avvicinarti. Non si fidano di te perché sei così
schivo che… »
« Ma non posso avvicinarmi. Se io… »
« I se e i ma sono la patente dei falliti, Malfoy.
Nella vita si diventa grandi nonostante
»
Già. Nonostante. Nonostante questo amore che
mi dilania l’anima. Nonostante la paura di essere scoperto. Nonostante il
dolore di ogni tuo sguardo.
Draco chinò il capo, ferito dalla durezza delle sue parole. Il suo
volto era illuminato da una luce fioca che ne metteva in risalto la magrezza: i
lineamenti spigolosi erano ombreggiati da drappeggi scuri, come macchie sul
pallore del volto. Nella penombra, i suoi occhi grigi scintillavano come
diamanti grezzi.
« Io non capisco,
perché… »
« Con gli occhi chiusi è difficile vedere » La sua voce era
roca, un sussurro basso ma calibrato, sfumato di un calore che Hermione non gli aveva mai sentito addosso.
Mentre lui poggiava, con inusuale delicatezza, lo sguardo su
di lei, si domandò cosa fosse quel coraggio che improvvisamente si era
affacciato dai suoi occhi. Debolezze? O solo parole sepolte sotto veli di bugie, allusioni
velate che avevano il solo scopo di mostrarle la sua maschera migliore?
Non aveva importanza, se Hermione
lo guardava in quel modo.
***
Quando era arrivato il momento, Draco
aveva pagato il tributo delle sue colpe. Erano arrivati durante la notte, in
silenzio, mentre lui dormiva su un giaciglio improvvisato – foglie secche come
letto e coperte per proteggersi da un freddo troppo interiore per poterlo
scacciare davvero. Erano arrivati come la prima neve dell’inverno, posandosi su
di lui con una delicatezza gelida. Poi, delicati non erano stati, e le sue urla
avevano spezzato la quiete dell’accampamento gettando il panico tra i
sopravvissuti.
L’aveva salvato Hermione, un
cipiglio severo sul volto che si era addolcito solo quando aveva incrociato il
suo sguardo.
Lui l’aveva ringraziata con una gratitudine superba e
irritata, ma che lei seppe riconoscere oltre il velo di diffidenza che, ormai,
sapeva essere solo apparenza.
« Ma cose sei? La regina delle cause perse? La crocerossina
dei cattivi ragazzi? »
« Solo una che crede nelle seconde occasioni »
Draco aveva sbuffato e
aveva chinato il capo. Inconsciamente, i suoi occhi erano caduti
sull’avambraccio sinistro. Accanto al Marchio Nero, cominciava ad allargarsi un
livido giallastro.
« Non ci sono seconde occasioni per me » aveva ammessocon una pacatezza talmente gelida che Hermione aveva dubitato lo credesse davvero.
« Forse perché non ne hai bisogno » aveva risposto lei. Con
un fluido movimento del polso aveva dato un lieve tocco al braccio del giovane:
il livido si era riassorbito all’istante.
« Come? » Draco aveva corrugato la
fronte, confuso. Al di sotto delle sopracciglia biondissime, i suoi occhi grigi
erano smarriti, ma in fondo alla pupilla si era accesa una luce che lei non
aveva saputo interpretare.
« Mi hai salvata. Tre volte. Questo denota già una certa
inclinazione al bene » Hermione gli aveva piantato
addosso due enormi occhi castani, e poi aveva sorriso lievemente. Il cuore di Draco aveva mancato un battito, prima di ricordarsi che
quelle non erano le parole che voleva sentirsi dire. Solo allora, con una
brusca frenata, si era infranto contro un muro di delusione e amarezza.
Hermione parlava
perché non sapeva, e le sue parole, che in un’altra circostanza avrebbero
dovuto indirizzarlo verso un cammino d’espiazione, avevano suscitato invece in Draco un’ilarità del tutto fuori luogo.
***
Hermione non poteva
fare a meno di osservarlo. Era curiosa, lo era da sempre, e lui era una materia
che non poteva studiare sui libri, che nessuno poteva spiegarle: l’animo umano
è incomprensibile, nebuloso come il cielo di quel giorno oscuro.
Ne era attratta come lo era dalla Trasfigurazione, dall’Aritmanzia, dalle Antiche Rune: lo considerava né più e né
meno come una materia da studiare e infine comprendere, per il bene suo e degli
altri – capire come annientarlo così che non potesse più nuocere a nessuno. Non
sapeva ancora che dietro quel bisogno spasmodico di sapere che lei scambiava
per curiosità, c’era qualcosa di più profondo, ormeggiato prima ancora negli
occhi grigi di Draco. Non sapeva ancora, Hermione, che l’amore chiama amore, è una legge inevitabile
dell’universo. E che lei perdeva un pezzo di sé ad ogni sguardo di quel ragazzo.
Draco, invece, aveva
cominciato a capirlo. La sua diffidenza cominciava a trasformarsi in un’audacia
inspiegabile persino a se stesso. La cercava con lo spasmodico bisogno che lo
condannava da sempre; come un naufrago cerca la terra, o come un assetato
l’acqua. Come cerca un cuore a cui manca qualcosa.
Costretto a passare le sue giornate chiuso nei suoi pensieri,
isolato dal resto del mondo, in quell’oasi di pace che l’Ordine aveva creato, Draco aveva avuto modo di mettere ordine nei suoi pensieri
e fare un resoconto della vita che aveva vissuto; questo non era servito a
consegnarlo alla giustizia di una confessione, ma l’aveva aiutato senz’altro a
trovare una quiete che non conosceva da tempo.
Quando gli trascinavano davanti i cadaveri gli bastava
chiudere gli occhi, e immaginare che i singhiozzi non fossero altro che rane
lontane, che il fruscio delle foglie fosse dovuto al vento, che la scia di
sangue fosse solo pozione versata.
Era piacevole trascorrere le giornate in quel modo, senza il
bisogno di menzogne e maschere, senza la necessità di costruire muri tra sé e
il resto del mondo, se non quelli che sentiva il bisogno di erigere, e non
perché rischiava la vita, ma per orgoglio personale.
Era piacevole sapere che i suoi giorni non erano più in
bilico tra vita e morte. Era un’esistenza felice, e, al contrario di ciò che si
sarebbe aspettato, non era vuota, perché lo teneva vivo la speranza, mai
veramente nutrita fino in fondo, che si era accesa dentro di lui.
Era piacevole quella prigionia perché c’era lei, a cui non
importava il suo partito e che lo trascinava ogni giorno più vicino senza che
lui se ne rendesse conto.
Se lo stava domandando proprio in quel momento, Draco, come avesse fatto Hermione
a farlo sedere a tavola con tutti gli altri. Non importava che tra lui e l’uomo
più vicino ci fossero cinque posti di distanza; non quando il sorriso di Hermione era così luminoso.
« Ancora zuppa? » Molly gli rivolse un sorriso cauto e
misurato, che lui ricambiò con un’occhiata carica di disgusto.
« No, faceva schifo » replicò, con un tono così composto ed
educato da suscitare l’ilare sorpresa della donna.
« Voglio vedere se sai fare di meglio tu, con radici secche e
funghi velenosi » borbottò la Signora Weasley
voltandogli le spalle con fare vagamente offeso. Charlie emise un sospiro
spazientito, alzò gli occhi al cielo e poi, con espressione divertita, richiamò
la madre, allungando la ciotola verso di lei.
« Era buona, ma’ » disse incoraggiante. Il viso di Molly si
illuminò di un sorriso materno e soddisfatto. Charlie attese che lei si
voltasse, prima di regalare la sua zuppa alla terra.
***
Era una giornata opaca, fatta di assenze e vuoti colmati con
cumuli di terra sopra ai quali era affissa una croce. Era una giornata di
lacrime e capi chini, di parole banali ed elogi vacui e insignificanti quanto
la rassegnazione di un comandante che tornava da solo, legato a due corpi.
Che Neville era gravemente ferito l’avevano capito dallo
sguardo di Luna, disabitato da qualsiasi emozione. Che Neville era tornato da
solo lo avevano saputo solo dopo, quando Lupin aveva aggiunto altri nomi alla
lista dei dispersi.
Il cielo era di un cupo grigio piombo, e un vento
inarrestabile si consumava nell’aria fredda di un Gennaio senza giustizia. La
frenesia vorace eppure già morta dell’accampamento sembrava presagire un
temporale che le nuvole, però, non promettevano.
Quando Hermione si avvicinò a Draco aveva gli occhi lucidi di pianto, e nello sguardo il
dolore della morte. Lui non ebbe bisogno di guardarla per avvertire la densa
aura di sofferenza che si portava dietro. Forse, non voleva guardarla affatto:
per ricordarla con quell’espressione dura e ardente con cui aveva imparato ad
amarla; o più semplicemente, per evitare che il suo viso, i suoi occhi, le sue
labbra gli facessero cambiare idea. Per impedire che il semplice guardarla lo
distogliesse dalla sua decisione.
Draco non era una
persona altruista, non lo era mai stato, ma sapeva che l’amore aveva poco a che
fare con l’egoismo, e se n’era reso conto qualche ora prima: quando Neville era
entrato nell’accampamento a testa alta, da solo, barcollando. Però, con un
unico obiettivo: cercare gli occhi di Luna. Solo quando li aveva incrociati si
era concesso il lusso di crollare a terra e abbandonarsi al dolore.
Dopo, era stato unmal
di testa fastidioso e roboante, per lui. Le urla e i pianti sembravano non
dover finire mai. Per un intero giorno, tutti non fecero altro che scavare
fossi e versare lacrime.
Draco aveva osservato Hermione, naturalmente, e l’aveva vista improvvisamente più
vecchia di cent’anni, come seportasse
sulla sua schiena il fardello di quelle morti – centinaia di corpi sulla sua
schiena, e la colpa era solo sua, sua e dei suoi compagni.
Improvvisamente, persino la possibilità, remota ma
dolcissima, che lui potesse davvero avere una chance di salvarsi svaporò
nell’aria fredda di quel giorno senza clemenza. Perché lo erano state quelle
morti, ingiuste e senza clemenza, e lo sarebbero state tutte quelle a seguire,
e l’unica cosa che importava a lui era che dentro una di quelle tombe non
venisse calato il corpo di Hermione. Ed era sicuro,
nel suo delirio di onnipotenza, che lui l’avrebbe condotta sotto terra. Forse
aveva ragione, forse non si rendeva conto che Hermione
era invece l’unica che poteva portare lui ben lontano dalla possibilità di
finire sotto terra, ma ancora lungi da una tale consapevolezza e restio ad
accettare i suoi sentimenti, indossò la maschera che preferiva, quella che gli
avevano cucito addosso gli altri e che lui, però, vestiva con maggiore
comodità.
« Vuoi sapere i loro nomi? » Hermione
non lo guardava negli occhi. La sua voce era tremula, sembrava nuotare nelle
lacrime che lei si sforzava di non versare.
« Perché dovrebbero importarmi? » Il tono di Draco era duro e freddo, un sibilo simile a un dardo
pungente.
« Perché sono stati i tuoi a fare questo » Adesso, le parole
di lei avevano assunto una sfumatura di rancore che non riuscì a cancellare
nemmeno la rabbia severa dei suoi occhi. « E perché pensavo che dopo i mesi
passati qui, quelli che sono morti fossero diventati… »
« Cosa? Miei amici? Miei alleati? Granger,
se pensi che io possa passare dalla vostra parte solo perché mi tenete
prigioniero qui dentro… » La collera di Draco, del
tutto ingiustificata, rimbalzò dentro gli occhi vacui di Hermione.
Ogni emozione si era rimpicciolita e spenta, nel suo sguardo, ma quando lui
esplose con una rudezza che spezzò l’inesistente quiete del luogo, lei fu
costretta a voltarsi e confrontarsi con quell’ira sottile.
Per un attimo, Draco pensò che lei
avesse finalmente compreso. Per un attimo, a Draco
sembrò di vedere la consapevolezza espandersi lentamente negli occhi di Hermione. Poi, l’attimo passò, e lei parlò con la dolcezza
di sempre.
« Non hai mai provato a scappare » considerò con tono cauto.
La sua voce era ovattata e quieta, sembrava muoversi adagio, come se stesse
camminando sopra un filo sospeso su un canyon immaginario.
« Lupin ha detto… »
« Lo so cosa ha detto, ma non hai mai nemmeno tentato »
« Tengo alla mia pelle, Granger. Ma
se vuoi che scappi, dimmi pure come si fa » Un ghigno sardonico tagliava a metà
il viso pallido e affilato di Draco.
« Chiunque avrebbe cercato di fuggire. Anche a costo della
vita. Io avrei preferito morire piuttosto che rimanere prigioniera, ma tu… » Hermione non riuscì a finire la frase, perché la voce del
ragazzo sovrastò persino i suoi pensieri, tanto che l’iniziale intuizione
svaporò in una confusione che si nebulizzò negli occhi castani.
« Io ho un certo istinto di autoconservazione, Granger, cosa che a voi, evidentemente, manca » soffiò tra i denti. Con un cenno del capo
indicò i fossati scavati per seppellire i corpi. Aveva sul volto un’espressione
divertita, e questo disgustò Hermione più di ogni
altra cosa. « Vuoi sapere perché non scappo? Cibo gratis e protezione. Magari
riesco persino ad arrivare alla fine della guerra prima che questa massa di Babbani e Sanguesporco mi
contaminino del tutto »
Lo schiaffo arrivò, preciso e potente, sullo zigomo del
ragazzo, con una velocità tale che lui avvertì il dolore prima ancora di vedere
la mano di Hermione partire. Quando aprì gli occhi li
piantò immediatamente sul viso di lei, oltraggiato da quel gesto che aveva
suscitato in lui reazioni impreviste – perché gli bastava il contatto con la
sua pelle, di qualsiasi natura esso fosse, per bruciare d’amore. La
mortificazione e lo strazio che lesse dentro lo sguardo lucido della giovane
strega, però, lo svestì di ogni emozione. Sembrava turbata da quella cattiveria
improvvisa.
« Non sembrava ti dispiacesse tanto parlare con me quando eri
solo » considerò in un sussurro addolorato, la fronte corrugata in
un’espressione ferita.
« Solo. Hai detto bene » sottolineò Draco
con puntuale freddezza.
Hermione chinò
il capo e trasse un respiro profondo. Ebbe bisogno di un’enorme sforzo di
volontà per non piangere lì, davanti a lui: ad arginare le lacrime, era rimasta
solo la sua dignità, ancora più salda di fronte a quelle malignità gratuite.
« D’accordo » disse piano. « Non capisco perché lo fai, ma so
che questa è solo una delle tue facce, Malfoy » I
suoi occhi, trasparenti in un modo che Draco non si
sarebbe mai aspettato, erano lo specchio limpido della sua anima. Attese
qualche istante, prima di voltargli le spalle. Rimase immobile a guardarlo, come
se si aspettasse una replica da parte sua, ma quando questa non giunse, se ne
andò senza fiatare, trascinandosi dietro una scia di sangue invisibile.
Era un gioco stupido, si disse Draco,
ferirla per sentirsi invincibile, per domare la paura e per convincersi di
avere una speranza di salvezza. Forse era il gesto più coraggioso che avesse
mai fatto in vita sua: sacrificare se stesso e il suo amore per la salvezza di Hermione, e fingere che quell’immolazione non gli costasse
ogni singola molecola del suo essere.
Ma era quella la maschera che aveva deciso di indossare. La
migliore, per il bene di Hermione.
Capitolo 9 *** Capitolo IX - Il prezzo da pagare ***
9.
Il prezzo da pagare
Quando
Gennaio finì, Febbraio cominciò nel silenzio. Di tutte le ore rubate a quell’esistenza sempre uguale,
a quella vita fatta di spazi angusti e povertà, condannata al castigo di una
luce fallace, quelle che Draco preferiva erano
senz’altro quelle passate con Hermione. Tuttavia, da
quando aveva deciso di allontanarla, lui, per lei, sembrava aver smesso di
esistere. Non era sicuro di aver fatto la scelta giusta, perché la sua mancanza
si era fatta ancora più dolorosa, dopo aver conosciuto la sua presenza, e in
più gli sembrava di vedere una luce asfittica, quasi ferita, negli occhi della
ragazza, quando si azzardava a guardarla, a provocarla, a parlarle. Sentiva il
peso della sua decisione premergli nel petto, nel tentativo di stanare
quell’amore che gli si era annidato nel cuore e che faceva più male di tutto,
eppure non poteva dirsi del tutto pentito. Era una delle poche scelte che Draco aveva preso in totale autonomia, senza spinte esterne
e privo di condizionamenti; soprattutto, cosa ancora più importante, era
l’unica scelta che aveva preso per altruismo, e non per se stesso com’era
solito fare. Era una sensazione nuova, strana e bellissima al tempo stesso, ma
pungente e dolorosa come non si sarebbe aspettato. Combattuto tra il desiderio
di avvicinarsi a lei e la consapevolezza di doversi mantenere coerente con la
sua decisione, Draco continuava a vivere in un
purgatorio senza via d’uscita. Talvolta le si avvicinava, apriva la bocca e poi
le sbadigliava davanti con sfacciataggine, come se lei fosse un fastidio:
l’intenzione era quella di parlarle, perché ne sentiva il bisogno, perché
nonostante sapesse di aver fatto la cosa giusta non poteva esimersi dal
desiderare quella sbagliata. Qualche volta, invece, le parlava davvero: erano
per lo più insulti, offese pungenti e qualche volta persino feroci, perché lei,
chiusa nel suo silenzio, sembrava irraggiungibile quanto la fine della guerra.
Draco non lo sapeva ancora, ma stava cominciando a intuire il costo delle
decisioni: le scelte prese in totale autonomia, con volontà e per giustizia,
non sono mai indolori, e lui lo stava imparando a sua spese, pagando il prezzo
che quell’amore gli stava chiedendo.
Hermione, dal canto suo, preferiva il vuoto lasciato dall’amarezza
della solitudine, piuttosto che la beffa dolorosa che aveva dovuto sopportare
fino a quel momento. In fondo, Ginny aveva ragione:
perché sopportare offese e insulti da un ragazzino arrogante che aveva a cuore
soltanto se stesso? D’altronde, lei non poteva immaginare che l’amica avesse
uno sguardo più lungo del suo, e che avesse intuito, per caso o per destino, da
lontano, più di quanto non avesse capito lei standogli accanto.
Lo osservava, Hermione,
da lontano e di nascosto, segretamente attirata da lui per una motivazione che
le rimaneva oscura e che tuttavia la spingeva a stargli lontana. Aveva anche
altri pensieri, questo è ovvio, perché la guerra si stringeva attorno a loro
con una morsa spettrale e tangibile, e la campana di vetro che avevano
costruito, e che li isolava dal mondo esterno, non sarebbe durata in eterno. Lo
sapeva bene, lei, che cominciava già a perdere le memorie della vita
considerata normale. Quello che c’era prima, la vita precedente alla guerra,
sembrava solo un bellissimo sogno: aveva la consistenza eterea e impalpabile di
una speranza infranta con il dolore di un risveglio crudele. Ricordava a stento
il sole di giugno, la brezza del parco, l’odore di carta e inchiostro, la
frustrazione per un brutto voto, l’effluvio dei sotterranei. Erano tutte cose
che aveva dimenticato, che le sembrava di non aver mai vissuto. Forse, cercava
di convincersi, era per questo che tendeva verso Malfoy
con la spasmodica ansia di una scolaretta alle prese con i primi esami: lui era
quanto di più vicino alla normalità avesse, quanto di più simile alla vita
prima della guerra.
