Your Spanish Lullaby

di GirlWithChakram
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The rain in Spain ***
Capitolo 2: *** Gloria ***
Capitolo 3: *** I kissed a girl ***
Capitolo 4: *** Take my breath away ***
Capitolo 5: *** I wanna dance with somebody ***
Capitolo 6: *** Somewhere only we know ***
Capitolo 7: *** Bella Notte ***
Capitolo 8: *** So emotional ***
Capitolo 9: *** I'm a slave 4 U ***
Capitolo 10: *** Mine ***
Capitolo 11: *** Go your own way ***
Capitolo 12: *** Just give me a reason ***
Capitolo 13: *** Valerie ***



Capitolo 1
*** The rain in Spain ***


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CAPITOLO I: The rain in Spain
 
Spagna, perché mai avevo detto Spagna? C’erano tanti altri bei posti da visitare in Europa: la Grecia, l’Italia, la Francia, i Paesi scandinavi. Saremmo potuti andare al villaggio di Babbo Natale! Ma no, io dovevo proprio dire “Spagna” e Puck doveva proprio dire “tori” e Finn doveva proprio sapere che lo spettacolo tra le strade di Pamplona si svolgeva, casualmente, nel periodo delle nostre vacanze.
Pensavo che Rachel avrebbe obiettato, in fondo, con tutta la storia del “vegetarianesimo”, chi più di lei poteva contestare la corrida in quanto spettacolo macabro e immorale? Invece rimase in silenzio, forse per non contraddire il suo ragazzo. Quinn, dal canto suo, parve persino più esaltata dei due amici, era entusiasta a tal punto che, per i primi di Giugno, avevamo già pronto il “piano-vacanza” con prenotazioni e simili.
Non ci saremmo mai persi la festa del 4 Luglio, quindi partimmo il giorno seguente dall’aeroporto di Dayton, diretti a Barcellona. Dormii per tutta la durata del volo e per quasi tutto il percorso in auto che ci portò fin nei Paesi Baschi.
Dato l’elevatissimo costo di soggiorno a Pamplona durante la “Semana de toros”, la nostra planner Q. aveva deciso di farci alloggiare in una città che distava appena un’ottantina di chilometri, un centro chiamato Donostia in lingua basca, ma noto ai più con il nome di San Sebastian.
Nei pochi tratti in cui fui cosciente ricordo Rachel, seduta tra me e Quinn, che sfogliava la guida per informarsi sui luoghi da visitare e su tutti i ristoranti vegetariani in zona, mentre Puck e Finn, l’uno alla guida e l’altro al suo fianco con la cartina, cantavano a squarciagola, a ripetizione, “The rain in Spain”.
Quasi a farlo apposta, giungemmo alla meta sotto uno scrosciante diluvio e allora pensai che quella sarebbe rimasta nella mia memoria come la peggior vacanza di sempre. Ci eravamo tutti e cinque appena diplomati, quelle erano le ultime settimane prima della forzata ed inevitabile separazione: Rachel ed io saremmo andate a stare a New York, Quinn era stata presa Yale, mentre i due ragazzi avevano optato per un’università in Ohio, vicina alla nostra città natale, Lima.
“Complimenti Brittany, sei un vero genio, hai trovato il modo di rovinare la tua ultima estate di libertà. Ti toccherà stare rinchiusa per quindici giorni in un microscopico appartamento a sopportare quei pazzoidi dei tuoi amici mentre fuori piovono altro che cani e gatti!”
Mi ripetei quel discorsetto a lungo, nel dormiveglia alla ricerca di qualcosa di positivo che mi facesse sentire un po’ meno in colpa per aver praticamente buttato alle ortiche quella così promettente esperienza.
Tra il canticchiare e gli sproloqui di Rach, alla fine entrammo in città. Non ci restava che trovare l’agenzia che ci avrebbe dato le chiave del nostro piccolo alloggio. «Ma come lo trovo io un parcheggio sotto questo diluvio?» sbottò all’improvviso Noah, mentre continuava a girovagare tra le vie in cerca di un posto auto «Se mi avessero avvisato per tempo avrei costruito un’arca!»
Ci lasciammo andare alle risate, più per nascondere la crescente tensione che non per pura ilarità.
«Non avevi pianificato tutto?» domandò ad un tratto Finn, rivolto alla bionda seduta dietro di lui.
«Beh… sì, ma pensavo che in fondo le previsioni meteo non fossero da prendere tanto seriamente. Lo avete appena cantato che la pioggia in Spagna cade in campagna, qui siamo sulla costa!» tentò di difendersi.
«La pioggia in Spagna cade principalmente in campagna» puntualizzò l’autista.
«Ragazzi» intervenni con tono autoritario «Non è certo il momento di bisticciare. Vediamo di trovare qualcuno in grado di darci indicazioni oppure resteremo a girare in tondo per tutto il resto della vacanza.»
«Agli ordini capitano Pierce!» esclamarono tutti in coro, per poi scoppiare nuovamente a ridere.
Ci avvicinammo sempre più alla parte vecchia della città, quella che dava direttamente sull’oceano. Era uno spettacolo unico. Le lingue infinite di sabbia che correvano da un capo all’altro della baia erano praticamente deserte, solo i surfisti più accaniti si azzardavano a stare in mare con un simile tempaccio.
Il nostro contatto ci aveva detto che lo avremmo incontrato in uno degli alberghi che affacciavano proprio sulla spiaggia, una volta oltrepassato il fiume che divideva in due l’abitato. Quando passammo un maestoso ponte capimmo di essere ormai vicini.
«Lì Puck!» esclamò ad un tratto Quinn, facendoci sobbalzare tutti «C’è un posto vuoto!»
Non sapevamo quanto fossimo lontani dalla nostra meta, ma vista l’impossibilità di trovare parcheggio, quella era un’occasione d’oro.
«Cosa facciamo con i bagagli?» domandò Finn, non appena l’amico ebbe concluso la manovra.
«Propongo» dissi «Di lasciarli qui per ora. Prima troviamo il nostro amico… Come hai detto che si chiama Q?»
«Miguel.»
«Sì, Miguel… Che nome originale… Ad ogni modo, prima lo troviamo e ci facciamo dare le chiavi dell’appartamento e poi veniamo a prendere i bagagli, nella speranza che intanto smetta di piovere.»
Iniziammo ad avanzare sotto gli scrosci con solo due ombrelli a disposizione. Noah, da vero cavaliere, fece spallucce e si mise a camminare sotto l’acqua, dicendo che così si sarebbe risparmiato una doccia. I “Finchel” ovviamente decisero di condividere un ombrello, io e l’altra bionda prendemmo quello rimasto.
Camminammo per diversi minuti, fino a ritrovare la spiaggia che ci eravamo lasciati alle spalle poco prima.
«Guardate a destra» ci disse Rach indicando in alto «Quella è la statua di Gesù benedicente che protegge il porto e la Isla de santa Clara, mentre di là» disse puntando il dito verso il promontorio a sinistra, dall’altro lato della baia, «C’è il punto panoramico più bello di tutta la regione, sulla sommità del Monte Igueldo» concluse con un sorriso.
«Siamo molto contenti, Berry, che ti piaccia tanto fare da guida turistica» la apostrofò Puck «Ma nel caso non lo avessi notato questo non è il momento per uno dei tuoi monologhi.»
Lei mise subito il broncio che il suo ragazzo provvide a scacciare con un lieve bacio.
«Prendetevi una stanza» li canzonò Q.
«Se ci muovessimo ne troveremmo una tutti quanti» commentai a denti stretti.
«Eddai, Brittany» mi rimproverò la mia compagna di ombrello «Se cominci a roderti il fegato in questa maniera non riuscirai mai a goderti la vacanza!»
«Naso finto ha ragione» confermò Noah facendole l’occhiolino «Lasciati andare! Mi sembra di essere in compagnia di quel guastafeste di Schuester.»
«Non tirare in ballo Mr. Schue!» scattò allora il quarterback per difendere il suo insegnante preferito «Potrà anche essere esasperante a volte e un pelino soporifero, ma è pur sempre…»
«Il professore migliore mai avuto al McKinley» concludemmo noi altri, ben conoscendo il suo discorso.
«Ecco…» sbuffò «Precisamente.»
«Forza, basta cincischiare» ripresi io «Vediamo di trovare Miguel alla svelta.»
Per mezz’ora restammo a girovagare, spersi e bagnati fradici. Il maledetto Kursaal Hotel sembrava essersi volatilizzato.
«Vedrete che comparirà come la Camera delle Necessità» avevo assicurato, ma pareva mi fossi sbagliata in pieno.
«Non c’è neppure un cane a cui chiedere!» osservò l’ebrea, ormai visibilmente scocciata dalla situazione.
«Proviamo a scendere in spiaggia, ho visto qualcuno di tanto coraggioso da stare fuori con questa specie di monsone» disse Finn facendoci cenno di guardare sulla sinistra. In effetti c’era un chiosco aperto con un uomo seduto dietro una vetrina piena di churros.
«Cosa stiamo aspettando allora?» ci incalzò Quinn, praticamente trascinandomi con sé giù per la scalinata che conduceva al mare.
«Mi scusi» iniziò lei facendogli segno da lontano.
Il tizio alzò la testa e ci guardò con sospetto. Quando arrivammo sotto la tendina del chiosco la mia amica riprese a parlare: «Avremmo bisogno di un’informazione.»
«No lo entiendo, señorita.»
«Saprebbe dirmi dove trovare il Kursaal Hotel?» insistette, scandendo il più possibile le parole.
«Lo siento, pero yo no hablo Inglès» rispose con una faccia dispiaciuta, gesticolando per aiutarci a capire.
«“Kursaal Hotel”» tentò ancora Quinn, senza scoraggiarsi.
«Por favor, sólo hablo Español» continuò il negoziante.
«¿Que està pasando aquì?» si inserì una nuova voce.
Quinn ed io ci voltammo per veder avanzare una giovane donna. Aveva la pelle ambrata, fluenti capelli neri che le si erano appiccicati sul viso, non sapevo se per via della pioggia o dell’acqua salata. Indossava una muta nera molto attilata che faceva risaltare alla perfezione il suo corpo atletico, seppure abbastanza minuto. Portava sottobraccio una lunga tavola da surf bianca decorata in rosso, con scritto qualcosa che la pioggia battente mi impedì, in un primo momento, di decifrare.
«Las chicas me hablan en Inglès, pero yo no entiendo» parve spiegarsi lui.
«Tranquilo» gli rispose, poi si rivolse a noi: «Cosa vi serve?»
«Oh, grazie al cielo!» esclamò Q. «Siamo turiste...»
«Questo era decisamente ovvio» commentò la surfista con un sorriso sprezzante.
La bionda parve prendersela un po’ per il suo tono, ma lasciò correre. «Stiamo cercando il Kursaal Hotel.»
La latina riflettè per un istante, poi si illuminò: «Siete dal lato sbagliato del fiume. Dovete risalire sulla strada, attraversare il centro, passare il ponte e fermarvi sull’altra spiaggia, la Zurriola. Potete lasciare l’auto nel parcheggio sotterraneo, se l’avete. Il Kursaal è proprio lì a due passi» si voltò e fece per andarsene, ma si bloccò ancora un istante «Ah, un’ultima cosa: procuratevi un dizionario. Qui nessuno parla inglese.»
Con quelle parole corse via sotto il diluvio, verso due figure che, come lei armate di tavola, la attendevano sul bagnasciuga.
«Grazie...» riuscii a mormorare solo quando fu ormai lontana.
«Ehi Britt? Ti sei incantata?» mi domandò Rachel, comparsa alle nostre spalle con i due ragazzi.
«Allora? Avete risolto?» chise Noah levandosi la conotta e strizzandola inutilmente.
Io ero ancora imbambolata e Quinn mi salvò prendendo la parola: «Sì, dobbiamo tornare dall’altra parte del fiume, restando sempre vicino alla spiaggia. C’è un parcheggio sotterraneo, l’hotel è lì vicino.»
«Perfetto, sarà meglio muoversi» affermò la Berry, scattando di nuovo verso le scale che portavano alla strada.
«Britt...» mi scosse la bionda «Terra chiama Britt! Dobbiamo muoverci! Ne ho abbastanza di stare qui sotto l’acqua, finirà per crescermi il muschio nelle scarpe!»
Mi ripresi a fatica, capace di articolare un unico pensiero: il nome magistalmente dipinto in rosso brillante su quella bianca tavola. Il nome che mi avrebbe tormentata a lungo: Valerie.
 

Nota dell'autore: Se siete arrivati fin qui vuol dire che avete letto questo breve primo capitolo della mia prima ff di Glee e ve ne sono grata, spero ne sia valsa la pena. Non mi dilungo oltre, dicendovi semplicemente che aggiornerò a distanza di una settimana, salvo imprevisti. I luoghi che verranno descritti sono verosimili in quanto realmente esistenti, ma rielaborati dalla mia mente contorta. Credo di aver sprecato abbastanza spazio con i miei deliri, quindi vi saluto nella speranza di trovarvi al prossimo aggiornamento. Ancora grazie.

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Capitolo 2
*** Gloria ***


CAPITOLO II: Gloria
 
Ripercorremmo la strada fino alla nostra auto e ci sentimmo tutti terribilmente in colpa quanto ci sedemmo, fradici dalla testa ai piedi, sui suoi delicati sedili a noleggio. La pioggia seguitava a cadere incessantemente, il che voleva dire che quella sarebbe stata solo una delle numerose volte in cui avremmo annacquato il nostro mezzo di trasporto.
«Allora dobbiamo praticamente fare inversione, attraversare il fiume e poi dovremmo esserci?» chiese Puck girando la chiave nel quadro di accensione.
«Precisamente» confermai cercando di evitare le gomitate di Rachel che si stava sistemando i capelli.   
«Vediamo di sbrigarci» mugugnò la Fabray rabbrividendo «Sento il freddo entrarmi nelle ossa e sono certa che mi prenderò una polmonite nel giro di dieci minuti.»
La nostra Renault si mise in moto con uno sbuffo e il nostro fidato autista inserì la retro per fare manovra. «Per fortuna che avevano un modello con il cambio automatico, non sarei mai stato in grado di gestire le diverse marce. Secondo me queste auto le fanno apposta per noi stranieri» commentò tenendo gli occhi fissi davanti a sè. Stava piovendo talmente forte che a fatica avremmo visto un pedone attraversare la strada.
Ci vollero appena dieci minuti per trovare il parcheggio di cui ci aveva parlato la surfista. Si trovava proprio affianco al Centro del Congresso, un edificio noto appunto come Kursaal, che dava il nome al circondario.
«Come ha fatto quel tonto dei churros a non capire che gli chiedevo del Kursaal? Qui c’è scritto da tutte le parti!» sibilò acida Quinn, una volta abbandonato il veicolo ed usciti di nuovo all’aria aperta «C’è il ristorante, il supermercato, l’hotel... Oh ragazzi, l’hotel!»
Ci voltammo tutti in contemporanea verso il punto da lei indicato: vicino ad un anonimo portone, su una placca dorata, c’erano incise le parole “Kursaal Hotel”. Presa dall’euforia abbandonai la mia valigia in mezzo al marciapiede e mi scagliai a suonare il campanello. Con la coda dell’occhio vidi Puck lanciarmi un paio di insulti a mezza voce, per poi recuperare il mio bagaglio. Gli sorrisi, continuando a tenere il dito premuto sul pulsante del citofono.
«Hey, hey, hey! ¿Estás loco amigo?» mi rimproverò una voce dall’apparecchio «¿Qué deseas
«Ehm... Hola» improvvisai, memore delle lezioni di Schuester «Quiero hablar con Miguel.»
La mia pronuncia doveva essere proprio orribile perchè l’uomo dall’altra parte mi rispose con: «Siete i turisti americani?» Si percepiva il forte accento straniero nel suo inglese, ma per lo meno potevamo comunicare.
«Sì, siamo qui per le chiavi. Sarebbe così gentile da aprirci?»
«Ningún problema, detto fatto.»
Sentii scattare la serratura e il mio istinto mi portò a spingere la porta pur di allontanarmi dall’acqua. Misi piede su un tappeto rosso consunto e rovinato dal tempo, lasciando immediatamente che una chiazza di umido si spandesse ai miei piedi.
«Ehi Britt! Dacci una mano con le valigie!» mi sgridò Finn, lanciandomi praticamente addosso due enormi borsoni. In un lampo mi trovai circondata dai miei amici e dai nostri averi, tutti finalmente contenti di non essere sotto la pioggia battente.
«Muoviamoci, temo che dovremo salire le scale» disse Noah afferrando il proprio bagaglio dopo aver letto il cartello “Fuera de servicio” attaccato alla porta dell’ascensore.
Stanchi ed infreddoliti, ci portammo al primo piano, dove si trovava la reception. Ci accolse un uomo dal bellissimo sorriso e i tratti tipicamente ispanici. Doveva avere circa trent’anni, ma li portava decisamente bene, i capelli neri scompigliati e l’accenno di barba lo rendevano incredibilmente affascinante.
«Io sono Miguel» disse allungando la mano in segno di saluto. Dopo esserci presentati a nostra volta, passò a spiegarci il funzionamento della struttura: «Su questo piano e quello superiore ci sono le camere dell’albergo, al terzo piano c’è il vosto alloggio, è quello sulla destra. Dispone di due camere e un bagno, è munito di angolo cucina e frigorifero, sul tavolo vi ho lasciato un piccolo omaggio di benvenuto. Ricordatevi solo di non lasciare troppo disordine dopo la vostra visita» quelle parole le rivolse chiaramente ai ragazzi «Per il resto fate come vi pare. Questa è la chiave del portone, mentre questa apre l’appartamento. Fate una buona vacanza!»
Non ci diede neppure il tempo di fare domande, semplicemente raccolse il cappotto appeso dietro di lui, poi scomparve lungo la scalinata da cui eravamo arrivati.
«Beh, tutti di corsa questi spagnoli» bisbigliai guardando la sua testa mora scomparire alla vista.
«Direi di lasciar perdere il nostro amico e tornare a concentrarci sulla nostra casa dolce casa per queste due settimane» osservò Rachel.
Quando aprimmo l’uscio ci rendemmo conto di aver fatto un ottimo affare. La porta dava su un ampio spazio con finestra, in mezzo al quale si trovava un tavolo con quattro sedie ed un grosso pacco. L’attrezzatura da cucina si trovava lì vicino e dall’altro capo della sala c’era un divano sgangherato. Un breve corriodio portava alle due camere da letto e al bagno.
«Oh, il mio momento preferito!» esclamò Puck «La disposizione dei posti letto!»
C’erano due letti singoli in una camera e uno a due piazze nell’altra. «Io propongo» continuò «Che tu, Finn, ti prenda un singolo, mentre io faccio compagnia alle signorine nel letto grande.»
Lo schiaffo di Q. fu molto più rapido del mio “Te lo sogni”.
«Ehi!» si lamentò il giovane, massaggiandosi la guancia «Io dicevo per dire... Se mi volevi tutto per te bastava dirlo!»
Un secondo colpo volò in direzione del viso dell’ebreo, ma io fermai la mano della mia amica prima che lo sfigurasse. «Quinn, sai che è uno scemo, lasciagli fare le sue battute.»
Fabray sbuffò infastidita, poi trascinò la sua valigia nella stanza matrimoniale, senza aspettare altre proposte. Io e Rachel la seguimmo, mentre i due ragazzi sghignazzavano alle nostre spalle.
La prima cosa che decidemmo di fare fu quella di toglierci di dosso gli abiti bagnati. Mi sfilai la maglietta, senza farmi tanti problemi, ma all’improvviso la porta, che avevo provveduto a chiudere, venne spalancata da Noah. «Ma siete certe di voler dormire con Brittany? Insomma sappiamo tutti che ha un debole per il gentil sesso. Tanto vale fare spazio anche a me!»
Ancora una volta la mia amica bionda provvide a tentare di scacciarlo, colpendolo in testa con una scarpa.
«Ok, ok, mi ritiro! Vi lascio i vostri spazi... Però potremmo fare a turno: una notte Britt, una notte io!»
Un’altra scarpa saettò, schiantandosi contro il muro bianco e lasciandoci un’antiestetica macchia grigiastra.
«Mi hai proprio mancato stavolta! Devo comprarti un paio di occhiali da abbinare a quel naso plastificato?» la stuzzicò ancora l’ebreo.
«Sei un uomo morto Puckerman!» gridò lei, pronta a balzargli alla gola. Per sua sfortuna, uno dei tubetti di strani intrugli della Berry si mise sulla sua strada, facendola cadere a faccia in giù sul pavimento, scatenando le risa incontrollate di tutti noi altri.
«Ora ho visto abbastanza, vi lascio sul serio in pace... Un’ultima cosa» aggiunse squadrandomi rapido «Sei proprio sicura di giocare per l’altra squadra? Perchè è davvero uno spreco!»
La mia maglietta fradicia non mancò il bersaglio, stampandosi sul suo ghigno soddisfatto.
Tornate sole, finimmo di cambiarci. Anche se non pensavo ci sarebbero stati problemi a riguardo, mi sentii in dovere di fare una domanda: «Siete sicure di volermi con voi? In fondo Puck ha ragione. Io posso sempre dormire su quella specie di divano.»
«Britt» mi disse la mora poggiandomi una mano sulla spalla «Ne abbiamo già parlato. Per noi non c’è nessun problema. Abbiamo dormito insieme per tre anni! Non inizierò certo ora a sentirmi in imbarazzo ad averti vicino.» Quinn annuì, condivindendo il suo pensiero.
Sorrisi contenta, sapevo che non ne avrebbero fatto un dramma, da più di un anno avevano imparato a convivere con la mia sessualità e non mi avevano mai giudicato. «Allora voglio il posto centrale, così ne approfitterò per stare schiacciata tra i vostri corpi sexy.»
Venni sbattuta fuori a calci, proprio come avrebbero fatto con Puck.
«Ma dai! Non posso neanche fare un po’ di spirito!»
«Dovrai implorare perdono per essere riammessa nel paradiso delle donne» mi disse Q. dall’altro lato della porta «Oppure prenderemo Finn e ti lasceremo in balia di Noah.»
«E tu vorresti passare le notti accanto ai Finchel, nello stesso letto? Sicura che sia l’idea migliore?» le feci presente.
«Hm... In effetti... Penso tu sia il minore dei mali, ma niente più battute, chiaro?»
«Come desideri, mia signora» risposi, inchinandomi mentre mi veniva riaperta la porta.
Passammo l’ora seguente ad alternarci in bagno per farci la doccia. Come era ovvio aspettarsi, il mohawk, per risparmiare acqua, propose una doccia collettiva, che prevedeva, in particolare, la mia presenza e quella di Quinn.
Dopo il mio turno, con l’aciugamano legato in testa per tenere sollevati i capelli umidi, andai a controllare il regalo lasciatoci da Miguel. Sentii Puck comparire da dietro di me, pronto a riprendere con la sua ironia: «Se ti fai la biondina sotto i miei occhi ti offro la cena per una settimana, se poi mi fai partecipare ti pago l’intera vacanza.»
«Mi spiace, ma non sono il tipo che condivide.»
«Dai! Non fare l’egoista! Non posso certo toccare Rachel.»
«In passato non ti sei mai fatto molti problemi a metterti in mezzo alle coppie per dividerle» sottolineai per ricordargli che tra lui e i nostri tre coinquilini c’erano stati talmente tanti tira e molla che facevo fatica a tenerne il conto.
«Ah, oggi hai il dente avvelenato, Pierce.»
«Nah» gli risposi con un sorriso eloquente «Tu vuoi solo riconquistare la nostra cara Fabray e sei talmente disperato da venire a chiedermi aiuto. Beh, lascia che ti ricordi che tra tutti sono la persona con la vita sentimentale più inconcludente. Fatti venire un’idea migliore.»
«Non voglio riconquistare Quinn» si difese, ma il modo in cui arrossì dimostrò l’esatto contrario delle sue parole «Volevo solo essere spiritoso.»
«Certo Noah, certo» gli dissi scuotendo la testa «Continua a negare. Ma sappi che se davvero la rivuoi indietro devi agire ora o mai più, perchè una volta approdata a Yale sarà circondata da affascinanti cervelloni che le faranno dimenticare Puckzilla in men che non si dica.»
Lui mi fece semplicemente l’occhiolino, come segno d’intesa, poi tornò in camera per prepararsi ad usare il bagno a sua volta.
Io tornai a rivolgere la mia attenzione al pacco che giaceva abbandonato sul tavolo. Lo scartai in fretta. All’interno della scatola trovai una mappa della città ed alcuni depliant di bar e ristoranti, sul fondo giaceva un grosso libro di ricette con un biglietto. Lo lessi curiosa: “Se preferite lo sperimentare all’uscire a cena”. Aprii il volume e mi resi conto che, per nostra sfortuna, era in spagnolo.
«Fabray?» urlai per farmi sentire.
La bionda sbucò dalla camera ancora avvolta nel suo accappatoio «Cosa c’è?»
«Ti è mai venuto in mente che qui avremmo avuto problemi con la lingua?»
«Ehm... Ho pensato che valesse come per il meteo e non ci ho prestato molta attenzione. Insomma, chi non sa l’inglese di questi tempi?»
«A quanto pare tutti gli spagnoli» si intromise la Berry «La guida dice specificatamente di munirsi di dizionari o di amici madrelingua perchè qui si parlano solo ed esclusivamente basco e spagnolo.»
«Siamo rovinati» sentenziai con tono drammatico.
«Puoi sempre rimorchiare una spagnola e portartela dietro per questi quindici giorni» si aggiunse Finn.
Io rimasi paralizzata all’udire quella frase, perchè mi tornò in mente Valerie.
«Hudson, hai fatto male ad aprir bocca» lo rimproverò Q. intuendo cosa quelle parole avessero scatenato in me «Si è già presa una cotta spaventosa per la surfista che ci ha dato le indicazioni prima.»
Io ignorai il resto della conversazione, troppo presa dai miei pensieri e dal sonno che ormai si faceva sentire. Il cambio di fuso orario fino ad allora sembrava non avermi scombussolata più di tanto, ma avevo calcolato male la mia resistenza. Tornai in stanza per sdraiarmi sul letto, ma lo trovai già occupato dalle mie compagne che, come me, avevano deciso di concedersi un po’ di riposo.
«Allora gente» annunciai assicurandomi che tutti mi stessero a sentire «Sono le tre del pomeriggio. Propongo di prenderci almeno cinque o sei ore di tranquillità, poi stasera andremo alla ricerca di cibo e di qualcosa di divertente per imprimerci nella memoria la nostra prima serata spagnola.»
«Alcool!» esultarono i due maschi.
«Ma non abbiamo l’età» ricordai loro.
«Qui ti sbagli, Pierce» mi fece sapere il quarterback «In Spagna l’età per bere è diciotto anni, quindi siamo legalmente autorizzati ad ubriacarci!»
Sentii le sue parole come se venissero da lontano e rimbombassero nella mia testa. Pochi istanti dopo crollai addormentata.
 
Mi svegliò uno strano calore attorno al viso, cominciai a strocere il naso e mi stropicciai gli occhi. Quando li aprii mi trovai praticamente incollate addosso le facce delle mie compagne di stanza.
«Levatevi! Mi state soffocando!» sbottai allontanandole «E, per la cronaca, i vostri aliti non profumano di rose fresche. Come vi viene in mente di tentare di intossicarmi così?»
Non diedero retta al mio sfogo di rabbia, semplicemente Rachel mormorò: «Sapevo che ci teneva nascosto qualcosa. Bella amica...»
«Chissà da quanto va avanti...» commentò Q.
«Potevi almeno accennarcelo» mi rimproverò l’ebrea.
«Cosa?» domandai confusa.
«Oh, andiamo, non fare la finta tonta. Sappiamo bene che parli nel sonno e stavolta ti sei lasciata sfuggire un’informazione di troppo» mi disse la bionda, ammiccando «Dicci, chi è Valerie?»
Io arrossii e tentati di seppellirmi sotto le coperte.
«Beccata!» esultarono all’unisono.
«Racconta, racconta, racconta!» insistette la Fabray, tirandomi fuori dal mio morbido rifugio.
«Ma non c’è proprio niente da raccontare» mi difesi, cercando di chiudere la questione.
«Dove l’hai conosciuta? È delle nostre parti? È una ballerina anche lei?» iniziò ad assillarmi la Berry.
«No, aspetta...» la interruppe l’altra, meditabonda «Valerie... Perchè ho come l’impressione di averlo sentito di recente?»
Io mi chiusi in un ostinato silenzio, ma la mia amica ci arrivò senza il mio aiuto: «La surfista! Era il nome dipinto sulla tavola! Oh, Britt, ma che mi combini?» disse addolcendo lo sguardo «Non puoi davvero esserti presa una cotta per una sconosciuta.»
«No...» si lamentò Rachel «Io non l’ho vista! Era carina?»
«Direi di sì» le rispose Quinn «Ma non sono certo la maggior esperta in materia. Di sicuro alla nostra ballerina qui è piaciuta molto se ha finito per sognarla.»
In effetti avevo ancora impresso il ricordo della chioma color ebano che contornava il viso ambrato e i profondissimi occhi scuri che avevo potuto fissare solo per qualche istante.
«Su alzati» mi dissero «Adesso usciamo e vedrai che te la scorderai in men che non si dica.»
Presi il cellulare, sorridendo al salvaschermo, il mio gatto Lord Tubbington, e lessi l’ora: le 23:31.
«Oddio ma è tradissimo!» esclamai balzando in piedi.
«Non preoccuparti» mi rassicurò la mora «La guida dice che qui la gente vive di notte, i locali stanno aperti praticamente dalle 21 alle 5 del mattino.»
Quando fummo tutti pronti, dopo un’ulteriore mezz’ora, uscimmo sotto la fitta pioggia che non aveva smesso di cadere. Decidemmo di non prendere la macchina, il centro si trovava a pochi minuti, appena riattraversato il ponte. Rachel aveva stilato una lista dei possibili locali in cui avremmo potuto assaggiare la specialità del posto, i cosiddetti pintxos, una variante delle note tapas spagnole.
Contrariamente a quanto ci aspettavamo, la città brulicava di vita. Ci passarono accanto diversi gruppi di giovani spagnoli e anche alcuni di turisti più o meno della nostra età. Le vie lastricate che conducevano al porto e su cui si affacciavano i bar erano quasi impraticabili per via della folla.
«Non troveremo mai un posto per mangiare tranquilli. C’è troppo caos» constatai.
«Se vi accontentate di bere ho sulla mia lista un posto che non sembra essere molto frequentato dagli autoctoni» annunciò l’ebrea.
Decidemmo di seguirla e, zigzagando tra la gente, giungemmo in un piccolo locale: “La oca loca”. Spingemmo la porta ed fummo subito attirati dalla musica che si propagava nell’ambiente, erano basi per il karaoke e il palco vicino al bancone dava conferma delle nostre intuizioni.
«Non puoi proprio resistere a questo genere di cose, vero?» le domandò il fidanzato «Dovevi per forza trovare un pubblico per cui esibirti.»
«Non siamo obbligati a cantare» si difese «Voglio solo sentire come se la cavano gli altri.»
Aspettammo una decina di minuti, quando finalmente si liberò un tavolo. Io mi sedetti dando le spalle al palco, per poter guardare fuori dalla finestra. Di fronte a me si accomodarono i Finchel, alla mia destra si mise Quinn e Puck, di conseguenza, prese posto alla mia sinistra.
Una cameriera sorridente ci portò la lista delle diverse bevande e noi ordinammo praticamente ogni cocktail che vi fosse segnato.
«Voglio provare tutto» aveva stabilito Noah battendosi il petto, un comportamento normale quando voleva fare lo sbruffone.
Il tavolino venne sommerso di bicchieri, che andarono a poco a poco svuotandosi, mentre i nostri animi si allegerivano sempre più, liberandosi dalla stanchezza del viaggio e caricandosi di nuova energia.
Non prestavo molta attenzione alle canzoni che si sussegivano, dato che la maggior parte erano in spagnolo. Se capitava qualche brano a me noto mi limitavo a fischiettarne il motivo.
All’una di notte eravamo ormai tutti decisamente alticci e fu allora che Rachel andò all’attacco. «Dai Finn, andiamo a fare un bel duetto. Dimostriamo a questi latini cosa vuol dire cantare!»
Il ragazzo fece una smorfia, riluttante.
«Su amore, per favore...» lo supplicò.
«No, Rach. Non mi va proprio. Se vuoi cantare puoi farlo da sola.»
«Quinn, vuoi farmi tu da supporto?»
«No, ho bevuto troppo. Non sono neppure certa di riuscire a stare in piedi» rispose la Fabray.
«Britt?» tentò allora con occhi supplicanti.
Io mi limitai a scuotere la testa con convinzione.
«Non vuoi che sia io il tuo compagno di canto?» si intromise Puck.
«Non pensavo che fossi interessato...»
«Infatti» ridacchiò il mohawk «Volevo solo vedere la luce dell’ultima speranza spegnersi nei tuoi occhi.»
«Ignorerò questa tua cattiveria associandola all’alcool» disse, visibilmente offesa.
Io lasciai vagare il mio sguardo, per distrarmi. Le mie orecchie captarono qualcosa di curioso, qualcosa di familiare, portandomi a voltarmi verso sinistra ad osservare il tavolo alle spalle di Noah.
«... E ribadisco che non ho ancora digerito il fatto che ci troviamo in una città che porta il nome del tuo ex.» Inglese, ecco cosa avevo sentito. C’era un gruppo di turisti, anche loro americani, stabilii dall’accento. A parlare era stato un ragazzo che poteva avere più o meno la mia età, aveva il viso leggermente abbronzato e i capelli castani schiariti dal sole e dall’acqua salata. Dalla mia posizione potevo vederlo chiaramente, mentre meno visibili mi erano i suoi due compagni. Uno, seduto alla sua sinistra, era alto e biondo, abbronzato come solo un surfista poteva esserlo, ma la cosa che mi colpì fu la sua enorme bocca, con tanto di labbra fuori misura che avrei tranquillamente scambiato per un canotto di salvataggio.
«Kurt, quante volte ti devo ripetere che Sebastian non è il mio ex?» La risposta era venuta dal terzo membro, seduto di fronte a quello che doveva chiamarsi Kurt. Gli vedevo solo la schiena e la perfetta chioma scura tenuta a bada da una quantità incalcolabile di gel.
Il volume della musica fu alzato e una ragazza salì a cantare, impedendomi di seguire il discorso, riuscì a capire che la lite tra i due stava proseguendo, mentre l’altro cercava di riportare la pace.
Quando il brano finì potei tornare ad origliare.
«... Sarà ancora ad incipriarsi il naso. Ma ora non è di lei che ci dobbiamo occupare, piuttosto» disse il biondo «Adesso fate la pace, da bravi fidanzati.»
Gli altri due si lanciarono un’ultima occhiata di astio, poi si sorrisero e, sollevandosi leggermente dalle sedie, si avvicinarono quel tanto che bastò per scambiarsi un bacio a fior di labbra.
«Allora Sam, cos’altro vuoi che facciamo?» domandò Kurt all’amico seduto vicino.
«Adesso dovete dimostrarmi che non è tutto una farsa! Andate a duettare, su.»
Il moro si alzò e prese il fidanzato per mano. La curiosità mi portò a voltarmi per osservarli. Parlarono con il gestore e in pochi istanti partì la base di una canzone a me nota.
Made a wrong turn,
Once or twice
Dug my way out
Blood and fire
Iniziò Kurt seguendo la melodia. Proseguì a cantare e notai con piacere che aveva un timbro molto delicato, decisamente armonico. Quanto giunse il ritornello si unì a lui l’altro ragazzo che poi lo accompagnò per il resto della canzone. Le loro voci intonate si completavano alla perfezione, donando ancora più anima al testo.
Quando conclusero il pezzo e scesero dal palco io mi sentii in diritto di applaudire, ma fui bloccata da Rachel che mi afferrò i polsi decisa. «Non ti permetto di adulare la concorrenza! Adesso salgo su quel palco e faccio vedere io cosa vuol dire avere talento.»
Si allontanò per andare a discutere anche lei con il gestore, che era già impegnato in un’altra conversazione. Ne approfittai per sollevare con me la sedia e mi avvicinai al tavolo del trio.
I giovani mi fissarono basiti, ma il mio sorriso sembrò scioglierli un po’.
«Volevo fare i complimenti a voi due per il duetto, siete stati davvero meravigliosi.»
Kurt arrossì, mentre il suo fidanzato scoppiò in una risata cristallina.
«Sono Brittany, comunque» mi presentai.
«Piacere Brittany, io sono Sam» disse il ragazzo dalle labbra inconcepibilmente grandi «E questi sono Kurt e Blaine.»
Mi chiesero per quale ragione mi trovassi a Donostia e io indicai i miei amici al tavolo. In pochi istanti i miei nuovi conoscenti invitarono anche loro a prendere posto.
«Quel posto è libero?» chiese Q. notando una quarta sedia al loro tavolo, che era però rimasta vuota.
«Oh, in realtà no... Ma penso che San troverà un altro posto dove stare, siediti pure.»
«Chi è San?» bisbigliai, ma le mie parole furono soffocate dalla musica che era tornata nuovamente a rimbombare tra le mura del locale.
«Signore e signori» disse il proprietario sforzandosi di camuffare l’accento spagnolo «Eccoci alla sfida della serata, che quest’oggi sarà tutta americana! Sul palco abbiamo due belle señoritas e un giovanotto. Prego, salite.»
Rachel prese posto in centro e dopo pochi istanti il microfono al suo fianco venne preso da un fanciullo dai capelli scuri, tirati su come se si fosse trattato di un supersayan. Per ultima comparve una ragazza che lanciò subito un’occhiata nella mia direzione.
«Oh, eccola là» sentii dire Blaine.
Pensai di perdere la mandibola dato il modo in cui spalancai la bocca per la sorpresa. Non mi ci volle più di mezzo secondo per identificare Valerie. Avrei voluto chiedere di lei, anche solo capire quale fosse il suo vero nome, ma ogni mia intenzione fu spazzata via quando iniziò a cantare.
Gloria,
You’re always on the run now
Runnin’ after somebody
You’ve gotta get him somehow
Non feci caso a quando si unirono a lei gli altri due. Per me quella voce celestiale era tutto quello che esisteva in quel momento. Cercai inutilmente di riconnettere il cervello al resto del corpo, ogni mia cellula era volta alla totale devozione di quella dea latina.
Quando la musica terminò ci fu uno scroscio di applausi. Non eravamo più in molti nel locale, ma comunque quello che si levò fu un vero e proprio boato di apprezzamento.
«Perfecto!» riprese la parola il gestore «Allora, chi abbiamo avuto l’onore di ascoltare?»
La mia amica non si fece problemi a rispondere per prima: «Rachel Barbra Berry.»
Noi fischiammo, da veri supporters.
«Elliott Gilbert, in arte Starchild» si presentò il ragazzo. Uno dei tavoli dall’altro lato della sala ripetè quello che avevamo fatto noi, dovevano essere i suoi amici.
Il mio cuore mancò un battito quando sentì l’ultima performer schiarirsi la voce prima di parlare nel microfono.
«Santana Lopez» disse semplicemente. A quelle parole Kurt e gli altri due si alzarono improvvisando una ola.
«Molto bene pubblico! È il momento di decidere: chi è il nostro campeón
Ognuno inziò ad urlare il nome del proprio beniamino. Io mi imposi di almeno mormorare “Rachel” ma la mia lingua sembrava essersi annodata.
«Muy bien, direi che i presenti hanno apprezzato tutti gli artisti, quindi siete tutti vincitori!»
Potei chiaramente leggere la furia negli occhi di Rachel, se c’era una cosa che odiava più di perdere era dover condividere la vittoria con qualcuno che lei non reputasse degno.
I minuti che seguirono mi parvero interminabili. La Berry lasciò la scena, avvicinandosi a noi per conoscere le nuove aggiunte, dietro di lei vidi muoversi un’ombra. Avevanzava fiera nei suoi jeans stretti, abbinati ad una semplice t-shirt azzurra decorata con il disegno di una tavola da surf.
Dovevo proprio avere un’espressione ebete, perchè Quinn mi tirò un paio di gomitate per riportarmi alla realtà, poi mi sussurrò all’orecchio: «Il caso non esiste, vai e conquista.»
L’ebrea e la latina, ancora incerte sul perchè di quella strana alleanza, si unirono al cerchio di sedie. Noah fece ondeggiare la testa, chiaramente ubriaco, mugugnando qualcosa di incomprensibile.
«Ci dispiace dover andare via così» intervenne Finn dopo che si furono rifatte le presentazioni «Ma è il nostro primo giorno e non siamo ancora abituati.»
Seppure controvoglia, annuii d’accordo.
«Non c’è problema» ci rispose Santana «Forza, andiamo a casa, ne approfitterò per conoscervi un po’ meglio.»
Pensai di aver capito male, per fortuna gli altri sembrarono spiazzati quanto me.
«Mi hai chiesto del Kursaal Hotel, no?» disse rivolta a Q. «Anche noi alloggiamo lì. Abbiamo un appartamento al terzo piano.»
Qualche sinapsi della mia materia grigia decise di sbloccarsi, ricordandomi che il nostro probabilmente non era l’unico alloggio che veniva messo a disposizione dei vacanzieri.
«Ma che coincidenza!» esclamò Puck, riprendendosi «Anche noi stiamo al terzo piano! Spostiamo la festa a casa!»
Esultammo contenti, sbrigandoci a pagare per le consumazioni. Uscimmo e finalmente, dopo interi minuti, mi parve di respirare. Lasciai che l’aria umida, fredda e impregnata di salsedine mi invadesse i polmoni, risvegliandomi in parte dalla confusione alcolica e distraendomi dalla bellissima ragazza che avanzava al mio fianco.
«Piaciuto il numero?» mi chiese Rachel, comparendo dal nulla con Finn a braccetto.
«Sì, sei stata brava come sempre» trovai la forza di rispondere, avrei voluto aggiungere “Ma Santana è stata semplicemente perfetta” ma mi parve inopportuno e il mio malandato cervello ebbe la coscienza di impedirmi di fare una simile figura.
Il percorso verso il Kursaal mi sembrò molto più rapido che all’andata, forse perchè le strade erano finalmente vuote. Mi resi conto solo dopo cinque minuti buoni di camminata che aveva anche smesso di piovere. Il cielo era ancora coperto, ma si poteva notare qualche squarcio di sereno, speravo che il giorno seguente riuscissi almeno ad intravedere il sole.
Seguii distrattamente le diverse conversazioni che andavano avanti all’interno del gruppo, senza prendere parte a nessuna. Volevo poter raccogliere le mie idee, cercando di fare chiarezza tra i fumi dell’alcool.
Quando arrivammo a destinazione affrontammo tutti le scale con estrema fatica. Giunti al terzo piano pensai che fosse ora di salutarci, ma Puck, Finn e Sam, che sembravano aver legato molto in fretta, ci spinsero tutti dentro il nostro alloggio scandendo la parola “Fiesta” come se si trattasse di un inno sacro.
Vidi Kurt e Blaine sgattaiolare nell’altro appartamento, solo per recuperare del cibo e altre bevande.
Noi cinque assaltammo le provviste senza neppure chiedere il permesso, ma nessuno ebbe da ridire. Dopotutto l’ultima cosa che ricordavo di aver mangiato era stato un panino all’aereoporto di Barcellona, quasi ventiquattro ore prima.
«Dai, mettiamoci comodi e vediamo di fare un po’ di conoscenza» propose Quinn, invitandoci a sedere sul pavimento.
Così, disposti in cerchio, ci prendemmo un momento per studiarci di nuovo, mentre un silenzio imbarazzante prendeva il controllo della stanza.
«Allora, chi comincia?» domandò Rachel, accompagnando le parole con uno sbadiglio.
«Beh, visto che è stata lei a farci incontrare...» cominciò Blaine. Io fissai le sue labbra mentre articolavano la frase: “Propongo che inizi Brittany”.
Feci un profondo respiro, sperando che la mia anima di unicorno mi infondesse coraggio. Per via del terrore, ancora non ero riuscita a guardare in faccia la latina, ma decisi che se proprio dovevo cominciare io quella follia volevo farlo dopo essermi persa nelle sue iridi. Sollevai il viso con fierezza e piantai i miei occhi nei suoi.
Allora, con rinnovata forza, diedi inizio allo strano circolo di confidenze, promettendo a me stessa che, prima della fine della vacanza, avrei esplorato l’immensità dentro quegli oceani scuri.


