Unmei no itazura - Tutta colpa del destino

di Kurotsuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quella sera al chiaro di Luna ***
Capitolo 2: *** Una rapsodia di ricordi ***
Capitolo 3: *** Un'assurda coincidenza ***
Capitolo 4: *** La conseguenza di una bugia ***
Capitolo 5: *** Problemi da risolvere ***



Capitolo 1
*** Quella sera al chiaro di Luna ***


1° chap

Quella mattina il Sole splendeva alto nel cielo di Tokyo, era una delle giornate più calde dell’anno, le strade del quartiere di Shibuya erano particolarmente affollate da innumerevoli ragazze intente a fare shopping e tutto questo, riempiva il quartiere commerciale di un piacevole frastuono. Dalle loro espressioni e dalla loro spensieratezza, si poteva benissimo intuire che la maggior parte di esse frequentasse le superiori, alcune di loro erano sedute nelle panchine di una gelateria, altre si godevano l’ombra sotto le siepi poste sotto il maestoso 109*, altre ancora uscivano dai negozi d’abbigliamento con dei sorrisi a 360° scaturiti, ovviamente, dall’imminente acquisto.  Vacanze, caldo, cielo limpido…eh sì, era proprio il giorno ideale per fare un po’ d’acquisti. D’un tratto però, qualcosa ruppe quella pace che si era venuta a creare, un urlo.
AL LADRO! CHE QUALCUNO MI AIUTI! SONO STATA DERUBATA!
Era la voce di una donna non più giovanissima, ad occhio e croce dimostrava una cinquantina d’anni, si era accasciata a terra, continuando a chiedere il soccorso di qualcuno. Provò ad alzarsi ma il tacco rotto della scarpa destra glielo impedì, era in preda al panico e, con il volto colmo di collera, continuava a toccarsi il petto come se le fosse stato strappato via qualcosa.

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"E adesso le notizie dell’ultima ora: Una ricca ereditiera americana è stata aggredita e derubata nel quartiere di Shibuya. La donna afferma d’esser stata privata di uno dei gioielli più importi della sua collezione, il suo costo si aggira intorno ad due milioni di yen**"
Se per lei era così importante perché se lo portava appresso? Commentai seccata con il telecomando fra le mani.
Ma è un vero disastro! Sorellona hai sentito? E dire che questo pomeriggio io e le mie amiche dovevamo incontrarci proprio a Shibuya! E se al posto di quella signora ci fossi stata io?!? AAH Non oso pensarci!! Esclamò mia sorella posando i palmi delle mani contro le guance per stupore.
Non preoccuparti, noi non abbiamo nessun gioiello del genere, in realtà non abbiamo il becco di un quattrino, se un ladro vedesse com’è ridotta casa nostra scoppierebbe in una risata interminabile. Sakura, ti dispiace se tolgo questa roba? Chiesi. Non mi va proprio di sentire assurdità all'ora di pranzo. Continuai appoggiando il gomito sul tatami*** con fare irritato
Ma come?! Non eri tu a dire di voler guardare i notiziari per informarti di come va il mondo? Replicò mia sorella intenta a mordicchiare una mela.
Hai detto bene, i notiziari. Questo è un programmucolo di terza categoria che si occupa solo di donne in carriera, donne post parto o roba dal genere. Che idiozia. Spensi la tv e mi distesi sul pavimento. Se c'era una cosa che odiavo, era dovermi rovinare l'appetito ascoltando notizie futili come quella.
Non fare così sorellona, scommetto che quando diventerai un’agente di polizia qualcosa cambierà, nel nostro quartiere almeno.
Proferì la mia dolce sorellina nel vano tentativo di conformarmi...
Puoi dirlo forte! Esclamai. Concluso il liceo darò il meglio di me per diventare una poliziotta esemplare. Butterò in gattabuia tutta la feccia della società, farò in modo che la nostra città diventi un posto dove poter vivere tranquilli.  
Quando pensavo al mio avvenire, il cuore mi si riempiva di speranza, ero sicura che sarei riuscita nel mio intento e guardavo al domani con occhi pieni d'ardore.
Io e mia sorella, eravamo solite passare insieme la domenica mattina in quanto, frequentando scuole diverse, i momenti da passare insieme erano pressoché assenti. Io, la più grande, frequentavo il secondo anno al liceo Minami, una scuola divenuta mista solo negli ultimi anni, mia sorella Sakura, invece, era all'ultimo anno delle medie Namimori. Dopo la morte dei nostri genitori, avvenuta tre anni prima, eravamo state affidate ai nostri nonni materni ma, dopo essere entrata alle superiori,  decisi di tornare nella casa dove io e mia sorella eravamo cresciute. Quella casa era troppo importante per noi, al suo interno, riuscivamo a carpire il tepore familiare, era come se i nostri genitori fossero ancora al suo interno, o meglio, a noi piaceva pensarla così. Certo, non vivevamo negli allori e pensare positivo non era facile eppure, riuscivamo ad andare avanti grazie ad alcuni lavoretti part-time che svolgevo dopo la scuola.
Tsubaki, non vorrei disturbarti ma, guarda che ore sono, non farai tardi con il turno al combini****? Domandò Sakura preoccupata.
Ma no figurati, è ancora presto guar...EEEEEH?!? Ma è tardissimo! Com'è che il tempo è passato così velocemente?!?!? Esclamai in preda al panico per il ritardo.
Non è il tempo ad essere passato velocemente, sei tu che ti sei addormentata sorellona. Rimproverò. La borsa è davanti la porta, te l'ho già preparata su, sbrigati. Rispose Sakura rassicurandomi.
Ti ringrazio sorellina. Stai attenta, mi raccomando! Se esci chiudi la porta, se non esci chiudila lo stesso e non aprire agli sconosciuti, scappo, ciaooooo! Conclusi incamminandomi. Ogni volta la stessa storia, nonostante avessi fiducia in lei, quando uscivo di casa non riuscivo a non farle delle raccomandazioni, il nostro era un bellissimo rapporto e sentivo che avrei dovuto proteggere la felicità di quella ragazza finché avessi avuto sangue nelle vene.