Non sapeva, Hermione,
che era un sentimento totalmente diverso a guidarla verso Draco,
ma il sospetto aveva già cominciato a crescere in lei, come un albero
ingombrante che faceva strisciare le sue radici fastidiose e inarrestabili nel
ventre della terra – nel cuore di Hermione. I semi di
quella pianta erano terribili e cattivi, sarebbe stato necessario estirparli
subito. Invece lei non li riconobbe e li lasciò crescere, permise loro di
infestare il suo cuore, trapassandolo con le sue radici. Quando lei cominciò a
capirlo, era già troppo tardi per sbarazzarsene.
***
« Perché non gli parli più? » La voce di Neville
era flebile, un sussurro tenue animato da una malizia innocente. Hermione alzò gli occhi su di lui, una limpida sorpresa ad
accenderle lo sguardo. Non parlò, ma la sua occhiata perplessa e la piega
imbarazzata delle sue labbra spinsero il giovane a specificare, con cautela: « Malfoy ».
La ragazza chinò il capo e si concentrò
nuovamente sulle bende di Neville. Le svolse lentamente, con uno zelo che non
aveva mai avuto e che aveva l’unico scopo di evitare lo sguardo incuriosito con
cui lui la stava trapassando. Non erano occhi avidi, i suoi, né pretenziosi;
non la stava giudicando e, lei lo sapeva, non avrebbe preteso più di quanto
fosse disposta a dire, eppure Hermione si sentì comunque
messa alle strette.
« Lui… » Le sfuggì un sospiro a fior di labbra,
camuffato da un fremito che non aveva niente a che vedere con Draco, e tutto con la carne viva che ricopriva il petto di
Neville, unica eredità di una Maledizione che aveva rischiato di ucciderlo. « È
una persona cattiva » disse alla fine con poca convinzione, le labbra
arricciate in una smorfia intristita. Con delicatezza, poggiò le bende pulite
sulla ferita, esercitando una pressione lieve e prudente. Sapeva che la sua
risposta non era soddisfacente, e neanche lontanamente vicina alla realtà delle
cose, eppure non poté esimersi da quel commento.
Neville sospirò, ed Hermione
ritrasse la mano, spaventata, temendo di avergli causato dolore con un tocco
poco gentile. Lui, però, non diede segno di aver notato quell’esitazione.
« Esiste una rabbia che non ha niente a che
vedere con la cattiveria. È il ruggito di chi cerca di nascondere le proprie
fragilità »
La mano di Hermione si
fermò a pochi centimetri dal torace del ragazzo. Un tremore delicato le correva
lungo le dita, mentre una ragnatela scarlatta si allargava sulle bende bianche,
disegnando sentieri cremisi sul candore non più immacolato di quel medicamento
poco efficace. I suoi occhi, lentamente, si posarono su Neville, percorrendo
con una flemma quasi esasperante il bicipite tornito, il profilo della sua
spalla, la guancia sfregiata, e infine posandosi dentro le sue pupille, abisso
e baratro senza confine. Avrebbe voluto vedere il fondo di quegli occhi, Hermione, percorrere la strada che le si snodava davanti e
giungere alla frontiera illesa, superarla e avere una risposta, ma era
impossibile trovare la fine, dentro gli occhi di Neville, e per quanto lei la
cercasse non riuscì a raggiungerla, pur sapendo che aveva tutto a che fare con
quello che lui aveva visto nella testa di Malfoy –
sarebbe stato come guardargli dentro, guardare l’anima di Draco
e capire.
« Che vuoi dire? » domandò Hermione
con un sospiro vuoto, gli occhi spalancati dal dubbio divorante che le cresceva
dentro al ritmo del suo cuore. Neville sorrise, e l’enigma del suo sguardo si
fece ancora più insondabile. Poi, dietro il velo opaco delle sue risposte, si
accese una scintilla di dolore.
« Sai, dovresti… » indicò con un cenno impacciato
della mano la sua ferita ancora scoperchiata « Brucia un po’, così » aggiunse
con un sospiro timido che nascondeva il fremito di un’intensa sofferenza.
Hermione scosse il capo e si affrettò a ultimare la medicazione.
Fuori dalla tenda regnava un silenzio assoluto, spezzato solo dal fischio del
vento e alimentato da un silenzio interiore che rumoreggiava come una tempesta.
Quando ebbe appuntato anche l’ultima benda, la ragazza rivolse al giovane un
sorriso incoraggiante, dopodiché gli porse una pozione e, dopo essersi
assicurata che non gli servisse altro, uscì dalla tenda.
L’aria del primo pomeriggio era fresca e pulita,
suggeriva memorie di tempi felici e portava lontano le angosce di una guerra
che sembrava improvvisamente inesistente. Hermione la
respirò a pieni polmoni, la palpebre socchiuse e le gote lievemente arrossate
dal freddo. Una pace insperata le si era posata sul cuore. Le parole di Neville
le avevano cucito addosso una serenità che le aveva riempito il petto, e una
nuova fiducia l’aveva pervasa.
Riaprì gli occhi con un lieve sorriso sul volto,
e li posò sulla sagoma lontana di Draco con una
sicurezza che non la sorprese, perché in fondo aveva sempre saputo dove
cercarlo. Quando gli occhi del giovane si posarono su di lei, con una
meraviglia senza misura ma inquinata dalla rabbia e dal timore, lei rimase
immobile, accogliendo quello sguardo su di sé senza che una sola domanda le
nascesse nel cuore.
Da dove venisse quella pace, Hermione
non l’avrebbe capito mai. Ma mentre si avvicinava a lui, cominciava forse a
intuire quel dolore maldestro che si rimpiccioliva dentro i suoi occhi
mercuriali fin quasi a sparire, per poi esplodere di nuovo, inspiegabilmente,
al primo soffio di vento – perché quel vento aveva portato una novità che lui
non voleva vedere e che lei non era pronta a ricevere, non ora che una nuova
sicurezza le aveva aperto il cuore.
« Hermione »
Era una voce che lei conosceva e che non aveva
mai dimenticato. Era una voce che aveva sognato, sperato di udire, esplosa da
qualche parte nella sua mente proprio in quel momento, mentre andava con la
sicurezza di andare, sapendo dove, sapendo come. Era stato, per un attimo, solo
per un istante, una sensazione meravigliosa, come se il suo cuore si fosse
schiuso e le avesse indicato un sentiero inequivocabile. Non c’era più vento,
non c’era più suono, c’era solo quella sicurezza; ed era bastato un nome – il
suo – perché sparisse tutto, risucchiato dal vortice malsano di un ricordo. Era
bastata una voce – quella di Ron – a inchiodarla lì,
il cuore stranamente pesante e adesso privo di quella certezza, e di nuovo
inquinato da una sensazione atroce.
Delusione.
Il sorriso tenue di Ron
era esattamente come lo ricordava, una smorfia calda e buffa che aveva il
sapore dell’adolescenza e il profumo di casa. Hermione
aveva atteso il suo ritorno per anni: da quando era cominciata la guerra, da
quando lui e Harry se n’erano andati, non era passato un solo giorno senza che
il suo viso tormentasse i suoi sogni e scompigliasse il suo cuore. Per
amicizia, amore o senso di colpa, era stato un pensiero fisso da cui non era
riuscita a esimersi. Finché non era arrivato Draco.
Se ne rendeva conto solo adesso, Hermione. Adesso, che guardava il viso di RonWeasley e lo scopriva diverso
da come lo ricordava – non erano le rughe, o le cicatrici, né la sporcizia o
l’opacità dei suoi capelli. Era la sua memoria che la ingannava, o forse il suo
cuore che lo oscurava di una luce diversa – prima era luminoso e ora era
spento, Ron.
Aveva smesso di pensare a lui, e l’aveva
dimenticato.
Il dolore le schizzò acuto nel cervello, rimbombò
fino allo stomaco e si estese nel petto come veleno. Un singhiozzo le sfuggì
dalle labbra mentre Ron la stringeva in un abbraccio,
fraintendendo la sua esitazione, la sua espressione, il suo dolore. Percepì la
sua carezza solo con una parte della sua mente – mani caldi e forti, ruvide
eppure dolci. Aveva sempre desiderato quel tocco, ma, improvvisamente Ron la confondeva. Quel ritorno inaspettato la confondeva.
« Sei… sei tornato » balbettò confusa,
accarezzando con gli occhi la linea screpolata delle labbra e posandosi,
spaesata, dentro l’azzurro delle sue iridi. Lui annuì con un sorriso luminoso
avvolgendo il viso di Hermione tra le sue mani e
posandole un bacio delicato e casto sulla punta del naso.
Poi, successe tutto troppo in fretta perché lei
potesse capire qualcosa: lampi di capelli rossi dappertutto, la voce stridula
di Molly, il ghigno di Fred e George, la commozione di Arthur, gli occhiali di
Harry, il timore di Ginny, la felicità di tutti, la
rabbia di Draco. La rabbia di Draco.
***
Furono necessarie diverse ore perché
all’accampamento tornasse la calma. Il ritorno di Harry e Ron
aveva risvegliato un mostro dormiente: la speranza. L’eccitazione che aveva
pervaso i cuori dei membri dell’Ordine era esplosa nel momento in cui i due
ragazzi avevano messo piede dentro il campo in cui loro si nascondevano. Non
sapevano ancora cosa quel ritorno significasse, ma vedere due facce amiche,e ancor più quella del Bambino Sopravvissuto,
era senz’altro un buon segno.
Quando terminarono i saluti, le lacrime e i
festeggiamenti, il sole era già tramontato. Molly si era messa ai fornelli con
un sorriso luminoso, e Fred e George non ne potevano essere più lieti: il
ritorno del fratello, oltre a renderli felici, avrebbe senz’altro riempito i
loro stomaci di qualcosa di più gradevole al palato di foglie secche e radici
marce.
Ginny era riuscita a superare la sua paura più grande, e ora sorrideva come
tutti, tenendo la mano a Harry come se non dovesse lasciarla mai più. Né lui né
Ron avevano fatto commenti sulla sua cicatrice, quasi
questa non esistesse affatto; solo dopo diverse ore suo fratello gli aveva
chiesto, con una semplicità e una serietà disarmanti, chi era il colpevole. Lei
l’aveva abbracciato senza rispondere.
Hermione aveva avuto il tempo di capire che la sua confusione era
dovuta solo alla sorpresa. Dimenticata la pace che l’aveva conquistata per due
meravigliosi, interminabili minuti, era dovuta scendere a patti con se stessa e
ammettere che il senso di colpa l’aveva lacerata al punto che il ritorno dei
suoi amici l’aveva lasciata delusa e amareggiata più perché non era stata in
grado di trovarli e aiutarli, piuttosto che per il fatto che non era felice di
vederli.
Cominciò a dubitare di quella nuova sicurezza che
si era fatta strada nel suo cuore quando Ron strepitò
con una rabbia e un disgusto eccessivi tutta la sua ritrosia.
« Che ci fa lui qui? »
L’allegra caciara che riempiva l’accampamento si
spense all’improvviso, lasciando posto a un lieve ronzio imbarazzato. I sorrisi
spensierati scemarono, sostituiti da espressioni sorprese o smorfie
consapevoli. L’illusione che la guerra non fosse mai cominciata svanì quando
Ronald Weasley puntò un dito accusatore contro DracoMalfoy: entrambi si
squadrarono, ugualmente guardinghi, ugualmente sfrontati, disgustati allo
stesso modo.
L’impacciato silenzio che era esploso, quasi come
un ricordo doloroso, senso di colpa mai del tutto sopito, si incollò ai volti
dei presenti cristallizzandoli nella vergognosa convinzione che quel ragazzo
non doveva trovarsi lì e che la guerra era solo una scusa. I calici, prima
levati in onore di Harry e Ron, si abbassarono; i
sorrisi scomparvero; le risate ammutolirono e persino la vaga certezza che
tutto potesse andare per il meglio venne inghiottita da quell’unica domanda.
« Va tutto bene, Ron. È
nostro prigioniero » Hermione, il viso leggermente
arrossato dall’imbarazzo, poggiò con delicatezza una mano sulla spalla di Ron, che fissava il biondo in cagnesco. Nessuno dei due
sembrava intenzionato ad abbassare gli occhi per primo: più che un gioco, era
una sfida. Era passato il tempo dei dispetti fatti per divertimento, delle
marachelle giocate per ridere; ora, quel che c’era in gioco era molto più
grande, molto più importante. Chinare il capo avrebbe significato farsi
vincere, e in quella guerra persino la più piccola sconfitta poteva decidere la
sorte delle due parti.
« Non mi sembra di vedere catene » osservò Harry
con una limpida sorpresa a irrigidirgli la voce. Con un gesto frettoloso, sfilò
gli occhiali, pulì le lenti con un lembo della maglietta e poi li inforcò di
nuovo. Sembrava cercare qualcosa – la risposta che gli sfuggiva.
« Le catene di Malfoy
sono invisibili, Harry » rispose Neville pacatamente. Gli occhi di tutti si
puntarono sul ragazzo. Era pallido, ma nonostante questo la sua figura
slanciata e smagrita spiccava livida tra la folla che si era accalcata attorno
al fuoco. Lui e Luna erano gli unici che continuavano a sorseggiare con
tranquillità la loro zuppa, come se non ci fosse mai stata nessuna
interruzione, niente per cui valesse la pena distrarsi dal loro compito.
I presenti – tutti quelli che erano stati dentro
il campo abbastanza a lungo da vedere la cattura di Malfoy
– corrugarono la fronte, domandandosi segretamente chi e quando aveva imposto
quel genere di magia sul prigioniero, quand’era sempre stato chiaro a tutti che
la sua posizione privilegiata sarebbe costata la vita a qualcuno.
Harry e Ron, però,
fraintendendo totalmente le parole del loro amico, tirarono un lieve sospiro di
sollievo. Il primo fece spallucce e rivolse un sorriso alla sua fidanzata; il
secondo, dopo un’ultima occhiata truce, grugnì tutta la sua disapprovazione
prima di infilarsi nella prima tenda disponibile, offeso da qualcosa di non del
tutto chiaro.
I festeggiamenti per il ritorno del Bambino
Sopravvissuto continuarono tutta la notte, così Hermione
non ebbe modo, né tempo, di domandare ai suoi migliori amici quali erano stati
i frutti della loro ricerca. Avrebbe desiderato conoscere i dettagli;
abbracciarli e domandare loro scusa per essere stata così vigliacca; magari,
persino ridere di quella guerra con un sorriso diverso da quella smorfia
impregnata di amarezza che aveva dovuto costruire, giorno dopo giorno, senza di
loro.
Eppure, l’ombra che le avviluppava il cuore era
così greve che non le lasciò spazio per nient’altro che non fosse la ricerca di
risposte di tutt’altro tipo.
« Era una frase ambigua, la tua » considerò Hermione a bassa voce, lanciando uno sguardo di sottecchi a
Neville. Oltre l’ombra lunga che le ultime fiamme del falò disegnavano sul suo
volto, lei intravide un sorriso sghembo.
« Lo so » rispose con un tono leggero, impregnato
d’un ironia delicata. La ragazza non poté trattenere un sorriso a fior di
labbra, mentre gli scoccava un’occhiata a metà tra il risentito e il divertito.
Sopra di loro, scintillava un cielo ammantato di
gelo. Il leggero brusio che aveva animato l’accampamento fino a qualche ora
prima si era spento, sostituito dal fischio sottile di un vento implacabile e
nero che tuttavia, lì dentro, non li poteva raggiungere. Il tempo vuoto dei
loro respiri era scandito solo dal crepitare delle fiamme morenti. Ombre lunghe
e dai riflessi aranciati si allungavano sui loro visi, drappeggiando gli zigomi
di velati misteri.
« Va meglio? » Hermione
indicò con un cenno del capo le bende che fasciavano il petto glabro e bianco
del ragazzo, esposto alle intemperie di quella nottata nonostante il freddo
pungente. Non era una dimostrazione di superiorità o una prova della sua
tempra, ma una semplice necessità dettata dal dolore che un qualsiasi contatto
gli provocava.
« Va meglio, grazie » rispose lui con un sorriso lieve. « E tu, Hermione, stai
bene? » domandò dopo pochi istanti, osservando con cortesia i tratti gentili
della ragazza, gli zigomi alti e i ricci convoluti e disordinati che le
incorniciavano il viso delicato e fine, e posandosi infine sui suoi occhi,
limpidi specchi opachi sui quali le fiamme si riflettevano per poi perdersi
oltre baratri che lui poteva solo immaginare ma non carpire.
« Certo. Perché non dovrei? » Hermione
tornò alla realtà con un battito casuale di ciglia. Fu un movimento tanto
ingenuo e inconsapevole, che strappò a Neville un sorriso capace di mascherare
la serietà della sua domanda.
« Da quando Harry e Ron
sono tornati sei… » L’esitazione di un attimo gli costò una severa occhiata da
parte della ragazza. Il silenzioso avvertimento del suo sguardo, però, non lo
esonerò dal rispondere « spenta » concluse in un soffio, a cui fece eco lo
sbuffo spazientito di Hermione.
« Ho smesso di colpevolizzarmi per averli
abbandonati, quante volte lo dovrò ripetere? » ribadì con esasperata fierezza.
« Non era a questo che mi riferivo » precisò
Neville con tono asciutto. Hermione tacque.
Nonostante la risposta del ragazzo fosse tanto inaspettata quanto vaga, non
ebbe alcuna difficoltà a capire il velato riferimento.
Durante gli anni di guerra, Neville era diventato
un confidente prezioso e un amico irrinunciabile. Il loro rapporto si era fatto
più saldo, complice la paura e il quotidiano pericolo: era più semplice
sopravvivere, avendo qualcuno a cui aggrapparsi. La solitudine, per Hermione, era diventata meno complicata solo grazie a lui:
da bestia feroce e sconosciuta si era trasformata in un’alleata quando
l’amicizia sincera e disinteressata di Neville l’aveva aiutata a superare i
momenti più difficili di quella guerra. Solo allora aveva accettato la mancanza
dei suoi migliori amici e aveva smesso di allontanarsi dal mondo per punizione,
capendo che l’isolamento poteva divenire pericoloso, quando non stemperato da
un sorriso autentico.
Non era perciò sorpresa di sentirlo parlare con
quell’insolenza schietta e a tratti persino presuntuosa che solo un amico vero
può permettersi di avere.
« Non… non capisco. A cosa ti riferisci allora? »
Le palpebre di Hermione tremarono in modo del tutto
impercettibile. Se Neville non l’avesse conosciuta così bene, il leggero
tremito della sua voce sarebbe passato del tutto inosservato.
