The Stage Of Love

di Giorgia Alfonso
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** INTRO + CAPITOLO 1° ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2° & 3° ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 4° & 5° ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 6° & 7° ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 8° & 9° ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 10° & 11° ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 12° & 13° ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 14° & 15° ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 16° & 17° ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 18° & 19° ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 20° ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 21° ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 22° ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 23° ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 24° ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO 25° ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO 26° ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO 27° ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO 28° 29° ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO 30° 31° 32° 33° 34° Epilogo ***



Capitolo 1
*** INTRO + CAPITOLO 1° ***




The Stage of Love




 
 
 
 

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Avete mai provato a mantenere una relazione a distanza?
Se sì, confermerete con il fatto che non sia una cosa facile … per niente. Forse all’inizio, quando l’amore è ancora blando, spensieratamente superficiale, combattere questa battaglia può rivelarsi anche semplice. Subito non sembra complicata, ma  lo è. Fidatevi. 
Lontano dagli occhi lontano dal cuore. Non pensiate che sia solo un detto insignificante, facilmente raggirabile. Qualcuno riesce nell’impresa, ma per quanto tempo? Non si può vivere un amore a distanza per sempre, logico. In qualche modo le strade si devono accorciare e, se non avviene in breve tempo, … si spera e prega che tutto prima o poi migliori.

Se c’è amore c’è speranza. Vero!                                                                        

Con l’amore si affronta ogni ostacolo. Ancora vero, ma non sempre si riesce a superarli. Le cose non potranno mai cambiare in meglio se entrambe le fazioni non fanno la loro parte.
A volte aggrapparsi alle spalle del partner diviene la cosa più normale da fare, ma quasi mai è la cosa giusta. E’ meglio aggrapparsi alle proprie, perché solo a noi stessi siamo impossibilitati a voltarle.

La gente è strana, prima si odia e poi si ama, cambia idea improvvisamente”, cita una canzone italiana. L’amore miracolosamente può sbocciare dall’odio o può trasformarsi pericolosamente in insoddisfazione. A volte inaridisce anche con una velocità piuttosto sorprendente. 
Non crediate mai nella favola “lui è quello giusto”. Obbiettivamente non potete confermarlo! Nemmeno se vi sta per sposare. No, che dico! Nemmeno se vi ha già sposate!!! 
Sì, da questo mio pesante inizio, penserete che ciò che seguirà non sarà per voi una lettura piacevolmente felice, ma piuttosto un susseguirsi di cinismo e malinconia, in fondo questo “diario” parla di me e io, colpo di scena: sono stata appena scaricata. Dunque mi scuserete se non abbellirò le mie parole sputando fiorellini e cuoricini. 
Sapete, tutto è iniziato qualche tempo fa, con un viaggio tanto desiderato, affrontato assieme a due mie care amiche. Quella decisione cambiò per sempre la mia vita, aprendomi la mente e facendomi incontrare un uomo … molto lontano. Ora come ora lo potrei paragonare ad un alieno, ma un tempo la sua diversità era solo un pregio per me. 
Se gli incontri avvengono per destino, non siate certi della loro durata, perché durante il tragitto il fato può sempre decidere di svoltare. 
I paesi orientali mi hanno sempre incuriosita, ma fu a causa della passione per alcuni programmi televisivi coreani che io ed Ilenia, insieme alla nostra amica italo-coreana Sarah Kim, approdammo in sud Corea per la prima volta, in veste di turiste d’oltremare. 
Non molte persone hanno hobby simili, ma per mia fortuna loro mi sono vicine, anche se Ilenia mi continua a sostenere da lontano, abitando agli estremi dell’Italia: io al nord e lei al sud. 
Avevo ventiquattro anni ed ero ancora nella fase: troverò la mia strada! In effetti quel primo esperimento portò una cosa a me fondamentale: l’amore! Grazie a quella relazione a distanza iniziò il mio cammino di studio appassionato verso una cultura completamente diversa dalla mia.
Le nostre strade si divisero dopo quell’indimenticabile vacanza metropolitana, trascorsa tra palazzoni immensi e hanok village ancora ben conservati, che si stagliavano in quello sfondo moderno ricco di musica, luci, colori e traffico. Ilenia si gettò a capofitto in una nuova attività, mentre Sarah tornò nel suo paese di origine: appunto la Corea, a causa dell’improvviso divorzio dei genitori. Non perdemmo però i contatti. Ciò che ci legava sempre e comunque erano i korean drama, i famosi e tanto amati telefilm di quella tanto sognata nazione. 
Io invece tornai spesso a Seoul … solamente per lui. 
Mano a mano che mi arricchivo di esperienza, la scrivevo, appuntandomi i miei pensieri riguardo a questa importante relazione, fatta di scoperte, fascino, segreti, opposizioni e anche sofferenza. 
In questo momento, mentre scrivo, sono seduta in una “diversamente comoda” poltrona dell’aeroporto, in attesa del mio volo. Sì, riparto ancora, ma purtroppo per me questa volta non so ben definire i miei sentimenti per quel luogo, che un tempo avrei chiamato casa senza remore. Potrei riscoprire nuovamente la capitale, oppure sentire il forte peso del gelo appena scesa dall’aereo …
Dopo quattro anni insieme, io e il mio ragazzo ci siamo lasciati e senza un apparente motivo. Insomma il viaggio si prospetta molto diverso da quelli passati e mi sento un po’ come se fosse la mia prima volta, con la differenza che ora ho ventotto anni. Sono in una fase in cui non mi sento abbastanza adulta per la mia età, ma allo stesso tempo sento di essere troppo vecchia per altre tante questioni. Non sono più la ragazzina motivata di un tempo, desiderosa di realizzare un sogno, ma solo una ragazza diversamente matura che ha preso la pazza decisione di provare a ricucire un rapporto difficile e forse troppo distante nello spazio. 
Almeno per quella persona, io i sacrifici sono ancora disposta a farli. 
Cosa vado a fare a Seoul, sapendo che lui questa volta non sarà lì ad attendermi? 
Bella domanda. 
Beh, intanto partiamo e poi si vedrà. Laggiù non sarò comunque sola, Sarah mi sta aspettando e sicuramente mi aiuterà nella mia impresa. Direi che potrei chiamare questo “diario di bordo”, che non so nemmeno se continuerò a scrivere, non essendo mai stata brava a far durare i “cari diari” della mia infanzia/adolescenza: “alla ricerca dell’amore perduto”
Fa schifo, lo so. Ma calza a pennello! 
Chissà se riavrò indietro quel mio grande amore. Sicuramente … non otterrò nulla come al solito … Sì, credo di essere una pessimista di natura e pure ben indurita dagli avvenimenti del mio passato. 
Ad ogni modo, è proprio il caso di concludere con un: “aish jinjja*!!!in stile coreano. 
Chiudo e kaja*!

 

 

classica esclamazione coreana composta da una parolaccia (che non traduco) e (진짜) jinjja un termine per dal significato di "davvero"
* KAJA (가자): letteralmente andiamo!

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

1 Capitolo

 
 
 
 

Ormai guardare il programma sugli abiti da sposa in tv non era più un passatempo, ma quasi un modo per prendere appunti su quali abiti le piacevano di più. Non si era ancora fatta nessun programma, ma sapendo che il tempo sarebbe passato in fretta, anche il momento tanto atteso del matrimonio sarebbe giunto in un batter di ciglia.
Non aveva ricevuto una vera e propria proposta, ma una semplice affermazione dal suo ragazzo: la promessa della fatidica domanda. Si frequentavano da quattro anni e forse per molti poteva sembrare un passo affrettato, ma quando si è separati da chilometri e chilometri di distanza sembra essere la cosa più naturale da fare, se si vuole vivere finalmente insieme.
Non poteva però aspettare l’anno dopo per rivederlo, come avevano programmato nell’ultimo incontro. Aveva un bisogno immane di tornare da lui, per questo ebbe una brillante idea e la grande offerta della compagnia aerea confermò la sua decisione di partire prima del previsto. Destinazione logicamente sempre Seoul.
L’arrivo di un messaggio la disincantò dalla tv, riconoscendo la suoneria: era lui. Non si era fatto sentire molto quel giorno, ma il lavoro era praticamente il primo dei suoi pensieri e di questo ne era consapevole.
Corrugò la fronte osservando l’sms appena giunto, che citava solo una parola: scusa. Subito rispose, chiedendo logicamente il perché, ma non fece in tempo a premere il tasto di invio, che l’arrivo di un altro commento in chat la bloccò all’istante.
-“Non posso più farlo”.
Attese allora che le fosse chiarita meglio la questione, magari aveva sbagliato numero e intendeva inviarlo a qualche amico o collega.
-“Hai capito?
A quel punto decise di rispondere:
-“No. Cosa intendi?
-“Non possiamo più sposarci
Leggendo sentì un tonfo, come se le si fosse aperta una voragine in petto, il suo cuore venne risucchiato da un buco nero.
Respirò lentamente, cercando di tornare alla calma: forse aveva dei ripensamenti dovuti alla giovane età, forse era in crisi, forse voleva prima continuare a vedersi come avevano fatto fino a quel momento, forse … forse …
-“D’accordo. Non so cosa ti stia passando per la testa, ma …  Posso capire. Tanto non mi avevi fatto una vera proposta di matrimonio, no? Quindi non importa. Non parliamone più e quando sarai realmente pronto me lo chiederai ufficialmente. In futuro insomma.
La sua risposta tardò ad arrivare, ma alla fine giunse:
-“Non è solo quello. Il fatto è che non posso più continuare …
Sbatté gli occhi, un po’ appannati e rilesse meglio i messaggi. Si scrivevano in coreano, ormai aveva una conoscenza tale da poter parlare la sua lingua abbastanza bene o almeno in modo comprensibile, ma rilesse comunque due volte, sapeva di non essere ancora ad un livello tale da conferirle una grande sicurezza. O forse, visto il tipo, anche dopo aver raggiunto tale livello comunque la sicurezza sarebbe mancata a priori.
Aveva compreso perfettamente, traducendo alla lettera. La discesa nel buco nero continuò imperterrita, tanto da non avvertire più il battito cardiaco.
-“Scusami
Rimandò lui, vedendo che la giovane non rispondeva.
-“No. Ti prego, così no! Dobbiamo vederci. Non puoi dirmi una cosa del genere e pensare di chiudere con me ora che siamo distanti. Dammi una ragione per lo meno!”, ma la ragione apparentemente non venne rivelata.
Inutile tenere per sé la sorpresa, gli fece dunque presente di aver comprato in anticipo il biglietto aereo, con l’intento di apparire davanti ai suoi occhi per magia, pensando di renderlo felice. Lui si mostrò semplicemente dispiaciuto per l’accaduto, sconsolato e si preoccupò che potesse avere un rimborso da quel volo ormai prenotato.
Dal canto suo lei fu chiara e decisa:
-“Tornerò da te. Ci incontreremo ancora, perché solo allora potrò avere una spiegazione seria. Voglio sapere come stanno i fatti, se rinunci perché troppo difficile o se davvero sono diventata un peso per te. Sono certa che il tuo cuore sia ancora rivolto verso me, per cui tornerò per fartelo capire.

 


 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2° & 3° ***


2 Capitolo

 
 
 
 
Un peso immaturo.
Un uomo può diventare un peso per la propria donna?
Certo. Specie se si tratta di un ragazzo più giovane. Forse.
Eppure una ventottenne talmente persa nell’amore, può arrivare a mettere da parte quel sentore, quella sua insoddisfazione e i suoi stessi desideri, concentrandosi solo sul donare felicità alla persona amata. Pensare più all’amato che a se stessa, così da crearsi personalmente un po’ di infelicità.
Però è vero anche che, per colei che ama, far star bene il partner risulta il più grande dei piaceri.
Gemma non si era mai annullata per quell’uomo. Aveva una sua identità, le sue passioni e il suo bel caratterino, però … Forse qualche volta aveva messo da parte ciò che voleva realmente, se non era in sintonia con ciò che desiderava Jin Yon U1.
Mentre attraversava l’aeroporto di Incheon2, gremito come sempre di gente, rifletteva sugli errori verso se stessa e su quelli verso le altre persone, compreso il suo ormai ex fidanzato. Non si sentiva del tutto single, non ancora, come se questo periodo fosse una sorta di stand by, una pausa lunga che presto sarebbe terminata. Sperava solo in bene.
Che una persona così giovane potesse spaventarsi davanti alle avversità della vita, lo comprendeva, specialmente di quella che si prospettava in Corea del sud, un ambiente meraviglioso, ma nel quale difficilmente si campava. Poteva immaginare le paure di quel ragazzo, le capiva, ma stranamente non riusciva a credere davvero che si fosse arreso così, improvvisamente.
Abbassò lo sguardo sulle valige che passavano davanti ai suoi occhi, senza notare la sua, in mezzo alle altre. La lasciò correre via, immersa nei suoi pensieri.
In verità l’ultima vacanza con lui era stata talmente perfetta da oscurare ciò che accadde nei successivi mesi. Sì, aveva avuto il sentore che qualcosa era cambiato in lui, ma come al solito aveva creduto che si trattasse solo di un momentaneo malessere, dovuto alla tremenda distanza che li separava. Quel particolare, nel tempo, logora facilmente i sentimenti. Alla fin fine, se quell’amore non ti sprona a reagire, avvertendo invece  tutto come un’immensa difficoltà, tanto da non riuscire a sollevare la testa e lottare … si rinuncia.
Non c’erano altre donne in mezzo, lo conosceva talmente bene da esserne certa. Avrebbe potuto tradirla solo con un videogame. Poteva benissimo immaginarselo senza di lei, dopo vent’anni: nella sua solita camera, con sua madre che gli prepara la cena che tanto lui non mangerà, optando per schifezze varie, di fronte al suo pc. Una scatola di ramyeon3, consumato di mattina, la stessa t-shirt di una settimana prima e gli occhi puntati sullo schermo, intenti a seguire e sparare a zombie o cos’altro proponevano i giochi online.
Ad ogni modo, era appena giunta lì proprio per scoprire se poteva ricucire la ferita che lui le aveva lasciato, e con essa il loro rapporto.
«Quattro anni non si cancellano con un sms.» affermò, agganciando finalmente la sua pesante valigia.
Da quella volta, non si era più fatto sentire e lei nemmeno. Volutamente gli lasciò il tempo che voleva, per indurlo a pensare, sperando però che potesse tornare da lei con la coda fra le gambe. Di certo in tutto quel tempo avrebbe dovuto capirlo da solo, se valeva la pena tenere a galla quel sentimento o se si sentiva più libero soffocandolo pian piano.
Se il destino aveva voluto il loro incontro e se lo stesso fato aveva deciso che la loro storia dovesse finire poco prima della sua nuova partenza, doveva per forza significare che in quella città era doveroso farvi ritorno.
Si diresse subito all’uscita, preparandosi mentalmente alla ricerca di un volto diverso dal solito. Chi avrebbe trovato, prima di ogni altra persona, in mezzo a quella folla? Non un uomo.
No, questa volta si trattava di una donna!
Quando le porte scorrevoli la lasciarono passare infatti, in prima linea c’era lei: capelli neri dritti e lunghi fino alle spalle, una leggera frangetta a coprirle la fronte. Occhi grandi e allungati, che ricordavano poco le sue origini asiatiche, con l’angolo esterno rivolto verso il basso, tanto da donargli una sorta di tristezza nello sguardo. Iridi castane, dalle macchie olivastre, assolutamente una dote rarissima in Corea, tanto da sottolineare la sua seconda provenienza: l’Italia.
Sarah Kim andò subito incontro all’amica, abbracciandola forte forte, osservando poi il broncio assunto successivamente.
«Non fare così! Andiamo a casa dai!» L’aiutò con il bagaglio a mano e si diressero verso la metro.
Gemma tirò un sospiro di sollievo e si fece coraggio: doveva affrontare la questione a testa alta e riprendere con sé quella persona. Guardò al suo fianco l’amica, pensando che non era sola, aveva lei dalla sua parte e sicuramente l’avrebbe aiutata nel suo intento.
 
«Io non ti aiuterò mai!» Esclamò indignata l’italo-coreana. «Tornare con quell’idiota? Sei impazzita?» Erano sedute a terra e stavano consumando patatine ai gamberetti, su di un classico tavolino da salotto, o almeno sarebbe stato definito così in Italia, in Corea invece era proprio il tavolo che si utilizzava per cenare e pranzare. «Non voglio che torni con lui. Non ti merita! Pensaci! Ti ha scaricato e questo basta a comprendere che non è fatto per te. Se uno si arrende così vuol dire che non ci tiene affatto.»
«Hai conosciuto Yon U e sai che è un tipo particolare. E’ scontroso, solitario, aveva solo me come-»
«A maggior ragione doveva proteggerti e conservare la persona che sei stata per lui. Ma se lascia qualcosa di prezioso, vuol dire che non è mai riuscito a vedere quanto è di valore. Di certo tu non puoi ogni volta prenderlo per mano e fargli capire le cose. Non dovrebbe essere trattato come un bambino se è abbastanza adulto. Ma forse il problema è proprio questo! Trattasi di maturità.» Prese una patatina, cominciando a rosicchiarla rumorosamente, masticando a bocca semiaperta. Nel suo paese lo poteva benissimo fare, senza che qualcuno la fissasse male per la sua maleducazione. Nel mentre, osservando lo sguardo triste di Gemma. «Mettiamo anche che tu riesca a farglielo capire. E’ talmente immaturo da tornare con te, quindi può starci, ma … come puoi fidarti ancora di lui? Tornerà nel suo errore, certamente. Ricadrà nei suoi meandri oscuri e ti farà soffrire ancora.»
Gemma sospirò di fronte a quelle parole. Ci stava davvero pensando, le volteggiavano nella mente come api fastidiose, ma  a tutti gli effetti Sarah non aveva torto. «Credevo di avere almeno te dalla mia parte.» Le uscì quel lamento dalla bocca.
La ragazza batté una mano sul tavolo per risvegliare l’amica, «Io sono dalla tua parte! Non volere che tu soffra ancora, vuol dire essere dalla tua parte. Per cui ragiono sui fatti, cosa che non fai tu perché ti conosco: quando ami qualcuno ti perdi.» Aprì la pepsy a loro disposizione. «Io ti dico solo: se vuoi incontrarlo dovrai avere un gran coraggio. Per esempio, se vedi che è felice senza di te cosa fai?» Attese una risposta, che però non giunse. «Oltretutto io non sono d’accordo su questa tua decisione di affrontare la serpe, perché temo tu ci possa stare male. Ma se è quello che vuoi, io in qualche modo ti sosterrò. Solo mi devi promettere di pensarci bene prima di partire in quarta. Pensa a quel che ti sto dicendo. Pensa alle mie ipotesi nel caso lui tornasse.» Si alzò e andò a prendere il pc portatile. «Sappi che sei qui in Corea per divertirti non per soffrire le pene d’amore.» Continuò a parlare, posando il computer sul tavolo. «Ti ho già trovato delle stanze interessanti.»
Gemma sollevò il capo all’improvviso, scioccata: «Scusa. Non posso stare qui da te?»
Sarah la guardò severamente, «Per ora. Te lo avevo già detto che io ho i miei giri.»
«Cosa intendi per giri?»
«Frequento degli uomini.» Fu secca.
«Degli?» Quasi urlò dall’incredulità.
Sarah gesticolò con la mano e selezionò le varie guesthouse e goshiwon4 che aveva trovato per lei, «Non pensar male, dico “degli”, ma non è che li frequento tutti assieme. Diciamo che non durano molto. Sai che sto cercando la persona giusta, e quindi … la cerco, tutto qui.» Girò il pc verso di lei, «Ecco, guarda! Questi sono buoni.»
Gemma allora lasciò perdere ogni discorso, forse per il momento non era il caso di approfondire. Osservò lo schermo del pc e i vari prezzi in rassegna.
«Comunque stavo pensando ad una cosa e se volessi darmi retta sarò davvero contenta di aiutarti.» Sarah tornò al discorso tralasciato. Gemma la osservò per un istante, poi cominciò a selezionare i posti letto a sua disposizione, per controllarne le stanze. «Io sono molto vendicativa e per me lui deve soffrire quanto stai soffrendo tu. Ti sto dicendo che devi vendicarti!»
«Non se ne parla. Lo amo, perché dovrei fargli del male?» Chiuse il computer innervosita da ogni cosa.
Lady “vendetta” fece una smorfia di rimando. «Deve rendersi conto di quel che ha perso.»
Per un momento si riscoprì quasi interessata. «Su questo sono d’accordo.»
«Mi chiedo, e se fosse talmente stupido da non averlo ancora compreso?» Poi ci ripensò, «Beh, se non lo ha capito immagino che non ti amasse dal principio.»
«Ci stavamo per sposare, Sarah! O meglio …» Rifletté sulle sue parole, «Questo è quello che aveva pensato qualche tempo fa.»
«Allora deve aver già compreso ogni cosa da solo, ma ricordarglielo non sarebbe male.»
«Non mi voglio vendicare, ma facciamo finta che io sia interessata … Tu cosa proponi?»
La ragazza mostrò un ghigno maligno, sporgendosi verso lei, pronta ad esporre il “segretissimo” piano: «Ha ventitré anni, sei stata tutto questo tempo con un ragazzino, Gemma. Hai bisogno di un uomo maturo. Io se fossi in te cercherei un vero maschio e appena ottenuto … Bang! Glielo sbatti in faccia al moccioso.» Le sue parole divennero ancor più dure grazie al tono utilizzato per dar più enfasi al tutto.
«Non voglio frequentare nessuno ora. Se non posso tornare con lui, non voglio ricominciare con qualcuno, non ora,  non me la sento.»
«Se vuoi fargliela pagare devi mostrarti felice con un altro uomo, questo è il fulcro del piano.» Spiegò l’improvvisata volpe, «Ma … potremo sempre usare un baldo giovanotto per il nostro scopo. Non devi per forza innamorartene.» In quel momento sottolineò una parte importante.
Quella proposta era tremendamente squallida e oscena, ma cominciò a balenare qualcosa di preciso nella mente di Gemma. Certo, l’idea di farlo ingelosire non poteva essere una vendetta per lei, ma un modo per fargli comprendere davvero di cosa si era disfatto e cosa provava realmente, sì. Una trappola insomma, per farlo ricadere tra le sue braccia.
«Dove possiamo trovare qualcuno?» Chiese a quel punto la diretta interessata.
«Vestiamoci bene, trucchiamoci e andiamo ad Hongdae5, baby
 
 

1Dovete sapere che i coreani mettono prima il cognome e poi il nome, che è formato a volte da due distinti ideogrammi, quindi due nomi. Jin Yon U = Jin cognome Yon U il nome.
2Incheon (
인천 pronuncia = inchon)è una città della Corea del Sud vicino alla capitale, Seoul.
3 Ramyeon (
라면 - pronuncia = ramyon) è una pietanza coreana. Si tratta di tagliolini in brodo, spesso piccante, con verdurine e un pò di carne. (vedi le foto a fine capitolo) Un piatto similare al famoso ramen giapponese.  
4 Gesthaouse sono semplici alloggi, stanze condivise o private, a volte con un accenno di cucina. Il nome stesso significa "casa per gli ospiti". I goshiwon (
고시원invece sono vere e proprie stanze, specie molto ristrette in un dato edificio, in stile quasi dormitorio. A volte hanno il bagno all'interno, altre volte solo la doccia e il bagno in quei casi è pubblico, o meglio condiviso in un piano o dall'intera struttura.
5 Hongdae (
홍대 pronuncia = hongde) è una zona di Seoul. Fulcro della movida coreana. (foto a fine capitoli)

 
 
 
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3 Capitolo

 
 
 
 
Hongdae non è la sola zona di Seoul dove “divertirsi” rientra tra le parole d’ordine, ma è il quartiere della movida notturna coreana più famoso all’estero. Anche di giorno la folla rallegra le strade fatte di negozi vari, piazzole dove sostano gli artisti di strada e locali di ogni tipo. La sera però, il tutto esplode e il casino aumenta con l’apertura di disco, club e pub. L’alcool, non serve dirlo, a fiumi.
Insegne lampeggianti dai più disparati colori e la musica ad alto volume invogliano la gente ad entrare nei vari locali, ma non bastano: anche i bellissimi PR, in un completo nero camicia e pantalone, cercano di attrarre le più belle donzelle per invitarle a mettere piede nel posto dove evidentemente questi lavorano. Le donne, sì sa, attirano clientela maschile, per questo a volte entrano addirittura gratis. A volte i club sono suddivisi a seconda del genere musicale, ma non serve entrare per ascoltare le melodie, basta sostare davanti ad uno di questi. Certamente però, è dentro che si balla, beve e si fa conoscenza.
Gemma, nonostante il luogo in cui erano appena entrate, aveva optato comunque per un look abbastanza sobrio, mentre Sarah sapeva ormai come osare in stile Seoul, anche perché il suo obbiettivo era attirare sguardi. La prima aveva indossato una gonna sbarazzina, una canotta, con sopra una giacca che potesse proteggerla dal freddo autunnale. Sarah Kim invece aveva un abito con leggero scollo e l’orlo mozzafiato.
Il locale scelto era proprio stato pensato per i single in cerca di compagnia, la sua amica non poteva portarla in un luogo più inusuale per attuare il loro piano. Si entrava soli e si usciva in due … in teoria.
«Già individuato!» Disse qualche minuto dopo il loro arrivo. «Ti sta mangiando con gli occhi e pure il suo amico non sembra male.» Le sussurrò all’orecchio, per poi indicarle dove guardare.
Zigomi alti, pelle fin troppo bianca, occhi piccoli e molto chiusi, fini; naso pronunciato, capelli ben pettinati dal taglio moderno che molti modaioli di Hongdae trovano necessario. Il ragazzo fece un cenno all’amico, alzandosi poi dal tavolo per avvicinarsi alle due perfette sconosciute. Non era altissimo, in confronto a tanti altri ragazzotti lì presenti, ma la figura longilinea lo rendeva comunque slanciato. Mani nelle tasche dei pantaloni firmati, camicia rosso carminio leggermente sbottonata. Sembrava un tipo sicuro di sé e il suo fascino lo emanava bene, anche se doveva essere parecchio giovane.
A volte risultava quasi impossibile dare una vera età ai coreani.
«L’amico è davvero forte. Bene, tu prendi il magretto e io quello più forzuto.» Precisò Sarah, attendendo i due. In effetti l’altro aveva un viso più omogeneo, ma allo stesso tempo insignificante, era invece il suo corpo, sicuramente curato nei minimi particolari in palestra, e i suoi accessori a dare nell’occhio. L’italo-coreana, ad esempio, non si era fatta sfuggire il rolex.
«Salve.» Sorrise smagliante il più sobrio dei due … di aspetto fisico s’intende. «Siete qui da sole? Spero di sì.» Il suo amico non aprì bocca inizialmente, tanto da rivelare chi dei due fosse il più spigliato.
Sarah si espose subito: «Sole, ma in cerca di compagnia. Ci offrite qualcosa?» Il ragazzo allora fece cenno di seguirli al tavolo. L’amica prese posto vicino al pompato e lei dovette per forza di cosa stare incollata al ragazzo in rosso.
«Da dove venite?» Chiese questo, osservando quasi dolcemente la ragazza straniera.
«Io Italia, la mia amica è coreana.» Rispose freddamente Gemma. La verità è che non ci sapeva fare in certe situazioni e spesso si sentiva fuori luogo.
Sarah sorrise ai due, «Sono italo-coreana.»
«I tuoi occhi mi sembravano troppo particolari per essere quelli di una coreana.» Fece notare il suo bambolotto gonfiabile.
«Se ti piacciono, potresti anche invitarmi a ballare, no?» Mentre lo diceva, osservava l’amica che invece le stava lanciando segnali  ammonitrici con gli occhi. «Sono sicura che questi due vogliono stare un po’ da soli.» Fu diretta, visto che il palestrato non aveva compreso il suo intento.
«Sono d’accordo!» Affermò immediatamente lo snello. Poi si rivolse a Gemma: «Sai il coreano, quindi non sarà nemmeno difficile comunicare.»
«Ho solo detto una frase, come fai ad essere sicuro che io lo comprenda bene?» Per quella sua frase saccente, ricevette da Sarah un calcio sotto al tavolo. Lei ricambiò fulminandola con lo sguardo, prima che questa prendesse il braccio muscoloso del partner, scelto per quella serata, e lo trascinasse in pista.
Il ragazzo dallo strano fascino rise di gusto, prendendo una delle bottiglie sul tavolo e versando il contenuto in un calice. «Mi sembra che tu lo sappia abbastanza bene invece.» Le offrì il bicchiere, «Sono seriamente interessato. Sei molto bella.»
Lei accettò più per cortesia che per altro, «Solo perché sono straniera immagino. Ho notato che ci considerate un po’ particolari d’aspetto.»
«Beh, sì. Avete tutta un’altra fisionomia, altri colori. Altri modi di fare.» Sorseggiò a sua volta dal calice. Stranamente Gemma cominciava a non sentirsi più a disagio con quella persona. Forse non era stata una cattiva idea uscire e cercare un bel ragazzetto da usare per i propri scopi. «Ti piaccio?» domandò a bruciapelo l’impavido.
Quasi sputò ciò che stava bevendo, «Caspita sei diretto. Posso chiederti quanti anni hai?»
«Venticinque anni e tu mi piaci parecchio.»
Sorrise di fronte ad una confessione troppo precoce. «Come fai a dirlo, ci siamo appena conosciuti.»
«Il feeling parla.» Le prese una mano, accarezzandola. Di certo quel ragazzino non si faceva molti problemi. Ci sapeva fare in un certo senso, e anche se aveva qualche anno in meno di lei, poteva andar bene al suo scopo. Quell’incontro giocava a suo favore.
Gemma lo lasciò fare, non si sentiva affatto in imbarazzo, forse perché comunque i suoi giochetti non attaccavano per niente. Non con lei per lo meno. Si voltò verso Sarah, vedendola impegnata tra le braccia del forzuto. Quando gli occhi delle ragazze si incrociarono, l’italo-coreana mosse la testa dalla parte dell’amica, che annuì confermando la sua approvazione: era quello giusto … da usare.
Ma ad un tratto il venticinquenne si avvicinò un po’ troppo alla giovane straniera, sussurrandole all’orecchio: «Ti va di andare in un posto più appartato?» Lo fissò dubbiosa, ma lui continuò con le sue frettolose offerte, «Voglio conoscerti meglio.»
Sorrise un po’ incerta. «Per farlo non dovresti farmi qualche domanda?»
Si sporse gentilmente ancora una volta. «Non qui. Andiamo in un motel.»
A quel punto Gemma si scostò del tutto, allontanandosi da lui di qualche centimetro, quasi scivolando via con la sedia e ritirando immediatamente la mano. «Non sai nemmeno come mi chiamo!»
Lui sembrò pensarci. «Beh, per certe cose si possono usare nomignoli vari, ma … se per te è importante, come ti chiami? Dimmelo e ti chiamerò con il tuo nome.»
Gli rise in faccia, «No. Non hai capito. Ero ironica. Non ho intenzione di andare a letto con il primo sconosciuto che capita.» Si alzò, sostenendo il uno sguardo di sdegno.
Il ragazzo allargò le braccia arrogantemente, «Non ti piacevo prima? Cos’è cambiato? Voi europee non siete più aperte delle coreane, mentalmente parlando?»
«Mentalmente? … Mi prendi in giro? Da quel che mi fai capire, a te non interessa l’apertura mentale.» Gli diede le spalle, andò verso l’amica e senza voltarsi le prese un braccio e la portò via da quel posto.
 
Quello fu il primo dei tanti tentativi destinati al fallimento.
Gemma si fece promettere da Sarah di non entrare mai più in un locale per single. Se gli incontri dovevano essere di quel tipo, meglio lasciare perdere dal principio.
Anche il secondo agganciato però si dimostrò inutile. In verità la ragazza lo aveva capito dal primo sguardo, ma, come si dice: non giudicare un libro dalla copertina? L’abito non fa il monaco?
Sarah Kim sapeva che non poteva presentare all’amica un uomo simile al precedente, così optò per un tipetto a modo, di cui non si sarebbe potuta lamentare a causa di strane proposte indecenti.
Occhioni a mandorla dalla punta esterna verso l’alto, da conferirgli quasi una forma felina molto addolcita, nascosti tra l’altro dietro a degli occhiali tondi, tondi, come vanno di moda tra i coreani nerd o modaioli che siano. Lui però non sembrava tenerci particolarmente allo stile, o forse Gemma non capiva assolutamente nulla del trend coreano. Era probabile l’ultima ipotesi, si disinteressava anche delle tendenze occidentali.
Quel cardigans gli conferiva l’aria del bravo ragazzo, bocca stretta ma carnosa, guanciotte piene sebbene non fosse grasso. A vederlo non sembrava in grado di provocare gelosie a nessuno, con quel suo aspetto troppo gentile, anzi qualcuno lo avrebbe definito un po’ da sfigato.
Però magari, dandogli un’aggiustatina …
Aveva la sua età e per questo andava benissimo. Sarah si diceva disposta a rifargli il look se Gemma avesse puntato su di lui.
«Quindi hai studiato alla Yonsei?1» Chiese la ragazza, seguendo lo sproloquio che aveva dovuto ascoltare fino a quel momento: ultimo di cinque sorelle, padre studioso, madre insegnante, tre gatti, odia i cani perché li trova sporchi, una tartarughina tanto amata e la passione per la letteratura classica coreana. Laureato con un master che, sì, gli faceva onore.
«Con il mio quoziente intellettivo è stato piuttosto facile. Vorrei tanto tornare a quei tempi.» Riferì fissando l’alto come per guardare lontano, il cielo stellato o l’universo intero. Peccato che il soffitto fosse coperto da travi nere. «La mia mammina dice sempre che con i soldi di famiglia potrei campare a vita senza lavorare, così sto pensando … cioè, sto pensando di tornare a studiare. Amo mettere il naso nei libri.»
«La mammina eh?» ironizzò di rimando. Le fece roteare gli occhi a forza di sentire tutti quei dettagli irrilevanti. Non era solo il modo di fare stralunato, ma la capacità di conversazione stessa a non andare.
«Sì, crescendo tutti gli uomini dovrebbero realizzare che è la madre ad essere la donna perfetta. La sola che ci può amare per sempre. Ma sono contento di aver conosciuto anche te. Finalmente una ragazza tutta per me. In fin dei conti, la mamma è del papà, non si può fare niente con la mamma.» Le orbite in quel momento invece vollero esploderle. «Scusa. Non fraintendere, non voglio far nulla con te. Beh nemmeno con mia madre!» La risata iniziò grottesca, per poi scemare impacciata. Ci mancava solo un grugnito alla Steve Urkel2 e avrebbe potuto urlare ai quattro venti di aver trovato il sosia dagli occhi a mandorla. «Ti rispetto e tu rispetterai me. Sono solo felice di averti trovato e quando ci sposeremo, beh … potremo, insomma … Ma se ti metterò al secondo posto dopo mamma non dovrai prendertela. Capito?»
Gemma prese il suo bicchiere annuendo. Si alzò e scappò a nascondersi da quell’elemento.
Il ragazzo la fissò dal basso verso l’alto con occhioni supplichevoli, rimanendo seduto alla sua postazione: «Te ne vai? Hai bisogno del bagno?»
Sarah la inseguì subito, mollando il terzo o quarto tipo conosciuto quella sera, «Non andava bene il gentiluomo?» Domandò subito, urlando per sovrastare l’assordante musica.
«Andava bene per sua madre.»
Passato lo Steve Urkel coreano, il terzo classificato lo trovarono in un semplice pub, dove si infilarono stanche dei caotici club. Stavano bevendo insieme del vino, quando adocchiarono la preda a qualche metro di distanza. Era solo e sembrava un po’ sconsolato. Sarah Kim subito le propose di fare la prima mossa. Anche se non era il tipo, doveva provarci!
La più giovane delle due lo scrutò a fondo: «Giacca e cravatta, ventiquattrore al suo fianco. Un hwesaweon
«Impiegato d’azienda.» Confermò Gemma con una traduzione. «E’ piuttosto bello.» Ammise successivamente.
«Vai!» Fece un cenno con la testa l’altra.
L’italiana si alzò di malavoglia. «Non sono brava in queste cose ...» Ma qualcuno fece finta di non sentire.
Capello tagliato corto alla moda, sguardo perso tristemente nel tavolo, dal taglio allungato, quasi felino. Naso perfettamente lineare con tutto il resto del volto. Troppo bello per credere che non vi fosse lo zampino di qualcosa extra natura, specie nella nazione del bisturi.
Quando l’ombra della ragazza gli si parò davanti, il giovane uomo in carriera le rivolse un sorriso. Lei rimase impacciata di fronte a lui, blaterando cose insensate.
«Hello.» proferì lui con una strana pronuncia. I coreani, quando sanno comunicare un po’ d’inglese, lo storpiano quasi sempre. «You want to sit down here?» Lei annuì con la testa, «It 's a pleasure for me to stay close to a beautiful girl.3» Ma appena si sedette, sotto suo consiglio, gli fece anche notare che potevano benissimo parlare nella sua lingua. «E’ straordinario! Studi il coreano da quanto?» Chiese allora, sinceramente colpito.
Si schiarì la voce perché, stranamente, le doleva la gola. Era troppo affascinante per lei, non aveva mai visto un uomo così bello in vita sua. Come se fosse un alieno o una celebrità, le incuteva una certa soggezione.
«Quattro anni.» Rispose solamente. Le piaceva e questo cominciò a preoccuparla. Quando un uomo la colpiva in quel modo si paralizzava, lingua compresa. «Ma lo sto ancora studiando. Non sono perfetta.»
Il ragazzo sorrise. «Chi lo è? A parte questo, se chiudessi gli occhi e ascoltassi la tua voce mentre parli la mia lingua … sì! Capirei subito che non sei coreana.» Attese una qualsiasi risposta da lei, che però non arrivò mai. Perciò continuò ad approcciarsi lui per primo: «Età?»
«Ventotto.»
«E a ventotto anni si può essere ancora così timide?» Ironizzò, ma non ebbe alcuna reazione da parte della straniera, se non ancor più chiusura. Così cominciò egli stesso a fare un passo indietro, concludendo le mosse a disposizione per farla sentire a suo agio.
Il problema di Gemma era proprio il disagio completo che avvertiva. Scrollò la testa, comprendendo di dover fare una mossa, una qualsiasi per non farsi sfuggire l’uomo perfetto: «Scusa, di solito non sono così, giuro!» Fece per prendere il calice, magari bere ancora un po’ di vino l’avrebbe aiutata a lasciarsi andare. Ma senza stare attenta a quel che faceva, l’agitazione la portò a sbagliare bicchiere, prendendo quello del ragazzo.
Bevve un sorso, sotto gli occhi allegri di lui. «Quello sarebbe il mio bicchiere.» Quasi non si soffocò con il vino rosso e involontariamente ne sputò una quantità minima all’interno del recipiente. «Okay.» Pronunciò lentamente l’uomo, questa volta per nulla divertito. «Ora non è più il mio.»
Lei lo posò immediatamente. «Mi dispiace.» Si sentiva seriamente costernata, ma soprattutto imbarazzta. L’agitazione sarebbe stata la sua fine, quindi doveva fare in modo di riprendere in fretta il controllo. Doveva fare scambio di calici, visto l’inconveniente. «Non ho ancora bevuto, quindi … prendilo tu.»
Il ragazzo osservò perplesso il recipiente ancora colmo di vino. In effetti non aveva ancora bevuto ciò che lui stesso le aveva offerto. L’attesa la snervava, cominciando a pensare che fosse ormai addirittura infastidito all’idea di averla accanto. Allora si mosse per prima, con l’intenzione di avvicinargli la coppa lei stessa, gentilmente.
Un tempismo tremendo, dato che anche quella persona si protese nello stesso momento. La colluttazione fece ritirare le mani di Gemma di scatto, urtando però il bicchiere, che inesorabilmente cadde, sporcando di rosso la camicia del bel tipo.
Spalancò la bocca fissandolo incredula: cos’aveva appena fatto?
Rovinato tutto: «Aah! Questa camicia costa un occhio della testa!» Brontolò appena il malcapitato, per poi sospirare e guardare pietosamente la giovane occidentale seduta al suo fianco. «Forse è meglio che vada. E’ tardi e domani lavoro.» Gemma annuì con un’espressione dispiaciuta, ma nemmeno un suono di scusa riuscì ad uscire dalla bocca. «Prima sarò costretto a fare un giro in bagno per ripulirmi. Grazie della breve compagnia comunque.» Si alzò e se pur gentilmente scappò.
Uno scappellotto giunse alle sue spalle, facendola risvegliare dal suo stato catatonico.
«Che diavolo hai combinato?» Chiese Sarah, che aveva visto l’intera, ridicola scena.
Ma nemmeno Gemma sapeva darsi una spiegazione. Non si riconosceva nemmeno lei, quando entrava nel panico di fronte ad un esemplare interessante del sesso opposto. Perdeva coraggio e si trasformava in una goffa sfigata, peggio del tizio  conosciuto poco prima al club, l’amante di mamma e gattini vari.
«La scena a cui ho appena assistito, ti ha reso ai miei occhi molto simile al ragazzotto con gli occhiali, forse faresti meglio a cercarlo. Credo possiate essere una bella coppia. » Punzecchiò la voce alle sue spalle.
 
Per fortuna però non rinunciarono ad un ultimo tentativo, spostandosi in un ultimo locale. Lì, incontrarono realmente il ragazzo designato allo scopo. Non si doveva nemmeno sentire impacciata in sua presenza, perché non le scaturiva alcunché. Era carino abbastanza per metterlo in mostra davanti al suo ex, ma il feeling era inesistente e per questo si era tranquillizzata.
Oltretutto nemmeno lui era serio nel suo tentativo di abbordaggio. Mise fin dall’inizio tutto in luce: «La tua amica mi ha detto che ti serve una bella figura per far ingelosire il tuo ex fidanzato. Facciamolo!» Era alto forse un metro e ottanta, molto magro, sui ventisei anni. Capelli medio corti un po’ mossi, ma ben curati, viso scarno, naso un po’ irregolare, con una leggera gobba che lo rendeva leggermente storto. Ben vestito, più o meno come ogni uomo in tutta Hongdae.
«Tu cosa ci guadagni?» Le sembrò troppo facile.
Il giovane coreano si voltò appena. «Lo vedi quel biondo vicino alla tipa in verde?» Lei si sporse quel tanto per individuarlo. «Non così! O ti scoprirà!» La bacchettò immediatamente. Si spostò nella poltrona accanto a lei, posandole un braccio sopra una spalla. «Ora, non ti lamentare e lasciami fare.» La spronò, prima che potesse rifiutare l’approccio. «Io ti aiuterò con il tuo ex e tu mi aiuterai con quel cretino del mio uomo.»
Sgranò immediatamente gli occhi, facendoli apparire ancor più grandi di quelli che realmente erano. «Quel tizio è …»
«Russo … E a parte questo è il mio uomo. Ma si crede bisex e per questo oggi vuole dimostrare a tutti che può andare insieme a donnacce varie.» Le spiegò velocemente la questione. Poco dopo la guardò negli occhi per la prima volta da quando si era seduto con lei. «Ci stai o non ci stai? Non ti userò molto, in verità geloso com’è penso che anche solo starti accanto in questo momento, possa bastare. Cambio di favori, sì o no?»
«Ma io cosa dovrei fare?»
Lui fece oscillare la testa, per poi afferrarle il meno, come se la volesse improvvisamente baciare. «Come puoi intuire, nulla! Hai già fatto! Ora usciamo e vediamo cosa succede. Per mano grazie.» Le afferrò il polso e si diressero verso l’uscita. Poco dopo furono seguiti da Sarah, che nel frattempo si era collezionata vari numeri di telefono di possibili pretendenti.
Il ragazzo fermò subito un taxi per le due giovani. «Meglio che andiate prima che esca.»
«Perché? Potrebbe diventare aggressivo con due ragazze? Ah! Lui è Gerry, carino vero?» Sarah sembrava un tantino su di giri. Dovette comunque presentarli lei, perché il ragazzo in effetti si era dimenticato di farlo.
«Gerry? Stona ad un coreano.» Fece notare Gemma.
Lui si voltò sospirando. «E’ un nome d’arte logicamente.» La suoneria del suo cellulare interruppe la conversazione. Lesse il messaggio. «Grazie. Il piano sta funzionando … Ooooh … » Ormai i suoi occhi erano persi nella chat di kakao talk4. «Sta realmente sclerando per così poco? … “Dove sei?”-“Devo vederti!”-“Chi è quella baldracca?”»
«Prego????» Esclamò Gemma, offesa.
Lui alzò le spalle. «Perdonalo. Non sa quel che dice.» Aprì la portiera del mezzo. «Vi telefono domani per organizzarci sull’incontro. Devo assolutamente ricambiare il favore, giusto?»
«Beh, dopo essermi presa della baldracca, sarà meglio per te che non mi dai buca.» Lo minacciò.
«Contaci bella!» Chiuse la portiera e salutò allegramente con la mano, una mossa che risultò priva di qualsiasi cenno di virilità.
Qualcuno pregò solo che il piano potesse funzionare, anche con un finto partner dalla dubbia mascolinità. Tanto per i maschietti di Seoul avere atteggiamenti un po’ femminili non era proprio una novità. 


Yonsei University (
연세대학교 pronuncia = Yonse dehakkyo) università che rientra nella SKY, tra le più prestigione università di Seoul.
Steve Urkel personaggio della sitcom americana del 1989 "Otto sotto un tetto". Personaggio alquanto nerd e bizzarro.
E' un piacere per me stare vicino ad una bella ragazza.
4 Kako Talk (
카카오톡) un'applicazione coreana gratuita per inviare e ricevere messaggi, chiamare. 




Alcune foto dei miei viaggi che possono chiarire alcuni punti:

Ramyeon


Hongdae





 

 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 4° & 5° ***


4 Capitolo

 
 
 
 

«Ti prego!» Le disse con sguardo perso. «Se mi dimentichi fai un piacere ad entrambi.»
Queste, furono le sue dure parole.
La gola le si era asciugata tutto ad un tratto e la forza stava iniziando ad abbandonarla velocemente. Dov’era la leonessa che sentiva ruggire dentro di sé un momento prima? Il signor coraggio era dunque così debole da scappare a gambe levate, abbandonandola di fronte a quella situazione? Un po’ come quel famoso felino codardo, personaggio di una delle tante storie che segnano l’infanzia.
«Queste non sono spiegazioni … Yon U», gli fece presente, ma il ragazzo sembrava non voler dare giustificazioni o forse non ne aveva.
Dopo esser stata ad Hongdae, per la “caccia agli uomini”, aveva passato tutta la notte a pensare: era davvero giusto creare un teatrino e ferire l’altra persona? Doveva arrivare a questo per fare in modo che tornasse? Possibile che non sarebbe servito a nulla parlargli con semplicità, a cuor sincero?
Credeva fermamente in quel che lui aveva provato e dimostrato in tutti quegli anni, così tanto da credere che non fosse mai passato, quel dato sentimento. Non era morto il loro amore, ma lui lo stava uccidendo volutamente. Così, rivederla, trovarsela davanti agli occhi forse sarebbe stata la prova del nove e, secondo Gemma, la goccia che avrebbe fatto traboccare i sentimenti, assopiti o soffocati che fossero.
Non serviva recitare e mostrarsi accanto ad un altro. Bastava tornare da lui, aprire le braccia e fargli capire che lei c’era. Era lì e potevano ricominciare da capo.
Per questo si era presentata a casa sua la mattina. Senza dir nulla a Sarah, era uscita all’alba, aveva preso il solito bus per arrivare nelle zone più a nord della capitale ed era scesa alla stazione di Mia-samgori. Superato il centro e raggiunto il quartiere più appartato, ricco di vegetazione, parchetti per il vicinato e grandi palazzoni, aveva individuato la sua meta, salito qualche rampa di scale e infine suonato alla sua porta, esibendo un dolce sorriso.
«Perché sei a Seoul? Non ti eri fatta rimborsare il biglietto?» Domandò subito lui, atteggiandosi appositamente freddo.
Lei non distolse lo sguardo, presa da un impeto di coraggio continuò a sostenere il bellissimo, ma malinconico sorriso. «Te lo avevo detto che sarei tornata da te.»
«E io ti avevo detto di non farlo.» Ribatté secco.
«Mi devi almeno delle spiegazioni» fece presente, ma il giovane cominciò ad agitarsi.
Sospirò, «Non ti devo proprio niente», stava per chiudere la porta quando Gemma la bloccò, immaginando che potesse scappare come aveva già fatto mesi prima.
Il sorriso ormai se ne era andato, ma qualcosa di simile alla rabbia stava sfociando. «Non fare il moccioso e vieni fuori a parlare un po’ con me.» Era lei l’adulta tra i due, non per niente li separava ben cinque anni, inoltre, in quel momento, la leonessa che era in lei si stava liberando dalle catene dell’amore e della gentilezza. «Mi devi eccome delle spiegazioni … Perché? Perché mi stai lasciando? Che problema si è frapposto a noi?»
Lui spalancò la porta di colpo, facendola sbattere, «Quel che provo io e decido io non sono affari tuoi. E ti ricordo che io ti ho già lasciata mesi fa.» Disse con un tono infastidito.
«Sono anche affari miei invece! … Eravamo una coppia!» Non poteva davvero usare il presente in quel momento. «Comprendo che possa essere dura, ma pensi di poter cancellare davvero i senti-»
«Non provo più nulla. Contenta ora?» Trò fuori l’asso dalla manica. «Ora che te lo sto dicendo faccia a faccia, mi credi?»
Lei rimase per un attimo immobilizzata da quelle tremende parole. «Non posso crederci.»
«Ti prego. Se mi dimentichi fai un piacere ad entrambi. Forse sono troppo giovane e immaturo per stare con te. Cercati un uomo migliore!»
«Queste non sono spiegazioni … Yon U. E anche se tu non fossi l’uomo perfetto per me, mi sono innamorata comunque di una bella persona ed è proprio con quella persona che voglio stare.» I sentimenti per lui ebbero la meglio rispetto alla rabbia e quella forza che provava, pronta quasi a scagliarsi addosso a lui, per farlo rinvenire a suon di pugni, si stava spegnendo. «Ti prego … torna da me.»
«Non posso.»
Tentò ancora una volta di chiudere la porta, lentamente, ma lei nuovamente l’ostacolò e questa volta, per farlo, servirono solo delle parole: «Allora devo fare proprio come dici tu?» Sguardo perso a terra, ormai privo di energia. «Uscirò con altre persone …»
Lui annuì, «Sì, credo sia meglio. Fallo! Lo farò anche io.»
«In verità …», strinse i pugni e così l’ultimo pizzico di rabbia sfociò. Sollevò il volto mentre confessava: «C’è già qualcuno.»
Quelle parole sembrarono colpire Yon U in pieno volto, ma poi la sua espressione si rasserenò e l’uscio venne chiuso definitivamente.

 

****

 
Rincasando, pensava di trovare l’amica ancora nel mondo dei sogni, invece Sarah era seduta a tavola, le gambe incrociate e il volto assonnato. La stava attendendo per far colazione insieme. Aveva preparato riso, una zuppa di alghe, un po’ di prosciutto, esattamente quello che veniva usato per il kimbab1 e il classico kimchi2, a cui non riusciva a rinunciare da brava coreana qual era.
«Com’è andata?» Chiese immediatamente, prendendo le ciotoline e riempiendole di zuppa.
Gemma svogliatamente si sedette davanti a lei. «Com’è andata cosa? La passeggiata?»
La fissò dubbiosa, «La passeggiata, eh?», schioccò la lingua tre volte, per dimostrare il suo disappunto. «E’ triste passeggiare? Lo chiedo perché i tuoi occhi sembrano così gonfi da far supporre che hai pianto.»
Lei sbuffò ironicamente, «Ma che dici! Dai mangiamo.» ed in effetti, per tutto il tragitto in bus non aveva fatto altro che trattenere lacrime troppo copiose per riuscire nell’impresa. Avete presente le classiche scene dei drama, dove le protagoniste sono sole in quei deserti mezzi, di notte, perché l’orario di fermo degli autobus va ben oltre la mezzanotte, a differenza della metropolitana? E quel senso di malinconico romanticismo che traspare dalla scena? Gemma stessa, durante il suo primo viaggio, desiderava provare l’esperienza di sentirsi un po’ parte di un tipico telefilm coreano, ma la realtà si rivela sempre ben diversa. Ci si rende conto che si tratta solo di uno stupido bus, che, tra l’altro, spesso è gremito di gente fino all’inverosimile, altro che deserto malinconico. Eppure ci furono anche momenti in cui, come in ogni k-drama che si rispetti, si ritrovò a condividere quel mezzo di trasporto con l’autista e al massimo altri due passeggeri, e di romantico non vi era proprio nulla, semmai si poteva avvertire un’aria di tremenda solitudine ... e paura di sbagliare fermata, visto che per una straniera non è nemmeno così facile muoversi in autobus da quelle parti.
«Va beh, se non me lo vuoi dire …», cominciò a servirsi, «Comunque sappi che io stamani ho fatto una selezione di camere e forse ho trovato quella giusta. Ma ci sto ancora pensando. Il prezzo è ottimo e sei molto vicina alla mia zona, per cui …»
Gemma quella mattina sembrava essere sprovvista di appetito, tanto da raccogliere chicco dopo chicco, svogliatamente, ripensando al doloroso incontro appena passato. «Gli ho detto che sto con uno.»
Sarah batté le mani, «Finalmente hai fatto una cosa sensata!» Il cellulare interruppe la loro colazione. «A proposito di “avere un altro”, è il nostro compare!» Avvisò Sarah, prima di accettare la chiamata.
«Pronto! Stavamo giusto appunto parlando di te», si bloccò immediatamente, ascoltando quello che aveva da dire il tipo. «Prego? … Lei ti ha aiutato, te lo devo ricordare?», sospirò, «Okay, sentiamo!» Guardò in quel momento l’amica con uno sguardo furente. L’italiana invece aveva sollevato le sopracciglia, assumendo un’espressione preoccupata. «Sei sicuro? Lo contatterai tu per noi? … Dobbiamo solo recarci lì allora! D’accordo. Spero per te che sia una cosa buona.» E chiuse senza nemmeno salutarlo, ma imprecando: «Bastardello di un gay. Non che io ce l'abbia con la categoria, ma questo ... »
«Che è successo?»
Sarah riiniziò a mangiare, «Non vuole più farlo. Il compagno lo ha minacciato.»
In quel momento Gemma sentì quasi un senso di sollievo. «Quindi siamo  punto e a capo.»
«No non ti preoccupare», si affrettò a rassicurarla, muovendo le bacchette con talmente tanta foga da far volare qualche chicco di riso qua e là. Bevve la sua zuppa prima di spiegare: «Contatterà un suo amico, che di certo non potrà rifiutarsi, solo … dovremo pagarlo. Ma tanto! Avevamo già pensato a quell’evenienza no?»
Gemma posò malamente le sue posate, «Chi ci aveva pensato? Io no! Spero tu stia scherzando, perché non ho nessuna intenzione di uscire con un gigolò solo per far ingelosire Yon U.»
L’amica però agitò il dito indice in segno di diniego, «Non è niente di tutto ciò. Dobbiamo incontrarlo nella scuola di recitazione dove attualmente studia. Insomma è un attore, ma per arrotondare fa … diciamo d’accompagnatore?»
«Accompagnatore e gigolò a casa mia sono la medesima cosa.» Sottolineò.
«Non lo è ti dicooo, mangiaaa!»
Gemma tornò a consumare il pasto, sollevando ogni tanto lo sguardo verso Sarah. «Senti …» era indecisa se chiederlo o meno, «Riguardo alla stanza … devo proprio? Voglio dire, non posso star qui con te? Mi sentirei più serena.»
Sarah Kim concluse di masticare, posò le bacchette per il lungo sopra il piattino, prima di risponderle: «Lo immagino e mi dispiace davvero, ma lo sai! Ho la mia vita, le mie persone da incontrare. Ora sono sola ma non lo sarò a lungo», la guardò come se stesse dicendo cose più che ovvie, «Non cominciare anche tu a guardarmi come se fossi la donna più facile di questo pianeta. Frequento qualcuno e sì cambio … spesso, ma devo assolutamente trovare marito prima dei trent’anni. Per farlo bisogna sperimentare. Anzi, dovresti farlo anche tu! Smettila di andare dietro a quel ragazzino e cercati un uomo, perché se c’è qualcuno che arriverà ai trenta prima di me quella sei tu, amica mia.»
 

1 Kimbab (김밥) un tipico piatto coreano, del riso avvolto dall'alga nera con all'interno verdurine e a volte prosciutto. (foto allegata sotto)
2 Kimchi (김치) famoso contorno coreano di cavolo cinese fermentato con diversi ingredienti tra cui spesso la pasta di peperoncino. (foto allegata soto)

 

 

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5 Capitolo

 
 
 
 

Palazzi immensi, l’uno vicino all’altro, alti tanto da mozzare il fiato; lunghe strade trafficate, con marciapiedi però ben puliti e abbelliti da alberelli ogni metro o poco più; il suono del traffico incessante la fa da padrone in quella zona, come i negozi in ogni dove, che propongono merce di alta classe, costosissima, rimanendo aperti fino a tarda sera. Chi frequenta quel luogo d’altronde non sembra aver problema di soldi. La maggior parte degli uomini veste in giacca, cravatta e con sé hanno spesso la loro cara ventiquattrore.
Gemma ripensò involontariamente al tipo del pub, osservando un gruppo copioso di begli uomini in tenuta d’affari, passarle accanto. Uscivano pure in branco. Ma di quel bellissimo essere, a cui aveva vergognosamente versato addosso del vino, non sembrava esserci traccia.
Le donne di solito sono ben vestite, anche se qualcuna si mostra elegantemente più sobria delle altre. Sì possono identificare le lavoratrici e differenziarle da quelle che invece sono lì per la movida notturna o solo per un po’ di shopping sfrenato.
L'enorme e pittoresca scritta Gangnam3 logicamente accoglie bene il turista. Un luogo poco economico, ma ormai famoso in tutto il mondo grazie all’omonima canzone del cantante coreano Psy.
La scuola, contrariamente a quel che pensava, non aveva una facciata sfarzosa, come quasi tutto lì intorno e anche la locazione era piuttosto tranquilla. Stranamente in una zona come quella di Gangnam, si possono trovare stradine secondarie più rilassanti e meno appariscenti.
Art Keukjang, così si chiamava, un nome piuttosto sempliciotto: le due parole che lo componevano erano “arte” in inglese e “teatro” in lingua coreana. C’erano due diverse entrate, ma quella più a modo, anche se per nulla pomposa, doveva appartenere al piccolo teatro sempre facente parte del contesto scolastico.
Entrando, Sarah e Gemma si erano sentite come due studentesse in gita scolastica, pronte a visitare qualche casa di moda, visto che si trovarono in mezzo a tanti bei “modelli”. Ragazzi, ma anche uomini e donne più maturi, dal volto particolarmente bello, vestiti da scena o semplicemente in jeans e maglietta, altri in completi eleganti. L’ormone femminile non è superficiale quanto quello maschile, si dice, ma Sarah era la prova che quel pensiero era una diceria di poco conto.
Si erano sedute sugli spalti, in quelle rosse e comode poltrone tipiche del teatro e stavano osservando un gruppo impegnato nelle prove di una qualche opera. L’edificio era praticamente vuoto anche se chiaramente aperto al pubblico. Solamente qualche coppia o persona singola sparsa qua e là, evidentemente non molti erano così interessati a metterci piede, non per delle banali prove per lo meno.
«Non sono male nemmeno quei due che stanno recitando.» Intervenne ad un tratto Sarah, interrompendo quel solenne silenzio. «Devo ricordarmi di andare più spesso a teatro.» Si aggrappò allo schienale del posto di fronte per vedere meglio, «E quello?», chiese a qualcuno, ovvero a chiunque la stesse ascoltando. Logicamente accanto a lei vi era solo Gemma. «Omo!4 Che meraviglia per gli occhi!»
A quel punto anche l’amica si sporse,  accontentandola. Ma subito dopo fissò la ragazza al suo fianco, incapace di capire tra i tanti di chi stesse parlando.
«Che fascino … Ho trovato forse l’uomo della mia vita?» Finalmente degnò di uno sguardo la sua vicina di posto, per poi indicarle il tizio in questione. Non che potessero vedere i particolari da lì, ma in effetti sembrava un bell’uomo e certamente il suo modo di porsi e il completo beige rincaravano la dose di fascino.
«Sarah, siamo venute qui in cerca di un attore o di un uomo per te?» Domandò Gemma, tornando comoda sulla poltrona in velluto.
L’amica ormai si era completamente appoggiata su quella di fronte. «Entrambe le cose non vanno bene?» Sospirò con occhi trasognanti.
Conclusasi la recita aspettarono per circa dieci minuti, ma poi, notando che erano le uniche due rimaste tra gli spalti, onde evitare di farsi cacciare, decisero di alzarsi. Brontolarono nel mentre perché, in effetti, “l’amico” gay non aveva dato loro nessuna informazione in merito alla persona che avrebbero dovuto incontrare, o per lo meno come fare a riconoscerlo. Ergo, l’aggancio in questione si sarebbe dovuto arrangiare a scovarle, perciò la cosa si stava rivelando forse un altro. enorme. tiro di pacco.
Fortunatamente per loro non fu realmente una perdita di tempo: improvvisamente un ragazzo alle loro spalle le chiamò e quando si voltarono lo videro correre su per gli scalini neri, diretto verso di loro. Come tutti i presenti era di bell’aspetto.
«Scusate. Siete le amiche di Gerry per caso?» Chiese, affaticato dal fiatone.
Sarah si mostrò felice di constatare che Gerry il “bastardello” gay, per l’appunto, non si era rimangiato la promessa. «Certo! Allora sei tu l’attore che ci deve aiutare, immagino.»
Lui fece un inchino presentandosi, ma poi aggiunse immediatamente: «Forse non ve l’ha detto, ma … non faccio più quelle cose», mostrò a loro un anello, «Sono fidanzato, perciò evito.» Rise, anche se Sarah non si mostrò allegra quanto lui e Gemma men che meno. «Ah, ma non vi preoccupate. Ho chiesto ad un mio collega se fosse disposto a farvi il favore e sapendo che si guadagna un po’,  ha accettato.»
«Ah! Cosa vuoi farci, se è così. Speriamo solo sia carino quanto te.» ribatté l’italo-coreana, mentre la ragazza alle sue spalle si spazientiva sempre di più. Gemma sbuffò nervosamente, pensando che non c’era fine a quella storia.
 

****
 

Sul palcoscenico erano rimasti pochi attori e qualcuno della troupe che stava tentando di sistemare meglio le luci e allestire lo spazio a loro disposizione. Un gruppo di cinque persone si era radunato per organizzare i compiti di ognuno. Un uomo su tutti spiccava in mezzo agli altri, e non solo per via della sua notevole altezza. Quando si divisero, conclusa la piccola riunione improvvisata, costui guardò distrattamente il teatro, notando uno dei suoi attori, intrattenersi con due straniere. Socchiuse gli occhi sospettando il peggio.
«Min Seob!» Lo chiamò da lontano. Vide il giovane riferire qualcosa alle ragazze e scendere le scale velocemente fino ad arrivare da lui.
«Sajangnim5, mi dica.»
Sajang, in coreano voleva dire capo o … direttore.
«Chi sono le signorine?» Domandò incuriosito.
L’uomo che aveva chiamato il loro “aggancio”, era proprio il fascinoso che Sarah aveva adocchiato durante lo spettacolo, ma la giovane se ne era accorta tardi, perché la prima a farlo presente fu proprio Gemma:
«Quello non è il tizio che piaceva a te?»
«Lo stavo notando anche io», le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla, «Gemma, che sia lui il collega che ci deve aiutare?» La voce era piena di esitazione.
L’italiana alzò le spalle, liberandosi della fastidiosa presa di Sarah. «Non lo so. Probabile?» Il suo tono era sempre più minaccioso, a causa della fastidiosa attesa.
«Deve essere lui! Sarebbe perfetto! Così elegante, così …» congiunse le mani quasi stesse pregando e forse mentalmente ci stava addirittura provando.
Gemma sorrise ma per nulla divertita, «Se è così tu cosa farai? Non lo avevi adocchiato in quanto a tuo futuro, forse, marito?» La punzecchiò.
L’altra le mostrò un ghigno sornione e tremendamente malizioso: «Una cosa non preclude l’altra, anzi! E’ proprio un modo per agganciarlo! Certo, dovrò prestarti il mio futuro, forse, marito per i tuoi giochetti, ma poi so che tu me lo restituirai.»
E mentre le due chiacchieravano, chi beatamente e chi impazientemente, qualcun altro, a qualche metro di distanza, si mostrò contrariato:
«Non farai ancora quelle cose!?» Chiese il direttore al suo suddetto.
Il giovane attore mise subito le mani avanti, agitandole, «No, no sajangnim, giuro! Sa anche lei che sto frequentando seriamente una ragazza. Però un amico ha dato erroneamente il mio nome a quelle due … », le osservò velocemente prima di sussurrare all’uomo di fronte: «Sembrano disperate.»
Costui sospirò, «Lascia perdere. Dì che non puoi aiutarle. Non è una scuola per accompagnatori questa.», lo sguardo era fortemente corrucciato, a sottolineare il suo disappunto. Ad un tratto però, fermò il ragazzo prima che si potesse allontanare, «Anzi no! Piuttosto vai a cambiarti, ci penso io a mandarle via.» e lo declinò con un gesto della mano. «Domani sii puntuale.»
Il ragazzo non poté far altro che ubbidire e andarsene.
 

****
 

Gli occhi di Sarah si spalancarono nell’apprendere che, sì! Quell’uomo la stava per raggiungere.
«Deve essere proprio lui.» Sussurrò, intimando Gemma di osservare colui che, scalino dopo scalino, lentamente e con passo sicuro, stava salendo verso di loro.
Lo osservò meglio da quella distanza, che via via andava ad accorciandosi: era molto alto e magro al punto giusto; vestiva elegante, in un completo beige giacca e pantaloni, sotto una camicia bianca e una cravatta rossastra vinaccio a righe che, a suo dire, poteva anche risparmiarsela. Ma, lungi da lei giudicare lo stile di un coreano qualsiasi! Sapeva bene che spesso la moda del luogo poteva dirsi discutibile e quello non era nulla al confronto con altri esempi.
 Anche la faccia non sembrava male, come il portamento stesso, che era la cosa che lo metteva in luce al primo sguardo. In effetti poteva andare.
Appena fu abbastanza vicino si soffermò a squadrare quel volto particolarissimo: delle labbra poco appariscenti, un naso abbastanza importante, che si allargava leggermente di punta, gli occhi a mandorla avevano una bella forma, ma erano le sue folte sopracciglia a rendere strano lo sguardo. Si chiedeva se, da arrabbiato, potesse incutere pure un certo timore.
Fece un mezzo inchino con la testa alle due ragazze, prima di salutare con un accenno di sorriso, pronunciando brevemente: «Salve.» La sua voce era a dir poco cavernicola, o almeno così pensò immediatamente Gemma.
«Allora è lei!» Affermò la straniera, dopo aver concluso la veloce osservazione. «Quanto vuole?»
Fu talmente diretta da lasciare la persona davanti a lei interdetta e visibilmente scioccata. Ma che quella sua frase fosse altamente maleducata, se ne era resa conto ancor prima di notare la reazione dello sconosciuto, a cui si era rivolta in maniera non consona perfino per la sua cultura, figurarsi per quella coreana, ricca di oneroso rispetto verso il prossimo.
 Sarah stessa, che di solito non ci andava giù leggera, rimase indignata dal comportamento dell’amica, di solito più riflessiva. Le diede una gomitata, facendole presente: «Che modi sono? Così sembra che tu voglia che si prostituisca.»
L’uomo ancora perplesso passò con lo sguardo da una ragazza all’altra, che in quanto a parole nemmeno la seconda sembrava sapersi troppo regolare.
«Sì, in effetti. Chiedo scusa.» Affermò a quel punto la maleducata, ma dal tono della voce non sembrava voler ammettere tutte le sue colpe. Attirò dunque nuovamente l’ attenzione dell’uomo su di sé, «Di solito non rispondo in questo modo. Mi dispiace.» e forse in quel momento poteva apparire già più sincera.
In effetti non era da lei parlare così a briglia sciolta, senza prima ponderare bene sul tono da adottare e quali parole selezionare. La giustificazione per quelle maniere poco socievoli e carine: nervosismo, semplice nervosismo dovuto all’impazienza. Inoltre dopo l’incontro con Yon U, la voglia di rivederlo era aumentata a dismisura. Sapere che erano nella stessa città, ma in zone diverse, la snervava. Il piano le era sembrato davvero una scusa plausibile per presentarsi una seconda volta davanti a lui, ma selezionare la persona più adatta al suo scopo, a cui accompagnarsi, si era rivelata una cosa tutt’altro che semplice. Aveva dovuto sopportare noiosi incontri, proposte indecenti, umiliazioni varie e proprio quando sembravano aver trovato finalmente qualcuno di adatto … ecco che un altro problema si contrappone al suo volere.
La ragione non era più dalla sua parte, ciò che la sollevava era unicamente il desiderio di riavere al più presto Yon U e questo premeva insopportabilmente i nervi, soffocando la pazienza e appunto i suoi buoni modi.
La risata di Sarah, quasi melodrammatica, gli giunse all’orecchio e i suoi occhi castani si spostarono per l’ennesima volta. «Aigooo6 … ci scusi per la maleducazione, ma sa ci stanno facendo rimbalzare come delle palline», gli sorrise gentilmente, «E prima Gerry e il suo fidanzato russo, geloso, poi l’attore di teatro che ci propone uno scambio-»
«Gerry? Scambio? Russo?» Sussurrò di rimando lui. Non riusciva a prendere parola di fronte alla parlantina della strana italo-coreana.
«-ovvero lei! Insomma siamo un po’ frastornate. Il suo amico le ha parlato di noi?» Giunse il silenzio. Ma visto che la risposta tardava ad arrivare e lo sguardo dell’uomo sembrava ancora nella fase di metabolizzazione, spiegò: «Abbiamo bisogno di lei per fare ingelosire il suo ragazzo» e con un gesto del capo indicò la ragazza al suo fianco.
Il coreano fissò con sguardo di pietà la giovane appena indicata, ma non proferì parola. Non c’erano parole per descrivere l’assurdità di quella squallida richiesta. Inoltre, anche se avesse voluto dir la sua, non avrebbe potuto, quella mezza asiatica non la smetteva di parlare.
«Chiedo scusa nuovamente per la mia amica, riguardo ai suoi modi poco delicati.» sbuffò, recitando la parte dell'indignata, «Darle del prostituto!» Fece per spolverargli la giacca all’altezza del braccio, ma lui si scostò deciso.
«Non ho detto che lo è!» Sottolineò Gemma, seccata dal continuo ricordare al mondo la sua momentanea caduta di stile.
«Sì, ma ti pare il caso di chiedere subito la parcella? Non si fa così.» Le rispose Sarah.
Sembrò iniziare una disputa tra le due: «Perché? Perché qualcuno dovrebbe offendersi se chiedo informazioni riguardo al prezzo che vorrebbe stabilire? Ho ammesso le mie colpe e me ne dispiace, ma perché prendersela tanto?» In quel momento le sue parole non erano più cariche di scuse, se mai una difesa personale. Guardò l’interessato, «Ho bisogno del suo aiuto, perciò non si preoccupi! La pagheremo bene. Vede, il mio ragazzo mi ha scaricata qualche mese fa e senza un’apparente ragione. Non sono vendicativa e non voglio farlo soffrire per cattiveria d’animo, ma si tratta di un metterlo alla prova e provare a farlo tornare da me.», alzò gli occhi al cielo e sospirò nervosa, «Le ripeto che mi dispiace per prima, non volevo essere brusca. Sono solo stata diretta.»
«Me ne sono accorto.» Commento il coreano, facendo finalmente risuonare la sua potente voce.
Sarah ridacchiò a bocca chiusa, quasi come se cantasse un motivetto, «Mettiamo in chiaro una cosa: no! Non è per farlo tornare da lei. Si tratta proprio di vendetta!»
Lui allora sollevò una questione importante: «Se l’ha lasciata, cosa le fa pensare che quella persona possa rimanere in qualche modo ferita dal suo ridicolo piano?»
Ma Gemma fu pronta a rispondergli: «Diciamo che servirà per capire diverse cose.»
«Per comprendere  non basterebbe chiedere direttamente al soggetto?» Domandò ancora.
«Ci avevo già pensato infatti, ma … non è così semplice come crede.» Ebbe di nuovo la risposta pronta, come il signore desiderava. Mr "Gamba lunga" cominciava a rivelarsi un po’ troppo saccente.
Sarah si rimise in mezzo in quell’istante: «Lei è ancora innamorata di lui!» Specificò una cosa ovvia a tutti, «Ma quel ragazzo non fa per lei! La guardi, una donna di ventotto anni, non può stare con un ragazzino di ventitré, non crede?»
Il direttore sollevò le folte sopracciglia colpito, «Quanti anni?»
Sarah annuì con un’espressione quasi amareggiata, «Sì, ha capito bene. Un ragazzino di ventitré anni.»
Ma lui scrollò la testa, «No, no. Non lui. Quanti anni ha lei?» Chiese fissando incredulo la straniera dai capelli castani.
Gemma sentì la freccia colpire il suo ego. Quell’espressione sul volto dell’attore aveva fatto un centro perfetto. Si toccò una guancia, prendendo una posa quasi studiata, «Lo so. A volte, quando mi guardo allo specchio, sembra impossibile anche a me di avere questa età.» Disse, sollevando il volto e atteggiandosi a donna fascinosamente matura.
«Essendo già grandina dovrebbe cercare un uomo di un certo livello, non un moccioso!» Tornò sul punto cruciale l’italo-coreana.
Lui ci pensò un attimo, poi guardando colei che aveva sollevato la questione disse: «Le donne cercano stabilità, specie ad una certa età. Di solito non giocano con i bambini.» Appena spostò la visuale lateralmente verso Gemma, lo sguardo che si ritrovò davanti lo lasciò nuovamente di stucco. Sembrava volerlo mordere da un momento all’altro.
Forse quell’uomo non era gradevole quanto faceva presagire il suo aspetto. La frase “mai giudicare un libro dalla copertina” si rivela sempre giusta, sia che si giudichi male qualcuno sia che lo si giudichi al contrario troppo bene. L’approccio iniziale di Gemma, fin troppo brusco, non era dovuto ad una sorta di antipatia verso quella persona, ma in quel momento avrebbe anche potuto rispondergli seriamente indietro per una questione di insopportazione. Cominciava ad infastidirla parecchio.
«Giusto!» L’esclamazione ad alto tono lo riportò con l’attenzione alla mezza coreana. «Io ad esempio cerco un uomo proprio così.» Allungò un braccio per poter quasi accarezzare quello dell’attore vicino, ma prontamente lui fece qualche passo indietro, pericolosamente visto la presenza delle scale.
Ai suoi occhi quelle due apparivano del tutto pazze e forse Sarah lo aveva intuito, per questo diede un taglio all’abbordaggio.
Si schiarì la voce, dandosi un contegno: «Comunque farlo ingelosire e fargli capire cos’ha perso è un’ottima punizione ed è qui che entra in scena lei. Deve solo accompagnare la mia amica al pub dove lavora l’ex, fingendo di essere il suo ragazzo.»
Il protagonista della presunta recita si rivolse al personaggio femminile di quell’impossibile drama, che due folli volevano mettere in atto: «Lei desidera davvero tutto ciò?» La perplessità fatta in persona.
Gemma non sollevò lo sguardo, perché ormai aveva preso una piega triste, «Voglio solo tornare da colui che amo», sussurrò invece, pensando che gli altri due non potessero udirla.
Il direttore invece l’aveva sentita eccome e ormai il suo sguardo si era interamente posato su di lei, cercando di comprendere cosa potesse spingere una donna della sua età a commettere quel grosso errore. Ad ogni modo lui non poteva davvero far nulla per loro. Oltretutto non voleva. «Temo vi stiate sbagliando. Non ho mai fatto nulla di simile e non vedo perché dovrei iniziare proprio ora. La trovo una cosa-»
Sarah Kim lo interruppe: «Le ricordo che non farà nulla per nulla, la paghere-» Si bloccò, vedendo la mano sollevata di quella persona e quasi voleva sporsi per afferrargliela, tanto grande e ben delineata che era. Logicamente si trattenne dal farlo.
«Non è questione di denaro, ma di principio.» Mr “bella mano” ci teneva a sottolineare la questione.
Gemma sbuffò infastidita, ormai stanca di girarci troppo intorno. «Ho capito. Lasciamo perdere.» Anche questa volta si era rivelato tutto un grosso buco nell’acqua. Perciò gli voltò le spalle, «Troveremo qualcun altro», disse prima di iniziare a risalire le scale.
Sarah cercò di fermare Gemma, pregandola di attendere ancora un po’. Se avessero rinunciato in quel momento, con molta probabilità, non avrebbero più incontrato quell’uomo, dunque voleva fare ancora un tentativo. «Per curiosità, quanto è alto?» Le serviva una qualsiasi scusa per guadagnare tempo e pensare, nel frattempo, ad una buona tattica per incastrarlo. Se poteva convincerlo ad aiutarle, per lo meno doveva strappargli un’uscita o il numero di telefono.
«Un metro e … ottantotto. Perché?» Lo sguardo del bellone però si spostò verso la ragazza più distante, che non si era mai fermata, nemmeno di fronte alla richiesta dell’amica. Noncurante, continuò a salire verso l’uscita.
«Età?» La conversazione, apparentemente casuale, si stava rivelando un interrogatorio.
«Trentatré», rispose automaticamente, continuando a scrutare l’irritante straniera qualche metro più in là.
«Ultra perfetto!» Anche Sarah finalmente, voltandosi verso Gemma “la fuggiasca”, ne notò la lontananza. «Dove vai? Lui fa proprio al caso nostro!»
E solo in quel momento lei si fermò. «Basta! Rinuncia! E’ una perdita di tempo …», fece una piccola pausa, prima di continuare ad esporre la sua convinzione: «… affidarci ad attoruncoli di teatro, è una perdita di tempo. Mi chiedo se sappiano davvero recitare o se siano solo di bell’aspetto.»
L’uomo, punto nel vivo, infastidito, sollevò un sopracciglio, «Come scusi?», e cominciò a salire le scale del teatro, per colmare quella distanza. Le mani infilate nelle tasche dell’elegante giaccia, il passo privo di alcun cenno di insicurezza. «Attoruncoli? Sta scherzando, vero?»
L’espressione dell’estranea divenne altezzosa, un classico segno di sfida. «Immagino che non sappia nemmeno entrare nella semplice parte del fidanzato. Se non vuole farlo vuol dire che non se la sente, non la biasimo per questo. Se è così non la forzerò.» Fece per rigirarsi e andarsene per sempre, caso chiuso, ma qualcosa le fece credere che non fosse ancora finita quella sottospecie di disputa.
Un sorriso simile ad un ghigno si stagliò sulle labbra della persona a cui aveva appena colpito in pieno orgoglio. Il passo accelerò, saltando qualche scalino, con le sue chilometriche gambe, fino ad arrivare di fronte alla presuntuosa, mostrandole un volto tremendamente divertito e infastidito allo stesso tempo. «Mi dica giorno, ora e luogo.»
Gemma si sentì quasi minacciata da quell’atteggiamento sicuro, perfino la sua postura, curvo verso di lei, le incuteva soggezione. Come aveva immaginato, le particolari sopracciglia aumentavano quel senso di pericolo che emanava la forma degli occhi: in quel momento non erano affatto sereni, sembravano piuttosto seri e piuttosto furenti. Anche la bocca aveva preso una forma inquietante, notando che non era stretta come invece appariva, bensì con un sorriso poteva allargassi notevolmente.
Aspetto a parte, che in quel momento risultava meno rassicurante, il problema sembrava essere il presunto carattere, forse per nulla compatibile con quello di Gemma, che cominciava davvero a considerare quella persona un po’ sgradevole.
Avvertì improvvisamente un peso sulle spalle, che la destò da una sorta di ipnosi momentanea.
«Grazie mille!» Gioiosamente Sarah ringraziò il tipo, del quale non sembrava affatto intimorita, anzi in quel momento nel suo sguardo appariva ancora più ammirazione di prima. «Se ci da il suo numero la contatteremo.» Ma più che altro si trattava di eccitazione.
Lo strano attore drizzò la schiena e tornò in uno stato di tranquilla e normale serietà. Il volto non appariva inquietante come poco prima. Sospirò prima di mettere in chiaro le cose: «Vi mostrerò di che pasta è fatto chi lavora in questo ambiente. Ma sappiate che vi concederò solo una possibilità. Un’apparizione sola, un “cameo” , che non ammetterà repliche.»


3 Gangnam (강남) è uno dei maggiori distretti di Seoul, una zona molto ricca della capitale sud coreana.
4 "Omo" (어머 pronunciata con le "o" bene aperte) è una classica espressione coreana di sorpresa, similare al nostro "cielo!" oppure "oddio!", ed è la contrazione di "omona" (어머나) che è una sorta di espressione "omo" più "na" ovvero "io" = "oh my" e quindi si rifà sempre all classica esclamazione: "oh my god"
5 Sajang-nim (사장님) sajang è appunto direttore, una figura di riferimento, un capo, quel "nim" è l'onorifico che da ancor più rispetto alla parola stessa. 
Aigo (아이고) altra esclamazione tipica, ha un livello di tono più basso rispetto al sorpreso "omo". 



Alcune foto dei miei viaggi che possono far capire meglio alcuni punti:

 
Kimbab fatto in casa


Kimchi fatto in casa





 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 6° & 7° ***


6 Capitolo
 
 
 
 
Nonostante un’apparente antipatia, non si potevano ritenere sfortunate nell’aver incontrato un tipo come lui. Gemma stessa ne era consapevole e per questo ammetteva che, quel fascino, poteva aiutarla nel suo intento, anche meglio di tutti gli uomini incontrati fino a quel momento. Beh, a parte l’impiegato d’azienda a cui aveva rovinato la camicia.
Mr “bella mano”, che poteva anche essere definito in altri tanti modi, si presentò puntuale all’appuntamento, nel luogo pattuito. La caffetteria in cui stavano attenendo le ragazze era a qualche isolato dal locale dove Jin Yon U, l’obbiettivo, lavorava. L’attenta osservazione cominciò sin da quando fece la sua apparizione nel locale, l’uomo infatti richiamò l’attenzione su di sé a causa della classica campanella che tintinnava ad ogni apertura dell’uscio. Rimase per un attimo all’entrata, studiando lo spazio colmo di un arredamento semplice, di colore beige e marroncino, tavoli squadrati per nulla particolari, con poltrone in vimini e una leggera luce giallognola che rendeva il tutto quasi malinconico. Finalmente le individuò e si incamminò dalla loro parte.
Le due ne scrutarono bene la camminata sicura e l’ abbigliamento ricercato: giacca nera, pantaloni del medesimo colore, sotto una camicia bianca con stampe grigio topo che ricordavano un po’ …
«Gli ideogrammi di una tappezzeria marocchina.» Così li definì Gemma. Quell’indumento non le piaceva particolarmente, ma era giusto sottolineare il fatto che su di lui faceva una certa figura.
«Vi siete già servite.» Affermò, abbassando lo sguardo sui due bicchieri di cartone e le bevande che contenevano. Si slacciò il bottone della giacca, sedendosi elegantemente di fronte alle ragazze.
Sarah stranamente era rimasta senza parole: un gomito appoggiato al tavolo e la testa sollevata dalla mano, sguardo trasognante rivolto alla bella figura maschile. «Vuole qualcosa anche lei? Offro io …»
«No. Spiegatemi solo la tipologia del locale dove dovremo recarci.» Chiese frettolosamente, sollevando un’espressione di sufficienza.
«Un semplice pub», proferì allora lei con voce quasi persa, sorridendo a tutto andare, «com’è vestito va più che bene», aggiunse esaminandolo dalla testa ai piedi ancora una volta.
Il coreano mosse gli occhi fissandola quasi con astio, sicuramente infastidito dalla situazione in cui si stava per cacciare. «Non so nemmeno perché io abbia accettato.» Si lasciò andare in un lamento.
Gemma, dopo una prima occhiata al look dell’attore, aveva abbassato lentamente lo sguardo, perdendosi nei meandri della sua mente e dei suoi preoccupati pensieri. Non aveva notato l’insopportazione che trapelava da quella persona, troppo impegnata a reggere il suo stato di turbante attesa.
A lui però non sfuggì l’assenza della ragazza. Notò subito le mani di quest’ultima: stava grattando unghia contro unghia, consumando addirittura lo smalto, in un gesto nervoso.
Tornò allora da colei che poteva vantare tratti orientali e occidentali mescolati in una perfetta armonia. Le indicò con un cenno della testa la straniera. «E’ presente ma non sembra esserlo davvero.»
Sarah sorrise forzatamente. «E’ … nervosa.»
«Si capisce», accavallò le gambe e congiunse la mani in grembo, in una posa comoda e distinta, «e questo potrebbe essere un problema», si prese un po’ di tempo per riflettere. «Io posso recitare, ma lei?»
Sarah a quel punto si preoccupò, «Dice che potrebbe mandare tutto all’aria?»
«Ovvio.»
L’italo-coreana si sporse verso l’oggetto del suo desiderio. «Allora deve fare in modo che non accada, la prego», se in quel momento quelle le mani maschili fossero state a portate delle sue, Sarah forse si sarebbe addirittura azzardata ad afferrargliele. «In caso contrario non riceverà alcun compenso.»
L’uomo le si avvicinò lentamente, con uno sguardo severo sul volto, «Un attore non può rendere la recitazione degli altri convincente, può solamente recitare lui in modo perfetto», le sussurrò talmente vicino, da farla per forza di cose arrossire.
Deglutì agitata. «Chiaro.»
Costui poi si scostò, avvertendo quella breve distanza simile ad una pericolosa vicinanza con un boa dalla presa soffocante. A volte gli piaceva provocare le donne, ma bisognava stare attenti a chi rivolgere certi tranelli, cercando oltretutto di non esagerare. Andava bene giocare con il fuoco, ma non attizzarlo a tal punto da causare un’esplosione.
Allungò una mano verso Gemma, picchiettando con le dita il tavolino, proprio sotto al bel naso alla francesina. In quel momento lei realizzò di essersi isolata per troppo tempo. Pensare non le faceva bene, sembra strano dirlo, ma nel suo caso riflettere troppo induceva alla paura e questa poteva davvero mandare a monte ogni suo tentativo di lotta.
«E’ pronto?» Chiese a colui che l’aveva risvegliata.
«E lei?» Domandò costui di rimando. Gemma per risposta si alzò. «Aspetti un attimo», ma venne immediatamente bloccata dal successivo quesito: «C’è altro che dovrei sapere?» Osservò entrambe in attesa.
Sarah Kim fece una smorfia, pensandoci per qualche secondo. «Deve fingere di essere il suo fidanzato, basta. Non c’è altro.»
«Deve solo recitare», confermò Gemma frettolosamente.
Quella sua frase da poco conto spinse l’uomo a sorridere ironicamente, tanto che tornò serio in un batter di ciglia. «Ogni personaggio che interpreto ha la sua storia e complessità.»
«Non siamo al cinema o in un drama della KBS1», ribatté secca Gemma. Notò una vena infastidita nel volto dell’attore e ne fu quasi compiaciuta. Provò ad alzarsi ancora, ma nuovamente la fece risedere, questa volta però si azzardo a farle un piccolo e poco elegante sgambetto da sotto al tavolo e goffamente la ragazza cadde sulla poltrona di vimini. «Ma che modi …», lo guardò stizzita.
«Scusi dello sgarbo», pronunciò immediatamente il colpevole, facendo uno sforzo immane per non sollevare un angolo della bocca e mostrare un ghigno appagato. «Penso ci siano cose da chiarire, prima di buttarci a capofitto nell’impresa.» Spiegò rivolgendosi sempre ad entrambe.
Gemma si appoggiò poco elegantemente al tavolo, «senta … deve solo stare al mio fianco e far finta di essere il mio partener. Tutto qui. Cosa c’è di così difficile da doverne parlare?» L’arroganza alla fine si manifestò, quella persona sapeva come fargli perdere le staffe.
Anche lui si chinò verso di lei, spostando appena il capo da un lato, con fare incuriosito e questa volta il mezzo finto sorriso lo mostrò più che volentieri. «Per me non c’è nulla di complicato. Per lei invece?» Aveva colpito il bersaglio e lo poteva ben vedere: la ragazza rilassò di colpo la fronte corrucciata e abbassò lentamente lo sguardo. «Dovrà affrontare qualcosa di molto fastidioso, se ne rende conto?» Gemma sbatté le palpebre più volte, mostrandosi quasi intimorita e anche questo non gli sfuggì. «Va bene. Tanto è solo per stasera. Ce la caveremo comunque … io e lei», sembravano essere parole volutamente selezionate per incoraggiare, ma non servirono comunque a molto. Si alzò prima della “sua” signora, chiudendo il bottone della giacca. «Vorrà dire che improvviseremo», annuì a se stesso, poi le offrì una mano, attirando uno sguardo non meno spaventata di prima. «Chiedo ancora scusa per lo sgambetto. Di solito non sono così irruen-» lascò a metà la parola quando la ragazza si alzò senza afferrare la sua mano, anzi apparentemente senza nemmeno notarla, o meglio ancora … ignorandola volutamente.
E il giovane uomo dovette sopportare il gesto. Si rivolse alla donna rimasta seduta al tavolo, e fece un piccolo inchino gentile prima di seguire la straniera fuori dal locale.
«Che eleganza, che portamento, che educazione …», Sarah sospirò, « sei proprio un uomo d’altri tempi … per questo ti voglio!»
 
 

1 KBS "Korean Broadcasting System
rete televisiva coreana.

 
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7 Capitolo
 
 
 
 
L’aria fresca d’autunno le pizzicava il volto, quasi fastidiosamente. Lo sguardo rivolto verso l’insegna luminosa, che invitava i clienti ad entrare al Pal2, un pub come tanti, dove si poteva consumare super alcoolici occidentali, cosa impossibile in altri tipi luoghi. Il quartiere stesso non era il massimo, qualcuno lo considerava forse peggio di Hongdae. Non le piaceva il frastuono notturno, finché però comprendeva club, disco e pub, poteva anche sopportarlo e tentare di divertirsi lo stesso; se si trattava di gioventù e intrattenimento sano, lo concepiva …
Quel luogo invece veniva frequentato soprattutto da adulti di una certa età e vi si trovavano locali realmente o apparentemente innocui. Nel secondo caso, si trattava di posti dove si poteva richiedere, con un extra, dell’intrattenimento al femminile.
Le strade si mostravano sporche e colme di volantini dei diversi locali, ma questo era un problema dell’intera capitale Sud Coreana: da una certa ora del tardo pomeriggio in poi, le vie si sporcavano troppo facilmente, rendendo alcuni bei quartieri falsamente degradanti.
Gente ubriaca per le strade e donne vestite con abiti fin troppo succinti, anche più della normale quotidianità notturna coreana. Sospirò, ripensando al fatto che lui dovesse per forza di cose lavorare in un distretto simile e che in quel momento si trovava proprio là dentro. Erano a pochi metri di distanza, separati solo dalle pareti di un comune pub.
Le sembrava un’eternità da quando si erano visti l’ultima volta, anche se qualche giorno prima si era presentata coraggiosamente a casa sua. Oltretutto, in quel momento, non avvertiva la giusta forza da incanalare. Privata totalmente di carica positiva.
Dietro di lei, il suo partner di recita stava attendendo. «Immagino sia questo il posto.» Una domanda celata da un’affermazione, il tutto riferito con un tono leggermente spazientito.
Gemma non rispose, semplicemente strinse i pugni per un attimo, per poi rilasciarli appena prese ad avanzare. Insieme a lei anche l’attore. Qualche passò più tardi proprio costui le afferrò convinto la mano, intrecciando le loro dita. La ragazza si bloccò all’istante, ritirando l’arto quasi indignata, come se si fosse permesso di fare ben altro. «Che fa?»
«Fingo.» L’attore di dimostrò un tantino confuso a causa di quella sua eccessiva reazione.
«Non serve che mi tenga la mano.» Rispose.
«Okay, se vuole che reciti male la mia parte poteva dirlo subito.» Ribatté poco interessato. Le voltò le spalle dirigendosi verso le scale che portavano al pub.
Gemma lo bloccò: «Aspetti. Non ben ho compreso cosa intende.»
Egli allora cercò di spiegarsi meglio: «Devo fingere di essere il suo amante, si o no?»
«In verità …» Messa davanti ai fatti, si dimostrò incerta.
E questo, come tante altre cose, non sfuggì all’occhio del falco. «Se non è sicura di quel che vuole, è inutile tentare la sceneggiata.»
La straniera sollevò lo sguardo da terra, mostrandosi nuovamente impaurita, e senza saperlo con quegli occhioni languidi, cominciò quasi a supplicarlo. Ma non per questo lui si offrì di accontentarla. Uscì dall’abitacolo delle scale, avvicinandosi. «Decida ora. Sto facendo uno sforzo immane per non andarmene in questo stesso momento. Dobbiamo o non dobbiamo apparire come due fidanzati?»
«In teoria sì.» Confermò.
Lo vide sollevare le folte sopracciglia, ripetendo: «In teoria», ma alla fine alzò il braccio, offrendolo alla giovane donna, che lo fissò senza muovere un muscolo. «Si aggrappi.» La incitò.
«Ah!» Emise un mugugno impacciato, capendo solo in quell’istante cosa avrebbe dovuto fare. «Sì.» Annuì, mentre con fare impedito posava la mano sulla piega del gomito di quel braccio fasciato dal completo nero, sotto l’occhio attento e pienamente perplesso dell’attore.
Si voltò verso il locale, «Sijakhabsida!3» Sussurrò lui, cominciando a scendere le scale che introducevano al pub.