Nota dell'autore: ed ecco, come annunciato, il secondo capitolo. Spero che si stato all'altezza delle vostre aspettative e vi sia piaciuto. Un breve spazio per ringraziare wislava e HeYa Shipper per le recensioni, grazie a chi ha aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite. Aggiornamento a settimana prossima, un saluto.

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Capitolo 3
*** I kissed a girl ***


CAPITOLO III: I kissed a girl
 
«Ciao, io sono Brittany» dissi, cercando di buttarla sul ridere.
«Ciao Brittany» mi risposero tutti in coro.
«Non bevo da circa cinque minuti» continuai, ma a quel punto Noah mi allungò una delle bottiglie di birra rimaste dal nostro primo assalto e ne presi un lungo sorso «Ok, diciamo che il mio problema di alcolismo è molto lontano dall’essere risolto... Ma torniamo seri...»
«Sentite» mi interruppe Sam «Siamo onesti ragazzi: non sappiamo praticamente nulla gli uni degli altri, non ci siamo nemmeno detti da che città veniamo o perchè siamo qui, ma sapete cosa? Per tutto ciò c’è sempre domani.»
«Tecnicamente è già domani, dato che sono le due passate» puntualizzò Kurt. Blaine provvide a fargli segno di tacere, mentre le enormi labbra del biondo riprendevano ad articolare parole: «Voglio dire, ci resta sempre più tardi per fare le persone adulte e responsabili, ma ora voglio divertirmi! Siamo tutti abbastanza sbronzi per acconsentire al gioco più antico del mondo e che ha sempre garantito un ottimo modo per fare conoscenza.»
«Oh no, non stai per dire quello che penso, vero?» lo fulminò Santana.
«Spin the bottle!» esultò Puck, comprendendo le intenzioni dell’altro. Mi strappò dalle mani la bottiglia, ormai vuota, e la piazzò in mezzo al cerchio.
«Io non so se me la sento» tentò di tirarsene fuori Rachel, che se avesse bevuto appena due o tre sorsi di più non si sarebbe certo fatta scrupoli.
«Non fare la guastafeste come Schuester» disse Quinn, come recitando un copione.
«Non tirare in ballo Mr. Schue!» si animò, ovviamente, Finn.
«Potrà anche essere esasperante a volte e un pelino soporifero, ma è pur sempre il professore migliore mai avuto al McKinley» conclusi facendo l’occhiolino al quarterback.
Noi cinque scoppiammo a ridere sotto lo sguardo curioso degli altri.
«Questa è una di quelle cose che vi spiegheremo meglio più tardi» continuai «Ora giriamo quella maledetta cosa!»
«Visto che l’idea è stata tua, a te l’onore del primo giro» disse solennemente Puckerman a Sam.
«Beh, chiunque mi tocchi a me sta bene» disse il ragazzo con un sorriso, dando inizio al gioco. Fissammo come ipnotizzati il collo della bottiglia perdere a poco a poco velocità, per fermarsi esattamente a metà tra Quinn e me.
«A questo punto le bacio entrambe?» domandò allargando il sorriso, che fece apparire le sue labbra ancora più sproporzionate di quanto non fossero.
«Ti piacerebbe, Trouty Mouth» lo punzecchiò la latina «Le regole parlano chiaro: il bacio va a ciò che hai puntato, se osservi bene la bottiglia indica chiaramente quel bellissimo divano là in fondo, o magari una delle cimici che lo abitano. Divertiti.»
«In effetti le regole sono quelle» constatò Noah, appoggiando la ragazza «Mi spiace amico, avrai più fortuna la prossima volta.»
«Allora vai tu, bro?» chiese rivolto al Mohawk.
«Perfetto!» rispose lui, determinando l’ordine del gioco.
Ancora una volta la bottiglia calamitò la nostra attenzione e a me scappò da ridere quando si fermò puntando Finn.
«Questa è l’unica combinazione che non avete ancora provato» commentai, strappando numerosi sorrisi.
La faccia di Rachel mi sembrò più sconvolta che mai quando osservò i due scambiarsi un innocentissimo bacio sulle labbra.
«La prima e ultima volta che bacio un altro maschio, segnatevelo bene in testa» borbottò Puck.
Io colsi l’occasione per un breve intermezzo musicale: You kissed a boy and you liked it canticchiai a ritmo del noto successo di Katy Perry.
«Non cominciare con le tue solite stupidate» mi ringhiò, prima di pizzicarmi un braccio «Muoviti che tocca a te, Pierce.»
Deglutii, cercando di scacciare la tensione che mi stava paralizzando il braccio. Feci ruotare con forza la bottiglia, pregando si fermasse nel vuoto. Non ascoltò le mi suppliche.
«Ma che…» imprecò il mio amico ebreo «Tutte le fortune a lei…»
Feci spallucce, poi mi voltai verso la mia “vittima designata”. «Pronta Fabray?» le domandai.
«Sapevo che prima o poi sarebbe successo» mi rispose ridacchiando «Forza, facciamo in fretta.»
Fu un bacio persino più casto di quello a cui avevamo assistito un momento prima.
«Ed ora voglio proprio vedere chi mi riserverà il caso…» commentò la bionda, dando la spinta necessaria a far proseguire il gioco.
Per sua sfortuna, o forse fortuna in realtà, puntò il vuoto.
«Tocca a te Rach» annunciai, vedendola distratta.
Sebbene riluttante, la mora prese parte al gioco. La bottiglia puntò il suo ragazzo.
«Oggi tutti vogliono Finn» osservò Sam.
«Che ci vuoi fare? Sono uno che piace» rispose il giovanotto, aspettando che l’ebrea si decidesse a dargli il bacio fatidico.
«Prima pulisciti le labbra, non voglio prendermi qualche strano virus per colpa di Noah.» Il quarterback ignorò le sue parole e si decise ad agire. Fummo costretti a separarli con la forza.
«Tocca a te tonto, muoviti» dissi per far rimettere in moto le cose.
Finn fece la sua mossa e puntò se stesso. Ci guardammo sconcertati. «Credo che sia geloso di se stesso…» commentò Blaine, mentre il suo fidanzato prendeva la bottiglia.
«Anche Britt va forte stasera» commentò Quinn, dopo che Kurt ed io ci fummo baciati.
«Dai Pretty Pony, siamo quasi alla fine» sbuffò Santana nell’attesa che Blaine si decidesse a girare la bottiglia, arrivando ad indicare Rachel.
L’ultimo turno era quello della latina. «Poniamo fine a questa fiera della stramberia.»
Chiusi gli occhi, per paura di vedere la maledetta bottiglia fermarsi davanti a qualcun altro all’infuori di me. «Bene, fine dei giochi» la udii dire con tranquillità. Li riaprii e notai che la bottiglia aveva ancora una volta puntato il vuoto.
«Allora, che si fa ora? Un altro giro?» chiesi, stiracchiandomi.
«Non penso che la “Fiesta” proseguirà» mi rispose la latina «Guarda.»
I Finchel erano crollati addormentati abbracciati, così come Kurt e il fidanzato. Sam e Puck erano sdraiati faccia a faccia a discutere di football, ma si vedeva che non avrebbero resistito a lungo. Vidi Q. scrivere qualcosa sul cellulare, poi andò ad appoggiare la schiena al divano dietro di noi, come a cercare una posizione più comoda per riposare.
«A questo punto direi di spegnere la luce e dichiarare conclusa la serata» dissi, facendo per alzarmi per arrivare all’interruttore.
«Beh, approfittiamone per chiacchierare un po’, no?» osservò Santana, appigliandosi al bordo della mia maglietta.
«Dai San, lasciami andare. Spengo la luce e torno.» Mi morsi la lingua appena finii di parlare. Non potevo concedermi la libertà di chiamarla con il suo soprannome, la conoscevo da appena un paio d’ore!
Lei sembrò comprendere il mio imbarazzo e si affrettò a rispondere: «Non farti problemi, Britt.» Quelle parole mi risollevarono un po’ lo spirito. Mi affrettai a premere l’interruttore per poi tornare dall’affascinante mora.
«So che le informazioni dovrebbero venire fuori solo più tardi, ma posso comunque farti qualche domanda? Solo per capire come stanno le cose qui» disse, cercando i miei occhi nella semioscurità.
«Certo, non farti problemi.»
«Frankenteen e l’hobbit stanno insieme, giusto?»
Annuii, ridacchiando per via di quei soprannomi spassosi.
«Invece tra la Principessa Disney e Testa-a-scoiattolo c’è qualche trascorso, vero?»
«Ci hai preso in pieno…» ammisi, sempre più divertita «Ora posso chiedere io?»
«Ovvio, ma ti precedo dicendoti che: sì, i Klaine sono una coppia in tutti i sensi possibili.»
«Beh, quello era abbastanza chiaro, ma io volevo sapere di te e Sam… Voi siete una coppia?»
La sua risata cristallina pervase la stanza. «No» mi rassicurò «Mai con Trouty. Non è proprio il mio tipo.»
La cosa mi tranquillizzò un po’, ma ciò che aggiunse poco dopo a dir poco mi esaltò: «Intendo che non è il mio genere.»
Non osai indagare oltre, volevo godermi l’illusione di avere qualche possibilità di conquistarla in futuro.
«E tu che mi dici? Non puoi essere certo venuta fin qui per fare la ruota di scorta.»
«Beh, in un certo senso sì. Volevo solo passare una bella vacanza con gli amici, non è colpa mia se loro hanno tutti questi trascorsi di triangoli e quadrilateri.»
«Ma non hai nessuno ad aspettarti a casa?»
Sogghignai, contenta del suo interessamento, anche se quello che lei stava cercando di fare era normale conversazione.
«In effetti la mia anima gemella è rimasta a Lima.»
Lei rimase in silenzio un momento, come se fosse combattuta.
«C’è qualcosa che non va?» le chiesi.
«No, è solo che… Due domande: chi è il fortunato? E: intendi Lima, la capitale della noia, Ohio?»
«Allora, per rispondere alla tua prima domanda: il fortunato è il mio amato Lord Tubbington» dissi mostrandole una foto del gattone «Ma ora parliamo della questione shock: conosci Lima? Ci sei mai stata?»
«Ci vivo da quindici anni!» mi rispose «Io e la mia famiglia ci siamo trasferiti da Puerto Rico quando ero solo una bambina e siamo finiti in quel buco d’inferno.»
La mia euforia stava per raggiungere il culmine: vivevamo nella stessa città. In quel momento mi dimenticai totalmente dell’appartamento a New York che mi aspettava per quando avrei cominciato a studiare alla Julliard.
Avevo ancora tante cose di cui avrei voluto parlarle e tante cose che avrei voluto scoprire, ma un sonnolento Puck alzò la testa e ci supplicò di metterci anche noi a dormire.
«Non ti preoccupare» mi sussurrò all’orecchio «Avremo tempo di conoscerci, non pretendiamo di correre troppo.»
«Sono d’accordo» risposi con un sorriso «Buonanotte Santana» conclusi andando ad accoccolarmi vicino alla mia amica bionda.
«‘Notte Brittany, ci si vede più tardi» bisbigliò prendendo posto al mio fianco.
Il mio cuore iniziò a battere sempre più rapido, mentre la mia mente correva a fare le associazioni più varie. Ancora non sapevo nulla di Valerie, doveva avere un significato profondo se lo aveva fatto dipingere sulla sua tavola. Non le avevo chiesto se fosse coinvolta in qualche relazione e lei di certo non ne aveva fatto parola.
Mi imposi di smetterla di rimuginare, dovevo assolutamente dormire qualche ora.
Ascoltai i respiri tranquilli dei miei amici, prestando particolare attenzione a quello della surfista, che si era fatto più lento e regolare nel giro di pochi minuti.
Quando fui sul punto di lasciarmi andare al sonno, sentii qualcosa sfiorarmi la mano. Il mio primo istinto fu quello di saltare in piedi urlando dallo spavento, ma mi trattenni. Un istante dopo il mio mignolo destro venne attaccato da qualcosa. Mi imposi di mantenere il sangue freddo. Tirai fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni utilizzando la mano sinistra e illuminai lo strano parassita.
Vidi il mignolo ambrato della latina intrecciato con il mio.
Il mio cuore accelerò di nuovo. Ero convinta che stesse dormendo, doveva essere stato un riflesso incondizionato, però la cosa mi fece immensamente piacere.
Alla fine, con il sorriso sulle labbra e il mignolo incatenato con quello della surfista, riuscii ad addormentarmi.
 
Quando cominciai a riprendermi dalla nottata di bagordi, la prima cosa che notai fu il delizioso profumo di caffè che si stava diffondendo dal piano cottura. Aprii gli occhi e feci per stiracchiarmi, ma sentii che la mia mano destra era ancora legata a quella di Santana. Con estrema delicatezza ed estremo dispiacere interruppi quel contatto.
Mi sollevai a fatica. Avevo la schiena indolenzita e il collo rigido per aver dormito appoggiata a quello scomodissimo divano. La surfista e la bionda che erano state al mio fianco riposavano ancora, così come Noah e Sam, accoccolati schiena contro schiena in mezzo alla stanza, e Rachel rannicchiata nello stesso punto in cui l’avevo vista la notte prima.
Finn doveva essere in camera, dati i rumori che vi provenivano, mentre i Klaine erano indaffarati a preparare la colazione.
«Dai Kurt, cominciano a svegliarsi tutti, datti una mossa con quei pancakes!» ordinò il moro con tono perentorio.
«Ma quanto sei dispotico stamattina» lo punzecchiò l’altro.
«Meno chiacchiere e più lavoro!»
«Ehi, Kurt» intervenni «Ti maltratta sempre così?»
«Oh, certo» mi rispose ridacchiando «Sono praticamente il suo schiavetto.»
«Lascia allora che ti introduca al C.R.E.P.A.» gli dissi, sperando che cogliesse il mio riferimento, ma dallo sguardo confuso che mi lanciò, capii di aver fatto un buco nell’acqua.
«Il Comitato per la Riabilitazione degli Elfi Poveri e Abbruttiti, tesoro» gli spiegò Blaine «È una cosa di Harry Potter.»
«Ma no! Non me ne ricordo! Siete sicuri?» borbottò l’altro.
«Ah già!» esclamò il riccio battendosi la fronte «Tu non hai letto i libri!»
«Babbano» commentai facendogli la linguaccia.
«Ho cercato inutilmente di piantargli nella testa un po’ di cultura, ma a quanto pare i miei sforzi sono stati vani» mi confidò il moro «Per fortuna c’è Sam. Anche lui è un vero nerd, ma il suo debole è Avatar. Parla addirittura il Na’vi.»
«Srake fnan ngal lì’fyati leNa’vi?» sentii provenire da dietro di me.
«Sam, per l’amor del cielo, parla inglese!» lo rimproverò Kurt.
«Te la cavi con il Na’vi?» mi tradusse.
«Kesran» risposi pronta e poi aggiunsi, per farmi comprendere dagli altri: «Così così.»
«Ho sentito degli strani versi» intervenne Finn, sbucando dalla propria stanza «Qualcuno è stato male?»
«No» lo rassicurò Blaine «Stiamo solo facendo pratica con una lingua straniera.»
«Dovreste smetterla di fare gli stupidi e magari prendere in mano un dizionario di spagnolo» si aggiunse la latina, avvicinandosi «Sono stanca di dover sempre fare da interprete.»
«Ma è il motivo per cui ti abbiamo portata con noi» la canzonarono i tre amici.
«Potrete fare dell’umorismo solo dopo avermi servito il mio sacro caffè, non prima» stabilì, accomodandosi su una delle sedie libere.
«Nessuno di voi ha i postumi da sbornia?» chiesi, rendendomi improvvisamente conto di avere un leggero mal di testa.
«Noi quattro abbiamo avuto serate peggiori» mi comunicò il biondo «A confronto con le sere passate, ieri eravamo sobri!»
«Shh» fece Hudson, notando che la sua ragazza aveva iniziato a dare segni di ripresa «Cercate di non svegliarla, voglio rimandare il più possibile la discussione riguardo a quello che è successo con Noah.»
«Quello che succede al gioco della bottiglia, si sa, non ha nessun valore una volta finito il gioco» cercai di rassicurarlo.
«Conosci Rachel, non me la lascerà passare liscia, quindi mi godo gli ultimi attimi di tranquillità che mi restano.»
«Stavate parlando di me?» si intromise l’ebrea.
«Ma certo tesoro, stavamo ricordando con orgoglio la tua splendida performance di ieri» rispose pronto il quarterback, sfoderando un sorriso.
«Fingerò di crederci per non dover litigare davanti agli altri, ma noi ancora dobbiamo parlare, sappilo» gli comunicò schioccandogli un bacio sulla guancia.
«Basta con tutte queste smancerie, mi fate cariare i denti» si lamentò Santana quando anche i due cuochi decisero di scambiarsi adorabili manifestazioni d’affetto.
«Tu hai solo da tenere la bocca chiusa» la punzecchiò Kurt.
«Spiegati meglio, Lady Hummel.»
«Oh, quando mi sono svegliato non crede che abbia fatto finta di non vedere come tenevi la mano della bella bionda.»
La latina avvampò, mentre risate divertite cominciarono a serpeggiare tra gli altri.
«È stato sicuramente un riflesso notturno» intervenni «Non l’ha certo fatto di proposito. Io neppure me ne ero accorta» mentii.
Lei mi lanciò uno sguardo colmo di gratitudine, anche se fui certa di cogliere qualcosa di più nei suoi occhi scuri. Qualcosa che, però, non feci in tempo ad identificare perché notammo Quinn alzarsi e, senza rivolgerci la parola, andare a prendere a calci il sedere di Puck, ancora nel mondo dei sogni.
«Muovi il culo, Puckerman. Sei il solito ubriacone!»
Lui, in tutta risposta, si girò su se stesso, mugugnando, e le afferrò la gamba, trascinandola a terra.
«Lasciami andare, razza di Neanderthal che non sei altro!»
«Dai Q, solo un bacino del buon risveglio.»
«Mi spiace che il tuo piano “spin the bottle” sia fallito e tu non abbia avuto l’occasione di baciarmi, ma vedi di fartene una ragione» disse divincolandosi «Ormai io e Britt siamo ufficialmente impegnate.»
Lui la lasciò andare, solo per potersi alzare a fissarmi con sguardo divertito. «Temo di doverti una settimana di cene» sbuffò.
«Già, ma contale doppie, perché offrirai anche alla mia adorata Fabray, vero Quinnie?»
«Ovvio tesoro» trillò lei.
Finalmente tutti svegli, ci preparammo per fare colazione. Una pila di caldi e deliziosi pancakes, gentilmente offerti dalla Klaine corporation, troneggiava sul tavolo, accompagnata da un vasto assortimento di tazze e bicchieri.
«Abbiamo recuperato tutti i contenitori che siamo riusciti a trovare. Non è certo un servizio da the di Buckingam Palace, ma è meglio che bere direttamente dalla caffettiera» affermò Blaine, cominciando a versare il caffè.
«C’è dello zucchero?» domandò la Berry.
«Sì» le rispose pronto Kurt, passandole una piccola scatolina trasparente «E abbiamo anche portato del latte nel caso qualcuno ne volesse, è in frigorifero.»
Feci per alzarmi, ma Santana mi fermò poggiandomi delicatamente una mano sulla spalla. «Lo prendo io, tranquilla.»
«Dimmi cosa hai fatto, ti prego» mi sussurrò Sam «Non si comporta mai così bene con noi altri. È un “Confundus” o sei ricorsa alle Maledizioni senza perdono?»
«Ma come ti viene in mente? Hai idea di quanto sia difficile controllare una formula “Imperius”? Non rischierei mai di finire ad Azkaban solo per farle aprire il frigo» replicai con lo stesso tono.
«Ecco qui» mi sorrise la latina, porgendomi il cartone di latte.
«Grazie mille» risposi con altrettanta gentilezza.
«Oh Pierce, vedo che fai già gli occhi dolci ad un’altra! Come osi?» mi rimproverò Quinn.
«Diciamocelo Fabray» intervenne Noah «Farebbe un gran salto di qualità.»
Lei lo fulminò con lo sguardo.
«In negativo, ovviamente» si affrettò ad aggiungere «Tu sei indiscutibilmente la più bella del reame.»
«Smettila di fare il cascamorto con la mia donna» lo ripresi.
«Ma piantala e vai a limonare con la spagnola, si vede che la stai spogliando con gli occhi!»
Fui certa di assumere una colorazione rosso-imbarazzo delle più classiche. L’unica reazione razionale che ebbi fu quella di seppellire la faccia nella tazza, mentre provvedevo a riempire il Mohawk di calci sotto il tavolo.
Il silenzio imbarazzante calato appena Puck aveva finito di parlare perdurò per diversi minuti, mentre tutti afferravamo uno o due pancakes e sorseggiavamo i rispettivi caffè.
«Dios, ma è tardissimo!» esclamò ad un tratto Santana guardando il cellulare «Abbiamo una tabella di allenamenti da rispettare!» Svuotò il suo bicchiere in un solo sorso e ingurgitò un dolce in un boccone. «Scusate, ma vado a cambiarmi per andare in spiaggia. Vedete di muovervi anche voi tre» e con quelle parole sgusciò fuori dal nostro appartamento.
«In effetti ci siamo lasciati prendere un po’ troppo la mano, sarà meglio andare» disse Sam, trascinando con sé gli altri due ragazzi.
«Ci vediamo questa sera?» domandai speranzosa.
«Certamente! Riunione qui alle cinque, va bene?» propose Blaine.
«Perfetto» rispondemmo noi altri in coro.
«Non mancare di dirlo a Santana, o Britt si dispererà» aggiunse Noah.
Il moro si limitò a sorridere, per poi uscire e raggiungere gli amici.
«Sei davvero incorreggibile» lo sgridò Rachel «Guarda come l’hai ridotta, povera ragazza!»
Avevo lo sguardo perso nel vuoto, ma solo perché stavo pensando alle centinaia di modi in cui avrei potuto assassinare Testa-a-scoiattolo.
«Tutto ok, cara?» mi chiese Q.
«Ci stai ad essere mia complice in un omicidio?» mormorai.
«Con immenso piacere.»
Lo assalimmo facendogli il solletico, ben sapendo che quella era una delle sue debolezze. I Finchel ci riportarono all’ordine con poche e semplici parole: «Dobbiamo andare a fare la spesa, abbiamo il frigo vuoto e non possiamo certo farci mantenere dai nostri simpatici vicini.»
Concordammo e andammo tutti a sistemarci per andare a far compere. L’idea di tornare sotto la battente pioggia spagnola mi ispirava ben poco, ma non potevamo fare altrimenti.
«Senti Britt» mi avvicinò Quinn, una volta rimaste sole in camera «Odio dover abbattere così le tue belle speranze, ma vedi di non lasciarti prendere troppo da quella là. Flirtarci un po’ va bene, ma non voglio che tu rimanga ferita, ok? Devi essere cauta o ti caccerai in un mucchio di guai.»
Mi limitai ad annuire.
Mi infilai in fretta le scarpe e una felpa ed afferrai l’ombrello, pronta a sfidare il maltempo. Poco prima di mettere piede fuori dalla porta mi parve, solo per un istante, di sentire qualcosa afferrarmi il mignolo.
Il mio cuore mancò un battito al ricordo della sera passata. “Ti caccerai in un mucchio di guai” aveva detto la mia amica, ma la verità era che io ero già nei guai fino al collo.


Nota dell'autore: Ed è arrivato anche il terzo capitolo, dove finalmente abbiamo qualche interazione più interessante. Come avrete notato ci sono alcuni riferimenti ad Harry Potter e ad altri argomenti puramente nerd, ma non si limiteranno a questo capitolo, ce ne sono molti anche nei prossimi (dato che non ricordo di averlo specificato, in totale sono 13 capitoli). Momento ringraziamenti: grazie a wislava (come sempre), a HeYa Shipper, a Fyo, a Brittana is love e a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite. Un grazie ovviamente anche a chi ha solo letto, per aver comunque speso un momento per questo mio delirio estivo. Aggiornamento, salvo imprevisti, a settimana prossima.

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Capitolo 4
*** Take my breath away ***


CAPITOLO IV: Take my breath away
 
Quella mattinata fu incredibilmente noiosa per me. Rachel ci trainò da una parte all’altra del centro per vedere i diversi edifici storici, sempre sotto l’immancabile pioggia spagnola. Ci obbligò a restare in adorazione del teatro per almeno mezz’ora, mentre ci leggeva dalla guida tutte le inutili informazioni che sembravano infervorarla tanto.
Il mio umore si risollevò quando mi disse che nel piccolo parco di Gipuzkoa Plaza, oltre ad un suggestivo orologio floreale, avremmo visto lo stagno delle anatre. La mia ossessione per tali volatili mi trasformò da annoiata trascinata a volenterosa trascinatrice.
«Ecco» disse quando ci trovammo sotto un porticato «Dovrebbe essere lì.»
Un grande spazio verde comparve alla nostra vista e io automaticamente scattai verso una delle entrate.
«Dove sono le papere?» sbottai impaziente. Quello che la guida definiva come un “Suggestivo lago abitato da gioiosi volatili” si rivelò essere una grossa pozzanghera di acqua stagnante con due spennacchiati cigni.
«Berry, non darmi mai più false speranze» la assalii «Mi avevi promesso le papere!»
«Calmati Britt, che ne potevo sapere?» si difese, guardandomi intimorita.
Iniziai a calciare un sasso per sfogare la mia delusione. Mi si avvicinò Quinn. «Ehi senti, lo so che ci sei rimasta male per via delle anatre, ma adesso so io come tirarti su di morale! Cosa c’è che ti piace più degli anatroccoli?»
«Gli unicorni?»
«No, non sono gli unicorni, mi spiace, ma è qualcos’altro che ami molto.»
«Harry Potter?» domandai speranzosa.
«Seriamente Britt…»
«Ok, ok. Cosa ha pensato per me la mia “ragazza”?»
«Una mangiata epica in uno dei ristoranti più quotati di qui. Dicono che faccia i migliori pintxos di tutta Donostia.»
In effetti il cibo era parte della mia personalissima lista di cose degne di devozione.
«È tanto lontano?» chiese Puck «Il mio stomaco pretende di essere riempito.»
«Dovrebbe essere da queste parti…» disse Finn girandosi tra le mani l’immancabile mappa «Forza, vi faccio strada.»
Il “Bar Alex” comparve ai nostri occhi dopo venti minuti di vagabondaggio. Entrammo nel piccolo locale, che in un primo momento non riuscii ad associare all’elogiata tavola calda dei depliant di Rachel. C’era posto per soli tre tavoli quadrati e una serie di sgabelli accostati ad un lungo bancone, su cui una serie di stuzzichini freddi attendevano di essere mangiati.
«Hola chicos!» ci apostrofò il cameriere «Come posso aiutarvi?»
«Un tavolo per cinque» gli risposi semplicemente.
«Seguro, accomodatevi. Vi porto subito il menu.»
Il cibo era veramente delizioso e fummo contenti di accompagnarlo con una gustosa birra locale. Sarei voluta restare a leccare le briciole dai piatti, ma fui praticamente sollevata di peso dai ragazzi e condotta fuori. Il locale aveva bisogno di lasciare liberi i tavoli per altri clienti e noi avevamo già ordinato praticamente ogni pietanza disponibile.
Uscii con un teatrale: «Giuro che tornerò!» diretto allo chef che si era affacciato dalla cucina per vedere a cosa fosse dovuto il trambusto, mi rispose da lontano: «Ti aspetto, señorita
«Sono quasi le tre» osservò Q. «Direi di andare a fare finalmente quella maledetta spesa. Dovremmo anche comprare qualcosa per rifornire i nostri vicini, dopotutto tra ieri sera e questa mattina abbiamo fatto fuori tutte le loro provviste.»
«Possiamo andare al Kursaal Market, è proprio a due passi da casa. Poi torniamo su, mettiamo al sicuro le vivande e ci facciamo tutti una rapida doccia prima che arrivino i nostri ospiti» dissi.
Nessuno si oppose. Io, andando contro le avvertenze della mia amica bionda, avevo intenzione di prendermi un mucchio di tempo per prepararmi e sfoderare il mio lato più sexy.
«Prima possiamo passare un attimo a prendere un paio di dolcetti?» domandò Noah con aria supplice.
«Ma se ti sei riempito come un uovo! Cos’altro vuoi?» lo criticò la Fabray.
«Voglio solo fare le scorte per merenda! Forza andiamo, ho già idea di quello che voglio» spiegò, dedicandomi un rapido occhiolino.
«Facciamo così» mi intromisi «Dividiamoci: io e Puck andiamo a prendere la merenda e voi tre fate la spesa. Se torniamo prima di voi, veniamo a cercarvi nel supermercato.»
«Perfetto» confermarono i miei amici.
Quando i Finchel, scortati da Q, si furono allontanati, io potei finalmente arrivare al nocciolo della reale questione: «Cosa hai in mente, pazzo di un Mohawk?»
«Ma niente! Voglio solo prendere la merenda, davvero!»
«Sì, e io vengo dal Kansas e sono stata trasportata in una terra magica da un tornado.»
«Hai conservato le scarpette, Dorothy?» mi rispose a tono.
«Finiamola con le cretinate, dimmi cosa vuoi. L’ho capito subito che volevi restare solo con me, ora mi devi dire il perché.»
Il suo sguardo fiero si fece più cupo non appena iniziò a parlare: «Non ce la faccio più, Brittany. Ogni secondo vicino a lei mi sembra di morire perché fa di tutto per respingermi.»
«Non hai mai pensato che il problema è il tuo comportarti da scemo, vero?»
«Ma non è solo quello! Ho passato mesi a fare il bravo ragazzo per avere la sua attenzione, ma sembrava mi ignorasse ancora di più, facendo lo stupido almeno sono certo di farmi notare.»
«Non è così che la riconquisterai e lo sai. L’idea del gioco della bottiglia puoi dire che non è stata tua, ma il tuo scopo era quello di avere da lei almeno un bacio, giusto?»
«Sapevo che lo avresti intuito» rispose mogio.
«Tutti lo abbiamo capito! Persino Santana...»
«Non tiriamo in ballo la tua nuova fiamma, Pierce. Sei scandalosamente presa da quella latina! Se non ti guardassimo, baceresti la terra dove cammina.»
Io aprii la bocca per rispondergli, ma lui mi zittì. «Non osare negare, perché sappiamo entrambi che è così. Urge un duplice piano di conquista.»
«Non proporrai di fingere una relazione tra di noi per farle ingelosire, perché ti anticipo che mi rifiuto di acconsentire.»
«No, certo che no. Ti chiedo solo di parlarle bene di me, di ricordarle i motivi per cui in passato si è innamorata di me.»
«Le devo anche ricordare che è quasi stata diseredata per essere andata a letto con un ebreo?»
«Ecco, quello potresti evitarlo…» commentò a denti stretti, probabilmente ripensando ai trascorsi che aveva con la Fabray e la sua famiglia.
«Ok, supponiamo che io metta una buona parola per te, che cosa ci guadagno?»
«Come avrai notato io sto legando molto in fretta con “Froggy Lips”…»
«Trouty Mouth» lo corressi.
«Come, scusa?»
«È il suo soprannome, me lo ha detto…»
«Santana, sì, era chiaro. Vorrà dire che lo chiamerò così, anche se la mia proposta di nomignolo può essere altrettanto valida. Ma la questione è un’altra.»
«Infatti, il mio ricavo… Forza, illuminami.»
«Immagino che la tua priorità ora sia quella di capire se lei gioca nella tua stessa squadra, no? Io posso indagare attraverso Sam. Questo è l’accordo.»
Avrei voluto dirgli che il suo piano era ridicolo, che non avremmo concluso nulla, ma la voglia di aprirmi con lui fu più forte del buonsenso. «Devo dirti una cosa…» mormorai.
«Eh no, prima accetti il patto o se no non voglio ascoltarti.»
«Va bene, Puck. Accetto» capitolai senza troppe storie.
«Adesso puoi confidarti… Anzi, fammi indovinare: hai tentato di baciarla e lei ti ha tirato uno schiaffo?»
«No» risposi confusa «Ma come ti viene in mente? Non mi chiamo mica Noah Puckerman.»
«Allora cosa hai combinato?»
«Non è nulla che ho fatto io, ma è qualcosa che ha detto lei e non ho ancora capito come intendere.»
«Ma ieri avete solo parlato o ci avete anche dato dentro? Perché se è successo qualcosa a cinque passi da me ho diritto di sapere.»
«Ti prego smettila e lasciami continuare. Le ho chiesto se lei e Sam avessero una qualche relazione e mi ha risposto in un primo momento che non era proprio il suo tipo. Poi ha aggiunto: “intendo che non è il mio genere”. Come avrei dovuto interpretarlo?»
Il mio amico ci rimuginò sopra un momento, poi mi diede il suo verdetto: «Scommetto che te la porti a letto in meno di una settimana.»
Sbuffai esasperata, colpendolo con un pugno sul petto. «Vuoi essere serio? Io ci sto davvero male!»
«Ma dai! È chiaro che ci sia del feeling!»
«Magari è vero, può essere interessata a me come donna, ma se avesse una ragazza ad aspettarla? Una fidanzata, magari gelosa?»
«Ma di che ti preoccupi?» cercò di tranquillizzarmi «Non stai pensando ad una relazione a lungo termine, vero?»
«Viene da Lima.»
«Eh!?»
«Me lo ha detto ieri.»
«Non ci credo. Non può essere» balbettò basito.
«Anche io sono rimasta sorpresa, ma spero di scoprirne di più questo pomeriggio.»
«Mi hai decisamente sconvolto! Posso fare da testimone di nozze?» mi supplicò.
Allargai le braccia, sconfitta. A volte esagerava con l’ironia.
«Dai Britt, non prenderla male. Io punto tutto su di voi, sono sicuro che ci sarà qualcosa. Tu però aiutami con Quinn.»
«Ma certo che ti darò una mano… Però» decisi di approfittare di quella sua apparente debolezza momentanea «Basta battute come quelle di stamattina. Avrei voluto seppellirmi.»
«Ma magari aiuteranno la tua bella ad aprirsi!»
«Niente più sarcasmo o simili, Noah. Fa parte dell’accordo» stabilii.
«Ai tuoi ordini, generale» disse scimmiottando il saluto militare.
«E adesso andiamo a prendere la merenda» gli dissi, prendendolo a braccetto.
«Ti faccio strada, ho già in mente un posto…»
Non ci misi molto a capire che mi stava portando sulla spiaggia dove eravamo stati il giorno precedente. Ci dirigemmo senza esitazioni al baracchino dei churros.
Il venditore mi fissò, probabilmente sorpreso dal rivedermi.
«Quiero muchos churros» esordì il Mohawk sbattendo una mazzetta di banconote in mano al tizio.
Lui, senza fiatare, riempì una decina di sacchetti di carta con tantissimi, zuccherosi ed untissimi dolciumi, poi sigillò il tutto in una borsa di plastica e ce la porse.
«Gracias» lo ringraziò Noah, poi fece dietrofront, diretto verso l’alloggio.
«Aspetta un attimo» lo fermai. Feci correre lo sguardo lungo la spiaggia, quasi deserta per via del maltempo. Vedevo diversi surfisti, ma non mi parve di riconoscere i nostri amici.
«Non dirmi che la stai cercando! La vedrai tra meno di due ore! Sei proprio fissata…»
Camminammo tranquilli lungo la passeggiata che costeggiava la lingua di sabbia, portando al porto.
«Guarda» dissi indicandogli un edificio in lontananza, nella zona portuale «Quello deve essere l’acquario citato nella guida! Dobbiamo assolutamente visitarlo!»
«Parliamone con gli altri, sono certo che saranno d’accordo.»
«Anche “gli altri”?» chiesi, sapendo che avrebbe colto la sfumatura.
«Cosa c’è di più romantico di un primo appuntamento tra i pesci?» mi canzonò.
«Puck» lo ripresi «Cosa abbiamo detto?»
Si zittì immediatamente, restando in silenzio per tutto il resto del tragitto.
Rientrammo all’alloggio quando ormai la spesa era stata riposta e gli altri tre si erano già lavati e profumati.
«Andate a levarvi la puzza di alcool che vi portate dietro da ieri e quella di unto che non voglio sapere da dove arriva» ci apostrofò Rachel, armata di deodorante e pronta a fare fuoco.
«Sì madama, ai tuoi ordini» rispondemmo all’unisono.
Fummo tutti pronti e con i churros ancora tiepidi alle cinque meno dieci. Prendemmo posto attorno al tavolo, lasciando il povero Finn in piedi poiché le sedie erano solo quattro.
«Non è giusto» si lamentò «Perché devo essere io lo sfigato a ciondolare sui propri piedi?»
«Oh, la spiegazione è semplice» gli rispose Quinn «Noi siamo signore, quindi tu da bravo cavaliere ci hai lasciato il posto e Puck… beh, lui è semplicemente villano e quindi ha comodamente poggiato il suo fondoschiena fregandosene altamente di te.»
Vidi chiaramente Noah fare una smorfia, sentendosi punto sul vivo. «Va bene» disse alzandosi «Siediti tu, Hudson, io vado a sgraffignare una delle sedie dalla reception.» Si fiondò fuori dalla porta e rientrò dopo un paio di minuti, come aveva annunciato, con una delle sedie di plastica che si trovavano vicino al bancone con il registro.
«Miguel è stato più che contento di lasciarcela» annunciò con un sorriso trionfante.
«Oh potente eroe coraggioso, grazie di averci salvato dal dramma del “quinto in piedi”» dissi prostrandomi a terra.
«Alzati, o nobile Pierce, so che tu avresti fatto lo stesso» replicò tendendomi la mano per farmi rialzare.
«Piantatela di fare gli stupidi, siete proprio immaturi» ci riprese ancora una volta la Fabray.
Io e Puck ci scambiammo uno sguardo di intesa e pronunciammo insieme: «Non fare la guastafeste come Schuester» poi ci voltammo verso Finn, in attesa del suo sproloquio in difesa del professore.
«Eh no, questa volta me ne starò zitto» annunciò, incrociando le braccia in segno di protesta.
«Ma no! Questo è l’inizio dell’Apocalisse!» esclamai, gesticolando come se la fine del mondo stesse davvero arrivando.
«Forse dovremmo ripassare più tardi» sentimmo dire da una voce ormai nota da dietro la porta, parole che furono seguite da un bussare leggero.
«Venite pure avanti» disse Rachel «Non c’è nulla di pericoloso, solo Brittany che fa le sue solite scene. Appena capisco come si dice “manicomio” in spagnolo ne troviamo uno e la lasciamo lì.»
«Si dice “asilo”, ma non so quanti ne incontrerai in zona… forse un hospital psiquiátrico” suona meglio ed è più facile da trovare, ma attenta che non decidano di trattenere anche te.» Sorrisi a Santana, grata per quell’attacco finale a cui l’ebrea non seppe come rispondere.
«San, non credo che tu possa permetterti queste battute con i nostri nuovi amici» sottolineò Blaine.
«Oh, ma andiamo! L’hobbit ha certamente capito che lo dicevo per ridere.»
Il moro scosse la testa, ben sapendo che nessuno avrebbe mai potuto porre freno alla lingua della latina.
«Noah, Finn, mi date una mano?» chiese Sam «Abbiamo bisogno di portare di qua le nostre sedie.»
I tre collaborarono, mimando una specie di trasloco.
Quando ci fummo tutti accomodati intorno alla tavola, Kurt e Blaine ci sorpresero con un thermos di cioccolata calda, che si sposava alla perfezione con i nostri dolci.
A quel punto, rilassati e con un delizioso spuntino sotto il naso, giunse il fatidico momento delle “chiacchiere da adulti”.
«Britt, vuoi fare l’onore di cominciare?» mi domandò Hummel.
«Con immenso piacere, ma stabiliamo una regola: nessuna interruzione, ok?»
«Certo» confermarono gli altri, a quel punto mi sentii in diritto di cominciare.
«Siamo tutti originari di Lima, Ohio» già solo dopo quella frase vedi le facce del trio di ragazzi meravigliarsi, ma si astennero dai commenti, come concordato. «Ci siamo diplomati al McKinley quest’anno e abbiamo deciso di concederci una vacanza europea prima di separarci per seguire strade diverse. L’idea originaria era quella di partecipare alla “semana de toros” a Pamplona, ma i prezzi ci hanno fatto desistere dall’alloggiare lì, così la nostra planner Quinn ha deciso di dirottarci verso San Sebastian.»
«Tutto qui?» intervenne Blaine dopo un mio breve silenzio.
«Beh, non vedo cosa altro ci sia da dire» gli risposi.
«Insomma, siete i classici turisti per svago, nessun altro motivo per la vostra presenza qui?» domandò ancora.
«Già» confermò Finn «Ora tocca a voi.»
«Se non vi dispiace, me ne occupo io» si fece avanti Sam «Rivelazione a dir poco sorprendente: anche noi veniamo da Lima.» Sogghignai osservando le facce dei miei amici, ancora all’oscuro della cosa, che rimasero letteralmente attoniti. «Direi che potremmo condividere la nostra sorpresa fra un momento, lasciate che prosegua» continuò il biondo «Noi siamo surfisti venuti per una delle gare più importanti dell’estate, ma non ci dispiace ogni tanto concederci una pausa per fare i turisti come voi.»
«Ci tengo a puntualizzare» si intromise ancora una volta Blaine «Che loro sono surfisti, io sono qui solo per fare un po’ di tifo. Non è la prima volta che li accompagno in giro per il mondo per seguire il richiamo delle onde.»
«Anderson, tappati quella fogna. Tu non fai surf solo perché l’acqua salata avrebbe una strana reazione con il tuo gel e causerebbe l’estinzione di migliaia di specie marine» lo criticò Santana.
«No, è che l’acqua di mare e quella tuta in Dio-solo-sa-cosa rovinerebbero la mia pelle delicata» si difese sbuffando.
Io non potei resistere dal fare una domanda: «Ma se siete di Lima, com’è che non vi abbiamo incontrato prima?»
«Noi abbiamo frequentato la Simon Morgenstern High School, il liceo dall’altro lato della città» mi spiegò Kurt «Anzi, Sam e Blaine ancora lo frequentano, l’anno prossimo saranno senior, io e San ci siamo diplomati, come voi.»
«Ma dai, è assurdo!» esclamò Rachel «Quante probabilità c’erano di incontrarsi qui?»
«Il caso non esiste» disse in un soffio Q. «Prima o poi ci saremmo trovati comunque.»
«Non citare Oogway in mia presenza» commentai.
«Ecco, ci mancava solo un’altra maniaca dei film Disney» borbottò Kurt, lanciandomi un’occhiata disperata.
Io, Sam e Blaine spalancammo la bocca in contemporanea. «Non. È. Un. Film. Disney.» scandimmo.
«Nerd» sbuffò il ragazzo, scuotendo la testa.
A quel punto ebbero inizio una serie di discussioni e conversazioni che presero ad incrociarsi e ad intrecciarsi senza sosta. Così passarono rapidamente un paio d’ore. Finn, Puck e Sam avevano molto in comune, anche se il biondo si univa spesso a me e a “Pretty Pony” per condividere il proprio parere sui libri e film che commentavamo. Rachel e Kurt parlottavano fitto fitto di musical e dei loro sogni di Broadway. Scoprii solo in seguito che il giovane Hummel, come la mia amica, aveva fatto richiesta presso la NYADA e purtroppo non era stato preso, ma era ancora deciso a ritentare per farsi ammettere al secondo semestre. La cosa che più mi colpì fu il veder chiacchierare amabilmente Quinn e la latina, anche perché non riuscivo ad immaginare cosa avessero da dirsi.
Alle sette e mezza concordammo di uscire tutti insieme a cena, finendo con l’asfissiare Santana per farci tradurre tutte le portate del pub in cui decidemmo di desinare. Come dimentichi di quanto accaduto la sera prima, ci facemmo servire alcool in abbondanza.
«Da domani torno astemia» promisi solennemente portandomi la mano destra sul cuore e portandomi la bottiglia di birra alla bocca con la sinistra.
«Questa l’ho già sentita» ironizzò la mia amica bionda «Vi ricordate? Terzo anno, assemblea scolastica per la settimana del “bere responsabilmente”, mi limiterò a dire: “Tik Tok”.»
«Oh, no… che figuraccia…» mugolai.
«Cosa avete combinato?» ci domandarono incuriositi i ragazzi del Morgenstern.
Fu Rachel a prendere la parola: «Noi, in qualità di membri del Glee Club, eravamo stati incaricati di eseguire un pezzo per far arrivare il messaggio agli altri studenti, però quella stessa settimana a me era capitato di avere la casa libera e noi cinque, con altri nostri compagni, ne avevamo approfittato per alzare il gomito, arrivando completamente sbronzi al momento di esibirsi. Siamo stati costretti comunque a salire sul palco e quella lì» disse puntando l’indice con fare accusatorio «Nel bel mezzo della canzone, ha ben pensato di vomitarmi addosso.»
«In mia difesa» intervenni «È stata tua l’idea di “farci un goccetto” prima dello show, perché “è così che fanno a Broadway”» terminai imitando la sua voce.
«Morale della favola» concluse la Fabray prima che scoppiasse una rissa «Il preside ci disse che la nostra idea di “inscenare” i pericoli del bere aveva centrato in pieno il bersaglio, riducendo ai minimi storici i casi di ubriachezza nella scuola.»
«Quindi non ha scoperto che eravate sbronzi sul serio?» volle avere conferma Trouty Mouth.
«Mai neanche lontanamente sospettato» rispose orgoglioso Puck, come se ci fosse qualcosa di cui andare fiero «Ma era facile farla in barba a Figgins, credo di non aver più seguito una lezione di matematica dall’inizio del secondo anno e non mi ha mai convocato… Beh, non per quello, almeno.»
«Lasciando stare questi particolari episodi, devo dire che sono molto invidioso di voi» ammise Kurt «Il Morgenstern è senza Glee Club, o meglio, un tempo lo aveva, ma hanno tagliato i fondi lo scorso anno a metà del secondo semestre. Per me esibirmi è sempre stata una delle poche gioie della vita.» A quelle parole Blaine lo guardò con cipiglio minaccioso. «Sai quello che voglio dire» cercò di giustificarsi Hummel gesticolando «Comunque, ho persino pensato di cambiare scuola, ma non ho trovato il coraggio di abbandonare i miei amici.»
«Ho un’idea!» esclamò allora la Berry «Torniamo al “La oca loca” e facciamo un duetto!»
«Sì!» esultò lui, eccitato.
Così, spinti a forza dai due cantanti, tornammo nel locale in cui tutto era cominciato e mi faceva effetto pensare che non fossero trascorse neppure ventiquattr’ore.
«Ho la mia personalissima base da proporre» comunicò il ragazzo all’ebrea «L’ho pensato e prodotto da me: un mashup di “Get Happy” e di “Happy Days Are Here Again”.»
«Oddio! È geniale! Dobbiamo assolutamente cantarlo insieme!» squittì lei.
Appena entrati, i due si fiondarono sul palco e iniziarono la loro performance.
«Qualcun altro è intenzionato a salire sul palco oggi?» domandai.
«A me non dispiacerebbe “sgranchire” le corde vocali» disse Quinn «Però non ho intenzione di salire lassù da sola.»
«Se non ti spiace, sarò lieta di accompagnarti» rispose la latina.
«Fantastico! Andiamo a scegliere la canzone.» Dopo aver pronunciato quelle parole, la bionda mi lanciò uno sguardo di intesa, come a dire “non preoccuparti, non voglio rubarti la ragazza”, ciononostante una punta di gelosia mi penetrò a poco a poco nel cuore, mentre attendevo l’inizio della loro esibizione.
Kurt e Rachel riscossero un discreto successo e tornarono tronfi e soddisfatti per farsi coccolare dai rispettivi fidanzati. «La fiera delle coppiette» commentò Puck, sorseggiando l’ennesimo drink.
Nel momento in cui partì la base per la canzone successiva ero distratta, stavo rimproverando Noah per aver ripreso a fare allusioni sul mio interesse per Santana. Realizzai che le mie amiche erano sul palco solo quando la voce di Quinn mi colpì i timpani.
Watchin' every motion in my foolish lover's game
On this endless ocean, finally lovers know no shame

