racconti di noi due

di parolecomemarchi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** racconti di noi due ***
Capitolo 2: *** I was nacked and she was beautiful ***
Capitolo 3: *** Thought I wanted to kiss another when in my thoughts existed only her ***



Capitolo 1
*** racconti di noi due ***


Raccolta di One Shot.

Racconti di noi due.

 
 



Perfect stranger

-Papà, papà!- sento una vocina chiamarmi a gran voce dalle scale, i suoi piccoli ed impacciati passi che si confondo tra lo scricchiolare del legno e il suo respiro affannato dalla corsa.
-Dimmi figliolo- lo accolgo tra le mie braccia e con un salto lui è sopra le mie ginocchia, le sue piccole mani intorno alla mia nuca e i suoi occhioni verdi che fissano i miei.
-Non qui, non qui!- esclama incitandomi a far su e giù con le ginocchia, lui ride e mi si aggrappa con ancor più trasporto, si arrampica rude sul mio petto e i suoi corti capelli castani mi accarezzano il viso provocandomi solletico, le punte spettinate di chi si è appena alzato da un riposino.
-E dove allora?- gli chiedo sorridendo, ammirando il mio campione che si alza in un batter d’occhio e mi tira per una mano verso la poltrona al fianco del camino acceso, le ultime fiamme si innalzano ad annerire i mattoni e a bruciare definitivamente il legno, lasciando solo grigia e bianca cenere.
-Là papà, sulla poltrona di mamma!- e così dicendo mi trascina con affanno fino alla famosa e tanto da lui amata poltrona in pelle rossa della sua mamma, nonché mia moglie.
-E perché proprio qui piccolo?- ora sono davvero curioso di scoprire il motivo di tanta eccitazione, tanto da avermi praticamente sradicato dal mio amato divano bianco.
Con uno spintone allo stomaco, assai poco delicato aggiungerei, mi fa sedere e con un altro dei suoi istantanei salti mi è sopra di nuovo, ora la sua testa appoggiata al mio petto, all'altezza del cuore che batte regolare e la schiena al mio addome.
Si accoccola per bene e solo dopo qualche minuto di silenzio, che passa a racimolare le idee e le parole da dirmi, solo quando il fuoco lancia gli ultimi sbuffi di fumo, la sua piccola e rosea bocca si apre pronunciando parole che mi colgono alla sprovvista.
Lo guardo attentamente, l’ombra di un sorriso commosso sulle mie labbra, lui ridacchia quando gli faccio il solletico sui fianchi, una strizzata e poi torno serio.
-Perché questa richiesta?- e sono del tutto convinto di poterla soddisfare, ma non succede tutti i giorni che tuo figlio di sette anni ti chieda di raccontare l’incontro tra i suoi genitori, è qualcosa di particolare e da una parte strano.
-Perché beh, volevo sapere come.. in fondo voglio scoprire se..- balbetta insicuro e tutta la sua precedente euforia sembra esser stata risucchiata come da un aspirapolvere prosciuga - sicurezza, e mi sento tranquillo perché ricomincia ad essere il bambino timido che conosco meglio di me stesso.
-Avanti, parla- lo incito con un sorriso che lui sbircia con la coda dell’occhio, si tormenta le piccole mani e poi spara la motivazione tutta d’un fiato, come se a tutto ciò avesse pensato migliaia e migliaia di volte, anche se io non posso sapere se ciò è realmente accaduto.
-Voglio sapere come nasce l’amore- e pronunciando la frase in un sussurro si fa tutto rosso, io rido di cuore e sento che in lui l’imbarazzo sale alle stelle, ma non sono così crudele da farlo voltare verso di me per ammirare il suo volto versione pomodoro.
Mi sembra strano però che non l’abbia chiesto a sua madre e così glielo chiedo, in parole gentili e sempre accompagnate da un sorriso sincero e la sua risposta mi fa ridere ancor più.
-Ma come papà! Lo dovresti sapere che le femmine ci mettono troppo zucchero quando si tratta di sentimenti!- e allora mi preoccupo che stia documentandosi su ciò.
-Ok figliolo, mettiti ben seduto che la storia è un po’ lunga, ma cercherò di soffermarmi solo sui punti salienti.- mi preparo anche io, scavo con le dita sui braccioli morbidi della poltrona e muovo i fianchi per posizionarmi in modo comodo, poi chiudo gli occhi e mi appoggio completamente alla seduta, accompagnata da Trav.
-Non so se hai fatto domande del genere anche alla mamma, ma io racconterò la mia versione dall'inizio, così come le cose me le ricordo. E comunque, ciò che dico non deve influenzarti in alcun modo perché, mamma te lo ripete molte volte, da giovane ero un po’.. pazzo. Bene.. sei pronto?- premetto il mio racconto con poche parole, e la mia domanda viene accolta e confermata con un breve ma veloce annuire con il capo da parte di Travis.
Chiudo gli occhi e mi lascio prendere dai ricordi.

 
-Ehi bro! Molla quelle valige e andiamo a fare un giro per il campo, Dean ci vuole in perlustrazione- il mio migliore amico Chaz entra con trasporto nella stanza dove ora alloggiamo e mi trascina fuori a suon di spintoni, io sbuffo scocciato.
-Senti bello, io non ho voglia di ‘perlustrare’- sottolineo la parola con le virgolette - a quest’ora del mattino, sono sfinito e voglio solo dormire- rientro in stanza con passo veloce appena la sua presa su di me si fa meno salda, ma non molla.
-Oh no! Non ti lascerò rovinare la tua e la nostra reputazione al Campus solo perché non hai voglia o solo perché, e non provare a negarlo, ancora ti senti una checca da quando Jessica ti ha lasciato- mi rimprovera duro ripigliandomi per la manica della maglietta larga e bianca che indosso e mi trascina di nuovo fuori, noncurante dei miei infiniti lamenti.
Vorrei contraddirlo su quanto ha affermato, ma lui è mio fratello e mi conosce meglio di chiunque altro, probabilmente meglio di me stesso.
-Quindi? Qual è il problema bro? La amavo e lei mi ha solo usato, ho il diritto di sentirmi una merda o no?- mentre percorriamo il corridoio e infine la scalinata per uscire dai dormitori lo fermo e glielo dico, santo cielo! Da quando Justin Bieber, il figo dell’intero campus, non può soffrire per amore? Io non vedo nulla di scritto, né cartelli né leggi che me lo impediscono e se fosse una regola la romperei sicuramente, è ciò che so fare meglio.
-Ok bro, ma devi riprenderti cazzo! Sono passati 4 mesi da tutto quel marasma e tu ancora sei infossato mentre lei se ne va scopando a destra e a manca come se non fosse successo niente- mi rimprovera lui costringendomi ad uscire nel cortile, esattamente davanti ai dormitori femminili, la perlustrazione me la dovrò subire comunque.
-Dovresti fare come lei- mi dice tutto ad un tratto, mentre già abbiamo avvistato Ryan e Dean, seduti su una panchina distante si e no 6 metri da noi.
-Cosa intendi dire? Porgere il culo a chiunque?- ridacchio consapevole che la battuta è del tutto inopportuna, ma riesco a ricavarmi una risatina e una vigorosa pacca su una spalla che ricambio subito dopo.
-No cretino, intendo dire che dovresti trovare un ripiego- e mentre dice ciò la sua voce si fa più bassa, poi capisco che è per la vicinanza agli altri, loro odiano vedermi così debole e non sopportano questi discorsi sulle donne che quindi possiamo solo fare io e Chaz, lui è il migliore.
-Ripiego?- proununcio quella parola e  non mi piace affatto, ripiegare significa usare a mia volta i sentimenti di un’altra ragazza, e non voglio farlo.
Potrò anche avere la fama del puttaniere qui, ma io tengo fede a mamma "una donna va rispettata Justin, anche se non la ami e se non la sopporti, anche se lei fa di tutto per farsi odiare, tu devi comunque rispettarla’" e avrei ascoltato le sue parole fino a quando non sarei schiattato.
La mamma è pur sempre la mamma, o no?
-Si, insomma- riprende Chaz ora più sbrigativo –Qualcuna con cui dimenticare. Magari un rapporto senza legami, tipo scopa-amici solo sesso. Intendi?- mi sorride divertito già sapendo che avrei comunque ceduto.
-Lo sai che mamma..- e lui al solo udire le mie parole mi si allontana e sbuffa sonoramente, poi mi si ri-affianca e mi butta quasi a terra con uno spintone.
-Quanto puoi essere idiota? La mamma, la mamma, la mamma… la vedi qui in giro?- fa girandosi attorno con lo sguardo portando una mano agli occhi, stile esploratore –Beh io no- e alla fine mi concede un’altra pacca sulla spalla e io comincio a stufarmi di tutto quel toccarmi, diamine non per qualcosa ma fa male!
-Non gioco con i sentimenti delle ragazze Chaz, e dovresti saperlo ormai. Mamma riempiva di lezioni anche te- e ora lo spintono io, i ragazzi intanto si alzano dalle panchine e ci fanno segno di seguirli, così non continuiamo la conversazione.
-Ok ok, ma tutte le ragazze che ti sei scopato l’anno scorso?- e così dicendo pensa di avermi incastrato, ma io ho sempre fatto una differenziazione tra le due categorie: donne – puttane.

 

-Papà cosa significa ‘scopare’?- e quell'improvvisa domanda di Trav mi fa andare nel pallone più totale, ma quella mia anima giovanile da cattivo ragazzo non potevo di certo soffocarla, visto che era quasi il centro di tutto.
-Ehm, significa… beh si, significa passare la scopa insieme!- e con questa mia uscita davvero poco elegante e a dir poco idiota mi rimetto nella carreggiata dei ricordi che ora diventano più chiari che mai.
-Però ora lasciami parlare senza interruzioni ok?- e spero che davvero mi ascolti perché non saprei proprio come spiegare molti altri termini che compariranno tra le mie parole. –Ok papà- e sento che ora posso stare almeno un po’ più tranquillo.