 
****
 
Solo l’uomo dietro al banco si voltò, quando vide la coppia entrare e come accade nei locali di Seoul, salutò cortesemente i nuovi clienti, invitandoli appunto ad entrare. Il barista, che indossava un grembiule verde, non distaccò lo sguardo dai due: un lui, fin troppo alto e ben vestito, accompagnato da una lei, incantevole straniera con un abito dalla stoffa rossa, coperta di pizzo. Quel capo lo aveva preso in prestito dall’armadio dell’amica, normalmente non indossava niente dallo stile coreano, ma per quell’occasione doveva apparire elegantemente sexy. Mostrare ciò che quel bamboccione, come lo definiva Sarah, aveva perso.
Capello castano, quasi ramato, per via dei colpi di sole dai riflessi rossi, lisci fino alle punte, che poi volteggiavano un tantino, creando delle grosse onde naturali. Occhi grandi, molto espressivi, dalle folte ciglia e l’iride tra l’ambrato e il grigio. Naso fino e quasi a punta, bocca dalle labbra non troppo disegnate nei particolari, ma piene quanto bastava. Viso tondo e all’apparenza davvero giovinetto. La statura non era delle più appariscenti, ma il seno compensava.
Il resto della clientela la osservò successivamente, non che ve ne fosse poi molta. «Che diavolo di posto è questo? Non c’è nessuno.» Fece notare la voce grossolana dell’uomo al suo fianco. In effetti, gli ospiti si contavano sulle dita di una mano: due amici ad un tavolo e un uomo al banco.
«Non c’è.» Gemma controllò velocemente quello spazio  ridotto, ma non vi era traccia di colui che tanto cercava.
«Intanto sediamoci e ordiniamo. Stiamo al banco, okay?» Senza avere una risposta, con ancora la ragazza aggrappata al suo arto, la invitò a seguirlo. Ogni tanto Gemma, senza accorgersene a causa della tensione, stringeva quel braccio fino all’inverosimile, ma galantemente nessuno obbiettava.
Fece sedere prima la sua compagna e poi si accomodò accanto. Il barista si avvicinò subito alla coppia. «Cosa vi porto da bere?» Parlò con il sul connazionale, immaginando che la giovane donna parlasse solo inglese. Era un bel ragazzo sui trent’anni, o forse ne aveva anche di più ma ne dimostrava meno, come molti uomini del Sud Corea. Alcune teorie affermano che i capi di stato coreani siano in possesso dell’elisir dell’eterna giovinezza. Botox a parte.
«Per me un Whisky con ghiaccio, per la mia signora … », si girò verso colei che aveva l’attenzione impegnata altrove e le sfiorò un braccio, così da indurla a voltarsi. «Cosa prendi da bere?»
«Aaaah … veda un po’ lei.» Continuò ad usare l’onorifico, senza pensare che forse era il caso di farlo cadere durante lo “show”.
«Per la signorina una coca cola è possibile?» Gli arrivò immediatamente una poco elegante gomitata, mentre lui sogghignava al barista. «Faccia un qualsiasi cocktail allora.» Spostò poi lo sguardo verso una Gemma adirata, «Joke» si divertì a proferire in inglese.
«Un Alaska può andar bene?» Il barista premuroso lo domandò al fidanzato “perfetto”, che annuì.
Appena il barman si mise al lavoro, il distinto coreano tornò a contemplare perplesso la ragazza al suo fianco, in continua attesa e ricerca. «Se sta con qualcuno dovrebbe guardare quel qualcuno», congiunse le mani sopra il bancone di marmo. Era tornato a dialogare in modo formale.
Lei non lo degnò nemmeno di uno sguardo rivelando l’ovvio: «Non sono qui per lei.»
«Ma è qui con me», sbuffò sornione, «la smetta con la caccia al tesoro. Le cose sono due: oggi è il suo giorno libero oppure … è là dentro» e le indicò, con un breve accenno del capo, l’unica porta esistente oltre a quella del bagno. «Guardi il listino.» Una sorta di tovaglietta di carta, rivestita di plastica, era appeso in un angolo della parete di fronte a loro, vicino all’inizio della credenza dove erano esposte diverse bottiglie e alcune dalle forme più moderne e i colori più sgargianti. In quel posto era presente anche una televisione, appesa in alto e si sporgeva in avanti, mostrando diversi show musicali. «Fanno anche da mangiare qui, sicuramente c’è una cucina. E’ un cuoco?»
«No. Non sa friggere nemmeno due uova.» Ricordava ancora quella volta in cui si erano scambiati i ruoli. Solitamente lei si occupava della cucina, mentre a lui spettava una cosa che Gemma odiava alla follia: pulire la casa. Si erano sfidati a vicenda e alla fine Yon U dovette cucinare un decente pranzo, mentre la sua ragazza ripuliva la loro stanza. Qualcosa di semplice: occhio di bue e salsicce, ma riuscì a bruciare tutto. Alla fine furono costretti a mangiare solo la kyeranjjim, uova cotte con acqua in un tegame apposito, più l’aggiunta di alcuni ingredienti a seconda della casa, gentilmente offerta dalla madre del ragazzo.
La risata grottesca non tardò ad arrivare. «Che uomo! Beh, immagino non sia importante. In Corea anche se non sai fare un lavoro, puoi sempre provare ad imparare.» E infatti Jin Yon U, se pur molto giovane, aveva già provato moltissime occupazioni, non trovando mai la passione in quel che faceva.
Il barista tornò con le loro ordinazioni e gli augurò una buona bevuta. Sembrava doversene andare, più che volerlo, ma alla fine decise di soffermarsi un attimo per colmare una sua curiosità. Chiese ai due se fossero fidanzati.
«Chissà … cara siamo fidanzati?» Ironizzò l’effettivo finto partner, afferrando poi al volo lo sguardo infastidito della sua ipotetica fidanzata. Ma il loro palcoscenico non calò per quell’unica battuta e il barman, che prese il tutto come una risposta affermativa, si complimentò perché, a suo dire, il cliente era in compagnia di una bellissima donna.
«Che è bella può dirlelo direttamente, comprende la nostra lingua.»
«Oh, davvero? Sa parlare coreano?» Come quasi ogni sud coreano che si rispetti, lo sconosciuto rimase affascinato dal particolare. A volte basta esporsi anche solo con quattro “h” in croce della loro lingua, per attirare elogi fin troppo esagerati.
Lei sorrise comunque compiaciuta, «Un po’» rispose in lingua un tantino timidamente.
«Gliel’ho insegnato io!» Ed è così che l’attore di teatro si pavoneggiò.
Gemma ancora una volta dovette maledirlo con lo sguardo. A furia di farsi fulminare con gli occhi, doveva aver collezionato una carica elettrica notevole. «Non dica sciocchezze. L’ho imparato da sola, questo è l’unico mio vanto, quindi me lo lasci per favore.» Un vanto che però non ostentava affatto. Ne era orgogliosa, ma a manifestare la sua dote a volte provava una sorta di timore.
Mr “teatro” gli regalò una risata sincera e profonda, esponendo una perfetta e bianca dentatura. «D’accordo, lo ammetto», sospirò allegramente, «è vero, lo ha imparato da sola. E’ abbastanza intelligente.» Proprio in quel momento sopraggiunse un nuovo cliente e il barista scusandosi fu costretto a cambiare postazione per accoglierlo.
Gemma intanto era rimasta incollata con lo sguardo sul largo sorriso del compagno di recita. «Senta un po’ … sbaglio o ha fatto cadere l’onorifico?»
«Se ne è accorta adesso?» Bevve, facendo il suo primissimo sorso. «Deve sapere una cosa, uso la gentilezza con lei perché è una perfetta sconosciuta, inoltre … donna. Credo sia galante usare una forma blanda di formalità con le signore. Ma non avrei l’obbligo di farlo», sollevò le sopracciglia velocemente, fissandola con occhi ricchi di ovvietà, «sono più grande di te, mia adorata.» e allargò la bocca in un altro enorme sorriso. Molleggiava da un modo di porsi all’altro, senza alcuna difficoltà.
Anche se il tutto non la convinceva, Gemma decise di lasciar perdere, finché non le venne in mente: «Aspetti … io ho continuato a darle del tu anche di fronte al barista.»
Il partner osservò l’interno del suo bicchiere, facendo rigirare il contenuto. «Non importa. Essendo più piccola di qualche anno non appare troppo strano, però … in effetti far cadere l’onorifico sarebbe stata una precisazione in più.»
Gemma puntò gli occhi verso il calice da cocktail, come se lo stesse vedendo per la prima volta. Il contenuto giallastro  non la ispirava affatto. «E questo cos’è?»
«Si chiama: Alaska.» Delucidò brevemente.
«Non sono portata per l’alcool.»
«Finga di berlo!» Ribatté con altrettanta fretta.
Improvvisamente si udì il rumore di una porta cigolante, sicuramente dalle congiunture un po’ arrugginite. Poco dopo il barista, guardando verso la cucina, urlò: «Jin Yon U, c’è un ordinazione!»
Appena sentì quel nome, Gemma ebbe un sussulto. Si irrigidì improvvisamente, sollevando solo la testa di scatto, gli occhi spalancati di fronte a sé. Per un momento, grazie a colui che sedeva accanto, aveva completamente dimenticato il motivo per il quale si trovava lì. Si era rilassata troppo, ma la tensione sfociò di nuovo e questa volta più forte di prima.
L’attesa a quanto pare era finita e lei non si sentiva abbastanza preparata all’impatto.
Il suo finto compagno se ne accorse ben presto: aveva visto lo strano e leggero scatto della donna e per questo non smetteva di fissarla sospettoso, socchiudendo gli occhi. Spostò l’attenzione sul bicchiere pensando che quel nome doveva appartenere per forza a …  
Gli occhi guizzarono automaticamente di lato, come se potesse vedere chi c’era alle sue spalle senza doversi per forza girare, ma alla fine, per poter controllare meglio il tipo in questione, fu costretto a muovere il capo, in un gesto volutamente distratto. Lo individuò subito grazie al grembiule verde, identico a quello dell’altro lavoratore dietro al banco. Si spostava tra la cucina e la sala trasportando grossi pacchi, evidentemente consegnati al locale da un fornitore.
Alto forse un metro e ottanta, magro, capelli neri, che dovevano avere un taglio alla moda qualche mese prima, ma ormai gli cadevano disordinatamente. Occhi a mandorla dalla linea triste, labbra grandi, naso fino e piuttosto stretto, visto lungo, mandibola ben delineata e sporgente in avanti.
Non era un brutto ragazzo ma …
«Un ragazzino proprio.» Sussurrò, in modo tale che solo chi gli era accanto potesse udirlo.
Si voltò e bevve un altro sorso del suo whisky. Lei invece, per tutto quel tempo era rimasta nella sua posizione, ferma come una statua, senza riuscire a muovere un muscolo. «Forse ho sbagliato. Dovevo venire sola.» Pensò la ragazza tra sé e sé, ma ad alta voce.
Il coreano annuì, ancora con le labbra attaccate al bicchiere. «Sì, forse è così», confermò, «ma è ancora in tempo! Vuole che esca? Sembra che non l’abbia ancora vista, ma deve decidere in fretta.»
Però in quel momento non le riusciva riflettere lucidamente. «Perché mi sento così ora?», solo qualche interrogativo verso il suo stato d’animo, un sentimento che poteva avvicinarsi al panico. «Qualche giorno fa ero molto più sicura di me. Sono andata da lui, sono riuscita ad affrontarlo, ma ora … ora perché non riesco nemmeno a voltarmi?»
Il suo accompagnatore rimase serio mentre la osservava. «Sono un attore di teatro non uno psicologo.» Sbottò, ma era consapevole che quella battuta non avrebbe avuto alcun effetto. Non voleva nemmeno fare del sarcasmo, era la semplice verità. Forse a quella ragazza serviva un altro tipo di figura professionale per superare la cosa, di certo non un commediante.
Da quel suo stato di completa immobilità, la ragazza non si sarebbe mossa tanto facilmente. «Pensandoci … questa sua paura può forse derivare dal fatto che ora è in compagnia di un altro uomo?» Provò a porre un quesito, scoprendosi più magnanimo di quanto pensasse, vestendo sul serio i panni dell’analista per un solo attimo.
La ragazza sembrò leggermente colpita da quell’ipotesi. «Ma … glielo avevo detto. Quando ci siamo visti l’ultima volta, presa dalla rabbia, dissi che avevo già qualcuno al mio fianco.»
Lui cambiò posizione, per poterla guardare meglio e, allo stesso tempo, per non dare le spalle al tipo, tenendo d’occhio anche le sue mosse. Anche se, in quel momento, non poteva rinunciare allo sguardo di pietà che riversava a quella povera disperata. «Se uscissi … capirebbe che sta bleffando.» L’avvisò.
«Immagino di sì.»
Spazientito sospirò: «Dunque devo uscire o non devo uscire?»
«Non lo so! Sono nel panico più completo.» La sua espressione si fece tremendamente triste e spaventata.
Notandolo, il finto fidanzato sollevò gli occhi al cielo, sorvolando su quella cosina pietosa, che in teoria doveva essere una donna matura.
La sala era sempre vuota, non era cambiato nulla all’atmosfera, se non il fatto che l’ex fidanzato sembrava essersi finalmente accorto di lei. Aveva smesso per un attimo di  spostare gli scatoloni, gliene mancava solo uno. Anche lui fermo immobile, fissava le spalle della donna vestita di rosso.
«Ah eccolo ... Credo che l’abbia riconosciuta e sta venendo verso di noi. Alla fine sono davvero affari suoi, quindi ora la lascio sola … agassi
Fece per alzarsi, ma povera terrorizzata gli afferrò la camicia all’altezza del ventre. «La prego», sussurrò, lasciandolo di stucco. Sguardo perso, bocca semiaperta, non poté fare a meno di esaminarla incredulo. «Ho paura di rimanere da sola.» Non gli chiese di restare, semplicemente glielo fece capire. «Ho paura di quel che potrebbe succedere. Ho paura che per lui sia finita davvero. E se fa finta di non conoscermi? Come reagirò? Certamente so già che il mio cuore andrebbe a pezzi. Perciò in questo momento ho paura di rimanere sola di fronte alla sua indifferenza.» La voce, strozzata da qualcosa simile ad un pianto, che non si era ancora manifestato.
E l’elegante attore se ne stava lì, ad ascoltarla perplesso. Non del tutto in piedi, ma nemmeno seduto, era rimasto in quella mezza via di chi si sta per alzare dalla postazione, quasi piegato in avanti verso di lei.
Colpito anche un po’ dalla curiosa insicurezza di quella persona, chiuse la bocca velocemente, sbuffò e tornò a sedersi sullo sgabello, girandosi verso il bar, dando le spalle al tipo che stava per giungere. Prese poi velocemente la mano della ragazza, evitando però di incrociare le dita e la sollevò. Entrambi posarono per forza il gomito al banco di marmo, gli avambracci bene eretti, come se quella coppia volesse mostrare al resto del mondo le loro mani congiunte.
Magari la coppia no, ma l’intento di lui era proprio quello. «Show mast go on!» Sussurrò deciso.
Gemma rimase di sasso a causa di quel suo gesto, fissandolo accigliata, allargando per bene gli occhi dalle folte ciglia. Ma non riuscì ad opporsi.
Lui per risposta sogghignò e fece spallucce. «Mettere i puntini sulle i, … non era quello che voleva?»
Il giovane cameriere alle loro spalle si era di colpo arrestato, dopo aver assistito alla scena. Il trentatreenne lo notò appena con la coda dell’occhio e sorrise compiaciuto.
«Cosa c’è? Cosa sta facendo ora?» Domandò l’innamorata in preda al panico.
Lui le sorrise quasi dolcemente, facendo però trapelare il fatto che si stava divertendo molto. «Per capire i sentimenti di una persona sa cosa bisognerebbe fare?» La voce appariva solenne. «Ascoltare il suo cuore.» Osservando sul volto della ragazza l’incapacità di comprendere le sue parole, l’attore si prestò a chiarire la questione: fece scivolare la mano in basso, verso il suo polso, «così», posando poi il pollice sul punto in cui si può avvertire il battito cardiaco di una persona, «proprio come farebbe un dottore.» Rimase fermo a fissare quello sguardo inquieto. «Ora il suo cuore emana pulsazioni lente. Questo non vuol dire che lei sia calma, ma che è in una fase di attesa snervante.»
«Allora! Yon U vieni qui, presto! I clienti aspettano!»
Il barista urlò per la seconda volta e il ragazzo, che rispondeva a quel nome, per forza di cose dovette darsi una mossa, avanzando in quella direzione. Comparve vicino al bancone, di fronte alla coppia, la cui figura femminile le era apparsa tanto Gemma, la sua ormai ex fidanzata. Per lei trovarselo davanti in quelle circostanze fu quasi traumatico.
«Ecco, il cuore sta accelerando …», fece notare a bassa voce l’uomo al suo fianco, continuando la spiegazione, « … logicamente. Dopotutto, ora che è davanti a noi, l’attesa è finita.» Lasciò la presa e schioccò le dita di fronte a quei particolari occhi, per disincantarla e attirarli nuovamente su di sé. «Veloce! Risponda: ho carta bianca con lei, sì o no?»
«Eh?» Le uscì un solo sospiro.
«Nessun ordine, nessuna informazione, nessuna richiesta se non quella di farla sembrare accasata … Devo davvero improvvisare?»
Gemma puntò per l’ennesima volta il suo ex fidanzato, era troppo distratta da lui. Aveva il volto tirato, la pelle più pallida del solito e le spalle curve in avanti. Sembrava non essersi ancora accorto realmente della sua presenza, troppo concentrato a prendere gli ordini dal collega. Scappò un attimo da quella visione, per tornare a concentrarsi sul suo finto fidanzato.
«S-sì, faccia un po’ come crede. E’ lei l’attore.» Rispose brevemente, riabbracciando poi la sua primaria ossessione. Quell’aspetto stanco la stava facendo un po’ preoccupare. Il lavoro doveva pesargli molto.
Gli occhi di Yon U sgranarono del tutto scioccati, quando si decisero a posarsi sulla donna al bancone. Se prima non era sicuro che quella fosse Gemma, ora ne aveva la prova certa. Ma l’attenzione venne rapita dall’uomo di bell’aspetto al suo fianco. Appena il giovinetto si soffermò su di lui, questo posò nuovamente la mano sopra a quella della compagna.
In quell’istante Gemma poté leggere la delusione nel volto del ventitreenne.
Yon U prese le ordinazioni con un gesto veloce e nervoso, passando poi oltre, ma per un attimo si fermò vicino a quell’ospite straniera, sussurrando: «Pensavo non fossi seria quando hai detto che avevi un altro.» E tornò verso la cucina.
Il cuore per un momento si bloccò. Le mancò l’aria.
Pensare di aver ferito la persona amata procurò a Gemma una fitta dolorosissima al petto. Rilasciò un ultimo respiro, prima di buttarsi nell’azione: fece scivolare la sua mano, scappando da quella dello sconosciuto commediante, scese dallo sgabello e si voltò verso il cameriere, che in quel momento le mostrava le spalle per nulla intenzionato a tornare nei suoi passi.
Poteva ancora fermarlo, era ancora in tempo. Quello sconforto che aveva letto in lui, era forse la prova che cercava: «Aspetta», urlò e automaticamente Yon U si bloccò, sicuro che stesse chiamando lui.
Nel frattempo l’attore di teatro aveva sogghignato assistendo a quella scena, come uno spettatore intendo a godersi un film dannatamente prevedibile. E mentre la giovane stava per pronunciare il nome “Yon U” e questo lentamente, svogliatamente si voltava verso di lei, il chilometrico coreano si s alzò dalla sua postazione, comparendole di fronte bruscamente.
All’improvviso un’ombra ben vestita, apparsa dal nulla calò su di lei, oscurandole la vista. Le prese il volto con entrambe le mani, mostrandole uno sguardo dolce e un sorriso sicuro sulle labbra. Si avvicinò a Gemma lentamente, ma non per questo indeciso. Talmente ben escogitato come finto bacio, da imbrogliare pure la protagonista stessa, che spaventata, gli afferrò i gomiti per indurlo a fermarsi.
Grazie alla testa leggermente piegata, la persona di spalle avrebbe potuto pensare davvero che quei due si stessero baciando. Infatti i passi del cameriere tornano a risuonare debolmente in un ambiente già caotico di suo, grazie alla televisione e alla musica in sottofondo.
«Non mi ringraziare.» Sussurrò allora lo stratega, immaginando che il colpevole di tanto dolore se ne fosse andato.
Gemma non riuscì a proferire parole, ancora incantata da quel gesto tanto avventato. Fissava gli occhi divertiti di chi aveva architettato tutto. «Cosa devo fare? Baciarti per davvero? Se non lo facessi, rovinerei ogni cosa. Il barista ci sta guardando e potrebbe anche confessare al tuo ex che in verità non è successo nulla tra di noi.» Ascoltando le sue parole, Gemma corrugò la fronte. Logicamente da un tizio qualunque, appena conosciuto, non voleva nessun bacio, ma per qualche insensato motivo l’aveva completamente paralizzata. O forse Gemma temeva che un qualsiasi movimento potesse farlo scattare seriamente, invogliandolo a mettere realmente in atto la sua minaccia.
Cercò comunque di controllare oltre quelle larghe spalle, chiedendosi cosa stesse facendo Yon U. Osservò delusa il vuoto della sala, «se ne è andato», la sua voce racchiudeva l’insoddisfazione.
«Lo avevo immaginato.» Colui che non aveva smesso di trattenerle il volto, attirò nuovamente i pensieri della sua “prigioniera”. «Oh!» Incuriosito si fissò in un punto di quell’occhio color del fumo ambrato. Soffiò improvvisamente su di esso, per poi sfiorarle la palpebra con due dita, leggermente per non rischiare di pizzicarla. «Cara, avevi qualcosa che stava entrando nell’occhio.» Disse allontanandosi e fingendo di ripulire le mani da un singola ed inesistente ciglia.
Rimasero comunque l’uno davanti all’altro senza dir nulla per un po’ di tempo: Gemma che lo osservava furiosa, indignata e lui che, con un sorriso accondiscendente sul volto, aveva ormai posato le mani sui fianchi in attesa di una sua decisione. Andare o restare?
Lei invece si chiese se fosse normale, per un attore, creare quel tipo di situazioni o se si trattasse in verità di un genio del male. Sicuramente lo studio di certi copioni romantici lo avevano aiutato non poco.
«Allora partner, vuole continuare questa pagliacciata … o ce ne possiamo andare?» Chiese a bassa voce il demonio, senza lasciare andare quello strano sorriso.
Gemma tornò seriamente triste e riflessiva, «Ora come ora vorrei solo andare da lui e spiegargli che ha frainteso tutto.»
«Lasciarlo andare e trovarne uno migliore sarebbe invece la cosa più sensata.» Espose i suoi pensieri, attirando uno sguardo perplesso. «Se fossi stato al suo posto, avrei preso a pugni chi si è permesso di baciare la donna che amo. Ma lui ha preferito girare i tacchi … Le cose sono due: o è davvero un ragazzino senza midollo, oppure i sentimenti sono cambiati. Non prova più amore.»
Avrebbe voluto concludere così, ma quell’espressione contrariata sul giovane volto europeo, più che destare in lui la pietà, quasi quasi lo innervosiva. Fece nuovamente cadere ogni gentile onorificenza, dato che ciò che stava per proferire avrebbe avuto un tono piuttosto amaro e schietto: «Dovresti lasciarlo andare se è questo che lui vuole. Così non pensi di fare del male a te per prima? Fai la donna e vivi meglio per te stessa! Chiodo scaccia chiodo, vai in giro, innamorati di nuovo e divertiti! … Anche se immagino possa essere difficile.» Certamente era riuscito a zittirla. «Ora decidi cosa fare, ma sappi che più passa il tempo e più la tariffa aumenta.»
«Sono stanca di tutto in effetti.» Riferì lei e fu piuttosto breve e concisa: «Specialmente di te!» Si voltò e uscì velocemente da quel locale.
Per un attimo l’attore rimase bloccato sul posto, osservandosi attorno. «E quindi … dovrei pagare io?»


Pal (팔) -curiosità- significa "otto" in coreano ed è una catena di pub del luogo.
Sijakhabsida (시작합시다 pronuncia: shijakabshta) letteralmente "iniziamo!", dal verbo sijakhada (시작하다) con la forma di esortazione cooperativa nella forma più cortese.

 
 
 
Alcune foto dei miei viaggi, per chiarire alcuni punti: 

Una caffetteria di Seoul. 





Kyeranjjim 계란찜



8Pal 팔 una catena di pub


 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 8° & 9° ***


8 Capitolo
 
 
 
 
Si diressero nella caffetteria dove Sarah Kim li stava aspettando pazientemente. Nell’attesa, quest’ultima, aveva ordinato un dolcetto, oltre al suo beverone al lampone con pezzi di tapioca che sguazzavano nel fondo. Seduta comodamente, con le ginocchia raccolte, era intenta a leggere tranquillamente un libro, quando notò l’arrivo dei due dalla vetrina.
Gemma davanti al chilometrico ragazzo, camminava velocemente e quella fretta faceva presagire che qualcosa doveva essere andato storto. La postura stessa rivelava ciò che non riusciva a celare l’espressione facciale: irritazione. Chiuse dunque il libro e si mise meglio composta, passando sotto osservazione anche il “principe” in completo elegante, che a sua volta stava avanzando.
«Tutti! Dico tutti, ma non lui!» Esclamò Gemma, ancora a qualche metro di distanza, «Poteva capitare chiunque, ma perché proprio un tipo come lui?» Indicò il coreano, che ormai l’aveva raggiunta. Fermo al suo fianco, aveva piegato le labbra in un becco sconsolato, fissando la ragazza con superiorità, dall’alto in basso. Insomma il sentimento era reciproco.
«Non lo voglio più vedere!»
Sarah ebbe tutto il tempo di prendere il bicchiere e fare un sorso dalla cannuccia, durante lo sfogo dell'amica. «Che è successo?» Si degnò a chiedere, sebbene sembrasse riluttante.
«Basta! Non voglio lui come partner, voglio trovarne un altro.» Riferì più chiaramente l’italiana.
Sarah spostò lo sguardo verso l’attore silenzioso, «lei può spiegare più chiaramente cos’è successo?»
Costui alzò le spalle. «L’improvvisazione era perfetta e ho fatto come voleva», avvertì lo sguardo furioso della straniera sulla nuca, ma nonostante questo continuò a parlare. «Ad ogni modo non devo giustificarmi con voi. Oltretutto doveva essere solo per questa sera … », fece presente alla stizzita, « dunque stia tranquilla, nemmeno io ho intenzione di rivederla tanto presto. Ma colga il consiglio di chi ha qualche annetto in più: se vuole davvero morire nel suo dolore e tornare con qualcuno che non le darà mai la sicurezza di cui ha bisogno come donna, lo faccia! Ma non giochi con i sentimenti, vada direttamente a parlare con quella persona.»
«Mi dispiace, ma da lei non voglio cogliere nulla.» Ribatté sempre più seccata. Cosa ne sapeva quel damerino di ciò che provava? Non conosceva i reali fatti e di come erano stati quegli anni di relazione con Yon U. Parlare di un possibile futuro era a dir poco ancor più ridicolo.
Vedendo la sfacciata determinazione della giovane donna, fece una smorfia di sopportazione e gettò la spugna: «Bene, faccia un po’ come le pare. Alla fine se vuole continuare così sono scelte sue. Mi chiedo solo: cambiando partner, non risulterà agli occhi di quel ragazzo …», si voltò in un gesto quasi studiato, la fissò, i loro nasi a pochi centimetri di distanza in segno di sfida, «… una donna facile?» Si scostò quasi immediatamente, «Non ci farà una bella figura. Ma ripeto: affari suoi.»
Prendere il bicchiere dell’amica e versare il contenuto sulla testa dello spilungone, fu in un primo momento un desiderio molto difficile da sopprimere.
«L’unica cosa di cui posso impicciarmi …», aggiunse prima di concludere definitivamente, « se avrete ancora intenzione di fare giochetti di questo tipo, è meglio per voi se rinunciate a cercare attori nella mia scuola.»
Entrambe le ragazze a quel punto ripeterono quasi all’unisono: «La sua scuola?»
Aveva già dato loro le spalle, ma in quell'istante tornò a guardarle. «Sono il direttore dell’Art Keukjang.»
Sarah con uno scatto drizzò la schiena, «oltre che bello ed elegante, è pure ricco?»
«Come prego?»
«Un uomo d’altri tempi che non mi deve sfuggire», sussurrò la coreana come se fosse sola in quella stanza. Tanto che lui dovette concentrarsi per capire cosa stesse dicendo quella pazza, socchiudendo gli occhi in una smorfia quasi sofferente e di certo irritato.
Poi però ci rinunciò. Con un gesto della mano manifestò la resa ad entrambe. Un movimento ideale per scacciare delle fastidiose mosche, o per mandare al diavolo le persone.
Se c’era un modo per trattenerlo ancora un po’, solo Sarah Kim poteva scoprirlo ed infatti in un lampo di genio si ricordò di una cosa estremamente importante, specie per l’attore: «Non se ne può andare! Non l’abbiamo ancora pagata! …  Abbiamo capito: non vuole più prestarsi a queste cose, ma in fondo lo aveva detto fin da subito che ci avrebbe dimostrato la sua bravura una sola volta.» Cercava di addolcirlo, mentre Gemma sbuffava e il direttore le lanciava occhiatacce, come se avessero ingaggiato ormai una lunga e infinita guerra. Più che guerrieri, potevano benissimo essere paragonati a bambini indispettiti. «Ma c’è stato un errore. Davvero! Noi non avevamo capito che lei era addirittura il direttore!. Ci scusiamo tanto per questo, pensavamo che fosse uno dei tanti ragazzi che si prestano a questa-»
Zittì Sarah avvicinandosi in modo quasi minaccioso, con una mano ad indicarla, «Non lo dica nemmeno! I miei ragazzi non si abbassano a questo tipo di cose, chiaro?» Ricompose la sua elegante figura, pensando di esser stato forse troppo duro e poco cortese di fronte ad una signora, per quanto pazza potesse sembrare. «A mai più rivederci.» Disse infine, voltando le spalle ai due elementi tanto sgraditi.
Gemma incrociò le braccia osservandolo, «attore dei miei stivali», sussurrò poi, spostando con un gesto nervoso la sedia di vimini per potersi accomodare.
«Però sul serio non lo abbiamo pagato.» ricordò Sarah, prendendo la sua ordinazione e bevendo il Bubble tea1. Fissò una Gemma ancora adirata, « vuoi una tisana per calmarti?»
«Non servirebbe.»
«Si può sapere cosa vuol dire che ha improvvisato. Cioè in che senso? Cos’ha fatto?» Volle indagare il “detective Kim”. «Ah! Lascia stare. Se non vuoi, non dirmelo. Ma se continui così farai innervosire anche me. »
Lo sguardo ancora corrucciato fissava il bicchiere di cartone alla base, dove le palline gelatinose stavano nuotando in quella bevanda dolciastra, mosse dal mescolare di una cannuccia. Gemma non voleva appagare la curiosità dell’amica, « ti basta sapere che non voglio più incontrarlo.»
«Una donna normale avrebbe il desiderio contrario, dopo aver visto quel tipo. Io per lo meno. » Posò il suo Bubble tea in malo modo, e si riposizionò come qualche minuto prima, togliendo addirittura le scarpe da ginnastica. Nella capitale sud coreana non era strano, sporco o indecente vedere scene simili. «Devo fare in modo di ricontrarlo… assolutamente!» Pensò di escogitare qualcosa in modo da ottenere un nuovo appuntamento, ma in verità l’unico asso nella manica a sua disposizione … era Gemma. La fissò con finto astio, « per colpa tua invece temo non potrò più vederlo!»
Quella frase e quella sua espressione spinsero l’occidentale a lasciare andare la rabbia. Sospirò, prima di dare un leggero buffetto alla spalla di Sarah, « eh, dai! Non portarmi rancore. Ti assicuro che quel tipo non è niente di speciale.»
«Io non sono d’accordo.» Sbuffò delusa, giocherellando con la bibita, « è così che mi ripaghi dopo aver trovato la camera perfetta per te! Fai soffrire il mio cuoricino, facendo scappare l’uomo della mia vita.» La voce infantile per suscitare una compassione inesistente.
L’amica infatti le rubò il bicchiere, facendo un sorso davanti ai suoi occhi, « ma quale uomo della tua vita! Ne cambi uno ogni mese.»
«Devo maritarmi!» Tirò fuori la solita scusa.
Il problema è che …  si trattava di una risposta seria.
 
 
 1 Bubble tea è una bevanda nata negli anni 80 a Taiwan e va per la maggiore in Corea del sud, come in quasi tutta l'Asia. E' a base di té verde o nero con aggiunta di latte o senza anche, a volte si ha pure combinazioni con il cioccolato. Le bubbles da cui prend il nome sono balline che affondano nella bevanda, di tapioca o frutti gelatinosi.



 
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 9 Capitolo
 
 
 
 
Per molte persone alloggiare ad Hongdae equivale vivere a Disneyland. O più precisamente in una discoteca a cielo aperto. Non tutti però aspirano a quel tipo di locazione. Ben che meno Gemma Brizzi, l’ultima a dover gioire di quel caotico intrattenimento. Sperava solo che la zona non fosse proprio nel centro del quartiere tanto amato dalla gioventù multiculturale.
Si chiese se fosse dovuta alla "vecchiaia" incombente, questa sua insopportazione di certe superficialità, ma nel ricordare che derivava tutto dal suo carattere poco sociale, paziente e permissivo, si rincuorava. Insomma non le era mai piaciuto fare baldoria, ubriacarsi fino a tarda notte, urlare a squarciagola e stringere un certo tipo di rapporti con uno sconosciuto diverso ogni sera. In verità, non era il tipo che concedeva facilmente nemmeno un semplice ballo in pista.
Forse era proprio l’esatto contrario di Sarah Kim, la sua amica dalle origini coreane, che aveva sempre avuto un certo debole per i capi succinti e appariscenti, serate con amici conosciuti da tanto o poco che fosse, alcool e balli sfrenati fino a mezzanotte. Le bastava un secondo per attaccare bottone con il sesso opposto, ma anche con il genere femminile se la cavava benone. Era una calamita umana che attirava gente, buona o cattiva che fosse.
Fin da subito immaginò il motivo di quella scelta: non era solo dovuta alla vicinanza tra quel luogo e il quartiere dove Sarah risiedeva, e forse nemmeno tanto il prezzo abbordabile, ma il fatto che si trattasse proprio della zona più apprezzata dagli amanti della movida notturna. Insomma, ora Sarah Kim aveva un buon pretesto per recarsi in un club quando e come voleva, tanto la scusa sarebbe stata quella di dover andare a “trovare” l’amica in visita nella capitale.
Fortunatamente l’edificio era situato in una zona meno trafficata di Hongdae, poco distante dal godurioso fulcro di divertimento. Il silenzio regnava quasi indisturbato, grazie all’assenza di traffico cittadino, inteso non solo di automobili ma anche umano. Si tranquillizzò notando la via in cui avrebbe alloggiato, esattamente un come quelle che piacevano tanto a lei: i classici pacati vicoli di Seoul.
Sì, sembra strano, ma nella città che non dorme mai, piena di gente, luci e musica, vi sono anche spazi insolitamente intimi e quieti, dove poter passeggiare soli, in compagnia dei propri pensieri.
Era una struttura piuttosto bassa, nessun palazzone in vista, i mattoni rossi erano molto caratteristici e gli donava un aspetto quasi invitante e famigliare. Per entrare in quella specie di dormitorio, bisognava scendere le scale, non salirle come si sarebbe aspettato chiunque. Una cosa carinissima era proprio quell’abitacolo in discesa, incurvato, davvero delizioso. Leggera oscurità a parte, sperava solo che di notte il buio non incombesse sovrano, voleva evitare di farsi del male scendendo le scale. Per lo meno si trattava solo di due piccole rampe.
Ecco, una nota negativa era l’ampiezza di quell’entrata, bella perché quasi intima, ma forse anche troppo intima: ci passavano benissimo due persone di stazza normale, ma una terza sicuramente no. Una ragazza asiatica infatti, forse cinese, stava  uscendo dal dormitorio, quando si bloccò sulla prima rampa, attendendo di poter passare. Notandolo, Gemma e Sarah logicamente si spostarono in fila indiana e il problema si risolse, anche se con il trolley a presso la cosa si rivelò assai scomoda.
L’atrio era straordinariamente caldo, con colori che richiamavano il rosso mattone, ma più leggeri, quasi arancio o un giallino tendente al beige.
«Non è male, giusto?» Chiese conferma colei che aveva scelto il posto.
Gemma lo stava ancora osservando con occhi curiosi, « ti dico la verità, un claustrofobico morirebbe qui sotto. E’ talmente incavato da sembrare quasi una cantina. Forse un sommelier si sentirebbe più a casa. Il punto è che, nonostante tutto, sì! Trovo questo posto … oserei dire delizioso!» Proferì decisa, « grazie a Dio, ripeto, non soffro di claustrofobia! Però mi piace.»
Vi era un solo piano in tutta la struttura, che appariva stranamente tonda, se pur senza esserlo. A dare quel senso era il gioco delle mattonelle a mosaico: giravano verso il centro della stanza, dove vi era un grande tavolo privo di angoli, addossato ad una colonna rettangolare. Le camere poste ai lati erano composte da semplici porte marroni senza fronzoli, con il numero scritto in alto. All’interno non si aspettava di certo chissà quale spazio, sperava solo …
«C’è il bagno in camera, vero?»
«Sì sì, me ne sono assicurata. » La rincuorò immediatamente Sarah.
Quattro stanze da un lato e altrettante quattro dall’altro. Non dovevano esserci molti ospiti e forse quella cinesina era uno dei pochi. Quando un giovane asiatico dalla pelle più scura, uscì dalla stanza numero tre, le ragazze compresero di non trovarsi in un dormitorio esclusivamente femminile, bensì condiviso da entrambi i sessi. Non che avessero avuto specifiche esigenze in merito. Se ognuno aveva il suo bagno, il problema non si poneva.
Il ragazzo osservò incuriosito la straniera nell’atrio, sorridendo quasi incantato. A Gemma la cosa non sfuggì, ma non si sentì affatto infastidita, si trattava comunque di un’espressione gentile e non molesta. Il ragazzo andò verso il frigorifero, dalla parte opposta della stanza, vicino alla porta numero otto. Lo aprì, dando sempre qualche occhiata alle ospiti appena giunte. Prese una bibita e tornò verso la sua camera.
Non era particolarmente attraente, ma abbastanza alto, ben vestito e soprattutto aveva l’aspetto da brava persona.
«Hello!» Salutò impacciato, trattenendosi dal ridere e fissando negli occhi Gemma. Le ragazze ricambiarono e così, contento, se ne tornò da dove era venuto.
«Sembri avere buoni vicini pure.» Constatò Sarah. «Ne hai già conquistato uno.» Avvertì una breve spinta subito dopo aver pronunciato quella battutina maliziosa.
«Allora … con chi dobbiamo parlare? Qui non c’è nessuno.» Fece presente la più vecchia delle due, seguendo l’amica, che nel frattempo si era accomodata in una delle sedie, attorno logicamente a quell’unico tavolo presente.
Anche se era pieno mattino, la luce che entrava dalle grandi finestre, addossate molto in alto nella parete frontale, sembrava donare allo spazio una luminosità estiva un po’ malinconica, ma piuttosto viva. Forse le tende arancio giocavano a favore, regalando un’atmosfera quasi da inizio tramonto.
La fina colonna non escludeva la vista, si poteva notare in fondo alla sala, una sorta di postazione reception o almeno così dava l’idea: era un bancone di legno chiaro, che si abbinava bene al contesto. Molto stretto e curvo, creava un minuscolo antro in stile segreteria, sicuramente per colui che si occupava del luogo in questione; allo stesso tempo però, non ingombrava in quello spazio povero offerto dall’entrata, che chiaramente era anche la zona relax.
Una bacheca di sughero, appesa al muro dietro la postazione del proprietario, colma di pubblicità e post it attaccati ed infine, affianco a questa, compariva una nona porta, forse un salottino?
Improvvisamente le ragazze sentirono lo scrosciare di un wc e una porta aprirsi. Un uomo mediamente basso e scapigliato uscì da una sorta di anti bagno, affiancandosi al frigorifero, contenente tra l’altro un sacco di cibarie. Compresero dunque che doveva esserci un’altra apertura in quel punto, con un bagno in comune o forse privato.
L’ometto appena giunto, si preoccupò immediatamente, avvicinandosi alle due giovani in attesa. «Scusate, avete bisogno di qualcosa? Siete ospiti dell’ Ilmol-house? Oppure …»
Sarah si alzò, salutando cordialmente l’anziano con un inchino. «Siamo qui per vedere e prenotare una camera. Avevo parlato forse con lei al telefono …»
«No, impossibile. Scusate, ma io non sono il proprietario. Sicuramente avete parlato con lui. In questo momento si è assentato, ma potrebbe tornare a momenti, se è possibile, dovreste attenderlo un attimo.» Dispiaciuto fece loro il gesto di tornare ad accomodarsi.
Sarah guardò preoccupata Gemma, « non ho molto tempo », le ricordò del suo appuntamento.
Quest’ultima allora si rivolse al vecchietto: «Senta, lei è un impiegato di questo posto, giusto? Non può mostrarci personalmente la camera? Se ci piace la prenotiamo di sicuro. La mia amica ha un colloquio di lavoro, quindi non possiamo attendere molto.»
«Di lavoro facevo il custode e non qui », spiegò con un sorriso costernato. Stava per voltarsi e lasciare le ragazze sole nella sala d’attesa, quando ci ripensò: «Però se avete molta fretta, penso non ci siano problemi a mostrarvi una stanza, giusto?» Come se non desiderasse altro che un pretesto per mettersi al lavoro, l’anziano scattò dietro al bancone. «Inoltre mi è stato detto di fare le veci del proprietario finché è assente. E da giovane ho fatto anche il receptionist in un grosso albergo.» Bloccò la smania di raccontarsi solo quando trovò il libro delle prenotazioni.  «Al momento vedo che ci sono solo due camere disponibili.»
«Beh, noi avevamo chiesto quella più grande con il bagno. Avevo dato anche un nominativo: Kim.» Riferì colei che portava quel cognome.
«Oh!» Il vecchino picchettò il dito sul quaderno delle prenotazioni, « qui infatti c’è scritto leggermente in matita il suo nome, signorina.» Cercò poi la chiave della camera e divertito passò avanti alle donzelle, « niente di più facile!» Aprì la porta numero otto, mostrando loro cosa si celasse al suo interno.
La stanza risultava un po’ cupa rispetto alla sala relax lasciata alle spalle. Un letto matrimoniale era posizionato subito alla loro destra, a sinistra invece vi era un box doccia abbastanza ampio, contenente anche i sanitari. Un’unica finestra ad illuminare il tutto, una piccola tv sotto a questa e un armadio addossato al muro. I colori che prevalevano: bianco della parete e marrone scuro del resto dei mobili.
«Devo dire che preferivo l’atrio, ma non posso lamentarmi.» Fu sincera Gemma.
Sarah sorrise ed annuì. «Ajeossi2 la prendiamo!» Confermò rivolgendosi all’anziano. Ma questo alzò subito le mani:
«Perdonatemi, ma per il pagamento dovrete aspettare il proprietario.» Le due ragazze si guardarono negli occhi sconsolate, per poi supplicare nuovamente il vecchietto. « Potevo solo mostrarvi la stanza ed è quel che ho fatto », negò l’aiuto facendo oscillare la testa, « ma … forse se avete dei contanti … Potrei sempre controllare la lista prezzi alla reception.» Aggiunse uscendo dalla stanza e cercando di venire incontro a delle clienti in difficoltà. Sembrava divertirsi molto in realtà, come se fosse tornato indietro nella sua lontana gioventù, anche receptionist di un dato ed importante Hotel.
«Ho solo la carta di credito ajeossi e se si fida, sappiamo noi quanto costa. Ce lo aveva riferito il proprietario al telefono.» Rispose Gemma seguendolo.
Il vecchietto di nuovo si mostrò contrariato. «Anche se fosse … non so usare quei cosi moderni.» Gesticolò con le dita quasi spazientito. «No, purtroppo non posso far altro per voi, mi dispiace.» Cambiò improvvisamente atteggiamento e nel suo volto segnato dall’età, comparve una ruga di delusione. Chiuse la stanza a chiave e, stanco, si accomodò al tondo tavolino. Non aveva un’andatura stabile, forse soffriva di reumatismi vista l’età.
Gemma prese Sarah per un braccio e le disse: «Tu vai! Sto io ad aspettare. Devi assolutamente fare quel colloquio, quindi inizia ad avviarti. Poi quando ho finito ti faccio uno squillo.»
La ragazza concordò con un cenno della testa. «Meglio se ti chiamo io quando ho terminato. Immagino vi siano altri candidati, potrei dovermi mettere in fila. Tu mandami un messaggio appena hai ottenuto la camera.» La salutò con la mano, poi si rivolse al vecchietto chinando leggermente il capo e sussurrando elegantemente un “annyeonghi kyeseyo” sentendosi rispondere “annyeonghi kaseyo3.
Gemma afferrò il suo trolley, spostandosi verso una delle sedie li vicine, al fianco del signore coreano, intento a leggere una qualunque rivista. Proprio questa, poco dopo, venne gettata dall’ajeossi innervosito.
«Aaaaah! Sti ragazzacci, come diavolo si vestono al giorno d’oggi!?» Brontolò.
Gemma allora allungò il collo, osservando la pagina semi aperta quel tanto che bastava a farle riconoscere un artista kpop: G Dragon4. Trattenne una risata, emanando però un suono piuttosto buffo. “Ragazzacci”, poteva capire la sua indignazione dato che stava osservando una rivista sulla moda maschile e femminile tra gli artisti del pop coreano. G dragon poi era uno dei più eccentrici del suo genere.
«Scusi.» si affrettò a riferire, preoccupata che l’altra persona potesse offendersi. Ma l’ajeossi non se la prese per quella risatina mascherata, anzi a sua volta tentò di capire la mente di tali generazioni:
«Uomini talmente belli da sembrare donne e in più truccati. Per lo meno si vestissero decentemente. Ma a voi donne piacciono sul serio?» Tornò al suo brontolio, « questo giornaletto da poco conto lo avrà lasciato qualcuno degli ospiti!» Ancora una volta allontanò da sé la rivista quasi malamente, in fine tornò a guardare la straniera. «E lei? Cosa la porta a Seoul?»
La ragazza seria in volto rifletté bene sulla risposta da dare. «Il mio fidanzato abitava qui.»
«Per lavoro? … O è coreano?»
«Coreano», abbassò lo sguardo, non aggiungendo altro.
«E ora si è trasferito dove?» L’occidentale gli mostrò un’espressione persa, non avendo capito la domanda in sé. «Ha parlato al passato», sospirò l’anziano, « non so se si sente dall’accento5, perché ormai sono qui da parecchio tempo, ma anche io per lavoro mi sono dovuto trasferire. Molti di noi lo fanno. Nel mio caso ho lasciato la campagna per la metropoli. Qui c’erano molte più possibilità allora, ma costava tutto troppo. Così la mia famiglia è rimasta nella nostra reale ubicazione.»
Gemma ascoltava volentieri il racconto del “nonnino”, che sembrava pure triste mentre confessava il suo passato, una malinconia però lontana, tanto che sembrava colmarsi di sollievo. «Ora Seoul è un caos di razze e persone. Per esserci il lavoro c’è, ma la concorrenza è spietata ed inoltre sono troppo vecchio per continuare a stare in mezzo a tutti questi giovanotti … Se poi si vestono come quel cantante!» Diede un’ultima occhiata stizzita al giornale, « i miei figli sono tutti accasati, lavorano e io ho messo abbastanza denaro da parte per tornare nella mia bella campagna, finalmente.» La fissò in silenzio per qualche secondo, avendo concluso la sua personale storia. «Riguardo al quella persona … Sembra che non abbia voglia di parlarne.»
La ragazza sorrise gentilmente, ma senza mostrare il vero sentimento. «In verità non stiamo più insieme.»
L’ajeossi allargò i piccoli occhi a mandorla, imbarazzato per aver sollevato un argomento forse sconveniente. Intanto Gemma se ne stava a capo chino, intenta a fissare le sue stesse scarpe.
«E’ giovane! Si rifarà!» Tentò di consolarla, accogliendo nuovamente quel triste sorriso. «Senta, dato che vuole prendere la camera, mentre attende che ne pensa di entrare e sistemare le sue cose?»
Finalmente poté vedere un sincero sorriso su quel bel volto di ragazzina. «Mi farebbe un grande piacere ajeossi!»
Accolto il favore, il vecchino andò a riprendere le chiavi e le consegnò direttamente alla nuova ospite. Questa lo ringraziò e si infilò nella sua stanza, mentre l’attempato coreano rispondeva ad una chiamata sul cellulare. «Yeoboseyo?6» Fece una pausa, per permettere all’altra parte di rispondere, « sei di ritorno? Bene. Guarda che è arrivato l’ospite che aveva prenotato a nome di Kim. Sì, la stanza otto. Le ho già dato le chiavi, le piace e la vuole prenotare, però non ho preso il compenso non sapendo …», si bloccò di nuovo, ascoltando la voce della controparte. «Ah, okay. Sicuro che possa andare?» Mentre parlava girovagava per la stanza, come se non riuscisse a stare fermo. Troppo eccitato per l’imminente partenza o forse una problematica dovuta sempre all’età. «Bene allora, visto che posso, vado a fare i bagagli! Eh? Certamente! La metropoli non mi mancherà e non vedo l’ora di riabbracciare la famiglia.» Continuò la conversazione spostandosi verso l’uscita.
Gemma aveva udito qualcosa della telefonata e comprendendo che il “nonnino” se ne stava per andare, volle ringraziarlo ancora: aprì debolmente la porta, chiamandolo con un sussurro, sperando di non disturbare la conversazione. «Ajeossi! … Scusi. Se ne va? Allora la saluto.»
Lui rise contento, distogliendo l’orecchio dal telefonino, « è stato un piacere conoscerla.» Lei annuì.
Si stavano per lasciare definitivamente, quando il coreano richiamò la sua attenzione: «Agassi, non so bene i fatti, ma se uno dei due ha preso una triste decisione può solo significare che non eravate fatti l’uno per l’altra. A volte ciò che chiamiamo amore si rivela solo un’imitazione o ancora qualcosa di intensamente temporaneo. A quel punto … meglio perdere quel dato sentimento per lasciar spazio ad uno più autentico e duraturo. Pertanto non si preoccupi troppo, troverà la persona che vorrà lottare per lei, con lei e che saprà sostenerla, facendosi a sua volta sostenere. E’ bello collaborare e comprendere di non essere sempre soli, per lo meno quando si è una coppia. No?»
Concluso il suo pensiero, entrambi si sorrisero, annuendo in segno di saluto.
 
****
 
Qualche minuto più tardi qualcuno bussò alla sua porta. Proprio in quel momento lei si stava vestendo e dunque, ancora in reggiseno e mutande, non poté andare ad aprire, prima chiese chi fosse.
«Sono il proprietario del Ilmol-house, le sarei molto grato se potesse uscire per il pagamento della stanza.» Annunciò una voce cordiale e rassicurante.
Gemma prese un paio di pantaloni qualsiasi, «sì, mi scusi, mi sto cambiando. Arriverò tra pochissimo.», Successivamente rimise la maglietta che aveva indossato quella mattina. Con un fiocco arancio legò i capelli in una coda scomposta, sbuffò osservando il casino che aveva lasciato sul letto, ma poi alzò gli occhi al cielo, uscendo da quel caos che lei stessa aveva causato.
Chiuse l’uscio alle sue spalle distrattamente, ma bloccò i suoi passi fissando la longilinea figura che si presentava di fronte a lei, in quel momento ancora di spalle.
«S-salve.» La voce le uscì incerta e confusa.
«Salve, sono il proprieta-», anche quell’uomo, voltandosi verso l’ospite, si bloccò, «-rio.», concludendo successivamente il saluto.
Gemma non ce la fece a trattenere la sua espressione e la bocca le si spalancò.  «Tuuu?»
«Lei?» Di sgranato il coreano aveva invece gli occhi a mandorla.
La ragazza cercò di ricomporsi, facendo oscillare la testa, ma poi le scattò  una risata nervosa. «Non è possibile.» Lo fissò ancora una volta, incerta se pensare che si trattava di un incubo o meno. Ma sicuro! Doveva essersi addormentata mentre sistemava le sue cose. In quel momento niente poteva essere reale, nemmeno lei! Era una versione metafisica del suo corpo, che in verità giaceva in mezzo al caos di vestiti nella stanza numero otto.  «Il proprieta …» Cercò di proferire qualcosa, ma le riusciva difficile. Era troppo assurdo pensare che potesse avvenire una coincidenza del genere, troppo strano anche per un sogno.
Quella persona intanto aveva assunto un’espressione infastidita, trattenuta però da molta pazienza. «Sono il proprietario, esatto.»
Lo indicò titubante, « okay … », ritirando subito dopo il dito. Si sforzava di richiamare a sua volta quella cosa chiamata calma e ragione, senso del controllo, pazienza, ma … «Io cambio posto!» Cercò di dirlo con voce il più possibile tranquilla, ma dentro di sé iniziava a comporsi un uragano. No, che non era un incubo, sì che era una strana e improbabile, ma reale coincidenza. Scappò fuori prima che potesse fare qualcosa di stupido, mentre il direttore del teatro Art, nonché dell’Ilmol-house, proferiva:
«Come il cliente desidera», voltandosi poi verso la reception, tornando così alle sue faccende, mentre la giovane se la dava a gambe levate.
Gemma rovistò nelle tasche, in cerca del suo cellulare. Cercò velocemente il numero desiderato. Sarah ormai aveva preso il bus da quindici minuti,  ma doveva avere ancora molta strada per arrivare nel luogo dell’appuntamento, per cui non avrebbe mancato ad una sua chiamata.
«Gemma!» Infatti, voce squillante come al suo solito, nonostante si trovasse in pubblico. Nei mezzi di trasporto, in Corea del sud, non era molto educato parlare ad alta voce e nemmeno tenere la suoneria a volume elevato.
«Non va bene!» Esclamò quasi isterica, « non.va.bene! Non mi piace questo posto!»
Sarah fece passare per un attimo di silenzio. «Ma prima sembravi convinta …», si concesse una riflessione ancora per qualche secondo, poi si trattenne nell’urlare, quando un’ipotesi terrificante le passò per la mente: «L’ajeossi ti ha fatto delle avance? Sapevo che non dovevo lasciarti sola!»
«No. No. Povero, lui non c’entra nulla!» Sospirò, posando una mano sulla fronte, riprendendo il controllo. «Francamente è il proprietario il problema.»
«E’ un vecchio pervertito?» La preoccupazione non cedeva.
«Non è vecchio. E’ …», ai raschiò la gola, « stranamente è … quell’attore dei miei stivali!»
Nell’apprendere ciò, come pietrificata dallo sguardo di medusa, come congelata da un’ondata di freddo polare, Sarah Kim si immobilizzò. «L’attore di teatro … cioè il direttore dell’Art Keukjang?» Chiese tanto per avere una conferma, spalancò però già la bocca dallo stupore. «Dimmi che non stai scherzando!»
Dall’altra parte della cornetta, in un'altra zona di Seoul, qualcuno chiuse gli occhi, cercando di prendere grosse boccate d’aria per mantenere il sangue freddo da prima apparentemente ritrovato. «Non sto scherzando ... purtroppo. Me lo sono trovata davanti ed è stato un completo shock, credimi. Per questo voglio andarmene. La prima cosa da fare è tornare a casa tua e poi-»
«Piano, piano, piano, piano.» La interruppe un tono di voce cantilenante e sgradevole. Sarah si alzò dal sedile proprio in quel momento, e scese dal mezzo velocemente. «Perché dovresti andartene?» Si spostò verso la jihado, il passaggio pedonale sotterraneo che permette di attraversare la strada quando non ci sono le strisce. Così fece le scale della metropolitana, senza avere l’intenzione di prendere tale mezzo.
«Non me ne starò qui sapendo a chi appartiene lo stabile. Come ti ho già detto l’altra volta, non voglio più vedere il suo volto.» Si zittì per un attimo, ascoltando il frastuono provenire dall’altra parte della cornetta. «Non sei in bus? Con quello diretto dovresti avere un bel po’ di strada da fare.»
«Sto aspettando il prossimo.» Mentì l’amica, fissando le tabelle d’orario dei mezzi che tornavano verso Hongdae. «Ho perso il diretto, così senza aspettare quello dopo ho deciso di fare a tratte.» La bugia si faceva sempre più spudoratamente concreta. Il bus stava per giungere. «Comunque, sai che non puoi più tornare a casa mia, che non ti venga in mente di fare i bagagli e lasciare quella stanza maledetta», minacciò, salendo e passando la t-money card7 nel dispositivo per il pagamento della corsa. L’italiana corrucciò la fonte preoccupata, non avendo niente da riferire se non lamenti. «Avresti potuto chiedermi il nominativo dell’altra guesthouse, invece ti approfitti subito della mia ospitalità.» Le venne sottolineato senza mezzi termini.
A quel punto si morse le labbra, la coscienza cominciò ad appesantirsi di rimorso. «Okay, scusami. Hai ragione. Puoi passarmi il nominativo -»
«No!» Immediatamente Sarah la interruppe decisa, « la seconda scelta era più costosa e persino più distante rispetto all’lmol-House, perciò rimani lì! E vedi di obbedire.» Logicamente il reale motivo per cui la spingeva a restare, non era dovuto a costi o distanze.
«Sarah!»
«Gemma!» Urlò a sua volta,  per fortuna nel bus non vi erano molte persone e nessuna ebbe il coraggio di obbiettare. «Non fare l’infantile! Quel luogo è carino e conveniente. Puoi sopportare quella data presenza.» Le lasciò un attimo, per assimilare l’idea di dover per forza convivere con i suoi “demoni”, poi si sbrigò ad indagare più a fondo, in modo tale da potersi organizzare per il meglio: «Ora dimmi. Che farai oggi? Esci per caso?»
«No. Ho idea che mi chiuderò in camera finché quel tipo non se ne andrà fuori dai piedi. Sono pure stanca, voglio dormire.» Si voltò verso le scale, ma non si sentiva realmente pronta a tornare indietro.
L’italo-coreana intanto sorrise contenta, ancora seduta nel mezzo di ritorno. Stava per rivedere l’uomo dei suoi desideri, chi più di lei poteva gongolare? Inoltre non aveva potuto sperare in un incontro fortuito così presto, anzi si era già mentalmente preparata al doverlo cercare per tutta Gangnam o perseguitandolo direttamente nel suo stesso teatro. Venire a conoscenza che possedeva anche un goshiwon, fu per lei una notizia al dir poco strepitosa. «Fai la brava e riposa un po’. Io appena finisco il … colloquio, ti chiamo.» Alla fine doveva solo impostare una scusa per la sua mancata presenza all’appuntamento di lavoro.
 
Logicamente Gemma non tornò indietro con un volto allegro. Non ci teneva a rivedere quella persona, anzi se fosse stato per lei, sarebbe rimasta benissimo fuori per tutta la notte, pur di non esser costretta a riparlargli.
Si avvicinò invece al piccolo bancone della reception. Lui, comodamente seduto dietro alla sua postazione, sollevò lo sguardo verso la cliente, i gomiti appoggiati alla mensola del bancone, una sorta di scrivania- tavolino, aveva congiunto le mani e assunto un sorriso di attesa.
«Le devo un mese giusto?»
«Quindi ha deciso di rimanere?» Domandò il proprietario.
Lei sorrise fintamente. Quella frase le era parsa tanto un modo come un altro per punzecchiare, ma era meglio mostrarsi superiore. «Rimango … a quanto pare!»
Il direttore la scrutò con un ghigno divertito, «Cambia idea molto facilmente … a quanto pare!»
«Sì. Se mi dice quant’è, la pago pure.»  No, assolutamente non gliela voleva dar vinta.
L’uomo trattenne la risata compiaciuta a stento, allargando le sue labbra smisuratamente, ma nascondendo velocemente l’espressione stessa, abbassando il capo e cercando chissà cosa tra le pila di carte e quaderni vari. «Sono 670.0008 won.»
Stava prendendo la carta di credito dal suo portafoglio, quando sollevò il volto di scatto, esclamando: «Quanto? Avevamo parlato di 545.0008 won al mese.»
«Sì, infatti. Il resto è la mia parcella per quell’indimenticabile serata. Si è dimenticata del mio compenso?»
Sfilò la card continuando a fissare quegli occhi impertinenti. Si allungò sopra al banco, gli afferrò una mano e gliela girò, schiaffandogli poi sul palmo la carta di credito. «Dissanguami pure!» Dopo di che si voltò e scappò in camera brontolando. «L’avevo caricata di soli 700.000 won, rimarranno solo una ventina di miseri euro e adesso …»
Il direttore sbatté le palpebre più volte, l’unico movimento che si concesse, impietrito da ciò a cui aveva assistito. Tagliando il silenzio della sala poco dopo, domandando a vuoto: «E il codice me lo invento?»
 
****
 
Aveva atteso il ritorno dell’ospite invano, Gemma sembrava averlo realmente e definitivamente abbandonato, lasciando la sua carta di credito ad un perfetto sconosciuto. Logicamente la tenne in ostaggio, nascondendola tra alcuni importanti documenti nella sua scrivania.
Avvertendo dei passi scendere le scale, sollevò lo sguardo distrattamente: una ragazza medio alta, dai capelli lisci e neri sulle spalle, occhi troppo grandi per essere orientali e troppo allungati per essere occidentali; un sorriso esterrefatto sulle labbra e una busta nera di plastica tra le mani.
«Omo!» esclamò Sarah Kim fingendo stupore nel trovarlo proprio lì, in quell’edificio. «Mi scusi, ma lei è …»
Il coreano annuì lentamente, « ci rivediamo ancora … purtroppo. Che caso, eh?» Ironizzò pure, sospettando che l’incontro non fosse stato voluto esattamente dal caso.
La moretta velocemente si avvicinò alla reception, vi girò intorno per prendere il braccio del direttore e obbligarlo a seguirla nell’accogliente tavolo della sala. «Deve essere molto stanco. Tra scuola di teatro e questo goshiwon, deve avere il suo bel da fare.» Posò la busta e frugando dentro ne tirò fuori una lattina di caffè fresco. Lo porse all’uomo vicino. «Per lei.» Sussurrò dolcemente.
Lui dopo un momento di esitazione, anche se un po’ infastidito, accettò il suo dono. «Grazie» e si sedette.
Anche la ragazza si accomodò, iniziando ad osservarlo mentre beveva la sua bibita ghiacciata, puntando con lo sguardo quelle labbra fine mentre si posavano sulla lattina, notando come sollevasse appena il capo per berne il contenuto e non facendosi sfuggire nemmeno il movimento del classico pomo d’Adamo. Deglutì come un beduino perso nel deserto del Sahara, che ha la sua prima allucinazione. Naturalmente l’isola colma di acqua che vedeva lei, non era certo a forma di lattina di caffè…
Drizzò la schiena elegantemente, lisciandosi con la mano i capelli dal lungo caschetto. «Allora è vero che la famiglia è ricca?» Fece una domanda forse troppo indiscreta.
«Cosa glielo fa pensare?» La bacchettò immediatamente, «ma visto che si tratta di un quesito, è meglio chiederle il perché lo stia ponendo?»
Lei per un attimo avvertì l’imbarazzo. «Aaaah … No, ero solo curiosa. Insomma … per avere due impieghi di questo tipo-»
«Avendo due impieghi, già dovrebbe dedurre da sola che non io sia di ricca famiglia.» Le parlò sopra, colmando il suo strano e antipatico interesse.
La spasimante di nuovo gli mostrò un sorriso statico, cercando di pensare a qualcosa di intelligente da dire. «Ehmm … non ci avevo pensato», tossì, come per cancellare ciò che aveva detto fino a quel momento, «non mi prenda per un’ochetta qualunque. Le assicuro che non lo sono. Solo che con lei a volte mi sento un pò impacciata, e le assicuro che non è da me. Insomma è lei a farmi uno strano effetto.»
Il direttore bevve ancora un sorso, prima di continuare a conversare, per quel poco che le concedva. «Non si preoccupi. Io non penso proprio a nulla.»
Sarah continuando a fissare il proprietario del posto con ammirazione, riflettendo però su come comportarsi e come fare per convincerlo ad accettare un appuntamento. Sapeva che in quel momento sarebbe stato impossibile e forse anche il giorno dopo e quello successivo. Non era un uomo semplice, non era uno qualunque, doveva studiare un piano intelligente per potersi avvicinare a lui pian piano, in modo da acchiapparlo del tutto.
«Pensavo …», era giunto il momento di tirare fuori il piano B, « non può riprovare ad aiutarla?»
Lui bloccò il suo intento di sorseggiare ancora il caffè e di scatto alzò lo sguardo, guardandola quasi con ostilità. Quel contatto visivo durò pochissimo, perché egli abbassò di nuovo l’attenzione, cingendosi a finire la sua bibita.
«No. Ho compreso quel che intende ed è un no.» Si alzò, gettando nel cestino la lattina, tornando poi nella sua postazione.
La ragazza imitò il suo gesto, sollevandosi dalla sedia, ma non lo seguì fino al bancone. Tanto erano comunque vicini. «So che quella sera doveva essere l’unica volta, ma …», pian, piano lasciò scemare la frase, comprendendo di dover lottare contro dei mulini a vento. Alla fine si arrese, forse non c’erano più possibilità di giocarsi la carta jolly, ovvero Gemma. «D’accordo … Lei è sempre da queste parti?» Perciò doveva pensare a qualche altro stratagemma, se voleva continuare a vederlo e provare a sedurlo meglio.
«No.» fu nuovamente frettoloso, continuando a controllare i suoi affari cartacei, « e logicamente non le dirò quando e come trovarmi.» Sollevò solo in quel momento il mento, mostrandole un’espressione ovvia, « immagino sappia perché.»
Ma lei fece finta di non capire. Rise invece furbamente, strappando al giovane umo un sorriso sinceramente divertito, pensando così che per  lo meno poteva dire di averlo fatto divertire un po’.
La porta della camera otto si spalancò improvvisamente. «La mia carta!» Esclamò Gemma, con il palmo della mano ben teso verso il proprietario dell’Ilmol-house.
Egli fu pronto ad imitarla, prendendo la stessa identica posa: «I miei soldi!» Battuta di dovere.
Distrattamente la straniera si accorse di un altro individuo presente e ci rimase un tantino male nel constatare che si trattava proprio della sua amica Sarah.
«E tu che ci fai qui?»
Costei le mostrò un espressione gioiosa, ma celando una certa colpevolezza.
«Non avevi un colloquio?»
«E’ saltato!» Spiegò, strabuzzando gli occhi intimandola di tacere. Non si poteva scoprire tutte le debolezze fin da subito. Ammettere all’uomo che ti piace che hai saltato un importante colloquio solo per apparirgli davanti, era una mossa estremamente lesionista.
«Era importante.» Sussurrò allora Gemma, accontentandola.
La risposta che giunse fu alquanto montata: una risata falsa quanto il gel per le unghie, « ma che dici … importante», schioccò la lingua, «non era comunque il lavoro dei miei sogni. Avrò altre occasioni.»
Mentre la osservava ormai severa in volto, ipotizzando le motivazione che l’avevano spinta fin lì, perdendo così l’occasione di avere un impiego decente. Ad un tratto notò i viveri sopra al tavolo e si avvicinò per afferrare un Banana Uyu9.
Sarah l’afferrò per il polso. «Non sono per te!»
A quel punto Gemma si arrese. Ignorò il suo strano, ma comprensibile, comportamento, avvicinandosi invece al … nemico. Quest’ultimo, senza interrompere ciò che stava facendo, passò prima la carta di credito nel pos, poi automaticamente la restituì alla ragazza, insieme allo strumento per fare la firma elettronica.
Così si concluse la transizione e il tutto nel pieno silenzio. Si ignorarono a vicenda, ma la cosa era più che gradita a Gemma, tanto che tornò a parlare con Sarah, facendo finta che l’altra persona non esistesse.
«Visto che non sei venuta per me …»
«Bingo!» sussurrò l’altra, parlandole sopra.
«… me ne torno in camera.» E li lasciò nuovamente soli.
 


2 Ajeossi: è un termine coreano che alcuni associano al nostro "zietto", ma la traduzione è errata. Semplicemente questo nominativo viene dato a tutti gli uomini di una certa età, con i quali li si potrà chiamare, una sorta allora di "signore" più che l'altro termine proposto. In verità questo termine viene scritto in diversi modi "ajusshi" o peggio ancora "ajhusshi", ma la romanizzazione dell'alfabeto coreana è complicata e vi sono solo due tipologie ufficili. Io scelgo quella "fedele" all'hangul (alfabeto coreano) in quanto la parola ajeossi scritta in questo modo la trovo più veritiera. Le altre due si rifanno invece alla pronuncia e spesso rispecchia i canoni americani, anche se nel caso di questa specifica parola spesso i coreani la pronunciano come tale "ajusshi", ma non sempre e dipende spesso dalla tipologia di dialetto (아저씨 pronuncia = ajosshi -con la "o" aperta)
Annyeonghi kyeseyo annyeonghi kaseyo: sono entrambi esclamazioni che ricordano il nosro "arrivederci", quindi una frase da utilizzare per quando ci si lascia. Annyeonghi kYEseyo (안녕히 계서요 pronuncia = annyongi kyeseyo -con la "o" aperta) è la frase che dice colui che lascia il luogo, salutando chi rimane, letteralmente significa "stiate in pace". Annyeonghi kAseyo (
안녕히 가세요 pronuncia = annyongi kaseyo -"o" aperta- ) è invece la frase per colui che rimane e saluto la persona che se ne sta andando, letteralmente "andate in pace" ovvero il nostro vero e proprio "vai con Dio" o "arrivederci" per l'appunto.
4 G Dragon: anno 1988, è un artista del pop coreano (tale Kpop), il suo vero nome è Kwon Ji Yong (권지용 pronuncia = gwon ji yong -"o" aperta per gwon e chiusa per yong) ed è il leader di una band, i Bigbang (빅뱅). Non solo rapper del gruppo ma anche cantauore e cantante solista. E' uno di più conosciuti ed amato non solo in Asia, ma insieme alla sua band sono lodati e apprezzati in tutto il mondo. E' la band asiatica più conosciuta del globo. (e io ne sono fans, lo ammetto. Gli unici del loro genere che trovo davvero godibili, originali e artisti a tutto tondo)
Curiosità : la lingua coreana stessa è molto difficoltosa proprio per le sue mille sfaccettature di suoni (vedete l'esempio ajeossi che alcuni coreani lo pronunciano ajosshi altri proprio ajusshi), ma non solo! E' composta anche di svariati dialetti (사투리 "saturi"), il più particolare e conosciuto è quello di Busan e forse quello più complicato da capire, che talvota non comprendono nemmeno i coreani stessi, quello dell'isola di Jeju. Addirittura tra Jeju sud e Jeju nord la differenza di alcune parole è così abissale che perfino gli abitanti dell'isola provenienti dalle due parti diverse faticano a comprendere. Ma ve ne sono anche tantissimi altri in tutta la Corea. Insomma come l'Italia alla fin fine, non per niente viene chiamata "l'Italia d'Asia".
Yeoboseyo: (여보세요 pronuncia = yoboseyo -con la prima "o" aperta e le ultime chiuse) è il nostro classico "pronto?" di quando si risponde al telefono, un saluto. 
T-money card: è una carta (dal nome card) che può essere anche ricaricabile e serve per svariate cose, in primis pagare le corse in metro e autobus, ma si può pagare anche il taxi e viene utilizzata pure in alcuni negozi. Si ricarica nelle metro o nei piccoli supermercati (market).

8 Won: 670.000 corrispondono a circa 490 € e 545.000 a 400 € quindi in definitiva lui si farebbe pagare 125.000 won ovvero 90 € 
Banana Uyu: (바나나 우유) è una dolcissima bevanda coreana, uyu (
우유significa latte, infatti è latte alla banana. 


 

Salve lettori, oggi volevo un attimo lasciarvi questo messaggio a fine capitoli: intanto vi ringrazio per l'attenzione, che sia stata curiosità per un attimo o che sia un interesse che continua ancora, spero solo che possiate essere soddisfatti della storia, dei dialoghi e che possa emozionarvi, trasportarvi in un mondo diverso, nuovo, lontano dal nostro; spero di riuscire a creare per voi una piccola "cappa" di tranquillità, dove lasciare i problemi fuori per quei pochi minuti che servono per leggere questa storia, facendovi sognare un pò. 
Volevo anche mettere in chiaro una questione sui sottotitoli, che so non essere il massimo della comodità qui su EFP, non avete in mano un libro dopotutto e vi tocca sempre scorrere le pagine, quindi scusatemi anche per questo, ma ci tengo a delucidare alcune curiosità o significati importanti per me. Sono puntualizzazioni forse noiose per alcuni di voi, beh ... potete sempre saltarle no? Eppure io le troverei oltremodo interessanti, ecco un altro motivo per metterle. Non solo per coloro che sono appassionate d'Asia, o curiose di Corea del sud, ma anche per coloro che con questo ambiente non hanno nulla a che fare! Anzi forse proprio per loro le note servono per comprendere punti che forse risulterebbero troppo alieni. Certo, sappiate che non posso fare di tutto il racconto un'intera nota, quindi se non vi sono chiari alcuni punti (nomi o luoghi) ma non vedete la specifica traduzione o puntualizzazione, vuol dire che sono concetti già spiegati in qualche passato articolo, ma se seguite la mia storia non avrete problemi a ricordarvene.
^ ^ Ho concluso. 

 
Che recensiate o meno,
grazie ancora a voi lettori! 
vi lascio con una delle foto che più amo di mia sorella, visto che lei ha anche una buonissima macchina fotografica, confronto al mio cellularino da niente:


 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 10° & 11° ***


10 Capitolo
 
 


Uno dei posti “extra-turismo” che più apprezzano gli europei quando atterrano a Seoul, strano a dirlo, ma sono le svariate caffetteria coreane. I nomi che si possono trovare sono dei più disparati. Prendono dal francese, dall’inglese e dall’italiano solitamente, spesso storpiandone però la grammatica o sbagliando del tutto il significato della frase. E così: una semplice caffetteria diviene “Caffeteria”; gli gnocchi, piatto tipico italiano, “Gnocci”; il gustoso gelato a volte lo si trova tradotto in “Gerato”, oppure ancora nominativi buffi, “Primo Baci Baci”, che sembra non aver senso, “Io tu amo”.
Non vi sono solo cooperativa internazionale, ma anche grandi catene nazionali e piccoli posticini, quasi considerati da alcuni dei “gioiellini” rari, semplici negozietti aperti da appassionati del genere che non fanno parte di un vero e proprio franchising e per questo sono sempre sull’orlo di una sorta di precipizio, indotti dalla spietata concorrenza seoulese.
All’interno il design di quel luogo si poteva considerare molto studiato, ricercato, fantasioso e colorato. Logicamente cambia dipendentemente dall’originalità delle singole caffetterie, o spesso a seconda della marca di appartenenza. A volte questi locali si reinventano, portando in secondo piano la loro finalità, divenendo vere e proprie curiosità del posto: ed ecco riempirsi di gatti e cani, o ancora animali insoliti come quelli della fattoria.
«Non vedo l’ora di affogare nel grasso i dolori.» Sarah stava giocando con il cicalino dell’ordinazione. Erano in uno dei tanti Edya Coffee, uno dei brand più popolari a Seoul.
Gemma le strappò quell’aggeggio dalle mani. «Di quali supplizi saresti infetta, tu?» Avevano ordinato uno di quei gelati enormi, solitamente da consumare in tre e più persone. All’interno, oltre alla crema stessa, normalmente si trovava della frutta, ghiaccio, fagioli rossi e cereali. Una strana bomba calorica.
Tornò ben comoda sulla sedia, afferrando il pupazzetto che pendeva dal cellulare. Uno strano gatto a pallini, con la benda su un occhio e l’altro composta da due bottoncini l’uno sopra l’altro. Sarah puntava le dita di Gemma, che schiacciavano quel pupazzetto tanto strano quanto simpaticamente originale.
«Ti ha scritto?»
Gemma sollevò lo sguardo, poi lo abbassò sul suo stesso telefonino. «Quando mai?»
«E tu gli hai scritto?»
Rispose sinceramente: «No. Ma sto cercando di capire se devo farlo o meno.»
«Non farlo!» Esclamò l’amica, alzando la voce. Proprio in quel momento il cicalino prese a vibrare. L’italo –coreana lo afferrò velocemente e andò al banco per consegnarlo in cambio dell’ ordinazione. Tornò pochi secondi più tardi con un vassoio nel quale reggeva la coppona gelato.
«Dimmi, Gemma …», posò il vassoio , « esattamente, perché vorresti tornare con lui?»
Non era una domanda poi tanto difficile. «Perché lo amo.»
«Lo ami.» Annuì di rimando, spartendo i cucchiai. «E non pensi a te? Non ami te stessa?»
La ragazza fissava quegli occhioni dalla forma speciale, che racchiudevano occidente e oriente in un tutt’uno bene amalgamato. Spostò lentamente l’attenzione sul gelato: alto forse più di dieci centimetri, era colmo di fagioli, cosa che lei detestava. Poteva benissimo ordinarne uno privo di quella particolarità tanto amata in asia, similare alla marmellata, ma sapendo che Sarah ne andava ghiotta, tralasciò i suoi gusti per un attimo. Per fortuna l’amica le venne incontro, racimolando dalla sua parte i fagiolini e nel frattempo impartì anche dei suggerimenti:
«La tua parola d’ordine da adesso in poi dovrà essere: stabilità!»
«Ed è questo che cerchi tu, Sarah?» Era il suo turno di predica, « questa fantomatica stabilità pensi di trovarla in quello sconosciuto? Hai perfino mandato a monte un colloquio per lui!»
La ragazza tentò di fuggire all’inquisizione mostrandosi disinteressata difronte a quelle parole, osservando distrattamente l’ambiente attorno, sapendo però che in quel modo non poteva realmente svignarsela. «Va bene … », si arrese all’idea di dover affrontare l’argomento, «Cosa posso farci se mi piace? Sì, forse mi sbaglierò, mi da quel senso di sicurezza di cui una donna ha bisogno, e allora? Sarà il suo fascino, saranno i suoi abiti costosi, sarà il suo intrigante lavoro … »
Gemma afferrò il cucchiaio, come se fosse l’arma prescelta e lo puntò contro alla ragazza, « e tu pensi di avere rispetto per te stessa in questo modo?»
Sarah Kim alzò le spalle con aria di sfida, incrociando le braccia in petto. «Certo! Io voglio il meglio per me e non mi accontento! Non mi focalizzo sulle persone come fai tu. Se uno mi pianta? Okay! Morto un papa se ne fa un altro!»
La risatina isterica di Gemma spezzo le sue parola, « tu non ti sei mai innamorata davvero, come puoi comprendere ciò che può passare un cuore infranto?»
«Comprendo e sarà come dici amica mia, ma si piange ininterrottamente per giorni e giorni e poi si smette. La vita è fottutamente orribile anche per questo! Anche per i defunti non ci si dispera in eterno. Figurarsi per un amore finito nei peggiori dei modi. Da un lato è una cosa negativa e dall’altro lato ti aiuta a sopravvivere.» Sciolse il nodo composto dagli arti e si prestò a trangugiare una cucchiaiata di gelato. «Se uno mi piace tento di conquistarlo in qualche modo logicamente, ma se vedo che da parte sua non c’è alcuna risposta allora passo oltre. Questo bisogna fare Gemma. Perché se non ti vuole non è degno di avere nemmeno un briciolo delle tue attenzioni. Ecco perché io non aspetto in eterno le persone per principio, come fai tu invece», prese un’altra cucchiaiata, « lascio semplicemente la porta socchiusa per accogliere chiunque voglia entrare nel mio mondo, senza però svendermi. Al contrario della mia migliore amica, io penso molto a me stessa, forse anche troppo a volte, ma o così o rischiare di soffrire per ogni sciocchezza.»
Un’argomentazione che non faceva una piega, «spesso tu parli di stabilità riferendoti al lato finanziario, o mi sbaglio», per questo si nascose dietro ad una disputa che poteva rivelarsi una possibile difesa.
Eppure venne osservata con ovvietà. «Anche, certo! L’uomo giusto per me deve saper dare una certa stabilità alla donna che ama, sia sentimentalmente che finanziariamente. Se no che uomo è?»
Gemma rispose con severo contrasto a quello sguardo saccente, per poi lasciar rapidamente andare il suo dissenso; l’amica era di un pensiero troppo distante da lei, forse perché appartenevano a culture tanto diverse. O magari era Gemma stessa la causa, credendo ancora troppo romanticamente in un amore immacolato, del tipo “due cuori e una capanna” o per citare una vecchia canzone coreana: “… anche in una casetta dal tetto di paglia, se noi due siamo insieme e ci amiamo … mi piace, mi piace, voglio vivere con te1.
«Come nei drama …», stava riflettendo ad alta voce la mezza coreana, « “non ho soldi, ma che importa! Se ho lui posso vivere felicemente”, non è questo il concetto che propongono molte storie?» Sogghignò seccata, « per tv mostrano amori innocentemente incondizionati e poi nella realtà si fanno la “guerra” per accaparrarsi il primo buon partito che passa.» Sollevò le braccia scuotendo la testa. «Stronzate da drama! Ecco di cosa si tratta. Non per niente in tantissime altre trame con chi fanno finire la protagonista poverella? Ma logicamente con il riccone di turno!» Riprese a mangiare, questa volta con una vena infastidita. «E comunque stabilità economica o meno … il tuo ex non poteva garantirti nemmeno quella basilare: parlo di solidità dei sentimenti.»
Tante volte Sarah Kim poteva mostrare il peggio di sé: superficiale, farfallona, spendacciona, apparentemente incurante di tutto e tutti. Viveva alla giornata, si divertiva e a volte passava per una persona di poche vedute. Ma conoscendola bene, le persone si accorgevano pian piano di non avere davanti una sprovveduta. Incosciente e allo stesso tempo oca, decisamente due termini che non potevano convivere in lei. L’incoscienza forse si faceva viva di tanto in tanto, ma sempre ben calcolata, in quanto al pennuto starnazzante … lo faceva di tanto in tanto, ma si trattava solamente di una maschera ben congeniata. Nel suo vivere momento dopo momento, senza preoccuparsi troppo per le questioni che, sebbene fossero importanti, spesso causavano nervosismi e stress, c’era anche un tono di saggia intelligenza. Specie se provava un grande affetto per qualcuno, non si tratteneva nel porsi per quella che era realmente, utilizzando ogni tanto la sua lingua priva di pelo. Quella sua riflessione infatti, colpì Gemma come solo un pugno in faccia poteva fare.
«Non ti sembra invece che abbia uno strano alone di sicurezza, intorno a sé il bel direttore?» Sarah sollevò il volto in alto con aria ammirante. Non avvertendo la risposta, osservò lo stato dell’amica, trovandola ancora triste, intenta a fissare i propri piedi. Si allungò per afferrarle una mano. «Vedrai che arriverà prima o poi il tuo mister perfezione! Come l’ho trovato io, potrai trovarlo anche tu.»
«Non mi risulta che voi due stiate assieme.»
«So che stai soffrendo molto», decise di ignorare la precisazione, continuando per la sua rotta, «e proprio per questo dovresti passare oltre. Quell’idiota ti ha ferita! Quindi fai come me: non pensare troppo e divertirti!»
Gemma scostò  la mano, tornando invece a toccare il pupazzetto vicino al suo cellulare. «Tu dovresti pensare a trovare un lavoro invece di un marito.» Fissò lo sguardo verso il gattino, « dovresti creare questi cosini!» Quel gadget infatti l’aveva creato Sarah Kim in persona, appositamente fatti a mano per le sue migliori amiche.
«Quello sarebbe il mio obbiettivo!» Esclamò emozionata. «Poter aprire una linea di gadget disegnati da me è proprio il mio sogno. In quanto al marito … Gemma, siamo delle vecchiette ormai! Prima di arrivare ai trent’anni vorrei sposarmi se permetti! Sai come chiamano le donne oltre la trentina senza marito in Giappone?2 E sai che più o meno c'è la stessa convinzione anche qui?»
L’italiana prese il cucchiaio le bacchettò il dorso della mano, «Non mi interessa! Vecchia a chi? Tu poi che hai un anno in meno di me, hai ancora tre anni di tempo prima di arrivare ai trenta!»
«Ti ricordo che qui in Corea devi aggiungere un anno. A me rimangono ancora due anni e a te … un … solo … anno!»
«Che fregatura», sospirò ricordandosi di quel particolare sull’età coreana, «ad ogni modo sei spaventosa! Da come parli sembriamo due malate terminali, te ne rendi conto?»
«Mangia il gelato!» La bacchettò alla fine Sarah, costringendo Gemma a degustare finalmente la leccornia calorica, ma era troppo ghiacciato per i suoi gusti, quindi fece una pausa al terzo assaggio.
«E sentiamo, hai intenzione di tornare in Italia? Mi mancherai quando tornerò a casa.»
La ragazza si mostrò impacciatamente indecisa. «Ora come ora non lo so proprio, mi dispiace Gemma. Amo troppo la mia nazione e di questi tempi l’Italia offre poco ai giovani, oltretutto per come sono fatta io anche se non vi fosse la crisi, il “bel paese” potrebbe comunque regalarmi ben poco. Qui ho mia madre e devo pensare anche a lei. Vi sarà certamente l’occasione per tornare, insomma … dovrò far visita a mio padre qualche volta, no?»
Provò a prendere un’altra dose di freddo glucosio. «Tua madre si sta per risposare, giusto?» Vedendo che Sarah si limitava ad annuire, si sentì il dovere di chiedere: «Come ti senti in proposito?»
«Bene.» Sollevò lo sguardo dal gelato, «è la sua vita, non la mia. Inoltre lui è un buon uomo.» Iniziare a giocare con i cereali, persi in quel mare di zucchero, non era un modo come un altro per evadere il discorso, semplicemente serviva a prendere tempo e riflettere sulla situazione. «Non lo chiamerò mai papà e questo mia madre ne è consapevole. Ma è adulta, può fare quel che ritiene più giusto per se stessa.» Finalmente lasciò il cucchiaio, addossandosi interamente allo schienale della sedia. Sul volto un rinnovato sorriso ricco di aspettativa. «Questo weekend lo passiamo a girovagare tutta la notte per Hongdae, va bene? Club a tutto andare!»
«Non amo particolarmente questo tipo di cose, lo sai, sono un’oscura asociale. Quindi perché dovrei seguirti in questa specie di suicidio?»
Sarah aveva ormai abbandonato ogni espressione seria e laconica, tornando la solita allegra e superficiale, nemmeno Gemma avrebbe potuto rovinare il suo ritrovato spirito festaiolo. «Per divertirci scema! E anche per scovare un altro possibile pretendente-»
«Non voglio!» L’interruzione avvenne in tempo, «sarebbe stupido. Non voglio dare strane idee di me.» Corrucciò la fronte pensandoci. «Aveva proprio ragione.»
«Chi?»
«Quello là!» Ribatté infastidita, riferendosi al direttore della scuola teatrale e proprietario del goshiwon dove lei alloggiava. «Non so nemmeno come definirlo, dato che non conosco il suo nome.»
«Ah, intendi Im Song Rok-ssi!3» Svelò l’arcano Sarah, osservando vagamente le sue unghie curate, controllando di tanto in tanto l’espressione che aveva assunto l’amica. Gemma cercò di ricordare il momento esatto in cui quella persona si era presentata, perché chiaramente sembrava avere un vuoto di quel momento.
 «Ma quando si è presentato?»
«Non lo ha fatto! … Stranamente. Un uomo del suo calibro non mancherebbe un colpo simile, eppure … Immagino sia stata colpa nostra: non lo abbiamo nemmeno fatto parlare quella volta. Comunque so il nome per via del goshiwon. Sono stata io a contattare il proprietario, non ricordi? Ci sono tutte le informazioni che vuoi sul sito.» Sarah mosse le braccia in alto, in un gesto sbarazzino, «D’accordo! Niente attori! Cerchiamoti allora un vero chiodo scaccia chiodo!»

1 Si tratta di una vecchia canzone coreana facente parte dunque del Trot, appunto pop coreano di qualche anno fa. Nam Jin (
남진) è il cantante di "Nimgwa hamkke" (님과 함께 "con te") la canzone del testo citato nel racconto, paragonabile forse ad Albano? 
2 A Christmas cake, è così che vvengono chiamate le donne single che oltrepassano la trentina in Giappone. Che io sappia in Corea del sud non c'è lo stesso detto, ma il pensiero che dopo i trenta si debba aver già marito e magari pure fatto qualche pargolo persiste, anche se sempre più donne e uomini, come da noi, si sposano oltre i trent'anni.
3 Im Song Rok-ssi, il nome in coreano sarebbe 임송록 im (con la romanizzazione americana lo scriverebbero "Lim") Song e Rok entrambi i nomi con la "o" chiusa. Quell "ssi" che compare (씨) altro non è che un onorifico, una cortesia che si mette davanti ai nomi quando non si ha confidenza e si vuole dare rispetto. Una sorta di Mr. per così dire.





 
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11 Capitolo
 
 
 
 
Almeno sembrava non dover per forza di cose sopportare la presenza di Mr Im ogni volta che usciva o rientrava nella sua stanza. Poteva stare tranquilla: se la fortuna era dalla sua parte, avrebbe visto il volto di quell’uomo meno spesso. Insomma si stava dimostrando una persona molto impegnata tra teatro ed altro.
Era comodamente distesa sul letto, con il pc appoggiato alle gambe. Mentre attendeva che la pagina web si caricasse, ripensò proprio a come le era sembrato antipatico fin da subito quell’uomo. Fece una smorfia ragionandoci sù: non è che lo avesse detestato fin dall’inizio, anzi le era apparso un tipo a modo. Forse era stata la poca pazienza della ragazza ad aver fatto scattare qualcosa in lui, magari il vero volto nascosto sotto una maschera di elegante perbenista. In altre parole, non era stata antipatia a prima vista, bensì a primo dialogo.
La causa, dunque, l’attribuiva un po’ anche a se stessa, anche se sempre e comunque giustificabile: aveva sopportato diversi uomini, in quella folle ricerca dell’uomo ideale, non era preparata ad un ulteriore rifiuto da parte di quello che, in teoria, doveva essere l’ultima opportunità. E invece il tipo del teatro se ne era lavato le mani, passando la palla ad un collega. E che collega! Non poteva essere uno qualunque degli attori, no, doveva presentarsi il direttore dell’Art Keukjang di fronte a loro.
Controllò immediatamente il suo conto corrente, per decidere quanto versare ancora sulla carta di credito prepagata. Con piacere notò che le erano stati prelevati non seicentosettantamila won, ma solamente cinquecentoquarantacinquemila. Sorrise contenta, ma quasi immediatamente tornò seria in volto.
«Non ha messo in conto il pagamento di quella sera.» Rifletté ad alta voce. Poco dopo si alzò velocemente, spostando il pc e uscendo dalla sua stanza. Non vi era nessuno nella hall, così andò direttamente verso la reception per cercare qualche tipo d’informazione. Vide sulla bacheca un volantino con su scritto nome e cognome del proprietario e numero di cellulare, con tanto di scuse per essersi assentato. Compose e attese.
Quando avvertì la profonda e bassa voce dall’altra parte della cornetta, senza preannunciare niente, a bruciapelo domandò: «Parlo con il proprietario dell’Ilmol-House?»
«Sono io.»
«Salve … ehm, sono l’ospite della stanza otto.» Attese un secondo, ma immaginando non si ricordasse di lei, specificò, «La ragazza dell’appuntamento.»
«Avevo capito. Dunque?» Chiese lui, mostrandosi in quel momento poco incline ad un dialogo.
Gemma corrucciò la fronte. «Mi tolga una curiosità. Perché non ha prelevato i won pattuiti? Aveva detto: un mese più il costo per il suo disturbo di quella sera.» Lo sentì sbuffare.
«Di cosa si sta lamentando esattamente?»
«Semplicemente non voglio sentirmi in debito con lei.» Stava dando le spalle all’ingresso, per cui non poteva vedere la persona che in quel momento scendeva le scale. «Perché non ha prelevato la somma indicata?»
Im Song Rok si fermò ad osservare quella fastidiosa, ma indubbiamente curiosa donna straniera. «Diciamo per orgoglio?» Le rispose con l’orecchio sempre incollato al cellulare.
«Orgoglio? Orgoglio per cosa?»
Cominciò ad avvicinarsi con passo lento. «Se prendessi del denaro per quella sera, mi sentirei davvero alla pari di una prostituta.» E pochissimo dopo la raggiunse, continuando però a sostenere la conversazione dall’apparecchio telefonico. Era interessato a capire quanto ci avrebbe messo a rendersi conto che lui era proprio dietro di lei. Una sorta di divertente e buffo esperimento.
Perciò Gemma si era appena trasformata in un criceto senza saperlo. Troppo concentrata in quella chiamata, non sti stava accorgendo di nulla. «Non è un attore? E gli attori non vengono forse pagati per le loro prestazioni?» Ribatté con un tono arrogante, «fatto sta che io e la mia amica l’abbiamo usata per i nostri scopi e diciamo pure che lei ha lavorato per noi, perciò va pagato.»
«Non me l’aspettavo una cosa del genere da una come lei.» Affermò da quella distanza, logicamente inducendola a girarsi immediatamente. «Riagganciamo?» Suggerì chiudendolo in quell’istante, sorridendo in un ghigno simpatico, ma che a qualcuno risultava poco piacevole.
«Poteva dirlo subito che era dietro di me!»
Mr Im, con un gesto, fece presente alla ragazza che non aveva ancora concluso la chiamata in corso. Gemma sbatté le palpebre imbarazzata e abbassò la mano, riagganciando a sua volta.
«Da quanto tempo è qui? Anche le chiamate hanno un costo, lo sa?»
Lui annuì. «Il motivo che l’ha spinta a chiamarmi, quale sarebbe? Un modo per avere il mio contatto?»
«E’ serio? … Il numero è in bacheca! A disposizione di tutti i clienti mi pare, no?» Rispose quasi adirata, indicando la reception con un dito. Lui rise sinceramente e stranamente quel sorriso le sembrò quasi gradevole.
«Scherzavo!» Improvvisamente però un’espressione preoccupata si stagliò sul suo viso. «Così effettivamente è alla mercé di tutti.» Preoccupato, fissò negli occhi Gemma, «anche della sua amica! Devo stare attento.»
«Sarah non è un serial killer.» Fece presente, ma con voce tranquilla. Aveva capito il senso di quella frase e non era del tutto in disaccordo con le sue preoccupazioni, ma si stava pur sempre parlando di una persona a lei tanto cara.
«Io avrei usato la parola stalker. Non le passi il mio numero, d’accordo?» Detto ciò, si spostò verso la sua postazione.
«E allora lei si prenda i soldi che le devo.»
«L’ho già fatto.» Si sedette, osservando la perplessità in un volto abbastanza alieno per un coreano: occhi di un colore troppo particolare per la sua terra, come i capelli; i lineamenti stessi erano troppo differenti da quelli che si vedevano in giro per la capitale sud coreana, fisicità compresa. «Come ha detto lei, le chiamate hanno un costo.» E riprese a ridersela da solo.
«Con me non si sforzi di ridere.» Lo ammonì, cancellando ogni sorta di finzione do quell’uomo, che prese a guardarla un tantino offeso, prima di mettersi alla ricerca di qualche documento tra i cassetti della scrivania. «Va bene. Allora diciamo che siamo apposto. Non verrà a rinfacciarlo, vero?»
Trovò quel che gli interessava. «Non sono un tipo molesto.» Le rispose distrattamente, controllando il contenuto della cartellina tanto cercata. La chiuse di scatto, mostrandola in un gesto veloce, quasi un saluto. «Avevo dimenticato di prendere questa.» Si alzò e si spostò verso l’uscita. «Vorrei dire “a  mai più rivederla”, ma non crede sarà possibile. Quindi cerchiamo di sopportarci a vicenda, così da convivere pacificamente.»
 


Questi che vedete non sono il massimo di corposità, sono due capitoletti abbastanza corti rispetto al solito, anche per questo e per la mia imminente partenza (come Gemma, me ne volo proprio in quella tanto lontana terra coreanavedrò di anticipare la pubblicazione degli altri capitoli a martedì o lunedì a seconda del tempo a mia disposizione.
Grazie ancora per l'attenzione dedicata.

Al posto delle foto vi lascio un link se volete saperne di più sullo strano gelato coreano di cui si parla nel racconto (
팥빙수 Patbingsu) e molti altri: http://amitywonderlanddream.blogspot.it/2014/01/i-gelati-seoul-come-sono.html


 

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 12° & 13° ***


12 Capitolo
 
 
 
 
Tutto di lui la infastidiva. Non solo la sua strana colonia, il naso dalla grossa punta tendente verso l’alto e gli occhi da volpe. Molte donne potevano anche considerarlo attraente e c’era stato un momento in cui anche lei aveva apprezzato quel genere di bellezza. Ma ora non più.
Era stato lui a rovinare il suo stesso aspetto agli occhi della ragazza, comportandosi da vile. Gemma Brizzi aveva l’abitudine, come molte altre persone, di cambiare idea sugli argomenti e … gli individui. Si dice che sia da stupidi mantenere un pensiero intatto al cento per cento, ripensarci e giudicare diversamente è una cosa assai normale, specie se sono gli altri a fare in modo che tutto ciò avvenga.
Così era successo con lui: gli era bastato una proposta alquanto affrettata, superficiale e viscida per farsi disprezzare dall’italiana.
«Allora!» Esclamò Sarah, facendosi offrire un altro cocktail dal bell’imbusto. «Ripetimi il tuo nome.» Non era ubriaca, ma un po’ alticcia, quello sì.
Il giovane uomo si avvicinò, pe sussurrare: «James, come James Bond.» Ridacchiando del suo stesso scherzo.
Gemma sollevò gli occhi al soffitto, perfino quella risata era disprezzabile, le urtava proprio a pelle e vedere Sarah che gli dava corda era addirittura peggio.
«Il tuo vero nome.» La mezza coreano invitò nuovamente il tipo a presentarsi, magari seriamente.
Costui sorrise e annuì, « ci siamo già presentati quella volta, lo hai dimenticato?  Park Wu Joo », pronunciando il suo nome, spostò lo sguardo verso Gemma, tra le due chiaramente era quella che preferiva, «Gemma se lo ricorda.»
Lo avrebbe di certo incenerito all’istante con lo sguardo, se avesse potuto. «Come posso dimenticarlo?» Il ragazzo per tutta risposta rise e ordinò ancora da bere. Il classico tipetto fashion, ricco e ridicolamente sicuro di sé, tanto da far venire la nausea da quanta arroganza esponevano i suoi modi e il tono stesso della sua voce. Dopo il loro primo incontro e l’inequivocabile proposta che le aveva rivolto, fu impossibile per lei scordare quell’individuo. In senso negativo, chiaramente.
La ragazza aveva sperato che le loro strade non si incrociassero più. In effetti questo desiderio si espandeva a diverse persone: oltre al tizio che in quel momento le sedeva accanto, anche l’attore di teatro era tra i nomi della lista nera e come loro, tutti coloro che incontrò la sera in cui doveva trovare un possibile finto pretendente da “esposizione”. Parlando in specifico degli uomini conosciuti in quella sciagurata notte, se disgraziatamente avesse dovuto rivedere uno di loro nuovamente, tra il fascinoso impiegato, lo sfigato, il gay e il viscido, certamente questo sarebbe stato il primo della lista indesiderati. Anzi, il suo nome lo avrebbe scritto direttamente nel Death Note1. Se solo quel diario diabolico esistesse per davvero …
«Tu potevi aiutarci.» Parlò senza riflettere Sarah, quasi del tutto persa nei fumi dell’alcool.
Il ragazzo offrì gentilmente un calice a Gemma. «Siete state voi a scappare.» Ma la ragazza prontamente rifiutò.
Allora fu Sarah a rubare dalle mani del giovane il cocktail in questione. «Colpa di Gemma!»
«Sarah smettila di bere!» Esclamò questa.
Park Wu Joo la stava osservando con un’espressione rammaricata. «Penso di aver fatto scappare io la tua amica.» Spiegò al sangue misto, continuando però ad affrontare gli occhi schifati della straniera. «Le avevo fatto una proposta troppo frettolosa … forse.»
Stizzita Gemma fece un ghigno ironico. Chiedere ad una donna, conosciuta da meno di mezz’ora, di passare la notte in un motel era, “forse”, troppo prematuro?
Immaginava di non poter sfuggire da incontri spiacevoli, per lo meno non bazzicando gli stessi locali della stessa Hongdae, dove la caccia all’uomo “perfetto” era iniziata. Ma non avrebbe mai pensato che ciò poteva accadere tanto presto.
E invece Wu Joo l’aveva puntata fin dal momento in cui aveva messo piede lì dentro, volendo forse una seconda chance con lei. Questa volta si era avvicinato da solo, il suo amico, bell’imbusto palestrato, evidentemente non era nei paraggi. Dopo aver salutato, aveva subito proposto alcool e divertimento agganciando Sarah Kim. Sapeva giocare sporco, perciò andò dritto verso l’elemento più debole e lascivo, approcciarsi nuovamente con Gemma, fin da subito, era un rischio troppo alto. Perciò, quando voleva, l’amico sapeva usare il cervello.
In fin dei conti, per tutto il tempo si era comportato bene. Nessuna battuta sessista, nessuna richiesta sporca o atti assolutamente fraintendibili. Anzi, sembrava divertirsi in compagnia di quelle due donne, come se fosse interessato solo alla loro amicizia. Sopportava Sarah, questo era certo. Lei e le sue mille domande. Tra queste forse ne aveva approfittato, rispondendo fin troppo sinceramente:
«Sì, mi è dispiaciuto quella volta. Volevo approfondire la conoscenza di Gemma, invece temo di averla spaventata.» Fissò la giovane in questione, confessando: «Mi piacerebbe frequentarti.»
Lei prese subito il primo bicchiere che le capitò, buttando giù un sorso di quel drink  alcoolico. Quel tipo di cose la rendevano nervosa, che fosse un bell’uomo a proferirle o un cretino fastidioso era uguale.
«Davvero, sono stato un’idiota a chiederti una cosa simile.» Tornò a parlare, togliendole dalle mani il bicchiere, perché lo ascoltasse senza tracannare fiumi di alcool. «Forse ero un po’ alticcio allora. In questo momento non ti sembro diverso? Mi hai frainteso, o meglio, ho lasciato che mi fraintendessi. Sono un tipo serio e perciò vorrei conoscerti meglio.»
Sarah strillò dalla gioia, lanciandosi addosso al coreano, abbracciandolo dalla contentezza. «Bravo! Frequentatevi!»
«Sarah!» Ma prima che Gemma iniziasse a protestare, l’italo-coreana si alzò e, afferrando per il braccio il soggetto, lo costrinse a seguirla. Chiamò anche Gemma a rapporto, spostandosi verso l’uscita.
«Devo riprendermi un po’! Ho bisogno di caffeina!» Spiegò cercando di non cadere da quei trampoli mortali che portava ai piedi.
 
