Noi crediamo nei mostri

di SorelleDiSpirito
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La bambola di porcellana ***
Capitolo 3: *** L'uomo Mascherato ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
– Noi crediamo nei Mostri –

 





Il fatto accadde molto tempo fa, un fatto che probabilmente non dimenticheremo mai e che ha segnato le nostre vite come solo un episodio di quel genere può fare.
Avevo nove anni, se ben ricordo, e di conseguenza la mia sorella maggiore, Altea, ne aveva dieci.
All’epoca vivevamo a Villar San Costanzo, un piccolo comune in provincia di Cuneo dove il tempo non passava mai.
Per qualche strana ragione, io e mia sorella non riuscimmo mai a farci degli amici, né allora né in seguito, e questo probabilmente era dovuto al fatto che noi eravamo, in qualche modo, diverse da tutti gli altri.
Luna e Altea.
A scuola ai nostri nomi venivano associati simpatici epiteti come ‘le ragazze a cui non piace il rosa’ , ‘quelle vestite di nero’ ma anche ‘quelle che leggono i libri per grandi’.
Ebbene sì, queste caratteristiche potrebbero sembrare banali o addirittura positive eppure in un comune antiquato come Villar San Costanzo erano considerate fuori dal mondo, a volte addirittura dei peccati (ricordo quando la maestra di religione accusò me e mia sorella di satanismo quando ci vide intente a leggere un versetto della bibbia al contrario).
Io e Altea ci avevamo riso sopra e avevamo continuato a vivere la nostra vita senza badare allo sguardo torvo dei passanti e all’esclusione da parte dei compagni di scuola.
Tutto andava liscio, fino a quando, frugando in mezzo ai vecchi libri dei nostri genitori, non ne trovammo uno in particolare che accese la nostra curiosità più degli altri. Forse era uno dei libri dismessi della mamma, che aveva lasciato il suo lavoro da maestra per accudirci, o forse era finito lì per caso.
Ricordo ancora adesso che era di media grandezza, molto pesante per le nostre piccole braccia, ed era foderato di nero con un materiale di finta pelle.
La sera stessa ci sdraiammo sulla morbida moquette della nostra camera e iniziammo la lettura del misterioso libro.
Stettimo tutta la notte sulle pagine ingiallite del racconto, leggendo di spettri, anime, creature affamate e mostri che, nascosti sotto i letti dei bambini, crescevano e crescevano, fin quando, giunto il momento, uscivano dal loro buio nascondiglio per cibarsi della carne delle loro piccole prede.

Se un tempo io e Altea non temevamo niente e camminavamo al buio senza timore, dopo quella notte iniziammo ad accendere le luci non appena calava il sole e cominciammo a evitare di passare vicino agli angoli bui nelle stanze.
Prima di dormire convincevamo i nostri genitori a guardare sotto il letto, convinte che il mostro, impaurito dalla presenza di un adulto, decidesse di abbandonare il suo nascondiglio e una volta che i nostri genitori attraversavano l’uscio della porta ci sentivamo protette, e sicure che per quella notte la creatura non avrebbe attaccato.
La storia andò avanti per tutte le notti a seguire e i nostri non sembravano affatto annoiati dalle nostre paranoie, e con un sorriso si chinavano per guardare sotto i nostri letti tutte le sere facendo facce buffe per spaventare i mostri, ma col tempo le cose in famiglia iniziarono ad andare male.
Ovviamente i nostri genitori cercavano di tenerci tutto nascosto, ma sentendo i loro continui litigi, vedendo le lacrime di nostra madre e la freddezza negli occhi di nostro padre, io e Altea capimmo che non poteva trattarsi di semplici ‘problemini di lavoro assolutamente risolvibili’ come avevano provato a convincerci tutti.
Ormai io e mia sorella avevamo capito fino in fondo il significato della parola ‘divorzio’, e avevamo cercato insieme di superarlo guardandolo come uno dei tanti ostacoli della vita.
Nonostante questo i nostri continuarono a comportarsi come sempre con noi, e continuarono a cacciare via i mostri, tranquillizzandoci e facendoci dormire sonni tranquilli nonostante le grida continue.
La notte del 31 ottobre, però, dopo una litigata particolarmente violenta, vedemmo nostra madre in lacrime uscire di casa con un borsone e sparire nella nebbia a bordo della sua macchina blu. Nostro padre, invece, si era chiuso nel salone e per quanto fossero forti i nostri richiami, da dietro la porta non ottenemmo alcuna risposta.
Rassegnate, indossammo il pigiama, ci infilammo sotto le coperte e dopo esserci scambiate un veloce sguardo spegnemmo la luce. Nel silenzio ricordo ancora i nostri respiri leggermente affannati, il battito del cuore che pulsava nell’orecchio poggiato sul cuscino. Eravamo inquiete, ma ci addormentammo comunque.
Quella sera nessuno aveva guardato sotto il letto.
Nessuno aveva scacciato il mostro.




