Ah che noia, avrei voluto restare un altro po' in casa a riposare però, il capo mi ha detto che questa settimana mi avrebbe dato un extra quindi, non devo lamentarmi. Pensai camminando tra la folla finché, tra un pensiero e l'altro, giunsi a destinazione. Lavoravo allo "Sweet", una rinomata pasticceria situata nel famoso quartiere di Shibuya e il mio compito era servire la clientela. Era un lavoro semplice ma al tempo stesso molto impegnativo: era difficile essere gentili con clienti che venivano ad acquistare solo per provare a rimorchiarti ma, aimè dovevo resistere, quel lavoro mi serviva e, in più, si trovava a due passi da casa, era perfetto e non potevo lasciarmelo scappare.
Sono pronta per un'altra giornata di lavoro! Pronunciai entrando, intenta a sfoggiare uno dei miei migliori sorrisi.
Oh, signorina Yoshikawa, buon pomeriggio, sempre piena di energie eh? Ah, beata gioventù. Commentò l'ormai anziano capo responsabile. Dà il meglio anche oggi. Concluse con un sorriso reso possibile solo grazie a quella dentiera di cui nessuno era a conoscenza, già... nessuno tranne tutto il quartiere...
Sì capo, conti pure su di me! Replicai e mi diressi in camerino per indossare la divisa del locale: un vestito rosso pieno di merletti in stile lolita con tanto di grembiule bianco coordinato. Per me, indossare quel vestito era troppo, decisamente troppo imbarazzante.
Le ore passate al lavoro erano quasi sempre piacevoli, la ragazza che lavorava al mio fianco, Yuya, era una mia coetanea ed era rilassante poter parlare e scherzare con qualcuno che viveva i miei stessi problemi. Anche quel pomeriggio era finito e con esso il mio turno al lavoro.
Yoshikawa-san, per oggi hai fatto abbastanza, puoi tornare a casa, ecco qui la tua paga. Disse il capo responsabile porgendomi una busta contenente il frutto del mio duro lavoro.
La ringrazio infinitamente signor Suzuki, grazie davvero. Ringraziai.
Sono io che devo ringraziare te, sei così carina che rendi questo posto allegro e pieno di clienti, spero ci aiuterai anche in futuro. Concluse il signor Suzuki.
Eh eh. La ringrazio capo, se continua a pagarmi bene, vedrà che non si libererà mai di me! Pensai divertita
Certamente! Adesso vado, a domani! Enunciai uscendo dal negozio.
Non avrei mai pensato che qualcuno potesse considerarmi "carina"...Sono sempre stata considerata simile a mia madre, sia caratterialmente che fisicamente: solare, combattiva, avevo un fisico slanciato, lunghi capelli mossi color castano chiaro, e grandi occhi dorati…Ora che ci penso, all’epoca delle medie ero proprio un maschiaccio, tenevo sempre i capelli legati e il mio corpo presentava varie cicatrici un po’ ovunque per via di qualche duro allenamento al club di kendo. Mi consideravo accettabile, quella carina era mia sorella Sakura, anche lei snella, acconciava ogni giorno in modo diverso i suoi lunghi capelli neri, ricordo che spesso, per prenderla in giro, usavo chiamarla “Sadako”*****… Era un tipo spigliato e socievole, ammirata e invidiata da molte sue coetanee.  Nonostante la giovane età, aveva già infranto una miriade di cuori, del resto, aveva preso tutto da nostro padre. Quanto rimpiango quei momenti…
Evviva la paga, la paga, la paga! Con questi soldi finalmente potrò tornare a mangiare della carne dopo tanto tempo! Pensai felice. Si era fatta sera, la Luna splendeva alta nel cielo ed io, incurante della gente che mi passava affianco, camminavo a testa alta per ammirare quel meraviglioso paesaggio che solo la sfarzosa Tokyo poteva regalare. Nelle serate come quella, ero solita perdermi tra i ricordi del passato: pensavo alla vita di un tempo, a quanto fosse spensierata la mia esistenza fino a qualche anno addietro, un tempo erano ben altre le cose che mi rendevano felice, pensavo ai miei genitori, chissà come avremmo vissuto io Sakura se i loro fossero stati in vita...quando d'un tratto...
AIUTO, AL LADRO! FERMATELO PER FAVORE!!
Era la voce di una donna situata a poca distanza da me.
Che cosa? Ancora?! Mi chiesi e, senza pensarci due volte, cominciai a correre cercando di riuscire a scorgere la figura del ladro. In quell'istante, venni urtata da qualcuno che sembrava avere non poca fretta, teneva qualcosa fra le mani e si allontanava a gran velocità.
Ti ho trovato, amico. Pensai e subito iniziai inseguirlo fino a quando lo raggiunsi in un vicolo cieco. Era un ragazzo, alto, snello e con lunghi capelli castani raccolti in una coda.
Fermo dove sei! Gridai. So quello che hai fatto quindi, restituiscimi subito quello che hai rubato, forza! Pretesi per niente intimorita. Provavo un senso di eccitazione all'idea di trovarmi in una situazione del genere, finalmente potevo mettere alla prova le mie vere capacità, ero al settimo cielo!
Senti, senti. Rispose il ragazzo. Una liceale che svolge in gran segreto un part-time non dovrebbe fare la voce grossa, mi sbaglio? Continuò voltandosi verso di me. Nonostante fosse illuminato dai raggi della Luna, il volto era nascosto da lunghe ciocche di capelli ma era intuibile che avesse l'età per frequentare le superiori. Al suono di quelle parole, sussultai.
C...come fai a sapere del mio lavoro part-time? Chiesi stranita. Il ragazzo rise puntandomi l'indice contro.
Hai ancora l'uniforme addosso, stupida. Rispose.
Stupida a me? Razza di pezzente, ma come ti permetti?!? Senti un po' adesso tu mi resti...
Senti un po' tu, signorina. Disse senza lasciarmi il tempo di rispondere. Mi sembra che adesso sia io ad avere il coltello dalla parte del manico, facciamo così: tu non dici niente sul mio conto e io non dirò nulla sul tuo lavoretto. Che ne dici? Propose lui.
Eeeeh?? E perchè mai dovrei fare una cosa del genere?! Io sono dalla parte della giustizia, non permetterei mai ad un ladro di farla fran...
Forse non hai ancora capito la situazione. Continuò interrompendomi. So bene che la scuola che frequenti non accetta che i suoi alunni abbiano un lavoro part-time, saresti costretta a lasciarlo e non penso che tu possa permetterlo. Concluse.
Accidenti, ma chi è questo qui e come fa a sapere una cosa simile? E adesso? Cosa posso fare?  Pensai. Ero nervosa, parecchio nervosa...mai avrei pensato di trovarmi in un simile contesto.
E allora? Chiese il ragazzo misterioso.

Annotazioni:
*Il 109 è un centro commerciale  situato a Shibuya , nei pressi della famosissima statua di Hachiko. Piccola chicca: Il nome dell'edificio ha origine da un gioco di parole , il cosiddetto goroawase, cioè la sostituzione delle cifre con delle parole per ricordare, ad esempio, date o numeri di telefono, ed è stato ottenuto utilizzando i caratteri (10) e kyū (9), formando la parola Tōkyū (Grazie Wikipedia ♥)
**Circa € 14000
***
Tradizionale pavimentazione giapponese
.
**** Convenience Storie giapponesi.
***** Sadako Yamamura, conosciuta in tutto il mondo come Samara, protagonista del famoso film horror "The Ring".


Tadaaan! Che fatica pazzesca ragazzi >o<". Vi presento "
Unmei no itazura ~ Tutta colpa del destino",
 la mia primissima fan fiction inventata di tutto punto. Non ero sicura di volerla pubblicare (e allora
perchè lo hai fatto? é_é) però un qualcosa mi ha detto: "dai, che ti costa?" ed eccomi qui. L'idea è
 nata da un sogno in cui vwrgefhefsdhjfgwuyfegshfd, eh, se ve lo racconto poi che scrivo a fare? XD
Spero che la storia sia di vostro gradimento, ci sentiamo nel prossimo capitolo gente!
                                                                                                                                                  またね Mata nee!












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Capitolo 2
*** Una rapsodia di ricordi ***


Tre anni prima...
Era una fredda mattina d'inverno, il Sole splendeva alto su nel cielo e l'aria profumava di erba appena tagliata, gli alberi del quartiere erano addobbati per l'imminente arrivo del Natale e fra il rumore di un treno e l'altro, si riusciva a udire il pianto di un bambino. Era una fredda mattina d'inverno e mentre la città si ridestava, una sveglia continuava a suonare.
Mamma! Ma insomma, hai visto che ore sono?!? Perché non mi hai chiamata?! Adesso farò tardi a scuola. Lamentai vestendomi in fretta e furia
NON TI HO CHIAMATA?!?!? Sbraitò mia madre con la mani ai fianchi. Un'ora fa sono entrata in camera tua per cercare di svegliarti ma tu mi hai quasi scaraventato la sveglia in faccia pregandomi di lasciarti dormire altri cinque minuti, io l'ho fatto ma quando poi sono tornata in camera non volevi saperne di svegliarti. Non prendertela con me se la tua pigrizia fa invidia ad un bradipo, cara mia. Concluse.
Uffaaaaa! Ho capito, ho capito e la colazione? Domandai ormai pronta per uscire.
Quella la consumerai a scuola, se mangi adesso finirai per perdere la prima ora su, datti una mossa. Comandò mia madre.
Che madre rompiscatole. Borbottai a voce bassa. E Sakura? Domandai sull'uscio di casa.
Scusa cosa? Chiese quasi infuriata. Tua sorella è uscita da un bel pezzo, al contrario di qualcuno...Terminò lanciandomi un'occhiataccia.
Eh, eh nulla, nulla. Ho capito scappo, ciao papà, ciao Akane, ci vediamo più tardi! Salutai accennando una linguaccia e correndo in direzione della scuola.
QUANTE VOLTE TI HO DETTO DI NON CHIAMARMI PER NOME?!? SONO TUA MADRE, ACCIDENTI!!!! Urlò. TSUBAKI! QUESTA SERA IO E TUO PADRE SAREMO AD UNA CENA DI LAVORO! PREPARA QUALCOSA PER TE E PER SAKURA! Concluse.
SI, OK! ADESSO VADO, CIAOOO! Risposi intenta a correre lungo la via.
Uff! È proprio inutile discutere con lei, quella ragazza è incorreggibile e se vuoi saperlo la colpa è anche tua, Takumi.  Pronunciai ridendo. Ero sicura che appena rientrata, mia madre avrebbe fatto la solita ramanzina a mio padre, gli avrebbe rimproverato il fatto che, nonostante fosse un agente di polizia, non era riuscito ad educarmi al meglio e che, sicuramente, era colpa sua se avevo quel carattere mascolino e sfacciato.
Takumi Yoshikawa e Akane Tanaka, erano questi i nomi dei miei genitori. Si erano conosciuti vent'anni addietro fra i banchi di scuola, precisamente in prima liceo. Lui, con i suoi 192cm, era il capitano della squadra di basket, amato e rispettato da tutti i suoi compagni. Lei, manager della medesima squadra, era temuta per il suo temperamento un po' irrequieto ma non passava di certo inosservata per la sua bellezza: snella, lunghi capelli mossi color castano dorato che le celavano la schiena e un viso angelico che mutava in demoniaco al variare delle situazioni. Ben presto la loro amicizia si tramutò in amore e così, dopo aver terminato la scuola, si sposarono in una fresca giornata di primavera e fu così nascemmo io e mia sorella.


