Always With Me

di Sarn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Viaggio ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Always With Me

 

 

 

 

 

                                                                Ad Andrew, la mia metà razionale

                                                                A Stephàn, che mi ha dato la voglia di

                                                                     scrivere tutto questo

                                                                Ai miei fratelli, a mio cugino Dario e a

                                                                     Mattea, che ormai ho adottato come                              

                                                                      sorella. Dove sarei senza di voi? 

 

                                                           

                                                              

 

                                                                                                         

 

 

 

Just because I’m losing

Doesn’t mean I’m lost

Doesn’t mean I’ll stop

Just because I’m hurting

Doesn’t mean I’m hurt

Doesn’t mean I didn’t get what I deserved

No better and no worse

I just got lost

Every river that I tried to cross

Every door I even tried was locked

Oh and I’m just waiting ‘til the shine wears off

 

                                                                            Coldplay, Lost

 

 

 

 

 

 

 

 

Prologue

Fin da quando ero piccola, la mia domanda ricorrente è sempre stata “Perché?”. Perché questo e perché quello.

Non ho mai smesso di chiederlo, nonostante mio fratello ripetesse spesso che il chiederlo con quelli che lui definisce “i miei grandi occhioni” spalancati mi facesse sembrare una bambina più di quanto il mio aspetto già non suggerisca.

L’ho sempre chiesto, l’ho chiesto anche stavolta.

La stupidità di fare domande di cui si conosce la risposta.

Il suo sguardo, quasi vuoto ed esasperato da “non capisco perché fai così” era come un artiglio che stringeva il cuore.

Sono una bambina.

Lo sono, perché sapevo anche senza l’occhiata della mia perfetta metà che era colpa mia.

Non colpevolizzarti, non autocommiserarti, sii forte. Le parole di una vita. Ma in fondo, so di essere debole e, come tutti i deboli, di non essere capace di tradurre tante belle parole in atti.

Lui ci era sempre riuscito, una capacità che mi aveva sempre affascinato.

Lui sì, ma io no.

Era per quello che mi ero innamorata di lui?

Non saprei. Valla a capire la psiche umana.

Anche “innamorata”. Che parola grossa.

Il mio sentimento per lui era così contrastante da essere uno squarcio nella mia anima più che la placida, dolce e calda sensazione che tutti attribuirebbero alla parola “amore” e simili.

Una cosa era certa, non avevo mai provato nulla di simile. Né per i miei amici, né per mio fratello. Per nessuno.

“Che cos’è l’amore? Cos’è quello che provi per me?” mi chiedeva spesso, con quel suo sguardo nero che sapeva accenderti il fuoco dentro.

Ed era buffo sentirsi fare certe domande, quando generalmente quella che faceva domande ero io.

Se io sono la donna dei Perché, lui era l’uomo dei Che Cosa.

Due essenze inconciliabili ma a modo loro complementari.

Tanto che la mia risposta alle sue domande era un “boh”, del tutto simile al suo silenzio che seguiva i miei perchè.

Non ho mai creduto alla storia delle mele, che avrebbe inventato Platone. Non credo che noi esseri umani siamo imperfetti e per raggiungere la felicità dobbiamo cercare la fantomatica “anima gemella”. Non ci credo.

L’anima gemella non esiste, perché noi esseri umani siamo imperfetti per natura. L’amore, strano sentimento, degli altri, può farcelo dimenticare. La morte e la separazione lo ricordano di continuo.

In quel momento, in quella mattina che, per destino o per caso, segnava una svolta nella mia vita, la morte l’avevo già vista. Mi aveva sfiorata.

Ma quando era accaduto ero solo una bambina, e il suo passaggio non aveva toccato l’innata purezza infantile che anch’io possedevo. Ma la mia vita era cambiata.

Ora, in questo momento, siamo di nuovo io e lei. La guardo in faccia e posso inventarmi tutte le scuse di questo mondo ma la verità è che ho paura.

Ho perso tutto ed ho paura.

Che squallore l’animo umano.

Siamo capaci delle cose peggiori pur di salvarci. Io certo non sono migliore di nessuno.

Ma quel viso d’angelo caduto, che per molti a significato la morte, per me è stato salvezza. Non ho paura perché vorrei salvarmi, ne ho perché so di non poterlo più fare.

Le lacrime mi offuscano gli occhi mentre guardo in faccia quell’oscura signora.

Chi descrisse l’aspetto della morte certamente non l’aveva vista in faccia. Non con attenzione almeno. Perché, nonostante questo lucido velo che mi stravolge la vista, anche un cieco vedrebbe la sua bellezza ultraterrena.

I secondi passano lenti, mentre la guardo negli occhi. Ho perfino smesso di piangere.

Mi sorride, ed è la cosa più bella che abbia mai visto.

Anche l’ultima che vedrò, con grande probabilità, ma è stata una mia scelta. Il mio vecchio professore di filosofia aveva ragione. Sono state le mie scelte a portarmi qui, ed ora non ho nessuno da incolpare.

Eppure, ancora una volta, sono tanti i perché che vorrei chiedere, e il sorriso indulgente che mi sta di fronte sembra incoraggiarmi, ma le parole non oltrepassano le mie labbra.

Ancora ricordi di quel giorno.

Ancora domande.

