I want you back

di tienimiconte
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00 ***
Capitolo 2: *** 01 ***
Capitolo 3: *** 02 ***
Capitolo 4: *** 03 ***



Capitolo 1
*** 00 ***



I want you back - Prologo

00
 

Cammino svogliatamente verso un uomo di mezza età che dopo aver controllato il mio biglietto aereo e aver stabilito che la faccia – da cazzo – che c’è sul passaporto è la stessa con la quale vado in giro tutti i giorni mi fa passare nel lungo corridoio che mi porta direttamente sull’aereo diretto a Londra, dove mi aspetta un lungo viaggio in macchina per arrivare a Winchester.
Controllo il mio posto e mi siedo, allacciando la cintura e chiudendo gli occhi. Tutto ciò che riesco a vedere è lei, il suo viso, l’incurvatura delle sue labbra quando rideva, il suo modo di continuare a prendere ciocche di capelli e iniziare a giocarci. E’ una tortura essere su questo aereo avendo la certezza che non la rivedrò se non prima di molto tempo.

«Le porto subito il suo mojito» Mi dice una ragazza che avrà qualche anno più di me, gli occhi cerchiati da occhiaie che non le donano per niente.
«Anita, muoviti con quei drink al tavolo sette!» La ragazza che a quanto pare dev’essere Anita mi rivolge un’occhiata di scuse prima di allontanarsi dal bancone correndo con un vassoio in mano verso un gruppo di ragazzi – di sicuro sotto l’età richiesta per bere quel genere di cose –. Non appena appoggia il vassoio sul tavolo chinandosi per prendere lo scontrino uno dei ragazzi le appoggia una mano sulla coscia indugiando un po’ troppo. Lei sussulta, e le sue guance lentigginose si colorano subito di rosso. E’ evidente che quel contatto la infastidisce, ma non dice nulla. Prende i soldi e torna al bancone, li mette nella cassa e inizia a trafficare con le bottiglie davanti a me, preparandomi il mio mojito.
All’improvviso uno dei ragazzi si siede accanto a me, e non toglie gli occhi dalla scollatura di Anita che ignara continua a cercare di prendere l’ultimo bicchiere pulito rimasto. Quando fa un fischio d’approvazione lei sussulta di nuovo, stavolta facendo cadere tutto ciò che ha in mano e mandandolo frantumi. Non fa in tempo a prendere la scopa che quello che dev’essere il suo capo è di fronte a lei, lo sguardo accigliato, i pugni chiusi «E’ il sesto sbaglio in una settimana, Anita, sai che vuol dire?»
«La prego, non l’ho fatto apposta, mi sono distratta un attimo e...»
«Non devi distrarti, tesoro – le dice, mentre le passa una mano tozza sulla guancia – è questa la politica del Grill»
«Non succederà di nuovo, lo giuro»
L’uomo le sorride, i denti gialli e storti che mettono i brividi «Ovvio che non succederà di nuovo, perché sei licenziata, Anita»
Anita rimane un attimo senza fiato, sembra che stia per ribattere ma poi ci ripensa, si toglie il grembiule sporco e si fa dare la paga della settimana appena passata, poi esce dal locale mentre un altro cameriere ha già provveduto a raccogliere i vetri rotti.
«Il suo mojito» Mi dice, mentre sono ancora girato a guardare la porta chiusa. 
«Scusa, devo scappare» Dico, lasciandogli una banconota sul bancone e correndo fuori, guardandomi disperatamente intorno per trovare Anita. Intravedo una figura esile seppur slanciata seduta sui gradoni di una chiesa poco distante e la raggiungo, sedendomi accanto a lei.
«Stai bene?»
Anita si guarda intorno e poi mi squadra per bene. Deve avermi riconosciuto. «Tu eri il ragazzo del mojito... Oddio, scusami»
«Non devi scusarti, ho visto che ti hanno fatto quei ragazzi»
Lei non risponde, si limita a rimanere in silenzio e a guardarsi la punta delle scarpe.
«Perché non hai detto niente?»
«Sto studiando arte all’università, e diciamo che non era quello che i miei genitori avrebbero voluto per me, quindi hanno detto che se mi fossi pagata il primo anno di retta da sola prendendo buoni voti avrebbero iniziato a pagarmi anche gli altri anni, oltre che l’appartamento. Quel lavoro mi serviva, e lamentarsi dei clienti non è proprio il massimo»
«Non dovresti essere trattata così in qualunque caso, non è rispettoso nei tuoi confronti»
Lei mi guarda sbalordita, poi si ammorbidisce in un sorriso dolce «Sono Anita, di Sidney» Dice, porgendomi la mano.
«Dean, di Winchester» Le rispondo, stringendole la mano dannatamente piccola in confronto alla mia.