In quel periodo, io e Sakura frequentavamo l'istituto unificato Namimori e, finite le lezioni, ci incamminavano verso casa. 
SAKURA!!!! Chiamai a gran voce andandole incontro.
Si può sapere che fine hai fatto? ! Rimproverò Sakura. Ti ho aspettata per più di mezz'ora, ti sembra il modo di comportarsi? Continuò ammonendomi.
Si, lo so scusami. Gli allenamenti del club sono andati per le lunghe e io non mi ero accorta del tempo trascorso. Per farmi perdonare questa sera preparerò il tuo piatto preferito. Proposi unendo le mani a mo' di preghiera. Che  ne dici? Domandai facendole l’ occhiolino.
Uffaaa! Lamentò Sakura dandomi. Va bene, mi hai convinta. Concluse voltandosi per sorridermi. Mia sorella era un libro aperto, conoscevo tutti i suoi punti deboli e sapevo sempre come strapparle un sorriso.
EVVIVA! Allora andiamo subito al supermercato! Esclamai.
Sorellona, ti esalti per un nonnulla, come i bambini... Commentò divertita Sakura.
E tu sei sempre antipatica con me. Risposi. Su, andiamo prima che si faccia troppo tardi!  Dissi prendendo Sakura per una mano. Cominciammo a parlare della nostra giornata a scuola e, senza rendercene conto, eravamo arrivate davanti al combini.
Dopo aver preso l'occorrente per la cena, ci dirigemmo verso casa e, arrivate lungo la via, vedemmo qualcosa di insolito, fermo proprio davanti casa nostra: era una volante della polizia con a bordo due uomini in divisa. Dopo averci intraviste, uno dei due uomini si diresse verso di noi, portava la divisa ma non aveva un volto familiare.
Dev'essere un collega di papà. Bisbigliai tentando di rassicurare mia sorella.
Voi siete le figlie di Takumi-san dico bene? Disse l'uomo abbassando il cappello d'ordinanza. Vi prego di seguirmi. Concluse.
Chi sono quegli uomini? Perché erano fermi davanti casa nostra? Perché ci cercavano? Nella mia mente iniziavano a fiorire le prime domande, ero agitata, troppo agitata. Magari mi preoccupo per niente. Ma sì, non sarà nulla di serio. Continuai cercando di cancellare i pensieri negativi.
Già dal primo sguardo, avevo notato in quell'uomo qualcosa di serio ma di altrettanto malinconico, qualcosa non quadrava ma rimasi in silenzio stringendo forte la mano di Sakura e, accompagnate dall'uomo in divisa, ci dirigemmo verso casa. Al nostro arrivo, trovammo i nostri nonni materni ad aspettarci, in completo e fastidioso silenzio.
Le domande e i pensieri iniziarono a moltiplicarsi, l'ansia e l'agitazione avevano preso il sopravvento e, stanca di tutto quel silenzio, presi il coraggio a due mani e fece un passo avanti.
C...che sta succedendo? Chiesi guardandomi intorno. Nonno? Nonna? Continuai guardandoli. Che ci fate qui? Se cercate mamma e papà loro sono...
In quel momento mia nonna corse ad abbracciaci in preda ad un pianto isterico. Poco dopo, fummo messe al corrente di tutto. I nostri genitori avevano perso la vita in un incidente: un pirata della strada li aveva travolti, mandando la macchina contro un guard rail e facendola precipitare in un burrone. Nei giorni successivi, Sakura pianse ininterrottamente ma io no, non che non ne avessi voglia, non perché non ne sentivo il bisogno ma perché volevo…dovevo vegliare su mia sorella, sentivo che, nonostante la vicinanza dei parenti, saremmo rimaste sole, ormai Sakura era tutta la sua famiglia così, scelsi di diventare forte anche per lei. Era giunto il tempo di crescere.

Entrata alle superiori, cambiai modi di fare, abbandonai quel lato mascolino che tanto mi aveva contraddistinta negli anni precedenti: lasciai cadere lungo la schiena quei lunghi capelli che mia madre amava tanto, divenni più responsabile e migliorai notevolmente la mia media scolastica, restando comunque un'irrimediabile sbadata.  Quell'esperienza mi aveva portato a riflettere: avevo deciso di diventare un'agente di polizia come mio padre, volevo portare l'ordine là dove regnava il caos e quale miglior posto dove cominciare se non a scuola? Dopo vari tentennamenti, decisi di entrare nel comitato studentesco intenta a cambiare le cose e da quel momento, mio malgrado, venni soprannominata "il sergente*”.

 

Presente…
Non ho altra scelta se non questa... Bisbigliai.
NEMMENO PER SOGNO!
Urlai scagliandomi contro il ladro . Che vuoi che me ne importi? CERTO CHE M'IMPORTA INVECE! Pensai mentre sferravo un calcio al mio avversario.
Ah si? Beh allora, non ho altra scelta. Disse lui rassegnato.
Vedo che hai finalmente capito con chi hai a che fare. Commentai divertita.
Già, con un'allocca... Mi sono divertito a giocare con te. Ci vediamo, mutande a pallini! Concluse lanciando ai miei piedi una bomboletta fumogena. Iniziai a tossire e, quando la nube di fumo si dissolse, mi accorsi che nel vicolo non c'era più traccia di quel ragazzo. Maledetto! Dove sei? Chiesi invano... "M...mutande a pallini?" Mi avrà visto sotto la gonna quando gli ho dato quel calcio... Pensai col volto rosso per la vergogna.
Razza di maniaco pervertito...ME LA PAGHERAI CARA!  
Urlai infuriata.
Quella sera tornai a casa più tardi del previsto e, dopo essermi messa a letto, ripensai tutto il tempo a ciò che mi era accaduto. Nonostante fossi provata dagli avvenimenti di quel giorno, non riuscì a chiudere occhio, continuavo a pensare alle parole di quell’individuo e non riuscivo a capacitarmi di come sapesse così tante cose sulla mia scuola. Quando riuscì finalmente a chiudere occhio, era già mattina.

Annotazioni:
In questo caso viene fatto riferimento al sergente Hartman, personaggio del film Full Metal Jacket, conosciuto e temuto per la sua severità.

 

 

 
Ed eccoci ormai al consueto appuntamento (?) con l'autrice (per così dire), che poi sarei io XD
Benvenuti nel secondo capito di " Unmei No Itazura - Tutta colpa del destino".
Allora, come vi sembra la storia fin qui? (Una gran ca*** XD) Ho pensato fosse doveroso
dare un piccolo spazio alla famiglia Yoshikawa. Volevo descrivere un po' la vita delle ragazze,
contrapponendo passato e presente, spero di non aver fatto un pensiero sbagliato XD
Ad ogni modo, spero possiate darmi un vostro parere anche su questo capitolo! Alla prossima ^-*

またね Mata nee!

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Capitolo 3
*** Un'assurda coincidenza ***


