La cospirazione della rosa

di Mitsuki91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve, popolo di EFP!
Inizio con il dire che questo è un esperimento. Non mi sono mai addentrata nello strano mondo delle originali (o meglio, ho una piccolo storiella scritta all’alba dei tempi, che fa pietà pietà ma tanta pietà e che è ancora su efp perché era la mia prima storia in assoluto e mi ci ero affezionata) e questo… Beh, è il mio primo tentativo di entrare nel mondo del fantasy, genere che ho sempre amato.
Non è una storia pretenziosa e, sebbene in un certo senso cercherò di inserire degli elementi particolari, ci saranno dei temi che sono già stati affrontati nell’universo fantasy. Voglio dire, è un po’ impossibile non rifarsi a determinate cose, no? ^^” Ma, a mio favore, devo dire che la maggior parte delle cose da cui ho preso spunto non sono conosciute da tutti (e quindi, ad esempio, non troverete draghi o creature magiche nel mio racconto).
Bene, detto questo… Non so quanto saranno frequenti gli aggiornamenti; non so quanto durerà la storia (ho un’idea generale sulla trama che ancora non è definita nel dettaglio); non so se sarò in grado di scrivere davvero una storia dalle basi; non so se sarò capace di trasmettere ciò che vorrei… Insomma, ci provo e basta ^^”
Se mi fate sapere qualcosa attraverso una recensione o un messaggio, sarebbe di grande aiuto :) Come dicevo, questo è un mondo nuovo per me :)
E se volete conoscermi meglio o capire chi sono, sul mio profilo ci sono tutta una serie di bottoncini utili e link per rintracciarmi :)
Buona lettura!


Prologo

La notizia le era giunta con ben un giorno di ritardo, motivo per cui la donna ora era così furiosa.
Tigris, la sua preziosa Prima Rosa, era sembrata molto mortificata per l’accaduto, ma questo non le avrebbe risparmiato una punizione, poi.
La Cospirazione non poteva permettersi errori, soprattutto non errori di quel genere, che erano al limite dell’idiozia. Ecco perché diceva sempre ai suoi di indagare a fondo prima di anche solo iniziare a considerare la proposta di una candidatura; ecco perché il protocollo era così rigido e formale; ecco perché tutti coloro che aspiravano ad entrare nella Cospirazione imparavano come prima, assoluta, vitale regola quella di  non prendere iniziative personali. Non se non c’era in ballo qualcosa di grosso ed urgente e, soprattutto, non se ancora non eri ufficialmente entrato a far parte dell’organizzazione segreta, che ti avrebbe dato così modo di tutelarti.
Che la tutela fosse una piccola pastiglia di veleno puro, che ti avrebbe condotto alla morte in meno di un minuto, beh… Eri tu stesso a decidere se il gioco valesse la candela, dopotutto.
E dopotutto quella stolta cameriera avrebbe comunque pagato con la vita, e la sua vita ancora non sarebbe stata abbastanza per il danno che aveva creato ai suoi piani e al resto del regno.
Il giovane principe non era ancora pronto… E lei non avrebbe saputo prevedere le sue mosse, cosa che in ogni caso era male.
La donna smise di camminare in cerchio sul piccolo tappeto al centro del salotto e alzò entrambe le mani. Sentì la furia scorrere dentro di lei, accecante e nera, e senza alcuno sforzo la diresse fuori, mandando l’onda di energia a schiantarsi contro una piccola credenza dall’alto lato della sala. Il legno semplicemente esplose, e schegge volarono ovunque – sebbene quelle dirette verso di lei si fermassero prima di colpirla – e poco dopo non rimase altro che un alone nero là dove prima c’era un mobile.
Non avrebbe dovuto fare sfoggio della sua potenza in quel modo, sebbene ne avesse usata solo una minima parte. Ma lei stessa sapeva che non era sicuro; che nonostante quella casa fosse isolata e ai margini della città, protetta dall’Illusione, nessuna precauzione era mai abbastanza. E persone con poteri strani non erano altro che una leggenda, ormai…
La donna si passò una mano sul viso, cercando di riordinare le emozioni e di decidere cosa sarebbe stato saggio fare da quel momento in poi.
Re Coron era un buon sovrano. Aveva sempre avuto una vena pacifica e compassionevole che lo spingeva a cercare i migliori accordi commerciali con i territori confinanti e con le terre d’oltremare, ed era dotato di abbastanza buonsenso da tentare di non scontentare i suoi sudditi e da evitare quindi rivolte e rivendicazioni. Era obiettivamente l’opzione migliore che lei e la Cospirazione avessero per crescere senza essere osservati, nell’ombra; per continuare a tirare le fila silenziosamente del Regno di Aren fino al giorno in cui lei stessa sarebbe potuta uscire allo scoperto. C’erano ancora molte cose da fare; molte persone da reclutare e corrompere; molti altri con aure magiche da trovare e sottomettere e, cosa ancora più importante, un potere ancora da individuare e padroneggiare… Nonostante l’idea della Cospirazione le fosse venuta già due secoli prima, e nonostante prima di quello lei stessa avesse già condotto alcuni esperimenti e perfezionato alcune tecniche, non era ancora stato fatto abbastanza.
Non poteva ancora permettersi di rinunciare a questa pace duratura senza sapere a cosa sarebbe andata incontro. Eppure andava fatto, volente o nolente, perché una stupida cameriera troppo entusiasta si era inoltrata in luoghi dove non avrebbe dovuto, sapendo troppo della Cospirazione eppure non abbastanza da essere stata ammessa fra le sue fila. Ed era stata catturata, ovviamente, perché era stata idiota.
Ed era nelle mani del Re da ben un giorno. Re Coron, della dinastia Lerastan, sovrano assoluto di tutta Aren, aveva avuto tutto il tempo di venire a conoscenza della Cospirazione e di iniziare a preoccuparsene.
Non che la situazione in sé fosse irrecuperabile. Ma avrebbe chiesto un sacrificio, un sacrificio alto, perché nessun prezzo che essa era disposta a pagare era abbastanza alto per soddisfare un Re, e questo l’aveva imparato a proprie spese circa centovent’anni prima.
La donna riacquistò la calma lentamente, tornando ad assumere un’espressione gelida e controllata. Le conclusioni a cui era giunta erano seccanti, ma indispensabili. Meglio un’incertezza nella situazione politica, che si sarebbe sempre potuta correggere, che il resto. Lei davvero non poteva permettersi che iniziassero a circolare voci sulla Cospirazione.
“Tigris.” chiamò quindi, camminando lentamente per evitare pezzi di legno e sedendosi su una poltrona imbottita, che aveva auto-eletto proprio trono da quando aveva iniziato ad abitare in quella casa, circa tre anni prima.
La sua Prima Rosa entrò. Aveva cercato di ricomporsi anche lei, ma tracce della mortificazione erano ancora evidenti sul suo viso.
“Mi avete chiamato, Madre?”
La donna si posò tranquillamente un braccio in grembo. Aveva notato che, per un secondo, lo sguardo di Tigris era saettato là dove una volta c’era stata la credenza, ma nessuna delle due aveva parlato. C’era un messaggio, in quell’alone scuro e nelle schegge sul pavimento; un messaggio che Tigris avrebbe compreso.
“L’errore deve essere corretto.” rispose la donna “Dovete fare tutto con la massima discrezione. Nessuno deve sospettare. Deve essere fatto in fretta, e dovete recuperare anche la cameriera. La voglio viva.”
Tigris annuì.
“Sappiamo dove viene tenuta, Madre.”
“Bene. Ho intenzione di interrogarla personalmente.”
Un brivido corse lungo la schiena di Tigris, che cercò in ogni modo di non darlo a vedere.
“C’è qualche cosa che dev’essere fatta per… Dopo?” chiese infine, perché non si azzardava a muoversi finché non fosse stata esplicitamente congedata.
“No. Non per il momento. Aspettiamo di vedere i nuovi equilibri e, poi, in caso, agiremo. Vai e sbrigati a fare ciò che ti è stato detto.”
Tigris abbassò leggermente il capo e uscì dalla stanza.
Per un momento, la ragazza poté sentire la Rosa Nera stringere le sue spine un po’ più a fondo nel suo cuore, e seppe con ancora maggiore chiarezza che la Madre non avrebbe perdonato un suo ulteriore fallimento.