Le hostess passano nei corridoi, ricordandoci di tirare su gli schienali, chiudere i tavolini e allacciarci le cinture di sicurezza. Il comandante di volo dice qualche parola in diverse lingue, e poi l’aereo inizia a muoversi verso la pista.
Non voglio partire.



 


Miao!
Non è un miraggio, sono davvero io, sono davvero qui ahah e spero di non avervi deluse.
Vi avviso già che la storia non supererà i 10 capitoli, quindi vediamo di portare a termine almeno una long!
(Tra l'altro mentre stavo editando per postare si è staccato il tastino della i e ora sono disperata).
Spero di avervi fatto capire all'incirca come stanno le cose e non preoccupatevi, nei prossimi capitoli si capirà di più anche della vita del nostro Dean, che, ci tengo a precisare, è di Winchester perché è una città che amo dove sono stata diverse volte.
Non so quando aggiornerò ma proverò a farlo prestissimo, dipende anche dalle recensioni ;)
Un grazie alla Sami che mi aiuta come al solito.
Un beso,
Ale.

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Capitolo 2
*** 01 ***




Capitolo Primo
01


Mi guardo intorno e quando vedo Anita sorridere così euforicamente sono contento di quello che ho fatto. D’altronde se sei un cantante famoso e ti viene offerta la possibilità di partecipare al concerto dei Coldplay insieme ad un amico totalmente gratis non puoi certo dire di no, e portare Anita lì è stata probabilmente la migliore idea della settimana.
Lei non sta nella pelle, continua a sorridere e scattare foto con la sua macchinetta quando ancora non sono saliti sul palco. Si gira verso di me dicendo «Cheese!» e, senza darmi nemmeno il tempo di mettermi in posa, mi scatta una foto.
Le persone intorno a noi la guardano sorridendo e poi mi guardano straniti. Mi hanno riconosciuto? Non pensavo di avere tutto questo successo anche in Australia.
Dopo aver conosciuto Anita sulle gradinate di quella chiesa, ci siamo scambiati i nostri numeri di telefono e abbiamo deciso di vederci per un caffè. Le avevo promesso che l’avrei aiutata a trovare un altro lavoro e che intanto poteva godersi un po’ di giorni di relax insieme a me, che ero venuto in vacanza lì per staccare da tutto e da tutti. Lei ovviamente aveva accettato, affascinata sicuramente da me e dalla prospettiva di passare un po’ di tempo in tutta tranquillità.
D’un tratto tutte le luci si accendono e la musica parte, mentre i Coldplay salgono sul parco urlando verso il pubblico. Anita inizia a urlare a sua volta, e presa dalla foga mi stringe la mano.
La guardo incuriosito per un attimo, ma quando mi rendo conto che il suo è stato un gesto totalmente spontaneo e nemmeno tanto conscio lascio perdere. Mi piace sentire la sua mano nella mia, il calore che passa da un corpo all’altro.
Le ore successive passano velocemente e quando usciamo dall’arena Anita è totalmente senza voce, i capelli castani scuri sono in disordine ed è in uno stato di adorazione pura.
«E’ stato il miglior concerto della mia vita. Ma che dico, la migliore serata della mia vita!» Mi sorride, e mi butta le braccia al collo ringraziandomi infinitamente per ciò che ho fatto.
«E’ stato un piacere – le rispondo – e poi non avevo nessuno con cui andare, quindi grazie a te per avermi accompagnato»
«Se questo è ciò che mi spetta per fare felice un cantante solista inglese, beh, aspettati di essere molto felice» Ride, e poi si mette a correre verso la sua macchina, un pick-up rosso fiammante.
Mi siedo al posto del conducente mentre lei si sdraia nei sedili posteriori, completamente esausta.
«Come ti senti, tu? Dovresti essere abituato a questo genere di cose, visto che, di solito sul palco, ci sei tu»
«Beh sai, è diverso essere sul palco ed essere sotto il palco – dico, mentre imbocco la strada principale di Melbourne – a me piace stare in entrambi i posti. Mi piace pensare che le persone, quando vengono ai miei concerti, sono esattamente come te. Euforici. Però ultimamente tra una data e l’altra ho avuto poco tempo per me stesso, in più ho avuto diversi problemi personali e quindi mi sono bruciato il tempo libero. Quindi questa vacanza e questo concerto mi sono serviti per svuotare ulteriormente la testa»
«Capisco – dice, sbadigliando – E che mi dici dei tuoi problemi? Qualche storia sentimentale con super modelle andata a finire male?»
«Una specie – penso a Leslie, alla sbandata che mi ero preso e a come mi trattasse in un modo davanti alle telecamere e in un altro nel privato. Ci avevo messo forse troppo a capire che mi frequentava solo per i soldi e per la fama, più che per reale interesse, e ci avevo messo un attimo a sbarazzarmi di lei fisicamente, ma un po’ di più mentalmente – ma è una storia chiusa da un pezzo ormai, ci sono passato sopra. Qual è la via di casa tua, precisamente?»
«Tra due a destra, non puoi sbagliare. E’ una grande casa arancio, al 37»
Annuisco e mi rimetto a parlare, raccontandole di quanto mi piacerebbe trovare un posto per giocare a golf e di quanto vorrei vedere la mostra di Van Gogh di giovedì che si terrà in centro. 
Giro a destra sulla via che mi ha indicato Anita e mi metto a cercare il 37, fermandomi finalmente davanti ad una piccola casa arancione. Mi chiedo se ci viva da sola. 
Mi giro verso Anita per avvisarla che siamo arrivati ma la trovo addormentata sui sedili con una mano penzolante nel vuoto e l’altra appoggiata al suo viso. Sorrido e cerco nella sua borsa le chiavi di casa, poi scendo e la prendo in braccio, facendo piano per non svegliarla. 
Apro la porta di casa e la porto dentro, dirigendomi subito verso le scale che portano al piano di sopra. Camera di Anita è color lavanda, il letto a due piazze non aspetta altro che ospitare il suo corpicino e coccolarla per tutta la notte. La faccio stendere su un lato del letto, le tolgo le scarpe e il maglione e le rimbocco le coperte fino a sotto il collo lungo.
Anita mugola qualcosa di incomprensibile mentre le sposto le ciocche di capelli in eccesso da davanti al viso e poi le bacio la fronte. 
Scendo le scale e ho giusto il tempo di dare un’occhiata alla casa piccola ma accogliente quando mi sento chiamare dal piano di sopra. E’ appena udibile, ma lo sento.
Risalgo le scale a due a due ed entro in camera, dove Anita ha un occhio mezzo aperto. «Dean»
Mi siedo sul bordo del letto e la guardo, coi capelli sparsi sul cuscino bianco «Sono qui»
«Grazie»
Sorrido «E’ stato un piacere» Faccio per alzarmi dal letto ma lei mi blocca «Rimani»
Rimango sospeso a mezz’aria, insicuro. Non sono certo che sia totalmente conscia di ciò che dice.
«Non fare quella faccia, deficiente. Non è che visto che sei famoso voglio portarti a letto dopo neanche una settimana che ci conosciamo. Voglio ringraziare il ragazzo troppo alto che mi ha fatto passare la più bella serata della mia vita e voglio compagnia. E’ chiedere troppo?»
«No, non lo è – mi tolgo la giacca, le scarpe e mi corico accanto ad Anita – ma sappi che se provi anche solo ad avvicinarti perderò tutta la stima che ho di te»
Anita ride piano, prima di tirarmi un pugno e di girarsi verso di me. I suoi occhi castani si riflettono nei miei, poi lentamente li chiude e il suo respiro diventa più lento.