Una rapsodia di ricordi

Un'assurda coincidenza

Lunedì. Era l'inizio di un nuovo quadrimestre e, per un normale adolescente, questo significava tornare fra i banchi di scuola, riprendere l'attività al club di appartenenza e fare la pausa pranzo in mensa o nei giardini del proprio istituto. Per me invece, tutto ciò significava abbandonare la veste di semplice sorella maggiore per indossare quella da vice-presidente del consiglio studentesco e fare in modo che tutte le norme, ad esso collegate, venissero rispettate. Tutte le mattine, sostavo davanti i cancelli della scuola, per sincerami che le divise fossero indossate con la massima accuratezza. Il mio era un esame scrupoloso, camicie sbottonate e gonne troppo corte erano taboo assoluti che non avevano motivo di esistere all'interno di una scuola rinomata e prestigiosa come la Minami, o meglio, questo era quello che pensavo....
Quel giorno però, ero meno impassibile del solito anzi, per meglio dire, sembravo non accorgermi nemmeno di chi mi passasse vicino, tenevo il capo leggermente abbassato e miei occhi, che si chiudevano ad intervalli irregolari, mostravano chiaramente i segni di chi aveva passato la notte in bianco.
Ehilà Fiorellino*! Esclamò una voce alle mie spalle. Che fai, batti la fiacca? Chiese ironicamente battendo ripetutamente la mano sulla mia spalla.
Al suono di quella voce, per così fastidiosa, mi girai di scatto e feci per sferrare un pungo all'addome della figura che mi si poneva davanti.
A-ra-ta...Sillabai con voce tetra. Ti ho detto mille volte di non storpiare così il mio nome, maledetto! Conclusi ricomponendosi.
Ahi, ahi, ahi, ahi, ahi. Lamentò il ragazzo. MA SI PUÒ SAPERE CHE TI PASSA PER LA TESTA? AVRESTI POTUTO FARMI DAVVERO MALE, BRUTTA STUPIDA!! Urlò adirato. E io che volevo soltanto salutarti.... Concluse malinconico.
Brutta stupida? Ribadì infastidita. Nah, oggi non ho la benché minima voglia di prendermela...non sono proprio in vena. Conclusi insoddisfatta. Ero spossata, assonnata e priva di qualsiasi voglia di fare, se non avessi ricoperto un ruolo importante come quello del vice-presidente, sarei sicuramente rimasta sotto le coperte, gustandomi un po’ di quel meritato riposo che la sera precedente mi aveva negato.
Forza, non devi cedere. Continuavo a ripetermi.
Ehi Tsubaki, va tutto bene? Chiese Arata. Oggi sei più strana del solito. Continuò preoccupato.
Arata Suzuki era il mio eterno compagno di classe e, in un certo senso, il mio migliore amico, ci incontrammo per la prima volta alle elementari e continuammo a condividere la stessa classe sia alle medie che alle superiori. Non era ciò che si può definire uno studente modello, non aveva buoni voti ma eccelleva nello sport, frequentava il club di basket e puntava a diventarne il capitano. Alto all'incirca 175 cm, si presentava snello e slanciato con una muscolatura accennata ma non eccessiva, i capelli castani, fissati quasi sempre con il gel, avevano riflessi più chiari alla luce, i suoi occhi marroni, cambiavano tonalità al variare del tempo. Era il classico "bello e sportivo", solare e divertente, un tipo che piaceva insomma.
Eh? Come? Si, si, va tutto bene non preoccuparti. Questa notte non ho chiuso occhio per via di un incubo quindi sono un po' stanca ma niente di più. Spiegai rassicurandolo.
A causa di un incubo? Che sciocchezza, come si fa a non riuscire a dormire per un motivo così insulso? Commentò sbeffeggiando un ragazzo al nostro fianco.
Scusa puoi ripetere? Chiesi il capo verso la figura accanto a me. Non credo di aver capito. Conclusi.
Non c'è bisogno che io ripeta, hai capito benissimo. Ribatté immediatamente lui.
Gli ero così vicina da riuscirne a guardare i lineamenti. Alto circa 180 cm, aveva viso angelico, quasi innocente, caratterizzato da uno sguardo glaciale e fiero, occhi dorati in grado di trafiggere chiunque e corti capelli lisci, che contornavano e ricoprivano parte del viso. Portava la divisa in modo impeccabile e nella mano destra teneva un libro scritto in inglese.
Come ti permetti? Razza di maled...Non feci in tempo a finire la frase che subito venni interrotta dalla voce più potente e decisa di Arata, che intervenne prontamente in mia difesa.
Ehi, cerchi rogne per caso? Intimidì. Mi pare che qui nessuno abbia chiesto il tuo parere. Seguitò.
Beh, mi pare che nessuno abbia chiesto nemmeno il tuo, o mi sbaglio? Ribatté soddisfatto lo sconosciuto continuando a leggere il suo libro. Mi spiace ma non ho tempo da perdere con voi, ci vediamo. Salutò con fare altezzoso mentre si allontanava.
Se non mi avesse rivolto la parola, avrei pensato a lui come un ragazzo modello, bello, intelligente e molto educato…era un vero peccato che quella bocca sapesse solo sputare veleno.
Ehi, ma tu lo conoscevi quello lì? Chiese Arata seccato seguendo con gli occhi la figura del ragazzo.
Che strano...Sono sicura di non averlo mai visto eppure, aveva un'aria così familiare…Continuai a rimuginare, fin quando i miei pensieri non vennero sopraffatti dalla voce del mio fastidiosissimo amico.
Eh? Ah, no...mai visto. Risposi con la testa ancora fra le nuvole.
Davvero?! Esclamò Suzuki. Che tipo odioso...Borbottò.
Eh, eh senti da che pulpito viene la predica. Commentai divertita. Su, sbrighiamoci o faremo tardi a lezione. Seguitai.
In quello stesso istante, un suono amichevole quanto fastidioso riecheggiò in tutta l'area circostante, era la campanella che dava inizio alla prima lezione del mattino.
Al suono di quella melodia i ragazzi cominciarono a correre verso la propria classe, la A. Quest'ultima si trovava al secondo piano dell'edificio scolastico, ospitava venti alunni di cui 13 ragazzi e 7 ragazze, Aoi Miyazawa, capoclasse nonché la migliore amica, si impegnava ogni giorno affiche sulla cattedra splendesse un vaso pieno di fiori affinché ravvivassero l'atmosfera.
Appena in tempo! Pronunciai con il fiatone chiudendo la porta dell'aula dietro di me.
TSU-BA-KI!!! Esclamò una figura davanti a me e subito fui assalita da delle braccia che mi si avvinghiarono attorno al collo. Da quanto tempo, mi sei mancata! Confessò felice.
Azus...co..ì..-offo...o... Provai a pronunciare, ma presa della ragazza fu così forte che uscirono soltanto degli accenni di ciò che avrei voluto dire.
AZUSA! Smettila, lasciala un po' anche a me! Commentò un'altra studentessa aggrappandosi anch'ella al mio povero collo.
Azus..Aka...aiu..o... Continuavo senza fiato. Era la fine, stavo per esalare il mio ultimo respiro…
ADESSO BASTA! Azusa, Akane, via da lì, non vedete? La state soffocando! Rimproverò Aoi preoccupata. Successivamente, le due studentesse si ricomposero facendo cenno con il capo in segno di scuse.
Grazie mille Aoi, ti devo un favore. Dissi tirando un profondo respiro di sollievo. Ragazze, quante volte vi ho detto di non essere così irruente? Rimproverai.
Scuuusaci Tsubaki! Eravamo solo contente di vederti! Affermarono a gran voce con tono dispiaciuto.
Lo so, lo so, anch'io sono contenta di vedervi, la prossima volta però, se volete vedermi ancora...viva… Sottolineai… siate più caute. Consigliai mentre mi dirigevo al proprio posto.
Azusa e Akane erano le ragazze, nonché gemelle, più ambite di tutta la scuola, restie a frequentare un istituto un tempo maschile, vedevano in me una guida, un fulmine a ciel sereno che le avrebbe protette dagli sguardi indiscreti dei ragazzi. Sguardo fiero, bionde con occhi azzurri, rispecchiavano in tutto e per tutto la loro terra d'appartenenza: la Germania.
Il loro sguardo, dolce e indifeso, aveva ammaliato tutti i ragazzi della scuola. Molte volte avevano ricevuto delle dichiarazioni d’amore, anche da ragazzi più grandi, ma era tutto inutile, l’unica risposta che si otteneva in quelle circostanze era un: “No, grazie”. Sembravano odiare l’universo maschile e, forse, era proprio per quello che le adoravo così tanto. Quelle ragazze erano diverse, forse era il tanto famoso “fascino dei gemelli” a renderle tali, restavano sempre per conto proprio e, fatta eccezione per me e Aoi, non vedevano di buon occhio i nostri compagni.
Quelle due non cambieranno mai. Enunciai rassegnata. Una volta seduta, diedi uno sguardo all’aula, dovevo ammettere che quell’ambiente mi era mancato: la vista dei miei compagni, gli schiamazzi mattutini, quell’allegria che precedeva la lezione e che d’un tratto spariva alla vista di un professore…Ero contenta di poter rivivere tutto quello.
Ma sentitela. Ironizzò Aoi divertita. Io, lei e Arata, eravamo inseparabili sin dalla prima elementare. Miyazawa, eccelleva in ogni materia e negli sport non era da meno, ero stata proprio io a raccomandarla come rappresentante di classe, ero convinta che nessuno avrebbe potuto ricoprire un ruolo del genere, se non lei. Era piuttosto alta e, in quanto a bellezza, non aveva nulla da invidiare al resto delle nostre compagne, sin da piccola era solita portare i suoi lucenti capelli neri, corti fin sopra le spalle. Sempre gentile e socievole, Aoi assumeva un comportamento severo ma altrettanto comprensivo nei miei confronti, dopo anni di amicizia, eravamo come due sorelle .
Piuttosto. Continuò Miyazawa. Si può sapere che ti prende di primo mattino? Sembra che tu non abbia chiuso occhio per tutta la notte. Concluse tirando ad indovinare.
La guardai senza aprir bocca e distesi le braccia sul banco. Infatti è proprio così...Ieri stavo quasi per acciuffare un ladro ma mi è scappato, sapessi quanto è stato scortese...c'ho pensato tutta la notte...Maledetto, giuro che se mi ricapita sotto tiro lo sistemo per le feste. Confessai depressa.
Aoi sbuffò, conoscevo quello sguardo, era quello di qualcuno che si apprestava a fare una ramanzina. E così, una ragazza della tua età si è messa DA SOLA a dare la caccia ad un ladro...Di un po', ti ha dato di volta il cervello?! Esclamò battendo la mano sul banco.
Ecco…appunto. Pensai. A pensarci bene, più che come sorella, vedevo Aoi più come una madre.
Lo sai che potevi correre un grosso pericolo? E poi come sarebbe a dire che è stato scortese? Cos'è successo?
Enunciò infastidita a braccia conserte.
Ma niente, non è successo nulla di cui tu debba preoccup...Non feci in tempo a finire la frase che subito m'interruppe.
Mi preoccupo eccome invece, sei sempre stata una ragazza avventata, non lo capisci che saresti potuta finire in guai seri? Che ti frutta in quella testa?! Continuò rimproverandola.
Uffaaa... Brontolai. E va bene, ho capito...La prossima volta presterò più attenzione...Dissi a mo' di cantilena. Mammina… Bisbigliai divertita.
Fortuna che non ha ribadito le ultime domande... Se le avessi detto che quell'infame mi ha visto le mutandine, chissà su quali strane fantasie avrebbe rimuginato...Meditai.
Il mio banco era posto all'ultima fila, accanto alle finestre. Davanti a me si trovava il banco di Aoi e, a destra di quest'ultima, vi era il banco di Arata. Adoravo il posto che mi era stato assegnato, a volte, durante le lezioni, volgevo lo sguardo alla finestra, perdendomi in ricordi e fantasie. Pochi istanti dopo, la porta dell'aula venne aperta da una mano non più molto giovane, era il professor Tetsuya Sakamoto, uno degli insegnanti più severi di tutto l'istituto.
IN PIEDI! Ordinò la capoclasse con tono deciso. INCHINO. Seguitò. Questo, era uno dei compiti che Aoi amava di più: comandare. Era in momenti come questi che il suo lato un po' sadico e dittatoriale prendeva il sopravvento, amava dare ordini e gioiva quando questi venivano eseguiti.
Buongiorno ragazzi, spero che abbiate trascorso le vostre vacanze in modo proficuo. Proferì l'uomo di mezza età. Prima di cominciare la lezione, vi presento colui che da oggi sarà un vostro compagno, vi chiedo di farlo ambientare quanto prima. Prego, entra pure. Concluse dando uno sguardo alla porta. Sulla classe scese il silenzio, tutti ci voltammo a guardare lo spazio da cui sarebbe entrato il ragazzo in questione, curiosi di sapere che faccia avesse. Passo dopo passo, il nuovo arrivato si diresse verso la cattedra sistemandosi accanto al professore.
Mi presento, sono Hikaru Ichinose e...
Non potevo crederci, o meglio, non volevo…
EEEEEH?!?! Urlai schizzando in piedi…
MA TU SEI QUELLO DI QUESTA MATTINA! Sbraitai puntando il dito verso di lui.
Il ragazzo non mi degnò di uno sguardo e, schiarendo la voce continuò la sua presentazione.
Dicevo, il mio nome è Hikaru Ichinose e mi sono trasferito da poco nella vostra città. Concluse voltatosi verso la lavagna, pronto a scrivere il suo nome a caratteri cubitali. Piano piano, il silenzio venutosi a creare si tramutò in un fastidiosissimo schiamazzo: “È bellissimo!", "Che figo!", "Ma lo hai visto?!"...Bisbigliavano le studentesse tutti eccitate.
Canta una canzone! Propose ridendo uno dei ragazzi.
Io, che nel frattempo ero ancora in piedi, continuavo a guardare quel ragazzo che minuti addietro mi aveva infastidita, stupita da quell'assurda coincidenza.
Quello…ma come si permette ad ignorarmi così! Pensai adirata.
Pss...Tsubaki. Mormorò Arata. Capisco il tuo stupore, anche a me da fastidio avere quello lì nella nostra stessa classe ma, la tua reazione è stata un po' esagerata, dovresti sederti adesso. Terminò. In effetti, non fu proprio una bella scena, appena mi resi conto della situazione, crollai nell’imbarazzo più totale.
Si, hai ragione...Commentai tornando a sedere.
Grazie Ichinose, l'unico banco disponibile è quello dell'ultima fila accanto a Yoshikawa, se vuoi raggiungerlo...Consigliò l'insegnante indicando il posto accanto al mio.
Ci mancava pure questa. Calma, devo stare calma e soprattutto devo evitare figuracce come quella di prima. Meditai provando a mantenere la calma.
Che cosa? Sussurrò Arata infastidito. Ogni anno aveva sperato di ottenere il posto accanto al mio, farselo soffiare proprio da lui non doveva essere il massimo.
Comunque. Riprese Sakamoto. Visto che il signor Suzuki ha così tanta voglia di parlare, perché non viene a risolvere qualcuno dei problemi che avevo lasciato per le vacanze? Chiese quasi soddisfatto per la preda che aveva accalappiato.
Eh?! Ma chi? Io? Domandò quasi cascando dalle nuvole. O...ok. Rispose rassegnato avanzando verso la lavagna.
Poverino. Dev’essere la sua giornata “no”. Pensai volgendo lo sguardo in avanti. Ma mai quanto la mia. Conclusi ironica. Il nuovo arrivato si trovava proprio di fronte ai miei occhi e, accennando un sorriso, mi rivolse la parola.
E così ci rivediamo, Tsubaka**. Pronunciò divertito, poi fece altri passi verso il suo banco, si sedette e iniziò fissarmi senza timore.


