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So che probabilmente dovrei aggiornare
storie e raccolte già iniziate, ma non ho saputo imbavagliare la mia
ispirazione (e soprattutto la mia prolissità ^^’’), perché mi piaceva vedere i
nostri eroi in un contesto diverso dal mio solito (Leggasi: lasciare un po’ in pace Merlin e tormentare
un Arthur emotivamente stitico).
Questa fic AU è
composta di dodici capitoli. È già tutta scritta in bozza e va solo limata.
Per dovere di cronaca: In questa
storia nessun cane è stato veramente maltrattato. Non posso garantire lo stesso
per Arthur…
Ah, il linguaggio è più colorito rispetto ai
miei standard, ma qui non siamo nel Medioevo.
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.
E ai
miei preziosi, pazzi lettori, che mi seguono in ogni follia (detto con tanto amoreh!)
E agli amanti del merthur, ovviamente.
<>O<>O<>
Waiting for you
Capitolo I
Arthur imprecò.
Poi parcheggiò l’auto, accostandola il più vicino possibile all’inferriata che delimitava la sua
proprietà, spense i fari e i tergicristalli che combattevano una guerra persa
contro il diluvio universale che s’accaniva contro il parabrezza,
successivamente girò la chiave nel cruscotto – il motore smise di fare le fusa
– e bestemmiò mentalmente per l’ennesima volta in quella giornata.
Dopo varie cose che erano andate male, come ultimo
imprevisto aveva dimenticato l’ombrello a casa, uscendo di
fretta all’alba, e nel tragitto dall’ufficio al posteggio aveva rotto quello
che Gwen gli aveva gentilmente prestato. Certo, era stata una raffica di vento
bastarda a renderlo inutilizzabile, ma questo non lo faceva sentire meno in
colpa.
Arthur sbuffò, selezionando in anticipo, dal mazzo, la
chiave per aprire il cancelletto e limitare la sua permanenza alle intemperie. Quindi risollevò il bavero dell’impermeabile zuppo e si
risolvette a raggiungere la sua agognata dimora.
“Ma che cazzo…?” si lasciò sfuggire, appena messo piede nel
vialetto, stringendo le palpebre per mettere a fuoco – fra la pioggia, la
nebbia e le tenebre della sera – osservando la massa informe sul suo tappeto ‘welcome’ sotto al
porticato buio. Un topo! Un
dannato sorcio davanti alla sua porta!
“Morgana stavolta me la paga!” ruggì, irrazionalmente,
contraendo la mascella perfettamente rasata.
Non era passato neppure un mese da che aveva traslocato lì,
per assecondare il suo consiglio – un tenero eufemismo per definire il raggiro che sua sorella aveva ordito a
suo danno.
Quella località doveva essere come la versione costosa di Wisteria
Lane, solo senza casalinghe disperate, intrighi, morti e Diosolosapevacosa.
Finora, invece, nel suo angolo
di paradiso aveva trovato unicamente fastidiosi bambini urlanti – gli
avevano quasi rotto un vetro, la settimana precedente, giocando a pallone in
strada –, uno stuolo di vecchiacce impiccione e di cougars pronte ad affondare gli
artigli su di lui e sui suoi soldi – no,
grazie.
E ora?
Un po’ di pioggia
aveva fatto risalire i ratti dalle fogne? I tombini erano già intasati?
Arthur maledisse il mondo e si decise a cacciare quel
viscido abusivo dalla sua proprietà, poi avrebbe fatto un esposto
all’amministratore del quartiere o qualcosa del genere.
Il fatto era che, essendo nuovo di lì, non aveva ancora ben
chiaro come, dove e soprattutto con chi,
potersi lamentare a dovere.
Brandendo l’ombrello rotto come avrebbe fatto un cavaliere
medievale con la propria spada – o come un poliziotto con uno sfollagente – si
avvicinò risoluto.
E fu allora che si accorse che il topo non era un topo.
Cioè… era un topo, ma
un topo-cane.
Lo stesso topo-cane che ora guaiva e scodinzolava verso di
lui, grondando pioggia e bava sul suo tappeto immacolato.
Arthur gemette interiormente e si chiese a chi avesse pestato i piedi nella sua vita precedente, per
meritarsi tutto questo.
Ma, poiché ovviamente nessun Dio
gli avrebbe risposto – non in tempo utile, perlomeno – egli si guardò attorno,
spaesato, cercando di capire come, quando
e perché.
Perché, cazzo, quel
botolo pulcioso era finito sulla sua soglia?
Perché?!
Sul come e il quando poteva soprassedere.
Era ovvio che avesse cercato riparo da quel diluvio e si
fosse intrufolato fra le sbarre della recinzione.
Magro com’era, quel cucciolo non aveva trovato alcun
impedimento.
Arthur si appuntò mentalmente di fare una lunga, colorita
predica al padrone sconsiderato di questa bestia. Poi, magari, gli avrebbe
anche messo in conto i danni morali e si sarebbe fatto risarcire per il
disturbo.
Incurante del suo malumore, il cagnolino abbaiò,
sollevandosi dal tappeto per andargli incontro e a nulla erano valse le sue
proteste e una serie di urlati “A cuccia!” che vennero
puntualmente ignorati.
Arretrando a disagio, Arthur era tornato verso il
cancelletto, scrutando inutilmente in ogni direzione con la speranza di
scorgere qualcuno. Il proprietario
dell’animale, magari.
Purtroppo per lui, a quell’ora non v’era
anima viva in giro.
L’ora di cena era passata da un po’ e quel clima (lugubre)
tipicamente tardo autunnale avrebbe dissuaso chiunque dal praticare jogging o
anche solo dal fare una breve passeggiata serale, per favorire la digestione.
Arthur gemette, facendo da contraltare ai mugolii del cane.
Passandosi una mano fra i capelli zuppi d’acqua, esalò un sospiro esausto.
Non poteva restarsene
lì, sotto alla pioggia ghiacciata, rifletté,
innervosito. Odiava essere così
impotente.
A lui piaceva
comandare, non subire le cose.
“D’accordo”, esalò infine, arrendendosi, e facendo
dietro-front verso l’entrata e verso il cucciolo che, vedendolo riavvicinarsi,
aveva aumentato i guaiti e lo scodinzolio.
“C’è poco da festeggiare, sai?” lo rimproverò, retorico, con
un tono burbero che non ebbe l’effetto sperato.
Arthur contò fino a dieci e gettò in un angolo l’ombrello di
Gwen che si era scordato di tenere ancora in mano.
Successivamente, si chinò verso il pavimento
e, raccolto il botolo in una mano – davvero, davvero!, era così piccolo che stava quasi tutto in un palmo –, si
decise ad aprire la porta, spense l’antifurto e accese le luci di casa.
Poi posò a terra lo sgradito ospite e questo, appena libero,
pensò bene di scrollarsi tutto il manto zuppo, inzaccherando ovunque con acqua
e fango.
“No, no!, NO!” protestò
Arthur, impotente di fronte a quella scena.
In un attimo, era già troppo tardi.
Pulendosi dalla guancia uno schizzo marrone – che sperava
ardentemente fosse solo terra – con
il dorso della mano, Arthur considerò seriamente di fare stufato di topo per cena.
Poi, fulminando con lo sguardo il seccante visitatore, che
ancora scodinzolava osservandolo di rimando, si rassegnò a sfilarsi di dosso
tutti gli abiti appiccicati e gelidi, calzini compresi. Solo dopo avrebbe
pulito tutto quel casino.
“Resta fermo lì!” ordinò al topo-cane, mentre correva verso
il bagno e quasi scivolava nella fretta.
Quando tornò, con un asciugamano per sé e uno per la bestiola,
nel punto in cui l’aveva lasciata non c’era più
niente.
“Oh, dannazione!” imprecò, guardandosi attorno. Ma nulla, non v’era
traccia dell’intruso.
“Ehi!” lo richiamò, più con esasperazione che con speranza.
Non ricevendo risposta, considerò che un tono arrabbiato non avrebbe giovato a
nessuno.
“Cane-topo!
Tooopo-cane!” ritentò, più suadente, accucciandosi
sul pavimento, malgrado fosse quasi nudo, per scrutare sotto alla
mobilia.
La palla di pelo infangata s’era
nascosta, tutta tremante, sotto al divano di pelle.
Arthur sospirò, in parte sollevato, mentre allungava una
mano e con poca gentilezza lo trascinava fuori dal nascondiglio.
Quando il cane, impaurito, tentò di difendersi mordendolo,
egli snocciolò una fila di parole irripetibili, poi lo
afferrò per la collottola e lo spinse di malagrazia sull’asciugamano e strofinò
il pelo sporco e fradicio con gesti sbrigativi, ignorando i lamenti
dell’animale.
“Così impari!” l’aveva sgridato, con senso di rivalsa e, ben
presto, la bestiola s’era rassegnata a subire.
Fu a quel punto che lui si pentì di come si stava
comportando e, rallentando la frenesia dei gesti, ci mise un po’ più di riguardo.
Man mano che toglieva gli strati di sporco, sotto alla fanghiglia bruna andava riscoprendo un folto pelo bianco,
immacolato.
Quasi con un colpo di testa, lo trasportò verso il lavello e
sotto all’acqua tiepida lo lavò con cura, riportando tutta la pelliccia al suo
colore originario.
Questa volta, il cane non oppose alcuna resistenza, come se
fosse un’abitudine, per lui, lasciarsi fare quel trattamento.
Dopo averlo asciugato per bene col phon a bassa potenza,
Arthur rimirò l’opera conclusa e non riuscì a trattenere una risata, perché le
dimensioni del mantello erano raddoppiate, come i riccioli, e quello che aveva
raccattato era diventato un topo-cane-pecora.
Ma almeno non si sarebbe ritrovato
con melma sparsa in tutta la casa, considerò, anche se adesso era lui, quello bisognoso di una buona ripulita.
Si frizionò almeno i capelli,
desiderando ardentemente una lunga doccia bollente, che avrebbe dovuto
rimandare ancora un po’.
Era una fortuna che, tra impegni e pigrizia, avesse
dimenticato di gettare via alcuni scatoloni vuoti del recente trasloco.
Afferrando il cucciolo sottobraccio, si diresse scalzo nel
sottoscala e ne agguantò uno. Dopo averlo riportato in salotto, lo foderò con
dei giornali – un uso proficuo del Financial Times, dopotutto – e finalmente adagiò la
bestiola all’interno.