 


Ci scusiamo per la cortezza di questo prologo, ma tutti i capitolo saranno più o meno corti e veloci da leggere sicché abbiamo ideato questa storia affinché avesse questa semplicità da leggere.
Saluti.
Le sorelle.

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Capitolo 2
*** La bambola di porcellana ***


La bambola di porcellana
– Noi crediamo nei mostri –

 





Quella sera dormii un sonno inquieto, pieno di incubi e sensazioni sgradevoli.
Mi venne d’istinto aprire gli occhi quando sentii un fruscio vicino alla mia testa.
Quanto vorrei non averlo mai fatto. Subito pensai che Luna volesse farmi uno scherzo, mi sbagliai.
Una bambola di porcellana a grandezza d’uomo mi osservava con un occhio penzolante ed un sorriso cucito. La testa era leggermente inclinata di lato, i boccoli biondi e sudici che cadevano seguendone il movimento traballante.
Rimasi immobile, il buonsenso che mi diceva di gridare, il corpo che non obbediva.
Mi morsi la lingua quando la bambola portò un dito sporco di terra alla bocca sigillata, intimandomi di non fare rumore. Poi indicò mia sorella, ancora dormiente ed all’oscuro di tutto.
Annuii, paurosa. Gli zigomi alti e rossi della bambola che rilucevano alla luce sinistra della luna.
« Piccola bimba, sai chi sono? » aveva una voce squillante, un po’ androgina.
Scossi la testa, mi morsi di nuovo la lingua per non gridare. All’improvviso mi ricordai delle parole di mia madre: ‘Quando hai paura, stringi il tuo pupazzo preferito. Gli ho detto di proteggerti’ poi mi lasciava un buffetto sul naso e scompariva chiudendo la porta.
« Lo sai cosa farò? » continuò con lo stesso tono. Le labbra non si muovevano, ma la voce fuoriusciva chiara.
Scossi di nuovo la testa, cercando disperatamente il piccolo tasso con il papillon rosso regalatomi per il mio terzo compleanno.
« Prenderò i tuoi bellissimi occhi... » sussurrò lei, teneramente.
Portò una mano color madreperla alla veste vittoriana logora e se la sistemò.
« Li metterò in un barattolo e li osserverò tutto il giorno... » ridacchio staccandosi l’occhio penzolante.
Finalmente afferrai la zampetta del tasso, Fosco l’avevo chiamato. Me lo portai al petto in un repentino movimento e la bambola sembrò stupita.
« Tu... piccola peste. Dieci anni ed ancora dormi con i pupazzi... » mi schernì, cercando di avvicinarsi inutilmente.
Tremai chiudendo gli occhi. La sentivo muoversi, il fruscio delle vesti continuo, il gracchiare di una radio che trasmetteva programmi insensati.
Tutto quel turbinio di emozioni provocato da una risata stonata della bambola.
“Se non lo osservi lui sparisce, i mostri non esistono Tea, non esistono!”
« Certo che esistiamo, Tea, sono qui davanti a te. » ridacchiò ancora sedendosi meccanicamente sul letto di mia sorella.
« Non... non farle male... » sussurrai intimorita, la mia voce tremava e fuoriusciva ad intermittenza a causa dei denti battenti per la paura.
« Tea, non posso farle del male... lei ha un mostro tutto suo... io sono il tuo personale. Una bambola carina per una bimba carina. » rise, dondolando il collo.
Mi sentii in qualche modo sollevata, ma strinsi ancora di più Fosco a me. Intanto la bambola aveva iniziato a cantare una ninna nanna alquanto sinistra, mentre il vento faceva gemere i rami al di fuori della cameretta.
« Tu non esisti. E non sei carina! » gridai cercando di autoconvincermi.
La bambola ringhiò. Sembrava veramente arrabbiata, il suo unico occhio che mi guardava lanciando fiamme. La bocca ancora immobile ma che sembrava aver assunto un ghigno furioso.
« Bene! Ma uscirai di qua, e quando succederà io ti troverò. Io trovo sempre le bambine cattive! » gridò dissolvendosi in ombra.
Aspettai qualche secondo e poi mi fiondai da Luna, cercando di svegliarla scuotendola agitatamente.
« Luna, per favore, svegliati! Avanti! » singhiozzai.
Poco dopo aprì gli occhi chiari, ereditati dalla mamma, e mi guardò stranita.
« Cosa c’è, Tea? » mi chiese con la voce impastata.
Si strofinò un occhietto, ancora assonnata.
« Dobbiamo andarcene di qua, presto! » dissi concitata, infilandomi le calze più pesanti che avevo e i miei stivali di gomma gialli preferiti.