Annotazioni
* Il ragazzo chiama così Tsubaki in quanto il suo nome vuol dire "Camelia"
バ キ.
**Gioco di parole fra il nome della protagonista "Tsubaki" e la parola giapponese "baka" (stupido, idiota)..


Benvenuti nel terzo capitolo di " Unmei No Itazura - Tutta colpa del destino".
Allora, come vi sembra la storia fin qui? Si lo so, siamo "solo" al terzo capitolo ma sono curiosa di
sapere come vi sembra. Ho paura, paura di poter deludere i miei lettori T__T (mi sento tanto
presuntuosa). Ciancio alle Pande e partiamo con i sondaggi, per il momento chi preferite?
Qual è il vostro personaggio preferito? Preferite Arata o Ichinose? Per il momento, io non posso
esprimere nessuna preferenza (vedi che ce ne importa) ma lo farò in futuro XD
Yooosh, ci becchiamo nel prossimo voluto ciurmaglia! (?)

またね Mata nee!

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Capitolo 4
*** La conseguenza di una bugia ***


Era lì, alla mia destra, intento a fissarmi ininterrottamente.
La lezione era iniziata da un pezzo, la lavagna era già piena di segni, parentesi, numeri…roba per me incomprensibile. Il mio sguardo osservava dritto di fronte a me, i miei occhi seguivano la mano del professore intento a disegnare altri simboli sulla lavagna ma, la mia mente era da tutt’altra parte. Continuavo a pensare alla figura che mi sedeva accanto, mi sentivo osservata, sentivo il suo fiato sul collo e tutto ciò mi rendeva parecchio nervosa.
Quando non riuscì più a sostenere quella situazione, mi alzai dal posto e mi rivolti al professore.
Mi scusi, potrei andare un attimo in infermeria? Non mi sento molto bene. Chiesi fingendo un malessere.
Cominciamo bene, eh Yoshikawa? Enunciò con tono saccente. Lo odiavo, quel prof non mi era mai andato a genio, come del resto la materia che insegnava.
Antipatico. Pensai lì per lì.
E sia, non è da te assentarti durante una lezione quindi, deduco che il tuo malessere sia reale. Va pure. Concluse sospirando l’ormai attempato insegnante.
Tirai un sospiro di sollievo, non pensavo accettasse la mia proposta…
Non sei così male, in fondo. Quell’azione gli fece guadagnare dei punti in simpatia, mi sentì un po’ in colpa per la bugia appena detta ma, se in fin di bene, era accettabile no?
Subito mi diressi verso la porta, la aprì e la chiusi alle mie spalle. Indecisa sul da farsi, vagai per qualche minuto a zonzo per il corridoio poi, ebbi un’illuminazione: il tetto. Generalmente, era una zona off limits per gli studenti, accessibile solo ai membri del comitato studentesco…che fortuna eh?! Nel momento in cui varcai quella grande porta verde, fui pervasa da un senso di serenità che non provavo da tempo. Ero finalmente libera. Fu come se tutta la stanchezza dovuta al mancato riposo e tutto lo stress accumulato, fosse volato via assieme alla leggera brezza che tirava quella mattina.
AAAAAAAAAAAH! Urlai come per sfogo. Finalmente! Era incredibile, ero arrivata a scuola da meno di un’ora, e già mi trovavo in quelle condizioni.
Qui urge un piano. Pensai avvicinandomi alla ringhiera posta ai margini del tetto. Mi esposi un po’, quanto bastava per poter osservare il panorama che quell’altezza poteva regalare. Il liceo Minami, ex istituto maschile, si trovava alle pendici di una collina, in quartiere periferico tranquillo e modesto. Da quell’altezza potevo osservare la stradina che, quotidianamente, percorrevo per tornare a casa, la stessa che in Primavera si riempiva di petali di fiori di ciliegio, alle mie spalle invece, si ergeva un boschetto di pini che circondava quasi interamente l’edificio scolastico, nei giorni ventosi infatti, si riusciva a percepire la fragranza che emanavano quei meravigliosi alberi. Lassù stavo proprio bene, avrei voluto restare lì per tutta la giornata…
CI SONO! Esclamai colta da un lampo di genio. Basterà non dargli retta no? Semplicemente, dovrò evitare di rivolgergli la parola, il che non sarà tanto difficile dato che non lo sopporto, e pensare che era così semplice... Meditai felice, contenta di aver trovato finalmente una soluzione.
Ehi, ragazzina. Lo sai che non si dicono le bugie?
Per un attimo un brivido mi percorse la schiena, in un primo momento, pensai di essere stata scoperta da qualche insegnante e, ora che ci penso, forse sarebbe stata l’opzione migliore. Al suono di quella voce, mi girai di scatto, rivolgendo lo sguardo a quella voce che, purtroppo, mi resi conto di conoscere.
Si può sapere che vuoi da me? Enunciai scocciata.
Questa mattina, senza che nessuno ti avesse detto nulla, fai la tua entrata trionfale rivolgendomi parole poco gentili, in classe, senza nessun motivo, non hai fatto che guardarmi tutto il tempo…Ah! E si può sapere chi ti ha dato il permesso di chiamarmi per nome?
Tentai di mettere le cose in chiaro, rivolsi a lui tutti i pensieri che attimi prima mi avevano tormentato, suoi discorsi, eccessivamente confidenziali, i suoi modi di fare, immensamente snervanti, persino il suo corpo emanava superiorità da tutti i pori…non lo sopportavo…
Questa mattina, eh? Ripeté avvicinando l’indice della mano destra al mento, come se stesse riflettendo. A quanto pare hai una memoria corta. Beh, meglio così. Continuò tenendo le braccia conserte. Pensavo fosse meglio tenerti d’occhio ma, a quanto pare, sei così tonta da non rientrare nemmeno nelle mie preoccupazioni. Non far caso al mio comportamento, pensalo come ad un modo divertente per stuzzicarti.
Mi diede le spalle, affrettandosi a raggiungere la porta.
Ah, dimenticavo. Non sarà necessario cercare di evitarmi, si dia il caso che anche tu non mi piaccia quindi, sarò io il primo ad evitarti.
Un istate dopo, lo vidi scomparire fra le scale. Di nuovo, era riuscito nuovamente a riempirmi la testa con futili domande. Dopo attimi, persi a riflettere, l’istinto lo rincorsi, scesi velocemente le scale e scorsi la sua immagine in fondo al corridoio. Lo raggiunsi.
Ehi, tu! Lo chiamai prendendolo per un braccio. Non è che mi hai scelta come semplice vittima per i tuoi scherzi? Il suo sguardo, un attimo prima fisso nei miei occhi, si voltò leggermente, come per ascoltare qualcosa di più interessante delle mie parole.
Mi ascolti o n.. In un istante, portò la sua mano a premere con forza e altrettante delicatezza sulla mia bocca.
Vuoi stare un po’ zitta? Bisbigliò e, prendendomi il polso, mi condusse in un luogo più appartato. Sapevo che non era un tipo da cattive intenzioni, per questo non opposi resistenza tuttavia, in quell’istante compresi che la mia forza non sarebbe bastata a contrastare quella presa.
Tornammo sul pianerottolo che conduceva al tetto, sicuri che lì non ci avrebbero mai disturbati
Senti un po’ tu, non so se ti è chiaro ma questo, è il mio primo giorno in una nuova scuola, hai idea di cos’accadrebbe se mi trovassero a saltare le lezioni?
Era serio ma non sembrava così infastidito come voleva dimostrare.