Suddetta bestiola non fu particolarmente felice della sistemazione, ma Arthur preferì ignorare i suoi guaiti di
protesta e non si lasciò intenerire, mentre considerava se fosse meglio
lasciarla lì o trascinarsela in bagno, per tenerla d’occhio.
Fu la doccia più
veloce e insoddisfacente della sua vita, ma non sarebbe mai riuscito a
rilassarsi sapendo di avere una potenziale, pelosa bomba a orologeria
abbandonata a se stessa nel suo salotto.
Arthur si infilò in fretta un paio
di boxer e una maglia a rovescio, poi ritornò a verificare lo stato del cane,
ancora immerso nella sua irrequietudine e in guaiti paragonabili ad un gesso
che strisciava su una lavagna d’ardesia. Aveva anche tentato una personale fuga
da Alcatraz, ma la scatola aveva i lati troppo alti e
il cartone era troppo spesso e pesante per essere sfondato o rovesciato. Era una prigione perfetta.
Arthur si congratulò con se stesso. Poi meditò il da farsi.
E in quel mentre il suo stomaco protestò.
Dovette riconoscere che ragionare a pancia piena era più
produttivo, perciò prese dal congelatore un pasto precotto e lo infilò nel forno,
quindi rovistò nei pensili, trovando dei vecchi contenitori di cibo da asporto.
Erano delle ciotole un po’ misere, ma improvvisando bisognava avere spirito di
adattamento.
Ciò nondimeno… con
cosa l’avrebbe sfamato?
Ne riempì una d’acqua fresca e una di latte, lanciando al
botolo uno sguardo sbieco.
Era un cucciolo, perdìo!, tutti i cuccioli bevevano
sempre latte, no?
Fu ricompensato dal leccare rumoroso del cagnolino, che
spazzolò tutta la terrina fino all’ultima goccia, finendo persino per
rovesciarla, nella foga dell’ingordigia.
Mentre sbocconcellava il proprio pasto, Arthur gliela riempì tre volte, sperando sinceramente che quello non fosse
un errore.
Lui non ne sapeva
niente di cani, men che meno di cuccioli.
Ma ormai, per quella notte, era stato costretto ad ospitare la bestiola; l’indomani, però, avrebbe dovuto
darsi da fare e ritrovare chi lo aveva smarrito.
L’oggetto delle sue riflessioni, ignaro di tutto, si stava
ora curando il pelo leccando la zampina sinistra, tutta pelosa e soffice.
Fu quasi per caso che Arthur si accorse che qualcosa non
andava.
Afferrò l’animale e lo trasportò sotto alla
luce della lampada, per controllare meglio.
L’aveva lavato e asciugato con cura, eppure non si era affatto accorto della sbucciatura vicino allo
sperone.
Non stava sanguinando, ma sicuramente andava curata per scongiurare possibili infezioni e lui non aveva la più
pallida idea di come fare.
Doveva mettere una
delle pomate per umani? E se il cane l’avesse leccata? L’avrebbe avvelenato?
Doveva bendarlo? Sì, ma con cosa? Era pronto a scommetterci che una normale
fasciatura sarebbe stata rosicchiata in un batter d’occhio da quei dentini
acuminati.
E l’ansia gli stava
salendo.
Non era mai stato abituato a doversi prendere cura di
qualcuno o di qualcosa. Sicuramente non così dipendente in
maniera continua e vitale, come nel caso di un cucciolo. Un solo errore
poteva ucciderlo e lui non voleva nessuno – nessun
altro – sulla coscienza.
Arthur si concesse un pensiero fugace alla madre morta
dandolo alla luce.
La scomparsa improvvisa di YgrainePendragon aveva irrevocabilmente segnato le loro
vite.
Suo padre non aveva mai superato il lutto per la perdita
dell’amata moglie e aveva scelto di non risposarsi più, né di rifarsi una nuova
vita. Si era gettato anima e corpo nel lavoro – l’enorme azienda di famiglia –
per soffocare la disperazione.
Non si era creato nessun altro legame, per non dover
soffrire ancora. Nessun legame, di nessun tipo.
Era come una regola non scritta ma inderogabile: se non vi erano nascite, non ci sarebbero state morti. Niente arrivi, niente partenze.
Quindi, per estensione, se lui e Morgana non possedevano
animali a cui affezionarsi, non avrebbero pianto alla
loro scomparsa.
Queste erano le
convinzioni di Uther.
A suo modo, però, aveva anche deciso come allevare i propri
figli e li aveva condizionati con le sue idee.
E così Arthur e sua sorella erano cresciuti senza alcun
animale da compagnia e con pochi, selezionati amici in comune – generalmente,
figli di conoscenti di famiglia o soci dell’azienda.
Lui ricordava un’unica occasione, nella loro infanzia,
quando una giovane tata – da poco assunta – li aveva accompagnati al luna park e, su insistenza del piccolo Arthur, avevano giocato e
vinto due pesci rossi.
Erano durati esattamente tre giorni – un tempo troppo breve per creare qualsiasi legame affettivo –, prima che la loro
boccia fosse sparita con una generica spiegazione sul fatto che erano morti.
Pur non possedendo le prove, Morgana gli aveva instillato il
sospetto che la loro governante avesse ricevuto dal loro padre l’ordine di
versare della candeggina nell’acqua per eliminare il problema alla radice.
Arthur non avrebbe più potuto chiedere nuovamente alla tata
di riaccompagnarlo alla bancarella, perché anche lei era stata rimossa dal suo
incarico.
Uther aveva combattuto ogni
ribellione dei suoi figli, proseguendo nel suo convincimento che
l’imperturbabilità fosse la via migliore per il quieto vivere.
E così Arthur, per non deluderlo, aveva finito con
l’incapacità di legarsi sentimentalmente a qualcuno; non in modo serio, perlomeno.
Morgana, di contro, era fuggita
dalle maglie del controllo paterno e aveva sposato il primo uomo che l’aveva
ricambiata. Aveva scelto Leon perché lo amava, sì. E perché non era abituata all’amore. Non sapeva davvero cos’era.
La sua fortuna era stata quella di trovare un uomo onesto e
sinceramente interessato a lei e non ai suoi soldi.
Perché, sebbene fosse Arthur l’erede designato della
Dinastia Pendragon, Morgana restava ancora
schifosamente ricca.
Ma il buon Leon la desiderava per
ciò che era e non per i soldi che si portava appresso e che, anzi, spesso la
precedevano.
Arthur s’era perso in quei ricordi
e fu il tenero morso del cucciolo a riportarlo alla realtà.
D’accordo,
considerò, subendo le pigre lappate e la lingua rasposa
sulle sue dita. Niente panico.
Sarebbe riuscito ad occuparsene per una notte senza ucciderlo, no?
In fondo, col latte se
l’era cavata beniss-
Arthur sgranò gli occhi, lanciando uno sguardo alla
confezione ancora sul tavolo.
Gli aveva fatto bere latte di riso, perché lui era
intollerante al latte vaccino!
Oh, Gesù! Tre intere
tazze, tre tazze colme! Tre- inspirò, cercando di
calmarsi. Il cucciolo pareva vivo e vegeto. Quindi
forse non era niente di grave. E poi il
latte era latte, eccheccazzo!
E poi i cuccioli mangiavano sempre un sacco di schifezze e- d’improvviso
rammentò uno dei discorsi inutili della sua ex, qualcosa sul fatto che, da
quando una sua amica era improvvisamente diventata vegana, aveva costretto
anche i suoi cani a quella dieta e le colazioni erano per tutti a base di avena
e latte di riso e soia alternati.
Quindi, a rigor di logica, lui non aveva commesso niente di irreparabile.
Ad ogni buon conto, avrebbe
interpellato immediatamente Gwen, perché ricordava
che suo fratello possedeva un gatto. Avrà
avuto un fottuto veterinario, no?
Fu dopo il nono squillo che Guinevere
rispose, assonnata.
Lui non aveva neppure controllato l’ora, ma si avvide che
erano solo le dieci di sera, ed era un venerdì sera. Chi diamine andava a letto come le galline?
“Arthur?” lo chiamò lei, stranita.
Lui inspirò e prese coraggio.
“Ho un problema. In realtà, due”, premise, decidendo di prenderla
larga e di alleviarsi la coscienza. “Può essere che il tuo ombrello
abbia subito un ingente danno strutturale e…”
“Oh!” ansò Gwen, costernata. “Era
il mio nuovo regalo di compleanno da parte di Elyan”.
“Allora tuo fratello è uno sporco
spilorcio, ti ha preso una schifezza di regalo. È bastato un soffio di
vento per...” Era sempre più facile attaccare che
difendersi. “Con quello che lo pago, poteva acquistartene uno migliore!” l’accusò.
“D’accordo. Qual
è il vero problema?” Tagliò corto Gwen, sbadigliando.
“È che, vedi… sono solo con-con”
Arthur tentennò, a disagio, e spostò il cordless
nell’altro orecchio “un cane e non so che fare!”
“Certo che sei solo come
un cane, Arthur”, gli fece eco Guinevere. “Perché hai
voluto tagliare i ponti con tutti, dopo la storia di Vivian…”
“No, Gwen. Ho un cane”, ripeté, preferendo ignorare
l’accusa – vera? tzé,
lui stava benissimo così! – “L’ho trovato davanti a casa e…”
“Un cane? Un cane?!Un cane… da te?”
Arthur roteò gli occhi.
“Sì, Gwen. Un cane. Hai presente?”
“Beh, sì, ma tu…”
“Infatti sto chiedendo aiuto a te. Hai il nome di un buon veterinario?”
“Pensi di tenerlo?”
“Ovviamente no!” negò ferocemente, prima di lanciare
un’occhiata colpevole al cucciolo che stava trotterellando davanti a lui, sul
tappeto. “Non lo so…” ammise infine, con un sospiro. “Non è neppure una
possibilità. Avrà sicuramente un padrone che ora è in pensiero e io non so niente di cani. Ma è
meglio farlo vedere. Per ogni evenienza. Metti caso che anche
io debba farmi vedere da un medico, se mi ha appiccato qualche malattia…
chessò…”
“Il dottor Emrys è bravissimo! Ha
fatto miracoli con la dermatite di Lance!”
