Angels di Misukichan (/viewuser.php?uid=196728)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The white side ***
Capitolo 2: *** Vittima di una fortuna sfacciata ***
Capitolo 3: *** L'incontro con mio padre ***
Capitolo 1 *** The white side ***
- Ciao
ragazze & ragazziii! Allora, questo è un mio nuovo
progetto che ho in mente. Tutto frutto della più sfrenata
fantasia!
- Non
so se proseguirla perchè... per varie ragioni ecco. (Ok,
sono troppo insicura per andare avanti senza di voiii
ç_ç, lo ammetto). Se ti piace questo inizio, ti
prego, fammelo sapere! Se la storia piace la continuerò
proprio come ho in mente muahah :3
- Cammino
lentamente, il rumore dei miei passi è accompagnato
da una leggera pioggerellina. Il cielo è grigio e nuvoloso,
le strade deserte e silenziose. Il vento d'autunno mi incalza a
proseguire più velocemente, sono quasi arrivata a
destinazione. Uno strano brivido mi percorre la schiena, mi sento
come... osservata da qualcuno. Volgo lo sguardo a destra e a sinistra
ma non c'è nessuno, sono sola.
- Pochi
minuti dopo arrivo a casa, è una piccola abitazione
vicina al fiume. Non appena mia madre li vide, si innamorò
di quell'acqua limpida, degli alberi verdi e della
tranquillità e pace di quel posto. Ci trasferimmo quando ero
molto piccola, mia madre non ha mai amato le grandi città,
le folle, e in generale la gente. A volte sembra quasi voglia tenersene
il più possibile alla larga. La casetta del fiume era
ciò che faceva al caso suo. Ci viviamo da sole.
- Non
ho mai conosciuto mio padre, l'unica cosa che ho di lui
è una fotografia un po' sciupata, mi teneva fra le braccia
amorevolmente, come solo un padre sa fare, sorridente, gli occhi velati
di malinconia.
- E'
scomparso quando ero molto piccola, la polizia non è mai
riuscita a trovarne le tracce e il caso, ormai a distanza di
diciassette anni, è ancora aperto.
- Nonostante
non l'abbia mai conosciuto, mi manca. E' come se una parte
di me lo conoscesse.
- «Mamma,
sono a casa.» Richiudo la porta d'ingresso
dietro di me, sbattendola. La casa è silenziosa.
- «Mamma?»
- Attraverso
il corridoio e raggiungo la cucina. Il solito profumino che
tutti i giorni mi invade le narici quando torno da scuola, il rumore
della mamma affaccendata a preparare il pranzo, oggi sono assenti.
- Non
ricordo che mi abbia detto di dover uscire.
- Mi
siedo sul divano, in attesa.
- Non
sono molto in pensiero, mia madre è una donna forte,
indipendente. Si è sempre arrangiata da sola. Le vicine si
sono offerte di farmi da babysitters quando ero piccola, di andare a
comprarle il pane, lei, rifiutando gentilmente, ha mostrato a tutti il
suo lato duro. E' sempre stata felice, anche se sola. Da lei ho preso
tanto, il colore dei capelli e i lineamenti del naso e degli zigomi, ma
anche il carattere forte.
- L'improvviso
rumore che proviene dalla mia camera mi desta di
soprassalto, mi alzo in piedi spaventata.
- E'
un rumore di passi, poi di cassetti e armadi che si aprono, qualcosa
cade a terra e poi altri passi. Non può essere mia madre,
essendo lei infinitamente calma, paziente e delicata.
- Il
più silenziosamente possibile mi dirigo verso la cucina e
afferro il primo coltello che trovo, in preda all'agitazione. Mi dirigo
cauta contro la porta dietro la quale qualcuno sta cercando, senza
ombra di dubbio, di derubarci. Apro la porta di scatto, punto il
coltello.
- Una
testa si gira sorpresa, poi uno scatto e la mia unica arma
è per terra. Mi ritrovo spiaccicata alla parete, il respiro
mozzato, la gola secca e stretta in una morsa di dolore.
- Il
mio polso è bloccato da un braccio forte e muscoloso. Il
mio corpo è schiacciato contro quello di qualcun'altro. Quel
qualcun'altro si rivela essere un ragazzo, probabilmente sulla ventina.
E' così giovane e bello per essere un ladro che quasi mi
dispiace per lui.
- «Ti
dispiace per me, Emily? Non credi che forse sia io, a
dispiacermi per te?» smetto di respirare.
- «C-come
conosci il mio nome?» chiedo con un filo di
voce. La sua mano stretta intorno alla mia gola mi mozza il respiro, mi
gira la testa e un forte senso di nausea mi assale.
- Una
risata glaciale.
- «Me
lo stai davvero chiedendo, Emily? Non mi
riconosci?» la sua voce è forte, dura, malvagia.
«Smettila con questi giochi, tu sai di cosa ho
bisogno!» la sua stretta si fa più forte, cerco di
tossire ma non ci riesco. Penso a dove siano i soldi. La mamma li tiene
in soffitta, in un cassetto chiuso a chiave.
- La
mia vista si offusca, sto per morire, lo so.
- Mi
è capitato, un paio di volte, di riflettere
sulla morte. Mi vedevo anziana, in una bella casa, con una famiglia.
Non avrei mai pensato di morire giovane, per mano di un malato mentale
che cerca di derubarmi.
- «Malato
mentale?! Pensalo di nuovo, se hai il
coraggio!» il suo volto è furioso. «Non
è stato facile abbattere tuo padre, perlomeno pensavo che
avresti preso da lui. Invece mi ritrovo fra le mani una mocciosa a dir
poco inutile. Muori.»
- Non
respiro più da qualche secondo, mi ha quasi strangolato,
le lacrime mi rigano numerose le guance, quando all'improvviso la porta
si spalanca e mia madre compare.