-Primo: ho sempre scopato con le ragazze che si offrivano a me, quindi era la loro volontà e secondo: quello è solo piacere carnale, e la maggior parte delle volte non conosco neanche il loro nome. Semplicemente si alzano a rapporto finito e a mai più. Intendi?- e così l’avevo definitivamente messo a tacere.
Camminammo per tutto il campus, ed era enorme, frequentavamo il terzo anno del Los Angeles City College, a un migliaio e più chilometri da casa, ma ormai era abitudine fatta per noi e quasi ne gioivo, insomma vivere da solo in una casa mia, nella soleggiata Los Angeles era un sogno e se con me c’erano alcool, ragazze e i miei migliori amici, allora era direttamente il paradiso.
-Beh ragazzi, qui c’è davvero molta merce- disse Dean che capeggiava il gruppo, strofinandosi le mani e ammiccando a destra e a manca a diverse ragazze carine.
Io annuii sovrappensiero, erano tutte carine certo, a parte qualcuna, ma nessuna di loro era davvero bella o affascinante, quel primo anno mi aveva proprio deluso, avevo sperato di poter ripiegare con una ragazza da togliere il fiato, magari da rivedere più volte invece della solita ed unica scopata da sbronzi, quando probabilmente sei talmente ubriaco da non distinguere la destra dalla sinistra.
-Bene, ci vediamo a all'inizio delle lezioni in casa, comunque non credo che quest’anno avremo corsi comuni- e mentre le parole uscivano dalla bocca di Dean io ero ancora nel mio irraggiungibile mondo, mentre con sguardo vacuo osservavo il nulla in direzione dell’edificio scolastico, dove ci sono le classi per i diversi corsi.
Sentì quasi indistintamente le pacche e i saluti dei miei amici e rimasi fermo e solo nel bel mezzo del cortile, accanto ad un tavolo da pic-nic.
Mi riscossi solo dopo pochi minuti e sostituii la mia espressione da coglione perso nel mondo dei sogni a quella tipica di Justin Bieber, ragazzo più popolare del L.A.C.C. 
Non tornai in stanza come gli altri, ed entrai nella struttura per i corsi intento a partecipare a quel primo ed inutile giorno di college, erano molti gli studenti che non partecipavano alle prime lezioni, perché è come in tutte le scuole, non si fa altro che presentazioni ai nuovi insegnanti e chiacchierate sugli argomenti con quelli conosciuti.
Entrai nella mia aula, la n°14, per seguire la lezione di francese avanzato, la professoressa Turner ci aspettava seduta alla cattedra, gli occhialoni spessi e grandi quasi quanto il resto della faccia ancora insostituiti, quelli che le avevano fatto guadagnare il soprannome di ‘Gufo’ i suoi occhi a palla ti seguivano ovunque.
Entrai in ritardo, come mio solito, la reputazione andava mantenuta fin dal primo giorno e chi li avrebbe subiti gli altri con le loro prediche sul rispetto e bla bla bla? Io di certo no.
-Come sempre Bieber in ritardo, ha intenzione di superare il record dello scorso anno?- chiese lei evidentemente scocciata e sarcastica, ma io con il mio miglior sorrisetto da affronto mi avvicinai alla cattedra –Dovrebbe saperlo prof, sono uno di parola- e così mi andai a sedere in un posto libero in ultima fila tra le risate di chi sapeva.
Mi ero riferito ad uno dei primi giorni di college, quando le avevo promesso di ritardare ogni anno sempre di più in cambio di buoni risultati e beh, ci ero riuscito. 
68 ritardi e la media dell’otto nella sua materia e non solo, lei non sapeva di essersi messa contro un canadese, il francese lo parlavo molto bene anche se molte volte incespicavo su alcune pronunce, ma insomma non sbagliare nulla è umanamente impossibile, a meno che tu non sia Kelly Grace.
Secchiona delle secchione, capeggiava il suo gruppo da ben due anni e si era guadagnata l'odio di tutte le cheerleader in una sola settimana, se nella gerarchia scolastica lei non ricoprisse l'ultimo scalino allora mi potrei persino permettere di ammirarla, perchè neanche i secchioni nel L.A.C.C. sono i classici studiosi tutti libri e niente amici, ad esempio Kelly degli amici ce li aveva e non era vittima di bullismo visto che sapeva farsi rispettare.
Era tutto migliore in quel college, non per altro era il migliore di tutta Los Angeles e io ero entrato con solo il mio cervello e un aiutino dai muscoli, una borsa di studio per il capitano della squadra di basket ci stava.
-Veda di non farsi cacciare anche questo primo giorno- e dopo questo avvertimento dal Gufo mi ero racchiuso nel mio silenzio aspettando che tutto finisse.
Non sapevo neanche io perchè non mi ero inabissato nel mio letto come ogni primo giorno da tre anni ormai, forse perchè preferivo un noioso silenzio accademico piuttosto che un chiassoso parlare a vanvera di quelli che definivo i miei amici, ma tranne Chaz li usavo un po' come con le ragazze, per scalare la vetta della popolarità.
Il padre di Dean era vicepreside di quel posto e se non fosse per questo sarei stato sbattuto fuori il secondo giorno del primo anno, ma quella bravata geniale ci era comunque costata una settimana di lavori forzati per la cuoca della mensa, ma ne era valsa la pena per quel magnifico scherzo.
Nascondere 100 grilli saltellanti e iperattivi nella borsa firmata di Skylar Keys non era stato affatto facile, ma il suo salto con urlo era stato epico, registrato da più di 200 cellulari e caricato su quasi tutti i social, uno scherzo epico si, ma piuttosto crudele e lo devo riconoscere.
A fine corsi, dopo ben due ore di letteratura inglese che per quel giorno equivaleva a chiacchiere su qualche poeta ormai morto e argomenti di cui non mi importava un accidente, potei godermi il silenzio del cortile vuoto, per essere settembre faceva fin troppo freddo, ma questo non mi impediva di pranzare da solo e all'aperto, non il massimo della popolarità, ma ad inizio anno potevo anche permettermelo, sopratutto se Dean e Ryan non sarebbero venuti a saperlo.
Fissando con sguardo annoiato la mensa affollata, soprattutto matricole, mangiavo lentamente e a grandi morsi un panino comprato nel bar al piano sottostante il mio, dove frequentavo i corsi avanzati.
Perso nei pensieri e nelle fantasticherie in cui ero solito immedesimarsi non mi accorsi dei passi leggeri che smuovevano l'erba e da una parte ero scusato visto che il vento era abbastanza forte da scuotere le chiome degli alberi che accerchiavano lo spazio verde, e solo quando si sedette a terra la vidi.
A dieci passi da me ma in linea con il mio corpo, era seduta una ragazza a gambe incrociate che inforchettava pezzi di frutta fresca con una forchetta di plastica per poi portarsela alla bocca, masticando lentamente mentre come me, poco prima, fissava la mensa piena e rumorosa.
Da quel momento in poi mi assicurai di non farmi notare anche se aveva dovuto vedermi in precedenza, lo spazio così grande e io solo, era impossibile non notarmi in quella distesa verde, ma se un'altra ragazza sarebbe venuta da me chiedendomi di condividere il pranzo, lei non l'aveva fatto e mi aveva ignorato come se non sapesse di me e della mia fama, ma questo non faceva che provocarmi piacere e stimolare il mio interesse.
Mi voltai verso di lei con il busto, i miei occhi scuri che scrutavano la sua minuta figura che sostava a così poco da me, ma che sembrava infinitamente lontana.
Come un'angelo, era bella come un angelo e sentivo che non poteva appartenere a quell'atmosfera insulsamente terrestre, lei era troppo per esistere in un nulla come quello.
Continuai a fissare il suo corpo snello ed esile nel mentre finivo il mio pranzo, da lontano percepivo il suo respiro calmo e regolare e il ritmo con cui infilava in bocca i pezzi di frutta, le sue labbra rosee che si schiudevano sotto il dolce sapore del suo cibo e il freddo vento che le faceva rabbrividire la pelle e le scompigliava i capelli scuri, e a me sembrava surreale.
Mi sentì la gola particolarmente secca e ruvida, quasi bruciava e non capì cosa mi fosse accaduto, tutto ciò a cui riuscivo a pensare era a lei e ad ogni suo movimento, come se fossi ipnotizzato dal danzare dolce e fluente delle sue membra, lei era tutto ciò che le altre ragazze scorte nella perlustrazione non erano.
Era affascinante, interessante e ipnotizzante, sentivo la voglia di parlarle come un antico richiamo dentro di me, la mia bocca che premeva per far uscire suoni a lei rivolti, e niente mi aveva mai scosso come lei prima, tutte le avventure durate una sola notte sembrarono eclissarsi e mi sentì come un bambino alle prime armi con i sentimenti.
Esitavo inspiegabilmente, dovevo parlarle? e cosa avrei potuto dirle? Avrei voluto tanto baciarla, ma sarebbe stato troppo, eravamo solo due estranei, ma io volevo le sue labbra più di qualunque altra cosa in quel momento, sentivo che avrebbero potuto risolvere ogni mio problema.
Mi complessai per interi minuti, continuando ad osservarla rapito dalla naturalezza e scioltezza di ogni suo gesto, il movimento dolce ed accurato delle sue mani che chiudevano il contenitore del pranzo e che lo rimettevano nella borsa marrone che le pendeva su un fianco snello.
Alla fine non feci niente e la guardai mentre si alzava e se ne andava, muoveva passi sicuri nell'erba mentre il verde le risucchiava le caviglie e le accarezzava i morbidi jeans che le fasciavano le gambe toniche, e come un vero maschio il mio sguardo fu catturato da ogni sua rotondità e allora compresi, quando il mio stomaco prese a sfrigolare guardandola e pensando a lei, che ero stato colpito come da un fulmine a ciel sereno che portava il suo nome.