 


Miao!
Eccomi di nuovo qui, sebbene un po' in ritardo. Ma l'importante è esserci, no?
Vi chiedo subito scusa poiché non ho riletto il capitolo e quindi magari troverete qualche errore. Spero che questo capitolo vi piaccia, anche perché ho provato a spiegarvi un po' di più la vita che conduce Dean che, come avevo precedentemente detto, è un cantante solista.
Anita per quanto mi riguarda è un personaggio molto semplice, sia nei modi sia nel resto. 
Il finale è un po' aperto, non è successo nulla tra i protagonisti ma, chi lo sa, potrebbe? Largo all'immaginazione!
Comunque ho iniziato scuola e quindi credo che gli aggiornamenti non saranno regolari ahah
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Un beso,
Ale.

 

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Capitolo 3
*** 02 ***



Capitolo Secondo

02



In tutta la mia vita non avrei mai e poi mai pensato di finire in una galleria d’arte. Almeno, non di mia spontanea volontà.
Anita aveva passato gli ultimi due giorni a supplicarmi di portarla alla mostra di Van Gogh che ogni anno tenevano nel museo più grande di Melbourne, in centro, alla quale potevano partecipare solo pochi – ricchissimi – eletti scelti appositamente mesi prima.
Ovviamente Anita non era mai potuta andare, anche se ci aveva provato infinite volte, esibendo all’entrata il suo cartellino con la scritta “Studente di Arte all’Università di Melbourne” ed altrettante volte era stata trascinata via da un paio di omoni vestiti di tutto punto.
C’era da aspettarselo che, scesi un po’ più in confidenza, Anita mi avesse chiesto di procurare i pass – per lei e per me – per quella mostra e c’era da aspettarselo che avrei accettato senza pensarci due volte. A dire la verità ci avevo pensato, ma soltanto adesso che mi trovavo seduto su un divanetto in mezzo a gente di mezza età che non si degnava minimamente di buttare un occhio verso i numerosi quadri appesi alle pareti. Mi ero lasciato abbindolare da Anita e ora mi trovavo in trappola. Non avevo mai capito nulla di arte, per quanto al liceo mi impegnassi ad avere almeno la sufficienza, non mi era mai piaciuta un granché. Anita, invece, ne usciva letteralmente pazza. Era forse per quello che mi ero lasciato trascinare fino a lì: lei mi aveva talmente tanto riempito la testa di stronzate quali “Vincent Van Gogh non era un artista, era l’Artista con la A maiuscola!” e via dicendo che alla fine mi ero fatto trasportare anch’io da tutto quell’entusiasmo. 
Mi guardo intorno sorseggiando un bicchiere di Champagne che uno dei tanti camerieri mi aveva portato qualche minuto prima, poi, preso da non so quale forza divina mi alzo e mi metto a cercare la mia accompagnatrice che, per l’occasione, aveva tirato fuori dal suo armadio bianco e lilla un vestito color pesca che le faceva risaltare le poche curve che aveva – e non erano niente male, davvero – e non aveva smesso di sorridere neanche per un minuto da quando eravamo entrati mostrando i nostri pass all’ometto che, stizzito, aveva lasciato passare me ed Anita senza risparmiarsi uno sguardo riluttante verso la mia amica. Idiota.
Dopo aver vagato per le sale per una manciata di minuti, finalmente riesco a trovarla davanti ad uno dei quadri più famosi del pittore, un suo autoritratto datato 1889, fatto arrivare appositamente dal Musée d’Orsay di Parigi. Sorseggia anche lei il suo bicchiere di Champagne, anche se dubito che riuscirà mai ad arrivare in fondo a quel bicchiere, visto come arriccia il naso ogni volta che le sue labbra entrano in contatto col liquido in questione.
Rimango vicino al muro che separa le due sale, e mi limito ad osservarla da dietro. Anita non è particolarmente alta, anzi, è piuttosto bassa per la sua età, ma con i tacchi che porta stasera riesce quasi a superare le mie spalle. E’ buffo vederla ondeggiare qua e là per la sala in quel vestito lungo che le fascia le gambe toniche seppur non magrissime, sorridente come non mai. Rimango incantato per qualche secondo quando si piega per appoggiare il bicchiere su un tavolino già colmo di bicchieri vuoti e comincio a capire perché quei ragazzi nel bar le stessero tanto addosso. 
Anita, nel suo genere, è sicuramente una bella ragazza. Non una modella, c’è da ammetterlo, spesso risulta anche mascolina sotto certi punti di vista, ma stasera è davvero radiosa. Non riesco a toglierle gli occhi di dosso nemmeno per mezzo secondo, e non sono l’unico. 