- «Lasciala
andare!» le sue mani emanano una strana
luce azzurrina. Subito la morsa mortale delle sue mani si scansa, come
scottato.
- Io
cado a terra, svenuta.
- Apro
gli occhi.
- Sono
sdraiata nel mio letto, la mia stanza è illuminata dal
sole che si affaccia alla mia finestra, già alto nel cielo.
- Mi
metto a sedere. Sono le 10:30 e io mi sono appena svegliata
dall'incubo più reale che abbia mai avuto. Mi sento ancora
le sue mani sulla gola, che stringono forti. Il mio respiro spezzato,
le lacrime umide sulle guance.
- Esco
dalla mia camera e vedo mia madre, intenta a riempire due enormi
borsoni, frettolosamente, correndo di qua e di là, in preda
all'ansia.
- «Mamma,
va tutto bene?» chiedo, «Che cosa
stai facendo?»
- «Tesoro,
dobbiamo andarcene da qui.»
- Non
si ferma a guardarmi come al solito, ad abbracciarmi.
- «Mamma,
mi vuoi spiegare che succede?!»
- «Non
ti ricordi nulla...?» finalmente si ferma, in
mano ha un paio di pantaloni vecchi che non le vedo indosso da anni.
- «Ricordare
cosa? L'unica cosa che so è che mi sono
appena svegliata da un terribile incubo e che tu stai facendo le
valigie per qualche strano motivo che non mi hai ancora
rivelato!»
- Posa
i pantaloni sul letto, poi sospira.
- «Quello
di ieri non era solo un incubo. Quel ragazzo...
esiste davvero.»
- Mi
impietrisco. Mia madre mi ha appena rivelato che quel ragazzo dai
capelli neri che ha cercato di uccidermi esiste davvero.
- Non
ribatto, non so cosa dire. Mi sembra una situazione troppo assurda
da credere, ma mia madre, di fatto, ha parlato di un ragazzo. Io non le
ho rivelato questo particolare.
- Che
sia successo davvero? La possibilità di questa nuova
realtà mi si rovescia addosso come una secchiata d'acqua
gelata.
- Cerco
di ricordare le mie ultime 24 ore. Mi sembra impossibile che
possa essere avvenuta una cosa del genere.
- «Siediti,
Emily. E' il momento che io ti parli di alcune
cose.»
- «Quali
cose, mamma? Adesso mi sto davvero spaventando! Che
diavolo sta succedendo?» mi siedo velocemente accanto a lei,
guardandola ansiosa, aspettando con impazienza che si decida a parlare.
- Lei
mi guarda, come in attesa di qualcosa. Sembra nervosa, si sta
trattenendo.
- «Si
tratta di tuo padre» dice infine.
- «Mio
padre?» le chiedo confusa.
- «Sì,
Adam. Tuo padre. C'è qualcosa che
devi sapere su di lui» mi spiega, ora un po' più
calma e confidente.
- «Tuo
padre non è scomparso. Se n'è
andato.»
- La
guardo confusa, senza capire bene.
- «E'
una persona molto speciale. Ti ha sempre voluto un gran
bene... e te ne vuole ancora.» Si interrompe un secondo, poi
prosegue.
- «Ho
conosciuto tuo padre due anni prima che tu nascessi. Ho
sempre notato una diversità, in lui. Inizialmente pensavo
fosse perchè mi ero invaghita di lui, sai, avevo appena
finito gli studi e cominciato un nuovo lavoro, era un periodo
importante per me, e quando è arrivato tuo padre... ha
sconvolto tutto. Ci siamo innamorati, ha preso il mio cuore come mai
nessuno aveva fatto. Ho passato i due anni più belli della
mia vita, con lui. Fino a quando mi ha rivelato cosa fosse realmente.
So che ti sembrerà assurdo, all'inizio non ci crederai, ti
sentirai tradita dalle verità che ti sono state nascoste,
abbiamo dovuto farlo per te, Emily.» lo sguardo che mi
rivolge è pura tristezza. «Tuo padre è
un Angelo Bianco.»
- «Ok,
credo di averti persa quando hai pronunciato le parole
Angelo e Bianco. Che cosa stai dicendo? Che è
morto?»
- «No.
Gli Angeli Bianchi fanno parte del più alto
livello gerarchico mai esistito sulla terra. Sono vivi. Sono in mezzo a
noi. Ci proteggono.»
- «Che
cosa intendi con "ci proteggono"?»
- «C'è
chi crede negli Angeli, c'è chi
no, e poi c'è la verità, che è basata
su fatti concreti, realtà assoluta, inattaccabile: Gli
Angeli esistono. Sono in mezzo a noi, ci proteggono dalla
malvagità, ci pongono davanti a scelte difficili e ci
preparano, incosciamente, a diventare più forti. Anche se
noi non ce ne accorgiamo.» la sua espressione è
seria. Nessuna traccia di ironia, o di un qualche tipo di scherzo poco
divertente. Il suo volto è talmente serio che quasi ci
credo.
- «Q-quindi,
presumiamo che questi Angeli esistano veramente,
mi stai dicendo che esistono anche i diavoli, o i demoni?»
- «No.
Esistono gli Angeli Neri, quelli malvagi. La conosci la
leggenda di Lucifero, no? L'angelo caduto dal cielo e sprofondato nelle
viscere più profonde della terra. Diciamo che la leggenda
è stata tramandata oralmente per molti anni, quindi
è stata modificata nel tempo. Non è che Lucifero
si trovi fisicamente al centro della terra.» Sorride, quando
vede che non ricambio si fa sull'attenti e ritorna seria.
- «So
che avrai molte domande da pormi, in questo momento.
Perchè non andiamo a preparare il pranzo insieme,
così potrò chiarire ogni tuo
dubbio.»
- La
mia mente è annebbiata, sono in uno stato di confusione
psicologica. Tutta la realtà che conoscevo fino ad oggi si
è appena rivelata incompleta, parziale.