****
 
La serata continuò per il verso giusto: il molesto continuò a comportarsi bene, sopportando ogni curiosità delle impiccione. Così, il "detective" Kim scoprì che il ragazzetto aveva una buona dote e, sebbene studiasse ancora, a breve si sarebbe laureato in economia. Amava folleggiare con gli amici nei vari club, cosa chiara fin dal principio, e possedeva alcune case a Busan, con vista sull’oceano. Sembrava perfetto, per un’arrivista come Sarah, non dicerto per Gemma, il cui pensiero non si discostava dal volto del suo passato amore.
La mezza ubriaca gli diede una pacca sulla spalla fasciata dalla giacca di pelle. «Allora, James Bond, per oggi finiamola qui, eh?» Stranamente rivelò la sua disponibilità nel cedere all’amica un tipo che sembrava avere tutti i canoni che lei stessa stava cercando in un pretendente. «Dopo tutti i caffè che ho bevuto, ora sto decisamente meglio! Ma sono stanca.»
«Sono stanca anche io.» Riferì Gemma, che non aveva capito l’intento dell’amica e anzi non vedeva l’ora di tornare nel suo alloggio.
«Sei stato una buona compagnia … signor James Bond.» Scherzò nuovamente Sarah.
Park Wu Joo si inchinò di fronte alle donzelle. «Al vostro servizio.»
«L’agente segreto non si inchinerebbe mai in quel modo.» Fece notare acidamente l’italiana.
E proprio a lei andava lo sguardo addolcito del coreano. «Posso accompagnarti a casa?»
«Bella idea!» Esclamò Sarah Kim, prima che Gemma si rifiutasse a priori. «Io ho il bus qui vicino, posso andare da sola. Invece lei ha due passi da fare, te la lascio.» E così cominciò ad indietreggiare.
Ma qualcuno non si mostrò del tutto contento di tale decisione: «Sarah …», cercò di ammonirla, peccato che l’altra si stesse già allontanando più rapidamente.
Sospirò innervosita, trovandosi da sola con un individuo poco gradito. E’ vero che pensava di cambiare idea su di lui, nuovamente, ma nonostante questo, osservare quel volto e i suoi occhietti a mandorla dall’aria furba non la facevano sentire del tutto a suo agio. Eppure, non sapendo come rifiutarlo, pensando che non fosse il caso di fare la brusca, non ne aveva il motivo , cominciò a camminare affiancata da lui.
«Vivi in un appartamento? Un dormitorio?»
Aveva messo le mani nelle tasche dei pantaloni. Non sia mai che gli venisse in mente di afferrargliele. «In un goshiwon esattamente.» Lasciò che un po’ di conversazione prendesse piede. Non c’era nulla di male in questo.
A sua volta il giovane si teneva abbastanza distante dalla straniera, come se non volesse proprio creare la scusa necessaria per poterlo allontanare. «Sai … Non se ne vedono di ragazze come te da queste parti.»
«Ah! Non credo proprio.» Sorrise di circostanza.
«No! Sul serio! Non è un modo per rimorchiare, cioè … non solo.» Con quella precisazione, ammise più di quanto volesse. «Anche tra le straniere che bazzicano questa zona, non ho mai visto nessuna come te. Sei proprio bella.»
«Grazie.» Rispose freddamente alle sue lusinghe, poi si fermò, giunta ormai all’Ilmol-house. Come aveva detto Sarah, erano proprio quattro passi inc croce.
Wu Joo fronteggiò Gemma mostrandole uno sguardo deluso, poi osservò la struttura dietro di lei. «Siamo già arrivati?» Si schiarì la voce, « allora … »
«Allora grazie della serata e grazie per avermi scortata fino a casa. Ora però devo andare.» Parlò prima che lui si aspettasse qualcosa, come un bacio o una promessa.
Ed egli sembrò proprio capire al volo la situazione, «non mi concederai un’altra uscita?»
«Temo di no.» Stava per lasciarlo, quando venne colpita dall’espressione tetra del suo viso. «Senti, mi dispiace ma io sono innamorata di un altro.» Fu sincera. Non voleva un nuovo amore.
Lui annuì, «Capisco, capisco … Quindi … questa è la nostra ultima notte?» Gemma, un po’ costernata si allontanò annuendo debolmente, poi scese le scale, lasciando che il ragazzo se ne facesse una ragione.
Non bastava un incontro antipatico, oltre ad aver fatto da spezza cuore, doveva anche sopportare un’altra presenza poco gradita quella sera: Im Song Rok, proprietario dell’Ilmol-house, era seduto nella sua solita postazione, intento a leggere qualcosa. Non si era accorto dell’arrivo dell’ospite e Gemma ebbe tutto il tempo per osservare l’odiato direttore storcendo il naso, notando che in mano aveva qualcosa simile ad un copione.
«Ci mancava solo lui a completare questa serata.» Sussurrò tra sé e sé.
«Lui chi?»
La voce alle sue spalle la indusse a voltarsi sobbalzando. Davanti si trovò gli occhi di volpe, intenta a scrutare l’intera area. «Bel posticino!»
«Che fai qui?» Gemma, preoccupata per quella sua intromissione, seguì il ragazzo mentre si spostava al centro della sala relax, per curiosare qua e là. «Ci siamo già salutati mi pare.»
Questo, voltandosi domandò con nonchalance: «Qual è la tua stanza?»
Lo sguardo di Gemma volò verso la reception, dove incrociò gli occhi annoiati del direttore; li aveva distolti un attimo dal copione per osservare quei due, sollevando un sopracciglio, curioso.
«Non credo tu debba saperlo per forza!» Ribatté seccata alla volpe.
Wu Joo allora le sorrise e annuì, « ho capito. C’è un market qui fuori, vado a prendere qualcosa. Aspettami!» Ed uscì prima che lei potesse rifiutarlo, riferendogli di non tornare proprio. Da quella bocca le uscì solamente gesti nervosi e disperati, perché l’eventualità di essersi attirata una vera e propria piovra non era più un sentore ma una certezza.
Sospirò pesantemente. «Non pensi male.» Avvisò gentilmente il proprietario, che in tutta risposta alzò le spalle.
«Non ho pensato a nulla.» E non la stava nemmeno guardando! Troppo preso dalla sua lettura. «Essere adulto vuol dire decidere anche sulla propria vita sessuale.» Quell’aggiunta voleva essere una punzecchiatura mirata ad infastidire la donna ed infatti sembrò riuscire nell’intento.
«Eccolo! Sta pensando male!» Gli puntò un dito contro esclamandolo. «Non è come crede! Io voglio disfarmi di quel tipo, non finirci a letto! Lo evito dalla prima volta che l’ho conosciuto, visto che mi propose subito di andare in un motel! Peccato che oggi, non so come, me lo sia ritrovata tra i piedi!»
La risata di Mr Im, così bassa e calda, poteva far piacere a tutti fuorché a lei. «Divertente.»
«No affatto!» Gemma si faceva sempre più scorbutica.
Le bustine di plastica dovevano allarmarla, ma quando si voltò si ritrovò Park Wu Joo già seduto al tavolo, che stava tirando fuori delle bottiglie di vetro verde.
«Soju?» Lo guardò incerta, « sei andato al market per comprare il soju?»
Il ragazzo mostrò un sorriso accondiscendente, ma furbo, «ho capito che hai bisogno di scioglierti un po’.» Prese il collo della bottiglia, la agitò in un primo momento e poi svitò il tappo.
Quella situazione cominciava a diventare seriamente ridicola. «No! Tu non hai capito! Anzi, mi hai proprio fraintesa. Non ho intenzione di fare nulla con te. Nemmeno bere quello!» Indicò l’alcolico.
«Avanti!» Fece sornione, «Ricordi il discorso sull’apertura mentale di voi europee?» A quanto pare era arrivato un secondo provocatore. Fino a quel momento non aveva mai avuto una pessima impressione sugli uomini coreani, ma grazie a qualcuno cominciò a rivedere le sue idee.
Alle loro spalle sentirono un sogghigno divertito trattenuto a stento.
L’ilarità del direttore, che ascoltava senza davvero interessarsi a loro, incuriosì e quasi divertì la volpe: «Anche lei sa di cosa sto parlando, vero?»
Im Song Rok non sollevò nemmeno lo sguardo per rispondere a quella persona, come se non fosse degno della sua attenzione. «Di certo non ti riferisci al suo cervello.»
Gemma osservò l’uomo alla reception con sdegno. Non bastava avere alle calcagna un seccatore convinto di poterla portare a letto col sol schioccare delle dita, ci si metteva anche la persona più antipatica del pianeta a rincarare la dose.
Proprio costui, fece schioccare la lingua, sfogliando il suo copione. «Un pensiero un po’ povero per un ragazzo della tua età.»
Come se non avesse nemmeno sentito quel commento, Wu Joo si avvicinò ad una Gemma distratta dall’altro uomo, le afferrò la vita quasi palpeggiando impudentemente, cercando però di farla sedere accanto a lui.
«Ho detto di no!» Si scostò immediatamente, soffocando il desiderio di schiaffeggiare la sua faccia da sberle. «Te l’ho già detto: sono fidanzata! Perciò non infastidirmi!»
«No. Non hai proprio detto così.» Precisò Wu Joo. «E poi sono convinto di poterti piacere. Quindi non fare la preziosa.» Tornò ad avvicinarsi, ma prontamente la straniera si ritirò di scatto.
Fu allora che il direttore prestò attenzione a ciò che stavano inscenando quei due. Passando dall’uno all’altro, i suoi occhi colmi di indifferenza incontrarono quelli disperati dell’ospite, sembrava supplicare un qualche aiuto.
Sospirò, lasciò cadere malamente il copione e si alzò dalla sua comoda poltrona per soccorrere la cliente in difficoltà. Fece un inchino al giovane maleducato quando gli fu difronte. «Sono desolato, ma devo chiederle di andarsene. Questo è comunque un luogo riservato alla clientela.»
La volpe sollevò le spalle. «E io sto con una cliente, non vedo dove sia il problema.»
Song Rok alzò gli occhi verso l’alto, quasi sbuffando, poi li fece rotare per tornare a fissare quella persona, ormai divenuta parecchio scomoda. «Sono …», fece una piccola pausa, ancora indeciso se abbassarsi a tanto o meno, « … il suo ragazzo e la questione sta diventando davvero fastidiosa.»
Di primo acchito il ragazzo sembrò rimanerci un po’ male, ma poi tornò a mostrare il suo classico ghigno arrogante. «Sei il classico cavaliere che salva la principessa, eh?!»
Impennò le sopracciglia colpito, « ti facevo più stupido in effetti.»
«E’ davvero il mio ragazzo!» Proclamò Gemma Brizzi, spostandosi in avanti, urtando volontariamente il direttore. Se doveva inscenare qualcosa, per lo meno che lo facesse per bene!
«Non lo è.» Il tono di Wu Joo era piena di ovvietà. Lui sapeva. Lo aveva capito.
L’italiana allora sospirò spazientita. «La fai troppo lunga e io sono stanca.» Aprì la porta numero otto. «Se non mi credi fai un po’ come ti pare. Ora vattene, noi siamo impegnati.» Prese il braccio dell’uomo più vicino e si infilò con lui dentro la stanza.
Entrambi rimasero in silenzio per un breve lasso di tempo, spostando lo sguardo a destra e sinistra. Gemma, in pieno imbarazzo, non riusciva a guardarlo in faccia e lui forse si sentiva un pò confuso.
«Bella trovata.» Riferì sarcastico, rompendo il ghiaccio.
La ragazza allargò le braccia, muovendosi nervosamente nell’angusto spazio a loro disposizione. «Non sapevo che altro fare. So che forse è estremo, ma in questo modo sicuramente tra due secondi getterà la spugna e se ne andrà.»
«Chissà …»
Il sospiro di Gemma vibrò nell’aria, « le chiedo scusa, okay?»
Lui sollevò il volto sorridendo, «Per cosa? Per avermi attirato nella sua stanza come una femme fatale attratta da coreani?» E ridacchiò con quella sua buffa voce grave.
«Non sono-»
Si bloccò vedendo l’improvvisa espressione contrariata del direttore, che gli fece anche il gesto di tacere. «Non faccia troppo baccano. Potrebbe essere ancora lì.»
«Si figuri! Può uscire! Se ne sarà già andato.» La sicurezza della giovane ospite lo incuriosì a tal punto da volerle credere, provando dunque ad uscire. Aprì appena la porta, controllando.
E credeva male!
Era ancora lì. Comodamente seduto, fissava davanti a sé con una strana espressione sicura sul volto. Il direttore fece un gesto con la mano alla ragazza, senza voltarsi, lo sguardo ancora perso al di fuori di quella stanza. Uscì, chiudendo la porta alle spalle e si spostò verso il frigorifero.
Il ragazzino scosse la testa sogghignando, « sentiamo, che state facendo là dentro?» Ma non ebbe risposta, nemmeno un po’ di indignazione. «Posso aggregarmi se vuoi. Ce la dividiamo.» Con quella battuta attirò lo sguardo sconcertato dell’apparente rivale.
Una volta afferrata la bibita fresca, chiuse lo sportello malamente. «Un uomo davvero vile», sussurrò Im Song Rok tornando in camera. Appena incrociò gli occhi pieni di attesa della cliente, le disse: «E’ meglio che chiuda a chiave.»
«Perché è di nuovo qui? Quello stronzo non se ne è ancora andato?»
Le porse la bevanda, « no», andandosi poi a sedere sul letto. Se doveva stare lì, tanto valeva mettersi comodo. «Certo che ha attirato proprio un gran signore.»
La giovane donna allargò le braccia, «Ma che sta facendo?»
«Aspettando un invito, credo.» Sollevò le spalle fissando il tubo catodico, « mi passa il telecomando?»
Lei accese la tv, sedendosi al suo fianco e facendo zapping finché non trovò il canale musicale. A quel punto lui la guardò stizzito, le rubò dalle mani il telecomando e cambiò subito, capitando su “Running man”.
«Questa è la mia stanza!» Obbiettò stizzita.
«Mi ci ha infilato lei qui dentro.» Ribatté scaltro il proprietario.
Gemma si sporse cercando di riprendere il controllo della televisione, ma prontamente lui sollevò la mano con cui teneva il dispositivo, ed avendo il braccio più lungo di quello della minuta ragazza, riuscì nel suo intento. Bastava solo che lei si alzasse velocemente, bloccandogli il polso e costringendolo alla restituzione, ma praticamente si arrese prima ancora di lottare.
«E poi … » Riprese il discorso Song Rok, il volto rilassato, e una certa vena provocatoria nello sguardo, « sono un ospite, sia cordiale con me.»
Arresa, sbuffò e spostò l’attenzione sul programma in questione, che le piaceva molto, ma per principio era disposta a rinunciare al buon intrattenimento pur di non lasciargliela vinta …
Il silenzio che si instaurò successivamente in quella stanza, era forse paradossalmente troppo rimbombante, tanto da infastidire il direttore. Per questo tentò di iniziare una sorta di dialogo. Ma di cosa potevano parlare? Del tempo? Della tv coreana?
«Ha più rivisto il suo ex?» Non sapendo poi molto della ragazza, si aggrappò ad una questione che, in un certo senso, li accumunava. Alla fin fine era stata lei a metterlo in mezzo nei suoi problemi di cuore, perciò era più che normale interessarsi al riguardo.
L’interessata tardò a rispondergli, ma alla fine concesse un: «No.»
«Continuerà con la farsa del fidanzato?»
«Non lo so ancora.» Fu nuovamente spiccia e fredda, ma sincera.
Forse quella breve chiacchierata gli era bastata, perché Mr Im tornò ad ammutolirsi. Gemma invece sembrò prendere confidenza. Era da un po’ che non parlava di Yon U e forse aveva proprio bisogno di sfogarsi un tantino. A volte si sentiva quasi in preda alla follia. Trascorreva tranquillamente i suoi giorni per poi improvvisamente, come se si risvegliasse da uno strano coma, tornare nello sconforto o nei ricordi meravigliosi di un passato non molto lontano, divenuti però ormai taglienti come rasoi.
«Siamo stati insieme per molto tempo, per questo forse non riesco a farmene una ragione? Insomma quattro anni non sono pochi.» La confessione ebbe inizio. Non si rendeva conto che colui al quale stava mostrando una parte dei suoi sentimenti, era a tutti gli effetti un perfetto sconosciuto, se non addirittura una sorta di nemico. Eppure una volta spinta a parlare, iniziare ad esternare la sua malinconia si rivelò più facile di quanto pensava. Il fatto che non fosse suo amico forse, in qualche strano modo, l’avvantaggiava. «Ci siamo conosciuti nel mio paese, ma vista la differenza di età abbiamo iniziato nella più innocente delle amicizie. Quando sono giunta in Corea, per una vacanza, lui mi ha fatto da Cicerone per tutto il tempo e …», lo sguardo fisso sul televisore, che non stava realmente vedendo, «E’ scattato qualcosa e la nostra storia è cominciata da lì. Con essa iniziai anche a viaggiare, tornando puntualmente da lui due volte l’anno. Da un po’ si pensava anche al nostro futuro, lui diceva di  ...», concluse la cosa sbattendo più volte le palpebre brucianti e fece cadere il discorso improvvisamente. A suo dire, non serviva approfondire.
La persona al suo fianco tacque. Non pose domande, forse perché non voleva sapere altro. Anche i suoi occhi a mandorla fissavano incessanti il televisore, apparentemente era come se non l’avesse affatto ascoltata.
Gemma chinò la testa, sentendo lo sguardo in fiamme. Si asciugò le poche lacrime che non era riuscita a trattenere, senza rivelarle all’estraneo seduto sul suo letto.
Si alzò, spostandosi verso la porta per controllare la situazione, decisa comunque di fa uscire il direttore in ogni caso. Aprendo scoprì il quel molesto se ne era andato.
«Può uscire.» Avvisò.
Il proprietario del goshiwon si alzò immediatamente, lasciando il telecomando sul materasso. Passò davanti a Gemma, ma si soffermò solo un momento, « che debba farla pagare questa volta?»
«Allora sì che sarebbe costretto a seppellire il suo orgoglio.»


Death Note: famoso manga di Tsugumi Oba (scrittore) e Takeshi Obada (mangaka) ed anime giapponese, parla di un ragazzo e del suo ritrovamente, ovvero un quaderno con il potere di uccidere chiunque il cui nome fosse scritto all'interno. Un mix tra lista nera e pena di morte. 
 

 
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13 Capitolo
 
 
 
 
Un tubino nero dalla gonna corta e un taglio a cuore sul decolté, le maniche semitrasparenti ad impreziosire il tutto. Non era proprio l’abito ideale per un semplice colloquio di lavoro.
Sarah aveva arricciato leggermente le punte dei suoi capelli liscissimi e si era truccata in modo semplice, ma con un tocco di seduzione in più dato dal rossetto rosso corallo. Le scarpe dal tacco vertiginoso si abbinavano al vestito nero.
La moda coreana è talmente particolare, che non sempre viene ben vista da coloro che non sono abituati ad avere l’occhio lungo verso quella terra e le sue tendenze. Per un occidentale insomma, alcuni capi possono risultare folli, eccessivi, azzardati, altre volte invece si tratta di scelte troppo audaci. Ad esempio, non risulta gradevolissimo lo scollo leggermente a V, se questo permette di mostrare il seno di una donna, al contrario sugli uomini dona un tocco di sensualità. Nonostante questa sorta di falso tabù, viene permesso alle signorine di mostrare le gambe quanto più preferiscono: ed ecco comparire short cortissimi, minigonne ascellari e via dicendo …
Le scarpe sono un altro punto focale della moda femminile coreana, più alte e sfarzose le acquisti meglio è! E Sarah Km, in qualità di giovane del luogo, non si faceva sfuggire tutti gli insegnamenti del trend di Seoul. Le sue amiche ormai non si stupivano più di niente, la conoscevano bene, ma in quel contesto, quel dato vestito era troppo appariscente anche per Sarah stessa. Doveva esserci sotto qualcosa, o almeno così ipotizzava Gemma.
«Perché ti sei agghindata in questo modo? E che sia una spiegazione valida!»
Aveva chiesto di essere accompagnata al colloquio, e avrebbe presentato l’intrusa come sua “assistente”, ser per caso avessero sollevato polemiche. Si trattava del suo primo serio appuntamento di lavoro, e per serio si intendeva importante, dunque qualcosa che voleva a tutti i costi ottenere. Si trattava del suo stesso futuro come design di moda. Il suo sogno poteva avverarsi, doveva solo provare a incantare qualche pezzo grosso e farsi dare fiducia, oltre che il lavoro. Per questo forse si era agghindata così bellamente. Voleva rendere l’incontro indimenticabile per coloro che l’avrebbero esaminata.
Si tolse gli occhiali da sole smisuratamente giganti. Anche quelli davano un tocco in più alla sua classe. «Dobbiamo dare una buona impressione di noi.» Rispose con charme. Si muoveva lentamente, mimando quasi le vecchie star del cinema hollywoodiano.
«Stai recitando … ma questo lavoro non ha nulla a che fare con il teatro.» Ironizzò l’italiana.
 «Devono capire che io valgo.»
«Possono capirlo anche senza dover imitare Audrey Hepburn.»
Quella battuta forse fu più fastidiosa di una puntura d’ape per Sarah, già nervosa di suo, perché lasciò cadere la maschera, afferrando il braccio di Gemma e ringhiandole contro: «Vedi di non remarmi contro! Vuoi anche tu che mi prendano giusto? E io voglio essere assunta! Voglio creare i miei gadget pucciosi e guadagnare miliardi grazie ad essi! Quindi vedi di startene buona e reggere il gioco.» La lasciò di colpo quando notò un’ombra in avvicinamento. Spostò i capelli di lato, cantilenando: «Marito a ore nove~»
Perfino Gemma si voltò per osservare un bell’uomo in completo elegante, capello medio lungo, che scendeva leggermente ondulato sulle spalle e occhi allungati talmente tanto da conferirgli un’aria felina.
Gemma diede una spinta a Sarah, ammonendola: «Sei qui per il lavoro!»
«Salve.» Lo sconosciuto salutò proprio in quel momento, interrompendo le ragazze. Entrambe si alzarono, constatando che il tipo in questione non era poi tanto più alto di loro.
Immediatamente una mano si sporse verso costui, mentre degli occhi, messi in risalto dall’eyeliner, guizzarono verso il cartellino appuntato al petto, leggendo Bin S.J. «Salve Bin S.J-ssi, sono Kim Sarah2, la giovane con cui deve fare il colloquio-»
L’impiegato, con un gesto fluido della mano, la bloccò sul nascere: «Ora arriverà subito il vostro referente, sono  qui solo per chiedervi di attendere ancora un po’.» E con un breve inchino, lasciò le ragazze sole.
«Ti è andata male.» Riferì Gemma risedendosi.
L’amica si accomodò con eleganza, «Ti sbagli di grosso! Hai visto quant’era bello quel segretario, immaginati il referente.» Sogghignò sotto i baffi che non aveva.
 
****
 
Una casta capigliatura tinta di biondo tenuta a bada da una coda; sguardo severo, aggravato da occhiali a punta; labbra fine che sembravano non aver mai visto la piega di un sorriso. Sedeva rigidamente in quella che doveva essere una comoda poltrona d’ufficio, dietro la scrivania di vetro trasparente, in uno studio modesto, con tanto di vista sulla grande città. Il supervisore fissava le due di fronte a sé come se ad entrare in quella stanza fossero stati due scarafaggi.
«Dunque. Siete una società?»
«No, no. Lei è Gemma Brizzi una mia … amica.» Ammise Sarah, attirandosi uno sguardo risentito da parte dello scrutatore. Dov’era finito il suo brillante piano di presentarla come sua assistente? Evidentemente gli occhi perentori di quella persona le aveva fatto gettare nel cestino ogni tentativo di imbroglio. Meglio essere oneste a volte, piuttosto che farsi beccare da certi individui.
Non aveva avvisato che avrebbe portato con sé la sua “mascotte”, ma alla fine tutte e due avevano seguito il referente, che aveva fatto cenno di entrare ad entrambe, senza prima presentarsi o chiedere chi delle due dovesse fare il colloquio.
A Sarah non le era andata male, piuttosto bisognava dire malissimo: non dava l’aria di essere una persona tanto paziente e cordiale, colei che in quel momento stava ponendo le domande.
Abbassò lo sguardo di sufficienza su alcuni documenti.
«Io non ho una società, sono solo una lavoratrice che ha bisogno … di un lavoro.» Continuò la conversazione. Sembrava essere scesa dal palcoscenico della sicurezza, abbassandosi all’impaccio comune a tanti in questo mondo. «Cioè non so se posso identificarmi come lavoratrice visto che non ho un’occupazione, mi considero un po’ un’artista, ecco. E solo voi potete dare un’opportunità alle mie creazioni.» Da vamp sicura di sé a bimba insicura, il modo di porsi era indubbiamente cambiato.
La referente non sollevò minimamente il volto, chiedendo: «E lei si veste sempre così per i colloqui?» Attirando lo sguardo incuriosito di colei che muta osservava la scena senza interferire sugli affari dell’amica.
Quella era una domanda che forse Sarah non si aspettava e alla quale non sapeva rispondere. La verità? Aveva deciso di provocare qualche marpione o, se la fortuna voleva assisterla, magari un giovane dirigente. Invece le era capitata una donna scorbutica ed arrogante. «No. E’ che …» Non sapeva in che modo giustificarsi. «Avevo tutti i vestiti in lavande …» Mollò la scusa poco plausibile a metà discorso.
L’antipatica congiunse le mani e attese. Ma visto che la giovane non si decideva a proseguire, prese la parola: «Crea abiti? Se è un no, cosa esattamente?»
La giovane sottoposta all’inquisizione, prese la scatola che prontamente aveva portato con sé, contenente diversi campioni. «Gadget precisamente, provi a dare un’occhiata.»
La donna, con aria schifata, tirò fuori alcuni portachiavi e oggettini moderni targati SK, nome e cognome dell’ideatore. «Questo stemma …»
«Sarah Kim.» Riferì Gemma eccitata.
Entrambe le donne la guardarono, chi con impazienza e chi con timore per quel che sarebbe successo da lì a dieci o venti minuti.
Gli occhi della serpe coreana rotarono, lasciando andare l’oggettino che teneva in mano. «Non siamo interessati.»
Le due ragazze per un attimo rimasero in sospeso, attendendo qualcosa.
«Ci sono anche orecchini e collane. Ho provato anche a creare della bigiotteria e devo dire che non sono malaccio.» Sarah rovistò nello scatolone per cercare i pezzi.
«Non sono stata chiara? Non siamo interessati.» Tornò a ripetere Mss dolcezza e delicatezza. «Quelle … cose non sono abbastanza di stile per la nostra compagnia.»
Gemma l’osservò con sospetto: dove aveva visto un atteggiamento simile?
«Tolga quella scatola sporca dalla scrivania e uscite pure.» Prese in mano dei documenti, facendo finta di sistemarli. «Devo tornare a faccende più importante di quei pupazzetti.»
Leggere la delusione e lo sconforto negli occhi dell’artista, fu troppo per Gemma, per questo decise di intervenire: «Non gli ha dato nemmeno un’occhiata.»
«Al contrario, l’ho fatto.» Non si sdegnò per quell’insolenza, tanto che ribatté prontamente con l’arroganza fino a quel momento dimostrata.
«Non è vero! Ha preso un solo gadget e lo ha osservato come se fosse pezza!» Ma se pensava che la straniera si facesse sottomettere e soggiogare dai suoi modi glaciali si sbagliava di grosso.
«E’ … pezza.» Il cobra la fissò negli occhi con aria di sfida. Poi sospirò, si appoggiò allo schienale e tornò a incrociare le mani in grembo. «Sapete quante ragazzine, come voi, io debba sopportare? Vengono qui con fare da saputelle a proporre oggetti o abiti alla moda fatti personalmente da loro.» Alzò gli occhi al cielo, «Inutile dire che si tratta quasi sempre di cianfrusaglia da quattro soldi.» Guardò Sarah dalla testa ai piedi, «E tra loro ci sono anche lampanti esempi di donne che credono di poter ottenere il lavoro sfoggiando armi di un altro tipo. Sedurre un uomo è facile, ma per entrare nelle grazie di una donna serve altro, non è vero signorina Kim?» Logicamente si riferiva all’abbigliamento della candidata e al messaggio che passava. «Sono molto impegnata. Vi prego di uscire.»
Le ragazze allora non poterono far altro che alzarsi e prendere le proprie cose. Gemma però ricordò in quel momento dove aveva visto una scena simile. Pensò si trattasse di un deja vu, ma in verità, « posso farle un’osservazione?» Logicamente non aspettò una concessione. Che la risposta fosse negativa o positiva, Gemma avrebbe comunque detto la sua. «Non tenti di imitare Miranda Priestly, in questo Meryl Streep3 è insormontabile.»
 
****
 
In alcuni momenti e in alcune zone, scendere o uscire dalla metro, può rivelarsi una faccenda scomoda, oltre l’impresa titanica di non urtare nessuno tra la folla frettolosa.
«Almeno avessi ottenuto il numero del segretario, no! Nemmeno quello!» Stava blaterando Sarah. Poco importava se l’amica si stava perdendo in quel mare di gente, erano pensieri detti ad alta voce, ma si trattava di una lamentela sollevata per se stessa, in verità. «Cosa mi può capitare ancora? Che un piccione mi lasci un ricordino sulla giacca nuova?»
«In città non mi sembra vi siano molti piccioni e soprattutto in questa zona non ho visto nemmeno un esemplare.» Fece notare Gemma, urlando perché la potesse sentire.
Sarah alzò le braccia, infastidita dal caos quotidiano della capitale. Finalmente conclusero le interminabili scale, trovando un po’ più di pace nei corridoi semi desolati. Era così a Seoul, c’era il momento della calca e il momento in cui ti chiedevi: l’umanità è stata per caso sterminata e io sono uno dei pochi sopravvissuti? Will Smith verrà a salvarmi? O visto i tempi moderni, un qualunque bel Chris?Evans o Hemsworth ...
«Siamo in metro. Qui non possono esserci piccioni, eppure sono convinta che con la mia iella potrei incitarne uno ad entrare e lasciare le sue feci sul mio bel vestito.» Disse mimando la scena mentre si spostavano verso l’interno della metro. Gemma strisciò la sua T-money card per il pagamento e attese Sarah, che sembrava avere qualche problemino con la sua carta. La fece scorre infatti due volte, in quanto non venne accettata al primo colpo.
«Perché volevi il numero di quell'uomo se ti sei invaghita e fissata con quell'odioso del goshiwon?» Chiese una volta giunte davanti alle porte del mezzo, in attesa.
La coreana sembrava pensarci bene, «Keulsse~5 ... Aveva dei bei capelli! Mi ricordava vagamente Jang Hyeok in “unmyeong cheorom neol saranghae6
«Un personaggio assurdo.»
«Ma lo sai che non sono mai stata una donna che si punta troppo su una persona. Come ti dissi un tempo, se non ho riscontri positivi io cambio rotta! Quindi … è normale che io pensi ad altri uomini … Eppure …» Fece una piccola pausa, arricciando le labbra in un modo strano. «Devo dire che ci tengo a quel fascinoso direttore», sorrise alzando gli occhi verso il soffitto, umettandosi le labbra al sol pensiero. «Non cambierei mai per un uomo», tornò velocemente in sé, « ma con lui non ho ancora intenzione di arrendermi. Volevo il numero di quel segretario solo perché era carino e avere una ruota di scorta fa sempre comodo.» Quella frase attirò automaticamente un’occhiataccia, a causa della quale finalmente si zittì.
Dal riflesso delle porte semitrasparenti, potevano osservare alle loro spalle qualche pendolare spostarsi. Per fortuna l’ora di punta era già passata, se l’erano risparmiata, anche se per poco. I passi della gente si perdevano in quel luogo, a causa anche del mezzo in arrivo dietro di loro. L’altoparlante stava pubblicizzando qualcosa e le televisioni poste in alto, praticamente sul soffitto, avevano tutte l’audio spento.
«Gemma!» Quella voce famigliare si sovrappose alla musichetta che annunciava l’arrivo del secondo treno. Si voltò alla sua sinistra, vedendo Jin Yon U avvicinarsi.
Si fermò di fronte alle due ragazze con aria titubante. «Come stai?» Ma Gemma non rispose, si limitò ad osservarlo tristemente in silenzio.
«La metro sta per arrivare.» Sottolineò Sarah Kim con un tono piatto. Infatti il mezzo sostò di fronte a loro qualche secondo più tardi. Le porte si aprirono, ma Gemma Brizzi non diede cenno di volere salire. Come incantata da quella presenza, non si mosse di un millimetro. Il volto di entrambi non era dei più allegri nell’incontrarsi così per caso, eppure era come se ambe e due le parti non volessero lasciarsi andare, per il momento.
Sarah li osservò per un po’, poi sospirò guardando il mezzo ripartire. «Vi siete lasciati, okay? Basta con questa pantomima!» Prese il braccio dell’amica e tentò di attirarla a sé, in modo tale che la seguisse da un’altra parte, lontano da quella presenza sgradita.
«E’ vero?» La domanda del ragazzo bloccò le due in apparente fuga. «Immagino sia vero che stai uscendo con quella persona, non so nemmeno perché ti stia chiedendo conferma.»
Gemma per un attimo sembrò volergli dire qualcosa, ma poi si bloccò, notando che Yon U fissava il pavimento con aria tetra. Non sapeva bene come affrontare la cosa, ma proprio quando si decise ad aprire bocca, il ragazzo la precedette, sollevando da terra lo sguardo pietoso.
«Beh, sembra una brava persona.»
«In verità io … » Da un lato voleva dire la verità, dall’altro invece continuare a ferirlo per constatare la sua reazione. Questo dualismo la rendeva incerta e poco convinta su come agire.
La sua amica Sarah invece era sicura di ciò che doveva fare. Osservando i due e specialmente il comportamento di Gemma, sapeva che se non fosse intervenuta, quella ragazza avrebbe anche potuto rovinare ogni cosa.
«Certo che lo è!» Affermò dunque.
Le loro congetture forse erano ormai cosa da poco, visto che il protagonista maschile di quel “triangolo amoroso” non voleva più saperne né di loro né di appuntamenti programmati. Però non poteva rischiare che quella sciocca innamorata tornasse tra le braccia di quell’idiota. Inoltre se poteva ferire Jin Yon U ancora una volta, era ben felice di approfittarne, come se forse l’ultima occasione per farlo.
«E’ un uomo davvero in gamba, poco più grande di lei e maturo … soprattutto!»
Il ragazzo però dimostrò indifferenza verso di lei, come se non la stesse nemmeno ascoltando, tanto che non la degnò minimamente di uno sguardo, concentrato invece a mantenere il contatto visivo con l’ex fidanzata. Era impossibile non udire quelle parole, ma volutamente non dimostrò subito di aver recepite.
«Allora mi hai dimenticato, proprio come ti ho chiesto io.»
«Tu hai dimenticato me?» La scaricata ritrovò improvvisamente la forza di parlare.
«Sì», ma il giovane non ebbe un attimo di esitazione nel risponderle. «L’ho fatto nel momento stesso in cui ti ho lasciata.»
Per la terza volta, la tipica cantilena avvisò i pendolari che un altro mezzo stava per giungere.
«Se è così allora perché sei di fronte a me? Perché ti sei avvicinato? Perché mi fai strane domande?» Domandò con voce risoluta.
Il ragazzo coreano alzò le spalle. «Curiosità.»
«Curiosità o gelosia?»
«Sono curioso Gemma, solo curioso. Siamo stati insieme, ti ho amata, quindi penso sia logico preoccuparsi che tu stia bene. Anche se da adesso in poi sono libero di non preoccuparmi più per te.» La voce, lo sguardo, tutto di lui era cambiato improvvisamente. Divenne più sicuro, fermo sulle sue idee, severo quasi, proprio come la mattina in cui si erano rivisti per la prima volta dopo la rottura della loro relazione.
Un colpo di aria fredda investì tutti. «E’ arrivata la metro, andiamo!» Sarah la prese per un braccio, attirandola ancora una volta a sé. Questa volta la ragazza si lasciò trasportare via.
«Sii onesto, hai davvero voltato pagina così facilmente? Dillo adesso e ti crederò!» Un invito, quello di Gemma, che sembrava però una supplica pietosa.
E mentre veniva trascinata dall’amica, vide le labbra del suo passato amore pronunciare debolmente: «E’ così!»


Kim Sarah, preciso il fatto che solitamente in Corea prima va il cognome e poi il nome.
Miranda Priestly è il personaggio del romanzo e film "Il diavolo veste Prada", logicamente Maryl Streep è l'attrice che interpreta tale ruolo.
4 Chris precisazione sulla battuta: sono gli attori che vanno per la maggiore in America, due dei supereroi Marvel, Cris Evansa è Capitan America e Hemsworth il caro Thor.
Keulsse (글쎄 pronuncia = kulsse ma la "u" ha un suono diverso, a denti stretti) è una sorta di "chissà".
Jang Hyeok (장혁 pronuncia = Jang Hyok "o" aperta) è un attore sud coreano, protagonista in unmyeong cheoreom neol saranghae (운명처럼 널 사랑해), un drama coreano del 2014 consociuto con il nome internazionale "Fated to love you".



Anticipato anche questa settimana e di un bel pò, perché prima della prossima settimana! 
Buona lettura (spero)

 




Jang Hyeok l'attore coreano

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 14° & 15° ***


14 Capitolo
 
 
 
 
Nessuna delle due si accorse che qualcuno le stava pedinando da un pò.
Quella donna era stata davvero un punto fin troppo importante della sua vita, se ne rendeva conto benissimo. Per lo meno in passato.
L’aveva lasciata, si era arreso forse senza nemmeno pensarci troppo, istintivamente, irragionevolmente, come un improvviso e sciocco capriccio scaturito da vari fattori. Non si sentiva adatto per stare al suo fianco, non si sentiva più in grado di continuare ad attendere, e tantomeno fare il grande passo un tempo dichiarato. Era giusto finirla. Non aveva soldi, non aveva uno status importante, non aveva un lavoro sicuro sul quale appoggiarsi, non secondo l’ideale della sua terra. Non poteva nemmeno sperare in un altro impiego, senza determinati requisiti: la sua istruzione si fermava al liceo e questo non è il massimo per un uomo coreano. Sfortunatamente non era di famiglia ricca, anzi non aveva nemmeno un solido contesto parentale alle spalle, al contrario doveva nascondere un trascorso tormentato.
Come faceva a mostrare una facciata perfetta, tanto amata dai suoi connazionali, senza il materiale per costruirla? La perfezione, la moralità e l’educazione, sono elementi importanti per la cultura coreana, in continua evoluzione, in continuo conflitto con ciò che si cela dietro agli altarini di perfezione. L’omertà che si impadronisce delle persone, rendendole ancor più schiave di quel che già non sono. Lotte di potere, lotte per il perfezionamento di se stessi, per lo studio, sul lavoro, nella vita quotidiana. Essere, fin da piccini, spesso in competizione con gli altri per una cosa o per l’altra. Vivere una vita di grandi ambizioni, trovare la proprio meta e raggiungerla. Al limite farsi consigliare dai propri cari, che penseranno bene dove indirizzare il ragazzo fino alla più tenera età, per poi lasciare che affronti il percorso da solo. Non importa ottenere ciò che si vuole, arrivare perciò al vertice o accontentarsi di posti sicuri più in basso, basta raggiungere l’obbiettivo!
Qualcuno potrebbe pensare ad una sorta di colonia robotica, ma si parla di esseri umani, non macchine. Esisteranno sempre persone che non hanno ambizioni o che si arrendono prima, anche in questa parte del mondo stacanovista. E ci sono pure coloro che appendono una corda per poi legarsela al collo, decidendo di smettere di soffrire per desideri propri o altrui troppo grandi e a dir loro irraggiungibili. O si gettano dal ponte di Mapo, il “Suicides Through Bridge1.
Vivere in un luogo dove ci si sente abbastanza diversi, se non opposti, al pensiero comune, non deve essere una bella esperienza. I più forti se ne fregano e i più deboli si alienano. Sentirsi sempre insicuro, sottovalutato da se stesso e dagli altri, avvertire un senso di incapacità. In ogni parte del mondo ci sarà sempre qualcuno che prova la sensazione di essere nato nel luogo sbagliato. E come il protagonista impossibile di un drama altrettanto fantasioso, Yon U aveva preso quella drastica decisione. Anche se forse covava dentro di sé motivi più egoistici per farlo, nascondendosi dietro ad altre giustificazioni.
Per quel giorno però non intendeva lasciarla andare. Si era infilato nel vagone successivo, nascondendosi tra i numerosi pendolari. Era rimasto sempre distante, lasciandole il suo spazio, perché non poteva legarla un’altra volta, sebbene sapesse che farlo sarebbe stato troppo facile. Al contrario, Gemma doveva cavarsela, uscire da quella storia, doveva pensare a vivere una vita diversa, senza di lui. Doveva trovare un altro amore e crederci di nuovo.
Seguì la giovane anche dopo che le due ragazze si erano separate. Giunse ad Hongdae, una zona che proprio non gli riusciva di sopportare, ma ottima per fare conoscenze, anche se forse superficialmente poco serie. Di sicuro era il luogo adatto per divertirsi. Insomma, poteva andare molto a genio ad una ragazza ferita e in cerca di qualche avventura passeggiera. Conoscendola però, sapeva bene che Gemma avrebbe potuto accettare solo la prima di tali opzioni. Questo lo tranquillizzava.
La sua ex fidanzata si fermò di fronte ad un edificio di mattoni e lì entrò.
 
****
 
«Un appuntamento al buio? Non credo di voler … » Quando entrò nella hall, vide per forza di cose quell’essere in piedi davanti alla minuscola reception di sua proprietà, come il resto della struttura.  «Non ho nemmeno la sfortuna di avere una madre che le crea queste situazioni, ci manca solo che sia tu a proporle, hyeong!2»  Era distratto dalla conversazione al telefono .
Gemma si spostò verso la porta della sua stanza fissando male il proprietario dell’Ilmol-House, che nel frattempo, spostandosi leggermente di lato, aveva notato la sua presenza. Cominciò così a fissarla superficialmente, finché la giovane non entrò nel suo antro di privacy.
Im Song Rok tornò al fulcro principale: «No! Non attacca, lascia stare. Comunque grazie del cappello da contadino di risaie cinese, l’ho già appeso!» Fissò il souvenire di cui stava parlando. Un classico cappello a cono fatto di paglia e lo aveva appeso nella bacheca dietro il bancone.
Sorrise ironico. «Non lo indosserò mai! Un regalo più utile non potevi proprio eh? … Ora ti lascio che devo tornare al lavoro, mi racconterai del viaggio un’altra volta. Passa in teatro appena puoi, capito?»  Chiuse la chiamata e si sedette nella sua poltrona dietro la scrivania, ma alzò quasi immediatamente gli occhi quando avvertì qualcuno entrare nella hall. «Eoseoseyo.3» Diede il benvenuto com’era solito fare, forse questa volta solo un tantino precocemente. Per sua fortuna l’ospite aveva appena sceso la scalinata, ancora intento a fissare il pavimento, forse per paura di cadere. Song Rok lo riconobbe immediatamente e preso alla sprovvista, cercò una via di fuga. Logicamente conosceva l’Ilmol-house come le sue tasche e sapeva che non aveva via di scampo, non avrebbe potuto nemmeno rintanarsi nel bagno a fianco. Così prese il cappello che il suo hyeong gli aveva portato dalla Cina e lo indossò, il tutto con un movimento super rapido, che rifletteva il suo stato di panico.
Jin Yon U vide di fronte a sé una persona, dietro ad un piccolo banco dalla forma di ferro di cavallo. Fece un mezzo inchino in segno di saluto, osservando stranito l’individuo per ciò che stava portando sopra il capo. Anche il “cappellaio matto” rispose a quel saluto, nello stesso modo.
Il ragazzo poi riprese a scrutare ciò che lo circondava. Sorrise, pensando che fosse alquanto accogliente, un bel posticino. Passò ogni porta e le varie numerazioni, chiedendosi quale fosse quella della sua ex fidanzata. Avanzò verso la sua sinistra, facendo il giro dell’atrio, attorno al tondo tavolone, continuando a dare attenzioni alle stanze presenti. Iniziò dalla numero uno, poi due, tre, quattro, passando la reception e il suo strano omino cinese, ricominciando poi il conteggio a ritroso: otto, sette, sei, terminando con la numero cinque. Concluso il giro si voltò a dare un ultimo sguardo al posto, sospirando. Ed infine uscì risalendo le scale.
Il finto cinese sollevò appena quell’accessorio di paglia, per controllare meglio la situazione e in  quell’esatto momento uscì dalla sua stanza proprio la persona che certamente quel ragazzino stava cercando. Il fatto che il giovane fosse entrato qualche minuto dopo il rientro a casa della ragazza, era alquanto sospetto. Pensò fosse possibile che l’ex fidanzato l’avesse pedinata.
Abbracciando i libri, si bloccò a metà via, fissando con sguardo leggermente corrucciato lo strano abbigliamento del direttore.
«C’è un motivo se indosso questa cosa.» Avvisò lui, serio in volto.
«Ahn sì?» La convinzione, nel suo tono, era del tutto assente.
Song Rok tolse il cappello con un gesto infastidito e si alzò per andare a prendere una bottiglietta d’acqua fresca dal frigo, mentre la ragazza si spostava verso il tavolo, posandovi i pesanti libri e ignorando tutto ciò che girava attorno a quell’uomo e alla sua forse improvvisa pazzia. «Dovrebbe mettere una scrivania o un tavolino in camera.» Suggerì aprendo i suoi volumi e cominciando a studiare.
Mr Im fece un grande sorso d’acqua, prima di affermare: «Alcune camere  ne sono sprovviste in effetti.» Le si avvicinò, curiosando su ciò che stava per fare. «Hai incontrato qualcuno per strada?» Cominciando così una sorta di interrogatorio. Ma fare il vago non servì a nulla, perché quella domanda attirò immediatamente uno sguardo interrogatorio:
«Perché?»
Allora piegò la bocca e scosse la testa debolmente. «Niente, chiedevo.» Lasciandola tornare alle sue faccende, Song Rok posò le labbra al collo della bottiglia, facendo altri piccoli sorsi, allungando nello stesso momento l’occhio per fissare i quaderni sul tavolo. «Coreano, eh?! Di questi tempi, sono molti gli stranieri incuriositi dalla nostra lingua e cultura.» Rrifletté ad alta voce. «Fai bene a continuare lo studio, il tuo coreano è comprensibile e abbastanza buono ma non perfetto.» Sentì la ragazza sospirare pesantemente, ma nonostante questo non si arrestò: scivolò ancora di più verso di lei, leggendo gli esercizi che erano riportati nel libro. «Ad esempio questa frase è sbagliata!» Annunciò indicando il punto.
Gemma da prima seccata, si ritrovò improvvisamente e sinceramente interessata. Corrucciò notevolmente la fronte rileggendo la frase. «Perché è errata?»
«Un coreano non userebbe mai quell’espressione.» Spiegò con fare saccente. «Ad esempio, hai presente che alla domanda “sai questa lingua?”, in inglese si risponde “no non la so”? Bene, in coreano invece è solito dire “mot haeyo”, che  voi letteralmente lo tradurreste con “non posso farlo”.»
«Lo so! Ma il verbo “fare” in coreano ha molteplici significati. Possiamo considerarlo quasi un jolly, quindi in quel contesto può essere inteso come “non sapere”.» E con quella puntualizzazione dimostrò più di quel che voleva dimostrare.
Il coreano appoggiò un braccio sul tavolo, come per accomodarsi meglio. Gli occhi di Gemma nel frattempo erano rimasti incollati ai libri, ascoltando però quel professore improvvisato. «Sì, ma ci sono delle espressioni coreane, per dire determinate cose, da dover usare per forza, se si vuole la perfezione. Frasi che nella vostra lingua inglese non avrebbero senso. Anzi a volte se l’espressione è sbagliata, per quanto a te la traduzione sembri giusta, uno coreano potrebbe non capire affatto ciò che vorresti dire.»
«Sì, so anche questo, ma … Insomma! Mi sta dicendo che traduco troppo alla lettera?»
Sempre fissando l’argomento di discussione, appoggiò anche la seconda mano, quasi circondando la studentessa. «Sì, da quel che vedo a volte la tua traduzione è letterale conforme alla tua lingua. Insomma per certe cose va bene, ma per altre no. Comunque non è tutto da correggere qui … mi sembra! Però dovresti pensare direttamente in coreano secondo me.» Mr Im prese la penna di fronte a sé e si accinse a segnarle gli errori.
La studiosa lo lasciò fare. Anche se non sopportava quella persona, in quel momento la stava comunque aiutando con lo studio. «Ad ogni modo io non sono inglese.» Precisò tagliando il silenzio che si era ormai instaurato.
«E da dove vieni? Oh! Anche questa è errata!» Ne corresse un’altra.
«Dall’Italia.»
«Buongiorrrno!» Pronunciò scandendo bene la erre.
Gemma si spostò un po’ di lato, alzando lo sguardo per poterlo fissare dubbiosa. «Oh bravo!» Nella sua voce c’era un certo sfottò, che forse lui non comprese, perché rimase concentrato nel suo “dovere” e alzò solamente le spalle.
«Qualche parola la so. Anche qui c’è un errore, ci va il soggetto.»
 
A vederli così, da un esterno, potevano sembrare davvero più che amichevoli. Ed è questo che pensò immediatamente Yon U, trovandosi davanti tale scenetta. Riconobbe in un secondo momento l’uomo che le stava accanto.  Lo stesso di quella sera.
«Ho sbagliato tutto!» Esclamava innervosita Gemma.
«No, alla fine sono errori stupidi.» La rincuorava colui che ormai era stato scambiato per il suo attuale fidanzato. Finché i due non si accorsero dell’intruso.
Jin Yon U era tornato indietro per chiedere allo strano receptionist in quale stanza alloggiasse Gemma Brizzi. Invece si era trovato la ragazza direttamente nella hall, in dolce compagnia.
Entrambi lo guardando non poco sorpresi. Song Rok, imbarazzato, drizzò la schiena lentamente, volendosi allontanare dalla giovane, mentre Gemma non sapeva orientarsi, chiedendosi cosa ci facesse lì il suo ex e come fosse riuscito a rintracciarla.
«Vederti così mi fa stare più tranquillo», confessò però Yon U, « direi che ora posso davvero sentirmi libero.»
I pugni di Gemma si chiusero di scatto, stringendo tanto da conficcare le unghie nella carne. Perfino l’estraneo al suo fianco si era raggelato, sentendo le taglienti parole del ragazzino e mettendosi involontariamente nei panni della ragazza a cui erano mirate, sapendo che quella lo amava ancora tanto da sperare di tornarci insieme.
Eppure non era nulla, nulla a confronto alla successiva confessione: «Anche io potrò uscire con qualcun altro liberamente. Non vedevo l’ora che tagliassi il cordone ombelicale che ti teneva legata a me.»
Gemma trattenne le lacrime e lasciò andare la presa solo quando Yon U le voltò le spalle per uscire velocemente dal goshiwon. Cercò comunque di trattenere il singhiozzo, avendo ancora un estraneo dietro di sé, ma non riuscì a lungo nell’impresa. Si appoggiò allora al tavolo, nascondendo il volto tra le braccia e lasciando così che la sua amarezza si liberasse.
Im Song Rok rimase in disparte, a qualche passo di distanza, serio in volto. Non erano affari suoi dopotutto.
Quasi sobbalzò quando la ragazza, improvvisamente, si alzò di scatto, facendo per poco cadere la sedia. La vide asciugarsi le lacrime e correre fuori, all’inseguimento. Una volta uscita in strada, Gemma purtroppo comprese di aver perso ogni traccia del giovane coreano. Tirò fuori allora il cellulare. Inutile andare a cercarlo se non sapeva nemmeno quale direzione aveva preso o in quale via si fosse infilato. Hongdae non era piccola come zona. Pensò di mandargli un messaggio, ma si bloccò nel farlo.
Quando Im Song Rok lasciò l’edificio per recarsi a teatro, passò davanti alla sua cliente senza dire una parola, osservando il cellulare che teneva ancora in mano.


Suicides Through Bridge è così denomito il ponte di Seoul, il Mapo Bridge per l'enorme affluenza di suicida che decidono di fare la fine gettandosi nelle acque gelide dell'Hangang (Han river). 
Hyeong (형) è il modo con cui i ragazzi (solo maschi) chiamano un amico o fratello di età superiore.
Eoseo-oseyo (어서오세요) è composto da "Eoseo" in fretta + "oseyo" esortazione a venire, in questo caso dunque entrare. Tipica frase di accoglienza.

 
 
 
 
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15 Capitolo
 
 
 
 
Avevano appena finito di provare il copione tutti insieme, lasciando poi ognuno ai propri impegni. Dopo aver risistemato alcuni appunti e controllato i costumi di scena, ordinando al fornitore quelli che mancavano, era uscito per prendere una boccata d’aria. Rimasto dunque all’entrata della scuola di teatro, lasciandosi pizzicare dall’aria fresca, aspettò la sua collega.
Avevano deciso di uscire quella sera, per bere qualcosa insieme. Non se la sentiva di frequentare nessuno in quel periodo, troppo impegnato nelle sue varie faccende, ma uscire con Sae Bon era meglio che accettare il classico sogeting, ovvero appuntamento al buio, per di più organizzato da altri. Alcuni coreani prendono la cosa normalmente o con curiosità, provando ad uscire con sconosciuti scelti dai genitori o dagli amici, o ancora conosciuti via internet. Altri invece vengono praticamente costretti, specie se è la parentela a mettersi in mezzo, spingendo affinché l’incontro avvenga. Sulla soglia del duemila quindici, ci sono ancora alcune persone che si sposano per interesse. Matrimoni combinati da altri o da se stessi.
La famiglia Im invece non la pensava così, forse perché i coniugi, al tempo loro, si erano uniti proprio grazie a sentimenti arrivisti. Fu un rapporto decisamente poco sincero e per questo stesso motivo vide la fine. Ormai si erano separati da anni ed entrambi sembrano sempre troppo impegnati per ricordare che avevano messo al mondo una persona. Ma Song Rok non si lamentava: in questo modo non era costretto a sorbirsi le lamentele di suo padre verso l’ex moglie e non doveva ogni volta declinare gli invito di sua madre in quegli incontri al buio per cercare giovani promettenti mogli.
Afferrò il cellulare all’interno della giacca appena avvertì la vibrazione, senza aspettare qualche secondo che partisse la suoneria. «Yeobeoseyo?» Domandò con la sua voce calda e profonda.
«Salve Im sajangnim, sono Sarah.» Aveva usato il termine “sajag”, ovvero direttore, per risultare più cordiale e rispettosa.
«Non vorrei essere sgarbato, ma il nome non mi dice niente.» Rispose freddamente, ma pur sempre con garbo.
La ragazza ci rimase comunque male per un attimo, ma poi lasciò perdere il suo stato d’animo, per precisare meglio: «L’amica di Gemma Brizzi.»
Song Rok corrucciò la fronte. Pensò che quella persona doveva aver sbagliato numero, se non fosse per il particolare agghiacciante: conosceva il suo nome. «Non conosco nemmeno lei.» In fin dei conti non mentiva: sembrava strano a dirlo, ma non si erano ancora presentati.
«La ragazza straniera ospite del suo goshiwon, quella con cui è uscito per fare ingelosire il suo ragazzo.» Disse tutto ad un fiato. «Ricorda?»
«Ah!» Esclamò lasciando per un attimo la bocca aperta, non sapendo bene che altro ribattere. «E’ quello il suo nome?»
«Sì e il mio è Sarah.» Cinguettò dall’altra parte della cornetta.
«Chi è che le ha dato il mio numero?» Quasi le parlò sopra, frettoloso di sapere chi gli aveva creato il danno. «E’ stata lei?»
Sarah ci rifletté un attimo: perché il direttore pensava che Gemma le avesse dato il numero? Gemma era forse a conoscenza del numero di Mr Im e non lo aveva riferito? «N-no. Mi sono informata da sola tramite la scuola di recitazione.»
Il diretto interessato alzò gli occhi al cielo facendo una smorfia poco elegante. «D’accordo. Ora però non ho molto tempo, e confido di non averne mai, perciò mi spieghi brevemente il significato di questa chiamata.»
Avvertì la risata imbarazzata di Sarah Kim. «Beh, i motivi potrebbero essere tanti.»
«Me ne dica solo uno.»
«Ah! Sì. Ehmmm … Ho saputo cos’è successo oggi. Dovevo incontrare Gemma proprio per parlarne, ma alla fine non si è presentata all’appuntamento e quando sono andata a vedere all’Ilmol-haouse non ha risposto.» Fece una breve pausa. «Per caso è con lei?»
«No.» Fu rapida come risposta.
«Non sa dove potrebbe essere?»
«Come potrei saperlo? E’ amica sua.» Fece notare ancor più freddamente.
La voce di Sarah invece faceva trasparire l’asia, «Spero solo che non stia facendo cazzate.»
Song Rok sospirò. «Senta, io adesso devo andare.»
«Se dovesse incontrarla mi potrebbe avvisare?»
«Se dovessi tornare all’Ilmol-house e vederla, sì.» Per lo meno l’accontentò. «Anche se non credo che ci farò ritorno per questa notte.»
«Allora mi chiami, ci conto. Il mio numero ormai ce l’ha.» Sottolineò volutamente.
Chiuse gli occhi al sol pensiero di poter essere continuamente importunato da una tipa come lei. «S-sì. Ma temo che tra qualche giorno io dovrò cambiare il mio. Arrivederla.» E mise giù prima che la ragazzina potesse in qualche modo bloccare la sua fuga.
Una bellissima donna lo stava osservando da un po’ di tempo, aveva un naso perfettamente fino e leggermente piegato all’insù, tanto da sembrare “alla francese”. Un naso dalla dubbia naturalezza, gli occhi non molto grandi, ma ben aperti, con la doppia palpebra dono di natura o anch’essa regalata dal bisturi. Capelli tinti di un bel castano rame, bocca carnosa ma stretta.
«Ammiratrici?» Domandò avvicinandosi ancor di più al collega. Era alta forse un metro e settanta senza tacchi, che le conferivano anche una decina di centimetri in più. Poteva intimorire un uomo qualunque, per lo meno uno al di sotto di un metro e ottantacinque, ma non Song Rok e il suo metro e ottantotto. Vestiva elegante, con un abito bianco semi trasparente da metà coscia, adatto per mostrare le lunghe gambe snelle. Le fasciava bene anche il seno, abbondante e alquanto provocante su una figura asciutta come la sua.
Le sorrise, facendo trapelare un po’ di stanchezza. «Seccatrici più che altro.»
La donna gli afferrò il braccio, quasi aggrappandosi a lui. Mostrò un sorriso dolce e seducente allo stesso tempo. «Andiamo! Questa sera offro io.»
 
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Le scarpe tacco dodici tenute elegantemente in mano. Una persona può risultare aggraziata anche abbassandosi improvvisamente di molti centimetri, stando a piedi nudi. Era il caso di Baek Sae Bon, attrice di teatro per passione, modella per professione. Anche se la sua appartenenza sociale le permetteva di non lavorare affatto. Proveniva infatti da una ricca famiglia di Daeju.
Labbra sempre tinte di una qualche eccentrica tonalità, per farle risaltare; mai una sbavatura, nemmeno dopo una bevuta tra colleghi. Gli occhi ancora ben truccati. Non esagerava mai con il make up, anche se aveva bisogno di ciglia finte per apparire più interessante e a volte amava usare anche il trucchetto delle circle lens per ingrandire l’iride.
«Da me … o da te?» Chiese guardando l’uomo al suo fianco in modo malizioso.
Costui abbozzò un sorriso lieve, ma non le rispose.
«Me lo devi se non sbaglio. Abbiamo già mancato un’occasione poco tempo fa.» Lo spronò.
L’accompagnatore intercettò un taxi, facendo un gesto per indurlo a fermarsi. «Ho bevuto troppo e anche tu. Per questa sera è meglio prendere due vie diverse.» Le riferì, tornando a darle attenzioni. Aprì la porta del mezzo, poi le si avvicinò, afferrandole il braccio la obbligò gentilmente a salire.
«Per lo meno facciamo un pezzo di strada insieme. Andiamo nello stesso versante dopotutto.» Pregò.
Song Rok annuì entrando a sua volta sul taxi.
«Sei sicuro di volerlo?» Chiese Sae Bon una volta che la macchina era stata messa in moto. «Possiamo fermarci da te per un caffè o se non vuoi mostrarmi il tuo antro di privacy … Ti invito io nel mio», ogni tanto faceva qualche pausa, aspettandosi una risposta positiva, «potrebbe non capitare più un’offerta simile da parte mia.»
Solo in quel momento lui la guardò, riservandole un dolce sorriso accondiscendente. «Allora, a quel punto, dovresti aspettare il mio invito, no?»
La fece sbuffare, cosa che la rese quasi infantile, ma senza perdere l’indole provocante. Non era una persona che demordeva tanto facilmente, infatti passò nuovamente all’azione, accarezzandogli il dorso della mano. «Non mi fido di te. Potresti farmi aspettare in eterno.» Si avvicinò scivolando sul sedile. «Non ho mai nascosto il mio interesse per te. Inoltre sappiamo entrambi di piacerci. Che differenza fa se siamo un po’ alticci? O meglio io lo sono, tu non lo sembri proprio», gli posò la mano sulla spalla, «sono paziente e lo sarò ancora un po’, ma non succederà per sempre.» Prese a sfiorarlo con l’altra mano, disegnando cerchi delicati. «Facciamo a casa mia, dai.»
Sorrise, colpito dalla sicurezza di quella donna, che sembrava aver appena superato la trentina e invece aveva addirittura qualche anno in più di lui. Non poteva non ammettere che sapeva come stuzzicare un uomo, anche uno difficile come lui. Spostando lo sguardo verso il finestrino, osservò le immagini passare velocemente, cercando di decidere il da farsi: accontentarla e accontentare il vile maschio che era in lui, oppure rifiutare per il momento? La zona era parecchio popolata, in specie da giovani e alcuni vestiti di tutto punto, altri dall’inconfondibile stile hip hop, percorrevano le vie in skateboard. Le luci e il caos si sprigionava, ma non come in un qualunque posto di Seoul, si poteva ben capire che da quelle arti vi era una maggiore concentrazione di divertimento. Dovevano essere ad Hongdae. Il suo ghigno sornione si affievolì, diventando forzato, infastidito, annoiato.
Sospirò. «Scusa.» Proferì ad un tratto. «Non posso proprio stasera.» Si mosse sul sedile, voltandosi verso la collega e distanziandosi da lei.
Lo sguardo di Sae Bon era pieno di delusione e incomprensione. «Come mai all’improvviso …»
«Ho dimenticato una cosa», si giustificò. «Ajeossi, può fermarsi per cortesia? Dovrei scendere.» Prese il portafoglio, contando delle banconote.
Sae Bon sollevò un sopracciglio e posò delicatamente la sua mano sulle sue affermando: «Lascia stare. Offro io questa corsa, così dovrai ripagarmi assolutamente.»
Il mezzo intanto si era fermato. «Perdonami, ma davvero ho dimenticato di inviare dei documenti importanti per l’Ilmol. Non è una scusa. Anzi, immagino che ne avrò per un po’ stanotte.»
«Ti credo, non ti devi giustificare. Ma sia chiaro che sei in debito.»
Vide un’espressione divertita sul volto del direttore, prima che scendesse e la salutasse.
 
Era una promessa, e nonostante gli importasse poco di quella ragazzina e della sua compagna di giochi, mantenere le promesse fatte era un obbligo per lui. Almeno una capatina all’Ilmol-house doveva farla: assicurarsi che l’italiana fosse in camera o constatare che non vi fosse e comunicare la cosa a colei che lo aveva disturbato qualche ora prima. Un’occhiata veloce, e poi a casa. Si era ripromesso. Il giorno dopo invece avrebbe fatto bene a cambiare il numero di cellulare, così da non essere più importunato da tizie appiccicosamente fastidiose.
Scese le scale velocemente, fermandosi nell’ultima rampa, sentendo delle voci e riconoscendone quella della presunta dispersa:
«No, I don’t  want go out, thank you. I just want study.»4 La lingua usata era quella inglese.
«What do you study?»5 Domandò improvvisamente una voce maschile.
«Hangukeo dangyonhaji6 La ragazza poi sospirò, traducendo: «Korean
Qualcuno batté le mani. «Cool! You could teach me korean?»7
«Anindeyo … Babbaseoyo.» Rispose nuovamente in lingua coreana al giovane che però non sembrava comprenderla.
Infatti questo si ritrovò a domandare: «What?»
«Busy, busy!»8 Disse frettolosamente e freddamente lei.
Song Rok ormai era sceso fino ad arrivare all’atrio, di fronte alla scena precisa: l’europea seduta al grande tavolo, di fronte i suoi libri e accanto un uomo che poteva avere si e no una trentina di anni, forse qualcuno di meno. La struttura non aveva molte stanze, quindi riconobbe uno degli ospiti del goshiwon, un vietnamita giunto a Seoul per una vacanza. Il tipo in questione allungò la mano, per scostare una ciocca dalla fronte della ragazza, che ebbe una reazione quasi intimorita, sorridendo però forzatamente, come se fosse pure imbarazzata:
«Sorry, but … but now i really want study. So ...»10
Il vietnamita rise brevemente. «So, you can study. No one hinders you11
«Yes instead! You!» Ribatté ritrovando un’improvvisa sicurezza. «I don't know who you are, but you're too close. So i want know, why?»12
Quel ragazzo era così diverso da come era apparso a Gemma il giorno in cui era giunta nella struttura. Sia a lei che a Sarah aveva dato l’impressione di essere un tipo tranquillo, ma alla fine come si fa a comprendere l’indole di una persona con un unico sguardo? Impossibile.
In realtà in quel momento, il giovane asiatico non era del tutto in sé e il leggero odore che emanava lo confermava. «Once time i had the American girlfriend. I loved her a lot. Her eyes was like yours.» Tornò all’attacco il  presunto marpione. «You know? I've noticed you since the first time you get here. But … do you remember me?»13
Im Song Rok non poté fare a meno che osservare la scena in disparte, non sapendo se dover aiutare la ragazza o lasciare che se la cavasse da sola. A parte l’insistenza, quel ragazzo non sembrava avere cattive intenzioni, inoltre era un suo cliente e non poteva rischiare di rasentare la maleducazione con un ospite del posto.
Gemma improvvisamente si scostò a causa di un secondo tentativo, da parte del vietnamita, di sfiorarle il volto con le dita. Forse lei stessa comprese l’esagerazione della sua reazione, tanto che tentò di tranquillizzarsi e, facendo finta di nulla, prese i suoi libri e cercò di andarsene. Quella persona però la imitò, offrendole pure aiuto. La sua leggera ondulazione nell’alzarsi, sottolineava il sentore della ragazza.
L’italiana bloccò sul nascere la sua gentilezza. «Can i do it!» Si scostò in modo tale che non potesse nemmeno toccare un libro.
«Why you want to go? Sorry ... maybe i bother you?»14
«Yes you are doing it!» Lo affrontò nuovamente e con più decisione, quasi incattivita dal suo atteggiamento sconveniente. «And I think you're drunk!»15 Quell’odore di alcool era inconfondibile.
«No. I drank only a little ... But in my room i have a bottle of Makgeolli, if you want i can let you try. Have you ever drank Makgeolli?»16
Quella proposta di andare a bere in camera sua il distillate di riso coreano, fu la classica goccia che fece traboccare il vaso. Cercò di evitarlo anche con lo sguardo, quasi voltandosi e scappando da lui, quando l’asiatico le afferrò una spalla, obbligandola a restare. Ma Gemma non era un tipo da arrendersi così facilmente: tentò di resistere a quella presa, con il risultato di peggiorare ulteriormente la situazione. Per fortuna era abbastanza ubriaco o non metteva troppa forza in quello che faceva.
«I can help you take a books. They seem heavy!»17 Giustificò l’abbordaggio mascherato falsamente da altruismo.
«No!» Gemma diede un colpo secco di spalla, per togliersi la mano ancora appiccicata a lei.
Quando la ragazza riuscì a scivolare via, lui le afferrò forse istintivamente la spallina della canotta, stringendo la stoffa, che con il tiro secco si strappò.
Lasciò cadere i libri, toccandosi il punto in cui l’indumento stava cedendo.
Il colpevole si dimostrò sinceramente dispiaciuto, scusandosi, allungando indeciso un braccio, «It’s my guilty.»18
Una mano afferrò il polso del vietnamita tutt’ad un tratto, arrestando la sua intenzione. Entrambi i protagonisti di quella scena, si ritrovarono a fianco un uomo parecchio alto e ben vestito. Nessuno dei due faticò a riconoscerlo.
«Now the customer can go.» Pronunciò Im Song Rok con uno strano accento e il tono di voce basso, molto pacato. « I'll take care of this girl.»19
Nel frattempo Gemma approfittò di quell’improvvisa comparsa, nascondendosi dietro la snella colonna della sala. Un magro nascondiglio, ma sembrava che potesse bastarle, ora che era giunto qualcuno a sistemare le cose. In fondo, se non sapeva prendersi cura lui dei suoi clienti, chi altro?
«Ajeossi, misunderstand. I did not do anything!» Lo straniero parlò al direttore con uno sguardo che quasi chiedeva pietà o per lo meno di essere creduto. E così sembrò avvenire, perché Mr Im annuì e lo lasciò andare. Era sincero e da quello che aveva constatato voleva fare solo amicizia con la bella occidentale, certo, utilizzando un comportamento non molto adeguato a causa del suo stato un po’ alticcio.
Il vietnamita osservò il leggero profilo della ragazza, ancora nascosta dietro la colonna. «I just wanted to make friends.» Sospirò. Era il suo turno di sentirsi infastidito e forse perché si sentì quasi spalleggiato dal proprietario del luogo, cominciò ad assumere un atteggiamento arrogante: «These European women think they are the stars?» Voltò le spalle e fece per andarsene, concludendo con: «Bitch!»20
Nonostante fosse un uomo che ai pugni preferiva le più eleganti parole, Im Song Rok non riuscì a trattenersi in quel momento. «Ya…»21 Pronunciò debolmente prima di afferrare la spalla del cliente, facendolo girare, tirandogli successivamente un pugno sul mento. Il mezzo ubriaco cadde al suolo, fissando il direttore dell’Ilmol-house con sguardo più che scioccato.
«I'm sorry, but tomorrow i want you out of this place. So you have to pack up and can’t come back again. A man who treats a woman like that, is not welcome here. Don’t worry, I'll give you your room’s money back. »22
«You know?  I could denounce you.»23 Disse stizzita quella persona.
«Keurae keureom … haseyo.» Ribatté nella sua lingua, per poi tradurre: «You do it! But you know that the girl might denounce you for harassment? So, don’t you agree. Shut up and get out! You're not welcome anymore.»24 Rimase a fissarlo per qualche momento, vedendo l’indecisione negli occhi dello sgradito ospite. Sospirando poi si voltò, andando verso Gemma e lasciando che il vietnamita si alzasse e se ne andasse.
Tolse la giacca del completo, composto da pantaloni del medesimo blu scuro e una maglia bianca, semplice con scollo a v, maniche corte. Era più giovanile del solito, ma non per questo meno elegante. Appoggiò l’indumento sulla ragazza, in piedi ferma come una statua. Il volto ancora turbato.
Gemma lo lasciò fare all’inizio, ma poi, presa da qualcosa simile alla disperazione, si lasciò andare in un inizio di pianto, gettando a terra malamente la giacca offertale.
Im Song Rok trattenne l’indignazione, fissando il suo indumento. Si piegò per raccoglierlo, sospirando pesantemente. Lo ripulì con un gesto deciso, notando che la ragazza era scivolata a terra, dove sembrava voler soffocare in una valle di lacrime silenziose. I suoi occhi, dalla punta orientale, si soffermarono sulla spalla di lei, denudata dalla canotta scucita.
Si accovacciò, riposandole la giacca, per poterla coprire. Non che servisse, alla fine l’intimo si vedeva a malapena e l’indumento non sembrava doverle cedere per quell’unico punto mancante. Ma quella sua galante e delicata gentilezza attutì un po’ il lenore che Gemma avvertiva nel cuore. Cominciò infatti a riprendere fiato. Le lacrime pian piano cessarono.
«Ti disperi per quel che è successo poco fa o … » le diede il tempo di tranquillizzarsi ulteriormente. «Per caso c’è un altro motivo?»
Gemma questa volta accolse la giacca e si strinse in quel calore, senza però rispondere alla domanda.
«Chiama la tua amica e dille che non te la senti di rimanere sola questa notte.» Suggerì.
A quel punto fece oscillare la testa. «Aveva un appuntamento oggi.»
«Per te lo sposterà di certo.» Ribatté.
La ragazza sospirò, gli occhi arrossati ormai persi nel vuoto di fronte a sé, le lacrime ormai secche sulle guance. Ci mise un po’ a formulare una nuova frase, come se per un attimo si fosse incantata: «Quel ragazzo vive qui.»
«Non preoccuparti troppo per lui. Era un po’ ubriaco e non voleva farti del male, ne sono convinto. A parte l’essere sgarbato. Quello sembrava voluto.» Cercò di rassicurarla. «Anzi, domani mattina potrebbe anche presentarsi con delle scuse. Quando sarà tornato del tutto in sé. Comunque se ne andrà, gli ho già detto di fare i bagagli. E scuse o meno, domani mi assicurerò che se ne vada.»
«Non deve per forza farlo. Così perderà un cliente.»
«A causa di un altro.» Concluse la frase per lei. «Il cliente ha sempre ragione, ma quando due si scontrano? Che fare?» Si chiese leggermente divertito. «Tranquilla! Non lo faccio proprio per te! E non ci perdo nulla. Ho una certa etica anche negli affari, e se non rispetti la mia morale … non importa se sei mio ospite, in quanto sgradito …»Lasciò che completasse lei da sola il suo pensiero.
Lei ascoltò bene le sue parole e alla fine si sentì il dovere di dire: «Grazie.»
Song Rok annuì e fece per alzarsi, forse era il momento di lasciarla sola. Quando una mano gli afferrò la camicia. Guardò verso il basso, notando degli occhi chiari impietositi dal rossore e dall’umidità delle lacrime. «Hai l’abitudine di afferrare gli uomini per la camicia? E’ un nuovo sport?»
«Non voglio stare da sola.» Ammise.
«Per questo ti ho detto di chiamare la tua amica.»
Gemma ritirò la mano, abbassando lo sguardo e poco dopo si trovò davanti agli occhi un cellulare, offertogli dal direttore stesso. Lo prese e compose il numero. Attese per un po’ ma alla fine suonò a vuoto. Sollevò il volto verso il proprietario del telefonino e gli fece cenno di diniego con la stesa.
Lui sospirò. «Non posso stare qua, devo assolutamente rincasare.» Disse, mentre la ragazza riagganciava.
Restituendo il cellulare osservò le grandi mani di quella persona: «Non ha la fede.»
«Non sono sposato.» Le fece un’espressione ovvia.
«Allora … » Ci pensò: perché un uomo della sua età aveva fretta di rientrare a casa? «La sta aspettando la sua ragazza?»
«Cosa? No.» Sollevò una sopracciglia, perplesso.
«Figli?!» Esclamò colpita.
Song Rok corrucciò la fronte improvvisamente. «Figli? … Niente di tutto ciò.» Il suo sguardo passò dall’essere quasi indignato, a causa dell’interrogatorio, al sostenuto. Si schiarì la voce, prima di riflettere: «Ti inviterei a seguirmi, ma immagino sia sconveniente per una giovane donna dormire a casa di un sigle.»
Gemma si alzò di colpo, trattenendo la giacca elegante. «Vado a cambiarmi, ci metto un attimo. Mi aspetti.» E corse verso la sua stanza, chiudendocisi dentro.
Song Rok si immobilizzò di fronte alla nonchalance della straniera, nell’accettare un’offerta simile. Si grattò leggermente e lentamente il collo. «Forse ho capito male.» Ma rimase li ad attenderla, in caso contrario. Inoltre teneva ancora in ostaggio la sua giacca.
E infatti tornò indietro un minuto più tardi, dopo aver cambiato la canotta, optando invece per una maglietta a manica lunga, visto che dovevano uscire.
«Scusa, ho capito bene? Mi stai dicendo che non hai problemi a stare sotto lo stesso tetto di un uomo … per la notte?» Sembrava pure un po’ preoccupato della cosa.
Gemma sorrise, « è diverso! Lei è un gentiluomo, no?» Gli porse l’indumento di sua proprietà, che Mr Im afferrò senza darci troppa importanza. Lo tenne sotto braccio, senza rindossarlo, guardandosi intorno confuso.
Era lui all’antica o le giovani, di anno in anno, stavano diventato sempre più ingenuamente audaci?



«No, I don’t  want go out, thank you. I just want study.» "Non voglio uscire, grazie. Voglio solo studiare"
«What do you study?» "Cosa studi"
6 «Hangukeo dangyonhaji!» "certamente il coreano"
7 «Cool! You could teach me korean?»​ "Forte! Puoi insegnare anche a me?"
«Busy, busy!» "impegnata ipegnata"
10 «Sorry, but … but now i really want study. So ...» "Scusa, ma ora voglio davvero studiare quindi ..:"
11 «So, you can study. No one hinders you.» "Quindi? Puoi studiare. Nessuno te lo impedisce"
12 «Yes instead! You!» - «I do not who you are, but you're too close. So i want know, why?» "Sì invece, tu!"-"Non so chi sei, ma sei troppo vicino. Quindi voglio sapere il perché?"
13 «Once time i had the American girlfriend. I loved her a lot. Her eyes was like yours.» - «You know? I've noticed you since the first time you get here. But … do you remember me?» "Una volta avevo una ragazza americana. Ero innamorato molto di lei. I suoi occhi erano uguali ai tuoi."-"Lo sai? Ti ho notata da quando sei arrivata qui, ma tu ti ricordi di me?"
14 «Why you want to go? Sorry ... maybe i bother you?» "Perché vuoi andare? Scusa ... ti sto annoiando?"
15 «Yes you are doing it!» - «And I think you're drunk!» "sì lo stai facendo!"-"e credo tu sia ubriaco"
16 «No. I drank only a little ... But in my room i have a bottle of Makgeolli, if you want i can let you try. Have you ever drank Makgeolli?» "no ho bevuto poco ... ma nella mia camera c'è una bottiglia di Makgeolli, vuoi ti faccio provare. Hai mai bevuto il makgeolli?" Makgeolli (막걸리) è una bevanda alcolica coreana.
17 «I can help you take a books. They seem heavy!» "Posso aiutarti a portare i libri. Sembrano così pesanti"
18 «It’s my guilty.» "è colpa mia"
19 «Now the customer can go.» - « I'll take care of this girl.» "Ora il clinete può andare"-"mi prendo cura io di questa ragazza"
20 «Ajeossi, misunderstand. I did not do anything!» - «I just wanted to make friends.» - «These European women think they are the stars?» - «Bitch!» "ajeossi ha capito male, non ho fatto nulla" - "Volevo solo farmela amica"- "Questa donne europee, pensano di essere delle star?"- "puttana"
21 «Ya» espressione coreana per richiamare l'attenzione, una sorta di "hey"
22 «I'm sorry, but tomorrow i want you out of this place. So you have to pack up and can’t come back again. A man who treats a woman like that, is not welcome here. Don’t worry, I'll give you your room’s money back. » "Mi scusi, ma domani volgio che lasci questo posto. Quindi può fare le valige e non tornare più. Un uomo che tratta così una donna, non è gradito qui. Non si preoccupi, le restituirò i soldi della stanza"
23 «You know?  I could denounce you.» "lo sai che posso debunciarti?"
24 «You do it! But you know that the girl might denounce you for harassment? So, don’t you agree. Shut up and get out! You're not welcome anymore.» "lo faccia. Ma lei lo sa che la ragazza portebbe denunciare lei per molestie? Quindi chiudi la bocca e vattene. Non sei più il benvenuto"

 

Un saluto direttamente dalla città dov'è ambientata la storia: Seoul! ^ ^ 

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 16° & 17° ***


16 Capitolo
 
 
 
 
Il viale era parecchio tranquillo, il classico quartiere con casette adibite ad appartamentini, quasi fossero villette a schiera meno appariscenti. Alcune avevano il tetto con le classiche tegole coreane, marroni rossastre o più scure. Vi era perfino un parchetto li vicino e il luogo in sé era piuttosto impreziosito dal verde.
Poi vi erano eleganti complessi di appartamenti, anche se moderni, all’esterno apparivano comunque sobri confronto ai cugini delle trafficate zone centrali.
Salirono la rampa di scale di uno di questi grandi complessi, fino al quarto piano. Ne mancava solo due per arrivare fino in cima. Una delle cose che Gemma Brizzi notò, appena giunta, era la grande pulizia dell’ambiente. Dovevano avere certamente una portinaia o qualcosa di simile che si occupasse del pianerottolo. La mente cominciò a tornare indietro di qualche anno, esattamente quando Yon U la portò a casa per presentarla alla famiglia. Il suo ex fidanzato abitava in un palazzone di trenta e passa piani, forse troppo impegnativo da tenere impeccabilmente pulito come quel posto. Se poi manca una persona incaricata, lasciando invece l’onore agli stessi abitanti del condominio, ecco che divagava la sporcizia, rendendo l’ambiente molto usurato e poco accogliente alla vista.
Troppo distratta nell’osservare il mondo esterno da una lunga e stretta finestra, dal vetro logicamente impeccabilmente lindo, non si accorse che Mr Im stava per aprire la porta del suo appartamento.
Poco dopo lo raggiunse in fretta. Appena furono nell’atrio, un esserino bianco, minuscolo e pelosissimo gli si avvicinò scodinzolando.
«Aigoooo …» Il padrone di casa si accovacciò immediatamente, afferrando quel cosino con due mani, che lo avvolgevano del tutto. «Sei rimasta tutto il giorno a casa da sola, eh piccola? Andiamo a mangiare?» Rimise a terra la cagnolina e questa, come se non avesse ancora il giusto equilibrio, scivolò sulle zampette, finendo distesa a terra. Ma si riscattò subito.
«E’ per lui che …»
«Certo!» Esclamò Song Rok alzandosi da terra. «Non vedi? E’ ancora un cucciolo! Non è abituata alla solitudine di una grande casa. Ed è una lei.»
«Nome?»
«Non l’ho ancora deciso, non è da molto che è con me. Era tutta sola in quella vetrina del negozio. Senza cibo né acqua. Triste assai.»
 «Posso … accarezzarla?» Era sempre un bene chiedere prima di fare un qualsiasi gesto che possa recar disturbo all’altro e Gemma lo fece con un sorriso infantile, ma sincero, sulle labbra.
Song Rok mosse la mano con il palmo rivolto verso l’alto, un modo per indicare qualcosa senza puntare il dito, cosa molto sconveniente anche in Corea non solo in Italia. In questo caso il gesto non era riferito a nulla di preciso, ma era semplicemente un invito ad accomodarsi e lasciar fare all’ospite come credeva. «Non ti conosce, quindi accucciati, farà la timida.» Ripiegò le ginocchia a sua volta, forse per aiutare la cagnolina a far amicizia con l’estranea. Si ritrovarono entrambi nello stretto abitacolo dalle mattonelle bianche, il resto della casa invece era fatto di parquet, ma finché non si fossero tolti le scarpe, da buana usanza coreana, non si poteva avanzare oltre.
In quel momento Gemma non pensava ad altro se non fare le feste a quella cagnetta così buffa dai tre bottoni neri sul musetto: naso e occhiotti languidi. Forse aveva due mesi, davvero troppo piccola per stare da sola, quando avrebbe dovuto addirittura essere ancora insieme alla madre.
Il padrone di casa osservò curioso la ragazza, mentre si prostrava a far giocare la cucciola. La malinconia era scomparsa da quel viso e gli occhi le brillavano, ma non per le lacrime, piuttosto era un brillio di dolcezza. «Pet-Terapy.» Sussurrò, attirando quello sguardo distratto, che si poteva definire un tono sia chiaro che scuro.
La cucciola richiamò le attenzioni che le dovevano, dopo aver passato l’intera giornata ad annoiarsi in casa. Gemma la prese, cercando di non farla cadere. «In famiglia non abbiamo mai avuto animali. I miei non me lo hanno mai permesso, ma ho sempre desiderato un cucciolo tutto per me.» Il cagnolino cominciò a lamentarsi per essere riposto sul pavimento, dimenandosi appena. La ragazza, per paura di farle del male, lo mise a terra in tutta fretta, con un gesto goffo e ingombrante per se stessa. Perse infatti l’equilibrio e le gambe le cedettero, cadendo di lato.
Si ritrovò col sedere sulle mattonelle e accanto il direttore, più o meno nella sua stessa posizione. Praticamente gli era caduta addosso e addirittura lui aveva tentato di sorreggerla. 
«Scusi!» Riferì subito, alzandosi di scatto.
Per aiutarlo gli porse una mano, ma questo rifiutò, sollevandosi da solo, ripulendosi i pantaloni del completo nel farlo, anche se sembrava non averne davvero bisogno, la casa appariva più che pulita. Continuò ad ignorarla, appoggiando una mano al muro e sfilando i piedi dalle calzature. «Togli le scarpe e gioca pure con lei se vuoi. Io preparo la cena.» Riferì calpestando il suolo di quello che doveva essere il soggiorno.
Gemma allora obbedì. «E’ un po’ tardi per la cena.» Fece notare.
«Perché? Hai già cenato?» Chiese, spostandosi verso la cucina.
Lei ci pensò un attimo prima di rispondere. Non voleva disturbarlo, ma in effetti: «Ho mangiato solo uno snak. Ammetto che ho un certo languorino.»
«C’è qualcosa che non gradisci?»
Incitò la cagnolina a seguirla, posando i piedi sul legno caldo. Pavimento riscaldato. «No, mi va bene tutto.» Era davvero un bel posticino. Si fermò in quell’esatto punto, ignorando per un attimo l’animaletto, per osservare meglio l’abitazione in cui si trovava. L’entrata era ampia e intima allo stesso tempo. C’era una porta alla sua destra e una di fronte a sé, mentre alla sinistra iniziava il salotto, con tanto di lungo divano a tre posti, tavolino al centro e scherma ultrapiatto ad alta definizione appeso alla parete. Quella zona era divisa dalla cucina da una sorta di mensola o libreria moderna, dagli spazi irregolari e quasi del tutto vuoti, se non per qualche libro posto qua e là. Non vedeva con chiarezza com’era l’altra fetta della casa, ma poteva intravedere un tavolo con delle sedie.
 
****
 
La stanza era abbastanza spaziosa, ma il suo punto forte era la luminosità che creava il lampadario sopra al tavolo e l’arrendamento bianco candido, laccato, della cucina. Il tavolo e le sedie erano del medesimo colore, con un tocco di rosso scuro, quasi bordeaoux a rendere il tutto più elegante e vivace, meno asettico.
Aveva preparato una kimchi jjikae, ovvero una zuppa di kimchi, il cavolo cinese fermentato, tipico contorno coreano. Cotto e servito su quei tegami di terracotta tanto abituali in quella nazione. Insieme a quel brodo rossastro, ricco di grossi pezzi di verdure, vi era anche un piattino con una specie di prosciutto, chiamato seupam, cotto in padella. Chiamarlo come il tipico affettato italiano era una bestemmia per una ragazza proveniente dal Bel paese.
Il padrone di casa le porse le jeoskarak, bacchette di ferro, che insieme al sudkarak, il cucchiaio, componevano le classiche sujeo, posate coreane.
Gemma si leccò le labbra di fronte a quel ben di Dio, sebbene sapesse che, confronto ad un pasto coreano fatto come si deve, era ben poca cosa. Ma immaginava che quella persona non fosse troppo abituato a far da mangiare per più di una persona, abitando da solo. Sollevò sguardo e sopracciglia verso Im Song Rok, che la stava guardando senza alcuna apparente espressione.
«Manhi deuseyo.1» Pronunciò lui, facendo un gesto accondiscendente con la mano.
Gemma sapeva che l’educazione prevedeva una risposta: «Jal meokesseubnida.» Una sorta di “mangerò bene”, in risposta al “prego, si serva/mangi tanto” di colui che aveva preparato il pasto.
Con una jeoskarak andò subito a pescare, infilzandola, una fetta del così detto prosciutto alla coreana. In definitiva si trattava di una sorta di carne trita e compattata come un paté più solido del solito, che diventava meno viscido al palato e più gustoso se cotto. Tagliato appunto in fette spesse e fatto girare in padella.
Il direttore nel frattempo assaggiò la zuppa. Era chino sul tegame, con il suo cucchiaio stracolmo. Cercò di stare attento a non far schizzare il brodo, per non sporcare se stesso e anche l’ospite volendo.
In Corea non esistono piatti singoli, o almeno non come si è abituati nel resto del mondo. Il pasto di solito si condivide consumandolo direttamente dal contenitore comune. Un po’ come se in Italia  mettesse la pentola con gli spaghetti nel mezzo e ci si dovesse servire da soli, con bacchette e un misero piattino per raccogliere l’alimento. Era una condivisione piacevole, ma solo per gli Europei di mente aperta. Qualche stizzito potrebbe inorridire di fronte al diverso uso, tanto diverso dal bon ton che richiedono molte altre culture. Per non parlare del masticare a bocca aperta, molti coreani lo fanno, o il classico rumore di risucchio di zuppa o viscidi spaghetti che siano. E’ consentito.
«Fai attenzione è molto piccante.» L’avvisò il cuoco.
«Come molti piatti coreani.» Rifletté ad alta voce Gemma, fissando il liquido rossastro e ancora bollente. Il fumo si alzava verso l’alto e portava con sé il calore, che si poteva percepire anche a quella distanza. L’attenzione si spostò nuovamente verso l’uomo di fronte, con ancora il cucchiaio in bocca, immobile mentre continuava a fissarla incuriosito. «Mi piace il cibo piccante. Non lo amavo prima di introdurmi in questa cultura, ma grazie a voi ho imparato ad apprezzarlo molto.» Si sporse per prendere un bel cucchiaio di kimchi jjikae. «Mmmm!!!! Masisseoyo!2» Esclamò.
Il palato coreano è particolarissimo, molto differente da quello di altre popolazioni: a volte il salato per loro risulta più accentuato rispetto a quello italiano ad esempio, o l’acido meno sgradito. Riflettendoci, Gemma aveva anche ipotizzato che il costante utilizzo di kochu, peperoncino, potesse aver danneggiato le papille gustative di tale popolo. Ricordava ancora quando Yon U divorò una scatoletta di formaggio spalmabile scaduto da ormai un mese, senza lamentarsi, anzi leccando anche gli ultimi residui dal contenitore.
E come se il piccante non bastasse, hanno anche l’abitudine di mangiare appena fine cottura. Specie il ramyeon, perché se no dicono che si “rovina”. Si stracuoce in sostanza. Bollente e piccante, sono due aggettivi che insieme fanno una sorta di bomba assicurata.
Non parlarono molto per tutta la cena. La vera etichetta coreana avrebbe voluto proprio un atteggiamento simile, ma lei sapeva che le cene e i pranzi spesso si trasformavano in interminabili momenti da poter passare con amici e famiglia. Un modo per radunarsi e appunto discutere assieme.  Ma loro non erano né imparentati né tanto meno amici, quindi il silenzio andava più che bene.
Ogni tanto l’ospite alzava il volto per osservare i modi di Mr Im, sempre ben composto ed elegante perfino nel risucchiare una zuppa. Sembrava un uomo di poche parole, riservato e riflessivo. A fine pasto non le permise nemmeno di aiutarlo a lavare i piatti. La  invitò invece a sedersi nel soggiorno, mentre lui velocemente risciacquava e metteva in ordine. E Gemma stranita continuò ad obbedirgli, pensando che la prima impressione che aveva avuto di quella persona forse era stata un tantino affrettata.
 