“Con chi?”
“Lancelot, il mio pesciolino…”
“I pesci possono avere la
dermatite?”
“Sì, e bisogna spalmarci una crema per farla guarire… Altrimenti
le squame-”
“Guarda, non voglio altri particolari…” esclamò, con raccapriccio.
“Mi dai il numero?”
“Ho il suo biglietto da visita in cucina, ma ho già tolto le
lenti a contatto e devo cercare gli occhiali, aspetta…”
Arthur si distrasse e un rumore improvviso di cocci lo
richiamò. Un soprammobile – il dannato, costosissimo
Vaso Ming della collezione di Morgana – era in frantumi.
“Gwen? Gwen,
dettamelo!, sono certo che tu non sia così cieca da non poter distinguere le
cifre!”
E in fretta trascrisse su un foglietto il numero
dell’ambulatorio.
Ma quella sarebbe stata una lunga notte.
Continua...
Disclaimer:I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Nella storia c’è un riferimento a Wisteria
Lane: l’immaginario, elegante quartiere residenziale del telefilm ‘DesperateHousewives’,
a ‘Cougar Town’, e al film omonimo ‘Fuga da Alcatraz’.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le anteprime
con un entusiasmo che mi commuove.
Note: D’accordo. Posso
giurarvi che ogni cosa avrà una spiegazione. Vi prego di non picchiare
preventivamente l’Asino (o l’autrice) per i suoi modi poco garbati e diamogli
il beneficio del dubbio, eh?
Ho volutamente evitato di mettere immagini sul cane che ho
scelto, per facilitarvi l’immedesimazione con la descrizione di Arthur. Al
momento opportuno, vi mostrerò tutto.
La colazione vegana per cani è davvero come quella che ho
descritto.
Lo sperone del cane è l’escrescenza posteriore nelle zampe,
quello che – in origine – doveva essere il quinto dito dell’animale. Può essere
in tutte e quattro le zampe, oppure solo in quelle anteriori o posteriori, a
prescindere dalla razza.
I pesci possono davvero avere la dermatite. Credevo fosse
una barzelletta, finché non ho visto una mia amica usare la pomata antibiotica.
XD
Ecco.
Adesso che ho fatto la puntigliosa con le note, posso confessare che sono tutta
fremente e ansiosa!
Spero
veramente che questo nuovo progetto possa incuriosirvi e piacervi, almeno
quanto mi sono divertita io a scriverlo! *_*
Anticipazione del
prossimo capitolo:
Forse Arthur s’era distratto un po’
troppo, perché finì per cozzare contro l’oggetto delle sue riflessioni.
“Sei sempre così mattiniero, Arthur?” si sentì apostrofare, in modo del tutto inaspettato.
Fu un sorriso gioviale ad accoglierlo, e una mano allungata,
pronta per essere stretta.
Dio, ma quelle
orecchie erano finte, o cosa? Servivano per distrarre gli animali durante le
visite?!
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie): Linette 79 arriverà fra qualche
giorno.
Campagna di Promozione Sociale -
Messaggio No Profit:
Dona l’8‰
del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede) Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
Ecco, come promesso un aggiornamento
caricato in fretta! Contenti? ^^
Ho solo una cosa da dire… ogni comportamento avrà la sua spiegazione, come vi
ho già anticipato nella precedente premessa.
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.
Un pensiero speciale a chi
ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).
Non si poteva certo dire che Arthur non avesse chiuso occhio
quella notte.
L’aveva chiuso, sì.
E riaperto qualcosa come trecento
volte.
Per controllare che tutto fosse a posto, che il cane stesse
bene o che la casa stesse bene. O che lui stesse bene.
Ogni piccolo rumore lo destava. Lo innervosiva. E finiva per
alzarsi e andare a controllare.
La guerra era iniziata all’ora di coricarsi.
Arthur aveva il fermo proposito che nessun animale avrebbe
soggiornato in camera sua, perché non era
igienico.
Per questo motivo, malgrado i
guaiti infiniti e le lagne strappalacrime, era stato irremovibile.
Aveva posizionato lo scatolone in
un angolo del salotto e aveva spento l’illuminazione, augurando la buonanotte
al cagnolino.
Poi se n’era andato in bagno e, lavati i denti, aveva
affondato il suo corpo sfatto nel letto, sotto al morbido
piumone, considerando che, entro breve, avrebbe dovuto sostituire questo a
mezza stagione con quello invernale, più grosso.
Nel silenzio che doveva regnare – normalmente, solo il
ticchettio della sveglia scandiva il tempo – il cane non aveva ancora smesso di
ululare.
Arthur considerò che ci sarebbe voluto un po’ perché la
bestia si calmasse (o si rassegnasse,
ma dipendeva dai punti di vista).
Dopo un’infruttuosa mezz’ora, sospirando, egli si risollevò
e, non appena riaccese il lampadario del salotto, fu accolto da un festoso
scodinzolio e da un richiamo ancor più forte, ma meno lamentoso.
“Non esiste che si dorma con le luci accese!” l’avvertì, perentorio, schiacciando i pugni sui fianchi, per
sembrare più intimorente.
D’improvviso, fu
travolto dal ricordo di come, quand’era ancora bambino, suo padre
ci aveva messo poco a fargli passare qualsiasi paura del buio. E qualsiasi
protesta stroncata sul nascere, per buona misura.
Ma ricordò anche le
infinite notti – soprattutto quelle coi temporali – passate
rannicchiato sotto alle coperte a piangere in silenzio, fino a quando Morgana
non sgattaiolava al suo fianco, abbracciandolo, consolandolo. E poi, appena lui
si addormentava, lei tornava furtivamente nella propria stanza. E nessuno
avrebbe dovuto dire niente. Nessuno doveva conoscere quel
loro piccolo segreto.
“Oh, d’accordo!” sbottò allora, cliccando sul pulsante della
lampada a stilo accanto al divano – quella che usava per leggere da sdraiato.
Un lucore discreto si espanse nella
stanza, sostituendo il chiarore più potente.
Il cucciolo si guardò attorno, fissando da oltre il bordo
dello scatolone la fonte luminosa.
“Questa è la mia massima concessione!” decretò Arthur, senza
attendere replica, girando sui tacchi e tornandosene a letto.
Fece appena a tempo ad atterrare sul materasso, sospirando,
pregustando un buon sonno, quando il piagnucolio riprese identico a prima.
“Eh, no!” borbottò, intestardito a non dargliela vinta.
Ora che l’animale non era più al buio, lui aveva tacitato la
propria coscienza e avrebbe atteso che la bestiola si adattasse alla solitudine
per quella notte…
Ma, anziché diminuire, i latrati
aumentarono d’intensità, come un costante, cocciuto richiamo.
Arthur imprecò, infilandosi le ciabatte e andò dritto in
sala con il preciso scopo di fare una ramanzina al suo molesto ospite pulcioso.
“Shh! Devi fare silenzio o sveglierai tutto il
vicinato!” lo sgridò, allorché il cane, vedendolo
ricomparire, aveva preso ad abbaiare festoso. “Fai
si-len-zio!” scandì nuovamente (e inutilmente), sentendo gli ultimi rimasugli
di pazienza gocciolare via. “BASTA!” urlò, quindi, zittendo
incredibilmente la bestia.
Incredulo anch’egli per il risultato ottenuto, pensò bene di
battere in ritirata strategica, prima di una nuova, possibile controffensiva.
La tregua sembrava tenere, con sua enorme soddisfazione
personale, e Arthur scivolò nelle maglie del sonno, coprendosi le orecchie col
cuscino, per precauzione.
Fu un rumore estraneo a destarlo. Non sapeva esattamente per
quanto avesse dormito – la sveglia gli rivelò, beffarda, che non erano passati
neppure venti minuti da quando era crollato.
Arthur affinò l’udito, per capire la provenienza del brusio.
C’era un rumore di cartone rosicchiato – senza dubbio – e un
basso mugolio sussurrato che gli sembrava provenire da una direzione diversa
dal salotto. Che la bestiaccia fosse
riuscita a scappare?
Invocando forza, egli si risollevò, avvicinandosi cautamente
e il più silenziosamente possibile per spiare il cane. Non voleva farsi sentire
e, soprattutto, non volevareinnescare l’incresciosa situazione precedente.
Purtroppo per lui, non aveva fatto i conti con l’udito
sopraffino del quadrupede, che subito drizzò le orecchie, richiamando la sua
attenzione abbaiando.
Visto che era stato scoperto, Arthur
gli si avvicinò, constatando che suddetta bestiaccia si era intrattenuta strappando
tutti i fogli del giornale con cui aveva tappezzato la cuccia improvvisata.
Egli pregò solo che non ne avesse ingoiato qualche pezzo e
non morisse soffocata.
Inspirando dal naso, il giovane Pendragon
si rassegnò ad eliminare la fonte di pericolo,
sostituendo il rivestimento con una vecchia maglia rovinata.
Incredibilmente, ciò fece la felicità del topo-cane, che
subito se lo tirò addosso, azzannando la manica, ringhiandole giocosamente
contro, mentre la sbatacchiava qua e là, scuotendo la testa pelosa come se la
stoffa fosse stato un giochino divertente o una preda
da stordire e sconfiggere.
Arthur si rimproverò per non aver offerto prima un distraente all’animale.
Col cuore più leggero, lo lasciò al suo nuovo passatempo,
agognando un sonno lungo e inconscio fino all’indomani.
Purtroppo per lui, il giochino venne a noia presto, e presto erano ripresi i piagnucolii.
Arthur si strofinò di malagrazia la faccia col palmo della
mano, per scacciare il torpore che lo invitava, suadente, a cedere ancora alle
lusinghe di Morfeo e ad ignorare tutto il resto...
Sollevandosi a fatica, decise per una parziale
riconsiderazione – il suo intransigente orgoglio poteva capitolare un pochino, pur
di ottenere qualche ora di meritato riposo dopo una settimana allucinante in
ufficio.
Agguantando lo scatolone, lo trasportò dal salotto al
corridoio, di modo che il cucciolo potesse sentirsi meno solo ascoltando il suo
respiro. E forse il suo russare, si
disse.
Per sicurezza, egli lasciò anche accesa la plafoniera più
lontana, perché la luce diretta lo infastidiva, poi accostò la porta della camera da letto e s’impuntò che quella, per quanto lo
riguardava, sarebbe stata l’ultima cortesia verso quel botolo rognoso.