Aprii l’armadio di betulla, prendendo lo zainetto a forma di orsacchiotto di Luna. Glielo lanciai afferrando poi la felpa a quadri di lana.
« Perché ci stiamo vestendo? Papà sarà in camera sua, no? Andiamo a chiamarlo » domandò Luna che aveva iniziato anche lei a mettersi le galosce.
Quando la vidi togliersi la maglia del pigiama la fermai.
« Non abbiamo abbastanza tempo, prendi il cappotto e andiamo! » quasi gridai.
Vidi Luna trattenere le lacrime spaventata.
Presi anche il mio di zaino e dentro ci ficcai Fosco.
« Prendi Shadow, ti aiuterà. » le consigliai prendendo dal letto sfatto il suo serpente di pezza. Ancora non capivo perché avesse voluto chiamarla ombra. Aveva imparato quella parola dalla maestra di inglese in seconda elementare ed era diventata la sua preferita.
« Cosa ce ne facciamo degli zainetti? » chiese infilando il serpente verde nello zaino.
Presi una coperta di plaid e, non so come, riuscii ad infilarcela dentro.
« Ci mettiamo le provviste. » dissi pratica.
Aprii la porta e, guardando a destra e poi a sinistra, uscii dalla cameretta. In quel momento mi sentivo veramente una grande avventuriera, come quelle che erano nei libri di avventura.
Casa nostra non era grandissima, ma era piena di ombre paurose.
Insieme scendemmo le scale ed io mi infilai in cucina. Riempii i nostri zainetti di merendine preconfezionate e due bottigliette d’acqua.
« Papà dov’è? » chiese Luna singhiozzando impaurita.
« Non c’è papà, siamo solo io e te, Luna. Dobbiamo stare sempre insieme. » la presi per le spalle.
« Andiamo dalla mamma. » le dissi.
« Dov’è la mamma? »
« Nel bosco, l’ho sentita che andava al rifugio. » quella sera aveva gridato che sarebbe andata a lavorare.
Nostra mamma era una guardia parchi, il parco dei Ciciu del Villar era esattamente dietro casa nostra.
« E ci dobbiamo andare di notte? Non possiamo aspettare domani? » mi domandò.
Effettivamente non aveva tutti i torti, ma la mamma domani sarebbe già andata via dal rifugio.
« No. Sbrigati. » dissi gelida. Era pieno inverno per questo presi le sciarpe.
Io e mia sorella sentimmo dei passetti veloci e ci girammo spaventate.
« Cosa... cosa... è stato? » chiese Luna stringendosi a me.
Spalancai gli occhi e mi decisi a prendere le chiave ed infilarle nella toppa della porta. Non mi premurai nemmeno di chiuderla dietro, semplicemente presi mia sorella per mano e corsi fino all’entrata del parco.
Era ovviamente chiusa, ma sapevo che c’era una vecchia tana di volpe che avevo allargato anni fa.
« Forza, entra qua. » dissi a mia sorella, che stranamente ubbidì.
Mi infilai subito dopo di lei, sporcandomi tutto il pigiama di flanella.
Il bosco di notte era più spaventoso di quanto mi ricordassi, le torri di terra che producevano ombre inquietanti.
Il rifugio era sulla collina più alta, in modo che gli escursionisti potessero riposarsi una volta raggiunta la cima.
« Cosa facciamo adesso? È scivoloso, se troviamo del ghiaccio? Insomma ha appena nevicato! » Luna si fermò appena prima del ponticciolo che superava un piccolo torrente ghiacciato.
« Con calma cerchiamo di raggiungerla, ho preso la torcia elettrica... » mugugnai cercando l’oggetto nello zaino.
Il rumore di un ramo rotto mi fece immobilizzare.
“La foresta è piena di rumori, non ricordi? Altea, non farti strane idee.”
Un altro ramo, il richiamo di un gufo. Erano passi quelli, lo sapevo. Speravo solamente che fossero i passi di qualche strano animale notturno non in letargo.
« Altea, ho paura... » ammise Luna, guardandomi negli occhi.
« Anche io. » le dissi accendendo la torcia elettrica. Feci luce nella direzione in cui avevo sentito il fruscio e quello che vidi mi fece impallidire.
« Luna, non gridare... » le dissi.
Era ancora girata verso di me, non aveva potuto vedere quello che avevo puntato.
Mia sorella spalancò gli occhi e si girò lentamente verso il fascio di luce.
Un ragazzo ci guardava spaesato, anche lui aveva una torcia in mano. Ad una prima occhiata sembrava molto più grande di noi, forse aveva sedici anni.
Era magro, con uno zaino in spalla ed il pigiama addosso. Sembrava nella nostra stessa situazione.
Guardai mia sorella, ed in una delle nostre mute conversazioni, capimmo che a vedere i mostri non eravamo le uniche.



