A quel punto partì la latina.
Turnin' every turn to some secret place inside
Watchin' in slow motion as you turn around and say

Ed insieme arrivarono alla frase chiave, mentre nella mia gola si stringeva un nodo sempre più forte. Le loro voci, così perfette insieme, mi facevano male più di mille pugnali, eppure sentivo comunque un senso di pace, datomi dalla caldo tono della surfista, che davvero mi lasciava senza fiato.
Take my breath away
Take my breath away

Non riuscii a trattenere una piccola lacrima, che subito feci scomparire con la manica del golfino che avevo deciso di indossare.
«Tutto bene Britt?» mi chiese Finn, notando i miei occhi lucidi.
«Sì, devo solo avere qualcosa nell’occhio, un po’ di polvere o simili.» Era la scusa più stupida e falsa del mondo, ma per mia fortuna il quarterback era troppo preso da Rachel per farsi ulteriori domande.
Dopo il numero di Quinn e Santana decidemmo di rientrare.
Sulla via del ritorno, Noah mi sorprese facendo una proposta all’intero gruppo: «Che ne dite, domani, di andare tutti insieme all’acquario? Ce lo giriamo con calma in mattinata e poi il pomeriggio veniamo in spiaggia a vedervi surfare. Ci state?»
I quattro del Morgenstern si scambiarono rapide occhiate, poi annuirono. «Ci farà bene staccare per almeno una mattina, il dittatore Lopez ci impone ritmi inumani da quando ha iniziato a spiare la concorrenza» ci confidò Sam.
«Guarda che ti ho sentito» lo fulminò la ragazza «Io lo faccio per il vostro bene. Voglio che ci sia almeno un po’ di sana competizione per chi dovrà avere il secondo posto, perché tanto, come tutti sappiamo, sarò io a vincere.»
Nessuno ebbe da ridire a riguardo. La fiamma di determinazione nei suoi occhi parlava da sé.
Ci salutammo sul pianerottolo, diretti ai rispettivi letti per recuperare le ore di sonno perdute nei giorni passati. Sam scambiò amichevoli pacche sulle spalle con Finn e il Mohawk, mentre Kurt e Rachel si abbracciavano, ancora esaltati dal loro duetto. Blaine, mi si avvicinò timidamente e io, con la mia solita esuberanza, gli buttai le braccia al collo sussurrando: «Bada che i nargilli non ti rubino un calzino mentre dormi.»
«Non preoccuparti» mi rispose «La mia collana di tappi di Burrobirra li terrà alla larga.»
Salutai con una rapida stretta di mano gli altri due ragazzi e feci un cenno alla latina, ancora presa a parlare con Quinn.
«Aspetta» mi fermò all’improvviso «Quello non è un saluto serio» continuò, congedandosi dall’altra bionda. Io ero confusa e anche piacevolmente sorpresa da quella svolta inaspettata. Mi si avvicinò con due rapidi passi, fino a trovarmisi di fronte.
«Buonanotte Britt» disse posandomi un lieve bacio sulla guancia.
I miei occhi si spalancarono e la mia faccia divenne color peperone. Come le era venuto in mente un simile gesto? Tutto ciò accadde mentre io ero praticamente in apnea, perché i miei polmoni si erano come paralizzati.
«You take my breath away» mi sembrò di sentirla mormorare mentre si allontanava, ma classificai la cosa come allucinazione dovuta alla mancanza di ossigeno.
Varcai la soglia dell’alloggio in uno stato di ebbrezza misto al più profondo coma. Avrei voluto saltare di gioia, ma al contempo non ero padrona del mio corpo, ancora scosso dalla morbidezza di quella bocca di fuoco sulla mia pelle.
A malapena ebbi la forza di arrivare in bagno per prepararmi per la notte. Ero convinta che sarei svenuta in mezzo all’entrata per il sovraccarico di emozioni.
Salutai Finn con un abbraccio, Noah preferì lanciarmi una pacca sul sedere e farmi l’occhiolino. Mi limitai a sorridergli, contenta di poter finalmente andare a sognare i mille modi in cui avrei fatto mie le labbra di Santana.

NdA: nonostante non sia ancora passata una settimana dal capitolo tre, ho comunque deciso di caricare questo, così da avere una scusa per velocizzare anche gli aggiornamenti futuri. Ma bando alle ciance, passo ai miei soliti ringraziamenti: grazie a wislava, Jenns, xins, HeYa Shipper e Fyo per le recensioni, grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite e grazie a chi ha semplicemente letto, non smetterò mai di ripetere quanto mi faccia piacere il vostro apprezzamento. Dato che ho rotto il mio schema dell'aggiornamento domenicale, posso solo dirvi aspettare il momento in cui renderò pubblico il capitolo cinque (cosa che avverrà all'inizio di settimana prossima, giusto per farvi sapere). Alla prossima.

 

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Capitolo 5
*** I wanna dance with somebody ***


CAPITOLO V: I wanna dance with somebody
 
«Pronta per i pesci?» mi destò Rachel.
Io mi rigirai nel letto, abbracciando le coperte e cercando di articolare un “ancora cinque minuti”.
«Forza pigrona!» esclamò Q. tirandomi una manata sul sedere, proprio nello stesso punto in cui mi aveva colpita Puck la notte prima. Perché tutti dovevano avercela con le mie chiappe?
«Di là ci sono i nostri ospiti per fare colazione, il caffè è già nelle tazze» riprese la bionda «Vestiti e vieni fuori.»
Mi preparai in fretta e feci una rapida sosta in bagno, per poi unirmi al gruppo che già si stava godendo una caterva di ciambelle glassate prese in panetteria.
«Testa-a-scoiattolo è stato molto gentile questa mattina» mi aggiornò Santana «Ha fatto lui il caffè ed è andato a comprare la colazione. Non ti pare un vero gentiluomo?»
«Assolutamente» concordai.
«Allora, tutti pronti per l’acquario?» domandò Finn quando terminammo di mangiare, tirando fuori la sua fidata cartina.
«Sì, certo» confermò Blaine, passandoci rapidamente ad uno ad uno con gli occhi «Direi che possiamo andare.»
Quando uscii non potei credere ai miei occhi: per la prima volta il sole si stava mostrando in tutto il suo splendore nel cielo spagnolo. Grossi ammassi di nuvole erano già in agguato all’orizzonte, ma per allora mi limitai a godere del calore dei suoi raggi per quel poco che potevo.
Per arrivare all’acquario avremmo potuto prendere la macchina, anzi, le macchine, visto che anche i ragazzi del Morgestern avevano un veicolo a noleggio, ma optammo per una bella passeggiata attraverso le ormai note vie del centro.
Ne approfittammo per fare pausa in qualche negozio e goderci la tranquillità della città ancora addormentata, solo i lavoratori e pochi turisti, infatti, uscivano di casa prima delle undici. Il mio orologio segnava esattamente le nove e mezza.
Camminando lungo la banchina, raggiungemmo l’imponente edificio dell’acquario. Entrammo ed acquistammo i biglietti, curiosi di scoprire cosa ci avrebbe riservato.
La prima parte era dedicata ai diversi tipi di imbarcazione che avevano solcato l’oceano nelle vicinanze di Donostia, quindi ci muovemmo attraverso riproduzioni di diversi vascelli spagnoli ed inglesi. Ben protetto in una teca c’era il libro mastro di un galeone del 1700. Rimasi per diversi minuti ad osservare la grafia curata con cui era stato vergato, pensando a quante persone, nel corso dei secoli, si erano soffermate, come me, su quei ghirigori scuri.
«Britt, guarda qui» mi chiamò Quinn.
Spalancai la bocca per la sorpresa: uno scheletro di capodoglio pendeva dal soffitto, occupando ampia parte del piano su cui ci trovavamo ed arrivando persino ad invadere quello inferiore, a cui accedemmo grazie ad una rampa di scale.
Lì erano conservati alcuni pesci in barattolo ed erano presenti esposizioni di scheletri vari, c’era persino una mascella di squalo, con tanto di innumerevoli e letali denti aguzzi. Noah insistette per fare una foto, mostrando la propria dentatura a confronto di quella del pesce.
«Puckzilla vs The Shark. Dovrebbero farci un film» commentò dopo che ebbi realizzato lo scatto.
Scendemmo di un altro piano e finalmente arrivammo alla parte che io ritenevo veramente interessante: le vasche.
Mi esaltai sempre di più, avanzando tra le miriadi di pesci tropicali.
«Ommioddio!» esclamai, giunta davanti all’ennesimo acquario.
«Cosa hai trovato Britt?» mi chiese la latina, avvicinandosi.
«Ho trovato Nemo, San! Ho trovato Nemo!» gongolai «Fammi una foto, su! Devo assolutamente farla per la mia sorellina Ashley, se no non me lo perdonerebbe mai.»
«Devo prenderti insieme ai pesci pagliaccio, giusto?»
«Sì, ma deve anche esserci uno di quei pesci blu» le dissi indicandogliene uno «Non esiste che nella foto non ci sia anche Dory.»
Venimmo raggiunte dal resto del gruppo che, sebbene non fosse entusiasta quanto me, si stava comunque divertendo.
Io andai avanti, saltellando gioiosa. Pensavo che più nulla sarebbe stato in grado di colpirmi, ma mi sbagliavo e di molto.
Girammo un angolo e apparve davanti ai nostri occhi un’intera parete occupata dalla più grande vasca che avessi mai visto. C’erano centinaia di pesci diversi, tartarughe marine e alghe.
«No! Non può essere!» esclamai all’apice dell’esaltazione. Sulla sinistra, per proseguire il percorso, c’era un camminamento dentro un tubo che percorreva la vasca in tutta la sua lunghezza. Le pareti trasparenti permettevano agli animali di nuotare a poche decine di centimetri sopra le nostre teste.
«Britt» mormorò Santana scuotendomi leggermente «Guarda là.» Un enorme, maestoso e allo stesso tempo terrificante squalo avanzava lento verso di noi, con le fauci leggermente aperte. Costrinsi il gruppo a pedinare il magnifico mostro per una buona mezz’ora perché io ne ero rimasta letteralmente rapita. Lo studiai con vivo interesse e gli feci almeno un centinaio di fotografie, più qualche video.
Kurt e Blaine si offrirono volontari per prendermi e trascinarmi oltre per proseguire la visita, io mi opposi, ma loro mi afferrarono un braccio a testa e mi forzarono ad avanzare.
«Mi spiace solo che non ci siano i delfini» commentò il moro lanciando un’ultima occhiata alle nostre spalle.
«Lo sapevi che in realtà sono squali gay?» gli sorrisi.
Lui scoppiò a ridere. «Sei davvero imprevedibile, Brittany.»
Concludemmo la visita con gli occhi ancora pieni delle meraviglie appena lasciate quando era ormai mezzogiorno.
«Noi dobbiamo passare da casa a prendere l’attrezzatura da surf, non possiamo certo allenarci senza tavole» disse Sam.
«Va bene, noi cominciamo ad andare a prendere posto» gli rispose Noah, che aveva passato la mattina portandosi dietro tutto il nostro occorrente per stare in spiaggia.
«Ci vediamo là, allora» si congedarono i tre surfisti, mentre Anderson rimase con noi. «Tanto io ho già il costume, non devo mica tirarmi dietro sette piedi di poliestere colorato» sogghignò contento.
Camminammo sotto un cielo che nel frattempo si era fatto coperto, lasciando al sole solo rari squarci per affacciarsi oltre la cortina di nuvole. Il lido distava poco più di dieci minuti e infatti, dopo tale tempo, riconobbi la scalinata e il maledetto tabacchino dei churros. Scesi i gradini a due a due, desiderosa di bagnarmi finalmente nell’oceano.
Puck mi lanciò il mio telo, che distesi prontamente per terra e su cui abbandonai i miei vestiti, restando in costume.
«Passati la crema prima di entrare in acqua» dissi a Quinn, che nel frattempo era già sul punto di buttarsi tra le onde.
«Primo: non c’è il sole» replicò «E secondo: io ho bisogno di abbronzarmi, se mi spalmo addosso quella roba resterò bianca come la neve.»
«Fai un po’ come vuoi Quinnie, ma non dire che non ti avevo avvertito.»
Lei fece spallucce e proseguì la corsa lungo il bagnasciuga.
«Tu non vieni, Rachel?» domandai all’ebrea, vedendola tranquillamente sdraiata sul suo asciugamano.
«No grazie, l’acqua fredda non fa bene alle mie corde vocali.»
«Oh andiamo Berry» si intromise il Mohawk facendomi un cenno «Non fare la guastafeste come Schuester» concludemmo insieme.
«Non tirate in ballo Mr. Schue!» scattò Finn, senza neppure rendersi conto di essere caduto nella nostra trappola «Potrà anche essere esasperante a volte e un pelino soporifero…»
«Ma è pur sempre il professore migliore mai avuto al McKinley» lo anticipammo noi due prima di sbellicarci dalle risate.
«Basta» sbottò il quarterback «Questa è l’ultima volta che mi lascio mettere nel sacco.»
Noah ed io scuotemmo la testa, certi che in futuro saremmo riusciti a fregarlo con quel trucco altre cento volte.
«Allora, chi viene con me ad affrontare le sirene?» esclamò Blaine interrompendo le nostre risa.
«Non potrebbe trattarsi di Selkie?» gli chiesi, mentre insieme avanzavamo verso l’acqua.
«No, dovresti saperlo che sono tipicamente scozzesi. Quando faremo una gita al Lago Nero potrai vederli.»
Ridacchiai, contenta di avere finalmente qualcuno con cui poter scambiare battute su Harry Potter senza venire additata come inguaribile nerd.
«Oddio, ma è gelida!» L’urlo della bionda si sentì a chilometri di distanza, mentre correva velocemente verso l’asciutto.
«Cosa ti aspettavi Q? È l’oceano» commentai, proseguendo la mia avanzata. In effetti rabbrividii anch’io quando la prima onda mi lambì le caviglie, ma non mi lasciai scoraggiare.
«L’ultimo che si butta è un vermicolo!» strillò Anderson, superandomi di buon passo e lanciandosi in mare, stando ben attento, però, a non immergere la testa.
«Pensavo che non fossi un tipo balneare» gli dissi, avvicinandomi, dopo aver superato il primo shock termico.
«In effetti non amo sguazzare, ma mi sembrava una cosa divertente, così ho deciso di farla.»
«Insomma, hai agito d’istinto?»
«Certo! A volte, se stai troppo a rimuginare sulle cose, va a finire che ti perdi tutto il bello dell’esperienza. Bisogna tirar fuori il coraggio e vivere la vita come fosse un’avventura» enunciò.
«Sei proprio un Grifondoro» commentai con un sorriso.
Dopo qualche minuto anche Noah e Finn si unirono a noi, mentre Quinn decise di desistere e restare a “prendere il sole” con Rachel.
Trascorsa un’altra decina di minuti, vidi comparire alla sommità della scala tre figure corredate di tavola.
«Sono arrivati!» esultai.
Indossavano tutti e tre tute nere aderenti, le stesse che avevano la prima volta che li avevo visti. Santana si era legata capelli in una alta coda di cavallo, probabilmente per non essere infastidita dalla chioma mentre cavalcava le onde.
Kurt mi si avvicinò subito indicando la propria tavola e mi chiese: «Che ne pensi?»
Era una tavola scura con il disegno in giallo di un canarino e le parole “Warbler Pavarotti”. «In memoria del mio, ahimè scomparso, compagno canterino» mi spiegò.
«La mia è meglio» si fece avanti Sam, mostrando orgoglioso un surf blu, semplicemente ornato da una scritta bianca.
«Txampay? È sempre Na’vi?»
«Ovvio! Significa “oceano”.»
«Molto originale» commentò la latina, raggiungendoci.
Avrei voluto sapere qualcosa su Valerie, ma lei non ne fece parola. Si limitò a fare un cenno ai due compagni, poi si allontanarono verso il largo, per arrivare al punto migliore in cui surfare.
Noi altri uscimmo dall’acqua e ci dedicammo ad attività terrestri. Blaine si unì a Puck e Hudson nel costruire un castello di sabbia, a cui, naturalmente, collaborai anche io dopo che ebbi terminato uno schema di parole crociate.
Quinn e Rachel andarono poi a comprare della frutta con cui pranzammo insieme, concedendo ai tre atleti una breve interruzione.
La spiaggia si animò solo verso le quattro del pomeriggio, quando cominciarono ad arrivare frotte di abitanti del posto e villeggianti, venuti a godersi il sole che aveva di nuovo fatto capolino tra le nubi.
«Adesso ricominceranno con i loro stupidi balli di gruppo… Manco fossero coordinati!» si lamentò Kurt, mentre il fidanzato gli allungava una delle pesche avanzate dal pasto.
Io mi illuminai al sentire la parola “balli”, erano giorni che non potevo rilassarmi dando libero sfogo alle mie mosse di danza.
Un nutrito gruppo di turisti, che dovevano essere francesi data la lingua, si posizionò a pochi metri da noi, disponendosi ad ascoltare un animatore con tanto di stereo.
«No, dai… Non qui!» sbuffò Trouty, anche lui in pausa.
«Ma che fastidio vi danno?» domandò Rachel «Tanto tra cinque minuti Santana torna e vi trascina in mare per le orecchie.»
«Non oggi, Hobbit» intervenne l’interpellata, appena uscita dall’acqua «Il vento è calato e le onde non sono più buone per fare surf, in più, con tutta questa gente, potremmo rischiare di far male a qualcuno.» Lasciò cadere la tavola sulla sabbia e vi si allungò sopra, portando le mani dietro la testa. «Adesso entro anche io in modalità relax.»
I francesi però non la pensarono così, infatti fecero partire a tutto volume la loro musica da spiaggia, rovinandoci i timpani.
«Qualcuno parla lingua di quei mangialumache? Così gliene diciamo quattro!» sbottò la latina, mettendosi a sedere, disturbata dal rumore.
«Britt» mi tirò dentro Finn «Tu non hai mica dei parenti in Francia?»
«No» risposi «I miei cugini sono olandesi e comunque non vuol dire che sappia la loro lingua.»
«Allora siamo fregati» si arrese Blaine.
«Suvvia» cercai di tirare su gli animi «Potrebbe essere divertente.»
Non appena ebbi finito di dirlo, drizzai rapida le orecchie. Riconoscevo il ritmo della canzone appena iniziata, era una delle mie preferite. Scattai in piedi e lasciai che la musica si impossessasse del mio corpo, come accadeva ogni volta che mi mettevo a ballare.
Clock strikes upon the hour
And the sun begins to fade
Still enough time to figure out
How to chase my blues away

I've done alright up till now
It's the light of day that shows me how
And when the night falls, my lonely heart calls

Intravidi i miei amici colpiti da quel mio guizzo di vita. Ero rimasta troppo tempo senza potermi dedicare a ciò che più amavo fare. Il mio cuore cantava di gioia.
Quando arrivò il ritornello non potei fare a meno di guardare Santana, desiderando ardentemente che cogliesse il significato che io intendevo danzando seguendo quel testo.
Oh, I wanna dance with somebody
I wanna feel the heat with somebody
Yeah, I wanna dance with somebody
With somebody who loves me

Una volta terminata la canzone, mi si radunò attorno il gruppo di turisti che presero a complimentarsi, stringendomi la mano e dandomi pacche di apprezzamento, alcune un po’ troppo audaci a parer mio. Un giovanotto, probabilmente trascinato lì da una amica o dalla madre, mi lasciò un foglietto con scritto il proprio numero, supplicandomi di chiamarlo. Fui tentata di indicargli la latina per fargli capire che con me non avrebbe avuto alcuna possibilità, ma mi limitai ad accettare il pezzo di carta, sorridendogli.
«Poverino, dargli simili false speranze proprio sotto gli occhi della tua bella»  mi rimproverò Quinn quando la folla si disperse.
Io le tirai gomitata, per ricordarle che la surfista era a portata d’orecchio.
«Ma dai Britt! Tanto ha già capito tutto! Tra le battute di Puck e i tuoi sguardi… Non parliamo poi di come l’hai fissata mentre facevi l’esibizionista! Lo avrebbe visto anche un cieco che stavi cercando di invitarla a ballare con te.»
Mi limitai a colpirla un’altra volta, per poi lasciare che Sam e i Klaine mi riempissero di complimenti. Anche Santana spese qualche parola gentile, che per me valse più di tutti i premi ed applausi del mondo.
Restammo in spiaggia un’altra ora, poi rientrammo a casa per toglierci il sale di dosso e prepararci per la serata, che si risolse, come quella precedente, in abbuffate di pintxos e alcool a fiumi. Disertammo “La oca loca” che quella sera si rivelò troppo piena per accoglierci, quindi ci consolammo bevendo ancora di più.
Salutammo gli altri quattro con la promessa di ritrovarci, come di consueto ormai, per colazione.
 
Mi svegliò un impellente bisogno di andare in bagno. Erano le cinque e mezza del mattino, come dimostrava il mio fido telefono. Rimasi sorpresa nel notare il resto del letto vuoto. Mi alzai e mi infilai le pantofole. La porta della stanza era socchiusa e potevo scorgere la luce accesa nel corridoio. Misi fuori la testa e notai una lunga fila in attesa fuori dal bagno.
«No…» mugolai «Non ditemi che…»
«Sì» mi rispose Quinn con aria abbattuta «Rachel e i suoi rituali di idratazione.»
«Berry!» urlò Puck, tirando pugni alla porta chiusa «Apri o la sfondo!»
«Rilassati amico» disse Finn, in coda dietro di lui «Quando hai acconsentito ad unirti a noi in questa vacanza sapevi a cosa andavi incontro.»
«Rach, sei lì da almeno mezz’ora!» sbottò la Fabray, ignorando le parole del quarterback «Esci immediatamente o la tua valigia subirà un incidente idraulico e ti assicuro che non si tratterà di pioggia.»
La mia vescica era sul punto di scoppiare, così come quella dei miei amici. Dovevo trovare una soluzione, in fretta. Per quanto ne sapevamo, l’ebrea poteva essersi addormentata sul water con la sua stupida maschera al cetriolo ancora fresca sulla faccia.
«Ho un’idea» annunciai «Ma a loro non piacerà.»
Gli altri tre mi guardarono perplessi.
«Venite.»
Mi risposero con il saluto militare e mi seguirono come anatroccoli con la mamma.
«Oh, non starai pensando di…» tentò di fermarmi Hudson.
«Non c’è altra scelta. O questo o la fai in una bottiglia.»
Bussai con forza alla porta dell’alloggio vicino.
«Ma che succede? Va a fuoco l’albergo?» gridò Sam dall’altra parte.
«Apro e lo scopriremo» gli rispose acida Santana, che doveva essere piuttosto scocciata da quella sveglia improvvisa.
Il suo viso, sebbene struccato, assonnato e con un ghigno furente, mi parve più bello che mai. Non appena ci vide pensai che la sua reazione sarebbe stata quella di linciarci sul posto. Invece i suoi occhi si illuminarono all’improvviso e la smorfia si distese in un sorriso. Trouty apparve alle sue spalle sbadigliando, passandosi una mano tra i capelli spettinati.
«Vi chiediamo asilo. Rachel ha monopolizzato il bagno, si è chiusa dentro a chiave. Stiamo scoppiando. Pietà!» esplosi in faccia ai due.
I surfisti si fecero da parte per lasciarci passare e io mi precipitai nella stanza in fondo al corridoio speculare al nostro. Ci rimasi per un minuto appena, perché poi Quinn fece irruzione, detronizzandomi dalla tazza. Lo stesso accadde poco dopo con i due ragazzi.
«Grazie, ci avete salvato la vita» comunicai alla latina, dato che il biondo aveva deciso di tornarsene a letto.
«Dovere» mi rispose «Non avrei permesso ad un capriccio della nana di condannare le vostre innocenti vesciche.»
Mi concessi una risata e sentii la sua mano poggiarsi amichevolmente sulla mia spalla. Un brivido mi scosse, rendendomi sempre più confusa a causa del suo comportamento.
«Ma cosa sta succedendo?» intervenne Kurt, facendo la sua comparsa in corridoio.
«Torna a letto, Lady Hummel. Qui è tutto sotto controllo» lo apostrofò Santana.
«Oh, scusate se ho interrotto qualcosa» ci canzonò notando quanto fossimo vicine «Se volete io e Blaine vi lasciamo il letto, così potete passare al livello successivo.»
«Vedi che non sono il solo a pensarla così?» si fece sentire Puck da dentro il bagno.
Il mio desiderio di sprofondare nel pavimento si fece sempre più forte.
«È così che volete metterla, eh?» disse la Lopez con aria di sfida «Eccovi serviti!»
Accadde tutto in un istante. Santana, fino ad allora voltata verso gli sbeffeggiatori, si girò, incrociò il mio sguardo e mi prese il viso tra le mani.
Ancora una volta il mio corpo perse ogni capacità di reagire. Non ci fu più aria nei miei polmoni, nessun battito nel mio petto, nessun pensiero razionale nel mio cervello. Esisteva solo lei, così vicina, la sua bocca così perfetta e le sue iridi così scure e profonde.
«Stai al gioco» bisbigliò e io non ebbi neppure la forza di annuire, semplicemente la lasciai fare.
Si strinse a me, portando i nostri corpi a combaciare, lasciando che le sue mani scivolassero lentamente ad incatenarmi il collo. Potevo sentire il suo respiro così vicino, il suo profumo che mi ricordava quello dell’oceano.
«Muoviti» sentii intervenire Noah, che doveva essere uscito dal bagno «La stai uccidendo! Glielo dai o no questo bacio?»
Non sentì le parole dell’ebreo, o più semplicemente scelse di ignorarle. Continuò a fissare i miei occhi e riprese ad avvicinarsi impercettibilmente.
Il cuore aveva ripreso a battere ad una velocità folle, come se stesse cercando di recuperare tutti i battiti mancati nei momenti precedenti. Dal petto della latina, incollato al mio, proveniva un martellare molto più calmo, come se lei fosse pienamente padrona di sé.
Però, quando le nostre labbra entrarono in collisione, fui certa di sentirlo accelerare.
Quell’informazione la registrai solo dopo che nella mia testa furono esplose decine di fuochi d’artificio e centinaia di unicorni danzanti ebbero vomitato tonnellate di arcobaleni. Nel battito che le mie ciglia fecero fui certa di scorgere ogni divinità mai anche solo pensata dall’umanità, ogni bellezza del mondo mi passò davanti agli occhi, senza però poter eguagliare le sensazioni che quel semplice contatto aveva generato.
Sarei voluta morire in quel momento, per avere la certezza di andarmene felice. Spirare lì, con le sue dita che si intrecciavano nei miei capelli, il suo fisico atletico premuto con forza contro di me, le nostre labbra connesse in un legame indissolubile.
«Io avevo scommesso che te la portavi a letto in meno di una settimana!» Le parole di Noah rimbombarono lontane. Era come se una bolla si fosse chiusa intorno a noi, tagliandoci fuori dal tempo e dallo spazio. Mi parve di sentire un fischio di ammirazione e diversi commenti che giunsero anche loro ovattati, il tutto in pochissimi secondi, perché non appena Santana si staccò da me, il mondo tornò a colpirmi con la propria opprimente realtà.
«Contenti?» chiese sfoderando un nuovo sorriso.
«Vogliamo di più!» la incitò la piccola folla raccolta intorno a noi.
«Mi spiace, lo spettacolo è finito gente. Potete lasciare qui le vostre offerte» rispose loro allungando la mano.
«Bis! Bis! Bis!» scandirono Puck e Finn, mentre i Klaine e Quinn battevano le mani a ritmo.
Allora decisi di agire, di prendere, per quanto possibile, il controllo della situazione. La latina aveva dominato la scena fino a quel momento, aveva fatto tutto, io mi ero limitata a restare inebetita in balia delle sue intenzioni.
Quella che voleva essere una presa romantica dovette apparire più come un’aggressione. Le afferrai le spalle e poi la attirai a me mettendole le mani sui fianchi, tentata di scendere fino alle natiche sode che gli shorts del pigiama delineavano in modo provocante.
Ripresero le esortazioni, mentre un lampo di sorpresa attraversava i pozzi scuri, solitamente così calmi.
Mi impossessai della sua bocca quasi con rabbia, volevo vendicarmi del modo in cui aveva agito senza lasciarmi il tempo di reagire. Riassaporai quelle labbra, facendomi desiderare di poterle avere solo per me per il resto dell’eternità.
«Vai Pierce! Sei una tigre!» mi incoraggiò il Mohawk. Allontanai una mano dal fianco di Santana solo un momento, per potergli rivolgere un dito medio.
Quando ci staccammo per la seconda volta, notai soddisfatta un sorriso eccitato sulla bocca che avevo appena abbandonato.
«Possiamo rifarlo quando vuoi» mi disse, ribaltando ancora una volta i giochi di potere.
«Non tentarmi» replicai, passandomi lentamente la lingua sul labbro superiore.
Attraverso le pupille potei scorgere la sua anima vibrare, incuriosita ed esaltata.
«Ci piacerebbe davvero tanto restare qui a vedervi flirtare, ma dobbiamo andare» Quinn provvide a riportarmi con i piedi per terra, afferrandomi un braccio e costringendomi a lasciare la presa che avevo sulla surfista.
«Mi sono perso qualcosa, vero?» sopraggiunse Sam, quando ormai era tutto finito.
«Uno spettacolo unico, amico. Hai scelto proprio il momento sbagliato per un pisolino» commentò Finn con un sorriso amaro.
«Forza, torniamo di là» ribadì la Fabray e noi altri non potemmo che ubbidire.
Mi voltai un’ultima volta, per vedere svolazzare la massa di capelli corvini mentre la bella ispanica se ne tornava in camera a dormire.
«Dio benedica la Berry e i suoi stupidi rituali di bellezza» sentenziai, sicura di aver finalmente scoperto a che cosa dovesse somigliare il Paradiso.

NdA: contenti di questo paragrafo finale? Spero di sì. Comunque è il momento dei soliti, dovuti ed immancabili ringraziamenti a wislava, Jenns, HeYa Shipper e a tutti gli altri lettori. Il prossimo capitolo arriverà tra qualche giorno, quindi, siate pazienti e spero di ritrovarvi alla prossima. Un saluto.

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Capitolo 6
*** Somewhere only we know ***