-Ti è piaciuta?- chiesi stranamente agitato a Trav, lui sbatteva le palpebre continuamente, come a voler scacciare il sonno che lo chiamava inesorabilmente, chissà se ora mi reputava una femminuccia per il modo in cui pensavo a sua madre.
Lui annuii distrattamente e sorrise, cercando di nascondersi al mio sguardo mentre si stropicciava un occhietto, risi di cuore e lo accolsi ancor più tra le mie braccia -Non ti nascondi alla mia infallibile magia 'cerca-sonno'! E' ora di andare a dormire!- e così dicendo lo presi in braccio, anche se con fatica dato che non era più così leggero come un tempo, e cominciai a salire le scale accompagnato dai suoi lamenti.
-Proprio una bella storia, ma le parolacce non si dicono!- mi rimproverò scendendo dalle mie braccia, gli bastò dimenare un po' di più i piedi e sentì di non potercela fare più.
-Ma facevano parte della storia!- scherzai con lui, ma ora sembrava che volesse prendere il mio posto di padre -Lo dirò a mamma- mi sorrise furbo facendo per scappare di sotto, lo bloccai per le gambe appena in tempo, sorrisi colpito dalla sua furbizia, voleva scartarmi di lato e passare con una finta.
-No che non lo farai- gli dissi prendendolo a testa in giù e portandolo nella sua stanzetta blu disordinata che più non si può, ma aveva ripreso da sua madre per questo e mi fece quasi piacere ritrovare in lui un po' di quella donna che amavo.
-Oh si, a meno che..- e con un sorrisetto in cui mi rividi chiaramente, quello di affronto che sapevo gli avrebbe portato tanti guai quanti ne aveva portati a me, mi si piazzò davanti in tutta la sua piccola statura.
Mi fece sorridere di tenerezza, ma cercai di mantenermi serio incrociando le braccia al petto e imitando la sua sua posizione autoritaria.
-Ehm?- lo apostrofai chiaramente in attesa di sentire 'vediamo fino a dove si spinge il piccoletto' mi venne da pensare.
-A meno che tu non mi canti una canzone!!!- e corse nella nostra stanza a prendere la chitarra, io lo seguì già scuotendo la testa, non che non volessi cantare per lui, ma era tardi e anche io sentivo il peso della stanchezza.
-No piccolo, è tardi- dissi prendendogli di mano lo strumento e poggiandolo sul suo lettino, e come se fosse stato programmato la porta di casa si chiuse con uno schiocco e la voce di mia moglie si ripercosse attraverso le mura di casa, Trav mi guardò furbo e corse di sotto seguito da me che lo acchiappai nel momento in cui fece per urlare a mamma tutto ciò che avevo detto, odiava quando dicevo parolacce in presenza di nostro figlio.
-Lascialo parlare Justin!- mi riproverò ridendo e subito dopo baciandomi sulle labbra, schioccò un bacio anche a Travis e io lo lasciai andare, ma prima che potesse parlare lo precedetti, sussurrandogli ad un orecchio -Ok, ti canterò la canzone- con tono sconfitto.
-Cosa volevi dirmi?- chiese lei posando la borsa sul tavolo della cucina e avvicinandosi di nuovo a noi, mentre uno sbadiglio lasciava le sue morbide labbra. 
-Nulla mamma, solo che papà è stato un fesso a non parlarti quel primo giorno al college- e prima che potessi ri-acciuffarlo corse via nella sua stanza, io sorrisi mentre Abby mi guardò confusa.
-Cosa hai combinato?- mi chiese mentre la racchiusi in un caldo abbraccio, le nostre fronti in contatto e i brividi ancora a percuotere il mio corpo per intero -Io? proprio niente.- e le sorrisi ingenuo come le piaceva, come facevo sempre quando io e Trav ne combinavamo una delle nostre.
-Spero di non doverti punire dopo aver saputo ciò che avete combinato tu e il mini te lì sopra.- sussurrò suadente al mio orecchio, rabbrividì immediatamente e me lo fece venire duro in un istante, maledetta la sua voce eccitante e maledetta la mia debolezza verso lei.
-Ti vedo sai?- alzò la voce per farsi sentire da Trav che ci spiava dalla ringhiera delle scale, io sorrisi.
-Credo che ti toccherà farlo, amore- e la baciai come non avevo avuto il coraggio di fare quel primo giorno.

 
*Jazzy99 space*
Tento qualcosa che mai ho fatto, una raccolta di OS che gira tutta intorno al filo conduttore di un padre che racconta il primo amore a suo figlio, in tal caso Justin a Travis e per quest'idea mi sono ispirata a tutte le volte che mia nonna mi parla di nonno che mi guarda tutti i giorni da lassù. (manchi nonno!)
Quando ne parla le luccicano gli occhi e io volevo prendere quest'emozione grandissima e cercare di riportarla almeno in piccola parte qui.
Spero che il mio tentativo sia riuscito, recensite?
-Sara


 
 
 

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Capitolo 2
*** I was nacked and she was beautiful ***


Raccolta di One Shot

Racconti di noi due



 


I was nacked and she was beautiful

 
-Travis! Quante volte devo dirti di non messaggiare quando siamo tutti a tavola?- Abby lo sgrida prima di inforchettare un pezzo di carne e portarselo alla bocca frettolosamente, irritata dall’atteggiamento di nostro figlio ormai quindicenne, lui cerca con uno sguardo il mio appoggio, ma non posso far altro che negarglielo.
-Tutti? Ma’ siamo solo noi tre!- e così dicendo poggia con un tonfo il cellulare sul tavolo apparecchiato, così forte che Abby smette di mangiare e posa con estrema lentezza ed apparente calma la posata sul piatto e con un tovagliolo bianco panna si pulisce la bocca candida, io le afferro un ginocchio con la mano destra e comincio ad accarezzarlo lentamente cercando di calmarla, la gravidanza la spossa terribilmente e il suo umore non è dei migliori.
-Travis Bieber non parlarmi così!- e il suo tono è talmente freddo ed innervosito che blocca anche la mia mano, è davvero furiosa anche se dopotutto Trav non ha fatto granché, ma lui lo sa come provocare sua madre e anche se sa di giocare col fuoco continua, bruciacchiandosi un po’ troppo frequentemente.
-Non sto facendo nulla ma’, ho solo detto che siamo solo noi tre a tavola, che non siamo tutti visto che manca quella peste che tieni nella pancia- e non so davvero come, ma con un sorriso affabile riesce a far calmare sua madre, tanto che gli sorride e ricomincia a mangiare.
Io lo guardo basito e lui alza le spalle con un ghigno soddisfatto, è la mia copia sputata per quanto riguarda l’atteggiamento, per il resto è tutto sua madre, occhi azzurrissimi e capelli scuri.
Finiamo il pranzo in tutta tranquillità, mentre sparecchio il tavolo con Trav, sento la risatina di Abby dal divano, e automaticamente sorrido a quella dolcezza che mi trasmette ogni volta che mi guarda, che mi parla o anche solo che mi sta a fianco in silenzio, è la mia metà in tutto e per tutto e non so davvero come farei senza di lei.
 