Però le stai saltando eccome…
Risposi a tono soddisfatta.

Già, e non sai quanto me ne stia pentendo…Avanti, finisci il discorso di prima e lasciami in pace.
Riecco quell’ atteggiamento
. Pensai seccata.
Sbuffai e, dopo aver tirato un bel respiro, ribadì la questione.
Voglio solo sapere il motivo di questo tuo interesse per me. Forse, avevo esposto in maniera sbagliata il problema. Sperai vivamente che non fraintendesse le mie parole e, senza accorgermene, il mio viso si tinse di un rosa pallido per l’imbarazzo.
Rimase un attimo a fissarmi, come stranito.
Senti ma…Disse avvicinandosi. Davvero non ti ricordi di me? Era vicino, talmente vicino, che le nostre fronti avrebbero potuto sfiorarsi.
P…perché mai dovrei ricordami di te? Dissi spingendolo con forza. S…se avessi visto la tua brutta faccia da qualche parte me ne sarei ricorda no? Pronunciai a fatica. Sentivo le guance bruciarmi, quella situazione mi aveva colto alla sprovvista. Nel pieno del mio imbarazzo, notai una smorfia sul su volto, quasi volesse accennare una risata.
Se hai finito, io andrei. Enunciò dandomi le spalle. Non sembrava infastidito da quella discussione anzi, fu come se non fosse mai avvenuta. Cominciò a percorrere i gradini quando, messe le mani in tasca, si voltò nuovamente, cercando il mio sguardo.
E per la cronaca, non mi interessi in quel senso…Ci vediamo Tsubaka. Concluse tornando a scendere le scale.
Ecco, lo sapevo…dovevo restare zitta. Considerai
Se è per questo, nemmeno tu! Mai e poi mai potrebbe interessarmi un tipo come te! E non ti azzardare più a chiamarmi Tsubaka! Il mio nome è Tsubaki! Tsu-ba-ki! Sillabai. Non si girò nemmeno, si limitò ad alzare la mano, come per salutarmi. Decisi di non dargli tanta importanza e dopo qualche minuto mi diressi in classe. Al mio rientro, notai che il banco accanto al mio era ancora vuoto. Non è ancora tornato? Chissà dove si sarà nascosto. La lezione era appena terminata e gli alunni si apprestavano a trascorrere cinque minuti di pausa.
Signorina Yoshikawa, mi auguro che adesso si senta meglio. A quanto pare oggi è la giornata dei malanni, persino il nuovo arrivato è stato costretto ad interrompere la mia lezione. Pronunciò Sakamoto prima di lasciare l’aula.
Allocco. Pensai.
Vi siete incrociati per caso? Chiese con tono gentile.
Come? Emh, no. Non l’ho proprio visto. Affermai. Bugiarda, stai diventando parecchio brava con le bugie, Tsubaki.
Capisco, se fosse possibile ti chiederei di andare a cercarlo, è nuovo e non vorrei ci fosse perso. Considerò preoccupato.
Si, come no… Va bene. Risposi. Se tra cinque minuti non sarà ancora tornato, mi preoccuperò di andare a cercarlo. Aspetta e spera.
La ringrazio, le auguro una buona giornata signorina, studi e si rimetta presto.
Ma non si stanca mai di pronunciare la parola “studio”? Mi chiesi perplessa. Grazie, buona giornata a lei. Ricambiai e per un po’ seguì la sua ombra con lo sguardo.
Se pensa che torni da quello là, si sbaglia di grosso. Me ne starò qui, nel mio banco e mi godrò la sua assenza. Tornai al mio posto, decisa a non preoccuparmi più di nulla. Volevo che quella giornata, iniziata un po’ male, potesse concludersi nel migliore dei modi.
Tsubaki? È tutto ok? Domandò Aoi preoccupata.
Ma si, ma si, non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti. Ho messo le cose in chiaro con quello là…più o meno…e devo dire che adesso sto molto meglio.
Quello là? Intendi il nuovo arrivato? Lo conosci per caso?
Chiese stranita.
Ricordai di non aver raccontato nulla alla mia amica così, sfruttai quei pochi minuti di pausa per riferire ad Aoi tutto ciò che mi era capitato, dalla mattina fino a pochi minuti prima.
MA COME SI PERMETTE?!? Strillò.
Dai calmati, è tutto apposto, non sbandierarlo così, ti prego. Forse avrei dovuto omettere la faccenda del tetto… Tentai di calmarla e, dopo vari tentativi, riuscì a placare parte della sua ira.
Però, non è affatto male. Considerò. La guardai bene, non riuscivo a capire di cose stesse parlando. Mi riferisco al suo carattere. Seguitò.
Non…non ti seguo. Risposi, provando a seguire il discorso.
Ma si dai, c’è un bel tipo tenebroso che ti viene dietro, io ne sarei felice. Confessò.
MA NON MI VIENE DIETRO!! Sbraitai. Mi accorsi di avere gli sguardi dei miei compagni puntati addosso. Eh, eh, questa mattina il cagnolino della mia vicina non voleva lasciarmi andare, che carino non è vero? Dissi fingendo una risata. Non va! Così proprio non va!
Sarà ma per me, c’è qualcosa sotto. Proferì la mia amica intenta a trattenere le risate.
Non farti strane idee. Conclusi guardandola in malo modo.
Buongiorno ragazzi! Vi siete divertiti? Avete fatto strage di cuori?!
Eccola arrivata, l’insegnante di letteratura più gettonata della scuola.
Ehi Sacchan! Sei riuscita a trovate marito? Chiese sfrontatamente Arata
Suzuki, non essere impertinente, non si fanno domande del genere ad un insegnante. Proferì imbarazzata.
Non preoccuparti, andrà meglio la prossima volta. Confortò un alunno.
Ti sposo io! Urlò un altro.
Sakuya Urakami, 32 anni, single. Aveva un carattere molto particolare, era eccentrica ma quel suo modo di fare la rendeva simpatica e gentile. Malgrado avesse frequentato diversi uomini, non era riuscita a reggere una relazione per più di un mese. Un giorno, dopo essere stata lasciata per l’ennesima volta, decidemmo di adottarla come mascotte della classe, come a volerla sostenere.
Invece che pensare al mio cuore infranto, fareste bene a pensare ai vostri. Vi comunico che il campus è alla porte e sapete benissimo cosa succede in queste circostanze. Enunciò l’insegnante piena d’immaginazione.
Ci annoieremo, ecco che succederà. Proruppe Arata
Quattro giorni e quattro notti su in montagna, tende, sacchi a pelo, torce, storie dell’orrore… ero eccitatissima al pensiero di trascorrere dei giorni fuori casa, di vivere all’aria aperta e potermi svagare un po’. Certo, il mio era un comportamento un po’ infantile quindi, non espressi nessun parere al riguardo.
Come sei disfattista, Suzuki. Ah, ho saputo che è arrivato un nuovo studente, dov’è? Voglio proprio vedere il suo bel faccino. Affermò l’impaziente Urakami.
È in infermeria, sembra che non stesse bene. Informò Aoi.
Ah si? Che peccato. Ragazzi, fate del vostro meglio e mettetelo a suo agio. Ha perso i genitori di recente, di sicuro non starà vivendo un bel momento.
Quella notizia mi prese alla sprovvista. Che fosse quello il motivo del suo comportamento?
Aoi si voltò, come se volesse dirmi qualcosa, ma rimase in silenzio.
Pensavo che dopo esserci parlati, sarebbe tornato in classe e invece sembrava stesse saltando le lezioni di proposito. Pensai che fosse colpa mia. Lo avevo messo a disagio forse?
Che gran rottura. Sacchan! Chiamai a gran voce. In qualità di rappresentante, vorrei il permesso di andare a trovare il nuovo arrivato. Vorrei sincerarmi delle sue condizioni di salute. Ma che sto dicendo?
Certamente Tsubaki, va pure.
Mi alzai e per niente convinta delle mie azioni, mi diressi alla ricerca di quel ragazzo che scoprì somigliarmi molto.
 