Qualche attimo dopo un uomo – sicuramente troppo vecchio per lei – le si avvicina, sorridente, intavolando una discussione a proposito di un quadro. Non sono abbastanza vicino da sentire cosa si dicono, ma sono sicuro che a lui interessi meno di zero dei quadri. Dopo qualche minuto l’uomo si gira e le indica la porta d’uscita, la stessa dalla quale siamo entrati poco più di un’ora fa, sussurrandole qualcosa vicino all’orecchio. Lei ride, è imbarazzata e si vede, lo capisco da come si porta nervosamente i capelli dietro l’orecchio destro, così decido di avvicinarmi lentamente, senza dare nell’occhio, giusto per assicurarmi che vada tutto bene. Anita mi vede con la coda dell’occhio, ora sorride più serenamente, la sento parlare a voce più alta.
«Oh Rick, mi piacerebbe tanto, ma vedi, non penso che il mio fidanzato sia dell’idea» detto questo si gira verso di me, allungandomi un braccio che mi affretto a stringere «Vedi, è un cantante di fama mondiale e passa così poco tempo con me, non vogliamo sprecare neanche un secondo» mi sorride strizzando l’occhio, voltandosi di nuovo verso Rick e alzando le spalle, fingendosi dispiaciuta.
«Certo, immagino. Beh… Vi auguro una buona continuazione, magari un giorno ci vedremo ad un concerto» Mi guarda intimorito, accenna ad una stretta di mano e si divincola più velocemente di quanto mi aspettassi. Che cretino.
«Sei stato fantastico, un perfetto fidanzato che incute terrore ad ogni squallido corteggiatore!» Anita ride, stringendosi al mio braccio «Grazie mille del salvataggio Dean»
«E’ stato un piacere – più del dovuto, forse –. Si può sapere cos’è successo esattamente?»
«Oh, niente di che» Riprende a camminare per la sala, staccandosi dal mio braccio ma continuando a tirarmi per un po’ appresso a lei «Ha attaccato bottone parlando di quanto l’arte fosse importante al giorno d’oggi e per un attimo ci ero pure cascata, poi mi ha chiesto di andare a parlarne meglio nel suo hotel e allora ho capito che era esattamente come tutti gli altri» Fa spallucce «Cose che capitano a noi povere donne, sai.» 
«Immagino» Rido, lei con me.
«Stavo giusto per venire a cercarti, non ci siamo visti per quasi tutta la serata. Ti annoi?»
Ora non più.
«Affatto, solo non sono bravo a capire il significato profondo che ha l’arte»
«E’ perché non guardi oltre, Dean caro»
«Intanto se non era per me ora probabilmente staresti urlando cercando di scrollarti di dosso quel Rick»
«Probabile, ma l’importante è che mi hai levato da quell’impiccio e che siamo qui, no?» Mi sorride, uno di quei sorrisi che ti infondono fiducia, uno di quelli che ti costringono a venire ad una mostra di un pittore morto stecchito da anni e che te lo fanno fare pure col sorriso.
«Giusto» L’orologio segna mezzanotte passata, tra non molto scadrà il ticket per il parcheggio e l’ultima cosa che voglio è che Anita si becchi una multa per colpa mia «Dobbiamo andare»
«Di già?» Ha il viso rilassato, ma glielo si legge negli occhi che resterebbe tutta la notte ad osservare i quadri. Annuisco e lei si rassegna, dirigendosi verso l’uscita. Quando siamo praticamente fuori lei fa dietrofront e mi urla «Torno subito! Ho dimenticato una cosa» mentre corre maldestramente sui tacchi che ha deciso di indossare. Così maldestramente che ad un certo punto si ferma e se li sfila, riprendendo poi con quelli in mano.
Scoppio a ridere, mentre gli altri invitati mi rivolgono occhiatacce niente male, e mi appoggio ad una colonna ad aspettarla.
La sua testolina castana spunta dopo poco, i capelli sono ormai praticamente sciolti e in mano ha un vassoio pieno di tartine «Vai!» 
Non ho nemmeno il tempo di chiederle cosa le sia saltato in mente questa volta che lei esce a piedi scalzi e va diretta verso il suo pick-up parcheggiato in mezzo a tutte quelle porsche. Fa la linguaccia al buttafuori e salta in macchina, buttando i tacchi sui sedili posteriori e divorando le tartine. 
«Tu sei completamente pazza, spero vivamente che me ne lascerai almeno uno!» le dico, allacciandomi la cintura e uscendo dal parcheggio.
«Uno solo però, stavo morendo di fame lì dentro! Come fanno i ricchi a mangiare così poco? Eppure ce li hanno i soldi!» Ride, sporgendosi per infilarmi una tartina in bocca senza preavviso. Per poco non mi strozzo per colpa sua.
«Scusa!» mi tira un violento colpo sulla schiena e torna a dedicarsi alle sue tartine.
«Dov’è finita la ragazza della mostra? Era così femminile» la rimbecco sogghignando.
«Non penso sia mai esistita caro Dean, pensavo che ormai lo sapessi»
«Temo che ci dovrò fare l’abitudine» Anita mi fa l’occhiolino e sorride, mentre sfrecciamo sotto le luci che contornano le notti di Melbourne.