« È che… » Il ragazzo trasse un profondo respiro
e piantò gli occhi dritti dentro quelli dell’amica. Non era esitazione, né un
tentativo di perdere tempo; piuttosto, sembrava stesse cercando di infondere
coraggio a se stesso. « Hermione, lo sai che sono
dalla tua parte. Sono tuo amico e voglio solo il tuo bene… »
« E allora dì quello che devi dire » lo
interruppe la giovane con un tono fin troppo stizzito per indurlo a parlare.
Neville la guardò negli occhi con espressione severa, un rimprovero delicato a
vibrare tra le ciglia scure. Hermione non abbassò lo
sguardo e non arrossì: salda nella sua determinazione, ricambiò il suo sguardo
pieno con la curiosa ma cauta aspettativa di un carnefice.
« È che Malfoy… » La
sicurezza del suo dire incespicò solo sull’ultima parola, riacquistando
stabilità solo dentro quel nome che, invece, fece perdere ogni solidità allo
sguardo di Hermione.
« Ti ho già detto come la penso su di lui »
scandì lentamente la ragazza, il viso irrigidito in un’espressione fin troppo
statica per essere vera. E infatti, dietro le lunghe ciglia nere, Neville vide
affacciarsi ombre nere e luci inquiete.
« Sì. E anche io. Ma credevo che avessi cambiato
idea » replicò con incertezza, il dubbio a irrigargli la voce.
« Io… » Persino la spessa cortina di buio che
aveva invaso l’accampamento da qualche minuto, quando il fuoco, con un ultimo
lampo morente, si era spento, non impedì a Neville di osservare il viso dell’amica
mentre prendeva rapidamente colore, accendendosi con la violenza di una miccia.
Approfittando di quel momento di esitazione,
Neville prese un respiro profondo e, il capo chino come se si vergognasse
profondamente di ciò che stava per fare, cominciò a parlare.
« So cosa c’è tra a te e Ron,
e capisco che Malfoy… »
« Cosa? Malfoy cosa? » Hermione scattò in piedi, il viso arrossato e i capelli
scarmigliati. Nell’oscurità latente, stemperata solo dalla notte stellata che
brillava sopra le loro teste, i suoi occhi erano due punte di spillo lucenti. «
Pensi che io mi sia preoccupata per lui solo perché avevo bisogno di una
distrazione, in attesa del ritorno di Ron? » strillò
infervorata, una nota acuta a far da contralto al respiro che le si era
spezzato nel petto.
« No » rispose secco Neville, con calma,
riportando lo sguardo su di lei « Tutto il contrario ». La serafica calma del
ragazzo ammutolì Hermione, che, confusa, si
immobilizzò di fronte a lui, in piedi coi pugni chiusi e le pupille dilatate.
L’incertezza si fece strada dentro i suoi occhi sino a diventare sentiero
distinto e inequivocabile. Una densa nebbia si infittì dentro il suo sguardo,
mentre Neville chinava il capo, la fronte corrugata e un lieve rossore sul
volto, a testimoniare tutto il suo imbarazzo e la colpevolezza di
quell’affermazione. Si rese conto solo in quel momento, con gli occhi di Hermione piantati dentro il petto, a sondare le strade
ripide e scoscese dei suoi pensieri, che non si era fermato nel momento giusto,
che aveva detto troppo, taciuto poco. Eppure, nonostante la certezza che non
aveva alcun diritto di interferire con la vita altrui, né con i sentimenti di Hermione, non aveva potuto esimersi da quel commento.
Il problema fondamentale, era che Neville non
aveva mai visto un amore più puro di quello che Draco
nutriva per Hermione, ed era del tutto deciso a dare
la giusta luce a quel sentimento, perché un’emozione come quella, così intensa
e vera, irrimediabile e oscura al tempo stesso, aveva il diritto di vivere.
« Co-come? Che vuoi dire? » balbettò Hermione, immobile di fronte a lui. Sembrava una statua di
puro stupore: la statica meraviglia che le intaccava il viso era un accessorio
puramente casuale, scolpito per errore da un artista maldestro che l’aveva poi
dimenticata lì. Una parte del suo viso era in ombra, ma persino nel buio
Neville poteva vedere i suoi occhi brillare di intatta confusione.
« Niente » Il ragazzo si alzò con un leggero
sbuffo di dolore. Una smorfia di sofferenza pura gli contrasse il viso pallido,
ma ciò non impedì a Hermione di afferrargli il
braccio con una presa salda e decisa, per poi guardarlo con una determinazione
che lui gli aveva visto addosso troppe volte, e che non gli avrebbe lasciato
scampo.
« Neville, che vuoi dire? »
Neville trasse un profondo respiro. Sembrava
incapace di rispondere e, al tempo stesso, di andar via e lasciare l’amica
senza un responso convincente. Il leggero rossore che gli accendeva le gote,
visibile persino nel buio, confermava il crescente imbarazzo che le sue mani,
tremule e maldestre, già denunciavano. Non era mai stato bravo a trattare con i
sentimenti, e la guerra non l’aveva certo aiutato: la maturità che aveva
acquisito era inutile in quel frangente.
« Dico solo che… credo che… che » Una pausa,
un’esitazione incauta. Neville trovò il coraggio di scoccare un’occhiata
sperduta a Hermione, e si trovò i suoi occhi
infuocati e pretenziosi sul volto. « Credo che la distrazione sia stata Ron. In attesa dell’arrivo di… »
Avrebbe dovuto capire dalla luce dei suoi occhi
che era arrabbiata. Peggio, che la rabbia le stava esplodendo nel petto e che
non avrebbe lasciato spazio al perdono. Sapeva, però, che Hermione
non avrebbe accettato scuse né risposte vaghe, e che la verità era l’unica via
di salvezza, per sé e, forse, anche per lei.
« Di chi? Di Malfoy? »
Il tono della ragazza era severo, ma fermo. « Del ragazzino viziato e arrogante
che per anni non ha fatto altro che insultarmi? E che persino adesso,
nonostante io sia stata gentile, e premurosa, e attenta, ha continuato a
offendermi? Quel bambino che ha bisogno di prevaricare gli altri per sentirsi
più forte? Di sminuire gli altri per sentirsi migliore? È questo che pensi? » Neville
non riuscì a guardare negli occhi Hermione nemmeno
per un istante. Assorbì le sue parole in uno statico silenzio, respirando
appena per evitare di spezzare la fragile quiete che continuava a unirli. « Hai
dimenticato cosa ha fatto a te? A me? O ad Hagrid, a
Harry, a Ron, a Lupin? Alle persone a cui vogliamo
bene? »
« Sono parole tue o di Ron?
» La inchiodò così, con parole di burro che le si sciolsero addosso e colarono
in ogni anfratto del suo essere, lasciandola confusa e imbarazzata. La
studentessa più intelligente di tutta Hogwarts rimase
senza parole, zittita dall’alunno più maldestro e imbranato che la scuola avesse
mai conosciuto. Hermione arrossì violentemente e gli
occhi le si riempirono di lacrime: l’imbarazzo che le colorò il viso era lo
stesso che le annebbiò lo sguardo, e che esplose dentro di lei con fastidio,
quando si rese conto che la vicinanza con il suo migliore amico l’aveva
influenzata al punto da cucirle addosso pensieri non suoi. Perché, in ultima
analisi, non era del tutto sicura che quello appena descritto fosse proprioDracoMalfoy.
« Se non ti conoscessi, direi che stai dalla sua
parte » boccheggiò piano, nemmeno troppo sorpresa di scoprire quella verità,
perché sospettata già da tempo.
« Non puoi capire, Hermione.
Sei davvero la strega più brillante che io abbia mai conosciuto, ma questo non
puoi capirlo » Nonostante tutto, il sorriso di Neville era incoraggiante.
***
Hermione non se n’era ancora resa conta, ma Draco
le aveva scavato dentro una ferita che aveva cominciato a sanguinare e di cui
aveva solo un vago sentore. Inconsapevole carnefice, Malfoy
le aveva strappato un brandello d’anima, e il vuoto che le aveva lasciato dentro
iniziava ad allargarsi come una macchia di petrolio nel mare.
Lo sentiva con una parte di sé che non conosceva
ancora, ma che le spezzava il fiato ogni volta che uno sguardo mancato o una
parola di nascosto la facevano rabbrividire – di piacere, di paura.
Era passata quasi una settimana da quando Harry e
Ron erano tornati. Una settimana d’insperata pace e
piacevoli sorprese, di feroce speranza e sorrisi di nascosto. Anche se molti
ancora non lo sapevano, la guerra era a un passo dal risolversi: il Bambino
Sopravvissuto aveva portato con sé i resti di tre dei sette Horcrux,
riducendo a due il numero dei restanti.*
Harry, Ron e Hermione erano diventati più misteriosi nei confronti degli
altri membri dell’Ordine, che si domandavano cosa avessero da sussurrare in
ogni momento della giornata; eppure, la loro positività e il velato ottimismo
che sembrava trasparire dai loro sguardi, aveva contagiato tutti. Tutti,
eccetto uno.
« Qualcuno deve portargli da mangiare » Molly
depositò una ciotola di zuppa calda al centro del tavolo attorno al quale erano
riuniti i ragazzi. Mentre Hermione, intercettando con
un sorriso la preghiera della donna, si alzava in piedi, Ron
scoccò a sua madre un’occhiata torva, arricciando il naso in una smorfia di
puro disgusto e ritrosia.
« Vado io » si offrì la ragazza con un tono
volutamente neutro, velando con un sospiro stanco e indispettito la leggera
premura dei suoi occhi. Ron scattò in piedi ancora
prima che lei riuscisse a sfiorare la ciotola, e le afferrò il polso con
veemenza.
« No » strepitò, aggrottando la fronte con fare
combattivo. « Tu non ti avvicini a quell’avanzo della società » Hermione arrossì delicatamente e rivolse al ragazzo un
sorriso leggero, segretamente compiaciuta da quella preoccupata – e
preoccupante – gelosia, ma anche infastidita da quell’ordine perentorio che
lasciava poco spazio alle sue libertà.
« Oh, allora vai tu, Ronald? » ironizzò Ginny, scoccando al fratello un’occhiata beffarda. Ron inarcò le sopracciglia e spalancò la bocca, oltraggiato
da quel sarcasmo pungente.
« Io non ho nessuna intenzione di… » cominciò,
indicando il punto in cui si rifugiava Malfoy.
« E va bene, vado io » Harry si alzò con uno
sbuffo, afferrò la ciotola e si avviò a grandi passi verso le rive del lago,
mettendo così fine alla discussione. Le eco infuriate dei suoi amici, però, lo
seguirono per tutta la strada.
« Non capisco perché dovremmo dargli da mangiare!
»
« Ron! » Lo strepito di
Hermione lo fece sorridere. Era piacevole sentire la
sua voce, dopo tanti anni di assenza, e trovarla ancora uguale alla ragazzina
che aveva lasciato, nonostante la guerra e i dolori subiti.
« Potrebbe anche procurarselo da solo! Farlo
apparire con la magia, dato che ha ancora la bacchetta » Insistette Ron, sottolineando con incredulità quella concessione che,
era evidente, riteneva assurda.
« Non può farlo, Ron, è
una delle cinque Principali Eccezioni alla Legge di Gamp
sulla Trasfigurazione degli Elementi, e tu dovresti saperlo… » Normalità. Quel
battibecco era la cosa di più vicino alla normalità che sentisse da due anni a
quella parte. Non l’avrebbe mai ammesso davanti a loro, ma gli erano mancati i
loro litigi.
« Non si merita di stare qui! Buon cibo e un
tetto sicuro sopra la testa? È ciò che vuole, te lo dico io. Si è fatto
catturare apposta! »
« Non credo gli piaccia stare qui » La voce di Ginny, poi, era una musica che non aveva mai dimenticato.
Anche lei non era cambiata: ancora bellissima, ancora fiera e combattiva, e la
cicatrice che le aveva tagliato il volto era solo un delizioso difetto che la
rendeva, ai suoi occhi, più coraggiosa e meravigliosa di come la ricordasse.
Per lei poteva anche essere un imbarazzo, ma per lui era solo la testimonianza
di un amore che non avrebbe mai lasciato spegnere.
Con un sospiro, Harry lasciò che le voci dei suoi
amici si spegnessero nella sua testa, e si concentrò sul capo biondo che
sormontava le esili spalle che aveva di fronte.
« Malfoy » lo richiamò
cautamente, con un tono neutro che sperava risultasse più gentile di quanto non
suonasse alle sue orecchie. « Il tuo pranzo » disse, depositando con
delicatezza la ciotola vicino a lui.
Il ragazzo si voltò verso di lui, regalandogli il
profilo dritto e pallido e lasciando solo intravedere il ghigno strafottente
che gli allungava la bocca in una smorfia sghemba.
« Davvero un gesto nobile, Potter » sentenziò
ironico, mentre allungava una mano verso la ciotola. Sotto gli occhi non poi
così increduli di Harry, versò la zuppa a terra e poi lanciò ai suoi piedi la
scodella.
« Non farei tanto lo spiritoso, se fossi in te, Malfoy » disse Harry con tono duro. « C’è un prezzo da
pagare per una vita di falsità » Prima di voltargli le spalle, gli regalò un
ultimo sguardo inquieto.
Solo quando Harry era ormai lontano, Draco si concesse la pace di un respiro ferito. Davanti
agli altri poteva anche fingere che non gli importasse più di nulla, che non
avesse paura di niente, ma la verità era che si rendeva conto, ogni giorno di
più, che il castello di carte che aveva edificato gli stava crollando addosso,
e intorno vedeva solo tempeste nere e feroci da cui non poteva più difendersi.
Le fondamenta di argilla su cui aveva fondato le sue convinzioni si erano
disfatte al primo tocco di pioggia.
Il sorriso sornione che indossava mascherava alla
perfezione le lacrime nascoste che avrebbe voluto versare, ed era uno scudo
alla paura: quella che gli impediva di tirare fuori il coraggio, e confessare
le sue paure più profonde e i suoi sentimenti più sinceri.
Avrebbe desiderato una vita senza complicazioni,
e c’era stato persino un momento in cui aveva pensato di poter ingannare se
stesso e creare una realtà degna di tale nome. La verità era che stava pagando solo
adesso il prezzo delle sue scelte: allontanato da Hermione
proprio quando pensava di poterla avere, ma solo dopo averla sfiorata, aveva
infine compreso l’entità delle sue azioni.
D’altronde, come lui, in molti avevano saldato il
proprio tributo: Ginny aveva una cicatrice a
dimostrarlo. Le ferite di Hermione erano molto più
profonde e invisibili, sensi di colpa o dolori che nessuno poteva conoscere, o
immaginare. Harry conosceva il sacrificio che lo attendeva, ma continuava ad
andare a testa alta verso il suo destino. E Ron non
lo sapeva ancora, ma era già troppo tardi per fermare la macchina
dell’ingiustizia che aveva appena messo in moto. Non lo sapeva ancora, ma avrebbe
pagato quella guerra a un caro prezzo.
* Ricordo che gli Horcrux sono sette:
- Il diario di Tom Riddle
e l’anello di OrvolosonGaunt,
distrutti rispettivamente al terzo e al sesto anno di Harry (da Harry nella
Camera dei Segreti e da Silente)
- Il medaglione di Serpeverde,
la coppa di Tassorosso e il diadema di Corvonero sono i tre distrutti a cui mi riferisco nel
capitolo.
Quel giorno, il cielo era una placca d’argento lucida e greve, che
portava con sé il peso della prossima neve. L’aria era pulita, odorava di
muschio e fulmini, e nonostante gli ululati che riecheggiavano nel bosco, in
lontananza, c’era pace all’accampamento.
« Ti ho portato da
mangiare » annunciò Hermione atona, il viso arrossato
dal freddo vento che spazzava le rive del lago. In silenzio, si avvicinò al
ragazzo, seduto con le gambe incrociate e la schiena poggiata al largo tronco
di una quercia sulle sponde di quella che ormai era la sua casa: delle vecchie
coperte sgualcite costituivano il unico suo giaciglio per la notte, e la chioma
dell’albero era il suo tetto.
« Sai, non hai niente
di cui preoccuparti. Harry e Ron non hanno nulla
contro di te, non ti manderanno via » La voce della ragazza si incrinò in modo
impercettibile. Il viso di Draco, invece, era una
maschera fredda e imperturbabile: non un’ombra né un’incrinatura la
deformarono. « Non puoi andartene, ma credo che ormai tu abbia capito di non
essere un prigioniero » Forse era solo una sua impressione, ma ad Hermione sembrò di vedere un’ombra, sulla sua fronte, come
un cipiglio scettico. « È da tanto che non ti siedi a tavola con noi » La
giovane strega glissò dignitosamente sul fatto che lui si era seduto a tavola
con il resto dell’Ordine solo una volta, e tutto ciò che aveva ottenuto erano
state occhiatacce e borbottii esasperati. « E, non so se ti interessa, ma ieri
i nostri hanno sconfitto alcuni Mangiamorte, nei
pressi dei confini francesi » Il tentativo maldestro della giovane strega di
intraprendere una discussione con lui si stava infrangendo contro un muro
d’indifferenza ch’era tanto sconvolgente quanto inaspettatamente doloroso. Draco non la guardava, non le parlava, né dava segno di
averla sentita, o di degnarsi di accorgersi della sua esistenza. Così, Hermione, punta sul viso e indispettita da quell’improvviso
arroccamento, emise uno sbuffo stizzito.
« D’accordo. Non vuoi
parlarmi. Come preferisci. Ma ti consiglio di mangiare la tua zuppa, perché è
l’ultima cosa che ti daremo se non ti decidi a collaborare » Il suo tono era
visibilmente mutato: la morbida incertezza che ne aveva addolcito la voce era
stata sostituita da una collera sottile ma visibile negli occhi brillanti
d’indignazione. Per un istante, Hermione rimase
immobile, gli occhi puntati sulla testa biondissima del giovane, in attesa di
una replica che non giunse mai. Quando gli voltò le spalle, si accorse con stupore
che qualcosa pungeva dietro le palpebre.
.
***
Il temporale che Hermione aveva atteso era arrivato prima del previsto, in
un’ora imprecisata tra la battaglia di mezzogiorno e il tè delle cinque. Ron era tornato insolitamente arrabbiato, il volto
deformato da una smorfia d’ira e tagliato da un graffio che gli macchiava lo
zigomo di sangue, una richiesta gutturale a graffiargli la gola. Aveva urlato,
nomi e parole di cui tutti avevano compreso ben poco, perché erano frasi
sconnesse in cui si percepiva la vergogna della sconfitta e il dolore della
perdita, sofferenze che ricordavano due anni di guerra, costati eccessivamente,
pagati a un prezzo troppo caro. Aveva urlato, Ron, e
tutto ciò che aveva chiesto era stata un briciolo di giustizia. L’approvazione
non era stata unanime, ma senz’altro la maggior parte dei membri dell’Ordine
era stata d’accordo.
Da quel momento in poi,
DracoMalfoy sarebbe stato
solo un prigioniero in catene, senza diritti né sconti sulla pena.