Ma non lo fu.
I brontolii del cucciolo e i rumori che produceva
lo avevano svegliato altre cento volte, quella notte.
E mentre aveva dormito – un sonno agitato e nervoso – gli
incubi lo avevano perseguitato.
Aveva sognato che la bestia aveva rosicchiato le gambe di
ogni mobile, della tavola, del sofà.
E l’imbottitura squarciata del divano e anche delle
poltrone.
E le tende strappate.
E la pipì ovunque.
E a metà notte la bestia era diventata un topo per davvero…– seriamente, doveva smettere di guardare le
repliche dei Gremlins – …un topo che abbaiava.
Arthur si era risvegliato di soprassalto, ansimando, tutto
sudato.
E non aveva resistito a controllare che, effettivamente, quello fosse stato solo
un parto malsano della sua fantasia.
C’era stata una vocina subdola, nella sua testa, che gli
sussurrava che sì, se lo avesse lasciato da solo, quel mostriciattolo sarebbe
stato devastante quanto Ciuffo Bianco.
Così, dopo nuovi guaiti infiniti, dal salotto al corridoio… la
scatola era strisciata sino al fianco del letto.
Alla fine, quel
dannato cane aveva vinto.
Ma solo per questa notte! Tzé!, bofonchiò Pendragon, con l’amor proprio ammutinato e un’emicrania
lampeggiante.
Fulminandolo con un’occhiataccia (ma si rendeva conto da sé
che, con gli occhi cascanti e le palpebre gonfie, non sarebbe sembrato molto
intimorente), Arthur spense ogni luce e concentrò l’attenzione sul veloce
ansare che faceva da contraltare al suo respiro.
Un’ultima sbirciata a mezz’asta, prima di
piombare nell’oblio, sfinito per davvero.
***
Non era neppure l’alba, quando Arthur si destò.
Sentiva la sua palma destra affondata in qualcosa di caldo e
soffice, qualcosa che si muoveva piano, vibrando.
Approfondì cautamente l’ispezione, toccando in punta di dita
qualcosa di viscido e freddo. E bagnato.
L’istante dopo, qualcosa gli leccò generosamente la mano.
Arthur sgranò gli occhi e ritirò in fretta l’arto a penzoloni oltre il bordo del letto, quindi scattò a
sedere, ma un capogiro lo costrinse a ridistendersi.
Dio, si era istintivamente
pulito l’orrida bava sul piumone e adesso avrebbe
dovuto bruciarlo!
Ma ormai il danno era fatto e, riprendendo
coraggio e imprecando contro il mondo, egli si sporse, piano, oltre la sponda
e…
E la bestia lo guardava.
Di
già.
Tutta bella e arzilla, scodinzolava
festosa verso di lui.
Che avesse fame?
Ma non bisognava dare da mangiare ai cani dopo
la mezzanotte.
No, quelli erano i Gremlins.
Gemendo di raccapriccio, si ripulì l’ultimo residuo di saliva
dalla mano – fanculo, peggio di così! – e tentò di dormire
ancora un po’, il giorno sembrava ancora tanto
dannatamente lontano.
Riuscì persino ad appisolarsi un po’, anche se non sapeva per
quanto.
Forse, invece, aveva solo immaginato di riuscirci, perché il
borbottio di sottofondo era snervante, come i graffi delle unghiette sul
cartone della scatola.
Pertanto, di colpo, con la misura colma, Arthur gettò via le
coperte e afferrò il cordless lasciato sul comodino,
per chiamare quel dannato veterinario – perché poteva aver accolto in casa una
collezione di disgrazie, un untore, un’arma batteriologica mortale e infettiva
a quattro zampe (nella sua mente passarono parole grosse come scabbia, pulci,
zecche, pelo, bava, rabbia, vaiolo, toxoplasmosi) – suo padre avrebbe potuto diseredarlo per questo.
Di sicuro, quel famigerato medico gli avrebbe detto come
smaltire il problema con un canale convenzionale, eccheccazzo!
Compose il numero in fretta, prima di cambiare idea.
“Pronto?” borbottò una voce, chiaramente assonnata, al
settimo squillo.
“Salve, ho bisogno di un appuntamento!” esordì Arthur, quasi
spazientito.
“Ma lo sai che ora è?”
“Non importa! Il mattino ha l’oro in bocca!”
“A quest’ora anche il mattino è ancora a letto…” ironizzò
l’accento maschile all’altro capo del telefono. “Devi chiamare in ambulatorio dalle 9.00 in poi…”
“No, ehi! Senta,
guardi-” si agitò.
“È un’emergenza?” il tono si fece serio d’un
colpo, il sonno passato.
“N-no…” borbottò Arthur, a
malincuore. E poi l’occhio cadde sul disastro nello scatolone, e l’emicrania
non gli dava tregua. “Sì, lo è”, ritrattò.
“È una mezza emergenza. Voglio prenotare un appuntamento, per oggi”.
Incredibilmente l’uomo rise.
“D’accordo. Vieni per mezzogiorno. Ma ci
sarà da aspettare…”
“Va bene. Grazie”,
e riattaccò.
Solo dopo averlo fatto, Arthur aveva realizzato
che probabilmente Gwen – mezza ciecata
– gli aveva dato il numero di reperibilità a casa, non quello dello studio. E
lui, non meno distrattamente, non aveva neppure dato
il proprio nome per fissare l’incontro.
Ad ogni modo, poiché di dormire ancora
non se ne parlava proprio, fece colazione con un paio di antidolorifici e
decise di compiere il giro dell’isolato con la bestiaccia in braccio, nella
vana speranza di ricongiungersi con il disgraziato padrone.
Poco importava che fosse sabato mattina in un quartiere residenziale
e che neppure i galli avessero finora cantato (se mai lì ce ne fossero stati,
metaforicamente parlando), perché erano ancora ben chiusi dentro al loro pollaio, sognando le proprie gallinelle.
Arthur non aveva incontrato anima viva – neppure il ragazzo
che consegnava i giornali porta a porta, oppure il
lattaio col suo furgoncino.
Nessuno. Nessuno, veramente. Manco l’ombra di un essere
umano.
Sembrava davvero una
congiura.
“Forse porti sfiga…” ruminò, deluso
e incazzato, sollevando il cane all’altezza degli occhi, ma fu ricompensato
solo da una lingua a penzoloni e da un’alitata micidiale.
“Bleah! Vuoi una mentina?” offrì, sarcastico, posando a terra il topo-cane-pecora, che ne approfittò per sgranchirsi le
zampe correndo in circolo davanti alla porta d’entrata.
Arthur non fece neppure a tempo a far
scattare la serratura, che la bestiola era già corsa dentro, facendolo
scoppiare in un’ironica risata. “Ma prego! Fa’ come se fossi a casa tua!”
***
Arthur era certo che avrebbe avuto anche l’esaurimento
nervoso tra i sintomi da annoverare a Gaius, quando lo avrebbe visitato – cioè
il più presto possibile – per un check-up generale e una profilassi d’obbligo,
una volta che quella disavventura si fosse conclusa.
Ma per ora avrebbe cercato di mantenere
la calma e di ignorare la gastrite incipiente e la vena che sentiva pulsare in
fronte.
“Non ti azzardare a fiatare!” sibilò alla volta della
scatola che teneva sulle ginocchia.
Il cane spazzolò la coda sul cartone, in
risposta.
Sbuffando spazientito, non gli rimase che pregare ogni
divinità conosciuta e non (anche se lui era ateo), affinché i tempi si
velocizzassero.
D’accordo, era andato
allo studio veterinario abbastanza presto – più di due ore prima dell’orario
pattuito –, con la segreta speranza che magari – sbattendo gli occhioni, o facendo un mezzo sorriso, oppure allungando una
bella banconota – lo infilassero di straforo tra un paziente e l’altro.
Purtroppo per lui, la signorina Freya,
la segretaria frigida, non aveva
ceduto né al suo indiscusso fascino (cosa che lo aveva intimamente ferito, e anche molto) né alla profferta di
moine pecuniarie.
“Ma sono il signor Pendragon!” aveva persino sbottato; benché non amasse
giocare spesso la carta del ‘lei non sa chi sono io!’,
era certo che dovesse pur valerequalcosa.
Tutti conoscevano l’influenza
della sua famiglia, perdìo!
“Pen-chi?” aveva fatto eco lei, perplessa, digitando celermente il nome
sulla tastiera del pc per introdursi nell’archivio
virtuale dell’ambulatorio. “Lei non risulta mai essere
stato, in precedenza, un nostro paziente…”
Un paziente? Lui?!, se non fosse stato sull’orlo di una crisi di nervi,
Arthur sarebbe scoppiato a ridere. Fino al giorno
prima, un ambulatorio veterinario sarebbe stato l’ultimo posto sulla Terra dove
incontrarlo.
“Solo le effettive emergenze sono un’eccezione agli
appuntamenti prefissati, signore”, gli aveva ripetuto – ancora una volta – da
quando si era presentato all’accettazione e aveva preteso un trattamento di
favore, tirando in ballo persino la telefonata fatta all’alba che, per qualche
ragione nota solo a lui, avrebbe dovuto garantirgli l’apertura facilitata di
tutte le porte. “E non serve che lei paghi in anticipo il quintuplo della
prestazione”, aveva precisato, quasi svergognandolo. “Il tariffario esposto è
unico per tutta l’utenza”, aveva chiarito, con voce gentile ma inflessibile.
“La prego di accomodarsi in sala d’attesa, lì, sulla destra. La
chiamerò personalmente quando sarà il suo turno”.
Arthur non era abituato a ricevere un due di picche – di
qualsiasi tipo esso fosse –, per questo aveva grugnito una risposta
incomprensibile e si era rassegnato a
sprecare il proprio tempo in attesa dei comodi altrui.
La sala – come ebbe modo di vedere – era foderata alle
pareti da enormi foto di cuccioli. Erano
un’infinità.
Sembrava di stare in
un reparto di pediatria o di maternità, non da un veterinario, considerò
mentalmente, lasciandosi cadere sull’unica poltroncina ancora disponibile – e
cioè incastrato tra una ‘vecchia con un trasportino e gatto soffiante come un
mantice’ e una ‘bambina con sua madre e un coniglietto puzzolente che ruminava
all’infinito’.