Quando poggio con rumore i piatti nel lavello sento la sua risatina crescere di intensità e poi spegnersi, guardo Travis stranito, come a domandargli cosa le possa esser successo e lui fa spallucce indicandomi con un dito la sua direzione, segno che stava andando da lei.
Io annuii e finì di posizionare le stoviglie al loro posto, ripiegando la tovaglia e riponendola nel cassetto, Abby l’avrebbe sicuramente lasciata libera sul bancone, temporeggiando sul metterla al posto, lei la regina del disordine insieme a Trav.
Sorridendo per quel pensiero mi diressi da loro e li trovai seduti sul mio divano bianco in pelle a civettare, lanciandomi sguardi carichi di divertimento tra una frase sussurrata e l’altra, le loro risatine segrete mi stavano dando sui nervi, odiavo esser tenuto all’oscuro.
-Allora, che avete da ridere voi due?- e così dicendo li affiancai, sedendomi al mio solito posto, accanto al bracciolo sinistro.
Abby diceva che avrei dovuto scollarmi da lì e cambiare abitudine di seduta, che per quanto sostavo in quella posizione la stoffa aveva preso la forma del mio sedere ed ogni volta che me lo rinfacciava rideva a crepapelle come se ogni volta fosse la prima e io non me la prendevo, non più.
Cosa c’era di sbagliato nell’amare la mia posizione? Niente, erano solo invidiosi di me perché io un posto preferito ce l’avevo e loro no.
Respinti i pensieri bambineschi e presi a fissarli ed ero intenzionato a farlo fino a quando non avrebbero vuotato il sacco, persi quasi da subito la battaglia con Abby, sapeva essere più testarda persino di me.
Mi concentrai su Travis allora, che quasi da subito cedette prorompendo con una fragorosa risata –Non capitava da tempo ormai, ma mamma mi parlava della vostra sobria e divertente conoscenza- e così dicendo riprese a sbeffeggiarmi con la sua alleata.
-Ma da che parte stai tu!- le dissi fintamente infervorato, più offeso che altro, ma non così tanto visto che per noi quello era un gioco che andava avanti da tempo.
-Io, da quella di nessuno- si difese lasciandomi un bacio a fior di labbra e mollandomi con ancora voglia del suo profumo.
Giocava con me con la stessa furbizia di un bambino nel gioco del nascondino, mentre io volevo assaporare all’infinito il sapore dolce delle sue delicate labbra di rosa, chiuderle nelle mie e non lasciarle più andare.
Lei ricambiava con malizia i miei sguardi e quasi potevo sentire la sua voce strascicata mentre mi sussurrava immersa  nel piacere ‘ vienimi a prendere’ per poi scappare via da me, il suo corpo che sfuggiva al mio.
La fissai fino a quando Travis non mi interruppe bruscamente –Se non ve ne fosse accorti c’è un minorenne tra di voi, per giunta vostro figlio e sono schifato, decisamente. Prendetevi una stanza!- e così si alzò rabbrividendo per scherno e andandosi a sedere di gran carriera sulla poltrona rossa della mamma.
Noi ridemmo complici evitando di scambiarci altre effusioni in sua presenza, anche se starle lontano mi richiedeva davvero molta fatica.
-Cosa ti stava raccontando?- gli chiesi abbracciandola in modo che il suo dolce viso fosse a contatto con il mio petto, e la sua schiena con il mio addome ancora piatto, ma non muscoloso come un tempo.
-Solo il modo in cui ti sei avvicinato la prima volta- e lo disse con un tale divertimento della voce al ricordo che mi diede ancora fastidio, si quel giorno ero stato proprio un idiota.
-Se permetti però racconterei la mia versione dei fatti, lo dicesti anche tu figliolo, le donne ci mettono troppo zucchero quando si parla di sentimenti e vale anche per i fatti imbarazzanti, quelli soprattutto.- e dicendo l’ultima frase la guardai ammiccando, accarezzandole poi il pancione gonfio, avevamo entrambi sui trent’anni ora.
Io trentacinque e lei trentadue, ma nulla ci aveva impedito di ritentare con il secondo figlio, dopo Travis era stato difficile metterla incinta di nuovo, ma ecco che la nostra piccolina attende di venire alla luce.
Con un sorriso e già rosso d’imbarazzo mi rivolsi a Travis –Preparati figlio, e non provare a sbeffeggiarmi come tua madre quando saprai dell’accaduto e prova anche solo a spifferarlo ad uno dei tuoi amici e sarete entrambi nella mia lista nera- lo incenerì giocosamente con lo sguardo e presi ad accarezzare, come fosse un anti-stress, il pancione di Abby.
-Hai una lista nera? Figo- proruppe lui dopo qualche secondo di silenzio, ridemmo tutti  e tre in coro e dopo mi preparai a raccontare l’imbarazzante e cruda realtà dei fatti, mi vergognavo ancora ma era pur sempre mio figlio no? Un po’ di compassione per il suo vecchio doveva pur avercela, ma ne dubitavo fortemente.
Già accaldato e rosso in guance ripescai senza troppa difficoltà quel giorno nella mia mente, le parole vennero da sole.
 
 
Scalcio sassolini da un’ora ormai, seduto sulla panchina fuori dalla palestra del campus e mi sento uno schifo, tanto quanto la merda di piccione che mi sosta davanti, a ricordarmi perennemente di ogni mio fottutto errore compiuto in mattinata.
La squadra contava su di me dall’inizio degli allenamenti, a metà del primo mese scolastico e mi ero allenato tanto che ormai la palla si era adattata alle mie palme, ero sicuro di poter essere la stella della L.A.C.C anche quell’anno, ma la sfortuna sembrava perseguitarmi da quando Jessica Holmen era entrata nella mia incasinata vita.
Mi passai la mano nei capelli biondi e corti, il gel era rimasto in grande dose nei capelli e mi ingarbugliava le ciocche madide di sudore, ero uscito dagli spogliatoi così velocemente che Trent e i suoi non avevano neanche avuto il tempo per chiamare il mio nome.
Una partita persa, la prima partita di campionato buttata nel cesso e per affossarmi ancor più nelle mie colpe non potevo far altro che pensare che la colpa era stata quasi ed unicamente mia, dal lancio di inizio fino all’ultimo facile canestro della squadra avversaria.
Il problema ero io, non le mie doti di giocatore, perché ero uno dei più dotati lì in mezzo, la colpa era tutta della mia concentrazione, malamente rubata da lei.
Vista e rivista, spiata e seguita in tutti i corridoi e le aule del piano D dei corsi avanzati, la ragazza dai lunghi capelli scuri e occhi verdi che avevo ammirato il primo giorno al campus, seduta sull’erba mentre mangiava frutta.
Non mi ero mai avvicinato, mai le avevo rivolto la parola, figuriamoci flirtare con le, non ci riuscivo e mi sentivo una vera checca, bloccato nel mio magone infinito di insicurezze.
Fatto di ma, forse e se senza via d’uscita per il mio povero e legato cuore che ormai ero sicuro fosse solo per lei, la mia situazione mi riportava tanto alla mente Berry Lawrence il nerd della mia vecchia scuola, innamorato perso di mia sorella minore Jasmine e mai dichiarato verso di lei, non che io l’avrei mai permesso, chiaro.
Davvero stavo cominciando il processo di ‘nerdificazione’? No, mi rifiutavo di diventare un balbettante studente del college, lo avrei impedito ad ogni costo, cominciando col presentarmi a quella magnifica ragazza che, sapevo chiamarsi Abby Clever, classi 3 e 14 dei corsi avanzati di matematica e francese e senza che lo sapessi condividevamo anche un corso, chissà perché ora l’ora di Francese con la Turner era diventata la mia preferita.
Facevo in modo di sedermi sempre dietro di lei, in modo che potessi fissarla senza destare attenzioni e richiami dal gufo, era importante mantenermi nell’ombra per questa faccenda e non risultare troppo innamorato davanti agli altri, anche se con Chaz non c’era stato verso, lo aveva capito ma non sapeva chi fosse, tanto meglio.
Sentivo che l’amore e l’attrazione verso di lei era molto più forte di quello provato per Jessica, spazzata lontano dalla mia mente da Abby e questo era un altro motivo per adorarla ancor più, non lo sapeva ma mi stava districando da ogni problema e infossandomi con tutte le scarpe in altri.
Il primo di quella serie di problemi era il campionato semestrale della L.A.C.C squadra di basket di cui ero anche capitano e li avevo delusi solo perché a vedere la partita c’era anche lei, affiancata dalle sue compagne di stanza, la n° 23, potevo abbandonare la scuola e darmi allo spionaggio.
Mi alzai non appena vidi il ciuffo scombinato di Chaz che veniva con gli occhi sgranati verso di me e in quel momento sarei voluto sparire –Cosa ti è preso bro’? cazzo, nemmeno un mezzo canestro, un’azione giusta, un passaggio preciso, è stata la peggiore delle tue partite e penso anche dell’intero college, non vorrei essere in te quando usciranno da lì- parlò a razzo, toccandomi più volte la spalla con piccole spinte che subì fissandolo in silenzio, con cipiglio nervoso.
-So di aver fatto schifo bro’ ma non serve che tu me lo ripeta, in campo con te c’ero anche io- dissi grattandomi la mascella irritato, presi a camminare nervosamente verso i dormitori femminili, mentre la via era percorsa da lle ragazze che tornavano in stanza dalla palestra, i fischi mi perseguitavano anche lì.
-Non vorrei essere in te nemmeno quando Ryan e Dean ti affronteranno, lo sai il fatto della popolarità ecc.. hai mandato tutto a puttane. disse mentre salivamo le scale, io chiuso nel mio ostinato silenzio.
-Ma questo ora non mi interessa, ciò che voglio sapere è perché- disse raggiungendomi quasi di corsa, avevo mantenuto un passo felpato lungo tutto il corridoio e ora stentava a starmi dietro.
Gettai il borsone sul letto e sentì la porta chiudersi con un tonfo seguito da un breve ‘click’ del chiavistello.
-Non c’è un perché Chaz, semplicemente è successo- mentì piuttosto male, ero stanco e non importava che ci credesse o no, la ragione di quel disastro doveva restare chiusa a chiave dentro di me.
Lui se ne stette in silenzio osservandomi mentre mi preparavo ad una doccia, entrai in bagno e ne uscì solo quando mi sentì meglio, quando misi piede fuori lui ancora mi fissava e cominciava seriamente ad irritarmi.
-Smettila- mi distesi sul letto supino fissando le molle del letto a castello, ero uno che durante la notte si muoveva molto, era bastata una notte a stabilire l’incompatibilità tra me ed il letto di sopra, dove dormiva il nuovo ‘gufo’ della situazione.
-No, so per certo che c’entra quella ragazza- e appena le parole lasciarono la sua bocca mi irrigidì, non importava fosse pomeriggio, anche se tardo, mi girai di schiena a lui e chiusi gli occhi, addormentandomi.
 