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Stava fissando una qualche commedia romantica che passavano alla televisione, era americana, trasmessa in lingua originale ma con i sottotitoli coreani. Era così che visionavano i film stranieri in Corea del sud.  «Solo noi italiani siamo caproni pigri bisognosi del doppiaggio.» Sussurrò nella sua lingua madre, senza accorgersi che il proprietario di casa si stava per sedere accanto a lei.
Avvertì il movimento alla sua sinistra, sentendo la sua bassa voce nel momento in cui si voltò ad osservarlo: «Come prego?»
Aveva sentito le sue parole, percependole senza un minimo di senso logico, non conoscendo l’italiano. «Niente. Riflettevo da sola.» Spiegò in coreano.
L’uomo si accomodò meglio sul suo stesso divano. «Passi questa volta, perché sono io. Ma promettimi che non accetterai una proposta simile da altri.»
Gemma si era nuovamente fatta distrarre dal film in tv, ma girò il volto ancora una volta. «Eh? .. Ah! L’ho già detto!» Esclamò tornando alla sua principale attrazione, « ho accettato solo perché è lei. Non un comune uomo ma un gentiluomo.» Anche se non traspariva, in quelle parole c’era dell’ironia.
Mr Im rimase quasi sconvolto dalla reazione che mostrò Gemma di fronte a quell’argomento. La fissò incredulo e preoccupato allo stesso tempo, con le sopracciglia leggermente corrucciate. «Non sto scherzando! Sai quante carogne si nascondono dietro alla galanteria verso una donna?» Domandò, lasciandole il tempo di rispondergli o per lo meno di farsi concedere la dovuta attenzione. «In Corea noi li chiamiamo neukdaenam,3 ovvero uomini che sembrano innocui e invece sono solo bestie, lupi travestiti da agnelli. Si nascondono dietro una facciata perbenista e gentile, ma il loro vero interesse è un altro.» Vedendo che nemmeno quell’argomento catturava l’ospite, prese il telecomando posto sopra al tavolino e girò canale sospirando, cambiando pure posa, piegando la schiena in avanti, appoggiando i gomiti alle cosce.
«Ho capito!» Esclamò lei con un tono stanco, « ma anche lei, non sia così frettoloso nel giudicare. Non sono una bambina. Credo di avere un metro di giudizio abbastanza buono. Di solito se mi sbaglio è a giudicar male, non troppo bene.» Rispose continuando a fissare lo schermo davanti a lei. «Se comprendo l’errore, allora l’idea che mi ero fatta di quella persona automaticamente cambia. Chi non modifica mai il proprio giudizio sono solo gli stupidi … dicono.» Finalmente voltò lo sguardo verso il padrone dell’appartamento, sorridendo quasi sinuosamente. Da quell’espressione traspariva tutta la sua sicurezza, che a volte si faceva desiderare. «Non si preoccupi per me. Non mi faccio ingannare tanto facilmente dai lupi.»
Lui osservò quel sorriso deciso. Non lo voleva ammettere, ma in quel momento la giovane che le stava accanto aveva assunto un’aria seducente. Distolse lo sguardo annuendo. «Bene. Ma evita l’onorifico da adesso in poi.» Cambiò improvvisamente argomento. «Sei più piccola di me, quindi io ho smesso con la cortesia da un po’. Non te ne sei accorta?»
«Ma in Corea va così, lei è più vecchio di me, perciò …» Lo interruppe Gemma.
Song Rok drizzò la schiena di colpo, come se improvvisamente si sentisse risentito di qualcosa. «Non sono tanto più grande di te comunque. Ho trentadue anni, ti sembrano troppi? O sembro più vecchio?»
«A lei sembrano pochi?» Ribatté pronta. Sembrava addirittura divertirsi.
«Quattro anni in più non sono tanti.» Toccò a lui difendersi. Erano improvvisamente capitati in una sorta di tribunale dell’età? «La tua amica aveva detto che hai ventotto anni, no?» La vide annuire, completamente rapita da qualsiasi cosa trasmettesse la tv … di nuovo. «Se te lo dice la persona di grado più alto puoi farlo. Puoi limitarti a parlarmi tranquillamente con una cortesia base. Io comunque sono Im Song Rok.» Pronunciò lentamente il suo nome, soffermandosi sulle vocali chiuse, perché comprendesse bene il suono del suo  nome. La difficoltà della lingua coreana stava anche nella pronuncia, un accento diverso può cambiare una parola, un nome oppure peggio, far capire una cosa per un’altra. Basta sbagliare il suono di una vocale e si può passare dal voler parlare di tonno al riferire qualcosa di scomodo e volgare. «Tu … sei Gemma giusto?»
Attirò il suo sguardo immediatamente. «Come fai a saperlo?» Chiese sinceramente sorpresa, muovendosi poi sul divano, girandosi totalmente dalla sua parte. 
«Hai saltato un appuntamento oggi, vero? La tua amicona mi ha chiamato e diciamo che nel mezzo è saltato fuori il tuo nome.» Rispose, controvoglia nel dover ricordare la telefonata passata. «Era preoccupata.»
«Le ho inviato un messaggio rassicurandola.» Assicurò.
Song Rok si alzò dal divano, «Ma intanto ha tormentato me.» Scomparve in una delle stanze dell’appartamento, per poi tornare con un cuscino e una coperta bella spessa. «Altra fortuna per te: il mio divano è comodo.»
Gemma accolse il tutto tra le braccia, sforzandosi di mostrare un sorriso di circostanza. Ma non lo congedò per andare a dormire, semmai sbuffò. «Voglio fargliela pagare!» Affermò improvvisamente, sollevando uno sguardo leggermente inumidito, tanto da renderlo penoso. Eppure in quel cucciolo, che supplicava da dietro le sbarre del canile, si poteva leggere anche una sorta di tenace rabbia. Im Song Rok non era del tutto sicuro di voler continuare ad ascoltare delle lamentele, ma cortesemente rimase all’ascolto. «Si sente libero! Come può sentirsi libero lui? Io dovrei sentirmi libera di un tale peso, di un tale rammollito che abbandona …» Si bloccò da sola.
Era più giusto continuare sull’onda “ti ha scaricata, fattene una ragione” o lasciare che una dolce e forse illusa speranza covasse in lei? Song Rok proprio non riusciva a scegliere. Nonostante ciò sembrava doveroso dare una risposta: «Se fosse così … non proveresti tutto questo sentimento per lui.» Sospirando, tornò a sedersi accanto a lei. «E’ giovane e sicuramente è dovuto anche all’età se codardamente ha scaricato ogni responsabilità, di qualsiasi tipo fossero. E questo non è giusto per te. Da quel che ho compreso … devi aver lottato molto per questo rapporto.» Fece una pausa. La giovane lo stava guardando dritto negli occhi e questo creava un leggerissimo disagio.
Perché la stava confortando? Perché le stava facendo una sorta di quadro della situazione, mettendo in mezzo pensieri propri? Perché stava parlando con quella ragazza?
«Ma non puoi pretendere che si impegni se non ne è in grado. Non puoi pretendere che lui provi i tuoi stessi sentimenti o che abbia il tuo stesso coraggio o che non cambi idea magari strada facendo.» Continuò. Non aveva timore a sostenere quello sguardo esotico, ma non era abituato ad un contatto visivo di quel genere da parte di una donna. Non mentre si parlava di un certo tipo di argomenti. Nella sua vita aveva conosciuto molte ragazze che si imbarazzavano per nulla o fingevano, portando perfino la mano di fronte alla bocca, per coprire solitamente un meraviglioso sorriso, aggraziatamente. Era anche uscito con donne più mature e molto audaci, ma non credeva che la giovane di fronte potesse appartenere a quella categoria. Evidentemente era proprio il suo modo di rapportarsi con gli altri a sorprenderlo, non aveva timore di fissare lo specchio dell’anima altrui. In un certo senso era curiosa come cosa. «Non so perché te lo sto dicendo, ma …» Ci pensò un attimo, prima di rivelarle ciò che avrebbe potuto salvare ulteriormente le sue speranze. Una sorta di possibile doppio strato di illusione. «L’ho visto abbastanza turbato quando ci ha visti insieme nel locale e …», anche se poteva ingannarla ulteriormente, ciò che stava dicendo poteva essere la verità. E se non fosse stato un abbaglio? «Specie quando è venuto all’Ilmol … era sconvolto, ma … questo non vuol dire nulla, sia ben chiaro. Se è la vita facile che vuole, potrebbe tentare di distruggere ciò che prova per te. E su quest’ottica, le cose non cambiano poi di molto, no?»
«Cambia.» Gemma non esitò un attimo a rispondere. «Perché vorrebbe dire che i sentimenti ci sono, finché quelli continuano a persistere ci si potrà sempre ritrovare. Se perde la strada io gli farò luce. Se vuole la vita facile, beh capirà che averla comporta dolore se questo mi preclude dal suo mondo. Se davvero mi ama ancora», deglutì, come per buttare giù un boccone amaro, « deve soffrire! Comprendere cosa sta perdendo.»
«E se l’avesse compreso fin dall’inizio?» Sollevò un quesito.
«Lo lascerò andare solo quando sarò certa che questo è ciò che vuole davvero il suo cuore.» Continuò a sostenere quell’incontro di sguardi seri. «Aiutami!» Ormai, come Mr Im desiderava, aveva fatto cadere ogni sorta di onorifico.
Il coreano sollevò quasi impercettibilmente un sopracciglio, riflettendo sul da farsi. Non sembrava però tanto sicuro di voler accettare la richiesta dell’italiana.
«Lo sai, non posso andare in cerca di un altro ragazzo per inscenare questa cosa.» Cercò di convincerlo. «Oltretutto non dopo che ci ha visti insieme per la seconda volta nel goshiwon.»
«Non mi piacciono questo tipo di cose.» Negò ogni consenso.
Il volto di Gemma si fece contrito. «Prendilo come un allenamento!» Suggerì, congiungendo poi le mani di fronte a lui. «Ti prego, ti prego! Eh? Eh?»
Song Rok si alzò brontolando. «Intanto riposa. Ne riparleremo domani mattina.»
«Questo vuol dire che ci penserai?» Chiese con un mezzo sorrisetto. «La notte da buoni consigli di solito.»
«Ne dubito. Notte.» E se ne andò nella sua stanza.
«Notte Mister Im!» Esclamò lei di rimando, sorridendo.
Poteva farcela, poteva convincerlo.

Manhi Deuseyo (많이 드세요) lo dicono i coreani quando offronto o preparano la cena ai commensali. Con il deuseyo (드세요) si ha un parlato onorifico alto. Di solito a questo i commensali che si appropiguano a consumare il pasto rispondono con un Jal meokkesseubnina (잘 먹겠습니다) "mangerò bene", come per ringraziare e a fine pasto di solito si dice Jal meokeosseubnida (잘 먹었습니다) "ho mangiato bene", per dire che si ha apprezzato.
2 Masisseoyo (맛있어요) ovvero "Mas" (
맛 pronuncia = ma-t-) sapore + "Isseoyo" (있어요 pronuncia = issoyo) c'è/esistenza, quindi c'è sapore, ovvero un'espressione per dire che si gradisce, che il cino è buono. 
3 Neukdaenam o Neukdae namja (늑대남 pronuncia = nukdenam oppure 늑대남자 nukdenamja -la u è un suono particolare, a denti stretti-) ovvero uomo lupo 늑대 neukdae "lupo" + 남자 namja "uomo". Appunto è un modo per definire gli uomini pericolosi che si approfittano specie delle donne, una sorta di "pervertito", anche se in coreano abbiamo una parola che si identifica meglio con il termide pervertito.


 
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17 Capitolo
 
 
 
 
Ancora spettinato, con i pantaloni grigio topo del pigiamo, nei quali erano stampati strane scimmiette sorridenti, Song Rok si spostò verso la cucina tranquillamente. Come ogni giorno della settimana, accese la macchina del caffè, rigorosamente all’americana, non sapendo che un ospite italiano sarebbe inorridito di fronte a quella tipologia di caffè.
Si spostò poi verso il soggiorno sorridendo alla cucciolina in trepidante attesa di carezze, con una faccia ancora piena di sonno. La cagnolina tentava di scavalcare la sua bassa cuccetta, che per lei però sembrava una torre insormontabile, rotolando sul pavimento come una pallina di pelo.
Si chinò per prenderla in braccio e poterla coccolare come si deve. Nel mentre, spostò lo sguardo non curante alla sua destra, vedendo un fagotto di entità umane sul suo divano. Spalancò gli occhi riportando alla mente la sera precedente: per un attimo si era seriamente dimenticato di avere ospiti. Sbatté le palpebre continuando ad osservare la bella spettinata, incerto sul da farsi. Il cervello stava lavorando ancora troppo lentamente. Fece il gesto di dare un occhio al suo stesso abbigliamento, felpa leggera e pigiama scimmiesco. Si schiarì la voce, senza però far troppo rumore, posò a terra il cagnetto e andò subito a cambiarsi.
Pantaloni ben stirati, di un bel tessuto liscio e dalla tonalit blu quasi violacea. Maglia bianca dalle maniche lunghe, con scollo castamente a v. Un lungo foulard blu ad impreziosire il tutto. Se doveva cambiare abiti, tanto valeva prepararsi in anticipo per uscire.
Selezionò qualcosa dal frigo e mise a cuocere delle uova, più un contorno di riso bollito, immancabile white kimchi e una zuppetta di alghe.  
Gemma sbadigliò come se non ci fosse un domani. Forse pensava di trovarsi nella sua stanza o a casa. Strabuzzò infatti gli occhi quando riconobbe l’ambiente estraneo. Si stropicciò il viso, sollevandosi. Vedendo il padrone di casa in cucina, chiese immediatamente: «Ci hai pensato?»
«Buongiorno!» La salutò in italiano. Questa volta senza marcare la erre.
La ragazza socchiuse gli occhi sospettosa. Stava evitando il discorso. Si alzò e andò verso il bagno per darsi una ripulita. Non le aveva mostrato dove fosse, ma durante la notte, quando il bisogno chiamò, andò personalmente alla ricerca della toilette, trovandola al primo colpo: se una porta conduceva nella camera da letto, l’altra doveva essere il bagno per forza.
Non ci mise molto e uscendo si sedette malamente sulla sedia di fronte a tutto quel ben di Dio, che però in quel momento non lo considerava affatto in quel modo. Visto che si trattava di una colazione, lo si doveva definire “Pesantezza” di Dio forse.
«Hai riflettuto stanotte?» Tentò di riporre la domanda.
«No. Ho dormito.» Si voltò in quel momento, posando la zuppa di alghe al centro del tavolo.
Gemma si appoggiò al tavolo, con le braccia congiunte. «Mi aiuterai, non è vero?» Lo puntò volontariamente con uno sguardo zuccheroso da far venire il diabete.
Lui si sedette, guardandola annoiato. «Ma che non sia una cosa lunga.»
Gemma sorrise sinceramente, una sorta di ringraziamento muto. «Stasera!» Annunciò poi.
Lui stava per porle le posate, quando si bloccò, sbattendole quasi sul tavolo. «Cosa? Non ho tempo per star dietro a queste cose oggi. Devo essere in teatro presto e poi-»
«Devi solo fingere come hai fatto l’altra volta.» Lo interruppe maleducatamente. «Non serve chissà che!» Si sollevò dal tavolo e dalla sedia. «Visto che hai fretta, io ora vado.»
«E la colazione?» Chiese lui con espressione simile all’offesa, osservando la ragazza che si stava allontanando.
«Non mangio corano di prima mattina, io!» Spiegò mentre indossava le scarpe. «Mr Im, ci vediamo in quello stesso locale della prima volta alle dieci, okay?» Ed uscì senza nemmeno attendere la risposta, per paura di un suo rifiuto.
Song Rok dal canto suo non pronunciò una singola parola. Prese il cucchiaio e cominciò a consumare il pasto che aveva preparato solo per cortesia verso l’ospite, dato che era solito rifocillarsi solo di caffè alla mattina.
 
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Impeccabile come sempre. Senza cravatta, ma con un fazzoletto ben piegato all’occhiello. Completo scuro con un leggero cenno di mimetica, maglietta bianca sotto. Pettinato allo stesso modo, capello scuro dalla frangia spostata di lato, in modo da mettere in evidenza la fronte spaziosa.
Fermandosi di fronte alla giovane donna ne osservò a sua volta l’abbigliamento: un paio di pantaloni neri di finta pelle e una tunica attillata, dalle maniche a pipistrello. Capelli raccolti in uno chignon basso. Rossetto rosso corallo, ma solamente il mascara a completare il trucco agli occhi.
«Bene.» Esclamò lui appiattendo le labbra, in un’espressione di attesa piuttosto buffa. «Are you ready?»
«Not much.» Ribatté a sua volta in lingua inglese.
A quel punto Song Rok gli mostrò il braccio, per incoraggiarla ad afferrarlo. Gemma così lo osservò per un po’, indecisa. Alla fine, sospirando, allungò la mano afferrando quella dell’uomo di fronte a sé, che sembrò sorpreso. La ragazza alzò lo sguardo, incrociando quegli occhi a mandorla dubbiosi. Ma spostò l’attenzione immediatamente, schiarendosi la gola con un suono gutturale. Sentiva lo stretto contatto della sua pelle, non serviva mantenere anche quello visivo. Addirittura le sembrava di essere quasi intrappolata da quelle dita che la stavano stringendo. Una mano bella grande avvolgeva la sua più minuta, con una presa immensamente salda.
Song Rok invece continuò a fissarla, nonostante si sentisse fuori luogo a sua volta. «D’accordo!» Affermò trattenendo un mezzo sorriso e incamminandosi verso il locale, di fronte a loro.
Song Rok lo individuò subito, mentre l’uno vicino all’altra, ancora per mano, scendevano le scale. Dunque si chinò appena per sussurrarle all’orecchio: «Faresti bene a guardare alla tua destra.»
Ma Gemma, muovendo il capo, aveva già automaticamente puntato la suddetta zona, vedendo Jin Yon U di fronte ad un tavolo di sole donne. Tre belle ragazze coreane, vestite chi con abiti appariscenti, chi più casual. Stavano ridendo e sicuramente scherzando con il giovane barista.
Senza accorgersene, Gemma si ritrovò ormai al tavolo. Ancora aggrappata all’attore, il suo “bastone”, senza il quale avrebbe continuato a camminare con non curanza, guardando altrove, sicuramente e inevitabilmente finendo per andare a sbattere addosso a qualcosa. Si sedette, quando qualcuno le scostò la sedia, facendola accomodare gentilmente. Ma lei non aveva sguardi che per Yon U e quelle donne che se la ridevano, arrossendo, probabilmente provandoci spudoratamente con lui.
Sentì una stretta al cuore e non curandosi nemmeno del suo make up, si morse il labbro inferiore, stringendo con i denti. La gelosia stava divampando sempre di più.
A placarla ci pensò l’uomo che lei stava involontariamente ignorando: improvvisamente si ritrovò circondata da delle braccia sconosciute. Una le cinse la schiena e le toccò il braccio appena sotto alla spalla, l’altra rimase appoggiata comodamente sul tavolino, ma si protese per chiudere la “bella distratta”, in un cerchio quasi perfetto. Gemma si voltò verso quella persona, trovando il suo volto non molto distante.
A quel punto posò una mano sul suo petto, « siamo troppo vicini! Spostati!»
Lui invece fece l’esatto contrario. «Questa volta, Gemma-sshi, che ne dice di recitare bene?» Domandò, facendole appena avvertire il suo respiro caldo e continuando a fissare quei suoi occhi grigi. «Non soffermarti a guardarlo troppo.» Spostò lo sguardo per controllare il giovane barista e sorrise minimamente vedendo che Jin Yon U si stava per voltare.
E così avvenne: si girò verso il bancone, trovandosi due nuovi clienti in uno dei tavoli vicino all’entrata. Ma senza quasi battere ciglio si avvicinò per prendere le loro ordinazioni.
Quando gli fu di fronte, Son Rok lasciò la presa sulla ragazza, che forse era divenuta troppo soffocante. Si accomodò meglio sulla sedia, senza però staccare il contatto fisico con lei. Gemma invece tenne lo sguardo basso. Come aveva detto lui: non lo avrebbe degnato di uno sguardo.
«Cosa prendente?» Chiese Yon U.
Mr Im invece alzò eccome la testa. «Portami un cognac e un vino dolce per la mia ragazza.» Con quella frase voleva forse marcare una certa posizione, sottolineare quello che forse era ancora un sospetto per Jin Yon U.
E quando il ragazzo li lasciò per andare verso il bancone, Song Rok prese la mano di Gemma, accarezzandola appena. La ragazza, perplessa, osservò i suoi movimenti e  quelle grandi mani, dalle vene appena accennate sul dorso. Sgranò gli occhi quando si portò la sua mano sul viso, cominciando a sfiorarla con le labbra.
«Non ti ho detto di nasconderti. Sollevalo il viso quando è qua, oppure potrebbe pensare che provi una sorta di vergogna.» Spiegò, attirando la sua attenzione sollevando le sopracciglia e spalancando gli occhi di un nocciola scuro. «Sii più convincente … tesoro!» Quella parola la sibilò, pronunciandola a denti stretti, per poi indossare una maschera da sbruffone.
«Quando fai quella faccia ti picchierei volentieri!» Confessò, lasciandolo allibito. Avrebbe voluto ritirare immediatamente l’arto, ma il barista stava per tornare con i loro drink, non poteva rischiare di rovinare tutto. E costui, mentre posava i bicchieri, abbozzò una conversazione:
«E quindi è sicuro … sei il suo ragazzo.»
«Sì, è così.» Rispose con sicurezza.
Yon U drizzò la schiena, fissando quella persona con  una vena provocatoria nello sguardo: «E lo sai che io sono il suo ex?»
Song Rok fece un breve broncio, di quelli infantili e ironici. «Non indago mai sul passato della mia donna.» Misurò bene le parole da pronunciare.
Jin Yon U annuì. «Per lo meno sembri a posto.»
«Di sicuro sono più affidabile di te.» Ribatté con un colpo di frusta. «Se è questo ciò che intendi.» Quella scoccata, poteva annunciare l’inizio di una sfida tra i due, che si riscontrava anche nello sguardo.
Anche il più giovane dei due assunse un’espressione di sfottò. «E da quanto state insieme?»
Song Rok ebbe un leggero tentennamento, muovendo nervosamente l’arcata sopraccigliare di sinistra, ma tanto rapidamente da non far scorgere nulla al ragazzo. Abbassò di lato lo sguardo verso la partner, ripromettendosi di non darle più retta da quel momento in avanti: “non serviva prepararsi” diceva, “devi fare come l’altra volta” diceva. La preparazione era tutto, specie se bisognava fare una recita convincente. Senza copione si improvvisava, sperava solo che lei non si intromettesse rovinando ogni tentativo di mantenere credibile la storia.
Sospirò, ma uno di quei sospiri fatti col sorriso. Una risata, un sogghigno lieve. «Credo proprio da quando tu l’hai lasciata.» Fece roteare gli occhi, che tornarono così nuovamente incollati sul giovanotto davanti. Di cui ora poteva osservarne il volto contrito. «Quindi immagino di doverti ringraziare.»
«Cosa?» Jin Yon U fissò Gemma, incredulo.
«Ci siamo conosciuti via internet e poi una cosa tira l’altra … » Continuò a raccontare il nuovo fidanzato.
«Hai voltato subito pagina?»
Gemma assunse uno sguardo severo sul volto, affrontando quello deluso del suo ex. «E tu? Non hai fatto lo stesso?»
«Certo che no! Tutt’ora …» Quella sicurezza iniziale, quasi urlata, si perse per strada. Visibilmente arrabbiato le voltò le spalle e cercò di andarsene, ma la ragazza non glielo permise: si alzò immediatamente, rincorrendolo. Gli afferrò il braccio inducendolo a fermarsi e continuare quella conversazione.
«Cosa stavi per dire prima? Tutt’ora cosa?» Domandò con voce agitata. «Mi hai lasciata e qualche giorno fa hai detto che è davvero finita, allora perché ora sembri dire il contrario?» La rabbia premeva dallo stomaco e chiedeva di risalire, per essere liberata. «Pensi che io sia una bambola da girare rigirare? O pensi di essere te stesso un bambolotto al quale spegnere i sentimenti? Se mi ami ancora torna! Hai sbagliato, bene! Si può sempre rimediare!»
Anche Yon U prese coraggio. «Se anche fosse, hai già voltato pagina, no?»
«Ah! Capisco!» Esclamò sempre più furiosa. «Prima che non avevo nessuno e proclamavo il mio amore per te non andava bene, ora che mi vedi con un altro ti è tornato in mente che forse ti senti geloso e infastidito della cosa, perciò mi ami ancora?»
«Ti sbagli.» Le parlò sopra. «Non sono quel tipo di uomo e lo sai.»
«Potrei dire di sì! Sì, in teoria non sei quel tipo di uomo Yon U, eppure è questo che stai dimostrando e … e io non so più cosa pensare di te!» Gli animi cominciarono così a placarsi. Si guardarono entrambi attorno, senza dare nell’occhio, non quanto avessero fatto fino a poco fa.
Il ragazzo sospirò, « lasciamo stare. La cosa importante è che tu abbia voltato pagina.» Catturò in quel modo gli occhi di “cristallo antico”, come li aveva sempre definiti lui, del suo passato amore. Specchi ricchi di indecisione e sospensione. «Perché lo hai fatto … vero Gemma?» Chiese una conferma.
Mr Im era rimasto tutto il tempo in disparte, lasciando ai due lo spazio di cui avevano bisogno, stando però in allerta di un possibile passo falso della ragazza.
Ed eccolo! Quella risposta che non arrivava, quella sua maledetta indecisione …
Si alzò velocemente, camminando sicuro verso di loro. Si chinò appena per afferrare il polso della ragazza, per costringerla a voltarsi con un movimento del braccio. Attirò a sé Gemma, accarezzandole dolcemente una guancia con la mano libera. Avvicinò il volto a quello della giovane, premendo appena le labbra contro le sue. Voleva essere un gesto piuttosto casto, ma sempre e comunque una sorta di marcatura del territorio. Sottolineare ad un altro maschio che Gemma Brizzi era in suo “possesso”. Un gesto estremo, causato dall’estrema indecisione della ragazza.
Jin Yon U spalancò gli occhi a mandorla e i muscoli facciali ebbero dei piccoli spasmi. Trattenne il furore che avvertiva, stringendo i pugni forte. Avrebbe voluto fermare quella scena, dividere quei due. Ma alla fine optò come sempre per la ritirata. Lasciò la sala, andando a rintanarsi in cucina.
Gemma si trovò in uno stato di completa stato confusionale, non sapeva bene come comportarsi. In verità non riusciva nemmeno a riflettere decentemente. Quello non era un bacio, ma un colpo ben sferrato dritto in faccia. Come se l’avesse realmente ferita, colpita, si era paralizzata, in preda al panico.
Song Rok si ritirò per prima, comprendendo di aver raggiunto il suo obbiettivo. Non aveva pensato alla reazione dell’ex fidanzato, ma sperava che fosse talmente coniglio da rinunciare, come aveva fatto fino a quel momento. Tristemente osservò il viso della donna davanti a sé, sfiorandole di nuovo la guancia delicatamente con il pollice. Ora le faceva davvero un po’ pena, perché evidentemente il grande amore che lei voleva riconquistare in verità si era davvero affievolito nel tempo, scomparendo quasi del tutto.
Gemma dal canto suo notò solo in quell’istante l’assenza di Yon U, ma aveva altro di cui preoccuparsi. Se fino a quel momento poteva tornare indietro, cambiare idea prima che fosse troppo tardi, confessare i suoi peccati e i suoi reali sentimenti a quella persona, ora non poteva più farlo. Ora Jin Yon U aveva la prova che la sua ex ragazza stava con un altro uomo.
Uscì in fretta, senza nemmeno destare uno sguardo al colpevole, nemmeno per un solo secondo.
Son Rok alzò gli occhi al cielo, brontolando: «Lascia sempre da pagare.» Tirando fuori dal portafoglio la sua carta di credito.
 
Dopo aver pagato al banco, corse fuori dalla fuggiasca. Era ormai troppo tardi per prendere la metro, l’unica era confidare in un qualche bus. 
Gemma non sarebbe potuta andare tanto lontano, eppure non era in quella via e nemmeno in quella dopo ancora. Tornò indietro verso il locale, sperando che non fosse corsa in zone poco conosciute. Era maggiorenne e vaccinata, se fosse stata una coreana non se ne sarebbe preoccupato così tanto. Non era per via della scarsa sicurezza, una straniera era al sicuro nella capitale quanto una del posto, il problema era l’orientamento. Gli abitanti di Seoul stessi spesso e volentieri si perdevano, figurarsi un forestiero. E poi nella capitale gli ubriachi brulicavano, specie in quella zona ricca di Bar e Pub.
Aveva corso per qualche metro, tornando indietro e controllando le vie adiacenti, finché non la trovò in una di queste. Un primo vicoletto chiuso vicino al pub da dove erano usciti. Lo sguardo furente, non aveva lacrime agli occhi e nemmeno significativi segni sulle guance.
«Sei qui.» Disse avvicinandosi. Si bloccò quando la ragazza avanzò a sua volta, tenendo la stessa identica espressione di rabbia. «Cosa c’è?» Domandò, preoccupato che quell’ira si scagliasse di lì a poco contro di lui.
L’avvicinamento fu rapido, per poter sferrare il primo “attacco”. Uno schiaffò alquanto debole, vista la carica che sembrava aver accumulato. Song Rok rimase comunque allibito, toccandosi la parte del volto colpita, esclamando un “ai” poco convinto. Gemma fece un gran respiro, prima di cominciare a colpirlo a caso e ancora e ancora.
«Basta! Fermati!» Cercava di bloccarla, ma un colpo al fianco deciso lo indusse ad alzare la voce: «Ya!! Sei impazzita?»
«Non avevi il diritto di farlo!» Urlò lei, fermandosi e fissandolo ancora con astio. «Quel … quel … bacio!» Quasi non riusciva a pronunciare la parola. Im Song Rok era passato dall’antipatia alla simpatia in poco tempo, ma sempre velocemente era tornato ad assumere sembianze nemiche.
Il presunte colpevole alzò le mani in segno di resa. «Scusa. E’ vero. Ma stavi cedendo, volevi questo? Volevi arrenderti e mandare all’aria il tuo piano?» Cercò di farla ragione e sembrò riuscirci, perché l’espressione di Gemma cambiò, divenne più riflessiva.
«Forse.» Confessò alla fine, in un lieve sussurro, come se le dolesse ammetterlo.
Song Rok sospirò abbassando le braccia. «Allora dovevi dirmelo fin dall’inizio. “Abbandonami! Lascia che torni da quell’uomo, che molto probabilmente mi ferirà ancora e ancora”.»
«Tu non puoi saperlo questo.» Obbiettò.
«Potrei sbagliarmi, è vero.» Concordò lui. «Ma è una reale possibilità.» La fissò dritta negli occhi senza un cenno di insicurezza. Quelle iridi grigio fumo invece dimostravano solo titubanza e confusione. «Si sta ripetendo la storia dell’altra volta!» Esclamò con tono stanco. «Ti chiedo scusa, okay? Ma dobbiamo seriamente parlare delle “clausole”, se vuoi continuare questa pantomima. Io non ho fatto nulla di male se vai a vedere, semplicemente ho dovuto improvvisare un’altra volta.»
«Quando improvvisi non mi piace.» Annuì lei, tenendo ancora corrucciata la fronte.
«Appunto! Dammi un ruolo e un copione allora.» Allargò le braccia, facendo oscillare il capo. «In senso figurato logicamente.» Sottolineò.
Gemma cominciò a rilassare i nervi, i muscoli. Per quella sera era meglio concludere così e dimenticare. «Va bene. Ne riparliamo domani.» Si incamminò a caso, senza sapere davvero dove si stesse recando.
Im Song Rok però la seguì. «Ti accompagno al goshiwon.»



 
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Capitolo 10
*** CAPITOLO 18° & 19° ***


18 Capitolo
 
 
 
 
Distesi a terra, sopra le ibeul, le classiche coperte coreane che fanno da “materassino”, dividendo il corpo dal pavimento, due giovani stavano contemplando le loro mani, sollevate verso l’alto ed intrecciavano le loro dita. Una sensazione malinconica, già vissuta in passato. Famigliare quanto il latte caldo o il profumo del caffè la mattina o la fragranza del pane appena sfornato la domenica, passando per la piazza del paese.
La stanza era piccola, ma ben illuminata, non vi erano molti mobili se non una scrivania armadio, una sedia e un appendi abiti. Dalla finestra la luce entrava imponente, rendendo l’ambiente candido quanto il risveglio in una domenica primaverile. Ma quella sua purezza, sottolineava anche la sua astrazione.
Delle belle mani, maschili e poco più grandi delle sue, l’abbracciavano. Anche se non poteva vedere in faccia la persona che stava al suo fianco, sapeva a chi appartenevano quelle dita affusolate e quel dorso, che nonostante appartenesse ad un uomo appariva quasi delicato. Non serviva controllare se vi fosse davvero, avvertiva la sua presenza. Solo lui poteva farle provare tanta serenità e famigliarità anche solo rimanendole silenziosamente accanto. Crogiolandosi entrambi in un temperato pomeriggio, l’una accanto all’altro.
La mano lasciò la presa e improvvisamente il dolce focolare si spense. La luce aumentò, come se qualcuno avesse regolato male la luminosità di una lampadina, accecando i presenti in quella stanza. Poté difendersi dal raggelante flash solo con un braccio. Anche la temperatura calò: in tono con l’improvviso cambiamento del colore, comparve un freddo fastidioso. In quel momento, più di prima, aveva bisogno di lui e del tepore che poteva ricavare dal suo corpo. Una stretta, sentiva che sarebbe bastato anche solo un suo tocco, di nuovo, per riportare la primavere in quel luogo.
Sollevò la schiena. Sebbene non riuscisse a vedere molto, non si sentiva più nello stesso luogo, avvertiva altri cambiamenti oltre a quelli che poteva malamente osservare. Non si trovava più in quella camera da letto dunque, ma non riusciva a distinguere ciò che aveva di fronte. Posando però la mano sul terreno, aveva potuto avvertire una sensazione di soffici coltre. Guardò sotto di lei, scoprendosi seduta su un letto che prima non c’era.
Sospirò e quella sua lieve brezza spinse il gelo fuori, lasciando che la temperatura tornasse mite. La luce stessa cedette, diminuì la potenza. Ma tutto appariva in egual modo poco definito, come se ormai quei suoi occhi avessero subito forti lesioni. E come per magia, tornò qualcuno al suo fianco.
Yon U … lo chiamò nella sua mente. Una strana sensazione, uno strano sentore tornò ad infonderle sicurezza. Non vedeva chiaramente il volto del giovane, ma non poteva che essere la sua presenza a confortarla così tanto. Quando i suoi occhi cominciarono a mettere lentamente a fuoco, trovò invece una triste realtà ad attenderla.
Strani sogni, di quelli da cui non vorresti svegliarti, ma per stanchezza più che per la bellezza delle immagini. Sapere che il risveglio potrebbe essere anche peggiore di quel che stai vivendo nel mondo di Morfeo, non è confortante, e così preferisci vivere un mezzo sogno d’Estate. A volte si preferisce l’incubo rispetto ad un confronto con il mondo reale.
Alla fine non stava male. Quel senso di mancanza era scomparso, anche se lo aveva avvertito di nuovo, per un momento. Ora stava meglio e non le sarebbe dispiaciuto restare in quel limbo, dove era permesso avvertire le emozioni solo tenuamente. Era preferibile al provare forti tormenti. Ma a spingerla a continuare quel cammino offuscato, vi era anche la curiosità. Voleva comprendere chi era quell’uomo, vedere in faccia colui che indossava una camicia bianca, leggermente sbottonata, immerso nella luce del mattino. Se pur lo stesse fissando da un po’, non riusciva a comprendere la sua entità, non vedendo il volto, come se i suoi occhi non potessero far altro che guardare di fronte a sé, da quell’esatta altezza. Osservarne solo il mento e un leggero accenno di labbra sorridenti.
Uno strano rumore la destò. Si svegliò di colpo portando il lenzuolo al petto, per coprirsi. Con sguardo imbronciato fissò la sua stanza. Tutto combaciava, era di nuovo tornata nel goshiwon.
«Eravamo qui.» Sussurrò con voce impastata.
Riconobbe lo sfondo del sogno: lei era proprio in quella stanza con la persona che le sorrideva.
«Tanto era un sogno.» Brontolò, ma la malinconica sensazione che avvertiva era più reale che mai. Questa volta non c’entrava niente l’uomo misterioso, ma il precedente scenario e la persona che, distesa accanto, le aveva stretto la mano. Yon U, era sicura che fosse lui. Non aveva visto il suo volto, ma era certa di aver avvertito la sua “anima”. Quella consapevolezza si infilava nel suo petto infilzandole il cuore, come se fosse composta da tanti piccoli e infimi aghi, che non possono di certo ucciderti, ma nuocere in qualche modo sì.
Risvegliarsi da un sogno bellissimo, dove si è nuovamente molto vicini alla persona per la quale si prova ancora amore, ma dalla quale ormai si è divisi. Una sensazione sbagliata, disperata, orribile. Quella cosa viscida che striscia dentro all’essere, toccando tutti i tasti dell’anima, è chiamata mancanza. Ed è capace di creare un piccolo foro nel cuore, un buchetto nero che ben presto si allargherà, ampliandosi al petto, cercando poi di risucchiare l’intero corpo. Se non lo si richiude, si rischia di farsi annientare.
Gemma si massaggiò la parte sinistra del petto, proprio nel punto in cui batte l’organo più importante. Sospirò, non riuscendo a rilassare la fronte, contratta in una piega preoccupata e quasi dolorante.
Qualcuno ritornò a bussare alla porta. Girò il capo verso l’uscio perplessa, «Ma chi …» fissò l’orologio alla parete: 8:30. Si alzò di malavoglia, controllando di non indossare qualcosa di sconveniente. Una semplice tuta non si poteva reputare un abito decente, specie se sgualcita dalla nottata passata a rigirarsi nel letto, ma non si trattava nemmeno di una sottoveste.
Aprendo si ritrovò davanti l’insospettabile. Cosa poteva volere il proprietario del posto da un ospite? Erano scoppiate le tubature? C’era un’urgenza tipo derattizzazione, per cui dovevano uscire tutti immediatamente? O un incendio? Perdita di gas?
Costui sollevò dei contenitori di plastica, mostrando i bicchieri di cartone dell’Edya Cofee1. Si chiese seriamente cosa ci facesse il sajangnim davanti alla sua camera, per di più a quell’ora e con del caffè apparentemente in offerta.
«Sei mattiniero.»
«Non è troppo presto, dobbiamo organizzarci e ho portato la colazione.» Le sorrise, anche se in un gesto di circostanza. Quella donna, in fin dei conti, non era un ospite come tanti. Il rapporto che c’era tra i due non poteva averlo con nessun altro del posto, anzi si sarebbe ben assicurato di non finire mai più in situazioni simili. Non avrebbe mai più stilato un patto con la clientela, o almeno non al di fuori del suo ambiente lavorativo.
La ragazza spalancò la porta, tornando all’interno e lasciando che anche lui entrasse. «Mi sono appena svegliata. Non mi sono nemmeno lavata la faccia, figuriamoci i denti.» Avvisò il mal capitato dei rischi che incombeva mettendo piede in quell’antro di privacy. Sedendosi poi pesantemente sul materasso.
La osservò brevemente. In effetti il volto aveva ancora una leggera piega di sonno. «Come hai dormito?»
«Pensando.» Fu breve. Lui sollevò le sopracciglia, come per spronarla a raccontare di più, ma non poteva costringerla a sputare il rospo. Inoltre non sembrava aver voglia di rivangare il sogno fatto quella mattina, anche se Gemma sapeva che il modo migliore per cancellare dalla sua mente l’ombra di alcuni sogni dolorosi, era proprio quella di sfogarsi con qualcuno. Come quando si va dallo psicologo e si espone un complesso, o dal prete per un peccato. Anche se a ben riflettere, è assurdo: come fai a sentirti meglio confessando un peccato ad uno sconosciuto che qualcuno ha nominato portatore della voce di un Dio, che fino a prova contraria esiste a seconda della fede dei singoli pensatori?
Gemma sospirò. «Non lo capisco e … sto per terminare le energie.» Decise allora di liberarsi di una piccola parte di ciò che stava accumulando in una sorta di sacco enormemente pesante. Quella cosa premeva sul suo corpo e temeva che prima o poi l’avrebbe schiacciata.
Song Rok le passò uno dei bicchieri, «Questo ti aiuterà.» lei lo afferrò senza farselo ripetere due volte, invogliata anche dal calore rilassante che avvertiva e che prontamente le inondò il palmo della mano. «Dobbiamo pattuire un po’ di cose e sono qui per questo.» Si sedette al suo fianco, non avendo altri posti dove accomodarsi. «La tariffa, i metodi del pagamento …»
Stava per bere dal beccuccio, quando si bloccò: «Devo pagarti?» Lo sguardo del giovane uomo era pieno di un’ovvietà fastidiosa. «Okay, a conti fatti credo sia giusto, ma ciò che mi preme veramente  … metodo? Cosa intendi per metodo?»
«In natura o …» Per un attimo rimasero in completo silenzio, scrutandosi a vicenda. Espressioni di apatia, prive di vita. Poi Im Song Rok si lasciò andare ad una breve risata trattenuta. «Logicamente sto scherzando! Ma, davvero! Dobbiamo chiarire alcune cose.»
«Non è divertente.» Ma alla fine dovette ammettere che, con quella battuta, il direttore era riuscito a distrarla brevemente dai suoi pensieri e dai postumi di quel pessimo risveglio. Gemma assaggiò finalmente la sua colazione. «Caffelatte? …» Allontanò il bicchiere, osservandolo come se il contenitore fosse trasparente e lei potesse vederne l’interno. «E tu cos’hai?»
«Latte macchiato.»
Lo guardò con aria di sufficienza. «Ovvero caffelatte.»
«No. E’ diverso.» Ribatté tranquillamente lui.
«Caffellatte è caffè più il latte. Latte macchiato è latte più il caffè.»
«Sì, ma … In teoria nel latte macchiato c’è meno caffè rispetto al caffellatte. Che dovrebbe avere una quantità uguale di … », fece scemare il discorso, «insomma! Tu dovresti saperlo meglio di me, visto che sei italiana!» Concluse nervosamente.
«Alla fine è praticamente uguale.» Annuì lei, decidendo come finire quel discorso.
«Non è vero! Non … Non farò a gara a chi ha più ragione.» E così concluse davvero quel frivolo battibecco.
Gemma scrollò la testa. «Allora! Veniamo al punto», era giunto il momento di concentrarsi e per questo poteva ringraziare il cielo: distrazioni, le servivano proprio delle distrazioni e quell’individuo dall’indubbia simpatia era forse comparso proprio nel momento migliore. «Ti è vietato … baciarmi, immagino che questo tu lo abbia già capito.»
Lui annuì solennemente. « E per quanto riguarda il tocco? Cosa posso o non posso toccare?»
L’espressione indignata di Gemma doveva allarmarlo ben prima che la giovane esclamasse: «Stai scherzando!»
«No, ma non fraintendermi.» Bevve un sorso del suo latte macchiato. Nel farlo sembrò fermarsi un momento, per assaporarlo per bene. «Ad esempio, se ti abbracciassi davanti a lui?» La ragazza, semplicemente, annuì in segno di approvazione. «Se ti cingo le spalle?» Altro consenso da parte sua. Inutile usare le parole, meglio gustarsi il calore del caffè e  lasciarlo esporre gli esempi. «Non credo si possa e voglia, debba fare altro. Però, se mi chiedesse qualcosa di te io non saprei rispondere.»
Finalmente catturò la sua attenzione. Gemma sollevò lo sguardo dal suo momento di dolcezza al lattosio. Aveva sollevato un problema importante, ma allo stesso tempo passabile: ci stavano entrambi pensando, quando lei si staccò dal bicchiere, per elencare alcune cose di sé stessa, ma lui la precedette:
«A parte il fatto che ti piacciono gli animali, dici di non reggere l’alcool, ma per lo meno non ti ubriachi con un bicchiere. Sei parecchio intelligente, o almeno lo si deduce dal fatto che sei arrivata da sola a questi livelli della lingua. E poi sembra proprio che ti butti a capofitto nelle relazioni, se per ben quattro anni non hai mai mollato la presa. Dunque posso dire che, per quanto ne so io, non ti arrendi facilmente e sei abbastanza decisa …. Anche se a volte questo forse rema un po’ contro te stessa, forse?» Cosa volesse davvero dire con quell’ultima supposizione, Gemma se lo comprese, finse di non capire.
Si fissarono per un istante troppo lungo. Sentendo affiorare un leggero imbarazzo, la donna abbassò per prima quel contatto.
«Però non so altro … Insomma, cosa facevi nel tuo paese, come si chiamano i tuoi genitori, e i tuoi progetti futuri? Ah, dimenticavo! Mi è venuto in mente che puoi apparire molto fredda o scontrosa, non so se la tua difensiva la sollevi solo con il sesso forte o anche con quello debole, e questo mi porta a chiedere: i tuoi ex? Un buon osservatore potrebbe pensare che tu abbia avuto altri strappazzamenti di cuore in passato. Non che mi interessi, quindi torniamo al fatto che, ad ogni modo, sembra si tratti appunto di un’armatura. Perché in verità sai essere molto gentile e matura. Forse non sempre dimostri la tua età, oltre di aspetto anche interiormente voglio dire … ma in fin dei conti hai la testa sulle spalle. Non sei la persona più elegante del mondo, ma quando vuoi sai far emergere il fascino che è in te, mostrando agli altri una vera donna. Forse hai poca fiducia in te e per questo non osi quanto dovresti, ma credo che tu possa far girare la testa ad un uomo con uno schiocco di dita se lo volessi. Specie in Corea. Almeno … così … credo. Potrei sbagliarmi però.» Concluse finalmente, con una strana ombra confusa nel volto.
Lo sguardo divenne ancora una volta pesante, troppo faticoso da reggere. Presero ad osservare entrambi la stanza con fare vago. Gemma si schiarì la voce. «Beh, quel che hai esposto non è poco. Voglio dire, per uno che non mi conosce affatto.»
«Appunto per quello potrei cadere in errore, forse sono stato un tantino troppo buono? In fondo ho solo espresso delle ipotesi sulla base di una blanda osservazione» alzò le spalle in un gesto spensierato, ma questo non cancellò il leggero disagio che ancora si avvertiva. Quella stanza forse stava cominciando a divenire troppo stretta e soffocante.
Improvvisamente qualcuno brontolò, tagliando di netto l’atmosfera appesantita. Non si trattava di uno dei presenti, non proprio. Gemma abbassò subito lo sguardo su se stessa. La sua pancia aveva parlato, dando modo di cambiare argomento e sfuggire dalla situazione divenuta scomoda. «Merda!» esclamò, poco elegantemente, sollevando lo sguardo verso il direttore, «qualche volta dico parolacce» ammise con sguardo colpevole.
Lui la fissò con superficialità, «questo mi era sfuggito.» Si alzò dal materasso in quel momento. «Non ho portato nulla da mettere sotto i denti.»
«E quello non è sfuggito a me!» Ribatté seguendo il clima ironico che si stava instaurando.
Song Rok allargò le braccia, per poi richiuderle malamente, schiaffando leggermente le mani sulle cosce. «Allora che ne dici di andare da Dunkin’ dognuts?2»
Anche Gemma si alzò. «Sì! Voglio una mega ciambella!»
 
****
 
Le parenti di un fastidioso giallino, i mobili color cioccolato e panna acida, quasi un arancio, forse a voler ricordare la glassa spalmata sopra le famose ciambelle che molti amavano. Ma nonostante fossero toni prevalenti, l’aria era comunque arricchita da altri tanti colori, rendendo il posto un’arlecchino vivace. In effetti ad abbellire il tutto ci pensavano gli stessi prodotti pittoreschi e invitanti offerti dalla catena di origine americana. Al Dunkin’ dognuts meglio che non entrarci se si ha problemi di diabete o glicemia: strani fiorellini creati dall’unione di piccole palline di pastella, vuote, unite in cerchio, con glassa verde e strisce bianche, palloni cioccolatosi, enormi quanto bocce da spiaggia, per non parlare delle classiche ciambellone alla Homer Simpson, tutte ricoperte di cioccolato o parzialmente e granelli di zucchero da far invidia a Maho no idol Pastel Yumi3 per l’acceso colore e dolci dalla forma di teneri animaletti glassati di rosa e azzurro, ripieni di altra crema.
«Certo che ne hanno di fantasia», sussurrò Gemma scegliendo tra la varietà di squisitezze.
Song Rok le era accanto con il vassoio e la pinza. Al Dunkin dognuts, come molte backery di Seoul, ci si serve da soli. Si ha diverse postazioni e vetrinette da osservare, per poter scegliere il prodotto e solo una volta deciso ci si deve spostare alla cassa per il pagamento. «Io … prendo …», allungò le vocali parlando, oltre al braccio per poter pinzare la sua scelta. «Questo!», una strana ciambella senza buco, a forma di facciona da koala. Granelli di zucchero bianchi e solo un po’ di glassa al cioccolato sul naso, per marcare i lineamenti del classico animale australiano, che in tema Seouliano c’entrava quanto il soju in Svizzera.
Si era anche un tantino curvato per poter osservare bene i vari prodotti. Le vetrine erano a quattro piani e l’ultimo di questi non superava in altezza il giovane direttore, quindi il mobile in sé non doveva essere più alto del metro e ottantacinque. Song Rok drizzò la schiena e attese pazientemente. All’appello, mancava solo lei, che non si era ancora decisa. Aveva una gran voglia di zucchero e lo aveva pure affermato: “voglio una mega ciambella”. Eppure, una volta giunta lì, come al solito fu colta alla sprovvista dalla varietà di ciabellone e ciambelline presenti. Per non parlare del salato: toast, panini, ancora ciambelle ma salate.
Era piegata in avanti di poco, per osservare il piano più basso, con il volto fin troppo vicino alla teca di vetro. Sbuffò, mettendo un finto broncio. «Farò la solita scelta» disse tra sé e sé, ma ad alta voce. Girò il capo verso il suo accompagnatore, indicando una semplice ciambella dalla glassa di cioccolato e i granelli di zucchero multicolor. Succedeva sempre così: quando Gemma Brizzi entrava in un Dunkin’ dognuts, tra le tante scelte finiva per far cadere la decisione sulla classicità.
Im Song Rok fece un mezzo sorriso, senza trapelare quello che stava pensando e silenziosamente si allungò per afferrare la sua consumazione. Lei lo aiutò aprendo e chiudendo la vetrina, per poi seguirlo al bancone, dove ordinarono da bere due ice tea al limone. Erano fermi in attesa, che sapevano non sarebbe durata molto. Lui guardò la donna al suo fianco, con uno strano silenzio, poco dopo domandò: «Una scelta sicura o cosa?» Lei sollevò il volto dalla sua parte. Dopotutto non si poteva certo definire un’altezza imponente la sua, specie confronto ad alcune valchirie coreane, con o senza l’aiuto dei tacchi. Anzi, anche nel suo stesso paese sarebbe stata ritenuta piccolina, se non nella norma d’altezza femminile. «Perché hai fatto questa scelta?» Chiese indicando con il capo ciò che si trovava nel vassoio.
Gemma osservò quei fazzolettini, dove avevano posato le pietanze. «La ciambella?» Spalancò gli occhi perplessa, «cos’è? Vuoi psicanalizzarmi per aver scelto quel tipo di dolce rispetto ad un altro?» Domandò sulla difensiva. «E’ solo una ciambella.» Spostò l’attenzione verso la commessa, che in quel momento passò loro il tea. «Quando vengo qui non so mai cosa scegliere. Quindi mi ritrovo spesso a optare per i gusti che conosco.»
Song Rok afferrò il vassoio e si spostarono insieme verso i tavolini. «Vai sul sicuro insomma. Non vuoi rischiare e provare qualche altro nuovo sapore?»
Si attirò uno sguardo fulminio e infastidito, «non cominciare. E’ solo una stupida ciambella», guardò i dolci incriminati in quel momento, «e allora tu? Perché il koala? Cos’ha di così speciale il koala? Hai affinità con i koala? Oppure … » Improvvisamente qualcosa le balenò nel cervello, una sorta di idea bizzarra. Proprio come se fosse una scrittrice in piena ispirazione, espose la sua ipotesi: «Cosa ti viene in mente quando vedi i koala? L’Australia!» Schioccò le dita. «Hai avuto una passata storia con un’australiana e il koala ti rimembra lei.» Disse con fare impaziente.
Song Rok si fermò nell’immediato, fissandola con uno sguardo preoccupato. «Non puoi essere seria … », non era convinzione la sua, ma una richiesta di conferma.
Gemma sollevò le spalle: «Tu puoi vederci quel che vuoi sulla mia scelta e io no? Perché il koala allora? Io la mia giustificazione te l’ho data!»
«Perché non sapevo cosa prendere e questo mi è sembrato carino nell’aspetto.» Ebbe la sua risposta, pronunciata con una voce molto coinvolgente nella sua quietudine. Le aspettative della ragazza furono così visibilmente deluse, mentre il direttore si divertì parecchio, tanto da sogghignare brevemente.
Gemma un po’ infastidita prese malamente la sua ciambella, mordendola. «Ci serve proprio quel vassoio?» Prese anche il suo bicchiere. «Puoi anche posarlo.»
Lui sospirò, ma annuendo andò a riporlo. In verità era una prassi di molti negozi della capitale, quella di utilizzare un vassoio per trasportare non solo diversi tipi di prodotti culinari, ma anche per un singolo pezzo, come un bicchiere. Una sorta di abituale galanteria verso il cliente.
«Com’è?» Chiese tornando indietro, con in mano il suo di bicchiere e il koala nell’altra.
Gemma deglutì. «Buona! Come al solito.» Quasi si interruppe vedendo davanti al suo naso gli occhietti di zucchero dell’animaletto di pastella del suo accompagnatore e partner di “vendetta”. Lo poteva anche chiamare così in fin dei conti.
«Vuoi assaggiare?» Domandò Song Rok.
Gemma rimase per un attimo perplessa, ma poi libero una mano per concedersi un misero pezzettino, strappandolo con le dita. Distrusse un orecchio al povero koala e lo assaggiò, dando il suo consenso con mugugni compiaciuti.
 «Masisseoyo?» il coreano chiese se fosse buono.
«Jinjja!» “davvero!” rispose la ragazza. Tanto delizioso che si pentì di non aver ordinato la stessa cosa. Era zucchero puro, molto delicato come sapore, con un pizzico di freschezza dato sicuramente da un tocco di menta. Ed ecco perché la scelta di quella forma: l’eucalipto! E chi mangia le foglioline di eucalipto?
Song Rok sorrise sinceramente, mordendo a sua volta il dessert. «Vedi che qualche volta rischiare e provare a cambiare può regalare sorprese? Ora hai un’altra ciambella preferita nella lista.»
Di nuovo se ne usciva con paragoni sull’esigenza di cambiare, ma cambiare cosa? Possibile che si impuntasse così tanto per via di scelte così sciocche e blande? No. Gemma sapeva bene che era una metafora, ma ignorava ogni tentativo di intromissione nella sua vita amorosa, specie da parte di uno che non poteva nemmeno considerare un amico, ma era a tutti gli effetti solo un estraneo. «Sediamoci là!» Cambiò discorso velocemente.
«Il tuo com’è?» Domandò l’accompagnatore, spostandosi verso il tavolino. Gemma si fermò per allungargli la ciambella, così che potesse assaggiarla e lui, senza esitazione e senza far attenzione, evitando magari la parte che aveva già toccato la ragazza, morse. Ma d’altronde in Corea non fanno caso a questo tipo di minuzie. In Italia invece, se di fronte ad un perfetto sconosciuto, o anche solo un conoscente, si avrebbe declinato l’invito o al limite cercato di mordere dove non lo avevano già fatto gli altri. Lei stessa, spesso e volentieri, si comportava così. Per una come Gemma si trattava di un discorso di intimità, lo scambio del cibo non era una cosa che si permetteva di fare con chiunque, non nel suo paese per lo meno. A Seoul spesso aveva dovuto adattarsi, imparando pure ad apprezzare questo loro modo di condividere le pietanze dallo stesso piatto. Certo, altri avrebbero obbiettato per una questione anche di igiene, oltre a tutto il resto.
Song Rok le passò nuovamente quel koala ormai mutilato. Fissò la ciambella e poi il suo aggressore, prima di buttare la sua italianità alle spalle e mordere di nuovo quella leccornia. Avrebbe potuto resistere, se non si fosse trattato di un dolce.
«Mmm, jeongmal masisseo!4» Esclamò più a se stessa che all’altro, in preda al piacere zuccherino.
«Facciamo scambio allora!» Propose tutt’ad un tratto.
Gemma sollevò la fronte sorpresa. «No, non ce né bisogno.» Si affrettò a dire, anche se nei suoi occhi si poteva leggere il desiderio contrario.
L’uomo sorrise dolcemente notandolo e le rubò la ciambella al cioccolato, per passarle la sua. «A me piacciono entrambe, ma tu sembri preferire la mia, quindi … » quel sorriso la contagiò, colpita in positivo dal suo fare socievole. In quel momento l’espressione di Im Song Rok le apparve davvero sincera, a tal punto da divenire meravigliosa: la bocca stretta, gli si allargava quasi smisuratamente quando sorrideva in quel modo e anche gli occhi, a volte quasi minacciosi, assumevano una piega gioiosa e tenera.
Mr Im posò il bicchiere sul tavolo e poi, con l’altra mano spostò la sedia, in modo da far accomodare la donna in sua compagnia.
La cara galanteria che in Corea del sud non è ancora morta! Pensò Gemma. Ma sapeva bene che quelle attenzioni potevano durare si e no qualche mese, durante il fidanzamento. Molto spesso gli uomini coreani, come se ne sentissero il dovere, si comportano cortesemente con le fanciulle, anche per poter conquistare la preda. In caso di straniera però, spesso questo tipo di attenzioni non durano a lungo, sicuramente non per sempre. Con le loro connazionali invece sembrano persistere di più, o forse era solo una sua impressione.
 
Nel momento in cui si sedette, si pentì enormemente di averlo fatto.
Due bicchieri erano posati sopra al tavolino e in mezzo vi era un piatto con diversi tipi di dessert. La ragazza seduta dalla parte opposta del giovane, poteva avere si e no una ventina di anni, forse la stessa età del suo accompagnatore. Lui ne aveva esattamente ventitré, Gemma lo sapeva, perché lo conosceva fin troppo bene. La ragazzina era una completa sconosciuta invece, ma l’atteggiamento che dimostrava, con quella timidezza da primo incontro, era più che comprensibile.
I suoi occhi si incupirono velocemente, osservando quell’amara scena. Si spostavano dalla bella coreana, vestita di bianco, una borsetta a tracolla, ancora appesa alla spalla, a forma di valigetta e di un celeste elegante. Scarpe alte ma semplici ai piedi, frangetta appena tagliata sulla fronte e capelli voluminosi che teneva sopra il petto, castamente coperto dagli abiti, al contrario delle lunghe gambe, punto di forza, mostrate quel tanto che bastava dalla gonna del vestito.
Poi passavano a lui, che indossava una delle sue solite magliettine, con sopra la giacca leggera, aperta, i jeans di sempre, i capelli acconciati come poteva e la faccia pulita di un giovane ormai single e in cerca di compagnia.
Durante uno di questi passaggi, la coreana non notò l’insistenza di una straniera curiosa, ma qualcun altro sì: occhi a mandorla dal tagli molto triste, con leggere occhiaie e iridi nerissime, incontrarono quelli un tempo vispi, dalla bella forma a cerbiatto, le ciglia lunghe e il colore “antico”. Notare Gemma non cambiava i suoi piani, Yon U non avrebbe evitato l’altra persona a causa della sua ex fidanzata e Gemma non poteva evitare di rabbuiarsi, nascondendo le lacrime dentro all’immenso vuoto che provò in quel momento.
La figura snella e alta del direttore si contrappose tra lei e la coppietta a qualche tavolo più in là del loro. Non si era ancora accorto di nulla, ma poco dopo, riportando l’attenzione sulla persona di fronte a sé, notò che gli occhi verdi dell’italiana erano incantati, rapiti da qualcosa che si trovava alle sue spalle. Si voltò, incrociando a sua volta lo sguardo indecifrabile del ragazzetto.
Si voltò immediatamente, come se non gli importasse, come se non avesse mai visto prima quel giovane  volto. Ed in effetti di lui sapeva solo che era il passato amore di Gemma Brizzi, un codardo appena poco più che ventenne, al quale in teoria dovevano impartire una lezione. Non che lo volesse davvero, ma ormai lo aveva promesso all’ideatrice del piano.
«Smettila di fissarli!» L’ammonì immediatamente, prendendo un sorso del suo tea freddo.
Gemma non lo ascoltò, Jin Yon U invece, al contrario, quasi come se avesse recepito il messaggio, ignorò quei due, tornando a concentrarsi sui suoi affari amorosi. «Avrà la sua età?» Domandò la straniera all’unico uomo che la poteva sentire.
«E così è giusto per lui, evidentemente.» Sollevò lo sguardo, affrontando quello adirato della donna dinnanzi. Era stata una risposta brusca e cinica, ma non menzognera. «Non tutti i ragazzi sono adatti a portare avanti un rapporto con una donna più matura, come non tutti apprezzano la ragazzina, ed è così anche per voi donne, no? Avrai già compreso che, tra tanti altri problemi, nella vostra rottura potrebbe avere inciso anche l’età, vero?» Con quella sua schiettezza per lo meno era riuscito a distrarla dalla coppia vicina, anche se era consapevole di infliggerle ferite consistenti.
Gemma durò poco e, come se volesse eludere quell’argomento, si guardò intorno, finendo nuovamente per cercare la figura dell’uomo che non aveva mai smesso di amare. Ma ogni tanto si spostava anche verso quella ragazzina dall’aria innocente. Sapendo che invece poteva nascondere una leonessa territoriale, pronta ad avventarsi sulla preda maschile.
«Ti ricordo che abbiamo un piano.» Tentò nuovamente di riportarla nella diretta via. «Gemma, tu hai voltato pagina. Tu per lui sei già accompagnata, con me.» Ricordò, senza riuscire nell’impresa.
«Vorrei strapparle i capelli!» Sussurrò improvvisamente.
Il volto di Song Rok ebbe un leggero spasmo di sorpresa. Rimase in silenzio, non comprendendo bene la situazione, non credendo alle sue orecchie. Si sporse un tantino verso di lei, « scusa, che hai detto?»
In quell’istante gli occhi di una tigre famelica presero a fissarlo. Quel grosso felino si stava nascondendo dietro ai ciuffi d’erba spessi, rintanata nella sua jungla, dove voleva però uscire, per poter schiacciare il suo nemico a colpi di canini e artigli. «A quella finta innocentina vorrei tanto fare lo scalpo.» Spiegò senza apparente vergogna nell’ammetterlo.
Di nuovo si trovò impreparato di fronte alla gelosia che stava dimostrando. «Gemma-»
Venne immediatamente interrotto: «Già sto male quando lo incontro ed è solo, non ce la faccio a vederlo con qualcun altro! Bramo di alzarmi e andare a parlare con quei due, di riprendere il mio posto e scacciare quella sciacquetta da quattro soldi!» Batté il palmo della mano sul tavolo, per fortuna non troppo da attirare gli sguardi degli alti.
Mr Im appoggiò comodamente la schiena alla sedia, congiungendo le braccia in petto. «Altra cosa da appuntare nella mia lista: sei di una gelosia impossibile!»
«Lo ammetto, okay? Sono gelosa!» Esclamò con un tono quasi melodioso, ma infastidito. «Sono una gelosa cronica! Sono gelosa dell’acqua che beve, dell’aria che respira. Ti va bene questa confessione?» Sembrava sul punto di perdere il controllo dalla rabbia. «Ma sono fatta così! Se una si avvicina a colui che mi piace comincio a farmi film mentali e finisco per vedere ciò che non c’è. Ma in questo caso c’è eccome, visto che quello mi ha piantato e pensa che io stia con un altro! Quindi anche lui ha diretto di vedere altra gente, no? Giusto! Ma io rimango sempre gelosa! Perché quella persona non è il nulla per me, anche se ormai io lo sono … per lui.» Cominciò a placarsi, lasciando posto alla tristezza.
Per tutto quel tempo Song Rok era rimasto in silenzio ad ascoltarla. «Appunto! Sei arrivata da sola al fulcro della questione», disse facendo una piccola pausa. Nel frattempo lo sguardo di Gemma si perse nuovamente, tornando mestamente ad osservare di sottecchi Jin Yon U. «Se non vuoi rovinare il tuo piano, fai finta di non vederli, ora. Subito!» Ordinò.
Quel suo profilo, dalla mandibola leggermente sporgente, il naso fino e corto, il collo lungo. Le sue mani che si chiudevano a pugno sopra il tavolo e la donna che, di fronte a lui, gli stava sorridendo, alternando un sorso di bibita ad una chiacchiera.
 «Come faccio ad evitarlo?» Domandò a Song Rok. «Come faccio ad evitare questo dolore?»
«Non fissarli.» Rispose senza distogliere lo sguardo da lei, attendendo che avesse la forza necessaria per ignorare la sua attrazione principale.
«Come faccio?» Il volto apparve disperato.
«Fai finta di niente!»
«Come faccio?» Il tono si era abbassato in un lieve sussurro.
Im Song Rok si sollevò leggermente, afferrando i braccioli della sua postazione, spostandosi alla sua destra. Si riaccomodò proprio nella traiettoria dello sguardo della giovane, che inevitabilmente cambiò visuale, osservando un altro tipo di occhi a mandorla, un altro tipo di uomo. «Guarda me!» Esclamò il direttore dell’Art Keukjang e proprietario dell’Ilmol-house.
Così fece, non aveva alternative in fondo: rimase immobile, fissa in quelle iridi di una tonalità simile al legno antico. Una corteccia di un albero forte e robusto. Pesa in quegli occhi seri e decisi.
Dopo qualche momento di indecisione, sussurrò dolorosamente a fatica: «Voglio andare via.»
«Allora ce ne andremo!» Fu la risposta veloce e sicura. Gemma annuì, prima di alzarsi, seguita dal suo accompagnatore. Cercò in tutti i modi di non posare lo sguardo sui due giovani di fronte, continuando a mantenere l’attenzione su Im Song Rok, spostandosi a seconda dei suoi movimenti. Un po’ come farebbe un cieco aggrappato al suo cane guida. Gli toccò appena l’avambraccio, quando gli fu accanto, quasi volendogli afferrare la camicia. Una richiesta di attenzioni in un gesto infantile, un’abitudine bizzarra, sembrante quasi un rimasuglio dell’infanzia.
«Non li guardo, guardo te!» Quella voleva essere una conferma per sé.
Song Rok annuì molto brevemente, «continua a guardare me», rafforzò la sua decisione. Abbassò lo sguardo sulla presa insicura di Gemma, gentilmente le tolse la mano, afferrandola per il polso e trascinandola fuori dal locale. Le porte degli inferi si aprirono d’innanzi a lei, che, vestendo i panni di un Orfeo al femminile, cominciò la sua discesa.
In verità non c’erano molte similitudini tra lei e il personaggio epico, se non quella di non potersi voltare, obbligati ad ignorare la persona amata. Il suo personale Plutone non le aveva certo promesso di riportare in vita l’amore della sua vita, intimandola così di non girarsi, non toccarlo, finché entrambi non fossero usciti dal regno dei morti. In quel mito tanto decantato, Orfeo aveva sentito il bisogno di voltarsi, per controllare che Plutone stesse mantenendo la promessa e che la sua Euridice fosse realmente alle sue spalle. Gemma invece era certa che Yon U fosse dietro di lei, ma sapeva anche che non la stava seguendo, a differenza di quel che narra Virgilio nella sfortunata e malinconica storia d’amore. E proprio per questo era ancor più tentata a girare il capo e guardare forse per l’ultima volta l’altra metà del suo cuore.
Per paura dell’inganno, alla fine Orfeo perse la donna che amava, come Gemma avrebbe potuto perdere il suo amato proprio a causa dell’incertezza. Voltarsi poteva concedere loro una possibilità, avanzare senza esitare poteva sottolineare la fine di tutto.
Stava fissando i suoi piedi, non se ne era nemmeno resa conto, voleva tornare indietro e correre da Yon U, scacciare quella ragazzina e riprendersi il suo fidanzato. Gli occhi intravidero una mano stratta al suo polso e così alzò il capo verso quell’uomo: Im Song Rok la guardò in quello stesso istante, con un’espressione di incoraggiamento. Così, Gemma obbligò se stesa a mantenere ancora una volta la concentrazione su di lui e per farlo, cominciò a cercare particolari, evidenziandone la fisionomia: dalla sua per nulla umile altezza, che insieme al fisico asciutto costruiva una figura longilinea, alle spalle larghe e all’apparenza forti; il viso leggermente squadrato, dal mento corto, la bocca che apparentemente poteva sembrare piuttosto stretta, ma sapeva che un singolo sorriso poteva rivelare il contrario; le labbra, più corpose inferiormente rispetto al lato superiore, si concentravano nel mezzo, quasi a donargli una forma a cuore; il naso che si allargava maggiormente verso le narici e quella lieve ombreggiatura sopra la bocca e sul mento, a rivelare che, senza una minuziosa rasatura, avrebbe potuto sfoggiare un pizzetto non indifferente; il lieve gonfiore sotto gli occhi, dall’angolo che accenna a tendere verso il basso, privi di doppia palpebra, un classico particolare assente e tanto desiderato da molti asiatici; sopracciglia grosse, non molto folte e imperfette. Solo in quel momento notò ciò che poteva benissimo sfuggire senza un’attenta analisi: un debole e minuscolo neo sotto all’occhio sinistro. O forse una panna, era talmente chiaro.
«Se hai finito di farmi la radiografia …» La risvegliò da quel momento di osservazione, lasciando la presa sul braccio e posizionandosi dietro le sue spalle, spingendola letteralmente, anche se dolcemente, verso l’uscita.


1 Edya Coffee è una catena di caffetterie in Corea del sud.
Donkin' Donouts franchising americano, dove si vendono dolci, specialmente le ciambelle.
Maho no idol Pastel Yumi anime, serie televisiva da noi conosciuto con il nome di "Sandy dai mille colori"
.
Jeongmal masisseo (정말 맛있어) "è davvero buono".

 
 
 
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 19 Capitolo
 
 
 
 
Per un attimo il tempo sembrò fermarsi, per poi tornare indietro di quindici anni come minimo. Lo spazio mutò, ritrovandosi circondata da visioni famigliari. Come le sagre di paese italiane, la zona dove si trovava in quel momento aveva lo stesso bordello di gente, musica e colori. Chiaramente la visuale era ben diversa, ma la sua mente forgiava cambiamenti a destra e a manca: ed ecco che il tizio sulla cinquantina, in giacca e cravatta, visibilmente ubriaco, divenne il giostraio nomade; il gruppo di ragazze abbigliate quasi come delle squillo, una semplice squadra di ragazzine libere, per quella sera, da mamma e papino; la vasca degli orribili pesci, del tale ristorante coreano, il piccolo carretto dello zucchero filato.
Non è che vedesse tutte queste cose al posto di altre, ma le immaginava con una facilità sorprendente, prima di tornare alla realtà dei fatti. La sua mente vacillava e a tratti tornava ad un livello decente di lucidità. Nonostante questo, non si poteva dire comunque affidabile. Si bloccò proprio davanti ad una di queste teche di vetro colme di acqua. Si sporse per vedere la fauna a branchie e tentò pure di pescarne uno a mani nude, canticchiando un “Sampei Sampei, gira il mondo con i marinai5 … Qualcuno però la trattenne, quasi braccandola all’ultimo minuto, mentre il proprietario del negozio uscì fuori per controllare che la situazione fosse sotto controllo.
Ad un tratto si fermò poco convinta che le sue gambe potessero reggerla. Ciondolava o era solo una sua sensazione? Oppure era salita in una delle tante giostre di quella sagra di paese. Magari non lo ricordava, ma ci aveva fatto un giro proprio qualche minuto fa! Ci si sente sempre un po’ destabilizzati se si prova il Tagadà ad esempio, o i Classici calci in culo. Beh, Gemma perfino con la Nuvola potrebbe sentirsi in quel modo. Le dava pure fastidio lo stomaco, tanto che la puzza che avvertiva da quelle parti era insopportabile.
Dov’era finito l’odore di patate fritte, mandorle tostate, zucchero e dolciumi? Perché avvertiva solo pesce ed alghe varie, aglio e … kimchi? Improvvisamente si guardò attorno.
«Sono in Corea.» Si disse, tornando ancora una volta nel mondo reale. Si grattò la testa riflettendo: dov’era? Cos’aveva fatto fino a quel momento? E come avrebbe fatto a tornare a casa?
 
****
 
Il corridoio sembrava più lungo di quel che era realmente. Lo osservava con sguardo pensante. «Lucidissimo!» Esclamò compiaciuta. «Ben fatto!»
«Dovremo ringraziare allora la donna delle pulizie.» Quella voce profonda proveniva da molto vicino, troppo vicino per ignorarla. Girò appena il capo, ritrovandosi appiccicata al direttore della scuola di teatro.
Lo osservò con fare indagatore per un po’. Poi comprese che la vicinanza era dovuta al fatto che Im Song Rok la stava aiutando: era interamente appoggiata a lui e si sentiva così leggera perché stava posando, poco cortesemente, tutto il suo peso su di lui. Il poveretto, alto com’era, si era pure chinato, camminando come un vecchietto bloccato di schiena e appoggiato al suo bastone.
Gemma Brizzi levò immediatamente il braccio, tornando ben ritta e lasciando in pace quella povera anima Pia. Nel farlo però, le sue gambe ebbero un cedimento e quasi non cadde per terra. Riuscì a sorreggersi, sbandando un poco e finendo per appoggiarsi al muro di fianco.
Si fissarono per un attimo, lui che sembrava avere sul serio qualche problema di schiena e lei che non comprendeva bene la situazione. Improvvisamente le venne da ridere e riuscì a stento a fermarsi. Niente. Era ancora ubriaca, inutile tentare di comprendere se si è sbronzi. Cercò allora di fare qualche passo e ci riuscì per un breve tragitto. Prima che inciampasse, Im Song Rok l’afferrò di nuovo.
«Aaaah!», esclamò lei, «Eri tu quello dei pesci!»
Song Rok sogghignò, ma non sembrava un sorriso del tutto sincero, piuttosto infastidito. «Se non ti avessi presa in tempo, ti saresti tuffata all’interno.»
«Volevo pescare.» La voce era impastata e le parole suonavano sbiascicate.
Sentì sbuffare il direttore. «Colpa mia! Non dovevo portarti a bere Makkeolli.6»
Lei sollevò una mano con fare da saputella, «era buonissimo, Im sajangnim.»
«Sei ancora completamente fuori controllo.» Pensò ad alta voce lui.
Gemma si scostò nuovamente da quell’uomo, chiedendo: «E perché tuuuuu …. Nnno?»
«Perché forse qualcuno doveva pur guidare?» Si era ancora leggermente piegato in avanti, pronto per aiutarla a camminare con le sue gambe, per non essere costretto a prenderla in braccio.
La ragazza allungando un braccio e gli diede un buffetto sulla testa, «che bravo bambino.»
Lo sguardo di Song Rok era allibito. «Io bambino non di certo, ma ora tu sei vicina ad esserlo.»
Gli mostrò l’indice, forse avvicinandoglielo anche troppo al volto. «Nononononono …. No.», confabulò, « ti sbagli, sono una donna io!» Precisò, come se ce ne fosse bisogno. Abbassò il braccio pesantemente, guardando l’ambiente intorno a loro. Troppo buio e lucido quel marmo. Non riusciva a ricordare quel luogo, non ancora. «Sono ubriaca. Una donna ubriaca.»
Le afferrò il braccio, per spronarla a seguirlo. «Ma davvero? Non me ne ero accorto.» La spinse fino ad una porta, dove si sbrigò a digitare il codice della serratura. A Seoul in pochi usano ancora le chiavi in appartamento. «Se hai finito di dare spettacolo qui … » Aprì la porta, invitandola ad entrare con un gesto.
Entrò in un primo momento cauta, seguita dal padrone di casa, che si tolse subito le calzature. Gemma sfuggì: imitando una piccola corsa, superò l’entrata, prese al volo la cucciolina che le sbarrava la strada e andò a tuffarsi nel divano.
Song Rok sgranò gli occhi, tentò anche di afferrarla, ma fu troppo lento. «Ya! Le scarpe!» Le disse allora, andandole incontro. Si inginocchiò e cominciò a slacciarle le all stars che portava ai piedi. Quel gesto fu troppo veloce e brusco perché potesse passare per galante, eppure Gemma rimase piacevolmente colpita, come se per lei quella scena fosse avvenuta al rallentatore.
Beh, avendo i riflessi lenti, era possibile che per lei fosse davvero avvenuto così.
«E questa è la seconda volta!» Song Rok sembrava volerla ammonire per qualcosa. Il tono era quello. «Ti ho detto di non azzardarti più ad entrare in casa di un uomo single.» La guardò da quell’altezza, ancora inginocchiato. Sfilò poi l’ultima scarpa.
Gemma fece un broncio simpaticamente infantile, rispondendo secca: «Senti, o te o il barista!»
Lo vide impallidire improvvisamente. «No, non farmi ripensare a quello che gli avevi proposto.» Ma lei non lo stava nemmeno più ascoltando, coccolando invece il cucciolino bianco che teneva tra le braccia. «Ti ricordo che non è un pupazzo!»
Mr Im, dopo aver posato le loro scarpe nella scarpiera, fece per togliersi la giacca, e notandolo, Gemma si alzò correndo in suo soccorso. «Aspetti sajangnim, l’aiuto io.» Così gliela sfilò goffamente, stropicciando non poco l’indumento. Una volta riuscita nell’impresa rimase immobile, come se improvvisamente volesse fare anche da attaccapanni. Song Rok aprì i polsini della camicia, fissandola con quel brandello di pazienza che gli era rimasto. «Ora dove vuole metterla?» Chiese mostrando la giacca.
«Dammi qua.» Rispose con un sospiro, riponendo il capo in camera. Tornò velocemente in salotto, prese per un braccio l’ubriaca e la costrinse a risedersi nel divano, accomodandosi poi lui stesso. Lei si lasciò trasportare, forse stava terminando la fase del perenne sorriso, arrivando tardivamente allo stato confusionale più triste. Si sentiva ufficialmente indifesa. «Bene. Vediamo un po’ …», la osservò brevemente, gli occhi che controllavano ogni minima parte del volto, come se fosse ferita. «Stai bene? Ti serve qualcosa? Del caffè magari?» Domandò in seguito.
Lei era rimasta nella stessa posa di poco fa, con l’aggiunta di un broncio malinconico. «Amore.» Rispose in un lieve sussurro. Il tono era simile a quello di una bimba che confessa il suo desiderio ad un enorme e temibile Babbo Natale. Perché quel caro autista di slitte a renne e non cavalli, non fa simpatia proprio a tutti i bambini, eh? Tra i vari sentimenti scaturiti dalla bonacciona figura natalizia … c’era anche la paura.
Un sussurro talmente lieve che Santa Claus coreano non sentì. «Come?» O forse fece finta di non comprendere le sue parole.
Il volto le si imbronciò di più, «ho bisogno di amore!» Non vi era alcuna donna quella sera, il viso che appariva era quello di una Gemma ragazzina.
Il padrone di casa si dimostrò ancora una volta paziente, ma di quella pazienza che si può notare visibilmente provata. «Quello a parte?»
Gemma gesticolò sorridendo, « ah! Allora potevi dirlo subito! A parte quello, io sto bene.»
«Domani starai meno be-», si interruppe quando Gemma gli posò le mani sulle spalle, e sollevò un sopracciglio quando notò un inizio di interesse negli occhi dell’italiana.
Aveva delle belle spalle, le erano sembrate forti a prima vista, nonostante avesse però un fisico molto asciutto, ma ora che le stava toccando e comparando alle sue mani …
Sollevò lo sguardo decisa, fissando gli occhi marroni del coreano di fronte a lei. «E lei direttore?» Chiese biascicando le parole, «ha bisogno di qualcosa?», ma improvvisamente qualcuno poteva anche pensare che la voce si era fatta quasi suadente. Infatti Im Song Rok si irrigidì all’improvviso, la faccia prese un’espressione quasi spaventata e Gemma a quel punto tolse le mani e scoppiò in una fragorosa risata, sotto gli occhi ancora sconvolti e confusi dell’uomo. «Non fraintendermi!» Esclamò tra un tentativo e l’altro di contenere l’ilarità. Mentre lui si limitò ad un sorriso di circostanza, forzatamente, perché non si stava affatto divertendo.
Toccò poi a lui bloccarla per le spalle, cingendole le braccia. «Okay … allora, visto che lo chiedi, gradirei molto se tu tornassi sobria.»
Gemma annuì sorridendo, ma era improbabile che improvvisamente fosse riuscita a rientrare nel suo normale stato sobrio. «Io … Gemma Brizzi … mi fido di te, direttore!» Cominciò a spiegare: «Perché … io … non piaccio. Tuuuu», rimase immobile per un po’, con le labbra sporgenti a “culo di gallina”, avrebbe detto la sua amica Sarah, « tu mi o … di? No, forse non mi odi, però non ti piaccio, perché io … faccio schifo! Anche se posso piacere per un po’ agli uomini, poi finiscono per abbandonarmi, perciò devo fare proprio schifo come persona o … come donna. O come essere umano, essere respirante.»
L’aveva lasciata parlare a briglia sciolta, solo perché era curioso di vedere fin dove si sarebbe spinta con quel tentativo di offendere se stessa a causa degli altri. Era un tipo che si autocommiserava, altro punto da aggiungere alla lista delle cose da sapere a proposito di Gemma Brizzi, prima di iniziare a giocare la partita di tira e molla con il suo ex fidanzato. «E’ difficile odiare una persona. Anche quando diciamo “ti odio”, difficilmente si tratta di quel sentimento, lo sai? Per non parlare del fatto che io non l’ho mai detto e nemmeno lo penso. Non ti conosco nemmeno, come faccio ad odiarti?»
«Antipani … no. Antipatia.» Si corresse.
L’uomo di fronte a lei continuava a mantenere lo sguardo ombroso, la fronte corrucciata, « mah, nemmeno quella. Diciamo che tu e la tua amica siete un tantino … eccentriche? Ma non ti sembra che la parola “schifo” sia troppo forte?» Gemma lo ascoltava in silenzio, «Non la userei nemmeno per una pietanza, figurarsi per una persona.»
Appena il direttore finì, l’ospite chiese, con sguardo sospettoso: «Sono carina?»
«Sei una bella ragazza.»
Quella conferma sembrò darle la spinta necessaria per riprendere il controllo. Distese la fronte, chiuse normalmente le labbra, abbassò lo sguardo riflessiva. «Sono bella. Quindi … potrò piacere a qualcuno?»
Sollevò le spalle rispondendole: «Certo.» Il sorriso che Gemma gli regalò non aveva nulla di forzato, nemmeno dall’alcool che sembrava avere ancora in corpo e nella mente. Era una reazione spontanea ad una bella consapevolezza interiore.
L’improvviso abbraccio fu talmente inaspettato per il trentenne, tanto da non poter nemmeno reagire irrigidendosi per la seconda volta. Lasciò che facesse, senza poterlo evitare, ritirarsi o appunto estraniarsi dal gesto in sé. Quasi si sentiva coinvolto, anche senza dover per forza ricambiare.
«Grazie! Sono una bella ragazza. Grazie per averlo detto!» Per fortuna sua la giovane si placò subito, lasciandolo andare, deprimendosi ancora una volta. Si sedette composta sul divano, schiena dritta, sguardo fisso sullo schermo nero di una televisione spenta. «Mi sentivo amata da lui, me lo dimostrava spesso, anche senza cadere nel plateale. Me lo diceva che ero bella, ma … », si fermò brevemente per sospirare, «era anche scorbutico e non sempre mi trattava bene. Egoista, parecchio egoista e pigro. Per nulla romantico! A parte l’inizio della nostra relazione, poi è stata tutta una discesa di romanticismo.», increspò il viso in una piega quasi dolorante. Cercava di trattenere le lacrime. «Vedevo le altre ragazze con fiori, anelli, regali ricevuti dai propri fidanzati e io … Io facevo fatica a farmi portare anche al cinema! So che in verità lui non sapeva nemmeno come comportarsi, non era abituato a vivere una storia e forse proprio per questo mi sono adattata parecchio al suo umore e alla sua ignoranza in fatto di relazioni. Spesso l’ho accompagnato per manina in certe situazioni, istruendolo personalmente», sbuffò quasi sogghignando, ma un ghigno infastidito. «Deve avere imparato molto da me, in effetti.» Sussurrò quella frase, come se fosse troppo privata per poterla urlare ai quattro venti. Non si rendeva conto che si sentiva comunque piuttosto bene. «Ora che ci penso … cos’ha fatto per me? Ooooh, ci molte cose che ha fatto per me, ma … sinceramente non si è mai sforzato quanto mi sforzavo io per capire lui e compatirlo.» Annuì, d’accordo con il suo pensiero, un pensiero che aveva tenuto nascosto perfino a se stessa in quegli ultimi tempi. «Non sono una che ama le cose fatte in modo pomposo. Non trovo gradevole professare il proprio amore al mondo, attirando sguardi altrui. Io ne sarei intimorita, imbarazzata. Non amo l’uomo che mi porta cento o mille rose, che riempie di petali la casa. Preferisco le cose semplici e improvvisate, rispetto a quelle ben architettate. Una rosa … anche solo una piccola rosa. Ma qui non si tratta solo del romanticismo mancato o povero che sia.» Si scosse tutta d’un colpo, chiudendo le mani a pugno e battendole sulle ginocchia. «Cretino che non è altro!» Urlò la sua ritrovata rabbia. «Gli farò rimangiare tutto! Mi rimpiangerà talmente tanto che dovrà strisciare a terra e supplicarmi di tornare con lui. Vedrai Yon U, vedrai che lo farai.» Si voltò di scatto verso Song Rok, che per l’eccessiva sorpresa sobbalzò appena. Quella ragazza era un mistero e peggiorava sotto l’effetto dell’alcool. Da mezza moribonda a folle, da provocatrice a clown, da profondamente ferita a combattiva guerriera, passava da avere un broncio di bambina ad un volto di donna con estrema facilità. «E tu!» Lo indicò quasi minacciosamente, «tu mi aiuterai, vero? Mi aiuterai a far strisciare quel bastardo, che si deve essere bevuto il cervello per aver piantato in asso me dopo tutte quelle promesse che c’eravamo fatti, che lui aveva fatto a me! Ma se ne pentirà, o sì che se ne pentirà!» Rise fragorosamente, quasi stesse interpretando il personaggio cattivo di una fiaba. Riprese il controllo nell’immediato, annunciando: «Ora dormo»
Solamente, riferì solamente questo prima di distendersi nel divano e chiudere gli occhi.
In tutta questa sceneggiata qualcuno rimase interdetto. Il padrone di casa liberò il posto, in modo tale che potesse posarvi anche le gambe. Prese una coperta e la spiegò meticolosamente sulla pazza addormentata, perché non prendesse freddo durante la notte. Non c’era pericolo di svegliarla, stava già dormendo profondamente e in quello stato sembrava addirittura innocua, ma non poteva fidarsi, un momento prima aveva ridacchiato come la più brutale delle matrigne cattive.
Si chinò lentamente, per toglierle una ciocca di capelli che le era caduta sul volto e poi velocemente si scostò, piegando la bocca verso il basso mentre la osservava come se si stesse chiedendo cosa fosse realmente quella cosa che stava dormendo nel suo salotto.
«Per fortuna non ha vomitato nella mia macchina.»
La cagnolina richiamò l’attenzione del padrone. Si accovacciò per coccolarla brevemente, poi la prese in braccio e si spostò nella stanza accanto. 


Sampei anie/manga giapponese di Takao Yaguchi che parla di un ragazzino pescatore.
Makkeolli (막걸리) una bevande alcoliche di riso prodotta in Corea del sud.



In metro 
 
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Capitolo 11
*** CAPITOLO 20° ***


20 Capitolo
 
 
 
 
Come aveva fatto ad arrivare a questo punto, nemmeno la diretta interessata lo sapeva.
Avevano stipulato una sorta di patto, dopo il loro secondo incontro, che non fu più gioioso del primo, ma forse un tantino meno ostile. Dopo averlo quasi offeso a causa della sua impazienza, sollevando  una sorta di antipatia ricambiata, e dopo quella primissima sceneggiata nel pub dove lavorava Jin Yon U, avevano quasi annunciato guerra aperta tra di loro. Quasi …
Alla fine entrambi sperarono che le loro strade non si incrociassero più. Sicuramente un secondo incontro, voluto, era impossibile che accadesse. Ma ben presto le circostanze cambiarono e si ritrovarono involontariamente a sopportarsi a vicenda ancora una volta. Eppure, chissà per quale oscuro motivo, la conoscenza forzata e casuale stava portando ad un misero frutto: per lo meno l’ascia di guerra sembrava esser stata seppellita. Per quanto tempo sarebbe rimasta sottoterra, era un dato incerto.
In qualche modo lui, non solo era arrivato a rimangiarsi l’intenzione di non immischiarsi più in certe situazioni, ma addirittura era sceso a compromessi, accettando la richiesta della ragazza, tornando così automaticamente ad infilarsi in questioni poco gradite. E Gemma forse stava un tantino esagerando, regalando la sua fiducia e famigliarità un po’ troppo velocemente, poco cautamente. Insomma, arrivare al punto di farsi ospitare ben due volte da quell’uomo, che in fin dei conti si trattava di un perfetto sconosciuto, non erano state mosse molto intelligenti. Oltretutto ubriacarsi durante l’ultima di queste occasioni? … Non era da lei. Abbassare così tanto la guardia … non era da lei! Sentirsi a suo agio accanto ad un uomo che non fosse il suo fidanzato o un amico stretto … non era da lei.
Per sua fortuna sembrava aver fatto bene i conti, era capitata tra le “mani” di una brava persona. Ma per colpa del suo amore, unito ad una buona dose di testardaggine, aveva corso un bel rischio. Ripensò un po’ a tutto ciò che le era capitato in quelle prime settimane a Seoul, sospirando. Si sentiva parecchio tesa, anzi forse quella tensione non l’aveva mai abbandonata da quando era giunta nella capitale del “calmo mattino1.
Com’era passata da trovarlo antipatico e irritante, a “caro amico ti scrivo2? Anzi, no: vengo direttamente a casa tua che tanto faccio prima e ormai so la strada. Di certo quella non si poteva chiamare amicizia, semplice conoscenza magari. Inoltre il suo aiuto lo avrebbe pagato, e pure caro.
«Come diavolo ho fatto a ridurmi in quel modo … quella notte?» Chiese a se stessa, riflettendo sull’accaduto. Era arrivata un po’ in anticipo nel locale prestabilito da Sarah, la quale era in ritardo come al solito, quindi in quel momento Gemma si trovava da sola, di fronte ad una piastra bollente, a fissare degli stralci di carne di maiale ormai carbonizzati.
Erano trascorsi alcuni giorni da quando lo aveva rivisto l’ultima volta e non si era trattata di una casualità. Evitato volutamente è l’espressone giusta, anche se farlo si era rivelato un tantino difficile, essendo ospite del goshiwon dove lui non solo lavorava, ma ne era anche il proprietario.
Sollevò il volto, distratta dallo sculettare di una giovane donna all’entrata. Portava un vestito giallo dai fiori rossi e neri e una cintura a segnare la stretta vita.
«Non potevi aspettare me? Dovevi proprio iniziare a mangiare pateticamente da sola?» Chiese la ritardataria. Sarah Kim posò la borsa nello sgabello affianco e si accomodò. Erano in uno dei tanti classici ristorantini coreani di bulkogi3. La carne in Corea del sud è davvero ottima, succulenta e ben trattata, spesso marinata a dovere. Poi è servita cruda, perché viene cotta al momento.
Un lungo tubo pendeva dal soffitto, avvicinandosi alla piastra a gas, tonda, del loro tavolo. Qualcuno notò subito il pezzo di carne incenerito, «perché quello lo hai lasciato lì? Sveglia!», esclamò facendo schioccare le dita in fronte a Gemma.
Costei sbatté le palpebre, come se si fosse realmente appena destata. «Ero distratta.» Confessò semplicemente.
L’ajumma4 di turno portò loro altri banchan, ovvero contorni. Ecco dunque apparire nuove ciotoline bianche contenenti: una salsa rossastra, piccante; una di olio di sesamo; altro kimchi e pure di due tipi differenti di verdure; aglio, perché i coreani amano mangiare spicchioni di aglio crudi, tanto da divenire il nemico pubblico dei Cullen5; lattuga, per creare un fagotto che Memole, David il gnomo, Arietty6 e qualsiasi Lillipuziano avrebbe potuto utilizzare come zaino contenente tutto ciò che si trovava sul tavolo. Carne, aglio, salsa, riso, kimchi, tutto avvolto in quella fogliolona immensa di insalata, che prontamente veniva conficcata in bocca al proprio compagno, amico, partner … Così si usava da quelle parti. Peccato che gli stranieri si destreggiassero meno bene in queste cose, rispetto ai coreani dalla bocca larga. Sembra ironia, ma in effetti hanno un’estensione della mandibola molto più sorprendente della nostra.
Sarah prese le sue posate, cominciando a cuocere altra carne di maiale. «Allora, come sta il direttore?»
«Che ne so. Non l’ho più visto dalla mattina in cui mi sono risvegliata a casa sua.» Confessò così, senza preavviso.
L’amica lasciò subito perdere la piastra, fissandola con la bocca e gli occhi spalancati. «Sbaglio o questa è la seconda volta?»
Quella sera in cui si era pesantemente ubriacata, Im Song Rok l’aveva avvisata sul fatto che al mattino sarebbe stata peggio. Infatti si risvegliò in un ambiente poco conosciuto, con il profumo di una poco gradita e per nulla occidentale colazione nelle narici, un cagnolino che richiedeva le attenzioni smaniosamente, la testa che volteggiava più di uno yoyo strapazzato da un bambino e un dolore lancinante allo stomaco. Non rimise l’anima, ma chissà perché credeva di aver combinato qualcosa la sera precedente e questa paura la fece scappare a gambe levate. Song Rok era uscito dal bagno proprio nel momento in cui lei stava sgattaiolando fuori dalla porta e poté solo osservare la fuggiasca di spalle.
Solo poco dopo i ricordi tornarono a … puntate. L’attesa degli “episodi” a flashback era durata addirittura qualche giorno. «Quella sera ho bevuto e troppo.» Spiegò con sguardo perso.
L’italo coreana tornò a concentrarsi sulla loro cena «La carne è pronta, sbrigati a mangiarla prima che si bruci», con le bacchette prese un pezzetto ben cotto e se lo infilò in bocca, senza nemmeno soffiarci brevemente sopra. Una dote coreana è quella di non avvertire l’elevato calore del cibo? No, non sono supereroi, ma qualcuno di loro ha un tasso di sopportazione davvero ammirevole. «E perché me lo vieni a dire solo ora? Per quale motivo ti sei ubriacata?»
«Yon U», bastò che pronunciasse quel nome, per far comprendere ogni cosa.
Sbuffando tornò sulla terra, finalmente. Osservò le leccornie presenti, scegliendo cosa fare: mangiare alla coreana o alla “carnivora”, concentrandosi solamente sulla carne? Prese una foglia di lattuga e cominciò a comporre lo “zaino per gnomi”.
«E ricordi tutto o …?» Sarah prese una cucchiaiata di riso e poi un po’ di kimchi.
Gemma aspettò di deglutire tutto il fagotto “korean style”, prima di rispondere. In verità come avrebbe potuto parlare, con delle guance simili a quelle di un criceto ghiotto di semi di girasole? «I flashback sono giunti un po’ in ritardo, ma … ricordo più o meno tutto.»
«Quindi? Ti sei ubriacata, hai preso un mezzo di trasporto e … sei andata a casa del direttore?» Sarah allargò le braccia, scuotendo la testa e mostrando un’espressione confusa ed esterrefatta allo stesso tempo.
Gemma afferrò del maiale, soffiando prima di mangiarlo. «Ero con lui, siamo stati in un pub, abbiamo bevuto e poi lui mi ha … direi sorretta», la sua espressione non era del tutto sicura su ciò che stava affermando, «e, preoccupato che potessi fare qualcosa di strano, mi ha portata a casa ...» alzò lo sguardo verso l’amica, «… sua.»
La ragazza a fiori congiunse le mani, alzandole verso il volto con sguardo trasognante. «Che uomo! Protetta, sorretta …», si allungò sul tavolo con un’espressione da maniaca dipinta sul volto, «ora ti rendi conto del suo fascino? Potevi anche capitare in mani sbagliate e invece … », ma cambiò in un secondo, la voce divenne ostile: «Sono gelosa! Davvero. E mi chiedo, non poteva portarti al goshiwon? Perché a casa sua?» Gli occhi si affinarono, divenendo fessure sospettose.
Gemma abbassò lo sguardo colpevole. «Come ti ho detto … credo lo abbia fatto per evitare che io … mi comportassi in modo strano. Ero davvero fuori controllo.»
La faccia di Sarah non mutò: «Cosa mi nascondi?»
Gemma spostò l’attenzione dal cibo a Sarah, al soffitto, non sapendo dove posare il suo sguardo. Non poteva scappare, quindi non c’era altra scelta: confessare le sue colpe. «Credo …», provò a dire, ma si bloccò alla prima parola.
«Credi?» Sarah impaziente cercò di spronarla.
Si schiarì la voce, prima di sputare il rospone: «Credo di aver … fatto delle proposte indecenti a qualcuno.» La sua faccia si contrasse in una smorfia sofferente.
Le braccia si Sarah Kim crollarono in grembo e anche il suo volto non apparve troppo allegro. «A chi scusa? Non mi dirai che …»
Successe al pub, perché qualcuno le aveva permesso di bere per sfogo fino a perdere la ragione. Forse pensava che una donna di ventotto anni fosse in grado di reggesse abbastanza bene l’acool, magari abituata agli alcolici occidentali. O forse si era trattato solo di una pure e semplice negligenza. Certo, si trattava comunque di una persona matura, maggiorenne, senza contare che non era sua sorella. Per quanto la conosceva, avrebbe potuto anche lasciarla in quel locale, mezza svenuta o che fosse il barista a prendersene cura.
Ed era proprio all’uomo addetto ai drink, che Gemma Brizzi aveva fatto la famosa proposta, mettendo in imbarazzo perfino il direttore al suo fianco: si era imbambolata ad osservare il bel ragazzo in divisa da barman, costui andava e veniva, destreggiandosi tra un cliente e l’altro, preparando i vari alcolici per le giovani cameriere, così che potessero completare il servizio.
Braccio sinistro sul bancone di marmo, con il quale sorreggeva una testa oscillante, sorriso da ebete e occhi trasognanti. La conversazione prese inizio quando il ragazzo, sui venticinque, si fermò proprio di fronte a lei. La causa scatenante: quel suo ricambiare il sorriso della straniera, in un gesto divertito.
«Sono … una bella donna sai?» Era stato l’aggancio di Gemma. Un inizio un po’ buffo e inusuale, ma da ubriachi non ci si può aspettare chissà che.
«E anche da ubriaca riuscirebbe a sostenere una lunga conversazione nella mia lingua?», sfidò il giovane barista, curioso.
Gemma in effetti, di quella frase, comprese quattro parole in croce. No, da sbronza il cervello logicamente non lavora al massimo. «Credo anche io», blaterò in alternativa ad altro. E fece la finta offesa quando il ragazzo scoppiò a ridere. «Sono bella? … Sì o no?» Questa volta gli propose una domanda.
Il venticinquenne osservò titubante l’uomo accanto alla donna dai grandi occhi verdi e i capelli castani. E rispose solo nel momento in cui l’altro cliente gli fece cenno di continuare pure a dialogare con la sbronza. Se è questo che voleva.
Allora deciso la guardò negli occhi e rispose: «Sì, credo che lei sia davvero molto bella. Da dove viene?»
Si concentrò sulla prima parte del discorso pronunciata da quelle belle labbra piene, non comprendendo il resto. «Il mio ragazzo mi ha lasciata!» Disse, decisa che quella fosse un’ottima tattica per accalappiarlo. A quel punto il barista non seppe cosa rispondere, se non un “mi dispiace” poco sentito. Lei si sporse sul bancone, cercando di afferrargli un braccio, magari le mani. «Tu hai la … ragazza?»
Di nuovo gli occhi vispi del giovane uomo si spostarono verso l’elegante direttore, che stava bevendo dal suo bicchiere, da prima osservandolo intensamente come se fosse addirittura isolato da tutto ciò che stava accadendo accanto a lui. «Agassi … non credo sia gentile provarci con me quando in verità è accompagnata da un altro» e mostrò un sorriso di circostanza.
«Non sono un altro», si affrettò a spiegare Im Song Rok, «e non sono nemmeno il suo ex. Non sono nessuno per questa donna e questa donna è nessuno per me. Quindi se vuole può anche provarci.» La profonda voce appariva fredda, spiccia, ma sincera.
Gemma corrucciò le sopracciglia, avvicinandosi a lui, tanto che quasi gli si appoggiò su una spalla. «Giusto!» Sospirò prima di tornare a farsi sostenere dal bancone. Sorrise ancora verso il barista. «Quindi? Dove eravamo?»
«Non ho la ragazza.» Fu la sua breve risposta.
Gemma ridacchiò appena. «Andiamo a letto insieme.» Quella proposta sorprese abbastanza il giovane, ma attirò anche lo sguardo impressionato di Song Rok. Ed impressionato non di certo in modo positivo: si raggelò, immobilizzato con il bicchiere ancora sospeso a metà strada, lo stava per portare alla bocca, che tra le altre cose teneva spalancata. Ma la straniera non si fece intimorire dall’espressione del tipo dietro al banco e non diede importanza all’uomo al suo fianco. «Quando finisci di lavorare? Vivi con i tuoi? Mi ospiti a casa tua per la notte?»
Il rumore alla sua destra la scosse e quasi non cadde dallo sgabello. Guardò il bicchiere di cristallo di Song Rok, per fortuna tutto interno, ma il contenuto era schizzato un pò fuori. «Per oggi meglio finirla qui, eh?»
«Non ha detto di non essere interessato?» Attirò entrambi gli sguardi il barista. «Che quella donna era nessuno per lei?» Era tornato a giocare, con un sorriso sornione sulle labbra.
Song Rok annuì, «è così infatti.»
Il giovane guardò allora la straniera e si sporse verso di lei per sussurrarle gentilmente: «Vivo da solo, agassi e se vuole io finisco tra un’ora.» Si sollevò, sfidando il direttore con la sua espressione arrogante.
Mr Im non intendeva farsi trascinare in una gara a chi ce l’ha più lungo e si limitò ad assumere una piega di sufficienza.
 
