I'm a High-functioning Sociopath

di OmegaHolmes
(/viewuser.php?uid=219196)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anafettività ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** Amore (?) ***
Capitolo 4: *** 4 ***



Capitolo 1
*** Anafettività ***


Quando aprì gli occhi una fioca luce blu inondò il suo campo visivo.
Lentamente si mise a sedere e  passandosi una mano tra i ricci corvini, guardò la sveglia:
 
5:30am
 
Sospirò profondamente rendendosi conte che il sonno era ormai svanito.
Si alzò, indossò la sua amata vestaglia blu e in pigiama andò ad accendere il sontuoso caminetto ancora spento.
Solitamente lo trovava già acceso, perché l’amorevole padrona di casa attizzava il fuoco prima che il detective si svegliasse.
Raramente, in assenza di un caso, si alzava così presto.
Ma quel giorno, a quanto pare, era destinato ad essere diverso per qualche strano motivo al quale il detective però non sapeva ancora dare una risposta.
Accese il bollitore, aprì le imposte ancora serrate e si mise a osservare cupo la strada stranamente silenziosa.
Un gatto randagio alla fine della strada buttò giù un bidone della spazzatura e per alcuni secondi accalappiò la sua attenzione.
Successivamente il furgone dei netturbini…e nuovamente il nulla.
Quanta noia, pace e monotonia travolgevano quella strada.
Il detective si sentì trascinare in una depressione improvvisa, decise così di cambiare soggetto delle sue attenzioni, nel frattempo l’acqua iniziò a bollire.
Prese l’acqua e ne riempì la tazza, immergendo poi con cura la bustina, osservando tutte le sfumature cangiarsi nel tipico colore caldo del the.
Una goccia di latte e poi si sprofondò nella poltrona che rilasciò un leggero sbuffo, che lo faceva sentire stranamente felice tutte le volte che lo sentiva…come un abbraccio.
 
ABBRACCIO…
 
Questa parola risuonò come un eco nella testa del detective come se non trovasse un posto in quell’enorme spazio, quasi infinito, che era la mente di Sherlock Holmes.
Prese un lento sorso dalla sua tazza e rimase incantato sulla poltrona di fronte a sé: vuota.
 
JOHN…
 
Un’altra parola risuonò, sempre più forte, come un crescendo di un’orchestra diretta dal proprio direttore, una parola che arrivò alla disperazione tale che dovette strizzare gli occhi e stringersi la tempia con la mano sinistra per trovare una tregua.

Di colpo tutto cessò.
Rilasciò un sospiro profondo e tornò a sorseggiare il the.

Reiterò a osservare la poltrona di fronte a sé e nella sua mente comparirono due parole stampate su un fascicolo… un fascicolo sparso in qualche remota parte del suo cervello…
 
Sociopatia-anafettività 
 
Ebbe un flashback:
Si ritrovò seduto, di fronte lo psicologo della scuola…quest’ultimo parlava e Sherlock lo osservava apatico…
 -Sai Sherlock, anafettività significa che fai fatica a provare sentimenti e creare affetti. La gente ti definisce, solitamente, apatico. Ora come ora hai 16 anni e non te ne rendi molto conto, ma con l’età adulta ti renderai conto che farai fatica o non riuscirai a creare legami. Le persone colpite da questa condizione che riguarda l’area affettiva, cognitiva e comportamentale, sono persone che nonostante abbiamo il terrore dell’essere abbandonate non riescono a provare nessuna emozione di fronte ad un bacio, una carezza o un abbraccio.
Non che non abbiano sentimenti, Sherlock, ma semplicemente hanno talmente paura di essere ferite che inconsciamente, respingono gli altri, chiudendosi in sé stessi.
Questi individui sognano di essere amati, ma non riuscendo a provare alcun sentimento simile, lo ripugnano del tutto.
L’unico modo di “curare” questa condizione, è la terapia, Sherlock.-
Il ragazzo rimaneva impassibile, ad osservarlo.
“Incapacità di provare sentimenti” ….quelle parole gli echeggiavano nella testa…”è per questo che non ho amici? Che tutti mi odiano? Che mi picchiano? Che mi guardano male? Che mi viene dato dello sfigato?” si chiedeva tra sé e sé il giovane Sherlock.
Lo psicologo continuò:
-E come ben sai, sei affetto da una lieve forma, non grave diciamo controllabile, di sociopatia.
Sociopatia iperattiva, oserei dire nel tuo caso.
Ad ogni modo, sai che per questo non c’è cura…l’unica cosa che puoi fare è essere cosciente delle tue azioni e cercare di controllarla in modo moderato. Non è facile essere così, Sherlock. Lo so…-
Sherlock, lo guardò stranito “non è facile essere così? Che significa? Non ho quattro teste ho 10 occhi…sono normale solo…odio tutti e tutti mi odiano.” Ma anche questo non lo disse. Semplicemente si alzò e commentò:
-Non necessito di terapia dottore, i sentimenti non sono che un errore umano.-
 