L’indomani mattina mi svegliai presto, dato che avevo dormito tutta la serata e neanche cenato, mi sentivo riposato ma affamato, decisamente.
Per fortuna il mio sonno istantaneo mi aveva evitato una lunga e logorante conversazione sul disastro di ieri con i miei compagni di stanza, mi avrebbero fatto una testa grande quanto un cocomero a forza di parlare sull’utilità di essere il top della scuola, l’orgoglio, il fiore all’occhiello o chiamatelo come volete.
Mi vestì e controllai l’ora solo quando la porta della stanza era ormai aperta e dava sul corridoio silenzioso e deserto, contavo di essere l’unico sveglio alle 6:08 del mattino, almeno in quell’ala.
Per tutta la mattinata, dopo aver fatto colazione abbondantemente al bar del piano di sotto fortunatamente aperto, seguì con strana attenzione le lezioni, non ritardando a nessun corso tanto che i professori ebbero quasi un capogiro a vedermi il primo seduto al proprio banco, in classe con Kelly e i secchioni al seguito.
Tutti mi chiesero cosa mi fosse successo e a tutti riposi con un’alzata di spalle e un sorriso d’affronto, tanto per far vedere che il popolare e da compagnia sconsigliata Justin Bieber era sempre lo stesso, solo che la giornata si era distorta in un incubo.
Cercavo di non pensare a lei, ma la mia mente mi riportava comunque ai suoi occhi smeraldati e al modo in cui si allisciava le lunghe e mosse ciocche scure, e di conseguenza come potevo non pensare a tutto il casino che a causa sua avevo combinato?
La squadra mi era venuta a cercare nella pausa delle 10:20, in cortile, mentre  sedevo a terra nell’erba e lei al mio fianco come tutti i giorni, sembrava che ci fossimo messi d’accordo io ed Abby, ma non le avevo neanche mai parlato.
Trent si era fatto avanti per primo –Cosa diamine ti è preso Bieber!?- sputò le parole con un ghigno cattivo stampato in faccia e a lui riservai lo stesso trattamento che avevo rifilato a tutti, persino a Chaz che al contrario della squadra mi aveva lasciato andare con un’aria sconfitta.
-Senti, ora non mi frega più, ma sta ben attento a farci vincere le prossimo partite o ti costerà l’espulsione e una piccola punizione da parte nostra- e con lui, come se li avesse programmati prima della conversazione, tutti risero sguaiatamente e sentì lo sguardo di Abby su di me, guardava impotente e curiosa.
-Punizione?- ripetei quella acre parola confuso, cosa volevano fare questi pivelli a me?
Ora sentivo che era il momento giusto per il mio lato presuntuoso di farsi avanti e avrebbe fatto meglio a spuntare fuori subito.
Mi misi in piedi, fronteggiandoli, le braccia piegate al petto e sguardo d’affronto con l’immancabile sorriso abbinato e aspettai le loro stupide spiegazioni, non arrivarono.
-Attento oggi- e con uno spintone si allontanarono come un gregge ignorante di pecore, capeggiate dal pecorone più coglione che ci potesse essere, li odiavo eppure erano i miei compagni di squadra.
Andandomene non la guardai come invece avrei voluto, mi dissi che era soltanto colpa sua se ora dovevo guardarmi le spalle da Trent e i suoi, ma non riuscivo ad essere arrabbiato con lei, neanche e provare risentimento, nulla.
Sbuffai sconsolato e frequentai con lo stesso smorto atteggiamento della mattinata anche i corsi pomeridiani e alle tre in punto fui in palestra, per primo.
Ci allenammo duramente, il coach era arrabbiato, furioso e quasi intrattenibile sia con me che con gli altri sebbene in più ridotte proporzioni e aveva ragione, ero il capitano e mi dovevo assumere la maggior parte delle responsabilità, non che ne fossi lieto però.
A fine allentamento, dopo una bella strigliata mi diressi in spogliatoio con gli altri, sostando in fondo alla fila, come se fossi l’ultimo arrivato in squadra, la nullità e non il capitano incontrastato da due anni.
Misi da parte Abby e parlai chiaro a tutti –Sentite coglioni, fino a quando il coach non mi sbatterà a pedate fuori dalla squadra ne sono ancora il capitano e non potete permettervi di ignorarmi così durante una partita, anche se di allenamento- dissi incazzato e duro ripensando alle precedenti due ore, dove mi ero sbracciato inutilmente affinché mi includessero nel gioco, ma tutto era stato vano.
-Non dopo che ci hai infossati la prima partita del campionato Bieber- e chi poteva aver parlato così sfacciatamente se non Trent.
A quel punto raggiunsi il limite, mi scagliai contro di lui e lo sbattei al muro, intimando agli altri di starsene in disparte, che quello era un nostro affare e con voce tagliente gli sussurrai di rimettersi in coda con gli altri, perché in squadra non era nessuno.
Quando tutti capirono che ero rimasto sempre lo stesso in accondiscendente capitano mi sentì meglio, rispettato e finalmente accettato e perdonato, diamine capita a tutti di sbagliare e quel periodo non ero di certo al meglio.
Mi feci la doccia spensierato, per ultimo, come piaceva a me.
Essere solo e aver spazio e silenzio, lo spogliatoio vuoto e tutto per me, per abbandonarmi ai miei pensieri e non al chiasso dei ragazzi che alle volte sapevano essere davvero insopportabili.
Chaz dopo quel discorso si era complimentato, dicendomi che avevo fatto bene a sbatterlo alla parete così, ad avergli intimato di starsene zitto e al suo posto e quello mi aveva decisamente risollevato, ma era stato solo un momento, la salita per una lunga e spaventosa discesa che iniziai quando non trovai sulla mia panca il borsone.
Mi impanicai e non poco, uscì coprendomi col cestino dell’immondizia dello spogliatoio e osservai l’intera squadra che si prendeva gioco di me nel corridoio allegato agli spogliatoi, mai mandai così tante maledizioni tutte insieme.
Provai a farli ragionare addirittura provai qualche forma di preghiera non esplicita, ma Trent era proprio deciso a fare lo stronzo, decisi che gli avrei ricambiato il favore non appena fossi uscito vestito e con tutta la mia dignità addosso da quegli maledetti spogliatoi.
Se ne andarono quando la beffa  non provocò più risa fra loro e io rimasi solo, Chaz, Ryan e Dean erano tutti a lezione e io completamente solo e nudo come un verme.
Cercai a lungo qualcosa per coprirmi e con cui correre alla velocità della luce nei dormitori prima che le collaboratrici del college chiudessero la palestra a quel punto sarei stato fritto, come spiegare alle cheerleader e al prof Mastral  la mia poco vestita presenza?
Trovai il mio telefono, botta di culo assurda, sotto una panca lo schermo leggermente ammaccato e la batteria scarica, un’altra serie di imprecazioni mi investirono, poteva essere così facile? Ma certo che no.
A quel punto pregai che uno dei ragazzi venisse a cercarmi, ma ricordai che quella sera uscivano di nascosto dal campus per andare in un night e io come uno stupido mi ero rifiutato, altra serie di imprecazioni piuttosto vistose e decisamente irripetibili.
Quasi stavo per addormentarmi steso come un barbone su una panchina, quando sentì dei passi avvicinarsi leggeri e timidi lungo il corridoio annesso.
Balzai in piedi e afferrai di nuovo il cestino per coprirmi almeno le parti basse, quando misi piede fuori dalla porta degli spogliatoi mi pentì amaramente e come poter sfuggire all’occasione di altre imprecazioni?
Abby era di fronte a me, una mano sulla bocca per trattenere le risate e gli occhi colmi fino all’ultima sfumatura verde dell’iride di divertimento, in quel momento quasi disprezzai anche lei, ma quando osservai a fondo i suoi occhi, il suo viso ed il suo corpo mi bloccai nella mia ostentata insicurezza, tutto ciò che sapevo di flirt svanito magicamente ed io nella merda fino al collo.
Ero rosso, quanto più le mie guance lo permettevano ed estremamente umiliato, ma la sua presenza mi impedì di tornare dentro.
‘ è il momento’ pensai e capì di essere nella situazione perfetta per iniziare una conversazione, di certo gli argomenti non sarebbero mancati.
Ingoiai come una pillola amara l’indecisione e la paura e parlai, la mia voce sembrò fin troppo stridula e veloce, ma lei capì lo stesso –Ehm, ciao. Sono Justin Bieber e sono nudo negli spogliatori della palestra, solo e .. nudo- e in risposta le sue labbra emisero una graziosa risatina, subito si coprì la bocca con una mano e allungò l’altra a palmo aperto verso di me, in segno di scuse.
-Scusami, è solo che.. tutto ciò è davvero divertente- e prese a ridere più liberamente quando sorrisi e risi anche io con lei, il colore rosso che non abbandonava le mie gote, maledizione a Trent e ai suoi scherzi pessimi.
-Lo trova così divertente, signorina..?- e mi bloccai alla fine, sfumando la frase col tono della voce come fosse una domanda, finsi di non sapere e lei ci cascò.
-Abby Clever- e mi strinse una mano, io ressi il cestino con la sinistra e le porsi la destra, ancora maledizione!
-Perché sei nudo e solo nello spogliatoio di una palestra vuota?- mi chiese lei indiscreta, diretta e vera non curandosi di potermi mettere a disagio, strano ma quel lato di lei me la fece piacere ancora di più, fremetti al solo sentire della sua voce, fresca e un po’ acuta, ma dolce.
-Potrei domandarti lo stesso- le risposi e subito dopo mi diedi dell’idiota –Non che tu sia nuda, cioè sei vestita e bella- poi continuai a parlare visto che nella fossa ormai ci ero entrato completamente –Non che senza vestiti non saresti bella, ma ecco.. non che io ti immagini nuda, ma questo non significa che non farei pensieri su di te, anche se non implica che tu sia una poco di buono e.. aiutami- sussurrai quell’ultima parola che ormai ogni fibra del mio essere premeva per schiaffeggiarmi, continuavo a blaterare senza alcuna logica mentre lei se la rideva.
‘Bravo al cretino! La fai ridere Justin e non sta ridendo con te, ma di te’ e continuai a maledirmi ancora e ancora, fino a finire la fantasia per le imprecazioni e allora semplicemente mi zittì soffermandomi su di lei e sulla sua genuina risata, anche in quel tumulto di imbarazzo mi faceva sentire bene.
-Ok Justin, calmati- disse ancora ridacchiando, ma quando disse il mio nome mi fermai e tutto il resto con me.
Come un CD rotto restai fermo sulla frequenza della sua melodiosa voce che ripeteva il mio nome di battesimo e mai era stato tanto apprezzato da me come in quel momento, volevo che lo ripetesse di nuovo più vicina, attaccata al mio corpo e in tanti piccoli sussurri, accompagnati da gemiti.
A quei pensieri arrossì ancora di più, un caso disperato, ecco cos’ero.
-Ho capito e grazie, credo. Era un complimento?- chiese confusa ma sicura di se stessa, sapeva come giocare le sue carte e il sorriso che mi ingarbugliava le farfalle nello stomaco era una di quelle, le migliori.
-Ora però credo che dovresti uscire da qui, la bidella mi ha acconsensitito di entrare per riprendere un quaderno dal nostro spogliatoio, ma mi ha detto di sbrigarmi e so che non vorresti rimanere chiuso qui- mi disse facendo ciondolare le chiavi davanti al mio naso  e poi dirigendosi nella stanza di fronte ed aprendo la porta con una delle chiavi presenti nel pesante e tintinnante mazzo.
 Io rimasi impalato al mio posto, nascosto dallo stipite della porta in vetro opaco bianco con lei rifiniture rosse e blu, i colori della scuola, erano estremamente rappresentativi qui, fissati direi.
Quando ne uscì teneva stretto contro il petto un quadernone ad anelli dello stesso colore dei suoi occhi e quello non fece che evidenziarli, rendendola cento volte più magnifica, da rimanere imbambolato cosa che mi riusciva molto bene, meglio del giocare a basket senz’altro.
Mi venne incontro sorridendo e facendo risuonare i suoi passi inseguiti dal perpetuo tintinnare delle chiavi che le pendevano dalla tasca anteriore dei jeans che le fasciavano le gambe, e che gambe!
Distolsi lo sguardo quando mi accorsi che si stava spogliando, ma solo della sua camicia a quadretti rossi e blu, stile boscaiolo, mi surriscaldai all’istante e quando vidi la morbida pelle nuda delle clavicole e in parte del petto gonfio, sentì distintamente l’amico ai piani bassi risvegliarsi.
 