Poco più tardi, quando la
tempesta era passata, Hermione gli aveva parlato. Nel
silenzio di una tenda che avrebbe dovuto accogliere sussurri ben diversi, lei
lo aveva guardato negli occhi con una dolcezza che aveva il sapore del
risentimento.
«Perché ce l’hai tanto
con lui? » Ron le scoccò un’occhiata in tralice,
scacciando la mano premurosa con la quale la giovane strega gli stava medicando
la ferita al volto. Nei suoi occhi lampeggiò un sentimento indistinto che a Hermione ricordò vagamente quell’espressione ferita che gli
era esplosa addosso al Ballo del Ceppo.
« E me lo chiedi, Hermione? » Lei sospirò, spostando con paziente delicatezza
quelle dita ribelli e riprendendo a disinfettare il profondo taglio che gli
graffiava lo zigomo.
« Ron,
siamo in guerra. Quello che c’è stato prima… non conta niente. Erano dispetti
da ragazzini, questo… » Ron scattò in piedi, gli
occhi infuocati d’ira, facendola sussultare per l’impeto del gesto e lasciando
che il resto delle sue parole morisse prima ancora di vedere la luce.
« E cercare di avvelenarmi
è un dispetto da ragazzino? Tentare di uccidere Silente è un dispetto da
ragazzino? » I pugni stretti e il viso arrossato dalla collera che stava
rapidamente montando dentro di lui, il giovane piantò due enormi occhi adirati
sul volto intimorito di Hermione, che cominciava a
mostrare i primi segni di una mortificazione segreta.
« Non ha cercato di
avvelenare te, e poi… » cominciò, nel
tentativo di calmarlo e farlo ragionare. Fece un passo verso di lui e cercò di
sospingerlo con delicatezza sulla sedia, così da riprendere il suo lavoro, ma Ron si scostò con una rapida e secca scrollata di spalle.
Non aveva visto il leggero tremore segreto che aveva cominciato a scuotere il
corpo della ragazza, esploso in un momento imprecisato di quella discussione,
insieme a un’angoscia che non aveva niente a che fare con lui.
« Mi dispiace, Hermione, ma io non sono come te, io non a riesco a
perdonare, né a dimenticare. Sono ancora convinto che Malfoy
sia qui per un motivo, e se non è quello di ucciderci tutti… »
« Se avesse voluto
ucciderci, l’avrebbe fatto mesi fa, Ron! » Hermione lo fissò con occhi esasperati, abbandonando ogni
tentativo di trattare con lui pacificamente. Non poteva dire di essere
arrabbiata con Ron: da sempre provava nei suoi
confronti qualcosa di più della semplice amicizia, ma talvolta, troppo spesso, il
carattere del ragazzo – la sua impulsività e la sua natura passionale e
irrequieta – avevano fatto nascere in lei ripensamenti su quei sentimenti tanto
forti quanto instabili. Quello non era uno dei loro soliti battibecchi
pacifici, lo capiva dalla luce inquieta negli occhi di Ron,
la stessa che lui pensava di leggere dentro di lei, senza capire che, invece,
era solo un’autentica paura di cui lei non conosceva ancora la causa, quella
che ne accendeva gli occhi e l’istinto.
« È un vigliacco. Lo è
sempre stato, Hermione, e sempre lo sarà » Il cuore
di Hermione si fermò per un lunghissimo, penoso
istante, per poi ripartire a velocità doppia. Il sangue le affluì al viso in un
fiorire imbarazzato che le colorò le gote di un rossore inspiegabile persino a
se stessa. Forse, le parole di Ron erano
assolutamente inconsapevoli, ma, forse, lui aveva capito molto più di quanto
non lasciasse trapelare. « E qui ha trovato quello che cerca: un luogo sicuro,
da cui può osservare lo svolgersi della guerra senza prenderne parte, senza
correre pericoli » Il respiro di Ron si regolarizzò,
le sue parole divennero un sussurro sottile che si insinuò sotto la pelle di Hermione come una lama gelida.
Cos’era quella rabbia ch’era
nata in entrambi, disintegrando la pace degli ultimi giorni, entrambi
l’avrebbero capito solo qualche ora più tardi.
« Puoi biasimarlo?
Abbiamo tutti paura! » Lacrime nella voce di Hermione,
e nei suoi occhi fragili. Ron ingoiò il rancore e la
rabbia e le prese la mano con un gesto impacciato e tremulo, ma quando lei
avvertì il calore della sua pelle, percepì anche tutta la fermezza dei suoi
propositi e quella ancor più salda dei suoi sentimenti.
« Ma questo non ci ha
mai fermato. Ed è ora che lui decida da che parte stare » Nonostante la
dolcezza dei suoi occhi, Hermione non riuscì a tirare
un sospiro di sollievo.
***
Una luna piena, quasi
irreale nella sua perlacea opalescenza, tingeva con pennellate d’argento le
vette degli alberi. Il vento impietoso che aveva soffiato per giorni si era
spento insieme alle discussioni di quel pomeriggio, lasciando dietro di sé una
scia di malcontento – e una prigione con sbarre di legno, ma opprimente almeno
quanto quelle di Azkaban.
Draco non sembrava particolarmente colpito da quella novità: forse
era qualcosa che aspettava già da tempo, forse fingeva indifferenza per
mascherare la sua angoscia, di certo riusciva a dissimulare i suoi sentimenti
in maniera perfetta e insospettabile, perché era entrato nella piccola prigione
improvvisata senza fiatare, si era seduto in un angolo e non aveva più mosso un
solo muscolo. Il suo viso era una statua di immobile fierezza, e se Hermione non l’avesse guardato dal di là di quelle sbarre
crudeli, avrebbe potuto anche pensare che non si era mai mosso dal suo
giaciglio: l’aveva lasciato accovacciato ai piedi di una grande quercia,
l’aveva ritrovato nella stessa posizione, ma dentro la sua nuova cella.
Quando Hermione aprì la porta della prigione era notte fonda. I
grilli frinivano una melodia che cullava i sogni di tutto l’accampamento,
spezzata solo da scricchiolii umidi e fruscii delicati. In lontananza si
sentiva, di tanto in tanto, il bubolare delicato di un gufo. Il manto della
notte era un’insospettabile cappa di umidità e buio.
La porta si aprì senza
mostrare resistenze, con una mansuetudine che si rifletteva nel prigioniero,
immobile in un angolo di quella nuova prigione improvvisata. La giovane strega
entrò con passi delicati e piccoli, nascondendo la sua irrequietezza dietro uno
sguardo fermo dentro il quale si agitava un barlume di inquietudine impossibile
da celare.
Draco non diede segno di averla vista né sentita: non si mosse,
l’espressione immobile almeno quanto la sua postura.
« Tieni » esordì Hermione, depositando al centro della cella una mela lucida
e rotonda. Guardò per qualche istante il frutto, un netto contrasto quasi
grottesco in quel luogo asfissiante, poi posò gli occhi scuri sul ragazzo.
Sorprendentemente, Draco la stava guardando, un
sorrisetto compiaciuto a deformargli il volto pallido e affilato.
« Sensi di colpa, Granger? » la sfidò con tono risentito, gli occhi fissi su
di lei in una provocazione nemmeno troppo velata. Hermione
trattenne a stento il sussulto che le agitò, con un brivido inaspettato, il
cuore, e mascherò la sorpresa dietro un sorriso delicato, segretamente
soddisfatto.
« Ah, ora parli?
Credevo che il gatto ti avesse mangiato la lingua » rispose, nascondendo a
stento quel piacere intimo e inspiegabile che le stava rimescolando l’anima.
Non si aspettava di sentire la sua voce, perché negli ultimi giorni Draco si era chiuso in un silenzio inaccessibile, e pensava
che la sua prigionia avrebbe accresciuto la sua avversione e la sua intangibilità.
Invece, con sua grande meraviglia, lui sembrava persino desideroso di provocarla.
« Credevo che avessi
smesso di preoccuparti per me. Ora che è tornato il tuo patetico caso umano,
che bisogno hai di me? » Draco si alzò in piedi,
lasciando scivolare i suoi occhi lungo l’esile figura della ragazza. Le fu
vicino con un passo, perché le distanze, in quella cella, erano ridotte.
« Ron
non è… » cominciò lei, in una patetica e pallida difesa che lui stroncò con un
gesto svogliato della mano.
« Risparmiami la
predica » la liquidò quasi con noia, mentre si piegava per raccogliere da terra
la mela appena portata, e poi, una volta tornato in piedi, puntava di nuovo gli
occhi su di lei. Adesso, però, nelle sue iridi plumbee si agitava qualcosa.
« Ma si può sapere cosa
ti prende? » sbottò agitata, facendo un passo indietro, incapace di stargli
troppo vicino e di guardare ancora dentro i suoi cinerei. Uno strano calore le
salì improvvisamente alle guance, per un motivo che non riuscì a comprendere. «
Voglio dire, sei sempre stato odioso e insopportabile, ma adesso… non ti degni più
nemmeno di rivolgermi la parola! Continui a evitarmi, e
a fare lo scorbutico e… » Hermione prese fiato,
infastidita, prima di riprendere con enfasi « È così da quando…» Il pensiero
inconsapevole che era nato nella sua mente si allargò sino a diventare fiamma,
fuoco e poi incendio, divampando nella sua mente e divorando ogni parola. La
voce della ragazza si disintegrò in quel momento, bruciando violentemente sino
a diventare cenere, proprio mentre le pupille di Draco
si dilatavano e il terrore cominciava a sgretolare la fine trama dei suoi occhi
chiari.
«
Da quanto è tornato Ron » concluse Hermione in un soffio incredulo, gli occhi piantati dentro
lo sguardo inerme del giovane che aveva di fronte. Improvvisamente, tutti i
pezzi del puzzle andarono al posto giusto, e nei suoi occhi scintillò un lampo di autentica
comprensione.
«
Sei pazza, Granger » Draco
scosse la testa e chinò il capo, distogliendo lo sguardo, ma Hermione non sembrava intenzionata ad accettare quella
debole resa.
«
Spiegami… » cominciò, guardando le spalle ampie del giovane che si agitavano
frenetiche al ritmo del suo respiro.
«
Vattene » ringhiò lui in tutta risposta, un sibilo gelido che, tuttavia, non riuscì
a convincere la ragazza. Hermione si avvicinò a lui
con un passo rapido che annullò ogni distanza e poggiò una mano sulla sua
spalla. Il gesto di Draco fu fulmineo e spiazzante:
si voltò con una rapidità che la sorprese e la spinse contro le sbarre di
legno, stringendole il polso in una morsa ferrea, senza via d’uscita. Mentre la
cella vibrava, smorzando con un tremore silenzioso il colpo ricevuto, Hermione sgranò gli occhi, e anche dentro di lei qualcosa
tremò.
«
Non c’è niente da spiegare » soffiò Draco. La sua
voce era tesa come una corda di violino e lei poteva sentire le sue dita
tremare, mentre le stringeva la carne tiepida del polso. Hermione
respirò cautamente e lo guardò: tra le ciglia scure, i suoi occhi ardevano di una
luce torbida che le fece correre un brivido lungo la schiena.
Un
refolo di vento leggero si infiltrò tra le sbarre della piccola cella. Un turbine di foglie
secche, trascinato da quel soffio lieve, vorticò nell’aria e si impigliò tra i
ricci ribelli della ragazza.
« Io… » Hermione non ebbe il tempo
di prendere fiato che le labbra di Draco erano già
sulle sue, con l’urgenza di un desiderio represso troppo a lungo e il bisogno
di una voglia inconfessabile. La sua bocca aveva il sapore della rabbia e della
bramosia, eppure era morbida e calda come lei non avrebbe mai immaginato. Era
una carezza piena di possesso e intraprendenza.
Draco le
spinse la lingua tra le labbra lentamente, vincendo un’inesistente resistenza,
poi, quando il desiderio si trasformò in necessità, premette tutto il suo corpo
contro quello piccolo e tiepido di Hermione, e
improvvisamente il gelo di quella notte si trasformò in un inferno da cui lui
difficilmente sarebbe uscito. Quando le sue mani, con una reverenza che la
sorprese, le accarezzarono gli zigomi, lei avvertì il tremore violento che lo
stava scuotendo, emozione segreta e irraggiungibile.
Hermione si scostò dopo qualche minuto, con un
sospiro tremulo. Un crepitare lieve le correva sulle guance e sulla fronte. Lui
tese una mano, esitante, e di nuovo le circondò il polso con le dita. La sua
stretta era gentile, come se non pensasse di doverla trattenere, questa volta. Hermione deglutì e alzò lo sguardo su di lui: adesso, qualcosa sembrava essersi placato, in
quegli occhi grigi.
La
notte avanzava lievemente, trascinando dietro di sé i primi bagliori di un’alba
bianca, che tratteneva i bagliori di bei ricordi
destinati a sfiorire. Nessuno dei due lo sapevano ancora, ma quel bacio altro
non era che l’inizio di una pericolosa ragnatela di disperazione, cominciata
proprio da quella confessione maldestra, ben diversa da quella che lui aveva
immaginato.
«
Hermione »
Quella
voce era già stata ambasciatrice di cattive notizie, ma questa volta sul cuore
di entrambi si aprì una crepa che divenne ben presto una voragine irreparabile
e profondissima.
Hermione
alzò il capo e posò due enormi occhi spaesati su Ron,
in piedi accanto la porta della cella, in mano una brocca d’acqua e un tozzo di
pane. Draco, invece, rimase immobile, le dita attorno
al polso della ragazza e il dolore che si allargava lentamente nel petto, come
veleno.
«
Ron » esalò la ragazza. Con il respiro spezzato, Hermione lo guardò. Aveva il fiato di Draco
sul collo e una sensazione opprimente che le dilaniava il cuore, e mentre si
specchiava negli occhi limpidi di Ron, non poté fare
a meno di sentire la colpevolezza intossicarle il cuore. Fu con il capo chino e
il viso rosso di vergogna che, lentamente, con gesti posati che le costarono
una fatica enorme, la giovane riuscì a liberarsi dalla presa di Draco e raggiungere Ron
sull’uscio. Lui non la stava guardando, aveva gli occhi fissi sulle spalle magre
del fu Serpeverde.
«
Ron, ti prego, non … » La voce di Hermione
era roca e bassa, atona e monocorde, una vaga rievocazione proveniente da
chissà quale angolo della sua gola. Ron la interruppe
bruscamente con un gesto della mano, e lei non ebbe il coraggio di ribattere.
Si allontanò donando un’ultima occhiata ferita a Draco
che, adesso, ricambiava lo sguardo del giovane Weasley
con altrettanto astio.
Si
fronteggiarono in silenzio per qualche minuto, mentre le prime luci di un
mattino inclemente accarezzavano le fronde più alte degli alberi e si
insinuavano tra le sbarre di una cella diventata accogliente per il tempo di un
battito – un’eternità, l’unico momento di vita vera. Ron
aveva i pugni serrati, le nocche bianchissime a causa della rabbia, e le
braccia irrigidite, strette lungo i fianchi, come se si stesse sforzando di non
saltargli addosso. Draco, invece, aveva il viso
stanco di un soldato appena tornato da una battaglia lunghissima ed estenuante,
dalla quale era appena uscito sconfitto. Nonostante si aspettasse che lui lo
attaccasse, benché sperasse che lui gli si scagliasse contro, così da avere una
scusa per sfogare la dilaniante e crudele gelosia che gli stava mangiando il
cuore, non fu sorpreso quando Ron richiuse con forza
la porticina di legno della cella, sigillandola con un incantesimo e
voltandogli le spalle senza più uno sguardo o una parola.
Solo
quando lui fu lontano, Draco riuscì a concedersi la
tregua di un sospiro sofferente e di un singhiozzo soffocato.
Mentre
l’alba chiara di un nuovo giorno sorgeva, a pochi metri da lui, Hermione guardò il cielo lontano, rischiarato da una luce
ambigua, e non fu più sicura di niente.
Nota dell’autrice:
Anche se il titolo del capitolo
non viene ripreso nel capitolo stesso, spero che sia chiaro il riferimento sul
quale ho voluto improntare questo piccolo regalo di Natale (spero gradito).
Colgo l’occasione per augurare a
tutti voi meravigliosi lettori un sereno e felice Natale, buone feste e, nel
caso non riuscissi ad aggiornare prima, un buon anno nuovo. Per qualsiasi
domanda, chiarimento, dubbio, desiderio di uccidermi/strozzarmi/farmi soffrire
o altro, mi trovate qui: Eloise.
Draco
fu svegliato da un rumore basso e profondo, un fruscio cupo che, però, nel
silenzio delle prime luci dell’alba risuonò tetro, potente come un tamburo di
guerra. Quando aprì le palpebre, con uno scatto di paura che era frutto di
quegli ultimi anni battaglie e terrori, due grandi occhi scuri lo stavano
fissando.
« Che stai facendo? » domandò con voce gracchiante, ancora
vagamente impastata dal sonno, sobbalzando indietro e battendo la testa contro
una delle sbarre di legno della sua cella. Mentre la vibrazione si smorzava
nell’aria lattiginosa di un’alba fredda e vuota, Neville si alzò in piedi. Non
si scompose nemmeno dopo l’occhiata glaciale dell’altro, e continuò a fissare Draco con solenne serietà.
« Devi andartene. Ora » disse, per poi indicare la porta
della sua prigione, aperta. «
Vai, prima che sia troppo tardi » Si alzò in piedi e lo strattonò forte, tirando la manica
della sua camicia, ormai sudicia, e tentando di sospingerlo verso l’uscita. Draco si divincolò da quella presa e gli scoccò un’occhiata
obliqua.
« Perché? » ringhiò, come un animale ferito. Oltre la figura
slanciata del ragazzo, il fu Serpeverde intravedeva
lame di luce pallida e opaca, pennellate d’oro e arancio che davano persino a
quell’accampamento, persino a quella cella, un’aria rassicurante.
«
Questo non è più un luogo sicuro per te » replicò Neville con tono estremamente
serio, guardando il biondo fisso negli occhi, come se volesse imprimergli nella
mente lo stesso timore che attanagliava il suo cuore ma di cui, era evidente,
l’altro non si curava. Lo dimostrava la risata, fredda e roca, che gli sfuggì
dalle labbra, forse un primo sintomo di pazzia, che Neville accolse con un
cipiglio perplesso e incerto.
«
Non lo è mai stato » sputò Draco con rabbia,
raddrizzandosi e acquistando la stazione eretta. Fronteggiò il ragazzo con
orgoglio e fierezza, e nei suoi occhi grigi lampeggiò, per un istante, quella
luce arrogante che gli era appartenuta molti anni prima, in tempi ben diversi
da quelli che stavano vivendo ora.
«
Vattene, Malfoy. Vattene adesso, prima che sia troppo
tardi » Il tono di Neville era profondo e duro, e nella sua voce c’era l’eco di
una paura che l’altro non riuscì a identificare, a cui non sapeva dare un nome.