Tornò alla realtà e notò che la luce che inondava la stanza era diventata più calda.
Sherlock Holmes, essendo un sociopatico, non aveva mai amato nessuno.
Anzi…lui nemmeno sapeva che cos’era l’amore…
L’unica cosa più vicina all’amore che avesse provato era per…Barbarossa.
Quando si era documentato sulla sociopatia aveva letto “persone incapaci di riconoscere i loro simili tali, solo come oggetti; abili disonesti e bugiardi; incapacità di pianificare; incapacità di instaurare relazioni se non con animali; mancanza di rimorso; irresponsabilità; inosservanza della sicurezza propria e degli altri; incapacità di conformarsi”.
Quelle parole lo colpirono come tanti aghi. Poi, più in basso,lesse:
“Si consiglia di stare alla larga di questi individui, potrebbero essere possibili assassini o criminali”.
Un’altra coltellata.
Era questo per la società, per il mondo? La peggiore specie di essere umano esistente sulla terra?
Nominato criminale PRIMA che potesse commettere qualsiasi tipo di crimine?
Era per questo che la gente lo evitava? Lo odiava? Perché era pericoloso per la loro sanità?
Da quel giorno, il giovane Sherlock, iniziò a estraniarsi e a isolarsi ancora di più dal mondo reale.
 
Sospirò e tra un pensiero e l’altro, aveva ormai finito il the.
La luce si era fatta viva e calda e irrigava di colori il 221B di Baker Street.
 
Eppure… un dubbio, in tutto quello…faceva non dormire la notte il detective.
John.
Non perché ora era sposato, più o meno felicemente, con Mary, se questo fosse il suo vero nome o meno, non importava.
Ben sì…perché…per John…provava dei sentimenti.
Sì, è vero. Aveva sperimentato molte volte su di lui…ma John…
Per lui avrebbe fatto QUALSIASI COSA.

Forse…lo amava…?
Non sapeva darsi una risposta a quel dilemma, ogni volta.
Ci aveva provato, molte volte.
Ma non lo sapeva.
Sherlock Holmes che non sapeva qualcosa, John avrebbe adorato scriverlo sul suo orrendo blog.
E pensare che una volta stava per dirglielo…quando Mycroft voleva esiliarlo…stava per dirglielo “John, ti amo” …ma no…che pessima idea… e così se ne uscì con quella frase senza senso, con quel suo tipico tono sarcastico.
 
Forse…avrebbe dovuto baciarlo…abbracciarlo…?
Ma…se non avesse provato nulla? Se quell’esperimento si fosse presentato un orrendo buco nell’acqua.
No, non poteva e non voleva permetterselo.
 
Forse, se anni addietro, prima della sua morte avesse detto a John che lo amava…sarebbe stato ricambiato…?
Non lo sapeva. John era l’unica domanda alla quale Sherlock non sapeva dare una risposta.
 
Era ancora lì, perso nei suoi pensieri, quando pesanti passi ben noti al detective, iniziarono a salire le scale.
Un tuffo al cuore.
John.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 ***