-Non ci credo! Papà hai avuto un’erezione solo perché si era tolta la camicia! E non era neanche nuda sotto! E davvero le hai detto ‘–Non che tu sia nuda, cioè sei vestita e bella, non che senza vestiti non saresti bella’ che finocchio!- Travis stava ridendo più o meno dalla parte di racconto in cui i miei vestiti svaniscono e io giro nudo come un verme nell’ala spogliatoi, per non parlare dei guaiti che risuonavano per casa quando sua madre fece la sua comparsa nel racconto, come allora le mie guance andavano a fuoco. Ma bastò un’occhiata e lui ritornò zitto, ridacchiando sommessamente, così ripresi.
 
-Metti questa intorno alla vita, poi scappa nel tuo dormitorio- mi disse porgendomela e continuando a ridere.
Subito chiusi la porta in vetro opaco e mi legai ben stretta la sua camicetta in vita, cercando di coprirmi il più possibile, anche se avrei preferito un cappotto rispetto a quel pezzo di stoffa cucito a sembrare una camicia perché non lo era, quelle da uomo potevano definirsi tali, che la indossavi e avanzava un bel pezzo per coprirti.
‘Perché diamine devono essere così minute?!’ e tanto per battere il record mi trovai impegnato a maledire anche il produttore di quei minuscoli pezzi di stoffa, la fortuna ha deciso di voltarmi le spalle e sputacchiarmi a dosso per beffa.
Uscì se possibile ancora più imbarazzato e con un istantaneo e insicuro bacio sulla guancia di lei partì di corsa verso i dormitori.
Mi fermai per molti minuti sotto un salice piangente, anche in quella situazione d’emergenza mi lasciai del tempo per ammirare la sua figura piccola ed esile che si dirigeva a passo felpato nella sua stanza, solo quando l’edificio la inghiottì ripartì per la mia corsa.
Tutto era buio, dovevano essere le dieci ormai e fortunatamente nessuno circolava nella zona, solo un’ombra mi spiava dagli alloggi femminili, la luce soffusa di una lapada a delineare le morbide linee che componevano la sua figura e sorrisi, felice in quell’assurda situazione.
La immaginai a ridere, buttando la testa all’indietro e a coprirsi la bocca di scatto come se stesse facendo qualcosa di male, il suono della sua risata ad invadere la stanza e a migliorare tutto.
Potevo immaginare la visuale da lassù, un Justin Bieber in appropriatamente  nudo, coperto da uno straccetto, che correva verso gli alloggi con un malato sorriso in faccia.

 
*Jazzy99 space*
Eccovi la seconda OS dedicati ai racconti di Abby e Justin!
ringrazio infinitamente mamma che mi ha aiutato ad impostare la modalità estremamente imbarazzante del loro incontro!!
spero che piaccia!
recensite?
-sara
 

 

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Capitolo 3
*** Thought I wanted to kiss another when in my thoughts existed only her ***


Raccolta di One Shot


Racconti di noi due


 
 


Thought I wanted to kiss another when in my thoughts existed only her


Sdraiato comodamente sul mio divano facevo zapping tendendo il telecomando appoggiato sullo stomaco, la voglia neanche di alzare la mano e la noia che mi stava divorando.
Il capo mi aveva concesso tre giorni dal lavoro, Abby si era presa una forte influenza e con la gravidanza poteva essere molto pericoloso, erano stati giorni d’inferno e notti d’insonnia, ne portavo i segni sotto gli occhi in violacee occhiaie e rossore nella parte bianca del bulbo, che strana parola: bulbo.
Ero davvero stremato, ma il sonno ormai era svanito, era una mia personale maledizione :quando restavo sveglio per molto i miei occhi restavano vigili fino a quando tutto non si poteva definire ‘normale’ ora con una moglia ingravidata a letto con l’influenza e un figlio nel pieno dell’adolescenza ancora fuori a festeggiare con la sua comitiva, non mi potevo definire calmo.
Controllai svogliatamente l’orologio: 2:07, sbuffando feci leva sulle braccia e mi alzai in piedi dopo quasi un’ora di riposo, afferrai dal frigo una birra fredda e cominciai a scolarla lì davanti, l’anta ancora aperta davanti a me.
Finita la prima e lunga sorsata appoggiai sul tavolo da pranzo la bottiglia di vetro e chiudendo l’anta del frigo andai di sopra da mia moglie.
Socchiusi nel massimo del silenzio la porta e vidi un’angelo un po’ pallido steso sul letto matrimoniale, la sua dolce e nuda schiena rivolta verso di me, era il 7 Maggio e già l’aria si era fatta irrespirabilmente calda e lei al settimo mese di gravidanza, se le donne incinte erano insopportabili di natura immaginarsi come potevano diventare aggiungendo a tutto il caldo, uno strazio per il marito , ovvero me.
Sorrisi quando mi avvicinai accarezzandole la fronte con le labbra e lei mugugnò come quando le davo fastidio e mi voleva togliere di torno, alzò una mano e la mosse infastidita.
Io ridacchiai sottovoce –Buonanotte amore- le sussurrai all’orecchio e tornai di sotto dalla mia birra, non avrei potuto comunque dormire dato che lei aveva rubato tutte le coperte e lo spazio disponibile del nostro letto matrimoniale.
Sorrisi pensando che lo faceva anche quando eravamo al college e lei si infilava contro il regolamento nel mio lettino singolo, scalciandomi ogni dannata notte giù dal letto.
Quando ingoiai la seconda sorsata della mia birra rigenerante sentì la porta cigolare per poi richiudersi molto lentamente, Travis che in punta di piedi e gli occhi lucidi che si dirigeva nella sua stanza, come se fossi un imbecille.
-Figliolo, ti ho visto- dissi semplicemente andandomi a sedere al solito posto, lui roteò gli occhi al cielo imprecando vistosamente, io risi.
-Se ci fosse stata tua madre ti avrebbe punito solo per ciò che hai detto- gli sorrisi affabile mentre prendevo altri sorsi dalla birra, lui stranito mi raggiunse.
-Perché non sono ancora in punizione? Perché non mi hai ancora sbattuto fuori casa?- mi chiese lui.
Io feci spallucce, sapevo cosa intendeva dire – Anche io da giovane rientravo tardi e anche io ogni volta mi beccavo punizioni esemplari, so come ci si sente figliolo e semplicemente te le sto evitando. Non significa che da ora in poi potrai sempre star fuori fino a tardi, cosidera che per ora ci sono solo io, poi dovrai fare i conti con tua madre- risposi io guardandolo mentre inorridiva e la paura faceva breccia nei suoi occhi da sedicenne.
Le iridi azzurre rese sottili dal nero della pupilla che inghiottiva il colore, il tutto reso lucido da una leggera patina dovuta all’alcool, se ci fosse stata Abby ora sarebbe fuori dalla porta.
-Sei il padre più figo del mondo!- esclamò lui dandomi una pacca sulla spalla –Ma non è che mi stavi aspettando qui solo per farmi prendere un colpo?- mi chiese poi insospettendosi.
-Non riesco a prender sonno, con tua madre che occupa tutto il letto- risposi non curante e divertito prendendo ancora un sorso della mia birra ormai quasi finita, ne volevo ancora così mi alzai.
-E per tenerti ancora cosciente bevi birra?- chiese lui togliendosi la canotta che indossava restando a petto nudo, osservai dal frigo il suo fisico e sorrisi, ricordava il mio da giovane –Più o meno, ma tu non azzardarti a farlo anche se credo che questa notte tu ci sia andato più pesantemente delle altre volte, o mi sbaglio?- chiesi già sapendo la risposta.
Era autorizzato al massimo di tre drink alcolici, niente super o altrimenti lo avrei batostato per bene, ero un esperto in tasso di ubriachezza anche perché essendo stato uno dei più popolari della L.A.C.C  le feste erano all’ordine del giorno così come alcool e ragazze, poi era arrivata la mia Abby e come ancora mi rimprovera Chaz, mi sono rincolglionito.
Travis sbuffò sapendo che avevo indovinato –E' solo che ne avevo bisogno davvero questa sera- disse passandosi una mano sul viso stanco, qualcosa mi diceva che aveva bevuto per dimenticare e qualcos’altro mi diceva che era una ragazza.
-Nome?- chiesi semplicemente.
-Cosa?- lui fece il finto tonto, magari non ne voleva parlare ma io c’ero e poi, per le ragazze ero il tipo giusto, almeno di quell’argomento sapevo molto, per il resto io appoggiavo Abby e i suoi consigli.
-Il nome della ragazza che ti ha fottuto – dissi ridendo, mi ricordavano molto le conversazione tra me Dean, Ryan e Chaz, più con quest’ultimo che gli altri due, chissà come se la passavano.
-Non c’è nessuna raga..- provò a completare la frase mantenendo un tono freddo e controllato, per non  farmi capire fosse una menzogna, ma dannazione ero suo padre, se non lo conoscevo bene io chi altri avrebbe potuto?
Lo guardai con tono di rimprovero e lui mollò la presa –Rebecca- disse con un sospiro e un sorriso da coglione, oh Dio mio figlio era davvero fottuto, mi ricordava esattamente me, solo che io ero più grande quando mi innamorai sul serio.
-Il problema?- chiesi porgendogli una birra, sapevo che non avrei dovuto dato il tasso alcolico che aveva già dover assimilato, ma per parlare di certe cose c’era bisogno di mettersi in pari, tipo migliori amici e non padre e figlio, abbattere certi muri era importante in casi come questi.
Lui prese un sorso chiudendo gli occhi e quando li riaprì mi fissò sconsolato –Abbiamo discusso a lungo ieri a scuola, Ashley la troia quella che era andata a letto con Brad mentre era fidanzato con Miley, la sua migliore amica per altro, ha diffuso una foto di me ovviamente brillo che mi avvicino con le labbra a quelle di Marie, l’altra troia di scuola che invece ha rubato il ragazzo ad ashley e di questo son contento quella si merita tutto il male del mondo!- esclamò lui perdendosi nelle suo riflessioni su persone che io non conoscevo, pronunciando nomi a cui non sapevo associare volti, allora provai ad immaginare ognuno di loro con l’aspetto dei miei vecchi compagni di college e tutto fu più chiaro.
-E tu l’hai baciata davvero?- gli chiesi cauto, prendendo un sorso della mia appena stappata seconda birra, lui ne buttò giù un altro –No! Diamine no! Io sono completamente cotto di Rebecca- esclamò poggiando piuttosto rumorosamente la birra sul tavolino davanti a noi, gli misi una mano sulla spalla, come per dirgli di calmarsi e lo fece.
-Sai capitò una cosa simile a me, solo che non era divagato niente, lei lo vide con i suoi occhi- dissi ripensando a tutto ciò che era successo quella notte, il ricordo aveva immagini sfocate e sbiadite dal tempo ma abbastanza vivide da essere ben ricordate.
-Oh questa la voglio proprio sentire. Poi si è risolto tutto?- chiese lui interessato, aveva sempre amato ascoltare delle storie riguardanti me ed Abby, soprattutto quella in cui ero rimasto nudo e solo nello spogliatoio.
-Si, ma ci è voluto parecchio- posai la birra e senza che me lo chiedesse cominciai.
 