- «Chi
è mio padre? Perchè ha dovuto
lasciarci? E chi era il ragazzo di ieri?»
- «Tuo
padre è un grande Angelo Bianco, uno dei
più leali, fedeli e corraggiosi Angeli. Molti anni fa, ha
giurato fedeltà a uno delle più grandi e potenti
creature celesti mai esistiti, Nathanael. Egli non è un
semplice Angelo, è un Serafino, il più alto
Ordine Celeste, primo fra i tre grandi ordini gerarchici degli Angeli.
Il loro fu un patto di sangue molto potente. Nathanael donò
il suo sangue ad Adam, tuo padre. Il sangue di Serafino è il
più grande potere, la più potente arma celeste
che esista concretamente. Per questo ieri quell'Angelo Nero era qui.
Era alla ricerca di qualche indizio, pensano che tu sia coinvolta.
Vogliono impossessarsene. Per questo motivo io sono qui, ti devo
proteggere, a costo della vita.»
- «Perchè
vogliono me? Io non ne so nulla. Ho appena
scoperto che mio padre è un...» mi fermo.
Pronunciare quella parola significa ammettere la loro esistenza. Non
sono sicura di volerlo fare.
- «Puoi
dirlo, mica succede qualcosa.» ride mia madre.
- «Un
Angelo.»
- «Pensano
che tu sia coinvolta.»
- «Ma
che cos'è questo grande potere, quest'arma? E
dov'è?» chiedo io, riflettendo.
- «Le
mie conoscenze si fermano qui, io sono solo umana, tuo
padre mi ha privato di questa conoscenza perché gli Angeli
possono leggerci nella mente, nell'anima. L'avrebbero già
ottenuta.»
- Rifletto
sulle sue parole. Mi immagino mio padre, il suoi lineamenti.
Estraggo la sua fotografia dal mio portafoglio e la osservo,
sfiorandogli il viso con un dito. Non mi sembra un Angelo, mi sembra un
normale essere umano.
- «Hai
i suoi stessi occhi blu.» dice mia madre, in
preda alla commozione, asciugandosi il viso.
- «...Posso
conoscerlo?»
- «Fidati
di me, quando sarà il momento si
farà vivo lui.» Mi sorride ora lei, preda di
chissà quali pensieri felici.
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Capitolo 2 *** Vittima di una fortuna sfacciata ***
- Ciao
a tutti! :D Eccoci al secondo capitolo di questa storia-esperimento. Se
il primo era più un prologo che un primo capitolo, qui
comincio, piano
piano, a dare forma alla storia che ho già in mente, anche
se
ovviamente siamo solo all'inizio e c'è ancora tanto da
introdurre.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo e, se avete domande,
non esitate a chiedere nelle recensioni!
Un bacione e vi lascio al vostro capitolo,
M.
- E
così ce ne siamo andate, abbiamo abbandonato la mia unica
certezza:
la nostra casa, la scuola. Secondo mia madre, quella era l'unica
soluzione possibile. Scappare.
- «Non
so nemmeno da chi sto scappando.»
- «Non
c'è bisogno di saperlo, non è importante da chi
stai
scappando, ma da cosa.»
- E'
strano parlare di queste cose assurde in macchina, in mezzo a
centinaia di altre persone, ignare della possibile esistenza di
queste... creature; gli Angeli. Sebbene sia passata ormai una
settimana e mezza, non riesco ancora ad accettare l'idea che
esistano, non
riesco a capacitarmene.
Fatico a pronunciare la parola stessa, sono ancora
sotto shock.
Credo a mia madre, so che non mi mentirebbe mai in
maniera così assurda, ma una parte della mia mente ha
bisogno di
conferme. Ha bisogno di vedere il volto di mio padre. Ho bisogno di
parlargli, saperlo qui, vederlo
qui.
- «Dove
stiamo andando di preciso?» chiedo a mia madre. Sta guidando
in
autostrada già da parecchie ore, so che è stanca.
Sul suo viso è
dipinta un espressione corrucciata, ma decisa.
- «Ti
porto da una mia cara amica, mi ha sempre aiutato con te.»
- «Pensavo
te la fossi sempre cavata da sola.»
- «Lei
è speciale» si giustifica lei, come a volerla
difendere. «Se lei
non ci avesse aiutate entrambe, non saremmo qui, ora»
conclude,
cercando di mettermi a tacere.
- «Di
chi si tratta?» la mia curiosità, alla fine, vince
sul resto.
- «Aspetta
e vedrai» mi risponde lei, enigmatica.
- Siamo
in Michigan, lo so perchè è il luogo della mia
infanzia, prima che
ci trasferissimo alla casa sul lago. Ricordo ancora quei luoghi,
seppur lontani, ancora vagamente familiari.
- Mi
sporgo dal finestrino, le cuffie alle orecchie, intenta
ad
osservare tutto quel verde spontaneo.
- Sbuchiamo
in una via di case alquanto anonime, progettate tutte allo stesso
modo. Noto che mia madre, dopo aver osservato bene gli edifici,
accosta di fianco al marciapiede, spronandomi a scendere dalla
macchina.
- Non
ho idea del quartiere in cui mi trovo, né del
perchè siamo qui.
- In
questo caso, so di dovermi solo fidare, di mia madre e... del mio
istinto.
- La
casa è piuttosto semplice, non c'è nulla che
attiri la mia
attenzione in particolare. Delle campanelle annunciano il nostro
arrivo e, dopo pochi minuti, una signora piuttosto in carne ci
accoglie all'interno, dove un delizioso profumo di coockies mi invade
le narici e mi ricorda i vecchi tempi.
- «Avete
trovato traffico, Madlyn?» la signora, di cui ancora non so
il nome,
si rivolge a mia madre. Il fatto che mi stupisce è la
confidenza con
cui lo fa, come se la conoscesse da sempre. Poche persone conoscono
il vero nome di mia madre.