CAPITOLO VI: Somewhere only we know
 
Tornai in stanza camminando ad un metro da terra. Rachel era ancora chiusa in bagno, dove probabilmente avrebbe continuato a dormire, lasciando il letto tutto per me e l’altra bionda.
«Britt» bisbigliò Quinn, allungandosi al mio fianco «Ti rendi conto che hai fatto esattamente il contrario di quello che ti avevo detto di fare? Tu finirai con l’innamorarti, lei ti spezzerà il cuore e indovina chi dovrà raccogliere i pezzi…»
«Non puoi saperlo» le risposi con poca convinzione, la mia mente era ancora annebbiata e inebriata da Santana.
«Sul serio, tesoro, non devi lasciarti coinvolgere così.»
«Troppo tardi Q, io sono completamente presa da lei. Sto pensando di chiederle di sposarmi.»
«Smettila di fare la scema! Questo dovrebbe essere un discorso serio.»
Aggrottai la fronte, pronta a spiegarle che io non scherzavo affatto. Mi immaginavo a contrattare il prezzo di un anello con qualche gioielliere spagnolo fino a che lui, esasperato, si vedeva costretto a lasciarmi andare via con una fede in oro ornata da decine di brillanti. Dovevo sbrigarmi se volevo evitare che qualcun altro mi portasse via la latina, inoltre dovevo fare le cose in grande, perché lei si meritava solo il meglio.
«Oddio, tu eri seria!» esclamò vedendomi assorta nei miei pensieri «Non pensavo che tu potessi arrivare a simili livelli di cretinaggine! Lo sapevo, sei stata troppo tempo in compagnia di Puck, lui ti ha attaccato una rara forma di “smetto di ascoltare il cervello”.»
«Noah è uno a posto» replicai «È molto più maturo e saggio di quello che credi, se solo gli lasciassi occasione di dimostrartelo, lui ti saprebbe sorprendere e crolleresti ai suoi piedi al primo round.»
«Ma sei ubriaca o cosa?» mi chiese scuotendo la testa «Parli a sproposito, sei più strana del solito e hai trovato il coraggio di prendere l’iniziativa per rubare un bacio a Santana… Sì, sei decisamente ubriaca.»
«Ubriaca d’amore» sospirai sognante.
La Fabray mi tirò uno scappellotto. «Ripigliati, guarda che se non funziona questo passo alle secchiate di acqua gelida.»
«Fai pure! Anzi, collaboro!» risposi ridendo.
«Per quale motivo?» domandò perplessa.
«Immagina: una povera ballerina bagnata ed infreddolita, nessun asciugamano disponibile. È ovvio che io vada a chiedere aiuto alle labbra bollenti della signorina Lopez! Non so che pagherei per vedere la sua reazione…»
Una cuscinata mi colpì in pieno viso.
«Quinn!» la sgridai «Se mi rompi il naso me lo ripaga tuo padre?»
«Ok Pierce, questo è troppo!» si inalberò «Fuori!»
«Ma… Ma…» provai ad articolare in mia difesa, ma lei non volle sentire ragioni. Continuò a colpirmi fino a farmi sgusciare fuori dalla camera.
«E non provare a rientrare!» mi urlò. Poi la sentii impilare oggetti contro la porta, per sbarrarla.
Non riuscivo a ricordare una Quinn tanto furente dai tempi in cui, tre anni prima, era stata costretta dai genitori a chiudere la storia con Noah, riversando sul resto del mondo la sua rabbia e la sua frustrazione. La storia era venuta fuori quando, una sera, si era presentata a casa mia in lacrime con un test di gravidanza nella borsa e i miei genitori avevano contattato i Fabray.
Alla fine quel primo test risultò essere un falso positivo, ma ormai l’innocente Quinn Fabray, capo cheerleader e presidentessa del Club della Castità, era irrimediabilmente perduta.
«Tutto bene?» chiese Puck, sbirciando in corridoio.
«Sì, Quinnie è un po’ tesa, deve avere il ciclo» commentai ironica.
«Vuoi dormire con noi?»
«Non ci penso neanche, non vorrei mai che il tuo amico Puckzilla mi distraesse dalla mia devozione alle belle fanciulle» risposi facendogli la linguaccia.
«Comprendo le tue ragioni e le rispetto. Non mi resta che augurarti buonanotte, per quello che ne resta.»
«Aspetta» lo fermai prima che si rinfilasse nel suo giaciglio «Puoi lasciarmi il tuo cuscino e una coperta?»
«Ma certo, Britt. Ecco» mi disse porgendomi il fagotto «Io al massimo ruberò quelli di Finn.»
«Allora a dopo, Puck. Buon riposo.»
Mi accomodai sul divano, pregando che le cimici si tenessero alla larga. Non sapevo quanto sarei riuscita a dormire, visto che il mio corpo ancora non aveva smaltito la dose di adrenalina che il bacio mi aveva iniettato in vena.
Tentai di accoccolarmi sul fianco destro, ma una molla rotta mi si conficcò nel braccio, facendomi saltare per aria. Tentai allora con l’altro lato, senza ottenere miglioramenti. Piazzai il cuscino tra me e le molle difettose, raggomitolai la coperta e me la piazzai sotto la testa.
«Spero che Q. si faccia passare presto questa crisi di nervi, perché non ho intenzione di restare relegata qui» borbottai a mezza voce.
“Potresti sempre finire nel letto di San” intervenne una vocina maliziosa nella mia testa.
«Sarebbe un gran colpo» ridacchiai.
“Però il tuo corpo ne risentirebbe, finiresti col passare le notti a fare tutto meno che riposare.”
«Da quando sono diventata la sorella gemella di Noah? Ma più importante, da quando parlo da sola?»
“Da quando quella bella mora ti ha fuso i pochi neuroni rimasti.”
«Ehi» dissi per riprendere la strana voce «Queste offese sono pesanti, sono una forma di bullismo e io non lo accetto.»
A quel punto calò il silenzio, dentro e fuori la mia testa. Poco dopo il buio invase i miei occhi e io sognai il viso della latina. Ad un certo punto mi parve persino di sentire il suo profumo e le sue dita affusolate sfiorarmi il viso.
«Oh, San…» mormorai nel dormiveglia.
«Sono qui» mi rispose.
«Resta con me, non te ne andare…» continuai, vedendo la sua immagine sfumare a poco a poco.
«Guarda che non vado da nessuna parte» riprese la latina, facendo seguire a quelle parole una risata cristallina.
Ma la sua figura seguitò a farsi sempre meno nitida, fino a sparire. A quel punto socchiusi un occhio, per vedere se fosse finalmente venuto giorno.
«Ben svegliata» mi salutò Santana, accovacciata vicino al divano.
Mi si mozzò il fiato in gola, realizzando che sentivo il suo profumo perché lei era lì accanto a me e le sue dita mi stavano davvero accarezzando. Ciò voleva dire che aveva, ovviamente, sentito i miei monologhi nel sonno.
«Buo… Buongiorno» balbettai, ancora confusa.
«Spero di non averti svegliata» mi disse, accennando un sorriso «Volevo solo toglierti un groviglio di capelli dalla faccia.»
«Oh…» replicai, cercando di nascondere la mia delusione «Grazie…»
«Puck e Sam sono andati a comprare la colazione» riprese, mettendosi in piedi «Gli altri riposano ancora. Tra l’altro credo che la nana sia ancora chiusa nel vostro bagno, quindi se hai bisogno puoi usare il nostro.»
«Per ora ne faccio a meno, ma grazie del pensiero.»
«Allora… Cosa ti va di fare nell’attesa?»
Spalancai gli occhi in maniera certamente poco elegante. Mi stava stuzzicando, su questo non c’erano dubbi. Giocava con me come il gatto con il topolino in trappola. Ma se c’era una cosa che avevo imparato da “Tom & Jerry” era che alla fine il roditore, con un po’ di furbizia, poteva avere la meglio.
“Ma se il suo obiettivo è sedurti, lascia pure che faccia, no?” mi fece notare quella che definii come la mia Coscienza.
In effetti non aveva tutti i torti, eppure qualcosa stonava in quella situazione. Non volevo essere l’ingenua ragazzina sedotta dalla bella straniera, anche se sarebbe stato lo scenario più ovvio, essendo io, effettivamente, una ragazzina ingenua. No, le cose nella mie testa prevedevano miei azzardi romantici, il vedere, durante ogni secondo della nostra vita insieme, quella luce di sorpresa nei suoi occhi, come successo appena poche ore prima. Volevo che ogni istante per noi fosse unico, irripetibile, mai uguale a quello appena trascorso. Ed era esattamente quello che lei stava facendo: agiva in maniera opposta a come mi aspettavo, sconvolgendo i miei piani per sconvolgere lei.
Mi resi subito conto di essermi persa in un altro dei miei viaggi mentali quando la vidi con un’aria interrogativa, ancora in attesa della mia proposta su come impiegare il tempo.
«Ehm…» bofonchiai «Non ne ho la minima idea…»
Vidi un lampo di malizia attraversare le sue iridi scure, stava per rompere ancora una volta gli schemi, lo sapevo. Così decisi che glielo avrei impedito.
Mi si avvicinò di nuovo, con la chiara intenzione di riprendere quanto solo accennato durante “l’emergenza bagno”, ma io, facendo finta di niente, mi tirai in piedi per andare a darmi una sciacquata alla faccia nel lavabo della cucina. Santana, rimasta spiazzata e con le labbra ancora increspate, finì con la faccia contro il mio pulcioso giaciglio.
«Tutto a posto?» le chiesi assumendo l’espressione più innocente possibile.
«Certo, certo…» si riprese, scattando in piedi e passandosi una mano sul volto, come a voler cancellare la confusione chiaramente dipinta su di esso.
Io sorrisi trionfante, realizzando solo dopo che lei si sarebbe fatta delle domande sulla ragione del mio gioire. Quasi a confermare i miei pensieri disse: «Ho forse fatto qualcosa di sbagliato?»
«Beh, direi. Credo tu abbia quasi baciato una delle cimici promesse al tuo amico Trouty. Non è un comportamento corretto» la buttai sul ridere.
Sorprendentemente la latina non la prese come mi aspettavo, anzi, arrossì per l’imbarazzo come una bambina la cui prima cotta arriva alle orecchie del diretto interessato. Mi piace pensare che fu quello il momento in cui me ne innamorai per davvero, vedendola così indifesa mi sentii come uno degli eroi delle favole, quando gli viene chiesto di giurare di proteggere per sempre e a qualunque costo la principessa. Mi immaginai umilmente inginocchiata ai suoi piedi mentre le giuravo eterno amore, mano nella mano, con i suoi occhi scuri colmi di adorazione per il mio gesto sincero.
Purtroppo la mia immaginazione, come al solito, corse troppo in fretta, perché, mentre cercavo di avvicinarmi a lei sorridendole con tutto il fascino che mi era possibile dopo una notte così movimentata, scivolai sulle mie stesse ciabatte e finii con il sedere per terra.
A quel punto una risata spazzò via ogni segno del precedente impaccio, facendo riemergere la Santana sicura, decisa e a tratti cinica che mi si era mostrata nei giorni precedenti.
Per aggiungere altro disagio, Quinn e Finn sbucarono dalle rispettive camere per vedere cosa fosse accaduto. Dopo un paio di minuti, sorprendentemente, fece la sua comparsa anche Rachel, distogliendo così l’attenzione dalla mia goffaggine.
«Ma ti rendi conto di che inferno abbiamo dovuto passare?» la attaccò Q.
«Scusate» rispose la Berry, avvinghiandosi al quarterback, come per assicurarsene la protezione «Mi sono appisolata durante il mio rituale idratante. Spero di non aver causato troppo disturbo.»
«Ci siamo arrangiati» sbuffai, rialzandomi «Propongo di dimenticarci della faccenda, con la promessa che la prossima volta non ti chiuderai dentro a chiave.»
«Accetto.»
Udimmo un lieve bussare alla porta.
«Avanti» gridammo in coro, permettendo a Kurt e Blaine di fare la loro entrata.
«Avete visto che splendido sole c’è oggi?» ci apostrofò il castano, dopo averci salutato con un sorriso.
«Davvero meraviglioso» gli fece eco il fidanzato.
«Qualcuno si è svegliato dal lato giusto del letto oggi» commentò la Lopez «Oppure qualcuno ha approfittato della solitudine di stamattina per dedicarsi ad attività, diciamo, inappropriate per questa sede.»
I due arrossirono, cercando di distogliere l’attenzione con teatralissimi colpetti di tosse.
«Chi vuole del caffè?» domandò Finn, provando a togliere i Klaine dall’imbarazzo.
«Tu preparane il più possibile» annunciò Sam aprendo la porta con in braccio una grande busta bianca «Oggi ci servirà essere svegli.»
«Abbiamo qualche programma?» chiesi.
«Certo Pierce, noi ci diamo da fare per il bene della comunità, al contrario di te» mi punzecchiò Noah che avanzava due passi dietro al biondo.
«Siamo passati in spiaggia a prendere questi» continuò Trouty posando i churros sul tavolo «E ne abbiamo approfittato per fare una capatina al porto.»
I suoi tre compari squittirono eccitati.
«E allora?» volle sapere Quinn, impaziente.
«Facciamo una gita in barca!»
Esultammo tutti contenti, poi lui si spiegò meglio: «Dato il bel tempo, oggi surfare sui lidi della città è praticamente impossibile. Quando siamo arrivati Miguel ci ha consigliato un piano di riserva per giorni come questo: una baia isolata e poco frequentata.»
«Un posto che conosciamo solo noi» aggiunse Blaine estasiato «Un luogo di pace e tranquillità per i sensi.»
«Quindi» riprese Sam «Ho prenotato un piccolo motoscafo con cui arriveremo in questo angolo di paradiso. C’è un’unica condizione: devo riconsegnare la barca entro le sei, quindi, Cenerentole, teniamo d’occhio l’orologio.»
Trangugiammo i dolci e bevemmo rapidi il caffè, desiderosi di salpare il prima possibile.
Rachel insistette per fare scorte per il pranzo, facendoci svaligiare metà del Kursaal Market e costringendo i baldi giovani e trascinarsi dietro, oltre l’attrezzatura da spiaggia e da surf, enormi borse rigonfie di vivande.
«Siamo sicuri di starci tutti su quella bagnarola?» osservò Santana scettica, una volta giunti al porto.
La “Sea Dog” era ormeggiata tra imbarcazioni maestose che la facevano sembrare davvero inadatta ai nostri scopi. Il proprietario però, un americano come noi, trasferitosi in cerca di quiete, ci assicurò che il suo gioiello ci avrebbe portato ovunque avessimo bisogno di andare. Il biondo gli aveva dimostrato di saper manovrare il mezzo, raccontandogli delle gite che faceva con lo zio sul lago Michigan durante le vacanze di primavera.
Così, con il benestare del signor Wallace Freid, levammo l’ancora.
«Ah, quanto mi piace l’aria di mare!» esclamò Noah, sporto a prua per godere degli schizzi di acqua salata. Si era già levato la canotta, restando con i bermuda e una ridicola bandana a pois che aveva deciso di adottare per proteggersi il capo dal sole. Conciato in quel modo sembrava un vero pirata.
Dietro di lui a destra, Hudson stringeva a sé la fidanzata, che sembrava non essere altrettanto entusiasta del dondolio causato dalle onde. Il suo colorito verdastro non faceva presagire nulla di buono. Io mi trovavo alla sinistra di Puck, anche io già in costume, ma debitamente incremata per evitare spiacevoli scottature.
Alle mie spalle c’era Quinn, in bikini leopardato, che sembrava muoversi come un girasole per poter catturare ogni singolo raggio nelle vicinanze. Accanto al motore di poppa stava Sam che chiacchierava tranquillo con la latina, mentre governava l’imbarcazione.
Chiudevano il gruppo i Klaine, intenti a cantare la canzone che ormai girava a tutti in testa per via della frase di Blaine.
And if you have a minute why don’t we go
Talk about it somewhere only we know?
This could be the end of everything
So why don’t we go somewhere only we know?
Somewhere only we know
Dovemmo costeggiare verso ovest per un’ora buona per arrivare in vista della fatidica spiaggia. Fummo contenti di vedere che, davvero, era un luogo noto solo a noi.
C’era un porticciolo ad una delle estremità del lido a cui ormeggiammo la “Sea Dog”. Io mi persi ad osservare la bellezza di quel posto: la costa cadeva a picco per un centinaio di metri, chiudendo la spiaggia come in un abbraccio. Al contrario di quelli visti finora, il lido non era sabbioso, ma formato da una ghiaia grossolana dal colore scuro. L’acqua era talmente limpida da permetterci di vedere il fondale anche a diversi metri di profondità.
Intravidi qualche pesce, ma nessun abitante degli abissi poteva più colpirmi dopo l’enorme squalo di cui mi ero invaghita all’acquario.
I surfisti furono contenti nel constatare che le onde erano abbastanza buone per garantire un allenamento produttivo.
«Oggi dobbiamo assolutamente impegnarci» mi rivelò Santana «Domani abbiamo le prime selezioni e, anche se sono certa che le passeremo, non possiamo permetterci di battere la fiacca.»
Mi sorpresi di quella notizia, i tre non sembravano dare peso al fatto che nel giro di ventiquattro ore il loro sogno di gloria spagnolo avrebbe potuto avere fine ancor prima di iniziare.
«Vi prego, fatemi scendere da questa trappola galleggiante» boccheggiò l’ebrea, barcollando verso il molo.
Noi altri ci scostammo rapidi, onde evitare spiacevoli incidenti. Pensai che quella sarebbe stata la perfetta occasione per lei di vendicarsi di me per via di “Tik Tok”. La nausea comunque le passò, sebbene solo dopo almeno quaranta minuti di coccole e massaggi ad opera del malcapitato Finn.
Q. proseguì nel suo progetto “Abbronzatissima”, senza rendersi conto di stare lentamente evolvendosi in quella che io definii: “la prima aragosta leopardata della storia”, le sue scottature infatti si fecero evidenti dopo un paio d’ore, trasformando la sua candida carnagione bianca in una distesa di rosso dolore. Per sua fortuna, Blaine aveva con sé una serie di creme rinfrescanti che potevano alleviare, almeno in parte, le sue pene.
Fu bellissimo osservare come Puck, solitamente rude e mascolino, si trasformò in dolce e premuroso quando si propose di aiutare la Fabray per passarle le lozioni sulla schiena. Lei era distesa, pancia a terra, con le braccia incrociate per tenere leggermente sollevata la testa. Le mani di Noah si spostavano piano, compiendo movimenti lenti e leggeri, per evitare di acuire il dolore delle bruciature.
«Mi ero dimenticata delle tue mani di fata» mormorò rilassata.
«Te l’ho sempre detto che sono il migliore con i massaggi.»
«E non solo alla schiena…» aggiunse la bionda, con fare malizioso.
«Quinn!» la ripresi «Non mi sembra il luogo per condividere le vostre porcate!»
Lei si limitò a ghignare, mentre il Mohawk proseguiva nel suo lavoro. Una volta asciugata da quel lato, la giovane si mise supina per ripetere l’operazione dall’altro. Avrebbe potuto benissimo spalmarsi da sola la crema, ma lasciò che Puckerman proseguisse con il suo delicato compito.
Lo vidi deglutire a vuoto quando si avvicinò un po’ troppo al seno di Q, ma lei non ci diede peso, troppo presa a godersi il relax e quelle attenzioni.
Lasciando in pace le coppiette, Blaine ed io ci ritirammo, come nostro solito, a discutere di “argomenti nerd” che, ero certa, non avremmo esaurito neppure in cento anni di dialoghi.
Approfittavamo di alcuni momenti per osservare i surfisti cavalcare le onde. Sam e Kurt fecero un paio di cadute esilaranti, mentre San rimase sempre in piedi, aggraziata ed elegante, come se fosse nata per domare l’oceano.
La pausa pranzo mi permise di affrontare, finalmente, un argomento che mi stava molto a cuore e che mi aveva tormentato fin dal primo momento in cui avevo posato gli occhi sulla latina. Non avevo avuto coraggio di parlarne fino ad allora, ma la curiosità mi stava uccidendo e inoltre il suo atteggiamento così sfacciatamente provocante era arrivato a tendere i miei nervi oltre ogni misura.
Riuscii ad allontanarla dal resto gruppo, così da poterle parlare faccia a faccia.
«Valerie è la tua ragazza? Perché se è così trovo il tuo comportamento davvero inappropriato.»
La colsi decisamente di sorpresa.
«Allora?» la incalzai.
«Vuoi proprio saperlo?» mi domandò seria.
«Sì, voglio sapere chi è e perché il suo nome è sulla tua tavola.»
«Lascia che cominci dal principio» mi disse.
Io mi misi in ascolto, annuendo.
«Ho cominciato a surfare prima ancora che a camminare» mi raccontò «A Puerto Rico mia nonna materna mi portava in spiaggia ogni giorno e mi lasciava sul bagnasciuga con un paio di braccioli e una piccola tavola. Da allora non sono riuscita ad allontanarmi per più di un paio di mesi dal mare, per questo, quando mio padre ottenne il trasferimento negli Stati Uniti, mi augurai che saremmo finiti in California. Per me sarebbe stato un sogno. Quando scoprii che la nostra nuova casa sarebbe stata in Ohio e capii dove esattamente si trovasse, pensai di scappare e tornare a vivere a casa della nonna. Poi lei se ne andò e io trovai nel surf l’unico modo per mantenere vivo il suo ricordo. A quel punto convinsi i miei a passare ogni vacanza possibile al mare, di modo che potessi prendere lezioni per perfezionare la mia tecnica. Valerie è stata la mia mentore.»
Io ero rimasta incantata a sentirle raccontare del suo passato, ma mi feci ancora più accorta quando udii quel nome.
«Era una donna giovane, sempre sorridente. La tavola era sua, me la regalò quando conclusi il quarto anno di corso. Ero contentissima del regalo, ma mi dispiaceva l’idea che avesse rinunciato al suo surf personale, sapevo quanto significasse per lei. Forse fu anche per questo che al momento dell’incidente mi sentii in colpa.»
«Incidente?» domandai, nonostante fossi intimorita dalla possibile risposta.
«Durante una gara amatoriale perse il controllo della sua nuova tavola, che non governava ancora alla perfezione, finendo contro un gruppo di scogli vicini al luogo della competizione. Si fratturò il bacino in tre punti e dopo mesi e mesi di riabilitazione non fu comunque in grado di tornare a cavalcare le onde.»
Tirai un sospiro di sollievo scoprendo che non era accaduto nulla di tragico, ma Santana non sembrava altrettanto serena. C’era amarezza nella sua voce e il senso di colpa si rifletteva chiaramente nelle iridi scure.
«Gareggio per lei, per portare avanti il suo sogno che io, con il mio egoismo, ho stroncato» concluse con gli occhi lucidi.
«Oh, San…» mormorai avvicinandomi «Io… Scusa, non volevo farti piangere…»
«Non importa, il mio peccato resterà anche dopo fiumi di lacrime.»
«Ma non è stata colpa tua! Eri in dovere di accettare il suo regalo e probabilmente avrebbe avuto quell’incidente anche con la tavola più stabile ed affidabile del mondo! Certe cose devono semplicemente accadere, non c’è modo di fermare il destino.»
Sollevò lo sguardo, portandolo a posarsi su di me.
Il mio istinto mi disse che quello era il momento di fare un passo avanti ed io lo ascoltai.
Le presi gentilmente le spalle e le feci poggiare la testa sul mio petto, lasciando che sfogasse il proprio sconforto. Non singhiozzò, semplicemente lasciò che il viso le venisse rigato da piccole gocce rotonde nel più totale silenzio.
Quando si fu calmata, tornò ai suoi estenuanti allenamenti ed io potei scorgere in lei una determinazione che non avevo notato: si impegnava e lottava per rendere orgogliose le persone che più stimava al mondo. Mi sentii incredibilmente fiera di lei e della sua forza d’animo, ma decisi comunque di non fare parola con nessuno di quello che mi aveva confidato. Immaginavo che i suoi tre amici fossero a conoscenza della sua storia, ma non ero certo in diritto di divulgarla agli altri.
Rientrammo al porto alle sei in punto, proprio come tante brave e puntuali Cenerentole, riconsegnando la barca al legittimo proprietario.
Trascorremmo il resto della giornata in casa, mangiando gli avanzi del pranzo e tenendoci lontani dagli alcolici.
L’indomani c’era pur sempre una competizione per i surfisti, mentre noi avremmo optato per una gita fuori porta, sebbene io volessi assistere alla gara. Alla fine, però, Rachel mi convinse che sarebbe stato meglio andare con loro a visitare Bilbao.
Ci salutammo, ben sapendo che non avremmo potuto fare colazione insieme perché la loro competizione sarebbe iniziata presto, quindi, con estremo dispiacere, la latina si congedò da me con un rapido bacio sulla guancia.
Il contatto con le sue labbra, come sempre, scatenò in me una serie di reazioni, ma quella sera, per la prima volta, colsi qualcosa di più della solita attrazione fisica. Sentivo di essere in contatto con la vera essenza della mora, con il suo spirito. Certo, Quinn mi avrebbe scannato se lo avessi detto ad alta voce, ma io me ne convincevo sempre di più: ero innamorata di Santana Lopez.

NdA: ed ecco, decisamente presto rispetto al solito, il sesto capitolo. Non mi sto a dilungare in inutili chiacchiere, quindi passo subito ai ringraziamenti, sempre dovuti, a wislava, HeYa Shipper, Fyo e Jenns, a chi ha aggiunto la storia alle preferite/ricordate/seguite e grazie anche a tutti gli altri lettori. Il prossimo capitolo è quello che personalmente preferisco quindi non vi farò attendere molto prima di metterlo in rete. Un saluto.

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Capitolo 7
*** Bella Notte ***


CAPITOLO VII: Bella Notte
 
Il pessimo umore di Quinn era decisamente migliorato grazie alla giornata di cure da parte Noah, così quella notte potei riappropriarmi del mio posto nel letto. La bionda arrivò addirittura a scusarsi per essere stata scortese. La considerai una vittoria su tutta la linea.
Il mattino seguente sperai invano di poter incrociare la comitiva diretta alla spiaggia, infatti quando noi uscimmo erano ormai le nove passate e loro erano certamente già impegnati nella competizione.
Ci dirigemmo con calma al parcheggio sotterraneo per andare a recuperare la nostra Renault, rimasta tanti giorni a prendere polvere.
«Prepariamoci ad un altro bel viaggetto» annunciò Finn, ormai divenuto mappiere ufficiale, mentre ci avvicinavamo al veicolo «Dobbiamo seguire questa autostrada» continuò facendo scorrere il dito lungo la cartina «E non sbagliare ad imboccare l’uscita, se no finiamo chissà dove.»
«Rilassati Frankenteen» dissi, senza neppure rendermi conto di aver utilizzato il soprannome coniato da Santana «Sarà indicato, no?»
«Come lo hai chiamato?» mi domandò Rachel basita.
«Ma sì, è un nomignolo innocente» mi difesi «Me lo ha suggerito San.»
Tutti e quattro sbuffarono e Puck aggiunse: «Se la nomini più di tre volte nel corso della giornata, giuro di lasciarti a lato dell’autostrada.»
«Su» gli mormorai facendo gli occhi dolci «Non vorrai abbandonare un triste piccolo panda, vero?»
Lui si sciolse in un sorriso e mi scompigliò i capelli con fare amorevole, come se davvero fossi un cucciolo. «Hai ragione, anche volendo non riuscirei mai a liberarmi di te.»
Prendemmo i nostri posti consueti e partimmo.
Ci vollero quaranta minuti per uscire dalla città, non perché ci fosse molto traffico o altro, semplicemente sbagliammo strada una dozzina di volte, finendo con il girare in tondo, ma alla fine imboccammo la giusta via, arrivando al casello di entrata dell’autostrada.
«Cinquantanove centesimi di pedaggio? Ma sono seri?» ridacchiò Puck «Questi europei sono davvero esilaranti.»
Durante il tragitto mi resi conto di quanto fosse bella e mutevole quella terra. Dalle ampie spiagge sabbiose di San Sebastian passammo alle verdi colline circostanti e in lontananza riuscii persino a scorgere i Pirenei. Quello non era certo il paesaggio che mi aspettavo di trovare, mi sembrava di trovarmi nelle fredde terre del Nord di qualche videogioco fantasy, certa di vedere spuntare da un picco qualche pericoloso drago sputa fuoco. Per fortuna io potevo ricorrere al potere della Voce, come ogni vero Dovahkiin.
Ci volle un’ulteriore ora di viaggio per arrivare a Bilbo, meglio nota come Bilbao. Io ovviamente cercai di fare una battuta su quel nome che risvegliava i miei sensi di nerd, ma Rachel mi tappò la bocca con forza, prima che potessi condividere con loro il mio umorismo.
Dopo aver abbandonato la macchina in un parcheggio vicino ad un grande mercato floreale, iniziammo il giro turistico. Passammo il celeberrimo ponte dell’architetto Calatrava che ci avrebbe condotti fino al fulcro turistico della città: il Guggenheim Museum, omonimo del museo newyorkese.
Ci prendemmo il resto della mattina per visitarlo con calma, passando con ordine da una sala all’altra per dare all’ebrea la soddisfazione di leggerci ogni notizia sulle singole opere. Dopo un’ora e mezza Puck, esasperato, le strappò la guida dalle mani e la tenne sotto chiave, per evitare che riprendesse a blaterare a vanvera.
«Gente, è quasi ora di pranzo» osservò il quarterback quando abbandonammo il museo «Abbiamo qualche posto dove gustare un pasto in pace?»
«Sì» annunciò Quinn, che nel frattempo si era fatta passare da Noah il libro con le informazioni della città «Per la gioia di Brittany propongo un bel picnic nel parco visto che il tempo è buono. Potremmo appostarci qui» continuò indicando un punto in mezzo al verde «Vicino allo stagno delle papere.»
Io saltai dalla gioia, ma ad un tratto frenai l’entusiasmo. «Non è una fregatura come quella dell’altra volta?» chiesi, cercando di tornare seria.
«Me lo auguro, ma non posso prometterti nulla» mi rispose la bionda «Dopotutto è anche per me la prima volta qui, non possiamo che fidarci della guida.»
Passeggiammo sul lungofiume, fino ad arrivare in vista del famigerato parco. Era ovviamente molto più grande di quello di Donostia ed anche più curato. Da lontano si scorgevano bianche strutture in stile greco con colonne decorative e numerosi alberi sotto la cui ombra avremmo potuto riposare tranquilli.
«Cerchiamo lo stagno» imposi al gruppo, una volta immersi nel verde. Quella volta non rimasi delusa: un delizioso laghetto abitato da diverse specie di volatili dominava il centro del parco. Ci accomodammo lì vicino, tanto da permettermi di avere un’ottima visuale sui movimenti degli animali, che, pigri, sguazzavano nell’acqua bassa.
«Oh, che anatroccoli adorabili…» squittii, vedendo tre piccoli paperotti gialli zampettare dietro la loro mamma «Posso adottarli?»
«Direi che abbiamo la casa già abbastanza piena senza aggiungere i tuoi amichetti» commentò Puck, sdraiato sull’erba accanto a me.
«Ma ad Ashley piacerebbero tanto!»
Quando pronunciai quella frase mi resi conto di una cosa: non avevo praticamente più contattato casa da quando eravamo atterrati in Spagna. Certo, ogni sera mandavo un messaggio a mia madre per darle conferma che fossi viva, ma mi mancava la voce squillante della mia sorellina e il tono rassicurante dei miei genitori.
Feci un rapido calcolo dei soldi che avevo sulla scheda del telefono e dell’ora che doveva essere in Ohio, ovvero mattina presto, prima che i miei uscissero per andare al lavoro e portare Ashley da qualche sua amica. Allora presi la mia decisione: «Io chiamo a casa giusto due minuti, per farmi sentire di persona.»
A quel punto anche gli altri decisero di fare altrettanto. Ci allontanammo leggermente, per non interferire l’uno con la telefonata dell’altro.
Composi rapida il numero di casa e quando iniziai a sentire gli squilli a vuoto prese a battermi forte il cuore.
«Praaantooo?» mi rispose la piccola Ashley, citando il suo eroe Megamind.
Io sentii una lacrima pungermi gli occhi e mi presi un attimo prima di parlare. «Ciao, principessa» mormorai, soffocando un singhiozzo. Mi mancava terribilmente.
«BriBri! Sei tu?»
«E chi pensavi che fossi, scusa?»
La sentii urlare lontano dalla cornetta: «Mamma, papà, c’è Brittany!» poi tornò da me «Ti stai divertendo? È bella la Spagna?»
«Bellissima, ma sarebbe molto più divertente se ci fossi anche tu.»
«Prometti che mi ci porterai un giorno!»
«Sai che non posso fare queste promesse, ma ti assicuro che ti porterò un mucchio di cose belle. Ora mi passi velocemente Mà e Pà? Non posso dilungarmi troppo.»
«Ehi tesoro!» gridò mia madre, rischiando di assordarmi.
«Ciao mamma» le risposi, massaggiandomi l’orecchio colpito.
«Come va al di là dell’oceano?» si aggiunse mio padre.
«Tutto bene, ci stiamo divertendo molto tutti quanti. Abbiamo anche fatto amicizia con un altro gruppo di americani.»
«Perfetto cucciola… Hai trovato qualcuna di interessante?» domandò mia madre, con il suo solito tatto.
«Vivian!» la riprese infatti mio padre «Quello che tua madre voleva dire è se hai trovato qualcosa  di interessante in città.»
«No James, io intendevo proprio: hai messo gli occhi su qualche ragazza carina? Alla tua età dovresti concederti un’avventura estiva.»
Avrei voluto poter arrivare dall’altra parte del telefono per metterle le mani al collo. Purtroppo la mia scelta di rispondere con un silenzio imbarazzante si rivelò pessima.
«Oddio Brittany!» strillò contenta «Chi è? È una spagnola? Come fate a capirvi? Non farmi fare battute sulla questione della lingua…»
«Vivian!» sentii ancora una volta.
«Stai zitto, caro. Se non vuoi sapere come se la spassa tua figlia puoi sempre andare a sistemare gli scatoloni del seminterrato che sono lì da quando mio fratello ce li ha portati.»
Le suddette scatole erano rimaste intoccate per la bellezza di dodici anni, quando mio zio Peter si era trasferito in Nevada e ci aveva lasciato parte della sua roba. “Sbaraccare gli scatoloni di Peter” era la minaccia DOC in casa Pierce.
«Sentite» dissi «Devo staccare o esaurisco il credito. Ci sentiamo presto e salutatemi Lord T.»
Udii mia mamma tentare inutilmente di scoprire qualcosa di più sulle mie imprese romantiche, ma chiusi la chiamata prima che potesse ottenere quello che voleva.
«Tutto ok?» chiesi agli altri ragazzi quando ebbero anche loro concluso le telefonate.
«I miei papà sono andati a farsi una vacanza alle terme» disse Rachel inacidita «Vanno sempre a divertirsi quando non ci sono!»
«Mia mamma è rimasta a casa a lavorare, ma è stata contenta di sapere che ce la stiamo spassando» ci fece sapere Finn.
«I miei non ci sono, così ho chiamato mia sorella Frannie per fare da tramite» rispose Q.
«Io ho fatto una paio di scherzi telefonici» ghignò Noah «Così, giusto per perdere tempo.»
Finiti i saluti a casa, tornammo a goderci la tranquillità del parco, sgranocchiando i panini che i Finchel andarono ad acquistare in un bar vicino.
Concludemmo il giro turistico riattraversando il fiume e visitando la parte vecchia con le sue chiese e le vie acciottolate che ricordavano il centro di Donostia.
«Direi che è ora di rientrare» constatai guardando l’orologio «Sono le cinque e mezza, ormai le gare saranno finite da un pezzo. Voglio sapere come si sono piazzati i nostri amici.»
Ci mettemmo in marcia per tornare al mercato di fiori, dove ci attendeva la nostra fidata vettura.
A metà del rientro ricevetti un messaggio e sorrisi, lasciandomi sfuggire una lacrima. «Sentite qua» dissi di modo che tutti mi ascoltassero «“Tanti saluti pelosi da Lord Tubbington a voi e a i vostri nuovi amici. Spero che passiate una Bella Notte. Baci, Ash” Quante volte le dovrò ripetere che i tizi di “Lilli e il vagabondo” sono italiani e non spagnoli?»
Scoppiammo tutti a ridere e subito dopo cominciammo una maratona di canzoni Disney. Io ero certa di essere la più esperta in materia, ma anche Rachel e Finn se ne intendevano. Puck mi diede più filo da torcere degli altri, a tratti sembrava persino più ferrato di me. «Non è colpa mia se mia sorella Miriam non fa altro che guardare quella roba, alla fine per forza che la imparo anche io!» si difese, ma sapevo che lui trovava quei capolavori entusiasmanti quanto me.
Tornati a San Sebastian il mio unico pensiero era di poter finalmente rivedere i surfisti per farmi raccontare la loro giornata. Salii rapida le scale e capii, dal calzino malridotto, così simile a quello di Dobby, appeso alla maniglia, che i nostri vicini erano in casa.
Bussai mentre il resto del gruppo mi raggiungeva, ancora intento a cantare la hit del giorno. La porta si aprì proprio mentre loro concludevano il pezzo.
…Oh, this is the night
And the heavens are right
On this lovely Bella Notte
«On this lovely Bella Notte» fece eco Sam, invitandoci ad entrare.
«Allora, com’è andata?» non riuscii a trattenermi.
«Come previsto» mi rispose Santana dedicandomi uno dei suoi magnifici sorrisi «Siamo passati tutti senza problemi, anche se per un istante ho temuto per Kurt» continuò scoccando un’occhiata al ragazzo.
«Solo perché mettendomi in piedi sulla tavola ho avuto paura di essermi spezzato un’unghia! La stai facendo troppo grande, San…»
«E i vostri avversari?» volli sapere ancora.
«Alcuni discreti, ma la maggior parte erano principianti» mi disse Trouty «Ma piuttosto raccontateci della vostra gita! Bella Bilbao?»
«Lo sapevate che il nome in basco è Bilbo?» intervenni esaltata prima che Rachel iniziasse col resoconto.
«Mitico!» esultarono all’unisono Anderson e il biondo «C’è anche qualche città che si chiama Gandalf e non lo sappiamo?» proseguì il moro.
«Sapevo che era solo questione di tempo prima che questa battuta venisse fuori» si lamentò Q.
«Adesso che i bambini hanno fatto il loro umorismo nerd, lasciate che vi racconti…» iniziò la Berry.
Non so come fece, ma riuscì a rendere noiosa l’esperienza bellissima che era stata la visita a Bilbao.
Quando ebbe finito di blaterare, ci guardammo l’un l’altro per discutere il piano della cena.
«Mi avete dato un’idea mitica» disse Sam «Ma mi servirà aiuto. Oggi cucina casalinga e poi voglio portarvi tutti in uno dei posti più belli della città.»
Ispirati e incuriositi, accettammo il suo piano.
«Bene» riprese per dare direttive «Puck, Finn e Blaine con me ai fornelli. Voi signorine» proseguì strizzando l’occhio a Kurt «Andate a farvi belle.»
Quinn, Rachel ed io lasciammo “gli uomini” intenti a stilare la lista degli ingredienti e ci ritirammo nel nostro alloggio, mentre la latina e Lady Hummel andavano a rintanarsi in una delle camere.
«Ho già in mente l’abito adatto» gongolò la Fabray aprendo la valigia ed estraendone un delicato vestito verde, perfettamente in tinta con i suoi occhi «Sapevo che avrei avuto l’occasione di indossarlo.»
«Ma se neppure sappiamo dove si va» le feci notare io.
«Senti Britt, ogni scusa è buona per tirare fuori un abito come questo. A cui abbinerò» continuò frugando tra gli altri averi «Questi tacchi vertiginosi.»
«Io andrò sul total pink» preferì l’ebrea «Tu, bella ballerina?»
«Io, per quanto conosco Sam, deciderò di stare comoda.» Afferrai un paio di shorts e una maglietta grigia leggermente larga. Coronai il tutto raccogliendomi i capelli alla bell’e meglio con la bandana rubata a Noah.
«Ma come fai a sembrare sexy conciata come una camionista?» ironizzò Q.
«Tutta questione di atteggiamento. Se ti senti bella allora lo sarai anche con addosso il costume di Lady Gaga che Rach si era fatta per quella settimana al Glee.»
«I miei papà non sanno cucire» ci ricordò l’ebrea, mentre noi eravamo prese a ridere.
«Mi spiace contraddirti Brittany, ma persino Miss Universo sarebbe stata inguardabile dentro quel vestito. Era davvero un attentato all’umana decenza!» continuò Quinn, riprendendo a ridere più forte.
Aiutai le mia amiche ad indossare i loro abiti e, per quanto ne fossi capace, diedi una mano con il trucco e l’acconciatura.
«Ma tu vuoi veramente uscire così?» mi chiese la Berry vedendo che io ero ancora nei miei abiti da “camionista sexy”.
«Ovvio.» Non le spiegai che, per sorprendere Santana, non avrei puntato su fronzoli e merletti, ma avrei semplicemente mostrato me stessa per quella che ero.
Dopo una mezz’oretta sentimmo trafficare in cucina e io sbucai fuori per vedere cosa stesse succedendo.
«Via!» mi intimò Blaine brandendo una schiumarola «Stiamo apparecchiando.»
Io tornai dalle mie compagne, riferendo che avremmo dovuto aspettare che tutto fosse pronto.
«Venite pure, ladies» ci annunciò Sam dopo una decina di minuti.
Io, che già avevo fiutato il buon odore di cibo, mi fiondai a tavola. Ci avevo visto giusto: un enorme piatto di spaghetti e polpette troneggiava su quel piccolo e traballante tavolo.
«Oh, ragazzi, che cosa carina!» ringraziai abbracciandoli.
«Kurt! San!» urlò Puck sporgendosi verso l’altro appartamento.
«Eccoci» rispose Hummel «Non c’è bisogno di gridare così.» Il giovane sfoggiava una camicia rossa, coperta da un golfino color crema, e pantaloni neri. Santana, in tutto il suo splendore, indossava colori simili: una maglietta scarlatta scandalosamente scollata e una minigonna scura, anche se ritenni che il “mini” fosse riduttivo. Non che mi dispiacesse, anzi, il suo outfit mi dava un’ottima panoramica delle sue lunghe gambe perfette, che si concludevano con tacchi ancora più alti di quelli della mia amica bionda.
«Ora che ci siamo tutti, possiamo anche metterci a tavola» confermò Finn.
La Fabray si avvicinò alla tavola imbandita e fece per sedersi, ma il Mohawk la fermò. «Mia signora» disse, tirandole indietro la sedia e facendole un plateale baciamano.
Fischiammo tutti il suo eccesso di galanteria, ma poi anche il quarterback e Blaine fecero lo stesso con Rachel e Kurt.
Io fui tentata di arrischiare la medesima mossa con Santana, ma la mia coscienza mi suggerì che non fosse il caso. La surfista prese comunque posto al mio fianco, ridacchiando per la mia scelta azzardata di non mettermi in tiro.
«A Disney!» brindammo con una bottiglia di vino, comprata al fido Kursaal Market.
«Io avevo proposto di mangiare tutti dallo stesso piatto» ci informò Anderson facendo le porzioni «Per riprodurre quella scena tenerissima, avete presente? Ma poi gli altri hanno bocciato l’idea.»
«Sarebbe stato davvero romantico» sospirai «Mi sarebbe piaciuto far rotolare una polpetta col naso da una parte all’altra del piatto.»
Ricevetti una serie di occhiate stranite, seguite da una risata di comprensione. Dopotutto io ero pur sempre la solita me, con la testa tra le nubi e le frasi strambe.
Mi complimentai diverse volte con i cuochi per essere riusciti a fare una pasta decente, nonostante nessuno avesse qualche parente italiano.
Conclusa la cena, i ragazzi andarono a cambiarsi, vestendosi tutti casual, dimostrando che la mia intuizione fosse corretta: non avevano certo intenzione di andare per locali.
«Potevi avvisarci, testone» si lamentò Rach con il proprio ragazzo «Non voglio sprecare questo abito mozzafiato per una delle vostre stupidate.»
«Ehi, lascia in pace Frankenteen» intervenne San «La colpa è di Trouty Mouth.»
«Suvvia ragazze, calma. Vedrete che nulla andrà sprecato» le rassicurò il biondo «Adesso seguitemi.»
Ci portò ad una fermata dell’autobus, da cui poi venimmo trasportati fino all’altra parte della baia, ai piedi del Monte Igueldo.
«Eccoci arrivati» annunciò il surfista «Quelle sculture laggiù sono i “pettini del vento”, opera di un noto artista locale» ed indicò delle grosse lamiere che ricordavano vagamente le mani di qualche robot malvagio pronto a conquistare la Terra.
«Se ci avete portato qui per questo orrore, giuro di vendicarmi» intervenne Kurt, visibilmente offeso.
«Avevamo immaginato che questo non vi avrebbe colpito abbastanza» si intromise Puck «Quindi tenetevi forte per la vera figata.»
Ci guidarono lungo una strada non molto frequentata fino ad una piccola piazza, su cui affacciava un grosso edificio. Entrando capimmo che si trattava della stazione della teleferica che portava fino alla cima della montagna, da cui, come citava la guida, si aveva la più bella vista della regione.
«Muovetevi o perderemo la corsa!» ci spinsero Finn e Blaine.
Salimmo su uno sgangherato vagone che iniziò una pericolosa ascesa non appena vi mettemmo piede. Dopo cinque minuti si fermò sulla sommità del monte.
«Ed ecco, signore e Kurt, la vostra unica e personalissima Bella Notte» ci annunciarono in coro.
Quello che vidi fu decisamente inaspettato. Praticamente lo spiazzo che pensavo fungesse semplicemente da punto panoramico, era occupato da una specie di luna park. C’erano baracchini di bibite e dolciumi, una monorotaia, piuttosto malandata, però ancora in funzione, giostre di vario tipo, tappeti elastici e persino una coppia di pony disponibili per essere cavalcati.
«Oddio… Voglio venire a vivere qui…» mormorai.
«Forza, da cosa si comincia?» chiese Quinn.
«Tiro a segno!» gridarono Sam e Puck.
«Io voglio andare sui tappeti elastici» mi opposi.
«Ci andrai dopo» mi disse Noah, afferrandomi un braccio «Adesso vieni a vedermi abbattere tutte quelle lattine.»
I due ragazzi se la cavarono bene, ma ad un tratto intervenne Santana allungando una banconota al gestore, che in risposta le consegnò un fucile.
«Vi faccio vedere io cosa vuol dire “tiro a segno”.» Abbatté tutti i bersagli meno uno, ma l’uomo, colpito dalla sua bravura, le lasciò comunque scegliere il premio migliore.
«Voglio quella» disse indicando una collanina nella vetrina accanto alla cassa. Quando la ebbe in mano, la caccio in borsa senza nemmeno darci il tempo di osservarla e ci sorprese con un: «Andiamo ai tappeti elastici.»
«Ma dove hai imparato a sparare?» le domandò curioso Puckerman.
«A Puerto Rico scaccio così i topi dal cortile.» Nessuno volle indagare oltre.
Mi divertii molto sui tappeti elastici. Dovemmo aspettare una decina di minuti per via di una banda di mocciosi che li stava usando, ma una volta che ne entrammo in possesso pensai che avremmo trascorso lì il resto della notte. Vedere Q. e la Berry saltare tenendosi la gonna così che non si sollevasse in modo sconveniente mi fece sbellicare dalle risate, quella della latina era talmente corta ed aderente che saltando non fece neppure una piega. Passammo da un’attrazione all’altra sperperando gran parte del nostro denaro, ma divertendoci come non accadeva da tempo.
«Adesso è decisamente il momento di una bella granita» concordammo tutti una volta finiti i giri sulle giostre. Ci accomodammo sulle panchine che davano sulla città, illuminata da migliaia di piccole luci, ma la cosa più bella era perdersi nell’osservare l’infinità dell’oceano, che correva maestoso lungo la linea dell’orizzonte.
Eppure qualcosa non mi tornava. Ricordavo chiaramente l’immagine sulla guida: si vedeva solo l’oceano, come se il punto di osservazione non fosse quello dove ci eravamo alla fine assestati noi.
«Vado a fare un giro» dissi evasiva, decisa a condurre un’esplorazione in solitaria. Gli altri non diedero peso al mio abbandono, si limitarono ad annuire, presi dalle rispettive conversazioni.
Tornai al gabbiotto della funicolare. Noi eravamo usciti sulla sinistra, seguendo il richiamo delle luci e dei rumori del parco divertimenti, ma anche a destra c’era un sentiero, certo, meno segnato e apparentemente meno frequentato, ma c’era.
Lo percorsi in fretta, sicura di sapere dove mi stesse portando.
Arrivai sul promontorio, nel punto a picco sul mare. Potevo sentire le onde infrangersi a decine di metri sotto di me e il mio campo visivo era interamente occupato dal bellissimo Atlantico, proprio come lo ricordavo nella foto. Non si scorgeva neppure una barca, era come un infinito deserto d’acqua scura.
Mi chiesi cosa ci fosse di ancora ignoto tra quei flutti inesplorati, quali mistici tesori attendessero ancora di essere scoperti.
Ero talmente presa dalle mie elucubrazioni da non prestare attenzione al rumore di passi in avvicinamento.
«È un posto bellissimo, vero?» sussurrò Santana, portandosi al mio fianco.
«Semplicemente mozzafiato» risposi, senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte.
«Già…»
La conversazione piombò in un silenzio meditativo. Non sapevo se fosse venuta per intavolare un reale discorso o semplicemente per pedinarmi, fatto sta che lei era lì con me, davanti ad uno spettacolo meraviglioso.
Pensai alle mille possibilità che in quel momento mi si aprivano: avrei potuto dirle quello che provavo, avrei potuto parlare di come avevo già programmato il nostro futuro insieme, avrei potuto, volendo, darle una spinta ed osservarla cadere fino a schiantarsi contro le rocce al fondo dello strapiombo.
Quando immaginai di essere inseguita dalla polizia spagnola per l’omicidio della bella ispanica, realizzai di stare di nuovo divagando, permettendo alla fantasia di togliermi l’occasione di vivere nella realtà.
Mi tornarono alla mente le parole dette da Blaine due giorni prima: “A volte, se stai troppo a rimuginare sulle cose, va a finire che ti perdi tutto il bello dell’esperienza. Bisogna tirar fuori il coraggio e vivere la vita come fosse un’avventura.”
Quella era la mia occasione per smettere di fantasticare e prendere in mano la situazione.
“Vai, è il momento” confermò la Coscienza.
Mi girai verso la latina e mi beai di quella visione: la sua pelle ambrata baciata dai raggi della luna, le sue labbra sempre così invitanti e i suoi occhi, persi nell’immensità oceanica di cui, in quel momento, avevano il colore.
Semplicemente smisi di pensare.
Quella volta non c’era nessun gioco di potere in ballo, nulla da dimostrare ad altri. Eravamo solo io e lei. Era il momento di scoprire fino a che punto il mio coraggio era in grado di spingersi.
Posi le mani attorno a quel volto perfetto e lo avvicinai, per poterlo fare mio, come se fosse la prima volta.
Fu un bacio estremamente dolce, aggiungerei anche fresco, probabilmente per via della granita alla menta che avevamo finito da poco. Se la colsi di sorpresa non lo diede a vedere, presumibilmente stava solo aspettando che io mi decidessi a fare la prima mossa.
Non appena posai le mie labbra sulle sue, lei si strinse a me, così che potessi sentire il suo cuore battere rapido, all’unisono con il mio. Sembravano dettare il ritmo di una canzone non ancora scritta, ma sulle cui note io avrei potuto danzare fino alla fine dei secoli.
Dopo il primo contatto, decisi di andare oltre, volevo approfondire quel semplice bacio per renderlo qualcosa di nuovo per noi.
Le passai un braccio attorno alla vita, mentre l’altra mano era libera di spaziare tra la sua chioma scura.
Schiuse le labbra, permettendo alle nostre lingue finalmente di incontrarsi.
Mentre ero così persa nello sperimentare miliardi di emozioni nuove, una melodia nota cominciò a risuonare vicino a noi.
Oh, this is the night, it’s a beautiful night
And we call it Bella Notte
Look at the skies, they have stars in their eyes
On this lovely Bella Notte
Cantarono Puck, Finn e Sam sbucando dall’ombra.
Side by side with your loved one
You’ll find enchantment here
The night will weave its magic spell
When the one you love is near
Si unirono i Klaine.
Oh, this is the night
And the heavens are right
On this lovely Bella Notte
Conclusero, con l’aggiunta di Quinn e Rachel.
Mi staccai dalla latina per riprendere fiato e per sbottare: «Questa è una maledetta imboscata!»
La risata sincera di San risuonò nelle mie orecchie e rimbombò contro il mio petto.
«Lo so che avresti voluto assaggiarle tutta la faccia prima di essere interrotta, ma lo abbiamo fatto per il bene di Santana, la stavi divorando» disse il biondo, tirandomi una pacca sulla spalla.
«Oh, ma lei non voleva solo la faccia» insinuò Puck con la sua solita malizia «Ribadisco che io avevo scommesso nella “conoscenza ultra-approfondita” in meno di una settimana. A che giorno siamo?»
«Quinto» gli comunicò Pretty Pony.
«Dannazione, dovevamo aspettare che ci dessero dentro» si lamentò il Mohawk «Possiamo ancora fare in tempo se le riportiamo subito a casa e le lasciamo da sole.»
Non resistetti al desiderio di tirargli un pugno in testa.
«Ecco, adesso è diventata manesca» disse Quinn scuotendo la testa «Come gli animali che vengono disturbati durante il rituale di accoppiamento.»
«Ma volete piantarla!?» gridai infuriata.
«Meglio se le lasciamo riprendere e torniamo quando la gattina avrà ritirato gli artigli» suggerì Hudson.
«Ecco, fuori dai piedi…» commentai a denti stretti.
«Ehi» mi sussurrò San quando tornammo finalmente sole «Non credi che sarebbe ora di fare quattro chiacchiere?»
«Sul serio vuoi sprecare questo prezioso momento di solitudine a blaterare?» la stuzzicai.
«In effetti…»
Questa volta fu lei a prendere l’iniziativa, tornando a baciarmi, mordicchiandomi il labbro inferiore e portando lentamente la mano sinistra sulla mia natica destra.
«San…» mugolai mentre cominciava a lasciarmi delicati baci sul collo «Non volevi parlare?»
«Non adesso Britt…»
La allontanai piano, portandola a fissarmi negli occhi. «Direi che stiamo correndo come treni. Rallentiamo prima di deragliare in un incidente fatale, ok?»
«Va bene» sbuffò mettendo un adorabile broncio «Di cosa vuoi parlare?»
«Beh, non saprei… Dovremmo conoscerci un po’ meglio… Non so nemmeno qual è il tuo film Disney preferito!»
«“Mulan”» mi rispose «Apprezzo il suo coraggio e la sua tenacia, ma se parliamo di canzoni allora “Il re leone” domina.»
«Bene, ottima risposta… Animale preferito?»
«Pantera.» Era decisamente la belva che più le si addiceva: sensuale e letale. «Però non sono un’amante dei gatti.»
«Dong! Risposta sbagliata» la ripresi «Non puoi dire queste cose in mia presenza, soprattutto dato che sai di Lord Tubbington.»
«Mi spiace, cara, ma io faccio davvero fatica a sopportarli. In compenso amo i cani.»
«Meglio che niente…»
«Ora è il tuo turno» mi disse «Film Disney preferito?»
«Non puoi chiedermelo… Io li adoro tutti!»
«Dai, ce ne sarà uno che adori particolarmente» mi incalzò.
«Allora direi “Koda fratello orso” perché ogni volta che lo vedo mi sembra che l’amore per la mia sorellina si rafforzi.»
«Che pensiero carino! Prossima domanda: qualche hobby scandaloso?» chiese.
«A volte, quando ho bisogno di sgombrare la mente, faccio motocross, ma non è una cosa seria.»
«Motocross?» esclamò, anche se non colsi il consueto lampo di sorpresa nei suoi occhi, come se già sapesse.
«Sì» confermai «Mi aiuta a distendere i nervi. So che può suonare strano, ma è davvero rilassante e la mia moto è un vero gioiello quindi mi spiace lasciarla in garage a prendere polvere. Magari tornate a Lima potrei portarti a fare un giro…»
«Per quello ci sarà tempo…» bisbigliò, venendomi nuovamente vicino «Per me ora c’è un po’ troppa chiacchiera e poca azione… Vorrei tanto poter tornare alla nostra precedente occupazione.»
«Oh, di certo non sarò io a mettere freno ai tuoi desideri…»
Ancora non avevo che scalfito appena i segreti che celavano gli occhi scuri di quella forza della natura, ma allora, in quella Bella Notte, tutto era come doveva essere: io, Santana, l’oscurità, l’oceano e quello che, speravo, un giorno sarebbe potuto diventare amore.