« Hai combinato un bel casino stanotte, e… » Non fece in tempo a finire. L’ira
dilagante che saettò nello sguardo di Draco non lo
spaventò, perché sapeva che era una collera innocua, ma lui riuscì comunque a
vedere l’esatto istante in cui qualcosa si frantumò dentro quelle iridi
metalliche, torbide di un sentimento che non aveva fatto in tempo a nascere,
prima che una tempesta inclemente strappasse quelle radici fragili.
«
Hai fatto di tutto perché succedesse » urlò Draco,
incurante del fatto che la sua voce, così acuta e stridula, avrebbe potuto
svegliare tutto l’accampamento. Incurante, infine, persino del fatto che stava
ammettendo un amore che aveva tenuto nascosto troppo a lungo. « E ora mi dici
che devo andarmene. Adesso che… » La voce gli si spezzò nel momento in cui
l’emozione violenta di quella notte raggiunse la gola.
Neville
prese un profondo respiro, prima di replicare, con una calma che non si
rifletteva nell’altro: « Se la ami davvero, vattene via prima che ti veda morto
».
Il
volto di Draco rimase una maschera di implacabile
durezza. Una scintilla vibrò negli occhi cinerei del giovane, prima che questo
rispondesse, in un sibilo glaciale: « Se me ne vado sono già morto ». Una
sfumatura di panico gli colorò la voce, stemperando l’atoniadelle sue parole.
Per qualche minuto, tutto rimase silente.
Neville non replicò alle sue parole, perché sapeva che aveva ragione; Draco si limitò a fissarlo con la consapevolezza che tutto
stava finendo proprio quell’istante: le sue speranze si erano appena infrante
dentro lo sguardo di un ragazzo che aveva deriso, disprezzato, odiato, e che
ora rispettava nel silenzio di un giorno senza fine.
«
Malfoy! » Quel nome, urlato da una voce aspra, colma
di rabbia e disgusto, più che un richiamo era un’accusa, denigratoria ma falsa.
Malfoy non
era esattamente quello che era, ma solo quello che rappresentava. Malfoy era la
fonte originaria dei suoi problemi. Quanto gli sarebbe piaciuto, ora come nove
anni prima, liberarsi dalle catene del suo nome e vivere la sua vita privo di
condizionamenti, libero di scegliere e di sbagliare. Ma era già troppo tardi
per farlo: aveva perso la sua occasione molto tempo prima, quando aveva
permesso ad altri di disporre della sua vita. Ora, quello che rimaneva da fare
non sarebbe stato semplice, ma era l’unica via che poteva percorrere.
Si
voltò verso Ronald Weasley, che procedeva a grandi
passi verso di lui, con una calma gelida sul viso. Lo guardò senza paura, anche
mentre lui ricambiava con odio il suo sguardo.
«
Neville, vattene via » L’attenzione di Ron era tutta
per Malfoy: nonostante si fosse appena rivolto
all’amico, non l’aveva guardato nemmeno un istante, liquidandolo con un rapido
cenno della mano.
«
Ron, per favore, ascoltami » Neville si frappose tra Ron e Draco, tentando di evitare
l’inevitabile. « Non c’è bisogno di arrivare a questo. Non ne abbiamo bisogno,
adesso. Dobbiamo pensare alla guerra, a Vol… » Il
tentativo di farlo ragionare naufragò dentro i suoi occhi, che fiammeggiavano
di collera repressa e astio puro.
«
Neville, non sono affari che ti riguardano » scandì lentamente, scoccandogli
un’occhiata rabbiosa che costrinse l’altro a chinare il capo con fare
rassegnato. Forse Ron aveva ragione: non erano affari
che lo riguardavano, e aveva interferito già troppo.
Neville
emise un sospiro, e prima di uscire dalla cella, lanciò un’occhiata dispiaciuta
a Draco, come una richiesta di perdono.
Il
sole era ormai sorto, e le luci argentee che filtravano oltre lo spesso velo di
nuvole cineree illuminavano d’una luce falsa e irreale tutto l’accampamento. Le
urla di Ron e Draco avevano
svegliato la maggior parte dei presenti, che si erano riuniti attorno la
piccola prigione di legno e ora guardavano i due contendenti con il fiato
sospeso, come in attesa.
Se
Ron aveva ancora un barlume di dubbio e compassione a
frenarlo, nonostante la bacchetta stretta nel pugno, Draco
non aveva più alcuna incertezza.
«
Sì, Paciock, vattene via. Weasley
vuole uccidermi prima che sia troppo tardi » Un lungo ghignò si disegno sul suo
volto, ora increspato da un cipiglio sarcastico, malvagiamente divertito. « Perché
ha paura che gli porti via la ragazza ».
Se
Ron fosse stato un po’ più sicuro di sé, l’avrebbe
senz’altro ucciso all’istante: sarebbe bastato alzare la bacchetta,
puntargliela al petto, urlare quell’incantesimo, temuto e desiderato al tempo
stesso. Malfoy sarebbe caduto senza far rumore, e lui
avrebbe bevuto l’ultima goccia di vita del suo corpo, con il piacere della
vendetta a vibrargli dentro. Avrebbe potuto farlo, se fosse stato certo che Hermione non l’avrebbe rimproverato per tutta la vita, che
lei non lo avrebbe odiato per tutta
la vita. Ma Ron era stato via per due anni; due
lunghissimi anni in cui di Hermione aveva avuto solo
notizie sporadiche, sussurrate di nascosto da alleati incontrati quasi per
caso. Anni in cui di Hermione era rimasto solo il
profumo, ad aleggiare nell’aria dei ricordi più dolci.
Perciò,
Ron mantenne il braccio inerte, lungo il fianco. Non
parlò, mentre stringeva la bacchetta quasi convulsamente, fino a far diventare
le nocche bianche. Una risata lugubre e bassa fu tutto ciò che gli sfuggì dalle
labbra.
«
Hermione non potrebbe mai amare uno come te » sputò
quelle parole con la sicurezza di un disgusto certo e, nonostante le apparenze,
il suo tono e quell’enfasi maldestra ma voluta, andarono a segno.
Draco
respirò a fondo ma qualcosa nel suo stomaco si contorse violentemente. Il suo
viso rimase una maschera imperturbabile: il ghigno sul suo volto si accentuò,
ma era una smorfia a metà, qualcosa che non arrivava a illuminare anche gli
occhi.
«
Naturale. Perché dovrebbe quando può avere uno
come te » ricambiò con lo stesso disprezzo usato da Ron,
marcando con forza sulle ultime quattro sillabe, e accompagnando le sue parole
con un’espressione cattiva.
«
Tu non la meriti » L’urlo di Ron proveniva
direttamente dal cuore, e fu tanto forte e intenso che, per un attimo, gli
invisibili confini di protezione che accerchiavano l’accampamento vibrarono
violentemente, per poi riassestarsi subito dopo. Uno stormo di uccelli,
disturbato dall’eco di quelle grida profonde, si alzò in volo nel cielo,
preferendo altri alberi più quieti per il riposo mattutino. La magia che era
esplosa dentro il ragazzo crepitò ancora per qualche istante sulla punta delle
dita, per poi estinguersi dentro lo sguardo incredulo di Hermione,
arrivata in chissà quale momento di quel litigio.
Draco
la vide con la coda dell’occhio, al di là di quelle sbarre che, per lui, non
erano solo barriere fisiche: accanto a lei, Ginny
osservava la scena con cipiglio scettico. Non ebbe bisogno di pensare, per
sapere cosa doveva fare. Le parole gli uscirono dalle labbra prima che avesse
il tempo di riflettere, o di fermarsi.
«
Pensi davvero che m’importi qualcosa di una schifosa Sanguesporco
come lei? »
Lo
disse perché sapeva già come sarebbe andata a finire. Lo disse perché il suo
destino era quello di uscire da quell’accampamento e venire massacrato in una
guerra in cui non aveva creduto nemmeno un istante. Lo disse perché lesse negli
occhi di Hermione la scelta che avrebbe fatto, e perché
era la cosa giusta: dentro lo sguardo di quella donna a lungo amata, Draco aveva imparato a leggere un alfabeto diverso da
quello della sua vigliaccheria. Forse lei non se ne sarebbe mai resa conto, ma
voleva renderla fiera di lui, farle capire la portata del suo amore. Lo disse,
e mentre lo diceva un tremore segreto e violento gli squassò il cuore. Era il
male minore, per lei; perciò lo disse. Perché tutto quello che Hermione doveva
fare era vivere, seguire la strada che aveva davanti e scoprire il proprio
futuro. Un futuro che con lui non avrebbe potuto avere, perché l’avrebbe
portata tra le braccia della morte. A Draco, invece,
pareva che la sua vita si sarebbe svolta tutta in una stanza priva di porta.
Davanti
a lui, Ronald Weasley lo guardava in cagnesco, il
viso contratto da una rabbia che non era deflagrata solo perché il suo migliore
amico lo aveva frenato con un’occhiata ammonitrice.
«
Ti devi guadagnare il tuo posto qui » sputò quelle parole scandendole con
rabbia, e ogni sillaba sembrava distillata nell’odio e cresciuta nel rancore.
«
Io non devo niente a nessuno » replicò Draco con
altrettanta enfasi, il volto contratto da una collera che deformava i
lineamenti nobili. Se sua madre l’avesse visto in quel momento, non avrebbe
affatto apprezzato quel modo barbaro di porsi con una creatura a lui inferiore,
mostrando sentimenti eccessivi che l’altro non meritava. Ma sua madre, si disse
lui, era lontana, dispersa, dimenticata.
«
Allora fuori » Ron ruggì quelle parole come se
fossero un tuono, potente e foriero di una tempesta che difficilmente avrebbe
potuto terminare in quel momento, in quel luogo.
Forse
era proprio quella sensazione di eterno che spinse Hermione
a voltare le spalle a entrambi, a tutto – Ron, Draco, la cella, le persone intorno a lei, l’accampamento,
tutto – e fuggire, andare lontano da quelle urla, dai litigi, forse persino
dalla guerra – perché quella era una
guerra che non poteva vincere, quella del cuore, non poteva sconfiggerlo, non
poteva uscirne integra, trionfante, non avrebbe potuto, nemmeno se avesse voluto. Perciò Hermione
girò le spalle a entrambi, senza dire una parola. E nel silenzio di quel gesto
il mondo ammutolì per un istante.
***
Silenzio nella foresta. Lontano, bubbolii di gufi
e il fischio del vento. Attorno a lei, fruscii.
Un sottile mantello bianco copriva il
suolo di quella foresta dimenticata. Erano diventate ghiaccio e polvere le
foglie autunnali, tinte di rosso e oro, che qualche mese prima avevano
abbandonato le braccia forti e sicure di alti alberi secolari, i quali avevano vissuto
millenni e visto forse battaglie impetuose e sanguinarie molto più di quella
che adesso si stava combattendo nel cuore della giovane strega.
Un vento implacabile, impolverato di neve,
percorreva le campagne del confine francese. Tra i capelli di Hermione si imprigionarono fiocchi di neve candida, pura
come lei non era mai stata. La neve le accarezzò il viso accaldato,
sciogliendosi sotto il tocco impetuoso di una lacrima. Le ciglia imperlate di
dolore, le gote arrossate dal pianto, Hermione era
china su una tomba anonima, solo una tra le tante. Sconfitta.
Nemmeno lo scricchiolio che annunciava l’arrivo
di qualcuno riuscì a scuoterla da quel torpore. In silenzio e immobile, la
giovane strega rimase china su quel cumulo di terra, le unghie affondate nel
suolo, incrostate di sporcizia e costellate di cicatrici.
Ginevra Weasley le si
sedette accanto senza dire una parola. L’eleganza innata dei suoi modi
contrastava fortemente con quel carattere ribelle e indomabile che, lei sapeva,
le apparteneva più di quell’orrendo sfregio che le tagliava la faccia a metà.
Per moltissimi minuti, l’aria fu riempita solo
dal ritmo incerto dei loro respiri. La neve ricominciò a cadere quieta,
depositandosi sui capelli rossi di Ginny con una
carezza gentile, e sfiorandole la cicatrice sul volto con dita gelate:
sembravano lentiggini bianche e invisibile sul candore della sua pelle.
« Ti ha fatto male? »
Non era una domanda stonata. Avrebbe potuto sembrarlo, in quel silenzio; nel tacito riposo di un bosco
il mutismo in cui entrambe si erano chiuse sembrava quasi obbligatorio, un
dolcissimo oblio dettato dalla necessità, e dal caso. Eppure, quelle parole,
rumore bianco nella pace della foresta, non erano inappropriate, né sbagliate. Non
erano sbagliate le parole, non era sbagliato il momento, non era sbagliato
niente, neanche quel tono quieto, in concordanza con la serenità di quel luogo,
che nascondeva, a dispetto delle apparenze, un caos irrefrenabile sotto la
superficie di muta quiete.
« No » Quello di Hermione
era un sussurro, ma sorpreso. Non era chiaro se Ginny
si riferisse alle parole di Draco o a quel bacio
rubato, ma lei non ebbe bisogno di chiedere conferme. Non le aveva fatto male
quel bacio, non l’avevano ferita quelle parole. No, era la risposta universale. No,
era quello che sentiva di dover rispondere, nonostante il meravigliato stupore
con cui le pronunciò, con una semplicità spiazzante, come se quella risposta
fosse stata lì da sempre, ad attenderla. No,
era la risposta giusta, ed Hermione non poté fare a
meno di chiedersi se non fosse la domanda, ad essere sbagliata.
« Allora perché stai piangendo? » Non era un’accusa. Nel tono di Ginny non c’era traccia di rancore o amarezza, la sua voce
era come un fievole sussurro, delicato e neutro.
« Perché… » La voce di Hermione
si spezzò nell’esatto momento in cui la lacrima che le era rimasta impigliata
tra le ciglia le scivolò lungo la gota. «
Perché le sue labbra mi hanno detto un’altra cosa, Ginny»
Non si stavano guardando negli occhi,
ma nessuna delle due ebbe bisogno di farlo: per vergogna o per discrezione, non
si scambiarono uno sguardo, ma entrambe capirono quanto quelle parole
nascondessero, di implicito.
Ginny strinse le labbra: una linea sottile
e imperscrutabile assottigliò la bocca carnosa, stringendo tra i denti parole
che non aveva intenzione di dire ma che le erano risalite su per la gola,
indesiderati ospiti. Quando parlò, la sua voce era debole, come se fosse rotta
dal pianto.
« Stanno partendo »
E non ci fu bisogno di dire altro.
***
A un passo dall’accampamento, forti
schiocchi rompevano l’equilibrio instabile di quel giorno. Uno dopo l’altro, i
membri dell’Ordine della Fenice si stavano Smaterializzando, diretti verso mete
sconosciute a tutti eccetto che a loro stessi.
Quando Hermione
vide un lampo rosso sparire nel buio profondo della notte inglese, capì di non
avere più scampo. Il cuore le martellò forte contro il petto quando si fermò,
con il fiato corto e una cascata di riccioli a velarle gli occhi e il viso.
« Chi sei venuta a salutare? » La voce di Ron
era severa, ma addolcita da una nota di speranza malcelata, che saettava nei
suoi occhi combattendo con la rabbia cieca. Hermione
si voltò con uno scatto e quando incrociò gli occhi azzurri del ragazzo non
riuscì a trattenere un sospiro di sollievo. Qualcuno, nel viso dell’altro,
mutò: la collera si incrinò e andò in pezzi lentamente, lasciando intravedere
un altro sentimento, più morbido e conosciuto.
«Ron, non
farlo » ansimò Hermione, compiendo un passo verso di
lui. I suoi occhi vagarono incerti per l’accampamento, come alla ricerca di
qualcosa. Quando puntò ancora una volta il suo sguardo su Ron,
la sua espressione era dura e implacabile.
« Hai paura che gli
succeda qualcosa? » Le sue narici si dilatarono al ritmo fremente del suo
respiro.
« Non a lui, a te! » La
giovane strega scosse vigorosamente il capo, nascondendo gli occhi dietro la
massa di ricci ribelli che le ondeggiò attorno alla testa, e celando la sua
ansia dietro la convinzione che l’amore aveva diritto ad essere disonesto e
bugiardo.
Istintivamente, i suoi
occhi cercarono quelli di Draco. Li trovò fermi ad
aspettarli, come se non chiedesse altro che quello sguardo, da sempre. Avrebbe
voluto dirgli qualcosa, Sta’ attento,
aprì la bocca per farlo, Mi dispiace,
ma le parole le rimasero incastrate in gola, Torna da me, impigliate negli occhi, Draco, e alla fine non disse
nulla.
È che a volte le parole
non bastano. E allora servono i colori. E le forme. E le note. E le emozioni.Draco
l’aveva capito, per questo la guardò, con quello sguardo che era il primo
ricambiato da una vita, e per questo era privo di paura e impregnato di un
amore folle, inossidabile, eterno. I suoi
occhi erano come mani invisibili che le sfioravano la pelle, spogliandola, amandola,
adorandola come fosse una dea. Hermione non si era
mai sentita così amata, prima di quel momento.
Così fa il destino:
potrebbe filar via invisibile, e invece brucia dietro di sé, qua e là, alcuni
istanti, fra i mille di una vita. Nella notte del ricordo ardono, quelli,
disegnando la via di fuga della sorte. Fuochi solitari, buoni per darsi una
ragione, una qualsiasi.
Hermione si sarebbe portata dietro quello sguardo per tutta la vita,
anche se non lo sapeva ancora.
Ron chinò il capo, e per un istante Hermione ebbe
la certezza che lui avesse scoperto la sua menzogna. Ma quando puntò gli occhi
su di lei ancora una volta, c’era dolcezza nelle iridi chiare che aveva
imparato ad amare, e poi a odiare per l’attesa, nell’attesa che lui tornasse.
« Devo andare »
sussurrò piano, ma stavolta con tono morbido. « Ma ti prometto che tornerò » Lo
disse con fare rassicurante, allungando una mano verso di lei come se volesse
toccarla, ma ritraendosi all’ultimo con una strana luce negli occhi. Hermione corrugò la fronte, perché quell’arrendevolezza con
cui lasciò che il braccio precipitasse, inerme, lungo il fianco, sembrava
proprio di un uomo sconfitto, che non si sente più all’altezza di niente. Fu
allora che ebbe paura, per la prima volta davvero, una paura folle e
intossicante che le annebbiò la vista. Quando riaprì gli occhi, Ron era scomparso, e aveva portato con sé anche Draco.
***
Un’alba
umida e agghiacciante bagnava di bagliori ciechi la foresta. La nebbia era
scesa durante la notte, avvolgendo con un vapore lattiginoso forme e colori e impacchettando
tutto in una distesa lattea: la neve era stemperata dal grigiore opaco di
quella foschia ingiusta.
Quell’atmosfera
cupa rendeva la logorante attesa dell’accampamento una pena se possibile ancora
maggiore. Ogni cosa taceva, dietro il velo lattescente di quella spessa bruma:
nessuno osava fiatare, e con il capo chino ognuno aspettava: un segno, un
miraggio, qualcosa.