La cosa peggiore è che mi ci sono già abituato, fin troppo.
 


Miao!
Lo so, lo so, è passato tantissimo tempo. Vi chiedo infinitamente scusa, ma c'era la scuola e per un po' ho avuto uno specie di blocco. Mi spiace avervi fatto aspettare così tanto!
Tengo subito a dire – per chi seguiva questa storia prima che apportassi questi cambiamenti – che la storia è slittata dal fandom dei One Direction alle originali perché, in fin dei conti, i caratteri dei personaggi, così come le vicende e tutto il resto erano frutto della mia immaginazione, per questo ho deciso di apportare questo cambio – bello grosso, sì – e di smettere di dormire sugli allori. Ero troppo pigra per farlo prima, ma l'anno nuovo mi ha svegliata un pochetto!
Passando al capitolo, è bello lungo e particolarmente incentrato sui pensieri di Dean che, come potete vedere, sta iniziando a provare qualcosina per Anita. Ancora non sa bene cosa sia esattamente e come comportarsi, però presto ci arriverà.
C'è molto poco di Anita qui, o meglio, di quello che pensa lei. E' una pazza scatenata, ma a me piace vederla così, molto semplice e un po' fuori dal comune. Nei prossimi capitoli vedrò di darle più voce proprio attraverso le sue parole.
Spero di non avervi annoiati!
Chiedo scusa per eventuali errori ma non ho avuto tempo di ricontrollare! Per sapere quale quadro stesse guardando Anita quando ha incontrato Rick cliccate
qui. (Sono andata a Parigi a vederlo, bellissimo). La gran parte delle cose dette su Van Gogh – dette da Anita, non da Dean ovviamente – le penso davvero.
Ringrazio infinitamente chiunque abbia recensito e messo nelle seguite la mia storia. E' il mio piccolo gioiellino.
Un bacione, al prossimo aggiornamento!
Ale.