Il detective rimase, fermo immobile sprofondato nella sua poltrona.
Il dottore entrò guardandosi intorno e sussultò nel trovarlo seduto di fronte a sé.
-Oh…Sherlock…- si guardò l’orologio al polso –sono le…6.30 del mattino e sei già sveglio…senza un caso? Lo scriverò sul mio blog…- così dicendo si andò a sedere nella sua poltrona rossa.
Il moro continuò a osservarlo apatico notando che quell’osservazione di John era piuttosto inutile.
-4 volte…- esordì il detective.
-…come scusa?- domandò John mentre si sistemava in poltrona.
-Mary ha vomitato 4 volte, questa notte.-
Il dottore lo fissò sbalordito -….non voglio sapere come hai fatto.-
-Nemmeno io lo vorrei sapere, se fossi in te. Comunque, sì puoi usare la mia doccia.-
-…come...- sorrise leggermente – Lo hai capito da cosa…il mio naso?-
Sherlock lo guardò annoiato e sospirò pesantemente.
-Ti presenti alle 6.30 di mattina, pensando che io dorma ancora. Le possibilità sono due:
a. Vuoi darmi il buongiorno e svegliarmi con amore…ma ne dubito dato che sai che ti butterei fuori a calci dalla mia staza…
o…
b. Vuoi farti una doccia prima di andare a lavoro ,tua moglie si è appena addormentata dopo un INFERNALE notte passata a conati di vomito e se si svegliasse probabilmente, dato che si parla di Mary, sarebbe anche capace di farti dormire fino al parto sul divano.- sorrise sociopatico guardando l’amico.
Il dottore sorrise, accarezzandosi il labbro inferiore con i polpastrelli.
-Incredibile…-
-Lo hai detto ad alta voce, John-
-Lo so, Sherlock.-sbuffò.
 
Il dottore si alzò e stava per andare nella sua vecchia stanza quando Sherlock lo fermò:
-Non sono laggiù i tuoi vecchi vestiti. Sono in camera mia.-
-..i..in camera tua? Perché?-
-Mi servono…per dei travestimenti...sai, nel caso debba fare un dottore baffuto…-
-Non ho più i baffi, Sherlock!- urlò mentre si dirigeva nella stanza del moro.
-Perché ti ho detto che erano orrendi.-
-Non li ho rasati per te!-
-…-
Il dottore uscì dalla stanza e indicandolo con l’indice sottolineò:
-Non.li.ho.rasati.per.te.- ed infine entrò in bagno.
 
Sherlock si alzò melanconicamente e si diresse verso la sua stanza strascicando i piedi a terra, ma…si fermò di fronte alla porta del bagno.
Sentì l’acqua scorrere oltre la porta e John spogliarsi oltre quella sottile barriera di legno.
Il detective guardò la maniglia. Avrebbe potuta aprirla, come aveva fatto spesso in passato a causa di esperimenti mal finiti alla ricerca di spegnere un incendio.
Ricordò con un lieve sorriso quella volta in cui entrò mentre John si stava facendo la doccia, con una cassetta di capelli in fiamme e li buttò nella condotto.
Il biondo bestemmiò in tutte le lingue e non gli parlò per il resto della giornata.
Mentre se ne stava lì ridacchiando, John aprì la porta di scatto e sussultò nel trovarsi di fronte il moro.
-…Sherlock..?-
Il detective alzò lo sguardo e facendo dietro-front, senza dir nulla, tornò in salotto.
Il dottore lo guardò preoccupato, poi facendo spallucce tornò alla sua doccia.
 
Chiuse gli occhi e iniziò a contare i battiti del suo cuore.
Sherlock lo faceva spesso, soprattutto per controllare che non fosse morto per la noia.
Aveva letto spesso che molta gente non si accorgeva di essere morta.
Un attimo prima era viva e l’attimo dopo… il nulla.
Riaprì gli occhi sbuffando.
-Noia…-
-Come Sherlock?-
Si voltò a guardare languidamente il biondo:
-NOOOIA…-
-Sherlock, riuscirai mai a non annoiarti?-
-uhm….NO!-
Il biondo si avvicinò al divano sistemandosi l’orologio al polso:
-Sei sicuro di stare bene, Sherlock?-
-Certo…perché?-
-Non so…ti trovo più strano del solito… come… triste?-
-Io non sono mai triste, John. Né felice.-
-Ah, giusto…”l’uomo che non si piega di fronte all’emotività”…- disse ironicamente.
-Anaffettività…-
-Come?-
-Si chiama anaffettività, John. Sai cos’è?-
-Beh…- si accigliò sedendosi in poltrona –è lo stato in cui un individuo… ha problemi di emotività… si dice che non ne provi… c’entra con un caso?-
-un caso…no…o forse il più interessante deicasi per te, John…-
-E quale sarebbe?-
Sherlock si mise a sedere osservandolo con occhi penetranti, tanto che il biondo sentì un fremito percorrergli la schiena.
-Sherlock Holmes.-
 