****
 
«Quindi poi cos’è successo?» Domandò Sarah dopo aver bevuto direttamente dalla lattina di coca cola.
Gemma alzò le spalle, mettendo in bocca una cucchiaiata di riso. Versò nel suo bicchiere dell’acqua fresca, «da qui ricordo poco», confessò. Bevve un sorso per mandare giù il boccone e poi riprese la bottiglia, per versare il contenuto un po’ nella ciotolina del riso.
Sarah la fissò con estremo dubbio. «Aigo, aigo, aigo7 … come una vera ajumma» scherzò sull’allungare il riso con l’acqua, che in Corea viene usato qualche volta, specie dalle signore di una certa età. Ripresero a cibarsi della dweji kogi, carne di maiale a loro disposizione. «Quindi non è vero che ricordi tutto.»
«Avevo detto quasi ...», intinse la carne nelle varie salse prima di mangiarla, «comunque credo che Song Rok mi abbia trascinata fuori da quel locale, se no …», le mani lasciarono improvvisamente le bacchette. Cedettero di fronte a quella verità, proprio come crollò Gemma stessa: «Se non fosse così, mi sarei svegliata nel letto di qualcuno, non di certo nel suo divano!»
Sarah stava annuendo senza nemmeno darle peso, continuando a farcire la foglia di insalata. «E te ne rendi conto solo ora?»
L’italiana deglutì nervosamente, «potevo finire male.»
«Male, che esagerata! Il barista era carino no?»
Ma le sensazioni di Gemma non cambiarono. «Se non fosse stato per il direttore Im … sarei andata a letto con quello sconosciuto!»
«Succede!» Esclamò l’amica, attirandosi il suo sguardo.
Brontolò allora: «Lo dici come se niente fosse!»
Solo a quel punto Sarah affrontò il suo sguardo: «Sì, è successo anche a me, francamente», alzò le spalle, «Una volta sola però. Non sono facile, anche se a volte ne dò impressione. Io me li scelgo bene, ma è anche vero che un’esperienza del genere, se non di tuo gradimento, serve solo a non commettere più l’errore.» Alzò le bacchette per minacciarla, «piuttosto vedi di ringraziare quel Sant’uomo che ti ha portata via da quel locale!»
A quel punto Gemma non poté far altro che annuire. Era scappata quella mattina, credendo di averla combinata grossa, ma non pensava a qualcosa di così umiliante. Al massimo credeva di avergli vomitato in macchina o sul tappeto, che per la cronaca non aveva.
«Ora però dimmelo: cos’è successo per farti ridurre in quello stato?» La domanda che non avrebbe dovuto fare. Quel quesito cominciò a ronzare nella testa di Gemma, riportandola a quel giorno, a quella mattina al Donkin’donuts. Avrebbe potuto trascorrere delle belle ore, mangiando ciambelle con una strana compagnia, ma che si stava rivelando piacevole e diversa dal solito.
Quando la visione di Yon U al tavolo con quella “ragazzina” le lampeggiò nella mente, Gemma chiuse gli occhi, stringendoli forte per cancellarne il ricordo. Come se fosse possibile.
«Sai il tizio che abbiamo incontrato a quel colloquio?» Domandò improvvisamente Sarah. Sembrava voler cambiare discorso, per un momento. Cominciò a farcire un secondo involtino di lattuga e carne. «No dico, visto che siamo in tema di confessioni …» aveva già messo riso e carne a sufficienza, «facciamo così, io ti dico la mia e tu mi spieghi meglio che è successo quel giorno» e riprese a selezionare i contorni, attendendo la risposta alla sua proposta.
Gemma riprese le posate, con le quali prese a giocare nella salsa piccante. Sospirò, prima di dare il via: «Okay, dunque?» Osservò l’amica con fare sospetto, portandosi poi le bacchette alla bocca.
Sarah la guardò dritta negli occhi. «Siamo usciti insieme!», dichiarò tenendo sempre in mano quel pugno di lattuga e carne. «In verità è da un po’ che non … cambio idea.» Lanciò la bomba prima di ingoiare la pietanza, mettendoci non poco a masticarla.
Gemma si animò in quell’istante: «Non puoi ammutolirti con la scusa del cibo! Stai uscendo da un po’ con quel … cos’era un segretario?» L’amica non poté far altro che annuire, per il momento. «E per “non cambio idea da un po” cosa vorresti dire? Che non vedi altri? Che forse è quello giusto?» Si sentiva davvero felice ed elettrizzata per lei.
Sarah Kim portò le mani avanti, chiedendo con quel gesto che Gemma si fermasse un attimo. Masticò a fatica e deglutì. «Non correre! Sì, mi piace molto, ma è anche vero che stiamo uscendo da una settimana appena! E poi c’è sempre un certo direttore che mi fa ancora palpitare il cuore.»
«Dai retta a me, lui sembra il classico bello irraggiungibile.» Fece notare. «Ad ogni modo è davvero poca una settimana per comprendere se è quello giusto.»
«Lo so! Però fai conto che il mio massimo di resistenza con i precedenti pretendenti è stato di … cinque giorni, lui li ha superati tutti.» Spiegò l’italo-coreana. «Per quanto riguarda il bell’irraggiungibile: mai dire mai e se invece “il segretario”» gesticolò con le mani pronunciando quella parola, «… si farà apprezzare meglio del direttore …», le sollevò insieme alle spalle in un gesto molto spensierato. «Ora tocca a te!»
«D’accordo. Ho visto Jin Yon Un con un’altra quella mattina ed ero con Song Rok per parlare del nostro … diciamo contratto. Dopo quell’incontro non riuscivo a togliermi quella scena dalla testa e ora tu non aiuti affatto.» Concluse prendendo fiato.
«Bastardo.» Sospirò appena Sarah, non sapendo che altro aggiungere.
La suoneria la distrasse da quel ritrovato malumore, scatenato da una conversazione poco gradita, che le aveva fatto rivangare tristi pensieri. Gemma aprendo il cellulare notò il nome del mittente e corrucciò la fronte. Il cuore cominciò a batterle all’impazzata e le dita tremarono. Cosa fare? Aprire o non aprire? E se si fosse trattato nuovamente di un errore?
«Non è finita qui, Sarah … » Riprese il discorso, prima di decidersi a leggere quel messaggio, inviatogli da “nae sarang”, come lo aveva annotato sul telefonino. «Qualche giorno fa mi è arrivato un messaggio da parte di Yon U, ma evidentemente lo ha inviato alla persona sbagliata.»
Sarah aveva quasi paura a chiederlo, ma: «Che diceva?»
Gli occhi sempre fissi su quel display. « “Ciao So Ya, allora ci vediamo alla foresta Buk venerdì alle tre del pomeriggio?” » Riferì, citando a memoria quel brevissimo testo. Non ci aveva dato troppo peso all’ora, forse credendo si trattasse magari di un amico. Non comprendendo a pieno il genere dei nomi coreani.
«So Ya?» Sussurrò Sarah stringendo i denti.
Gemma sospirò e poi sorrise amaramente, aprendo quell’ultimo sms, pensando si trattasse di scuse. Si doveva essere accorto di aver sbagliato ad inviare quell’invito, anche se in ritardo.
Donna sbagliata, ops!
Contrariamente a quel che pensava, trovò un altro tipo di messaggio. La brevissima risata, quasi sospirata, ironica, scappò al suo controllo. «E vuoi sapere una cosa divertente? A quanto pare non si è ancora accorto dell’errore!» Strinse il cellulare rabbiosamente. «Cretino», continuò a leggere ossessivamente quanto c’era scritto:
 
♥♥  사랑 ♥♥
Scusa se ci ho messo molto a scriverti, ma … quella mattina non volevo che mi vedessi con lei  al Donkin’ donuts. O per lo meno dovevo prima dirtelo che stavo uscendo con qualcuno.
 
«Questo venerdì?» Una voce graziosa la interruppe e lei annuì senza proferire parola, sollevando lo sguardo verso l’amica. Il viso di Sarah aveva preso una piega indagatoria, riflessiva. «E dov’è l’appuntamento?»
«Dice alla foresta Buk.» Scrollò la testa infastidita. «Possiamo cambiare registro? Vorrei pensare ad altro. La cosa mi infastidisce.»
Ma l’altra era partita in quarta nei suoi ragionamenti: «Quindi si troveranno a passeggiare nella Buk forest of the dream8 … », i suoi pensieri venivano espressi ad alta voce. Improvvisamente un lampo passò in quegli occhi italo-coreani. «Se davvero non si è accorto di averti mandato quel messaggio … Sai cosa devi fare, vero?» una domanda che poteva lasciare un enorme dubbio, ma in realtà Gemma sapeva fin troppo bene come doveva comportarsi.
La vera domanda era: sarebbe stata capace di affrontare la cosa?
 
 
1 La terra del calmo Mattino, così viene chiamato Seoul dagli americani "The land of the morning calm".
Caro amico ti scrivo, è il titolo di una vecchia canzone italiana di Lucio Dalla.
Bulkogi (불고기) letterlarlmente "bul" fuoco, "kogi" carne. La carne in Corea del sud viene cotta direttamente sulla piastra.
Ajumma (아줌마) termine per definire una donna passata una certa età o una sposata.
Cullen, famosa famiglia vampira nel romanzo Twilight
Memole, David lo gnomo, Arietty sono tutti personaggi dei cartoni animati televisivi o cinematografici e sono gnomi. 
7 Aigo (아이고) un'esclamazione tipica coreana.
Buk Forest of the dream (서울 북 꿈의숲) è una grande "foreste" nella capitale coreana.

 

Scusate dell'unico capitolo, ma oltre al fatto che stiamo raggiungendo il capitolo che non ho ancora terminato (27, avvicinandoci alla fine da quel momento in poi), ho pure problemi con windos word. Portate pazienza, grazie!!!!
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** CAPITOLO 21° ***


21 Capitolo
 
 
 
 
Un completo blu petrolio dalle leggere linee grigio topo. La giacca scollata, ma chiusa in vita per lasciar trasparire gli indumenti sottostanti, ovvero un gilet del medesimo colore, sopra ad un capo di cotone semplicemente bianco dal profondo scollo tondo.  I capelli talmente scuri da sembrare neri, pettinati di lato, ma senza l’effetto gel a volte indesiderato, lasciati invece leggermente ondulati, accuratamente spettinati. Per completare, mocassini neri dalla forma casual ai piedi.
Quell’uomo stava attendendo impazientemente qualcuno, muovendosi annoiatamente a destra e a sinistra in quella che si poteva anche definire l’entrata del parco. Guardò quasi spazientito il suo orologio, notando che la ragazza era in ritardo di dieci minuti. Non era il tipo da sopportare i ritardi, non tanto per la snervante attesa, quanto per la maleducazione insita in quel gesto. Certo, bisognava lasciare un dubbio in favore al ritardatario, a volte sono forze esterne a mettere i bastoni fra le ruote, quell’attesa forse non era dovuta ad una reale volontà della persona.
Si fermò colto da una supposizione: «Non è che per caso si è sbagliata?» Si interrogò ad alta voce, quando l’unica da mettere sotto inquisizione era Gemma. Essendo straniera avrebbe potuto anche commettere un piccolo errore, scambiando il nome di un posto per un altro, ma ci ripensò, perché alla fin fine: quanti posti della capitale avevano un nome similare alla Buk Forest of the dream1 di Seoul? O per lo meno, la sera prima avevano pattuito al telefono di vedersi lì:
«Quindi si tratta di … lavoro, giusto?» Si era fatto confermare Song Rok. «Non è che mi disturbi per niente?»
«Ma certo che no!», aveva risposto immediatamente Gemma, senza esitare. «Mi serve ancora il tuo aiuto! Dobbiamo mostrarci insieme. So dove trovarlo e … purtroppo non sarà da solo.» L’ultima frase suonò molto grave.
Ma il direttore doveva chiarire alcune cose: «Primo punto: ne sei certa?»
«Certissima.»
«Okay, allora secondo punto: sei una veggente?» la sua risposta lo incuriosì ulteriormente. «Hai le prove di quel che dici? E se sì, come fai ad averle?»
Sentì Gemma sospirare prima della confessione: «Ha sbagliato a mandarmi un messaggio. Diceva ad una tizia che si dovevano incontrare alla foresta dei sogni di Seoul alle tre.» Spiegò per bene, così da risparmiarsi ulteriore tempo, dandogli subito le indicazione del luogo designato.
Song Rok si trovava al teatro, nel momento stesso delle prove, l’ambiente era gremito di attori impegnati nelle loro scene, oltre ai nuovi studenti che cercavano di imparare qualcosa dai loro maestri. Perciò si spostò in una stanza più silenziosa, continuando la conversazione telefonica. «Dunque, terzo punto e questa è una mia curiosità. Scusa se te lo chiedo, non sarà molto gentile per una signora, ma per una volta immagino che non morirò … », lasciò una breve pausa. «Sei stupida? Non capisci che in questo modo farai comprendere il tuo bluff a quel ragazzo? Lui si sarà certamente accorto dell’errore, anzi arriva un quarto punto: e se fosse proprio un modo per metterti alla prova?»
Gemma quasi lo interruppe: «Anche tu con questa storia. No! Yon U non è il tipo! Senza contare che vuole allontanarmi, non scoprire la verità su noi due. E sono quasi certa che non si sia accorto di avermi mandato quel primo messaggio. Non sono stupida, pensi che non lo abbia pensato anche io a quell’evenienza?» Sbuffò infastidita, « certo che lo pensi.»
Le sue labbra presero la piega di un sorriso tremendamente scanzonato e annuì. Logicamente la ragazza non poté notarlo. «Certo l’ho pensato. Ma spiegami un’altra cosa … cosa vuol dire “primo messaggio”? Ce ne sono stati altri?» Quando una risposta fatica ad arrivare significa che si sta nascondendo qualcosa. «Voi due vi sentite ancora?»
Lei alzò le spalle, «è importate?» Chiese vaga, sentendosi in trappola.
«Sono il tuo partner in questa recita e se vuoi che la messa in scena venga bene … sì! E’ importante. Perché ti scrive anc-»
«Non ci scriviamo affatto!» Lo fermò sul nascere. «Mi ha inviato due messaggi, okay? Il primo per errore e qualche giorno dopo un messaggio che non c’entrava nulla con lo sbaglio precedente, ed è proprio questo a farmi comprendere che non se ne sia reso conto!» Altri dettagli li tenne per sé.
«D’accordo, d’accordo!» Portò le dita alla fronte, premendo in mezzo alle sopracciglia. Sentiva il capo pesante e una fitta sopra gli occhi. «Sono affari tuoi e devo tornare al mio lavoro! Dato che so dove, dimmi quando e l’ora!»
Ed eccolo lì, ad attendere un’italiana in quindici minuti di ritardo.
 
****
 
Sembra di stare in una qualunque giostra di un Luna Park, anzi peggio, bisognava togliere la particolarità del divertimento che solitamente offrono quegli ambienti. Ma salire su un autobus coreano è un’ebrezza che bisogna provare una volta nella vita.
Appena entrati non si fa ora ad adocchiare un posto da sedere, in verità non fai in tempo quasi nemmeno a salire quei due dannati scalini, che subito l’autista parte in quarta, senza evitare cadute accidentali tra i passeggeri. Qualcuno dice che le città asiatiche siano molto caotiche e frettolose, beh i bus rappresentano a pieno quel pensiero. Non aspettano che il cliente si sia accomodato, o per lo meno che si sia agganciato a qualche palo, per evitare danni fisici, no! Non hanno tempo e così pestano quell’acceleratore come se non ci fosse un domani, ma è spesso il freno a rivelarsi il male peggiore.
Gemma Brizzi cercò di passare la sua t-money card in fretta sull’apposito aggeggio elettronico, aggrappandosi poi alla prima maniglia penzolante disponibile, facendo quasi una mezza giravoltola alla partenza del mezzo. Per fortuna non era l’ultima dell’interminabile fila di pendolari. La sua tattica era: per poter prendere posto prima degli altri o anche solo per potersi stabile bene e prepararsi all’impatto dell’accelerazione, si deve salire per primi. Di certo l’autista non può ripartire con un pezzo di clientela ancora fuori in coda. Nel momento in cui viene attivata la leva della chiusura delle porte invece, reggetevi forte e si salvi chi può!
Stava controllando l’orario sul cellulare, quando l’ajeossi alla guida frenò di colpo di fronte ad un semaforo rosso. Gemma fece comunque qualche passo alla sua sinistra, andando a calpestare malamente la persona accanto. «Chwesonghabnida», si scusò immediatamente.
«Aniyo, kwenchanhayo. Keokjeonghajimaseyo.» “Non si preoccupi sto bene” fu la risposta dell’anziano vestito da alpinista.
Tornò a puntare i piedi, muovendo le gambe, sporgendosi dal lato opposto rispetto al mezzo per mantenere l’equilibrio. Una giostra di un Luna Park o una sorta di simulazione di barca a vela, in effetti si potrebbe citare diverse similitudini.
Un altro trucco, se non si è abituati a quel tipo di trasporto, era quello di trovare in fretta un posto da sedere logicamente. Magari davanti, sapendo però che vi sono quelli riservati alle donne incinta e altri tanti invece agli anziani. Chiaramente se il mezzo è quasi del tutto vuoto ci si può accomodare anche nei sedili “speciali”, ma se entra una vecchina bisogna gentilmente lasciarle il posto. Beh, questa parte del galateo dovrebbero insegnarla in ogni scuola di ogni paese di questo mondo.
Altro tattica: meglio non andare a sedersi in fondo! In caso di sovrappopolazione del bus, si rischia di rimanere incastrati. Qualche volte le era pure successo e aveva assistito anche a scene incredibili. Questo accadeva specialmente negli orari d’entrata o uscita dal lavoro, ma anche in metropolitana si poteva assistere ad una farcitura abbondante del mezzo pubblico. Pericolosamente abbondante, tanto da chiedersi: ma tutti infilati là dentro, pressati come sardine, respireranno? E se succede un incidente?
L’importante è non fare tardi al lavoro, certo.
In autobus forse è pure peggio, in quanto la stabilità è ancor più limitata rispetto alla metropolitana ed uscire dagli ultimi posti può rivelarsi realmente un affare di stato. Tutti si pressano fino all’ultimo centimetro a loro disposizione, se potessero, probabilmente si siederebbero in braccio agli altri passeggeri, pur di far spazio ai folli che cercano di entrare in un mezzo già fin troppo sovraccaricato. Nel corridoio insomma, a volte finisce col non esserci più nemmeno un lembo di spazio, perfino di fronte alle porte d’uscita.
Ora, immaginatevi la scena: gente che in fondo non riesce ad avanzare per poter scendere dal mezzo, perché impedita dalla presenza di altrettante persone.
Per fortuna in quel momento Gemma non si trovava in una situazione simile, anche se di posti a sedere … nemmeno l’ombra. Scese dal mezzo non appena si fermò quasi di fronte all’entrata della Buk Seoul Forest. La testa vorticava un tantino, ma non ci fece caso, ormai era abituata.
Cercò di individuare immediatamente il suo accompagnatore. Avanzò di qualche passo scrutando l’orizzonte, notando l’uomo di fronte alle fontanelle, dove dei bambini stavano giocando e cercando di bagnarsi contrariamente alle raccomandazioni delle loro madri. Non era di certo il periodo più adatto per farsi un bagnetto, anche se quel giorno il sole picchiava più del normale e faceva dunque caldo. Molte persone, lì nei paraggi, indossavano le maniche corte infatti.
Il direttore Im stava sorridendo in quel momento, godendosi lo spettacolo di quei bimbetti e le loro espressioni divertite, felici. Li osservava quasi rapito, come si osserva un bel film o una diapositiva di passati ricordi. Gli occhi gli si erano chiusi a fessure fine da quanto rideva, un’espressione molto dolce e sincera. Delle rughette comparivano all’angolo dei suoi occhi mandorlati, quando di solito invece la pelle era ben distesa.
Gemma sorrise leggermente a sua volta, poi sospirò prima di avvicinarsi, proprio mentre un bambino di corsa, urtò le lunghe gambe dello strano spettatore. Il piccolo cadde di sedere e Mr Im si accinse immediatamente ad aiutarlo, accovacciandosi e rialzandolo da terra.
 «Aigoo kkoma … kwenchanha?2» Gli mostrò un caldo sorriso, al quale il bimbetto ricambiò, prima di annuire e tornare a correre con i suoi amichetti. Song Rok successivamente sollevò il volto verso la donna in arrivo e si alzò. «Finalmente!» Esclamò mentre si spolverava con le mani i pantaloni.
«Scusa, colpa del traffico.»
Controllò l’orologio:  «Abbiamo ancora più di mezz’ora», poi osservò la giovane, chiedendo: «cosa vuoi che facciamo mentre aspettiamo?»
Lo sguardo dell’italiana si corrucciò. «Stiamo qui.»
«Qui? Visitiamo il posto! E’ inutile aspettare in questo punto.» Propose diversamente.
«Sai quanto è grande la foresta Buk? L’unico modo di beccarli è stare qui.»
Mr Im le mostrò un ghigno di derisione, « ed è qui che dimostri l’assurdità del piano di oggi!» Schioccò le dita compiaciuto della sua arguzia, « ti ricordo che questo non è l’unico punto da cui poter entrare nel parco e proprio perché la Buk kkum e seup è immensa, è poco credibile pensare di poter fare una caccia al tesoro …» sbatté gli occhi riflessivo, sussurrano: «… un tesoro pure senza valore!» Logicamente intendeva l’ex fidanzato di Gemma.
«Ti ho sentito!» Brontolò infatti qualcuno.
Buk, la foresta dei sogni, è uno dei migliori e più vasti parchi di Seoul, situato esattamente nel distretto Gangbuk. Non si tratta solo di un’attrazione turistica, ma è anche un posto semplice e comodo creato per i cittadini coreani. L’entrata è gratuita per chiunque e si possono portare anche gli animali, per delle passeggiate in famiglia, delle corse in solitaria, per delle giornate di studio all’aperto ....
Entrando si poteva già ammirare la grandezza della “foresta”, oltre ai due edifici laterali, tra cui, di fronte alla struttura squadrata e grigia, forse un po’ troppo triste per il tema complessivo, vi era la grande piazzola delle fontanelle. Dai fori che apparivano nel cemento a terra, uscivano getti d’acqua di potenza diversa a seconda del momento. Un punto molto amato dai bambini, soprattutto d’estate.
«Comunque sappi che ci servirà non poca fortuna per trovare il tuo ex. Stando qui però non l’avremo di certo! Ci conviene entrare e dare un’occhiata, sperando.» Parlò Song Rok.
Lei annuì, ufficialmente convinta. «E cercando.»
«Cercare sì, ma sperando in un incontro però.» Si dimostrò puntiglioso. La guardò con espressione di sufficienza, una maschera che spesso indossava. Forse nemmeno lui era a conoscenza delle sue mille espressioni. «Direi che dovremo comportarci come se fossimo ad un appuntamento.»
Quella proposta lasciò spiazzata la ragazza, che domandò: «E’ una sorta di tattica per …» gesticolò con le mani, chiedendo il dissenso di quel suo sospetto.
Ed è quello che ricevette: «Rallenta la tua strana fantasia. Ma è anche vero che se continuiamo a discutere così, come spiegherai il nostro comportamento, in caso trovassimo quei due? Meglio far finta di essere ad un’uscita galante. Non dico di tenerci per mano tutto il tempo, lungi da me farlo, ma per lo meno passeggiamo tranquillamente. Che ne dici?» Non le lasciò il tempo di rispondere, perché con la sua bella mano afferrò quella che aveva detto di non voler tenere per tutto il pomeriggio. «E visto che ci siamo …», si spostò, facendole fare una mezza giravolta su se stessa, per costringerla a seguirlo, «… è il caso di provare a divertirsi almeno un po’, no?» Una domanda che in verità voleva essere un’affermazione, o una richiesta. «In fin dei conti questo è un bellissimo posto.»
«Lo so bene. »
Quando anche  Gemma cominciò a camminare spontaneamente dalla sua parte, Song Rok lasciò la presa e infilò le mani nelle tasche.
«Ci sono già stata una volta.»
Oltrepassando la facciata, si entrava nel vivo di sentieri in sabbiolina, niente cemento, interrotti dagli appezzamenti di prato ben colto, illuminati dai raggi solari, che non venivano ostacolati dai rami degli alberi, presenti solo ai lati di quegli spazi sempre verdi. Dalla discesa si poteva ammirare il complesso sottostante, poco lontano da lì: una caffetteria dal nome tutto italiano e in pieno tema con il luogo: “La Foresta”. Ma sia Gemma sia Song Rok per un momento lo ignorarono.
«Lo hai visitato con delle amiche o …» Si dimostrò improvvisamente curioso.
«Con lui.»
«Allora ti susciterà tristi ricordi tornarci.» Ipotizzò Mr Im, continuando ad osservarla di profilo. Aveva ancora le mani infilate nelle tasche e non si poteva avvertire nulla di particolare osservandoli, semplici amici, ma per lo meno stavano passeggiando l’uno accanto all’altra tranquillamente. Lo sguardo di lui si spostò all’ambiente circostante, osservando le poche persone presenti quel pomeriggio. «Qui ci si viene spesso con la propria metà in fondo. C’è chi porta a spasso il cane, chi viene a dare da mangiare ai cervi, chi cerca posti più appartati, chi legge un libro sul prato», allungò il braccio indicando una giovane coppia alla loro sinistra, distesi sul prato soleggiante, lei appoggiata al petto del suo lui, intenti a leggere insieme un fumetto.
Gemma scosse la testa. «Li invidio. Io non ho mai fatto nulla di tutto ciò», ammise sconsolata.
«Oppure c’è chi fa sport », gesticolò con il capo verso la scena di due ragazzi che si stavano lanciando un freesby. «O vanno in qualche caffetteria, come quella appena passata. A proposito, il nome “foresta” è italiano giusto?»
Gemma si voltò verso il direttore dei due complessi, non nascondendo la sua sorpresa. «Come hai fatto a capirlo?»
L’espressione dell’uomo era colma di ovvietà, «siccome lavoro a teatro, qualche parolina di italiano la conosco, te l’ho detto.»
Il loro dialogo venne interrotto bruscamente da una Gemma spaventata. Una libellula planò sopra le loro teste e lei di scatto si lanciò addosso al suo partner di recita, soffocando un urletto. Si aggrappò alla sua giacca, tenendo premuta la fonte sul petto di quella persona.
 «Cos’era?» Chiese con voce allarmata.
Song Rok a sua volta l’aveva afferrata per le spalle, un tantino preso contropiede dall’attacco. Per inciso, non dell’insetto, ma della donna. «Solo … una libellula.» Avvisò con voce piena di incomprensione.
Gemma sollevò la testa dal suo nascondiglio, controllando l’aria intorno. «Era una cavalletta!» Obbiettò la spaventata, allentando però un po’ la presa delle mani.
«No. Qui è pieno di libellule, guarda tu stessa.»
In effetti sembrava non mentirle affatto. Lì intorno pullulava di libellule dai mille colori. Sollevò lo sguardo verso il volto di Song Rok, osservandone le sopracciglia folte impennate tanto da rivelarne l’aria interrogativa. Lo lasciò del tutto, indietreggiando come se fosse stata improvvisamente elettrizzata da quel contatto. Perfino l’equilibrio di Song Rok vacillò a causa della fuga impetuosa di Gemma.
Lasciò che lo spazio abbondasse tra di loro, come poco prima della sua fuga di fronte ad un insettino da niente. Ma un’altra libellula si impennò e lei la schivò appena, urlando e allungando un braccio verso il suo precedente rifugio. Questa volta però afferrò l’avambraccio dell’uomo stringendo forte.
Song Rok abbassò lo sguardo su quella presa, sollevando solo una sopracciglia. «Temi pure le libellule allora!»
«Non proprio», i suoi occhi si spostavano inquieti verso l’alto, seguendo gli insetti volanti sopra le loro teste, «sono simpatiche e carine ma solo se mi stanno ben distanti.»
Il coreano trattenne una risata, «spostiamoci in un punto dove ci sono meno insetti.» Pronunciò, tornando ad incamminarsi, strappando il proprio braccio gentilmente da quella prese forse un po’ troppo opprimente. Gemma corse subito al suo fianco, ancora guardinga. «Dunque? Cosa eravate venuti a fare qui? Non mi dirai cose che normalmente si evitano in pubblico!» E sogghignò brevemente.
Lei lo guardò perplessa, «figuriamoci! Nella terra in cui anche un bacio può infastidire.»
«Esagerata!» Lo sguardo di Song Rok rare volte si posava sulla giovane, preferendo guardare di fronte a sé mentre chiacchierava amichevolmente.
«Esagerata io? Vuoi una prova? Prova a baciarmi e vedrai se non compare una vecchina a caso a prenderci a borsettate in testa.» La sua era stata una provocazione grossolana e giocosa, nulla di serio, ma lui si fermò all’istante, guardandola pensieroso. A sua volta anche Gemma si bloccò, attendendo di parare una mossa falsa.
Im Song Rok le si avvicinò con un solo, veloce, scattante passo. Tanto per sottolineare la lunghezza delle sue gambe, in confronto alla ragazza italiana che in quel momento, lo stava fissando negli occhi da una brevissima distanza. «Non … sfidarmi!» Proferì a voce bassa, facendola risuonare ancor più grave del solito ed entrando direttamente nel cervello della donna di fronte, che momentaneamente non riuscì a far altro che sbattere le palpebre, confusa. In quell’istante quello sguardo appariva troppo minaccioso e sornione per potersi fidare di lui, quasi non lo riconosceva più.
Gemma tornò velocemente in sé e, con uno scatto simile a quello dell’uomo, indietreggiò, facendo anche scattare la risata fragorosa e buffamente cavernicola di lui. «Ribadisco che sei esagerata!» Disse tra una risata e l’altra.
I grandi occhi occidentali dell’europea divennero fessure pericolose: «No, non sono esagerata e lo sai bene! Anzi, ti dirò di più, nel mio caso è anche peggio, perché sono straniera. Non mi puoi dire di ignorare totalmente la cosa», fece un sospiro, richiamando la pazienza.  «Finché sono due giovani coreani, non sposati, a baciarsi è abbastanza okay, dipende sempre dal modo. Ma se è un coreano e una straniera … apriti cielo! E se costei ha pure occhi chiari come i miei … uuuu … » allargò le palpebre e annuì, intimando il giovane uomo ad immaginare da solo.
«Va bene, va bene. Hai ragione tu … più o meno.» Tornò a passeggiare, seguito sempre da lei. « Siamo conservatori, tradizionalisti. In alcune zone vedere una bella europea accompagnata da uno del posto può far scalpore, è vero. Baciarsi? In luoghi e momenti giusti, senza esagerare, non è poi una sfida tanto pericolosa da affrontare.» La guardò, ma in quel momento Gemma veniva distratta dal panorama. «Vuoi che andiamo a bere qualcosa alla foresta?» Pronunciò quel nome direttamente in italiano, attirando così l’attenzione su di sé. Song Rok sembrava avere una bella pronuncia della lingua italiana, a differenza del suo buffo inglese, ed era strano perché in quel preciso nome vi erano componenti inesistenti nella parlata del suo popolo. La “f” ad esempio, il cui suono non era proprio semplice da pronunciare per un coreano, come la “st”3.
Gemma fissò la struttura a pochi metri da loro: era una sorta di torretta, vi erano delle semplice e larghe scale di legno percorribili per giungere in cima e oltrepassare quella parte del parco. «No, andiamo là!» Indicò il posto e ci si incamminò quasi correndo, ringraziando il cielo di aver optato per delle comode scarpe da ginnastica e non le classiche ballerine.
Ricordava bene quel posto, le era rimasto in mente per fattori molto imponenti: la vastità del luogo, la bellezza, la sensazione di pace che si avvertiva, la bella e tranquilla giornata che aveva trascorso.
Cominciò ad arrampicarsi per quelle scale, sapendo bene cosa avrebbe trovato una volta raggiunta la fine. La vista da lassù fu per lei davvero spettacolare, custodiva ancora le foto che aveva scattato da lassù. Poi, scendendo dalla parte opposta, sarebbe giunta nel recinto dei cervi e in effetti la sua meta era proprio quella.
«Quindi, mi vuoi dire che non provi assolutamente nulla passeggiando da queste parti?» Domandò l’uomo alle sue spalle, qualche metro di distanza. Lei lo ignorò ancora una volta, velocizzando il passo.
Una torretta apparentemente di vetro spiccava tra quelle montagne all’orizzonte, la vegetazione la faceva da padrona in quella zona e da quel punto preciso la modernità della metropoli era ben nascosta. Solo qualche piccolo particolare artificiale ricordava allo spettatore ammaliato, che si trovava in una città e non in mezzo ad un bosco coltivato naturalmente. Una fontana rinfrescava l’area, abbellendo anche lo spettacolo di vie dal terreno color panna, prati dal verde di una tonalità talmente accesa da sembrare finto, quasi lime nei punti in cui il sole lo baciava. Più scure le zone d’ombra, ma mai monotone perché anch’esse di tinte diverse, pigmenti distinti formavano quell’arcobaleno floristico.
«Quella torretta …», pronunciò la ragazza, quando la persona che stava attendendo giunse finalmente in cima. Costui si appoggiò alla balaustra di legno, che la superava in altezza di molto, quando invece a Gemma arrivava fino al petto. «L’amico di Yon U disse che proprio in quel punto avevano girato Iris.»
«Non ho visto il drama.» Rispose appoggiando anche il mento tra le braccia accomodate, osservando a sua volta il panorama mozzafiato. Non sembrava proprio una posa comoda.
Gemma respirò aria pulita e una leggera arietta la rigenerò. «Mi presentò un amico quel giorno e alla fine questo aveva proposto di mostrarmi una particolare zona di Seoul. Non abbiamo passato chissà quali indimenticabili momenti qui io e il mio ex fidanzato, ma ricordo bene questo luogo perché mi ha sorpreso davvero molto.» Sorrise contenta, prima di guardare Song Rok. «Per questo sono felice di essere qui. Anche se non dovessi incontrarlo oggi … non importerebbe, non più. Perché ora mi sento … libera. Sembra che sia destinato a divenire un bel pomeriggio. Questo posto forse ha il potere di rigenerare le persone?» Annuì sicura di ciò che stava dicendo e provando. «Sì! Non importa se non vedrò quel cretino e la sua nuova fidanzatina, alla quale farei volentieri lo scalpo!»
Im Song Rok si voltò verso di lei, posando una guancia alle braccia congiunte sopra la balaustra. Le sorrise serenamente. «Ti senti meglio rispetto a qualche settimana fa, vero?» Ma si alzò serio in volto, quando notò l’improvviso rabbuiarsi della giovane. «Lasciamo perdere! Andiamo a vedere i cervi?»
Gemma non se lo fece ripetere due volte, correndo giù per le scale, dall’altra parte del piccolo colle, dove l’ombra della leggera gobba del terreno regalava una zona meno soleggiata, perfetta per rinfrescarsi.
Corse per quel sentiero, raggiungendo la recinzione fatta di maglia di ferro. C’era un gruppo sostenuto di cervi e li di fronte, erano presenti una giovane madre e il suo bambino di forse quattro o cinque anni. Si era imbambolato a guardare quei maestosi animali, e avvicinandosi, anche Gemma comprese perché l’attenzione del bimbetto era stata completamente rapita: accovacciato proprio lì di fronte, vi era un cucciolo di cervo.
Si inginocchiò vicino al piccolo coreano, «Yebbeojo?», chiese al piccolo se era carino quel cosino raggomitolato su se stesso.
Tanto carino quanto il cucciolo umano che in quel momento la stava fissando curioso. «Ne4», pronunciò un indeciso sì alla straniera, con una vocina melodiosa, «yebbeoyo.4», anche sua madre sorrise, prima di chiamare il suo pargoletto, dargli la mano e continuare la loro passeggiata.
Come se il cerbiatto si fosse avvicinato alla rete appositamente per farsi osservare dal piccolo umano, appena questo si allontanò, anche l’animaletto si sollevò in quelle sue esili zampette, tornando dalla madre a pochi metri di distanza. Gemma invece si alzò sbuffando.
«L’ultima volta che sono venuta non c’erano tanti cervi e soprattutto non c’erano cuccioli.» Brontolò all’unica persona ormai presente oltre a lei.
«Che sia la stagione?» Proferì Song Rok togliendosi la giacca avanzando. «Oggi tra l’altra fa un po’ troppo caldo per il mese autunnale», infilò l’indumento sotto braccio. Portava una maglietta a maniche corte, bianca, coperta appena da un gilet della medesima stoffa della giacca: blu petrolio con righe nere verticali e orizzontali, formando grossi quadrati.
Gemma stava spostando intanto l’attenzione da una parte all’altra, pensando ad un modo per far avvicinare gli animali nel recinto. Notò all’interno della loro area la paglia posta in un apposita mangiatoria e vicino a questa, vi era un foro nella rete ed era abbastanza grande per poter far passare non una ma due braccia. Si avvicinò in quell’esatto punto, accovacciandosi e provando ad infilare l’arto. Si allungò cercando si sfilare qualche stelo. Appoggiò interamente la guancia alla grata per potersi spingere ancora più dentro.
«Gemma non credo sia permesso.» Fece notare Song Rok.
«Voglio solo un po’ di mangime per farli avvicinare.» Riferì lei.
«Se ti vedono-»
Lo interruppe: «Allora fai la guardia!» Mosse il braccio, sfiorando appena il vegetale. «Non mi arresteranno mica per aver tentato di dar da mangiare ai cervi!»
Lui si voltò per controllare che nessuno si stesse avvicinando. «Lascia perdere! Hai il braccio troppo corto.» La intimò voltando appena lo sguardo.
«Ci sono quasi, ci sono quasi. Tu stai lì e fai da palo!» Ma in realtà non riusciva proprio a far altro che sfiorare le punte dei lunghi filamenti erbosi.
Song Rok sospirò spazientito, muovendosi sul posto indeciso prima di raggiungere Gemma. La ragazza avvertì qualcosa sopra di lei e una leggera ombra calò intorno. Song Rok le aveva posato la giacca a quadri in testa e si era accovacciato vicino. Un braccio le fiorò la guancia e si protese in avanti. Cingendole praticamente le spalle, il coreano si aggrappò alla recinzione, le dita della bella mano si infilarono tra la maglia di ferro, all’altezza del volto di Gemma. Costei si irrigidì immediatamente, fissando le vene in tensione di quell’arto, le dita affusolate e la serie di bracciali di cuoio, filo e stoffa che erano allacciati ad un polso graziosamente snello. Sentì sfiorare il braccio destro, controllando vide che anche Song Rock era entrato nella recinzione e il suo arto superiore, certamente più lungo, stava protendendo verso quegli steli, agganciandone già qualcuno.
 «Non potevi aspettare che sfilassi il braccio?» Gli chiese a quel punto, preoccupata che potesse ferirsi a causa della recinzione usurata. In quel buco ci passavano perfettamente entrambi i loro arti, quello del direttore sopra il suo, ma la maglia di ferro presentava alcuni spuntoni affilati e ben presto il più esposto dei due si ferì per davvero. Velocemente Gemma sfilò il braccio e Song Rok con lei, dopo aver afferrato un buon numero di fili di paglia.
«Ecco», esclamò nel mentre si alzarono, porgendo alla ragazza il mangime per cervi. Però Gemma, che nel frattempo aveva ancora l’elegante giacca sulla testa, era concentrata ad osservare quelle leggere ferite sulla piega del gomito.                                                    
Sollevò solo uno sguardo di rimprovero verso di lui, afferrando poi malamente la paglia. «Sciocco! Guarda il tuo braccio!»
Lui ci buttò giusto un occhio, alzando le spalle. «Non è niente» e si rimpossessò del suo indumento.
«Mi ha pure usata come attaccapanni.» Brontolò appena l’italiana, continuando a guardare quei leggeri graffi. «Hai bisogno di disinfettarti? Alla fine si tratta di ferro-»
«Sono solo graffietti da poco conto e poi sono vaccinato, non succederà nulla.» La interruppe quasi subito, rubandole una parte del fieno, avvicinandosi per prima al recinto.
Così chiusero ogni discorso, impegnati ad attirare il cerbiatto e tutti i suoi simili lì intorno. Ormai un divertito sorriso era apparso nel volto della ragazza, mentre osservava quelle creaturine fare a gara per richiamare le sue attenzioni, ovvero poter rubare porzioni di cibo offerto. Ma quando Gemma si voltò distrattamente verso l’uomo accanto, qualcosa la strappò dalla tenerezza di quelle creature, per attirarla quasi con una forza prepotente: in quell’istante l’espressione dolce, sinceramente gioiosa di Song Rok la sbalordì talmente tanto, che non riuscì a distogliere lo sguardo per un po’. Come se quell’immenso sorriso fosse ricco di sorprese ancora celate e, volenterosa di svelarle, la sua curiosità spronasse i suoi occhi ad incollarsi su quel volto di uomo, dalla profonda ma quasi infantile risata, che cominciò a riempirle la mente. 

1 Buk Seoul Forest of the dream: è una foresta situata nella capitale coreana. Il nome è 북 서울 꿈의슾 "Buk Seoul Kkum e seup", la foresta dei sogni, per altre immagini e altre info vi lascio il post che pubblicai nel mio blog: http://amitywonderlanddream.blogspot.kr/2014/01/la-foresta-dei-sogni-della-capitale.html (blog in cui parlo dei miei viaggi in Corea del sud, con lezioni di lingua, consigli per il viaggio, mete turistiche da visitare e storia personale).
2 
Aigoo kkoma … kwenchanha?: "Oh, bimbo ... tutto okay?" (아이고~ 꼬마 ... 괜찮아?)
3 L'alfabeto coreano, al contrario di quello Giapponese, è molto più facile e quasi similare al nostro, oltre ad avere meno carattere rispetto a quello nippotino. Vi sono suoni che coincidono con le nostre lettere e altri invece che nella nostra lingua italiana proprio non esistono. Oltre a questo anche a loro manca alcune delle nostre lettere alfabetiche come "f", "v", la "r" e la "l" vengono unite in un unico carattere e il suono cambia a seconda della posizione della consonante e a quello che la segue ecc ... 
4 Ne, yebbeoyo: "sì, carino" (네, 예뻐요)



Chiedo scusa per il ritardo e la minoranza di capitoli pubblicati. Purtroppo come ho risposto a chi lascia la recensione, ho grossi problemi con word ed inoltre ho poco tempo. Questi giorni a Seoul stanno passando in fretta e molto gioiosamente, scoprendomi anche nuovamente un pò turista dopo tanto. Dopo tutti questi anni ormai della capitale coreana ho visto molto, ma ci sono ancora luoghi che si scoprono a distanza di tempo.
Vi lascio con delle foto del luogo descritto in questo post ^ ^ a presto~




 
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Capitolo 13
*** CAPITOLO 22° ***


22 Capitolo
 
 
 
 
Occhi irrequieti rispecchiavano il colore dello stagno lì vicino, tentando di tenere a bada qualche libellula che girava attorno a loro. Il problema, per un’entomofobica come lei, è che in Corea del sud alcuni esemplari di insetti raddoppiano le normali fattezze. Quindi quelle non erano da considerare fine e leggiadre “dragonflys”, ma pterodattili in continuo impennamento. L’insetto più grosso che avesse mai visto a Seoul era stata una cicala stecchita, galleggiante nelle rive del fiume Cheonggyecheon, in Italia invece a malapena aveva avuto modo di osservare quegli esserini da vicino, perché talmente piccoli da passare inosservati.
L’acqua stagnante avrebbe dovuto attirare molti più insetti di quanto non ve ne fossero. Oppure le zanzare coreane non apprezzavano il sangue contaminato dal glucosio gentilmente offerto dai carboidrati tanto cari agli italiani.
Bestioline fastidiose a parte, era sempre un piacere soffermarsi da quelle parti. Per attraversare l’enorme laghetto artificiale, di color stagnante, bisognava oltrepassare blocchi di cemento che costituivano il percorso vero e proprio all’interno di quella zona acquatica. Steli d’erba apparentemente incolta facevano da contorno al passaggio, in verità erano canne d’acqua minuziosamente coltivate dai giardinieri del luogo. Sicuramente operai statali …
In fondo alla via si poteva ammirare un bellissimo gazebo in stile coreano, ben ricostruito certamente, con il tetto di un blu indaco, a tratti quasi violaceo e il resto della figura di un rosso mattone molto carico e rifiniture verdi e arancio. Era contornato da una scultura in cemento molto bassa, quasi un percorso, che però forse non era agibile. Formava di fronte al piccolissimo e basso edificio un quadrato perfetto, dove si poteva osservare altra acqua.
Song Rok aveva comprato un gelato nel piccolo market trovato nel loro cammino, mentre Gemma si era preoccupata di cercare dei cerotti. Anche se erano solo graffietti innocui, sentiva il dovere di dimostrare interessamento verso quella persona, non solo perché si era ferita accontentando un suo capriccio, ma anche perché alla fine la stava aiutando molto.
Si poteva dire di tutto riguardo alla missione, tranne che fosse compiuta per quel giorno e poco le importava. Aveva comunque passato un rilassante e simpatico pomeriggio, sorvolando da pensieri tristi.
Il gelato scelto era chiamato Ssangssangba, un classico bastoncino al cioccolato. Questo della Corea del sud però è molto particolare: formato da due stecchi paralleli, uniti dal gelato stesso. Solitamente lo si condivide con una seconda persona, meglio se il fidanzato. Ma c’era anche una diceria per la quale si doveva stare attenti a scinderlo perfettamente in due parti esatte, in caso contrario poteva portare sfortuna.
«Ooops ...» Im Song Rok lo aveva appena scartato e diviso, logicamente non rompendolo com’era consono, lasciando da un lato una quantità minore rispetto all’altro.
Gemma storse il naso. «Se non erro porta male», fissando il bastoncino come se le avesse rapito lo sguardo. Non si poteva definire una gran superstiziosa, ma aveva anche l’abitudine di farsi prendere un po’ dallo sconforto quando tutto sembrava andarle male, cominciando anche a credere a stupide dicerie.
«Sì, ma vale solo per le coppie … o almeno così dicono.» Rispose lui con fare tranquillo, sembrava non interessarsene. Le passò lo stecco con la parte più abbondante di gelato e questo fece apparire un ammirato sorriso sul volto della ragazza, che lo osservò sorpresa. Non si poteva dire che fosse un uomo poco incline alla gentilezza e galanteria.
Eppure Gemma non lo accettò subito, attirandosi così quell’esotico sguardo, da prima perso nell’orizzonte, il cui proprietario stava già assaggiando il dolce. Mosse il braccio, incitandola a prendere la leccornia ancora in suo possesso. Lei invece mantenne un’espressione allegra: «Tienilo un attimo tu, se no come faccio a metterti questo?» Mostrò la scatola dei cerotti e si accinse ad aprirla, arrestando lentamente il suo passo. «Allunga il braccio per favore»
L’uomo ubbidì senza sollevare proteste, anche perché era impossibilitato dalla sua bocca piena di calorico ma gustoso cibo. E mentre lui si godeva il suo gelato cioccolato e panna, Gemma cercava di capire quante bende utilizzare, prendendo le misure dei taglietti.
«Questi cerotti sono troppo piccoli», brontolò a bassa voce.
«Per quel che servono!» Il braccio bello teso risultava di una tonalità ancor più chiara del dorso, che già presentava una carnagione tenue. Non solo quella sporgente, ma anche le vene rifugiate sotto l’epidermide si notavano benissimo grazie al loro colore verdastro su uno sfondo bianco. Erano quattro graffi in tutto, non sanguinavano nemmeno, dunque si poteva ritenere una classica e lieve sbucciatura. Alla fine la ragazza fu costretta a disporre più di un cerotto, cercando di coprire tutta la parte superficialmente lesa, ma senza far aderire la colla nei punti delicati.
«Ecco fatto!» Sollevò lo sguardo sorridendogli e prendendo immediatamente il dessert che, golosamente, era curiosa di assaggiare.
Il suo commento la invitò a mangiare immediatamente la pietanza: «Si sta sciogliendo.»
Prima che potesse sporcarle la giacca, Gemma tentò di allontanare “l’arma del delitto”: la parte che in teoria doveva essere di Song Rok infatti, si staccò del tutto, cedendo sotto i colpi del sole cocente e finendo nel cemento. Risero entrambi quando lei comprese di aver scampato il pericolo e ricominciarono subito dopo a passeggiare. O almeno l’interno era quello, se non fosse stato per un particolare che bloccò entrambi:
un cappello sportivo sul capo, una felpa a righe semplicissima, nera e rossa, pantaloni scuri che fasciavano perfettamente quelle gambe fine e scarpe da ginnastica blu elettrico, le sue preferite. Accanto a lui vi era la stessa giovane ragazza con cui l’aveva visto al Donkin’ Donut. Non si stavano tenendo per mano, tra loro non vi era alcun atteggiamento che facesse presumere una certa famigliarità, ma Gemma sapeva bene che quell’incontro non era stato programmato da due amici, bensì da due persone che si stavano frequentando. Non per niente l’invito, che le era arrivato per errore, non ammetteva altre ipotesi: “Ciao So Ya, allora ci vediamo alla foresta Buk venerdì alle tre del pomeriggio?”
Le gambe ebbero uno strano tremore, fece quasi cadere il gelato dalla distrazione. Mr. Im però si affrettò a sorreggere sia la sua mano sia la donna stessa, posandole un braccio intorno alle spalle. «Gemma», bastò che pronunciasse il suo nome con quella voce profonda e quasi cupa, per indurla a spostare il suo interesse su qualcun altro. Le diede un’occasione per disinteressarsi del “dipinto” di fronte ai suoi occhi, una tela dai colori cupi, malinconici. Sotto quella coltre di gelosia e disperazione sapeva che dimoravano i felici ricordi, ma l’ombra negativa copriva la parte più luminosa della sua memoria.
Sollevando il capo, osservò il viso sorridente di colui che l’aveva richiamata, anche se lo sfavillante sole alle loro spalle infastidiva la vista. L’immagine di Song Rok le apparve quasi angelica attorniata da quell’aurea positiva. Sgranò gli occhi prima di scostarsi da lui bruscamente. Avrebbe voluto giustificare a se stessa che il tutto era dovuto ai raggi solari, ma in verità ad irradiarla un po’ troppo era stata l’espressione di quel volto.
Le sembrò tutto così surreale, aveva già vissuto una scena simile: «Eri tu?» Domandò con un filo di voce. In un sogno le erano apparse due persone distinte, una di cui aveva visto solo la mano, e sapeva bene essere Yon U, e un uomo dal sorriso immenso, nascosto da un altrettanto esagerato bagliore. Quella bocca, unico punto messo a fuoco di quel ricordo, sembrava così similare a quella del direttore. Quelle labbra potevano anche esser state le sue.
«Gemma?»
Di nuovo le profondità sonore la riportarono al presente,  «ah … », mugugnò, prima di tornare a far atterrare del tutto sulla terra la sua mente annebbiata, « scusa … avevo visto …», continuava a fissarlo con sguardo stordito, mentre lui sollevava una folta sopracciglia, particolare che sapeva poter diventare un tantino inquietante quando si infastidiva, « avevo visto … una libellula.» Cacciò infine la scusa.
Il compagno di recita sorrise dolcemente, accarezzandole la testa. «Sei una fifona tesoro mio
Quella frase, e il gesto prima ancora, la lasciarono perplessa, più incantata di prima, dimenticandosi per un attimo di colui che si trovava ancora dietro di lei. Song Rok le cinse nuovamente le spalle, esortandola: «Mangia il gelato prima che si sciolga del tutto.»
Tornarono ad incamminarsi come se niente fosse e Gemma incrociò in quell’istante lo sguardo del suo passato amore, che sembrava piuttosto infastidito dalla loro presenza. Stranamente non avvertì nessun desiderio di corrergli incontro, ammettendo magari le sue colpe; no, questa volta non desiderava affatto affrontare la realtà vera e propria, rivelando le sue bugie. Si sentiva ferita, arrabbiata e molto gelosa, ma anche confusa dalla situazione. Era passata dal sentirsi al sicuro, serenamente a proprio agio in un pomeriggio d’autunno, all’avvertire il gelo di un inverno anticipato. Nuovamente sentì il cuore caderle a pezzi, nello sconforto e nell’umiliante. Vedere il volto di Jin Yon U prendere una piega tormentata da qualcosa di molto simile alla rabbia, era stato una mera consolazione, ma per il momento le era bastato.
L’attore l’abbracciò ancora più avidamente, stringendo quasi il suo collo in quel gesto affettuoso. Fece collidere le loro teste, così che entrambi si appoggiassero comodamente l’uno sull’altra. Tutto per poterle sussurrare: «Brava, stai affrontando davvero bene la situazione.»
«Grazie.» In effetti sentiva un leggero piacere per come si era comportata di fronte a quella data situazione. Una sensazione che premeva il tasto positivo della sua autostima di donna.
«Lo hai visto il suo sguardo?» Domandò lui.
E la risposta della ragazza fu meccanica: «Sì», comunque non aveva molta voglia di parlarne, si sentiva ancora agitata dall’interno. Il panico e il rancore premevano alla bocca dello stomaco. Se da un lato si era compiaciuta, constatando che la vendetta stava dando un misero frutto, dall’altro lato odiava profondamente la parte di sé che stava permettendo tutto ciò. Non voleva farlo soffrire, e questo lo aveva capito già da tempo. Non voleva continuare a mentire. Non desiderava riottenerlo in quel modo. Dava ancora ascolto a quella convinzione di un tempo, che sarebbe bastato il suo cuore sincero per far riaffiorare i sentimenti che lui aveva sotterrato in qualche parte nel suo animo. Sensazioni ed emozioni ancora presenti.
Non era una ragazzina di vent’anni che si faceva stuzzicare dai tira e molla. Diamine! Una donna vicina alla trentina doveva abbassarsi davvero a tanto? Doveva abbassarsi al livello di quel ventitreenne per attirarlo ancora una volta a sé?
Im Song Rok la liberò dalla sua intima e scomoda presa, preferendo la sua mano. Gemma lo lasciò fare, anzi si aggrappò a quel contatto per evitare di voltarsi. Yon U non sarebbe scomparso come fece l’amante di Orfeo, ed era proprio questo il problema, perché doverlo affrontare la spaventava. E la tipa che si portava dietro non aiutava a migliorare la situazione.
«Dove andiamo il prossimo weekend?» Chiese il “baritono”, volendola distrarre. Fu lui a controllare la situazione per primo, spostando il capo indietro, fingendo disinteresse. «Se ne sono andati», le disse subito dopo, lasciandole la mano e concludendo la recita.
Il segnale di via libera la intimò di voltarsi: ormai erano abbastanza distanti da quella terribile coppia, tanto da non vederne nemmeno le sagome all’orizzonte. «Per un attimo avrei voluto lanciare il gelato addosso a quella là!» Graffiò la sua voce in un altro sfogo di rabbia.
Mr. Im sorrise brevemente, fissando la ragazza intenta a finire quel che era rimasto del dolce. «Non invidio le tue rivali in amore», proferì ironico. Voleva essere una battuta simpatica per alleggerire l’aria che si era creata e che ancora faticava ad andarsene, ma qualcuno era ancora rapito dalla strada lasciata alle spalle. Non si aspettava certo di vederlo comparire da un momento all’altro, magari pure di corsa, per raggiungerla in fretta. Nonostante ciò, sperava nella sua apparizione … oppure no?
Rattristendosi i suoi grandi occhi si erano come rimpiccioliti, contratti dalla sofferenza del suo cuore. Li sentiva bruciare come braci di un camino appena acceso. Chi avrebbe mai detto che le cose tra loro sarebbero peggiorate a tal punto?
«Sei sporca.» E con quella frase Gemma si voltò nello stesso istante in cui Song Rok sollevò il braccio, avvicinando la mano al suo volto. Con il pollice si soffermò all’angolo della bocca, ripulendola dalla cema. Non era una mossa pianificata con un preciso scopo, ma una semplice e spontanea gentilezza nei suoi confronti, eppure il tutto creò un’atmosfera imbarazzante.
Avvertendo quel tocco come qualcosa di opprimente, Gemma cercò di scacciare quella tensione che stava avvertendo. Stranamente si trovò a provare un certo disagio, cosa che fino a quel momento non era mai accaduto con lui. Cercò di scostare cordialmente le dita maschili, ma dalla foga finì per afferrare quella sua grande e mascolina mano, bloccandosi lì, fissa su quei strani occhi a mandorla, con la palpebra che quasi tagliava mezza pupilla a causa della loro singolare forma. E solo in quel momento suppose che fosse anche quella particolarità a conferirgli un’aria quasi inquietante, quando fissava le persone con aria tetra, infastidita o peggio, minacciosa.
«Che ne dici di … », cercò di tornare in sé, lasciando la presa di colpo, tanto che la mano di Song Rok cadde a peso morto. Lui stesso era rimasto sospeso in quella posa, lasciando che lei trattenesse e sollevasse il suo intero arto. «Andarcene? Possiamo finirla qui, abbiamo fatto la nostra parte.» Detto questo lo precedette, incamminandosi verso l’uscita.
Non era colpa di colui che in quel momento la stava seguendo senza obbiettare, richiudendosi nel più completo silenzio. La vera causa era Jin Yon U, lui e solo lui. Stava passando una bella giornata all’insegna della tranquilla normalità con il suo finto fidanzato, possibile che quello vero, anche se ex, dovesse ogni volta riportarla ad uno stato di tormentato trambusto? O che fosse la sua coscienza a renderle le cose difficili? Alla fine sentiva di potersi fidare di Im Song Rok, quasi come se fosse ormai un amico, senza però esserlo davvero. Aveva capito che era un uomo d’onore ed era troppo raffinato per provarci spudoratamente con lei, soprattutto perché il suo charme sicuramente attirava milioni di donne migliori di quella grossolana “mafiosa mangia pasta e pizza” di un’italiana. Per quello si sentiva bene in sua compagnia, senza che la timidezza si mettesse in mezzo tra loro, disturbando la pacifica convivenza.
E invece il registro sembrava cambiare ogni qual volta nei paraggi compariva colui che l’aveva abbandonata. Forse perché la sua coscienza avvertiva che non era sincero ciò che aveva escogitato, non era giusto né per se stessa né per Yon U e tanto meno per Song Rok. Come aveva fatto anche solo ad immaginare una cosa simile, quando a tutti gli effetti era impossibile che lei ricadesse tra le braccia di un altro uomo così tanto presto. Erano passati poco più di tre mesi da quando i due si erano lasciati. Non un anno! Per com’era fatta, non avrebbe avuto l’ardire di buttarsi in una nuova relazione. Non ancora per lo meno, e Yon U stesso doveva esserci arrivato alla conclusione più ovvia! Conoscendola, come faceva a non comprendere che si trattava di una farsa? La situazione era talmente assurda, da doversi chiedere se quel giovane poteva dire davvero di conoscere bene la propria ex fidanzata e viceversa.
Si fermò avvertendo l’arrivo di un sms e lasciò che il direttore la superasse. Questo però si bloccò dopo pochi passi, voltandosi per chiederle: «Ho un po’ di fretta, devo andare a teatro … vuoi che ti accompagni? Ma vorrei prendere un taxi, se per te va bene.»
Gemma sollevò gli occhi dal cellulare con aria un po’ confusa, «N-no … vado da sola. Prendo il bus» e tornò ad osservare il display.
«Sei sicura?»
Lei annuì senza guardarlo in faccia. «Ciao», pronunciò cambiando strada, girando verso la sua destra con passo veloce. Si introdusse in una via più nascosta, appoggiandosi poi al muretto dell’edificio accanto. Aprì il messaggio, il cui mittente rispondeva al nome di “amore” in lingua coreana.
 
Non ho ricevuto la tua risposta al mio primo messaggio. Forse non ti è arrivato? Ti chiedevo scusa per l’improvviso incontro al Donkin’ Donuts. Il problema è che mi sento di dovermi scusare ancora. Perché? In verità non voglio farlo, perciò d’ora in poi non mi scuserò più, eri a conoscenza del fatto che stavo frequentando un’altra persona già prima di oggi. E’ stato strano incontrarti nuovamente in questo modo ma … Basta! Non pensarmi se lo stai ancora facendo.
Io cercherò di essere felice con lei e so che anche tu lo sarai con quel tipo, quindi concentrati su di lui.
 
L’immagine di una goccia di rugiada che crolla da uno stelo verde, precipitando in una pozza d’acqua cristallina, è un’immagine estremamente idilliaca. Un pittore ne creerebbe un quadro, disegnando le increspature dell’acqua, cerchio dopo cerchio, di una scena ormai conclusasi; un fotografo catturerebbe il momento stesso in cui quella perla lascia lo stelo d’erba, riportandone i colori esatti; un poeta ne descriverebbe l’intera azione, riportando poeticamente ogni particolare dell’abbandono, della caduta e del coraggioso salto nel vuoto.
Meno pittoresca di quella rugiada, una goccia d’acqua salata comparve improvvisamente su uno sfondo di luce e parole. Una lacrima, evasa dai suoi occhi, si scontrò sul display del cellulare. La concentrazione passò dai caratteri coreani a quella stilla dalle forme tondeggianti, che tremava sopra a quel dato messaggio, con l’oscillare delle sue mani tremolanti.
Un singhiozzo strozzato diede inizio a tutto: come un’esplosione, il pianto troppo trattenuto, la tristezza accumulata e lo sconforto soffocato vennero rilasciati e tutto a causa di quel singolo annuncio. Le gambe le cedettero e Gemma si ritrovò quasi a terra, con una mano aggrappata al muro accanto, per potersi sorreggere ancora almeno un po’, senza crollare del tutto con il sedere a terra. La bocca piegata in modo vergognosamente infantile, l’espressione di disperazione che imbruttisce tutti. Le lacrime l’accecavano e al petto sentiva un peso insopportabile. Come se il suo cuore smettesse improvvisamente di funzionare.
 Rabbia, gelosia, amarezza e senso di impotenza si mescolavano, amalgamandosi alla sua anima e, come pece, soffocandone l’esistenza.


쌍쌍바 ssangssangba il gelato di cui parlo nella storia:





Scusate della mia assenza, ben presto tornerò puntuale a ripostare i capitoli, magari ripubblicandone due alla volta ^ ^ 
Vi prego di attendere, ma il mio bel viaggio terminerà proprio domani, quindi i preparativi sono tanti, ma la voglia di scrivere e sfogarmi è riapparsa, anche grazie ad una persona speciale.
Per ora grazie dell'attenzione.

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Capitolo 14
*** CAPITOLO 23° ***


23 Capitolo
 
 
 
 
Il tratto in bus era stato piuttosto noioso. Non era un’ora particolarmente tarda e anche per questo il mezzo era poco popolato. Si era seduta vicino all’uscita, appoggiando la testa al finestrino, osservando il traffico e il paesaggio correre all’impazzata, a tratti interrotto da flash di fari e dal riflesso del suo volto ormai stanco e sciupato. Sospirava chiedendosi se quella sera sarebbe riuscita a dormire, sentiva il bisogno di spegnere il cervello, smettere di ricordare. Ma già sapeva che per quel giorno niente e nessuno avrebbe potuto strapparla da quello stato di tormentata riflessione, doveva attendere ancora un po’, qualche ora, la mattina seguente. Dopotutto … “domani è un altro giorno” cita qualcuno.
Improvvisamente le comparve davanti agli occhi, a pochi metri di distanza la figura snella di un giovane ventitreenne di sua conoscenza. Aveva un braccio sollevato per potersi appendere ad una maniglia “salva vita” e la stava osservando sorridendo gentilmente. Ma chiuse le sue palpebre per un solo istante, un unico battito, la figura si rivelò per quella che era realmente: un vent’enne come tanti lì a Seoul, niente di speciale, niente di famigliare. Per un attimo aveva in un altro visto il volto di colui che imperversava nel suo cuore.
Chiudere gli occhi e rimandare all’indomani il tutto, sembrava essere la soluzione più comoda e sensata. Ma quell’autobus continuava per la sua strada, percorrendo le vie delle rievocazioni piacevoli e spiacevoli, della nostalgia, dei rimpianti e delle rinunce. Quella sua allucinazione sforzò nuovamente la sua memoria, ripensando a quanto le piaceva prendere il mezzo insieme al suo fidanzato, quando ancora poteva definirlo così. Lui era sempre stato molto protettivo nei suoi confronti, accurandosi che nessuno potesse calpestarla o spingerla, toccarla nemmeno per errore. Le aveva sempre conservato il posto a sedere preferendo stare in piedi al posto suo o ancora senza abbandonarla un attimo, anche quando si liberava un altro sedile poco distante. Vigile accanto a lei,  sempre fermo sulla sua posizione, sebbene in precario equilibrio a causa del movimento del mezzo.
L’insoddisfazione la divorava, tanto da non riuscire nemmeno a sopportarla, volendo invece scappare da quella logorante sensazione. Anche rimanere in quel bus si stava rivelando soffocante. Se avesse potuto corrompere l’autista e farsi portare immediatamente all’aeroporto, lo avrebbe fatto. Ma era più semplice per lei scendere alla fermata successiva e prendere un taxi fino ad Incheon.
Magari prendere una boccata d’aria le avrebbe fatto riacquistare la lucidità necessaria per affrontare meglio la malinconia. Jeongsin jaryeora!1 “Torna in te stessa”, avrebbe bisbigliato un certo Im Seong Rok, se fosse stato lì con lei in quel momento.
Con quel pensiero, si decise ad allungare il braccio per premere sul pulsante di fermata, avvisando così l’autista che sarebbe scesa alla prossima. Una prevenzione che serve e non serve, in quanto normalmente il mezzo dovrebbe comunque frenare durante le soste obbligatorie. Eppure le precauzioni non sono mai troppe, lì non era come in Italia, se il guidatore non notava qualche pendolare in piedi davanti alle porte, poteva anche arrestare il mezzo per un nano secondo, nel quale avrebbe aperto le porte mentre l’autobus era ancora in movimento, ripartendo immediatamente di corsa senza attendere nessuno.
Camminare per le strade desolate della capitale non le fece l’effetto che desiderava. Continuò lo stesso per un breve tratto di percorso, prima di fermarsi ad osservarne le vie del distretto Jung2, dove si trovava. Poteva scegliere di spostarsi verso il distretto di Mapo2*, sgambettando un bel po’ per tornare ad Hongdae  o continuare una sorta di passeggiata al chiaro di luna in solitaria. Sempre avendo con sé le sue riflessioni come un’opprimente compagnia. L’idea di prendere un altro bus era da escludere per l’ora tarda che si era fatta. Il cartello stradale indicava una delle possibili direzioni, rifletté dunque se fosse il caso di fare invece un giro nella più vicina Gwanghwamun3.
Alla fine aveva optato per il ritorno a casa, ma si fermò quando notò un chiosco con quattro tavolini posizionati alla buona, dei bassi sgabelli rossi di plastica e una limitatissima scelta di pietanze da street food: tdeokbokki4 piccanti oppure eomukguk, una “torta” di pesce fritto in brodo. Non aveva fame, ma davanti a quei carretti poverissimi delle venditrici ambulanti, tanto tipici del luogo, si poteva anche consumare solo  pietanze liquide. Di quelle che, a lungo andare, ti fanno avvertire uno strano tepore e alleggeriscono perciò la vita.
Si sedette, attirando lo sguardo incuriosito dell’ajumma, che in quel momento non aveva altri clienti. Ordinò del soju e cominciò a servirsene a stomaco vuoto, tanto che la coreana fece notare alla bella straniera che forse era meglio riempire un po’ la pancia, se non voleva perdere il controllo in fretta. Ma in effetti era quello il vero intento di Gemma, che perciò le sorrise dolcemente, senza rispondere, fingendo di non comprendere la sua lingua. La signora, con uno strano accento, brontolò qualcosa e Gemma non le diede peso. Era un dialetto molto stretto, niente a che vedere con il parlato di Seoul, molto probabilmente non avrebbe comunque compreso.
Mentre si gustava poco convinta l’alcolico, osservava le vetrate dei palazzi lì attorno, come riflettevano le luci dei lampioni o dei vari locali e negozi. Sospirò buttando giù un altro sorso, abbassando poi lo sguardo stanco sul bicchiere vuoto. Lo riempì nuovamente, sentendosi immensamente sola. Altra scena similare a quella dei drama, solo che viverla faceva tutto un altro effetto. Fino a quel momento non si era mai sognata di paragonare la sua vita ad una sceneggiatura asiatica, ma tutto sembrava tramutare in una pessima commedia melodrammatica.
Prese il cellulare scorrendo i numeri di telefono, bloccandosi su quello di colui che le era venuto in mente per primo: “Commediante”, così era riportato. Sbuffò cambiando subito prospettiva, fermandosi invece su “Nae sarang”.
«Il mio amore? Dovrei modificarlo in “il mio vecchio amore” oppure “il mio defunto amore”», borbottò bevendo ancora. Toccò il display, cercando dei numeri più utili. Osservò quello di Sarah scrollando il capo, « si starà gongolando con il suo, forse, promesso marito», lasciò cadere il telefonino sul tavolo e riempì ancora una volta il piccolo bicchierino, facendo poi scivolare automaticamente il soju giù per la gola. «A che mi serve questo aggeggio se non posso chiamare nessuno?»
Sarah Kim aveva cambiato cellulare da poco, prestando a Gemma il precedente, con tanto di sim coreana e un minimo di credito perché potesse iniziare ad usarlo. Secondo l’italo-coreana era essenziale, per ogni evenienza poteva contattarla, cosa che non avrebbe potuto fare con il telefono italiano, ma non sembrava così disponibile come diceva.
La sua mano si riaggrappò al marchingegno tecnologico tornando a selezionare uno dei pochissimi contatti che aveva salvato o riportato dalla sua scheda italiana. Era indecisa se avviare la chiamata o meno. Prese a mangiarsi le unghie fissando il nominativo di “Commediante”, chiedendosi se fosse davvero il caso di disturbarlo. Alla fine rinunciò, «dopotutto non è il mio babysitter.» Scivolò sul tavolo, allungando un braccio, appoggiandovici una guancia. In mano ancora il telefonino. Chiuse gli occhi, con l’intenzione di riposare solo per un attimo, ma il sonno ebbe la meglio sulla ragazza.
Una palpebra pesante si sollevò dopo molto, e l’iride distrattamente mise a fuoco una mano maschile, delle dita affusolate che picchiettavano leggermente sul tavolo; un braccio fasciato da una giacca a quadri. Poi la visione si spense nuovamente. Si lasciò catturare dalla stanchezza ancora una volta, pensando alla stranezza con la quale stavano prendendo forma i suoi sogni.
 
****
 
Appena ricevuta la chiamata, prese un taxi diretto sul luogo indicato dall’ajumma, preoccupato per Gemma, che a quanto pare si era ubriacata fino a stordirsi da qualche parte a Jung-gu. La proprietaria del chiosco, vedendo lo stato della straniera, aveva pensato di utilizzare il cellulare, cercando un nome a caso della lista per chiamare qualcuno che potesse portarla a casa. Non avrebbe comunque avuto tante alternative, in quanto comparivano in tutto solo tre contatti nella rubrica. Ma quando fece scorrere il dito sul display, sperando che non vi fosse il codice sicurezza, le apparve immediatamente la pagina su un numero specifico. Una volta comprese le coordinate, il “Commediante” si era precipitato sul posto.
La trovò seduta su uno sgabello, totalmente appoggiata al tavolino blu, addormentata. Una bottiglia di soju lasciata a metà e un bicchierino di fianco. Ringraziò l’ajumma, che subito gli spiegò di aver trovato il suo numero sul display della ragazza e che forse questa aveva tutta l’intenzione di chiamarlo quando improvvisamente si addormentò.
Song Rok afferrò il cellulare, osservandolo incuriosito. Controllò, trovandosi a fissare proprio il suo numero, ma ciò che lo attrasse curiosamente era la parola “Commediante”. Sogghignò divertito, poi spostò gli occhi verso la proprietaria del telefonino, osservandone il viso rilassato in quello stato di sonnolenza. Si chiedeva cosa le passasse per la testa, cosa provasse realmente a causa di quel ragazzino, perché era logico pensare che la causa di tutto fosse da reputare all’incontro di quel pomeriggio. Gli occhi a mandorla puntarono nuovamente sull’apparecchio tecnologico, ricordando l’improvvisa chiusura di Gemma alla conclusione del loro finto appuntamento: distrattamente, con l’attenzione forviata da altro, se ne era andata salutandolo freddamente.
«Ha ricevuto un messaggio oggi … », ipotizzò. La curiosità premeva e lo avrebbe spinto a cercare la prova del crimine, se non fosse stato un uomo tutto d’un pezzo, rispettoso della privacy degli altri. Posò dunque l’aggeggio, sorridendo alla complicata donna sbronza di fronte a sé. Picchiettò con le dita il tavolo, pensando a cosa farne: portarla nell’alloggio o lasciarla lì e fare una chiamata all’amica in modo tale che se ne occupasse lei? Non era da “contratto” doverla soccorrere ogni volta che si trovava in difficoltà.
Ma alla fine, visto che era lì, poteva sprecarsi …
Le accarezzò piuttosto dolcemente il capo, infilando le sue dita in quella chioma castano rame.
Gemma Brizzi si sollevò di scatto, svegliandosi del tutto da quel torpore. L’espressione accigliata di chi si desta tanto bruscamente, avvertendo una certa agitazione e il battito del proprio cuore a mille.
«Ciao.» Proferì il saluto in italiano l’attore “commediante”. «Da uno a dieci quanto siamo sbronzi?»
Lei si asciugò subito la bocca, durante il sonno doveva aver sbavato un pò. «Ma no, mi sono solo addormentata», replicò con voce impastata.
Song Rok sollevò un sopracciglio, esaminandone l’aspetto: occhi estremamente gonfi, arrossati e con addirittura il mascara leggermente colato. Non c’era dubbio che avesse pianto e chissà per quanto tempo. Annuì annunciando: «Visto che non sei ubriaca … beviamo insieme!» Si voltò così verso il chiosco alle sue spalle, richiamando con un gesto la proprietaria, «ajumeoni, soju du byeong juseyo!5»
«Due bottiglie di soju? Devo ancora finire questa», sollevò il contenitore di vetro, afferrandolo per il collo.
Lui incrociò le dita delle mani sul tavolino, in attese che gli venissero portate le bevande. «Hai l’aria di chi ha bisogno di bere ancora un po’.»
Per un primo momento lo osservò sospettosamente. «Da quando Mr. “serietà” crede nelle cure da alcool?» Una battuta che non fece ridere la persona seduta di fronte a lei. «Ma se offri tu, ci sto … », la frase venne interrotta da uno sbadiglio e nel frattempo le bottiglie di soju comparvero al tavolo. «Hai ragione, oggi ne ho davvero bisogno.»
Ora che anche lui aveva il suo bicchiere, si prodigò a versare il distillato di riso alla giovane ragazza, che osservò il suo gesto di cortesia: un braccio quasi appoggiato al petto, con la mano sotto il gomito, come per sorreggere l’arto con il quale stava compiendo l’azione.
«Dovevo versartelo prima io! Si è dimenticato l’etichetta onerosa, Mr. “eleganza”.» Ironizzò Gemma.
Le lasciò intravedere un sorriso tenue. «Fallo ora» e così dicendo le passò la bottiglia, con la quale la giovane italiana imitò il gesto alla coreana servendogli da bere, « sentiamo, come mai hai bisogno di bere? E’ stata una giornataccia per te? Mi sembrava che avessimo passato un bel pomeriggio, no?» Entrambi presero il bicchiere, brindarono silenziosamente, per poi bere alla russa. «Sei venuta qui da sola … wae?6»
Gemma gli stava già versando dell’altro soju, consegnando poi a lui il contenitore, in modo tale che ricambiasse. Così voleva l’usanza.
«Sei particolarmente curioso.» Osservò il vetro trasparente, contenente la bevanda della medesima tonalità. Come gusto era leggero e bruciava appena la gola, ma non lo stomaco. Le ricordava molto una sorta di grappa veneta però annacquata, uno scempio per gli occidentali gran bevitori, ma a lei non dispiaceva affatto. «Ti devo ringraziare. Oggi mi sono divertita molto con te … Sono venuta qui da sola semplicemente perché non volevo avere tra i piedi nessuno. Per riflettere un pò.» Gli rubò velocemente l’alcolico, arrangiandosi nel servirsene.
«Non fa bene pensare troppo», mentre lo diceva fissava la mano della straniera sopra il suo bicchiere. Di nuovo fecero un finto brindisi silenzioso e il soju scomparve in un batter d’occhio, inghiottito da entrambi. Per fortuna l’abitudine vuole l’uso di bicchieri molto ridotti per quel tipo di bevuta.
Song Rok sollevò lo sguardo, aspettandosi una risposta che invece non giunge. «Oggi pomeriggio, quando ci siamo divisi, stavi guardando il cellulare e sembravi molto turbata. Chi era?  Si trattava di cattive notizie?»
Lei si appoggiò al tavolo, continuando però a tenere l’oggetto di vetro, rigirandoselo nella mano. «Solo un cretino.»
«Aaaah … » si allungò e le offrì un altro giro, concedendoselo anche a se stesso.
Il suo silenzio e i suoi occhi bassi dicevano più di quel che Gemma voleva confessare realmente. E Song Rok si ritrovò così, mentre l’osservava, a rifletté a sua volta: non era solito impicciarsi degli altri e non vedeva il motivo per dover iniziare proprio con lei, per cui scrollò la testa, portandosi il bicchiere alle labbra, gettando la testa all’indietro e assaporando l’alcool scivolargli all’interno.
 
****
 
Portare una ragazza sulle spalle sembra essere una delle massime aspirazioni di un coreano innamorato, bisognerebbe capire se quel tipo di “mossa” sia dovuta ai modi romantici da drama, oppure ad un’abitudine ben più radicata nella popolazione maschile sud coreana. I telefilm di Corea, inoltre, la fanno facile e idilliaca, cosa che potrebbe essere solo in parte per un fidanzato o uno spasimante, ma per un amico o peggio estraneo la questione risulta totalmente differente. E ci sono anche alcuni fattori che potrebbero incrementare l’insopportazione di tale gesto da parte di chi lo compie.
Ad esempio il peso!
Più la “femmina” è mascolina e più rende difficoltosa l’azione. La fisicità di alcuni stranieri a volte può essere molto similare a quella asiatica: magretta, preferibilmente bassina e dunque “tascabile”, ma alcune straniere sono decisamente molto più longilinee di altre, proprio come le coreane stesse, che però dalla loro hanno sempre quel corpo snello, a volte fin troppo stile anoressia. Volete mettere una donna tutte curve al posto di un bacchetto esile? Che sia di costituzione robusta, ossa grandi, o solamente in punti importanti per il gene maschile, come seno e glutei, cosce … Bella da vedere, da toccare, ma forse meno simpatica da portare sulle spalle.
Im Song Rok a stento riuscì a raggiungere il goshiwon illeso, caricato di un peso non indifferente sulla schiena. Gemma non si poteva dire che fosse grassa e nemmeno robusta, ma la sua costituzione era decisamente più pesante rispetto a quella di altre italiane o delle coreane stesse. Il direttore aveva rischiato addirittura di farla cadere più volte, recuperandola come se fosse un sacco di patate inerme. Lei se ne stava lì sopra beata, completamente rilassata a peso morto, sulla struttura ossea di quel pover uomo che la stava riaccompagnando nella sua stanza. Inconsapevole anche del pericolo a cui andava incontro, visto che il suo accompagnatore era, se non ubriaco, comunque brillo. Perciò privo della sua normale forza, per non parlare dell’equilibrio.
Uno dei tranelli del soju è che, proprio per il suo gusto tenue e il suo apparente basso tasso alcolico, facilmente inganna e visto che un bicchiere tira l’altro, si raggiunge presto il punto in cui il cervello comincia ad annebbiarsi, perdendo colpi. Alcuni, credendo si tratti solo di sonnolenza da alcolico, vanno avanti e finiscono per andare lentamente, subdolamente fuori rotta.
Fortunatamente per entrambi, i due arrivarono a destinazione sani e salvi. Song Rok con ancora con quel “dolce” peso ancorato alla sua schiena e Gemma … appunto sopra di lui, ormai persa nel mondo dei sogni. Una volta trovatosi di fronte al materasso, il coreano la lasciò andare, cercando di non lanciarla seriamente come se fosse merce da sbarco. Si tolse le scarpe e poi le tolse a alla giovane stessa, perché non sporcasse le lenzuola. Chiuse la porta della stanza, sfilò da sotto il corpo dell’addormentata le coltri e la coprì, sedendosi accanto a lei.
Sospirando, cercò di fare mente locale, cosa molto ardua sotto i fumi dell’alcool. Ogni tanto la camera vorticava come in una giostra, prima a destra, poi a sinistra, tanto che dovette chiudere gli occhi per un attimo, avvertendo tutta la stanchezza che pesava anche più del carico che aveva portato fino a quel momento. Non era solito perdere il controllo così e non era nemmeno un pessimo bevitore, anche se non poteva comunque definirsi il re delle bevute. Quella sera ci era andato giù pesante.
Controllò le tasche, tirando fuori il cellulare della sbronza accanto, fissandolo per un momento interminabile. Alla fine decise di andare contro alla sua coscienza, reclusa da qualche parte nella sua mente e sapeva bene che il soju ne era il sequestratore. Cercò immediatamente l’indizio schiacciante, che si trovava proprio tra i messaggi, sotto il nome “amore mio” tradotto in hangul*.
Lesse: « “Non ho ricevuto la tua risposta al mio primo messaggio. Forse non ti è arrivato?” … bla bla … “d’ora in poi non mi scuserò più, eri a conoscenza del fatto che stavo frequentando un’altra persona già prima”… », la sua voce, da confusa a causa della sbronza, risultava ancor più particolare e curiosamente goffa. «I saekki7 ...», si lasciò sfuggire e qualcuno, per tutta risposta, con un suono altrettanto assonnato chiese:
«Nugu?8» Gli occhi di Gemma erano chiusi, le sue mani strisciarono verso il cuscino abbracciandolo.
«Il tuo ragazzo.» Confessò Mr. Im osservandola.
«Ah! Majayo!9» Sbadigliò.
Song Rok tornò a tenere a bada le immagini che vorticavano intorno a lui, per fortuna la nausea non sembrava contemplata in quel contesto di poca lucidità. «Per quale assurdo  motivo mi tocca stare dietro a te? Non è che gli impegni mi manchino, eh!» Si esprimeva fissando l’armadio di fronte, come se in verità lì vi fosse la ragazza a cui era riferita la frase.
Ma lei era alle sue spalle, distesa comodamente sul letto, gli occhi sempre serrati, con un piede tra il mondo dei svegli e quello degli assonnati. «Nessuno … ti … costringe.» La risposta arrivò a fatica.
Song Rok allora si voltò, appoggiando un gomito sul materasso, chinandosi su di lei e sussurrandole all’orecchio: «Allora da domani facciamo che mi escludi da tutto?»
Finalmente Gemma Brizzi sollevò le palpebre con immenso sforzo. «Abbiamo un accordo … noi.»
«Ti sbagli …»
Alzò la testa dal cuscino leggermente, in modo da poterlo guardare meglio, anche se risultava inutile, il suo volto era talmente vicino da poterlo ben vedere anche se rimaneva distesa. «C’è quel patto, lo sai!»
Song Rok scosse la testa, mostrando un’espressione infantile: «Quale patto? Aniiii10
«E invece sì!» Infastidita la giovane donna si alzò dal letto, dondolando verso il pavimento, cercando di non cadere al primo passo. Si avvicinò alla valigia e cominciò a rovistarci dentro.
Lui rimase comodamente rilassato su di un fianco, controllando le mosse ciondolanti di colei che era sicuramente la più ubriaca li dentro. «Stai cercando quel fantomatico contratto scritto con il mio sangue?» Ridacchiò, ma si bloccò nel momento in cui notò la giovane lanciare un paio di pantaloncini da notte. Successivamente si sfilò i jeans, rimanendo in biancheria intima. Prima che togliesse anche la maglietta, si distese prono, sguardo fisso al muro, cuscino ben stretto in petto. «Ais … jongmal!» Utilizzò una tipica esclamazione nella sua lingua, una sorta di brontolio a mezza imprecazione. Avvertendo poi un peso ricadere sul materasso al suo fianco, si azzardò a dare una sbirciatina, trovandosi a fissare un bel paio di gambe messe in bella mostra da un pigiama molto corto nella parte inferiore, e molto casto in quella superiore. Una maglia a maniche lunghe di sicuramente cinque taglie in più e degli short leggerissimi. «Qui hanno tutte la fissazione di mostrare le gambe … pensavo tu fossi diversa», mentre lo diceva i suoi occhi non smettevano di scrutare quel dato punto, «e invece ti mostri ad un uomo, che nemmeno conosci, con quei ridicoli pantaloncini.» Sospirò, spostando l’attenzione verso il volto pacifico di Gemma. «E se tu … ti innamorassi di me?» Sollevò improvvisamente una strana domanda, « immagino possa esserci il rischio e siccome sarebbe molto scomodo, credo sia meglio smetterla con questo sciocco accordo.»
«No.» Sussurrò nel dormiveglia l’italiana, «e se … tu … di me?» Nonostante sembrava essere più veglia che dormi, la frase le uscì incompleta. Lo stava nuovamente lasciando, per abbandonarsi tra le braccia di un altro presunto uomo: Morfeo.
Song Rok rispose con un gesto di diniego lento, «no, non c’è il rischio, non in quel senso di marcia.»
Anche lei sembrò concordare: «Keureohguna11 … no», annuì mentre lo pronunciava, anche se la pronuncia risultò per un primo momento molto flebile, poco chiara. «N-no …», continuò con voce più viva, ma tormentata, « no, Sarah non voglio il kimbab per … co …la-» si addormentò del tutto ancor prima di concludere la frase.
Song Rok sorridendo girò il capo dalla parte opposta. «Sono sicuramente meno ubriaco di te. Però mi distendo giusto un attimo … », strisciò a sua volta con le mani sotto il cuscino, stiracchiandosi ben bene, « … non posso mettermi alla guida in questo stato, lo sai.» Chiuse gli occhi, volendosi riposare realmente solo per qualche istante, continuando a rimuginare ad alta voce: «O forse … meglio non tornare a casa … potrei sempre mettermi nello sgabuzzino … con la poltrona … della … », proprio come Gemma qualche momento prima, anche Mr. Im non riuscì a terminare la frase, prima che Morfeo lo rapisse completamente.


1 
Jeongsin jaryeora! (정신 차려라 pronuncia: jongshin charyora, entrambe le "o" aperte) 정신 jongsin è spirito, 차려라 charyeora deriva dal verbo 차리다 Charida, che ha diversi significati, tra cui legandono a quel vocaboo ha il significato di riprendere coscienza.  
2  Jung e 2* Mapo: Seoul è divisa in 25 distretti (구 gu), che sono a loro volta suddivisi in 522 동 dong, che noi possiamo definire zone. Jung e Mapo sono dunque due distretti, 중구 Jung-gu e 마포구 Mapo-gu, all'interno di essi abbiamo appunti diversi dong che però contengono a loro volta altre tante regioni. Nel distretto Jung ad esempio abbiamo la famosa 명동 Myeong-dong, in quello di Mapo, 동교동 Dongyo-dong la zona dove vanta la presenza dell'area Hongkik University, 홍대 Hongdae dove è ambientata la maggior parte della storia.
3 Gwanghwamun: 광화문 è una località del distretto di 종로구 Jongno-gu dove sono presenti le statue di SeJong il grande e Yi Sun Sin, oltre al palazzo Gyeongbok. 
Tdeokbokki: 떡볶이 piatto tipico coreano, con sugo piccante, fatto con i 떡 Tdeok, torta di riso.
5 "ajumeoni, soju du byeong juseyo!": 아주머니 소주 두병 주세요 "Ajumeoni, due bottiglie di soju per favore" 
Wae: 왜? Perché?
Hangul: alfabeto coreano
I saekki: 이 prunucia= i  "questo" 새끼 pronuncia= sekki "bastardo"
8 Nugu? 누구 "chi?"
Majayo: 맞아요 "giusto"

10 Anii: 아니~ "nooo" senza cortesia.
11 Keureohguna: 그렇구나 pronuncia "kuroguna" con la u a denti stretti e la o aperta. E' un'espressione che vorrebbe dire una sorta di "ah è così" o ancora "aha!" un'esclamazione di questo genere.

Tdeokbokki



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Gwanghwamun


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Capitolo 15
*** CAPITOLO 24° ***


24 Capitolo

 

 

 

 

Un naso perfetto, ma così diverso dalla solita perfezione, perché naturale. Nel suo paese amano ritoccarsela quella parte del volto, anche senza che vi sia una vera motivazione per farlo. I coreani prediligono le sagome importanti in stile europeo confronto ai loro nasini più anonimi, tanto che gli attori più apprezzati di Corea sono proprio coloro che portano lineamenti molto più occidentali rispetto ad altri. Ma quel nasino “alla francese”, che leggermente si allungava verso l’alto, non aveva poi molte linee che risaltassero. Era semplice, di una grandezza ideale rispetto al piccolo viso delicato. Era molto più apprezzabile ti tanti altri nasoni, secondo Im Son Rok. 
Se si fosse trovato accanto ad una sua connazionale, con malizia, avrebbe cercato di tirare via quelle lunghe e folte ciglia che contornavano le palpebre. Invece sapeva bene che, in quel caso, la loro naturalezza non era apparenza. La bocca raccolta, dalle labbra modestamente piene di un bell’incarnato, la fronte non troppo spaziosa, le orecchie piccole e i capelli che ricadevano in una liscia e fina cascata, baciata dall’ombra dei rami e dai raggi di un sole verso il tramonto. 
L'uomo aveva aperto solo uno dei suoi, un po’ tormentati, occhi a mandorla, ma si svegliò del tutto notando di essere disteso accanto a colei che poteva benissimo definire … una cliente. 
«Assolutamente poco professionale … », si bacchettò da solo per essersi addormentato così pacificamente in una stanza occupata. Schiarì poi la voce, e cercò di scivolare via da quel letto senza che la momentanea addormentata se ne accorgesse. Strisciando lentamente all’indietro. 
«E’ un patto!» 
Quell’esclamazione lo fece sobbalzare, bloccando la sua tentata fuga. Aveva portato le braccia al petto, per non rischiare di toccarla; le mani chiuse a pugno, il corpo rigido. 
«E’ un patto Song … Rok», continuò a pronunciare la giovane donna di fronte a lui, borbottando poi dell’altro: «Però … non mi piace il kimbab.» 
Storse il naso e la fissò sdegnato, « si è sognata per tutta la notte il kimbab?» 
Tentò allora di mettersi seduto, così da poter sgattaiolare via più rapidamente. Un sospiro pesante però lo allarmò e ben presto vide uno zombie post sbornia muoversi fin troppo velocemente per la sua natura di “non morto vivente”. Comprese di non aver più via di scampo quando sentì un peso precipitare sopra i fianchi. Sgranò gli occhi, non capendo ancora bene la situazione in cui si era cacciato, e controllò dunque l’entità del “danno”. Troppo tardi, ormai poteva considerarsi in trappola: disteso su un fianco, era bloccato totalmente da ciò che premeva all’altezza dei fianchi, ovvero una gamba completamente scoperta, che non si poteva definire lunga, visto l'altezza della persona a cui apparteneva. Percorse con lo sguardo quella parte del corpo svestita, arrivando fino ai pantaloncini che fasciavano le cosce generose. Deglutì ripetendo in un sussurro: «Sono superiore a certe cose, sono superiore a certe cose!» Sollevò una mano, riflettendo su come scostare la ragazza senza svegliarla e men che meno toccarla troppo. 
«Sajangnim … » 
Il viso di Gemma catturò nuovamente la sua attenzione. In quel momento la ragazza teneva gli occhi chiusi, ma le labbra erano piegate in uno strano sorriso di sbieco. Per un attimo pensò che fosse sveglia e che volesse impegnarsi con lui in una sorta di gioco seduttivo, ma poi si rese conto che stava ridendo nel sonno. 
Song Rok alzò la testa infastidito. «Anche se sono superiore a certe cose, tu non puoi comunque mostrarti in questo modo ad un uomo! Dormirci insieme poi!» Brontolò dandole la colpa dell’intera faccenda. Abbassando nuovamente lo sguardo trovò un'espressione totalmente diversa su quel giovane e bel volto di fanciulla. Una fanciulla che stava raggiungendo la trentina e non lo dimostrava. 
«Dorme pure con la bocca aperta …», l’orifizio completamente spalancato, in una posa facciale per nulla affascinante. Forse solo per un museo delle cere e pure di quelli in stile macabro. 
«Bocca aperta, scosciata, in una posizione scomoda, a letto con un uomo che consoci mediamente poco … ho rivalutato la sua grazia, Miss Brizzi.» Lo sguardo si spostò per l’ennesima volta su ciò che lo imprigionava. Strinse i pugni, «voglio dire … se al posto mio ci fosse stato un altro individuo di sesso maschile, lo sai almeno il rischio al quale saresti andata incontro?» 
Avvicinò una mano al ginocchio di Gemma, preparandosi a sfiorarlo per cercare di spostare il peso. Si fermò, l'improvviso pudico imbarazzò frenò l’intento, sebbene sembrasse ormai deciso. Sospirò ricaricando il coraggio. «E’ solo un paio di gambe in fondo. In teoria una donna bassa, come te, non dovrebbe avere delle gambe così. Invece tu … tu che diritto hai di avere delle belle gambe quando sono così corte?» Il dialogo che faceva con se stesso e l'addormentata stava ormai degenerando; più che altro lo aiutava ad evitare che la concentrazione andasse ad altre sensazioni, più … fisiche
Finalmente, toccandola appena, cominciò a spingere delicatamente verso il basso. Si arrestò ancora un attimo, come se volesse riprendere fiato, «pensiamo ad altro, pensiamo ad altro … », cercò un interesse diverso, uno qualsiasi, così notò la sua giacca sgualcita. Rigirò gli occhi, tornando a spostare l’arto di Gemma. «Ho dormito pure con la giacca, fantastico!» 
Finalmente ci riuscì! Si liberò di quell’intrigo e si sedette velocemente sul materasso, prima che lei potesse pensare di catturarlo una seconda volta. 
«Voglio … » una voce femminile impastata dal sonno tornò a dialogare, « … voglio i chijeu tdeokbokki1 …» confessando il suo desiderio di tortine di riso al formaggio. Song Rok la osservò con sufficienza mentre si alzava e toglieva la giacca. Gemma si rigirò nel letto, mentre il direttore usciva da quella stanza.
 