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Capitolo 4
*** 03 ***



Capitolo Terzo

03




«Dean? Dean muoviti ad uscire da quel bagno! Dobbiamo andare, altrimenti non ci accetteranno più!»
Anita urla seduta sul letto appena al di fuori del bagno dentro al quale sto da più di venti minuti. Ci stiamo preparando per una gara di golf di cui abbiamo sentito parlare ieri sera, in un bar. In palio ci sono 100,000 dollari. Una bella somma, di cui non ho bisogno. Il mio lavoro mi da' già più di quanto possa usare, quindi all’inizio, quando Anita mi aveva proposto di partecipare, non avevo capito. In seguito mi aveva spiegato che, da piccola, suo padre le aveva insegnato a giocare e che quei soldi le sarebbero serviti giusto per non avere l’acqua alla gola mentre continuava a cercare lavoro. Il suo ragionamento non aveva fatto una piega, così avevo acconsentito ad accompagnarla. 
Anita mi aveva anche assicurato che, dopo la sua vittoria – aveva detto proprio così! – saremmo andati a bere da qualche parte in centro con un paio di suoi amici, tali Colin, Greg e Ronda. L’idea mi alletta, perché conoscere i suoi amici significava entrare un po’ più a fondo nel suo piccolo mondo.
Come se avessi del tempo per queste cose: ancora una settimana e tornerò a casa, a Winchester; a cosa serve provare a conoscere meglio Anita, tutte le sue sfaccettature, i suoi segreti, le sue paure?
Scuoto la testa ed esco finalmente dal bagno, mentre un’agitata Anita mi urla «Finalmente! Sei peggio di una donna, santo cielo, sbrigati!» Afferra la giacca e corre giù dalle scale, saltando prontamente dentro al suo pick-up e battendo nervosamente i piedi. La raggiungo ridendo, vederla in quello stato mi mette sempre di buon umore, metto in moto e partiamo alla volta del campo da golf.
Dopo un paio di minuti Anita controlla l’ora, ripetendo il gesto per i successivi minuti. Tengo le mani sul volante, ma non posso fare a meno di notare quanto sia in ansia «Sai, dovresti calmarti»
«Calmarmi?» Mi rivolge uno sguardo truce.
«Nel senso… Rilassati. Se vinci, bene. Se perdi troveremo un altro modo per i soldi»
«Facile a dirsi per uno a cui escono anche dalla tazza del cesso…»
«Anita...»
«… E poi volevo sbattere quei soldi in faccia ai miei genitori. In fondo da quando sono uscita di casa loro non sono mai stati orgogliosi di quello che ho fatto, specialmente dell’università. Una volta sono venuti a casa a trovarmi e mia madre ha avuto il coraggio di dirmi che tutto quel lilla le faceva venire il voltastomaco. Insomma, il lilla è il mio colore preferito!»
«Anita»
«Capisco che volessero tenermi a casa con loro, che volessero che continuassi la tradizione di famiglia andando a fare legge alla stessa università in cui si sono laureati e dove si sono conosciuti, però dai, legge? Io? Mi ci vedi? Io ho bisogno di mettere vestiti larghi e colorati, non quel nero moscio che vedevo sempre negli armadi di mia madre! Ho bisogno di poter far svagare la mente, di ridere, di fare qualcosa che mi piace…»
«Anita!»
«Oh insomma, cosa vuoi?» Punta gli occhi castani verso di me, carichi di insicurezze e desiderio di riscattarsi. Ho il forte impulso di abbracciarla, è più forte di me, ma fortunatamente riesco a contenermi.
«Siamo arrivati»
Lei si guarda intorno smarrita, quando realizza che siamo fermi nel parcheggio fuori dal campo «Ah» Ribatte secca, ma so che non vorrebbe essere così dura «Scusa» Sussurra poi, scendendo dalla macchina. Per tutto il tragitto resta in silenzio a tormentarsi le mani, lanciandomi qualche occhiata ogni tanto sperando di non farsi vedere. Ma io la vedo, la vedo eccome. E’ da quando siamo usciti da quel concerto, nemmeno una settimana fa, che la vedo. La vedo in ogni cosa che faccio, in ogni messaggio che ricevo. Da quando l’ho vista addormentarsi sotto il mio sguardo la vedo, vedo il suo sorriso smagliante in tutto quello che fa, la passione che mette nelle cose che le piacciono, la sua testa dura. La vedo anche nelle chiamate del mio agente, che mi ricorda fastidiosamente del concerto che mi aspetta a Londra tra due settimane, e allora fingo di smettere di vederla, mi dico che non posso permettermi una cosa del genere, specie dopo Leslie. 
«Ci sei?» Anita saltella davanti a me, sventolandomi una mano davanti al viso e colpendomi maldestramente il naso «Scusa! E’ che ci hanno dato il numero della buca da cui partire e pensavo di dovertelo dire»
Mi riscuoto dai miei pensieri e le sorrido leggermente «Ma io non gioco»
«Lo so, però non hai mica di lasciarmi qui tutta sola, vero?»
«No… No, certo che no. Andiamo, su!» La prendo a braccetto quasi sollevandola e vado verso la buca numero 3, dove prontamente Anita si sistema per giocare.
Prende la mazza da golf dalla sacca sulle mie spalle e prende la mira verso la buca. Le persone intorno a noi la fissano in silenzio, aspettando la sua mossa. Probabilmente non scommetterebbero un centesimo su di lei, ma io mi fido delle sue capacità.
Anita colpisce la pallina e, lasciando tutti basiti, segna una buca in uno. Sorride vittoriosa e sfila davanti alle altre persone con la mazza in spalla «Vieni, andiamo alla buca 7» E mentre si allontana la sento sogghignare.