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Capitolo 2
*** I ***


Ed ecco qui il primo capitolo.
Premetto che quasi tutti i nomi li ho sparati a caso. Avevo voglia di postare, ma non avevo voglia di riflettere seriamente sui nomi dei luoghi e delle persone. Essendo una storia fantasy, spero che mi perdonerete ^^”
Quanto al contenuto del capitolo… Sto cercando di evitare le auto-descrizioni come “Sono Kora, ho diciott’anni, ho gli occhi azzurri e i capelli castani”, quindi non ne troverete. Ho descritto nel limite del possibile (del credibile) certi avvenimenti, che comunque dovevano esserci nel racconto per dare l’incipit (ad esempio, il motivo per cui Kora e famiglia si trasferiscono), ma nulla più. Se volete sapere l’aspetto fisico dei personaggi, ad esempio… Beh, dovrete aspettare che qualcuno li descriva, immagino. Così come i luoghi e ogni altra cosa, sebbene possiate chiedermi delucidazioni nelle recensioni, naturalmente ^^” Quanto all’aspetto socio-politico-culturale-religioso-economico di Aren, non ho trovato un modo abbastanza decente di introdurlo… Ma credo che emergerà pian piano in ogni caso. Per ora, vi dico solo che c’è parità fra uomo e donna, e che l’istruzione è accessibile a chi paga, sebbene non serva far parte della nobiltà né essere esageratamente ricchi. Erano cose che non potevo inserire nel testo senza sembrare ridicola… ^^” Insomma, quanti di voi, scrivendo un’autobiografia, si metterebbero a discutere del sistema scolastico in generale? E’ vero, la storia è in terza persona, ma la terza persona rimane focalizzata su Kora, Ieren e la Madre, perciò non vedo un modo plausibile di inserire certe tematiche (non ancora, ma ho un’idea per il futuro).
Beh, spero di non avervi tediato con queste note lunghissime ^^”
Buona lettura, ringrazio in anticipo per ogni eventuale parere che mi lascerete! :)