****

 

Perché quegli uccellacci continuavano a volteggiare sopra la sua testa? Non avevano altri posti dopo sostare? Il loro verso gracchiante era insopportabilmente assordante, sempre più forte, come se lo stormo si stesse avvicinando e temeva fosse proprio così. L’ultimo strillo potente la svegliò del tutto, e con occhi gonfi drizzò la schiena di colpo in quella stanza sfocata e roteante. Uno scherzo della pressione, pensò. Poco dopo il girotondo mentale decise di fermare la sua corsa. Gli occhi riuscirono finalmente a mettere a fuoco e, con non poca fatica a causa delle orecchie intontite, individuò anche il rumore che tanto le aveva turbato il sonno: il cellulare squillava, ma la cantilena non assomigliava affatto al verso di una cornacchia, chissà perché nel sogno si era trasformato in tale. 
Ignorò comunque la chiamata. Tossicchiò avvertendo la gola secca, come se per tutta la notte avesse dormito a bocca aperta. Si stropicciò poi la faccia con le mani, notando solo successivamente il televisore di fronte, la finestra, l’armadio marrone alla sua destra e il bagno in vetro sabbiato, sospirò sicura di essere nella camera del goshiwon e non di chissà quale Motel, accanto a chissà quale individuo di indubbio pudore. Non ricordava granché della sera prima, quindi era logico per lei ipotizzare chissà quali cose potevano essere accadute mentre era sotto i fumi dell'alcool. Non solo la perdita di memoria ne era una prova tangibile, ma lo avvertiva anche fisicamente: lo stomaco bruciava e si muoveva sottosopra. Esagerare con gli alcolici non fa bene. 
«Non è da me … non è da me. Mi sono ubriacata ancora una volta. Ah!» sospirò, « vorrei sapere come sono tornata a casa … » 
Intanto che rifletteva, faticosamente, il cellulare non smetteva di chiedere costantemente la sua attenzione. Le cose erano due: o la suoneria era impazzita, oppure chi chiamava aveva una determinazione non da poco. Osservò poco desiderosa di rispondere a quel cocciuto, scoprendo che si trattava di Sarah. Purtroppo l’amica avrebbe aspettato ancora per un po’: Gemma roteò gli occhi, per poi correre in bagno a causa di un’ondata di nausea improvvisa. 
Con la testardaggine con cui si faceva riconoscere, Sarah Kim tentò di richiamarla per l’ennesima volta qualche minuto più tardi e finalmente lo zombie post sbornia riuscì a rispondere. 
«Oggi shopping!» Cantilenò l’italo-coreana come saluto di buongiorno. La voce squillante passò dal cavo telefonico all’orecchio di Gemma, rischiando quasi di perforarle un timpano. In verità era un’esagerazione che avvertiva a causa al lancinante mal di testa che le scombussolava il cervello. 
Mugugnò, distendendosi sul materasso, «Sarah, prima di tutto abbassa la voce e poi, scusa ma oggi non posso.» 
«Suona tanto come una scusa … » le fece subito notare. 
«Non sto molto bene. E sinceramente non ci tengo a far shopping qui, come faccio a comprare dei capi se non posso nemmeno provarli? Voi coreani avete questa mania di non adoperare i camerini, che proprio non riesco a capirla!» 
«Basta controllare la taglia, sciocca!» 
«Taglia coreana, italiana, tedesca o americana? Sono tutte bene o male differenti le taglie!» 
Sarah sembrò finalmente cedere con un lamento di sottofondo. «Guarda che in alcuni negozi puoi benissimo provare le cose. Comunque cos’hai? Hai preso l’influenza? Vuoi che ti porti un po’ di chuk?2» Ammalarsi è un lusso per alcune popolazione, la Corea del sud ad esempio, non per niente le persone si presentano al lavoro anche con trentotto di febbre. 
La dolorante si portò una mano sul volto, chiudendo gli occhi. Perfino la luce del mattino la infastidiva. «Non mi serve una zuppetta per ammalati, non ho né febbre né raffreddore, è che ieri … Diciamo pure che ho esagerato …», si notò una certa fatica nel proferire tale verità. 
Si avvertì uno strano suono provenire dall’altra parte della cornetta: un’espressione particolarmente stupefatta sembrò essere uscita dalla bocca di Sarah, «non è da te! Ed è pure la seconda volta!?» 
«Non è da me! Lo so!» Ripeté come per sottolinearlo, allontanandosi prima il cellulare dall’orecchio. Sarah a volte sembrava non comprendere l’italiano, o meglio non ascoltava le suppliche altrui. 
«Ti rendi conto di cosa significa?» Domandò quest’ultima, facendo una piccola pausa. Logico sospettare che Gemma non concepisse affatto il concetto. Non riusciva ragionare abbastanza lucidamente per arrivare da sola al punto: «Secondo te di chi è la colpa? Yon U, bella mia! A causa sua stai cambiando.» 
Per un attimo il silenzio l’abbracciò, ed era una stretta calda, ombrosa, accogliente. Allargando le dita della mano, ancora sul proprio volto, fissò il soffitto riflettendo. Aveva ragione, tutto ciò che la spingeva ad auto lesionarsi in qualche modo, era a causa di quella persona. Per colpa del suo cuore sofferente, sentiva la smania di annullarsi, una sensazione troppo pericolosa. Socchiuse le palpebre continuando la sua riflessione, perché c’era qualcos'altro che le stava forse sfuggendo: «Ss-sì, è vero», pronunciò con dubbio. Il giorno prima lo aveva visto al parco, insieme alla sua nuova fiamma. «La causa scatenante è sempre lui, ma … ieri sera, anche se avevo tutta l’intenzione di ubriacarmi fino ad appisolarmi, alla fine mi sono fermata.» Ed era stato in effetti così: su quel chioschetto ambulante, il sonno aveva preso la meglio su di lei prima che si spingesse troppo oltre con l'alcool. E comunque non aveva mai desiderato di fare del male a se stessa, ma solamente cancellare l’ultimo incontro con il suo ex fidanzato e il suo successivo messaggio. Quello sì che era stata l’ultima goccia che aveva fatto traboccare il vaso, che confronto a quello di Pandora, il suo di vaso era più pietoso che spaventoso. 
L’intento era quello di spegnere i sentimenti per lui. Per farlo bisognava spegnere il cervello momentaneamente per lo meno, se non si poteva fare altrettanto con il cuore. Era convinta che il giorno dopo tutto avrebbe preso un gusto diverso, solo lievemente amaro e per il resto insapore. Eppure si era chiaramente ubriacata, tanto da dimenticare parte della serata. 
«Il problema è Song Rok!» Rivelò improvvisamente sia a se stessa sia a Sarah. «Ora che ci penso, tutte le volte che perdo la ragione lui è con me! Anche ieri se non me lo sono sognata. Quando mi sono svegliata lui era proprio lì di fronte a me e abbiamo bevuto insieme, poi … è scomparso.» 
«Scomparso? Se ne è andato e ti ha lasciato sola in quello stato?» Chiese preoccupata e quasi allibita. Nel suo immaginario, Mr. Im era la perfezione, l’ideale di eleganza e rassicurazione, non potevano dunque comparire delle macchie nel suo bel curriculum, era impensabile che avesse davvero abbandonato una donna priva di lucidità per le strade buie della capitale. 
L’italiana cercò di risedersi sul materasso, lo sguardo corrucciato, nuovamente confusa. «No, in verità non ricordo ... che sia davvero comparso ad un certo punto della serata e poi se ne sia andato? Oppure ho sognato!» Roteò gli occhi, la testa le doleva troppo per poter pensare più accuratamente. «Comunque, che vi fosse o meno, pensandoci bene, quando sono con lui io mi sento al sicuro, forse anche troppo. Come se fossi in una botte di ferro, perciò mi lascio andare.» 
Sarah ridacchiò di fronte a quelle ammissioni. «Perché avverti che quella persona ti spalleggerà in qualunque evenienza.» Specificò, allargando il suo sorriso già da prima immenso. L'immaginario che Sarah aveva di quell’uomo si rivelò ancora ben intatta. 
Gli occhi color fumo si abbassarono, puntando verso la mano che giocherellava con le lenzuola, « e perché avrei questa convinzione secondo te?» Domandò all'amica, non credendo che avesse una risposta più concreta delle sue stesse ipotesi. «Che sia la sua voce?» Sussurrò poi tra sé e sé. Doveva riconoscerlo, Song Rok aveva uno strano ma rassicurante timbro di voce. Così grossa e profonda da apparire a volte goffamente grossolana, simpatica certamente e allo stesso tempo dava il senso di serietà, sicurezza, protezione e forza. Il capo si sollevò all’improvviso, gli occhi sbarrati e l’espressione di chi, terrorizzata, si chiedeva: «Un momento, perché stiamo divagando? Devo ancora capire chi mi ha portato a casa!» 
Dall’altra parte della cornetta qualcuno era saltato sicuramente sull'attenti: «Oddio, non è che sei finita a letto con qualcuno? No, non mi dire!» 
Gemma sbuffò, scacciando ogni sentore di paura. «Ti sembra realistico? Mi sono svegliata da sola, primo! Secondo, visto che forse ero con Song Rok, ti pare possibile che possa succedere una cosa simile? Non l’avrebbe permesso.» 
«Non lo so ... » bofonchiò Sarah Kim, «Hai detto che ad un tratto è scomparso. Metti che si sia stancato di te e ti abbia lasciata sola, a quel punto tu avresti potuto incontrare qualcun altro per la strada e forse te lo sei proprio portata a letto. Se la mettiamo in questi termini, credi … che sia ancora assurdo?» Quelle insinuazioni risultarono molto pesanti. Tanto che Gemma cominciò a ridere. 
Quella risata però scemò poco a poco, «che sciocchezze! Non ricordo nulla, quindi …» la sua convinzione comincò a vacillare e il terrore ad espandersi per tutto il suo corpo. 
Cercò di scacciare ogni mal pensiero. Non avvertì nemmeno più la voce del suo fantomatico ed improvvisato grillo parlante, e pensando che stesse inventando chissà quali altre assurdità in quella mente fantasiosa, approfittando del mutismo temporaneo, la lasciò procedere. Non aveva troppa voglia di conversare con lei in quel momento, si limitò ad ascoltare. «Credo che ti abbia portato a casa Mr. Im. E lo spero per te anche», altra interminabile pausa, nella quale Sarah venne percossa da un dubbio insopportabile. «E' che … potresti davvero aver dormito con lui …» 
Non serviva avere uno specchio davanti per comprendere di essere sbiancata velocemente, Gemma lo avvertiva da sola. Sentiva il calore del suo volto abbandonarla, raggelando in un batti baleno. Abbassò subito lo sguardo, osservando i vestiti che stava indossando. Per lo meno non era svestita. «Ho … ho il pigiama», pronunciò con voce imbarazzata e ricca di timore. Ma almeno che non fosse andata in giro vestita in quel modo il giorno precedente, l’indossare gli abiti da notte poteva essere una prova più che altro in suo sfavore: significava che qualcuno le aveva tolto sia i jeans sia la maglietta, per poi farle indossare i capi da notte. Anche se tra lei e il direttore non fosse successo nulla, era possibile che Song Rok si fosse allargato a tanto? Per la comodità della giovane stessa, uno come lui poteva arrivare a spogliarla senza battere ciglio? 
«Ma no! E’ impossibile! Non lo farebbe mai!» Rispose a se stessa con una certezza quasi assoluta. 
«Ad ogni modo, cerca di ricordare almeno un po' di eventi. Io ora devo agganciare, è pronto in tavola, il mio …» Sarah si interruppe. Stava per utilizzare un termine troppo grossolano per lei, tanto che smorzò subito la cosa, cercando qualcosa di più adatto per definire la persona che doveva incontrare: «... chingu… ha appena finito di cucinare un samkyetang3 da far invidia ai ristoranti più rinomati.» Optò dunque per la parola coreana “amico”, parlando di un qualcuno che sicuramente avrebbe dovuto definire in tutt’altro modo. 
«Oh, chiami amico tutti quelli che ti fai?» 
«Non mi faccio, frequento vorrai dire.» Precisò quasi offesa l'altra. 
«Comunque sia è un amico, eh? Un amico ...» Dubbio sulla durata della relazione a parte, ormai Sarah doveva ammettere di aver preso il binario di una relazione duratura e Gemma non poteva che esserne contenta di questo. Aspettava solo il momento di conoscere da più vicino quel fascinoso segretario di cui aveva intravisto il volto solo una volta e di sfuggita. «Quale sarà il segreto di quest’uomo, che riesce a tenersi stretto Mss Kim più di quanto non hanno fatto gli altri fino ad ora?» 
«Se non fa altro che adularmi e preparare pranzetti succosi posso forse scartarlo?»
 

****

 

La luce che si sprigionava in quel luogo era comunque intensa, sebbene richiamasse sensazioni di cheto tepore, forse poco adatta per lo studio, semmai ottimo sfondo per il relax. Ricordava il riposo, la pausa pomeridiana, di fronte ad una buona merenda, com’era solita fare da bambina. Gemma Brizzi si umettò le labbra, ripensando al post scuola dai nonni: compiti, anime giapponesi, un bricchetto di Estaté e una Kinder Delice. La pancia le brontolò all’istante e lei ritrovò la sua concentrazione. 
I pezzi kpop che le risuonavano nelle orecchie forse non erano del tutto appropriati per quel contesto, anche se si trattava pur sempre della stessa lingua che stava per l’appunto imparando. Normalmente preferiva la musica melodica coreana e le colonne sonore dei suoi amati drama, e ormai nel suo ipod si potevano trovare poche canzoni occidentali. 
Troppo impegnata dagli esercizi di grammatica, ascoltando la triste “Malted”, pezzo degli Akdong Musician4, non avvertì la presenza che stava giungendo alle sue spalle. 
Poteva osservarla solo di schiena, notando comunque con quanta concentrazione l’autodidatta si impegnava con le sue lezioni. Avvicinandosi fissò gli auricolari, chiedendosi cosa stesse ascoltando. E a causa di questi, la giovane donna non doveva averlo sentito arrivare. Non aveva udito nemmeno il rumore del sacchetto di plastica nero, che Song Rok portava con sé, e tanto meno i suoi passi sicuri. Si fermò alle spalle della ragazza per un attimo, puntando lo sguardo sul quaderno, per poi chinarsi, toglierle una cuffia dalle orecchie e pronunciare: «I soliti errori!» 
Gemma si voltò di colpo, rivelando un’espressione scioccata. «Ah, sei tu … », cercando di riprendere fiato, mancatogli per un secondo, osservò i movimenti del direttore, che posò subito la busta che portava con sé, spostandosi poi verso la scrivania. 
«Se hai fame … mangia pure.» Avvisò con aria distratta, allungandosi sopra al bancone per trafficare con le scartoffie. 
Dopo la sbornia, al risveglio, era sopraggiunta solamente una grande ed insopportabile nausea, perciò Gemma non aveva mangiato per tutto il giorno. Colta quindi da un secondo brontolio allo stomaco, si prodigò a controllare cosa contenesse quel sacchetto poco invitante. Ciò che ad un primo sguardo sembrano buste dell’immondizia, in Corea del sud sono sportine solitamente usate nei mini market. 
Sollevò il capo, gli occhi pieni di stupore e gola: «Come facevi a sapere che avevo una gran voglia di tdeokbokki al formaggio?» Lui non rispose, rimase fermo nella sua postazione, continuando a mostrarle la schiena, ma sollevò lo sguardo di fronte a sé sogghignando silenziosamente. Si era ricordato del sonniloquio di quella mattina, e aveva dunque immaginato che se la sarebbe portata appresso per tutta la giornata quella voglia di chijeu tdeokbokki. 
«Song Rok, senti …» 
Pronunciare il suo nome fu una sorta di richiamo all’attenti: l’uomo si voltò quasi facendo una piroetta, un sorriso piatto, statico sulle labbra e le braccia che pian piano si posavano sul banco della reception, comodamente in ascolto delle parole dell’ospite lì davanti. 
Gli occhi di Gemma si spalancarono per un brevissimo istante, evadendo poi da quelli dello statuario coreano. Se fosse rimasto di spalle forse l’avrebbe agievolata, visto l'argomento che stava per sollevare. 
«Ieri sera …» 
«Hai esagerato!» Troncò il discorso per primo, suggerendo ciò che evidentemente la ragazza voleva sapere, « di nuovo e ho dovuto portarti sulle spalle fino in camera.» 
Così Gemma si armò di coraggio, sollevando il volto per affrontare quello sguardo magnetico. «Non ricordo, mi dispiace.» Gli fece un mezzo sorriso colpevole, corrucciando la fronte preoccupata. 
Lui invece sorrise sarcastico. «Per forza! Dormivi … poi ad un certo punto ti sei svegliata, ma …» 
La preoccupazione, al posto di diminuire, improvvisamente aumentò. Fissò quell'uomo con sguardo perso. «E … cos’ho fatto?» Piatta, indecisa, flebile. La sua voce non appariva agitata, anche se dentro il tormento era in atto. 
Una sopracciglia si impennò, «Insomma ... non ricordi proprio nulla?» 
Oscillò la testa, «nulla» confermando. 
Per un istante non fecero altro che fissarsi a vicenda, nessuno dei due sembrava voler intervenire per primo. Im Song Rok soprattutto, che stava nel frattempo riflettendo, cercando un modo per mettere a tacere quel dialogo scomodo. Non voleva ammettere le sue colpe, nonostante fossero di poco conto: essersi addormentati nella stanza di una ragazza non equivaleva ad averla spudoratamente sedotta o quant'altro. 
«Eri messa peggio di quel che pensavo.» Riuscì a dire infine. 
La controparte cercò di nascondere il disagio che provava a non ricordare nulla di quella notte, sottolineando però un fatto che la tormentava: «Ero … in pigiama al risveglio.» 
«No affatto!» Si affrettò ad esclamare lui sollevandosi dal bancone su cui era appoggiato. «Voglio dire … ti ho messa a letto, ti ho tolto solo le scarpe e me ne sono andato», gli occhi vagavano per la stanza, mentre cercava di recitare, senza che la coscienza lo facesse sentire un bugiardo. «Non so cosa tu … possa aver fatto poi.» 
Il sorriso di Gemma questa volta annunciava tutta la sua rassicurazione. Sospirò più serena, « okay! Grazie. Devo essermi svestita durante la notte.» 
«Metterò anche questo in conto, sono stanco di fare da drunk-sitter, ammesso che esista», ironizzava per cercare di cambiare argomento. «Ad ogni modo, almeno hai mangiato a pranzo?» 
«No! Vuoi mangiare con me?» Domandò allegramente Gemma, tirando fuori i tdeokbokki gentilmente offerti dal direttore. Costui le si sedette accanto. Prese le bacchette di legno, le spezzò e le porse alla sua cliente: 
«Manhi deuseyo5», diede il permesso di servirsene. 
Gemma sorrise, allargando smisuratamente le labbra. Avere fame e trovarsi di fronte ad un piatto tanto saporito la rendeva felice. «Jal meokkesseoyo!6» 
Iniziò ad acchiappare quelle scivolose tortine di riso, che ad un'italiana possono apparire tanto similare agli gnocchi, anche se gusto e consistenza sono nettamente differenti. La salsa era talmente piccante, che Gemma si alzò velocemente per prendere una bottiglietta d’acqua dal frigorifero. 
Nella foga della fame, non diede peso allo sguardo di Song Rok, perennamente incollato su di lei e nemmeno al leggero e dolce sorriso stampato sul suo volto. 
Poco dopo il proprietario dell’Ilmol-house cercò qualcosa nella tasca dei costosi pantaloni del completo, per passare qualcosa alla giovane intenta ad abbuffarsi. Osservò dunque il biglietto che apparve sul tavolo: portava l’insegna dell’Artkeukjang, di cui si occupava Mr. Im. Da direttore di un goshiwon, tornò a vestire i panni del direttore di quella scuola di teatro. Leggendo, comprese che si trattava di un invito. Ancora con la bocca strapiena, senza dire nulla, alzò il capo e sbarrò gli occhioni grigi, quasi a chiedere delucidazioni. 
«Visto che mi devi un sacco di favori … Tra quattro giorni ci sarà uno spettacolo, verresti?» 
Deglutì prima di rispondere, curiosa: «E questo sarebbe un favore?» 
«Sì. Devo riempire gli spalti», indicò il biglietto con un gesto della mano, « se noti sono due inviti. Uno per te e uno per la tua amica.» 
Le labbra, arrossate dalla salsa piccante, presero una piega provocatoria. «Oho! Mr. Im, questa cosa non avrà invece uno strano fine?» Prima ancora che lui potesse giustificarsi e negare tutto, Gemma continuò: «Guardi che Sarah Kim ormai è fidanzata, anche se rifiuta ancora di chiamare quel pover uomo come dovrebbe.» 
Song Rok comprese la battuta che lo interessava e ridacchiò con una strana ombra di sollievo nel timbro della voce. «Ah, sì? Ha davvero trovato un uomo? Direi una fortuna per me allora!» 
Anche l’italiana si trovò a ridere brevemente insieme a lui. «Non canti vittoria! Sembra avere ancora un debole per gli attori di teatro, specie per i direttori.» Lo sguardo fintamente malizioso. 
Im Song Rok tirò fuori un terzo invito. «Mi stai suggerendo di armarsi», ritornando comodamente ad appoggiarsi allo schienale della sedia, i gomiti sui braccioli e le mani congiunte di fronte a sé. «Dille di portare anche quel poveraccio allora. Sono proprio curioso di vedere il volto del martire.» 
La ragazza lasciò le bacchette nella ciotola, afferrando i biglietti, cominciando a rigirandoseli tra le mani. «Ad essere sincera non sono mai stata a teatro. Non vedo l’ora!» 
«Domani invece ho la rappresentazione degli studenti.» Pensò ad alta voce, con la concentrazione persa nel vuoto e recuperata un attimo dopo, alzandosi per tornare alle sue faccende. Era ormai giunto di fronte alla sua scrivania, quando ci ripensò e si voltò chiedendo: «Se ti chiedessi di venire con me … ti suonerebbe troppo strano?» 
L’espressione di Gemma rispondeva già da sé senza che dovesse ripetersi a voce. «No, perché? Non ho altri impegni. E francamente ho bisogno di distrarmi in questo periodo, possibilmente stando lontana dal soju.»
Song Rok, raggiunta la sua poltrona dietro alla reception , ci si accomodò. «Non posso che essere d’accordo.» 
«Sajangnim …», attirò il suo sguardo nell’immediato, « … per ieri sera …», il volto serio, imbarazzato e dispiaciuto, «… chiedo scusa.» 
Il direttore socchiuse gli occhi scrutandola interessato. «Posso chiederti perché ti spingi così oltre? Anche se credo che la causa del tuo malessere sia evidente.» Talmente evidente che non serviva dare spiegazioni, per questo Gemma non proferì parola, abbassando invece lo sguardo tristemente. «Fa niente!» Si affrettò ad esclamare colui che aveva posto l’ovvio quesito, « vorrà dire che ti troverai un conto salatissimo da pagare alla fine di questo assurdo e improbabile contratto.» Gli occhi ormai persi tra i documenti su cui stava per iniziare a lavorare. 
Gemma invece tornò sui suoi chijeu tdeokbokki. «Non le ho dato ancora un centesimo, per cui può aumentare la tariffa se vuole.» Giocò con l’onorifico proprio come stava facendo con le sue tortine di riso. Squadrò di lato l’interessato, trattenendo un ghigno divertito. Song Rok si era limitato invece ad alzare le spalle. «Comunque grazie ancora di tutto.» Concluse la ragazza, sbuffando poi per il modo con il quale l’uomo “rispose” ai suoi ringraziamenti: gesticolando con la mano. Troppo impegnato per degnarsi di usare la voce.


1 C
hijeu tdeokbokki: 치즈떡볶이 i Tdeokbokki (tortine di riso in salsa kochujang) al formaggio.
2 Chuk: 축 è una sorta di porrige di riso. Lo si mangia in Corea quando si sta male.
Samkyetang: 삼계탕 è pollo in brodo di giseng

Akdong Musician: gruppo musicale coreano, due fratelli, sotto la casa discografica YG.
Manhi deuseyo: 많이 드세요 è un modo per dire di servirsi del pasto che si ha preparato o comprato alla persona a cui ci si riferisce. Questa dovrà rispondere con  la formula spiegata sotto.
Jal meokkesseoyo: 잘 먹겠어요 è un modo per dire "mangerà bene" che ci si serve del pasto preparato o comprato dalla persona a cui ci si rifersce.



Alla prossima!

 

 

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Capitolo 16
*** CAPITOLO 25° ***


25 Capitolo

 

 

«Secondo te … se dovessi andare a teatro con qualcuno, mi dovrei vestire elegante?»
«Certo che sì! Quei posti non sono fatti per t-shirt, jeans, birra e patatine.» Inizialmente non si era affatto insospettita, rispondendo alla strana curiosità di Gemma senza darle troppo penso. Ma ci mise un attimo ad accoppiare la parola “teatro” al cognome “Im”. «Perché? Con chi ci vai?» Aveva chiesto successivamente, colta da un improvviso e preoccupato interesse.
Gemma dal canto suo non svelò troppo, timorosa che l’amica si ingelosisse per niente. Per paura di ferirla, non le confessò dunque che l’indomani avrebbe accompagnato “l’uomo dei sogni” ad una sorta di elegante “recita scolastica”. Optò invece per rivelare la grande sorpresa che teneva in serbo: l’invito alla prima dello spettacolo al quale il sajangnim stesso avrebbe partecipato. Logicamente l’italo-coreana si era trattenuta nell’urlare dall’emozione, sotto intendendo così di essere in compagnia del suo “chingu”, come lo definiva lei. Se si è con il proprio ragazzo, meglio non gioire a causa di un altro uomo.
Im Song Rok non era stato chiaro sull’abbigliamento da adottare, ma non serviva un genio per capire cos’era più consono indossare, d’altronde Sarah stessa l’aveva confermato durante quella loro breve telefonata. In effetti Gemma la disturbò solamente per quel suo dubbio esistenziale, sperando solo di essere in torto. Non aveva nessuna voglia di indossare un vestito e soprattutto di cercarne uno adatto tra quei pochi che si era portata dietro dall’Italia. Ancor più impensabile sperare di trovarne uno in quella terra delle curve accennate. Non era il tipo da mettere in risalto le sue forme con capi formali, ma nell’armadio di una signora qualcuno di essi lo si trova sempre, giusto?
Per fortuna sua era lo spettacolo degli studenti, non veri e propri professionisti, quindi immaginava di dover limitarsi nell’eccedere con la raffinatezza. La scollatura leggera a v, segnata dalle spalline unite dietro al collo, una bella forma a tubino dalla gonna non troppo corta e dalla stoffa che ricordava la seta, color avorio tendente al verde dorato, con il pizzo nero che la ricopriva quasi del tutto. Una fascia nera sempre in stile ricamato a stringerle la vita. Aveva acconciato i capelli in modo che le ricadessero dal lato sinistro, ammorbidendoli sulle punte per dare più volume e lisciando la parte destra della capigliatura, immobilizzando il tutto con un ferma capelli ben mimetizzati. Il trucco era semplice, una linea sottile di eyeliner sulla palpebra superiore, mascara e un tocco di rossetto rosso, un look che ricordava forse gli anni sessanta. Le scarpe erano nere, anche se il tacco non era dei più esponenziali poteva dirsi ben accompagnato all’intero stile.
Riscontrare uno splendido stupore nel volto di un uomo è qualcosa che ogni donna dovrebbe provare per una volta nella vita. Specie dopo esser stata scaricata, comprendere di attrarre altri esseri di sesso maschile è una sensazione di potente fierezza. Anche se magari la persona non è stata del tutto catturata dalle vostre spire e voi non avete l’intenzione di farla cadere ai vostri piedi, non davvero. Per il nostro ego è pur sempre piacevole osservare come possiamo far scaturire interesse nei maschietti. E Im Song Rok in quel momento stava regalando a Gemma quella stessa sensazione che la faceva sentire ancora desiderabile.
«C’è qualche problema?» Nonostante fosse divertita dalla faccia che mostrava il direttore, dagli occhi incantanti, le sopracciglia ben sollevate, le rughe della fronte evidenti e le labbra dischiuse in una sorta di espressione impacciata e statica, avvertiva allo stesso tempo una sorta di disagio e incomprensione.
Ci vollero le sue parole per farle rendere conto che non doveva assolutamente dubitare di se stessa. «Mmm … no. Sei molto bella.»
Il sorriso sincero della ragazza però, non poté evitare l’imbarazzo dei suoi occhi, precipitosamente sfuggenti.
La rappresentazione avrebbe avuto inizio verso le dieci della sera, ma Mr. Im in veste di direttore e anche insegnante della scuola, rappresentante perfetto dunque, doveva presentarsi poco prima per controllare che tutto fosse pronto. Aveva perciò dato appuntamento a Gemma per le sette e mezza, ma visto che entrambi non avevano ancora mangiato, optò per una cena veloce. Avrebbe voluto lasciare l’onore alla sua ospite, ma dato che sembrava non avere preferenze, decise lui per entrambi. Gemma Brizzi in verità non voleva prendersi la briga di riflettere su quale posto sarebbe stato più congeniale, visto anche gli abiti che indossavano entrambi. Anche il suo accompagnatore non scherzava in quanto ad eleganza, anche se non ci si poteva aspettare altro da lui, ben vestito ventiquattrore su ventiquattro o quasi.
Inizialmente Gemma aveva osservato il locale quasi sogghignando per la prevedibilità di Song Rok. Proprio come si addiceva all’eleganza che portavano sotto forma di vesti, l’ambiente intorno a loro era curato. Un’atmosfera delicata, resa un po’ rustica dai tavolini di legno scuro, apparecchiati con tovaglie candidissime e luci soffuse che creavano anche un senso di calore e intimità. Ci mancava solamente la candelina per ogni postazione e il gioco era fatto. Sperava solo che l’assenza di addobbi sfarzosi sottolineasse il buon mercato del ristorante. Ma nel caso si fosse rivelato tutto troppo costoso, al conto ci avrebbe pensato colui che aveva scelto il luogo.
In realtà non c’era un vero motivo per preoccuparsi né dei propri soldi né della situazione in sé. A causa di quell'aria intima, aveva giudicato frettolosamente quel locale, associandolo ad un luogo per coppie. In realtà nei tavoli già occupati, poteva notare diverse tipologie di gruppi: non solo fidanzati, ma anche semplici amici. Insomma alcuni tavoli a due erano occupati anche da persone dello stesso sesso. Vestivano casual, con toni formali e altri invece in jeans e maglietta. Gemma cominciò a sentirsi un tantino fuori luogo conciata in quel modo, una concezione dovuta alla proprio cultura o carattere, forse troppo abituata ad osservare gli altri e a criticarli. Nelle città che non dormono mai gli altri non sollevavano poi molto gli occhi verso i passanti, quindi non hanno nemmeno la scomoda abitudine di giudicare il loro abbigliamento, tanto che si poteva anche uscire in pigiama e ciabatte la notte, senza che nessuno sogghignasse.
La sorpresa vera e proprio però arrivò una volta sedutisi al proprio tavolo: afferrando il menù si rese conto che era composto per gran parte da piatti della sua terra. Aveva sollevato il volto guardando l’uomo di fronte a sé con sguardo meravigliato, anche se lui la stava ignorando per compiere un'azione più interessante: scegliere cosa ordinare.
«Spaghetti alla vongole … o alla carbonara?» Sussurrò tra sé e sé leggendo la lista. Sfogliò rapidamente la pagina, « di secondo … », si arrese e abbassò il libro che teneva tra le mani, supplicando la giovane donna seduta con lui di aiutarlo nella decisione. «Qui sei tu l’esperta. Cosa dovrei prendere? Ordiniamo tutto quello che vuoi, pago io.» Affermò prima di stupirsi del modo in cui lei lo stava ancora osservando.
Il suo dolce sorriso era una sorta di ringraziamento. Schiarì appena la gola sporgendosi verso l’uomo a cui era riconoscente. «Se vuoi possiamo prendere un primo a testa e un secondo, ma di solito io mangio o l’uno o l’altro.»
«Allora facciamo a modo tuo.» Annuì tornando a controllare le scelte. «Vuoi vongole o -»
«Non amo i molluschi.» Attirò il suo sguardo. «Se no possiamo anche ordinare un primo e un secondo e dividercelo. Oppure … la pizza!»
«D'accordo! Carbonara va bene? Se vuoi c’è anche questa cosa ...», Song Rok fece una smorfia osservando meglio l’immagine, «certo che pasta e pane sono delle botte caloriche … Come fate a mangiare sempre così voi italiani? Però … a vederlo, deve essere comunque buono.»
«In realtà quella sottospecie di zuccotto non esiste in Italia.» Lo rassicurò. Si trattava di un piatto molto apprezzato dai coreani, ma l'orgine … molto probabilmente era inventata. Pane scavato all’interno, riempito di crema e spaghetti. Addio alla salute! «Prendiamo la carbonara semplice e una pizza margherita.»
 

Dopo che la signora finì di abbuffarsi di leccornie, ben distanti dall’assomigliare all’italiano, anche se sempre di carboidrati si trattava, chiesero il conto al tavolo. Quando il cameriere, un bel giovane dall’altezza comparabile a quella del chilometrico coreano ancora comodamente seduto, si prodigò a porgere il classico libricino con le note della consumazione, Song Rok notò l’interessamento di costui per la straniera lì presente. Lo fissò con severa disapprovazione, ma non proferì parola e Gemma sembrò non accorgersene nemmeno. Il ragazzo aspettò i contanti, ben dritto al fianco del tavolo, ma con l’occhio che cadeva verso forme femminili elegantemente rivelate da un vestito di pizzo.
«Tenga!» Tuonò una voce gelida, che riportò all’attenti il cameriere. La mano protesa verso costui, le banconote tenute a mezz’aria, un’occhiata infastidita. «Tieni il resto.» Il giovane lavoratore fece un breve inchino, prese il compenso e se ne andò.
Uscendo dal locale lei salutò come sempre, mentre il suo accompagnatore non proferì parola, il volto ancora adirato. Gemma non aveva ancora compreso l’entità del problema, sapendo bene che molti coreani non hanno l’abitudine di salutare gli altri quando entrano o escono dai vari locali, non se ne curò più di tanto.
Quei giorni in Corea erano stati piuttosto miti e caldi, anche se spesso dipendeva dalla giornata. La sera invece si alzava il fresco d’autunno. Sentì improvvisamente qualcosa posarsi sulle sue spalle, prima ancora che potesse avvolgersi nello scialle che si era portata appresso. Song Rok si era svestito della giacca, per cederla alla signora al suo fianco, che prontamente lo guardò confusa.
La faccia di Song Rok era quella di chi non sapeva bene se riferire o meno quel particolare e, allo stesso tempo, si leggeva un cenno di rimprovero. «Il cameriere ti stava guardando il seno.»
Le mani di Gemma volarono immediatamente sul proprio decolté, coprendolo. «Come?»
«Non lo sai che qui le scollature attirano sguardi maliziosi più di un paio di belle gambe?»
Abbassò brevemente lo sguardo osservando il suo vestito, «non è troppo scollato!»
Il direttore sospirò, « dalle tue parti potrebbe essere considerata una piccola scollatura quella, ma qui è un film porno.»
Gemma rise sinceramente. «Esagerato! E se fosse così, non potevi farlo presente quando sono uscita dalla mia stanza?»
Lui alzò le spalle, non avendo una seria risposta da darle. «Stai bene così. Stasera sei bella.» Si concesse di riferire. Fare un complimento ad una donna non voleva di certo dire corteggiarla.
Infatti Gemma non si insospettì affatto e non prese quella frase per una dichiarazione, piuttosto la ignorò perché troppo impegnata su un punto che le era decisamente sfuggito: «Un momento … », lo fissò con occhi socchiusi a fessura, «stavi fissando anche tu il mio seno per caso?»
Gli occhi a mandorla, spesso straordinariamente minacciosi, si allargarono di colpo, trasformando il volto di Mr. Im in una maschera simpatica e impacciata. «N-no!» Esclamò quasi balbettando.
Si compiacque dell'aver messo in difficoltà un uomo come lui. Gli si avvicinò velocemente, con uno sguardo ricco di provocazione, «ammettilo!»
«No! … Ma è logico che pure il mio sguardo sia andanto laddove puntavano gli occhi allupati di quel ragazzino!» Allargò le braccia, una mossa per mostrarsi disarmato. «Quella scollatura è sexy» Fece una piccola pausa, capendo di averla lasciata sbigottita con quell'ultimo appunto. «Hai un bel seno, okay? Prosperoso naturale e se ne vedono pochi nella capitale, quindi è più che normale se cade l’occhio.»
In effetti la ragazza era rimasta un tantino scioccata da quel suo cedimento. Un tipo come Mr. “bella mano”, non poteva lasciarsi sfuggire una cosa così di basso stile, così troppo similare al pensiero ordinario di qualunque uomo sulla faccia del pianeta.
«Sei un pervertito come tutti allora.» Non era seria, ma si stava divertendo a giocare con quella sua debolezza.
«Non è questione di perversione! Almeno che uno non sia gay, con quel vestito non puoi pretendere di passare inosservata.» Si protese verso Gemma, aiutandola ad infilare le braccia dentro la sua giacca, per poi iniziare dal basso ad abbottonarle l’indumento. Arrivato all’altezza del petto si bloccò, puntando involontariamente la traiettoria del decolté femminile. Deglutì, facendo un passo indietro. «Continua da sola.»
La “donna dal bel senso” nel frattempo si trattenne dal ridere e obbedì.

****

«Ti intendi di mitologia?» Chiese, raggiungendola nella postazione a loro riservata. Erano in seconda fila e da lì il palcoscenico sembrava immenso, anche se si trattava di un piccolo teatro, niente a che vedere con quelli di fama internazionale. Il direttore dell’ArtKuekjang l’aveva accompagnata fino alla postazione designata, spostandosi poi dietro le quinte per aiutare i vari professori e gli studenti della scuola, promettendole di tornare il prima possibile. In verità, in quanto a direttore, gli era stato prenotato un posto in prima fila, ma lui aveva preferito scambiarlo con il vicino di Gemma, per poter condividere lo spettacolo insieme alla sua personale invitata. Che gentiluomo sarebbe stato se l’avesse lasciata da sola?
«Narciso ed Eco?» Lesse nell’opuscolo. «Conosco il mito di Narciso.»
«Quale versione conosci?» Le sussurrò, proprio mentre le luci si stavano spegnendo. «Questa che andremo a vedere è la rappresentazione della versione romana.» Concluse, e quando la ragazza si voltò ad osservarlo, lui le sorrise dolcemente, per poi indirizzare le sue attenzioni di fronte a sé.
Narciso era un giovane dall’aspetto talmente piacevole, da far innamorare chiunque lo incontrasse. Eppure, orgogliosamente il ragazzo respingeva chiunque gli confessasse amore, preferendo la solitudine. Un giorno venne notato da Eco, che come tutte se ne invaghì perdutamente. La storia si svolgeva sulla storia di quell'egocentrico personaggio.
Un ragazzo realmente bello come un Dio, un perfetto Narciso. Avvertì un movimento alla sua destra, Gemma era troppo concentrata ad osservare l’attore che recitava la parte del protagonista per dargli peso. Non solo, l'intera scena rapiva il suo interesse: dietro ad una finta siepe, allungando il collo, poté vedere un gruppo sostenuto di ragazze vestite con abiti di vari colori. 
«Quelle sono le ninfe.» il profilo del suo volto si scaldò di un lieve sussurro, voltandosi appena, si disincantò a causa di quella voce. «Povera Eco, non ti fa pena?» Il suo vicino di postazione si era chinato verso di lei per dialogare dialogare senza far troppo rumore. «Una ninfa con una maledizione terribile. Osserva.» Entrambi tornarono a concentrarsi sulla scena successiva.
Il giovane Narciso avvertì un rumore. «Chi va là?» Chiese spaventato.
«Chi va là?» Rispose la voce della ninfa che si nascondeva dietro le fronde degli alberi.
Narciso si avvicinò, «chi sei?»
«Chi sei?» Ripeté il timbro femminile.
Gemma avvertì le loro spalle toccarsi e un dolce peso posarsi sul suo profilo. Ma continuò a fissare la storia nattata senza battere ciglio. «A causa di quel farfallone di Zeus, Giunone punì Eco e la maledì. Perse così l’uso della parole, le uniche cose che poteva pronunciare erano le ultime parole che avvertiva-»
A quel punto Gemma lo interruppe, voltando il capo per rispondergli, «proprio come … » e improvvisamente lui si scostò di scatto, come se fosse stato scottato. « … L’eco.» Lei stessa si era bloccata, vedendo il volto del direttore così vicino al suo. Ma era durato un solo attimo. Continuando a fissare Song Rok, lo vide annuire come se niente fosse, illuminato ad intermittenza dai riflettori del palcoscenico. Così approfondì ulteriormente la storia: «Me la ricordavo diversa. So che Narciso affogò a causa del suo peccato, del suo egoismo ed egocentrismo, ma Eco? Cosa successe poi?»
Mr. Im si sporse, così lei velocemente spostò il viso e lo sguardo nuovamente sulla scena di fronte. Avvertì uno strano brivido correrle lungo la schiena. Maledizione a lui e alla sua sicurezza, e se il buon senso non l’avesse incitata a voltarsi? Per un breve istante Gemma pensò che avesse l'intenzione di baciarla. Un pensiero assurdo, che nemmeno lei si capacitava a comprendere da che parte del suo cervello fosse uscito.
«Vuoi davvero sapere la fine di Eco? Guarda che la metteranno in scena. Non voglio rovinarti lo spettacolo.»
«Sono troppo curiosa.» Ormai le sue assurde preoccupazioni e i suoi giri di fantasia erano scomparsi. La storia attirava la sua mente come una calamita.
«Se lo dici tu.» Si chinò ulteriormente, per poterle svelare la fine di quella povera ninfa: «Eco continuò a seguire l’uomo di cui era innamorata ma senza che i suoi sentimenti fossero ricambiati. Alla fine si annientò completamente per amore e di lei rimase solo ... l’eco. Scomparve.»
Gemma osservò l’incontro tra Narciso ed Eco con uno sguardo addolorato. La ragazza si era inchinata a lui, senza proferire parole, come poteva? Gli sorrise, ma il ragazzo sembrò totalmente disinteressato, nemmeno un minimo cenno di cordialità, non le diede nessuna possibilità. Lei allora aveva provato a regalargli dei fiori, ma lui la scacciò con amare parole, che prontamente la ninfa dovette obbligatoriamente ripetere, racimolando il disprezzo da parte della persona desiderata. E mentre la straniera osservava la recita di un’opera romana, il direttore della scuola di teatro sorrise divertito, notando lo sconforto in quel bel profilo dai lineamenti e colori lontani.
Alla fine ci pensò Nemesi, una sorta di Dea della giustizia, figlia di Zeus, a vendicare la povera Eco, facendo appunto annegare Narciso. Costui vedendo in una pozza d’acqua il volto di un giovane bellissimo, finalmente per la prima volta in vita sua si innamorò. Ma quel giovane altro non era che il suo stesso riflesso e comprendendo l'amore impossibile di cui era ormai schiavo, si suicidò nelle acque del laghetto.
«Provò amore a sua volta, ma un amore impossibile e perciò sofferto.» Concluse Im Song Rok mentre, davanti ai loro occhi, si stava consumando la morte del protagonista.
«Provò esattamente quel che aveva provato la povera Eco.» Aggiunse Gemma, fissando il giovane attore sul palcoscenico e i suoi movimenti. «Se non avesse avuto quella terribile maledizione, Eco avrebbe potuto parlare sinceramente a quell’uomo, risparmiando ad entrambi inutili sofferenze.
Song Rok si voltò verso di lei nell'esatto istante in cui le luci si accesero. La recita era ormai conclusa, mancava solo l’inchino degli interpreti. «Sbagliato.» Con quell’unica parola catturò immediatamente l'attenzione, « se quello stupido di Narciso avesse compreso prima i sentimenti e le difficoltà di quella ragazza, guardando oltre l’handicap della parola, forse avrebbe potuto ammirare la bellezza racchiusa in lei, invece che solo in se stesso.»
I loro occhi incollati cambiarono prospettiva solo quando l’applauso si scatenò in tutto l’ambiente. Poco dopo pronunciarono il nome del direttore, richiedendo la sua presenza. Perciò Im Song Rok sorrise ai suoi allievi, si alzò in modo elegante, chiudendo il solito bottone della giacca e si spostò verso il palco. Una volta raggiunti gli attori e i colleghi, si inchinò di fronte a tutta la platea, prendendo possesso del microfono per ringraziare tutti della partecipazione. Quando i riflettori si spensero e la gente cominciò ad uscire dal teatro, un’orda di studenti investì i professori, compreso il sajangnim stesso.
Gemma si guardò attorno osservando gli spalti liberarsi poco a poco. Appoggiò il gomito sul bracciolo della poltrona di velluto, fissando sconvolta la scena successiva: un gruppo numeroso di donne, tra cui ragazzine ma anche signore di una certa età, investì Mr. Im, regalando fiori, carezze e qualcuna tentò anche di strappare qualche bacio sulla guancia. Chi urlava il suo nome seguito dal rispettoso “ssi”, chi utilizzava il termine tecnico di “sajangnim” e chi addirittura si metteva bene in mostra urlando un sonoro “oppa”.
«Waa … per forza è assalito! Ammetto che ha fascino …», era decisamente molto acclamato e da quel che si poteva notare forse era addirittura il più popolare lì dentro. Ed era più che normale! A tutti gli effetti si trattava del direttore, non di un qualunque interprete. Anche senza un metro e novanta di bellezza ed eleganza, avrebbe avuto comunque un enorme successo a causa del suo titolo.
Quando lo vide allontanarsi, trascinato via dagli studenti, scomparendo inevitabilmente dietro le quinte, Gemma decise di lasciarlo ai suoi impegni, tornando da sola all'alloggio. Erano rimasti davvero in pochi e come tutti gli altri spettatori, anche lei doveva uscire. Di certo non poteva seguirlo dietro il palco, non era autorizzata, ne tanto meno si poteva considerare confidenziale a tal punto. Non se ne risentì, poteva comprenderlo benissimo, visto che si trattava di lavoro.
 

Si trovava ormai nei pressi del goshiwon, già ad Hondae, quando avvertì il suono di un messaggio in arrivo. Aveva optato per un veloce taxi, anche perché entrare in un bus con quel vestito non era un buon modo per passare inosservata.
Aprì la pochette e controllò il cellulare, comprendendo subito di chi si trattava:
 

Commediante

Sei una prestigiatrice? Scomparire così è da maleducati!

 

Gemma sorrise brevemente, apprestandosi a rispondere. «Troppe ammiratrici per i miei gusti», mentre scriveva leggeva ad alta voce, «non riesci a trovare una donna in mezzo a loro?» Inviò con un continuo ghigno divertito sulle labbra. Aveva passato una bella serata, mangiando italiano, se così si poteva davvero descrivere, gustandosi una recita teatrale di una storia davvero tristemente affascinante, per di più il tutto in buona compagnia. Per quel giorno non aveva pensato ai suoi problemi e al suo cuore perennemente in caduta libera. Non fino ad un dato momento: quando Song Rok proferì il suo ultimo parere riguardante la storia, Gemma ebbe una sorta di cedimento. Quel cuore tanto bistrattato aveva ripreso a battere, e si trattava di un moviemento che le faceva avvertire ogni singola ferita inferta dall’amore. Non voleva interpretare l'Eco della situazione, perché la ninfa si era appunto distrutta per l’egoista Narciso e lei non voleva fare la stessa fine. Aveva poi immaginato un finale diverso per loro, come sarebbe andata a finire se Giunone non si fosse messa in mezzo, maledicendo la giovane donna. Non era detto però che Narciso, in quel caso, avrebbe accettato i sentimenti di Eco, perché lui non sapeva amare il prossimo, non aveva mai imparato a rivolgere lo sguardo verso altro se non se stesso. Aveva ragione Song Rok, il vero problema non era la malocchio, ma il protagonista stesso di quel mito.
 

Commediante

Immagina le gelosie che nascerebbero se stessi con un’attrice. No, credo che non sia possibile instaurare un rapporto serio con una collega.

 

Destinatario: Commediante

Comunque sia grazie per la bella serata ☺

 

Commediante

Grazie a te! E scusa se ti ho abbandonato. Devo farmi perdonare? Domani non sarò all’ilmol per tutto il giorno, ma posso passare per cena se vuoi. Ti porto a mangiare la carne?

 

Gemma Brizzi sollevò il volto osservando il cielo, continuando a camminare. I piedi le dolevano, forse aveva qualche vescica, non avendo portato quelle scarpe per troppo tempo, ed evidentemente ci aveva camminato per qualche chilometro di troppo. Era scesa a qualche isolato prima per fare quattro passi, non sentendosi per nulla stanca, anzi quasi rigenerata dopo la serata passata.
Alla fine riprese a scrivere il messaggio di risposta: «Tranquillo sajangnim! Non serve. Oltretutto ho promesso a Sarah di uscire con lei domani.» Premette il tasto invio velocemente. Dopo quella breve passeggiata, la stanchezza della giornata stava iniziando a farsi sentire.
Ripensò nuovamente alla commedia e ai diversi personaggi. Se comparava se stessa ad Eco, doveva comparare Jin Yon U a Narciso e sicuramente Song Rok si sarebbe dimostrato concorde in tutto ciò. Proprio in quel momento si chiese se le sue parole fossero un ammonimento verso la propria personale esperienza, prendendo solo come esempio la commedia stessa.
La suoneria dei messaggi la distrassero da quel pensiero:
 

Commediante

Meglio così! Vorrà dire che potrò tornare a casa, cenare tra le mura domestiche e rilassarmi. Nei prossimi giorni dovrò dare tutto me stesso per le prove dello spettacolo, quindi sarò totalmente assente da quelle parti. Se dovessi avere problemi di qualche tipo al goshiwon contattami pure per messaggio.

 

Scrutò il display corrugando la fronte sospettosamente. «Non mi sta chiedendo di controllare l’Ilmol-house al posto suo, vero?» Voleva essere un questito tra sé e sé, ma alla fine decise di domandarlo allo stesso interessato.

 

Destinatario: Commediante

Non mi stai dando il compito di badare al tuo goshiwon vero? Logico che ti chiamo se ho problemi. D'altronde il proprietario sei tu!

 

Commediante

Non sia mai! Sei una mia cliente e il cliente va sempre ascoltato.

 

Destinatario: Commediante

Propongo allora di cambiare proprietario.

 

Commediante

Siamo spiacenti, ma la sua proposta è stata bocciata. La prego di ritentare. Ah, e vedi di non fare soste tornando a casa, evita di bere.

 

Destinatario: Commediante

Avverto una nota di preoccupazione o sbaglio? Tranquillo! Sono davanti all’Ilmol-house, infatti ora ti saluto e vado a dormire.
Buona notte Mr. commedia. :p

 

Sorrise leggendo la chat dei messaggi che si erano inviati, scendendo le scale stando attenta a non perdere l’equilibrio nel mentre. Infilò la chiave distrattamente, sempre osservando il cellulare. Non riuscendo ad aprire, abbassò un attimo l'apparecchio telefonico e aprì finalmente l’uscio. Entrando, posò il telefono sul materasso distrattamente e si spogliò, spostandosi poi verso il bagno per aprire il rubinetto della doccia, perché si scaldasse l'acqua. Tornando indietro diede un’altra occhiata al telefonino che non aveva né squillato né vibrato. Si fermò, sospirando infastidita. Velocemente lo prese in mano e fece scorrere il dito per visionare il display.
L’ultimo messaggio era sempre il suo, non ve ne erano altri. Ci rimase un tantino male, e ancor di più quando, una volta tornata a controllare la chat, dopo aver fatto una bella e lunga doccia, constatò che in effetti la conversazione tra loro era finita lì. Morta. Dall'augurio di una buona notte ci si aspetta una risposta similare, cosa che invece non avvenne.
Con una strana delusione si mise a letto e tentò di prendere sonno, e non le riuscì difficile.

 

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Capitolo 17
*** CAPITOLO 26° ***


26 Capitolo

 



C’era una volta una fanciulla desiderata da molti uomini, la quale, non avendo ancora incontrato il vero amore, trovava difficile scegliere tra la schiera di pretendenti al suo cospetto. La giovane senza marito era semplicemente meravigliosa, a tal punto che la gente cominciò a soprannominarla Venere, destando però così le ire della vera Dea della bellezza.
L'attrice coreana che interpretava la stupenda divinità, indossava una parrucca bionda e delle vesti rosa ricamate, svolazzanti e sinuose. Dal suo volto truccato traspariva sicurezza e una certa maturità, mentre colei che interpretava Psiche poteva avere venticinque o forse ventitré anni di età, aveva i capelli castani che cadevano in una cascata mossa, un cerchietto in testa e una veste bianca bloccata in vita da un semplice laccio di cuoio.
Osservando rapita la scena in cui la Dea della bellezza invocava il nome di suo figlio, affinché questo volasse sul villaggio di Psiche e facesse invaghire la ragazza dell’uomo più brutto sulla faccia della terra, tramite la sua dolce magia d’amore, il sorriso le si bloccò all’istante quando entrò uno dei personaggi principali, nonché l’attore che tanto stava aspettando. Quelle ali gigantesche e così realistiche, composte da piume bianche e nocciola, rendevano la sua slanciata figura ancor più regale. Visto i chili che dovevano pesare, non si chiese come facessero a stare ben dritte solo perché il suo cervello era momentaneamente distratto, impegnato a fotografare mentalmente il costume di scena e … il protagonista stesso. I capelli lasciati incurati, liberi di muoversi senza costrizione di gel o pettinature specifiche, cadevano sulla fronte, arrivando fin sopra agli occhi e forse infastidendo un po’ la vista stessa. Erano spettinati, ma abbastanza dritti da rimanere comunque abbastanza composti. Normalmente li pettinava di lato, per risultare più elegante e maturo, eppure quella capigliatura gli donava non poco, lo ringiovaniva, conferendogli un’aria da ragazzino. Portava una camicia beige di qualche taglia più grande, con uno scollo bene aperto, infilata in un paio di pantaloni simil velluto marrone che si fermavano però ai polpacci. No, non era il caso di optare per la veste classica di Eros. Anche perché l'immaginario che tutti hanno, dell’ “angioletto” degli innamorati, è totalmente diverso dal reale aspetto che avrebbe dovuto avere nella storia rappresentata. Assolutamente non ci si poteva associare alla classica e infantile figura dell’arciere d’amore. Ed infatti l'attore in scena e l'outfit concordato erano perfetti: Cupido era uno dei tanti bellissimi Dei dell'Olimpo, ed anche lui non sdegnava il crogiolarsi tra le braccia di una donna, come tutti gli uomini della terra o divini che fossero. Anzi addirittura consumò diverse notti d’amore folle proprio con la protagonista della storia.
Era scalzo e portava l'arco dietro la schiena, sopra le ampie ali. Il paradosso si stava per compiere, Eros aveva preso una delle sue frecce per puntarla contro Psiche, ma la sua stessa arma, cadendo, lo colpì ad un piede.
Im Song Rok, in quel momento, in qualità di attore e non direttore, sollevò lo sguardo verso la collega dalla veste bianca e i capelli castani, rilassando la sua espressione contrita, mimando un incantato stupore nell’osservare un volto così bello. Eros era ormai imprigionato dalla sua stessa magnifica magia.
Gli calzava bene la veste di un Dio dell’amore maturo. Sapeva bene come muoversi sul palcoscenico e si vedeva, conosceva ogni centimetro di quello spazio, calpestandone il suolo con leggiadria, come se volasse per davvero. E lei non poteva fare a meno che lasciarsi trascinare da lui.
Mentre li osservava, Gemma per un attimo avvertì un rumore vicino, accompagnato da una strana sensazione, ma fu tutto inutile, era fin troppo rapita dalla scena e dai suoi protagonisti.
Il primo atto si concluse, l'ambiente si oscurò e le pesanti tende preclusero la vista agli spettatori.
«Non sembrava anche a te un angelo guerriero?» Sussurrò Sarah Kim sporgendosi verso l’amica, in modo tale che il suo presunto fidanzato non sentisse.
Gemma osservò l’ospite d’onore di quella serata, ovvero l’uomo ben vestito accanto all’amica. «Sembra che il tuo ragazzo sia piuttosto annoiato.»
Anche Sarah si voltò a fissarlo, per poi fare spallucce. «Che vuoi che ti dica? Sembra un tipo molto fino e pretenzioso ma in verità preferisce luoghi più caotici. Un bel concerto magari. E’ fatto apposta per me! »
Si erano presentati appena giunti davanti al teatro, dove si erano dati appuntamento. Fu però un saluto fugace, tanto che non ricordava nemmeno più come si chiamava. Certo, il nome coreano non aiutava la memoria di Gemma, che spesso era costretta a chiedere di vedere i carattere in hangul per poter comprendere la sua reale pronuncia.
«Non ce lo vedo in borchie e pantaloni di pelle, sinceramente.»
«Perché lavora nel campo della moda ed è spesso molto “in”. Ma ha un’anima dark, te lo assicuro.» Ribatté la fidanzata del musone, che per un momento sembrava intento a riposare gli occhi, tenendoli chiusi. Sarah aveva tralasciato la questione, forse troppo imbarazzata, ma Mr. “ho un nome ma qualcuno non se lo ricorda” non sembrava un tipo molto socievole, o almeno sperava che fosse questo il motivo e che il suo menefreghismo non fosse invece dovuto ad un vero e proprio disinteresse o peggio ad un'antipatia.
Come puoi ignorare le amiche della tua fidanzata? Dovresti anzi renderti l’uomo più simpatico di questa terra davanti ai loro occhi.
Si aprì il sipario nuovamente e le luci si spensero. Un unico riflettore puntò verso il centro della scena: legata ad una rupe c’era Psiche. I suoi stessi genitori, su suggerimento di un oracolo, decisero di sacrificare la proprio figlia. La poverina piangeva, si disperava pregando gli Dei celesti. Ma ecco che improvvisamente discese dall’alto l’ “angelo guerriero”, come lo aveva ribattezzato Sarah; ed in effetti in quell'istante specifico era proprio così che Im Song Rok fece apparire il suo Cupido.
Come la scena cruciale di un film d’azione, Gemma spalancò la bocca dalla stupore e trattenne il fiato, avvertendo successivamente ancora quella buffa sensazione. Si massaggiò il petto, come se gli strani battiti del cuore le dolessero. Lo sguardo però rimase incollato su Eros che portava in salvo la sua amata, rifugiandosi con lei in luoghi tanto distanti, dove solo ai divini era permesso sostare.
Deglutì alla scena successiva, sentendo il cuore galoppare all’impazzata: distesi in un comodo letto di petali e drappi colorati, il Dio dell’amore e Psiche consumarono la prima di tante notti. La scena avvenne al buio, perché come spiegava la calda voce dell’attore protagonista: «Mia amata, se ci scoprisse Venere sarebbe la fine per il nostro sentimento. Io ti proteggerò vegliando su di te e ti amerò ogni notte, sempre di più, ma tu non potrai mai vedere il mio volto. Nella fredda oscurità io sarò la fiamma che ti scalderà.» Quel potente tono carico di pathos, ardore e sensualità risuonò per tutti gli spalti, fino a raggiungere Gemma, che avvertì un brivido lungo la schiena. I muscoli delle gambe, allungandosi quel poco che potevano, si contrassero, le mani cercarono la morbida poltrona da stringere e il respiro rimase strozzato.
Il palcoscenico si illuminò sul protagonista, che ben sveglio cominciò a spiegare al pubblico di quale ossessione d'amore era ormai afflitto il suo cuore, da sempre libero da quelle subdole spirarli con cui egli stesso incatenava la gente. Gli occhi brillanti di Song Rok osservavano il pubblico in lungo e in largo, come se si regalasse a loro. Casualmente incrociarono delle iridi chiare e scure allo stesso tempo: accenni d’ambra in una tonalità fumo. Non servì ricambiare le sue attenzioni, perché Gemma in verità non aveva mai distolto lo sguardo da quella figura così magnetica. Pensò che dovesse essere l’atmosfera del teatro o la recitazione in sé ad attirarla tanto. Mantenne il contatto visivo anche se lui spostò il capo alla sua sinistra, osservando tutta l’area. Un po’ delusa si mordicchiò le labbra. Cosa pretendeva? Di avere la sua completa attenzione? Era giusto che anche il resto degli spettatori venisse rapito da quella voce, da quello sguardo, da quella persona.
Sobbalzò improvvisamente, sentendo il sussurro di Sarah infilarsi nel suo orecchio: «Ma quant’è figo?» E non poté ribatterle, perché ancora una volta, come un magnete, fu attratta da quel fascino orientale. L’attore infatti aveva nuovamente cercato, tra gli spalti, un volto amico. Continuando a recitare la sua parte, concesse a Gemma pure un lieve sorriso, forse addirittura involontariamente scappato allo stesso commediante. Doveva essere una spettatrice speciale, dato il privilegio conferitole. E mentre il Dio Eros si coricava per appisolarsi, Psiche si destava dal suo sonno.
Intanto Gemma scrollò il capo, ricordandosi dell’inziale e insensata antipatia che aveva provato verso quell'uomo, lo stesso che ora stava tanto ammirando. Ripensò agli ultimi quattro giorni, passati senza mai incontrarlo, a causa dei suoi impegni e a quanto si fosse annoiata e sentita sola per questo. Un tempo, vedere quella faccia meno spesso, era stato un suo più grande desiderio, eppure qualcosa era evidentemente cambiato. Ma più di questo c’era dell'altro che la disturbava: il modo in cui si erano lasciati nell’ultimo incontro, quegli sms inviati alla conclusione della rappresentazione degli allievi dell’ArtKeukjang, e quella buona notte non ricambiata continuavano a tormentarla ingiustamente.
Normale! Visto che non tutti sprecano tempo per augurare cose così futili, tanto meno lo si fa con gli estranei. Perché Gemma Brizzi e Im Song Rok non si potevano definire amici in fin dei conti. Lei stessa ne era ben cosciente. Dunque perché c’era rimasta tanto male? E perché in quel momento non riusciva a scollare lo sguardo da quella figura distesa a terra?
La bella Psiche si avvicinò al suo innamorato, ancora addormentato. In mano teneva un lumino per far luce, contrariamente a quel che aveva promesso, e pure un pugnale temendo di svelare l’arcano, trovandosi davanti una bestia immonda. Eros però si destò e tradito dalle promesse della donna che amava, si alzò in volo scomparendo nell’oscurità. Song Rok venne sollevato in alto da dei cavi mettallici, che si notavano appena, e in questo modo sparì dalla scena. La giovane non poté far altro che invocare il suo nome in lungo e largo, pregando gli Dei lungo il cammino. Finché non trovò il tempio di Venere e qui venne graziata dalla stessa Dea che un tempo voleva rovinarla. Ma per concederle l’incontro con suo figlio, prima Psiche avrebbe dovuto affrontare delle prove secondo la sua volontà. E così avvenne, la ragazza per amore del figlio di Venere, accettò il patto con la madre.
Gemma poteva comprendere lo stato d'animo di quel Cupido alato, si sentiva tradita. Perché allora era lei a vagare in una terra lontana in cerca dell’amore perduto? Perché non era Yon U a richiedere la sua presenza? Perché doveva vestire i panni di entrambi quei personaggi? Se comparava la sua storia a quel mito specifico, chi mai poteva interpretare il Dio innamorato, se lei era Psiche e Amore allo stesso tempo? Ripensò ai quattro anni passati insieme, tra gioie e dolori, mille difficoltà; alle volte in cui aveva preso quell’aereo, solo per un motivo ben preciso: riabbracciarlo! A quanto fossero sudate le mani del ragazzo quando stringeva le sue in aeroporto, tutte le volte che si ricongiungevano dopo tanto. Ai loro baci, le carezze, le ore passate a coccolarsi tra le coltri, alle chiacchiere fino al mattino, che si concludevano con dolci lacrime, intro del prossimo addio. All'ultima sera passata insieme, una nottata in bianco a causa dell'agitazione, al loro pist off nel parchetto vicino casa, allenandosi insieme per scaricare il nervosismo ...
Non lo posso più fare. Aveva scritto in quell'improvviso messaggio. La voragine nella quale il suo cuore cadde, era ancora lì. Forse si era ristretta un tantino, ma era ancora pericolosamente aperta. I tre mesi volati senza sentire la sua voce, senza vedere il suo volto, nemmeno su skype, attendendo un cenno che non giunse mai. E dopo tutto quel tempo, viaggiare ancora una volta verso quello scenario dove tutto era iniziato. Affrontarlo faccia a faccia dopo altrettanti sei mesi e trattenersi nel toccarlo, schiaffeggiarlo e abbracciarlo. I pianti strozzati e quelli liberatori che l’avevano spossata, le nottate passate stupidamente a bere alcool fino allo stordirsi. La delusione dipinta sul giovane volto, quando l’aveva notata accanto ad un altro uomo e quel maledetto momento in cui tutto sembrò invece assumere tonalità di rabbiosa gelosia, vedendo un’altra donna al fianco di Yon U.
Ormai le scene passavano senza interesse da parte della spettatrice, l'attenzione persa. Gli occhi erano bene aperti e nelle iridi si rispecchiavano le immagini di Psiche nel mondo degli inferi, di fronte ad una bellissima donna dai capelli lunghi fino a terra, conciata con vesti nere come la pece. Ciò che vedeva era lo stesso spettacolo del resto del pubblico, ma nel suo cervello vedeva tutt’altre immagini sotto forma di pensieri.
Il suo ex fidanzato non si era fatto beccare in fragrante, semplicemente aveva iniziato a frequetare altre persone, perché a tutti gli effetti non stavano più insieme. Non era un tradimento. Forse si poteva dire che a tradire Gemma era se stessa, continuando a tormentarsi. Ed è proprio quello che stava tentando di fare anche in quell’esatto momento, non solo ritornando alla memorie di quei fatti, ma trasformandoli, peggiorando quel suo fastidioso rancore verso il ragazzo e la sua nuova presunta compagna, che molto probabilmete ingnorava i fatti su chi lei fosse. Ormai il cervello ricamava cose che non erano successe, ricordandole falsamente: ed è così che quei due stavano passeggiando mano nella mano, quando lei e il suo partner di recita li incrociarono. Cosa del tutto non veritiera, invenzione della sua fantasia masochista. Se c'era una coppia che appariva più intima, tra le due incrociatesi alla foresta Buk, quelli erano proprio Song Rok e Gemma, non di certo Yon U e la nuova fiamma.
L'attore riuscì a bloccare il tentativo autolesionistico di Gemma, entrando in scena nuovamente. Purtroppo senza riuscire però a cancellare la frustrazione di quei sentimenti. Il pubblicò si scatenò con un applauso.
«Come si è conclusa la commedia?» Domandò Gemma a Sarah, che la fissò per un istante confusa.
«Stavi dormendo? Non me ne sono accorta. Lieto fine per tutti comunque.»
Gli attori si misero l’uno di fianco all’altro, prendendosi le mani e facendo diversi inchini. Ogni volta che si sollevava, lo sguardo di Song Rok puntava verso quella straniera in particolare, che sorpresa ricambiò per l’ennesima volta le sue attenzioni, sorridendogli, una volta cancellato quel leggero imbarazzo avvertito addirittura fino alle gote. Mentre Sarah Kim mosse energicamente le mani in un saluto.
«Qualcuno che conosci, tesoro?» Domandò il fidanzato dall’occhio vigile.
L’italo-coreana si bloccò nel mentre, abbassando gli arti e tornando composta. «Sì, diciamo una nostra conoscenza.» Indicò se stessa e anche l'amica accanto.
Il ragazzo però non sembrò convinto, «parli forse del tizio che ci ha invitati?»
«Nooo!» Esclamò cercando di mascherare il panico nella sua voce, «quello io lo conosco appena, è un amico di Gemma più che altro. Poi andremo a ringraziarlo degli inviti, per cui te lo presenterò. Io ora stavo salutando una delle ninfee … sì, quella ragazza la vedi? E’ quella!»
Il pseudo fidanzato allungò il collo per osservare meglio di chi stesse parlando. «Ce ne sono diverse di ninfe, quale esattamente?» Ma Sarah prontamente si era defilata dal discorso, appoggiandosi totalmente sulla spalla di Gemma, facendo finta di chiacchierare con lei.


 
****


Come al solito, tra colleghi, allievi e semplici ammiratori, Mr. Im non ebbe un attimo di tempo, impossibilie liberarsi della folla! Tra tutta quella gente però, individuò un conoscente: difficile non notare il sorriso smagliante che quella ragazza gli riservava. Sarah Kim si fece strada tra gli ammiratori, seguita dal suo fedele “cane da guardia”, arrivando di fronte al direttore.
Porse all’uomo il mazzo di fiori che aveva portato con sé. «Immaginavo si usi così a teatro.»
Song Rok li accettò e sorridendo ringraziò, ma nel farlo cercò con lo sguardo alle spalle della giovane, notando deludentemente solo un ragazzo. Sarah si spostò, in modo tale che i due potessero stringersi la mano e presentarsi. Nel farlo il suo sorriso si spense, come se dovesse contenere quella sorta di eccitazione che la scuoteva. «Lui è Cho Seung Jo, il mio … », stava per dire fidanzato, ma si bloccò nel mentre, sapendo bene che lascire la frase inconclusa poteva portare grossi guai. Non poteva non ammetterlo di fronte al suo stesso lui! Ma non voleva nemmeno far credere al direttore che fosse ormai felicemente occupata. Anche se in effetti … avrebbe dovuto esserlo.
«Il tuo ragazzo immagino!» Le venne in aiuto Song Rok, stringendo la mano del tipo, che continuava a scrutare sospettosamente la sua lei.
Questa gli sorrise, facendo finta di niente e confermando: «Esattamente!» Il danno era fatto, qualcuno doveva essere arrivato prima di lei, spifferando ogni cosa. «E’ stata Gemma a dirle che avrei portato il mio fidanzato questa sera?» Usò di proposito la parola tanto ostica a lei, placando il sospetto del partner, che sorrise compiaciuto.
«Sì, ed è per quello che le ho dato un biglietto in più! In modo tale che Miss Kim potesse venire con la sua dolce metà», osservò l’uomo di fronte a sé, che non doveva avere più di trent’anni e gli sorrise sornione. Poi però sollevò il capo tornando a cercare tra il pubblico. «A proposito, Gemma dov’è?»
L’italo-coreana alzò le spalle, « aveva delle cose da fare ed è uscita poco fa.» Sollevò le sopracciglia notando lo strano sguardo irrequieto di Mr. Im, la sua espressione seria aveva una sorta d’ombra di delusione. «Però … ha assistito a tutta la rappresentazione. Era incantata dal palcoscenico.» Aggiunse, quasi come se quelle parole potessero prendere il posto di una pacca d’incoraggiamento sulla spalla.
Song Rok annuì sorridendo debolmente, ma poi si scusò e si spostò dietro le quinte, prima che un’altra orda di gente lo bloccasse per complimentarsi con lui.
Anche tra quei privati corridoi i festeggiamenti non sembravano voler finire, anzi! Erano appena iniziati. Gente ancora in costume, come lui stesso dopotutto, alcuni già mezzi ubriachi, che cantavano e ballavano, congratulandosi con il mondo. Aprì velocemente la porta del suo camerino, sgattaiolando dentro al suo antro di pace, per scappare dal caos festaiolo.
Sospirò. Recitare era faticoso, insopportabilmente afoso a causa del trucco e dei riflettori sempre puntati addosso, e l'emozione che comprimeva il petto, l'angoscia da errore sempre dietro l'angolo. Si trattava di una passione, dunque l’amore per quel mestiere, per l’arte, alleggeriva ogni gravoso peso. Piuttosto era l'aver a che fare con le persone il compito più difficile. A volte si dimostrava infastidito fino all'inverossimile, specie dopo la faticaccia affrontata per mettere in scena una perfetta commedia.
Posò le mani sul camerino osservando il suo volto dipinto da un trucco perfetto. Lo staff che si occupava dei loro eventi era molto professionale, non si accontentava di ragazzette appena uscite da una scuola di make up, voleva gente seria nella sua squadra. Indossare tutto quel trucco gli era odioso, più che altro perché sapeva che per toglierlo avrebbe fatto molta più fatica. Abbassando il capo, i suoi occhi notarono il cellulare che aveva lasciato in un angolo. Lo prese ed inviò un messaggio a … Komin.


 
Ti metterò in conto anche i fiori mancati! Dovevi proprio lasciarmi solo mentre la tua amica mi presentava il suo martire di poche parole?


Ci pensò per un attimo prima di inviarlo, riosservando il testo appena digitato. Aveva salvato il numero di Gemma nominandolo con una parola che in coreano significava “problemi”. Se la ragazza lo vedeva alla pari di un commediante, sia dal significato strettamente collegato all’impiego sia in qualità dispregiativa, lui la vedeva come una che portava continuamente guai e, recentemente, preoccupazioni.
Sospirò posando il cellulare e cercando delle salviette struccanti. Cominciò a passare un fazzoletto sul volto, togliendo lo strato di “stucco” che gli avevano spalmato, quando la risposta di Gemma arrivò:


 
고민
Scusami. Lo spettacolo è stato bellissimo! Spero di poter fare questa esperienza una seconda volta. Complimenti ancora.


La fronte di Song Rok si corrucciò nel leggerlo, il viso di colpo si rabbuiò. Decise di non risponderle, se era scappata da teatro una volta conclusa la recita, doveva esserci una ragione ben precisa, un impegno imprevisto magari. Pensò che forse non poteva nemmeno scriversi molto, ecco spiegata la poca eloquenza del messaggio.
Scrollò la testa fissando la sua figuara allo specchio e continuando a ripetersi che non erano affari suoi dopotutto, di qualsiasi entità fosse il motivo che l'aveva spinta ad abbandonare il teatro, non doveva preoccuparsene. Se avesse davvero avuto bisogno d'aiuto, lo avrebbe atteso fin dall'inizio o almeno sarebbe stata la prima ad inviare un sms. Non era suo fratello e né tanto meno si considerava un amico, anche se a lungo andare quella loro strana e finta relazione li aveva portati a relazionarsi davvero tra loro, stringendo anche una sorta di sosta pacifica, mettendo da parte la reciproca iniziale antipatia.
Passando un’altra salvietta dalla parte opposta del volto, spostò lo sguardo di lato per fissare nuovamente il telefonino che vibrava. Controllò il display:


 
고민
Aigooo~ Sajangnim :p Si è offeso perché me ne sono andata? C'è un motivo. All’ultimo ho preso una decisione. Sto andando da lui! Voglio dirgli tutto. Sono stanca dei sotterfugi, gli confesserò di non aver nessuno accanto e che si tratta solo di una manovra per farlo ingelosire. Sarai contento! In fin dei conti ti sto liberado da un peso. Caliamo il sipario sulla nostra recita.

Il volto non cambiò espressione, rimase com’era un momento prima. Solamente si trovò a sospirare sconfitto. Quella ragazza lo disarmava, il nomignolo “komin” era completamente azzeccato. Posò lo struccante per usare frettolosamente anche l’altra mano ed inviarle così una risposta.
«Ti ricordo che lui adesso ha già un’altra! Fallo se è quel che ti senti di fare, per me avresti dovuto farlo molto prima, anzi! Hai sbagliato dal principio a montare questa messa in scena. Però ti avviso: se credi che con questa mossa tornerà da te, sei un’illusa!» Osservò il testo appena inviato mordicchiandosi le labbra. Aveva lo strano sospetto di saper bene su cosa puntavano le speranze di quella sciocca.


 
고민
“Que serà serà” la conosci questa canzone? Quel che sarà sarà e succederà ciò che succederà. Non importa. Smettere di fingere e provare nel modo sincero è più importante.


Quasi non avvertì nemmeno il brontolio che involontariamente gli uscì dalla gola. Troppo preso a leggere le ultima parole di quella combina guai, affrettandosi poi a risponderle nuovamente:

 
Destinatario: 고민
Ora dove sei esattamente?


Dopo di che prese i suoi vestiti e si spostò verso il bagno privato. Si spogliò velocemente e una volta uscito ricontrollò il cellulare, notando però la casella dei messaggi vuota. «Si permette pure di ignorarmi! Meongcheonghan.1» Finì di struccarsi velocemente, alla meno peggio, tanto aveva già sciacquato via gran parte della matita. Alla fine mollò tutto, afferrò il telefono e corse fuori.
Gemma a volte era fin troppo prevedibile, quindi era facile intuire dove potesse essere in quel momento.


 
****


Ea una sera in cui il tempo sembrò voler regalare uno scenario perfetto per rendere il tutto ancor più pietoso agli occhi di una malinconica come lei. Impossibile non carpire la tristezza da quella figura femminile, ferma in mezzo alla strada: il volto rigato da pioggia mista a lacrime, i capelli completamente zuppi, come gli abiti fradici di acqua piovana. Costantemente di fronte a quel locale, sotto a quel piccolo diluvio, fissava l’insegna lampeggiante.
Da quanto si trovava lì? Nessuno ne era sicuro e forse nemmeno lei si era resa conto delle ore passate. Da quando era giunta lì, non si era più mossa, nemmeno di un millimetro e sembrava non essere in grado di farlo nemmeno al momento.
Gangnam distava parecchi chilometri dalla zona dove Im Song Rok credeva di trovarla. Cercò comunque di giungere il più rapidamente possibile nel quartiere dove lavorava l'ex della ragazza, visto anche l’acquazzone in arrivo. Perciò aveva preso un ombrello con sé, ne teneva sempre uno in camerino, ed era salito su di un taxi, lasciando poi il mezzo una volta arrivato nei paraggi.
Fece una piccola corsa per raggiungere l’esatta ubicazione, frenando le sue lunghe gambe quando intravide la sagoma in lontananza. Poteva benissimo essere una qualunque cliente intenta ad entrare nel pub, se non fosse per il particolare che non sembrava intenzionata a farlo. Fissava quel luogo con occhi stanchi e ormai privi del leggero trucco con cui si era imbellita, scivolato sulle guance e addirittura mezze ripulite dalla pioggia. Faceva quasi tenerezza, così completamente zuppa come un pulcino. Allo stesso tempo però suscitava nell’uomo un’insopportabile e degradante pena. Abbassando lo sguardo notò il particolare delle sue mani: le braccia ricadevano lungo i fianchi e le dita raschiavano l’una sull’altra, nervosamente, grattando via la manicure. Un gesto che le aveva già visto fate un'altra volta.
Un’ombra la inghiottì improvvisamente. Sbatté le palpebre più volte velocemente, voltando poi il capo verso la figura che, senza preavviso, era comparsa al suo fianco. Song Rok respirava un pò affannosamente, tenendo il manico di un ombrello. Col naso all'insù, Gemma osservò il telo nero sospeso sopra la sua testa. Lentamente tornò a guardare l’uomo accanto, vestito con una delle sue solite costose giacche a quadri, questa volta grigia. Una t-shirt bianca sotto ad essa. Era ancora truccato, si poteva notare una leggera ombra di matita ancora persistente intorno agli occhi. I capelli spettinati, umidi e le spalle erano l’unico punto in cui risultava leggermente bagnato.
«Ti cola il trucco.»
«Sta piovendo.» Ribatté freddamente alla ragazza, che annuì solamente. Poi, come se niente fosse, si girò per fissare il locale. Un sopracciglio gli si impennò, « davvero vuoi stare qui per tutta la notte fissando pietosamente quell’ insegna?»
Notò le labbra incolore e serrate di Gemma, che a quanto pareva non voleva dare una risposta, tremare dal freddo. Alzò gli occhi al cielo richiamando a sé la calma, ma l’unico modo per non manifestare la sua frustrazione, magari prendendosela con la sciocca davanti, era quello di lasciarla fare e andarsene. Le prese perciò una mano senza che lei si opponesse, e la costrinse ad impugnare l’ombrello. Voltò le spalle e poi si allontanò.
I capricci dell’incantata cedettero a quella mossa, «aspetta Song Rok! Così ti bagnerai tutto!» Gli corse appresso, sollevando in alto l'oggetto in pugno, per indurre quella persona a condividerlo con lei. Bassina com’era e dalle braccia corte, doveva sollevare di molto l’arto per non colpirlo in testa.
Ritrovandosi al coperto, Song Rok si fermò, ma non si voltò, lasciando che fissasse la sua schiena. Una mano in tasca, l’espressione del volto colma di noia. «Non fa niente. Avevo con me solo un ombrello...» Pazientemente si sforzò a concedergli di nuovo la sua più completa attenzione. Afferrò nuovamente il manico, aiutandola nel sollevarlo, « ...che facciamo? Lo tieni tu o lo tengo io? Deciditi.»
Gemma comprese bene le sue parole: doveva scegliere se seguirlo o lasciarlo andare, e in quel caso avrebbe dovuto fregarsene di lui, sarebbe di certo tornato indietro lavandosi dalla testa ai piedi, cedendole l'unico riparo che avevano. Nessuno dei due però avrebbe voluto dare vinta all'altro, ognuno con una sua precisa intenzione: chi restare e chi andarsene.
Si voltò ad osservare ancora una volta il locale. Nessuna le vietava di seguire Song Rok, poteva lasciar perdere per quella sera. E mentre cercava di decidersi, avvertì improvvisamente una stretta: Mr. Im aveva abbassato la presa sul manico, per serrarla nel punto in cui stringeva la sua mano, bloccando così ogni tentativo di fuga, prendendo per lei una decisione. La costringendola poi a seguirlo.
In questo modo, la portò via con sé.


 
****


«Alla fine le hai dato un nome?» Era seduta nel divano di casa Im. La cagnolina bianca, dopo aver richiesto coccole e attenzioni, tornò a dormire nella sua cuccetta.
Song Rok comparve con i mano una bottiglietta di soju e due bicchieri, che appoggiò sul tavolo. «Kureumi. Perché è bianca e soffice come una nuvola.» Si spostò verso il bagno, afferrò un asciugamano, lo inumidì prima con acqua calda, poi lo strizzò e portò con sé, insieme ad un pacchetto di salviette. Tutto sotto gli occhi vigili della sua ospite, che lo osservava passo dopo passo. Si sedette vicino a lei, cominciando a struccarsi. «Hai mai assaggiato il caffé corretto con il soju?» Aveva tolto la giacca, rimanendo in t-shirt, ancora umida di pioggia come i capelli stessi. Con l’asciugamano picchiettò cautamente la sua pelle, lavando via quel poco che restatava da sciacquare.
«In Italia lo beviamo anche corretto, ma con il soju non l'ho mai provato.» Proferì Gemma sfilando una delle salviette dal pacchetto, avvicinandosi a lui, « aspetta, hai ancora del trucco.» Cominciò a ripulirgli un occhio ancora segnato dal nero della matita. Aveva un tocco davvero delicato, forse temeva di fargli del male strofinando con troppa foga.
«Stasera allora lo assaggerai.» Song Rok non avvertì alcun imbarazzo a causa di quella vicinanza, come se fosse normale per lui farsi accarezzare il viso da una donna. Ed in effetti chissà quante truccatrici avevano toccato quel teatrale volto.
Gli occhi di Gemma non vollero soffermarsi in un unico punto, ma curiosi andarono a scrutare ogni angolo di quel viso. Si scoprì interessata al colore dell'iride che aveva di fronte: castana, in quel momento molto più chiara di quel che appariva solitamente. La mono palpebra si chiuse quando la ragazza passò nuovamente sopra col struccante, sfiorando delicatamente gli occhi dalla bella forma orientale leggermente malinconica. Notò che la palpebra inferioretendeva a gonfiarsi leggermente, e scovò anche il piccolo, minuscolo e chiaro neo sotto ad essa. Si fermò un istante per contemplare meglio quella figura: era chiaramente un bell’uomo, non si poteva definire brutto, anche se forse non era la classica bellezza che attira per la sua perfezione, anzi tutt’altro. I capelli, fradici, ricadevano scomposti ai lati del volto, anche se un ciuffò crollava leggiadro sulla fronte.
In quella silenziosa osservazione, tardivamente realizzò che anche Song Rok la stava osservando interessato, a quel punto i loro sguardi si incrociarono.
Sentì un impellente bisogno di parlare, di sollevare una qualsiasi questione. Bastava qualunque argomento. «Com’è per un uomo truccarsi? Solitamente è una cosa riservata a noi donne.» Non le venne in mente nient’altro.
«Non dire così!» La sua mimica facciale mostrava che era ancora a suo agio, nonostante la strana dormanda postagli. «E' imbarazzante», nessun sintomo di difficoltà a differenza di Gemma, che cominciava ad innervosirsi: gli sorrise comunque, ma allontanandosi un tantino, per mettere un po' di distanza tra loro. Cosa a cui non aveva pensato Song Rok, che casualmente affermò: «Vado a preparare il caffè.» Spostandosi poi verso la cucina, «so che per un’italiana non deve essere il massimo bere il caffè all’americana, ma io purtroppo so farlo solo così.» Tornò indietro, prese la bottiglia verde e versò il contenuto negli appositi bicchierini. «Prima … », si sedette, porgendo poi il bicchiere all’ospite, «facciamo un giro di soju.»
«Okay sono pronta!» L’entusiasmo manifestato lo fece preoccupare tanto da non mollare la presa sul bicchiere, nemmeno dopo che Gemma lo aveva afferrato. Costei allora alzò lo sguardo verso di lui, osservando la sua buffa espressione di divertito rimprovero. «Non mi ubriacherò, giuro!» A quel punto dovette comunque lasciare la presa e permetterle di bere tutto ad un sorso, seguendola poi a ruota.
Posò il bicchiere sul tavolo, afferrando nuovamente la bottiglia. «Lo hai incontrato alla fine?» Domandò con fare disinteressato, versando dell’altro soju.
Gemma fissò il liquido scorrere, in attesa di poterlo bere, ricordando però a se stessa che non poteva perdere la ragione. «No. Sono rimasta tutto il tempo a fissare il locale.»
Fecero una sorta di brindisi silenzioso e poi si scolarono un secondo giro. «Mancanza di coraggio?»
«Non lo so.» Porse la mano, richiedendo così un altro giro.
Song Rok sospirò, ma alla fine lo concese. Non versò per se stesso però, piuttosto rimase immobile con ancora la bottiglia in mano, osservandola bere con grande avidità, «Se non è mancanza di coraggio … cosa può essere?»
«Davvero non lo so. A volte mi sento talmente cretina da non riconoscermi nemmeno.» Non aveva bevuto alla russa questa volta, ma sorseggiato lentamente tra una parola e l'altra. Concludendo con la frase anche il suo ultimo goccio. Nel mentre osservò Song Rok scomparire dietro al mobile che divideva la cucina dal salotto. Tornò poco più tardi con il bricco dl caffè fumante in mano. «Qualche giorno fa, dopo averlo incontrato al parco, lui mi mandò un sms ...» Sembrava voler raccontare una storia, ma non continuò, e in quel modo stuzzicò la curiosità dell’uomo accanto.
«Se non sono troppo indiscreto, posso chiedere cosa ti ha scritto?» Lei però non sapeva che Song Rok conosceva nei minimi particolari le parole di quel testo inviatole, dato che le aveva subdolamente controllato il cellulare in segreto. Una mossa di cui non andava fiero, ma si giustificava per il fatto che quella volta non era totalmente in sé.
Gemma sospirò e tentò di prendere la bottiglia verde di fronte a sé, quando lui la intercettò, afferrandola per primo, iniziando poi a preparare la bibita tanto declamata.
«In poche parole ha detto che non si sentiva dispiaciuto per me. Io sapevo ormai che lui aveva un’altra per cui dovevo farmene una ragione… »
Dopo il soju, Song Rok si accinse a versare il caffè e il tutto nei classici mini bicchierini che avevano appena utilizzato. «Prova questo!» Gentilmente le passò il mix di caffeina e alcool.
Gemma lo sorseggiò, «Mmm buono!» Bevve il resto in un colpo solo, per poi allungare il braccio verso il direttore: «Ancora!»
«Ya! Hai bevuto già abbastanza, mentre io non l'ho ancora assaggiato. Ingorda!»
Attese che anche lui lo finisse prima di lamentare: «Non puoi farmi assaggiare questa cosa così deliziosa e pretendere che io non ne voglia un altro giro!»
Senza ribattere, fece finta di non sentire il suo costante brontolio, preparando un secondo mix. Annuì alla fine, servendo nuovamente la signorina. «Immagino che debba fare altro caffè.»
«Certo che sì! Abbiamo bisogno di rallegrare la serata!» Lo spronò, obbligandolo quasi a tornare in cucina per preparare altra caffeina.
Dall’altra stanza Song Rok le ricordò: «Non avevi detto che volevi distrarti stando però lontana dall’alcool?»
«Questo ha il caffè! Non mi ubriacherò!»


Le dita incrociate tra di loro, bloccate in una morsa, il polpastrello del pollice che premeva contro l’altro, in una lotta all’ultima resistenza, spingendo a più non posso per la vittoria. La mano maschile riuscì ad aggiudicarsi l’ultimo round, così Song Rok sollevò le braccia in alto manifestando la sua supremazia. La disonorata afferrò malamente il suo bicchiere, leccando le ultime gocce che rimanevano della bevanda “degli Dei”, come aveva preso a chiamarla nell’ultima mezz’ora. Osservando poi il bricco del caffè vuoto, come le bottiglie di soju ormai rotolate a terra, cadute inesorabilmente giù dal tavolino.
Girandosi verso il rivale, venne colpita di sorpresa sulla fonte. «Ahi! Fa male!» Brontolò, portando una mano sulla testa, ma successivamente la sua risata contagiò anche quella dell’ “aggressore”. «Han bon man!» “ancora una volta” cantilenò divertita.
«Arasseo arasseo2» Song Rok si voltò meglio verso la contendente, posando la gamba sul divano imitando la posa di lei, piegando il ginocchio più comodamente. Le afferrò la mano, costringendola ad intrecciare nuovamente le dita l’un con l’altra, allineando i polpastrelli per l'ennesima volta, volendo iniziare da capo quello strano gioco. Si fissarono negli occhi, colmi entrambi di sfida, mentre Song Rok contava: « Hana … dul … set!» Pollice contro pollice, scattò una nuova battaglia serrata.
Oltre che sfida, erano colmi anche di caffè, che solitamente non induce il cervello a partire per viaggi mistici ne tanto meno inibisce i sensi, portando allegria o malinconia a seconda di chi si ubriaca. Ma si trattava pur sempre di una bevanda corretta con dell'alcool. Insomma entrambi si erano intossicati con quel mix caffeina soju, perdendo una buona parte di lucidità senza nemmeno rendersene conto.
Ancora una volta le dita maschili ebbero la meglio su quelle femminili. «Non è giusto! Tu hai il pollice più grosso», si stava lamentando Gemma. «Guarda!» Gli prese la mano, mostrandola al proprietario stesso: «Sai che quando ti abbiamo incontrato la prima volta, sia io che Sarah abbiamo notato tra le tante cose proprio le tue mani?» Se la portò parecchio vicino al suo stesso naso, come se volesse passarla al microscopio, e invece si trattava semplicemente di una perdita delle cognizioni. «Sono grandiii …»
Mr. “bella mano” la ritirò di colpo. «Ho vinto!» Annunciò contento, ridacchiando con un’espressione goffa quanto quella della partner di sbronza lì davanti. Le afferrò velocemente una guancia, pizzicandola con tutta la forza. Gemma strillò dal dolore e a quel punto lui lasciò la presa. «Dovevi sopportare di più! E’ la tua penitenza!» Rise ancora una volta, facendo però scemare il divertimento osservando la sua espressione contrariata. Nell’angolo esterno dei suoi immensi occhi aveva anche una lacrimuccia, e questo gli fece capire che forse aveva stretto un po’ troppo forte. Allungò una mano massaggiandole la parte completamente arrossata. «Scusa», sussurrò alzando lo sguardo anche sulla sua fronte, a sua volta leggermente macchiata nel punto in cui precedentemente l’aveva colpita. Con aria seriamente dispiaciuta, Song Rok si sporse per posare debolmente le labbra sulla fronte di Gemma, che rimase per un istante interdetta, incapace di rimettere in ordine le proprie idee. Il tutto avvenne troppo velecomente perché potesse comprendere la scena consumata in quell'ultimo istante.
Ma alla fine si sbloccò, decidendo di non preoccuparsene. Rise, innescando così il delirio a catena. Anzi! Tra quel divertimento contagioso, anche lei si avvicinò di più al direttore, ma a differenza sua dovette sollevarsi un tantino verso l’alto per ricambiare lo stesso medesimo gesto.
Ad attenderla vi era uno sguardo corrucciato in una smorfia alquanto infantile. «Non sono un bambino … io!» Sottolineò fintamente seccato, tanto che poco dopo gli sfuggì un ghigno.
Gemma mostrò di comprendere l’ironia sorridendo a sua volta, «lo so! Sei un uomo graaaande.»
La mano di Song Rok tornò a toccarle una guancia. Ormai i suoi occhi si erano fatti più malinconici. «Prima ho stretto troppo, eh?» Chiese cercando di togliere il rossore, grattando leggermente con il pollice.
Di nuovo il suo volto si avvicinò a quello della straniera, ma chinandosi di lato questa volta, per poterla baciare delicatamente in quel quel lato del profilo. Poi, sorridendo tanto che quasi gli occhi si erano chiusi a fessure, le mostrò la sua di gote, indicando addirittura con un dito il punto esatto dove lei doveva restituire il favore.
Così sbuffò spensieratamente e si spinse ancora una volta verso di lui. Ma quando fu vicina alla meta, Song Rok, sghignazzando, spostò velocemente il capo e le loro labbra si sfiorarono in un piccolo ed accidentale, leggerissimo bacio.
Gemma allibita si scostò immediatamente, allontanandosi fino ad appoggiare la schiena contro un bracciolo del divano. L’imbarazzo cominciò a farsi strada, irradiando l’interno volto. Im Song Rok invece mantenne quella maschera serena e lasciò che la giovane scappasse, finché egli stesso non la cercò, tornando a colmare la loro distanza: scivolò in avanti, con una mano aggrappata allo schienale del sofà, fissando quelle perle, dalla tonalità di terre lontane, con intensità. Questa volta posò più deciso la sua bocca sulle labbra che poco prima lo avevano distrattamente solleticato, baciandola con più convinzione. Non fu lungo, ma comunque abbastanza intenso da togliere il fiato ad entrambi.
«Sembra di annegare nel caffè», suggerì Gemma quando lui si scostò appena, quel tanto per permettere ad entrambi di respirare.
«Lo credo anch'io.» Ribatté ancora con lo sguardo semichiuso, come per rivangare il sapore di quel tocco.
La distanza tornò a dividerli con la stessa rapidità con la quale tutto era accaduto. Song Rok si schiarì la voce rumorosamente, prima di alzarsi e ritirarsi nelle sue stanze, mentre Gemma lo lasciò andare, tenendo la visuale sul pavimento, incapace di affrontare razionalmente quella situazione. 


1 Moncheonghan: 멍청한 pronuncia = monchonghan (o aperte) ovvero una sorta di "cretino" sia femminile che maschile (in coreano nn esiste femminile e maschile)
2 Arasseo: 알았어 pronuncia = arasso (o aperta), significa "ho capito", il passato 알았다 del verbo 알다 



Lo ammetto, questo è uno dei capitoli che più ho amato della storia. ^ ^ 

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Capitolo 18
*** CAPITOLO 27° ***


27 Capitolo 


                                                          




 
​Il profumo di prima mattina, così caldo e invitante; infonde una sensazione di vuoto e leggerezza, lasciarsi trasportare, cullare da quel tepore umido al tatto, ma così piacevole. Abbandonarsi a braccia invisibili, distendendosi in un mare ricco di calore; poter sollevare i piedi senza aver paura di cadere nel vuoto, sentirsi sospesa magicamente, inebriandosi nello stesso tempo di quella fragranza così golosamente amara. Aprire gli occhi e ritrovarsi a galleggiare in una piscina di caffè. Muovere le braccia e continuare a nuotare in quelle acque scure, ma così affidabili, piacevoli, rassicuranti nonostante il loro tetro colore. La forte essenza la inebriava, penetrando dentro le narici e offuscandole il cervello.
Aprì gli occhi di colpo, svegliandosi improvvisamente in un comodo divano già collaudato altre volte. Sollevò la schiena lentamente, per paura che la confusione mentale avvertita , le potesse creare qualche scherzo, come giramenti di testa o peggio nausea. Appena si sedette, ben dritta, alzò lo sguardo osservando la lunga figura che si stagliava davanti: Song Rok con una tazza di caffè tra le mani, la stava fissando assorto.
Si trovarono entrambi a corrucciare la fronte, scrutandosi negli occhi sospettosamente. Non lo sapevano, ma in una stanza privata del loro pensiero, tutti e due stavano cercando di ricordare cos’era avvenuto la sera prima. Caffè e soju erano stati fatali, e c’era qualcosa che sembrava sfuggire alla memoria.
Una sopracciglia si impennò, muovendosi verso l’alto velocemente. Il direttore fu il primo a ricordarlo, ma subito dopo sgranò gli occhi anche la ragazza. Nonostante il dubbio, nessuno ebbe il coraggio di chiedere all’altro cosa fosse accaduto realmente. Troppo insicuri, non potevano permettersi di rischiare. Alla fine si trattava solo di un’immagine fugace, non un vero ricordo, e la mente era ancora offuscata dai postumi di una sbornia, quindi quel ricordo poteva anche essere qualcosa di più similare ad un sogno, solo lo scherzo della loro immaginazione.
Song Rok portò lentamente la tazza sulle labbra, continuando a mantenere il contatto visivo. Forse si era sbagliato, forse aveva davvero sognato quella scena, non serviva riferire nulla. Se nemmeno lei ricordava, molto probabilmente significava che quel bacio non era stato reale, ma solo frutto della sua perversa immaginazione. Restava solo comprendere il perché avesse idealizzato una cosa simile. Avere delle fantasie su una donna poteva significare molte cose, ma di norma una spiccava su tutte le altre.
Gemma invece deglutì abbassando lo sguardo. Nemmeno lei poteva crederci e il fatto che lui non avesse ancora accennato alla cosa, poteva significare solo che effettivamente non doveva preoccuparsi di nulla. Inoltre sul serio non ricordava quasi niente della sera precedente. Quindi cercò di rasserenarsi, perché a turbarla era stato un leggero flashback di qualcosa che non era mai avvenuto.
Notando un movimento, spostò lo sguardo verso il proprietario di casa, che nel frattempo era scomparso, tornando in cucina. «Hai fame? Ho preparato qualcosa …», avvisò successivamente.
Per sua fortuna trovò ad attenderla un tea caldo e qualche dolce che portava la firma Paris Baguette. Delle ciambelle, un croissant, una treccia ricoperta di zucchero, perfino del pane ripieno di panna montata. Una colazione occidentale.
Già seduto, le fece cenno di accomodarsi e lei obbedì in silenzio. «Preferisci forse del caffè?»
Alla mente tornò il sogno della piscina colma di caffeina e, sebbene nell’immaginario si fosse sentita a proprio agio, in quel momento lo stomaco le si attorcigliò. «No! Dopo ieri sera credo che non berrò caffè per qualche giorno.»
Fece sorridere Song Rok, che invece sembrava apprezzare ancora quella tipologia di bevanda. «Hanno richiesto un bis, quindi domani ci sarà la replica dello spettacolo.» Le disse posando la sua tazza e allungando il braccio per afferrare una ciambella vuota. Nel medesimo istante anche la ragazza si mosse da quella parte, per prendere un pezzo della treccia zuccherosa. Dorso contro dorso, le noche delle loro mani si toccarono debolmente e i loro sguardi stupiti si sollevarono. Imbarazzati, ritirarono velocemente l'arto.
Song Rok si schiarì la voce, prima di continuare il discorso: «Se non hai niente di meglio da fare e vuoi venire … E' aperto al pubblico per cui, non servono nemmeno biglietti.»
Portò la treccia alla bocca e, masticando, pensò a quale risposta fosse meglio dare. «Domani mattina devo incontrare Sarah, vuole che io e il suo ragazzo facciamo un po’ di conoscenza.» Un ghigno compiaciuto si destò sul suo viso stanco e pallido. «E se è così importante per lei … Voglio dire, deve essere seria la faccenda », tornò a guardare Song Rok imperturbabilmente. «Ma per caso è di pomeriggio? Se posso volentieri. Mi è piaciuta la storia di Amore e Psiche.»
Lui annuì senza proferire altro, ancora scombussolato dai postumi di quella sera e con il pensiero fisso di un bacio che doveva significare qualcosa, fantasia o realtà che fosse.