“Tu, fa’ silenzio!” intimò preventivamente al cucciolo, prima
di dare una rassegnata ispezione attorno fra gli occupanti. Nella stanza c’erano
altri due cani, un gatto, e un pappagallo e relativi proprietari.
Purtroppo per lui, la bestiola fece lo stesso e l’odore
degli altri animali le provocò una strana agitazione.
Sembrava improvvisamente fuori di sé quando un altro grosso
cane comparve tra loro, uscendo da quello che, presumibilmente, era lo studio
effettivo, mentre il suo padrone si riappropriava del soprabito appeso
all’attaccapanni accanto a loro.
“Sta’ alla larga da noi!” sibilò
alla volta del cagnone bavoso che gli si era avvicinato inavvertitamente,
mentre stringeva a sé la scatola con più convinzione.
Arthur fu bellamente ignorato, ma un’altra certezza si stava
spandendo in lui.
Quell’attesa sarebbe
stata infinita.
***
Si rendeva conto da sé che il cane avrebbe colto il proprio
nervosismo e questo avrebbe peggiorato il tutto, ma era più forte di lui.
Spostando la scatola sul ginocchio destro, si mise a
dondolare l’altro come un tic, sbuffando insofferente. Un’ora e mezza di vita sprecata!, inveì mentalmente, osservando,
distratto, l’avvicendamento dell’ennesimo paziente – arrivato dopo di lui, ma entrato prima di lui.
“Il dottor Emrys merita tutta
questa pazienza!” gli confidò una signora di mezza età, al suo fianco,
facendogli l’occhiolino. “Non c’è nessuno più bravo di lui, parola mia!”
rincarò, dando un’occhiata affettuosa al criceto che teneva in gabbia.
Arthur si limitò ad annuire col mento, per farle capire che
aveva inteso, ma non aveva nessuna intenzione di intavolare qualsivoglia
discussione lì dentro.
“Senta, gli sta facendo venire il mal di mare!” gli appuntò
un vecchiaccio ficcanaso, puntando il suo bastone da passeggio contro di lui.
Pendragon smise all’istante di
scuotere lo scatolone, ma pensò di non dargli la soddisfazione di una risposta.
Di colpo, invece, ci ripensò.
“Lo stavo cullando!” sbottò, saccente. “Si dà il caso che
gli piaccia!”
“Oh, sì. Come no?” replicò l’uomo, polemico. “È per questo motivo che
quel povero cane si lamenta da un quarto d’ora!”
Oh, cazzo.
Forse quell’impiccione non aveva tutti i torti… ormai, lui
si era persuaso che il mugolio fosse una specie di costante, un mantra che quel
cucciolo guaiva all’infinito, ma se non fosse stato così? E-e se avesse vomitato?
Rallentò subito il movimento traballante e, in pochi
secondi, cessò del tutto.
Il cucciolo lo guardò, sembrando sorpreso – forse sconvolto?
–, sbattendo la coda per comunicargli qualcosa.
Nah!, il topo-cane-pecora stava benissimo e Arthur si intestardì
nella convinzione che fosse lui ad avere ragione e non quel vecchiaccio: tutto
quel ballonzolare era un divertimento, altroché! Ma,
per buona misura, preferì smettere e, per distrarre la bestiola nell’attesa, si
rassegnò ad accarezzarla, lasciandosi mordicchiare le dita.
***
“Signor Pendragon!
È il suo turno! Finalmente! Ora può entrare!” lo avvisò Freya,
l’assistente, con un’enfasi nella voce che lo irritò, perché grondava
sottintesi.
Era l’ultimo degli ultimi (cosa inaudita!), e le avrebbe
quasi risposto a tono, ma la saletta era deserta, fatta eccezione per lui, il
cagnaccio e la frigida.
Con un sospiro esausto, quindi, accantonò la piazzata e si
fece introdurre nell’ambulatorio.
Per fortuna, l’interno
dello studio era molto più sobrio, registrò automaticamente, perché un
ambiente rispecchiava di solito la qualità di chi vi lavorava. Niente quadri traboccanti cuccioli, per
carità!
C’erano giochini sparsi ovunque,
ma non in disordine, e un sacco di diplomi e attestati appesi alle pareti. D’accordo, sulla carta, poteva anche sembrare un veterinario preparato, ma
era tutto da vedere!
Forse Arthur s’era distratto un po’
troppo, perché finì per cozzare contro l’oggetto delle sue riflessioni.
“Sei sempre così mattiniero, Arthur?” si sentì apostrofare, in modo del tutto inaspettato.
Fu un sorriso gioviale ad accoglierlo, e una mano allungata,
pronta per essere stretta.
Dio, ma quelle
orecchie erano finte, o cosa? Servivano per distrarre gli animali durante le
visite?!
Arthur si prese il tempo di sondare il tizio davanti a lui.
Quella voce calda e roca, per colpa del sonno, gli aveva dato l’idea fuorviante che appartenesse ad un uomo di
mezza età.
E che diamine ci
faceva, invece, quel ragazzino? Era un tirocinante?
“Il dottor Emrys?” domandò, certo
di ottenere una risposta negativa.
“Sì, ma preferisco Merlin”,
lo corresse, con un altro sorriso dannatamente accattivante. “Per
favore, niente formalismi. Come regola generale,
ci diamo del ‘tu’ coi miei utenti. Un ambiente amichevole e
un clima confidenziale aiutano a mantenere gli animali più sereni e rilassati…”
motivò.
“Oh, beh, sì… mh…” farfugliò
Arthur, alquanto sconvolto, di rimando. E
se lui non voleva?
E il Codice di
Condotta Deontologica dove finiva? Sotto alle scarpe?
E il distacco professionale?
Che assurdità! A
volte, Arthur dava del ‘lei’ anche a suo padre,
durante le riunioni del Consiglio d’Amministrazione!
“Ciao, dolcezza”,
riesordì il veterinario, ignorando i suoi turbamenti
e prendendo in consegna il cucciolo festoso dalla scatola.
Dolcezza? Oh, ma
andiamo!, Arthur
lo trovava zuccheroso e fuori luogo.
Poi, però, rifletté che, beh… il cane non aveva un nome.
E in qualche modo, quell’idiota doveva pur rivolgersi a lui.
Sentendosi in dovere di fare un ragguaglio, premise: “Ho
trovato questo cucciolo sulla porta di casa mia, ieri sera, e-”
“Ma non è un cucciolo!” lo corresse
Merlin, osservando la bestiola adagiata sul tavolo medico, tutta fremente.
“Come no? È grande come… come un topo!” sbottò, quasi che
evidenziasse l’ovvio ad un demente.
Sì, doveva essere davvero demente, perché quell’imbecille
scoppiò a ridere.
“Vedi, Arthur, esistono cani di piccola taglia…” fu la replica divertita del medico. “Small, come le
magliette… Hai presente?”
Pendragon trattenne a stento il
fumo dalle orecchie.
Chissà quali altre magiche
rivelazioni aveva in serbo per lui questo ciarlatano da strapazzo!
Continua...
Disclaimer:I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Nella storia c’è un riferimento al film ‘Gremlins’, adorabili creature pelose che diventano piccoli
mostriciattoli, e Ciuffo Bianco è il loro leader.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: Come già
detto, ho volutamente evitato di mettere immagini sul cane che ho scelto, per
facilitarvi l’immedesimazione con la descrizione di Arthur. Al momento
opportuno, vi mostrerò tutto.
Arthur è un asino, sì. Ma presto
capirete perché.
Due anticipazioni del
prossimo capitolo:
Qualche istante dopo, la bestiola era zitta e seduta
composta, completamente a suo agio.
“Co-come ci sei riuscito?!” sbottò allora il giovane Pendragon,
stupefatto. “No, aspetta, non dirmelo. Sei una specie di Patch Adams?”
lo accusò quasi.
“Semmai, dovresti citare il dottor Dolittle,”
lo contraddisse Merlin, sorridendo a tuttotondo. “Comunque, no. Niente abracadabra!” dichiarò, alzando
le mani a mezz’aria per sfarfallare le dita. “La mia magia si chiama ‘feromoni’”.
Arthur sgranò gli occhi: “Vuoi dire che puzzi da cane?!”
(...)
“Ma se questo cane ha scelto te, un
motivo ci sarà”, disse fatalista.
“Sì,” concordò Arthur. “È perché ha
un senso di sopravvivenza molto basso”, ironizzò con una smorfia. Ma il veterinario sorrise, mostrando una chiostra di denti
perfetti e bianchissimi, e Arthur si ritrovò ad arrossire, come non succedeva
da… da secoli.
“Secondo me, stai solo sottovalutando il tuo potenziale…” lo
lusingò Merlin, ammiccando. “Magari, quando ha cercato rifugio alla tua porta… aspettava proprio te”.
“Allora ha sbagliato indirizzo!” lo freddò, dopo un attimo
di distrazione.
Mi ha piacevolmente stupita la
risposta all’inizio di questa fic. Ringrazio i 10
utenti che l’hanno messa fra i ‘preferiti’, i 3 ‘da ricordare’ e i 40 ‘seguiti’.
Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne
pensate, ora che la storia sta ingranando! ^_=
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Linette
79 è stata aggiornata qualche giorno fa.
Nei
prossimi giorni caricherò anche storie nuove.
Campagna di Promozione Sociale -
Messaggio No Profit:
Dona l’8‰
del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede) Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
Eccoci giunti a scoprire il nostro
protagonista pulcioso!
La descrizione dell’animale è parte integrante del capitolo.
Le foto, invece, sono inserite a fine storia, per non rovinarvi la lettura.
Ho solo un’ultima cosa da ribadire:
l’idiozia di Arthur avrà la sua spiegazione, come vi ho già anticipato nella
precedente premessa.
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.
Un pensiero speciale a chi
ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).
Anche se la visita doveva ancora effettivamente cominciare, assistervi innervosiva Arthur come se
fosse stato lui stesso l’esaminato, perciò distolse lo sguardo, a disagio, e si
ritrovò a riempire la bocca con la prima cosa che gli passava per la testa.
“È stata Guinevere Smith a darmi
il suonumero- iltuo numero- il numero… – oh,
accidenti! – il numero dell’ambulatorio!”
s’accalorò, vergognandosi per quella figuraccia
assolutamente non nel suo stile.