I

Kora aveva da qualche tempo iniziato ad avere degli incubi.
Sognava spesso di essere in un bosco e di dover correre per avere salva la vita. Tutte le volte, mentre lei insisteva a mettere un piede dietro l’altro nonostante la fatica e il batticuore, non riusciva a vedere una radice sporgente, e finiva immancabilmente per inciampare.
Era allora che il vero incubo aveva inizio.
Una presenza oscura, di cui non riusciva a visualizzare i lineamenti, ma che percepiva come nera, più nera della notte senza stelle nella quale era costretta a vivere il suo incubo, incombeva su di lei. La assaliva, la costringeva a girarsi per farsi vedere in volto – volto che Kora non voleva vedere, o che forse non era ancora pronta a scorgere.
Lo sconosciuto premeva su di lei, insinuandosi sotto le sue vesti con una mano dopo averle bloccato le sue sopra la testa. E lei si ribellava, gridando e scalciando, ma il peso dello straniero era troppo forte, e la mano che le toccava la pelle nuda sembrava ghiacciarla sul posto mentre continuava la sua corsa verso l’alto, sempre più su…
Era solo arrivata a quel punto che Kora si svegliava, ansante e sudata, senza tuttavia gridare. L’incubo sembrava cessare da solo poco prima della parte peggiore, come se ancora in qualche modo la sua mente cercasse di proteggersi – eppure sapeva, Kora sapeva, che quell’ombra l’avrebbe poi violentata nel giro di pochi minuti.
Il risveglio non la rincuorava mai. La paura continuava a strisciare sotto la sua pelle, riempiendola di brividi. A nulla valeva il suo opporsi, il suo considerare razionalmente che era stato tutto solo un incubo, che ora si trovava nella realtà, al sicuro nel suo letto.
Kora si alzava; camminava fino alle cucine per attingere un po’ d’acqua dal piccolo pozzo interno e bere; vagava per il salotto ampio ma pieno di stoffe ingombranti, dato che sua madre era una sarta; si avvicinava alla stanza da letto dei suoi genitori incerta se entrare o meno, ma a diciott’anni le sembrava una vergogna dover confidare ai suoi di essere ancora terrorizzata per un incubo passato; e infine tornava a letto, rassegnata a passare insonne un’altra notte rigirandosi fra le lenzuola.
A volte pensava che il suo incubo riflettesse la sua paura della città, o, meglio, della capitale dove giusto il giorno dopo si sarebbe trasferita assieme alla sua famiglia. Suo padre era stato promosso a guardia reale, entrando a far parte della scorta personale del principe Ieren, e questa era un’opportunità così grande che non si poteva non cogliere. Ma lei era abituata alla sua piccola cittadella dove conosceva praticamente tutti, alla sua casa alla periferia di Eiwen, ai suoi viaggi sul carro delle verdure di Yoshua, l’ortolano, che ogni mattina accompagnava lei e i pochi altri fortunati che potevano permetterselo a scuola.
Lasciare tutti sarebbe stato difficile, e lo sarebbe stato doppiamente perché Kora non aveva la minima idea di cosa aspettarsi da Misedora. Per lei la capitale era un città lontana e caotica e soprattutto piena di pericoli. Avrebbe frequentato la scuola migliore, vero, e avrebbe potuto avere molte più cose, come un calesse personale, eppure… Eppure era restia ad abbandonare la spontaneità e la semplicità che tanto caratterizzavano Eiwen.
Perciò, considerò di nuovo la ragazza, girandosi per l’ennesima volta nel letto fino a finire a pancia in giù, il suo incubo ricorrente poteva riflettere una paura più profonda di ciò che le era estraneo. Se così fosse stato, in ogni caso, sarebbe scomparso una volta che lei si fosse ambientata a Misedora.
Sperava presto, sia per la sua sanità mentale che per gli effetti che la privazione di sonno stavano avendo sul suo corpo. Non le piacevano le occhiaie violacee che le erano spuntate sotto gli occhi, e non le piaceva sentirsi sempre intontita verso metà pomeriggio, senza però riuscire comunque a cedere al sonno.
Dopo l’ennesima giravolta nel letto, che quasi la mandò a schiantarsi sul pavimento, Kora decise di alzarsi di nuovo. Tornò in cucina a bere e rubò un pezzo di pane, certa che non sarebbe mancato a nessuno, dato che ormai era vecchio di tre giorni. Mentre lo masticava lentamente si spostò verso la finestra, da dove poteva vedere l’alba che stava sorgendo e illuminando i profili degli edifici. Da qualche parte si sentiva già il rumore di alcune ruote di carro sull’acciottolato, segno che c’erano persone che erano sveglie e che si stavano mettendo al lavoro.
Kora finì il suo pezzo di pane e tornò in camera, solo per controllare per l’ennesima volta di aver messo tutte le sue cose nei bauli e di non aver dimenticato nulla. Trovò solo un vecchio maglione sul fondo nell’armadio, che aveva abbandonato già alla prima cernita in quanto ormai troppo piccolo e consunto, e i vestiti che avrebbe indossato quel giorno durante il viaggio.
Passò un’altra mezz’ora prima che iniziasse ad udire rumori dal resto della casa. Quando infine si decise a uscire dalla stanza, trovò sua madre in salotto che stava riordinando freneticamente stoffe e spilli.
“Kora! Sei già sveglia?”
Kora scrollò le spalle, perché non voleva che lei notasse qualcosa di strano.
Sua madre le chiese una mano per imballare tutto, cosa che fece abbastanza volentieri, seguendo attentamente le sue indicazioni. Tutti pensavano che lei, dopo la scuola, sarebbe diventata l’apprendista di sua madre… Anche perché per molti era una fortuna avere un mestiere che potesse essere tramandato in famiglia. Eppure a Kora non era mai interessato molto creare abiti, per non parlare del fatto che molte volte ancora si confondeva sulle tipologie di stoffe e che in generale non era proprio portata per quel tipo di lavoro.
Non che Leila se la prendesse. Se lei e suo padre avevano deciso di mandarla a scuola, dopotutto, era stato proprio per darle più opportunità di scelta in futuro.
Una volta che ebbero tutti terminato di fare e ricontrollare i propri bagagli, ci fu tempo solo per una breve e fugace colazione, prima che una carrozza reale giungesse a prenderli.
Kora era stupita da tutto quel lusso, dai cavalli dal manto nero e lucido e dall’ampia cabina con sedili foderati e con un vano apposito per i bagagli, ma sua madre le aveva spiegato che essere parte della guardia reale era insieme un onere e un privilegio, e che quel trattamento era riservato a tutte le guardie personali dei membri della famiglia.
Mentre i bagagli venivano caricati, Kora si ritrovò a fissare l’enorme stemma reale intagliato sul retro della carrozza. Una singola spada dritta era avvolta da un rampicante, mentre due piccole querce erano poste ai lati. Il tutto era circondato da un nastro rosso, e posto su sfondo bianco.
Stava per allungare una mano, per toccare i rilievi intagliati e colorati magistralmente, quando sua madre la richiamò all’ordine.
Erano pronti a partire.
Kora si sporse dalla carrozza e osservò Eiwen, per dirle addio silenziosamente.
Fino a che non superarono i numerosi campi coltivati e non curvarono, entrando in un piccolo boschetto, la ragazza rimase così, a fissare i profili delle case basse e scure che si allontanavano piano piano, cercando di trattenere nelle orecchie il rumore tipico di una mattinata di mercato. Riusciva ad immaginarseli, anche se non poteva vederli, i commercianti radunati in piazza, con le bancarelle piene di merce, mentre i ragazzi correvano da una parte all’altra cercando di trattare sul prezzo. Ci sarebbe stata anche lei fra la folla, se solo non fosse partita…
Il suo ultimo pensiero andò al tempio di Fin e Freya, le divinità del sole e della luna. Sapeva che alla capitale c’erano più templi e che la loro bellezza non era paragonabile a quella di ciò che aveva sempre visto a Eiwen, ma era difficile pensare di non poter più trarre conforto dai vecchi sacerdoti, dalla navata lunga e fresca, dalle statue che con gli anni aveva cominciato a conoscere in ogni sfaccettatura e imprecisione. Come avrebbe fatto a pregare davanti ad un idolo perfetto che le era del tutto estraneo, se non nella forma? Come avrebbe fatto a confessarsi a sacerdoti sconosciuti, ad aprire il suo cuore a gente che neppure conosceva?
Il pensiero acuì un po’ la sua malinconia, perché come le era sempre stato insegnato, si poteva cambiare casa e terra, ma si avrebbero sempre avuti gli Dei nel cuore, e a lei sembrava di aver perso anche quelli, con quella partenza.
Una volta nel folto degli alberi, Kora si fece ricadere pesantemente sul sedile. Non c’era più motivo per sporgersi, se non poteva osservare né niente di vecchio, né niente di nuovo.
Sua madre le sorrise e riprese a ricamare, cosa che faceva sempre quando era troppo nervosa per lavorare.
Suo padre, invece, stava scambiando qualche parola con il cocchiere, tenendo un tono formale che poche volte lei aveva sentito, a casa.
Questo la riportò a pensare a come Ruas fosse stato promosso da semplice militare di stanza a Eiwen a membro della guardia reale.
Era una tradizione antica quando la stessa Aren. Durante Beltane, la festa del fuoco, venivano istituiti dei giochi nella capitale; delle prove tese a dimostrare la forza fisica e l’abilità dei combattenti. C’era un limite alle iscrizioni, nonostante ci si presentasse in centinaia, ed erano privilegiate le iscrizioni di chi era già in grado di maneggiare una spada o una qualche altra tipologia di arma. Naturalmente non tutte le persone che lavoravano nella milizia militare del regno potevano partecipare – non si poteva lasciare le città al caos per una festa – e nelle piccole cittadelle come Eiwen ogni anno avveniva una pre-selezione, a volte decisa con dei sorteggi e a volte con dei veri e propri combattimenti, come a Misedora.
Le richieste erano tantissime e l’afflusso di volontari era enorme perché, beh, al vincitore del maggior numero di combattimenti, suddivisi nelle varie categorie, veniva offerto un posto nella guardia reale, almeno per un anno, rinnovabile a seconda della volontà del re.