NdA: bene, credo che questo capitolo si commenti da sè: pieno di piccole citazioni nerd e momenti di tenerezza. Lascio a voi, miei cari lettori, il resto, sbizzarritevi nelle recensioni. Ringraziamenti sentiti e dovuti a wislava, MartaDelo, HeYa Shipper e ogni altro lettore. Il seguito penso di pubblicarlo settimana prossima quindi non ci sarà da attendere troppo. A presto.

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Capitolo 8
*** So emotional ***


CAPITOLO VIII: So emotional
 
«Siete tutte e due vestite? Posso avvicinarmi senza rischiare di perdere la mia innocenza?» ci raggiunse una voce dopo una decina di minuti.
«Cosa vuoi Puckerman?» domandai, scocciata da quella ulteriore interruzione.
«Abbiamo un piccolo problema…» continuò il Mohawk passandosi le dita tra la cresta «Non avevamo considerato un fattore di discreta rilevanza…»
«Cosa vuol dire che la teleferica effettua l’ultima corsa alle dieci e adesso sono le dieci e venti!?» urlai allibita, dopo che Noah e gli altri ci ebbero informato «E come tornano giù i proprietari del lunapark?» proseguii indicando le poche persone rimaste oltre noi.
«C’è una strada asfaltata sull’altro versante» mi spiegò Sam «Se lo avessimo saputo saremmo venuti in macchina…»
«E quindi cosa facciamo?» intervenne Santana, che fino ad allora era rimasta in silenzio al mio fianco tenendomi sottobraccio.
«Speravamo ci aiutassi tu» le disse Kurt «Ci serve qualcuno che parli spagnolo così possiamo elemosinare un passaggio almeno fino alla spiaggia. Da lì possiamo riprendere l’autobus e poi è fatta.»
«Perfetto» rispose la latina, sciogliendo il nostro legame «Vedo cosa riesco a fare.»
La osservai discutere animatamente con un paio dei negozianti, che ormai stavano abbassando le serrande, pronti per tornare a casa. Dal modo in cui si guardavano e da come lei gesticolava infuriata non doveva aver avuto molto successo.
Dopo essere quasi venuta alle mani con una nonnina tutta ossa e rughe, la Lopez tornò verso di noi con aria sconfitta. Venne però intercettata da un panzone con una folta barba bianca che avrei giurato fosse il cugino ispanico di Babbo Natale.
I due parlottarono in spagnolo e poi ripresero ad avanzare nella nostra direzione, visibilmente cordiali l’uno con l’altra.
«Il señor Martinez ha detto che ci può portare fino alla spiaggia col suo furgone, però sarà un viaggio scomodo.»
«Come lo hai convinto?» domandammo in coro.
«Ha detto che gli sembriamo dei simpatici bravi ragazzi, in più ha accennato ad un cugino che vive negli Stati Uniti o qualcosa del genere e doveva un favore all’America… Chissene importa, è la nostra unica possibilità, quindi poche storie e andiamo con lui perché io non discendo da un monte con i tacchi, che sia chiaro.»
Silenziosamente seguimmo l’uomo fino ad un furgoncino rosso su cui era stata grossolanamente dipinta la bandiera spagnola.
Il proprietario aprì la porta posteriore e ci fece segno di entrare. Se non ci fosse stato lo sguardo di Santana a rassicurarmi, sarei stata certa che quello si sarebbe trasformato in un sequestro di persona. La latina non si sedette con noi, ma prese posto accanto al panzone, chiacchierando con lui.
Dopo un quarto d’ora di tornanti e brusche svolte fummo rilasciati da quella che cominciavo a considerare una prigione. Le curve avevano dato la nausea a tutti e di nuovo temetti in un remake di “Tik Tok” da parte di Rachel.
«Forza, scendete, Julio da qui prende una strada diversa. Noi dobbiamo camminare» ci annunciò la surfista.
«Ma non possiamo prendere il bus?» osservò Quinn.
«Quello che abbiamo preso all’andata era la corriera in collaborazione con il servizio funicolare, serve a portare i turisti fino alla base della teleferica. Ovviamente è attivo con gli stessi orari, quindi siamo fuori tempo massimo» le rispose Santana.
«E chiamare un taxi?» propose Finn.
«Con quali soldi, tesoro?» gli fece notare la fidanzata «Avremo sì e no dieci euro tra tutti.»
«Maledette granite» imprecai a denti stretti, realizzando di aver svuotato il mio portafogli per imbottirmi di ghiaccio aromatizzato.
«Beh, vediamo il bicchiere mezzo pieno» intervenne Trouty con un sorriso ottimista «Chi di noi avrebbe mai pensato di farsi una bella passeggiata sul lungomare al chiaro di luna?»
In effetti l’atmosfera era molto suggestiva, nonostante le abbaglianti luci dei lampioni lungo la strada. Le corsie che passavano affianco alla spiaggia erano deserte e il richiamo delle onde era terribilmente invitante. Tuttavia sarebbe stata una bella scarpinata, visto che la baia si estendeva per la bellezza di due chilometri abbondanti. In un primo momento decidemmo di restare sul percorso pedonale che costeggiava il nastro d’asfalto, discostandosi a poco a poco dal mare, ma di comune accordo, superato il Miramar Palace che divideva in due la lingua di sabbia, preferimmo percorrere il bagnasciuga.
«Sei contenta di poterti liberare di quegli affari?» domandai a Santana, vedendola togliersi i tacchi per camminare sulla sabbia.
«Non sai quanto… Non so cosa mi abbia preso per decidere di uscire conciata così» mi rispose con un sorriso beffardo.
«Stavi per caso cercando di attirare l’attenzione di qualcuno?» commentai accompagnando le parole con un occhiolino.
«Sì, peccato che Testa-a-scoiattolo fosse troppo preso dalla Principessa Disney per notarmi» sbuffò facendomi la linguaccia.
«Ah, è così che la vuoi mettere? Vuoi farmi ingelosire?»
«Chi? Io?» replicò assumendo la più innocente delle espressioni «Per chi mi hai presa? Non mi abbasserei mai ad utilizzare simili mezzucci.»
«Beh » dissi afferrandole la mano per fermarla «Questo è per mettere le cose in chiaro.»
Le rubai un rapido bacio.
«Ma basta! State diventando tutti melensi!» si lamentò Sam alle nostre spalle.
Io guardai avanti, vedendo sia i Finchel, sia i Klaine che si tenevano per mano da bravi fidanzati, poi mi voltai ad osservare Puck e Q. presi l’uno dall’altra.
«Mi spiace che tu sia rimasto solo. Se San è d’accordo puoi unirti a noi, non ho mai provato una cosa a tre» lo stuzzicai.
Mi arrivò un colpo dietro la nuca, chiaro segno che la latina non aveva gradito la mia insinuazione. «Ora chi è che fa la stupida per ingelosire l’altra?» mi apostrofò.
«Eddai, lo dicevo per il bene di Froggy Lips. Prima che tu me lo chieda, è un soprannome registrato a marchio Puck.»
«Non male… Ma Trouty Mouth è decisamente meglio» commentò orgogliosa.
«Senti…» sussurrai mentre avanzavamo fianco a fianco sulla sabbia bagnata «Credo che questo sia il momento per un passo importante.» Mi inginocchiai, cogliendola decisamente di sorpresa. Sbirciai rapidamente Quinn, atterrita dal mio gesto, memore delle intenzioni che le avevo rivelato appena qualche giorno prima. Era ancora nei miei piani contrattare con un gioielliere spagnolo per ottenere l’anello dei sogni di Santana, ma non mi misi su un ginocchio per fare “quella” proposta.
«Santana Lopez…» iniziai con tono serio.
Lei spalancò gli occhi sconvolta.
«Vorresti, qui davanti alle stelle e agli dei, giurare solennemente…» continuai, mentre lei appariva sempre più incerta «Di uscire con me uno di questi giorni?» conclusi.
La surfista ci mise un secondo per registrare l’informazione, poi mi dedicò uno dei suoi sorrisi luminosi. «Io, Santana Lopez giuro solennemente, davanti alle stelle e agli dei, di uscire con te, Brittany Pierce.»
«In realtà» puntualizzai «Il mio nome è Brittany Susan Pierce.»
«Oh, non… Non lo sapevo, scusa» balbettò.
«Questo dimostra che abbiamo ancora tanta strada da fare. Da adesso in avanti fingiamo che tra noi non ci sia stato ancora nulla. Voglio partire da zero, corteggiarti come si deve, passare le notti a rigirarmi nel letto chiedendomi se ricambierai mai i miei sentimenti…»
«Sai che tutto ciò è estremamente insensato, vero?» mi fece notare senza smettere di sorridere.
«Lo so, ma non vuoi che io mi dedichi anima e corpo a rendere ogni secondo della tua vita speciale?»
«Ehi, frena… Ho acconsentito ad un appuntamento, magari due, ma non a sposarti» mi redarguì.
«Non ancora…» mormorai poggiandole un leggero bacio sulla guancia.
«Ma non avevi appena detto…?»
«A partire da ora» dissi allontanandomi.
«Molto bene, allora mi aspetto che tu mi venga a prendere domani sera per portarmi in qualche posto speciale, che mi offra la cena e che poi mi riaccompagni a casa, da vera corteggiatrice.»
«Ai vostri ordini, mia signora» risposi umilmente «Mi è concesso avanzare una piccola richiesta per questa sera?»
«Non ti sembra un po’ presto per propormi di dormire insieme?»
Io spalancai la bocca e tacqui un istante. «Non… Non era quello che intendevo. Volevo solo tenerti per mano.»
Lei sghignazzò, prima di rispondermi: «Eh, no. Non hai ancora guadagnato il diritto di manifestare così apertamente il nostro coinvolgimento sentimentale» replicò «Al massimo posso concederti un mignolo.»
«Per me va più che bene.»
Intrecciammo le dita come la prima notte e a me parve di ricominciare da lì, con ancora tutto da scoprire e tutto da conquistare. Sarebbe stato bello rivivere il mio innamoramento e sarei stata disposta a farlo ancora e ancora.
Dopo la piacevole passeggiata tornammo alla nostra consueta routine notturna di visita a “La oca loca”, dato che la notte era ancora giovane.
Dopo diverse insistenze, mi decisi a salire sul palco per la prima volta, ma costrinsi Quinn ad accompagnarmi. Eseguii un cavallo di battaglia della mia omonima Britney Spears, anche se dovetti spiegare a tutti per quale ragione i nostri nomi fossero identici.
Non ero mai stata una cantante eccelsa, ma Britney mi aveva aiutato ad acquisire fiducia in me stessa e le parole di quel brano esprimevano esattamente quello che la latina stava facendo a me e al mio corpo.
With a taste of your lips, I’m on a ride
You’re toxic, I’m slippin’ under
With a taste of a poison paradise
I’m addicted to you,
Don’t you know that you’re toxic?
Santana non mi staccò gli occhi di dosso per tutta la durata della canzone e Noah fece lo stesso con la Fabray. Pendevano dalle nostre labbra.
Rachel cercò di convincerci a restare per la quotidiana sfida, ma preferimmo non partecipare, così, sulle note di una canzone rock “made in Spain”, ci limitammo a chiacchierare al tavolo con un unico drink diviso tra tutti, perché era l’unica cosa che potevamo permetterci in quel momento.
«Un sorso piccolo» ci ammonì Kurt, passando il bicchiere a Finn che gli sedeva accanto «E auguratevi di non contrarre qualche strana malattia.»
Sebbene fosse una possibilità concreta, a nessuno di noi importò molto, solo la Berry fu restia in un primo momento, ma poi, per “non fare la guastafeste come Schuester” bevve anche lei dal “Santo Graal”.
«Con questo gesto sigliamo ufficialmente un’amicizia» disse Puck levando in alto la coppa vuota «Ci ritroveremo ogni anno, tutti insieme, non importa dove, e berremo alcool dallo stesso bicchiere.»
«Non è una cattiva idea» lo appoggiai.
«E allo stesso tempo non è fattibile» ci riportò alla realtà Q. «Ci sono troppe variabili e poi non ci serve una stupida ricorrenza per restare in contatto. In fondo veniamo dalla stessa città, prima o poi capiterà di rincontrarsi.»
In fondo la mia amica aveva ragione, eppure a me il pensiero di tenere in vita la Bella Notte piaceva davvero. Mi appuntai mentalmente di onorarla, per quanto possibile, nel corso degli anni, sperando di avere quegli stessi otto amici a celebrarla con me.
«Direi di andare adesso» ci sorprese Noah.
«Da quando in qua tu rinunci a fare le ore piccole?» gli domandò Hudson.
«Da quando ho deciso che domani alle otto saremo a Pamplona a correre a fianco dei tori» rispose in un soffio.
Spalancammo tutti la bocca.
«Mi sono informato durante i giorni scorsi: basta aver compiuto diciotto anni e non essere sotto l’effetto si strane sostanze. Visto che stasera non abbiamo praticamente bevuto, domani è il giorno ideale. Ma la gara inizia alle otto in punto, dobbiamo tenere conto di doverci arrivare, di dover trovare posto… Insomma, dobbiamo alzarci molto presto.»
«Ma io non voglio rischiare l’osso del collo per una delle tue azioni scellerate» intervenne Rach guardandolo storto.
«I codardi possono stare a guardare da dietro le barricate. Fatto sta che io correrò. Chi è con me?»
Sebbene non del tutto convinti, lo supportammo con grida di incitamento.
Fu così che ci ritirammo per concederci almeno quattro o cinque ore di sonno prima di dover affrontare l’ennesimo viaggio in auto.
Ad un’ora che reputai scandalosamente inappropriata, le cinque del mattino, fui praticamente scaraventata giù dal letto e costretta a vestirmi comoda per poter gareggiare nella corsa contro le bestie.
Non ero molto cosciente quando venni condotta alla fida Renault, affiancata da un’altra auto che reputai essere quella dei surfisti, dato il grande bagagliaio che permetteva di trasportare le tavole. Fui caricata di peso e qualcuno mi allacciò la cintura. Io sbadigliai quando udii il rombo di accensione e poi chiusi gli occhi.
Li riaprii su un paesaggio nuovo. Un parcheggio sempre sotterraneo, ma diverso dal solito Kursaal.
«Siamo arrivati» annunciò Finn «Ma ci sarà da camminare un po’ fino al luogo di partenza della corsa.»
In quel momento non credevo neppure di riuscire a stare in piedi, come si aspettavano che mi lanciassi in quella impresa folle? Eppure, passo dopo passo, il sonno si allontanò, lasciando posto ad una sorda eccitazione che prese a farmi fremere. In fondo era l’occasione di una vita e, come avevo imparato da Blaine, dovevo avere coraggio di fare simili azioni.
Notai come Noah e l’amico fossero in tuta e scarpe da ginnastica, segno che non scherzavano affatto sul fatto di partecipare alla corsa, mentre le due ragazze, con jeans stretti e ballerine, non ci pensavano neppure.
Con mia somma sorpresa scoprii, quando ci riunimmo con i giovani del Morgenstern, che tutti e quattro avrebbero preso parte all’evento. A colpirmi più di tutti fu Kurt, che sembrava aver acquisito un’audacia e una confidenza che non gli avevo mai visto e mai gli avrei attribuito.
Il comitato per l’idoneità dei concorrenti per l’encierro, la corsa con i tori appunto, ci fece un rapido controllo quando giungemmo ai piedi della salita di Santo Domingo, dove si trovavano i recinti.
Ci fu spiegato che, in qualità di principianti, ci avrebbero fatto stare abbastanza di lato rispetto alla carica, ma avremmo comunque potuto godere dell’ebbrezza di vedere al nostro fianco i grossi e pericolosi animali. Decidemmo che, a corsa conclusa, non ci saremmo accodati al fiume di gente che, nella Plaza de Toros avrebbe assistito alla corrida. Noi avremmo sfruttato quel momento di raduno collettivo per girare il resto della città in pace.
Quinn e Rachel, additate come “femminucce codarde” da noi altri, si portarono verso la fine del percorso, armate di macchina fotografica per immortalare il nostro momento di gloria.
Il tragitto era di circa ottocento metri, lungo i quali avremmo dovuto correre davanti a sei tori e otto buoi lanciati in un disperato galoppo. Nel momento in cui saremmo stati avvicinati dai bovini, avremmo dovuto portarci sui lati, in modo da lasciarli proseguire senza rischiare di farci del male.
Dopo la consueta invocazione a San Femìn, dedicatario dell’intera settimana di festa, le gabbie vennero aperte e l’encierro ebbe inizio.
Non ricordavo di aver mai corso così rapidamente. Non percepivo neppure la stanchezza, semplicemente l’adrenalina e il resto della folla tra cui ero pigiata, mi spingevano ad avanzare alla massima velocità. Non molto distanti da me c’erano i miei amici, anche loro esaltati e lanciati in un galoppo persino più sfrenato di quello dei tori.
Eravamo più o meno a metà del gruppo di coraggiosi podisti, quindi gli animali non ci misero molto ad arrivarci col fiato sul collo.
Mi lanciai il più possibile a destra, per lasciarli scorrere.
Eravamo in prossimità del punto definito il più pericoloso, quello della curva di Mercaderes con Estafeta, dove il terreno particolarmente scivoloso rischiava di causare la caduta di parte della mandria. Fortunatamente non ci furono incidenti, tori e buoi proseguirono spediti verso l’arena che avrebbe decretato la loro cruenta fine.
Arrivai alla fine del percorso con il fiatone.
«Pierce, un sorriso per la stampa!» esclamarono le mie compari, puntandomi l’obbiettivo in faccia.
La fotografia impresse una delle mie smorfie peggiori, tra l’agonizzante per la mancanza di fiato e l’estasiata per l’aver concluso un’impresa tanto epica.
Blaine aveva la mia stessa faccia, poco abituato a simili sforzi, ma gli altri, tutti atleti da una vita, arrivarono tranquilli, come avessero fatto una semplice passeggiata attraverso il parco cittadino.
«Ora posso spuntare il “prendere parte ad una pazza festa europea” dalla mia lista delle cose da fare prima dei trent’anni» affermò Puck soddisfatto.
Dopo quell’impresa la cosa migliore che potevamo fare era imbottirci di churros e cioccolata calda per recuperare le energie perdute.
«Dovrebbero darci una medaglia» meditò Sam mentre stavamo gustando la colazione «Insomma, quanto diciottenni di Lima possono dire di aver fatto quello che abbiamo fatto noi?»
Iniziammo a sperticarci in lodi esagerate sul nostro coraggio e la nostra bravura, insignendoci dei più svariati titoli. Le due “scansafatiche” cercarono più volte di sgonfiare il nostro ego e mitigare il nostro entusiasmo, ma con scarsi risultati.
Fui contenta di avere il resto del giorno di tranquillità per girare il centro, permettendomi di chiacchierare con Santana, proprio come avevamo programmato di fare per conoscerci meglio. Mi parlò di suo padre, messicano di nascita, ma trasferitosi a Puerto Rico dove aveva iniziato il suo tirocinio di medicina e dove aveva conosciuto la futura signora Lopez. Mi raccontò ancora della sua infanzia e dell’ottimo rapporto che aveva anche con i parenti messicani, in particolare con la nonna paterna, andata ad abitare con loro a Lima. Quando le chiesi di più su quella donna vidi un sorriso amaro prendere posto sul suo volto. Dopo aver fatto un profondo respiro mi riportò la dinamica del proprio coming out e della brusca reazione che la nonna aveva avuto.
«Insomma, per me era un punto di riferimento, una guida e un modello. Vedermi rifiutata da lei mi ha spezzato il cuore. È partita per il Messico senza dir niente e non l’ho rivista da allora. Abbiamo sue notizie solo tramite i miei zii.»
Pensai a quanto fossi stata fortunata ad avere una famiglia così aperta e tollerante. Un mio cugino si era dichiarato gay alla cena del Ringraziamento due anni prima che lo facessi io e la reazione di tutti era stata inaspettatamente positiva. La più sorprendente era stata, ovviamente, quella di mia madre che se ne era uscita con un: “Ma è quella specie di carciofo il ragazzo che ti piace? Puoi trovare certamente di meglio!” Così, quando era venuto il mio turno, non avevo neppure avuto il piacere dell’effetto sorpresa. Qualcuno aveva fatto un paio di battute sul fatto che il mio amore per il ballo probabilmente derivava dallo stare tanto tempo a contatto con belle fanciulle e insinuazioni sul mio eccessivo apprezzamento nei confronti di Britney, che tutti additarono come mia “celebrity crush”.
La latina ed io passammo poi ad argomenti più leggeri, come musica e libri, scoprendo di avere molto più in comune di quanto non immaginassi. La cosa non potè che rendermi sempre più felice.
Verso le cinque tornammo alle nostre vetture, diretti ancora una volta a San Sebastian.
Una volta a casa, mi concessi una lunga e rigenerante doccia per eliminare qualsiasi residuo della frenetica corsa, lasciandomi fresca come una rosa, pronta per partire con il mio piano di conquista.
Quinn e Rachel mi costrinsero ad affidarmi a loro per la scelta dell’abito e per la questione “trucco e parrucco”. Io non volevo assolutamente nulla di esagerato, ma era ovvio che non mi avrebbero dato retta.
Bocciai subito l’idea di vestiti o gonne, mi facevano sentire a disagio.
«Ma tira fuori un po’ di femminilità!» mi sgridarono.
«Devo ricordarvi che so essere femminile anche vestita da camionista?» mi difesi.
«Quella roba poteva andare bene per una botta e via» mi rispose la Berry. Quelle parole non erano certamente fatte per ferirmi, ma avrei avuto da ridire, se l’ebrea non avesse proseguito con il suo monologo: «Ti ci vuole qualcosa di sexy per davvero. Non solo provocante, ma anche elegante. Direi di puntare sull’azzurro che sta così bene con i tuoi occhi.»
«Condivido» concordò Q. frugando nella mia valigia alla ricerca di qualcosa di adatto «Cosa ne dici di questo?» Ovviamente la domanda non era rivolta a me, ma alla sua compagna modaiola.
«Troppo sportivo» disse, bocciando una delle mie t-shirt preferite.
«Questa!» esclamò la bionda, lanciando per aria un’altra maglietta.
«Non sarà azzurra, ma almeno è decente» approvò l’altra.
Era una maglia a righe bianche e nere, con un enorme sagoma di cuore sul petto, l’avevo indossata all’ultimo San Valentino, quando avevo cercato di invitare ad uscire una cheerleader della cricca di Quinn, ma senza ottenere un buon risultato. Quella poteva essere la giusta occasione per redimerla.
Le due ci abbinarono un paio di pantaloncini neri con bretelle e stivali bassi, anch’essi scuri.
«Capelli?» si domandarono a vicenda. Mi inquietai quando si risposero in contemporanea: «Sciolti.»
Mi pettinarono come fossi una Barbie, poi mi misero un velo di trucco, che avrei boicottato molto volentieri. Per concludere Rach mi prestò un suo braccialetto, color del cielo, che “completava il tutto, mettendo in risalto il mio sguardo”.
Fui soddisfatta del loro lavoro, ma morivo dalla voglia di vedere come si sarebbe presentata la mia bella, il cui look, ero certa, sarebbe stato opera di Kurt, il vero stilista della compagnia.
Mi presentai alla porta accanto con il più smagliante dei sorrisi e bussai. Alle mie spalle, contenti e ridacchianti, c’erano i miei quattro amici, sempre pronti a darmi supporto.
«Sventola in avvicinamento!» annunciò Sam schiudendo l’uscio.
Intravidi i Klaine mano nella mano che mi ammiccavano da dietro le spalle del biondo.
Poi lei fece la sua comparsa ed allora ricordai a me stessa che non avrebbe mai finito di mozzarmi il fiato.
Le sue bellissime gambe sfoggiavano un paio di alti stivali corvini, ovviamente con tacco. Il corpo era fasciato da uno splendido vestito nero, coperto da una giacca bianca molto corta. Aveva messo un paio di orecchini di semplici brillanti che facevano compagnia ad una collana della stessa fattura.
Boccheggiai, incapace di registrare tutta la bellezza che emanava camminando sicura verso di me. Mi sentivo inadeguata, come se avessi deciso di presenziare alla notte degli Oscar in pantofole e accappatoio. Tutte le mie scelte mi sembrarono stupide e inadatte, ma ormai era tardi per tornare indietro.
«Sei stupenda» mi disse, togliendomi le parole di bocca.
«Tu sei perfetta…»
«Queste due cominciano a diventare davvero troppo sdolcinate» sbuffò Noah scuotendo la testa.
«Andiamocene prima di scatenare l’incontrollata gelosia di questi invidiosi» continuò la latina, prendendomi sottobraccio «Fammi strada, cavaliere.»
La accompagnai lungo le vie della città, che probabilmente lei conosceva meglio di me, fino a ritrovare il “Bar Alex”. Non era proprio economica come scelta, ma la qualità del cibo ripagava di ogni sovrapprezzo. Non che dovessi fare particolare attenzione al portafogli, anzi. La cena sarebbe stata offerta da Puck, in memoria del bacio che avevo scambiato con Quinn sotto i suoi occhi.
«Che gradita sorpresa!» esclamò il cameriere, riconoscendomi.
«Avevo detto che sarei tornata» risposi con un sorriso sincero.
«Chef!» gridò l’uomo per farsi sentire fino in cucina «La señorita rubia està devuelta!»
«Pefecto» rispose l’altro dai fornelli «Preparo il menu completo.»
«Ma sei già stata qui?» mi chiese San, mentre prendevamo posto al tavolo.
«Sì e ho gradito molto la loro cucina. Avevo promesso di tornare e quale migliore occasione del nostro primo appuntamento?»
«Allora, questa è una persona especial?» chiese il cameriere portandoci il menu e scoccando un’occhiata alla mia accompagnatrice.
Annuii con un sorriso a trentadue denti.
«È davvero una scelta eccellente, ma lasciate che vi avvisi» aggiunse rivolto alla mora «Non proponetevi mai di offrirle la cena, lo dico per il vostro bene.»
Sogghignarono entrambi, mente io desideravo di sprofondare sotto il tavolo.
«Dai, Britt» mi rassicurò «Non c’è niente di male ad essere golosi. Sono la prima a lasciarmi tentare dal buon cibo.»
Mangiammo molto e bene, come avevo previsto.
«“Non c’è due senza tre?”» mi salutarono i due gestori quando ci apprestammo ad andare via.
«Auguratevi di no, perché la terza volta offre la casa, giusto?» li sorpresi.
«Seguro!» ridacchiarono mentre ci allontanavamo.
«Ora che si fa?» mi domandò Santana.
«Che te ne pare di una romantica passeggiata sul lungomare?»
«Ma l’abbiamo già fatta ieri» obiettò.
«Ieri non conta, ricordi? Dai, possiamo fare il tratto lastricato, così non sei costretta a toglierti le scarpe.»
«Quanta premura» commentò facendomi la linguaccia.
Raggiungemmo la spiaggia e ci fermammo ad osservare l’oceano. Io sarei potuta rimanere incantata per ore. Fissavo l’isola di Santa Clara che si ergeva proprio davanti ai nostri occhi, non sapevo se si potesse visitare, ma mi sarebbe piaciuto poterla vedere da vicino.
«Cosa prevede ora il tuo piano di conquista, dopo avermi imbottita come un tacchino per il Ringraziamento?»
«Beh, quale miglior modo per concludere l’uscita se non con un salto al nostro locale preferito?»
«Fantastico, così avrò l’occasione di cantare ufficialmente per te» gongolò.
Al “La oca loca” trovammo, come mi aspettavo, gli altri sette, curiosi di sapere come fosse andata la nostra cena.
«A meraviglia» dissi «Ma conto che la notte possa ancora migliorare.»
Puck e Sam fischiarono maliziosi.
«Intendevo dire» precisai «Che la dolce signorina Lopez si esibirà per me in un numero speciale.»
Altri ridolini e fischi partirono dal gruppo.
«Un numero musicale» sbuffai, sapendo che non avrei comunque risolto nulla.
«Oh!» esclamò Rachel, esaltata all’idea di potersi esibire ancora una volta «Posso duettare con te? Abbiamo cantato insieme solo una volta per quella insulsa sfida con “Gloria”, voglio avere occasione di legare con qualcosa di meno… Competitivo.»
«A me sta bene» accettò la latina «Ma il brano lo scelgo io.»
Salirono sul palco ed io attesi in silenzio, curiosa di scoprire su cosa avrebbe puntato Santana per fare ancora una volta breccia nel mio cuore.
I don’t know why I like it
I just do
I’ve been hearing your heartbeat inside of me
I keep your photograph beside my bed
Linvin’ in a world of fantasies
I can’t get you out of my head
Cominciò San e io non potei resistere all’idea di immaginarla a versare lacrime di amore non corrisposto su una mia fotografia mentre, tormentata dai sentimenti, non riusciva a prendere sonno.
Poi prese la parola la mia amica ebrea.
Si riunirono per il ritornello.
Oh, I remember the way that we touch
I wish I didn’t like it so much
Oh, I get so emotional baby
Every time I think of you
I get so emotional baby
Ain’t shocking what love can do?
Mi beai sia delle parole, sia della sua bellissima voce. Non vedevo l’ora che scendesse dal palco per poterla almeno abbracciare, per farle sapere che lei aveva lo stesso effetto su di me.
«Forza, torniamo a casa gente, domani si viaggia di nuovo. Dobbiamo andare ad una delle spiagge più suggestive della regione, consigliata da ben tre diversi enti del turismo» ci disse Blaine.
«Non riuscirò a mai a smettere di ripeterti quanto tu sia meravigliosa» sussurrai all’orecchio della surfista, ormai prossime al Kursaal Hotel.
«Oh, ma ancora non hai visto niente…» rispose maliziosa, scoccandomi un’occhiata che mi fece venire i brividi lungo tutta la schiena «Forse…» continuò, facendosi sempre più vicina «Ne vorresti un assaggio…»
Tentai di alzare tutte le mie difese fisiche e mentali, ma come potevo resistere a quello sguardo magnetico e a quella bocca invitante?
«Peccato che non sia nel mio stile svelare troppo al primo appuntamento» concluse, allontanandosi.
Io fui investita da un misto di sollievo e insoddisfazione. Mi avrebbe fatto diventare matta con i suoi giochetti.
«Buonanotte Britt» si congedò come le altre volte, senza però concedermi neppure il bacio sulla guancia, lasciandomi imbambolata sul pianerottolo del terzo piano.
«Domani ritenterai» mi consolò Puck, vedendomi abbattuta.
Io mi scossi e ghignai, fissando l’ora sul cellulare: «Io ho sempre domani, ma tu intanto paga. È mezzanotte, il che vuol dire che hai perso la scommessa sul portarmela a letto in sette giorni. Il tempo è scaduto.»
«Ma… Ma…» balbettò «Non era valida come scommessa!»
«E questo quando l’hai deciso? Se ci sono le parole: “scommetto che” allora è valida. Su, fuori la grana.»
Il Mohawk sbuffò e mi allungò un paio di banconote.
«Così poco? Io ti avrei dato almeno il doppio se avessi vinto tu!»
«Sei davvero incontentabile Pierce! Ma come hai fatto a beccarti una tipa simile con questo caratteraccio?»
Io gli tirai un pugno sul braccio, dichiarando chiusa la questione.

NdA: credo sia difficile eguagliare le emozioni del capitolo scorso, ma ho fatto del mio meglio. Come sempre, al pubblico l'ardua sentenza, quindi siete pregati di farmi sapere cosa ne pensate. Piccola nota riguardo l'encierro: sono personalmente stata a Pamplona durante il mio viaggio in Spagna e ho fatto il percorso della gara, ovviamente senza i tori, quindi la parte della gara in sè è liberamente ispirata ai video e alle foto che ho visto. Momento ringraziamenti: grazie ai recensori: wislava, strapelot, MartaDelo, HeYa Shipper, Fyo e Jenns, grazie, ovviamente, a tutti gli altri lettori e a coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate. Non vi farò attendere troppo per il prossimo capitolo, prometto. Un saluto.