“Ah, Gwen!” ripeté Merlin, mentre
prendeva qualche goccia di gel da un dosatore, si massaggiava
le mani e si accingeva a indossare dei guanti in lattice nuovi. “E come sta Lance?
Ormai dev’essere guarito del tutto!”
Arthur s’era arenato di fronte alla
familiarità con cui l’altro aveva nominato l’amica, quindi il fatto che
quell’idiota conoscesse diminutivi e nomi di ogni padrone e animale era
qualcosa di assurdo.
Ne ebbe la conferma un momento dopo.
“Misha si è poi ripreso da quel
brutto raffreddore, sì?”
“Chi è Misha?” si ritrovò a
chiedere, perplesso.
Il veterinario gli lanciò solamente un’occhiata distratta.
“Il gatto di Elyan, no?”
Ok, d’accordo. Lui a
malapena sapeva che Elyan aveva un gatto; che dovesse
conoscere anche come si chiamava era un tantino
troppo, per la miseria!
“Morto non è morto, altrimenti me l’avrebbe detto, quando…
beh, ci vediamo spesso… visto che lavora per me”,
bofonchiò, come scusante. Ma anche no.
“Quindi… tu saresti Arthur, il Grande Capo, eh?” domandò
retorico, con un mezzo sorriso sulle labbra.
“E da quando Elyansparla su di me con te, durante le visite al suo gatto?” s’inalberò, incrociando le
braccia, infuriandosi.
“Veramente è Gwen che ti nomina…”
lo corresse, con un ghigno. “E generalmente tutto si risolve con lei che deve
fissare un appuntamento per Lancelot con la clausola
‘se quello schiavista di Arthur mi lascia uscire dall’ufficio una mezz’ora
prima’…”
“Io non sono uno schiavista!” ruggì, arroventandosi.
“Stavo scherzando, rilassati…”
“Non mi rilasso, quando un idiota mi prende per i fondelli!”
Merlin arcuò le sopracciglia, decidendo di soprassedere
sull’offesa.
Ma il cane sul lettino, di
tutt’altro parere, cominciò a dimenarsi, abbaiando concitato come replica al
tono agitato del suo tutore.
“Shh… Su, dolcezza, calmati… Shh… È tutto ok…” Fu la persuasiva rassicurazione del
veterinario, accompagnata con tocchi gentili e confortanti. “Il tuo padrone è
solo un asino…”
“Ehi! Io non sono
il suo padrone!” replicò suddetto asino, d’istinto, mettendolo in chiaro come
prima cosa. “E non mi offendere, idiota!”
calcò poi, incrociando le braccia. “E fare le moine a quel botolo non servirà a
niente! Dio-solo-sa
quanto ci ho provato finora! Si calmerà quando vorrà!
Non funzionano né le buone né le cattive maniere e-” Arthur si zittì, di colpo,
osservando esterrefatto l’uomo di fronte a lui chinarsi sul cane, per
sussurrargli qualcosa nelle orecchie pelose, venendo
ricompensato da un’annusata sulla manica del camice e da una generosa leccata.
Qualche istante dopo, la bestiola era zitta e seduta
composta, completamente a suo agio.
“Co-come ci sei riuscito?!” sbottò allora il giovane Pendragon,
stupefatto. “No, aspetta, non dirmelo. Sei una specie di Patch Adams?”
lo accusò quasi.
“Semmai, dovresti citare il dottor Dolittle,”
lo contraddisse il medico, sorridendo a tuttotondo. “Comunque, no. Niente abracadabra!”
dichiarò, alzando le mani a mezz’aria per sfarfallare le dita. “La mia
magia si chiama ‘feromoni’”.
Arthur sgranò gli occhi: “Vuoi dire che puzzi da cane?!”
Merlin si morse il labbro inferiore per non ridere e così innescare
un’altra serie di colorite proteste o imprecazioni.
“No, altrimenti stamattina avrei puzzato anche da gatto, da
criceto, da pappagallo, da drago barbuto e-”
“Che diamine è un drago barbuto?!”
sbottò l’altro, sconcertato.
“È un rettile sauro che-”
“Che schifo!” tagliò corto Arthur, interrompendolo ancora
una volta.
“Dipende dai gusti…” tentò il medico, conciliante. “Ad ogni
modo, ionon puzzo”, precisò, per amor proprio. “E i feromoni, per chiudere
la questione, generano appagamento e calmano l’animale”.
“Quindi… prima non gli stavi davvero
parlando! Facevi finta!” gli appuntò l’altro, con
soddisfazione.
“No, in realtà abbiamo anche parlato…”
“Beata ignoranza. Preferisco non sapere
cosa vi siete detti…” Arthur impostò un tono di arrogante superiorità.
“Il tuo padrone è proprio un asino, eh?” bofonchiò Merlin,
per ripicca, rivolto al cane con un atteggiamento di cameratismo, ricevendo in
cambio un allegro scodinzolio.
“Cosa?!” saltò su il giovane Pendragon, nuovamente.
Il veterinario finse l’espressione più innocente del suo
repertorio.
“Prego?”
“Ti ho sentito, sai?”
“Io e questa dolcezza stavamo chiacchierando e non è educato
ascoltare le conversazioni altrui!” lo rimproverò, con
finto sussiego. “E non avevi forse detto che preferivi crogiolarti nella beata
ignoranza?”
“Non plagiare il mio cane!”
“Ma hai appena detto che non è tuo!”
“Non lo è, ma…” Arthur arrossì di botto, infastidito
dall’inconfutabilità dell’appunto.
“D’accordo, d’accordo…” cedette
l’altro, magnanimo. “Se non altro, adesso sei meno preoccupato! Ma la visita vera
sta per iniziare e, se rimanere ti crea problemi, puoi
aspettare fuori, con Freya. Ti
chiamo quando avrò finito…”
Arthur spalancò un’espressione sorpresa.
Quindi quell’idiota si era accorto… del suo
disagio? E aveva tirato su tutta quella baracca assurda solo per distrarlo?
Deglutendo, fu seriamente tentato
di accettare l’offerta. In fondo, non c’era niente di umiliante nel farlo. Ma il pensiero di restarsene fuori, in compagniacon la frigida,
lo fece desistere di colpo.
“No, resto”, si risolvette, ricevendo in cambio un sorriso
incoraggiante.
“Bene, allora… accomodati lì sulla sedia…” lo indirizzò il
veterinario, accendendo un faretto posto sopra al lettino, accingendosi a
compiere un’ispezione sul pelo.
“Ha una sbucciatura sulla zampa”, Arthur si sentì in dovere
di avvisarlo.
“Me ne sono accorto, sì”.
“Ho cercato di pulirla, ma… beh, non sapevo di preciso cosa fare”.
“Hai agito bene, guarirà in fretta”, lo rassicurò Merlin,
senza interrompere il suo esame.
Arthur rilasciò comunque un sospiro per la sua coscienza
alleviata.
Poi arrischiò una sbirciatina, giusto in tempo per vedere
che il veterinario stava provando alla bestiola la temperatura per via rettale.
Facendo una faccia disgustata, allontanò gli occhi da quello
spettacolo sgradevole e, deciso più che mai a non ripetere l’esperienza, si
ostinò a fissare ovunque, tranne che sul lettino medico, per tutto il resto
della visita.
***
Si era convinto che avrebbe consumato il pavimento (e la
soletta della sua costosa scarpa italiana) a furia di tamburellare con la punta
per ingannare l’attesa. Aveva catalogato ogni cosa nella stanza – che fosse
lecitamente lontana dal campo visivo incriminato – e coraggiosamente non voltò mai
l’occhio, neppure quando sentì il
pulcioso guaire un paio di volte. Fu
tentato, sì. Ma resistette.
La liberazione avvenne all’improvviso, quando il dottor Emrys esordì con un: “Ecco!,
abbiamo quasi finito!” che lo fece saltare in piedi, per raggiungerlo.
“È sano?” si ritrovò a chiedere, stranamente esitante.
“Come un pesce!” fu la risposta felice, che gli tolse dieci
chili dallo stomaco. Arthur si ritrovò,
contro ogni logica, a sorridere con altrettanto entusiasmo.
“Oh, bene! Perché questo bastard-dino” si corresse
alla fine, per non sembrare uno zoticone, “mi ha-”
“Tutt’al più, si dice ‘meticcio’”,
lo corresse il veterinario, interrompendolo, con un’occhiataccia di biasimo. “È
un termine più gentile; e comunque questo non è un incrocio, è un esemplareBichon di
razza purissima”.
“No, no!” rise Arthur, incurante del rimprovero. “È proprio un bastardo!Sapessi che notte mi
ha fatto passare quel figlio di una cagna!” e lo additò, come per calcare sulla
faccenda.
“Nah!” Merlin scosse il capo,
scettico. “Non ci credo!” lo contestò, e accarezzò il pelo della bestiola,
tessendone le lodi. “Questa signorina è un vero bijou!”
A quelle parole, il suo cliente spalancò la bocca, quasi
comicamente.
“Ma è… è una femmina?”
“Beh, sì. Non te n’eri
accorto?” gli domandò, forse un po’ stupidamente.
“In realtà… non avevo controllato”, ammise Pendragon, con riluttanza. “Ho dato per scontato che fosse
un maschio e ho pensato che i testicoli non gli fossero ancora scesi perché era
troppo piccolo!” si difese, a mo’ di scusa.
Il veterinario si era morso le labbra, cercando di restare
serio.
“Sì, ma questa non
è sicuramente un pene”, gli appuntò, sollevando il cane a mezz’aria. “I
testicoli non gli scenderanno neppure tra cent’anni… perché è una signorina…”
“D’accordo. D’accordo”, Arthur, incredibilmente, ebbe la decenza di riconoscere
la propria gaffe. “L’importante è che sia tutto a posto… Cosa hai capito dalla visita?”
Merlin si prese il tempo di osservare la bestia. “Come ti ho
già spiegato, non è più un cucciolo. Ma dalla
dentatura posso desumere che sia ancora molto giovane, avrà all’incirca un
anno. La masticazione è perfetta, il peso regolare, è stata alimentata in modo
sano e bilanciato, la pelliccia è curata a regola d’arte. Potrei
scommettere che fa una toeletta completa in un centro estetico ogni settimana, e
guarda come sono limate le unghiette” prese una zampina, accennando ad Arthur
di controllare. “Un tocco da professionisti”.