Ruas aveva vinto sia le preselezioni che le varie gare. Kora e sua madre non avevano potuto assistere – il viaggio verso la capitale costava troppo e Leila doveva lavorare –, ma la notizia era giunta loro prima del ritorno a casa di Ruas.
E così, la famiglia aveva avuto tre giorni di tempo per prepararsi, prima del trasferimento.
Tutto sommato, il viaggio non fu pesante. Certo, era stato lungo – circa cinque ore di strada –, ma il fastidio maggiore, almeno per Kora, era dato dalla noia.
Quando finalmente arrivarono in vista di Misedora, Kora si allungò di nuovo fuori dalla carrozza per cercare di osservare il più possibile.
La capitale era immensa, questo fu il suo primo pensiero. Le mura svettavano alte e imponenti, nascondendo la maggior parte delle case; tuttavia, la cupola del tempio maggiore riluceva, dorata, e più indietro si riusciva a scorgere anche il palazzo reale, che era stato costruito su un’altura all’interno della città. Altri tetti sporgevano, anche se erano perlopiù di edifici comuni; unica nota strana, a destra della cupola del tempio, un campanile con un enorme orologio permetteva agli abitanti di non smarrire mai il senso del tempio, ed era situato, stando agli insegnamenti che aveva avuto, nell’estremità nord dell’enorme piazza del mercato mattutino.
Kora si risedette composta in carrozza solo quando dovettero aspettare di essere ammessi in città. Sentì le guardie sussurrare qualcosa al cocchiere, poi dopo una breve risposta una di esse bussò sullo sportello, chiamando suo padre. Dopo un altro dialogo sussurrato, di cui Kora riuscì a cogliere solo il nome di Re Conor, Ruas si accigliò e ci disse: “Scusate. Devo andare immediatamente… Il cocchiere vi porterà a casa.”
Leila si sporse e afferrò il suo braccio.
“Cos’è successo?”
Ruas scosse la testa.
“Ora non posso. A stasera.” rispose, e se ne andò così.
Kora e sua madre si scambiarono una veloce occhiata, entrambe preoccupate, mentre la carrozza veniva richiusa. Una volta che si furono rimessi in marcia, Kora si sporse nuovamente per cercare di capire cosa stesse succedendo.
C’era agitazione per le strade. Inizialmente erano solo poche persone riunite sulle soglie dei negozi, ma quello che impensierì Kora fu l’eccessivo silenzio. La gente sussurrava e non si sentiva nessun altro rumore, nemmeno quando superarono diverse osterie.
Avvicinandosi alla piazza principale, le persone continuavano a crescere di numero. I sussurri si fecero sempre più alti e rumorosi, ma proprio perché tutti stavano parlando con tutti, Kora non riuscì a capire quale fosse il motivo di tutta quell’agitazione.
Accadde poi quando ormai avevano oltrepassato la piazza. Una vecchia signora, pallida, magra e con i capelli bianchi e sottili, le afferrò un braccio.
Kora urlò e il cocchiere, che già stava procedendo piano per evitare di travolgere qualcuno, si fermò, cercando di capire cosa stesse succedendo.
“Tu.” le disse la donna. L’aveva strattonata fino ad avvicinarle il viso, e, nello spavento, Kora riuscì solo a pensare che il suo alito sapeva di alcool “Tu, sei circondata dalla morte. La morte si nutre di te, si spande attorno a te, impregna l’aria che respiri!”
Finalmente in grado di reagire, Kora cercò di strattonare via il braccio dalla presa di quella vecchia. Tuttavia, nonostante l’età, le unghie di lei erano piantate ben salde nella sua carne. Il cocchiere era sceso e stava cercando di scostare la donna, per aiutarla, e anche dall’interno della carrozza sua madre l’aveva afferrata per la vita, pur non capendo cosa stesse succedendo.
“Stai attenta, bambina!” disse ancora lei, stavolta alzando la voce e facendo girare parecchie teste nella sua direzione “La morte è il tuo destino! Il tuo destino!”
Poi la lasciò andare e Kora ricadde indietro, nella carrozza, sbattendo la testa sul legno per il contraccolpo. Pure il cocchiere cadde, trascinandosi addosso la vecchia.
Dopo qualche imprecazione, e dopo che Kora ebbe tirato le tende, ripresero tutti il viaggio.
Mancava ormai poco a destinazione, le rassicurò il cocchiere, e aggiunse che ogni paese aveva i suoi matti, forse per cercare di consolarle un po’.
Kora, dopo aver scosso la testa in risposta alle domande di sua madre, poggiò la testa sul morbido cuscinetto di velluto rosso e chiuse gli occhi, cercando di far calmare i battiti del suo cuore e di non pensare al pulsare sulla nuca.
Non se l’era aspettato. La vecchia l’aveva presa alla sprovvista e l’aveva spaventata molto; a prescindere dalle parole, erano stati proprio i suoi occhi strabuzzati e la sua presa ferrea a inculcarle il terrore nel corpo.
E, in ogni caso…
Sei circondata dalla morte.
Una pazza che diceva una pazzia? Perché, e perché a lei?
Avrebbe dovuto dimenticarlo, davvero. Non pensare più a quella brutta avventura, arrivare nella sua nuova casa, sistemare le proprie cose e cercare di capire che diamine stava succedendo in città, cos’era tutta quell’agitazione.
Eppure…
Eppure Kora strinse una mano a pugno, mentre il ricordo degli incubi tornava prepotentemente in lei.
C’era stato un tempo, si diceva, in cui la magia era presente ad Aren.
C’era stato un tempo in cui gli Oracoli venivano ascoltati e venerati.
E c’era ancora chi, fra i suoi connazionali, credeva a queste cose. C’era ancora chi celebrava riti segreti nei boschi, o almeno così si sussurrava di nascosto, cercando di invocare l’aiuto della Natura, cercando di dominare gli Elementi e cercando di osservare fra le pieghe del Tempo. E c’era anche chi sosteneva di esserci riuscito, sebbene non tutti ormai se ne vantassero, dato che queste persone si erano rivelate solo pazze o visionarie.
Lei non aveva mai dato peso a questi racconti. Sembravano più favole o spauracchi, e di certo, sebbene ora fosse sconvolta, non poteva iniziare ad avere dei dubbi per la prima vecchia pazza che le diceva una frase sinistra.
Eppure…
Eppure, pensò Kora mentre si portava la mano ancora chiusa a pugno al petto, eppure, se sommava quelle parole al suo incubo, sembrava tutto così dannatamente vero.
Non sapeva perché, non sapeva da dove venisse la sua sensazione. E all’improvviso spalancò gli occhi e si mise seduta dritta, scuotendo la testa e riaprendo la mano.
Non doveva farsi contagiare dall’ansia, dalla pazzia.
Sicuramente quelle parole erano false, e lei ne era stata colpita perché era in ansia per essere arrivata a Misedora. Inoltre, c’era la questione del comportamento ambiguo della gente, di quei sussurri che volavano di persona in persona mentre l’interno delle case e delle botteghe rimaneva in silenzio.
Sì, erano stati sicuramente quelli i motivi per cui si era fatta toccare così in profondità.
Con una frenata un po’ brusca, il cocchiere annunciò loro che erano arrivati a destinazione.
Gli appartamenti dei famigliari delle guardie reali erano situati dietro il palazzo, in un’enorme costruzione di pietra che tuttavia aveva un’aria accogliente. Ogni appartamento aveva infatti balconi sia esterni che interni, e più o meno tutti erano decorati con vasi di fiori dai colori più disparati.
Nell’ingresso le accolse un uomo del personale di servizio, presentandosi come Huges. Svolgeva le funzioni di portinaio, disse loro, accompagnandole al terzo piano e mostrando loro le stanze che avrebbero occupato.
C’era una piccola cucina, un salotto abbastanza grande, due camere da letto, una sala da bagno che era pregna dell’odore di olio profumato alle rose e un’altra stanza vuota, che Huges disse di essere a disposizione di Leila per il suo lavoro.
Mentre l’uomo illustrava loro la casa, altri due membri del personale portarono i bagagli e li lasciarono in salotto.
Kora li osservò e considerò che sembravano ben miseri; dei semplici bauli di legno poggiati su quello che sembrava essere un tappeto pregiato.
“Per qualsiasi necessità potete chiedere a me, o a Phil, che mi dà il cambio di notte. Troverete sempre uno di noi due nell’ingresso, signora.”
Huges fece un leggero inchino sia a Leila che a Kora, e poi si congedò. Poco dopo venne a bussare una cameriera, presentandosi come Lilian e offrendosi di aiutarle con il loro bagaglio. Disse anche che sarebbe passata ogni mattina per le pulizie, e che quello era un servizio di cui avevano diritto come famiglia di una guardia reale.
Lilian sembrava giovane; non poteva avere troppi anni più di Kora. Mentre parlava, durante le pause, si mordeva il labbro inferiore, come se fosse pensierosa, e sembrava distratta. Fu questo che diede a Kora la spinta per domandarle: “Scusami, Lilian… Tu per caso sai cosa sta succedendo? Voglio dire, la città mi sembra strana, e anche mio padre… E’ dovuto andare via subito non appena siamo arrivati.”
Lilian la fissò per un momento, sempre mordendosi il labbro. Poi sospirò, prendendo la sua decisione.
“Mi spiace, signora e signorina. Siete capitate nella giornata sbagliata. In teoria non dovrei dire nulla, ma in pratica… Ci sarà un annuncio ufficiale, questa sera, quindi…” abbassò lo sguardo; poi, dopo aver raccolto le forze, rialzò il viso verso di loro “Re Coron è morto.”
“Cosa?” esclamò Leila.
Lilian scosse piano la testa.
“Pare che abbia avuto un attacco cardiaco stamattina… Non è stato possibile fare niente. Ma nessuno avrebbe dovuto saperlo fino a stasera, solo che… La notizia è trapelata.” si morse ancora il labbro inferiore e girò la testa verso destra; poi, forse ricordandosi come e perché era lì, sussultò e cercò di recuperare un atteggiamento formale.
“Adesso, se volete una mano, o anche solo fare un bagno caldo mentre io sistemo i bagagli…”
Leila non le permise di toccare le sue stoffe e i suoi attrezzi da lavoro, mentre Kora apprezzò molto l’offerta, e l’aiutò un po’ a sistemare mentre la vasca da bagno si riempiva di acqua calda. Poi, ormai esausta sia per il viaggio che per le emozioni del giorno, si congedò da lei e da sua madre per andare a fare un bagno.
Scivolò nella vasca cercando di rilassarsi e, prima di iniziare a lavarsi, chiuse gli occhi e reclinò la testa all’indietro.
Si chiese, per un momento, cosa avrebbe significato la morte del Re per Aren.