John lo guardò stranito.
-Mi…mi stai dicendo che…tu non provi affetto…per…nessuno?-
-Esatto.-
-Nemmeno per…i tuoi genitori, che so… tua mamma…tua nonna…-
-No.-
-Non è umanamente possibile, Sherlock.-
-Eppure quella patologia dice il contrario, John.-
-Quindi…mi stai dicendo…- lo sguardo blu mare del dottore divenne improvvisamente cupo -…che nemmeno per me…provi affetto…?-
 
Sherlock s’irrigidì.
Perché gli aveva fatto quella domanda?
Perché John doveva essere sempre così maledettamente sentimentale?
Perché lo guardava come se aspettasse…qualcosa?
Lui non sapeva cosa rispondere…perché…non lo sapeva…
 
Il biondo sospirò e si passò una mano sul volto:
-Senti…lascia stare…non so nemmeno perché ti ho fatto una domanda del genere…è ovvio che sono solo un oggetto per te…- si alzò e si diresse verso la porta.
 
Il detective lo guardò incredulo: perché aveva detto così? Ribadendo quel concetto che tanto aveva odiato “I sociopatici reputano le persone come oggetti”.
 
Con agile leggerezza il moro si alzò e si diresse alla porta, bloccandola con un palmo della mano.
Il dottore rimase di spalle, ma avvertiva il fiato caldo di Sherlock sul suo collo. Il fiato gli si mozzò in gola e deglutì rumorosamente.
-..S---Sherlock…che fai..?- domandò facendo trasparire nella voce una nota di agitazione.
-Voltati- sussurrò con voce calda, il detective.
John deglutì e si voltò, cercando di evitare lo sguardo dell’altro.
-Guardami, John.-
Il biondo alzò lo sguardo e… vide quegli occhi grigio ghiaccio osservarlo, quasi…spogliarlo.
-Io…- iniziò Sherlock non riuscendo a finire la frase.
John abbassò il suo sguardo sulle labbra rosee e carnose dell’altro.
-non devi, Sherlock…-sussurrò appena.
-Ssssh. Io … non ho mai avuto amici… tu conti molto per me, John. Se tu… mi abbracciassi…forse…- la voce andò nuovamente a smorzarsi.
Il più basso annuì e con mani tremanti lo abbracciò. Il suo cuore era un tumulto, come un cavallo selvaggio al galoppo.
E Sherlock lo percepiva…
 
“Sherlock non prova sentimenti…” pensò John. “Eppure…perché…è così…caldo quando lo abbraccio? Perché è così…” Lo strinse ancora di più a sé. Voleva fare sentire Sherlock amato, anche se magari non lo percepiva.
Voleva renderlo felice. Lui DOVEVA essere felice. Tutti hanno diritto di esserlo.
Sprofondò il naso nella sua spalla e si riempì i polmoni del suo profumo.
“Oh Sherlock…” .
 
…percepì quel tumulto di sentimenti provenire da John.
Registrò il suo battito accelerato, memorizzò le mani che lo stringevano in mondo particolarmente…disperato, quasi morboso…eppure…il nulla…
Sentì le lacrime salirgli agli occhi, ma…il suo cuore rimanere immobile…freddo, distaccato, chiuso in una teca di vetro.
Strinse i denti e non estraniò le lacrime. Lo cinse a sua volta, ma freddamente.
Infine sospirò e lasciò la stretta.
Scivolò via dalle mani di John come un fantasma e tornò sul suo divano, rannicchiandosi come un feto nel grembo.
Il biondo sospirò, passandosi una mano sul volto e silenziosamente se ne andò, con ancora nei polmoni il profumo del suo ex coinquilino.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Amore (?) ***


Sherlock rimase inerme per alcune ore sul divano.
Che cosa aveva fatto?
Perché…era stato così..stupido.
Come se abbracciare John avesse potuto cambiare qualcosa!
Invece…non aveva provato nulla. Per l’ennesima volta.
Sospirò e si mise a fissare il soffitto.
 