- «Non
più di tanto, ci siamo fermate a
fare
un paio di soste. Non ci sono stati incidenti, come
speravamo.»
Madlyn, mia madre, le lancia uno sguardo eloquente,
a cui prontamente l'altra risponde.
- Finalmente,
la donna dai capelli forti si gira verso di me: «Sei
cresciuta
tantissimo, Emily» poi continua: «Io
sono Kea.»
- La
sua figura è scura, rotonda e le sue braccia sono tatuate. Se
la sua sola figura mi incute timore, il luogo in cui vive è
strano
il doppio. Le pareti sono tutte tappezzate di orologi di diversi tipi
e dimensioni, che provocano un continuo ticchettìo udibile
in ogni
parte della casa.
- Il
mio sguardo viene attirato da una strana caffettiera che sta
producendo uno strano rumore, sembra quasi stia per esplodere.
- «Deduco
dal suo sguardo che tua figlia non sia ancora a conoscenza di nulla,
mi sbaglio?»
- «Siamo
state attaccate ieri. Ho dovuto parlargliene subito.»
- «Perchè,
altrimenti non l'avresti fatto?» chiedo secca.
- Le
due donne si scambiano un altro sguardo espressivo.
- «Emily,
so cosa stai provando in questo momento.»
- «No,
lei non lo sa. Non sa nulla di me.» Tutta questa situazione
assurda
comincia a darmi sui nervi. Non sopporto quando sono all'oscuro delle
cose per troppo tempo, la mia poca pazienza è svanita nel
nulla.
- «Nessuna
notizia dall'Angelo Bianco?» chiede
la più anziana, accompagnandoci ad un tavolo di legno.
- «Nulla,
Kea.» La voce di mia madre sembra incrinarsi.«Non
c'è molto da fare, se non nascondersi. Non abbiamo forza;
abbiamo bisogno di qualche contatto. Per il momento bisogna che Emily
si ambienti alla sua nuova realtà scolastica.
- Sono
stanca di essere ignorata, mi
schiarisco la voce.
- «Se
permettete, avrei qualche domanda a cui pretendo una risposta, dopo
tutto il tempo che mi avete fatto aspettare.»
- Le
due donne si voltano verso di me, mi rivolgo a mia madre:
«Come hai
fatto a sconfiggerlo, ieri?»
- «Se
ti riferisci all'Angelo
Nero,
non l'ho sconfitto, è scappato.»
- «Come?»
- Kea
rovista tra alcune sue cianfrusaglie, poi tira fuori una collana. Una
lunga e spessa catenina argentata sostiene una perla azzurrina,
è
molto bella.
- «Con
questa. Ci sono molte cose che devi sapere, ma non così in
fretta.
Mettiti questa al collo, e non liberartene per nessuna ragione, mi
hai capita?» guardo la catenina e poi Kea. «Che
cos'è?»
- «Ti
proteggerà.» E' l'unica cosa che mi risponde.
- ~
- Entro
decisa la porta di
quella che è la mia nuova scuola. Da una parte, so che mi
mancherà
la vecchia e i pochi amici che avevo, dall'altra so che non sarebbe
potuto essere come prima, perciò, piuttosto che un
cambiamento
parziale, meglio cambiare completamente. La nuova scuola è
più
grande, i corridoi
più ampi e gli studenti
più numerosi. Secondo mia madre, più grande
è la scuola, meglio è
per me e per la nostra discrezione.
- Entro
nell'ufficio della
segreteria, pronta a consegnare tutti i moduli per
l'iscrizione. Alla scrivania è seduto un uomo dalle
spalle larghe, girato di spalle. Non
so
cosa stia facendo, sembra quasi stia contemplando il muro davanti a
sé.
Mi schiarisco la voce e attendo, in attesa che l'uomo
si giri.
Quando vedo che non lo fa, mi avvicino alla scrivania,
«Ehm, mi scusi, sono la nuova studentessa che ha chiamato
ieri...»
non faccio in tempo a terminare la frase che l'uomo si gira sulla sua
sedia girevole e mi sorride, un luccichio nei suoi occhi glaciali.
Mi irrigidisco.
«Salve, Emily.» Il suo sorriso
si
allarga, la luce nei suoi occhi non mi piace. Sto per piangere.
«Ti
stavamo aspettando. Sono sicuro che ti troverai divinamente
nella tua nuova scuola.» Sempre quel sorriso sghembo.
«Signorina
Parker? Può gentilmente mostrare alla signorina Van Alen le
sue
classi?»
Una ragazzina magra e abbastanza bassa appoggia
sul bancone delle pagine che stava sfogliando, gli
rivolge un
sorriso estasiato e subito mi richiama a se, portandomi fuori
dall'ufficio, lontano dal ragazzo dai capelli corvini.
«Ciao, io
sono Paige Parker, piacere di conoscerti, tu devi essere-»
«Chi
era quell'uomo?» la interrompo bruscamente. Il mio respiro
è corto
e posso sentire il battito del mio cuore in gola. Sono agitatissima.
- «Oh,
intendi l'aiuto
ufficio? E' Mr. Black, anche se lui preferisce Leonard.»
ridacchia
lei. Poi continua: «Sembra attragga un sacco di personale,
ehm, qui
a scuola, ma anche studentesse. Ed è
giovanissimo!» Le guance le si
colorano di un rosa acceso.
«Da quanto tempo lavora in questa
scuola?»
«Da circa due settimane» mi sorride lei, allegra.
«Ma
dimmi, come mai tutte queste domande su di lui?» ammicca lei.
Mi
mordo la lingua.
«Senti, devo andare un attimo in bagno. Tu
aspettami qui, va bene?»