***

Ieren stava camminando avanti e indietro nelle sue stanze da ormai un quarto d’ora, nervoso e addolorato.
Ogni passo, ogni minuto, ogni secondo che passava continuava a sentire sempre quella fitta al cuore, quello strazio profondo.
Aveva perso suo padre.
Certo, il regno sarebbe stato in lutto con lui, ma… Non era la stessa cosa.
Conor era per lui un pilastro, una guida, un punto d’appoggio. Loro due si erano sostenuti a vicenda dopo la morte Iana, la regina, sua madre. Nonostante gli impegni che essere Re e Principe comportavano, loro due avevano sempre trovato anche un singolo momento della giornata da dedicare l’uno alla cura dell’altro.
Si parlavano, si ascoltavano… Erano, in tutto, padre e figlio.
E, adesso, suo padre non c’era più. Aveva cessato di esistere e lui non l’avrebbe mai riavuto indietro.
Faceva male.
Faceva ancora più male perché non poteva semplicemente piangere, disperarsi, urlare, chiudersi in camera e soffrire il giusto dolore. No, lui era il Principe, fra poco sarebbe diventato Re, e avrebbe dovuto parlare alla nazione. Ci sarebbe stato l’annuncio ufficiale di quella sera, e poi il funerale, e poi la cerimonia d’incoronazione… Tutte stupide cose di cui si doveva occupare in prima persona, e di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
E poi c’era quello.
Ieren sferrò un calcio al piede del letto, imprecando poi a gran voce perché si era fatto male. Si sedette così, al centro della stanza, continuandosi a tenere le dita offese strette nel pugno, e cercò per l’ennesima volta di capirci qualcosa.
Conor, suo padre, era stato strano negli ultimi giorni.
Nervoso, agitato, indisponente con i suoi sottoposti – lui, un uomo così buono! – e, soprattutto, sgarbato nei suoi confronti. Non avevano più potuto permettersi uno dei loro momenti insieme, dopo la litigata di circa cinque giorni prima. Suo padre gli aveva gridato contro e, poi, come in preda al rimorso, lo aveva fermato mentre lui stava per uscire dalla sala da pranzo e per sbattersi la porta alle spalle.
“Mi spiace, figliolo. C’è una questione di estrema importanza che mi preoccupa ma, credimi, non ne posso parlare. Non posso proprio.” aveva detto, prima di sussultare e di guardarsi attorno nervosamente. Poi gli aveva preso le mani e se l’era portate al volto, baciandole.
“Perdonami.” aveva aggiunto, prima di andarsene lui stesso, lasciandolo lì impietrito nel mezzo della sala.
Quella era stata l’ultima volta che avevano avuto una conversazione degna di questo nome.
E suo padre, sebbene preoccupato e nervoso, era sano.
Giovane e completamente sano.
Per questo motivo, Ieren non si era bevuto nemmeno per un attimo la scusa della sua morte per attacco cardiaco.
Quello era stato un assassinio. Lui ne era certo, ma non aveva alcuna prova, né un probabile colpevole o un movente. Oh, certo, alcuni dei suoi parenti avrebbero potuto farlo per vendetta o per desiderio di potere, ma… Perché adesso? Perché verso di lui, perché uccidere un Re buono e generoso che faceva sempre il possibile per non scontentare nessuna delle cinque dinastie nobiliari?
No, c’era dell’altro.
Ieren non sapeva né come né perché, ma sentiva che c’era dell’altro.
Niente in quella dannata storia aveva un dannato senso e lui avrebbe solo voluto che suo padre gli avesse confidato le sue premure, quando ancora ne aveva avuto l’occasione.
Anzi, no.
Avrebbe solo voluto riavere suo padre lì, ora, di nuovo sereno e soprattutto di nuovo vivo.
Non era giusto. Non era giusta la sua morte e non era giusto soprattutto che il peso del regno ricadesse già sulle sue spalle. Lui era un Principe, cresciuto come tale e con la prospettiva di diventare Re; eppure, lo sapeva, lo sentiva, non era ancora pronto.
La prova era racchiusa in quelle lacrime che si ostinavano a cadergli dagli occhi. La rabbia era in grado di sorreggerlo fino ad un certo punto; il senso di frustrazione che provava, non poteva usarlo per tenere un discorso ai cittadini.
Non si sentiva in grado di svolgere il suo dovere.
La perdita, la mancanza pesavano come un macigno sul suo petto.
Alla fine, questa era la verità.
Ieren, in quel momento, si sentiva solo un semplice uomo sconfitto dal lutto.

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Capitolo 3
*** II ***


Rieccomi qui e, come sempre, scusate l’attesa.
Anche questo capitolo è parecchio introduttivo, ma cercate di capire: è già difficile per me cercare di gestire una storia originale in un contesto originale; immagino per voi lettori che dovete capire senza essere nella mia testa e sapere quindi le cose.
In questo capitolo vengono presentate le cinque dinastie e più o meno la loro posizione (o almeno quella che Ieren pensa che sia la loro posizione). Dal prossimo in poi vedremo le persone agire, invece.
Come al solito abbondano le descrizioni (che davvero non sono capace di fare), ma questo è perché ho pensato che l’introduzione servisse bene o male a inquadrare tutto, quindi oltre i personaggi anche l’ambiente. In questo modo poi posso abbondare di azione e introspezione senza aver paura di omettere cose, ecco.
Ringrazio sempre chi legge/segue/ricorda/preferisce e recensisce :) Vi ricordo che un parere è utile proprio perché questa è la mia prima storia originale, a cui tengo particolarmente :)
Vi invito inoltre a guardare i piccoli bottoncini sul mio profilo; se volete contattarmi, mi trovare tramite essi (o tramite un messaggio su efp).
Buona lettura! :)
PS: nello scorso capitolo ho sbagliato una cosa. Avevo scritto “mercato di mezza estate”, tipo, ma non siamo in estate, bensì a maggio. L’errore è rimasto perché ho cambiato idea in itinere… Me ne scuso molto e dico subito che ho già provveduto a correggere.