Ma
Hermione era stanca di aspettare. Aspettare senza
sapere era una delle più grandi incapacità delle sue vita, e lei non sopportava
di essere incapace in qualcosa. Perché, nell’attesa, aveva avuto lo spazio, già
prima d’allora, per costruire enormi impalcature di significato, e dieci minuti
dopo farle crollare, per sua stessa mano. Poi, riprendere da un punto
qualunque, correggere il tiro di qualche centimetro per rendere la costruzione
immaginata più solida; salvo poi vederla crollare di nuovo. Hermione
non sapeva aspettare e non voleva farlo, perché sapeva che nell’attesa i mostri
prendono forma e si ingigantiscono, mangiano le ore per crescere; sapeva che alla
fine l’avrebbero mangiata viva.
Era
per questo che si teneva impegnata, consultando piani d’attacco e studiando
difese, rivedendo stratagemmi e punti d’offesa. Dopo due giorni di silenzio e
due notti privi del consolatorio abbraccio dei sogni, ancora non si era
stancata di fingere che non le importasse. Solo l’occhiata ammonitrice di Ginny riuscì a riportarla sulla retta via e la costrinse a
ore di assoluto e sterile mutismo.
Nessuno
si aspettava un silenzio tanto lungo, semplicemente perché quel piano, studiato
da un Ron troppo accecato dalla rabbia e dall’odio,
era quanto di più simile a un tentato suicidio potesse esserci. Per questo
Harry e Neville gli avevano dato corda, per questo all’accampamento l’attesa
era tanto tetra: non è mai facile aspettare la morte.
Perciò,
quando, con uno schiocco di sterpaglie strappate al letto umido della terra,
Ronald Weasley si Materializzò al centro
dell’accampamento, tutti trattennero il fiato. Il ragazzo fece due passi,
barcollò, cadde e si rialzò. Poi, con gesti lenti e misurati, alzò lo sguardo e
cercò gli occhi di Hermione.
Hermione
non li dimenticherà mai: quelli sono gli occhi di un uomo. Hanno dentro rancore
e goffaggine, imbarazzo e dolore, colpa e soddisfazione. Hanno dentro la
risposta che Hermione sa già.
«Devo
dirti una cosa, Hermione»
Ron la guardò, e per un istante fu certo della sua scelta. Perché aveva
scelto il male minore, e lo aveva fatto per Hermione.
Per sapere a quale epoca è rimandato il prossimo aggiornamento,
consultate la mia pagina:
Un pigro sole faceva
capolino da dietro nuvole grevi di pioggia. L’aria fredda del primo pomeriggio
portava con sé profumo di temporale, ma quei raggi delicati, che lottavano per
farsi strada tra la coltre pesante di nuvole cineree, lasciavano sperare un
possibile miglioramento.
Il centro di Londra era
come sempre frenetico, e risuonava di un brusio delicato, accompagnato dal
cinguettare di alcuni passeri ritardatari e dello sfrecciare delle auto. Il
ticchettio costante e rapido delle sue falcate era quasi muto, invisibile in
mezzo al rumore di una città in movimento.
Camminava a testa alta,
il giovane, eppure la linea sottile delle labbra era increspata in una smorfia
che di sicuro non aveva nulla, se non il dolore che si intravedeva nelle iridi
azzurre, scintillanti d’incertezza e malinconia. Camminava a testa alta, Ronald
Weasley, ma aveva i pugni chiusi, le nocche sbiancate
dalla tensione e il cuore sporco di colpa.
L’appartamento verso
cui si dirigeva si trovava in un piccolo quartiere pacifico e sereno, tanto
anonimo che gli era stato difficile individuarlo nel dedalo di strade della
grande metropoli. Il portiere dello stabile era un anziano dal sorriso bonario
che non gli fece domande quando lo vide varcare la soglia del portone,
spalancato – ma forse, dipendeva dal fatto che gli aveva lanciato un silenzioso
Incantesimo Confundus. Mentre saliva i gradini a uno
a uno, lentamente, modulando il respiro su ritmi tenui, il ticchettio dei suoi
passi risuonò tetramente nella tromba delle scale. Quando giunse al secondo
piano si fermò davanti la porta con sguardo assente. Il numero ricamato sulla
porta, in ottone ossidato, riluceva alla luce che filtrava dalla grande vetrata
alla sua destra. La sua mano tremò appena mentre si alzava per bussare: sotto
le dita, crepitava un nervosismo quasi tangibile. Il suono sordo e secco che si
levò nell’aria quando le sue nocche toccarono due volte, con decisione, la
superficie lignea della porta, somigliava molto a quello del suo cuore.
Quando la porta si
aprì, tutto il suo corpo ebbe un sussulto. Per un istante, fu accecato dalla
fortissima luce proveniente dalla finestra di fronte a lui: chiunque avesse
aperto la porta, al momento era solo una sagoma, esile e minuta, bagnata d’oro
dai raggi del sole. Ron socchiuse gli occhi, feriti
dall’intensa e improvvisa luminosità, per cui non riuscì a vedere il sorriso
tenue e sereno che scivolava via dal viso della donna, improvvisamente pallido
e posseduto da un’espressione sorpresa, ma dura. Quando riuscì a riaprire le
palpebre, il fremito che attraversò la sua schiena gli sfuggì dalle labbra
sotto forma di un singulto.
« Che ci fai, tu, qui?
» La voce di Hermione aveva la stessa morbida
tonalità di quando lei aveva diciannove anni. Dietro alla severità di quella
domanda, oltre l’occhiata inquieta che lei lanciò alle sue spalle, Ron vide la ragazzina che aveva amato e che, nonostante gli
anni di lontananza e assenza, continuava ancora ad amare.
« Ho provato a scriverti, ma non hai risposto » Scoprì con sorpresa che la sua voce era ferma: il tremolio
delle sue mani sembrava essersi fermato alle sole dita. « Devo parlarti » aggiunse in
un soffio. Aveva la gola secca, ogni sillaba gli bruciava l’esofago e graffiava
la trachea, dolorosa, difficile.
Hermione serrò la mascella. Le sue dita, piccole e
affusolate, appoggiate allo stipite della porta, ebbero un fremito lieve che,
tuttavia, a lui non sfuggì. Il suo corpo, per quanto piccolo e minuto, sembrava
una barriera impenetrabile: schermava tutto l’appartamento impedendogli di
guardare dentro. La donna gettò un’altra occhiata alle sue spalle e poi, dopo
aver emesso un lunghissimo sospiro, fece un passo indietro per lasciarlo
entrare. I suoi occhi non si staccarono mai dal viso di Ron.
L’uomo si guardò intorno, facendo il suo ingresso
nel piccolo appartamento. Era caldo e accogliente proprio come l’aveva
immaginato. La finestra alle loro spalle gettava una luce dorata nel salottino
ordinato, arredato in modo semplice ma elegante. Tutto, lì dentro, profumava di
pesca, come la pelle di Hermione, e mentre lui la
guardava, per un istante, gli sembrò di tornare indietro di dieci anni. Ma era
passato tanto tempo, troppo per poter anche solo pensare di tornare indietro:
lo testimoniavano piccole bombe che esplodevano al tocco lieve dei suoi occhi,
frantumandogli il cuore.
L’orologio maschile poggiato sulla cassettiera
alla sua sinistra.
I due bicchieri di vino adagiati sul tavolino del
salotto.
La giacca da uomo appesa all’ingresso.
Le lenzuola disfatte che si intravedevano oltre la
porta della camera da letto.
Segni silenziosi di una vita che lei passava
serenamente con un altro, quell’altro che non era lui.
Hermione era ferma, immobile, al centro del salotto. Le
braccia conserte e lo sguardo fisso su di lui, lasciava trapelare un certo
nervosismo dallo sguardo. Batteva ritmicamente il piede destro contro il
pavimento, in attesa che lui parlasse. La fronte, increspata in una smorfia
ansiosa, pareva lasciar trapelare un sentimenti indefinibile di piacere e
dolore insieme.
Ron la guardò a lungo, prima di parlare, godendosi
quei particolari del suo viso che gli erano sfuggiti durante quegli anni di
lontananza. Intorno agli occhi, le si erano formate rughe sottili, appena
visibili al di sotto dei riccioli scuri che le incorniciavano l’ovale del
volto. La sua pelle sembrava morbida come sempre, al tatto, e lui dovette fare
un enorme sforzo di volontà per non protendere la mano verso di lei e toccarla.
« So che quello che ho fatto è stato terribile, non mi aspetto
che mi perdoni » esordì l’uomo, guardandolo negli occhi con
intensità, quasi volesse trasmetterle una sicurezza e una calma che lui, in
fondo, non aveva.
« Non ti preoccupare, non lo farò » La naturalità con cui lei rispose, fu un pugno nello
stomaco. Hermione aveva lo sguardo fermo su di lui e
la voce dura, eppure la sua espressione tradiva in un certo senso l’idea di
rigidità che la sua posa, invece, donava, e quella, più dolorosa, di
inflessibilità che la sua voce gli comunicava. Forse, fu proprio il baluginio
vivo degli occhi a convincerlo a restare.
Ron aprì la bocca per ribattere, ma un’altra voce,
maschile e roca, che lui conosceva fin troppo bene, gli fece morire le parole
sulle labbra. Prima ancora di poter vedere la luce di una possibile redenzione,
quell’unica domanda fece sprofondare il suo cuore in un’agonia di dolore senza fine.
« Che ci fa lui qui? » L’acredine con cui DracoMalfoy marcò quel pronome
rispecchiava perfettamente la smorfia d’astio puro del suo viso. Era più
pallido di come lo ricordava, e cominciava a stempiarsi, ma in fondo, era
assolutamente simile al ragazzino arrogante che aveva visto per l’ultima volta
dieci anni prima al funerale del suo migliore amico. I capelli biondissimi
erano incollati sulla testa, e dalle ciocche sulla nuca scivolava ancora
qualche goccia d’acqua, segno che era appena uscito dalla doccia. Indosso,
aveva solo un paio di pantaloni dal taglio elegante e l’aria costosa, quel
genere di abbigliamento che lui non si sarebbe mai potuto permettere.
« Voleva parlarmi » Dato che
lui era ammutolito, Hermione rispose al posto suo.
Mentre i suoi occhi scuri si posavano sul biondo, scorrendo con una certa
disinvoltura sul suo corpo liscio e mezzo nudo, ancora inumidito dalla doccia,
la sua espressione si ammorbidì in maniera così evidente che Ron fu costretto a chinare il capo, ferito e colpito dalla
spiacevole sensazione di essere di troppo, in quella casa. Si sentì un
estraneo, colto in flagrante mentre spia una scena intima, e personale. Quello
sguardo era intimo e personale, e lui non potè fare a
meno di pensare che un tempo quei occhi erano solo suoi, e che lo sarebbero
potuto essere per sempre, se solo non fosse stato così stupido e avventato.
« Parlarti di che? » Lo sguardo
di Draco si spostava da lui a Hermione,
in un alternarsi d’emozioni e sentimenti incredibilmentepercepibili.
« Del terribile errore che ho fatto »Ron piantò due enormi occhi
azzurri sul volto di Malfoy, con una decisione che
sorprese prima di tutto se stesso. Sostenne il suo sguardo con fierezza,
tentando di scacciare la spiacevole sensazione d’essere in torto e di non avere
alcun diritto di guardarlo in quel modo.
« Voglio essere sincero con te. Sono indeciso se strozzarti a
mani nude oppure prendere la bacchetta e lanciarti una Maledizione Senza
Perdono » La voce di Draco era
pacata e bassa, un sibilo strisciante che pareva distillato nell’odio.
« Ero giovane, non sapevo cosa stavo facendo » cercò di giustificarsi Ron,
cercando con lo sguardo Hermione, come sperando di
trovare un appiglio, in lei. Ma quella ragazzina che lui aveva amato non
esisteva più: il volto della donna che ora lui guardava era scivoloso e
sfuggente. Dietro il movimento di ciglia con cui lei abbassò lo sguardo, c’era
tutta l’intenzione di non schierarsi da nessuna parte, per non ferire nessuno
dei due.
Quanto era cambiata? Quanto lui l’aveva cambiata?
« Giovane? Quanti anni bisogna avere per capire la differenza
tra giusto e sbagliato? »Draco fece un passo
verso Ron e si fermò ad appena un metro da lui. Il
suo corpo era proteso verso di lui, e sembrava sul punto di picchiarlo davvero:
tremava e sussultava, trattenendo l’ira tra i denti come un animale dentro una
gabbia, che lotta e scalpita per uscire. Si calmò solo quando Hermione poggiò sulla sua spalla una mano, tiepida e
piccola, minuta e rassicurante. Allora, con un ultimo sguardo feroce, lui sbuffò
e gli voltò le spalle, sparendo a grandi passi dietro una porta.
Hermione seguì quella ritirata con lo sguardo, poi emise
un sospiro e tornò a guardare Ron.
« Adesso è meglio che tu vada » Dentro i
suoi occhi, l’uomo riuscì a leggere un barlume di tenerezza, come un briciolo
di freddezza sfaldata e crollata sul pavimento. Un pezzo della sua armatura
aveva ceduto il passo a una lama di luce che lui accolse senza nessuna
speranza, consapevole che quell’incontro era stato sterile quanto la guerra che
l’aveva provocato.
Mentre voltava le spalle al suo primo e unico
amore, Ron non poté fare a meno di pensare alla
misteriosa circostanza per cui le cose del nostro passato continuano ad
esistere anche quando escono dal raggio della nostra vita, e anzi maturano, portando
frutti nuovi ad ogni stagione, per un raccolto di cui non sappiamo più nulla.
Non potè fare a meno di pensare alla persistenza
illogica della vita.
***
Marzo del 2000
Era un’alba
vuota, quella della vittoria. Nessuno esultava, perché ognuno era chino su un
cadavere. Fratelli, genitori, amici: tutti avevano perduto qualcuno, in quella
guerra senza clemenza e senza giustizia. E persino la sconfitta del più
malvagio mago di tutti i tempi aveva avuto un prezzo troppo alto per poterlo
sopportare.
Quando Hermione aveva guardato Ron negli
occhi aveva capito subito che la verità delle sue parole le avrebbe fatto
troppo male per poterla accettare, ma non avrebbe mai creduto di diventare
incapace di provare sentimenti. Ma era successo, e dal giorno di quella
battaglia maledetta non era passata una sola ora senza che lei piangesse,
dentro di sé, lacrime amare. Per non esserci stata nel momento del bisogno. Per
aver abbandonato, ancora una volta, il suo migliore amico. Piangeva in
silenzio, Hermione, senza che un solo muscolo del suo
volto si muovesse, senza che una sola lacrima bagnasse il suo viso. La sua
punizione era un’apatia invisibile, nascosta sotto strati di sentimenti e buone
intenzioni che erano tutte false.
Fino al suo
arrivo.
Draco avrebbe riconosciuto il suo profilo tra mille.
Illuminata dolcemente dalla luce metallica di un ospedale asettico e troppo
colmo di gente, la linea dritta del naso piccolo e la curva morbida delle
labbra erano un invito a cui lui non poteva rinunciare. Si avvicinò a lei con
passi che non avevano tempo, e accostò il suo volto affilato e pallido, ancora
provato dalla recente operazione subita, alla chioma ribelle. I ricci sparsi e
disordinati della ragazza gli solleticarono gli zigomi nivei. Profumava di
pesca, e lui si sorprese nel rendersi conto di conoscere già quell’odore.
Hermione non si mosse quando avvertì quel corpo solido
contro di lei. La sua schiena si tese e le sue spalle si irrigidirono con un
fremito, ma non diede segno di essere disturbata da quel contatto, come se lo
conoscesse, o aspettasse, da tempo.
« Ti amo da
quando ho undici anni » La voce di Draco era un sussurro sottile, appena udibile nonostante la
distanza esigua che intercorreva tra di loro. Le labbra del fu Serpeverde sfioravano l’orecchio di Hermione,
lambendolo dolcemente con quelle parole di miele che aveva trovato il coraggio
di dire solo allora. Era una fortuna che non fosse già troppo tardi. « Non sono
mai riuscito ad ammetterlo, perché tu sei… » sospirò, e
il suo fiato caldo solleticò il collo della giovane, che però rimase in
silenzio. Strinse appena le labbra, consapevole che la stoccata che stava per
giungere l’avrebbe ferita, ma che lei avrebbe reagito con il fiero distacco di
sempre «… troppo, per me »
Il sospiro
con cui Hermione rilassò le spalle sembrò convincere Draco che poteva continuare.
« Ho cercato
di sopprimere il mio sentimento fin quando ho potuto, ma alla fine è diventato
così forte che ho rischiato di impazzire » Un’altra
pausa, più lunga delle precedenti. Hermione sentiva
la bocca di Draco sul suo orecchio, aprirsi e
chiudersi senza emettere alcun suono. Il suo corpo, solido e sottile, contro la
sua schiena, tremava appena, scosso da un fremito d’emozione che cominciava a
pervadere anche lei. « Io non ti chiedo niente » Il sussurro
del giovane sembrava provenire da una distanza inarrivabile, percorsa fino
all’ultimo metro, e giunta con una sconfitta esausta e stanca. « Tutto
quello che di bello ho avuto dalla vita è stato il mio amore per te. Lo so che
è troppo-»
Non riuscì
mai a finire. La bocca di Hermione era già premuta
sulla sua.
Questa
volta, Ron non ebbe nulla da obiettare mentre
guardava il suo unico amore sfuggirgli dalle dita. Strinse convulsamente il
pugno, consapevole che Hermione era già lontana.
Gli
incantesimi fischiavano sopra le loro teste, e, per errore umano o deficienza
tecnica, spesso addosso alle teste – il cosiddetto fuoco amico. Così
si moriva di piombo patrio. In un frastuono scioccante, gli uomini rimanevano
abbandonati ai loro pensieri, costretti a trascorrere nella passività più
assoluta quelli che in molti casi erano gli ultimi istanti della loro vita.
In quell’orgia di
morte, c’era chi combatteva e chi scappava.
Ron lottava per un
amore che gli stava sfuggendo dalle dita troppo velocemente, e che voleva
fermare con un atto eroico che poi gli sarebbe costato il cuore.
Harry lottava per
dare al suo amore un mondo degno.
Neville lottava
per giustizia.
Voldemort, per vendetta.
Draco non lottava più,
perché il mondo aveva finito di esistere quando gli occhi di Hermione erano scivolati via dai suoi. Non lottava perché
sapeva qual era il suo destino, e qual era la cosa giusta da fare: la sua morte
avrebbe liberato quel mondo, e lei. E quindi correva, Draco,
occhi grigi e cuore in gola. Correva per non guardarsi dentro, per non vedere
un vuoto che fa paura.
E, a un universo
di distanza, anche se lui non lo sapeva, correva, Hermione,
sguardo spento e cuore grande. Correva per
riempire quel vuoto e non avere più paura.
***
« Va tutto bene, signor Weasley? Vuole fermarsi un attimo? »
La giornalista guardò l’uomo
anziano di fronte a lei con cipiglio impaziente, il sopracciglio inarcato in
una smorfia di fastidio che a lui non sfuggì.