 

Sono passate due ore da quando siamo arrivati e Anita, contro ogni previsione – degli altri concorrenti, s’intende – è una finalista. Sono rimasti in due, lei e un omaccione che avrà si e no cinquant’anni, dall’aria tutt’altro che simpatica. Siamo arrivati all’ultima buca, la numero 32, e la gente presente inizia a scommettere su chi vincerà. Anita è piuttosto votata, ma l’omone ha la maggioranza dei voti. L’ho osservato giocare e devo ammettere che non è niente male, ma sono sicuro che Anita non si lascerà impressionare e che, anzi, lo schiaccerà portandosi a casa i soldi.
Lei è stranamente tranquilla, molto diversa da come l’ho vista un paio di ore fa dentro la sua macchina.
Si preparara e, prima di tirare, mi sorride e mi fa l’occhiolino. Le sorrido di rimando, spero vivamente che vinca. Ha bisogno di quei soldi. Lei prende fiato e colpisce la pallina, così dopo tre tentativi il giudice dichiara che se l’altro concorrente – che a quanto pare si chiama Carl – farà meno di tre tentativi avrà vinto, altrimenti o perde o ci sarà uno spareggio. 
Anita è piuttosto soddisfatta di sé e si appoggia al mio braccio, in attesa della mossa di Carl. Le scompiglio i capelli come se fosse una bambina «Andrà tutto bene».
Dopo varie prove Carl fa buca in quattro colpi. Ahi ahi Carl, ti è andata male stavolta!
Butto la sacca per terra e prendo Anita in braccio, la quale stava iniziando a piangere essendosi accorta di avere effettivamente vinto. La faccio girare e lei ride, mentre le lacrime le scivolano lungo le guance; la gente intorno applaude, Carl batte i piedi e impreca, andandosene furioso.
Faccio tornare Anita con i piedi per terra, che rimane a pochi centimetri da me, continuando imperterrita a ridere. Le asciugo le lacrime con una mano, l’altra è ancora sul suo fianco. Ci guardiamo per qualche secondo, forse sono pazzo ma penso che Anita stia cominciando a piacermi. Lei smette di ridere e mi guarda sorridente «Ho vinto Dean, ho i 100,000 dollari»
«Lo so»
«Sono così felice»
«Credimi, lo so» Sto per avvicinarmi ulteriormente quando il giudice sbuca dietro Anita – da dove è saltato fuori? – con l’assegno in mano «Congratulazioni»
Anita lascia la presa sulle mie braccia e si gira verso il giudice, ignorando la sua stretta di mano e abbracciandolo «Grazie, grazie davvero!» Il giudice rimane un po’ spiazzato, io pure – d’altronde mi stava abbracciando! – e quando Anita gli sfila il grosso assegno dalle mani capisce che è il momento di andarsene.
«Oh, quando lo vedrà mia madre!» Cinguetta Anita, camminando verso la macchina. Ci metto un po’ a capire effettivamente cosa sia successo, e solo quando Anita mi chiama riesco a seguirla.