Corro il più non posso, sento la voce
di Paige che mi richiama, ma non mi guardo indietro, devo mettere
quanta più distanza possibile tra me e quell'uomo. Trovo un
cartello
che indica il bagno delle ragazze. La campanella suona, il corridoio
si svuota in un battito di ciglia. C'è qualcosa di troppo
inquietante in tutto questo.
Smetto di correre quando sono ormai
davanti alla porta del bagno delle ragazze. La apro in fretta, ma
quando la richiudo mi accorgo che qualcosa non va. Il lucchetto si
è
chiuso, non so come sia potuto accadere. La porta che prima era
aperta, ora è bloccata, non c'è modo di aprirla.
«Sono
contento di vederti, Emily.» mi giro di
scatto. La malvagita
con cui il mio nome viene pronunciato mi destabilizza.
Mi giro di
scatto. «Tu!» gli punto un dito
contro.
«Cosa vuoi da
me?!»gli urlo, cercando di tenere quanta
più distanza
possibile.
«Ma come, non te l'hanno spiegato? Povera piccola...
Tenuta all'oscuro di tutto.» la sua voce è ironica
e pungente.
«Io
lo so cosa sei!»
«Buon per te, allora dovresti capire che
non è saggio andare contro la volontà di quelli
come me.» sorride,
serafico.
«Dimmi che cosa vuoi!»
«E' semplice,
voglio che mi venga restituito ciò che è stato
rubato a mio
padre.»
«Non so nemmeno chi sia tuo padre. Io non ho nulla. Stai
lontano da me!»
«Vuoi che ti uccida?» sorride ancora lui, al
limite della pazienza.
«Provaci.» il mio sguardo ora
è
pura provocazione, sollevo le sopracciglia, in attesa. Lui impreca,
rabbioso, poi si scaglia contro di me, la sua mano si stringe attorno
al mio collo.
Tempo di un minuto e lui è già lontano, si guarda
la mano, rossa, piena di vesciche.
«Ma che cazzo...?!»
inveisce.
Osservo il mio collo, la pietra della mia collana
emette una tenue luce azzurrina, che si consuma immediatamente.
Lui
mi guarda con aria minacciosa.
- «Non
pensare che finisca qui. Io ti osservo, Emily. Non ti
lascerò sola un
momento. Apparirò nei tuoi incubi più profondi,
durante il giorno e la
notte. Sarò sempre qui. Annienterò le tue difese,
fino a quando non
avrai più nessuno, sarai una povera disperata» Il
suo sorriso si
allarga. «Fino a quando capirai che la decisione migliore
è quella di
schierarsi dalla mia parte. Riavrò ciò che mi
spetta, che tu lo voglia
o no. Sarai mia, come mio è ciò che ti
appartiene. E' una
promessa.»
- «Chiudi
quella bocca! Sparisci dalla mia vita!»
- Risata.
«Ti piacerebbe.»
Un bussare alla porta del bagno
mi distrae per un attimo.
«Emily? Sono
io, Paige. Va tutto bene?»
Mi
volto in fretta, il ragazzo dai capelli corvini è sparito.
- Cerco di
ricompormi e rallentare il respiro il più in fretta
possibile, il
mio corpo è un insieme di muscoli tesi e adrenalina che
scorre. Bevo
un po' d'acqua dal rubinetto e mi sciaquo la faccia.
«Scusa, sai
com'è, l'emozione del primo giorno...» le sorrido poi,
uscendo, cercando
di non rendermi ridicola e
mascherare la
mia agitazione. Lei
risponde al sorriso e
fa un gesto di incoraggiamento.
- ~
- Nonostante
il mio corpo sia
in classe, la mia mente è lontana, turbata. Per tutto il
resto della
giornata, del ragazzo dai capelli corvini nemmeno l'ombra.
Non
riesco ad andare da un corridoio ad un altro senza che nessuno mi
accompagni. Non ho il coraggio di andare in bagno, nonostante ne
senta il bisogno. Ho paura. O meglio, sono
terrorizzata.
So
che
non durerei un secondo a rimanere da sola con quello una terza volta,
sono
consapevole del fatto
che, le prime due volte, sia stata vittima di una fortuna sfacciata.
La
prossima volta morirò.
Non
voglio rischiare
un'altra volta.
Papà,
se come dicono sei qui, se mi stai ascoltando, ti prego. Aiutami. Mi
vogliono uccidere, vogliono farci del male.
- Non
abbandonarci.
|
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Capitolo 3 *** L'incontro con mio padre ***
Prima che mi
ammazziate, ci tenevo a dirvi che il mio immenso ritardo è
dovuto a varie complicazioni della mia vita, e non a qualche inutile e
patetica scusa. Detto questo, mi sembrava giusto ringraziare in
anticipo chi recensirà questa storia e chi non mi ha ancora
abbandonata, nonostante tutte le mie varie pecche. Siete voi che
mandate avanti questa storia, siete fondamentali, altrimenti con tutto
quello che sto passando non sarei qui ad aggiornare, le mie storie me
le terrei per me. Vi voglio bene <3
M.
Mi hanno diagnosticato una
depressione maggiore quando avevo 17 anni, dopo una crisi di nervi
avuta in primavera.
Mia madre aveva
insistito per farmi vedere un medico psicologo e ben presto le mie
fondate ipotesi su una mia possibile instabilità mentale si
sono rivelate corrette. Avevo sempre saputo, in fondo, di essere
strana. Sono ancora in cura e credo che, tutto sommato, la mia
personalità sia migliorata nel corso degli anni; ora, un
anno e qualche mese dopo, posso dire di aver acquisito una maggiore
consapevolezza e aver curato i miei frequenti sbalzi d'umore. Ma non
è stato sempre così semplice, durante i miei
periodi bui faticavo a reggermi in piedi e mangiavo poco,
tant'è che dovettero ricoverarmi un paio di volte mentre mi
sforzavo a capire chi fossi. Insomma, la mia vita non è
stata sempre rose e fiori.