Ancora perché.

Me lo ricordo benissimo.

Era estate, e il sentore del cambiamento temuto e desiderato insieme, pervadeva l’aria assieme all’odore di vacanze.

Ma i pensieri che affollavano la mia mente erano molti più e di diversa natura rispetto a quelli di questo momento.

E come sempre, nonostante la mia età ormai lontana dall’infanzia e un diploma statale che documentasse la mia maturità, continuavo a chiedere incessantemente perché.

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Capitolo 2
*** Viaggio ***


Primo Capitolo - Viaggio

Il treno era ormai in movimento da un bel po', e quel viaggio sembrava già interminabile. La testa appoggiata al vetro, una ragazza guardava il paesaggio che scorreva veloce. Pianure e campi coltivati scorrevano sotto i suoi occhi, le persone chine sul loro lavoro erano solo ombre fuggevoli nell'immensità della natura che li circondava. Perchè degli esseri umani dovevano decidere di abitare in un posto del genere? Un posto così vicino al confine... doveva essere pazzia, o disperazione, o magari entrambi. Syphil ebbe un moto di compassione per quella povera gente, lì sotto la pioggia a spaccarsi la schiena, come ogni giorno. Del resto, in quel luogo maledetto si diceva piovesse ogni dannato giorno. Represse la compassione scuotendo i corti capelli castani, che, a causa della condensa del vetro, cominciavano ad arricciarsi sulle punte. Non era utile al suo lavoro, non era utile a niente. Doveva reprimere la debolezza, dopotutto questa gente sarebbe presto stata libera, e lei avrebbe avuto quello che voleva. Il solo pensiero di quello che stava andando a fare servì a riscuoterla dal freddo che penetrava dal finestrino.

Sarebbe stato un massacro, e sarebbe stato ad opera sua. Non desiderava altro che vedere enormi pozze di sangue sul pavimento, con la consapevolezza che loro stavano morendo, morendo lentamente e dolorosamente, senza nessuno che potesse alleviare la loro pensa. Anzi, nessuno che lo volesse. Non avrebbe provato compassione e non avrebbe esitato, lei sarebbe stata la giustizia, lenta e implacabile, avrebbe portato la pace.

Pace, una parola a lungo dimenticata. Un parola che parla di felicità, di prati assolati e del caldo affetto di una famiglia. Avrebbe avuto quello che voleva, lui gliel'aveva promesso. Si appisolò al pensiero di un mondo libero e tranquillo, di una pace portata col sangue, con la morte, con la distruzione. Allora sì che sarebbe stata felice. Che strana parola, “felicità”. Una parola che dà il senso alla vita di ciascuno, una parola che fa sopportare qualsiasi cosa, che fa lottare, che fa morire. Ma in fin dei conti, solo una parola.

Fino ad oggi.

Si svegliò di soprassalto. Un bambino, alto come una pulce e sporco all'inverosimile, tanto da non riuscire a distinguere di che colore fossero i suoi capelli scarmigliati, le stava toccando il ginocchio con la mano lurida.

Syphil lo guardò, e in tutta risposta il moccioso esibì un larghissimo sorriso sdentato, indicando con un dito magrolino la spada sottile posata accanto alla ragazza, sul sedile.

Lei lo guardò, non riuscendo a reprimere una smorfia davvero simile ad un sorriso. “Eh, mi dispiace. Quella non puoi averla. Mi serve per fare una cosa.” gli spiegò con tranquillità, posando una mano sull'elsa.

Fu un attimo, e il bambino era già scomparso tra le braccia della madre che si era precipitata lì come un fulmine, accompagnata dal marito che aveva un fare estremamente minaccioso e degli occhi estremamente terrorizzati, spalancati e lucidi come quelli di un animale braccato, entrambi più sporchi e con vestiti più logori di quelli del figlio.

Syphil si accorse che la madre tremava mentre stringeva il bambino, che ancora non capiva cosa stesse succedendo. Sospirò, e lentamente tolse la mano dall'elsa, mostrando i palmi ai due genitori terrorizzati, che ebbero bisogno di qualche secondo prima di riuscire a muoversi, girare sui tacchi e andarsene il più velocemente possibile.

Il bambino, da sopra la spalla della madre, le fece ciao ciao con la manina, sempre sorridendo. La ragazza rispose al saluto, per poi voltarsi intorno e rendersi conto che la carrozza del treno, prima affollatissima, era deserta. Sprofondò nel sedile stringendo la spada al petto.

Era l'unica cosa che le fosse rimasta a parte sé stessa, sebbene in un certo senso avesse perso anche quest'ultima.

Capiranno, alla fine capiranno. Potrò tornare ad essere normale, dopo. Non sono un mostro come loro. Non sono un mostro. Sono umana, un essere umano.

Ma che cos'è che distingue davvero un essere umano? La capacità di amare e di soffrire, si diceva Syphil, ma non ne era così sicura.

Li avrebbe uccisi, questo era certo.

Non importava quanto fosse più simile ad un mostro che ad un essere umano. Quanto fosse più simile a loro.

Avrebbe fatto quello che doveva e voleva.

Ma sarebbe riuscita poi a tornare indietro?

Non lo sapeva, ma la questione era un'altra.

Le importava davvero di riuscirci?


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