II

Kora era rimasta nella vasca finché l’acqua non si era raffreddata, cercando di sciogliere i brividi che la vecchia le aveva lasciato addosso e di scacciare il fastidio di aver passato ben cinque ore in viaggio. Si lavò con cura, approfittando dei numerosi oli e saponi di cui il bagno era provvisto, e infine uscì avvolgendosi in un telo di spugna perché, sebbene fosse ormai maggio inoltrato, dopo la prima settimana di calore intenso la temperatura era scesa di nuovo.
“Questa sera dobbiamo riunirci in piazza, non la piazza del mercato ma quella su cui il palazzo reale si affaccia.” disse sua madre, vedendola mentre passava in salotto “Huges è salito a dirmelo mentre stavi facendo il bagno. Sto cercando di sistemarti un vestito, tu cerca di essere pronta in tempo, siamo d’accordo?”
Kora sospirò. Per essere la figlia di una sarta, s’interessava davvero poco di moda e soprattutto della cura del proprio aspetto. Fosse stato per lei, sarebbe sempre uscita di casa indossando un paio di pantaloni – quando aveva quindici anni ne aveva trovato uno appartenente a suo padre, ormai vecchio, che le stava comunque piuttosto largo. E sì, era stato amore a prima vista. Peccato che Leila l’avesse vista un giorno mentre cercava di uscire con quelli addosso, e li aveva fatti a pezzi davanti ai suoi occhi, sostenendo che “Non è decoroso per una ragazza” e “Che figura mi fai fare, io sono una sarta!”.
Dopo essere entrata nella propria stanza, Kora si fece cadere pesantemente sul letto. Ancora non si era abituata a quel cambio d’ambiente, a quel lusso.
L’armadio avrebbe dovuto trovarsi alla sua sinistra, e invece era a destra, per di più decorato con un enorme specchio. Un comò grande e pesante le stava invece di fronte, accanto a una piccola scrivania, e nella parete alla sua sinistra si affacciava una finestra. Dava sul piccolo balcone del cortile interno, che Kora non era ancora scesa ad esplorare. Una piccola libreria era inoltre posta nello spazio vuoto fra la finestra e l’angolo, dove ora facevano bella mostra di sé solo i suoi vecchi libri di scuola.
Il letto appoggiava per la testata alla parete di fondo, il cui altro spazio era occupato da due comodini fatti dello stesso legno del comò, o almeno così pensava lei per via del colore.
Tutto sommato la stanza era molto spoglia, quasi vuota, dato che Kora non aveva portato con sé poco o niente a parte i vestiti e i libri. I pochi oggetti che aveva conservato – come una bambola di pezza con cui era solita giocare da bambina – si trovavano chiusi nel primo cassetto del comò; oltre ai libri, l’unica nota di colore della stanza era data dalle lenzuola azzurro cielo e dal portacandele rosso con candela bianca annessa poggiato sul comodino.
Kora rimase sdraiata per circa dieci minuti. Aveva chiuso gli occhi e cercava di familiarizzare con i rumori provenienti dall’esterno ma, dando la sua stanza sul cortile interno, aveva sentito solo qualcuno andare a prendere l’acqua al pozzo.
Alla fine, con un sospiro, si alzò. Cercò di asciugarsi al meglio e indossò una leggera sottoveste da casa, avvolgendosi i capelli con il telo per non gocciolare dappertutto.
In quel momento, sua madre mise la testa dentro la sua stanza.
“Ah, sei sveglia.” le disse “Ascolta, mi fai un piacere? Mentre faccio il bagno, non potresti andare a riempire le bottiglie al pozzo?”
“Va bene, mamma. Rilassati, sembri avere un diavolo per capello.”
“E ci credo, dopo aver viaggiato per tutta la mattina e buona parte del pomeriggio, aver sistemato le mie stoffe e organizzato la mia stanza da lavoro, aver modificato il tuo vestito blu e il mio verde… Ecco, ormai è già pomeriggio inoltrato e devo anche lavarmi di fretta se voglio cenare prima di uscire!”
Kora sorrise: sua madre era sempre stata così, di fretta e agitata anche per niente e maniaca della perfezione. Passò nel suo studio quando ormai lei si era chiusa in bagno e prese qualche fermaglio per i capelli: non aveva intenzione di lasciarli liberi e bagnati a contatto con i vestiti. Poi tornò in camera per cercare qualcos’altro con cui coprirsi, dato che non era decoroso uscire in sottoveste, anche se rimaneva nel cortile interno.
Dopotutto, il loro non era altro che un piccolo appartamento in un grande edificio; avrebbe potuto incontrare chiunque.
Passò quindi in cucina per prendere il cesto con le bottiglie e scese, già rassegnata alla fatica che avrebbe fatto poi per risalire tre piani di scale con il triplo del peso se non di più.
Salutò Huges all’ingresso e si fece indicare la porta giusta, poi si diresse al pozzo, che era posizionato proprio al centro del cortile, guardandosi intorno. Le case al pian terreno avevano un piccolo pezzo di giardino lastricato – corrispondente ai balconi dei piani superiori – da poter usare personalmente; il resto era un alternarsi di quadrati d’erba dove bambini e animali giocavano e ghiaia usata a mo’ di sentiero. Dato che gli appartamenti erano tanti e l’edificio piuttosto grande, anche il cortile era abbastanza ampio.
Kora vide un bambino di circa nove-dieci anni giocare con una palla, solo, mentre la madre poco più indietro stendeva i panni, ma per il resto non volava una mosca. Pensò che fosse tutta ‘colpa’ della morte del re, perché dubitava che in una giornata ‘normale’ non ci fosse nessuno in giro.
Soprattutto i bambini, ecco. Con tutte le case che c’erano… Il bambino con la palla non poteva certo essere l’unico!
Kora riempì le sue bottiglie silenziosamente, girando la manovella e tirando su ben quattro secchi d’acqua prima che fossero tutte piene. Ringraziò l’imbuto che aveva scovato in fondo alla cesta, perché se ne era proprio dimenticata e non aveva voglia di fare le scale più volte di quanto fosse necessario.
Quando tornò in casa scoprì che sua madre aveva già finito il bagno.
“Perfetto!” esclamò, prendendo una bottiglia e versandosi da bere “Credo che sia avanzato qualche panino dal viaggio, guarda là.” disse poi, dopo aver bevuto, indicando un pensile di legno chiaro.
Kora distribuì il pane e lei e Leila mangiarono in silenzio, sedute al tavolo della cucina che sembrava enorme. Forse perché mancava Ruas, o forse perché era nuovo… Kora non si sentiva a suo agio in quella casa, non ancora.
“Vieni.” le disse poi sua madre, in tono sbrigativo “Manca poco ormai.”
Kora la seguì nella sua stanza, dove lei le fece indossare il vestito opportunamente modificato. Il corpetto le stringeva un po’ e la gonna era abbastanza ampia, piena com’era di nastri neri, ma più di tutto a Kora infastidiva l’eccessiva presenza di stoffa, perché aveva davvero caldo in quel modo.
“Non dovrai sopportare molto.” la rassicurò sua madre, che ormai la conosceva bene “Guardati però, Sei splendida.”
La fece girare verso uno specchio enorme, posto sull’anta dell’armadio in maniera del tutto simile a quello che aveva in camera. In effetti, se si dimenticava del fastidio e si concentrava solo sulla figura riflessa… Beh, era abbastanza bella.
Leila le girò ancora attorno per sistemarle i capelli, acconciandoli in morbide onde castane che scendevano quasi fino a metà schiena, fermate ai lati della testa da due piccoli fermagli con pietre color zaffiro che richiamavano i suoi occhi azzurri.
Certe volte, Kora pensava che sua madre avesse delle dita magiche, per le cose che era in grado di fare sia con le stoffe che con le acconciature.
Dopo aver avuto il permesso, comunque, si affrettò ad uscire dalla stanza. Dato che non voleva rovinare niente – sua madre sarebbe impazzita, altrimenti – si limitò a stare ferma, in piedi, in mezzo alla sala, aspettando che Leila finisse di prepararsi.
Infine, quando tutto fu pronto, entrambe uscirono.
Huges diede loro indicazioni chiare e precise per raggiungere la piazza, ma Kora pensò che ce l’avrebbero fatta comunque, dato che il palazzo svettava in mezzo a tutte le case. Si trattava solo di girarci attorno e di trovare il punto giusto.
Quando arrivarono, già diverse persone si erano radunate, dai popolani – in fondo alla piazza – a quelli con un rango sociale più alto – che sedevano su un piccolo palco rialzato montato per l’occasione, il più vicino possibile al balcone da dove si sarebbe sporto il principe.
Kora e Leila erano circa a metà ed entrambe allungarono il collo, cercando di vedere sopra le teste altrui.
Parecchie persone portavano indumenti neri, o una fascia nera a lutto legata attorno al braccio. Nonostante l’annuncio ufficiale di quella sera, la notizia si era già sparsa ovunque.
“Ouch!” esclamò Kora, quando un ragazzo la spintonò per farsi spazio. Sua madre la prese per mano e non disse niente, dato che qualcuno stava annunciando l’entrata del principe.
Kora alzò la testa, focalizzandosi sul piccolo balcone dal quale, da generazioni, i reali davano gli annunci ufficiali.
Ieren Lerastan era vestito totalmente di nero, in modo abbastanza semplice per essere il nuovo neo-sovrano. Kora non poteva dirlo da quella distanza, ma sembrava avere in volto un’espressione oltremodo seria. Ipotizzò che fosse a causa del dolore e, per la prima volta da quando aveva saputo, sentì una stretta al cuore.
Non aveva conosciuto re Conor – e come avrebbe potuto? – ma era stato un buon sovrano per Aren, questo lo sapeva.
Il principe Ieren avanzò fino al limitare della balconata, mentre la leggera brezza che si era alzata gli scompigliava i capelli castani. Tuttavia lui non alzò una mano a scostarseli e, anzi, sembrava rigido, o forse indifferente, come se niente lo toccasse in quel momento… Soprattutto non una cosa come un lieve fastidio passeggiero.
“Mi spiace dovervi annunciare.” iniziò, e le sue parole si sentirono appena, nonostante nessuno parlasse “Che mio padre, re Conor, è morto stamattina per colpa di un attacco cardiaco. Sono…” si interruppe, chiudendo gli occhi e cercando le parole “Sono molto addolorato, e so che Aren lo sarà con me.”
Per qualche istante nessuno si mosse. Il tempo stesso sembrava essersi fermato; persino il vento aveva smesso di soffiare.
“Nonostante sia un momento duro per me, resterò accanto al mio popolo. Coron era mio padre, e sono convinto che non avrebbe voluto che il regno si paralizzasse per la sua morte. Io sono il suo unico e solo legittimo erede e successore, pertanto…” Kora poté percepire la sua difficoltà. I suoi occhi erano fissi dinanzi a sé e Ieren non osservava nessuno, ma anche un cieco avrebbe notato che la sua sofferenza era autentica “… Settimana prossima si svolgerà la cerimonia d’incoronazione. Vi ringrazio per essere giunti qui, questa sera… Per me è molto significativo il fatto di non essere il solo a soffrire. Grazie, grazie ancora.”
Ieren si ritirò e le persone in piazza iniziarono a muoversi, per tornare alle proprie abitazioni. Nessuno stava parlando; non ancora, almeno. Nell’aria si continuava a sentire il lutto, come se la morte stesse indugiando ancora sui presenti, prima di ritirarsi altrove.
E, in un secondo, prima di poter anche solo iniziare a camminare per muoversi dietro agli altri, Kora scorse un lampo bianco fra la folla.
Subito la sensazione di terrore del suo incubo l’assalì, mentre lei cercava di fare respiri ampi e profondi e di far smettere al suo cuore di battere così forte. Gli occhi guizzavano da una parte all’altra, cercando fra la folla… Ma non vide più niente.
Lentamente, mentre la gente ancora si muoveva, si rilassò abbastanza da arrendersi e capire che la cosa migliore da fare era tornare a casa. Non poteva spaventarsi sempre per un nonnulla, come era successo con la vecchia pazza poche ore prima… Era stata stupida e non era il caso di esserlo ancora.
Kora, che aveva un senso dell’orientamento ben maggiore di Leila, tirò sua madre fino a che non furono di nuovo nella piccola viuzza laterale dalla quale erano arrivate.
Tornarono indietro senza dire una parola.
Una volta arrivate, Leila si ritirò nelle proprie stanza e Kora si disfò ben presto del vestito, sostituendolo con la solita sottoveste da casa che era ben più comoda. Sentiva ancora addosso il senso di solennità dell’annuncio, benché non fosse successo poi niente di speciale.
Fino a che aveva abitato ad Eiwen, Kora aveva sempre pensato al re, alla sua famiglia e alla nobiltà come personaggi lontani e indistinti; figure che le erano totalmente estranee e che mai in vita sua avrebbe conosciuto. Certo, ad Eiwen c’era un piccolo lord, ma era… Era parte della comunità; era una persona generosa e di buon carattere che spesso regalava qualcosa ai ragazzi nei giorni di mercato, che fossero dei dolcetti o dei fermagli o un attrezzo da lavoro.
Questo era stato… Diverso.
E, per la prima volta in vita sua, Kora pensò al principe neo-sovrano come ad una persona reale, che soffriva per la perdita di un genitore, che era in lutto. Cercò di immaginarsi cosa dovesse provare in quel momento e l’enormità del dolore la lasciò senza fiato e con il desiderio che Ruas rientrasse presto a casa.