Mi sto preparando al
primo incontro con la mia nuova psicoterapista in città.
Durante il tragitto
non penso molto a cosa dire o a come presentarmi, mi infilo nelle
orecchie i miei auricolari e spengo i pensieri. La dimora di questa
dottoressa Martin non è davvero niente male, scopro quando
arriviamo. E' una villetta singola con un grande balcone pieno di vasi
di begonie, il suo studio è al primo piano. La dottoressa
è seduta alla sua scrivania e non appena entro si alza in
fretta e mi raggiunge, stringendomi la mano e caricandomi di una forte
energia positiva.
«Tu devi
essere Emily» mi sorride raggiante, «sono Martin,
puoi chiamarmi semplicemente Anne se vuoi, accomodati pure.»
La dottoressa sta
già analizzando il mio profilo sulle carte rilasciate dal
mio vecchio psicologo, quando all'improvviso chiede sorridente:
«quanti anni hai, Emily?»
«18»
le rispondo.
«Noto con
piacere che il dott. Johnson aveva già effettuato una
diagnosi completa.»
La lascio in pace a
sfogliare tutte le mie carte, che sembrano non finire mai. Sono una
persona davvero complicata.
«Che mi
dici della tua ansia? E' passata? Non vedo più
nessun'accenno nelle ultime pagine del tuo fascicolo.»
Tentenno mentre lei
mi guarda in attesa di una risposta. Non so bene cosa dirle e come
comportarmi ora, poi rispondo nella maniera più sincera.
«A dire la
verità... questo ultimo periodo è stato a dir
poco stressante, la mia ansia si è ripresentata.»
Il colloquio si
conclude dopo un'ora di domande e risposte.
«Ci
rivediamo la settimana prossima» mi sorride per congedarmi,
«ah, Emily, volevo chiederti un'ultima cosa. Cosa stavi
ascoltando quando sei entrata? Ho visto che indossavi gli
auricolari.»
La guardo spaesata
per la strana domanda, «Face to the floor, degli
Chevelle» affermo sicura.
«Com'è
andata il tuo primo incontro?» mi chiede mia madre, mentre
accendo la radio in macchina.
«Nulla di
che, le solite domande e risposte che fanno gli psicologi all'inizio
per conoscerti meglio.»
«E' durata
parecchio... Sono sicura che sia un bravo medico, ti troverai bene
tesoro, vedrai.»
«Mamma, a
proposito della tua decisione di ieri... non penso sia una buona idea
abbandonare la scuola.»
«Si tratta
di una cosa momentanea-»
«Si tratta
del mio futuro» la interrompo bruscamente.
«Quando tuo
padre si farà vivo...»
«...potrebbe
essere troppo tardi» concludo la frase secca.
«come?»
mi chiede lei spaesata.
«potrebbe
essere troppo tardi! Come puoi sapere se e quando vorrà
farsi vivo?»
La mamma ferma la
macchina velocemente e si gira verso di me.
«Perché
ho fede. Lo so che tornerà. Lo farà
perché ci ama, perché ti ama» rimaniamo
a fissarci per qualche secondo, poi riaccende la macchina. Per il resto
del tragitto restiamo in silenzio.
I giorni seguenti
comincio ad avere i primi incubi. I miei sonni sono disturbati, mi
sveglio più volte e sono sempre sudata, a volte grido.
Le giornate non sono
delle migliori, non posso svagarmi, non esco di casa. L'unica
consolazione sono lo stereo e la mia musica.
Qualche giorno dopo
ancora perdo la cognizione del tempo, sembra che le giornate non
finiscano mai e, ora che la scuola non fa più parte della
mia quotidianità, stento a riconoscere il sabato dal
mercoledì. Quando però arriva la domenica, io e
mia madre riceviamo una telefonata da Kae, che vuole vedermi.
Sono felice di poter
uscire, chiedo a mia madre se posso andarci da sola e lei acconsente.
Quando arrivo trovo
la solita caffettiera inquietante che sta bollendo sul fuoco e Kae mi
chiama dalla soffitta, la scalinata che porta di sopra è
fredda e piena di quadri di diverso tipo e di foto in bianco e nero,
probabilmente molto vecchie. La trovo in una stanza in piedi davanti ad
un tavolo, sta ispezionando una vecchia scatola con dentro varie
cianfrusaglie. «Eccoti qui, sono felice che tu sia
venuta» mi dice senza smettere di infilare la testa dentro
quella marea di roba.
Entro e mi guardo
intorno, ogni cosa sembra stramba e stravagante e il disordine regna,
ma non proferisco parola, aspettando che mi dica di che cosa ha bisogno.
Mi avvicino a lei,
pensierosa, e quando arrivo mi spinge a guardare dentro una grossa
borsa.
«Emily, ti
ho chiamato qui perché tu ti possa sentire libera di
chiedermi e dirmi tutto, qualsiasi cosa ti preoccupa o qualsiasi
domanda tu abbia. Sono qui per aiutarti.»
Annuisco, ancora
pensierosa. Non mi vengono in mente domande, ma non voglio sembrare
scortese ne disinteressata.
«Come
faceva quel... coso, qualsiasi cosa sia, a leggermi nel
pensiero?»
«Intendi
quel servitore del diavolo? Vedi, anche loro hanno il potere.
Ultimamente, da quando tuo padre è sparito dalla
circolazione, il loro potere è aumentato, forse
quadruplicato, sono diventati più forti e pronti a tutto per
vincere. Questa battaglia dura dall'inizio dei tempi, gli Angeli
bianchi non possono permettersi di perderla, sarebbe una vera
catastrofe» spiega lei, chiudendo il contenitore da cui stava
prelevando degli oggetti.
«Per
rispondere alla tua domanda, leggere nel pensiero è solo uno
fra le tante cose che gli Angeli possono fare.»