John, uscito dal 221B, salì su un taxi più turbato del solito.
Quando…aveva abbracciato Sherlock…aveva sentito un turbine di emozioni, sentimenti che non avrebbe mai immaginato che il detective fosse in grado di fargli provare…
Eppure…Sherlock non aveva provato lo stesso.
Non era riuscito a farlo respirare,ad aiutarlo.
Eppure ci doveva essere un modo.
Una cura…
Non poteva essere, così…
Sì, lui avrebbe aiutato Sherlock.
Lo avrebbe salvato…sarebbe riuscito a farsi amar-…
“John, cosa pensi? Sei sposato!” gli balzò alla mente.
Ma in cuor suo, il dottore, sapeva bene quanto prima di Mary avesse amato Sherlock: le sue cattive abitudini, il suo profumo, i suoi esperimenti, la sua voce, la sua risata, il suono del suo violino, la sua figura slanciata e longilinea che si stagliava dalla finestra…
Il medico sospirò, passandosi una mano sul volto.
Avrebbe aiutato anche Sherlock, ma prima doveva guadagnarsi i soldi necessari per allevare la futura piccola Watson.
John adorava pensare alla bambina: ai suoi occhi, alle sue prime parole, i suoi primi passi e come sarebbe stato bello portarla da Sherlock. Sicuramente, ne era certo, alla piccola Elizabeth (si, era questo il nome che voleva donarle) sarebbe stato simpatico Sherlock… e forse gli avrebbe fatto bene.
Tutti sanno che i bambini hanno un effetto positivo su chiunque.
E mentre pensava a ciò sorrideva…ma…non riusciva a pensare positivo con Mary.
Quale sarebbe stato il loro futuro..lui la amava…ma il fatto di essere stato imbrogliato da sua moglie…beh non gli era andato ancora giù del tutto.
Cercava di farsene una ragione. John Watson cercava sempre di farsene una ragione su tutto: la guerra, la morte del suo migliore amico (con ritorno teatrale), la moglie spia… era la sua vita. Non poteva più cambiarla.
Aveva scelto lei.
Eppure…se avesse scelto Sherlock…come sarebbe andata?
Ci pensava spesso.
Molto spesso.
Ma si rese conto in quel momento che con lui non avrebbe mai avuto possibilità anche se avesse voluto: non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti.
 
-Sherlock caro! Che cosa ci fai ancora coricato a letto! E’ mezzogiorno!-
Il detective fu improvvisamente svegliato dalla voce acuta e rimproverante della padrona di casa, mentre tirava le tende.
Si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi e bofonchiando insulti incomprensibili per la signora.
-Che…giorno è Miss Hudson?-
-E’ il 15 Aprile, Sherlock. E’ da quando se n’è andato John che dormi. Devi trovarti un caso.-
-Se la gente si decidesse a morire, Signora Hudson, sarebbe tutto più facile.-
-oh, Sherlock! Sei sempre così poco gentile. Non porta bene augurare la morte agli altri! Una volta la mia amica Betty…-
-Signora Hudson, dovrei cambiarmi le DISPIACEREBBE SLOGGIARE?-
-Oh oh!- ridacchiò la signora –Ho visto così tanti uomini nudi in vita mia, non mi sbalordirei nel vedere pure te, Sherlock caro. Mi hanno detto che anche la Regina ti ha visto nudo!- ridacchiò civettuola.
-SIGNORA HUDSON FUORI DA QUI’!- urlò il detective spaventando la signora.
-Parlerò con tua madre prima o poi, sappilo!-
-Al diavolo quella donna…- sbuffò ributtandosi le coperte fin sopra i capelli.
 