***

Ieren stava camminando verso i propri appartamenti, dopo aver dato l’annuncio alla popolazione. Quello stesso pomeriggio aveva già dovuto dire le stesse cose a corte,  cospetto delle cinque grandi dinastie e agli esponenti di spicco della nobiltà, e adesso… Si sentiva esausto.
Aveva così tanto da fare, in così poco tempo, e faceva sempre così male
“Cugino!”
Il nuovo membro della sua guardia personale gli si mise davanti, con una mano sull’elsa della spada, ma lui aveva già riconosciuto la voce.
“Pace.” disse, facendo un cenno.
Ruas lanciò prima un’occhiata a un altro soldato della scorta e, dopo un piccolo cenno affermativo di questi, si rimise in posizione, rilassato.
“Hanna.” disse poi Ieren, aprendo le braccia verso la ragazza.
Non era propriamente sua cugina, ma le dinastie erano più o meno tutte imparentate. Hanna era la figlia minore del ramo principale della famiglia Rhyser; suo padre era il fratello della moglie di Isaias Dreynall, che era suo zio diretto da parte di madre.
“Mi dispiace così tanto.” disse lei, appoggiando il viso sul suo petto e stringendolo.
Hanna era la sua preferita da sempre. La famiglia reale, per via della posizione che occupava, non aveva molti amici; tuttavia, la regina Iana era sempre stata molto legata a Tamila, la moglie di Isak e la madre di Hanna. Per questo, da piccolo, aveva trascorso molto tempo con la ragazza… Lei era sempre stata timida e riservata con chiunque tranne che con lui; nonostante si passassero quasi sei anni di differenza, avevano sempre apprezzato l’uno la compagnia dell’altro.
E questo rapporto speciale era rimasto, anche dopo la morte di sua madre.
“Lo so.” rispose Ieren, intensificando per un momento la stretta.
Hanna si scostò piano e lo fissò in viso.
“Devo andare, Damir mi sta cercando. Se sapesse che sono riuscita ad incontrarti…”
Ieren le lasciò un piccolo bacio sulla fronte.
“Vai. Ci vedremo comunque presto.”
Hanna annuì, mollando definitivamente la presa sulla sua schiena.
“Ieren, per quel che vale… Io e la mia famiglia saremo sempre dalla tua parte. Ci dispiace per quello che è successo; lo zio Conor è sempre stato molto gentile con noi. Soffro anch’io con te, cugino.”
Hanna si portò due dita sulle labbra e gli lanciò un bacio, mentre si allontanava di corsa.
Ieren sentì il cuore un po’ più leggero.
Era vero… Aveva una settimana di tempo, solo una settimana, prima della cerimonia d’incoronazione. E poi sarebbe entrato nel giro della politica; avrebbe dovuto saper cogliere ogni sguardo, capire ogni parola, cercare ogni sussurro.
Avrebbe dovuto cercare di ottenere la lealtà di tutti e non era facile, per niente. Era bello sapere che qualcuno gli sarebbe rimasto accanto a prescindere.
Finalmente raggiunse la sua stanza. Si sedette alla scrivania e prese foglio, penna e calamaio.
Suo padre gli aveva parlato molto prima di quell’ultima terribile settimana; aveva cercato di educarlo al meglio per poter diventare un giorno re e l’insegnamento più prezioso non era stato in merito al tesoro reale o altro.
Ieren scrisse i cognomi delle cinque grandi dinastie – Leoren, Marves, Dreynall, Rhyser e Tyrvail – e, sotto ad ognuno di essi, tracciò un piccolo albero genealogico del ramo principale, quello che aveva il maggior peso e influenza a corte.
Poi, memore dei discorsi di suo padre, cercò di valutare chi sarebbe stato dalla sua parte, chi avrebbe approvato la sua incoronazione e chi no. Non era un lavoro per niente facile.