«Anche mio
padre può leggermi nel pensiero?» chiedo ad un
certo punto.
«Bé,
presumo di sì, se lo volesse. Per questo motivo sei qui
oggi. Siediti vicino a me.»
Mi osserva a lungo,
poi continua: «noto che hai al collo la collana che ti ho
dato, come ti avevo detto.»
Annuisco.
«Prova a
togliertela» mi ordina.
«Ma mi hai
appena detto che...»
«So cosa ho
detto, è solo per ora, ti voglio insegnare
qualcosa.»
Faccio come mi dice,
tolgo la collana dalla testa e la appoggio sul tavolo, poi resto in
attesa mentre Kae mi fissa. Ad un certo punto percepisco qualcosa di
strano e mi guardo intorno. Non è cambiato nulla, Kae mi sta
ancora fissando e le sue labbra si inarcano leggermente in un lieve
sorriso.
«Lo senti
anche tu?» chiedo sbalordita.
Lei non risponde e
questa strana sensazione si amplifica, è come se fossi
osservata, perseguitata da qualcuno. Comincio a temere che sia l'Angelo
nero, venuto a mantenere le sue terribili promesse dell'altro giorno,
ma poi mi rendo conto che Kae è concentrata.
«Che
diavolo mi stai facendo?» esclamo, guardandomi le mani e le
braccia, sentendo quella sensazione di impotenza ingrandirsi, sento una
presenza imposta e sbagliata nel mio cervello, comincio a sudare.
Mi agito e cerco di
restare concentrata, ma strane immagini cominciano a vorticarmi nella
mente. Dopo un poco si interrompono e Kae ritorna in sé come
svegliata improvvisamente da un sogno, da una trance.
«Che mi hai
fatto?» chiedo ancora, riprendendo fiato.
«Sono
entrata nella tua testa» mi dice lei, come se fosse ovvio. Mi
stizzisco.
«Perché
l'avresti fatto, sentiamo?» le chiedo, arrabbiata.
«Per farti
imparare. Togliendoti lo schermo di protezione che la collana ti
garantiva, ti ho messa in una possibile situazione di pericolo. Gli
Angeli malvagi sono capaci di fare anche questo, entrare nella tua
testa e captare ogni tuo minimo pensiero, ogni ricordo o sensazione.
Adesso sai cosa si prova quando succede, così nel caso
succederà saprai rendertene conto» poi aggiunge,
«sei davvero combattiva, proprio come tuo padre. La tua mente
si è subito ribellata al contatto e non è stato
così facile restare.»
«Anche se
mi rendessi conto che qualcuno stia penetrando la mia mente, cosa
potrei fare?»
«Se hai la
collana sarai automaticamente protetta, non ti servirà fare
nulla. Però sono qui per prepararti ad ogni
eventualità, ti insegnerò gran parte delle cose
che so e tu dovrai collaborare.»
«Che cosa
sei tu?» le chiedo improvvisamente.
Lei scoppia in una
risata.
«Voglio
dire, sei umana giusto?»
«Giusto»
sorride lei.
«E allora
come puoi fare una cosa del genere, sei una specie di
veggente?»
«Sì,
se ti piace definirmi così. Sono qualcosa del
genere.»
Siamo sedute al
tavolo al piano di sotto davanti a due tazze fumanti di tè.
Nessuna delle due parla, ma io ho tantissimi pensieri che mi vorticano
in testa e le nuove esperienze di oggi mi hanno confusa ancora di
più. So che mi abituerò a tutto questo, ma per
adesso mi sembra ancora tutto un'assurdità.
«L'altro
giorno, quando mi sono vista quel ragazzo davanti mi sono sentita
perduta, senza via di scampo» comincio, sorseggiando il mio
tè, «era come se... non ci fosse nessuno
lì con me, non sono sicura che mio padre sia qui. Non sono
sicura mi voglia proteggere» continuo, «quel
ragazzo, ha un nome?»
«Quel
ragazzo, con alte probabilità, è il figlio di
Lucifero in persona.» butta lì lei, tranquilla,
sorseggiando il suo té. La cosa più assurda
è che ne sta parlando come se si parlasse di una partita di
football del sabato sera.
«Si chiama
Leonard.»
«Allora
è vero, anche a scuola si è presentato in questo
modo, come mai non è discreto?»
Lei scoppia a ridere
nuovamente.
«Pensi che
a qualcuno della scuola possa venire in mente che forse lui potrebbe
essere il figlio di Lucifero?»
Ignoro la sua domanda
sarcastica e continuo.
«Quanti ce
ne sono? Di Angeli intendo?»
«Tanti. Non
saprei quantificarli.»
«All'incirca?»
«Gli Angeli
dei più alti livelli sono pochi, come tuo padre. Gli altri
sono angeli comuni. Sono meno di un ottavo della popolazione degli
Stati Uniti, immagino.»
«Wow»
esclamo.
Passiamo un
pomeriggio interessante. Sono curiosa di sapere, non voglio essere
impreparata a niente. Per battere il mio nemico, o almeno difendermici,
ho bisogno di conoscerlo il più possibile. Quando ormai
è già buio, preparo le mie cose per andarmene.
«Quindi,
ricapitolando, i nemici di mio padre vogliono me, perché
pensano che io possieda l'arma celeste di cui parlano tanto. Ma non mi
è ancora chiaro perché pensano che ce l'abbia io.
Dove potrei conservarla? E poi, se ce l'avessi non dovrebbero sentirlo
nella mia mente?»
«Probabilmente
pensano che il segreto sia al sicuro dentro alla tua mente grazie ad un
sigillo.»
«Un
sigillo?»
«Quello che
hai sul collo è un sigillo.»
Le mille nozioni di
oggi mi galleggiano nella mente, ma ancora non hanno un senso compiuto.