Dopo alcuni minuti sentì la signora Hudson parlare con qualcuno…non un cliente…ma qualcuno di familiare…
-Ciao Sherlock…la signora Hudson mi ha detto che sei particolarmente irascibile quest’oggi.- John entrò nella stanza con ancora il fiatone causato dalle scale. Si sedette a fondo del letto, poggiando una mano sulle gambe di Sherlock.
Quest’ultimo irritato per l’errata osservazione della padrona di casa, si scoprì arricciando il naso:
-Non sono irritato, John. Non tollero i suoi modi…così…civettuoli…-
Il dottore si morse un labbro sorridendo leggermente:
-Stai dormendo da due giorni Sherlock…-
-19 ore per la precisione.-
-Sì…19 ore…hai intenzione di essere il prossimo cadavere per Molly o vuoi alzarti?-
-Alzarmi non cambierà nulla John.- si ributtò a letto. –non mi darà né un caso né un senso a tutto l’universo…-
-Senti, Drama Queen, io mi sono preso una giornata libera… Mary è da sua zia… e vorrei passarla con te, ti va?-
Il detective lo guardò accigliato:
-Perché dovresti passarla con me?-
-Perché..sei il mio migliore amico?-
-Uhm…risposta accettabile, ma non esaustiva-
-…voglio aiutarti, Sherlock.-
-Io non ho bisogno di aiuto. Ti sembro uno che ha bisogno di aiuto? Anderson ha bisogno di aiuto. Dio…avresti dovuto vederlo l’ultima volta..lui e il suo grottesco fan club…-
-Sherlock…- il dottore lo guardò profondamente. –…sai a cosa mi riferisco. E’ curabile. Con la terapia… se tu me lo permettessi, potrei aiutarti.-
-IO NON VOGLIO FARE LA TERAPIA.- lo fulminò con uno sguardo gelido.
-Sherlock…non fare il bambino…- sospirò.
-John, sono un sociopatico. Sono un bambino per sintomatologia.-
-A te fa comodo così, Sherlock! Le persone cambiano, si evolvono. Tu sembri tanto intelligente, ma non hai nemmeno un’unghia di buon senso. Perciò ora ti alzi, ti cambi quel tuo fottutissimo pigiama e vieni in salotto. Ora.- disse minaccioso.
-Non sono un soldato del tuo reggimento, John.-
-Perché deve sempre essere tutto così DANNATAMENTE  difficile con te, Sherlock?- Il dottore lo guardò quasi ferito e Sherlock si sentì in colpa.
..era…senso di colpa quello?
Sherlock non aveva mai provato senso di colpa. Nemmeno sapeva cos’era…e ora.
Il detective strinse la mandibola, abbassò lo sguardo e sosprirò:
-Cosa devo fare, John? Non voglio alzarmi sto bene qui…dimmi solo cosa devo fare…per…hai capito.-
Il biondo sospirò e si sedette accanto a lui:
-Devi aprire il tuo cuore, Sherlock. Devi parlare con me, di qualsiasi cosa…del tuo passato. Queste cose si dovrebbero fare con degli esperti, ma so che non sopporteresti l’idea di parlare con uno sconosciuto di cose tanto personali, per te…perciò se ti va bene. Ci sono io.- sorrise incoraggiante.
-Io non ho nulla da dire, John. Non c’è nulla di sbagliato in me, non vedo perché dovrei parlare di cose che non ho.-
-Sherlock…- gli strinse una mano –cosa senti…ora?-
Guardò le loro mani intrecciate e sentì un tuffo al cuore e le lacrime salirgli nuovamente agli occhi, tolse di scatto la mano, quasi ansimante.
-Non mi toccare, John…-
Il dottore rimase sbalordito e ferito da quella reazione:
-Perché ti fa tanta paura il contatto fisico, Sherlock?-
Il moro deglutì… un flash back lo portò alle elementari.
Sherlock aveva più o meno 7 anni, stava giocando con una farfalla quando…un gruppo di ragazzini lo accerchiarono.
Prima lo derisero…poi…in cinque…calci, pugni, sputi.
Rimase a terra a piangere, in vano. Nessuno accorse in suo soccorso.
Tornò alla realtà...:
-Non ne ho idea.-
-Sherlock…lo sai che a me non le conti…-
-John…io…-
-Sherlock non andiamo da nessuna parte se tu non mi vieni in contro.-
Il detective prese un respiro profondo:
-Bullismo…-
-A scuola?-
-Sì.-
-…i tuoi, Mycroft…lo sapevano?-
-Sì, ma facevano finta di nulla.-
-Quando la prima volta?-
-6…7 anni…-
John si morse un labbro nell’immaginare Sherlock bambino calpestato dai suoi compagni. Sentì quasi sanguinargli il cuore.
-Vuoi..parlarne?-
-No.-
-Okay…- si alzò –vuoi …un the, un caffè?- disse con voce rotta.
-John…ti sei commosso?- lo guardò accigliato il moro.
-N-no…ho solo mal di gola…-
-John, non devi provare pena per me.-
-Non mi piacciono le ingiustizie, Sherlock. Va bene? E mi dispiace non averti potuto conoscere già allora per proteggerti. Forse…ora saresti diverso…- così dicendo sparì in cucina.
Sherlock si alzò a sua volta e lo seguì.
-Penso che questa cosa sia inutile.-
-che cosa?-
-La terapia… non mi serve…ho 37 anni, John. Sono sopravvissuto senza sentimenti fino ad ora…posso continuare a vivere. Forse lo stai facendo più per te stesso che per me, John.-
A quelle parole il dottore si voltò incredulo…
-Per…me stesso?-
-Sì.-
-Sei incredibile…anzi è incredibile quanto tu sia idiota ed egoista, Sherlock.-
-…credo di essermi perso un pezzo della discussione.-
-No, no hai ragione…hai ragione- portò le mani in alto.
-John… tu sei un dottore, anzi un medico militare…tu vuoi salvare tutti, ma non puoi. Non puoi cambiare il mondo, né un sociopatico…-
Il biondo profondamente ferito da quelle parole si morse un labbro e poggiò i pugni sul piano della cucina.
-Sai cosa vorrei tanto Sherlock?...uhm? Sai cosa? – domandò guardandolo con lo stesso sguardo che aveva lanciato a Sherlock nella sua comparsa al ristorante:
-Essere amato…essere fottutamente amato da qualcuno. Ah… tu al mio matrimonio, nel tuo bel discorso hai detto…-si morse un labbro mentre la voce gli si spezzava in gola –hai detto di amarmi Sherlock…uhm? …lo hai detto…Mary ha promesso di amarmi…e sai meglio di me la vicenda. Dimmi…dimmi che cosa cazzo ho fatto di male per non meritarmi nemmeno un po’ di amore, Sherlock. Tu che sai tutto. Dimmelo.-
Il detective lo osservava accigliato…come poteva pensare quelle cose…lui… aprì la bocca per parlare, ma John gli fece cenno di tacere.
-Hai ragione, come sempre hai ragione tu, Sherlock. E’ meglio che vada…-
Stava per andarsene, quando il moro lo bloccò per un polso.
-Lasciami andare Sherlock o ti arriva un pugno.-
-Uno in più sul mio naso non farà la differenz- …- vide gli occhi di John lanciargli saette e fulmini. -…John… io…-
-Non dire cose delle quali potresti pentirti, Sherlock.-
-…io ti amo, John. Ti amo. Non posso provarlo, ma so di amarti.-
 