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Capitolo 9
*** I'm a slave 4 U ***


CAPITOLO IX: I’m a slave 4 U
 
Durante i due giorni successivi io proseguii con i miei spassosi tentativi di corteggiamento, mentre ci godevamo le vacanze, vagabondando da una spiaggia all’altra. I tre surfisti avrebbero avuto a breve un’altra delle loro prove con valutazione che avrebbe decretato gli atleti degni di accedere alla fase finale.
Al nostro terzo appuntamento, durante il quale riportai San sul Monte Igueldo al lunapark, tenendo sempre sott’occhio l’orologio, rivivemmo la magia del primo bacio.
A quel punto lei mi fece una proposta decisamente inaspettata. Come io mi ero inginocchiata per chiederle di poter ricominciare da capo, così lei si inginocchiò per chiedermi ufficialmente di essere la sua ragazza. Annuii con le lacrime agli occhi, mentre lei tirava fuori dalla tasca dei jeans una scatolina.
A quella vista il cervello mi si svuotò.
Santana mi porse la custodia e io la aprii con un gesto plateale. Dentro c’era un ciondolo. Capii che si trattava di quello vinto al tiro a segno durante la Bella Notte, quello che aveva nascosto agli occhi di tutti. Tirai fuori la collana con delicatezza e ne studiai il pendente: era un anatroccolo azzurro.
Rimasi a bocca aperta. Potevo capire che avesse scelto il colore per via di quello dei miei occhi, ma come aveva fatto a capire che mi piacessero le papere?
Dopo l’ennesimo bacio appassionato, le espressi la mia perplessità.
«Ho tirato ad indovinare» rispose evasiva e io decisi di crederle, troppo contenta e gioiosa per dare peso ad altro.
Quella sera rientrai a casa tenendole la mano con fierezza e sentendomi in diritto di baciarla davanti a tutti gli altri sull’ormai sacro pianerottolo, che aveva visto l’evolversi di tutto il nostro rapporto.
«Sapevo che sarebbe successo qualcosa qui» ci sorprese una voce maschile. Ci girammo in contemporanea per osservare il volto sorridente di Miguel. «Finisce sempre così con voi turisti: due gruppi, si incontrano, fraternizzano e si mischiano… Certo, voi non eravate certo la coppia su cui avrei scommesso… Puntavo su Labios de pescado e l’altra bionda.»
Sam e Quinn si guardarono sconcertati mentre noi scoppiavamo a ridere.
«Scherzi a parte» continuò lo spagnolo «Dovrei fare un rapido giro di ispezione, solo per assicurarmi che non abbiate allagato gli alloggi o dato fuoco al mobilio.»
Lo lasciammo entrare e lui si limitò a gettare svogliatamente lo sguardo nelle diverse camere, per confermare che fosse tutto ancora intatto.
«Avete usato il libro di ricette che vi ho lasciato?» ci domandò, una volta terminato il giro di controllo.
«Purtroppo non siamo stati in grado di decifrarlo…» rispose Rachel.
«E non vi è venuto in mente di acquistare un dizionario nel frattempo?»
Sono certa che in quel momento tutti ci demmo mentalmente degli stupidi. Eravamo ormai così abituati alla presenza di Santana e alla fortuna di aver incontrato persone che quantomeno comprendevano l’inglese, che ce ne eravamo completamente scordati.
«Non fa niente, chicos, vado a prendervene uno tascabile che tengo nella mia scrivania alla reception. In cambio però mi invitate a cena domani» ci propose.
Il giorno seguente lo spendemmo su una bella spiaggia ad una cinquantina di chilometri da Donostia. Ero contenta che il tempo avesse retto, rendendoci la vita più semplice e permettendomi di passare da una carnagione bianco pallido ad una abbronzatura decente. Purtroppo le previsioni meteo avvisavano che nei giorni seguenti le nuvole sarebbero tornate a farsi vedere.
«Per fortuna domani prevedono coperto e ventoso, il tempo ideale per una gara» commentò Kurt, avvicinandosi a Blaine e me, come al solito presi da una conversazione di stampo nerd.
«È domani?» mi stupii «Ero convinta fosse tra due giorni.»
«San ti ha fuso qualche rotella a furia di baci bollenti?» ironizzò il moro.
«Vi prego ragazzi, voi due siete gli unici a non aver ancora tirato fuori un repertorio di battute sul nostro rapporto. Lasciateci in pace, per il quieto vivere comune» li supplicai.
«Certo, Britt, capiamo bene cosa state passando. Credi che per noi sia stato diverso? Quando abbiamo iniziato a frequentarci e ad uscire insieme era un continuo di frecciatine e insinuazioni varie» mi rivelò Hummel «Per fortuna non avevamo qualcuno di pedante come Puck.»
Noah era quello che più ci prendeva gusto, ma veniva puntualmente ripreso dalla Fabray e allora si zittiva, diventando ubbidiente come un cagnolino. Quello era il momento delle mie rivalse, ma allora interveniva Santana, riducendomi nella stessa situazione del Mohawk.
Alle sei di quella sera, Miguel venne a bussare alla nostra porta. Per rendere più agevole il pasto, avevamo trasportato il tavolo dall’appartamento dei surfisti, attaccandolo al nostro e ricavandone dieci comodi posti a tavola.
«Ho una sorpresa» ci annunciò l’ispanico «Ma vorrei una mano per metterla in atto. Chi di voi è pratico di paella
Mi girai istintivamente verso la mia ragazza, pensando che, in qualità di spagnola onoraria, sapesse almeno da che parte cominciare con la preparazione del piatto. Tutti la pensarono come me e lei si trovò con nove paia di occhi puntati addosso.
«Che avete da guardare?» si irritò «Solo perché parlo spagnolo non vuol dire che sappia come si cucinano i piatti tipici di qui! Questo vostro atteggiamento è razzista, no me gusta.»
«Su, calmati» la placai passandole un braccio attorno alla vita «Nessuno voleva offenderti. Ci è sembrato naturale pensare a te, ma lo sappiamo tutti che sei portoricana.»
«Vuoi preparare un asopao allora?» intervenne Miguel.
Il volto della latina parve illuminarsi. «Sai che cos’è?»
«Certo, lo stufato di riso con pesce o carne. Ne ho mangiati quintali quando sono stato a Puerto Rico.»
A quel punto i due iniziarono a parlare fitto fitto in spagnolo, tagliandoci completamente fuori. L’uomo insegnò a Santana come preparare la paella e lei, in cambio, gli lasciò scarabocchiate un paio di proprie ricette.
Fu una cena piacevole, il cibo era buonissimo e lo spagnolo, il señor Muñoz come ci rivelò ad un certo punto, era di ottima compagnia. Aveva girato un po’ tutto il mondo, facendo l’autostoppista. Quando era venuto il momento di mettere la testa a posto, era tornato nella sua città natale e aveva rilevato l’attività del Kursaal Hotel.
Lo invitammo alla quotidiana capatina al “La oca loca”, ma declinò dicendoci che doveva tornare a casa dalla fidanzata. Ci congedammo, ringraziandolo per la gentilezza e per la deliziosa paella. Quando se ne fu andato, ci spostammo al locale karaoke, dove tutti insieme decidemmo di prendere parte alla sfida.
I nostri avversari, sei tedeschi dall’aria gioviale, volevano esibirsi in un canto tirolese, noi, ovviamente, propendevamo per un pezzo rock. Alla fine il gestore stabilì il brano e a noi non restò che cantare “We are young”, ringraziando che non avesse tra le basi disponibili qualche jodel.
Finito il numero fu chiaro che il pubblico ci preferisse, ma, da persone sportive, ci accordammo per un pareggio.
Conclusa anche quella impresa, venne l’ora di andare a riposare. Il mattino seguente ci saremmo presentati tutti in spiaggia, puntuali alle nove, per assistere alla gara.
Trascorsi la notte rigirandomi nel letto. Non riuscivo a staccare il cervello, portandomi a fare continue associazioni, togliendomi ogni possibilità di dormire.
Mancavano cinque giorni al nostro rientro in patria e ancora io e San non avevamo accennato nulla su quello che sarebbe accaduto una volta tornate a Lima. Io avrei avuto ancora un mese di pace, prima di dovermi trasferire a New York. Le avevo chiesto cosa avesse intenzione di fare, se cercare un lavoro o scegliere un qualche college, ma non avevo ottenuto risposta precisa, mi aveva liquidato con un: “Ora sono troppo presa dal surf per pensarci”.
Iniziai a pensare che, per essere la sua ragazza, mi teneva comunque all’oscuro di troppe cose. Non avevamo programmi a lungo termine, era come se tutto fosse destinato a finire una volta che io fossi salita sul maledetto aereo del ritorno.
«Cos’hai da tormentarti così?» mi domandò un’assonnata Quinn, sbadigliando nell’oscurità.
«Sto pensando a Santana…»
«Sì, questo era ovvio. Ma di cosa si tratta? Per caso non approva che tu giaci ogni notte con due giovani sexy come le sottoscritte?» disse facendo segno verso Rachel.
Non me la sentii di rispondere con dell’umorismo.
«Che cosa ti preoccupa tanto?» insistette vedendomi pensierosa.
«Niente di importante… è solo che… Insomma, non parliamo mai di quello che succederà in seguito. Adesso dovremmo essere una coppia, fare progetti e cose del genere» sussurrai «Invece gira tutto sul “qui e ora”.»
«Senti, Britt. Non voglio sembrare ripetitiva, ma io qualche giorno fa ti avevo dato un consiglio, che tu hai deliberatamente deciso di ignorare. Forse dovresti cominciare a considerare tutto questo come una bella avventura estiva, ma niente di più. Quando andrai alla Julliard farai un mucchio di conoscenze, ci sarà un mondo tutto nuovo ad attenderti e San resterà nei tuoi ricordi come la fascinosa latina dalle labbra carnose con cui hai avuto un flirt.»
«Ma Q.» mi opposi «Io non sono fatta così! Io credo nel romanticismo, nell’amore vero e duraturo. Non è nel mio stile conquistare una e poi non vederla mai più.»
«Oh, tesoro, lo so che non è il tuo stile… Ma ti sei mai soffermata a pensare che magari è lei ad essere diversa da quello che credi?»
Non seppi più cosa dire. Ogni singola parte di me rifiutava quell’idea come se si trattasse di qualcosa di assurdo, come l’inesistenza degli unicorni o di Hogwarts. Eppure, più mi ci soffermavo, più le parole della Fabray si conficcavano nella mia mente come pugnali roventi.
«Vorrei che tu ci riflettessi bene» riprese la bionda «Ma non ora. Pensa a dormire, dai…»
«Quinn?» mugolai dopo che lei fu tornata a dormire.
«Cosa c’è ancora?»
«Mi abbracceresti?»
La vidi sorridere nel buio e tendere le braccia verso di me. Mi strinse forte e poi mi sussurrò: «Non dirlo alla tua ragazza, però. Ancora non so quanto sia possessiva.»
Ci sdraiammo ancora legate e lasciai che il suo respiro mi cullasse nel mondo dei sogni.
L’indomani mattina trovammo Blaine appostato fuori dalla nostra porta. Ci spiegò che gli altri tre erano andati a fare riscaldamento, lasciandolo solo.
Gli offrimmo una parca colazione a base di latte e biscotti del Kursaal Market, poi ci avviammo rapidi verso il mare, per non far tardi alla competizione.
«Buongiorno» mi salutò solare San, schioccandomi un bacio sulle labbra non appena fummo abbastanza vicine.
«Guardate un po’ chi abbiamo scoperto essere parte della concorrenza» ci disse Kurt lanciando occhiate oblique verso un altro surfista.
Riconobbi i capelli scuri alla supersayan e mi venne in mente il cantante che aveva fronteggiato Rachel e Santana al locale la prima sera del nostro arrivo a San Sebastian.
«Sì… Quello Starkid» mugugnò la latina.
«Starchild» la corresse Sam.
«Quello che è… Fatto sta che non ricordo di averlo visto alle prime selezioni. Lo terrò d’occhio.»
Non fece in tempo a finire la frase che il ragazzo in questione ci notò e si fece avanti.
«Salve ragazzi» ci apostrofò «Vi ricordate di me? Elliott Gilbert» continuò allungando una mano verso l’ispanica «Santana Lopez, giusto?»
«Sì» rispose lei a denti stretti «E loro sono Sam Evans e Kurt Hummel. Sono nomi che ti ricorderai visto che comporranno il podio.» Sapevo che non avrebbe rinunciato ad un pizzico di arroganza.
«Lieto di fare la vostra conoscenza» rispose con un sorriso, chiaramente ignorando la provocazione «Siete venuti da lontano?»
«Ohio» replicò il biondo «Tu?»
«Maine, ma presto mi trasferirò a New York.»
Avrei voluto chiedergli qualcosa di più sulla Grande Mela e sui suoi piani, perché, dopotutto, aveva un’aria simpatica, ma una voce al megafono ordinò ai surfisti di radunarsi.
«Innanzitutto ringraziamo i presenti di essere qui oggi per questa seconda fase di selezione che garantirà l’accesso alle finali» annunciò un uomo sulla quarantina dal chiaro accento spagnolo «Io sono Carlos Hernandez, uno dei tre giudici, ex campione in diverse categorie di surf. Lasciate che vi ricordi chi sono i miei colleghi di quest’anno: Matthew Goldman, giornalista sportivo australiano, esperto nel campo della tavola» disse indicando il giovanotto alla sua destra «Mentre costei» proseguì rivolgendo l’attenzione alla donna a sinistra «È uno dei coach più famosi degli Stati Uniti, vincitrice di diversi campionati nazionali di cheerleading, scelta dal comitato per la sua rinomata obiettività e franchezza, direttamente dall’Ohio, ho l’onore di presentarvi Susan “Sue” Sylvester.»
Noi allievi del McKinley spalancammo la bocca esterrefatti. Dovetti sorreggere Quinn, sul punto di svenire non appena ebbe registrato la notizia.
Osservai meglio il famigerato terzo giudice e fui certa di non sbagliarmi. Quella donna mi era sembrata familiare, con il viso perennemente contratto in un’espressione di disapprovazione e gli occhi incattiviti da anni di soprusi ai danni degli studenti.
«Lei tormenta i miei peggiori incubi» confidò l’ex cheerleader «Era un mostro. Credo che abbia fatto finire in coma una ragazza a furia di piegamenti. Vi prego, nascondetemi.»
Cercammo di tranquillizzarla, ma io ero preoccupata all’idea di vedere il futuro di San nelle mani di quella Crudelia De Mon.
«Sarete divisi in cinque batterie da quattro atleti» continuò Carlos «Vi affronterete sulla stessa onda e noi vi giudicheremo con un punteggio da uno a dieci. Avrete tre occasioni per migliorare il più possibile le vostre valutazioni. I dieci che, alla fine della competizione, avranno totalizzato i punteggi migliori verranno ammessi all’ultima fase.»
Sam era nel primo gruppo, mentre gli altri due vennero sorteggiati nel quarto. Elliott era nel terzo.
Esultai vedendo Txampay e il suo proprietario svettare tra gli altri concorrenti.
Gli assegnarono due 8 e un 7, un punteggio discreto per essere il primo tentativo.
Nel secondo gruppo una ragazza dai capelli ramati riuscì a strappare tre 8 e un sorriso da Matthew, mentre i suoi compagni ottennero tutti valutazioni intorno ai 20 punti.
Venne il turno di Starchild, che sfoggiava una tavola porpora con tanto di brillantini. Quando arrivò l’onda si erse aggraziato, come un dio marino. Aveva un bel corpo scolpito che si indovinava sotto la muta. Non fui l’unica a rimanerne colpita perché anche i giurati apprezzarono la sua abilità, premiandolo con due 9 e un 8.
“Adesso gli faccio vedere io” articolò la latina sfruttando il labiale.
Si avventurò nell’acqua tenendo stretta Valerie, mentre Kurt avanzava con la fidata Warbler Pavarotti.
Presero un ottimo cavallone e lo affrontarono con maestria.
A Kurt assegnarono tre 8, mentre a Santana un 9, un 8 e un 7. La cosa la fece visibilmente infuriare, ma si trattenne dall’imprecare in spagnolo e dall’assalire la giuria.
Al secondo tentativo pochi concorrenti riuscirono a migliorare il proprio punteggio. Esultai nello scoprire che la mia ragazza era tra loro. Ottenne tre meritatissimi 9 che volle dedicarmi, lanciando un bacio nella mia direzione.
Il terzo giro fu il migliore. Sam e Kurt ottennero un 9 e due 8, San confermò il proprio triplo 9, la rossa fu sul punto di eguagliarla con due 9 e un 8, ma quello che sorprese tutti fu Starchild, con i suoi due 9 ed un 10. Il resto dei concorrenti non era molto distante come punteggio, con diversi casi di parità.
Alla fine, comunque, i dieci migliori, tra cui i miei amici, furono ammessi senza riserve alla gara che si sarebbe tenuta da lì ad una settimana. Fu solo allora che realizzai che non ci sarei potuta essere per vedere la mia Santana conquistare il titolo che tanto desiderava.
Sebbene lei non fosse entusiasta di essere stata superata all’ultimo da Elliott, prese parte alla festa improvvisata che organizzammo nel nostro alloggio.
Stappammo alcolici vari e ripetemmo l’esperienza del gioco della bottiglia, realizzando coppie ancora più assurde di quelle capitate la volta precedente, tra cui un’improponibile ed imbarazzatissima “Furt” che venne decretata come accoppiata della peggior sorte. Le cose si misero bene per Puck quando ottenne l’agognata occasione di baciare Quinn, la quale sembrò, forse disinibita dall’alcool, ben contenta di riassaporare le labbra dell’ebreo da cui era stata lontana per anni.
Io non mi resi conto di star esagerando con il bere. Finn mi aveva classificata come “stripper” nella sua divisione dei tipi di ubriachezza, ma non gli avevo mai dato peso, sebbene, dopo ogni grande bevuta, mi svegliassi effettivamente spesso svestita. Anche quella volta non feci eccezione. Per rendermi più “interessante” e per farsi quattro risate, Rachel e Quinn fecero partire dal mio cellulare una canzone di Britney e il mio corpo reagii cominciando a ballare.
I’m a slave for you
I cannot hold it, I cannot control it
I’m a slave for you
I won’t deny it, I’m not trying to hide it
Cantavo e mi muovevo ignorando il crescente senso di nausea. Dovevo assolutamente seguire la musica e lasciare che mi scorresse nei nervi, guidandomi nella danza.
Baby, don’t you want to dance up on me?
To another time and place
Oh baby, don’t you want to dance up on me?
Leaving behind my name and age
Continuai strusciandomi in modo vergognoso contro il corpo della latina, mentre Puckerman, visibilmente estasiato, mi lanciava fischi di apprezzamento.
Let’s go
Like that
Do you like it?
Yeah? Now watch me!
Non riuscii a proseguire oltre nel ballo perché le mie gambe si rifiutarono di rispondere, lasciandomi ormai mezza nuda, accasciata al fianco di Santana.
Quando fummo tutti troppo ubriachi e stanchi per compiere qualsiasi azione, ci abbandonammo uno addosso all’altro come la prima notte, senza realizzare che erano appena le due del pomeriggio.
Udii persone alzarsi per andare a vomitare più di una volta, mentre cercavo di trovare comodità sul pavimento. Ad un certo punto sentii le mani della latina iniziare ad esplorare con un po’ troppa audacia il mio corpo svestito. Delineò ogni mio muscolo con il tocco delicato dei suoi polpastrelli, procurandomi brividi freddi.
«Britt» sussurrò dopo avermi mordicchiato il lobo dell’orecchio «Che ne dici di continuare la fiesta in un luogo… Diciamo più appartato?»
Non sapevo come reagire. Avere San finalmente tutta per me, in ogni sua parte, sarebbe stato il coronamento di un sogno, ma aveva senso farlo mentre ero talmente intontita da non essere in grado di formulare un pensiero coerente?
I suoi baci lungo il collo che scendevano piano in direzione del mio petto non aiutavano certo a mettere a fuoco la cosa giusta da fare.
«Sannie…» rantolai «Siamo sdraiate davanti ad altre sette persone, non mi sembra il caso di…»
Mi zittì con un bacio appassionato.
«San…» riprovai quando mi lasciò respirare «Almeno togliamoci di qui.»
Ci aiutammo a vicenda, riuscendo, a fatica, a barcollare verso la mia stanza.
Mi spinse sul letto con un gesto poco elegante e mi si sdraiò addosso, facendo aderire i nostri corpi.
Si prese un attimo per osservarmi, mentre ancora cercavo di realizzare quello che sarebbe accaduto.
«Ti voglio.»
Quelle parole risvegliarono qualcosa in me.
Io non volevo che accadesse. Non era così che lo avevo pensato e non era così che lo volevo. C’erano ancora troppi segreti, verità taciute nel nostro rapporto, non ero pronta a concederle tutta me stessa.
«No» le risposi «Ti assicuro che fa male anche a me dovertelo dire, ma non… No, Santana. Io non ti voglio. Non così almeno.»
Potei leggere la delusione nei suoi bellissimi occhi scuri che si velarono rapidamente di lacrime. «Non… Non ti piaccio?» singhiozzò.
«Ma no!» mi difesi «Tu mi piaci, tanto…» La mia mente era confusa, non ero in grado di articolare un’argomentazione sensata.
«E allora perché non mi vuoi?» riprese, lasciando che le lacrime trovassero via libera lungo le guance.
«Ti prego, non fare così» dissi, asciugando le gocce salate con il dorso della mano «Vedrai che quando ci passerà la sbronza saremo contente di questa decisione.»
Rimase a piangere ancora qualche minuto accoccolata sul mio petto. Sentivo il suo respiro farsi più regolare a mano a mano che il tempo passava.
Ero certa che si fosse addormentata e mi allungai al fondo del letto per recuperare la coperta che lei aveva scalciato prima di lanciarmi sul materasso.
«Britt» mormorò infastidita dalla mia, seppur breve, assenza.
«Sono qui» bisbigliai coprendola con il lenzuolo «Non vado da nessuna parte.»
«Mi ami?»
Un’altra frase decisamente fuori luogo, ma questa volta lei esigeva una risposta.
Non potevo dirle di sì, era troppo presto. Eppure la mia Coscienza, quella fastidiosa vocina petulante nella mia testa, mi imponeva di aprire la bocca e pronunciare la sillaba che avrebbe potuto cambiare tutto.
Non so per quanto tempo rimasi a rimuginare su cosa fare, ma quando tornai con i piedi per terra sospirai di sollievo. Santana dormiva placidamente accanto a me.
Mi rannicchiai poggiando la mia fronte contro la sua e ascoltai il ritmo del suo respiro provando ad immaginare cosa stesse sognando, ma soprattutto cercando di capire se si ricordasse della domanda che mi aveva fatto.
“Mi ami?”
Le parole rimbombarono ancora nella mia mente.
Forse io ero in grado di dare una risposta, ma lei? Quello che provava era amore?
Avevo troppi dubbi nel cervello e troppo alcool in circolo per resistere al dolce richiamo di Morfeo. Mi abbandonai sul cuscino biascicando uno stentato ed inconsapevole “sì”.

NdA: prima di passare ai soliti ringraziamenti voglio specificare una piccola cosa: io non ne capisco niente di surf, non ho mai assistito ad una competizione e non ho idea di come esse si svolgano nella realtà. Tutto questo per dire che: se tra voi ci fosse qualche surfista/appassionato della tavola e si sentisse offeso dalla mia interpretazione di una competizione può sempre fingere che si tratti di una partita di Quidditch così saremo tutti felici e contenti. Ora, come sempre, rigrazio wislava, HeYa Shipper e tutti gli altri lettori. Spero di ritorvarvi al prossimo capitolo che dovrebbe arrivare martedì o mercoledì. A presto.

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Capitolo 10
*** Mine ***


CAPITOLO X: Mine
 
Sbadigliai con forza e mi portai subito le mani alla testa, che pulsava dolorosamente. Santana continuava a dormire lì vicino, rannicchiata in posizione fetale.
Le scostai una ciocca di capelli dal viso e presi ad accarezzare la chioma color ebano, facendo attenzione a non svegliarla.
Sentii un rumore di passi in avvicinamento e prima che potessi reagire in qualsiasi modo, fecero la loro entrata scenica Quinn e Puck, avvinghiati l’uno all’altra come polpi.
Sgranarono gli occhi, spostandoli rapidamente da me alla latina e viceversa. Io feci lo stesso con loro.
La Fabray boccheggiò, alla ricerca delle parole giuste per assalirmi, ma io reagii per prima: «Non è come sembra.»
«E dovremmo crederti?» ironizzò Noah «Sei mezza nuda nel letto con la tua ragazza. Le circostanze non sono esattamente in tuo favore.»
«Ma come hai potuto?» inveì la bionda «Io in quel letto ci devo dormire! Oddio, non sarò più in grado di andare a riposare senza pensare a quello che ci avete fatto…»
L’ispanica emise un lieve borbottio, disturbata dalla nostra disputa.
«Ehi, vi ripeto che non è successo nulla» ribattei, facendo segno di abbassare la voce «Ma intanto, miei cari piccioncini, mi dovete una spiegazione sul perché voi siete qui» puntualizzai «Non è che foste alla ricerca di un appartato nido d’amore?»
Entrambi arrossirono violentemente.
«Per me non vi è passata la sbornia» commentai poggiando nuovamente il capo sul cuscino «Tornate di là a dormire.»
I due se ne andarono, richiudendo la porta con un leggero tonfo, che bastò a svegliare definitivamente Santana.
«Ma che succede?» mugugnò schiudendo le palpebre.
«Shh, non è niente. Riposa.»
«Sento la testa pesante…» continuò, sollevandosi leggermente per osservare il letto disfatto «Che cosa abbiamo combinato? Non dirmi che…?»
«No, non è successo quello che penso tu stia immaginando» spiegai tutto d’un fiato.
«Eh? Puoi parlare più piano? Non ho capito assolutamente niente.»
«Non siamo state a letto insieme» dissi arrossendo fino alla punta dei capelli.
Mi squadrò con sguardo critico. «Fino a prova contraria, siamo a letto insieme.»
Io divenni ancora più scarlatta. «Non lo siamo state in quel senso» trovai il coraggio di mormorare.
«Oh…» rispose lanciandomi uno sguardo malizioso «Ma ci abbiamo pensato, vero?»
Non ebbi la forza di articolare una riposta, mi limitai ad emettere una serie di suoni sconclusionati mentre San si faceva di nuovo troppo vicina. Il martellare nel mio cervello cominciò ad andare in sincronia con quello del mio cuore, rimbecillendomi definitivamente.
«Hm… Il gatto ti ha mangiato la lingua?» mi stuzzicò «Fammi controllare…»
Cercai di oppormi e la fortuna mi venne in aiuto. Rachel, bianca come un lenzuolo, aprì la porta, immobilizzandosi come avevano fatto prima Noah e Quinn. Ci guardò con la bocca spalancata, chiuse l’uscio e lo riaprì per accertarsi che non si trattasse di un’allucinazione.
A quel punto decisi di porre fine alla fiera dell’imbarazzo che stava andando avanti anche da troppo tempo. Mi alzai ed afferrai i primi vestiti che vidi spuntare dalla valigia. La latina mi seguì senza proferire parola, mentre la Berry, ancora turbata, restò imbambolata a fissare il vuoto.
Nella sala potei notare i Klaine ancora assopiti, affiancati da Finn. Sam aveva gli occhi aperti, ma non sembrava in grado di alzarsi, probabilmente per via del mal di testa.
«Che fine hanno fatto Testa-a-scoiattolo e la Barbie?» chiese Santana avvicinandosi all’amico biondo.
«Li ho visti alzarsi qualche minuto fa. Penso siano nella camera dei ragazzi… Se volete il mio consiglio, non entrate o almeno assicuratevi che non provengano rumori molesti» rispose mettendosi seduto.
Rachel, apparentemente di nuovo in possesso delle proprie facoltà mentali, intervenne: «A tal proposito, io avrei una lamentela da muovere nei confronti delle due signorine che hanno dato sfogo alla propria lussuria nel mio letto…»
«Oh, Rach, per la miseria!» imprecai «Non abbiamo fatto nulla, ok? Adesso qualcuno può dirmi che cosa ci vuole per eliminare i postumi della sbornia?»
«Bere tanta acqua e mangiare qualcosa di secco, come biscotti o simili per evitare di ributtare fuori il tutto» mi comunicò Sam.
Ci accomodammo tutti al tavolo e ci sforzammo di mettere qualcosa nello stomaco. Dopo una decina di minuti venimmo raggiunti da Hudson e gli altri due giovanotti.
«Devo assolutamente levarmi di dosso questi abiti sudici» ci comunicò il quarterback «Non mi importa di restare traumatizzato. Devo entrare in camera mia.»
Noi altri non potemmo far altro che seguirlo, incuriositi. Il ragazzo bussò alla porta, attese qualche istante, poi la aprì, nonostante i gemiti che vi provenivano.
Comodamente seduti l’uno di fronte all’altro, la bionda e l’ebreo scoppiarono a ridere.
«Ma che…!? Ci stavate prendendo in giro?» si infuriò Finn.
«Dovremmo essere noi ad arrabbiarci!» contestò Noah «Ci avresti interrotto sul più bello senza tanti complimenti! La prossima volta che vengo a trovarti e ti sento ansimare con la Berry chiuso in stanza, chiamo i pompieri e faccio irruzione.»
Dopo un breve battibecco ci ritrovammo ancora una volta a tavola, con gli occhi gonfi e stanchi, intontiti dai residui dell’alcool.
«Vediamo di fare il punto della situazione» presi il comando «Sono le otto di sera e dobbiamo decidere cosa fare. Ve la sentite di uscire a mangiare?»
Tutti scossero la testa in segno di diniego.
«Bene, all’unanimità, è deciso che restiamo qui. Qualcuno di voi ha intenzione di mettersi a cucinare?»
Un’altra risposta negativa.
«Allora, se siete d’accordo, io voto di tornare a dormire e ci rivediamo tutti domattina, sperando di essere un po’ più lucidi.»
Senza un solo commento, i quattro del Morgenstern uscirono sorreggendosi a vicenda. La mia latina mi lanciò un bacio da lontano, scomparendo con i tre compagni.
«Giuro» conclusi con la mia solita enfasi «Da domani torno astemia.»
«Ma fammi il piacere, Pierce…» sbuffò Q. trascinandomi in camera a dormire.
 
Non riposai bene quella notte. Mi svegliai spesso, ma non trovai mai la forza di alzarmi. La testa continuava a pulsare e in più avevo iniziato a sentire freddo. Mi ero stretta nelle coperte e avevo persino cercato di trovare calore appiccicandomi al corpo della mia vicina bionda.
«Britt? Britt stai bene?» mi destò la voce apprensiva di Rachel.
«Sì, certo…» biascicai «Sono solo un po’ infreddolita…»
«Brittany» mi disse Quinn poggiandomi una mano sulla fronte «Sei bollente! Credo tu abbia la febbre.»
«Ma no» protestai debolmente «Devi esserti sbagliata… Io sono sanissima.»
«Certo, come no… Devi aver preso troppo freddo standotene in mutande sul pavimento e ora eccoti qui: relegata a letto con l’influenza.» Sembrò meditare un attimo sulle sue stesse parole, poi balzò in aria, allontanandosi da me con una mano sulla bocca. «Pericolo contagio!»
Anche la Berry iniziò a dare di matto, attirando l’attenzione di Puck e Finn.
«Ma dovete sempre starnazzare come un mucchio di oche?» ci apostrofò il Mohawk.
«Brittany ha l’influenza» comunicò la Fabray, come se si trattasse di un affare di stato «Tutti fuori di qui. Qualcuno vada a chiamare Santana e le dica di cercare una farmacia, è l’unica che possa capire se cercano di venderci delle mentine per aspirine.»
Vidi i due ragazzi allontanarsi per eseguire gli ordini, mentre le mie compagne di stanza rimasero con me, ovviamente a debita distanza “anti-contagio”.
Nel giro di dieci minuti tutti e otto i miei amici si ritrovarono al mio capezzale, muniti di improvvisate mascherine, come per vegliarmi prima di una morte imminente.
«Non sto così male» mi lamentai «Sembra che siate qui per accaparrarvi parte della mia eredità. Beh, sappiate che lascio tutto alla mia sorellina e a Lord Tubbington, quindi siete arrivati tardi.»
«Sta delirando» commentò amaramente Sam.
«In realtà non più del solito» osservò Finn «Queste sono le solite cose che dice Britt quando non pensa a Harry Potter o simili.»
L’unico che mostrò un po’ di vera premura fu Kurt. Mi si sedette accanto e mi chiese gentilmente: «Vuoi che ti prepari qualcosa? Un brodo caldo o magari preferisci una bella tisana?»
«Sei molto gentile, Kurt, ma credo che mi ci voglia solo un paio di aspirine e poi andrà tutto a posto.»
«Allora vado subito a comprarle» intervenne San, guardandomi di sfuggita per poi afferrare al volo la borsa che aveva posato per terra.
«Vengo con te» si accodò Quinn.
Gli altri mi lasciarono sola con Hummel, che per tenermi allegra iniziò a raccontarmi favole di folletti e unicorni, decisamente le mie preferite.
Mi addormentai nel bel mezzo delle avventure del coraggioso Charlie, unicorno di prim’ordine, in missione per salvare il suo mondo, ma me ne resi conto solo quando riaprii gli occhi e non trovai il giovane castano accanto a me, bensì Rachel con una ciotola fumante.
«Trangugia e poche storie» mi disse ficcandomi un cucchiaio di brodaglia ustionante direttamente in gola. Provai a tossire per evitare di morire bruciata, ma lei mi fulminò lo sguardo e io deglutii dolorosamente. «Brava Britt, adesso un altro.»
Questa volta lasciò che il contenuto si raffreddasse leggermente, prima di cacciarmelo di nuovo a forza in bocca.
«Posso fare da sola, grazie» protestai, mettendomi con la schiena appoggiata alla testiera del letto.
Lei mi allungò la ciotola e rimase lì fino a che non l’ebbi svuotata del tutto.
«Blaine!» gridò allora verso la cucina «Un’altra porzione, presto!»
«No» intervenni «Basta così. Non ho gran che voglia dei vostri intrugli di prima mattina.»
«Guarda che sono le quattro del pomeriggio» mi informò Santana, comparsa sulla soglia «Ha mangiato?»
«Sì» confermò l’ebrea «Ora può prendere le pastiglie.»
La latina scomparve un momento per recuperare un bicchiere d’acqua e un tubetto colorato che proveniva chiaramente dalla farmacia. «Due al giorno dopo aver mangiato. Speravo che le prendessi prima, ma non abbiamo voluto svegliarti, probabilmente hai solo bisogno di riposare un po’. Domani noi dobbiamo assolutamente andare a fare allenamento e i tuoi compari avevano organizzato una gita ad una cittadina medievale vicina alla spiaggia dove andiamo noi. Blaine si è offerto di restare qui a farti da balia, ti va bene?»
Annuii sorridendo.
«Perfetto. Ora manda giù questa roba e poi di nuovo a nanna» concluse schioccandomi un bacio sulla fronte.
Io misi il broncio. «È così che auguri pronta guarigione alla tua ragazza?»
«Ehi, non voglio mica finire a letto come te! Con te, invece…»
«Non mi sembra il momento giusto per questo tipo di umorismo» commentai.
«Sicura? Perché devi sapere che ho un costume da infermiera sexy che mi sta un incanto e qui non sarebbe per nulla sprecato.»
Ridacchiai prima ingoiare la medicina.
«Sono di là se mi cerchi. Rantola una volta se qualcosa non va, due se hai bisogno di coccole.»
«San…» sussurrai al limite del più completo imbarazzo «Mi daresti una mano ad alzarmi?»
«Ma abbiamo appena detto che devi riposare» contestò.
«Devo… Devo andare in bagno.»
Dopo essere stata gentilmente scortata dall’intero manipolo di femmine della compagnia fino alla porta della suddetta stanza, fui lasciata, fortunatamente, sola. Approfittai di quel breve momento di solitudine anche per darmi un’occhiata allo specchio. Avevo una pessima cera. Tutto il colore che avevo preso stando ore e ore sotto il sole sembrava esser scomparso per lasciare posto ad un malsano pallore tendente al bianco cadaverico. Avevo occhiaie scure e profonde che mi ricordarono incredibilmente uno degli zombie che mi ero divertita ad ammazzare in un videogioco online. Mi sciacquai il viso nella speranza di cancellare i segni di quell’indesiderato malanno.
Fui scortata anche durante il viaggio di ritorno, con Quinn che praticamente mi spostava di peso perché io sentivo le gambe venirmi meno.
«Adesso Lady Hummel viene a riprendere la storia dal punto dove l’avevate lasciata, così ti concilierà il sonno» mi disse la surfista prima di lasciarmi di nuovo con il ragazzo.
«Allora Britt, a che punto eravamo?»
Gli raccontai l’ultima cosa che mi ricordavo e lui tornò a narrare le imprese di Charlie.
Il farmaco mi conciliò il sonno e quando mi ripresi notai che la stanza era ormai buia. Ovviamente Rachel e Quinn non erano venute a dormire con me. Provai ad osservare intorno e notai una figura accovacciata ai piedi del letto.
«Che ci fai qui, Puckerman?»
«Oh» esclamò voltandosi verso di me «Vostra Maestà ha deciso di degnarci della sua presenza! Sono stato relegato di guardia.»
«Ma dove sono le mie compari?»
«A dormire, beate loro. Io e Finn, da veri galantuomini, abbiamo ceduto loro i nostri confortevoli giacigli. Ci alterniamo a riposare sul divano e qui a tenerti d’occhio. In un primo momento la tua bella ispanica aveva detto che avrebbe fatto tutto lei, ma gli altri due surfisti l’hanno costretta a forza ad andarsene.»
Lo ascoltai in silenzio, poi gli chiesi di portarmi un po’ d’acqua e magari qualcosa da mettere sotto i denti perché stavo morendo di fame. Lui tornò con una bottiglia di birra e un pacchetto di crackers.
«Ma sei pazzo? Non posso certo bere alcolici in questo stato» lo ripresi.
«Ma infatti» si difese «Questa è per me! La tua bottiglia d’acqua è lì vicino» continuò indicando il citato oggetto «Questi li possiamo dividere, invece.»
Sgranocchiai velocemente le gallette, riempiendo di briciole buona parte del letto. Bevvi come un cammello e poi mi feci dare una mano da Noah per un’altra gita in bagno.
Quando tornai a distendermi mi sentivo leggermente meglio. Stavo recuperando le forze, lo potevo sentire, ma la strada fino alla completa guarigione poteva richiedere ancora qualche tempo e io non potevo dimenticare che due giorni dopo sarei dovuta salire sul volo verso casa.
Il mattino seguente mi svegliai con Blaine appostato dove ricordavo di aver lasciato Puck.
«Gli altri sono già andati, ma ho pronta da scaldare una magica tisana firmata “Hummel” che mi hanno assicurato ti rinvigorirà, vado a prenderla.»
Bevvi l’infuso e lo accompagnai con un’abbondante razione di biscotti al cioccolato che divisi con la mia premurosa balia.
«Vado a prendere una sorpresa» mi comunicò, mentre riportava i piatti e la tazza nel lavandino. Quando tornò teneva in mano quello che mi sembrò un tablet, ma mi resi presto conto di sbagliarmi. Era un ebook.
«So che cosa ci vuole in caso di malanni come questo. Una bella dose di vitamina HP e passa tutto.»
Io squittii eccitata, sistemandomi il più comoda possibile sotto le coperte. Conoscevo l’incipit a memoria, ma letto da Blaine mi fece sentire meno sola di quando, tante volte, lo avevo mormorato a mezza voce, chiusa nella mia stanza.
«“Il signore e la signora Dursley, di Privet Drive numero 4…”» cominciò con voce calma ed ipnotica, mentre io mi lasciavo trasportare dalle sue parole.
Ancora una volta non mi resi conto di stare scivolando nel mondo dei sogni, mi ripresi a tratti, sentendo che il moro non si era fermato e aveva continuato a leggere nonostante io dormissi.
Si interruppe per il pranzo. Lo convinsi a lasciarmi uscire dal letto per mangiare con lui a tavola, condividemmo pane e formaggio, poi tornammo alla nostra precedente occupazione.
Alle sei e mezza udii le chiavi girare nella serratura e un rumore concitato di passi invase l’atrio.
«Pizza!» annunciò Puck, tanto forte che lo potei sentire nonostante avessi cacciato la testa sotto il cuscino.
«Britt, ti va di mangiare con noi?» mi chiese Quinn «Abbiamo portato la pizza.»
«Sì, ho sentito» mormorai «Non preoccuparti, sto davvero meglio. Non mi perderei questa cena per nulla al mondo.»
Mi cambiai, sostituendo il pigiama con dei semplici pantaloncini e una t-shirt. Ebbi solo un piccolo giramento di testa uscendo dalla stanza, ma per il resto passai la serata sentendomi quasi in salute.
San mi rimise a letto con mille premure, assicurandomi che il giorno dopo Blaine sarebbe rimasto ancora con me.
Lasciai passare il giorno seguente senza fare caso che fosse l’ultimo che avrei trascorso in Spagna. Alle 16:30 dell’indomani un aereo avrebbe lasciato l’aeroporto di Barcellona diretto a Dayton e io sarei dovuta essere a bordo.
L’ultima sera sentivo che sarebbe stata diversa. I Klaine e Sam furono molto più affettuosi del solito, soprattutto nei miei confronti, invece Santana diede libero sfogo al proprio cinismo, dimostrando che, in fondo, a noi teneva.
Nonostante la febbre mi fosse passata, Rachel e Q. mi concessero il privilegio di dormire da sola anche quella notte, spodestando ancora una volta gli sventurati Puck e Finn.
Guardai il cellulare per leggerne l’ora. Le 23:07. Sentivo le voci che da tavola si levavano per l’ultima sera insieme. Si era fatto voto per la più totale astensione dall’alcool, quindi ci si lasciava andare semplicemente alle solite chiacchiere.
«Vai dalla tua bella?» disse Noah, chiaramente indirizzato a Santana.
«Sì e vedete di non disturbarci. Andate a civettare nell’altro alloggio.»
«Non puoi sfrattarci» si oppose la Berry.
«Non sfidarmi, nana. Fuori dalle scatole. Ora.»
Sentii uno strusciare di sedie e le lamentele di tutti, poi lo sbattere della porta mi confermò che se ne fossero andati.
«Oh, infermiera Lopez» piagnucolai «Credo di avere bisogno di una massiccia dose di coccole.»
Lei entrò nella stanza e io la fissai con estremo disappunto. «Sbaglio o mi avevi promesso un abbigliamento specifico?»
«Mi spiace» disse accomodandosi al mio fianco «Ma sarà per un’altra volta.»
«Perché sei qui?» le chiesi.
«Perché domani parti, non te ne ricordi? Ti abbiamo persino aiutato a fare la valigia.» Le sue parole mi parvero stranamente inespressive, come i suoi occhi, che in quel momento non brillavano della solita vitalità.
«Certo che me ne ricordo… Ma non capisco il perché di tutto questo… Sei strana, c’è qualcosa che non va?»
Santana rimase in silenzio, senza distogliere gli occhi dai miei.
«Allora?» insistetti.
«Posso cantare per te?»
«Se pensi che ti aiuti a spiegarmi cosa sta succedendo…»
Con il cellulare diede il via ad una base di arpeggio di chitarra ed io, senza neppure sapere di che canzone si trattasse, sentii le lacrime invadermi gli occhi.
You were in college working part time waiting tables
Left a small town, never looked back
I was a flight risk with a fear of falling
Wondering why we bother with love if it never lasts
Avrei voluto fermarla subito, dicendole che per me l’amore poteva durare e che se me lo avesse permesso io glielo avrei dimostrato ogni giorno della nostra vita insieme.
Lei continuava a cantare e io cercavo di assorbire il più possibile il testo della canzone per cogliere il messaggio che, ero certa, stesse cercando di trasmettermi.
Do you remember we were there sitting by the water?
You put your arm around me for the first time
You made a rebel of a careless man’s careful daughter
You are the best thing that’s ever been mine
Iniziai a piangere quando udii quella frase. Tutte le questioni irrisolte, in quell’istante, sparirono. Lei non poteva mentirmi mentre cantava, semplicemente quella voce era troppo pura e celestiale per non dire la verità.
Braced myself for the goodbye
‘Cause that’s all I’ve ever know
Then you took me by surprise
You said: I’ll never leave you alone
You said: I remember how we felt sitting by the water
And every time I look at you, it’s like the first time
I fell in love with a careless man’s careful daughter
She is the best thing that’s ever been mine
Io non l’avrei mai lasciata sola, era vero. Per lei sentivo che in quel momento avrei potuto fare qualsiasi cosa. Avrei solcato gli oceani per un suo sorriso, scalato montagne per udire la sua risata, affrontato gli inferi pur di poter guardare per un istante la sua anima attraverso le iridi scure.
You made a rebel of a careless man’s careful daughter
You are the best thing that’s ever been mine
Do you believe it?
We’re gonna make it now
And I can see it
I can see it now
La musica terminò, lasciandoci nel più totale silenzio.
Avevamo entrambe gli occhi lucidi.
«Le canzoni tristi mi intristiscono e io non voglio essere triste» dissi, con un tono alterato dal nodo che mi opprimeva la gola.
«Mi dispiace» rispose, anche lei tirando fuori a fatica le parole «È quanto di meglio mi sia venuto in mente.»
«Senti, se non ti va di fare progetti a lungo termine lo capisco, sono disposta a lasciarti tutto lo spazio e il tempo di cui hai bisogno. Ma dimmi che questo non è un addio, perché suona tremendamente come un addio e non è quello che voglio.»
Potei vedere qualcosa brillare nel fondo dei suoi occhi, qualcosa di diverso dalle lacrime che le stavano rigando il volto. Era come un barlume, qualcosa di buono e positivo che lei cercava in tutti modi di soffocare. Ripensai alle volte in cui ero riuscita a oltrepassare quell’armatura nera per arrivare alla sua vera essenza, quelle volte in cui si era mostrata a me, anche se per poco, la vera Santana. Quel bagliore faceva parte del suo io più profondo e lei lo stava sopprimendo. Avevo paura che sarebbe andata via. Il silenzio era tornato a regnare e pensavo che avrebbe significato la fine di ogni cosa.
Poi lei mi sorprese, per l’ennesima volta. «Io non potrei mai dirti addio.»
La strinsi forte a me, come se da un momento all’altro fosse destinata a scomporsi in infiniti granelli di sabbia che mi si sarebbero scivolati dalle dita. La strinsi fino a sentire male nei punti in cui le nostre ossa si scontravano, eppure mi sembrava che la distanza che si era formata nel tempo di una semplice canzone fosse incolmabile.
Non la volevo lasciare andare e non lo avrei mai fatto.
Si sciolse lentamente dall’abbraccio e si asciugò le lacrime con la manica del golfino. Anche così scomposta mi parve la donna più bella che avessi mai anche solo potuto immaginare.
Non riuscii a resistere al richiamo delle sue labbra, ma quello che ci scambiammo non fu uno dei soliti baci appassionati. Fu molto più delicato, sentito.
Le avrei chiesto volentieri di restare con me, ma dopotutto io la mattina sarei dovuta partire e lei doveva pur sempre allenarsi per un torneo.
Si alzò, sapendo che era arrivata anche per lei l’ora di dormire.
«San?» la fermai prima che uscisse «Posso chiederti un’ultima cosa?»
«Certo, Britt. Tutto quello che vuoi.»
«Mi canteresti una ninnananna? Non dico che la canzone di prima non mi sia piaciuta… Ma non è certo con quella che voglio ricordare questo momento.»
Tornò a sedersi sul materasso. «Che ninnananna vorresti?»
«Una qualsiasi, basta una semplice melodia.»
«Ho esattamente quello che fa per te. La tua personalissima ninnananna spagnola.»
Sorrisi e lasciai che mi accarezzasse i capelli, mentre intonava un canto dolce. Non c’erano vere e proprie parole e anche ci fossero state non avrebbero avuto importanza. Non mi ero mai sentita così bene. La sua anima mi stava parlando con la musica e la mia voleva rispondere danzando su quelle note.
In quel momento compresi la verità: i nostri spiriti erano legati, erano destinati a stare insieme per completarsi, come una sentita coreografia completa una splendida canzone.
Lasciai che mi cullasse amorevolmente, desiderando di potermi addormentare così ogni notte.
Quando terminò di cantare mi baciò ancora una volta.
«C’è altro?» mi domandò. Sapeva che c’era dell’altro.
“Dillo” mi impose la Coscienza e io non fui in grado di oppormi, forse perché, in fondo, non lo volevo.
«Nga yawne lu oer» mormorai, non sapendo se avrebbe capito.
Mi fissò confusa, come se, al contrario di quanto pensavo, avesse improvvisamente realizzato quello che avevo appena detto. Era sconcertata, quasi contrariata. Non mi rivolse uno di quei candidi sorrisi che mi aveva così spesso dedicato in passato, ma assunse un’espressione che non avevo mai visto e la cosa mi spaventò.
«Ora è meglio che vada» mi comunicò e se ne andò senza aspettare una mia risposta.
Sentivo i suoi passi allontanarsi e mi feci forza per seguirla, cercando di non farmi notare.
Ogni forza residua mi abbandonò quando, chiudendosi la porta dell’alloggio alle spalle, Santana emise due chiari singhiozzi, primi sintomi di un altro pianto.
L’avevo fatta soffrire. Non avrei dovuto aprir bocca. Ebbi il terrore che la mia audacia, tanto lodata fino ad allora, fosse riuscita, con poche semplici sillabe, a cancellare ogni possibilità di un futuro insieme.
Non era la reazione che aspettavo dopo aver pronunciato il mio primo “ti amo”.