 

«100,000 dollari? Wow ragazza, avrei voluto vedere la faccia di tua madre quando gliel’hai detto!» Greg sorride e Anita ride «Dovevi sentirla! Sembrava avesse appena avuto un infarto! Ha dovuto passarmi mio padre tanto era scossa»
Siamo seduti ad un tavolo di uno dei bar più affollati di tutta Melbourne insieme a Colin, Ronda e Greg, Anita ha appena finito di raccontare gli eventi accaduti oggi e sorseggia la sua birra, brindando ogni due per tre.
Come aveva programmato siamo a festeggiare la sua vittoria e così sono riuscito a conoscere anche i suoi amici. Dei tipi niente male, devo dire. Ronda è una ragazza dalla carnagione un po’ scura – forse è mulatta – mentre Colin è un ragazzo biondissimo con gli occhi castani. Inutile dire che insieme formano una coppia alquanto singolare. Greg invece è solo, ed è l’amico storico di Anita. Si conoscono da anni ormai, è stato uno dei pochi che l’hanno sostenuta quando ha deciso di andarsene da casa dei suoi ed è stato lui a presentargli Ronda e Colin. Un vero amico, no?
«Tu Dean cosa fai per vivere?» Colin mi sorride dall’altro lato del tavolo mentre stringe la mano della sua ragazza «Sono un cantante»
«Ed è anche bravo! Un vero cantante!» Anita mi sorride seduta accanto a me.
«Un cantante? Oddio, allora…» Ronda mi squadra da capo a piedi, io la guardo confuso. Magari è venuta ad un mio concerto, o mi ha visto su qualche giornale. Sono molte le possibilità.
«Ronda, vuoi dirci che sei una sua fan sfegatata e vuoi chiedergli un autografo?» Greg ride mentre Ronda cerca qualcosa nella borsa, lanciandogli un’occhiataccia «Ah, ecco qui!»
Butta sul tavolo un giornale di gossip aperto ad una pagina dove ci sono delle foto. Ci metto un po’ a riconoscere le figure immortalate e così fanno gli altri, e rimango basito quando mi accorgo che siamo io e Anita che lasciamo la mostra di Van Gogh. Sopra le foto troneggia la scritta “Il famoso cantante Dean Rogers paparazzato mentre esce da una famosa mostra d’arte in vacanza in Australia, con quella che sembrerebbe essere la sua nuova fidanzata
Sbianco all’istante, e così fa Anita. Non so cosa dire, non pensavo che i paparazzi mi avessero seguito fin qui e benché meno che si inventassero una storia tra me ed Anita.
«All’inizio pensavo che fosse tutta una balla, cioè, nella foto era Anita ma non poteva essere davvero lei» Ronda ci guarda intensamente «Ma poi eccovi qui e quando mi hai detto di essere un cantante ho collegato tutto, ho capito che era tutto vero»
«Beh, non tutto» Preciso, guardando con la coda dell’occhio Anita «Non stiamo insieme»
«Ah no?» Noto che il tono di voce di Greg è leggermente più alto del normale. Probabilmente ha una cotta per lei e io mi sono appena tolto di mezzo. 
«Ecco… No» Anita è in imbarazzo, ha le guance più colorite del solito e lo si capisce dal tono di voce.
«Beh, problema risolto allora! Greg si era così preoccupato dopo averti sentito parlare così tanto di questo Dean che temeva di non avere più speranze con te!» Beccato.
Greg sferra un calcio così forte a Colin che lo sentono pure i ragazzi seduti nel tavolo accanto a noi «Stai zitto»
Le guance di Anita hanno ripreso colore, ride «Greg sa che sono lusingata e che non cerco un uomo dall’età di diciannove anni»
Mi sembra una cosa ragi… No aspetta, cosa?
«Ma hai ventunanni!» Sbotto, provocando le risate dei miei compagni meno che di Greg.
«Appunto per questo, non sono ancora riuscita a trovare qualcuno che mi spinga a cambiare idea. Scusa Greg» Greg le sorride leggermente «E adesso, brindiamo ai miei 100,000 dollari!»

 


Miao!
Sono tornata con un aggiornamento puntuale. Lo so, è strano anche per me, ma mi ero imposta di finire la storia e ultimamente ci sguazzo dentro, quindi sono ben felice di aggiornare.
Allora, questo capitolo è un po' lungo e perciò mi scuso, mi ero fatta prendere dalla voglia di scrivere di questi due scemetti. Come potete ben vedere, Dean ora è sicuro di provare qualcosa per Anita e visto che anche se succedesse qualcosa (anche se non sa i sentimenti di lei a riguardo) non avrebbe lieto fine, poiché vivono lontani, cerca di limitarsi. Entra in scena anche questo Greg, un po' timido, un po' impacciato. E' dolce, mi piace scrivere di come sia stato friendzonato
Poi ovviamente ci sono i 100,000 dollari vinti dalla nostra Anita! Una bella somma direi, specie per una disoccupata.
Tenete bene a mente l'articolo di giornale e la storia della famiglia di Anita, potrebbero (non faccio spoiler ma...) tornare fuori e vi serviranno tutte le cose dette precedentemente.
Che dire? Spero che vi sia piaciuto il capitolo!
Un grazie infinito a chi segue la storia e a chi la recensisce, mi fate immensamente felice.
Un bacione, al prossimo aggiornamento!

Ale.

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