Ho promesso a Kae di andarla a trovare ogni pomeriggio, e lei in cambio
ha promesso che avrebbe provato a convincere mia madre a lasciarmi
tornare a scuola.
Mentre cammino verso
casa mi rendo conto di non avere al collo la mia collana. Mi fermo e
frugo nelle tasche e poi nella borsa, ma del sigillo neanche l'ombra.
Un brivido d'ansia mi scorre su per la spina dorsale.
«Cos'è,
hai scordato la tua unica arma di difesa? Certo che per essere la
figlia di tuo padre, sei proprio stupida.» quella voce
glaciale alle mie spalle mi fa sobbalzare dallo spavento. Mi blocco e
non oso muovermi.
Sono spacciata.
Comincio ad avanzare
lentamente, ogni passo in più è un passo in meno
verso casa.
«Dove credi
di andare? Sei consapevole che senza collana posso ancora leggerti
nella mente, vero?» sogghigna.
Mi fermo e chiudo gli
occhi cercando di ricordare i consigli di Kae per respingere le
intrusioni.
«Ma che
stai facen-» subito dopo scoppia a ridere, «non ci
posso credere, sei così debole! E quello era un tentativo di
sbarazzarti di me? Mi dispiace dirtelo ma non sarà
così facile» ride ancora, divertito. Malignamente
divertito.
Gli occhi mi si
riempiono di lacrime di frustrazione.
«Non ho
niente di quello che cerchi, per favore lasciami andare...»
Si avvicina e mi
prende le braccia da dietro, immobilizzandomi.
«Lasciami
andare o mi metto ad urlare!» lo minaccio.
Scoppia in un'altra
fragorosa risata.
«Sai cosa
me ne faccio dei tuoi inutili tentativi di chiedere aiuto. Sta volta
non la passerai liscia» mi lascia improvvisamente, ma un
dolore acuto, immobilizzante che parte dalla testa e si estende da
tutte le parti mi pervade completamente. Cado a terra tremante, ogni
mio sforzo di respirare e di restare lucida è quasi vano.
Non vedo nulla. «T-ti pre-» lo guardo con gli occhi
pieni di lacrime, ma lui non si ferma, ha preso il pieno controllo
sulle mie percezioni, mi sta torturando e il fatto sembra
intrattenerlo, sembra dargli piacere, mi guarda come se stesse
guardando il suo programma preferito in tv. Chiudo gli occhi e comincio
a pregare, ma dopo poco perdo i sensi.
Emily, svegliati.
Mhm...
S... sto morend...
morta... st...
Emily non sei morta,
apri gli occhi.
Ma chi...
p-papà?
Coraggio, guardami.
Apro gli occhi.
Leonard è
sparito. La strada buia e desolata è sparita. Sono... su una
spiaggia soleggiata? Sono sdraiata a terra, e poco più in
là c'è una distesa di acqua, davanti a me un uomo.
Mi guarda, poi mi
porge una mano.
Sono Adam... tuo
padre.
Lo guardo negli
occhi, sono esattamente identici ai miei, poi guardo la sua mano, me la
porge mentre mi sorride.
Gli volto le spalle.
Emily, guardami.
Mi volto, ora
è serio.
«Perchè
ci hai messo tanto?»
Sei stata
tu a farmi venire qui.
Non ha nemmeno
bisogno di aprire la bocca, la sua voce risuona nella mia mente.
«Perchè
hai abbandonato me e la mamma?» lo guardo inespressiva.
Tesoro... Ho dovuto
farl-
«potresti
parlare come tutte le persone normali?»
Non posso. Io sono
solo un immagine nella tua mente, sto parlando attraverso di te.
Ho dovuto
lasciarvi... L'ho fatto per il vostro bene.
«Una vita
fatta di continui spostamenti pensi che sia "il mio bene"? Non ho
amici, li ho lasciati tutti, la persona che vedo di più al
momento è uno sporco assassino che probabilmente mi ha
uccisa.»
Non ti ha uccisa,
Emily non mi resta molto tempo... devi ascoltarmi attentamente ora.
«Mi stai
lasciando di nuovo?» chiedo con un lieve tremolio nella voce.
No. Te lo prometto.
Solo, ora ho bisogno che tu mi ascolti. Concentrati, chiudi la mente,
crea la tua barriera, proteggila. E' l'unico modo che ti
salverà.
Scaccialo.
«Ma
come?»
L'immagine di mio
padre si fa meno nitida e sempre più lontana. Tutto si fa
sfuocato.
«...papà
aspetta, come d-devo...»
Uno scossone mi
risveglia, riprendo coscienza. Sento ancora la stretta intorno al
collo, ma adesso non posso permettermi di morire. Devo dare speranza a
mia madre, devo dirle che ho parlato con papà. Cerco di
concentrarmi sulle sue ultime parole che ho sentito di sfuggita.
Ricordo anche il pomeriggio con Kea, richiudo gli occhi e cerco di
chiudere la mente. All'inizio ovviamente non funziona, sforzarsi di non
pensare a nulla mi riempie la testa di pensieri. Mi ci vogliono vari
tentativi, ma poi le mie condizioni così disperate mi
permettono di svuotare la mente.
Conto fino a 10,
cercando di respingere ogni sua influenza su di me, fino a quando sento
che la stretta sul mio collo si affievolisce. Quando riapro gli occhi,
decisa, il ragazzo è sollevato e inclinato, come se ci fosse
una potente barriera che lo respingesse. Lui è sconvolto, i
suoi occhi sono spalancati e la sua bocca semi aperta.
«Che
c'è, Leonard? Mi credevi davvero così
incapace?» un sorrisetto di vittoria mi dipinge il volto,
mentre lui non risponde.
La sua figura
svanisce in un fruscio e mi ritrovo sdraiata da sola, ansante, su un
fianco dolorante. Finalmente una macchina passa, mi vede, si ferma.
Mi sa che sta volta
ho vinto io.
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