Ron tornò al presente con uno sbuffo
di fastidio, sbattendo le palpebre e mettendo a fuoco la donna con le labbra
strette in un’espressione molto simile alla sua.
« Sì. No » borbottò, la voce
arrochita da una vecchiaia precoce che non aveva risparmiato il suo corpo né la
sua mente. I capelli rossi che un tempo lo marchiavano come appartenente alla
famiglia Weasley erano scomparsi, risucchiati dal
cranio lucido su cui erano comparsi i segni della vecchiaia: macchie di sole e
una ragnatela di rughe sottili che si estendeva su tutto il suo viso e lo rendevano
più simile a una vecchia tartaruga. Però, al di sotto delle palpebre cadenti e
delle folte sopracciglia grigie, i suoi occhi azzurri rilucevano ancora d’una
luce viva e intelligente.
« Ci stava raccontando del suo
ultimo incontro con la Granger e Malfoy.
Di come ha chiesto loro scusa » La donna poggiò le lunghe dita affusolate sul
ginocchio, velato da collant leggeri e sottili che lasciavano intravedere la
gamba ossuta, lasciata scoperta dalla gonna aderente ma corta che indossava. Le
unghie erano laccate di uno smalto grigio scuro che si intonava al colore dei
suoi occhi e Ron si concentrò solo su quel
particolare, che suscitava in lui ricordi dolorosi. Ricordi che era lì per
riesumare, una volta per tutte.
***
Ron guardò dentro quegli occhi grigi, e
sorprendentemente non vide paura, ma attesa. Immobile di fronte a DracoMalfoy, con il fiato corto
e la bacchetta stretta tra le dita, si era persino dimenticato che stavano
combattendo una guerra e che i suoi amici avevano bisogno d’aiuto. Era accecato
da una rabbia personale e non più segreta, che lampeggiava dagli occhi chiari e
che gli aveva impedito di ignorare quella fuga.
« Fallo » ringhiò Malfoy,
squadrandolo dall’alto in basso. A differenza dell’altro, non aveva una
posizione di guardia. Le braccia abbandonate lungo i fianchi e l’espressione
fiera e dignitosa di un Purosangue, sembrava non stesse aspettando altro che il
colpo mortale che l’avrebbe finalmente liberato dal peso opprimente di un amore
scomodo e mai voluto. «
Non aspetti altro, lo so. È per questo che mi hai portato qui, no? » Il ghignò che gli disegnò le labbra
sottile era tanto inquieto quanto malvagio. Era un ghigno assolutamente da Malfoy, ma Ron non poté fare a
meno di intravedere un lampo di paura, in quegli occhi grigi che continuava a
fissare.
« Sì » lo ammise con naturalezza, sibilando
quell’unica sillaba con odio marcio. « Ma se lo sapevi… perchè
sei qui? »
domandò, ancora in quella posa da combattimento, il corpo leggermente piegato e
proteso verso di lui e la bacchetta puntata dritta verso il suo petto. « Cosa vuoi dimostrare? » Il petto si gonfiava rapidamente al
ritmo sordo di un respiro irrequieto, e quell’ultima domanda, una pretesa che
non avrebbe accolto risposte a metà, venne soffiato via con tutta
l’arrendevolezza di un addio.
Draco espirò pesantemente e scosse il capo,
abbassando lo sguardo per un istante.
« Non voglio dimostrare nulla. Se sono qui, è per pura
vigliaccheria » Draco strinse i pugni, tanto forte da
conficcare le unghie nella pelle bianchissima di quelle mani affusolate, un
tempo delicate, ora costellate di cicatrici e calli, segno di una vita non più
tanto agiata. « Ho sperato fino all’ultimo che lei fosse mia. Ma quando è
arrivato il momento… » La mascella si irrigidì d’improvviso. Ron vide passare su quel viso appuntito e pallido tutta la
fatica di quel momento. « ho avuto paura » L’ammissione di Draco
era un sussurro tenue, appena udibile al di sotto dei fischi degli incantesimi
e degli scoppi della guerra, poco distanti.
« Paura dei tuoi sentimenti » Il giovane Weasley
si sentì in dovere di completare per lui, stringendo maggiormente la presa
sulla bacchetta, come avesse avuto la conferma che attendeva e si apprestasse a
portare a termine il suo scopo. Contro ogni aspettativa, però, alle sue parole,
DracoMalfoy rise. Di una
risata vuota, colma di amarezza e colpevolezza insieme.
« No » Gli occhi grigi di Draco
incontrarono quelli azzurri di Ron con intensità. Lo
sguardo profondo che gli rivolse era sincero e limpido. « Ho avuto paura di non
avere più il coraggio di morire »
***
Ronald Weasley era un uomo stanco e disilluso, la cui vecchiaia,
grigia e cupa, era trascorsa nella solitudine di un esilio volontario, spezzato
solo dalle parole dei suoi libri.
Dopo la guerra,
Ron aveva cominciato a scrivere. Prima, erano solo
lettere, destinate all’unico, grande amore della sua vita. Lettere mai spedite,
che Hermione non aveva mai ricevuto, né avuto la
possibilità di leggere. Poi, racconti. Infine, il romanzo che aveva segnato il
suo successo, consacrandolo a una vita di agi e ricchezze. Qualcosa che non
aveva mai avuto ma che aveva sempre desiderato, e di cui ora, davvero, non
sapeva cosa farsene. L’aveva capito quand’era troppo tardi, già esule in un
mondo che non lo voleva da tempo. Quando quell’incantesimo aveva spezzato una
vita di troppo, e il vortice dell’ingiustizia, della violenza e della colpa,
era stato troppo violento per poterlo fermare.
« Nella commedia
della vita non ci sono prove prima della recita: la prima stesura è sempre
quella definitiva, e ogni gesto, ogni parola assume un carattere conclusivo. »
La sua voce era roca e stanca, sembrava provenire da baratri profondi del suo
essere, abissi mai esplorati. « Le responsabilità non si possono cancellare » Una
pausa. Ron chiuse gli occhi e chinò debolmente il
capo in avanti, traendo un lungo, profondo respiro. Per un attimo, sembrò che
dormisse. La giornalista si mosse nervosamente sulla sua sedia, sporgendosi con
leggerezza verso di lui, fingendo con un gesto disinvolto di volersi mettere
semplicemente più comoda, quando in realtà stava solo controllando quel vecchio
strambo. « Ci sono pregiudizi più forti della generosità magnanima con cui Hermione ha accolto Malfoy al
nostro accampamento. C’è un'immaginazione, la mia, più forte di qualunque
dubbio » Ron riaprì gli occhi e li puntò, con severa
precisione, su quelli, confusi e perplessi, della giornalista. Lei sbatté le
palpebre e sostenne con fermezza quello sguardo, ma sul suo viso c’era una
traccia di timore appena percepibile, difficile da nascondere del tutto. « Poi
è stato troppo tardi per fermare la macchina dell’ingiustizia. La guerra è
arrivata a spazzare via il vecchio mondo con le sue rassicuranti ipocrisie, e
durante la ritirata DracoMalfoy
ha dovuto fare i conti con gli orrori della violenza, e con una voglia di
vivere sconcertante. La voglia di realizzare il sogno d’amore che gli è stato
rubato. Da me » Il sospiro con cui Ron pronunciò
quelle ultime sillabe aveva qualcosa di terribilmente lapidario, di conclusivo.
Infatti, dopo quell’ultima affermazione tacque, e la giornalista non ebbe il
coraggio di domandargli cosa tutto quello che aveva appena detto significasse.
Si limitò a tacere, e questo consentì all’anziano uomo di lasciar correre,
ancora una volta, i suoi pensieri a briglia sciolta.
***
« Tutta la vita che mi resta è il
terrore di morire »
La voce di Draco tremò per un attimo. Ron pensava che la sua confessione si fosse conclusa con
quell’ultima affermazione, che l’aveva lasciato tanto sconcertato quanto
confuso, ma c’era qualcosa sul viso dell’altro che gli impedì di controbattere,
in un primo momento.
« Perciò fallo, avanti!
» urlò forte, questa volta, spalancando le braccia come se volesse invitarlo ad
un abbraccio. In un certo senso, era così, ma non stava invitando lui, ma la
dolcezza di una morte che aspettava con fin troppa ansia.
Ron serrò la presa sulla bacchetta, ma non sembrava ancora
intenzionato a pronunciare l’incantesimo fatale.Nell’arrendevolezza di Draco
c’era qualcosa di sbagliato, e infinitamente altruista.
« Ti
svelerò un filtro potentissimo, senza formule magiche né unguenti: se vuoi
essere amato, ama » pronunciò quelle
parole a bassa voce, come se fossero il canto del cigno di un uomo che, lui lo
sapeva, non aveva meritato quella vita e meritava quella morte. Per mano sua,
perché gli aveva strappato un amore che lui non avrebbe mai potuto capire.
Era cieco, Ronald Weasley, in quel
momento. Era un ragazzino geloso e impulsivo che non riusciva a vedere la
grandezza di quel gesto, seppur ne intravedesse un lembo. Perciò alzò la
bacchetta, la puntò sul suo petto e aprì la bocca per pronunciare quella
maledizione, temuta, odiata, ora preziosa alleata.
Ma nell’aria risuonò una voce che non era la sua, un
incantesimo che non era quello che lui aveva pensato. E un attimo dopo, DracoMalfoy giaceva a terra
riverso in una pozza di sangue, gli occhi grigi in orbite vuote, lo sguardo
spaurito e le labbra livide.
***
« Perciò ho scritto. Perciò ho voluto raccontare, nel mio ultimo
romanzo, “Espiazione”, questa storia:
quella di Draco e Hermione.
Che poi, è anche la mia »
Il viso della giornalista si aprì in un sorriso di
compiaciuta soddisfazione. Il dubbio dei suoi occhi si diradò e lei annuì
convinta, certa di aver centrato il punto della situazione, salvo poi
ricredersi quando l’uomo riprese la parola.
« Ma l’effetto di tutta questa sincerità era così disumano che
non riuscivo davvero più a immaginare quale ne sarebbe stato lo scopo »Ron assottigliò gli occhi, come se
si stesse sforzando di mettere a fuoco qualcosa. La fronte, macchiata dalle
tracce dell’età e segnata da rughe d’esperienza, si corrugò appena.
Lo stesso fece quella della giornalista, più
bianca e distesa perché lei era ancora nel fiore degli anni.
« Della sincerità? » domandò, un po’ incerta, sporgendosi appena verso Ron per cercare di incrociare il suo sguardo, al di sotto
delle palpebre cadenti e delle sopracciglia folte.
« Della sincerità » L’uomo annuì,
schioccando le labbra mentre ripeteva quella parola, il cui sapore non aveva
ancora identificato, nonostante gli anni passati a ricercarne il significato. « O della realtà » ammise poi,
perché si rese conto che in effetti quella parola sarebbe stata più esatta.
Fece una breve pausa, durante la quale respirò a fondo. Il torace si espanse,
accogliendo aria fredda, come un coltello nei polmoni. Sapeva che era arrivato
il momento di dire la verità: era per quel motivo che aveva accettato
l’intervista. « Perché, in effetti, io fui troppo vigliacco per
andare da Hermione, quel giorno » Lanciò la bomba e poi
tacque un istante, perché quell’ammissione gli era costata più di quanto lui
stesso osasse immaginare. Parole che fluirono con fatica dalle sue labbra,
lasciandogli la bocca impastata e la gola secca. Con la coda dell’occhio, vide
la giornalista accigliarsi, perciò si apprestò a proseguire, prima che lei lo
interrompesse. Prima che fermasse il fluire libero dei suoi pensieri e delle
sue colpe, quella voglia di confessione che aveva il diritto e il dovere di
concludere. « Non andai mai da lei, quindi la scena in cui le
parlo è immaginaria. È inventata » La bomba
esplose sul viso della giornalista, le cui sopracciglia si inarcarono tanto da
scomparire al di sotto della frangetta bionda che le velava la fronte. La sua
bocca piena, tinta di un rosso acceso, si arrotondò in un’espressione stupita.
Era il momento. Lo sapeva, lo aveva aspettato da
anni, dal giorno di quella battaglia maledetta.
« E infatti non sarebbe mai potuta accadere. Perché… » espirò stancamente, non per prendere fiato ma per darsi
forza. «DracoMalfoy morì per mano di un Mangiamorte,
il giorno di quella battaglia. E io non ebbi mai la possibilità di chiarire con
Hermione, perché lei rimase uccisa quello stesso
giorno, poche ore più tardi, in un agguato all’accampamento »
Silenzio. Il silenzio vuoto e
assordante di una verità a lungo taciuta. Draco e Hermione erano stati fantasmi presenti nella sua vita per
troppo tempo; era giusto liberarli, dare un congedo degno a quelle due anime
che lui aveva impedito di amarsi. Nel momento stesso in cui lo disse, avvertì
una leggerezza mai percepita prima. E seppe, con assoluta certezza, che i due
amanti erano liberi, adesso.
« Così, Hermione e Draco non riuscirono mai a passare del tempo insieme, come
avrebbero desiderato e meritato, come da allora io ho sempre sentito di aver
impedito » La voce di Ron, già
roca e tramante, si spezzò. Nonostante la consapevolezza che quella verità
doveva essere rivelata, il dolore era ancora troppo forte, troppo vivido. Erano
passati tanti anni, ma la sofferenza era stato un vulcano attivo, in costante
eruzione, per tutto il tempo.
« Ma allora… » La giornalista sembrava sinceramente confusa,
tanto che si guardò intorno, come a voler cercare nei presenti un aiuto, un
appiglio. « Perché nel suo romanzo ha scritto che i due
amanti si ricongiungono? » Le dita affusolate della donna si artigliarono ai
braccioli della poltrona di velluto su cui lei si era accomodata all’inizio dell’intervista.
Ron abbassò ancora una volta lo sguardo su quello
smalto grigio scuro, un colore del tutto diverso da quello degli occhi di Draco, così nebulosi e torbidi che capirli sarebbe stato
impossibile. Lo era stato, per lui, che solo nella vecchiaia e nella solitudine
aveva avuto il tempo di maturare e comprendere cosa davvero fosse l’amore –
cosa fosse quell’amore in particolare, soprattutto.
« Ho voluto dare loro quello che avevano perso nella vita » spiegò con semplicità, come fosse la cosa più ovvia del
mondo. Un tenue sorriso gli arricciò le labbra sottili, tese al di sopra di
gengive quasi vuote. « Non è stata debolezza, o evasione, ma un atto
finale di gentilezza. Io ho restituito a Draco e Hermione la giusta felicità »
***
Ron si
piegò sul corpo di Draco, con la fronte corrugata
dall’orrore. Non osò sfiorare le ferite grondanti di sangue, che macchiavano i
vestiti lerci e sudici. La pozza scarlatta in cui il ragazzo era riverso
continuava ad allargarsi sempre di più, e tutto ciò che lui riusciva a fare era
guardare quella purezza abbandonare il suo corpo, pallido e stranamente minuto,
in quella posizione da bambola abbandonata.
Draco
boccheggiò, le labbra spalancate nel tentativo di far entrare aria nei polmoni
bucati da una maledizione crudele. Sembrava stringere tra i denti parole troppo
gelate perché si potessero sciogliere al sole. Aprì e chiuse la bocca più
volte, nel tentativo di esprimere ciò che aveva dentro.
« Io lo sapevo che in questa guerra sarei morto » La sua voce
era un sussurro fievole, distante, sembrava provenire da un tempo e un mondo
diverso. Un mondo felice, lo stesso che lui, poi, molti anni più tardi, avrebbe
dipinto nel suo romanzo. « Io volevo
morire, per liberarmi della maledizione di un amore mai voluto » Draco chiuse gli occhi. Ogni parola sembrava una fatica
immensa, per lui. « E invece non avevo capito che tutto ciò che dovevo fare,
era carpire l’ultimo raggio di bellezza della vita, prima della fine. E l’ho
fatto » DracoMalfoy riaprì
gli occhi e sorrise. Le iridi grigie si puntarono verso il cielo, e Ron vide riflesse, in esse, le nuvole cineree di un cielo
che esisteva solo dentro quel ragazzo morente. Una lacrima sfuggì dall’angolo
dell’occhio destro, gli accarezzò la tempia e scivolò in basso, precipitando
nel vuoto fino al suolo.
Così morì DracoMalfoy,
con il sorriso sulle labbra e gli ultimi battiti del cuore rivolti alla donna
che aveva sempre amato. La fissità dei suoi occhi era tanto macabra quanto
bellissima, perché nell’eternità della morte il suo volto si era fermato, per
sempre, nel sorriso dell’accettazione. Quando era diventato adulto, sulla
soglia della morte, Draco aveva capito che Hermione non era solo ergastolo, ma soprattutto espiazione.
Quando era morto, Daco aveva trovato la pace di un cammino senza uscita.
***
Lo studio in cui Ronald BiliusWeasley, nei suoi ottantanove anni pregni di dolore e
colpa, aveva srotolato quella storia smerigliata e perfetta, salvo poi
inquinarla con la confessione finale che era tutto falso, inventato, era
avvolto da un silenzio muto. La giornalista che lo aveva intervistato lo
fissava con un educato distacco, cercando, sul suo volto, una minima traccia di
menzogna, o forse di follia, per spiegare l’assurdità di quella realtà che,
davvero, non riusciva ad accettare.
C’era qualcosa di incredibilmente sbagliato nella versione
reale di una verità a lungo taciuta e che riemergeva ora, dopo anni, chiedendo
un tributo da pagare. Eppure, c’era qualcosa di terribilmente giusto, anche.
Dentro quello studio, con le tende pesanti che filtravano la luce e i quadri
curiosi appesi alle pareti, ma ancora di più nello sguardo finalmente vivo di
quell’anziano la cui mano tremava al solo ricordo di ciò che stava rivivendo
dentro di sé, c’era qualcosa di più sottile, e mentre la giornalista rammentava
immagini che non aveva mai vissuto in prima persona perché troppo giovane per
ricordare una guerra che aveva avuto la fortuna di non vedere, entrambi lo
capirono: quello che sembrava, davvero, incredibile e atroce era che sembrava
tutto troppo bello. C’era un’ipertrofia irragionevole di esattezza
simbolica, di purezza del gesto, di spettacolarità, di immaginazione. Nell’immagine di quei due amanti che solo durante la guerra
capiscono il loro amore, e che però non riescono a viverlo appieno perché la
vita strappa loro la possibilità di un’esistenza felice insieme, c’è troppa
maestria drammaturgica, troppa finzione. Una finzione che non si ritrovava
nemmeno dentro le pagine scritte di quel libro a cui Ronald Weasley
ha dedicato la sua intera esistenza. La Storia non era mai stata così. Il
mondo non aveva mai avuto il tempo di essere così. La realtà non va a capo, non
concorda i verbi, non scrive belle frasi. Noi lo facciamo, quando raccontiamo
il mondo. Ma il mondo, di suo, è sgrammaticato, sporco, e la punteggiatura la
mette che è uno schifo.
Se ne resero
conto entrambi, nello stesso momento, con sgomenta sorpresa.