 


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Capitolo 3
*** L'uomo Mascherato ***



L’uomo mascherato
– Noi crediamo nei mostri –

 





Non avrei mai voluto trovarmi in quella situazione…
Mia sorella mi aveva svegliata all’ improvviso nel bel mezzo della notte e mi aveva convinta a fuggire da qualcuno. Doveva essere successo qualcosa di brutto, Altea non era una persona che prendeva decisioni affrettate, tantomeno così importanti come quella di scappare di casa.
Avevo pensato a un brutto sogno, all’inizio… ma la paura negli occhi di mia sorella tradivano una cosa ben peggiore, solo che non sapevo cos’era.



Il ragazzo appena apparso dai cespugli ci fissava attentamene senza proferire parola. Era spaventosamente pallido e tremava, ci puntava la torcia addosso e rimaneva immobile.
Dopo parecchi secondi passati semplicemente a fissarci Altea si schiarì la voce e ruppe il silenzio rivolgendosi allo straniero.
« Tu… tu chi sei? »
L’alto ragazzo guardò mia sorella con un’espressione folle e spaventata poi spostò repentinamente gli occhi da una parte all’altra come se cercasse la risposta nelle scure foglie degli alberi che si muovevano al vento. Poco dopo spostò di nuovo lo sguardo su Altea.
« I-o… io non saprei… non saprei proprio, io… »
Lanciai uno sguardo preoccupato a mia sorella che ricambiò con un’occhiata spaventata. Entrambe avevamo capito che il ragazzo non ci sarebbe stato d’aiuto a mettere fine all’incubo in cui eravamo imprigionate.
Speranzosa di ricevere una risposta migliore della prima chiesi al ragazzo come e perché era arrivato qui, e mentre parlavo mi avvicinai lentamente a lui. Quando fui abbastanza vicina potei notare che il pigiama che indossava era sporco e lacero in molti punti, e lo zaino che portava sulle spalle era stato riempito con erbe e pelli di animali, alcune ancora insanguinate.
Lo straniero notò che lo stavo osservando e indietreggiò. Prese a guardarmi con lo stesso sguardo folle senza rispondermi e ad un tratto si girò di scatto a destra, a sinistra e infine si guardò le spalle e parlò.
« Io d-devo andare… sì, devo andare. M-mi sta inseguendo…. io non voglio che mi prenda… ho paura. Tornate a casa. Vi prego… andatevene. »
Detto questo corse via e prima che io e Altea potessimo fermarlo, il ragazzo era già sparito nell’oscurità.
Chiunque o qualunque cosa stesse inseguendo quel ragazzo avrebbe seguito le sue tracce e presto sarebbe arrivato nello stesso punto dove io e Altea eravamo ferme con lo sguardo nella direzione dove lo straniero era fuggito.
Qualcosa di orribile stava succedendo, ormai era chiaro ma c’erano ancora molti punti oscuri.
« Tea? »
« Sì Luna? Cosa c’è? »
Esitai un momento prima di dire a mia sorella che sarebbe stato meglio tornare di corsa a casa e parlare con nostro padre. Altea mi guardò preoccupata poi rispose.
« Sorellina, tu non hai idea di cosa ho visto a casa, nella nostra stanza… fidati abbiamo fatto bene a scappare via. »
« Tu… tu proprio non capisci, vero!? – il mio volto stava iniziando a rigarsi di lacrime – questa foresta non è sicura! Qualunque mostro stesse inseguendo quel tipo sono sicura che non è l’unico. Rimanere qui sarebbe da folli! »
Tea ci pensò un attimo, poi raccolse il borsone da terra e si girò verso la stradina sterrata da cui eravamo arrivate.
« D’accordo… Ce ne torniamo a casa. »
La presi per mano e mi incamminai con lei sul buio sentiero.
Minuti, ore, non so per quanto io e mia sorella camminammo su quella stradina. Più passi facevamo più il sottobosco si faceva fitto e più ci rendevamo conto che quel percorso ci avrebbe portate da qualsiasi parte, ma non a casa.
Una volta arrivate in prossimità di uno spazio erboso capimmo che sarebbe stato inutile proseguire, e decidemmo che la cosa migliore in quel momento era quella di costruirci alla meglio dei giacigli e di dormirci su. La mattina dopo, alla luce del sole, sarebbe sicuramente stato più facile orientarsi.