 
E dopo un mese di inattività (si, sono un vulcano XD) Eccomi qui con il quarto capitolo
 di Unmei No Itazura- Tutta colpa del destino. Come vi sembra stia procedendo?
Come vi sembra? Tsubaki è un tipo troppo nervoso vero? L’ho fatta a mia immagine
e somiglianza XD Chiedo scusa ad Arata, purtroppo  non compare molto XD
Ma don’t worry! Presto inserirò una scena tutta per lui! XD
Spero di cuore che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento!
Se volete/potete, recensite, consigliate e ammonitemi se qualcosa vi sembra sbagliata!
Alla prossima!
 
ま たね Mata nee!

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Capitolo 5
*** Problemi da risolvere ***


Problemi da risolvere

Non va bene. Continuavo a ripetermi. Non va bene per niente.
Dettata dall’istinto o dalla semplice compassione, mi ritrovavo a girare lungo tutti i corridoi della scuola. Non so bene quali fossero le mie intenzioni in quel momento, forse ero semplicemente curiosa di sapere del suo passato, forse speravo che, conoscendolo un po’ più a fondo, avrei smesso di odialo…no, quello era fuori discussione… Passai per il cortile, fra le classi del primo e del secondo piano, diedi una controllatina anche ai bagni maschili, eheh, ma nulla, del nuovo arrivato nessuna traccia.
TSUBAKI! Urlò una voce alle mie spalle. D’impulso mi voltai e vidi Arata che, un po’ barcollante, si affrettava a raggiungermi.
Era palesemente stanco, aveva il fiatone e giunto di fronte a me si chinò con le mani sulle ginocchia per riposare.
Ma guardatelo, e questo sarebbe l’asso della squadra di basket? Un po’ di corsa ed è già stanco. Ironizzai con un filo di cattiveria.
Ti ho cercata dappertutto, giustificò, come se mi avesse letto nel pensiero
ma dov’eri finita?
Non mi hai sentita prima? Stavo cercando quel simpaticone di Ichinose, lo hai visto in giro per caso? Risposi come se fosse uno dei tanti compiti di una rappresentante. Non ero preoccupata, volevo solo sapere dove si fosse cacciato.
Guarda che quello lì è tornato pochi istanti dopo la tua uscita dalla classe, tutti pensavano che vi foste incontrati
. Mi informò, seccato all’ idea di dover parlare di “quello lì”.
Come scusa? Chiesi con voce tremante mentre il mio nervoso cresceva a dismisura. Io perdo tempo a cercarlo e lui se ne sta bello tranquillo?
Quel coso lì, Ichinose, quel suo modo di chiamarlo mi strappò un sorriso è in classe.
Così, senza alcun motivo, mi sentì presa in giro.
Rimasi un attimo a riflettere e, preso per mano Arata, lo trascinai lungo i corridoi che ci avrebbero ricondotti in classe.
Bene. Torniamo anche noi, Arata.
A causa del mio “infallibile” intuito, non mi resi conto dell’imbarazzo provato da Arata in quel momento.
Non che la cosa mi dispiaccia ma…Tsubaki potresti allentare un po’ la presa? Tra un po’ mi si bloccherà la circolazione. Ammise scherzoso, ma io ero troppo presa dai miei pensieri per ascoltare le sue parole.
Tsubaki? Dico sul serio, sii gentile. Ma nulla, da me nessuna risposa né azione.
Tsubaki… Il suo tono di voce prima gentile, adesso era più serio e deciso.
MI ASCOLTI SI O NO? Urlò lasciando con forza la mia mano. Mi voltai, stranita dal suo gesto e notai subito un Arata diverso dal solito, un Arata che raramente mi era capitato di vedere. Era furioso.
Sei sempre la solita! Rimproverò puntandomi il dito contro. Pensi sempre a te stessa e non ti accorgi di chi ti sta intorno. Vuoi tardi una svegliata? Razza di tardona che non sei altro! Sinceramente, non riuscivo a capire perché mi stesse rivolgendo quelle parole, ne fui così impressionata che non riuscì nemmeno a replicare.
Io mi faccio un giro, tu fa un po’ come ti pare. Concluse allontanandosi.
Mentre la sua figura si faceva via via sempre più lontana, rimuginai su ciò che mi aveva detto.
Tardona? Tardona a me?! COME TI PERMETTI RAZZA DI UOMO-PORCOSPINO!
Si può sapere che cavolo gli è preso? Parlarmi in quel modo solo perché non gli ho dato retta. Avevo la testa fra le nuvole, tutto qui.
Con le parole di Arata che mi frullavano in testa, mi diressi in classe più confusa che mai e ignara del tempo che passava, mi ritrovai davanti la porta della mia classe alla fine della seconda ora.


Bene, ci siamo, tranquilla.  Più che in classe, era come se stessi per andare in guerra. Feci un respiro profondo e aprì la porta con tutta la forza che avevo. Alla faccia della calma. Appena entrata, il mio sguardo si mise alla ricerca del mio bersaglio, era seduto sul suo banco, intento a parlare con alcune ragazze che già gli avevano messo gli occhi addosso. Aveva una gamba accavallata sull’altra e le mani nelle tasche dei pantaloni, quell’ espressione seria ma al tempo stesso spenta, gli faceva assumere un’aria cupa e solitaria, l’aria di chi non si preoccupa di ciò che accade attorno a lui. TU! Esclamai puntandogli il dito contro. Si può sapere dove ti eri cacciato? Ti ho cercato per tutta la scuola! Conclusi avvicinandomi a lui che, per tutta risposta si voltò dalla mia parte. Gentile da parte sua.
Non mi risulta che qualcuno ti abbia chiesto di venirmi a cercare, hai fatto tutto da sola e, comunque, non ho bisogno che una come te mi faccia da balia. La sua calma imperturbabile, era quella che realmente mi dava sui nervi. Ma che…. Sospirai come un toro pronto all’attacco.
Per tua informazione, caro il mio nuovo arrivato, hai davanti la vice-presidente del consiglio studentesco, preoccuparmi dei ragazzi di questa scuola è uno dei miei comp... Non feci in tempo a finire la frase che tornò a parlare con le sue ammiratrici ignorandomi completamente. Grrr, che essere infimo… Forse era meglio finirla in fondo, potevo ritenermi soddisfatta. Feci qualche altro passo e tornai a sedere al mio posto.
Ahahah Ichinose, non pensi di essere stato troppo cattivo nei confronti di Yoshikawa? In fondo era solo preoccupata per te. Ci mancavano i commenti pungenti delle vipere. Parlavano come se non ci fossi. Lui non rispose, si limitò ad ascoltare tutto ciò che quelle due avessero da dire senza mai replicare, a quanto pare con gli altri non era un tipo molto eloquente. Che sia timido? Pensai guardandolo. No, assolutamente impossibile.
Non pensi di aver esagerato un po’? Chiese Aoi voltandosi dalla mia parte.
Che? Replicai stranita. Non dirmi che la pensi come quello lì. Ecco che arriva la ramanzina…
Non la penso come “Ichinose”, pronunciò scandendone il cognome, è solo che questa volta ti sei comportata un po’ da…
Da?
Feci eco.
Da ficcanaso. Forse non te ne accorgi ma a volte la tua curiosità supera davvero il limite. E poi, continuò come se non avesse già detto abbastanza questa tua mania di dire: “Sono il vice-presidente del consiglio studentesco” lo ammetto, il tuo modo di imitarmi era divertente, lo ripeti così spesso che ormai sembra più una scusa per fare come ti pare.
Concluse con quella sua solita espressione saccente. Che fosse davvero come così? Non mi ero mai accorta di essermi aggrappata così tanto al mio ruolo all’interno della scuola.
Che abbia ragione?
Ripensai a tutto quello che mi era capitato poche ore addietro, all’arrivo del nuovo ragazzo e a tutto il resto…forse…in effetti… mi ero davvero comportata da ficcanaso…solo un pochino. Nelle ore successive meditai sul da farsi, nonostante quella mattinata così burrascosa, decisi di mantenere le distanze da quel ragazzo, anche se, in un certo senso, mi somigliava, la sua compagnia non mi giovava di certo. Ero sicura fosse la scelta migliore. Giunta pausa pranzo, io, Aoi e le gemelle ci dirigemmo nel giardino della scuola, uno dei posti in cui mi sentivo più a mio agio: ubicato nel retro della scuola, era abbastanza grande, l’erba veniva annaffiata ogni giorno tramite un sistema d’irrigazione e giorno per giorno era possibile sentire il profumo dell’erba bagnata, lo adoravo; in primavera poi, era piacevolissimo sedersi ai piedi di un albero e godersi un po’ d’aria fresca.
E così Suzuki ti ha finalmente detto ciò che pensa eh? Pronunciarono in coro le gemelle.
Una volta arrivate, ci sedemmo su una panchina di marmo e raccontai alle ragazze di ciò che era successo tra me e Arata e, a giudicare dal loro silenzio, non furono molto sorprese dal suo atteggiamento, a quanto pare ero la sola a non conoscere questo suo lato.
Finalmente? Che vorreste dire? Chiesi.
Vogliono dire che finalmente Arata si è deciso a confessarti i suoi veri sentimenti. Proseguì Aoi.
Sentimenti? Vuoi dire che non mi sopporta? Quello stupido mi ha persino chiamata “tardona”. Borbottai infastidita.
Ah mia cara Tsubaki, sospirò Aoi poggiandomi una mano sulla spalla, sei ancora piccola per questi discorsi da grandi, te ne renderai conto a tempo debito. Le gemelle scoppiarono in una risatina alquanto fastidiosa.
Smettetela di trattarmi come una bambina tutte le volte. Pronunciai infastidita.
La campanella sta per suonare, sarà meglio che tornare in classe. Sospirai. Ci vediamo dopo. Mi alzai e mi diressi verso l’interno della scuola.
Non ero assolutamente arrabbiata con le ragazze, sapevo che, probabilmente, ero davvero troppo infantile per rendermi conto di chi o cosa avessi attorno. Se la mia testardaggine non avesse preso il sopravvento, non avrei iniziato quest’insulsa battaglia contro Ichinose, se non fossi stata troppo egoista, non avrei infastidito Arata e, se fossi stata almeno un po’ matura, adesso sarei ancora a ridere e a scherzare con le mie amiche là fuori.
Tsubaki, sei una stupida.