 
-Amico solo quattro parole: tu. Io. Festa. Stasera.- Chaz era entrato senza convenevoli in stanza, velocemente si era sfilato la felpa e la canottiera bianca che indossava e aveva preso a raccattare dai cassetti le sue cose alla rinfusa per poi dirigersi nel piccolo bagno della stanza.
Io ero tranquillamente sdraiato sul mio letto di sotto, a contare le molle che il materasso di sopra conteneva, perfettamente annoiato e con l’intenzione di rimanere in quella posizione per il resto della serata, era una dannata settimana che Abby mi aveva visto non-vestito nello stupido e vuoto spogiatoio della palestra e di tutto ciò che era successo, oltre all’imbarazzo e al balbettio con cui le avevo parlato, riuscivo solo a ricordare la sensazione delle farfalle che ballavano insieme all’interno del mio incasinato stomaco.
Non ero arrabbiato con Trent, per quanto malato potesse essere non ci riuscivo, nella mia mente l’unico pensiero era a lei e alla fortuna sfacciata che ho avuto di vederla e parlarle, il suono della sua risata riecheggiava ancora nella mia mente, annebbiata da lei.
In risposta alla proposta, che sembrava più un ordine, del mio migliore amico avevo semplicemente mugolato annoiato, ci tenevo a preservare quello stato di calma piatta dato che, prendendo in considerazione un punteggio da uno a dieci, la sensazione delle farfalle nello stomaco per quell’insulso bacio dato alla sua morbida guancia era solo a sette, pensavo solo a quello e il ricordo era già così sbiadito.
-Bro! È una settimana che non ti si vede più per locali dopo il coprifuoco, la gente comincia a parlare, per i corridoi  Trent e i suoi si prendono gioco di te sia per quel fatto nello spgliatoio che per il tuo processo di rammollimento, e non immaginano neanche a cosa sia dovuto- ormai era rimasto solo in asciugamano, la cuffietta per la doccia a coprirgli i capelli in modo che non si bagnassero, era una visione orripilante e davvero ingiustamente divertente, ridacchiai spontaneamente poi mi calai nel mio recente stato di calma piatta.
-Non mi importa ciò che dicono in giro su di me- e prima che potessi anche prendere un respiro da quella frase ecco che subito attaccò –Non ti importa nemmeno che lei possa pensare che ti sia rammollito?- e sapeva che aveva toccato un tasto delicato, le sue manovre stavano agendo su di me per scatenare una reazione, quella che voleva lui.
Diamine, certo che non volevo che pensasse a me come ad uno stupido ragazzetto timido e vittima di bullismo che si chiude in camera per scampare alle ingiustizie del mondo, come se fosse anche lontanamente possibile allontanarle, quelle maledette ingiustizie.
-E cosa dovrebbe aver scatenato il mio rammollimento?- chieo alzando l’ultima barriera, già pronto a mollare la presa mi metto seduto, mantenendo i piedi sul materasso un po’ ingobbito e vecchio.
-Ci sono diverse ipotesi: io preferisco quella delle gemelle ‘Secondo me ha scoperto di essere gay, è qualcosa di tremendo scoprire di essere gay quando fino a due giorni prima ti trovavi con una ragazza sotto di te’- disse imitando malamente il tono squillante di voce di una delle ragazze.
Le gemelle erano il duo più improbabile di gemelle che potesse esistere, Layla solare, divertente, bionda ed incredibilmente stupida. Lara stronza, cattiva, pessimista, mora e fin troppo acculturata.
Troppo diverse per essere sorelle, erano agli antipodi, il polo negativo e quello positivo di una calamita che stranamente le fa attrarre.
-Dio, dimmi che non lo pensano davvero!- esclamai passandomi una mano sulla faccia e a quel punto il mio culo si era già abituato all’idea di doversi muovere attraverso la stanza.
-Altre improbabili ipotesi?- chiesi di seguito quasi spaventato, intanto mi ero alzato dal letto e a piedi nudi davanti all’armadio cercavo i miei pantaloni di pelle nera col cavallo basso, Chaz mi scansò con uno spintone e li afferrò dallo scomparto in alto, era incredibile quanto in fretta mi capisse.
-Quella di Trent, come non citarla ‘quel pappa molle ha capito che non ha la stoffa per reggere sulle spalle un’intera squadra, è stato troppo per lui rimanere solo e nudo in spogliatoio, il bambino se ne è andato frignando nel suo dormitorio, Camryn lo ha visto correre tutto nudo per il campus mentre piangeva come un poppante –bugia- si è chiuso in camera per non dover affrontare la realtà’- e concludendo col rozzo e finto vocione di quel coglione si era finalmente chiuso in bagno, l’acqua che scrosciava e copriva i miei coloriti insulti verso la società scolastica e in particolare verso la mia stessa squadra di basket.
Mi feci una doccia rigenerante appena Chaz uscì da quel piccolo inferno privato che era diventato il nostro bagno, impostai la temperatura a medio invece che a ‘fuoco direttamente distribuito da satana’ e mi lavai tirando e sfregando quanto più in fretta potevo i miei capelli biondi.
Quando finì di vestirmi in camera rientrarono anche Dean e Ryan, che erano stati in perlustrazione nella zona fuori del campus –Molte maricole programmano di svignarsela, ci sarà da divertirsi- ghignò Ry e io per compiacerli diedi una pacca amichevole ad entrambi.
Uscimmo uno per volta dal dormitorio con la distanza di cinque, tre e sette minuti, per non destar sospetti al sorvegliante dell’ala maschile, il professor Bront ma quel tizio era stato già messo fuori gioco da un sonnifero somministratogli da Trent e i suoi qualche ora prima, quegli imbecilli ci rendevano le cose sempre più facili.
Scavalcammo il cancello del campus in modo veloce e furtivo, fortunatamente nessuno era di passaggio, molti degli insegnanti con disturbi d’isonnia, per citarne alcuni il ‘Gufo’, che non poteva mancare, e la Palmer di storia dell’arte, quando il loro problema faceva il suo dovere, si sentivano di controllare le zone d’uscita dell campus, dato che molte volte erano stati scoperti ragazzi e ragazze che uscivano senza il permesso.
Superammo di qualche metro il campus, svoltammo in direzione della strada principale e camminammo per un quarto d’ora all’incirca per la strada, poi ci vedemmo davanti un’enorme insegna al neon che citava il nome ‘The Angels Night’ e senza indugiare entrammo, mostrando i documenti falsi al grande omone di guardia, ci fece passare senza problemi con un sorriso in quanto clienti abituali.
Per la prima ora ci limitammo al bancone, vagare per la pista da ballo improvvisando movimenti scoordinati per farci notare, lo facevano soprattutto per far vedere me, per dimostrare che il bello e popolare Justin Bieber non era gay né un frignone e quando Trent mi squadrò sbuffando ed indicandomi sconfitto agli altri, reputai compiuta la mia missione quindi mi trascinai al bancone per qualche alcolico forte.
Dopo un giro di tequila con quelli della squadra mi reputai brillo, vedevo la faccia di Abby ovunque e a tutte loro volevo dire che uscire con lei in quella passata settimana era stato favoloso e che ero completamente cotto di lei.
 
