Always
With Me
Ad Andrew, la mia metà razionale
A Stephàn,
che mi ha dato la voglia di
scrivere tutto questo
Ai miei fratelli, a mio cugino Dario e a
Mattea, che
ormai ho adottato come
sorella.
Dove sarei senza di voi?
Just because I’m losing
Doesn’t mean I’m lost
Doesn’t mean I’ll stop
Just because I’m hurting
Doesn’t mean I’m hurt
Doesn’t mean I didn’t get
what I deserved
No better and no worse
I just got lost
Every river that I tried to cross
Every door I even tried was locked
Oh and I’m just waiting
‘til the shine wears off
Coldplay, Lost
Prologue
Fin da
quando ero piccola, la mia domanda ricorrente è sempre stata
“Perché?”. Perché questo e
perché quello.
Non ho
mai smesso di chiederlo, nonostante mio fratello ripetesse spesso che
il chiederlo con quelli che lui definisce “i miei grandi occhioni” spalancati
mi facesse sembrare una bambina più di quanto il mio aspetto
già non suggerisca.
L’ho
sempre chiesto, l’ho chiesto anche stavolta.
La
stupidità di fare domande di cui si conosce la risposta.
Il suo
sguardo, quasi vuoto ed esasperato da “non capisco
perché fai così” era come un artiglio
che stringeva il cuore.
Sono
una bambina.
Lo
sono, perché sapevo anche senza l’occhiata della
mia perfetta metà che era colpa mia.
Non
colpevolizzarti, non autocommiserarti,
sii forte. Le parole di una vita. Ma in fondo, so di essere debole e,
come tutti i deboli, di non essere capace di tradurre tante belle
parole in atti.
Lui ci
era sempre riuscito, una capacità che mi aveva sempre
affascinato.
Lui
sì, ma io no.
Era
per quello che mi ero innamorata di lui?
Non
saprei. Valla a capire la psiche umana.
Anche
“innamorata”. Che parola grossa.
Il mio
sentimento per lui era così contrastante da essere uno
squarcio nella mia anima più che la placida, dolce e calda
sensazione che tutti attribuirebbero alla parola
“amore” e simili.
Una
cosa era certa, non avevo mai provato nulla di simile. Né
per i miei amici, né per mio fratello. Per nessuno.
“Che
cos’è l’amore? Cos’è quello che provi
per me?” mi chiedeva spesso, con quel suo sguardo nero che
sapeva accenderti il fuoco dentro.
Ed era
buffo sentirsi fare certe domande, quando generalmente quella che
faceva domande ero io.
Se io
sono la donna dei Perché, lui era
l’uomo dei Che Cosa.
Due
essenze inconciliabili ma a modo loro
complementari.
Tanto
che la mia risposta alle sue domande era un “boh”,
del tutto simile al suo silenzio che seguiva i miei perchè.
Non ho
mai creduto alla storia delle mele, che avrebbe inventato Platone. Non
credo che noi esseri umani siamo imperfetti e per raggiungere la
felicità dobbiamo cercare la fantomatica “anima
gemella”. Non ci credo.
L’anima
gemella non esiste, perché noi esseri umani siamo imperfetti
per natura. L’amore, strano sentimento, degli altri,
può farcelo dimenticare. La morte e la separazione lo
ricordano di continuo.
In
quel momento, in quella mattina che, per destino o per caso, segnava
una svolta nella mia vita, la morte l’avevo già
vista. Mi aveva sfiorata.
Ma
quando era accaduto ero solo una bambina, e il suo passaggio non aveva
toccato l’innata purezza infantile che anch’io
possedevo. Ma la mia vita era cambiata.
Ora,
in questo momento, siamo di nuovo io e lei. La guardo in faccia e posso
inventarmi tutte le scuse di questo mondo ma la verità
è che ho paura.
Ho
perso tutto ed ho paura.
Che
squallore l’animo umano.
Siamo
capaci delle cose peggiori pur di salvarci. Io certo non sono migliore
di nessuno.
Ma
quel viso d’angelo caduto, che per molti a significato la
morte, per me è stato salvezza. Non ho paura
perché vorrei salvarmi, ne ho perché so di non
poterlo più fare.
Le
lacrime mi offuscano gli occhi mentre guardo in faccia
quell’oscura signora.
Chi
descrisse l’aspetto della morte certamente non
l’aveva vista in faccia. Non con attenzione almeno.
Perché, nonostante questo lucido velo che mi stravolge la
vista, anche un cieco vedrebbe la sua bellezza ultraterrena.
I
secondi passano lenti, mentre la guardo negli occhi. Ho perfino smesso
di piangere.
Mi
sorride, ed è la cosa più bella che abbia mai
visto.
Anche
l’ultima che vedrò, con grande
probabilità, ma è stata una mia scelta. Il mio
vecchio professore di filosofia aveva ragione. Sono state le mie scelte
a portarmi qui, ed ora non ho nessuno da incolpare.
Eppure,
ancora una volta, sono tanti i perché che vorrei chiedere, e
il sorriso indulgente che mi sta di fronte sembra incoraggiarmi, ma le
parole non oltrepassano le mie labbra.
Ancora
ricordi di quel giorno.
Ancora
domande.
Ancora
perché.
Me lo
ricordo benissimo.
Era
estate, e il sentore del cambiamento temuto e desiderato insieme,
pervadeva l’aria assieme all’odore di vacanze.
Ma i
pensieri che affollavano la mia mente erano molti più e di
diversa natura rispetto a quelli di questo momento.
E come
sempre, nonostante la mia età ormai lontana
dall’infanzia e un diploma
statale che documentasse la mia maturità,
continuavo a chiedere incessantemente perché.