 

Al mio ritorno in aula, trovai Arata ad aspettarmi davanti sul ciglio della porta, si avvicinò con il capo abbassato e con le mani nelle tasche della divisa.
Io, volevo chiederti scusa per prima. Mi spiace, non so davvero che mi sia preso. Dopo tutti quegli anni, conoscevo Arata abbastanza da capire quando facesse sul serio e quando no. Era davvero dispiaciuto e il fatto che non riuscisse a guardami ne era una prova inconfutabile.
Sono io a doverti chiedere scusa. Se non avessi avuto la testa fra le nuvole non ti avrei fatto perdere le staffe. Conclusi rivolgendogli un sorriso.
Allora, facciamo come se non fosse successo niente. Replicò tutto contento, poi entrò in classe a parlare con altri ragazzi.
Mi sentivo più serena, ero felice di aver risolto almeno uno dei problemi che avevo causato.
Con espressione serena ed impassibile, mi diressi al mio banco senza rivolgere il benché minimo sguardo al mio vicino e, una volta seduta, attesi con ansia il ritorno delle mie amiche.

Sceeeema. Sentì un leggero peso sulla testa. Aoi, per ammonire il mio comportamento, era venuta a salutarmi colpendomi la testa con un libro.
Lo so, me lo merito. Commentai. Ti chiedo scusa, a te e alle ragazze. Sussurrai quasi timidamente.
Non preoccuparti. Confortarono le gemelle. Possiamo capire come ti sia sentita, siamo tue amiche, ti conosciamo bene. Continuò Aoi.
Era fatta, una giornata iniziata nel peggiore dei modi, stava per trasformarsi in una semplicissima giornata di scuola, colorata dalla compagnia delle persone a me più care.

 

Finiti gli allenamenti al club, mi diressi subito allo "Sweet" per il mio lavoro part-time. Con un pizzico di fortuna, riuscì a prendere il treno in orario e ad arrivare puntuale in negozio. Scuola, folla, lavoro, dovevo tornare a farci l’abitudine altrimenti la stanchezza mi avrebbe sopraffatta.
Oggi viene poca gente eh? Osservò Yuya. Generalmente il locale era sempre affollato, in effetti quella quiete era abbastanza strana.
Già che fort…che strano. Ammisi per niente dispiaciuta.
Si vede lontano un miglio che non stai bene, visto che i clienti sono pochi va a casa, ci penso io qui. Ecco perché adoravo quella ragazza, sempre gentile e disponibile verso il prossimo. Accettai immediatamente e, ringraziata Yuya per la quarantesima volta, uscì dal negozio e mi incamminai verso casa.
Si era fatto buio e, giunta a metà strada, inizia a sentirmi come osservata, mi voltai molte volte ma niente, nulla di sospetto. Iniziai a pensare che fosse semplicemente uno scherzo giocato dalla stanchezza così, decisi di non farci più caso fino a quando, però, con la coda dell’occhio vidi un’ombra accanto alla mia.
Batti la fiacca eh, principessa. Quelle parole, pronunciate accanto al mio orecchio, mi fecero sobbalzare.
Questa voce…
D’impulso, mi girai e riconobbi la figura con cui mi ero scontrata il giorno prima.
Nonostante la vicinanza però, anche questa volta non riuscì a vederlo in faccia, il volto infatti era quasi del tutto coperto dal cappuccio della maglietta che aveva indosso. Una cosa però mi fu familiare: il suo profumo, ero sicura di averlo già sentito da qualche parte, una fragranza delicata, simile al cocco e ai fiori d’arancio, un profumo bellissimo.
Si può sapere che vuoi da me? Ti avverto, se cerchi di derubarmi caschi male, sono tutto meno che ricca, sai.
C’era qualcosa in lui che mi dava sui nervi, già…forse il fatto che fosse un ladruncolo da quattro soldi.
Niente di tutto questo,  mi diverto a perseguitarti, tutto qui. Disse scoppiando in una risata fragorosa.
Già, questo lo avevo capito, allora? Vuoi dirmi chi sei o vuoi giocare a ancora nascondino ?
Se non fossi stata troppo stanca, lo avrei seguito in lungo e in largo per riuscire a togliere quel suo cappuccio ma, ahimè, in quel momento non ne fui proprio in grado.
Scherzi? Giocare con te è troppo divertente però, sai…comincio a pensare che la tua sia solo una copertura, fai la finta tonta per raccogliere prove e smascherarmi davanti a tutti. Azzardò. Anche oggi, hai recitato la parte della finta tonta per farmi cadere in trappola. Non è forse così? Chiese avvicinando il suo viso al mio.
Come scusa? Quale copertura? Oggi? Intravidi una smorfia. Non posso crederci, vuoi dire che questa sei davvero tu?! Iniziai a pensare che si stesse prendendo gioco di me, non riuscivo a seguirlo, non sapevo dove volesse andare a parare. Restò a fissarmi per diversi istanti, poi fece un passo indietro.  Vorrei continuare a farti compagni ma si è fatto tardi, adesso devo andare. Ci vediamo presto, cara la mia detective-tonta. Mi diede le spalle e, alzando la mano come per salutarmi, si addentrò in un vicolo oscuro.
Mi chiesi perché, di punto in bianco, mi vennero affibbiati così tanti soprannomi poco gentili. Che fossero in realtà parole dette per gentilezza? No, impossibile.
Fa il gradasso quanto vuoi ma sta pur certo che una volta raccolte abbastanza prove, ti sbatterò in cella. Dissi come se qualcuno mi stesse ascoltando.
E POI, BASTA DARMI DELLA TONTA, CHIAROO?!?! Sperai che almeno questa parte l’avesse sentita.

 

Finalmente fui a casa, Sakura era già tornata e a giudicare dalla scarpe sistemate davanti alla porta e dagli schiamazzi che giungevano dal piano di sopra, era in compagnia di alcune amiche. Nonostante il carattere espansivo, era sempre stata restia nel portare qualche amica in casa, non voleva che qualcuno poco importante entrasse nel suo mondo quindi, adesso che lo aveva fatto, ero contenta nel sapere che potesse contare su qualcuno all’infuori di me.
Pensai che fosse meglio non disturbarle così restai al piano di sotto e accesi la tv.




Emh....Credo di dovere delle scuse a coloro che mi hanno sempre seguita,

tipo a due/tre persone ma chissene, io vi amo!!
In questi ultimi mesi me ne sono successe tante, così tante da poterci
creare un'altra fanfiction XD Non lo farò, state tranquilli! Cooomunque,
come vi dicevo, non ho avuto proprio modo di scrivere in tutta tranquillità
il nuovo cap ç_ç, penso mi sia venuto un po' noioso ora che ci penso ma
spero sia solo una mia impressione XD Ho già le idee pronte per il 6° quindi,
 forse, spero...non lo so, credo di riuscire a scriverlo più in fretta XD
Detto, questo... Eccoci al 5° capitolo di Unmei No Itazura Tutta colpa del destino,
come vi sembra la storia fin qui? Una gran caca...capolavoro =D, non è così? XD
Nei capitoli che seguiranno ho in mente un piccolo special e spero sia di vostro gradimento =^^=
Alla prossima!
またね Mata-nee

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