***

La cerimonia si era svolta nel più ampio salone del palazzo, che altro non era che la sala del trono. Il soffitto era alto e decorato da splendidi affreschi riguardanti la ruota dell’anno e le sue festività. Dietro il trono, sulla parete di fondo, erano dipinti Frin e Freya; lui con i suoi capelli lunghi e dorati a simboleggiare il sole, e lei con un sorriso leggero e gli occhi chiari che risaltavano come stelle al di sotto della frangia corvina, sul viso pallido, a simboleggiare la luna nella notte.
Il potere della famiglia reale non derivava dalla spiritualità, vero, ma era tradizione che fosse il vescovo della città di Misedora a presidiare la cerimonia d’incoronazione, perché era la più alta autorità esistente che non fosse sullo stesso piano di un re.
Ieren aveva imparato la sua parte come da copione, perché era più facile andare avanti se era in grado di svuotare la mente e recitare. Sapeva che era una cosa importante; che quella era la sua festa, in un certo senso, e che non avrebbe mai più visto un’altra cerimonia simile finché sarebbe vissuto.
Eppure, il dolore e la preoccupazione erano ancora così forti.
Come poteva essere grato per aver ereditato un regno che non era ancora pronto a dirigere? Come poteva essere sereno se sentiva ancora il sospetto per la morte del padre?
Ieren disse tutto ciò che doveva dire e fece tutto ciò che doveva fare, fino a che il vescovo non lo fece accomodare sul trono prima di posizionargli la corona sulla testa.
Ieren guardò tutti coloro che si erano riuniti nel salone, attendendo quel momento. Guardò le famiglie principali delle cinque dinastie, seduti nelle prime file delle panche che erano state posizionate apposta per l’occasione sul pavimento di marmo. E guardò più indietro, dove erano presenti i rami cadetti e tutta la nobiltà minore, per arrivare infine anche ad alcune personalità di spicco che erano state autorizzate a presenziare, nonostante non avessero un titolo proprio.
Di chi si poteva fidare? Da chi avrebbe ricevuto aiuto e da chi si doveva guardare le spalle?
Uno di loro aveva assassinato suo padre, cercando di mascherare l’omicidio con l’inganno?
“E con questo, io ti incorono, nuovo re Ieren Lerastan, sovrano di Aren.”
Ieren sentì la corona pesante premere sulla testa e rialzò il viso. Il vescovo fece un passo indietro e di lato.
Disse qualcosa, e iniziarono i giuramenti.
I primi furono i Leoren. Malthe e Markha si avvicinarono con un’espressione seria e composta.
“Per tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà, io, Malthe Leoren, ti giuro fedeltà e giuro la fedeltà della mia dinastia alla corona.”
“Per tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà, io, Markha Leoren, ti giuro fedeltà e giuro la fedeltà della mia dinastia alla corona.”
Dopo di loro vennero i Marves, Vesa e Zeliha. Giurarono, ma a denti stretti. Ieren se l’era aspettato, perché Zeliha, sua zia diretta da parte di madre, covava risentimento per la dinastia Lerastan. Infatti era stata lei la prima promessa di Coron, ma lui scombinò i piani innamorandosi di Iana, sua madre.
Zeliha non aveva mai perdonato suo padre e, al tempo, aveva provveduto ad aumentare lo scandalo in ogni modo. Ieren sapeva che, se avesse potuto, avrebbe evitato di giurare; tuttavia il rituale era obbligatorio e chi si asteneva dal prestare giuramento veniva imprigionato per alto tradimento.
Il nuovo re ascoltò impassibile la formula recitata a memoria e cercò di contenere le emozioni, chiedendosi se fosse stata la zia a compiere una vendetta tardiva ai danni di suo padre.
C’era stato un tempo in cui si mormorava che Zeliha avesse già ottenuto vendetta con la morte di Iana… Ma lui era stato troppo piccolo per capire, e suo padre troppo addolorato. Aveva cercato di proteggerlo ma Ieren si ritrovò a pensare solo ora che era stato un peccato, perché in quel momento anche la certezza che sua madre fosse morta per un incidente a cavallo s’incrinò.
Come aveva fatto a non pensarci prima?
Quante cose doveva scoprire; quanto gli era stato tenuto nascosto? Possibile che anche sua madre fosse stata assassinata?
Ieren cercò in ogni modo di mantenere la sua espressione neutra, mentre la dinastia Marves si allontanava e lasciava il posto ai Dreynall.
Non poteva permettersi nessun errore, e doveva rimanere lucido per cercare di cogliere ogni cosa, ogni sfumatura nel volto e nella voce.
Iasias e Kheda Dreynall giurarono, e a Ieren sembrò di cogliere un guizzo sulla guancia dello zio, come se avesse irrigidito la mascella per un attimo.
Si chiese cosa stesse a significare. I Dreynall non si erano mai mostrati apertamente ostili alla corona, ma neppure favorevoli. Erano sfuggenti e non restavano quasi mai a palazzo o comunque in città, nonostante avessero appartamenti e case in abbondanza; di loro sapeva solo che il figlio minore, Damir, aveva una qualche passione per Hanna, anche se non era ricambiato.
Avrebbe quindi potuto capire un’ostilità da parte del ragazzo, dato che il suo rapporto di confidenza stretta con la cugina era noto a tutti, eppure…
Prima che potesse mettere in ordine i pensieri era arrivato il turno dei Rhyser, Isak e Tamila. Loro due sorrisero apertamente e Ieren fu tentato di ricambiare, ma si trattene per via della solennità dell’occasione.
I genitori di Hanna giurarono di essere fedeli alla corona e lui non dubitò neanche per un secondo delle loro parole e intenzioni.
Gli ultimi ad avvicinarsi furono i Tyrvail, seguiti nonostante tutto dai soliti sussurri.
Yonas e Tuga non si facevano vedere molto a palazzo, perché il loro matrimonio aveva alzato un polverone, qualche anno prima, che non si era mai placato del tutto. Tuga, infatti, proveniva da una semplice famiglia contadina, che non aveva nessun legame con la nobiltà e nessuna influenza.
Nessuno aveva mai capito perché Yonas l’avesse sposata – si mormorava che fosse già incinta il giorno delle nozze, ma essendo una semplice contadina questo non sarebbe stato un motivo sufficiente per il matrimonio; Yonas avrebbe potuto benissimo pagare un risarcimento e una dote alla famiglia – e il fatto che del sangue puro si fosse mischiato in questo modo… Aveva fatto cadere parzialmente in disgrazia la dinastia. L’unico motivo per cui un altro ramo della famiglia non aveva reclamato per sé il titolo principale era perché Yonas era stato figlio unico. I suoi altri parenti e cugini avevano tutti preso un altro cognome, nel tempo, e lui era quindi il solo a poter garantire una discendenza alla dinastia.
Re Conor era stato buono con loro, accettando Tuga come una pari del regno senza battere ciglio. Questo gli era valso disprezzo da molti, ma enorme gratitudine da parte dei Tyrvail. Fu per questo che Ieren non dubitò della loro lealtà e, anche sforzandosi, non riuscì a scorgere il minimo dubbio né la minima esitazione mentre Yonas e Tuga giurarono.
Il vescovo riprese la parola e concluse la cerimonia, congedando tutti.
Ieren rimase seduto sul trono, pensieroso. Era stanco, vero, ma da quel giorno in poi non avrebbe più potuto permettersi distrazioni.
Era il nuovo re e la corona già pesava, sia sulla sua testa che sul suo cuore.


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