-Aspetta, aspetta, aspetta- mi interruppe Travis con l’espressione corrucciata di chi ha un dubbio, quell’espressione del viso che chiede spiegazioni.
-Spara- e ingollai più velocemente di quanto avrei dovuto la mia birra, o quel che ne rimaneva, prima che Travis potesse anche solo parlare mi alzai e presi altre due bottiglie, una a testa.
-In quella settimana non eri rimasto in stanza a fare il piccolo nerd innamorato?- e dicendolo ghignò divertito grattandosi la mascella, cosa che quando ero nervoso facevo anche io.
Mi passai una mano su quel punto e poi mi rivolsi a lui in trepida attesa, intanto il tempo correva sull’orologio ma noi eravamo bloccati in quel momento, incapaci di andare a dormire una buona volta.
-Non sempre, la mattina, dopo i corsi passavo la pausa pranzo con lei nel cortile dove la vidi la prima volta e per il resto, se entrambi avevamo un corso insieme ci sedevamo vicini e alla fine del pomeriggio andavamo nella caffetteria del campus o nella sua stanza. Se invece non avevamo corsi comuni, e lo facevamo solo con i più noiosi come quello di storia, lo saltavamo e trascorrevamo il tempo nella stanza comune a vedere film- dissi sentendo le guance arrossarsi.
Lui sorrise furbo e mi strizzò un occhio, portai gli occhi al cielo poi continuai.

-Ehi Biebs!- mi sentì chiamare alle mie spalle e quando mi voltai vidi lei, il fiato mi mancò per qualche istante e sentì d’un tratto il gelo avvolgermi, il sorriso prodotto da una stupida battutina di Chaz si trasformò in una smorfia.
-Ciao Jessica- la salutai con freddezza, mantenendo le distante e la mia costante repulsione verso di lei.
Era proprio lei, capelli biondi ossigenati, grandi occhi azzurri e una quarta di reggiseno che strabordava dal vestito corto, appariscente e attillato che indossava.
La squadrai come si fa con una poco di buono, in quel momento mi chiesi come avevo fatto ad amare una come lei, quando al mondo c’era Abby Clever che nella sua purezza era la ragazza più sexy e bella del mondo, ero proprio andato.
-Perché mi guardi così Biebs? Comunque, lui è Rich il mio ragazzo- sfoderò un finto sorrisone, tipico di chi vuole far ingelosire, ma da me non avrebbe ottenuto niente.
-Piacere, sono Justin- mi presentai sfoderando un sorriso d’affronto, uno dei migliori del mio repertorio, e dopo avergli stretto la mano mi dileguai tra la folla, emettendo un sospiro di sollievo non appena mi fui allontanato da lei.
Per un’altra ora, era ormai l’una di notte, ballai con diverse ragazze, allungando le mani qua e là quando Trent e i suoi mi fissavano, la reputazione andava mantenuta, mi scolai qualche drink sicuro di non aver ancora superato la solia della sobrietà e continuai a parlare con persone che conoscevo di vista o con matricole.
Quando ormai ero allo stremo e progettavo di sgusciare via di lì la vidi, perfettamente avvolta in un vestitino a metà coscia nero, adornato da zip color oro che ne delineavano ogni curva.
Subito mi sentì folgorato dalla sua bellezza e geloso perché le lunghe gambe lattee erano scoperte e slanciate da alti tacchi neri con la suola rossa, non me ne intendevo granché ma credo si chiamasse pateau.
Cercai di passare tra la mischia, spingendo e tirando gomitate a chiunque tentasse di bloccarmi, chiamai il suo nome a gran voce e quando attirai la sua attenzione, una Jessica decisamente poco sobria i si piantò davanti e quando feci per scansarla lei mi si spalmò addosso, ridacchiando e cercando di baciarmi le labbra ed il collo.
-Sei ancora più bello di quello che ricordavo Justin, ti prego riprendimi con te. Io ti amo piccolo- sussurrava sul mio collo, le labbra rosse che lasciavano strisce di rossetto sulla mia pelle, e le sue unghie che scavavano nella mia giacca di pelle nera per tenermi stretto a sé.
Continuai a cercare di togliermela di dosso e quando ci riuscì dopo qualche secondo di troppo, vidi la schiena bianca di Abby lasciare la sala di fretta, il passo arrabbiato simbolo che aveva visto tutto e sicuramente frainteso.
Uscì velocemente dal locale, pronto a scusarmi e spiegarmi con lei nel parcheggio, si stava togliendo i tacchi per correre fino al campus più velocemente.
Aveva un vantaggio di due metri circa e io faticavo, a causa dei drink, a starle dietro.
Quando la fermai eravamo giunti all’angolo della strada, altri sette metri e saremmo stati di nuovo all’interno del campus, ma non potevo permettere di farla entrare con la convinzione che Justin Bieber era solo uno stronzo, non potevo proprio.
-Senti Justin, lasciami stare, davvero- si voltò di scatto verso di me, gli occhi arrossati e le guance striate da scie di acqua salata, mi sentivo peggio di quanto avevo mai immaginato.
-Non posso Abby, non posso farti tornare nel tuo dormitorio col pensiero che io abbia solo giocato con te- le dissi prendole le mani fra le mie, i tacchi caddero a terra in un tonfo, ma non gli prestai attenzione al contrario di lei.
-Non è quello che hai fatto per tutta la settimana?- chiese, il tono di voce intriso nella delusione, e mi fece male il cuore in un dolore quasi fisico per quanto intenso.
-Come puoi anche solo pensarlo?- e mi permisi persino di alzare la voce.
-Per quello che ho visto qualche minuto fa! Mentre ti facevi baciare da quella puttanella!- esclamò dimenandosi dalla mia presa fino a quando nun fu libera, furono pochi secondi ma lei era già sulla via per il campus.
La ripresi per i fianchi, appoggiando la mia testa sulla sua spalla destra e allacciando le mani intorno ai suoi fianchi, lei mie dita intrecciate sulla sua piatta pancia.
-Non volevo che mi baciasse, cercavo solo di togliermela di torno per arrivare a te- le confessai in un sussurro baciandole piano il collo, tanti piccoli baci casti per farla sentire speciale, come mai nessun’altra sarebbe mai stata per me.
- Come posso esserne sicura?- mi sussurrò e anche se la sua mente voleva opporsi a me, sentì il suo corpo ed il suo cuore venirmi incontro in tanti battiti frenetici e brividi che attraversarono anche me.
-Quella era la mia ex ragazza, mi ha mollato quattro mesi fa, sono stato male fino a quando non ti ho visto, il primo giorno di scuola mentre mangiavi una macedonia nel cortile della scuola. E ti ringrazio a proposito di questo- a quel punto mi aveva già perdonato.
Si era voltata e le sue mani erano corse alle mie guance, le sorrisi vedendo un accenno di sorriso nelle sue labbra e le baciai il nasino all’insù, un po’ come il mio.
Lei ridacchiò e mi abbracciò stretto –Per cosa?- mi chiese sussurrando, presi ora io il suo viso e lo portai ad un respiro dal mio, sentendomi subito in paradiso, sapendo che stavo facendo la cosa giusta perché stavo seguendo passo passo il mio cuore.
-Per avermi riportato il sorriso- conclusi appoggiando le sue labbra alle mie.
 
-Allora ti ha perdonato subito!- esclamò Travis indignato –Non è vero che eri nella mia situazione, come minimo la dovrò corteggiare e fare il lecchino per due settimane- e sbuffandò ingoiò l’ultimo sorso della sua ultima birra, almeno per la serata.
Io feci lo stesso e sorrisi –Se mi fai finire di raccontare!- esclamai.
-Mi disse che ero comunque al primo posto nella sua lista nera, che per avere l’onore di uscire di nuovo con lei avrei dovuto sgobbare per settimane, mi obbligò persino a rifarle il letto la mattina. Tua madre era terribile in quanto a punzioni- dissi io sorridendo al ricordo e ridacchiando quando Travis alzò gli occhi al cielo.
-Quindi è un talento naturale!- esclamò a voce un po’ troppo alta, ma non potei fare a meno di ridere con lui per qualche secondo.
-Guarda che vi sento laggiù!- un urlo un po’ arrochito ci raggiunse, Abby.

*Jazzy99 space*
Ehila!
Ecco la terza OS della raccolta, credo che la chiudo qui, non penso che la apprezzino in molti quindi.. e comunue io sono riuscita in quello che volevo.
voglio narrare solo l'inizio di questa storia d'amore tra Abby e Justin perchè è prevedibile come andrà a finire, con la presenza di un figlio e uno in arrivo!!
comunque, spero che piaccia e... ADIOS!
-sara
 


 

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