“Una principessina, insomma. E perché maiBlair Waldorf è finita a casa mia?”
Il dottor Emrys sollevò un
sopracciglio, ironico, allargando impotente le braccia.
“Questo non sta a me dirlo!”
“Ma non ha un chip… o uno di quei tatuaggi per il
riconoscimento?” ritentò Arthur, speranzoso, ma venne
presto deluso.
“Purtroppo no”, ammise il medico, controvoglia. “Ho
ritrovato i segni delle vaccinazioni; tuttavia… niente identificazione”.
“Ma non è obbligatorio per legge?”
“Dovrebbe”, confermò il veterinario.
“E non ha neppure una fottuta targhetta! Un collare! Niente!”
“A volte, i padroni non li mettono, per non rovinare il pelo
attorno al collo: potrebbe essere un cane da competizione”.
“Per cosa? Per il ‘salto in braccio’?” ironizzò Arthur, spazientito.
“Per i concorsi di bellezza...” corresse
Merlin, solo per completezza.
Ma l’altro sbuffò, passandosi una
mano tra i capelli, con frustrazione.
“Un cane così non
te lo dimentichi per strada!”
“Effettivamente…”
“E nessuno nel mio quartiere ha visto niente! Cosa dovrei fare, adesso, secondo te?!”
“Vuoi il mio consiglio?”
Arthur lo guardò come se fosse scemo.
“È esattamente quello che ho appena fatto, sì”.
“Dunque… Quantomeno, se fossi in te, lo terrei fino a lunedì. Magari, nel frattempo, uscirà qualche avviso di
smarrimento, e tenterei di chiedere nuovamente nella zona
dove l’hai trovata…”
“È il cortile di casa mia!”
“Beh, prova nei dintorni!” rifece. “Prepara un manifesto con
la sua foto, un recapito e distribuiscilo. Forse qualcuno ti darà risposta o
potrà aiutarti… Una buona ricompensa funziona come incentivo, in questi casi,
ma stai attento a chi risponderà… Qualcuno potrebbe approfittarsene. È un magnifico cane, dopotutto”.
“Uhm… d’accordo”, concesse, infine. “E… e se nessuno lo
reclamasse?”
“La domanda giusta è: se fosse impossibile reperire il suo padrone, cosa farai?” puntò il veterinario.
“Hai intenzione di tenerla?”
“Tenerla,io?!Oh, non scherzare!” si schermì Pendragon, sollevando le palme delle mani. “Non è nemmeno
una possibilità!”
“Perché?”
“Perché francamente
non so neppure da dove incominciare per occuparmene! Non ho mai avuto animali e
non sono la persona più indicata per lei!”
“Ma se questo cane ha scelto te, un
motivo ci sarà”, disse fatalista.
“Sì,” concordò Arthur. “È perché ha
un senso di sopravvivenza molto basso”, ironizzò con una smorfia. Ma il veterinario sorrise, mostrando una chiostra di denti
perfetti e bianchissimi, e Arthur si ritrovò ad arrossire, come non succedeva
da… da secoli.
“Secondo me, stai solo sottovalutando il tuo potenziale…” lo
lusingò Merlin, ammiccando. “Magari, quando ha cercato rifugio alla tua porta… aspettava proprio te”.
“Allora ha sbagliato indirizzo!” lo freddò, dopo un attimo
di distrazione.
“E se qualcuno te l’avesse affidato di proposito?”
“Ma mi hai visto?!”
“Sei arrogante, bello e ricco sfondato? Sì,
difficile non notarlo…”
Arthur sentì le guance andare a fuoco e si schiarì la gola,
giusto per sicurezza.
“Mh… no, intendevo dire… che sono
completamente impedito con gli animali… penso che si veda lontano un miglio!
Non ho mai posseduto un cane o un gatto, né un criceto oppure un pesce rosso,
giusto per chiarire. E non credo che le zanzare contino come esemplare
domestico, giusto?”
“Magari lei è il tuo regalo
di Natale in anticipo!”
“Sinceramente, la considero più come un ‘Dolcetto
o scherzetto?’ per Halloween di cattivo gusto…”
“Dovresti dare più credito al suo istinto animale”, ripeté
il dottor Emrys, stavolta facendosi serio, puntando
lo sguardo sulla bestia che giocava tranquillamente. “La mia esperienza mi dice
che, se lei ti ha scelto, c’è un perché…”
Il giovane Pendragon parve
riflettere su quest’affermazione così sofista, ma poi prevalse il suo spirito
pratico. Quello che – nella vita privata e negli affari – lo aveva abituato a
stringere in mano le redini di tutte le possibili varianti, anche le più
improbabili, per avere sempre tutto sotto controllo.
“Dunque… Poniamo per un istante l’assurda ipotesi in cui io sia propenso
ad accollarmi questa rogna… cosa dovrei aspettarmi, esattamente?”
“Lei è un Bichon Frisé, che è un
cane di razza proveniente dalla Francia e-”
“Quindi è francese!” lo interruppe
Arthur, sconcertato. “Gesù, dovrò rimpinzarla di paté de foie gras e brioches?”
Merlin rise, sbuffando dal naso.
“Dio, no! Parleremo in un secondo momento della sua dieta,
ok?”
“D’accordo…” convenne Pendragon,
riluttante.
Quindi l’altro riprese da dove era stato
fermato: “È un cane da compagnia, ama i bambini, ed ha un carattere gioioso e
affettuoso. Socializza velocemente e non abbaia
troppo”.
Arthur sollevò un sopracciglio per tacita protesta.
“Un po’ sì, non puoi pretendere un cane perfetto!” lo difese
Merlin.
“Continua… anche se sembri un’enciclopedia…”
Il dottor Emrys fece
finta di non capire, perciò riprese: “Non è un cane da guardia, ma è scaltro e
può percepire eventuali pericoli e avvisarti.
Tendenzialmente è un po’ testardo, ma si adatta ai vari
ambienti. Può vivere perfettamente in un appartamento, anche se ama stare
all’aria aperta.
Gli piace fare un po’ la primadonna – forse litigherete un po’,
per questo”, ironizzò il veterinario, dopo aver preso le misure caratteriali
del tipo davanti a lui. “Ma è intelligentissimo
e furbo, è un cane da compagnia perfetto e amorevole. Senza contare che, cosa da non trascurare, è sempre docile
ai comandi…”
“Ma se non mi ascolta per niente!”
sfogò allora Arthur, alzando la voce. “Se dico: ‘seduto!’
oppure ‘zitto!’ non mi dà retta!”
“Credo che non vi siate capiti”, disse il veterinario, con
faccia seria.
“Certo! Parliamo
due lingue diverse!” controbatté Pendragon,
prendendolo per i fondelli. Ma il suo
interlocutore indirizzò l’attenzione verso la bestiola e pronunciò un paio di
parole secche, dall’accento duro, che Arthur non riconobbe, e subito il cane
abbandonò il gioco e si mise sull’attenti.
Dopo un secondo comando, la bestia si risdraiò a terra, con docilità.
“Visto?” chiese Merlin, retorico.
Arthur spalancò la bocca, come se fosse davanti ad un
miracolo in diretta.
“M-ma come…?”
“È stata perfettamente addestrata”, gli spiegò il
veterinario. “Ma parla solo tedesco…”
“Oh, fantastico! Siamo in patria inglese e
ho una sottospecie di barboncino francese
che parla tedesco!” ironizzò. “Dio
salvila
Regina!”
“Come te la cavi col popolo dei würstel?”
“Per tua informazione,” premise lui,
piccato. “Parlo correttamente francese, giapponese, spagnolo
e ovviamente inglese. Ah!, e un po’ del
dialetto cantonese di Hong Kong”.
“E il tedesco no?”
Arthur fece una smorfia: “Non c’è mercato,
per la mia azienda, in quelle zone. Non siamo
interessati”.
“Posso comunque darti un biglietto con i comandi già scritti
nella loro pronuncia; ti assicuro che non è difficile impararli: con meno di
venti parole, andrete d’amore e d’accordo!”
“Ti ricordo che non ho ancora deciso se tenerla o no…”
Merlin si strinse nelle spalle. “Beh, è già qualcosa! Osserva
questo: ‘Hier!’ vuol dire Vieni”.
Un momento dopo, infatti, il cane trotterellò accanto a
loro.
“Sitz!” ordinò il veterinario, e
subito la bestiola lo accontentò, accomodandosi sul
talloni. “Significa Seduto”, spiegò,
a beneficio di Arthur, che lo osservava interessato. “Platz!”
comandò poi Merlin, facendo stendere a terra l’animale. “Vuoi provare tu?” E
prima di aspettare una vera e propria risposta, scarabocchiò su un foglietto un
elenco di parole e glielo porse.
“Tenta con questo…” gli suggerì il dottor Emrys, invadendo il suo spazio personale e accostandosi a
lui in modo fin troppo familiare, tanto che Arthur poteva sentire il profumo
del suo dopobarba, mentre l’uomo indicava un punto preciso tra le prime righe
dell’elenco.
Arthur lo valutò, stranito, come se fosse stato
l’incomprensibile formula di un incantesimo arcaico, poi cercò di ricomporsi. Ma il foglio restava comunque illeggibile.
Sitz = Seduto > pronuncia
> SIZ
“Hai una grafia allucinante!”
“Come tutti i medici! Non lo sapevi?” lo
punzecchiò il veterinario, dopo una breve risatina. “D’accordo, poi te
lo riscrivo a computer…”
“Direi che è meglio!” bofonchiò
l’altro, adocchiando ora il foglio ora il cane, titubando.
“Dai, prova!”
“S-ssiz…” farfugliò, sbracciandosi
con la mano dall’alto in basso.
Ma l’esperimento risultò un fiasco.
“Non agitarti e non gesticolare. Basta la
voce a comandare”, lo corresse il dottor Emrys.
“Ritenta”.
E quando Arthur riprovò, con successo, un enorme sorriso gli fiorì sulle labbra, mentre Merlin gli offriva
un’incoraggiante pacca sulla spalla. “Visto?” domandò retorico, mentre il
giovane Pendragon prendeva gusto nel dirigere i
movimenti del cane, che lo ascoltava obbediente.