« Perché la
storia che vedo è così perfetta? Perché è già perfetta prima che la racconti
lei, nello stesso istante in cui accade, senza l’aiuto di nessuno? » La domanda
della giornalista era, per la prima volta, priva di pregiudizi. Lo sguardo di
compatimento con cui lei fissava il vecchio dall’inizio dell’intervista era
stato sostituito da un reverenziale rispetto che rasentava l’adorazione, e Ron non tardò ad accorgersene. Chinò il capo, emettendo un
lungo sospiro sordo. Tacque per lunghi minuti, e la donna credette
semplicemente che stesse cercando una risposta, dentro di sé, una ragione, un
motivo, qualsiasi cosa giustificasse l’assurda bellezza di quel pezzo di
storia.
« Insomma, è
come… come un libro. La storia che lei ha appena raccontato, quella vera… » La
giornalista sentì l’impellente bisogno di riempire quel silenzio vuoto. Il suo
cuore in tumulto non giustificava l’aspettativa o l’urgenza con cui pretendeva
una risposta. « Draco e Hermione
che muoiono, l’uno per l’altra, in una guerra ingiusta, senza avere il tempo di
condividere nemmeno un attimo della loro vita insieme. E lei lo ha fatto
accadere, è così, giusto? È per questo che ha scritto questo romanzo, Espiazione » La donna allungò la mano
ben curata. Le sue dita, laccate dello smalto grigio scuro, si chiusero attorno
alla copertina di cartone di quel libro, e Ron ebbe come
l’impressione che la sua mano creasse una morsa attorno al suo cuore.
Si aspettava
una frase del genere, e nemmeno lo ferì.
È per questo che ha scritto questo romanzo?
« Dicono che il sacrificio sia la misura
dell’amore » Ron non rispose, perché aveva già dato
la sua spiegazione, che ancora non era nemmeno esatta, o completa, per meglio
dire. « Se è così, allora adesso capisco che lui la amava davvero, come io non
avrei mai saputo fare » Schioccò le labbra con un moto di fastidio che sorprese
persino se stesso.
« Ma lei non lo ha mai saputo, vero? Lei non ha
mai permesso ad Hermione di sapere la verità su
quell’amore. Lo ha solo potuto immaginare, avvertire sulle labbra con quel
bacio fugace, ma poi… » Sembrava esserci cattiveria, nell’insinuazione della
giornalista. Tuttavia, sul suo volto non c’era traccia di malvagità: al
momento, quel bel volto, giovane e nel pieno della vita, pareva solo curioso,
ansioso di conoscere la verità di un amore che aveva sconfitto perfino la
guerra, uscendone ammaccato ma in fondo vincitore, perché aveva superato il
tempo e le avversità e aveva potuto vivere la sua bellezza nella finzione di un
libro.
« Si sbaglia »
***
L’attesa
della fine era quanto di più logorante e insopportabile lei potesse immaginare.
Hermione non riusciva a darsi pace. Da quando aveva
visto gli occhi grigi di Draco scomparire nel buio di
un’alba spietata, la giovane strega non era riuscita a fermarsi un attimo. La
sua mente lavorava al ritmo incessante di una fantasia divorante e crudele
quanto quella guerra per cui stavano combattendo, e nulla era riuscita a domare
il suo senso d’angoscia, quell’indefinita sensazione che c’era qualcosa di
lasciato in sospeso, nella sua vita.
Non lo
capì fino a quando non entrò nella tenda di Neville. Nella penombra di quel
padiglione, tutto sembrava muto e immobile. C’era una pace palpabile, piacevole
quasi. Era tutto esattamente come lui l’aveva lasciato, come lei ricordava: il
disordine, l’odore di muffa e terra, la brocca d’acqua accanto alla branda
sfondata. E poi, nel buio, quel bagliore lattescente, l’iridescenza di un
ricordo destinato a sfiorire, a essere perduto, ma che lei, per caso o per
fortuna, aveva trovato, prima della fine.
Hermione aveva già visto un ricordo, prima d’allora. Lo
riconobbe subito, con una sorpresa sgomenta e incerta. La bottiglia dentro cui
galleggiavano quei fili d’argento era opaca, macchiata di fuliggine e polvere,
ma il chiarore e la bellezza di quella luce era palese persino nel buio. La
raccolse con dita esitanti, sfiorando il vetro smerigliato e spento con
ossequio. Notò solo in un secondo momento il lembo di pergamena stropicciato e
sporco su cui Neville aveva appuntato, con la sua grafia imprecisa, da
ragazzino cresciuto troppo in fretta, un’unica parola.
Guardalo.
***
« Non amava Draco. Non
era innamorata di lui, non avrebbe mai potuto esserlo » Ron
parlava con voce stanca e antica. In quella voce tremula, corrotta dalla
vecchiaia e dal dolore, la giornalista riuscì a riconoscere la traccia
invisibile della rabbia e del rancore, una sfumatura leggera, una tinta opaca
che lui aveva cercato di coprire con colpi di vernice decisi ma imprecisi. « Ma
si era innamorata di quello che ha visto. Di quei ricordi che Neville le ha
regalato, perché l’amore di DracoMalfoy
non andasse perduto. Perché lei sapesse quanto era puro, quel sentimento. Per
redimere la vita di un ragazzino arrogante che non aveva meritato nulla, nella
vita, ma che era riuscito a meritare lei, alla fine » Non si capiva se provasse
più collera nei confronti di Draco, di Hermione, o di Neville. Sembrava aver accettato
quell’amore, la sostituzione feroce con cui la donna della sua vita lo aveva
rimpiazzato, ma ora, in quell’attimo, la giornalista si rese conto che il
dolore della perdita era ancora vivido in lui. « Hermione
si era innamorata dell’amore che Malfoy provava per
lei ».
La giornalista si passò la lingua sulle labbra
rosee e piene, abbassando lo sguardo con un movimento di ciglia e tacendo per
un attimo.
« Allora, l’Espiazione
di cui parla nel suo romanzo… è quella di DracoMalfoy? È riuscito, con il suo amore, a redimere i peccati
di una vita? » domandò con cortesia, puntando gli occhi scuri sul viso
dell’anziano. Ron non ricambiò quello sguardo, però:
le sue iridi, velate da un’ombra opaca che pareva il riflesso della sua
vecchiaia ma era, in realtà, solo il riflesso doloroso del ricordo, erano fisse
in un punto non ben precisato della sua mente.
« Sì » annuì l’uomo, con voce roca. « Ma è anche la mia, di espiazione » Una pausa. Un respiro
profondo, come per farsi forza. « Il problema, in questi anni, è stato questo:
come può uno scrittore espiare le proprie colpe quando il suo potere assoluto
di decidere i destini altrui lo rende simile a Dio? Non esiste nessuno, nessuna
entità superiore a cui possa fare appello per riconciliarsi, per ottenere il
perdono. Non c’è nulla al di fuori di lui. È la sua fantasia a sancire i limiti
e i termini della storia. Non c’è espiazione per Dio, né per il romanziere,
nemmeno se fossero atei »
***
Quando Hermione riaprì gli occhi, si accorse, senza riuscire a
provare stupore per questo, che stava piangendo. Le ci vollero diverse ore per
venire a patti con una realtà che aveva in fondo già intuito, ma che vedere con
i suoi occhi, in modo così incontrovertibile da diventare vero, aveva provocato
in lei sentimenti contrastanti.
Uscì dalla tenda di
Neville con passi lenti, senza rendersi conto che le sue mani tremavano.
Neville si sarebbe sempre rimproverato quel particolare – le mani di Hermione che tremano, tanto da non riuscire a tenere
saldamente la bacchetta; per sempre, si sarebbe pentito di quell’attimo in cui
aveva depositato quei ricordi sul tavolo cigolante di una tenda ammaccata,
esattamente come Ron si sarebbe poi pentito di un
gesto fatto con gelosia e cattiveria, ma nell’innocenza – nell’illusione – del
giusto.
Solo lo schiocco della
Materializzazione di Ron riuscì a riportarla alla
realtà, ma era una realtà talmente finta e distante, avvolta dalla nebbia
vorace del dolore e dell’angoscia, che lei non la percepì distintamente. Era
una percezione intermittente, una sequela di immagini fisse e mozziconi di cose
perdute, cancellate, mai arrivate ai suoi occhi. Una percezione sincopata. Solo
alcuni sprazzi di quella concretezza che sembrava un sogno le giunsero agli occhi:
non il sangue che imbrattava i vestiti del suo migliore amico, ma il respiro
spezzato che gli squassava il petto; non le urla spaventate intorno a sé, ma il
tremore delle sue mani; non le urla di avvertimento di Ginny,
ma gli occhi di Ron.
Hermione non li dimenticherà mai: quelli sono
gli occhi di un uomo. Hanno dentro rancore e goffaggine, imbarazzo e dolore,
colpa e soddisfazione. Hanno dentro la risposta che Hermione sa
già.
«Devo dirti una cosa, Hermione»
Fece appena in tempo a sentire quelle parole. Poi, Hermione
non sentì più nulla.
***
« È caduta a terra con la stessa leggerezza con
cui ha vissuto » La voce di Ronald Weasley era secca,
antica, sembrava provenire da un momento a lungo dimenticato. « Mi piacerebbe
poter dire che aveva sulle labbra lo stesso sorriso di DracoMalfoy, ma sarebbe una menzogna. Non credo che abbia
provato dolore, non si è nemmeno accorta di quella Maledizione arrivata alle
sue spalle all’improvviso, ma non aveva raggiunto la pace dell’accettazione, e
non era ancora pronta ad andare via, questo lo so » Il respiro che gli gonfiò
il petto, anche se nessuno poteva saperlo, era del tutto uguale a quello con
cui lui, tantissimi anni prima, aveva guardato negli occhi Hermione
bevendo la sua ultima scintilla vitale. Avrebbe dovuto farlo Draco, aveva pensato allora, e lo pensava anche adesso,
mentre guardava la giornalista, solo che la senescenza gli aveva consegnato
anche una certa poeticità, maturata nei suoi scritti, che gli aveva permesso di
capire che c’era un motivo se lui era stata l’ultima persona che entrambi
avevano visto. Come una specie di ciclo che si chiude. « Doveva vivere con Draco, prima di andare via. Ecco perché ho scritto questo
romanzo » Sul volto antico di Ronald BiliusWeasley, comparve, per la prima volta, un sorriso. Amaro,
ma sincero.
« Mi piace pensare che non sia leggerezza né
desiderio di fuga, ma un ultimo gesto di cortesia, una presa di posizione
contro la dimenticanza e l’angoscia: permettere ai miei amanti di sopravvivere
e vederli riuniti alla fine. Ho regalato loro la felicità, ma non sono stato
tanto opportunista da consentire che mi perdonassero, non proprio, non ancora.
E se avessi il potere di evocare la loro presenza: Draco
e Hermione, ancora vivi, ancora innamorati, seduti accanto,
a sorridere insieme tenendosi per mano? Non è escluso. Ora basta però, devo
dormire »
Tutte le
note (che ho dimenticato di inserire alla fine dei capitoli):
Capitolo I :
- La Bugattola è una malattia di mia invenzione. Non viene mai
citata nei libri della Rowling, per cui è da ritenersi di mia proprietà.
- EmmelineVance è un membro
dell’Ordine Fenice dai tempi della Prima Guerra Magica.
- Si vive insieme, si muore soli, il
titolo del capitolo, è una frase tratta dal telefilm Lost.
Capitolo II:
- Dedalus Lux ed Elphias Doge sono
personaggi di J.K. Rowling: il primo è un membro dell’Ordine della Fenice, il
secondo un caro amico di Silente.
Capitolo III:
- “Tutte le strade portano a te” è il
titolo di una canzone di Ligabue
Capitolo IV:
- La
squadra d’inquisizione è il corpo speciale formato dalla Umbridge
in Harry Potter e l’Ordine della Fenice,
e formato da molti Serpeverde tra cui anche Draco.
- Gli occhi sono ciechi, bisogna cercare con
il cuore (Da “Il Piccolo Principe”, di Antoine De Saint-Exupéry)
- Il cuore muore di morte lenta. Perdendo ogni speranza come foglie.
Finché un giorno non ce ne sono più. Nessuna speranza. Non rimane nulla. Se un
albero non ha né foglie né rami, si può ancora chiamarlo albero? (Da “Memorie di una
Geisha”, di Arthur Golden). - Non vistosa; non del genere che ti giri a guardarla. Più
semplice. Ma aveva qualcosa che ti accalappiava, niente da dire, ce l’aveva.
Come una specie di limpidezza, di trasparenza. (Da “Barnum 2”, di
Alessandro Baricco)
- Il termine Mudblood è riportato in inglese perché
lo ritengo più appropriato della (errata) traduzione italiana “Mezzosangue”
Capitolo
VI:
- I Gervoni Maculati
citati da Luna sono una mia invenzione.
Capitolo
VII:
- Il capitolo è ispirato alla canzone “Sei” dei Negramaro. Alcune scene tra Draco
e Hermione riprendono, in prosa, le parole della canzone
- “Ecco da cosa nasceva
quella sua sensazione prossima alla felicità. Forse non era poi così debole
come aveva sempre creduto; dopotutto, ci si misura rapportandosi agli altri,
non esiste alternativa. E, di quando in quando, in modo assolutamente
involontario, arriva qualcuno e ti insegna qualcosa sul tuo conto” (Da “Espiazione”,
di IanMcEwan)
- “I se e i ma sono la patente dei falliti, Malfoy. Nella
vita si diventa grandi nonostante”(Da
“L’ultima riga delle favole”, di Massimo Gramellini)
Capitolo IX:
- “Esiste una rabbia che non ha niente a che
vedere con la cattiveria. È il ruggito di chi cerca di nascondere le proprie
fragilità” (di P. Felice)
- Le “Cinque
Principali Eccezioni alla Legge di Gamp sulla
Trasfigurazione degli Elementi” sono quegli oggetti che non possono in alcun
modo essere trasfigurati o evocati, nemmeno con la magia (cibo, amore, vita e
informazioni; la quinta non è mai citata nei libri, si presuppone sia il
denaro). Per maggiori informazioni vi rimando a Wikipedia.
- “C’è un prezzo da pagare per una vita di
falsità” è una frase tratta da una canzone che ho ascoltato nel periodo in
cui scrivevo quel capitolo e che ora, ovviamente, non ricordo >.<
Capitolo XI:
- “Un
alfabeto diverso da quello della sua vigliaccheria”, riadattata, da “Il
cantico dei Drogati”, di Fabrizio de André.
- “A
[Draco], invece, pareva che la sua vita si sarebbe
svolta tutta in una stanza priva di porta.” (da “Espiazione”, di IanMcEwan)
- “È che a
volte le parole non bastano. E allora servono i colori. E le forme. E le note.
E le emozioni”
- “Così fa
il destino: potrebbe filar via invisibile, e invece brucia dietro di sé, qua e
là, alcuni istanti, fra i mille di una vita. Nella notte del ricordo ardono,
quelli, disegnando la via di fuga della sorte. Fuochi solitari, buoni per darsi
una ragione, una qualsiasi” (da “Castelli di rabbia, di Alessandro Baricco)
- “Aspettare senza sapere era una
delle più grandi incapacità delle sue vita, e lei non sopportava di essere
incapace in qualcosa. Perché, nell’attesa, aveva avuto lo spazio, già prima
d’allora, per costruire enormi impalcature di significato, e dieci minuti dopo
farle crollare, per sua stessa mano. Poi, riprendere da un punto qualunque,
correggere il tiro di qualche centimetro per rendere la costruzione immaginata
più solida; salvo poi vederla crollare di nuovo. Hermione non
sapeva aspettare e non voleva farlo, perché sapeva che nell’attesa i mostri
prendono forma e si ingigantiscono, mangiano le ore per crescere; sapeva che
alla fine l’avrebbero mangiata viva.” Anche questa frase l’ho trovata da
qualche parte, e l’ho riadattata, ma ovviamente ho dimenticato di appuntare la
fonte.
Capitolo XII:
- I dialoghi
sono ripresi dal film “Espiazione”.
- “La misteriosa
circostanza per cui le cose del nostro passato continuano ad esistere anche
quando escono dal raggio della nostra vita, e anzi maturano, portando frutti
nuovi ad ogni stagione, per un raccolto di cui non sappiamo più nulla. Non potè fare a meno di pensare alla persistenza illogica della
vita” (Da “Questa storia”, di Alessandro Baricco – leggermente modificata)
Capitolo XIII:
- “Ti svelerò un filtro potentissimo, senza
formule magiche né unguenti: se vuoi essere amato, ama” (di Ecatone)
- “Sembrava
stringere tra i denti parole troppo gelate perché si potessero sciogliere al
sole” (Da “La guerra di Piero, di Fabrizio de André, riadattata)
- “La realtà non
va a capo, non concorda i verbi, non scrive belle frasi. Noi lo facciamo,
quando raccontiamo il mondo. Ma il mondo, di suo, è sgrammaticato, sporco, e la
punteggiatura la mette che è uno schifo.” (di Alessandro Baricco, in una
nota sull’11 settembre)
- Le parole che Ron rivolge
alla giornalista sono riprese dal romanzo “Espiazione”. La storia si chiude
esattamente con le stesse parole del libro di McEwan.
- Easilytorn, noteasilymended è una frase molto significativa tratta
proprio da “Espiazione” (ma dai?). Letteralmente significa “Si rompe facilmente, ma non si aggiusta
altrettanto facilmente”. La traduzione italiana è assolutamente inefficace,
non rende la bellezza e la significatività (?) di questa frase che io ritengo
meravigliosa.
Tutta la storia è ispirata al romanzo di McEwan, di cui consiglio vivamente la lettura a chiunque
non l’abbia ancora fatto. Chi lo conosce, dal libro o dal film, sa già che
questa storia sarebbe andata a finire così, probabilmente. Vi chiedo scusa. Lo
so che sono sadica e terribile, che non è giusto e che non doveva andare così,
ma in fondo avevo già avvertito che non era una storia adatta ai deboli di
cuore e davvero non sono riuscita a trattenermi, perché quando ho ripreso in
mano il romanzo “Espiazione”, questa storia è nata da sola e non avrei potuto
farla andare diversamente, a meno di non infangare il nome di uno Scrittore
come McEwan.
Chi mi conosce, sa che il lieto fine non è proprio una
mia prerogativa. E, come in “Cenerentola”, credo davvero che questo sia il
finale migliore.
Colgo l’occasione per chiedere perdono per i ritardi
infiniti a cui vi ho costretti, so che hanno inficiato sulla godibilità e
piacevolezza della storia.
Ringrazio tutti i lettori che hanno seguito,
ricordato, preferito e soprattutto recensito questa storia, e che continuano a
seguirmi. Le vostre parole mi riempiono il cuore.
Per un po’, credo che non pubblicherò nulla, per
mancanza di tempo e perché non voglio costringere nessuno ad attese infinite.
Ma continuo comunque a scrivere (con i miei tempi, certo) e presto, lo
prometto, pubblicherò qualcosa. E avrà un lieto fine, promesso <3