Il dottore lo fissò immobile e a Sherlock…pareva di essere morto.
 
  di EFP.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4 ***


Rimasero a lungo a fissarsi.
Quei loro tipici sguardi indecifrabili che non capivano mai come fossero arrivati a quel punto.
John, infine, sospirò passandosi una mano sul volto.
Fece un passo verso Sherlock e mosse la testa per dire “No…non è vero…non sai cosa dici, per l’ennesima volta, Sherlock, mi stai prendendo in giro…”.
Il moro intrecciò le sue lunghe dita con quelle di John, contemplando tristemente le loro mani, che sembravano essere nate per essere intrecciate in quel modo così perfetto.
 
Il dottore, lentamente alzò lo sguardo: -cosa stiamo facendo Sh-…- il suo cellulare squillò.
Lasciò cadere la mano del moro e  prese il cellulare nella giacca:
-“Pronto?...sì? …c-cosa? O-ora come sta? E’ all’ospedale? Cristo! A-arrivo subito…” Sherlock devo andare, Mary…Dio…lascia stare. Ci sentiamo più tardi!- e così dicendo si catapultò giù dalle scale chiamando un taxi.
Il detective lo guardò, immobile ed incredulo scivolare via.
Lui sapeva già cos’era successo.
Lo aveva già dedotto dal tono di voce di John e della Zia di Mary dall’altra parte.
Questa volta…John non ne sarebbe uscito facilmente.
 