NdA: ed ecco finalmente spiegato il perchè del titolo della Fanfiction... Ma immagino non sia la cosa più sconvolgente del capitolo, quindi fatemi sapere che ne pensate. Ormai mancano solo tre capitoli alla fine quindi: riusciranno le nostre protagoniste a risolvere le loro incomprensioni? Cosa succederà una volta tornati a Lima? Che ne sarà di Noah e Quinn? Ma più importante: Sam resterà l'unico single del gruppo? Per le risposte a queste ed altre domande dovrete attendere sabato/domenica quando arriverà il seguito. Concludo con il ringraziare wislava e strapelot per le recensioni, ogni altro lettore e chi ha aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite. Al prossimo aggiornamento.

 

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Capitolo 11
*** Go your own way ***


CAPITOLO XI: Go your own way
 
«Beh, vecchia mia, ci mancherai. Ormai eri una di famiglia.» Quelle furono le parole di congedo di Noah dalla Renault che ci aveva servito così bene durante quelle due settimane.
Eravamo nel parcheggio dell’aeroporto.
Avevamo lasciato il Kursaal Hotel senza salutare i ragazzi del Morgenstern e forse era stato meglio così. Non avrei avuto il coraggio di affrontare Santana. Ovviamente avevo il contatto Facebook e il numero di cellulare di ognuno, così da poterli ricontattare una volta rientrati tutti a Lima, ma il salutarsi faccia a faccia mi sembrava semplicemente troppo da sopportare.
Trascinavo pigramente la valigia, come se qualcuno avesse risucchiato tutta l’energia dalle mie azioni.
Quinn non aveva fatto domande quando, la notte prima, dopo l’uscita di San, ero scoppiata a piangere tra le sue braccia. Mi aveva consolata in silenzio, così come io avevo fatto con lei anni prima.
L’attesa del decollo fu infinitamente snervante. I Finchel erano i soliti piccioncini e persino Noah e Q. avevano trovato una nuova intesa che non faceva che ricordami ciò da cui mi stavo allontanando in quel momento e che avevo paura di aver perduto per sempre. Mi rifiutai persino di mangiare, nonostante la mia convalescenza non potesse considerarsi ancora conclusa e quindi sarebbe stato meglio per me mettere qualcosa sotto i denti.
Quando fu annunciato il nostro volo, mi diressi svogliata verso il gate d’imbarco. L’unica cosa che mi spinse a fare il primo passo sulle scale del velivolo fu il pensiero di rivedere Ashley e il suo sorriso luminoso.
Presi posto in coda al mezzo, vicino al finestrino. Volevo distrarmi osservando fuori, ma mi resi conto solo dopo che avrei avuto sotto gli occhi l’oceano in cui, nello stesso momento, avrebbe nuotato la latina.
«Guarda» mi fece notare Rachel «Ci sono i mini schermi in dotazione!»
Sbuffai, dato che la notizia non mi faceva né caldo né freddo.
«Forse dovresti dirle anche che ci sono una serie di film disponibili, tra cui i suoi amati Harry Potter» intervenne Finn.
I miei occhi ebbero un guizzo di vita. Mi gettai come una furia sullo sventurato schermo per capire come accedere al menu dei film. In meno di cinque minuti riuscii a far partire “Harry Potter e la pietra filosofale”, tornando con la mente a quando Blaine mi era stato vicino e mi aveva tenuto compagnia leggendo.
Recitai le battute a memoria mentre ci levavamo sopra i cieli spagnoli, certa di non rivederli presto, se non addirittura mai più. Avevo un rapporto di amore-odio con quella terra. La amavo per avermi portato Santana e la odiavo per avermela portata via. Era come se la nostra relazione avesse influenzato tutto il resto della vacanza, le cose che più mi avevano entusiasmata erano quelle che avevo fatto con lei.
La durata prevista per il volo era di una decina di ore e non sarei stata in grado di spenderle tutte rivivendo le avventure del mio maghetto preferito, così, terminati i primi due film, mi concessi un po’ di sonno.
Sognai di frequentare Hogwarts e tra le tante facce degli altri studenti riuscii a cogliere il sorriso di Blaine. In lui avevo trovato un amico fidato, ne ero certa.
Passai da un mondo ad un altro, rivivendo storie già scritte e creandone altre mai viste, ma in ogni mio diverso scenario compariva qualcosa che mi ricordava lei: poteva trattarsi del piumaggio di un corvo, nero come i suoi capelli, o la sfumatura dell’oceano notturno, come i suoi occhi. Cercare di svegliarmi non serviva a niente. Lei era un chiodo fisso e lo sarebbe rimasta a lungo.
“Ma perché ti fai tutti questi problemi?” mi rimproverò la Coscienza, comparendomi sottoforma di Grillo Parlante.
“Perché ho mandato tutto a monte. Dopo ieri sera non vorrà più vedermi” risposi.
“Ma figuriamoci se ha capito quello che le hai detto! Quante persone sane di mente parlano correntemente il Na’vi?”
“Sam.”
“Lui non fa testo” mi rassicurò il grillo “Vedrai che non appena tornerà si farà sentire e riprenderete la storia da dove l’avete interrotta.”
“E se così non fosse? Se quello fosse stato davvero un addio?”
“Ricordi cosa ti ha detto?”
“Certo, come potrei dimenticarlo?”
“E le credi?” insistette.
“Vorrei, lo vorrei davvero tanto… Ma ci sono ancora troppi segreti. E se mi avesse mentito per tutto questo tempo?”
“Britt, devi smetterla di rimuginare. È ora.”
“Ora di cosa?” domandai stupita.
“Di scendere.”
Sbattei le palpebre e mi ritrovai la faccia di Puck che mi fissava esaltato.
«Pierce, muovi il culo! Siamo a casa!»
Mi scossi e realizzai che eravamo finalmente atterrati.
Non mi resi conto di quanto mi fossero mancati gli Stati Uniti fino a che non provai il piacere di sentire la gente attorno a me parlare la mia lingua. Mi diede un senso di familiarità che mi riscaldò il cuore. La Spagna mi aveva dato tanto, ma non poteva sostituirsi alla terra che era la mia patria.
Ci mettemmo un po’ a riabituarci ai ritmi frenetici dell’America, a cominciare dal traffico sulle strade. Avevamo recuperato l’auto di Finn, con cui eravamo arrivati in aeroporto il giorno della partenza e che era rimasta ferma in parcheggio per tutto quel tempo, e ci eravamo messi in viaggio verso Lima.
La prima sosta fu casa Fabray, dove scaricammo Quinn e i suoi bagagli, poi ci fermammo a casa Berry, congedandoci da Rachel.
«Prossima fermata: dimora Pierce» comunicò Noah, allungando i piedi sul cruscotto.
«Puck, quante volte ti ho detto di tenere giù quelle luride scarpe?» lo rimproverò l’autista.
«Oh, dai Hudson, solo per una volta…»
Andarono avanti a battibeccare per tutta la durata del percorso fino a casa mia. Mi aiutarono a portare la valigia lungo il vialetto e mi salutarono con un abbraccio.
«A presto, Pierce. Ci sentiamo domani, ok?» disse Finn.
«Certo, ci ritroviamo al “Lima Bean” come nostro solito?» risposi.
«Ovvio!» esclamarono insieme. «Ora vai, è tardi e la tua sorellina sarà rimasta sveglia per rivederti.» E con quelle parole il Mohawk mi spintonò dentro la porta che si stava schiudendo.
«Arrivederci signori Pierce» salutarono i due ragazzi tornando alla macchina.
«Brittany!!!»
Sulla mia faccia comparve il più largo dei sorrisi. Con un balzo, Ashley mi si appese al collo, rischiando di farmi perdere l’equilibrio.
«Mi sei mancata tanto» mugolò, mentre sentivo il suo visino bagnarsi di lacrime.
«Ehi, principessa, adesso sono qui» la tranquillizzai «Non c’è bisogno di piangere.»
«Ma non sono triste! Sono felice e i miei occhi sudano» mi spiegò.
La strinsi forte, per non farle notare che anche io ero commossa.
«Tesoro!» esclamarono i miei genitori pochi istanti più tardi. Mi fecero entrare e mia madre afferrò subito il cellulare che mi sporgeva dalla tasca.
«Vediamo un po’ che cosa abbiamo qui…»
«Mamma!» tentai di oppormi, ma lei fu più rapida e si scansò, evitando il mio assalto.
«Allora… Foto… Questi sono i tuoi soliti quattro complici… Ah, vedo che Quinn ha preso un po’ di colore su quelle guance pallide… E questi sono gli altri americani?» Si era soffermata su una foto che avevo fatto ai ragazzi del Morgenstern mentre eravamo in spiaggia. «Allora il biondo con le labbrone enormi ha la faccia da tonto, ma un fisico da paura» iniziò a commentare.
«Vivian!» la riprese mio padre.
«Gli altri due che si tengono per mano giocano in squadra con te?»
«Non mi pare una discussione da fare a quest’ora della notte, cara» tentò di nuovo mio papà.
«Oh, e questa chi è?» squittì zoomando sulla latina «Qui è un po’ in ombra… Vediamo se hai altre foto.»
Ovviamente trovò quello che cercava perché Puck aveva praticamente fatto un intero servizio fotografico dei nostri appuntamenti e mi aveva spedito tutto.
«Ma che carine!» prese ad esclamare ad ogni nuovo scatto, mentre io desideravo solo seppellirmi nel mio letto e non sentire più nominare San.
«Devi dirmi tutto di lei! Come si chiama? È anche lei americana? In che stato vive? Vuoi invitarla qui una settimana prima andare a New York?»
«Mà, basta, ti prego» sbottai «Voglio andare a dormire. Domattina ti racconto tutto.»
Mi lasciarono libera di tornare, finalmente, in camera mia. Mi sdraiai sul letto ancora vestita e dovetti farmi un’incredibile violenza per non crollare subito addormentata. Cacciai la valigia in un angolo e mi feci una rapidissima doccia. Quando uscii dal bagno notai due intrusi nel mio letto.
«Mi chiedevo quando sarebbe venuto a salutarmi» dissi passando la mano nel folto pelo del mio gatto.
«L’ho dovuto tirar fuori dal seminterrato. Ha passato l’ultima settimana a costruire un robot assassino» rispose Ashley accoccolandosi al mio fianco.
«Sono contenta di essere tornata a casa, mi siete mancati tantissimo» continuai abbracciandoli entrambi.
«Posso restare a dormire con te, BriBri?» mi chiese con aria supplice.
«Ma certo, Ash. Lasciami mettere il pigiama e torno.»
«Bri?» mi domandò quando la raggiunsi «Chi era la ragazza con te nelle foto?»
«Ehm…» titubai.
«Non ne vuoi parlare?»
«È complicato…»
«Un po’ come nei film quando i due protagonisti si devono allontanare anche se si amano?»
La sua infantile ingenuità mi fece sorridere, per lei io e la mia ispanica saremmo tornate insieme una volta superate tutte le prove del destino, ma io faticavo ad essere altrettanto ottimista.
«Non è così semplice… Diciamo che ti stai avvicinando. Domani spiegherò tutto anche a te, ma ora è meglio dormire.»
«Buonanotte sorellona.»
«‘Notte piccola peste.»
Accarezzai ancora per qualche minuto Lord T, tranquillamente acciambellato tra le mie gambe, che prese a fare le fusa.
«Ah, pancione… Se solo tu potessi aiutarmi…»
Lui si girò a fissarmi con i suoi placidi occhi verdi e sfregò il muso contro la mia mano.
«Anche io ti voglio bene Lord T.»
Desiderai che la mattina dopo non arrivasse mai. Affrontare l’argomento “Santana” con la mia famiglia l’avrebbe reso di nuovo reale e non avrei più potuto ignorarlo. Immaginavo la faccia dei miei nel sapere che anche lei abitava a Lima. Conoscendo mia mamma avrebbe agguantato il telefono e invitato i Lopez a cena per conoscerli.
Mi sembrava di essere appena riuscita a chiudere occhio, quando le tapparelle del mio oscuro rifugio vennero violentemente sollevate per far entrare i primi raggi di sole.
«Sveglia pigrone!» annunciò mia madre con il suo solito entusiasmo.
Lord Tubbington si stiracchiò, investendomi con il suo dolce peso. Ashley, avvinghiata al mio braccio, sbadigliò rumorosamente.
«Forza, ho fatto i waffles!»
Quella frase bastò a far scattare i miei compagni di letto, che si precipitarono al piano di sotto mentre io ancora dovevo connettere il cervello.
«Vedi di muoverti, tra un’ora devo essere al lavoro» mi avvisò la mamma, uscendo per mettere da parte qualche dolce per la sottoscritta.
Scesi dal letto e mi parve che le mie gambe fossero di pietra. Non volevano saperne di muoversi.
Arrivai in cucina rischiando di rotolare lungo i gradini che portavano al piano inferiore. Ancora non so spiegarmi come riuscii a non rompermi l’osso del collo quella mattina. Il mio stesso corpo cercava di boicottare quella chiacchierata.
«Su, siamo tutti curiosi» mi apostrofò papà, abbassando il giornale e sollevando la tazza di caffè.
«Bene» mormorai ormai rassegnata «Credo sia ora di raccontarvi di Santana.»
Tutti e tre si fecero attenti, consentendo a Lord T. di strafogarsi degli avanzi di waffle.
«L’ho incontrata il primo giorno, quando ci ha dato indicazioni per raggiungere il Kursaal Hotel. Quella sera stessa siamo andati in un locale a…» Mi morsi la lingua, non potevo dire ai miei che mi ero ubriacata praticamente ogni volta che ne avevo avuto l’occasione. «A cantare perché era l’unico con un palco e l’attrezzatura da karaoke, conoscete Rachel e le sue manie… Comunque una coppia di ragazzi si esibì e io andai a complimentarmi con loro, così conobbi Kurt e Blaine che erano lì in compagnia di Sam.»
«I gay e il biondo, giusto?» chiese mia madre.
«Sì, lasciami andare avanti. Con loro c’era una quarta persona, ma non ebbi modo di vederla se non quando andò a cantare per una specie di competizione.»
«Era la bella ispanica?» insistette.
«Sì, mamma. Si chiama Santana Lopez e, tenetevi forte, vive anche lei qui a Lima.»
Mia madre fece un salto di gioia insieme ad Ash, mentre mio padre si portò una mano al mento per accarezzarsi pensieroso la barba. «Lopez… Lopez» iniziò a mormorare «Mi ricorda qualcosa… Non sarà mica quel Lopez, vero?»
«Cosa intendi?» domandai, confusa.
«Ma si tratta di Iñigo Lopez, il famoso cardiochirurgo?»
«Beh, mi ha detto che suo padre è medico, ma non ha specificato di cosa si occupi» risposi.
«Oh, Britt, piccola mia, hai preso all’amo un pesce bello grosso! La moglie di un mio collega era stata data per spacciata per un qualche problema alle valvole cardiache, l’hanno passata a Lopez come ultima spiaggia e lei è risorta come Lazzaro! Ho sentito dire che quell’uomo abbia le mani assicurate per un milione di dollari l’una!»
«Dobbiamo assolutamente invitarli a cena!» intervenne mia madre, come avevo immaginato.
«Perfetto Vivian» concordò per una volta suo marito «Dovrei riuscire ad ottenere il loro numero in dieci minuti. Che ne dite di mercoledì prossimo?»
«Fermi tutti!» esclamai, smorzando il loro entusiasmo «La storia non è finita. Io e Santana abbiamo flirtato un po’, ma lei adesso è ancora in Spagna e non tornerà per almeno un’altra settimana e abbiamo tante cose in sospeso da chiarire. Voi state correndo un po’ troppo.»
«Ma in quelle foto sembra proprio che stiate insieme…» si intristì mia mamma «Non è la tua ragazza?»
Mi si strinse ancora una volta un nodo alla gola. Neppure io potevo dare una risposta a quella domanda.
«No, non è la mia ragazza.»
Notai le loro facce deluse e quella che più mi ferì fu quella di Ashley, che doveva già essersi immaginata di farmi da damigella al matrimonio. Lei era una sognatrice, proprio come lo ero stata io fino a due notti prima, ma la reazione della latina aveva spezzato qualcosa in me, spazzando via ogni illusione.
«Dovreste andare» feci notare ai miei genitori «O farete tardi al lavoro.»
I due adulti si sbrigarono e uscirono di corsa, lasciandomi con Ash e gridandomi di disfare i bagagli e fare una serie di faccende domestiche.
«Dai, andiamo su che ho una sorpresa per te» comunicai alla mia sorellina, prendendola per mano.
Risalii le scale senza fatica, come se il peso che mi opprimeva fosse scomparso nel momento in cui avevo convinto tutti che si fosse trattato di una semplice avventura estiva, ma non potevo mentire a me stessa.
«Cosa mi hai preso? Dai, fammi vedere!» gioiva eccitata Ashley.
Aprii la valigia e da sotto una massa di vestiti appallottolati, tirai fuori un peluche di squalo che era stato acquistato mentre io ero bloccata a letto dalla febbre. Avevo mandato Blaine con specifiche istruzioni fino all’acquario e lui aveva eseguito alla perfezione il suo compito: trovare un pupazzo più simile possibile allo squalo di “Alla ricerca di Nemo”.
«Ma è Bruce!» esultò infatti la bambina.
«Avrei voluto portarti quello in pinne e denti, ma era occupato ad insegnare agli altri squali che i pesci sono amici e non cibo» le risposi con un sorriso, ma lei parve distratta da qualcos’altro.
«E questa che cos’è?» mi domandò, estraendo, da una scarpa rotolata sul pavimento, la collana che mi aveva regalato Santana. «È un ciondolo bellissimo! È un anatroccolo blu come i tuoi occhi! Dove lo hai preso?»
Rimasi in silenzio. Il mio cervello aveva cominciato a realizzare qualcosa che avrebbe potuto chiarire alcuni dei misteri che ancora avvolgevano l’ispanica.
«Te lo ha preso lei, vero?» chiese Ash.
«Sì…»
«Ma come faceva a sapere che ti piacciono le papere?»
«Mi sono fatta la stessa domanda… Ma adesso credo di averlo capito… Ti spiace se ti porto a giocare da Allison adesso? Ho bisogno di stare un po’ da sola.»
«Va bene, ma solo se mi porti in moto.»
«Sai che mamma non vuole che guidi con te dietro, dice che non è sicuro. Prenderemo l’autobus.»
Così accompagnai mia sorella dalla sua amica e poi tornai a casa il prima possibile. Inforcai la moto senza pensarci due volte e mi fiondai a casa Fabray.
«Che piacere vederti, Brittany» mi accolse Judy «Quinn è nella sua stanza.»
«Molto gentile, come sempre, signora Fabray» la ringraziai, dirigendomi verso la camera della mia amica.
«Britt, che ci fai qui?» mi chiese, vedendomi fare irruzione.
«Oggi le domande le faccio io» risposi aggressiva.
«Ma che ti prende?»
«Voglio la verità, Fabray. Tutta la verità.»
«Non so di cosa tu stia parlando» si difese, ma potevo leggere la menzogna nelle sue iridi smeraldine.
«Tu non mi hai detto tutto. Ora sputa il rospo.»
Lei sospirò, rassegnata, confermando il mio sospetto.
«Mettiti comoda» mi disse «Non so quanto questa storia ti piacerà.»
Ubbidii e mi preparai al peggio.
«In qualità di capo cheerleader lo scorso anno sono stata eletta come rappresentate femminile del corpo sportivo del McKinley, affiancata da quello scemo di Rick “The Stick” Nelson come mio compagno. Abbiamo dovuto fare un paio di riunioni con i rappresentanti degli altri licei della regione per organizzare i tornei interscolastici e simili. Dato che non volevo trovarmi impreparata di fronte al nemico, mi sono occupata di studiare gli avversari, tra cui quelli della Dalton, hai presente, no? E tra le altre scuole c’era anche la Simon Morgenstern High. Così ho fatto un paio di ricerche sui loro delegati. Il ragazzo, un tale dal nome impronunciabile, tipo Krzyszkowski o qualcosa del genere, era il classico giocatore di football un po’ tonto, eletto solo per fare presenza, ma la ragazza mi avevano informato fosse una vera serpe. Due anni prima aveva sostituito la polvere di gesso per il numero di una squadra nemica di cheerleading con polvere urticante, garantendo alle proprie compagne di scuola l’ingresso alle nazionali. Se non fosse per il fatto che Sue ci ha sempre vietato l’uso di qualsiasi polvere che non fossero le sue bevande liofilizzate, probabilmente avrebbe sabotato anche noi.»
«Stai cercando di dirmi che quella vipera senza cuore era Santana?»
«Oh, ma quello era solo uno scherzetto innocente rispetto alle sue altre malefatte. Il suo schema più efficace era quello di sfruttare il proprio fascino per sedurre gli avversari, anche più di uno alla volta, per metterli l’uno contro l’altro.»
«E tu mi hai permesso di uscire con una tipa simile?» mi infuriai, dimentica di tutti i bei momenti che avevo trascorso in compagnia di San.
«Io ho cercato di metterti in guardia! In un primo momento, quando ce la siamo ritrovata vicino sotto la pioggia, non l’avevo riconosciuta, ma al “La oca loca” mi sono improvvisamente ricordata di averla già vista e ho riconosciuto in lei quell’arpia.»
«E non potevi dirmi subito tutto questo?» Ero sempre più furiosa, tanto che dovetti stringere con forza i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi, per evitare di perdere il controllo.
«All’inizio pensavo che avresti potuto, per una volta, essere tu a vendicare tutti i cuori spezzati dalla malvagia Lopez, ma poi mi sono ricordata del tuo inguaribile romanticismo e cose simili e ho deciso di intervenire.»
«Quel pomeriggio quando abbiamo fatto “ufficialmente” le presentazioni!» realizzai «Siete state a dialogare per tutto il tempo! Ecco di cosa parlavate!»
«Esatto, le ho detto di averla riconosciuta e che doveva tenere le mani lontane da te.»
«Ma allora perché non l’ha fatto?»
«Perché dal modo in cui mi guardava mi sembrava sincera nel dire che era stanca di semplici avventure e che tu l’avevi subito colpita, voleva fare le cose per bene con te. Mi ha chiesto un paio di informazioni base: cosa ti piacesse, come fosse starti attorno, quali fossero i tuoi interessi e cose così.»
«Quindi le hai detto tu delle anatre… E anche della moto! Ecco perché non era sorpresa dal mio hobby del motocross!»
«Sì, sono cose che potrei averle detto…» ammise la Fabray «Ma io lo facevo per te! Ultimamente eri più giù del solito, dopo quella serie di rifiuti pensavo che sistemarti per un po’ ti avrebbe fatto ritrovare il sorriso e in effetti ha funzionato.»
«Fino a che lei non mi ha spezzato il cuore…» commentai amaramente.
«Ma che cosa è successo? Sembravate andare così d’accordo.»
«Le ho detto di amarla» risposi semplicemente.
«Tu, cosa!? Santi numi, Britt! La vita non è un film Disney! Non puoi dire a qualcuno che lo ami dopo due settimane che uscite insieme!»
«Ufficialmente era una settimana sola» puntualizzai.
«Peggio ancora! Ma come ti è saltato in mente!?»
«Non è le ho proprio detto “ti amo”» tentai di spiegarle «Ho usato il Na’vi.»
«E…?»
«E da come ha reagito credo che abbia capito benissimo.»
«Dio, Britt… Questo è un colossale disastro… E la cosa divertente è che, per quanto fossi certa che prima o poi lei ti avrebbe spezzato il cuore, alla fine hai fatto tutto da sola…»
«Già, che dolce ironia…»
«E quindi?» mi chiese ancora «Cosa farai una volta che lei tornerà qui a Lima?»
«Ci sto ancora pensando. Non posso far finta che non sia successo niente…»
«Decisamente no. Per me dovresti provare a spiegarle che eri presa dal momento, qualcosa tipo “ero preoccupata dal dovermi allontanare da te così presto”.»
«Non so, Q. In questo momento sono ancora più confusa… Mi sembra di essere stata per due settimane con una persona e dopo quella maledetta canzone è come se a lei si fosse sostituita una sconosciuta.»
«Canzone? Ti ha dedicato una canzone?»
«Sì, era una roba romantica, qualcosa come “You are the best thing that’s ever been mine” e io pensavo che quelle parole fossero sentite. Però, quando ha finito ho visto qualcosa nei suoi occhi, come se fosse combattuta e allora mi è sembrato che si stesse allontanando.»
«Vedrai che andrà tutto per il meglio» mi rassicurò la bionda avvicinandosi per abbracciarmi «Andrà tutto bene e avrai il lieto fine che ti meriti…»
«Mi spiace averti attaccata così, Quinn» dissi per scusarmi «Ma avevo capito che qualcuno doveva aver parlato di me a San e tu eri l’unica che poteva averlo fatto.»
«Non preoccuparti, è tutto a posto» mi rassicurò «Anche io non sono stata una buona amica, nascondendoti quello che sapevo… Ma lasciamoci alle spalle questi sotterfugi. Ti va di andare da Noah a fare una partita alla Playstation? So che ti piace tanto.»
La settimana seguente la trascorsi nel più totale relax, rinchiudendo ogni ricordo inerente alla Spagna in un cassetto a cui cercavo di accedere il meno possibile. Non dovetti neppure parlare di Santana, se non in un paio di occasioni per tenere a bada mia madre.
Il mondo sembrava essere tornato alla solita realtà.
Poi accadde quello che temevo. Ricevetti un messaggio.
Di nuovo a casa, riunione generale?
Blaine
Dopo averne discusso con gli altri decidemmo che almeno un’altra serata insieme sarebbe stata d’obbligo. Mi feci forza per non contattare ulteriormente Blaine per avere notizie di Santana, gli risposi che potevamo vederci il giorno seguente al “Somewhere” per la serata karaoke.
Venne il giorno fatidico e trascorsi il pomeriggio a pensare a come comportarmi che quasi non mi resi conto del tempo che passava. L’ultima volta che guardai l’orologio mi accorsi che mancava poco più di un’ora al ritrovo.
Mi preparai e cominciai a camminare nervosamente in camera, sotto lo sguardo vigile del mio micio. Ad un tratto lo vidi muovere le orecchie come a captare un rumore inaspettato.
«Lord T?» gli chiesi grattandogli la pancia «C’è qualcosa che non va?»
Lui si limitò a fissare la porta e io, non so bene per quale ragione, uscii dalla stanza. Il gatto mi seguì e poi mi condusse fino alla porta d’ingresso.
«Vuoi uscire? Sai che non dovresti, lo smog non fa bene ai tuoi polmoni da fumatore.» Ma lui cominciò a strusciarsi con insistenza contro l’uscio chiuso.
«E va bene…» capitolai.
Aprii la porta ed ebbi un tonfo al cuore. Davanti a me c’era un grosso trofeo dorato e sapevo bene a chi appartenesse. Mi guardai rapidamente intorno, ma lei ormai se n’era già andata.
Studiai l’oggetto con sospetto, memore, forse, di quello che era capitato ad Harry la volta che aveva afferrato la coppa del Torneo Tre Maghi.
Lord Tubbington si era seduto e mi guardava, come se aspettasse che facessi qualcosa.
«Dici che devo prenderlo? In fondo non è mio… E poi cosa mai vorrà dire?»
Notai solo dopo un piccolo foglio incastrato sotto la base del trofeo.
Lo aprii, ben sapendo cosa ci avrei trovato.
Addio.
Mi dispiace.
Tre parole. Era tutto finito, con tre semplici parole, parole che aveva giurato di non dirmi.
Puck mi trovò in lacrime sullo zerbino e mi aiutò a portare dentro l’ingombrante premio.
«Te la senti lo stesso di venire?» mi chiese mentre mi aiutava a ricompormi.
«Io… Devo, almeno per Blaine, Kurt e Sam…» risposi in un soffio.
«Vedrai che chiarirete tutto» cercò di rassicurarmi «Adesso sali sulla carrozza, Cenerentola.»
Passammo a prendere Quinn e poi andammo all’incontro.
Rivedere i tre ragazzi mi fece sorridere e fui contenta di sentire delle loro imprese di surf. Sam, purtroppo, era arrivato quarto, spodestando però la rossa che ricordavo molto in gamba. Kurt era arrivato terzo, lasciando Santana e Starchild a competere per il titolo di campione.
«San ha dato il meglio di sé» ci disse il biondo «Se l’è meritata quella vittoria.»
Rachel mi tolse dall’imbarazzo di fare la domanda che mi premeva sulle labbra: «Dov’è Santana?»
«Mi ha mandato un messaggio, circa un’ora fa» rispose Hummel «Diceva semplicemente: “non posso”. Credo che sia ancora scombussolata per il viaggio e l’emozione della vittoria.»
Io sapevo che non era solo quello, ma ero quasi contenta che non ci fosse. Non avrei saputo come gestire la cosa.
«Beh, siamo qui per cantare o no?» esordì Blaine, trascinando il proprio fidanzato sul palco per l’ennesimo duetto.
Trascorsi buona parte del tempo persa a guardare fuori da una finestra, forse perché in fondo volevo vederla comparire all’improvviso, gettarsi ai miei piedi implorando perdono.
«Dai Britt, ti farà bene andare su quel palco a sfogarti» mi incitò Puck «Vai e falli neri, tigre.»
Quando mi avvicinai per scegliere la base colsi un movimento alla mia destra, dove si trovava la porta.
Uno svolazzo di capelli corvini, per me inconfondibile. Le sue iridi scure mi fissavano piene di rimorso e tristezza, eppure lei non accennava a volersi avvicinare.
Provai rabbia, un odio sordo e profondo si impossessò di me. Volevo farla soffrire come lei aveva fatto con me, esigevo vendetta per tutto quello che non mi aveva detto e per l’orribile modo in cui aveva deciso di chiudere con me.
«Questa» dissi suggerendo il titolo al gestore.
Partì la base e io piantai i miei occhi nei suoi e presi a cantare.
Loving you
Is it the right thing to do?
How can I ever change things
That I feel?
If I could
Baby I’d give you my world
How can I
When you won’t take it from me?
You can go your own way
Go your own way
You can call it
Another lonely day
You can go your own way
Go your own way
Non smisi mai di fissarla, facendole capire che ogni parola per me era vera. Lei poteva andarsene per la sua strada, io non avrei fatto nulla. Non potevo cancellare i sentimenti che provavo, ma intanto, se non erano corrisposti, non aveva senso per me averla vicino.
Vidi cadere una lacrima lungo la sua guancia ambrata mentre ripetevo il ritornello, poi si voltò e uscì. Gli altri lo notarono, ma nessuno la frenò.
Il mio cuore si fermò un istante, poi lo sentii spezzarsi. Non versai lacrime e non mi interruppi, continuai a cantare, provando ad ignorare la voragine che si stava lentamente aprendo sotto di me per inghiottirmi nella più totale disperazione.
Quello era davvero un addio.

NdA: Non odiatemi, vi prego... Doveva esservi chiaro dal titolo dove questo capitolo sarebbe arrivato, quindi spero non ci siate rimasti (troppo) male. Non mi perdo in inutili chiacchiere e passo subito ai ringraziamenti e alle informazioni logistiche: grazie a wislava e strapelot per le recensioni e grazie ad ogni altro singolo lettore per essere arrivato fin qui. Ormai la fine è vicina quindi direi di poter fissare con discreta precisione l'uscita dei capitoli: il prossimo arriverà tendenzialmente mercoledì e il finale, per commemorare la mia iniziale pubblicazione domenicale, uscirà ovviamente domenica (salvo imprevisti/incidenti/attacchi alieni/invasioni zombie/mia improvvisa partenza per Hogwarts). Finito questo sproloquio, rinnovo i miei ringraziamenti e vi saluto. Alla prossima.

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Capitolo 12
*** Just give me a reason ***