Cercammo nei dintorni delle foglie secche, ne facemmo due mucchi e usando i borsoni come guanciali e le giacche come coperta vi ci sdraiammo sopra e chiudemmo gli occhi, tentando di ignorare i continui fruscii e rumori sinistri.
Passò parecchio tempo e sentii il respiro di Altea farsi pesante e lento, segno che era riuscita ad addormentarsi.
Avevo paura, molta.
Cercai in qualche maniera di scrollarmi di dosso quella sensazione di insicurezza e mi girai sulla schiena a guardare le stelle che si intravedevano tra le fronde degli alberi… le nuvole erano sparite, e un piccolo barlume di speranza iniziò a fare luce dentro di me. Durò poco.
« Ehi, piccolina? Sei sveglia vero? »
Mi alzai di scatto a sedere e mi guardai intorno per capire chi avesse parlato. All’inizio non vidi nessuno ma spostando lo sguardo verso il giaciglio di mia sorella vidi un uomo illuminato dalla luce opalescente della luna.
Almeno…penso lo fosse.
Era tutto vestito di nero, con dei pantaloni e una giacca elegante, ma sul viso aveva una grande maschera a forma di coniglio che nascondeva l’intera testa. Il muso era esageratamente allungato e gli incisivi ingialliti che sporgevano erano grandi e appuntiti.
La creatura era in piedi e sentivo gli occhi vuoti di quel coniglio gigante puntati su di me. Notai solo pochi secondi dopo che il mostro era spaventosamente vicino al corpo addormentato di Altea.
«A-allontanati da lei… » dissi singhiozzando. Le mie mani sudavano e a stento riuscivo a trattenermi dall’istinto di urlare e scappare lontano da quella creatura.
« Ahahahah, ma che scemina che sei… anche se volessi non potrei mai farle del male, io sono tuo. »
Si avvicinò per accarezzarmi e io mi scansai. Cosa voleva dire?
« M-mio? Che significa? »
« Che solo tu puoi vedermi… che bello! Ora potremo giocare insieme, ti va? »
Non risposi.
L’uomo si avvicinò ancora.
« …O forse preferisci che ti racconti una bella storia? »
« Io… voglio che tu te ne vada! Non ti voglio qui! »
Quando dissi quelle parole la creatura abbassò il capo. L’espressione felice del coniglietto cambiò lentamente e divenne una faccia triste e addolorata.
« Ma io… voglio giocare con te… »
L’espressione e i modi che aveva assunto mi spaventarono. Cercai di cambiare argomento per farlo sentire a proprio agio, perché non decidesse di farmi del male.
« Perché porti quella maschera così grande? » chiesi guardandolo.
Portò le mani sul volto di coniglio e si accarezzò le lunghe orecchie bianche.