 
****


Li stava osservando da parecchi minuti, senza poter far nulla per riconciliare quei due amanti in momentanea rottura. Doveva essere una mattinata piacevole, all’insegna della conoscenza reciproca, ma da quel che aveva compreso Cho Seung Jo era un uomo particolare almeno quanto la sua bella fidanzata.
Entrambi puntavano lo sguardo dalla parte opposta, Sarah con le braccia incrociate e il presunto fidanzato stringendo i pugni comodamente posti sui braccioli della poltrona.
La ragazza si voltò per prima. «Direi che dobbiamo cambiare argomento. Parliamone un’altra volta, io e te in privato magari.»
Ma Cho Seung Jo sembrava non voler accogliere il suggerimento. «Gemma è una delle tue più grandi amiche», proferì indicandola, «può anche sopportare un battibecco amoroso. Non è vero Mss Brizzi?»
«S-sì … se proprio devo …»
«E lei cosa pensa del fatto che la mia ragazza non vuole invitarmi ad una festa tanto importante?» Chiese subdolamente. Era un tipetto tosto, abbastanza arrogante, tenace anche più di Sarah stessa. Gemma non sapeva se gioire di questo, o pregare affinché i due non si scannassero in futuro. Sempre ipotizzando che la loro relazione potesse continuare. Poco probabile a suo dire, ma alla fine a Sarah, la cacciatrice di mariti, serviva proprio sbattere la testa su un muro spesso come quello.
Non seppe che rispondere, quindi fece scrollare semplicemente la testa, mentre Sarah prendeva parola. «Seung Jo, mia madre non sa che esisti, chiaro? Non credo sia giusto attirare l’attenzione degli invitati su di me proprio al suo matrimonio. Le diremo di noi in un altro momento.»
Il ragazzo sbuffò ironicamente, trattenendo un certo nervosismo. «Farti accompagnare da un uomo non vuol dire prendere in mano le fedi e proclamare il nostro amore eterno! E scusa, vuoi andarci forse da sola? Non sei il tipo! Mentre io non sono quel tipo di uomo che lascia la sua donna ad altri.» Ciuffo nerissimo spostato di lato, occhi abbastanza grandi e dal taglio felino, fini quanto il suo naso. Osservando quel particolare, Gemma si chiese se non si fosse ritoccato un tantino.
«Con chi vado al matrimonio di mia madre non è affare tuo!»
«Sei la mia ragazza sì o no?» Si voltò verso di lei quasi disperato, « non giocare con me. E dimmi le cose come stanno. Se hai un altro o ti sei stufata, chiudiamo subito.» Era meno calmo e pacato, ma aveva lo stesso atteggiamento spiccio della prima volta che lo avevano conosciuto: quando interruppe la ragazza giunta per il colloquio, precisando che non era un dirigente di quella grossa compagnia, ma solo un segretario. Anche se di un bel segretario si trattava. Evidentemente quel buco nell'acqua, lavorativamente parlando, aveva portato ad un, forse destinato, incontro.
Sarah si voltò verso il suo ragazzo sospirando, «la verità è che non sono pronta a presentarti a mia madre. E’ una donna particolare e so che sarà molto emozionata in quel preciso momento, non serve darle altro motivo di agitazione.»
«Dovresti ascoltarla.» Intervenne finalmente Gemma in aiuto dell’amica, che la ringraziò con lo sguardo, mentre Seung Jo si preparava a ribattere. «Aspetta qualche giorno dopo il matrimonio, sono sicuro che Sarah ti presenterà sua madre al più presto.» L’espressione di Sarah divenne un tantino restia in quel momento, ma solo Gemma poté accorgersene, per poi ignorarla.
Il ragazzo sembrò invece riflettere. Sollevò lo sguardo con certezza, fissando negli occhi l’italiana: «Se il tuo ragazzo andasse ad una festa con un’altra donna, perché non vuole farsi vedere con te in pubblico, cosa penseresti?» Una domanda legittima e tagliente come un rasoio.
In difficoltà, Gemma guardò Sarah con sguardo supplichevole. Cosa poteva dire di fronte a quel presupposto? «In effetti …»
«No! Non rispondere!» Esclamò la diretta interessata.
«Ha ragione pure lui», mostrò un sorriso di circostanza.
Seung Jo incrociò lentamente le braccia sogghignando. «Certamente … »
La coppia non arrivò mai ad un vero e proprio compromesso. In quel locale avevano perfino pranzato, tra donkkaseu, zuppa di soia e frecciatine pungenti. Continuarono a litigare ininterrottamente, anche quando la terza incomodo si allontanò volutamente per andare alla toilette. Uno stratagemma per lasciarli soli a sbranarsi contro, mentre lei tranquillamente aspettava un aiuto dal cielo. Alla fine, tornata al tavolo dopo interminabili minuti, aveva trovato i piccioncini intenti a sbaciucchiarsi come due piovre in amore. Paragonarli a due adoescenti sarebbe stato scorreto, perché in Corea del sud pochi oserebbero coccolarsi in pubblico in quel modo.
Così li aveva salutati, scappando da una coppia assolutamente da cancellare dall’albo “noiosi”. Si era diretta dunque verso Gangnam-gu, sperando di non essere in ritardo per la replica dello spettacolo. Aveva preso un autobus, correndo a più non posso per le strade della capitale. Per fortuna portava delle comode scarpe da ginnastica. Amava i tacchi, ma non era in grado di portarli costantemente, anche se ad una persona bassina come lei un po’ di altezza artificiale sarebbe stata comoda. Specie passeggiando vicino a determinati “elementi” colossali, come il direttore Im Song Rok stesso.
Arrivò davanti all’Artkeujang cercando di placare il fiatone. La gente stava ancora entrando, questo voleva dire che lo spettacolo non era ancora cominciato, ma la fretta di alcuni l’avvisò che forse l’inizio era imminente. Le sue gambe urlavano pietà, respirò lentamente, calmando l'affanno, osservando nello stesso tempo il poster appeso in un lato dell’edificio. C’erano tutti gli interpreti: la coreana Venere finta bionda, con le sue vesti leggere, Psiche abbracciata al suo Amore e perfino Zefiro, colui che lo aiutò a salvare la fanciulla. A differenza di Eros, Zefiro aveva delle ali piuttosto ridotte e completamente marroncine. Ma non stilò tutti i volti degli attori presenti, perché la sua attenzione rimase incollata al protagonista, alle sue immense ali e al volto di Song Rok.
Sfilò distrattamente il cellulare dalla tasca, sentendo il vibro di un messaggio:


 
내 사랑
Ho bisogno di parlarti. Vediamoci tra trenta minuti al nostro solito posto.
Ti prego di venire.


Uno sguardo preoccupato di un'espressione contrita, che poco a poco si faceva trasportare sempre più dal panico. Improvvisamente il suo cuore prese a battere all’impazzata, ma la sensazione che avvertiva non era del tutto positiva. Perché Jin Yon U improvvisamente voleva incontrarla? Cos’altro aveva da dirle? Rinfacciarle ancora questioni ormai ovvie, che lei stessa aveva compreso? Non stavano più insieme e per di più lui non era nemmeno single, aveva un’altra. Gemma lo aveva ben compreso, non serviva aggiungere altro. Se mai era lei quella che aveva bisogno di chiarirsi e svuotare il sacco.
Sollevò lo sguardo ritrovandosi davanti a quel poster immenso. Im Song Rok, attore e direttore della scuola di teatro, proprietario dell’Ilmol House e in quella raffigurazione Amore, la stava osservando con un sorriso dolce, stringendo le mani di Psiche, fissando davanti a sé serenamente. Gemma rimise il cellulare in tasca ed entrò, andando a cercare un posto libero tra gli spalti. Per tutto il tempo poi, non fece altro che aggrapparsi a quella figura alata con lo sguardo, come se invece l’azione fisica avvenisse concretamente e potesse volare insieme ad Eros, lasciandosi portare ovunque lui volesse.


 
****


Nonostante qualche volta avesse guardato dalla parte del teatro dove era seduta, mentre recitava, i loro occhi non si erano mai incontrati, né occasionalmente né volutamente. Forse non pensava di trovarla lì o meglio ancora Gemma pensò che non la stesse affatto aspettando. Perché mai avrebbe dovuto?
Rimase nella sua postazione, osservando il solito gruppo numeroso di allievi e ammiratori circondare il tim teatrale, tra cui lui, che era certamente uno dei più amati. Nemmeno in quel momento Im Song Rok si preoccupò di guardarsi attorno alla ricerca di qualcuno. Troppo impegnato a tenere a bada la folla o … semplicemente troppo disinteressato. Gemma intanto incrociò le braccia, sospirando spazientita. Possibile che non si fosse accorto di lei? Oppure era una tattica! Voleva che fosse la ragazza ad esporsi per prima, scendendo in campo insieme alle ammiratrici urlanti. Eh certo! Se si aspettava una cosa simile era un illuso.
Ma tattica o no Song Rok poco dopo scomparve, trascinato via dai colleghi di teatro. Delusa, lo osservò ritirarsi dalla scena. Pensò allora che era il caso di andarsene e controllò l’orario dal display del cellulare, constatando che era passata più di un’ora da quando Yon U le aveva inviato quel messaggio. Aprì la casella apposita e ricontrollò il testo, domandandosi se in tutto quel tempo lui fosse ancora là ad attenderla. Improvvisamente si sentì quasi in dovere di andare a controllare. Così si alzò alla svelta, spostandosi velocemente verso l’uscita quando un altro sms la bloccò a metà via.


 
Commediante
Non starai scappando di nuovo, vero?
Ti aspetto dietro alla quinte.


Dava le spalle al palcoscenico, perciò si voltò lentamente. La stava osservando in quel preciso momento? E se sì, da quale punto? Il fatto di non vedere altro che tecnici delle luci, del suono e altra gente dello staff, non era molto rassicurante.
«Questa cosa è abbastanza creepy … » Sussurrò tra sé e sé, scendendo però le scale ubbidientemente. Con una lentezza estrema si spostò verso i lati del palco, dove alcuni addetti al montaggio e smontaggio la guardarono perplessi. Ma evidentemente non avevano l’autorità per cacciarla.
Se il palcoscenico e il piccolo teatro in sé dava il senso di calore, dell’intimità e dell’eleganza grazie ai colori sul nero, rosso e marrone del legno, dietro ad esso vi era un mondo completamente diverso: luci quasi abbaglianti a causa del colore asettico delle pareti e del pavimento, corridoi stretti gremiti di gente che andava e veniva facendo una gran confusione. Disordine ovunque a differenza dell’ordine meticoloso della sala teatrale. Stampelle con vestiti appesi malamente, gente che usciva da porte adiacenti ancora in abiti di scena, altri mezzi nudi. Ogni tanto urlavano il nome di qualcuno, richiamando l’attenzione. Gruppetti di attori a terra, che brindavano con birra e calamari esiccati. Proprio costoro, guardarono male la straniera quando questa passò oltre il loro gruppo, chiedendo scusa e cercando di non pestare qualche piede o urtare qualche pietanza. Non sapeva bene dove andare, ma non vi era poi molta scelta, doveva solo percorere il lungo corridioio e sperare. Una certa persona avrebbe dovuto immaginare che la ragazza, non conoscendo il posto, difficilmente lo avrebbe trovato in mezzo a quel trambusto.
Gemma si arrestò di colpo, sospirò tornando indietro, avvicinandosi nuovamente a quel gruppo di giovani attori. «Scusate, sto cercando Im Song Rok-ssi, per caso-»
Immediatamente qualcuno chiese: «Il nostro direttore?» Indicò la strada dritta davanti a sé, « sarà nel suo camerino! Vada dritta e poi al primo bivio giri a destra. Percorra quel corridoio e legga i nomi sulle porte per trovare la stanza giusta.» Sorrise a quella persona, facendo un piccolo inchino e tornando sui suoi passi.
Alla fine non fu nemmeno tanto difficile scovarlo, non servì cercare porta a porta, perché Mr. Im era proprio fuori dalla sua stanza privata, in compagnia di una delle donne più belle che Gemma avesse mai visto in vita sua: delle bellissime gambe lunghe, più formose del normale consentito al gene femminile coreano; dei fianchi leggermente più accennati rispetto alla vita, un seno piccolo ma ben rialzato, un volto maturo, ma allo stesso tempo ancora affascinante. Sicuramente quella donna aveva superato la trentina, forse coetanea dell'uomo che le stava accanto. I colore dei capelli era davvero particolare, di un castano cioccolato, e ricadevano vaporosi, non troppo lisci.
Ciò che saltava all’occhio era il suo atteggiamento: rideva senza mostrare l’imbarazzo che spesso dimostrano le sue connazionali, magari coprendosi il viso con le mani o il sorriso stesso. Si capiva che con Song Rok era a suo agio, gettando addirittura la testa indietro emettendo una fragorosa risata. Non appariva però rozza, anzi, molto elegante, sinuosa e femminile. Anche il direttore dava l’aria di essere parecchio preso dalla conversazione o … da lei. L’altezza di lui non veniva nemmeno accentuata da quella di lei, anzi le loro figure si abbinavano davvero bene. Proprio una bella coppia.
Solo dopo un'attenta osservazione, Gemma comprese dove aveva giò visto quel volto: poteva arrivarci prima, il vestito era lo stesso, mancava solo la parrucca bionda. Era l’attrice che interpretava la madre di Eros, Venere la Dea della bellezza. Fissando entrambi con stupore si sentì, non un brutto anatroccolo a loro confronto, ma direttamente un rospetto. Quei due, così insieme, avrebbero incanto chiunque con la loro carica seduttiva. Song Rok stesso, da solo, sebbene non avesse un volto particolarmente perfetto, sapeva attirare ben bene gli sguardi, e accompagnarsi a quella donna rincarava la dose di fascino.
Tra una risata e l’altra la Venere coreana si avvicinava sempre più a lui, posandogli una mano sulla spalla o addirittura accarezzandogli il volto con qualche pretesto, ma il suo collega improvvisamente sembrò invece ritirarsi, gentilmente, senza manifestare un disagio che forse invece in minima parte avvertiva eccome.
Quando finalmente si accorse dell'arrivo di Gemma, concluse la sua chiacchierata facendole un gesto con la mano, in modo tale che la sua ospite si avvicinasse. «Sei qui allora. Temevo te ne fossi già andata.» Le sorrise contento che lo avesse ascoltato. «Ah! Ti presento una mia collega. Lei è Kim Sae Bom», si rivolse poi all’attrice, «lei è Gemma Brizzi.» Non specificò nient’altro, ma in fondo c'era altro da dire? Se fosse stata un tantino impudente, Sae Bom avrebbe chiesto subito quale relazione li univa, invece rimase in silenzio, sorridendo e annuendo in segno di presentazione.
«Piacere.» Pronunciò l’italiana, prima che Song Rok l’afferrasse per il polso e la costringesse a seguirlo.
Aprì la porta del camerino, spingendo la ragazza dentro, « scusa, vado a struccarmi che ho un impegno», si affretto a salutare la collega statuaria, chiudendo poi la porta dietro di sé.
«Wow, che colleghe! Pagherei oro per essere come lei.» Commentò fin da subito Gemma. Ormai erano soli, poteva anche esporsi e dire la sua.
Song Rok aveva già lasciato la sua mano, per sedersi di fronte allo specchio e cominciare a levare ogni traccia di trucco. «Non è niente di speciale.» Bofonchiò, tirando la pelle per sfregare l’occhio destro.
«Non ti piace?» La faccia esterrefatta. Era una donna esteticamente fantastica, non la conosceva in quanto a doti intellettive e caratteriali, ma …
Song Rok l’osservò dal riflesso nello specchio, fermandosi un attimo dal suo continuo intento di levare cerone e matita dal volto. Una delle tante noie di un attore. «Fisicamente certo che sì! La parola attrice solitamente vuol dire bellezza, ma … la cosa spesso finisce lì.» Riprese a fissare la sua stessa immagine, avvicinandosi al riflesso per osservarne i contorni. «Ti assicuro che molte di loro sono oche e le più intelligenti, delle serpi.»
«Beh, io vorrei tanto essere come qualcuna di loro.» Gemma era rimasta per tutto il tempo vicino alla porta, appoggiata al muro, con le mani incrociate in grembo. Una posa rilassata e d’attesa.
Lo sguardo di Song Rok cercò nuovamente quello della straniera e sempre senza doversi girare per farlo. Serio in viso, sollevò un quesito: «Cos’ha lei che tu non hai?»
L'espressione esageratamente sorpresa, le labbra che si piegavano lentamente in una smorfia incredula e divertita allo stesso tempo. Portò le mani sui fianchi. «E me lo chiedi? Gambe così chilometriche ad esempio! Ma le hai viste? Io ho due cosi tozzi e … lenti. E la vita a vespa no? Al posto di quella io ho i rotolini di grasso! E ancora il se …» l’indice a mezz’aria ed una smorfia tra il sciocco e il riflessivo. Sogghignò malignamente, « no! Di seno la batto! Ma per il resto direi che mi supera egregiamente in tutto.» Distrattamente osservò l’ambiente, continuando a vagare nei meandri della sua mente. «Il sedere, pure quello sarà perfetto. Non l’ho vista da dietro ma sono certa che abbia un sedere mozzafiato. Anzi forse l'ho notato mentre recitava, non ricordo.»
Anche Song Rok stava sorridendo leggermente. «Si parla pur sempre di fisico. Non la conosci, per cui non puoi sapere. Ci frequentiamo da diverso tempo a causa del nostro lavoro e … penso che tu abbia più qualità di lei.» Che quelle parole non erano passate inosservate, lo si poteva leggere sul volto della ragazza.
Piacevolmente confusa, tossicchiò malamente, per scacciare quel leggero imbarazzo. «Okay. Sì, quando dici che ho più qualità di lei, dimentichi di dire “bellezza a parte”.»
Song Rok batté la mano sul tavolo del camerino, fissandola e parlando direttamente al riflesso. «Sul serio ti sottovaluti così tanto?»
Sì. Sapeva di non avere un brutto aspetto, ma non credeva abbastanza nelle sue qualità, qualunque esse fossero. E soprattutto: l’erba del vicino è sempre più verde per tutti. «No, non lo penso, però … non sono così sexy. A volte vorrei apparire seducente come lei.» Pensò ad alta voce. Invece avrebbe dovuto tenere anche quella confessione per sé.
Il direttore la guardò quasi impietosito, sogghignando ironico. «Lo sei.» Rispose in una sorta di lamento, ignorandola nuovamente per poter continuando a cancellare i segni dal suo viso.
Ancora una volta quel commediante da strapazzo stava mettendo a dura prova la sua calma interiore. Questa volta un rossore leggero le colorì le gote, senza che lei potesse farci nulla. «Bugiardo!» Ma si sentì in dovere di esternare per lo meno il suo risentimento per quella presa in giro. Perché doveva essere per forza solo una battuta, uno scherzo.
«Lo sei ti dico!» Il tono stanco di chi ripete le solite cose. «La prima volta che ti ho visto ho pensato subito che tu fossi davvero una bella donna.» Tolse la salvietta dall’occhio, spostando lo sguardo verso l’alto, riflettendo: «beh … certo, finché non hai aperto bocca.» E cominciò a ridersela da solo con un vocione grossolano.
«Grazie, grazie, grazie», incrociò le braccia al petto fissandolo con astio, «questo la dice proprio lunga sulla mia innata sensualità!»
«Intendevo dire che quando vuoi sai esserlo.» Spinse con un piede, facendo roteare la sedia, per potersi voltare e affrontarla faccia a faccia. «Se ti dico che nonostante tutto ti trovo ancora sexy, sei più contenta?»
Gemma fece crollare il suo sguardo, non sopportando quegli occhi così seri. «E pensi che io ti creda?» Bofonchiò prima di cambiare velocemente discorso, «comunque sia ... credo che tu le piaccia.» L’argomento cambiò soggetto, Gemma lasciò volutamente il posto a Miss Kim, se lo meritava sicuramente di più.
«Probabile.» Annuì lentamente lui. Con un balzo si alzò nell'immediato dopo, avvicinandosi ad una stampella per vestiti, cominciò a sbottonarsi la camicia già mezza aperta a causa dello scollo profondo. Gemma corrucciò la fronte, cercando di comprendere la situazione, mentre lui sollevando lo sguardo si bloccò a fissare quella sua perplessa espressione. «Ti dispiace?» Con l’indice le mimò di voltarsi.
«Ah! Sì, scusa.» Imbarazzantissima obbedì. «C-comunque … credo voglia arrivare ad un certo livello con te. Vorrà portarti a letto.» Cercò di ricostruire la conversazione e nel farlo forse fu indelicatamente goffa. Il suo intendo era anche quello di sottolineare che non aveva potere su di lei. Nonostante un primo balbettio e un po’ di vergogna iniziale, Song Rok non la incantava.
«Vuole farsi portare a letto.» Corresse la sua supposizione, « e un tempo ci stava anche per riuscire.» In quella piccola sala, oltre le loro voci, si avvertiva solamente il fruscio dei vestiti di cui l’attore si stava svestendo e rivestendo. «Non pateggio troppo per il sesso senza amore, però come tutti gli uomini non posso negare l’attrazione e come hai compreso Sae Bom è una donna che può convincere.»
La curiosità di Gemma prese il sopravvento. «Cosa ti ha impedito di farlo?»
Aveva indossato dei pantaloni neri attillati e una camicia azzurra, semplice, raggomitolando le maniche fino al gomito. «Mmm … sinceramente?» Si avvicinò alla ragazza, sussurrandole: «Tu.»
Si voltò sobbalzando tanto quanto il suo cuore, ebbe un sussulto quando avvertì la sua calda voce sul collo. «I-io?» Da quanto erano vicini, dovette alzare il volto per poterlo guardare in faccia.
Song Rok annuì tranquillamente. «Sto parlando del giorno in cui ci siamo conosciuti. Quella sera Sae Bom mi stava aspettando, ma io sono stato intrattenuto da due strane ragazze.»
«Aaaah!» Gemma fece una smorfia divertita.
«Per colpa vostra ho perso un’occasione.»
«Non hai perso nessuna occasione, lei sembra ancora molto determinata.»
Im Song Rok tornando verso lo specchio, cominciò a riordinare l'ambiente. «Sì, ma io non sono più interessato.» Annunciò spostandosi verso i vestiti di scena, infilandoli nelle stampelle per poi appenderli. « Ora come ora una donna qualsiasi, se pur bellissima, non può provocarmi in nessun modo. Sono in quella fase della vita in cui potrei fare l’amore solo con la donna per la quale provo un forte interesse.»
«Per … amore?» Provò a suggerire la voce femminile.
Si fermò, aggrappandosi con le braccia all’attaccapanni, posando il mento sopra di esso. «O qualcosa che gli va molto vicino.» Sorrise in un modo che si poteva definire solamente enigmatico.
Finalmente qualcosa la indusse a schiodarsi dalla sua postazione, azzardandosi a fare qualche passo verso di lui, anche se incerto. «Quindi ora non c’è nessuno con cui valga la pena tentare un approccio serio. Stai dicendo questo?»
Song Rok piegò le labbra in un ghigno interrogativo, fissando il soffitto, mugugnando per marcare la sua indecisa riflessione. «Tu verresti a letto con me?» Domandò serio, tornando ad affrontare il suo sguardo.
Gemma trattenne una sorta di sospiro singhiozzato e strabuzzò gli occhi. Le uscì solo un fiato: «Eh?» scatenando la risata del direttore. Comprendendo così che si trattava solo di uno scherzo. Lo colpì ad un braccio. «Non scherzare! Già ce l’ho con te per quel bacio rubato davanti a Yon U, non peggiorare l’antipatia che provo nei tuoi confronti.»
Si sollevò dalla stampella, continuando a sorridere sornione. «Sono due.»
«Cosa?»
Il sorriso scomparve, «ci ho pensato a lungo e anche se sembrava … No, sono sicuro che non si trattasse di un sogno.» Mentre spiegava, la fronte di Gemma si corrucciò nello sforzo di ragionare. «Ero troppo ubriachi per ricordare, ma pian piano le immagini si sono fatte sempre più nitide e … Due sere fa … a quanto pare ci siamo scambiati un altro bacio, ma a quanto pare anche tu hai dimenticato.» Esordì.
La ragazza si toccò le labbra ripensando a quella piscina riempita di caffè e al profumo che sprigionava. «Oddio … » e a quell'aroma, che aveva avvertito direttamente dalla bocca incollata alla sua, «… facciamo finta che non è successo niente, okay?» Lo supplicò. «In realtà non ne sono ancora sicura. Potrebbe essere ancora uno scherzo di pessimo gusto per quanto ne sappia. Quindi continuano a credere che sia stato un sogno.»
«Oh! Certo, che coincidenza! Abbiamo fatto entrambi lo stesso sogno?»
«Può succedere!»
«Credi che sia davvero plausibile? … Sì! Dìaccordo! Diciamo che lo è stato!» Concluse il loro scambio di opinioni con fare di rimprovero. «Per quanto poco reale continua ad essere la tua scusa …»
Gemma abbassò le mani, diventando improvvisamete cupa, triste. Era tornata a Seoul per riprendere con sé il suo amato, invece in tutto quel tempo non aveva fatto altro che toccare le labbra di un altro e ora cominciava anche a comprendere che la sua mente stava cedendo a causa di alcuni avvenimenti ancora poco chiari.
«E adesso che ti prende?» Chiese Song Rok sospettando qualcosa.
Sollevò uno sguardo quasi colpevole, anche se sapeva di non averne realmente nessuna colpa. «Poco fa mi ha scritto … voleva vedermi.»
Il volto di Song Rok prese una piega sulla difensiva. «Quando?»
«Beh, ormai più di un’ora fa. Non gli ho dato peso e sono rimasta a guardare lo spettacolo.» Gli occhi vagavano per la stanza distrattamente. La sua iniziale forza, persa nel vuoto.
«Perché non ci sei andata?» Attirò la sua attenzione, e così notò il brilluccichio negli occhi chiari di Gemma. Cominciavano ad inumidirsi.
«Sono stanca Song Rok … volevo solo rimanere seduta e … » alzò le spalle, come se d'un tratto avesse perso le forze.
Come ci si deve comportare in una situazione simile? Abbracciarla? Forse avrebbe dovuto stringerla a sé, come una parte di se stesso effettivamente consigliava. Invece optò per una seconda via, cercando un qualsiasi modo pur di distrarla da quei pensieri: si sporse in avanti, avvicinando il suo volto a quello di lei, che indietreggiò appena. «Rimane seduta e … Non è che volevi guardare me?» Utilizzò l'ironia.
Ma per lei non c’era nulla di divertente in quella battuta e servì solo a renderla ancor più nervosa. «Lo spettacolo! Volevo guardare lo spettacolo.» Per lo meno l’aveva scossa quel tanto che serviva per frenare il pianto in arrivo.
L'unico a ridere fu Song Rok, e lo fece di gusto, anche troppo teatralmente. Tanto che la sua vociona risuonando per tutta la stanza, sembrò avere il potere di abbracciare chiunque vi fosse all'interno, come una coperta calda.
«Non hai mangiato vero? Prendiamo qualcosa al minimarket vicino all’Ilmol e parliamo in atrio, ti va?»




Spero che la storia vi stia piacendo, il romanzo nel frattempo sto per terminarlo, mancano ancora pochi capitoli e poi potrete avere il finale anche tutto in uno. ^ ^ 
A presto con il prossimo capitolo.

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Capitolo 19
*** CAPITOLO 28° 29° ***




28 Capitolo

 

 

 

 

Si trattava di prendere una decisione apparentemente facilissima: dolce o salato? Quegli scaffali erano pieni di delizie da poter assaporare, qualsiasi tipologia, avevano solo l'imbarazzo della scelta.
Im Song Rok si era fermato di fronte al banco frigo, osservando i diversi alimenti, tra cui salsicce avvolte nella pastella, da scaldare al microonde, prosciutto per kimbab, bokkeumbab, mandu1, varie bibite gassate, quelle alcoliche, latte al melone, banana, fagola o cioccolato. Gemma invece aveva fatto la rassegna di tutti i gelati che si trovavano nel freezer, poi si era spostata nel reparto patatine, successivamente si apellò alla convinzione che scegliere il dolce è sempre la soluzione migliore. Si era impuntata con le merendine e i biscotti, specie quelli a forma di funghetti tanto carini. Afferrò la scatola mostrandola al ragazzo, richiamando la sua attenzione:

«Che ne dici? Questi ti piacciono?»

Lui sollevò le spalle, « li mangiano i bambini quelli. Piuttosto pensavo … » prese in mano una scatola bianca, « sei italiana, dovresti saper cucinare no? Me lo faresti un dolce tipico?»

Gemma fissò quella sottospecie di panna da cucina, la quale, se si aggiungeva una cucchiaiata di zucchero, si trasformava anche in una delizia per i dessert. «Non c'è la cucina all’Ilmol, mi dici come faccio?»
Lasciò la presa e si avvicinò alla giovane donna, che si stava spostando verso la zone ramyeon. Rimase alle sue spalle, appoggiandosi allo scaffale, con le mani in tasca.

«Io passo! Credo che comprerò un po’ di calamaro al chiosco qui accanto.»

Improvvisamente si trovò un dito puntato contro. «Non ci provare!!! Quella cosa puzza! Non voglio rischiare di soffocare. E immagino che tu non voglia passare due giorni a togliere quel fetore, no?»

Le fece nuovamente spallucce. «Io prendo pesce e birra, tu fai come ti pare, ma sbrigati.»

A quel punto Gemma passò all’attacco, afferrando tutto ciò che le ispirava: ramyeon, patatine, i funghetti di cioccolato, biscotti al burro. Lui per un attimo pensò di doverla frenare un tantino, sembrava che stesse per svaligiare il negozio, oltretutto non era un bene mescolare tutte quelle pietanze tanto differenti tra loro, per non parlare del fatto che nessuna era salutare. Ma alla fine non dovette nemmeno intervenire, perché la ragazza stessa rinunciò a quel “ben di Dio”, finendo per comprare del semplice riso bianco al vapore. Senza sale. Senza condimento ...



«Cosa ne dici se ti aiuto con lo studio finché mangiamo?» Aveva proposto una volta rientrati nel goshiwon. Entrambi non sembravano aver sonno, anzi al contrario dovevano scaricare un po’ le energie e la proposta dello studio si dimostrò interessante anche per Gemma, che corse a prendere i suoi quaderni.

«Pesce o riso?» Domandò Song Rok tirando fuori il cibo dal sacchetto.

Gemma rapidamente rubò la sua scelta primaria, «Il riso è mio!», disse scartando l'involucro del contenitore e cominciando a consumare la pietanza, prima che il ragazzo potesse cambiare idea sul suo orribile e puzzolente calamaro e richiederne un boccone del cibo altrui.

«Non mi piace il pesce.» Bofonchiò recitando la parte dell’infastidito.

Si bloccò con il cucchiaio sospeso a metà strada tra la ciotola e la sua bocca: «Nessuno ti ha obbligato a prenderlo!»

«Non possiamo dividerci il riso?» Propose all'inizio, per pooi afferrarle il polso prima che potesse ingoiare la cucchiaiata. Si sporse velocemente, rubando il cibo alla ragazza, che sgranò gli occhi allucinata.

«Scusa???» Esclamò, mentre Song Rok se la rideva, gustandosi il bottino appena conquistato. «Se non ti piace perché diavolo hai comprato quel calamaro puzzolente?»

«Perché sta bene con la birra.» Lanciò il sacchetto sul tavolino malamente, come per allontanarsene, «no, non voglio mangiarlo! Preferisco decisamente il tuo!» Ora la parte interpretata era quella di un bambino capriccioso. Si poteva dire di tutto di quell’uomo, ma non che fosse un pessimo attore. Ed in fondo, aveva già dimostrato in più di qualche occasione quali fossero le sue doti recitative. «Dividiamocelo, mmm?» Cercò di supplicarla, e lei per tutta risposta mosse la testa, inghiottendo un’altra cucchiaiata di fronte ai suoi occhi. «Jebaaaal!2 Ho fame anche io!»

«Va bene, ho capito!» Per accontentarlo, allungò il braccio e con un gesto brusco conficcò letteralmente il cucchiaio in bocca a Song Rok, che rimase interdetto dai suoi modi. Questo fece scatenare la grande risata della ragazza.

«Aissi … jinjja!3» Mugugnò trattenendosi dal parlar male, con la bocca ancora piena, tentando di trangugiare quel boccone pesante.

Gemma nel frattempo placò la risata. Osservò i suoi libri semi aperti, doveva ritrovare la concentrazione per lo studio. Posò dunque il conenetore del riso di fronte a Song Rok, perché potesse servirsene, prese distrattamente una penna iniziando l’esercizio. Poco dopo però, questa, le venne sfilata di mano.

Sollevò lo sguardo verso il colpevole gli suggerì: «Non renderti ridicolo. Ridammela!»

«Hai iniziato tu.» Lui, ancora intento a masticare il boccone che lei gli aveva inferto.

Gemma ignorò quell'assurdo gioco, prese invece la matita, peccato che anche quella venne prontamente rubata dall'antipatico accanto. «Smettila! Hai forse due anni? Sei dispettoso come un bambino.» E mentre affermava ciò, si mosse rapidamente per impugnare l’unica penna che le era rimasta. Ci riuscì, sfoggiandola in modo arrogante, mettendola poi tra le labbra ed infine iniziando a masticarne il tappo, una delle tante pessime abitudini che hanno molti individui, compresa lei.

«Non metterla in bocca», la rimproverò, sollevando un sopracciglio interdetto, «è piena di germi …», allungò la mano per sfiorarle una guancia con le dita. Si avvicinò anche con il viso per osservare meglio da vicino, « … cos’hai qui?»

Gemma subito si irrigidì a causa di quella distanza serrata, poi sghignazzò, «non ci casco.»

«Ti sei sporcata, sciocca!» Affermò cercando di ripulirla premendo con i polpastrelli. «Difficile far andar via l’inchiostro.» Si arrese: ignorò quello sbuffo incancellabile e prese la sua birra, l’aprì e poi gentilmente posò di fronte alla ragazza il caramel macchiato, ma non prima di aver scartato la cannuccia ed averla infilata dentro al bricchetto.

Gemma nemmeno ci fece caso, era tornata a concentrarsi sugli esercizi, finalmente libera di farlo. Aveva pensato ad alcune frasi da tradurre, ma per cancellare il suo vizio della trascrizione alla lettera, aveva scritto solo il contesto, così facendo, avrebbe dovuto ideare la frase direttamente in coreano. Ad un tratto avvertì un leggero tocco sulla spalla, ma non gli diede importanza finché il contatto non si fece più concreto. Cercò di scostare quel peso, muovendo a sua volta l’arto, lanciando una sorta di segnale: “spostati che mi dai fastidio”, ma Song Rok non sembrava essere intenzionato a farlo, anche perché lui non si immaginava che sfiorarle appena la spalla potesse recarle enorme disturbo. Stava semplicemente controllando cosa combinava in quel quaderno, ed è quello che fa un comune tutor di lingua.

«Mi deconcentri.» Fece presente lei ad un tratto.

La fissò perplesso, raddrizzando però la schiena e tornando al suo posto. «Scusa.» Si mostrò falsamente offeso, senza caricare però troppo la recita, tornando ad osservare gli esercizi, questa volta allungando un tantino il collo, senza doversi per forza sporgere.
Nonostante sembrasse ascoltarla, stando bene attento a non sfiorarla nemmeno, per Gemma sentire lo sguardo del direttore sempre addosso, le creava un certo disagio. La distraeva troppo. Per ogni singola, minima mossa la ragazza reagiva irrigidendosi involontariamente. Ad esempio quando Mr. Im posò la mano sul tavolo, sfiorandole appena le dita, ipertesa la giovane si scostò. Apparve come infastidita da quel flebile tocco, proprio come poco prima era stata turbata dall’incontro lieve delle loro spalle. Sembrava quasi provare insofferenza verso quella presenza, ma non era insopportazione la sua. Non riusciva a comprendere il motivo di quella totale disarmonia con l’ambiante, con se stessa, con lui … Uno strano stato di agitazione stava avendo la meglio su di lei. Quel silenzio della sala, la solitudine che sottolineava la innervosiva. Anche se gli ospiti del goshiwon dormivano beati dentro le loro stanze, in quel momento sembravano completamente soli e fin troppo vicini. Eppure il problema che si poneva era davvero singolare: non era la prima volta che lei e Song Rok si trovavano a quella distanza e soli, aveva perfino dormito più di qualche volta a casa di quell'uomo! E senza provare il minimo disagio!
Il direttore, forse comprendendo lo strano nervosismo di Gemma, si scostò lentamente, grattandosi la nuca pensieroso. Continuò a fissarla stranito, tornando a bere la sua lattina di birra. Il bizzarro comportamento della ragazza sembrava in qualche modo influire negativamente anche su di lui. In un certo senso cominciava a sentirsi a sua volta agitato.

«Aaah! Non fa caldo?» Si sollevò appena dalla sedia per andare a regolare il termostato, sulla collona. Per farlo, allungò il braccio superando la ragazza al suo fianco. Costei spostò solo lo sguardo di lato, fissando una camicia azzurrina sbottonata fino al centro del petto. Fissò la pelle perfettamente liscia di Mr. Im, la quasi assente peluria che intravedeva e il lungo collo lungo dall'accennato pomo d’Adamo. Il profumo che avvertiva era davvero leggerissimo e non riusciva a capire se si trattava di un qualche rimasuglio di deodorante, un'essenza costosissima o se fosse la sua essenza al naturale. Sapeva che l'olfatto coreano non amava le fragranze troppo forti, come potevano essere quelle europee e addirittura a volta non utilizzavano nemmeno i deodoranti, poco venduti in quel paese. Preferivano profumi per la pelle, di quelli blandi, dopo doccia che scemavano in fretta o semplicemente creme, colonie dai toni nettamente inferiori a quelle di un qualunque maschio occidentale impomatato.
Persa a fissare il corpo di fronte a sé, non si accorse che quella persona aveva abbassato lo sguardo, cogliendo il suo interesse. La sua attenzione venne richiamata, sollevò il volto e così i loro occhi si incrociarono a pochi centimetri gli uni dagli altri: Gemma, che dimostrava una strana espressione impotente e colpevole e Song Rok, incuriosito da quel che stava accadendo in quel momento. Improvvisamente però cambiò la sua espressione. Divenne talmente intenso che Gemma, come un cogniglietto di fronte agli occhi di un lupo, avvertendo qualcosa simile al pericolo, fuggì immediatamente, tornando alla sua sola salvezza: gli esercizi. Raccolse la testa tra le mani fissando verso il basso il proprio quaderno, cercando di non pensare a nulla. Scappò con la prima scusa che le venne in mente.
Im Song Rok si rimise a sedere, cadendo distrattamente sulla sedia, ancora confuso da quello che stava accadendo. Non riusciva a decifrare l'attegiamento di quella donna, lo stuzzicava solo qualche infondato sospetto. E inaspettatamente una parte di sé sperava che quelle ipotesi fossero esatte.
Si alzò con aria vaga, osservandola tradurre le frasi come farebbe un professore sotto esami: sguardo sadicamente severo, braccia conserte. La ragazza poteva sentire la sua presenza pesante come l’ombra di un avvoltoio. Il suo cuore aveva cominciato a galoppare già qualche minuto prima, ma l'impanicamento stava peggiorando. Si aspettava chissà quale mossa da lui e invece quasi la deluse quando allungò solamente un braccio per indicare un punto, facendola comunque sobbalzare.

«Qui è sbagliato.»

Guardò il suo fino polso, che si estendeva in una grande mano. «E’ più corretta se uso-»

«Devi usare il tema.» Spiegò interrompendola.

«Okay, grazie.» Prese la gomma da cancellare, per poi lasciarla e andare a corrregere.

Il braccio del chilometrico attore non l’abbandonò, appoggiandosi al tavolo, seguito dall’altro. «Fammi vedere che stai combinando.» Song Rok la intrappolò in una sorta di abbraccio privo di contatto: la circondò, se pur rimandendo comunque distaccato da lei, lasciando un pericoloso dubbio sempre in agguato. Un interrogativo simile ad una snervante attesa.
Gemma strinse le spalle per non rischiare anche solo di sfiorarlo erroneamente. Cercò di ritrovare il controllo, ignorando l'aspettativa paurosa che la metteva in allerta. Non riusciva proprio a comprendere quella sua accozzaglia di emozioni.

«Anche la seconda frase non va bene.» La fece rabbrividire con la sua profonda voce, così Gemma si strinse ancor di pià a sé. «Come al solito hai tradotto troppo letteralmente. In coreano non suona bene.»

«Ho capito, la rifaccio.» Fece per prendere la gomma e fu in quell'istante che vide la mano di Song Rok muoversi rapidamente nella medesima partee afferrare la sua. Rimasero in quella posa per qualche secondo, come se il tempo per loro si fosse fermato. La ragazza fissò stralunata le loro dita, che quasi si intrecciavano. La mano di Song Rok accoglieva la sua delicatamente, sfiorandole il dorso con i polpastrelli, lievemente, ma avvolgendola quasi del tutto. La osservò poi scivolare verso il basso lentamente, finché la presa non si fece più sicura. Le abbracciò totalmente il polso, posandovi il pollice per ascoltarne il battito. Anche lei sentiva le sue stesse agitate pulsazioni, oltre ad avvertire lo sguardo di Song Rok, insistente. Lo sentiva come se fosse stato un vero e proprio tocco, addirittura come se fisicamente stesse premendo sulla sua nuca.
Si sottrasse a quella presa malamente, scappando infastidita. Raccolse i libri tra le braccia e velocemente corse a chiudersi in camera. In un primo momento Song Rok la lasciò scivolar via, appoggiandosi al tavolo di fronte, pensieroso. I pugni si chiusero decisi, si sollevò e rincorse la ragazza: entrò nella stanza prima che lei potesse serrarla e una volta dentro sbatté l'uscio, affinché gli si chiudesse dietro le spalle. Si bloccò per un attimo, osservandola di schiena, immobilizzata, forse ancora sotto sciock per quel qualcosa che non era ancora avvenuto, ma che poteva accadere. Bloccata da ciò che aveva provato a causa di quelle uniche attenzioni verso la sua persona, apparentemente prive di alcuna malizia e significato. Non si era mossa nemmeno per posare i libri, li teneva ancora stressi in petto, come se loro potessero proteggerla, come se fossero l'arma di cui necessitava per scacciare il pericolo.
Im Song Rok le si avvicinò lentamente, quasi senza fare rumore. Gemma comunque sapeva bene che ormai era entrato e si trovava proprio lì con lei. L'attraversò un brivido, una scossa emozionale, quando le afferrò un braccio per obbligarla a voltarsi. Lasciò dunque cadere i libri a terra, senza curarsene. Non ebbe nemmeno il tempo per farlo, perché il volto di quell'uomo si era già chinato su di lei. Così, le accarezzò le labbra. Nonostante la foga del gesto, inizialmente Mr. “bella mano” la baciò delicatamente, si lasciò trasportare solo successivamente dall'impeto, aumentando la presa su quella bocca. Avanzando di qualche passo, afferrò meglio Gemma per attirarla a sé e lei lo lasciò fare, incapace di rifiutarlo, incapace di correre lontano da quelle emozioni.
Improvvisamente Song Rok aprì gli occhi, compiaciuto dal fatto che anche Gemma partecipasse al bacio: la giovane ricambiò tanto da avvolgergli le spalle in un abbraccio e alzarsi in punta di piedi per poterlo assecondare, essendo parecchio più bassa di lui. A quel punto Song Rok la strinse intrecciando gli arti superiori e drizzò la schiena lentamente, sollevandola di peso. Nessuno dei due interruppe le carezze che si stavano scambiando le loro labbra, ma pian piano si mossero comunque, avanzando verso il letto. Il direttore, con gentilezza, la distese sul materasso e a quel punto il bacio si fece nuovamente più impetuoso, sempre più spinto: le loro lingue si intrecciarono in una danza sinuosa, mentre le loro mani accarezzavano il corpo dell’altro imparando così a conoscersi.
Gemma fu la prima a lasciare la presa. «Abbiamo bevuto troppo?» Chiese con il poco fiato che le era rimasto.

Serio Song Rok le sussurrò sulle labbra l'ovvia risposta: «Non abbiamo bevuto affatto.» E la zittì prepotentemente con un altro bacio, volendo riprendere da dove erano rimasti.

Lei non poté nemmeno questa volta rifiutare, anzi dimostrò tutta la sua attenzione osservando il direttore sollevarsi da lei, quel tanto per potersi sbottonare la camicia, partendo dal centro del petto, dove effettivamente si concludeva la scollatura. Nel mentre, quegli occhi a mandorla seri e pieni di desiderio, non si staccarono nemmeno un secondo da Gemma. Quella sua espressione la turbava e eccitava allo stesso tempo. Non volendo aspettare, questa volta fu lei a fare una mossa azzardata: attirò Song Rok a sé, sporgendosi per baciarlo ancora e così lui cedette. Tornò ad avvolgerla tra le sue braccia, labbra e le mani, dalla carezza delicata, cominciarono ad accarezzarle le cosce, risalendo verso la vita, la schiena, indugiando quando arrivarono al seno prosperoso.
E lì si concluse il piacere. Perché la signora fece cenno di volersi fermare.
La lasciò andare, permettendole così di parlare liberamente, ma sempre tenendola egoisticamente ancora incollata a sé.

«E’ una complicazione … ci stiamo complicando la vita.»

In quegli occhi non trovò più quel fervore di un momento prima, ma solo poca convinzione. Per questo decise di ascoltarla, interpretando bene le sue parole: si sedette sul materasso, riabbottonandosi la camicia quasi del tutto aperta. «E’ davvero per non complicare il nostro rapporto, qualunque esso sia o è perché sei ancora innamorata del tuo ex?» Chiese mentre si alzava e avanzava verso l’uscita.
Attese un attimo la risposta, ma non ricevendo altro che il silenzio, lasciò la stanza.

 

 

 

 

 

 

 

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29 Capitolo

 

 

 

 

Ciao. Scusa, dove ti trovi ora? Dovrei parlarti.

 

I sentimenti intrecciati in un confusionario groviglio, emozioni che nemmeno lei riusciva a capire fino in fondo. Doveva essere una semplice caduta, un semplice momento di debolezza fisica. La carne si sà, è debole. Aveva passato tutto il giorno a pensarci: non poteva incasinarsi con una nuova relazione, che poi non sapeva nemmeno se quella storia avrebbe potuto davvero concretizzarsi.

In fin dei conti cosa voleva Im Song Rok da lei? Anche dal suo lato la situazione poteva essere varia ed eterogenea:
si era innamorato?

Poco probabile.

Voleva solo sesso?

Anche se non sembrava un uomo di quel genere, probabile. Doveva ricordare a se stessa che si trattava pur sempre di un essere di sesso maschile.

Quindi … lo aveva sedotto e intrappolato nella sua reta?

Anche questo poteva essere possibile, ma bocciò la cosa a priori, non si sentiva una grande seduttrice. Era stato un errore.

Anch’egli si era lasciato andare forse un po’ troppo per un attimo?

Altra possibilità valida. Fatto sta che non ci voleva! In quel periodo non serviva avere un altro problema al quale far fronte. La mente era già troppo occupata da qualcuno in particolare e sebbene si stesse stancando di quella situazione, non poteva certo ammettere con leggerezza che ormai non provava più nulla per Jin Yon U, anzi tutt’altro.

Doveva scusarsi con Song Rok dumunque?

Ma non era stata tutta colpa sua, avevano sbagliato entrambi. Pensò anche che, magari, se l’avesse cercato per parlare più razionalmente dello sbaglio che stavano per compiere la notte scorsa, forse pure lui avrebbe convenuto con il suo pensiero e si sarebbe scusato con lei. Immaginava che anche per lui fosse tutto un po’ strano e surreale. Poco decifrabile come situazione.

 

Commediante

Mi trovi qui. Sono ad una cena con lo staff ma puoi venire.

 

Osservò la mappa incorporata, comprendendo che si trattava di una noraebang nella zona vicina a Suyu. Andare con la metro sarebbe stato scomodo, avrebbe comunque dovuto cambiare linea e prendere addirittura un bus. Ormai conosceva quella zona, dopotutto ci lavorava Yon U. Così decise di cercare nell'applicazione del cellulare gli autobus di linea per fare un giro più comodo. Meglio cambiare più volte una sola tipologia di mezzo, che passare dall'uno all’altro.

Si bloccò quando la sua mano toccò la maniglia della porta. Corrugò la fronte pensierosa: perché stava correndo da lui senza riflettere? E perché le aveva inviato le sue coordinate?

Era all'Empeulex Noraebang4 con i colleghi, la sua presenza sarebbe stata superflua. Rilesse il messaggio, pensando che avesse sbagliato ad inviarlo. «Sicuramente era per qualcun altro.» Sospirò quasi delusa, per poi tornare in se stessa e lasciare la presa sulla maniglia.

Come poteva presentarsi davanti a lui dopo quello che era successo? Dove trovava il coraggio e la voglia? Eppure una parte di lei desiderava correre da lui, per mettere le cose in chiaro, affrontare il problema che stava rovinando tutto e mettere a tacere alcuni dubbi ancora in agguato. Chiudere ogni discorso, guardarsi negli occhi ridendo e scherzando come sempre, eliminando tutte le complicanze che si erano contrapposte.

 

Con la mappa e l’indirizzo della via, giunse a destinazione senza problemi. Inoltre i karaoke sono edifici solitamente molto appariscenti e quello in questione non faceva distinzione. C’era un viavai di gente, alcuni pure che si reggevano in piedi a stento. Entrando andò subito in quella che si poteva chiamare reception, chiedendo informazioni ai giovani dietro il bancone, referendo il nominativo della compagnia teatrale.
Non era una noraebang qualsiasi, anche se da fuori poteva sembrare pure piuttosto di bassa lega, con il solito neon lampeggiante e la sagoma di una donnina tutta cosce con un microfono in mano. Invece all’interno l’ambiente era intimo, dai toni scuri, luci soffuse e la confusione che si sentiva appena. L’ambiente pulito e piuttosto curato. 
Uno dei ragazzi le fece strada, e già che la stavano accompagnando, senza lavarsene le mani dando solamente il numero della stanza, sottolineava l’accuratezza del personale e quindi la particolarità del luogo. Le aprì addirittura la porta, permettendole di entrare. Vide così un enorme salone illuminato da luci psicadeliche, un mega schermo dove passavano i video dei migliori successi tra kpop e ballad, un lungo tavolo pieno di bottiglie mezze vuote e le poche persone che lo attorniavano, sedute su delle comode poltrone. Quel posto doveva costare un occhio della testa confronte a tanti altri karaoke. Il classico posto frequentato da manager, dove si riunivano dirigenti e gli staff di chissà quali aziende.
Doveva esser stata una bella tavolata ricca di gente, ma ormai erano rimasti in cinque, perciò non si sforzò troppo per trovare colui che le interessava, tra l’altro con un peso morto accanto: addossata a lui, vi era una donna sicuramente molto avvenente. Solo poco dopo capì che si trattava della collega che aveva già visto dietro le quinte del teatro. Costei stava chiaramente attuando piani seduttivi che sarebbero stati ovvi anche ad un cieco e lui sembrava lasciarla fare, per nulla disturbato. I loro volti poco distanti l’uno dall’altro, senza che vi fosse alcun imbarazzo.
Vederli così intimi e appartati, sicuramente intenti a scambiarsi occhiate languide, le fece ben pensare di uscire prima che qualcuno si accorgesse della sua presenza, lasciandoli continuare a tubare. Ma prima che potesse muovere anche solo un muscolo, lo sguardo di Song Rok la individuò. Perciò dal momento in cui la chiamò a sé con un gesto della mano, la ragazza non ebbe via di scampo. Non poteva più tornare indietro, prese coraggio e, anche se infastidita, avanzò verso quei due.

«Kim Sae Bom, ti ho già presentanto Gemma Brizzi?» Pronunciò sorridendo e indicando la ragazza in questione con un gesto galante della mano, guardando la bella al suo fianco. «Gemma …», spostò l’attenzione verso la giovane appena arrivata, « ricordi la mia collega Sae Bom?»

La donna in questione spostò una ciocca di vaporosi capelli castani, osservando con sguardo guardingo colei che poteva sembrarle ancora una ragazzina acerba, a causa della loro differenza di età. «Sei quella dell’altra volta se non erro», guardò strabiliata Song Rok, « di solito hai buona memoria. Sì, ci hai già presentate, ma dimmi … per caso voi state insieme?»

«No. Siamo solo amici.» Rispose subito Mr. Im, portandosi in avanti, appoggiando un gomito al tavolino di cristallo. «Di cosa volevi parlarmi?» Domandò ad una Gemma ammutolita, continuando a guardarla con sguardo serio e imperturbabile.

Gli occhi incuriositi delle ragazza però si spostarono verso le bottiglie sparse in tutto il tavolo e in preciso a quelle radunate davanti ai due attori di teatro. Non sembrava ubriaco, eppure dovevano aver bevuto non poco. «Non è tutta roba tua quella, vero?»

Anche l’uomo seguì il suo sguardo, abbassandolo sul soju e il wischky ormai concluso. «E anche se fosse?» Sogghignò poi. «Sai che reggo bene l’acool e come vedi sono in ottima compagnia», affermò tornando a distendersi comodo sullo schienale della poltrona, cingendo con un braccio la donna seducente che gli stava accanto. «Allora … perché avevi urgenza di vedermi?»

Gemma assunse un’espressione simile alla sua, una smorfia che si poteva dire di sfida, ma che faceva trapelare anche un certo fastidio. La gestualità degli occhi le sfuggì: si sollevarono velocemente, mostrandosi davvero spazientita. «Perché ho il sospetto che tu stia giocando?»

Song Rok spostò il volto di lato, mostrandosi falsamente perplesso: «Di quale gioco stai parlando?»

Incrociò le braccia trattenendo una certa rabbia. «Una cosa simile a quello per cui ci siamo conosciuti.»

Sae Bom nel frattempo osservava i due senza comprendere realmente la situazione, ma gustandosi la scena interessante e preoccupante allo stesso tempo. Uno dei due stava stuzzicando e l’altro ribatteva, ma ciò che le sfuggiva era la motivazione di quella sfida.

«Esattamente come vi siete conosciuti voi due?» Provò a chiedere, ma venne ignorata.

Il direttore scostò il braccio dalle sue spalle per afferrarle la mano. E la donna si lasciò trasportare da quella sua improvvisa voglia di contatto fisico, intrecciando addirittura le dita e sorridendo compiaciuta alla ragazza in attesa. Finché si comportava così, poteva anche permettersi di non rispondere alle sue domande. Se le dimostrava che poteva ottenerlo, anche solo per una notte, non servivano altre conferme. Se per far ingelosire quella bambina fosse riuscita a portarselo a letto, non avrebbe esitato. In fin dei conti nemmeno lei era interessata ad una relazione sincera e duratura. Non cercava amore da quell'uomo.

«Non pensavo fossi un tipo che usa così le donne.» Affermò l’italiana, scatenando il sorriso di scherno dell’uomo, che nel frattempo rafforzava volutamente l’idea che fosse piuttosto intimo con quella sua collega.

Sollevò di scatto le sopracciglia, recitaㅜndo nuovamente la parte del sorpreso. «C’è interesse?»

«Interesse?» Chiese Gemma seriamente confusa. «No! Nessun interesse.»

A quel punto Song Rok fece spallucce, «allora stai tranquilla. Nessuno sta giocando con te.» Le sorrise quasi malignamente. «Cancella quella sensazione dalla tua mente.» Per poi ignorarla e tornare a dare la più completa attenzione alla collega: «Cosa facciamo? Da te o da me?»

Un unico e rapido suono d’offesa lo indusse a voltarsi verso la straniera, che si trovava ancora lì, di fronte a quei due, immobile. «Quindi inviti così facilmente chiunque a casa tua?»

«No», oscillò la testa, «solo le persone speciali.» I loro occhi rimasero incollati per un breve momento, che però sembrò prorogarsi in eterno. Quella confessione portò Gemma a rilassare la fronte, lasciando che una strana sensazione positiva mista ad imbarazzo si espandesse. Leggere la serietà in quegli occhi a mandorla, le fece battere il cuore all’impazzata.

Ma il tutto scomparve con una rapidità impressionante quando Im Song Rok tornò ad indossare una maschera piena di malizia. «E quelle pietose.» Si girò verso Sae Bom, «speciale … » e poi tornò a fissare Gemma, «ti presento la pietosa.»

Aveva appena terminato la frase quando ricevette la doccia fredda. Nel suo caso si trattava di una vera lavata di cocktail, uno di quelli rimasti imbevuti sul tavolo. Gemma infatti, per tutta risposta, aveva afferrato a caso un calice pieno, gettandogli addosso il contenuto. «Grazie. Mi hai appena ricordato il motivo per cui ho provato antipatia verso di te appena hai aperto bocca la prima volta che ci siamo conosciuti.» Si voltò e avanzò verso l’uscita, dove si fermò solo un istante per concludere: «Ah, comunque tanto per intederci … Mi hai fraintesa. Non volevo dire che stai giocando con me, ma con lei.» E se ne andò lasciando entrambi gli attori impietriti.

Song Rok deglutì. La gola si stava seccando a forza di tenere le labbra dischiuse. Abbassò lo sguardo accogliendo il fazzoletto da parte di Sae Bom. «Forse ho esagerato.» Susurrò mentre si asciugava il volto.

«Posso farti una domanda Rok?» La bella attrice non si era offerta di ripulirlo con le sue stesse mani, perché nessun tentativo di seduzione avrebbe funzionato in quel momento e sembrava esserne consapevole. «Quella ragazza … ti piace?»

Le labbra del direttore si piegarono in un debole sorriso. «Ho bevuto troppo.» Ribatté misterioso.

Sae Bom si sporse per afferrargli il viso tra le belle mani affusolate. «Se non ti piace, dimenticati di lei. Sei con me ora.» Lo lasciò per riempire un altro calice, «ti farò star bene io stasera.» Tornò a civettare, approfittando della sua confessione: se era davvero un tantino ubriaco, forse poteva sperare in un suo cedimento.

 

****

 

Era tardi per cercare il sottopassaggio della metro, ma non per riprendere il bus, eppure Gemma Brizzi continuò a camminare pensierosa, passo veloce e pesante. Avrebbe voluto pestare i piedi dalla rabbia, ma si limitava ad avanzare con la testa china e i pensieri che la inseguivano. Stava già caminando da mezz'ora per le strade di Suyu, alzando lo sguardo verso lo stradone che gli si prospettava davanti, pieno di gente, negozi di gadget e ristoranti di carne, pub e chiken&beer, comprese di essere a pochi isolati da lui.
Avanzò per un po’ e poi svoltò nella via vicina, ricordando la strada per arrivare al pub 8Pal. Questa volta però non si limitò a fissare l’insegna senza entrare, anzi priva di alcuna indecisione scese le scale e aprì la porta del locale.

«Kogenim, siamo chiusi.» Avvisò immediatamente il barista, che stava servendo al collega seduto davanti. La sala era vuota e gli unici presenti lì erano proprio quei due. Gemma non ci mise molto a notare che era proprio Yon U l’altro barista seduto sullo sgabello. Dopo un attimo di titubanza gli si avvicinò, comprendendo che quello sul bancone non doveva essere il suo primo bicchiere di alcool. «Kogenim-»

«Yon U.» Il tizio dietro il bancone stava per ripetere la medesima cosa di poco prima, ma lei lo interruppe, e le bastò pronunciare quell'unico nome.

Jin Yon U si voltò, sorridendo come un ebete. «Ooooh! Eccola! Sonbae, ti presento la mia bellissima ex fidanzata, Gemma. L’ho piantata mesi fa e lei si ostina a venire da me, incredibile vero?» La vide roteare gli occhi infastidita. «Colei che mi ricorda che sono un vero idiota. Che sono stato uno stupido a lasciarla andare.» Aggiunse catturando un’espressione sorpresa nel volto di Gemma.

Ma la giovane si rattristì tutt’ad un tratto. Gli rubò il bicchiere da sotto il naso, «ora basta bere. Ha del caffè?» Chiese direttamente al barista, che fece un unico cenno e si spostò a preparare ciò che il cliente aveva richiesto.

«Perché diavolo sei qui?» Domandò lo sbronzo accasciato al tavolo.

Quella persona non si meritava altro che solo sguardi di pietà. «In verità non lo so nemmeno io.»

«Perché non sei venuta da me quando te l’ho chiesto?» Continuò ad esporsi.

Gemma sospirò, prima di cacciare una scusa: «Ero impegnata.»

Yon U si sollevò dal banco, fissandola con sguardo smarrito, perso dal liquore. «Con quello

«No!» Gli urlò di rimando, per poi placare la voce: «Non c’è nessuno, okay? Non c’è nessun uomo nella mia vita.» Confessò improvvisamente, lasciando il giovane quasi allibito.

Costui si alzò dal suo sgabello, «vi siete già lasciati?» il tono ironico, barcollando qua e là nella stanza, si spostò verso l'uscita.

Gemma tentò di fare un cenno al barista, ma era troppo impegnato nelle sue faccende per darle una mano, o forse non voleva immischiarsi in cose che non dovevano minimamente interessargli. Comprendendo di esser stata lasciata sola a gestire quella situazione, cosa assolutamente normale visto che si trattava di faccende personali, uscì dal locale all’inseguimento dell’ubriaco, che immediatamente ritrovò chino in un angolo, intento a vomitare tutto l'alcool che aveva ingurgitato probabilmente pure a stomaco vuoto.

«Come va ora?»

Le dava le spalle, ancora proteso verso il basso, lo stomaco dolente. «Ora che mi sono liberato ... meglio, ma sono ancora ubriaco se è di questo che volevi sincerarti.» Rispose freddamente, prima di raddrizzare la schiena e incamminarsi per una via a caso. «Vai a casa Gemma, io me la cavo da solo.»

«Proprio perché sei ubriaco non dovrei fidarmi a lasciarti solo.»

Lui non ribatté, lasciò solo che la sua ex facesse ciò che meglio credeva per se stessa, sperando invece che prima o poi avrebbe mollato l'osso, e lasciato in pace. Era orribile apparire in quel modo di fronte ai suoi occhi, era terribile comprendere quanto le mancasse e per il suo orgoglio era pietoso e disdicevole farglielo comprendere. Eppure era capitato, improvvisamente era giunta al pub proprio la sera in cui aveva deciso di soffocare la sua indecisione e il suo dolore nell’alcool. Doveva accettarlo, come aveva accettato che Gemma Brizzi ormai non fosse più accanto a lui, a causa della sua stessa volontà poi. Doveva mandare giù il magone e rincuorarsi del fatto che fosse accanto a qualcuno di migliore. Si erano lasciati? Non si erano lasciati? Non erano mai stati insieme? Non importava poi molto. Gemma doveva comunque cercare un altro uomo, migliore di lui e lui doveva dimenticare la ragazza che aveva amato e ferito contemporaneamente.

In silenzio, Gemma lo seguiva preoccupata, scattando ad ogni minimo brusco movimento del ragazzo, pronta ad aiutarlo, sollevarlo, curarlo. La comunicazione tra loro si era conclusa, spenta, morta. Non sapeva nemmeno dove si stessero recando, anzi era convinta che Jin Yon U si fosse perso. Se no perché ogni tanto si fermava per guardarsi attorno? Avevano superato la piazzola ricca di gente e negozi, ormai quasi del tutto chiusi visto l’ora tarda. Forse voleva trovare la fermata del bus, o una strada trafficata da taxi, o ancora provare con la metro, dove sicuramente qualche taxista pattugliava in cerca di guadagno, fermandosi a soccorrere i pedoni rimasti a piedi con i mezzi. Ma nella via che stavano percorrendo vi era solo il deserto, sia di gente che di macchine. I presenti erano soltanto gatti randagi, spazzatura e salite di tutto rispetto.
Conclusa una di queste, discesero fino a ritrovare un po’ di civiltà, data da alcuni mezzi privati che si spostavano lungo la strada principale. Costeggiarono un muretto, camminando in un strettissimo marciapiede. Qui uno dei due si fermò, voltandosi verso l’altro: «Non te ne vai? Cosa vuoi?»

«Dirti tutta la verità. Voglio spiegarti meglio come stanno le cose … » Affermò Gemma, stringendo i pugni. «Era un attore! Un … un amico! E doveva aiutarmi a farti ingelosire.»

La risata carica di un fastidioso nervosismo non tardò a farsi sentire. «Ah! Davvero? E cosa pretendi che dica ora?» Sollevò lo sguardo verso l’alto, «a maggior ragione Gemma … vai al diavolo!» Professò incattivito, tornando a camminare davanti a sé.

«Lo farò! Me ne andrò dalla Corea tra meno di un mese, ma volevo rivederti prima di ripartire.» Spiegò avvicinandosi velocemente a lui, «lascia solo che ti riaccompagni a casa, non sei nelle condizioni adattate per-» si interruppe da sola, provando ad afferrare un braccio del ragazzo, che però rifiutò quel tocco, scostandosi quasi bruscamente e indietreggiando verso la strada.
Proprio in quel momento una macchina sopraggiunse, entrambi se ne accorsero quando i fari li investii. I movimenti di Yon U erano troppo lenti per evitare di barcollare fuori dal marciapiede, ma per fortuna non quelli della persona che aveva accanto: Gemma gli afferrò velocemente una manica del cappotto, tirando verso di sé più che poteva per indurlo a scostarsi. Il ragazzo, privato della sua normale agilità, si rivelò praticamente un peso morto per lei, che cadde all’indietro per bilanciarsi e contrapporsi al corpo del suo ex fidanzato.
Jin Yon U si scostò goffamente. Era involontariamente caduto sopra alla ragazza, che si era praticamente distesa a terra, appoggiando mezzo busto alla muretta. «Sciocca …», sussurrò socchiudendo gli occhi dallo sforzo. L’atterraggio era stato piuttosto morbido grazie a qualcuno, eppure gli doleva un po' il capo. « … potevi farti male!»
Lei non rispose e quando Yon U riuscì a mettere bene a fuoco notò subito che teneva ancora gli occhi chiusi. Le toccò un braccio, chiamandola per nome, ma questa non ebbe nessuna reazione.

«Non scherzare!» Prese a scuoterla con poca forza, quel tanto che bastava ad indurre un incoscente a risvegliarsi. «Gemma!» Si avvicinò per capire meglio la situazione, notando una mano spellata, ma quella era la minore delle preoccupazioni. Ciò che gli premeva era capire perché avesse perso i sensi. Le posò allora una mano dietro la nuca per sollevarla e distenderla meglio, ma si bloccò immediatamente quando avvertì una sensazione viscida tra le dita. Controllandosi la mano, scoprì essere sangue e lo sguardo puntò subito sul muretto di fronte a lui.
Gli occhi a mandorla dalla triste forma sgranarono in preda al panico. Afferrò il cellulare dalla tasca del giubbino e chiamò immediatamente il 118, il numero del pronto soccorso in Corea del sud.

«Pronto! C’è stato un incidente … », fece una pausa guardando il volto pacifico di Gemma, « … non lo so, io …», indeciso sul da farsi titubò al telefono. Era logico che dovesse chiamare aiuto, le condizioni della sua ex potevano essere anche gravi, ma cosa doveva dire esattamente? O meglio, cosa poteva dire?
Perché si sentiva in colpa per quanto le era successo? Il cervello ancora un tantino annebiato, cominciò a sfornare preoccupazioni troppo grandi e ipotesi inverossimili, come: e se dessero la colpa a me? E se fosse Gemma la prima ad addossarmi tutta la responsabilità? In questo modo potrebbe anche vendicarsi di me, avrebbe la scusa servita su un piatto d'argento. «Si tratta di una ragazza, passavo per di qua e l’ho vista a terra … No, cioè non lo so. Non credo …», ascoltava le domande del medico al telefono, innervosendosi minuto dopo minuto. «No, non lo so con esattezza, potrebbe essere stata investita, ma non mi sembra. Non sono un medico né un detective, non so cosa possa essere successo, io non ho visto nulla. So solo che la ragazza è distesa sul marciapiede, non si muove, e c'è del sangue ... Sì, siamo a Suyu… », si guardò attorno in cerca di un’indicazione. «Ah! Siamo a credo tre chilometri dalla Insu School e dalla via posso vedere un Family Smart. La signorina è vicino al muretto, sembra aver sbattuto la testa. Pensavo fosse ubriaca, volevo aiutarla ad alzarsi ma poi mi sono accorto del sangue dietro alla nuca. No, a parte un graffio alla mano, non vedo altre ferite.» Si fermò ad ascoltare la voce alla cornetta, continuando ad osservare Gemma e ogni tanto la strada in attesa dell’ambulanza in arrivo. «Okay, ma la batteria sta per scaricarsi quindi affrettatevi.» Poco dopo riagganciò. Il medico aveva intimato il giovane di rimanere al fianco della persona ferita, stando al telefono ed effettuando il primo soccorso, mentre attendevano il mezzo ospedaliero. Ma Jin Yon U cominciò realmente a perdersi nel panico. Si sentiva inadatto ad affrontare quella situazione e a poter far qualunque cosa per Gemma.
L'importante per lui era che respirasse. Si rancuorò da solo convincendosi che doveva essere svenuta, la ferita non sembrava nemmeno tanto grave. Alla fine la paura lo spinse a scappare appena giunse l'ambulanza, prima che potessero vederlo. Più che temere i pensieri della gente, temeva la reazione di Gemma al risveglio. L’aveva sicuramente delusa una seconda volta, ferita anche fisicamente oltre che nell’animo.
Si sentiva sporco, un inetto incapace di proteggere gli altri da se stesso, dalla sua incapacità di affrontare le responsabilità, tanto che una volta tornato a casa si lavò dalla testa ai piedi grattando la pelle con la spugna, come se fosse stato lui personalmente a spingerla contro il muretto, furentemente, quando invece si era effettivamente trattato solo di un incidente. La coscienza effettivamente voleva punirlo.



1 Bokkeumbab e mandu: il primo 볶음밥 è una sorta di riso fritto e i secondi 만두 ravioli che si possono fare sia fritti che al vapore.
Jebal: 제발 significa "ti prego".
Aish jinjja: tipica espressione alla coreana, un modo per non lamentarsi senza imprecare
Noraebang: 노래방 sono i karaoke. Norae 노래 è canzone e bang 방 sta per stanza. I karaoke coreani sono edifici con delle stanze private dove potersi intrattenere con gli amici a suon di canzoni sia del mondo musicale del posto sia internazionale, o asiatico in generale. In alcune Noraebang si può anche mangiare e bere.

 

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Capitolo 20
*** CAPITOLO 30° 31° 32° 33° 34° Epilogo ***


30 Capitolo








«Non so bene cosa sia successo!» Urlò terrorizzata al telefono. «L’hanno portata in ospedale! La prego, potrebbe accompagnarmi? Non ce la faccia ad andare da sola. La chiamata era di un medico. Potrebbe essere grave!»
«Esattamente dov’è in questo momento?» Rispose la voce maschile con un cenno di inizio di panico.
Sarah Kim si guardò attorno. «Sto venendo da lei, ma sono ancora a Sinchon. Possiamo vederci alla fermata degli autobus di Hongdae? Sono quasi arrivata!»
Song Rok si scostò le mani di Sae Bom dal corpo, alzandosi nervosamente. «Purtroppo non sono in zona al momento, quindi ci metterò una mezz’ora, ma cerco di fare il più presto possibile.»
La bella collega nel frattempo rimase seduta sul divanetto. «Qualcosa non va? Salta anche questa volta?» Aveva già capito a grandi linee come sarebbe andata a finire la serata e di questo ne era infastidita.
Im Song Rok non la guardò nemmeno, si spostò verso l’uscita. «E' un’emergenza.» Non pronunciò altro, non era necessario spiegarle tutto, non erano affari che la riguardavano dopotutto. O forse a Song Rok non importava e non voleva renderla partecipe, dandole spiegazioni. La lasciò salutandola con un minimo cenno del capo.
Il traffico era limitato vista l’ora, ed in trentacinque minuti giunse a Hongdae, fermandosi in sosta per permettere a Sarah di salire. Dieci minuti più tardi arrivarono insieme all’ospedale dove era stata portata Gemma Brizzi. Vennero accompagnati poi dal medico nella camera della paziente, entrambi senza togliere dal volto quella maschera dall'espressione contrita, seriamente preoccupata.
Lei sembrava stare piuttosto bene in verità. Semplicemente … dormiva. La testa fasciata da una benda e un enorme cerotto sul dorso della mano.
«Dalla tac non sembra aver riportato gravi lesioni», cominciò il suo discorso il medico osservando nuovamente la cartella clinica, « quindi per ora dovrete solo aspettare pazientemente. Trattandosi del cervello la situazione è piuttosto imprevedibile, anche se non ci sono lesioni. La paziente sta dormendo, tecnicamente il suo stato viene chiamato coma e non sappiamo quando potrà risvegliarsi, potrebbe essere comunque questione di ore o pochi giorni. Non si può risvegliare un paziente dallo stato di coma e lei per ora non risponde agli stimoli, ma rimaniamo fiduciosi.» Si spostò verso l’uscita, vedendo che i due avevano recepito il suo messaggio. «Appena la paziente si sveglierà controlleremo ancora le sue condizioni, ricordatevi che la mente può giocare strani scherzi. Potrebbe non ricordare quel che è successo o riportare altri disturbi.»
Sarah stringeva la sporgenza del letto, mordendosi le labbra per trattenere le lacrime. «Che diavolo hai combinato? Sciocca.»
«Dottore aspetti!» Song Rok si avvicinò al medico, « cosa le è successo esattamente?»
Egli scosse la testa, «qualcuno sembra aver chiamato il primo soccorso dopo aver trovato Gemma Brizzi a terra. Altro non sappiamo, chi ha lanciato l'allarme non era sul posto quando è giunta l’ambulanza. Crediamo che la ragazza sia caduta, sbattendo appunto la testa. Era distesa vicino ad una muretta.»
«Non …», gli venne improvvisamente un dubbio atroce, «… aveva bevuto vero?»
«No, negativa al test dell'alcool e droga.»
Con quell’unica conferma l’uomo in camice bianco aveva spazzato via ogni sentore negativo, rincuorandolo un po’ e risollevando di un pelo la sua coscienza, timorosa di aver causato lui stesso quell’incidente, inducendola a soffocare i suoi problemi nel bere. Ma nonostante questo non si liberò certo del senso di colpa che lo affliggeva.
Non poté far altro che annuire e ringraziare, tornando al letto della paziente. Si sedette accanto all’addormentata, proprio di fronte a Sarah, che le stava tenendo la mano ferita, liberandosi finalmente in un pianto di preoccupazione.
«Svegliati!» Cercava di spronarla, «che diavolo hai fatto? Dov’eri? Perché?» Si asciugò le lacrime, tornando a mostrarsi forte. «Okay ora basta. Gemma, i medici dicono che stai bene. Quindi forza, vedi di svegliarti presto, eh?! Dormire troppo fa male.»
Il direttore stette in silenzio ad osservare la scena e il volto pacifico della giovane distesa sul letto. Continuava a ripensare a come l’aveva trattata quella sera e si tormantava chiedendosi se non fosse stata davvero un po’ colpa sua. In fin dei conti, se non l’avesse lasciata scappare in quel modo, se non l’avesse indotta ad andarsene dalla noraebang, se solo l’avesse seguita per chiederle scusa e chiarire, forse …
Rimasero tutta la notte con lei, in un mesto e speranzoso silenzio. Ad un certo punto Sarah si addormentò sopra l'arto dell’amica, senza staccarsi un attimo. Si era ripromessa di non piangere più, perché non c'era motivo di farlo. Gemma aveva solo bisogno di dormire un po’. Ultimamente si era stressata troppo, dunque una pausa non poteva farle male. L’indomani era certa che si sarebbe risvegliata.
Im Song Rok attese proprio il momento in cui l'italo croreana si abbandonò alla stanchezza, per poter stringere la mano dell'addormentata a sua volta, massaggiandole le dita infreddolite.
«E’ colpa mia?» Chiese. Lo sguardo tenuto perennemente in basso. «Sei ancora arrabbiata con me? Se me ne vado ti svegli? La tua amica è davvero in pensiero e … anche io.» Alzò il volto per osservare il viso della giovane donna. «Scusami. Scusa per questa notte, non ti ho trattato bene … Se non ti avessi fatta scappare in quel modo forse ora non saresti qui, in questo letto di ospedale.» Si sporse, continuando a mantenere il contato con lei, allungando l'altro braccio sopra la nuca, per poterle accarezzare la fronte mezza fasciata. «Svegliati per favore. Hai ancora un ragazzo da riconquistare, ricordi? Per non parlare del fatto che mi devi un sacco di soldi.» Scherzava, si sforzava, ma l'espressione sul volto era perennamente contrita.


 
****


La mensa dell’ospedale era ricca di prelibatezze tipiche del luogo, ma Im Seong Rok e Sarah Kim non sembravano aver appetito. Specialmente lei non avrebbe voluto lasciare Gemma sola in camera, ma fu il direttore stesso a consigliarle di scendere e mangiare con lui qualcosa di sostanzioso. Sforzarsi per lo meno, perché dovevano comunque riprendere energie dopo la notte passata tra sonno irrequieto e lacrime.
Così scelsero una zuppa di alghe semplice, la mioku, con del riso e un po' di kimchi come contorno. Mangiare in ospedale non era il massimo, ci si sente un po' ammalati anche se in perfetta salute, ma alla fine era come se già si sentissero infetti loro stessi di una triste malattia.
Si sedettero l’uno di fronte all’altra, sollevando a stento lo sguardo dal povero piatto, ma pur sempre sostanzioso. Assaggiarono in primi bocconi di malavoglia, senza proferire parola.
La prima a spezzare quel mutismo fu Sarah: «Secondo lei è normale che non abbia ancora aperto gli occhi?» Con il cucchiaio mescolava la zuppa insistentemente. «Voglio dire, pensavo di ritrovarla sveglia stamani e invece … »
«Hai sentito i medici. Quando si tratta del cervello anche una piccola botta può creare problemi, eppure gli esami non hanno rivelato nulla di preoccupante per cui ... » Nemmeno lui sembrava aver chissà quale appetito. Si era soffermato sul riso con le bacchette, quando lasciò la preso posandole malamente sul tavolo. Sospirò nervosamente, prima di gettare il sacco: «Ieri sera, prima che accadesse tutto, c'eravamo visti.» Esordì, liberandosi di qualcosa che aveva trattenuto anche troppo. «Non l'ho trattata bene e ho lasciato che se ne andasse. Avevo bevuto troppo ed ero arrabiato con lei perciò … mi sono comportata da vero stupido.»
Sarah lo osservava cercado di cogliere il significato tra le righe. «Che sta succedendo tra di voi?»
Alzò lo sguardo appena, quasi timoroso. «Niente ...» rispose velocemente, tornando ad impugnare il cucchiaio e sorseggiare finalmente la zuppa. “... solo un errore” aggiungendo nella sua mente.


 
****


La porta si aprì lentamente, come se la persona dall'altra parte si mostrasse titubante nel spalancarla o meno. Infatti si soffermò di fronte alla stanza, indecisa se entrare o meno. Quell'antro asettico, dalle pareti color crema, illuminate dalla luce tiepida del mattino era vuoto. Non vi era nessuno oltre a colui che era appena entrato e un letto occupato dalla paziente, vicino alla grande finestra dalle tende tirate.
Il giovane temeva che Gemma fosse in compagnia, quindi fino a quel momento aveva evitato di presentarsi al suo cospetto. Oltretutto era spavantato dalla reazione che la ragazza poteva avere una volta trovatasi di fronte al colpevole di quel spiacevole incidente. Invece contrariamente a quel che pensava, la sua ex fidanzata dormiva ancora. Era nello stesso identico stato di quando l'aveva lasciata, appena era giunta l'ambulanza in suo soccorso.
«Cosa fai ancora qui?» Domandò mentre si sedeva accanto al letto. «Perché stai ancora dormendo?» Aspettò la risposta invano. Forse sperava che fosse l'ora del pisolino, che avesse chiuso gli occhi per un attimo, ancora sottosopra a causa della ferita alla testa. «Scusa ...» per quanto potesse trattenerle, alla fine le lacrime sfuggiro al suo volere. Impossibile reprimere quella preoccupazione che lo attanagliava, miscelata anche al senso di colpa per quanto accaduto. «Ti prometto che non soffrirai più. Sistemeremo le cose, tornerò da te, lo giuro, quindi ora svegliati.»
Supplicando singhiozzante, non si accorse che l'uscio era stato aperto e due persone serano rimaste interdette a causa della sua presenza. Quando il suo sguardò notò le due figure appena giunte, sollevò il volto dal braccio di Gemma, dove l'aveva posato, stringerole una mano dolcemente, come se fosse stato colto in fragrante a fare qualcosa di sbagliato.
Sarah Kim lo stava fissando con un'espressione di rimprovero in quegli occhi ormai stanchi, provati dal pianto e dalla pessima nottata passata al capezzale dll'amica. «E tu che diavolo ci fai qui?» Domandò subito la ragazza, alzando la voce lentamente. «Con quale diritto?» Ma Yon U era troppo impegnato a fissare con astio l'uomo al suo fianco. «Esci subito da questa stanza!»
Proprio in quel momento si alzò, come se volesse dare retta all'ordine della ragazza. In verità non ubbidì affatto. Invece preso da un impeto di rabbia quasi non afferrò per il colletto il direttore Im, scegliendo chi frontare, digrignando i denti furiosamente. «Piuttosto lui! Se io non ho il diritto di stare qui, lui ne ha ancora meno.»
Sarah quasi si contrappose, parandosi in mezzo tra i due uomini. «Lui è-»
«Io!» Urlò il ragazzo interrompendola volutamente, « … io sono il suo … » si fermò per un attimo, non riuscendo a mettere una sigla, di sole due lettere, davanti alla parola “fidanzato”. «Ho passato quattro anni con questa ragazza, lui invece? Chi diavolo è per lei?»
Song Rok non proferì parola, perché effettivamente in quel momento si sentiva in difetto. Chi era lui per stare in quella stanza, bella domanda. Un amico? Un amante? Un conoscente o uno sconosciuto?
«E' solo un attore.» Esordì Jin Yon U, rispondendo al posto dell'interessato, attirando gli sguardi sorpresi dei presenti. «Io e Gemma ci siamo visti ieri sera e mi ha confessato tutto.» Vide l'apparente rivale deglutire nervosamente. Sbuffò divertito, «mi ha raccontato il motivo per cui ti ha ingaggiato. Solo per far ingelosire me.» Era riuscito a colpire il ciarlatano davanti senza usare la violenza fisica, si sentiva vicino alla vittoria e per questo cominciò a scagliere i pugni chiusi in una morsa dolorante. Sorrise contento.
Fu Sarah ad utilizzare le mani invece, spingendo il petto rigonfio di boria di Yon U. «Vattene.»
«Perché dovrei?» Ribatté lui pronto e spavaldo.
«Qui tu non servi.» Le lacrime tornarono a striarle le guance, ma questa volta si trattava di un misto tra rabbia e disperazione. Vedere quella persona lì e ricordare che Gemma era ancora incosciente in quel letto la faceva impazzire. «Tu hai lasciato Gemma con un messaggio! Hai gettato via tutto quello che lei ha fatto per te senza nemmeno guardarla negli occhi. Hai ferito enormemente i sentimenti della mia amica e vederti mi da i nervi. Non lo accetto! Sparisci!» Tra le urla di Sarah nessuno si accorse di un piccolo particolare.
«Basta … » La voce spezzata da una gola troppo secca per proferire correttamente la parola, bloccò il battibecco in atto. «Basta … voi due … », provò a dire nuovamente.
La bella addormentata si era finalmente svegliata. La potevano ben vedere, ancora distesa sul materasso, con gli occhi socchiusi, la testa ancora bendata e le mani che massaggiavano la fronte.
«Ho un cerchio alla testa, potete fare silenzio?» Aprì un occhio, sforzandosi di mettere a fuoco. Il viso di Song Rok lo trovò visibilmente sollevato, come quello degli altri due. Yon U che da prima le voltava le spalle, si era girato e stringeva i bordi del letto e Sarah stava piangendo, ma aveva un mezzo sorriso sulle labbra. Cercò di mettersi a sedere da sola con un movimento ciondolante. Il suo ex si offrì subito di aiutarla. Era scattato anche Song Rok nell'immediato, ma si era trattenuto perché anticipato dal ragazzino, molto più vicino a Gemma di quanto lo fosse lui … in tutti i sensi.
«Che è successo? Perché avete tutti quelle facce?» Domandò colei che apparentemente doveva sapere meglio di chiunque altri cosa le fosse accaduto. Ma c'era qualcun altro li presente che conosceva molto di più sulla realtà dei fatti.
Sarah le si avvicinò mostrandosi felice, triste e infastidita allo stesso tempo. «Questo dovremo chiederlo noi a te! Sei rimasta in coma un intero giorno!» Le prese una mano, stringeola forte.
«Eppure non mi sento affatto rilassata.»
Sapeva di poter osare con le battutacce, l'amica non l'avrebbe colpita dato il suo attuale stato. «Non scherzare!» Questo non le impediva di rimproverarla a voce. «Che è successo ieri sera?»
Gemma sospirò, guardando per un attimo il ragazzo alla sua sinistra, quello con lo sguardo più colpevole di tutti. «Beh, non che ricordi molto, ma … Credo di aver avuto un giramento di testa. Perciò sono caduta.»
«Ragazzaccia! Ci hai fatti spavantare a morte lo sai?» Gli occhi di Sarah Kim si rendevano ancor più malinconici quando erano colmi di preoccupazione.
Annuì sinceramente dispiaciuta. «Scusate.» Ma sollevando lo sguardo verso Song Rok si sorprese nel vedere un volto imperturbabile come una maschera di cera. La stava ancora fissando dritta negli occhi, ma non sembrava voler rivelare le sue vere emozioni. Eppure c'era una luce pietosa che rifletteva in quegli occhi mandorlati. «Non hai le prove a teatro oggi?» Domandò all'uomo che fino a quel momento non si era permesso di fiatare. «Sei molto impegnato in questi giorni, quindi non ti sentire obbligato a star qui. Vai se devi andare.» Lo spronò, cercando di non fargli cogliere nessuna emozione, proprio lo stesso atteggiamento che aveva adottato lui. «Appena starò meglio vengo a vedere lo spettacolo. Ma sappi che se non mi piacerà questa volta riceverai dei pomodori in faccia.»
Anche se non aveva nessuna voglia di ridere, Im Song Rok le mostrò comunque un sorriso lieve.
«E visto che ci siamo ...» toccò un braccio dell'italo coreana, «potresti uscire un attimo anche tu? Vorrei che mi asciaste sola con Yon U.»
Sarah rimase scioccamente perplessa: «Perché mai?»
Gemma non aveva nessuna voglia di supplicarla. Sospirò, rispondendo: «Lasciaci un attimo soli.»
Storzando il naso l'amica ubbidì. «Okay, intanto vado a chiamare il dottore.» Rispose spostandosi lentamente verso la porta, voltandosi di tanto in tanto per fissare i due ex fidanzati, ancora vicini.
Anche Song Rok seguì la ragazza. «Io invece sono qui fuori.» Sottolineò mestamente.


 
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31 Capitolo








Deglutendo faticosamente, Jin Yon U si sedette accanto a Gemma, che gli stava rivolgendo uno sguardo interrogativo e quasi di riprovero materno. Non aveva il coraggio di affronterla, perciò continuò a fissare le coltri bianche che le ricoprivano le gambe.
«Mi hai portato tu in ospedale?»
La domanda lo costrinse ad alzare il capo e incrociare finalmente quegli occhi chiari. «E' stata colpa mia ...» sentì la sua stessa voce vuotare il sacco senza realmente riflettere, « … è stata … colpa mia. Tutta colpa mia Gemma.» Dai suoi occhi che credeva aridi di lacrime, cominciarono ad uscire piccole gocce. Iniziò così un lieve pianto silenzioso, che oltreutto durò poco. «Ti chiedo scusa. Perché quanto è accaduto … è stata colpa mia.» Anche la voce cominciava ad affievolirsi. «Mi hai spaventato.» concluse riabbassando la testa e sospirando privo di forza.
Non l'aveva mai visto piangere prima di allora. Quattro anni insieme, se pur saltuariamente fisicamente vicini, ma Yon U non le aveva effettivamente mai mostrato il suo lato debole. Mai pianto di fronte a Gemma Brizzi, tanto che lei non lo credeva capace. Colta quasi dalla compassione, allungò un braccio, per poter accarezzargli una guancia, asciugandola un po' da quella tristezza.
«Non importa Yon U. E' solo una botta da niente.»
Lui afferrò la sua mano quasi nell'imediato, sussurrando: «Mi occuperò io di te ora! Te l'ho promesso.»
Ma Gemma non comprese esattamente l'entità delle sue parole. Si limitò a corrucciare la fronte, attendendo una spiegazione.
«Ti avevo promesso che se ti fossi svegliata sarei tornato da te, perciò ...»
Rimase sorpresa da quella confessione e si sentì quasi spaventata dalla cosa. Una strana sensazione di malavoglia contrastò quel che sembrava volere il suo cuore. «Al dire il vero … » non era sicura di quel che voleva seriamente. Una volta la certezza era a portata di mano, ma d'allora né era passata di acqua sotto ai ponti. «Yon U, io mi sono abituata a stare senza di te.» Era cambiato qualcosa in lei, sicuramente e non a causa della botta presa in testa, il cambiamento era avvenuto molto prima. «Mi chiedo dunque … possiamo davvero tornare indietro?» Domanda errata, doveva porrla diversamente: voglio tornare indietro? Ma in quel momento vagava in una valle sconosciuta dove i sentimenti erano incerti.
Il giovane si alzò di scatto, prendendole il viso tra le mani delicatamente. «Ora non ragionare su queste cose. E' chiaro che non sei in te.» La baciò sulla fronte. «Vado a vedere se Sarah ha chiamato il dottore. Aspettami qui.» Lasciò la presa su quelle guance ed uscì senza voltarsi. Sembrava voler scappare nuovamente da lei, ma questa volta forse lo fece proprio per rimanere al suo fianco e non per lasciare nuovamente la presa.


Appena il ragazzino uscì dalla stanza, Mr Im si alzò dalle poltrone della sala d'attesa. Gli si avvicinò con passo sicuro e sereno, anche se dentro di lui c'era tutt'altro che un mare calmo. «Il medico arriverà a momenti, ho mandato Sarah a prendere qualcosa da bere per Gemma.» Le onde si infrangevano negli scogli, indice di un tormento, forse l'arrivo di una tempesta.
«Vattene.» Jin Yon U era rimasto immobile, come paralizzato. I pugni chiusi e il corpo rigido, la testa china. La sollevò solo dopo aver preso il coraggio necessario, guardando quel volto sicuramente più maturo del suo. «A quanto pare siamo tornati insieme.» Esordì, notando un lieve spasmo in quell'espressione tanto fredda e indifferente. «Abbiamo parlato ancora una volta della nostra situazione e … ho sbagliato. Mi sono reso conto di essermi comportato da moccioso con lei, evitando le responsabilità, ma ora voglio riavere quel che ho perso.» Fece una pausa, per rimettere in ordine le sue idee, sperando che l'uomo di fronte non intervenisse con chissà quale predica.
«“Voglio riprendermi quel che ho gettato”, forse intendi dire questo.» Song Rok si permise di dire solo questo. «Credo che tu ti sia espresso male-»
Ma venne interrotto poco dopo: «Fai bene a pensare che non me lo merito, ma .. è lei a volerlo. Lei vuole perdonarmi e darmi una seconda chance. Anzi lo vogliamo entrambi.» Questa volta sembrava averlo zittito sul serio, «vedere Gemma accanto a te mi ha dato parecchio sui nervi. E scoprirla in un letto di ospedale mi ha fatto tremare di paura. Tutto ciò non può essere che amore, giusto? Lei è ancora molto importante per me, ne sono consapevole ora più che mai.» Deglutì per lo sforzo, compiaciuto però di come stava affrontando il nemico. «Gemma non prova nulla per te, questo lo sai vero? Lo dico perché sembra che tu invece-» si fermò da solo. Sospirò decidendo di lasciar perdere e non infierire ancora. Inoltre era meglio non provocare un uomo innamorato, se davvero lo era. «Comunque, che tu tenga a lei come amico o come uomo, se le vuoi davvero bene, lasciala andare. Non accollarti a lei e lasciaci riviere la nostra storia.»
Song Rok annuì innervosito, abbassando il capo per smascherare emozioni che potevano fuoriuscire comunque dalle sue espressioni facciali. Poi sicuro risollevò il volto. «Se è questo che vuole lei … » rispose quasi con un tono arrogante al ragazzetto. «Se vuoi e credi che questo possa aiutarvi, posso sparire come hai fatto tu! Che ne dici? Devo trattare anche io Gemma come un sacco della spazzatura e disfarmene?» Quella era chiaramente una provocazione, eppure c'era qualcosa che suggeriva a Song Rok di lasciare il campo, estraniarsi da ogni faccenda. «Io e lei ci siamo conosciuti per caso e pian piano siamo diventati confidenti … amici. Credo di sapere molte più cose su di lei di quante non ne sappia tu. Visto come la trascuravi. Anzi, in effetti so anche molto sul tuo conto.» Gli si avvicinò quasi minaccioso, scrutandolo negli occhi, tanto vicino che i loro nasi quasi si toccavano. «Per questo immagino già che tu possa ricadere nell'errore. Quindi ti avviso: ti tengo d'occhio. Vedi di non farla più soffrire, se no vengo a prenderti a pugni personalmente. In cambio, se Gemma rivuole davvero la sua storia d'amore com'era in passato, io mi farò da parte, ma sappi che sarò sempre nell'ombra, pronto ad azzannarti al primo passo falso.» Concluso il discorso, Mr Im si scostò appena dal ventitreenne, urtando spalla contro spalla, lasciando quel luogo.
Prima di recarsi all'uscita dell'ospedale però mandò un messaggio a Gemma:


 
Vuoi davvero tornare con quel ragazzino?


Gemma lo ricevette subito, ma non sapendo bene come rispondere, lesse e rilesse quella domanda all'infinito, senza voler dare spiegazioni, senza poter dare alcuna conferma o, al contrario, dissentire. Non capendo bene come doveva comportarsi con entrambi e cosa doversi aspettare da loro.
In fin dei conti solo Yon U si era nuovamente dichiarato a lei, ma Song Rok? Faceva sul serio? Oppure era solo un amico del quale era caduta troppo facilmente tra le braccia? E lui stesso si era pentito di quella debolezza, considerandolo solo un errore o tratteneva dentro di sé qualcosa di più?


 
Commediante

Allora … rimettiti presto.

Lesse anche quel nuovo messaggio più e più volte, pentendosi di non aver dato risposta precedentemente. Lo aveva fatto attendere troppo e avrebbe fatto lo stesso in futuro.
Le dispiaceva, certo, ma la testa le doleva, le emozioni la sconcuassavano e la voglia di mandare a fanculo tutti gli uomini possibili su questa terra la sovrastava.