CAPITOLO XII: Just give me a reason
 
Quella notte Quinn e Rachel rimasero con me. Piansi tutte le lacrime che mi erano rimaste e quando non ne ebbi più da versare, continuai a singhiozzare tra le loro braccia.
Nei giorni seguenti anche Kurt, Blaine e Sam vollero consolarmi. Puck mi consegnò le chiavi di casa sua, così che potessi accedere alla postazione videogame in ogni momento. Finn, che non era mai stato bravo nel confortare le persone, si limitò a togliermi da sotto gli occhi il trofeo di surf, che trovò rifugio dalla mia furia nel suo garage.
Contavo i giorni che mi separavano dalla partenza per New York, perché l’idea di ricominciare da zero in una nuova città era l’unica gioia che mi fosse rimasta.
Una mattina io e Rachel intraprendemmo un primo viaggio esplorativo nella Grande Mela, per capire esattamente dove fossero i nostri atenei rispetto all’alloggio che avevamo in affitto. L’appartamento era situato all’ultimo piano di un grande palazzo di periferia, fortunatamente in punto vicino alle stazioni dei mezzi, così che potessimo muoverci senza problemi. Avevamo abbastanza spazio per ospitare Kurt, che nel frattempo si stava preparando per lasciare Lima e cercare fortuna in città in attesa dell’audizione per la NYADA.
Una sera di metà Agosto ci ritrovammo ancora tutti al “Somewhere”. Sarebbe stata l’ultima adunata prima del Ringraziamento.
«Ho promesso ai miei di tornare a Lima una volta al mese» comunicai al gruppo.
«Ovviamente io farò lo stesso» si accodò la Berry.
«Allora noi saremo qui ad aspettarvi» ci risposero Blaine e Sam.
Finn e Puck avrebbero studiato in zona, quindi per loro non sarebbe stato un problema fare una capatina a casa di tanto in tanto.
Quinn non era certa di poter tornare con tale frequenza in Ohio, ma aveva acquistato un abbonamento per il Northeast Regional, un treno che le avrebbe permesso di arrivare a New York in un paio d’ore.
La nostra vita sarebbe cambiata completamente.
Nessuno, quell’ultima sera, nominò o fece riferimento a Santana. La mia curiosità, però, ebbe la meglio sull’orgoglio. Ero convinta che se qualcuno sapeva qualcosa di San quelli erano i suoi amici del Morgenstern.
Tentai con Anderson, ma lui, come me, non l’aveva più vista dopo il suo silenzioso addio e lo stesso esito ebbe la mia indagine con Hummel.
Mi restava solo Sam.
Tesi la mia trappola un pomeriggio, quando la Fabray era già a Yale e Noah e Finn avevano anche loro lasciato casa. Io e la mia futura coinquilina avevamo le valige pronte, era solo questione di giorni prima che ci trasferissimo definitivamente.
Lo invitai a casa per merenda e per una maratona di Underworld, era l’esca perfetta.
«Sono pronto per una dose massiccia di Vampiri e Lycan!» esultò quando lo feci entrare.
«Ho preparato una bella teglia di biscotti da sgranocchiare durante la visione… Credo sarà l’ultima maratona per un lungo tempo, purtroppo.»
«Vedrai che non cambierà nulla, noi non ci scorderemo di te e non ti abbandoneremo» mi assicurò, senza aver capito di essere caduto nel mio tranello.
«A proposito di abbandoni…» iniziai.
«No, Britt, non chiedermelo, ti prego» supplicò.
«Sam» insistetti «Sei l’unico che può sapere cosa le sia successo. Non mi dire che è scomparsa nel nulla dopo quella notte…»
«Più o meno…» commentò.
«Voglio saperlo, Evans. Ho diritto di saperlo. Che ne è stato di Santana?»
«Pochi giorni dopo quella scena al “Somewhere” si è presentata alla porta di casa mia. Mi ha detto che con i soldi vinti dalle gare e quelli che le hanno fornito i genitori ha deciso di dedicarsi interamente al surf. Mi ha mandato una mail dalla California dicendo di aver vinto l’ennesima competizione e che si stava preparando per volare in Australia.»
«Ha mai…?» tentai di articolare una domanda, ma il resto delle parole mi morì in gola.
«No, mi spiace, non mi ha mai chiesto di te.»
«Pensi che tornerà?»
«Santana è sempre stata uno spirito libero, un lupo solitario. Credo che stia cercando la propria strada e se pensa che le onde la possano guidare verso il proprio futuro… Beh, non credo che la rivedremo presto» mi confidò «Mi manca molto. Siamo stati amici per una vita intera, io, il ragazzino nerd con la faccia buffa, e lei, la stronza introversa, eravamo la coppia perfetta.»
«Le hai insegnato tu il Na’vi?» domandai.
«In realtà lo abbiamo imparato insieme. Anche lei è sempre stata un’appassionata di queste cose, anche se bada bene a non farlo sapere in giro» spiegò «Immagino che te lo abbia tenuto nascosto.»
«Già, dimostrava di saperne un po’, ma non hai mai certo detto di essere come noi.»
«Irrecuperabili fanatici?»
«Precisamente.»
«Senti Brittany, so che potremmo andare avanti a parlare di lei per ore, ma farebbe male ad entrambi perché dobbiamo accettare il fatto che ha preferito l’oceano a noi. Allora, mettiamo o no il primo film?»
«Certo» replicai, scuotendomi leggermente per scacciare il velo di tristezza che io stessa avevo voluto evocare «Che la guerra più antica di sempre abbia inizio!» conclusi afferrando uno dei biscotti.
Cinque giorni dopo quell’evento, Rachel ed io prendemmo l’aereo verso quella che sarebbe stata la nostra dimora per i successivi quattro anni di studio e forse anche oltre.
Il 4 di Settembre cominciai la mia vita alla Julliard e fui costretta a confrontarmi con la dura realtà: il mondo non era un posto in cui potevo lasciarmi prendere dai miei viaggi mentali o dalle mie fantasie. Dovevo concentrarmi e dedicarmi anima e corpo alla scuola.
Quinn veniva a trovarci ogni dieci giorni e ci parlava di quanto fosse noiosa New Haven e quanto fossero snob gli altri studenti, però le materie le piacevano. Aveva deciso cosa fare della sua vita: voleva diventare una leader, perché quella era la sua natura. Studiava per ottenere un diploma di manager, poi si sarebbe fatta ingaggiare da qualche impresa e, passo dopo passo, si sarebbe fatta strada fino alle alte sfere.
Rachel era tutta presa dalle sue lezioni di canto e dal sopravvivere alla sua insegnante di ballo, una certa Cassandra July, che l’aveva presa subito in antipatia.
Kurt ci raggiunse ai primi di Ottobre, portando con sé una ventata di allegria in casa Berry-Pierce. In un primo momento si era occupato di tenere in ordine gli spazi mentre l’ebrea ed io eravamo a lezione, poi quando trovò un lavoro come cameriere canterino, nell’alloggio tornò a regnare il caos.
Ogni giorno chiamavo la mia sorellina su Skype perché sentivo terribilmente la sua mancanza. Le prime volte avevamo pianto entrambe, ma col passare delle settimane era andata sempre meglio.
La prima volta che tornai a casa, lei mi fece trovare una gigantesca torta di bentornato che mi costrinse a mangiare guardando tutti i film Disney su cui riuscì a mettere le mani. Rividi Blaine e Sam, ma non Finn e Noah, che erano troppo presi dalla loro vita universitaria per passare a salutare. Ovviamente ci tenevamo in contatto tramite telefono e computer, ma non era come averli lì per fare le solite battute, scherzare come avevamo sempre fatto.
Quando giunse la festa del Ringraziamento riuscimmo a riunirci tutti e notai come le dinamiche all’interno del gruppo fossero cambiate. I Klaine, non vivendo più a stretto contatto ogni giorno, sembravano rinascere le volte che riuscivano a ritrovarsi e lo stesso valeva per i Finchel. Puck e Quinn avevano deciso di non portare avanti la loro relazione per via della distanza, ma potevamo tutti notare una particolare chimica tra loro che sarebbe rimasta a prescindere dalla natura del loro rapporto.
Trascorremmo quel breve periodo di vacanza restando praticamente sempre insieme e ci lasciammo con la promessa di ritrovarci a Natale.
Il tempo prese a scorrere più velocemente dopo quella gita a Lima.
In un battito di ciglia, arrivò Dicembre con la pausa invernale, arrivò la lettera di ammissione di Kurt dalla NYADA, arrivò una telefonata di Ashley che mi diceva di essersi innamorata di un suo compagno di classe, arrivò Quinn con al braccio un tipo belloccio presentandolo come “il suo ragazzo”. Arrivò anche un messaggio di Sam: “Mi ha mandato gli auguri per le feste e il nuovo anno. Non ho idea di dove si trovi. Ha detto di salutare tutti.”
Quella fu l’ultima volta che ci fece avere sue notizie. Con l’arrivo dell’anno nuovo divenne un vero e proprio fantasma che tormentava i miei pensieri di giorno e i miei sogni di notte. Per fortuna i ritmi sempre più pressanti della Julliard finirono con il trasformarmi in un automa incapace di dedicare attenzione ad altro che non fossero passi e coreografie.
Ma il destino aveva in serbo un’altra svolta.
Una mattina di Marzo una mia compagna di corso mi avvisò dell’assenza di un professore, garantendomi una giornata di pace. Così, invece di uscire per andare a scuola come ogni giorno, rimasi a crogiolarmi nel letto, ignorando deliberatamente la pila di piatti sporchi che avevo promesso di lavare la sera prima. Per godermi appieno quell’inaspettata vacanza decisi di tornare alle mie vecchie abitudini: recuperai la mia sacra copia di “Harry Potter e i doni della morte” e persi la cognizione del tempo.
Il rumore delle chiavi che giravano nella serratura mi distolse dalle avventure del maghetto per ricatapultarmi nella realtà.
«Dici che gliene dovremmo parlare?» domandò Kurt.
«Non credo sia una buona idea… Ci ha messo così tanto per andare avanti. Questo la farebbe ripiombare nell’incubo di sei mesi fa» rispose Rachel.
«Ma non penso che sarebbe giusto tenerglielo nascosto. Non so neppure più quanto tempo sia passato dall’ultima volta che ha saputo qualcosa di lei.»
Realizzai di chi stessero parlando e balzai in piedi. Avrei voluto fare irruzione in salotto, ma mi resi conto di essere in mutande e reggiseno, quindi mi vestii in tutta fretta e poi uscii dalla mia camera per affrontarli.
«Cosa sapete di Santana?» li assalii.
«E tu cosa ci fai a casa!? Stamattina non avevi lezione?» si stupì l’ebrea.
«Mancava l’insegnante» spiegai brevemente.
«Avresti potuto mettere un po’ a posto allora» mi rimproverò la mia amica.
«Non cercare di cambiare argomento, hobbit. Sputate il rospo!»
«Beh, a quanto pare gliene dovremmo parlare per forza» commentò Hummel.
«Meno chiacchiere, più informazioni» ringhiai.
«Va bene, va bene, basta che non ci uccidi!» cercò di calmarmi la Berry.
«Sono io a doverti raccontare…» intervenne ancora una volta il ragazzo «Un paio di ore fa mi ha chiamato Sam.»
«E...?»
«L’ha vista, questa mattina. A Lima.»
Sbiancai e mi sentii svenire.
«Ha cercato di avvicinarla» continuò lui «Ma è scappata prima che avesse il tempo di farle qualsiasi domanda. Ha provato a chiedere di lei a casa, ma i genitori affermano che sia ancora in giro per gareggiare.»
Non sapevo cosa dire, ero sconvolta.
“Vai a prendere un maledetto aereo. Subito!” mi suggerì la Coscienza.
“Io con te non voglio aver a che fare. Lasciami pensare in pace” zittii la voce molesta nel mio cervello.
«Cosa hai intenzione di fare?» mi domandarono in coro.
«Niente…» li sorpresi «Non ho tempo per inseguire uno spettro. Lascerò che il destino faccia il proprio corso.»
Quando la notizia giunse alle orecchie della Fabray, lei prese il primo treno per la Grande Mela e venne per farmi una colossale paternale con il solo scopo di rispedirmi a Lima per affrontare la latina una volta per tutte.
Anche Blaine cercò di farmi tornare, ma io non mi lasciai convincere.
Però arrivarono le vacanze di primavera e non potei resistere ai dolci occhi di Ashley che mi supplicava di tornare a casa per passare un po’ di tempo insieme.
Il tragitto dall’aeroporto alla mia dimora lo trascorsi guardando fuori dal finestrino, cercando nel volto di ogni passante i magnetici occhi scuri che tanto mi mancavano.
«C’è una cosa che devi sapere» bisbigliò Ash non appena la rividi «Da qualche settimana c’è un’ombra che mi spia. Io l’ho detto a mamma e papà, ma non mi hanno creduto. Anche Lord Tubbington l’ha vista!»
Io cominciai a preoccuparmi: «Cosa vuol dire che ti spia?»
«L’ho notata, sta sotto la mia finestra e gira per il giardino… Ho paura si tratti della strega di “Biancaneve”…»
«Oh, Ash. Quante volte ti devo ripetere che il suo fantasma non verrà a tormentarti? Non potrebbe essere un’ombra buona?»
«Come quella di Peter Pan?»
«Esatto. Magari è l’ombra di Peter che ha deciso di fare una vacanza a Lima.»
«E mi porterà sull’Isola che non c’è?» mi chiese, sperando in una risposta affermativa.
«Solo se farai la brava.»
La storia del misterioso fantasma del giardino non mi convinceva per niente. Se qualcuno stava sul serio pedinando mia sorella io lo avrei scovato e gli avrei fatto assaggiare il mio temibile calcio rotante.
Preparai tutto per un appostamento come avevo visto fare in tanti film. Mi sistemai vicino alla finestra, mazza da baseball e spray urticante alla mano, e attesi. Ashley dormiva tranquilla e io non avevo ancora notato nulla di anormale, ma Lord T. si svegliò all’improvviso e lasciò la pila di coperte su cui riposava per venire a controllare fuori dal davanzale.
Se il mio gatto aveva sentito qualcosa, allora era il momento di agire.
Scesi le scale cercando di fare il meno rumore possibile, anche perché i miei mi avrebbero dato della pazza vedendomi girare per casa armata come accadeva solo nei peggiori film horror.
Sgusciai fuori dalla porta, pronta a svoltare a sinistra verso l’altro lato della casa, dove si trovavano la mia camera e quella di Ash, ma una figura mi afferrò il polso e mi portò una mano alla bocca per impedirmi di urlare.
«Pierce! Pierce, per l’amor del cielo» iniziò a sbraitare lo sconosciuto quando lo addentai «Sono Puck!»
Mi divincolai per poter manifestare appieno il mio shock. «Puck!? Che diavolo ci fai tu a spiare mia sorella!? Dovresti essere al campus!»
«Ho mollato… Mi annoiavo troppo» rispose facendo spallucce.
«Ma… Ma… Cosa ci fai qui, nel cuore della notte?»
«Niente di particolare… Facevo un giro e ho pensato di passare a salutarti.»
«Ma non ti sei fatto vivo per settimane! Ho persino iniziato a pensare che qualche strana confraternita ti avesse sacrificato al dio del Pi greco!»
«Beh, mi vergognavo un po’ a farvi sapere che ho lasciato il college. Voi altri adesso siete tutti un branco di super geni, mentre io sono solo… Me.»
«Oh, andiamo Noah» cercai di consolarlo «Non dire così, tu sei molto in gamba… Per esempio, questa mossa ninja che hai usato per bloccarmi, potrebbe essere un ottimo spunto da cui partire. Hai mai pensato di fare il maestro di arti marziali o qualcosa del genere?»
Lui ridacchiò, poi tornò serio. «Ho fatto richiesta per l’accademia militare. So che dovrò rasarmi la cresta, ma è un’alternativa migliore che un futuro da teppista criminale. Voglio mettere la testa a posto.»
«E da quando sei diventato così saggio?» domandai con una punta di ironia.
«Da quando una sconosciuta è entrata nella mia vita e mi ha aiutato a capire che la vita non va sprecata. Ho passato la mia adolescenza a combinare un disastro dietro l’altro. Mi ci vuole disciplina e l’esercito mi aiuterà in quello. Mi renderà un uomo migliore.»
«Puck…» mormorai abbracciandolo «Tu sei già un uomo fantastico.»
«Allora perché non vieni a letto con me?»
Gli tirai uno dei miei soliti scappellotti. «Forse un po’ di autocontrollo non ti farebbe così male…»
Ad un tratto notai che stava fissando un punto alle mie spalle, così mi voltai e potei scorgere un’ombra che compariva da dietro la casa.
«Ma cosa!?» gridai preoccupata.
«Calma» disse l’ebreo, riacciuffandomi «Abbiamo orchestrato tutto. Devi restare qui ancora qualche secondo.»
Spalancai la bocca, cercando di ottenere spiegazioni, quando udii il chiaro suono di una finestra che veniva chiusa.
«Che cosa avete combinato? E soprattutto, perché hai parlato al plurale?»
«Tua sorella sa mantenere bene i segreti…» rispose enigmatico.
«Pretendo una spiegazione!»
«L’avrai, a suo tempo. Ora è meglio che tu vada, non vorrei mai che fosse successo qualcosa mentre eri qui fuori…»
«Noah, io…» tentai di dire qualcosa, ma mi resi conto di avere il cervello completamente vuoto.
«Non c’è di che» disse, per poi allontanarsi verso la sua auto, parcheggiata dall’altro lato del viale.
Mi precipitai in camera, ben sapendo che doveva essere successo qualcosa.
Spalancai la porta e la vidi: una lucida tavola da surf bianca, decorata in rosso, appoggiata accanto alla finestra. Notai subito il biglietto che vi era attaccato.
Mi dispiace.
Di nuovo.
Travolta dalle emozioni, mi fiondai in camera di mia sorella, per estorcerle ogni cosa.
«Parla, demonietto» la apostrofai «Che cosa avete fatto?»
Lei mi sorrise «Ho solo fatto quello che avrebbe fatto un valido aiutante. Quando alla fine del film l’eroe si trova da solo, lontano dal suo vero amore, c’è bisogno che qualcuno lo aiuti a sconfiggere il cattivo e a ritrovare la strada.»
«Non c’è tempo per le metafore! Puck cosa ti ha detto di fare?»
«Ha detto che dovevo dirti della strana ombra» mi spiegò «Allora tu avresti voluto controllare e saresti uscita. Lui ti avrebbe distratto così io avrei potuto aprire la finestra per far salire Valerie.»
«Valerie?» domandai.
«Sì, la ragazza con la tavola. Ha piazzato la scala sotto la finestra e si è arrampicata in fretta lasciando lì il surf. Poi io dovevo richiudere la finestra e tornare a letto.»
Non sapevo come prenderla. Quello era il piano più assurdo, stupido e al contempo meglio orchestrato e più geniale che io avessi mai sentito.
«Ora dovresti andare, è il momento in cui va in scena il lieto fine e non puoi permetterti di perderlo» concluse, decisa a tornare a dormire.
«Grazie, Ash» dissi con le lacrime agli occhi «Ti voglio talmente bene da non sapere come dirlo…»
«Vai BriBri» mi rimproverò «O non avrò fatto bene il mio lavoro.»
Corsi in camera e posai lo sguardo su Valerie. Non capivo cosa significasse esattamente quel gesto, ma era una prova. Santana era tornata ed era stata lì.
Cercai di capire dove avrei potuto trovarla.
“Ma è ovvio, no?” fece capolino la consueta voce “Tu stavi parlando con Puck e hai visto quell’ombra, poi lui è andato via in macchina, nel cui bagagliaio, guarda caso, avrebbe potuto trasportare una tavola da surf. Come se non bastasse, tua sorella ti dice che una ragazza è stata lì e tutto era organizzato da Noah! Non credo ci voglia una laurea per capire quale sia la tua prossima meta.”
Avrei voluto prendermi a pugni per essere stata tanto stupida.
Mi infilai le prime cose che trovai nell’armadio e in un lampo mi ritrovai in sella alla mia motocicletta.
Il viaggio fu breve, viste le strade vuote e la velocità folle a cui guidai per arrivare a casa Puckerman.
Trovai il Mohawk ad attendermi sulla soglia e gli rivolsi un’unica frase: «Non avevi bisogno che piombasse una sconosciuta nella tua vita per trovare la strada verso il tuo futuro felice.»
«Forse è vero, io non ne avevo bisogno» ammise con il più sincero dei sorrisi «Ma tu sì.»
Mi lasciò entrare ed io, cercando di non fare troppo rumore, mi diressi verso camera sua, dove tante volte mi ero rintanata per ore ed ore per dimenticare me stessa e il mondo fuori, perdendomi nei suoi allucinanti videogame.
Socchiusi la porta. Una figura si stagliava contro la luce dei lampioni che entrava dalla finestra.
Prima che potessi realizzare cosa stesse accadendo, cominciò a cantare.
Just give me a reason
Just a little bit’s enough
Just a second we’re not broken, just bent
And we can learn to love again
It’s in the stars
It’s been written in the scars on our hearts
That we’re not broken, just bent
And we can learn to love again
Era il ritornello di una canzone famosa che non riuscivo a ricordare. Lo mormorava appena, quel tanto che bastava perché potessi comprenderne le parole.
«Sapevo che saresti venuta» mi disse, dopo aver interrotto il canto.
«Sai che questa è la frase più cliché che potessi dire?» commentai.
«Lo so, ma non sapevo che altro inventarmi.»
Ero paralizzata. Non capivo il senso di tutto ciò. Ero confusa come non mai, persa tra il ricordo dei momenti belli e l’amarezza dell’abbandono.
«Cosa vuoi?» articolai, cercando di riconnettere qualche neurone.
«Voglio solo parlarti, voglio che tu mi dia modo di spiegare, poi, se vuoi, sparirò per sempre.»
«La prima volta non ti sei fatta molti scrupoli…»
«Britt» mormorò dolcemente «Mi dispiace. So di avertelo già detto…»
«Scritto» ci tenni a puntualizzare.
«Sì, scritto… Ma non era certo abbastanza.»
«Su questo siamo d’accordo.»
«Ti supplico, lasciami parlare…»
«No» risposi. Quella sillaba non uscì di mia spontanea volontà, come non fui certo io a comandare al mio corpo di gettarsi addosso alla latina. «Adesso non voglio parlare, voglio solo stringerti forte e sentirmi dire che resterai con me.»
Santana mi cinse con le braccia e mi sussurrò all’orecchio: «“Sempre”»

NdA: e, con la più nota citazione potteriana possibile, si conclude anche questo capitolo. Mi piange il cuore all'idea che ne manchi solo più uno, non sono pronta a lasciar andare questa storia... Ma non voglio dilungarmi, mi sfogherò la prossima volta (ebbene sì, non scamperete ai miei deliri). Senza perdere altro tempo, passo ai ringraziamenti: a wislava, strapelot, HeYa Shipper e Fyo per le recensioni, grazie a chi ha aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite e grazie a chiunque abbia letto, pur rimamendo nell'anomimato. In attesa di domenica (tanto per farmi un po' di pubblicità) se avete tempo e voglia passate a dare un'occhiata al primo capitolo della mia nuova ff, ovviamente Brittana, Faking, se no, vi rinnovo i miei ringraziamenti e vi aspetto per l'ultimo aggiornamento. A presto.

 

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Capitolo 13
*** Valerie ***


                                                                                          Brittany                            
To you, if you have stuck with Harry until the very end.
 

 
CAPITOLO XIII: Valerie
 
Restammo in silenzio per tutta la notte, ascoltando l’una il respiro dell’altra. Eravamo rannicchiate sul letto di Puck, ancora strette nell’abbraccio, quando mi risvegliai.
«Sei qui» bisbigliai, vedendola sveglia.
«Perché, avevi qualche dubbio?» domandò con un sorriso.
«Onestamente sì. Non avevo solide basi su cui poggiare la mia fiducia.»
«La smetterai mai con i commenti acidi?» mi chiese lanciandomi uno sguardo di rimprovero.
«Solo dopo che mi avrai spiegato perché te ne sei andata così, nonostante mi avessi promesso di non dirmi addio.»
«Se vuoi» disse stringendomi più forte «Ora ho tempo di raccontarti la storia.»
«Puoi provarci, ma non credere che ti sarà così facile sistemare tutto» commentai «Ci vorrà ben più di qualche spiegazione e una canzone per farmi tornare da te.»
«Lasciami cominciare…»
«Puoi saltare la parte della sportiva sabotatrice e super competitiva, Quinn me ne ha già parlato. Ah, anche del tuo “voglio una storia seria, ne ho abbastanza di spezzare cuori a destra e a manca”.»
Santana boccheggiò.
«Direi che puoi partire dal momento in cui mi hai cantato quella canzone, quella con l’arpeggio.»
«Intendi “Mine”?»
«Sì, quella. Quando hai finito di cantarla, ho notato qualcosa nei tuoi occhi, qualcosa di nuovo che tu cercavi di sopprimere. Voglio che inizi da lì.»
«Mi spiace, ma dovrò cominciare da molto prima» mi informò «Dal momento in cui, mentre facevo in pace un po’ di surf, ho visto due turiste spaesate cercare di ricavare informazioni da un povero negoziante. Mi sono avvicinata per aiutarle e ho subito riconosciuto una mia collega del comitato sportivo.»
«Hai capito chi fosse Quinn?»
«Una faccia da Barbie come la sua raramente la si dimentica. Comunque, scoprii che alloggiavano nel mio stesso complesso e vidi subito un’occasione per provare a conquistare qualche altra fanciulla ingenua. Non potevo essere più in errore. Dopo appena una sera passata a flirtare con lei ne ero già presa irrimediabilmente, come mai mi era capitato prima.»
«Quante lusinghe…»
Lei mi guardò storto, poi riprese: «Ho continuato a giocare col fuoco, certa di poter ritirare la mano prima di bruciarmi. Quando ho trovato la forza di confessare a me stessa che mi ero innamorata, ormai eravamo andate troppo oltre e ho reagito nella maniera più semplice: ho voluto sopprimere tutto e sono scappata.»
«Quella parte me la ricordo bene.»
«Le ho lasciato un messaggio, un bigliettino anonimo e crudele ancorato alla prima cosa che mi è capitata sotto gli occhi, volevo che sapesse dove stavo andando, nel caso decidesse di cercarmi.»
«Mi hai lasciato il trofeo perché inconsapevolmente volevi che ti seguissi lungo tutte le coste del mondo?»
Non mi rispose direttamente, ma continuò il suo racconto. «Mi sono pentita di quella scelta nell’istante in cui ho ripensato ai suoi occhi, così puri, sinceri, pieni di speranza e fiducia, fiducia che avevo tradito per codardia. Ho scelto di tornare indietro, di provare a salvare il salvabile, ma quando ho incrociato il suo sguardo vi ho letto solo odio e dolore. Le sue iridi, che fino ad allora ricordavo limpide come il cielo d’estate, si erano velate di nubi di disprezzo, che mi hanno spinto di nuovo verso il piano originale. Sono partita, lasciandomi tutto alle spalle. Ho vissuto godendomi la libertà che avevo desiderato per una vita intera, cercando la pace tra le onde che per me erano sempre state come una seconda casa. Avevo tutto ciò che desideravo: notorietà, soldi, la possibilità di vedere il mondo, ma c’era qualcosa che mi mancava. Ho cominciato ad essere distratta e assente, neppure la tavola da surf riusciva a colmare il vuoto che si stava facendo largo nel mio cuore.»
«San…» mormorai.
«Sono tornata indietro ancora una volta, anche se la verità è che non me ne sarei mai dovuta andare. Ho rinunciato ad un sogno che non era più mio, ma quello di una bambina spaventata che si sentiva in colpa nei confronti della sua mentore. Avevo scelto la via della tavola perché mi ricordava mia nonna, eppure ogni giorno avevo tradito la sua memoria ignorando il suo più importante insegnamento: “seguire sempre il cuore”. Sono tornata indietro perché dovevo una spiegazione a quella ragazza, volevo che sapesse tutta la verità, che avesse la possibilità di picchiarmi ed insultarmi di persona. La donna che sono diventata aveva trovato un nuovo sogno.»
«Stai cercando di dirmi qualcosa?»
«So quanto apprezzerai questa citazione: “tu sei il mio nuovo sogno”. E so che sei andata avanti con la tua vita, ora stai a New York e magari hai già trovato un’altra e non ti importa più nulla di me…»
Scossi leggermente la testa. «Sei proprio una pessima bugiarda. Scommetto che ti sei fatta dire ogni cosa da Puck, sai benissimo che non c’è nessun’altra e che ci tengo ancora a te.»
L’ispanica ridacchiò.
«Quindi mi hai lasciato Valerie perché…?» ripresi.
«Per dimostrarti le mie intenzioni. Il surf d’ora in poi sarà per me un bel passatempo da fare nelle giornate d’estate mentre tu starai spaparanza a guardarmi da sotto l’ombrellone.»
«Sei sicura di resistere al richiamo dell’oceano?»
«Ho cercato le risposte della vita in tutti i mari conosciuti, ma la verità è che l’unico mare di cui avevo bisogno era quello nei tuoi occhi» mi rispose dolcemente.
«E questa frase da quale commedia romantica l’hai rubata?»
«Da nessuna» mi assicurò «È tutta farina del mio sacco!»
«Sei molto dolce San, ma non penso che basti… Mi hai davvero spezzato il cuore e non so se rivederti una volta ogni tanto basterà per recuperare quello che abbiamo perso.»
«Ho fatto domanda a Yale. Il prossimo anno inizierò a studiare legge per diventare avvocato, perché in fondo se c’è una cosa in cui me la cavo, oltre domare le onde, è dimostrare agli altri che ho ragione. Dunque, quando tu sarai a NY, io sarò abbastanza vicina.»
«Andrai a studiare a Yale?» chiesi sorpresa.
«Già, spero che a Quinn non dispiaccia avermi tra i piedi.»
«E cosa fari fino a Settembre?»
«Beh, pensavo di recuperare con lo studio, seguendo qualche corso come uditrice e preparando un paio di esami per conto mio.»
«Ma fai sul serio? Non scomparirai all’improvviso dopo avermi cantato una canzoncina?» la rimbeccai ancora.
«Forse le cose sarebbero andate diversamente se tu avessi tenuto la bocca chiusa dopo la mia ninnananna» disse, sciogliendosi dall’abbraccio.
«Oh… Quello…» borbottai colta dall’imbarazzo.
«Senti, Britt, abbiamo perso tanti mesi e me ne accollo la responsabilità, ma devi ammettere che la tua frase avrebbe allontanato chiunque dopo appena due settimane.»
«Ma era quello che sentivo in quel momento» mi difesi.
«Lo so e la cosa peggiore è che avrei tanto voluto trovare il coraggio di darti la risposta che volevi, ma…»
«La paura ha avuto la meglio, l’ho capito. In fondo, forse, è stato meglio così…»
«Quindi è tutto risolto?» domandò speranzosa.
«Non ho detto questo. Dovrai riconquistarti la mia fiducia» la stuzzicai.
«È proprio quello che desidero. Avrò la possibilità di innamorarmi di te, di nuovo.»
«Posso riprendere possesso della mia stanza?» ci interruppe una voce «Devo bruciare solo le lenzuola o vi siete date da fare anche altrove?»
«Sei il solito porco, Spazzolone» gli rispose Santana.
«Hai ben poco da offendere, signorinella. Per caso ti sei dimenticata chi ti ha ospitato per le ultime tre settimane?»
«Chiedo venia, messere, ma la vostra carenza di tatto mi ha portato a sragionare» replicò.
«Così va meglio… Spero comunque che abbiate chiarito, almeno in parte.»
«Per ora» dissi alzandomi «Io so solo che c’è un’affascinante ispanica in città che uno di questi giorni potrebbe invitarmi ad uscire…»
Gli occhi di San brillarono e il suo viso fu invaso da un sorriso luminoso.
«Ho sempre saputo che tra voi due sarebbe finita così» ci confidò l’ebreo «Non sono un esperto di lieti fini, ma su di voi scommetterei ancora cento volte.»
 
Da quel giorno la mia vita cambiò ancora una volta. Io e Santana recuperammo a poco a poco il nostro rapporto, ricominciando da zero per la seconda volta. Gli altri furono molto contenti della cosa e il gruppo fu finalmente riunito.
Quando tornai a New York per la fine del semestre, la latina seguì Quinn a Yale per “familiarizzare con l’ambiente”, ma la verità era che poteva trovare qualsiasi patetica scusa per venire a trovarmi. Per quanto mi fossi imposta di fare la preziosa, dopo un mese di corteggiamento cedetti alle sue avances e tornai ad avere un ragazza.
Il nostro rapporto andò sempre più rafforzandosi, vivemmo tante nuove esperienze insieme e raggiungemmo tanti traguardi, sempre fianco a fianco. Affrontammo anche momenti difficili, crisi e litigi, trovando comunque la forza di superare tutto.
Non scorderò mai il suo primo “ti amo” sussurrato un pomeriggio, mentre guardavamo l’ennesimo film fantasy sul divano. Mi aveva colto alla sprovvista, come solo lei poteva fare e quella volta la risposta non era stato un ingombrante silenzio, ma la mia risposta gemella seguita da caldi baci appassionati.
Il tempo sembrò volare via come i fogli da un calendario.
Santana andò a Yale, Sam si dedicò interamente al surf e Blaine si trasferì con noi a New York per studiare letteratura. Perdemmo tutti un po’ i contatti con Puck, impegnato a diventare un soldato modello, mentre Finn proseguiva gli studi per diventare insegnante.
Diventammo adulti in un lampo, quasi non me ne resi conto.
Io ottenni la mia laurea alla Julliard, così come Quinn e San ottennero le loro a Yale, Rachel e Kurt alla NYADA e Blaine alla NYU. Finn divenne insegnante, come tutti ci aspettavamo, e, dopo un lungo periodo come supplente, riuscì ad ottenere il posto che gli spettava di diritto: quello di professore al McKinley.
Hummel e la Berry, falliti i loro sogni di Broadway, tornarono con me a Lima, dove aprimmo una scuola di danza e canto coreografato. Non era un business molto redditizio, ma serviva a rendermi felice. Santana, ovviamente, tornò in Ohio con me, facendosi assumere dallo studio legale affiliato con l’ospedale in cui operava suo padre. Anche Quinn rientrò all’ovile dopo l’esperienza del college, saltando dalla direzione di una ditta ad un’altra, fino ad ottenere un posto di prestigio che le avrebbe garantito un’ottima rendita.
Anderson trovò posto nella redazione di un giornale newyorkese, ma, non riuscendo a stare lontano da Kurt, dopo appena un anno decise di ricongiungersi a noi altri a Lima.
Di Sam venimmo a sapere che durante una gara era stato notato da un regista in cerca di volti nuovi per la televisione e così aveva finito per fare l’attore.
Noah aveva continuato a fare carriera nell’esercito e non mancava mai di fare ogni tanto un salto a casa per salutare.
Cercammo di mantenere viva la famosa Bella Notte, per avere un’occasione di rincontrarci per chiacchierare e darci all’alcool.
Cinque anni dopo la fatidica estate arrivò la notizia che tutti aspettavamo: Rachel e Finn avevano deciso di fare il grande passo. Purtroppo la loro non si rivelò la gioiosa scelta sperata. Litigarono spesso, portando il loro rapporto a sfidare i limiti dell’impossibile. Dopo mesi di difficile convivenza, Rach decise di ritentare fortuna nella Grande Mela, riuscendo, questa volta, a farsi notare e ad ottenere qualche ruolo di spicco. Grazie alla lontananza, la relazione con il marito migliorò incredibilmente, riportandoli ad uno stato di quiete.
A meno di un anno di distanza anche Kurt e Blaine intrapresero la via coniugale, con i migliori auguri di tutti noi.
Un’altra sconvolgente notizia arrivò il giorno del Ringraziamento dell’anno successivo. Eravamo stati invitati tutti a cena in casa Fabray. Sam era riuscito a sfuggire al set della serie tv che stava girando, Blaine, che lavorava in ufficio di giorno e faceva lo scrittore di notte, e il marito avevano rinunciato ad un viaggio in Australia per poter essere presenti. Santana ed io non potevamo, ovviamente, mancare. Rachel e Finn, che in quel periodo erano ai ferri corti, avevano comunque voluto presenziare. Nessuno di noi si sarebbe perso quel momento epico per nulla al mondo.
Eravamo ormai seduti a tavola, quando suonò il campanello.
La padrona di casa fece per andare ad aprire, ma io la fermai.
«Non preoccuparti, Q. Vado io.»
Mi diressi all’entrata e feci spazio per l’ultimo arrivato.
Non ci diede neppure il tempo di salutarlo. Puck si gettò ai piedi di Quinn con una scatolina di velluto in mano.
«Quinn» esordì «So che abbiamo ripreso a frequentarci da pochi mesi, dopo non esserci praticamente mai visti nel corso di questi sei anni. So anche che tu sei stata sul punto di fare questa stupidata altre due volte, ma all’ultimo momento hai rinunciato, piantando in asso persone migliori di me, ma io non posso vivere senza chiedertelo.»
La bionda non ebbe neppure tempo di aprire bocca che l’ebreo fece la fatidica domanda: «Quinn Lucille Fabray, vuoi concedermi l’onore di provare a portarti all’altare prima che tu fugga?»
Noi altri ci sciogliemmo in mille moine mentre lei, tra le lacrime, sussurrava un “sì”. La loro era certamente stata la storia più travagliata, ma proprio per questo ero certa che ce l’avrebbero fatta. Alla fine, nelle altre relazioni avute negli anni, non avevano fatto altro che cercare l’uno il ricordo dell’altra, quindi quello era l’unico finale possibile.
Si sposarono in Giugno e organizzarono il viaggio di nozze in Spagna per il mese successivo, invitandoci ad accompagnarli, per rievocare quello che era accaduto la bellezza di sette anni prima.
Provammo a prenotare al Kursaal Hotel, ma scoprimmo, con estremo cordoglio, che aveva dovuto chiudere, così ripiegammo su un’alternativa non altrettanto evocativa.
«E pensare che, ancora una volta, festeggeremo nella città con il nome di un tuo ex» si lamentò Kurt.
«Quante volte dovrò ripeterti che io e Sebastian non siamo stati insieme?» gli rispose il marito.
«Signori» intervenne Sam, con la sua solita flemma «Non vorrete rovinare il momento speciale dei nostri amici! Vedete di comportarvi bene. E comunque io sono l’unico in diritto di muovere lamentele, visto che siete tutti accoppiati e io sono da solo.»
«E osi protestare?» si intromise Noah «Sbaglio o ci sono un mucchio di ragazzine che sbavano dietro al tuo personaggio di surfista?»
«Ancora mi devi spiegare come uno scarsone come te sia riuscito ad ottenere un simile ruolo» brontolò Santana «Ci sono atleti migliori e attori più belli di te.»
«Stai per caso insinuando che una bella ispanica dai capelli neri e le forme provocanti sarebbe una scelta più furba?» la punzecchiò il biondo.
«Senza dubbio» rispose lei con uno sbuffo.
La vacanza sarebbe durata una settimana e avevamo fatto in modo che la Bella Notte cadesse proprio in quel lasso di tempo, ma lo realizzai quando ormai il piano era stato pensato e messo in atto.
Come potevo sapere che San e Puck non avrebbero rinunciato alle loro macchinazioni neppure in quell’occasione?
Mi svegliai la sera del 10 Luglio dopo un prolungato pisolino pomeridiano, trovando, con somma disapprovazione, l’altro lato del letto vuoto. Quando vidi il biglietto sul comodino rischiai l’infarto, certa che avesse deciso di scappare un’altra volta.
Vieni a fare merenda.
Lo trovai strano come messaggio, perché quella non era certo l’ora più idonea per uno spuntino. Scesi nella hall dell’albergo facendomi indicare il locale per i pasti, ma lo trovai deserto. Provai a bussare alle camere degli altri, ma un inserviente mi disse che “i signori erano tutti usciti”, senza lasciare detto nulla per la sottoscritta.
Ero contrariata, non era stata solo Santana ad abbandonarmi, bensì l’intera compagnia!
Cercai di spremere le meningi e ancora una volta venne in mio aiuto la saccente voce della mia Coscienza. “Non puoi davvero essere così ingenua! Forza Brittany, pensa… Dove potresti trovare uno spuntino con un valore simbolico?”
“Stai per caso facendo riferimento ai churros? Dici che devo andare in spiaggia a quel maledetto chiosco?”
“Ovvio!”
Mi diressi fuori di buon passo, senza quasi rendermi conto della lieve pioggia che cadeva. Quella non era cambiata. Tempo di arrivare in spiaggia e si era trasformata in un vero e proprio acquazzone.
La baia era disabitata, come la prima volta che l’avevo vista. Mi sorpresi nel vedere il baracchino dei dolci ancora aperto, nonostante i sette anni trascorsi.
Mi avvicinai e notai che l’uomo dietro al bancone non era lo stesso, ma aveva comunque un’aria familiare.
«Cominciavo a pensare che non saresti arrivata» mi apostrofò, levando il viso così che lo potessi osservare: Noah Puckerman con un paio di finti baffi e un ridicolo accento spagnolo mi fissava con aria eloquente.
«Puck, ma che diavolo succede?» cercai di capire.
«Vedrai che a tempo debito capirai… Anche se sei sempre stata dura di comprendonio.»
«Noah, sta diluviando! Non ho tempo per i giochetti! Mi prenderò una polmonite!» sbottai.
«Non fare la guastafeste come Schuester…» cominciò l’ebreo.
«Non tirare in ballo Mr. Schue!» scattò Finn, comparendo alle spalle dell’amico «Potrà anche essere esasperante a volte e un pelino soporifero, ma è pur sempre il professore migliore mai avuto al McKinley» concluse come ogni volta, aggiungendo: «Ultimamente ho sentito un mio studente dire una frase simile con “Mr. Hudson”, direi che ho fatto bene il mio lavoro.»
«Questo ancora non spiega il perché siete qui, travestiti da vendi-churros» commentai.
«Su, non hai capito che questo è un altro dei miei brillanti piani? Solo che questa volta ho fatto le cose più in grande» mi spiegò Puck.
«E adesso cosa dovrei fare secondo il tuo ingegnoso programma?»
«Credo sia ora di cena, non ti pare? Vogliamo andare?» mi disse Noah, prendendomi sottobraccio.
Così, tutti e tre ci dirigemmo verso un luogo che ben conoscevo.
«Come può essere aperto dopo tutto questo tempo?» chiesi quando arrivammo davanti al “Bar Alex”.
«La guida lo diceva che era il posto migliore dove mangiare i pintxos, non lo avrebbero mai chiuso» mi sorprese la voce di Rachel.
«Allora, entriamo a mangiare?» si aggiunse la Fabray.
«Certo e vediamo di muoverci, se no non staremo nei tempi» concluse suo marito, spingendoci tutti dentro il ristorante.
Nonostante gli anni passati, il cibo era rimasto eccellente, anche se mi mancò il cameriere sorridente e il simpatico cuoco, ma non potevo certo aspettarmi che fossero ancora lì.
Concluso il pasto, immaginai quale potesse essere la nostra meta successiva.
“La oca loca” aveva cambiato nome in “La vida loca”, nome decisamente meno originale, ma era rimasto un locale karaoke. Là, come la prima sera in Spagna, trovai il trio maschile del Morgenstern.
«Qualcuno mi spiega qual è il senso di tutto questo?» domandai esasperata.
«Su, non lo hai ancora capito?» mi disse Blaine «Mi sembri tonta come Ron!»
«Miseriaccia» risposi «Non ti permetto di offendermi così… Se mi aveste fornito una pista di ragni o di farfalle magari ci sarei arrivata.»
«Lasciamola ancora nella sua ignoranza e portiamola all’ultima tappa, perché da sola non ci arriverebbe mai» sbuffò sconfortato Finn.
Mi trascinarono fino ad un furgone, come quello del Babbo Natale spagnolo che ci aveva salvato dal restare bloccati al lunapark del Monte Igueldo.
«Oh, no…» cominciai a realizzare quando mi fu chiara la nostra meta.
«Evviva!» esultarono tutti in coro, poi iniziarono ad intonare l’inno della giornata.
Oh, this is the night, it’s a beautiful night
And we call it Bella Notte
Look at the skies, they have stars in their eyes
On this lovely Bella Notte
Entrai praticamente in trance, sopraffatta da quello che sapevo sarebbe accaduto da lì a poco. I miei amici mi scarrozzarono fino al piazzale sulla cima del monte, invitandomi ad andare al punto panoramico.
Camminai con calma, come avevo fatto la prima volta, senza neppure rendermi conto che le nuvole e la pioggia avevano ceduto il posto a stralci di limpido cielo stellato.
Lei era lì, nello stesso punto dove avevamo scambiato il primo vero bacio e dove poi mi aveva chiesto di essere la sua ragazza. Conservavo ancora quel ciondolo, riposto al sicuro in cassaforte vicino ai gioielli di famiglia.
«Questo è un po’ il nostro posto speciale» mi disse, fissando l’oceano «Ogni volta che siamo qui i problemi e le incomprensioni sembrano annegare tra le onde, lasciandoci libere di essere davvero felici.»
Mi portai al suo fianco, lasciando vagare lo sguardo tra i flutti. «È per questo che hai scelto questo luogo e questo momento?» domandai, pur sapendo la risposta.
«Mi concedi di dedicarti una canzone?» mi sorprese.
«Purchè tu non lo faccia per lasciarmi…»
Ridacchiò, prima di cominciare a cantare.
For you, there’ll be no more crying
For you, the sun will be shining
And I feel that when I’m with you
It’s alright, I know it’s right
And the songbirds are singing
Like they know the score
And I love, I love you, I love you
Like never before
And I wish you all the love in the world
But most of all, I wish it from myself
And the songbirds keep singing
Like they know the score
And I love you, I love you, I love you
Like never before, like never before
Like never before
«Questa mi piace decisamente più di “Mine”» commentai, cercando i suoi occhi.
«Britt» disse fissandomi con le sue bellissime iridi scure «A volte neppure con il canto sono in grado di esprimere tutto l’amore che provo per te, ma forse non è con le parole che dovrei provare a spiegarmi.»
Si inginocchiò e come ogni volta, nonostante in quel caso avessi capito benissimo cosa aveva intenzione di fare, il mio cuore mancò un battito per la sorpresa.
«Brittany, sei stata tanto coraggiosa da sopportarmi per sette lunghi anni, con alti e bassi, certo, ma non hai mai provato a fuggire. Tu mi infondi coraggio, mi doni speranza e ogni volta che mi permetti di amarti mi sembra di ricevere il più bello dei regali possibili. Perdermi nei tuoi occhi mi fa dimenticare ogni problema e ogni preoccupazione, perché finché ti avrò al mio fianco sono certa che tutto si sistemerà.»
Sentii le lacrime pungermi agli angoli degli occhi.
«Per questi e mille altri motivi non posso più aspettare, per cui riprenderò la formula più classica: Brittany Susan Pierce» continuò porgendomi una scatolina «Vuoi diventare mia moglie?»
Quello fu un altro dei momenti in cui il mio cervello si scollegò completamente. «Sì, Santana, è tutto quello che ho sempre desiderato» urlai, gettandomi su di lei.
Rotolammo a terra e la strinsi forte.
«Britt, per le mutande di Merlino! Mi hai fatto cadere l’anello!» gridò preoccupata.
Passammo i successivi dieci minuti a cercare il sacro gioiello e quando finalmente me lo mise al dito potei riprendere quello che l’allarme aveva interrotto.
La baciai come se fosse ancora la prima volta.
Non potevo credere a quanto fossi fortunata. Lei mi aveva appena chiesto di essere sua per sempre e io non potevo desiderare nulla di più, perché lei era perfetta, migliore di qualsiasi fantasia. Era reale.
Ed era mia, mia soltanto.
 
***
 
«E questa» concludo con la mia consueta enfasi «È la storia di come ho conosciuto tua madre e di come abbiamo affrontato la vita insieme.»
Uno, due, tre.
Conto sempre i secondi che lascia passare prima di rispondermi, sempre con la stessa frase.
«Questa è la storia di come mi abbiate dato il nome di una tavola surf» borbotta la bambina sotto le coperte, mettendo un adorabile broncio.
«Sai bene che è molto più di questo» la riprendo, addolcendo le parole con un sorriso.
«Ma, mami…» prova a lamentarsi ancora.
«Valerie Luna Lopez-Pierce» la interrompe una voce dalla stanza vicina «Quante volte ti abbiamo detto che, finita la storia della buonanotte, devi chiudere gli occhi e dormire?»
«Mamma San, io però non ho ancora sonno!» contesta la piccola.
La latina fa la sua entrata con estrema grazia. Nonostante il passare del tempo continua ad essere bellissima come il giorno in cui l’ho incontrata.
«Allora, possiamo trovare un compromesso» dice, sedendosi al mio fianco a bordo del letto «Ti canto una ninnananna, ma poi prometti di fare la brava, d’accordo?»
Val annuisce e Santana inizia a cantare. Dopo pochi minuti, la bimba crolla addormentata.
Io prendo mia moglie per mano ed insieme andiamo in camera nostra. Mi sdraio al suo fianco e abbandono la testa sul suo petto.
«Mi piace la melodia che hai scelto oggi» le dico, socchiudendo le palpebre «Era molto dolce.»
«Ti piace di più della tua ninnananna spagnola?» mi domanda, passandomi le dita tra i capelli.
«No, certo che no. Quella è speciale ed è solo mia, proprio come lo sei tu.»
Chiudo gli occhi e mi lascio cullare dalla sua voce, che, come ogni notte, intona la nostra canzone, quella che fa vibrare all’unisono le nostre anime. Sento rimbombare le note nel suo petto ed ognuna sembra racchiudere in sé un pezzo della nostra storia, un pezzo di noi.
«San» la interrompo «Ti stancherai mai di cantarmela?»
Ma lei non mi risponde. Mi prende la mano e la poggia sul proprio cuore.
«Lo senti?» mormora «Lui batte al ritmo di quella canzone. Come potrei stancarmi di vivere?»
Sollevo la testa per posarle un bacio sulle labbra, prima che riprenda a cantare.
Mi abbandono di nuovo sul suo corpo, con la certezza di svegliarmi il mattino seguente per vivere il migliore dei sogni possibili: la vita a ritmo della nostra ninnananna spagnola.
 
THE END
 
 
NdA: queste due ultime sillabe mi sono costate molta più fatica che non lo scrivere le altre 50.555 parole che hanno composto l’intera avventura. Non avrei mai pensato che una storia, cominciata per noia mentre me ne stavo spaparanzata in albergo a Donostia ascoltando canzoni di Glee (La Isla Bonita ha fornito il titolo, ovviamente) nell’attesa che smettesse di piovere, potesse portarmi a questo. Eppure l’ha fatto. Ma un simile delirio non avrebbe avuto senso senza di voi, che tanto pazientemente (e forse coraggiosamente) avete deciso di dedicargli il vostro tempo e per questo non potrò mai esservi grata abbastanza. Non posso mancare di ringraziare personalmente i recensori dello scorso capitolo: wislava, strapelot, MartaDelo, WankyHastings e Shane_666, ricordando, però, anche tutti coloro che hanno recensito i capitoli precedenti. Vorrei elencare uno per uno coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite/ricordate ma, anche se non lo farò, vi basti sapere che sono grata con tutto il cuore ad ognuno, così come lo sono nei confronti di ogni singolo lettore. Passerei ore ed ore a scrivervi quanto ho apprezzato il vostro supporto e continuerei blaterando anche di altro, pur di ritardare l’inevitabile addio. Sono talmente attaccata a questa storia che vi fornirò persino false speranze, in quanto ho sulla “lista di cose da fare” una raccolta di one-shots con missing moments e altri piccoli episodi legati a questa vicenda, ma ancora non so quando (o se) arriveranno. Per rimanere aggiornati potete fare un salto alla mia neo-creata pagina Facebook, il cui link trovate qui, o, se vi va di leggere qualcos'altro di mio, qui trovate il primo capitolo della mia nuova ff di Glee, Faking (naturalmente Brittana).
Adesso credo sia davvero giunto il momento di congedarmi, da voi e da Your Spanish Lullaby, nella speranza che questa ninnananna spagnola rimanga nei vostri cuori così come rimarrà nel mio.
GirlWithChakram

 

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