 
Corse a perdifiato lungo il corridoio quasi infinito dell’ospedale.
I suoni gli parevano amplificati, le voci distorte e le luci più abbaglianti del solito.
Arrivò alla stanza di Mary con il fiatone, la zia di lei cercò di darle spiegazioni, ma lui non ne volle sapere.
Si sedette sulla sedia accanto al letto della donna e prendendole una mano, cercò di farla parlare…
Ma era inutile: Mary era stata investita da un taxi pirata e ora era in coma.
Aveva perso la bambina.
Rosea in volto, respirava lentamente grazie al macchinario, dormendo apparentemente serena.
John le accarezzò il volto baciandole la mano fredda:
-Mary…Mary non lasciarmi ti prego…tieni duro…i-io ti amo, Mary… Sei forte, ce la farai. Io lo so…amore mio…tieni duro, ti prego…-
La dottoressa entrò nella stanza e gli disse la sua situazione: era debole, ma si sarebbe ripresa facilmente, doveva solo riposare. Lo invitò a tornare alla sera in orario di visita.
Il biondo annuì e baciando la fronte della moglie, andò a parlare con la zia.
-Com’è successo?-
La donna in lacrime gli rispose:
-Non lo so…e-eravamo sul marciapiede..v-vicino alla strada…p-poi questo taxi impazzito ci è venuto addosso e a centrato M-mary…-
-L’hai presa la targa?-
-S-sì…ho parlato con la polizia, ma ha detto che era rubata! Oh John! Sono stata così…così stupida! Perdonami, ti prego, perdonami…m-mi…mi dispiace per la bambina…-la donna si coprì il volto, John cercò di calmarla accarezzandole la schiena.
Usciti dall’ospedale l’accompagnò a casa e lui…tornò al 221B, distrutto.
 
Sherlock si era seduto al tavolo del salotto e con mani congiunte, fissava il telefono di fronte a sé, attendendo una chiamata o un messaggio dell’amico.
Ma né  chiamata né  messaggio arrivarono…ben sì arrivò direttamente il dottore.
Il detective udì i suoi passi funebri rimbombare per le scale e poi…eccolo lì: esile, pallido e invecchiato quasi di 5 anni aprire la porta e restare immobile a fissare il pavimento.
Il moro si alzò in piedi, indeciso sul da farsi…
Il dottore con due passi si diresse verso il detective e…lo abbracciò con forza disperata.
Sherlock rimase incredulo a quell’abbraccio.
John lo strinse con una forza sovraumana, quasi da fargli male e…scoppiò a singhiozzare.
Il moro chiuse gli occhi e lo strinse con più calore possibile a sua volta.
John…il suo John stava piangendo…l’uomo che non crollava mai…che andava sempre avanti ora era lì, disperato tra le sue braccia e stava piangendo.
Lui…si sentiva così rattristato e impotente davanti a ciò.
Sentiva le lacrime calde posarsi sulla sua maglia, fino a bagnargli la pelle…
Per qualche strano motivo, Sherlock lo strinse ancor di più a sé e iniziò a intonargli una canzone che gli canticchiava sempre sua mamma quand’era piccolo e si faceva male…

 
“Little man, little man
You’re so strong, you’re so fragile
But one day, but one day the east wind will come…
But one day, but one day the east wind will come…
Little man, little man
I know your suffering…
I know your dream…
But one day, but one day the east wind will come…
Everything, everything, everything will change…”

 
Il dottore rimase inerme tra le sue braccia e stranamente i suoi singhiozzi iniziarono a placarsi…
Come faceva? Come faceva Sherlock a calmare sempre tutti? Con i suoi tocchi…con la sua voce così calma e profonda…
Sospirò profondamente continuando a restare con gli occhi chiusi e respirando il dolce profumo del moro.
Il detective aveva quasi paura di lasciarlo andare, che sarebbe potuto cadere.
Si staccò da lui lentamente e lo guardò negli occhi:
-Mi dispiace, John…-
Il dottore lo guardò a sua volta e annuì silenziosamente, poi tornò a posare il suo capo sul petto possente del più alto.
Sherlock continuò a canticchiare con gli occhi chiusi e a dondolarsi leggermente spostando il peso da una gamba all’altra.
In realtà non era rimasto inerme di fronte a ciò…sapeva meglio di chiunque altro chi era stato a compiere quel gesto…
E non era per colpire John… ma per colpire lui.
Il gioco era ricominciato e il messaggio sul display del suo cellulare ne era la prova:

 
Come to play, Sherlock.
The King is bored.
JM

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2554584