 
****


Rimanere per troppo tempo ricoverata non giovò al suo umore. Spesso si trovava a mutare come cambia la luna: se un momento poteva dirsi rilassata, quello successivo veniva scossa da un forte nervosismo o dalla noia più cieca. In quei quattro giorni Sarah Kim e Jin Yon U dovettere sottostare ad ogni suo minimo cappriccio ed entrambi speravamo che al loro turno, l'altro avesse compiaciuto abbastanza la “padrona”, da non doversi per forza di cose sentirsi degli schiavi. Logicamente i due non potevano vedersi in faccia, quindi si erano organizzati per fare visita alla paziente in tempi diversi.
Oltre a loro nessun altro si ripresentò e forse era proprio questo il motivo che giocava a loro sfavore: Gemma era irrequieta a causa di qualcun altro.
«Song Rok?»
Le venne posta finalmente la tanto attesa domanda. Alla quale non rispose prima di aver sospirato. «Non so. Immagino sia tanto impegnato con il teatro.» Era stata Sarah a porgliela.
In quel momento l'italo-coreana era rapita dall'azione dell'infermiera, che stava delicatamente togliendo la benda dalla fronte di Gemma Brizzi. «E … non ti ha nemmeno mandando un messaggio?»
«No.» Fu secca.
«E tu non hai ben pensato di mandarglielo?» Non si vedeva la ferita, ormai poteva dirsi guarita e questo era di enorme sollievo per l'amica.
Guardò il cellulare indecisa. «No.» Rispose sconfitta. Sollevò però il capo di scatto quando le giunse uno schiaffo sulla mano.
«Che aspetti a farlo?» Protestò Sarah, «Ho capito che sei offesa per il fatto che non si è fatto vivo per primo, ma anche tu come lo hai trattato? Lui è sempre stato al tuo fianco finché non è tornato il tuo ex. Guarda caso poi ha lasciato il campo libero.»
«Appunto!» Annuì sicura, «E questo secondo te che significa? Lui doveva stare al mio fianco finché io non avessi riconquistato Yon u, ora che non è più necessario è giusto che continui la sua vita. Evidentemente è questo che vuole anche lui.»
Per un attimo la coreana abbassò gli occhi per riflettere. «A proposito … che intenzioni hai con quello? Dunque mi stai dicendo che è ufficiale? Siete tornati insieme?»
Gli occhi di Gemma si spostarono in un punto poco preciso della stanza, osservando gli spostamenti dell'infermiera intenta a ripulire e andarsene silenziosamente. «No, non ancora. Per quanto mi riguarda … devo valutare.»
«Cosa?» Si dimostrò impaziente l'altra.
A quel punto l'agitazione tornò a farsi sentire: «In questo momento non mi va di pensarci!»
«Lui non sembra pensarla come te.» Le fece notare alzandosi dalla sua postazione con fare vittorioso. Aveva l'atteggiamento di chi la sapeva lunga. «Lui è convinto di averti in pu-» troncò la frase appena sentì l'infermiera salutare qualcuno, che entrò in quella stessa camera. Sarah roteò gli occhi fissando quelli chiari di Gemma. «Parli del diavolo. Io vado.»
Yon U fece un leggero inchino, lasciò andare entrambe le donne, senza dover per forza salutarne una in particolare, ma anche Sarah non fece cenno di alcuna cortesia. I due semplicemente continuavano ad ignorarsi. Entrò ciondolante, sedendosi poi di fianco a lei in modo svogliato.
«Mi sembri parecchio stanco.» Allungò una mano, accarezzandoli la frangia. «Lavori come un mulo. Potresti anche evitare di venire qui per un'ora soltanto. Per lo meno non tutti i giorni.»
«Verrei alla mattina, ma Sarah mi odia.» Yon U le porse il bricchetto che teneva in mano. «L'ho preso per te, è il melon uyu che ti piace tanto.» Aveva fatto un pist off al minimarket dell'ospedale prima di salire al reparto.
«Tanto alla mattina dormi sempre come un ghiro. Grazie.» Lo prese, scartò la cannuccia, la infilò e cominciò a bere di gusto. Si staccò dopo aver fatto dei lunghi sorsi. «Posso chiederti una cosa? Cosa siamo esattamente?»
Attirò immediatamente gli occhi tristi del ragazzo: «Fidanzati? No! Dimmelo tu.»
«Davvero torneresti con me Yon U?»
A quel quesito lui rispose sospirando pesantemente. Quasi sembrò liberare l'ultimo fiato che aveva in corpo. Per il resto lasciò per qualche minuto che il silenzio riempisse la stanza. «Non capisco me stesso. Ammetto che pensarti al fianco di quella persona mi da sui nervi, ma altre volte mi dico che non sono pronto a ricominciare un rapporto così difficile. Eppure non voglio lasciarti ad altri. Se immagino di nuovo le scene che ho dovuto assistere, quel tizio e le tue labbra incollate a lui.» Strinse i pugni nervosamente. «Di colpo giunge la smania di riaverti. Eppure ci sono delle volte, quando stiamo insieme, che vorrei essere solo. Sono annoiato e … stanco. Ma non voglio che tu stia accanto a nessun altro.»
Gemma sorrise quasi rassegnata. O almeno così poteva apparire la sua espressione. Tornò a coccolare la fronte del suo ex fidanzato dolcemente. «Allora permettimi di decidere per entrambi.» Esordì fissandolo negli occhi con tenerezza. «Questo non è amore Yon U. Il tuo è solo possesso.» Non era senso di rassegnazione ma forse liberazione. «Credo sia vero che non mi ami più. Tieni molto più a te stesso che a me. Per te tutto è pesante. Stare accanto ad un'altra persona, venire a trovarla qui in ospedale, attenderla mesi e anni, con quella maledetta distanza in chilometri che ci separa. Non fa per te.»
Lui deglutì, il suo volto faceva trasparire una paura malinconica. «Cosa stai …»
Di nuovo Gemma allargò il suo sorriso, togliendo la mano dal capo del giovane. «Quindi io ti lascio. Sei libero.» Lo osservò muoversi nervosamente sulla sedia, lo sguardo ormai verso il basso. «La mia risposta: tu non puoi tornare da me e io non voglio che tu lo faccia. Non possiamo tornare insieme e non lo faremo.»
«No aspetta ...» quasi rise, ma era un gesto dettato dal nervosismo, «e lo dici così? Io ora sono comunque confuso Gemma. Devi darmi un po' di tempo per riflettere meglio sulla situazione. Non me la sento di chiudere con te definitivamente. Ritorno a pensarti con un altro e questo mi fa una grande rabbia e inoltre l'incidente? Lo sai che la colpa è mia!»
«Fai finta che non sia successo nulla.»
«Gemma» cercò di dire lui, ma venne interrotto:
«C'è davvero qualcuno!» Improvvisamente la ragazza sentì il bisogno di dirlo.
Yon U sbatté le palpebre, chiedendosi se avesse capito male o se stesse fraintendendone il significato. «Cosa … vuoi dire?»
Strinse i pugni e fissandolo con uno sguardo triste, si preparò ad impugnare l'arma: «Non c'è nessuno concretamente, ma … nel mio cuore sì», sollevò l'accetta e colpì una prima volta, « qualcuno che ha preso il tuo posto nel mio cuore.» Di nuovo fendette e questa volta il colpo fu letale.
La vittima si alzò dalla sedia di scatto, come se fosse stato realmente colpito dalla persona li presente. Non ebbe nemmeno il coraggio di guardarla, mentre si allontanava lentamente e indeciso da lei. «Devo andare al lavoro.» Tentò di dire. La voce bassa, roca, quasi assente. «Ne … ne riparliamo meglio quando torno, okay? Intanto pensaci meglio. Stai sbagliando, io … » Ormai alla porta, si fermò. «Ne parliamo dopo.» E se ne andò con l'eco della voce di Gemma alle spalle:
«Non voglio più parlarne Yon U. Ho già fatto la mia scelta.»


 
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32 Capitolo








Aveva deciso come comportarsi … finalmente. Era stata una decisione sofferta, la riflessione era durata giorni e giorni, ma aveva avuto molto tempo in quell'ultimo periodo passato in ospedale. Ormai era stata dimessa, poteva uscire e andare in cerca dell'imbecille di turno, perché lei sembrava essere una di quelle donne che attirava solo cretini pronti a darsela a gambe levate.
Lo credeva diverso, anzi ancora lo giustificava, dicendosi che forse la sua improvvisa sparizione era da imputare solamente a se stessa. Lo aveva trattato a sua volta con freddezza, preferendo in un primo momento lasciare la decisione al caso, quasi però mostrandosi più interessata a mantenere solido il legame con il suo ex ragazzo. Per cui, molto probabilmente, l'altro si era fatto da parte, come se fosse stato sconfitto dall'avversario. Invece si trattava di un malinteso, uno sbaglio di Gemma, dovuto al pigrismo e alla confusione mentale di quel tempo.
Non doveva cedere, non doveva pensare a lui, ma tentare di soffocare quel qualcosa che la smuoveva dentro. Non poteva permettersi di mostrarsi debole e persa al suo cospetto. Non voleva lasciargli le redini di quel che stava accadendo tra loro, qualsiasi cosa fosse. O meglio forse si doveva dire: “di quel che stava per accadere tra loro”, perché tutto si era ormai affievolito e anche piuttosto velocemente. Questo però non l'aiutava certo a cancellare i suoi nuovi sentimenti, anzi erano proprio questi a far si che si preparasse per l'incontro tanto atteso, dopo giorni che non si vedevano ne sentivano. Perciò era rimasta davanti allo specchio per mezz'ora, prima di dare un consenso al suo outfit, trucco e parrucco compreso.
Non voleva eccedere, quindi aveva optato per jeans e maglietta. Perché avrebbe dovuto vestirsi in modo intrigante? O meglio per chi? Lui nemmeno se lo meritava. Eppure alla fine i pantaloni erano stati sostituiti con una gonnella, la felpa con una maglietta in stile camicia attillata e dal leggero scollo aperto. In complessivo lo stile appariva delicato, giovanile e sobriamente accattivante.
Arrivò all'Artkukjang, dopo averlo cercato al goshiwon di Hongdae. Se non era all'Ilmol-House, doveva provare a teatro. Immaginando inoltre che fosse stato parecchio impegnato lì, in quei giorni di manifestazioni teatrali.
Si fermò all'entrata, riconoscendo la collega dalle gambe lunghe che spesso ricordava incollata al bel direttore. Improvvisamente il coraggio si spense come se qualcuno avesse premuto l'interutore. In quel momento la donna sembrava sola e visto che anche lei la notò, si avvicinò di proposito alla ragazzina.
«Sei l'amica di Song Rok, giusto?» Le chiese ancora distante. «Cosa ti porta qui?»
«Sae Bom, se non ricordo male.» Le fece anche un piccolo inchino educato nel salutarla. «A causa di alcuni problemi non ho più visto il direttore Im. Mi chiedevo se stesse bene, così … sono venuta a trovarlo, ma non l'ho nemmeno avvisato e temo sia troppo impegnato … » la smania di rinunciare era sempre più palpabile, per questo si voltò, facendo come per andarsene, ma fu la stessa Sae Bom a bloccarla, afferrandole un braccio.
«Sto per andare da lui.» Miagolò la gatta morta. «Se mi riferisci il tuo messaggio glielo faccio avere io.»
Sorrise di circostanza a quell'invito fredo e meschino. Avrebbe potuto accompagnarla direttamente dal direttore, al posto di fare la gentile per niente. La osservò un attimo, tenendo sempre un'espressione di mesto e falsa gratitudine. Aveva con sé una torta e forse notò l'interesse della ragazza, perché spiegò: «Ah! Questa è per festeggiare. Oggi è un giorno speciale. Il nostro anniversario.»
Lo sgomento le si poteva leggere chiaramente in faccia. «State … insieme?»
Sorpresa Sae Bom ribatté: «Ma come? Sei sua amica e non te l'aveva detto?»
Ora invece la delusione imperversava in quegli occhi chiari da cerbiatta. Lasciò andare il fiato trattenuto in uno sbuffo quasi dolorante. Fece un mezzo sorrisetto incredulo nel mentre. Possibile che si fosse fatta un'impressione sbagliata? Possibile che lo avesse frainteso così tanto? Oppure Song Rok fin dall'inizio intendeva giocare con lei, proprio come lei lo aveva usato per arrivare a Yon U? Ma non era la stessa cosa. Il loro era un accordo! Lui aveva accettato di prestare la sua figura per un guadagno o per pietà, visto che effettivamente Gemma non lo aveva mai retribuito. Ma l'idea era di utilizzarsi a vicenda, in comune accordo! Invece lui che aveva fatto? L'aveva presa in giro fino a quel momento? Si era divertito ad entrare in quella storia, aveva interpretato un ruolo marginale e distaccato, finché non ha deciso di immedesimarsi un po' troppo, seducendola anche senza realmente provare qualcosa di sincero, usandola per colmare la noia, o cosa? Se così non fosse, perché improvvisamente lui era scomparso per poi farsi ritrovare insieme ad un'altra? E chissà da quanto tempo durava il rapporto con la collega statuaria. Addirittura Gemma si chiese se i due non fossero stati insieme già da ben prima? In ogni caso adossava la a se stessa, che erroneamente aveva avvertito da parte sua qualcosa di inesistente.
La suoneria interruppe i suoi pensieri aggrovigliati. Era una bella melodie di un gruppo femmile della musica pop coreana, ma non distingueva né le voci né la canzone stessa. «Oh! Guarda che caso. Ne stavamo giusto parlando! Questo è lui!» Disse la donna di fronte, prima ancora di prendere in mano il telefono. Lasciò subito la presa sul suo braccio di quella che lei poteva ritenere una ragazzina, visto la differenza di età, per afferrare il telefonino. Gemma dunque era finalmente libera di scappare e andare a ritirarsi in una angolo buio per piangere tutta la notte, invece rimase immobile con lo sguardo perso a terra, non le riusciva di schiodarsi. «Riconoscerei che è lui anche se non lo vedessi scritto.» Sollvevò il viso verso la giovane dal cuore spezzato, «E' la nostra canzone!» Confessò prima di rispondere alla chiamata. «Oh! Song Rok caro, sto per arrivare sono nell'atrio.» Si fermò un momento per ascoltare la controparte, sorridendo mentre guardava dritta negli occhi la straniera. Non c'era nessun segno di provocazione in quello sguardo, si poteva solo definire tranquillo, rilassato e vittorioso. Che gusto c'era lanciare una sfida quando hai già ottenuto il premio senza dover muovere un dito? «Ascolta, qui ci sarebbe una tua amica che vorrebbe giusto salutarti.» Affermò ignorando lo sbracciarsi di Gemma, che cercava a motti di intimarla di lasciar perdere. «E' quella ragazza straniera … Ah, okay la porto con me allora. Però che sia una cosa veloce, sai che abbiamo un appuntamento importante oggi!» Sottolineò le ultime parole sghignazzando eccitata, e spostando di profilo il volto, come per rendere la conversazione un po' più intima, fintamente visto che poteva anche abbassare il tono della voce e spostarsi di più. Gemma Brizzi infatti sentì perfettamente e poté anche notare l'emozione in quel volto di donna più che trentenne. Kim Sae Bom doveva essere più vicina alla quarantina di quanto non sembrasse. Costei tornò a fissarla proprio nel momento in cui pronunciò: «mmm, ti amo anche io.» Chiudendo così la chiamata.
Gemma tentò di trattenere lo stupore e ci riuscì appena, mentre Sae Bom sferrò finalmente quello che si aspettava: la sfida stampata nello sguardo, il sorriso compiaciuto dell'aver dimostrato una valida prova di quel che fino a quel momento aveva solo fatto credere. Lei e Mr Im stavano insieme. Addirittura erano nella fase più seria del rapporto, vista la dichiarazione d'amore aperta e pronunciata con tanta disinvoltura, come se non fosse la prima volta. Ecco il punto, il “Game Over”, fine dei giochi.
Subito dopo sciolse l'espressione di ghiaccio, tornò amichevole e prese a bracetto l'italiana. «Andiamo! Ma un saluto veloce, eh!»


 
****


Al centro del palcoscenico avevano posto un tavolo con una lunga tovaglia bordeox, lì l'attrice posò la torna, ma non scartò l'involucro che la proteggeva. Gemma si fermò ben prima invece, osservando da lontano Im Song Rok avvicinarsi con passo sicuro. Arrivato di fronte alla collega le toccò un braccio, come per salutarla. Si capiva che stava trattenendo l'intimità che ormai si doveva essere creata tra loro. Poi cercò il volto straniero, daii colori e fisionomia diversi rispetto a quelli presenti nella sua terra.
«Ciao.» Saluitò per prima Gemma con decisione.
Song Rok sembrò titubante, non sapendo bene se potersi avvicinare o meno. «Ciao.» Infine si appoggiò sul tavolo, stando li di fronte a lei con le mani congiunte. «Quando ti hanno dimessa?»
«Ieri.» Rispose telegraficamente.
Song Rok annuì lentamente. «E come stai?»
Gli mostrò allora un sorriso forzato. «Bene. Era solo una botta», per poi spegnere ogni sorta di fintamente gioiosa espressione. Abbassò per un attimo lo sguardo, cercando di fare ordine nella sua mente. Qualcosa la stava punzecchiando dall'interno. Era un prurito spiacevole, una di quelle sensazioni che vuoi togliere al più presto, prima che ti faccia impazzire. Eppure non poteva farlo. Doveva trattenersi. Aveva già capito cos'era accaduto tra loro e il perché lui se ne fosse andato. Si era divertito a prenderla in giro e quando lei ha ottenuto il suo ex, lui è tornato dalla sua fiamma. Bene, non serviva far uscire il coniglio dal cilindro, non poteva! Non si doveva abbassare a tanto, avrebbe potuto infatti mettere zizzania in quella meravigliosa coppia. Sae Bom e Song Rok erano fatti l'uno per l'altro, bellissimi, astuti e odiosi entrambi. Anche se quel cognigliaccio mordeva il fondo del cappello, doveva far in modo che non scappasse al suo volere perché, «Perché non sei mai venuto a trovarmi?» Al diavolo quella strega e il suo diabolico commediante, al diavolo la bontà e la superiorità! Distruggi quel maledetto cilindro, anzi apri le gabbie fai uscire l'intera conigliata.
Song Rok sembrò attutire bene il colpo a bruciapelo. «Perché avrei dovuto? Avevi il tuo ragazzo accanto, non bastava?» E lo fece sparando a sua volta.
«Un amico è sempre il benvenuto!» Decise di non scappare e nemmeno risparmiarsi, farlo voleva dire perdere la battaglia in quel botta e risposta a chi aveva più ragione.
«Non sono molto simpatico al tuo ragazzo.» Cominciò ad indietreggiare lui, mettendosi sulla difensiva.
Ad aiutarlo ci pensò la collega, che gli si avvicinò, cingendogli un braccio e posando il proprio mento sulla spalla, faticando poco ad arrivarci nonostante la chilometrica statura dell'attore. Ma Sae Bom, oltre ad un'altezza a sua volta di tutto rispetto, aveva dalla sua un paio di scarpe tacco dodici che normalmente le donne oltre il metro e settantacinque non si permettono di indossare. «Song Rok caro, tra poco arriveranno i ragazzi per la nostra festa, non dovremo prepararci?» Interruppe la loro conversazione con piacere. Poi si rivolse alla ragazza, quasi scusandosi. «Cara, ti inviterei ma è un party privato. Ci sono giusto alcuni colleghi. Quindi se puoi lasciarci, noi avremmo da fare.»
Sospirò mentre ascoltava l'ormai più che fastidiosa voce di quella donna. «No, non preoccupatevi, anzi vi chiedo scusa io.» Affermò subito. «In verità sarebbe stato meglio non venire affatto. Ora vi lascio.»
«Ma cosa dici, non sentirti un disturbo, piccola! E vieni a vedere lo spettacolo quando vuoi!» Riferì Sae Bom lasciando la presa sul direttore, che nel frattempo si era ammutolito, scomparendo in quel ring di sole donne.
Gemma fece per voltarsi, quando lanciò un ultimo sguardo ai due, gettando all'aria il suo orgoglio quando impacciata disse: «Ah! Dimenticavo. Auguri per il vostro anniversario.» Non poté farne a meno. Mostrarsi cupa per il trattamento riservato era già un punto a suo sfavore. Dover ammettere le cose come stavano e congratularsi con quei due era una buona mossa per affermare che di loro non gliene importava nulla. Purtroppo il suo volto e i suoi gesti sembravano non concordare con quanto diceva la sua voce.
Song Rok invece alzò un sopracciglio osservando l'attrice al suo fianco. «Ci ha fatto gli auguri per ... il nostro anniversario.» sussurrò.
La fascinosa alzò le spalle. «Tesoro, ringraziala! Io intanto vado a prepararmi, ma dovresti finire di cambiarti anche tu.» Gli accerezzò sinuosamente un braccio, facendolo scendere dalla spalla, prima di lasciare il suo fianco e andarsene.
Sbuffando e sorridendo, come se volesse trattenere una risata, «sì beh … allora grazie», rispose il commediante a quegli auguri inaspettati.
Gemma si era già voltata, mancava solo quell'addio per spronarla a togliere i tacchi definitivamente. Era evidente che a lui non importasse molto nemmeno di coltivare quella blanda amicizia che sembrava essersi instaurata tra loro. Anzi, faceva presuporre che a tutti gli effetti non c'era mai stato nulla tra i due: né attrazione né una sorta di amore né tanto meno amicizia.
Lui rimase immobile e pensieroso, mentre osservava la ragazza allontanarsi pian piano. Finché non scomparve dietro le quinte, a quel punto scattò in avanti e corse in quella stessa direzione. La raggiunse in un attimo, afferrandole una mano, costringendola a fermarsi. Fissando quello sguardo severamente allibito, lasciò la presa. «Sono curioso. Davvero sei tornata con lui?»
«Ha importanza?»
«L'ultima volta che sono stato in ospedale da te lui mi ha fatto comprendere di sì.» Tornò ad insistere sull'argomento. «Ma … voglio sentire e credere solo alla tua versione. Per questo te lo sto chiedendo.»
Gemma sospirò, muovendosi verso di lui, così da poterlo fronteggiare per bene. «E' da circa cinque mesi che io e Yon U non siamo più una coppia. Da quando lui mi ha piantata.» Fece una pausa, credendo che lui avesse qualcosa da dire, ma ricevendo solo il silenzio, pensierosamente continuò: «C'è stato un momento in cui lui ha voluto ritornare da me e una parte di me optava per accoglierlo nuovamente, ma … alla fine ho deciso di lasciarlo libero. E così ho liberato anche me stessa da un peso gravoso. No, decisamente non ho bisogno di un uomo che non sa starmi accanto come si deve.»
«Direi di no.» Finalmente poté risentire quella grave voce. «Quindi è finita?»
«Sicuramente.» Nessuna esitazione nell'ammetterlo. «Mi sono abituata a stare senza di lui e infine ho inziato a riflettere su ciò che è meglio per me stessa. Direi che i miei sentimenti per lui pian piano si sono inariditi e ho cominciato ad amare più me stessa di quanto amassi quella persona.»
«E questa è la cosa più giusta, Gemma.» Confermò il sajangnim, con un sorriso contento sul volto.
Si fissarono entrambi a lungo senza dire una parola. Gemma con sguardo inquisitorio e Song Rok con una ritrovata serenità nel volto. «Devi andarti a preparare, no? Vai!» Fu la prima ad interrompere quell'osservazione reciproca.
Come se aspettasse un suo permesso, fece qualche passo indietro, voltandosi appena, bloccandosi però di profilo. «Sei … arrabbiata con me.»
«Sì.»
«Non voleva essere una domanda. L'ho percepito e non ti biasimo.»
Il sospiro rispose prima delle parole stesse e la sincera divampò: «Mi hai deluso. Non sei tanto diverso da tutti gli uomini che ho conosciuto.» A quelle parole Mr Im non sapeva come ribattere, come giustifacarsi o scusarsi, così ascoltò in silenzio. «Avresti dovuto farti comunque sentire.»
Poi colse il momento per farlo: «Chiedevo a Sarah delle tue condizioni.»
Quella puntualizzazione, attirò lo sguardo di Gemma, ma non la sua compassione. «Non me l'ha detto! E poi che senso aveva? A questo punto potevi benissimo farti vivo!»
«Te l'ho detto! Il tuo ragazzo non mi sopportava e sinceramente nemmeno io ho questa forte simpatia per la sua faccia.» Anche il suo tono si era fatto più combattivo.
«Non era il mio ragazzo!»
«E poi avevi il mio numero! Se avevi bisogno di me potevi scrivermi.» Sentenziò Song Rok.
«Che buffo … pensavo la stessa cosa di te.» Ribatté Gemma.
Lui annuì mestamente, abbassando lentamente il capo. «Scusa.»
«Accetto le tue scuse. Ora vai! La tua ragazza ti sta aspettando.»
Improvvisamente Song Rok sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Cercava di trattenere qualcosa di più simile ad una risata, e non era il caso di scoppiare a ridere proprio in quel momento. «Gemma ...» tentò di spiegarsi, ma le voci dei colleghi sopraggiunsero. Si voltò vedendo un gruppo di uomoni allegri avvicinarsi a lui.
«Ci vediamo.» Fu Gemma la prima ad andarsene, voltandogli le spalle velocemente.
«Aspetta un attimo!» Tentò di fermarla, ma ormai la ragazza si era già allontanata con passo veloce, mentre lui dovette sottostare alle richieste degli invitati alla “sua” festa.














 
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33 Capitolo








L'aria fredda dell'ormai sopraggiunto inverno scompigliava loro i capelli, inutile averli cacciati sotto al cappotto. In Corea del sud il pregio invernale è l'assenza di umidità, al contrario dell'estate afosissima. Il punto più dolente era proprio quel vento freddo che spazzava via ogni espressione sul volto della gente, congelando i muscoli all'istante. Lo stesso “baram” che non soffia quasi mai durante il periodo estivo, ma di cui tanto si avrebbe bisogno.
Stavano camminando per le strade di Habjeong, dopo aver fatto un giro al centro commerciale. Quella sera erano state a cena a casa del fidanzato di Sarah, per poi salutarlo e apprestarsi ad accompagnare Gemma, appunto in giro per negozi. Per lo più erano state in tutti i make up shop del luogo e avevano fatto uno spuntino con del gelato, che lì va per la maggiore anche in inverno. Gemma aveva evidentemente la smania di distrarsi, quindi era vietato parlare di uomini. Nessuno in realtà aveva fatto la richiesta specifica, lo si capiva ad una prima occhiata.
«Visto che siamo a fine serata … Sarah», attirò lo sguardo ignaro e ancora sorridente dell'italo-coreana, «quando ero in ospedale il direttore non si è proprio mai fatto vivo?»
L'espressione gioiosa pian piano sembrò irrigidirsi. «N-no. Te l'ho già detto. Non l'ho più visto.»
Gemma annuì. «Lo hai sentito però.»
Aveva per un attimo spostato l'attenzione davanti a sé, ma tornò a fissare l'amica timorosa. «E' … una domanda?»
«No.» Rispose secca e quasi infastidita questa. «Non volevo proprio parlare di queste cose stasera ma ...» Erano sulla via del ritorno, se potevano risparmiare mille won e fare al col tempo una salutare passeggiata, lo facevano più che volentieri. Ecco perché si spostarono da un luogo all'altro senza l'utilizzo dei mezzi, dirigendosi verso la vicina Hongdae, dove vi era il goshiwon di Gemma. Da lì poi Sarah Kim avrebbe preso un bus, nel suo caso non poteva fare chilometri e chilometri di strada per il rientro. «Ho visto Song Rok l'altro ieri e me lo ha detto.»
Si sentì afferrare il braccio in quello stesso momento. «Scusa Gemma, scusa!» Anche se quasi la implorava, l'amica non si degnava nemmeno di guardarla in faccia, timorosa. «Mi aveva fatto promettere di non dirtelo!»
«Quindi è vero.»
Sarah sospirò lasciando la presa. «Sì. Era molto preoccupato per te, ma non voleva incontrare Yon U. Così ha cominciato a mandarmi messaggi chiedendomi della tua salute. Giorno dopo giorno. Non ci siamo mai chiamati però, erano solo piccoli aggiornamenti su di te.» Confessò tutto.
Quasi un lieve sorriso emerse in quelle labbra infreddolite. «Davvero?»
«Eravamo tutti preoccupati. E credo che lui lo fosse maggiormente visto che non ha più potuto accertarsene di persona.» Provò a spiegare, in difesa dell'attore.
Gemma finalmente si voltò a guardarla. «Mi ha detto perché non è venuto a trovarmi dopo che mi sono svegliata, ma non è una giustificazione che regge.»
L'amica alzò le spalle. «Sai come sono gli uomini! Sono orgogliosi e il loro testosterone fa un gran casino ogni volta! Ma sappi che lui ti è stato accanto quanto me mentre eri incosciente in quel letto. Yon U no! Per farti un esempio.» La osservò in attesa di una replica, poi abbassò lo sguardo arrendevole. «Se lo hai visto vuol dire che vi siete incontrati-»
«Io sono andata a cercarlo!» La interruppe, precisando immediatamente, con un filo di rabbia nella voce. «E ora che ci penso, visto che vi sentavate, lui sapeva benissimo che ero uscita dall'ospedale, dico bene?» Guardò negli occhi Sarah, che colpevole cercava ancora di sfuggire a quello sguardo. «Il tuo silenzio dice tutto.» Congiunse le braccia e aumentò il passo, seguieta a ruota dall'amica, che sembrava più un silenzioso cagnolino, spaventato dall'umore del padrone. «Non si è degnato nemmeno di bussare alla mia porta. Eppure ci lavora in quel dannato goshiwon.»
«E ...» Sarah provò a continuare la conversazione spostandola su ciò che le interessava maggiormente. «Dato che ... come posso capire, avete parlato un po' … che cosa … »
Gemma si fermò all'istante. «E' fidanzato.»
Sgranò gli occhi, «Come prego?»
«La vera ragione per cui se ne è altamente infischiato di me è perché aveva altro per la testa forse.»
«Ma cosa stai dicendo!» Eclamò sconvolta. «No! E' impossibile!»
Gemma gesticolò nervosamente, «E' così invece! Semplicemente non sono poi così importante, in fin dei conti era già accasato e credo anche da molto prima di conoscermi.» Continuò ad auto ribattere alle sue ipotesi, quando queste si rivelavano troppo positive.
«Mi dispiace non ci credo. Ti giuro che lui sembrava davvero molto preoccupato per te.»
Tonrò a camminare danvati a sé. «Beh, immagino che come amico per lo meno doveva starmi accanto, ma siccome era già accompagnato ha preferito informarsi tramite te. Logico.»
Sarah Kim cercava a sua volta di ragionarci su. Aveva compreso che tra lui e l'amica si stesse instaurando un po' troppa complicità e che forse i due avrebbero potuto oltrepassare quel rapporto di lavoro e balzare dall'amicizia a qualcosa in più con estrema facilità, ma in effetti Im Song Rok non sembrava aver oltrepassato con lei quella linea pericolosa, che scinde in due i sentimenti che un uomo può provare per una donna. Oppure Gemma non le aveva raccontato tutto.
Era ormai passata la mezzanotte, ma essendo Seoul una città che non dorme mai, le luci illuminano sempre il cammino dei cittadini nottambuli. La musica fa da colonna sonora fino a tarda sera in quel di Hongdae e il traffico diminuisce rendendo quel posto più vivibile, ma per questo non solitario e silenzioso. Non ci si sente mai soli nella capitale coreana. Nemmeno volendo.
Le ragazze si fermarono di fronte al semaforo, attendendo di passare. «Non importa. Tra poco tornerò a casa e mi scorderò di lui. Mi toglierò dalle palle lo stronzo Song Rok e anche il problematico Yon U.»
La ragazza al suo fianco, con il naso all'insù intenta a fissare un cielo coperto da nubi o smog, completamente scuro, privo di stelle, sospirò. «Non manca molto, eh?»
«Tre settimane.» Sottolineò tristemente Gemma avanzando allo scattare del verde. Passarono la prima parte delle strinsce pedonali in silenzio. In quel punto vi era molta più gente per le strade. Dall'uscita otto però non entrava più nessuno, giusto qualcuno usciva, ma ormai la metro doveva aver fatto l'ultima corsa.
Si stavano per accingere a passare anche la seconda parte della strada, quando Sarah si fermò sulla banchina della fermata dell'autobus. Lo sguardo fisso a terra. «Mi mancherai molto. Già a pensare che presto non ti avrò più qui mi rende ansiosa.»
Gemma si avvicinò a lei e l'abbracciò. Rimasero ferme immobili in quelle coccole quasi fraterne, quando il rosso ricomparve nel semafoto e le poche automobili ripresero la corsa.
Uno dei mezzi, una macchina nera lucida, si fermò davanti alle due e l'uomo alla guida abbassò i finistrini. «Dove state andando belle donzelle?» Domandò una bella voce maschile.
Sarah subito si scostò da Gemma per sferrare gli artigli: «Non siamo interessate, pervert-» si bloccò immediatamente quando vide il volto dell'uomo forse più affascinante della terra. Per lei. «Sajangnim!»
Anche Gemma era rimasta di stucco nel vederlo uscire da quell'auto e avvicinarsi. «Ieri sei proprio fuggita, non hai sentito che ti stavo chiamando?» Disse fissando quegli occhi tanto diversi da essere quasi alieni.
«Mi pareva avessi da fare e noi avevamo concluso.» Ribatté la ragazza.
«Aaah! Sì, l'anniversario.» Gli scappò una brevissima risata, ma la bloccò quasi nell'immediato, facendola risuonare come uno dei suoi soliti sbuffi caratteristici. «Allora! Dove stavate andando di bello? Volete bere con me?»
«Non siamo dell'umore, stavamo tornando a casa.» Fu fredda e concisa. Diede un'occhiata al semafoto, pregando che divenisse presto verde per scappare da quella situazione. Al limite, pensò di voler provare l'ebrezza di essere investita. Tutto, piuttosto che rimanere a parlare con quello la.
«Sajangnim ...» Lo richiamò l'italo-coreana, «Mi sono sbagliata su di lei, non è un gentiluomo come credevo. Perché non l'ha chiamata tutto questo tempo? Era impossibilitato?» Sarah indossava una maschera di graziosità ogni qual volta apparisse Mr “bella mano”.
Quel viso mascolino mostrò un'espressione più che ovvia. «No, volutamente non l'ho fatto. E poi c'eri tu che mi informavi su tutto, no?»
La lasciò senza parole. «S-sì, ma … perché non … » Mentre Gemma lo stava guardando con un misto di delusione e tristezza negli occhi, colpita ancora una volta dalle sue parole, che avevano il potere di infierire come schiaffi in faccia.
Song Rok allora alzò le spalle. «Semplicemente non volevo farlo.» La sua tranquillità nel proferire tanta freddezza, rendeva ancora più doloroso il tutto. «Visto che state andando a casa, vi do un passaggio.»
Il semaforo avvisò i pedoni della possibilità di passare, attirando l'attenzione di Gemma con quel colore sgargiante. La ragazza non se lo lasciò ripedere due volte: «No!» Affermò prendendo per braccio Sarah, per passare oltre, ignorando l'invito appena posto.
O meglio cercò di fare tutto ciò, ma Song Rok la bloccò, afferrando entrambe le ragazze per il polso. «Non siete in una zona apprezzatissima per la sicurezza!»
Voltandosi con sguardo severo, lo fulminò. «Siamo ad Hongdae!»
«Appunto! Sai quanti playboy e ubriachi ci sono da queste parti?»
La fece sbuffare ironicamente. «Seoul è sicura in tutti i suoi angoli, non ti preoccupare.»
«Mai esserne certa di questo.» Replicò il direttore.
Infastidita dal continuo contrapporsi, da quello sguardo subdolamente di sfida e sensuale allo stesso tempo e dal tocco che le ricordava una certa intimità passata con lui … Si scostò dalla sua presa leggera e con fare infastidito girò attorno alla macchina fino ad arrivare dalla parte del passeggero. «D'accordo allora! Accompagnaci, scassa palle. Basta che la smetti!»
Anche Sarah, un po' confusa da quella scena, senza dire una parola aprì la porta del veicolo e si accomodò.
Song Rok poté solo brontolare tra sé e sé: «Da quanto non vedevo la Gemma antipatica? Mi ricorda il nostro primo incontro in effetti.»


 
****


Gemma aveva accettato il passaggio solo perché ci sarebbe voluto un attimo per arrivare nella via del goshiwon. Erano già ad Hongdae dopotutto. E invece Mr. Direttore, commediante e attore da strapazzo non svoltò affatto alla sua sinistra, come avrebbe dovuto fare, continuò invece per la strada principale. Quando le ragazze fecero presente il fatto, lui rispose che prima di tutto intendeva portare a casa la più lontana delle due, perché tanto poi sarebbe dovuto anche lui recarsi di nuovo all'Ilmol-House.
Entrò così dopo circa venti minuti in un bella zona formata da casette a schiera. Delle “villette” che sicuramente avevano un affitto di tutto rispetto. Si fermò quando Sarah Kim glielo ordinò, indicando la casa dal muro di finti mattoni rossi. Mise il sterzo a mano, ma non spense il motore, attendendo che la giovane suduta nel retro scendesse. Sentì la portiera aprirsi e una voce ringraziare, ma non ci fece troppo caso, attirato da ciò che stava per fare colei che era seduta al suo fianco. Anche Gemma aveva fatto scattare la serratura e stava per scendere dall'auto, quando Song Rok si sporse per afferrarle l'avambraccio. «Non è la tua fermata.»
Già con la punta del piede che toccava terra, si voltò con sufficienza a fissare l'autista improvvisato. «Hai fatto troppo per me! Da qui posso anche andare in bus.»
«E' troppo tardi non troverai molti bus a tua disposizione.» Rispose subito di rimando il giovane.
Lei scostò il braccio in malomodo, per indurlo a lasciarla. «Allora prenderò un taxi.»
Sospirando Song Rok tornò al suo posto. Posò la mano sul volante. «Che sciocca. Ti ho detto che devo tornare ad Hongdae, non è un disturbo per me, davvero.» Alzò lo sguardo verso la figura che si stagliò di fronte a loro, ma fuori dal mezzo.
Sarah Kim sollevò il polpaccio di Gemma, costringendola a fare marcia indietro contro la sua volontà, poi chiuse anche la portiera dell'auto. Qualcuno abbassò subito il finestrino per protestare, ma l'italo-coreana interruppe le lamentele prima che iniziassero: «Se Mr. Im torna all'Ilmol non vedo perché devi fare i cappricci e non accettare il passaggio.» Li salutò con la mano per poi dirigersi verso la porta d'entrata della sua abitazione.
Con un sorriso sornione e di riconoscenza, Im Song Rok aspettò che la giovane componesse il pin del codice per rincasare definitivamente prima di partire. Uscì da quelle viette e si rimise nel grande stradove a più corsie per marcia. Anche se Gemma sembrava non aver più dato cenno di voler rifiutare il passaggio, comunque non aveva nemmeno ringraziato o proferito una qualunque parola.
«Ho notato che la prenotazione si conclude a fine mese.» Ruppe il ghiaccio lui. «Vai da qualche parte?» Con la coda dell'occhio la vide annuire. «Cambi struttura?»
«No.» Finalmente anche la sua voce si degnò di risuonare nell'abitacolo. «Semplicemente tra tre settimane torno in Italia.»
«Ah … » Uscì solo una vocale cupa dalla sua gola, lasciando che il silenzio si rimpadronisse del momento. Finché non spezzò nuovamente la tensione: «Fino ad ora sei mai stata all'Han River di sera?»
«Sì, una volta.»
«Ti dispiace se ci fermiamo un attimo lì?» Propose.
Gemma manteneva il conttato visivo di fronte a lei, sulla strada. Il suo volto di profilo appariva freddo e insensibile. «Sì, in effetti mi dispiace. Siamo ben distanti dall'Hangang
«E se ti ci porto comunque rischio di essere denunciato per sequestro di persona?» Finalmente, con quella battuta, sembrò fare un forellino nell'iceberg:
Gemma infatti trattenne il sorriso a stento. «Stupido.» Si lasciò sfuggire però.


Tirava un bel vento da quelle parti, a causa dell'assenza di protezioni edificate. Solo il silenzio, l'ombra della notte attutita dalle illuminazioni arancio del ponte da cui erano appena scesi, l'oscillare dell'acqua calma del fiume e in lontananza il lieve rumore del traffico cittadino, ormai molto distante.
Non vi era anima viva da quelle parti, o forse era troppo tardi. L'Hangang si animava la mattina, fino a fine pomeriggio, riempiendosi di famiglie con bambini allegri, coppie di fidanzati in bicicletta, anziani in passeggiata o persone di tutte l'età intenti a fare un po' di sano jogging. Perfino d'inverno era possibile ammirare la piccola folla sulle rive del fiume. In quel momento invece Gemma tirò un sospiro liberatorio, inspirando l'aria fredda e solitaria del luogo. Era bello potersi allontanare dal trambusto della metropoli di tanto in tanto. Lì in quella lieve tenebra poteva finalmente sentire la voce dei suoi pensieri, offuscata di solito dal brusio della vita che scorreva frenetica.
C'erano degli alberelli alle loro spalle, con degli spazzi per il parcheggio delle auto o roulotte per chi intendeva fare camping da quelle parti. Di fronte a loro una struttura di vetro tutta colorata, un edificio galleggiante in mezzo a quelle acque piatte. In totale mutismo, si erano seduti su delle scalinate, proprio dove la luce flebile del parcheggio e del ponte non arrivava.
«Quindi … » provò a proferire sempre lui per primo, « … con il tuo ex è tutto apposto? Hai chiarito?»
Gemma si voltò ad osservarlo stranita. «Perché questa domanda?»
Lo vide alzare le spalle e fare un versaccio con la bocca, continuando a mantenere il contatto visivo verso l'Han River. «Semplice curiosità.» La sentì sospirare, prima di avere la risposta:
«Sì. Io ho chiarito. Gli ho detto quel che pensavo, spero solo che lui lo abbia capito.»
«Se così non fosse, ignoralo!» Con quel consiglio attirò di nuovo l'attenzione e nello stesso momento anche i suoi occhi cercarono quelli dell'italiana. «Non sei più una ragazzina, ma una donna. Accanto a te hai bisogno di un uomo non di un bambino da assecondare. Non conosco bene lui, ma in tutto questo tempo ho potuto conoscere un po' te e sinceramente non comprendo perché tu non lo abbia mandato al diavolo quando ti aveva lasciata.»
Lei annuì. «Me lo domando anche io.»
«Dopo tutto quello che tu gli hai dimostrato ...» si voltò ancora una volta verso il fiume, appoggiando gli avambracci alle ginocchia, congiungendo le mani. «Sembra che tu lo amassi davvero tanto.»
«Forse è per quello che non l'ho mandato al diavolo subito?» Ipotizzò lei, seguendo la traiettoria visiva dell'uomo accanto. «Sì, parlare al passato è giusto. L'ho amato … lo amavo. Le cose hanno cominciato a cambiare senza che me ne accorgessi.»
Im Song Rok cercò di spostare solo lo sguardo, osservando il profilo di Gemma. Non proferì parola, intento ad ascoltare quello che la giovane aveva da dire.
Gli occhi color fumo dell'italiana puntavano ormai tristemente verso il basso. «L'ho fetito e per questo sono riuscita a comprendere le cose. La gelosia che lo divorava, ha solo sottolineato quel il senso reale dei suoi sentimenti verso di me: non era amore, ma abitudine, solo possesso e io non voglio un rapporto simile.» Sorrise malinconicamente, guardando nuovamente il volto del direttore, che ricambiò annuendo. A quel punto l'espressione della ragazza tornò seria e perplessa. «E per quanto riguarda te?» Chiese mantenendo il contatto visivo, facendosi più seria. «Non credi che la tua ragazza si possa ingelosire sapendoci insieme?»
Non smorzò il suo sorriso rilassato rispondendo: «Basta non dirglielo.»
Gemma allora lo colpì leggermente, «così sembra quasi che io sia una sorta di amante!» Facendo scaturire in lui una grossa e sciocca risata.
Alzò addirittura il volto enfatizzando un'esagerata quanto finta ilarità. Tornò infatti serio in un lampo, osservandola come un cretino di fronte a qualcosa che non riesce a capire o forse finge di capire. «E perché dovrebbe ingelosirsi?» Domanda legittima e sensata. Ma anche il pensiero di Gemma non era del tutto insensato: una donna potrebbe provare gelosia delle amicizie femminili del partner.
Lei ci pensò un attimo, abbassando lo sgurdo e corrucciando la fronte, indecisa sulla risposta da dare. «Beh, diciamo che ho avuto l'impressione che marcasse il territorio più di qualche volta.» E sperava di aver visto giusto, per non fare la figura lei stessa di quella interessata e per questo un tantino maliziosa.
Song Rok rise di nuovo come poco prima. «E sentiamo un po', in che modo lo avrebbe fatto?» Di nuovo aspettò che Gemma confessasse, lasciando trapelare in quegli occhi da finto pesce lesso un barlume di divertimento.
Sentendosi troppo esposta quasi si ritirò da quel dialogo, ma non sapendo come far cessare l'interrogatorio scomodo, continuò ad abbassare e alzare lo sguardo verso di lui, che cominciava versamente a metterla in soggezione. «Ho … ho avuto solo … un'impressione.» Vedendo il volto dell'uomo scontento, andò ancor più nel pallone. «Senti, so quel che ho visto!» Cominciò a blaterare. In quel modo lui stava facendo passare lei per quella gelosa e magari paranoica. «Davvero! Quando sono venuta a trovarti, prima che mi accompagnasse da te, lei ha cominciato a parlare del vostro rapporto, come per metterlo in chiaro. E non mi è sfuggita nemmeno qualche occhiataccia nei miei confronti.» Sputò il rosto, osservando la bocca della persona di fonte a sé allargarsi a dismisura. Cercò di non dargli troppo peso. «Scusa se te lo chiedo e non prenderla sul personale, ma non avevi detto che quella donna non era nulla di speciale?»
Lo fece tornare serio e pensieroso. «Sì, l'ho detto.» Annuì.
Attese qualcosa in più di quella semplice ammissione, ma non aggiunse altro. «Mmm immagino si possa cambiare idea. In fondo con me lo hai fatto.»
Spostò l'attenzione verso l'Hangang distrattamente. «Vero anche questo. Ho cambiato idea su di te ...», disse riflessivo quanto prima, «... ma non su di lei.» Tornò a fissare la ragazza accanto nuovamente con espressione sciocca. Il volto di Gemma appariva stranamente molto infantile e per questo adorabile: gli occhi spalancati, le rughe di espressione della fronte accentuate a causa delle sopracciglia leggermente sollevate e corrucciate al coltempo, bocca semi dischiusa. Rimase un attimo in silezio per fotografare a mente il mutismo della ragazza e l'intero volto: ora toccava a lei apparire un po' come una beota. Scrollò poi il capo informandola: «Io e Sae Bom non stiamo insieme.»
La disincatò nell'immediato: «Eh?» Anche se non credeva ancora a quel che aveva appena appreso. Pensava di aver sentito male o che vi fosse una spiegazione ovvia. «Scusa ma ha chiaramente detto-»
«Ha chiaramente mentito.» La interruppe. «Qualsiasi cosa abbia detto.»
Sorrise forzatamente per un attimo, quella situazione era assurda. Esattametne cosa voleva dire? Lei aveva davvero mentito così spudoratamente o Song Rok la stava prendendo in giro? «Ma la telefonata allora? Ha risposto “anche io ti amo”.»
Trattenne in quel momento una sincera risata. «Non ho sentito nessun “ti amo”, avrò riagganciato prima che lo dicesse.» Continuò a sostenere con fare sincero.
«Assurdo!» Sospirò, non riuscendo ancora a farsene una ragione e non solo per la menzogna escogitata da Kim Sae Bom, ma anche per il sollievo che cominciò ad avvertire nel cuore.
«Già.» Ribatté Mr Im fissando l'orizzone scuro.
«Aspetta ...» la ragazza richiamò la sua attenzione nuovamente su di sé. Guardandolo severamente dritto negli occhi gli fece notare una cosa che sembrava per un attimo sfuggire ad entrambi: «Anche tu mi hai fatto credere di esserci insieme.» Si morse le labbra infastidita quando Song Rok mostrò un sorriso da colpevole.
«Ammetto che … » sollevò gli occhi al cielo pensando ad una scusa plausibile, ma non ne aveva una, « … ho retto un po' il suo gioco. Mi era sembrato divertente.»
«Divertente?» Si alzò all'istante, fissandolo per un attimo dall'alto in basso seccata. Poi non lo degnò più di parola, allontanandosi da lui e tornando verso il ponte dove avevano lasciato la macchina.
Lui per un attimo non fece nulla, seriamente dispiaciuto dell'errore commesso. Cercò di capire un po' le sue azioni, perché avesse finto con Sae Bom di fronte a lei. Si ostinava a mentire a se stesso e a quella ragazza, dicendo che era stato solo per divertimento. Fece una smorfia sofferta e sconfitta quando si voltò a chiamarla: «Gemma, aspetta!» La verità è che era risentito del fatto che non l'avesse più contattato da quando era tornato il suo ex alla carica. Si era pentito di aver rinunciato di fronte a quello che sembrava meglio per lei, mostrandosi perdente davanti a quel ragazzino. Non era stato davvero un modo per vendicarsi e nemmeno per troncare del tutto quel loro strano legame. Era semplicemente stato solo uno stupido errore. Perciò si alzò a sua volta per correrle dietro, afferrandole le spalle appena poté.
«Lasciami!» Si scostò subito da lui. «Smettila di prendermi in giro.»
«L'anniversario era vero.» Con quelle parole la fece andare ancora di più nel pallone. «Non ho detto solo bugie e non ho sempre retto il gioco volente. Era il nostro anniversario, inteso come quello della scuola teatrale.»
Non le importava. Alzò le spalle, gesticolò priva di forza. Non aveva più voglia di perderci del tempo. Tornò allora ad avvicinarsi alla macchina, salendo poi senza fiatare.
Lui fece altrettanto. Lasciò che Gemma sfogasse la rabbia e silenziosamente si mise al posto di guida, allontanandosi poi dal fiume Han.


 
****


Visto che avevano un po' di strada da fare e il mutismo per rabbia stava cominciando a diventare pesante, il proprietario del veicolo optò per un aiuto da parte della radio. Il veicolo quindi si riempì di rilassanti melodie ballad, tra pezzi del momento in Corea e alcuni intervalli di canzoni americane del passato.
Il direttore sembrava rilassato, con una mano sul volante e l'altra appoggiata tranquillamente alla gamba. Gemma invece guardava fuori dal finestrino, con un braccio appoggianto alla portiera dell'auto, ancora con le sopracciglia corrucciate e il volto severo.
Una mano si allungò verso la manopla del volume, per regolarlo e abbassare il sottofondo. «Mi chiedevo ...», intervenne finalmente uno dei due, lasciando per un attimo sospesa la questione, « se fossi stato fidanzato con lei o meno, esattamente a te cosa cambiava?» Song Rok non poteva guardarla in voto, era troppo impegnato nella guida, inoltre non avrebbe potuto osservarla comunque bene, visto che il passeggero teneva costantemente il capo rivolto all'esterno del mezzo. Era l'unico modo per lei di sfuggire da quell'abitacolo. Quindi non poteva sapere in quali espressioni si stesse contorcendo la ragazza. «E' una domanda semplice.» Continuò a spronarla. Il volto del guidatore invece era indecifrabile, imperturbabile, ma nemmeno Gemma poteva saperlo, perché non si era permessa nemmeno un'occhiata da quando era salita in auto.
Logicamente la risposta non arrivò mai. La cocciuta continuava a fissare le enormi strade di Seoul e il traffico metropolitano incessante, mordendosi le labbra. Sperava solo che la smettesse con quei scomodi quesiti. Non aveva nessuna intenzione di rispondere. Farlo voleva dire ammettere che …
«Sei per caso gelosa?»
«No!» Esclamò immediatamente, voltandosi dalla sua parte. Proprio in quel momento anche Song Rok le concesso un'occhiata durata un'istante, quanto bastava per sfoggiare un ghigno compiaciuto. «Come ti viene in mente? Credi che tutte le donne debbano per forza cadere ai tuoi piedi come Sae Bom? Io non di certo!» Si difese, rossa in volto. L'imbarazzo aveva avuto la meglio, facendola addirittura schiodare dal proprio mutismo di protesta.
Lui nel frattempo tornò serio e impassibile. «Ho semplicemente esposto un mio dubbio, non voleve essere un'insinuazione.» Lsciò nuovamente andare le parole, nascondersi dietro la sua freddezza e l'apparente imbarazzo della ragazza. Ma continuò ad ossere alla sua destra di tanto in tanto, sogghignando dentro di sé, segretamente. «Allora, torniamo al goshiwon o vieni da me stanotte?»
Di le venne da sollevare il capo e fissarlo incredula. Dopo la litigata e dopo tutto quello che lui aveva insinuato, come poteva saltar fuori con una proposta simile? «E credi che io sia in grado di accettare ora come ora?»
Lo vide fare spallucce. «Perché? Ti senti in imbarazzo?»
«Certo che mi sento in imbarazzo!» Ammise.
Di nuovo sulle labbra di Mr “bella mano” passò un sorriso sornione. «E quale sarebbe il motivo? Se non hai provato gelosia … perché imbarazzarsi tanto?» La mise a tacere con poco.
Gemma sprofondò nel sedile, la testa china e lo sguardo interrogativo. In effetti aveva ragione, il problema non era né il litigio né la domanda in sé, ma ciò che provava lei. I sentimenti che non volevano mettersi in pace e ingarbugliavano anche la sua mente. Come poteva entrare nell'appartamento di un uomo del quale sentiva ormai una forte attrazione? Sebbene lui non provasse nulla e non sapesse nulla, giocando solamente un po' con quella che forse ormai era diventata un'amicizia bizzarra, accettare l'invito voleva dire rischiare di farsi scoprire. Sarebbe riuscita a mantenere il controllo o vi sarebbero state occasioni di imbarazzo simile a quella passata qualche minuto prima?
«Non importa, tanto credo anche io che non sia conveniente. Torniamo al goshiwon.» Decise per lei il direttore.
Spostò lo sguardo di lato guardandolo sospettosamente. «Perché non è … conveniente?» Domandò parlando lentamente, cercando di capire cosa gli passase in quella testa ripiena di complicato pensiero coreano. Se aveva imparato una cosa di quel popolo, è che per dogmi, società e pensieri comuni, i coreani si complicavano spesso la vita inutilmente. «Sono già stata più di qualche volta a dormire da te.»
«Ho sempre sostenuto che fosse scomodo e sconveniente.» Ed in effetti era vero. Per lei aveva in un certo senso chiuso un occhio e più di una volta.
Gemma si ricompose, drizzando la schiena. «Sì, torniamo al goshiwon. Avrei voluto solo rivedere Kureum prima di partire, ma immagino ci sia ancora tempo.» Fece una pausa e nel mentre lo osservò guidare sicuro. Aveva raggomitolato la camicia fino al gomito, mostrando gli avabracci definiti. «Comunque … » spostò l'attenzione verso il suo profilo, osservandone il lungo collo magro, che in quel momento avrebbe voluto tanto annurare, leccare e poi addentare come un vampiro, « … io mi fido di te. Voglio dire, non temo di dormire nuovamente a casa tua. Mi fido di te, per cui non ci sarebbero problemi. Anche perché io non ti piaccio e tu … non ...»
Le venne incontro, interrrompendo le sue indecise parole: «Perché dovresti? E perché io dovrei acconsentire?»
Gemma guardò i suoi piedi facendo oscillare la testa. «No, non hai capito non è una richiesta. Era solo così … tanto per mettere in chiaro che non voglio tornare al goshiwon per paura o perché nascondo … qualcosa.» Cominciò a grattare le unchie contro unghie nervosamente, le mani in grembo. Si stava facendo scoprire da sola, era meglio tacere quanto prima. «Piuttosto, appena vedi un market puoi fermarti per favore? Ho sete.»


Non era una scusa la sua. Aveva davvero bisogno di qualcosa da bere, per alleviare il senso di gola secca. Poi, certo, non era male potersela filare da quell'angusto spazio, dove c'erano solo loro due, musiche romantiche, luci soffuse e un'aria ormai irrespirabile.
Song Rok scese dall'auto con lei, come se volesse a sua volta fare spese, ma in verità passava di scaffale in scaffale osservando la merce senza decidersi. Forse voleva solo accompagnarla. O ancora temeva che la ragazza potesse sfuggire a gambe levate.
Grazie alla sua chilometrica altezza Gemma lo poteva osservare anche se si trovava distante da lui, dietro ad altri scomparti: afferrava una confezione di qualcosa e ne leggeva gli ingredienti, riposandola poi pensieroso, sollevando quelle sue sopracciglia così sexy. Ma cosa di lui poteva definire “poco sexy”? Forse la grossolana risata da ebete che ogni tanto tirava fuori dalla manica. Però, in quel caso diveniva adorabile.
Mr. Im passò poi ad altri alimenti, per fare la medesima cosa. Si era fermata di fronte al frigo, mentre lo fissava rapita e non riuscì a liberarsi di quel torpore nemmeno quando lui ricambiò lo sguardo, cercandola in quel piccolo market. Anzi a quel punto dentro di sé avvertì quasi una fiammata dolente.
Afferrò una bottiglietta d'acqua a caso e poi passo in rassegna il cibo, chiedendosi se comprare anche qualcosa di solido, ma non aveva granché fame, era solo un diversivo per allungare l'attesa e nel frattempo distrarre la mente da quel palo della luce alias commediante. Non aveva tanta voglia di rientrare in auto, l'imbarazzo di qualche minuto prima non era ancora del tutto scemato. Temeva inoltre altre domande da parte di Song Rok o peggio ancora qualche azione insensata.
In realtà forse ad una mossa azzardata ci sperava lei stessa, nonostante ciò non si sentiva pronta, oltretutto per non illudersi troncò fin da subito ogni fantasia. Quando in quel momento sollevò il capo, si ritrovò il viso del direttore dall'altra parte del basso scaffale, intento a fissarla curioso. Abbassò subito il campo visivo arrossendo e maledicendosi. Quando si trovava in quel tipo di situazioni si trasformava quasi in una timida ragazzina. Ma dov'era finita la tigre che c'era in lei? Beh, era meglio lasciarla dormire, o sarebbe potuta saltare in groppa a Song Rok, azzannandogli il collo.
Corse dalla parte opporta del negozio, seguita a ruota da colui che continuava a cercarla con lo sguardo. Nuovamente non poté fare a meno di ricambiare, e questa volta sorrise pure di fronte all'espressione dolce che Song Rok le stava mostrando. Quando decise che quel gioco di sguardi e timidezza poteva finire, andò alla cassa e fece per pagare, ma la intercedette lui, offrendole non solo da bere, ma anche qualche snack che lui stesso scelse all'ultimo. Il sacchettino infatti finì subito nelle mani della giovane donna.
Salirono in macchina, nuovamente chiusi in un silenzio, questa volta non ostile, ma sereno. Improvvisamente Gemma lo vide chinarsi dalla sua parte, allungando un braccio quasi per abbracciarla e avvicinando il loro volti pericolosamente. Sgranò gli occhi ritrovandosi le sue labbra a pochi centimetri di distanza, continuando a fissarle in attesa. Invece Mr. “belle labbra/bella mano/bell'altezza/bello tutto” afferrò la cintura di sicurezza e l'allungò verso di sé per poterla allacciare. Visto che lei sembrava essersene dimenicata, ci pensò il guidatore a garantire la sicurezza del suo passeggero.
Eppure Im Song Rok non si scostò nell'immediato, subito dopo aver compiuto l'azione. Rimase per un istante lì, immobile, fissando da vicino quegli occhi a suo dire così singolari. «Sai perché non voglio che tu dorma da me?» Gemma negò di avere già la risposta in pugno. «Perché qualcosa è cambiato da un po' di tempo.» A quel punto decise di scostarsi, tornando a fissare la strada pensieroso. «Confesso … che ora vorrei baciarti.» Le disse prima di mettere in moto l'auto.
La ragazza rimase per un attimo interdetta, non sapendo se voler esporsi a sua volta, o osservare ancora per un po' le sue mosse. Ma quella morsa opprimente al petto, poco dopo la esortò a dire qualcosa: «Allora fallo!»
Song Rok la guardò assumendo un'espressione poco decifrabile, a tratti seria imperturbabile alle volte triste. «Perché? Lo vuoi anche tu?» Non aspettò molto per avere la conferma della ragazza, che per lui forse stava tardando troppo ad arrivare, perciò girò il volante e si rimise in strada, verso la via del ritorno.
Così per l'ennesima volta, quel giorno, si ammutolirono entrambi. Mr Im concentrato sulla guida e Gemma a fissare le sue scarpe, grattando le unghie dal nervoso e mordendosi le labbra. Quella era una sorta di penitenza, per non aver risposto sinceramente fin dall'inizio. In fin dei conti, cosa aspettava? Se aveva ormai chiari i suoi sentimenti per quell'uomo, perché non confessava tutto? Specie dopo che Song Rok le aveva chiaramente lanciato un'esca, stava a lei abboccare o meno. Eppure le era difficile comprendere se quella rivelazione fosse sincera, nonostante potesse immaginarlo, ormai lo conosceva abbastanza bene per sapere che non ci scherzava su certe cose. Eppure di quale entità fossero i suoi sentimenti, proprio non riusciva a capirlo e questo la spaventava. Era già stata scottava diverse volte, non solo a causa di Jin Yon U, quindi era più che normale che volesse andare avanti con i piei di piombo.
«Perché vorresti baciarmi?» Si trovò a chiedere, come se la sua voce avesse intelligenza propria, distaccata dal cervello e tutto il ragionare, che non faceva che aumentare le paure e chiuderla in sé in una sorta di scudo protettivo. Insomma parlò l'istinto in quel momento. Il cuore.
«Perché un uomo vorrebbe baciare una donna?» Propose egli stesso una seconda domanda.
«Di ragioni … potrebbero essercene tante. O almeno così immagino.»
«Mmm … anche questo è vero.» Convenne Song Rok.
L'indecisione la divorava, cercando un metodo che le permettesse di rompere quel muro che lei stessa aveva edificato. «Quella volta … », un modo anche per testare il terreno o prepararlo a qualsiasi cosa sarebbe potuta crescere. Voleva uscire allo scoperto e mostrargli ciò che provava, si stava preparando a ricevere qualsiasi cosa lui avrebbe potuto donarle. «Perché mi hai baciata?»
«Quale volta?» Mr. Im aveva una scusa plausibile per non gurdarla negli occhi, visto che stava guidando e in un certo senso in questo modo la stava inconsapevolmente aiutando. Quel suo impedimento giocava a favore di Gemma, che non aveva problemi invece a sollevare gli occhi verso la bella figura maschile. «Stavo recitando.» Annunciò all'improvviso, raggelando con quelle parole la giovane accanto, che abbandonò le unghie, per stringere i pugni. «La prima volta. La seconda ero ubriaco. Lo eravamo entrambi lo sai.» Non faceva trasparire nulla dal linguaggio verbale e nemmeno dal tono della sua voce. «E l'ultima volta ...» Ma ecco che sembrò cedere, lasciando incompleta la frase.
«L'ultima volta?» Impaziente com'era, lo guardava quasi supplichevole. Quella volta non era per alcool e nemmeno una recita, ne era sicura. Ma allora per quale motivo l'aveva baciata? Era davvero interessato a lei? Probabile, ma in che modo? Un errore portato solo dall'attrazione o … «Ti piaccio o non ti piaccio?»
Song Rok qualche attimo dopo svoltò bruscamente alla sua destra, cambiando percorso. Gemma girò il capo per osservare fuori dal finestrino strade sconociute e conosciute allo stesso tempo. A volte quelle vie erano tanto similari tra loro, che sembrava di girare intorno senza una meta precisa.
«E tu?» Attirò il suo sguardo nuovamente. «Tu cosa provi per me?» La ragazza aveva inclinato lo scudo facendo la fatidica domanda e lui prese la palla al balzo per tentare di scalfire quella muraglia.
Gemma svuotò la mente. Non andò in cerca di una risposta precisa, perché già l'aveva pronta. Abbassò l'attenzione sulle mani di Song Rok: le dita picchiettavano sul voltante. Era la prima volta che vedeva da parte sua un gesto d'ansia forse dovuto all'attesa. «A dir la verità è da un po' che io provo qualcosa per te.» In quell'istante le dita di quella bella mano si arrestarono. «Non l'ho mai detto perché … perfino ora non sono sicura di volermi esporre.» Nessun stratagemma, nessuna scappatoia, questa volta si sentì di dire solo la verità. «Sembra comunque che io lo stia facendo.» Tornò ad osservare la sua intera figura, alzando lentamente la visuale, notando Mr “sicurezza” deglutire nervosamente. «Eppure ho paura e in questo momento se potessi scappare lo farei. Immagino sia un bene essere costretta ad affrontare le cose.» Il fatto che lui non si fosse ancora esposto fino a quel momento, non era per Gemma Brizzi un segno troppo positivo. «Non so cosa pensi di me, continui a startene zitto. Non so se provi solo attrazione, curiosità, pietà o chissà cosa, perciò sono spaventata. Ma anche se mi ricambiassi, siamo distanti Song Rok. E io so cosa vuol dire e so cosa comporta. Ho già passato le pene di una relazione a distanza, che hanno ucciso il rapporto passato. Quindi non so se sarò in grado di provare di nuovo. Non credo di riuscire a fidarmi cecamente di qualcuno e del mio destino. Non sono fortunata in queste cose.» Parlando, non aveva notato che ormai erano vicini alla meta.
Im Song Rok infatti fermò la macchina lungo la muretta accanto al complesso di appartamenti lussuosi. Spense il motore e slacciò le cinture. «Sono affamato. Vuoi del ramyeon?» Chiese frettolosamente, scendendo dal mezzo. Gemma lo osservò combattuta, non comprendendo il suo comportamento. Era forse lui quello che stava scappando ora? Impacciatamente lo seguì, cominciando a provare un misto di terrore e fastidio: lo aveva forse messo alle strette in quel modo? Doveva risolvere, ma allo stesso tempo avrebbe voluto bloccarlo e prenderlo a schiaffi. Era stato lui a provocarla, perciò si era messo da solo paura. Se non era pronto ad una confessione simile doveva starsene zitto. Lei avrebbe continuato a tenerlo a distanza, salutandolo nel momento della partenza e ognungo avrebbe continuato a vivere la propria vita senza complicazioni.
Lo seguì fino alla rampa delle scale. «Mi dispiace se ti sto spaventando, ma ormai mi hai fatto parlare ed è giusto che io ti dica le cose come stanno.» Contiunò per la sua strada. Ormai era fatta. Era una persona insicura a volte e per questo molto cauta, finché non osava. Oltrepassando, affrontando le proprie paure, Gemma mutava, divenendo disperatamente coraggiosa. «Quando ero a teatro e lui mi ha contattata, io ho preferito ignorarlo e rimanere dov'ero e sai perché?» Si erano entrambi fermati lì, ma di Song Rok la ragazza poteva vedere solo la figura di spalle. «I miei occhi erano incollati su di te e non solo quelli ...»
«Non serve convincermi. So cosa provi e ho capito anche il tuo punto di vista.» Riferì solamente, prima di salire nuovamente verso il suo piano. Contrariamente a quanto detto fin dal principio, non l'aveva riportata all'Ilmol House. Il proprietario di casa compose il codice e afferrò la maniglia della porta fermandosi un istante. «Gemma … » Alzò lo sguardo fissandola finalmente dritta negli occhi, mostrandole uno sguardo serio e deciso. «Considerando i tuoi tormenti, devo chiedertelo.» Spalancò la porta, «Sei sicura di volere entrare? Se lo fai potrebbero accadere due cose: nulla oppure ...» Gemma sperava solo che non lasciasce sospsesa la frase ancora una volta e indugiò trepidante, sentendo quasi il respiro affaticato dovuto all'agitazione. «Oppure potrei non voler più farti uscire.»
Quella era la buona ragione che cercava. Annuì e velocemente si infilò dentro l'appartamento prima di farsi domare dalle sue paure. Non le importava di sbagliare entrando in un luogo che poteva dar vita ad un inizio disastroso o addirittura apparente. In fin dei conti nella vita non vi è una sicurezza in nulla, poteva capitare tra le braccia di quello giusto o meno, ma non aveva la palla di cristallo per capire quale dei due le riservasse il fato.
Song Rok la seguì, chiudendo poi la porta e osservando le spalle della straniera, che si era fermata di fronte allo spazioso e già consociuto appartamento, non riuscendo davvero a focalizzare gli oggetti presenti, distratta dal rumore che emetteva il suo cuore e dalla voce dei suoi sentimenti che strillava. Si voltò poco dopo, finalmente mettendo a fuoco qualcosa: il volto di Im Song Rok, che la stava osservando con un'epsressione immutata rispetto alla precedente, forse un tantino più rilassata. Il giovane le si avvicinò lentamente, prese tra le mani il suo viso e accostò le loro labbra. Aveva dimenticato cosa voleva dire baciare un uomo in piena coscienza e volontà, ma non aveva scordato il saporte di quella bocca. Si staccò appena da lei, per scrutare da vicino quelle iridi così esotiche, come per Gemma lo era la forma dei suoi occhi. Posò la fronte su quella della ragazza, sospirando, per poi lasciarsi andare entrambi e incollare nuovamente le labbra, in un bacio più spinto e quasi soffocante. Una sensazione che normalmente potrebbe essere opprimente, ma che per loro istigava solo al desiderio.
Il secondo distacco fu quasi doloroso. Il pradrone di casa si tolse le scarpe velocemente e poi si inginocchiò per toglierle anche alla sua ospite. Poi si rialzò, prese per mano Gemma e la portò con sé.
La stanza era molto semplice e moderna, non poté però fermarsi sui particolari e in quel momento nemmeno lo voleva. Lasciò invece che quella persona tornasse a riempire il suo mondo, il suo olfatto, il suo sapore e tatto, incatenandosi in un terzo sensuale bacio. E questa volta non la lasciò andare nemmeno per potersi spogliare: continuando ad accarezzarle la bocca, lasciò la presa dal suo corpo, scostandosi con il busto quel tanto per poter sbottonare la camicia. Fu Gemma ad indurlo ad allontanare anche il volto, fermando il bacio. Ma continuò a legarsi a lui con lo sguardo, fissando quegli occhi tanto diversi, ricchi di tradizioni e particolarità appartenenti ad un'altra terra. Tanto distante da esserne completamente affascinata. Allungò la mano, per aiutarlo con l'indumento, accettando decisa ciò che sarebbe accaduto poco più tardi.
In quel momento non volevo pensare alle conseguenze, non voleva farsi intrappolare da qualcosa che poteva essere solo un effetto delle sue insicurezza. Colse l'attimo perchè così desiderava. E se dopo quella notte Im Song Rok avesse voluto creare una storia reale e seria con lei o no, non le importava. Avrebbe accettato tutto, anche se voleva dire contrastare ancora la sofferenza, che fosse dovuto alla lontanaza, alla diversità e alle incomprensioni o ad un abbandono precoce. Ripeteva a se stessa che non era in grado di prevedere il futuro, quindi lanciarsi nel presente e tentare comunque di costruire qualcosa, aveva per lei più senso che ritirarsi, scappare e magari vivere di rimpianti. Poteva andarle male anche con lui, ma con le stesse probabilità poteva andarle anche bene. Si aggrappò alle sue spalle quando Song Rok la sollevò da terra e prese l'occasione per chinarsi sul suo collo e fare quello che aveva aveva sognato qualche minuto prima in auto. Lo morse anche, debolmente, facendolo rabbrividire.
Alla fine ascoltò il suo desiderio di ricominciare. Nonostante potesse sembrare un nuovo complicato inizio, voleva farlo. Voleva lanciarsi da quel bangee jumping insieme a lui. Ora stava solo al sajangnim decidere se cotinuare a stringerla tra le sue braccia, come stava già accadendo, o se lasciare la sua mano subito o durante il difficoltoso tragitto che li attendeva.



 
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34 Capitolo








Che sia passata un'ora o giorni interi, non faceva alcuna differenza. Gemma sentiva ancora quel tepore inverosimile alla testa, quella pericolosa sensazione che tutto potesse rivelarsi soltanto un sogno. Quasi non aveva il coraggio di aprire gli occhi per paura di scoprire una realtà differente da quella a cui non sembrava aver ancora fatto l'abitudine.
Erano stati giorni pieni, ricchi sul piano affettivo. Anche se ognuno aveva il suo da fare, sfruttavano al meglio ogni minuto libero per incontrarsi. Avevano ancora molto da capire l'uno dell'altra, per poter passare come si deve alla fase successiva, quella di un rapporto serio per quanto possibile e sempre che questa fosse l'intenzione di entrambi. In realtà non avevano parlato in termini di tempo, Gemma non si era mai permessa, per paura di rovinare un momento tanto propizio, facendo scappare l'ennesimo uomo. Mentre lui non aveva accennato a nulla, dimostrando di voler vivere il momento. Cogliere il fatidico attimo. Per lo meno non se ne era andato dopo la prima notte in cui si erano amati, al contrario quella fu l'inizio di una, per il momento, incomprensibile storia.
La prima cosa che mise a fuoco la ragazza al risveglio, fu i suoi occhi: quel simbolo imponente della sua cultura asiatica. Song Rok infatti la stava osservando chissà da quanto tempo. Si trovavano a casa sua, dove ormai Gemma poteva dire di essersi trasferita, per tutte le volte che ci era rimasta a dormire, sia in termini di ospite, che di … qualunque cosa fosse in quel momento per il direttore.
Lui non disse una parola, semplicemente continuò a fissare la ragazza con un'epsressione colma di dolcezza. Lei lo lasciò fare, sospirando e cercando di trattenere uno sbadiglio. Erano entrambi distesi su coltri in chiaro e scuro, l'uno accanto all'altro come da tre mattine a questa parte. Però non era solita avere un risveglio simile: aprire gli occhi e incrociare i suoi fu l'ennesima conferma che non si trattava di un sogno. L'incognita più spaventosa era proprio la mattina, perché non sapeva mai se lo avrebbe trovato ancora al suo fianco o meno. Ma fino a quel momento Mr “bella mano” non dimostrava l'intenzione di volerla lasciare andare, proprio come aveva detto la sera in cui si erano confessati reciprocamente: “potrei non voler più farti uscire”. Non sapeva quando quella porta si sarebbe aperta, per permetterle o intimarla di andare verso l'esterno freddo. Per il momento rimaneva chiusa, con lei dentro a quell'ambiente ancora calorosamente accogliente. Pensare di poter essere nuovamente scaricata la demoralizzava, meglio per lei continuare a viversela giorno per giorno.
Sorrise a Song Rok e poi si mise a sedere nel letto. Stava per scostare le coltri e scendere dal materasso, quando la grande mano maschile le afferrò un polso. «Dove scappi?» La fermò e dolcemente la costrinse a distendersi nuovamente nel letto. «E' bello godersi il risveglio tranquillamente.»
Gemma piegò il gomito, appoggiandosi al braccio destro, sorreggendo con la mano la testa. «Già. Anche io credo sia piacevole questo tipo di risveglio.»
Con un sorriso malizioso Song Rok cominciò a stuzzicarla: «E perché mai? C'è un motivo particolare?»
Gemma sorridendo sollevò gli occhi al cielo. «Magari è perché ci sei tu al mio fianco?»
«Ma che cosa carina che stai dicendo. Anzi forse troppo. Troppo zuccherata, fai venire il diabete.» Risero entrambi brevemente.
«Proprio perché è così piacevole, temo finisca presto.» Aggiunse la giovane smorzando i toni gioiosi.
Song Rok allora si sollevò, appoggiando a sua volta sugli arti. «Pensi già alla partenza?»
«Manca una settimana! Come potrei non farlo?» Ribatté quasi accigliata. Non avrebbe voluto tirare in ballo la questione, si era ripromessa di non imporgli nulla e di viversela spensieratamente, ma schiava delle sue abitudini stava già iniziando a cadere nell'errore di imporre la presa di una decisione. Per lo meno che le rivelasse i suoi piani. Gemma sarebbe partita e lui? Avrebbe continuato la sua vita come sempre, dimenticandosi di lei.
«Non preoccuparti troppo okay? Non ti farò star male. Viviamo la cosa spensieratamente per ora.» Quella sembrava l'unica risposta che poteva avere di fronte alle sue evidenti paure. Allungò un braccio, accarezzandole una guancia, facendole sollevare lo sguardo sconsolato. «Aspettiamoci.» Propose improvvisamente. «Proviamo semplicemente a fidarci l'uno dell'altra.»
Un tantino sorpresa di quanto stava dicendo, Gemma sorrise, senza però che una vena di malinconia la lasciasse. Annuì, perché era l'unica soluzione che si poteva avere, purtroppo e al contempo per fortuna, perché anche lei non voleva che finisse tra loro. A quanto pare era davvero così anche per Mr Im. Eppure … «Ho già avuto le mie belle delusioni in questi termini, ma … sì. Anche io voglio fidarmi di te.»
«Hai avuto delusioni perché ti intestardivi a fare da madre a dei ragazzini, qui davanti a te hai un oppa.» Disse ridendo sotto i baffi che cominciavano a spuntare, una leggera peluria che contraddistingue l'uomo prima della rasatura. «Hai mai chiamato qualcuno oppa prima d'ora?»
A quel punto spuntò un sorriso di scherno anche sul viso della giovane: «No! E mai lo farò! Non mi piace come usano quella parola alcune ragazze qui.»
«E come vorresti chiamarmi allora? Oppa è molto usato.» Si avvicinò al suo viso, sfiorandole le labbra senza baciarla realmente. «Sajangnim?» Le toccò le labbra in quel momento, in uno schiocco di bacio. «Seongsaenim?» E nuovamente premette bocca contro bocca velocemente.
Gemma socchiuse gli occhi osservandolo con finto astio: «Byeonte ajeo-», ma prima che finisse la parola, Song Rok la fermò prontamente, tappandole la bocca in un lungo e finalmente più appassionato bacio. Im Song Rok si sollevò sopra di lei, schiacciandola con il suo corpo ancora caldo, grazie al tepore delle coltri. La strinse tra le sue forti braccia, assaporando la sua essenza in ogni minimo lembo di pelle.


 
****


Alla fine non c'era mai una volta in cui Gemma si svegliasse da sola. Recentemente si addormentavano insieme e aprendo gli occhi si ritrovavano sempre accanto. Ma d'altronde i loro giorni erano contati, quindi dovevano sfruttare ogni singolo momento. Ecco che Song Rok quindi posticipava magari l'entrata al lavoro per lei e rincasava appena poteva o la invitava a prendere parte alle prove del teatro. Certo, anche la sua carica gli permetteva ciò che altri non avrebbero potuto permettersi.
Quella mattina però, a due giorni dalla partenza, Gemma svegliandosi si accorse di una grave mancanza. Si alzò dal letto in cerca nella stanza, che magari non si fosse messo nella scrivania per correggere qualche copione, finché lei riposava. Uscì addirrittura dalla camera per cercarlo, ma a parte Kureum, la cagnolina, non c'era anima viva. Dispiaciuta e perplessa, tornò in camera da letto per rivestirsi e magari inviare a Song Rok un messaggio. Così si accorse del biglietto posto proprio sopra al cellulare:


 
Scusa se scappo, ho delle faccende urgenti in teatro. Ti avrei portata con me, ma dormivi così profondamente che ho preferito non svegliarti. Oggi alle 6:00 pm vieni all'Artkukjang, ti aspetto li.


La ragazza così si era lavata e vestita in tempi di record, per correre da quello che fondamentalmente nel cuore identificava come il suo “lui” … ormai.
Era giunta in teatro dalla parte dedita al pubblico, trovando sbarrate le porte, quindi aveva provato a cercarlo proprio nella scuola. Alla reception avevano detto che il direttore si trovava a teatro, ma che per quel giorno le prove erano chiuse al pubblico. Nonostante non le fosse permesso, Gemma tentò di entrare dalla parte dei camerini, ma venne prontamente bloccata da una guardia.
«Signorina, dove pensa di andare? Se non ha il badge, non le è permesso l'accesso. Oggi le prove non sono nemmeno ammesse al pubblico.»
«Sì, me lo hanno detto, ma sono stata invitata qui dal Sajangnim. Mr Im.» Rispose sicura.
La guardia, sulla cinquantina, coreano e dai capelli ancora perfettamente neri la guardò di sbieco: «Ah … se è così. Ma purtroppo come posso essere sicuro di quel che dice? Chi è lei?»
«Sono ...» stava per dirlo. Stava per nominare una parola proibita. Non ne avevano ancora parlato, si erano solo promessi di aspettarsi una volta che lei sarebbe tornata in italia, ma questo non faceva di loro una coppia vera e propria o per lo meno non tanto da dichiararsi …
«E' la mia ragazza.» Affermò un uomo dietro la guardia. Era sopraggunto insieme alla solita volpe di collega. Doveva essere una sorta di vicedirettrice per essere sempre appiccicata alle chiappe del direttore. Kim Sae Bom prese a squadrare sia il chilometrico attore, sia la giovane ancora di fronte alla porta con aria seccata. Mentre Song Rok non si curava di sguardi altrui se non quello di Gemma. Continuando a fissarla negli occhi, si avvicinò a lei e le porse la mano, un cenno che voleva dire tutto.
Gemma strinse immediatamente quella grande, immensamente calda mano e si posizionò al fianco del giovane uomo.
«Ah! Sajangnim! Avevo capito che frequentava qualcuno da un po' di tempo ...», aveva preso a parlare la guardia, scusandosi quasi dell'aver fatto il pignolo con la fidanzata del capo, « … ma non immaginavo che si fosse addirittura fidanzato. Ha davvero una bella compagna, congratulazioni ad entrambi.»
Kim Sae Bom incrociò invece le braccia. «E da quando questo?»
«Mmmm ...» Song Rok alzò gli occhi al cielo in segno di riflessione, « … E' successo circa tre mesi fa. Ci siamo conosciuti proprio qui a teatro, ma non c'eravamo piaciuti molto. Poi per una cosa o per l'altra siamo usciti una sera e alla fine abbiamo concluso lì la nostra conoscenza, ma ...» abbassò lo sguardo verso Gemma Brizzi, che in quel momento taceva imbarazzata, « … stranamente la conoscenza è andata oltre e le rose sono sbocciate, diciamo così.»
La guardia sorrise compiaciuto. «Quando si dice destino, no?»
Il direttore annuì, «Sì, anche io credo sia stato destino, alla fine ci siamo incontrati per cause maggiori e anche la frequentazione è avvenuta non proprio per volere nostro. Eppure poi tutto si è trasformato in qualcosa di voluto.» Strinse ancora di più la presa su Gemma e la trascinò con sé. «Scusate ma noi abbiamo una cena molto importate. Vi lasciamo.»
Sae Bom afferrò il braccio di Mr Im appena gli fu davanti. «Cena?»
Lui con un'espressione indefinibile, rispose: «Del nostro anniversario!» Per poi scoppiare in una strana risata, punzecchiato dalla fidanzata, che cercava di intimarlo a smetterla. Era stata una vendetta sciocca.
Gemma si voltò a salutare le due persone rimaste indietro, prima che Song Rok la tirasse nuovamente a sé.


Ora poteva immaginare perché amasse il suo lavoro: potendo fantasticare di aver di fronte tutti posti occupati, si sentiva quasi un leone ruggente di fronte al caloroso sole al tramonto; un re seduto nel suo trono di fronte ai suoi sudditi. Era impressionante quanta energia e tensione si avvertisse da quella prospettiva.
Le aveva detto di aprire la porta di fronte a sé ed entrare per prima. E l'attesa rese Gemma ancora più nervosa. Improvvisamente si ritrovò sul palco, le tende tirate mostravano gli spalti e le luci l'accecavano.
«Wow.» Sospirò meravigliata di cotanta bellezza.
«Bello vero?» Proferì una voce alle sue spalle, nell'oscurità di un angolo del palcoscenico. Song Rok le si avvicinò, sfiorandole una spalla, per poi prenderle la mano e accompagnarla di fronte al tavolino al centro della scena. C'erano dei semplici fiori come centrotavola, posate e piatti eleganti, del vino e un carrello con vassoi coperti, dai quasi proveniva un profumino di tutto rispetto.
«Hai preparato tu tutto questo?» Chiese strabigliata.
Song Rok prese una rosa e si avvicinò alla ragazza. «Beh, diciamo che mi sono fatto aiutare.» Le diede quell'unico, bellissimo, fiore. Naturale, un bocciolo che doveva ancora sciudersi del tutto.
Lei sorrise compiaciuta, ricordando: «Ti avevo detto che non mi piacevano gli uomini pompati che regalavano mazzi su mazzi di rose.»
Lui si dimostrò disarmato, allargando le braccia e facendo spallucce, «infatti io ti regalo una singola rosa.» Fece sorridere Gemma, che si portò poi verso la sedia. Galantemente Mr. Im la fece accomodare e poi si sedette egli stesso. Non aspettò tanto: dopo averle versato del vino, rovistò nelle tasche del bel completo, tirando fuori una scatoletta dal rivestimento blu. «Non è un anello.» Cancellò dalla mente della ragazza ogni singola fantasia che oltrepassasse l'effettiva entità del loro rapporto. «Non ancora per lo meno.» Ci tenne però a specificare.
Gemma esitò prima di aprilo, ma venne spinta dal cenno del capo che fece il commediante. All'interno vi era un bellissimo bracciale d'argento, con due charmes d'oro giallo e rame raffiguranti due maschere teatrali. Una rideva e l'altra aveva un ghigno triste.
Im Song Rok le rubò la scatoletta dalle mani. «Spero ti piaccia. Dammi il polso.» Lei obbedì, così che lui potesse allacciarle il dono e in quel momento, Gemma notò lo stesso identico bracciale in mezzo a quelli che lui era solito portare.
«E' un bracciale per coppie!» Esclamò compiaciuta.
«Sì e l'ho scelto apposta. Non è solo il simbolo del mio lavoro, che amo.» Cominciò a spiegarle. Prese in mano il bicchiere e le fece segno di voler fare un brindisi. Accostarono così i bicchieri e poi sorseggiarono entrambi. «La rosa che ti ho dato è un bocciolo giusto?» Aspettò che lei annuisse, prima di continuare: «Come noi siamo quella rosa rossa, splendida ma ancora all'inizio della sua crescita, così siamo anche quei charmes che rappresentano anche il nostro incontro, qui a teatro. Avremo tempo per ridere e piangere assieme, o almeno questo è quello che spero.» Quelle parole alimentavano la speranza di un rapporto serio e duraturo in Gemma, anche se sapeva che tutti hanno quella prospettiva, all'inizio. «Inoltre … ti ho visto piangere, ridere e in qualche modo io ero accanto a te.» Teneva lo sguardo perso in qualche punto del tavolo, riflettendo sulle parole consigliate dai sentimenti. «Mi ci sono trovato senza volerlo in effetti. Perfino da estraneo, poi amico e infine … », sollevò in quel'istante lo sguardo verso la giovane donna, «Spero che anche tu in futuro potrai sostenermi nel dolore e conituare a gioiere con me. So che sembra una proposta di matrimonio.» Rise tra sé e sé. «Non lo è!» Disse spalancando gli occhi, come per mostrarsi spavantato, ironizzando sulla cosa. «Ma il fatto è che ti ho conosciuto in circostanze assai bizzarre e poi la cosa si è evoluta, i miei sentimenti sono mutati. Il mio cuore improvvisamente ha desiderato avvicinarsi sempre di più al tuo. Un tempo mi davi quasi fastidio, non me ne fregava niente di te, mentre ora … », allungò una mano, per afferrare quella di Gemma, «... se provi ad ascoltarlo, il mio cuore ...», con l'altra posizionò le dita della ragazza sul suo polso, « … appena ti guardo, cosa dice? Cosa sta dicendo il mio cuore?» Lei osservò prima quello sguardo intenso, poi i movimenti delle sue mani, il suo polso e rimase in attesa, in ascolto. «La senti la sua voce?»
Gemma tornò a guardare Song Rok nel momento stesso in cui percepì quei battiti, ricordandosi di come le aveva insegnato a comprendere i sentimenti di una persona con l'uso del sol tatto. Era successo alla loro prima uscita. Al primo esperiemento in quello che doveva essere la tattica per far tornare da lei il suo ex fidanzato.
«Cosa sta dicendo?»
«Batte forte.» Rispose.
«Esatto.» Song Rok mollò la presa, ma intrecciò le sue dita a quelle di Gemma, posando la mano sul tavolo. «Non ti posso promettere amore eterno. Chi lo sa il domani dove ci poterà? E quali cambiamenti avverranno. Nemmeno tu puoi essere sicura dei tuoi stessi sentimenti, giusto? Nessuno può. Posso prometterti però di esserci adesso e mettercela tutta per continuare a farlo anche in futuro.»
Annuì compiaciuta, trattenendosi nell'allargare troppo il suo sorriso. «Allora anche io ti faccio la stessa promessa.»
Lui ricambiò il sorriso dolcemente, per poi tornare improvvisamente serio. Posò la schiena alla sedia, rilassandosi in un sospiro, allontanando un po' la mano da quella della fidanzata. «Ora però arriviamo alla brutta notizia.»
Quell'annuncio la spaventò un tantino. Questa volta fu lei a spostarsi in avanti, per colmare la distanza appena imposta da lui. «Che succede?»
«Ho deciso di perfezionarmi. Prendere una pausa dal lavoro e tornare a studiare teatro. Lascerò a Kim Sae Bom le direttive per un po', perciò … non credo che starò a Seoul a lungo.» Confessò.
La ragazza si guardò intorno confusa. «Non credo che cambi qualcosa, visto che saremo comunque distanti. Almeno che tu non mi facessi la sorpresa di trasferirti in Francia o che ne so, Germania? Anche l'Inghilterra sarebbe meno lontana di Seoul voglio dire.» Ma lui stava già denigando. «E quale sarebbe il programma?»
«L'idea è di stare via per un anno forse di più se ce la faccio. Ho già avuto contatti con la sede e alcune persone si stanno occupando del mio inserimento in una scuola specifica. Parto tra un mese.» Era una maschera inacessibile in quel momento.
«Immagino che aver sperato per un momento che fosse l'Italia la tua meta, sia stata una cosa sciocca.» La buttò lì, non voleva essere una battuta, ma un semplice dato di fatto. Sì, per un attimo aveva sperato che avesse scelto il suo paese per questa avventura. Attese comunque di sapere qual'era il luogo designato.
Song Rok teneva gli occhi puntati verso il basso e li rialzò di scatto solamente dopo aver lasciato che il silenzio farcisse il dubbio di lei. Sollevò gli angoli della bocca, svelando così una seconda sorpresa, la più grande.
«Cosa vuol dire quel sorriso?» Anche lei stava sorridendo, involontariamente. «Ho paura di chiedertelo, ma … Non stai scherzando vero?»
Di nuovo oscillò la testa. «Affatto.»
Con una spinta la ragazza si alzò, facendo cadere la sedia all'indietro, girò il breve tavolo per andare a stringere la persona che le stava di fronte. Lui nel frattempo aveva cercato a sua volta di sollevarsi, ma venne rifatto sedere, quando le braccia della fidanzata lo strinsero forte. Gli saltò praticamente in braccio. E così lasciò che fosse lei la prima a scostarsi, lasciò che lei gli afferrasse il volto, stringendo le guance scarne, e che baciasse poi le sue labbra fine. Interruppe quel gioco di sorrisi e coccole quando Gemma cominciò seriamente a premere tanto da fargli male.
«Ma che modi sono!» Le disse guardandola con sguardo severa da quella breve distanza, «Mi stai facendo un tantino male, signorina. E poi non mi trattare come un bambino.» Le aveva afferrato i polsi, per farle mollare la presa dalla sua faccia. Lo sguardo cambiò, divenendo malizioso: Song Rok si protese verso di lei con uno scatto, per baciarla a modo suo, sinuosamente. Tornando ad accomodarsi sulla sedia, la fissò intensamente, tenendola ancora a bada, lontana, perché non riiniziasse a giocare con lui. «Voglio che tu sappia una cosa: questo viaggio serve di certo a me, ma è anche il primo passo che faccio verso di te Gemma.»
«E io allora? Cosa posso fare per te?»
A quella sua domanda Mr Im scattò, sollevandosi dalla postazione, obbligò anche la ragazza ad alzarsi dalle sue gambe. La sorresse quando questa stette per cadere, a causa della foga. Non lasciò nemmeno un momento le sue mani, conducendola a posarle sul tavolo e ad appoggiare il peso dell'intero corpo su di esso. «Non devi fare poi molto.» Sospirò, piegandosi su di lei, avvicinandosi al volto dell'amata, continuando a fissarla seriamente e intensamente. «Devi solo fidarti di me e starmi accato serenamente.» In quel momento la provocazione c'entrava poco, ma era così che appariva il volto di Im Song Rok. «Credi di potercela fare?»
Gemma Brizzi gli sorrise, abbassando poi lo sguardo sulle morbide e fine labbra. Scivolò via dalla presa delle sue mani, per poter allacciare le braccia al collo. Sospirò tornando ad osservarne gli occhi a mandorla. E non disse una parola. Delicatamente si scostò, sollevò le proprie mani, accarezzando con le dita la pelle liscia del sajangnim. Tornò a bloccargli il viso debolmente, per poi donargli uno dei tanti baci che ci sarebbero stati tra loro da quel momento in poi.






 
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Epilogo








Su una cosa non mi sbagliavo, mio caro diario: non ho scritto poi molto da quando sono arrivata a Seoul. Che avevo detto dal principio? Non sono in grado di tenere diari vari, nemmeno quello dell'alimentazione che obbligatoriamente mi faceva scrivere il dietologo. Sì, come tutte le ragazze, ho avuto un periodo di “mangio solo dolci quindi ingrasso” verso i quindici anni di vita.
Comunque, avrò riportato le mie problematiche quanto? Due? Tre volte? Mi sono sfogata poco con te quando ho rivisto dopo mesi e mesi Yon U, quando l'ho affrontato. Mi sono arrabbiata per l'incontro con quell'arrogante sajangnim, ma ho corretto col tempo il mio pensiero nei suoi confronti, cominciando a trovarlo simpatico e gentile. Ho pianto sopra le tue pagine rare volte, ma l'ho fatto. Scarabocchiando rabbiosamente alcune parti, in particolare mentre pensavo alla tizia in compagnia del mio ex. Ed infine ho dato di matto cercando di riportare a penna strane sensazioni, che non riuscivo a comprendere. Nemmeno tu mi eri di aiuto allora, ricordi? Ho scritto due righe sul mio strano stato emotivo e poi mi sono interrotta. Forse perché in quel momento non volevo davvero comprendere i miei sentimenti per … lui?
Su tutto il resto invece mi sbagliavo alla grande: queste pagine si sono tinte anche di tristezza, ma pure di novità e speranza, per quanto poco sia stata presente tra le tue righe. Diciamo che se fossi stata un'assidua scrittrice, la storia che avrei potuto raccontare, contrariamente a quanto pensavo, si sarebbe tinta di rosa e non di tenebra nera.
Eccomi qui dunque a scusarmi con te, come se tu fossi un'entità mistica, avessi pensieri propri e non fossi invece uno stupido quaderno dove annotare cose a caso.
Lontano dagli occhi lontano dal cuore. Certo è vero, ma non per questo si deve rinunciare nel provarci! Se si ha il coraggio di farlo, se entrambe le parti hanno la grinta per buttarsi, allora è già qualcosa. Le distanze poi si dovranno accorciare, logico! Ma nel frattempo proviamo a piccoli passi ad avvicinarci alla nostra meta!
Se c’è amore c’è speranza. Lo pensavo prima e ora che ho ritrovato quella cosa chiamata speranza, lo penso ancor di più.
Con l’amore si affronta ogni ostacolo. A volte si fallisce, ma sono ancora convinta in questo: se c'è amore vero si può scalare montagne insormontabili, ma in una coppia entrambe le parti devono dare il meglio di sé.
La gente è strana, prima si odia e poi si ama, cambia idea improvvisamente”, cita una canzone italiana. L’amore miracolosamente può sbocciare dall’odio o può trasformarsi pericolosamente in insoddisfazione. A volte inaridisce anche con una velocità piuttosto sorprendente … come può nascere in un lampo o coltivarsi nel tempo.
Consiglio invece di continuare a non credere nella favola “lui è quello giusto”. Obbiettivamente nessuno può davvero confermarlo! Nemmeno coloro che sono sposati da dieci anni hanno quell'assoluta certezza. Però diamo e diamoci fiducia. Se è il nostro cuore a volerlo, dobbiamo per lo meno provare a fidarci l'uno dell'altra. Sperando di aver trovato la persona adatta a noi, che voglia lottare con noi.
Tornare a Seoul non era certo una cosa prevista fin dall’inizio, non così tanto in fretta per lo meno, ma avevo bisogno di porre delle domande e di avere altrettante risposte. Tra lascrime e ferite rimarginate, ho trovato il modo di superare il cuore infranto e questo mi ha portato qualcosa di nuovo, qualcosa di inaspettato.
Non ti aggiornerò su di me, ma se vuoi ti lancio la news del secolo: Sarah stava per farsi mollare dal suo fidanzato. Sì hai capito bene! Questa volta è toccato a lei pregare in ginocchio un uomo e già che è riuscito nell'impresa colossale, direi che ha grandi possibilità di sposarsela. Non so quanto gli convenga però.
Ora sono seduta all'aeroporto di Incheon, in una diversamente comoda … ehmm, si tratta di una panchina questa volta e sono in partenza verso l'Italia. Si torna a casa e ci si lascia alle spalle il dolore. Ma devo dire che di questo avevo già iniziato a lavorarci parecchio tempo fa.
E ora ti saluto mio caro diaro, penso che sarai deposto definitivamente in un cassetto in qualche angolo della casa nuova che compreremo io e il commediate da strapazzo appena giungerà in Italia. Ops, ho detto anche troppo temo ...
Concludo incrociando le dita per una vita serena e gioiosa, quindi qui ci sta una citazione in coreano: aja aja fighting!



 
Fine.



 
Sperando che questa mia storia originale vi sia piaciuta,
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