« Penso che non ti piacerebbe vedere il mio vero volto… non lo vedrai. Ho fatto in modo di avere questa maschera per sempre, di non poterla mai togliere. Volente o nolente. »
Si abbassò il colletto della giacca mostrandomi il collo, dove erano ben visibili delle cuciture che fissavano i bordi della maschera alla pelle dell’uomo.
Deglutii.
« Bimba, voglio farti vedere una cosa… aspettami qui, sarà divertente! »
Avrei dovuto muovermi, scappare, ma rimasi come pietrificata. La creatura se ne andò saltellando per tornare poco dopo con un piccolo scoiattolo fra le mani.
Guardai incuriosita il piccolo animaletto, sorpresa dal fatto che il mostro volesse mostrarmelo. Da lui mi sarei aspettata qualcosa di spaventoso o raccapricciante, infatti poco dopo tirò fuori dalla tasca della giacca un coltellino svizzero tenendo fermo lo scoiattolo con l’altra mano. Urlai.
« No! Fermo! Cosa vuoi fargli? »
Perché Altea non si svegliava? Avevo gridato!
La maschera era di nuovo sorridente.
« Stai tranquilla piccolina, sarà divertente. »
Alzò il coltello e prima che potessi fare qualunque cosa con un colpo secco colpì la coda del povero scoiattolo, che si staccò.
Mi voltai e iniziai a piangere forte. Mi coprii occhi e orecchie, in modo che i lamenti acuti dello scoiattolino e la voce del mostro risultassero ovattati.
Era orribile,perché lo faceva? Nessuno con un po’ di buon senso farebbe qualcosa del genere, tantomeno davanti a una bimba di nove anni.
A stento riuscivo a sentire la creatura che mi tranquillizzava.
« Bimba perché piangi? Guarda che bello, c’è molto sangue, guarda che bel colore! Scommetto che non l’hai mai visto, guarda è bellissimo… »
« Vattene, mostro! Non voglio vedere, sei solo una persona crudele! Vai via! » singhiozzai.
L’uomo iniziò a scrollarmi per farmi girare, ma io lo scansai. Mi gridava qualcosa ma io non lo ascoltavo.
A un tratto il mostro smise di scuotermi e sentii che aveva smesso di parlare. Lentamente tolsi le braccia da sopra la testa e mi guardai intorno. Il mostro era sparito. La coda dello scoiattolo era ancora lì e l’animaletto sanguinante stava scappando nei cespugli.
Vidi che poco a poco l’ambiente si illuminava e capii che il sole stava sorgendo.
Ancora scioccata e spaventata da quello che era da poco successo strinsi forte fra le braccia Shadow, il mio peluche a forma di serpente e tra le lacrime vidi che anche mia sorella si stava svegliando.



















 


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