“A saperlo prima!…” si lasciò sfuggire, rispondendo
all’entusiasmo del medico. “Almeno adesso sopravvivrò fino a
lunedì!”
“È pur sempre un buon inizio!”
“A proposito di inizio…” rifece
Arthur, pensieroso. “Di solito… cosa si dovrebbe fare in questi casi? Devi rivaccinarla
per precauzione? Oppure… è già stata sterilizzata?”
“Beh… Per quello, temo che sia già troppo tardi…”
temporeggiò Merlin, chinandosi per prendere in braccio la bestiola. “Eh,
principessa?” domandò poi, retorico, venendo
ricompensato da una festosa leccata sulla guancia.
“È… è incinta?!” La voce di Arthur uscì sottile come un sussurro, ma
il suo corpo vibrò, per il contraccolpo, come se avesse preso un pugno vero
nello stomaco.
“Sì, ho il forte sospetto che sia…”
Una troia. Come Vivian.
“…gravida. Direi che è quasi una certezza, dai sintomi. Dovrei farle un’ecografia per esserne certo, stavo giusto per
accennartenee-” il veterinario s’interruppe,
osservando l’uomo davanti a lui sbiancare. “Arthur? Ti
senti bene?”
“No, no, no”, farfugliò
Pendragon, con ansia, asciugandosi il sudore freddo
dalla fronte con una mano che tremava leggermente, scattando in piedi con
l’intento di raggiungere l’uscita – una via di fuga.
Se l’era spassata con
qualcuno e sperava di affibbiare a lui il pacchetto regalo.
Quella zoccola! Come Vivian!
Ma lui non voleva avere niente a che fare con nascite indesiderate e cuccioli e…
Madri.
“M-mi dispiace. Devo
andare”, tartagliò, incoerente, respirando affannato. “O-occupatene tu fino a lunedì. Fai
quel che devi. Non mi importa il prezzo, ma lasciami
in pace!” urlò, sentendo la nausea strisciare fino in gola e la vista
annebbiarsi, mentre il battito cardiaco gli martellava le orecchie.
Cazzo. Cazzo. Cazzo.
Perché la storia si
stava ripetendo?
Continua...
Disclaimer:I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Nella storia c’è un riferimento all’omonimo film ‘Patch Adams’ e ‘Dr. Dolittle’ e
al telefilm ‘Gossip Girl’, col personaggio di Blair Waldorf,
ricca, viziata, egocentrica, subdola e orgogliosa snob dell’alta società di
Manhattan.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: I sintomi
descritti nel finale sono la spia di un attacco di panico. Ce ne sono altri, ma
non sempre sono tutti presenti contemporaneamente.
Ovviamente ci voleva un po’ di dramma, a complicarci la
vita, altrimenti questa fic sarebbe stata di una noia
mortale! XD
Le descrizioni del Bichon Frisé sono
prese dal web. Per questa fic, ho volutamente cercato
un cane che avesse il pelo simile alla pecora, con il mantello arricciato ‘a
cavatappi’.
Le parole usate come comandi sono quelle
comuni per l’addestramento in tedesco. Per comodità, qui e in futuro, ho
preferito riportarle come si scrivono e non come si pronunciano, tranne
l’esempio che fa Merlin.
Vi consiglio di tenere a mente, per i tempi futuri, la
riflessione di Arthur sulla misurazione rettale della febbre. XD
Ed ecco alcune foto (che non mi appartengono) di un Bichon Frisé adulto e cucciolo:
Due anticipazioni del
prossimo capitolo:
“Hai spesso di queste crisi?” s’interessò Merlin, inaspettatamente.
Arthur scosse il capo, a disagio. “Questa è… la terza
volta”.
E con la mente rivisse il primo esordio.
La paura annichilente
nel perdere il controllo del proprio corpo.
Il terrore che lo
sopraffaceva, la certezza di essere sul punto di morire mentre il cuore gli
esplodeva nel petto e l’aria – dannazione – l’aria non
arrivava nei polmoni. Non abbastanza per respirare.
Non per sopravvivere.
E tutto questo si
fondeva con l’umiliazione.
L’umiliazione, sì. Le
urla di suo padre. Vivian. Le sue lacrime false.
(...)
“Devi trovarle un nome. Anche se
non è tua. Anche se lunedì, o forse prima, potresti
doverle dire addio. Devo preparare il suo fascicolo e mi serve un modo per
chiamarla. I nomi in rosa sono per le femmine”, gli spiegò in
aggiunta, malgrado fosse un’ovvietà. Poi si accinse a predisporre
l’occorrente per l’ecografia.
Arthur azzardò un’occhiata alla cagnetta, nuovamente stesa
sopra al tavolo medico. Quel topo-cane-pecora gli stava decisamente
complicando la vita. E lui non aveva mai scelto un nome prima d’ora. Perché
cominciare oggi, se tanto avrebbe dovuto dirle addio? Tzé,
stupida pecora pelosa!
Per un lungo, infinito istante, il nome si formò nella sua
mente, nitido e raccapricciante: Pecorella
Pendragon.
No, cazzo. Non sia
mai.
Mi ha piacevolmente stupita la
risposta all’inizio di questa fic. Ringrazio i 13
utenti che l’hanno messa fra i ‘preferiti’, i 3 ‘da ricordare’ e i 63
‘seguiti’.
Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne
pensate, ora che la storia sta ingranando! ^_=
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Linette
80 arriverà fra pochi giorni, compatibilmente con i miei impegni di
lavoro.
Eccoci giunti a scoprire un po’ meglio il
perché dell’idiozia di Arthur.
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.
Un pensiero speciale a chi
ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).
A FlameOfLife, elisabethy92, chibimayu,
Rosso_Pendragon, misfatto, Burupya,
katiaemrys, DevinCarnes, Orchidea Rosa, crazyclever_aveatquevale, Eresseie93,
RavenCullen, mindyxx, Barby_Ettelenie_91, YukiEiriSensei e aria.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
Waiting for you
Capitolo IV
Arthur mancò la maniglia della porta di una buona spanna e,
se non fosse stato per i riflessi pronti di Merlin – che aveva riposto in
fretta il cane nello scatolone, prima di correre a sorreggerlo –, sarebbe
finito a terra, quando le vertigini lo fecero barcollare a tal punto da
rischiare di cadere.
Si lasciò quindi trascinare, impotente, verso la poltrona
del medico, al di là della scrivania, dove si
accasciò, tremando, stringendo le palpebre per fermare il mondo che ruotava
davanti a lui e cercando di dominare il senso di svenimento, anche se si
sentiva soffocare. Ad ogni respiro, gli mancava l’aria sempre
più.
“Arthur? Arthur… guardami…”
Dopo essere rimasto francamente stupito per quella reazione
eccessiva, il dottor Emrys riconobbe i classici
sintomi di un attacco di panico, e tentò di calmarlo e di renderlo ragionevole,
anche se l’altro continuava a iperventilare, e non
sembrava collaborare, e lui non poteva sapere quanto grave fosse il suo
disturbo.
Probabilmente era stato il cane – no, la notizia della gravidanza, si corresse – ad
innescare il crollo, ma ora doveva provare a distrarlo con altro, prima che
collassasse.
D’istinto, il veterinario cercò un contatto fra loro, anche
se sapeva che non era sempre una buona idea toccare una persona in piena crisi.
“Arthur… sono qui, ok? Cerca di
focalizzarti su qualcosa di piacevole… combatterà l’ansia”, gli suggerì, con
voce calma, ma ferma, per non agitarlo ulteriormente,
intanto che con le dita gli accarezzava il braccio, in un gesto di
rassicurazione. Un istante dopo, la sua mano venne
catturata e stretta dall’uomo in una morsa disperata.
“Sono qui… non me ne vado…” ripeté, usando l’altro braccio per
lambire le spalle tese. “Va bene… respira… più piano,
respira… pensa a qualcosa che ti piace…”
Arthur parve migliorare per un momento, ma l’attimo successivo
ansimava nuovamente, stremato e ancora sconvolto.
“Stai reagendo così a causa di ciò che è appena successo o
che è successo in passato?” gli chiese allora, perché aveva
imparato che porre domande e verbalizzare le cose poteva aiutare a farlo
reagire a ciò che stava provando.
Purtroppo per lui, ne uscì solo un rantolare farfugliato, da
cui il veterinario comprese solamente due nomi: “Mio padre” e “Vivian”.
Per farlo tornare padrone di sé, Merlin avrebbe dovuto
convincerlo a riportare il respiro alla normalità, ma era consapevole che,
combattere il senso di soffocamento, era tutt’altro che semplice, soprattutto
quando si era in preda al terrore e con il cervello scollegato. Ogni istante sembrava un’eternità.
“Respira con me, Arthur… respira
col mio ritmo…” tentò, eseguendo per primo come esempio, ma l’uomo accanto a
lui, completamente inerme, pareva non voler collaborare e, aggrappato a lui
com’era, non gli offriva molte possibilità.
D’improvviso, però, la mano del giovane Pendragon
si staccò da lui, per andare a stringersi sul proprio petto, come se Arthur
fosse stato vittima di un forte dolore toracico.
Cogliendo l’occasione – benché sapesse che non avrebbe
dovuto allontanarsi, per non aggravare la situazione d’ansia – Merlin afferrò
il sacchetto di carta del suo pranzo da asporto e rovesciò di malagrazia il
sandwich sul ripiano, poi corse a bagnare un fazzoletto nel lavabo dello studio,
e lo pose sulla fronte reclinata di Arthur – ancora inerme – e poi sulla nuca
madida di sudore, mentre con l’altra mano gli slacciava il colletto della
camicia.
“Respira qui dentro!” gli ingiunse poi, posizionandogli
il sacchetto sopra la bocca e il naso.
***
“Freya? Per cortesia, potresti portarmi una tazza di tè?” chiese Merlin,
comunicando con la sua assistente tramite l’interfono. “Sì, con la
solita infusione, grazie”, precisò poi, chiudendo la comunicazione, rivolgendo
lo sguardo ad Arthur, ancora stravaccato sulla poltrona ad
occhi chiusi, ma decisamente in uno stato migliore rispetto a pochi minuti
prima.
Il veterinario lasciò che si riprendesse, andando a
consegnare qualche crocchetta e un giochino alla cagnolina che se n’era rimasta
in attesa nel suo box di cartone.
Quando la sua segretaria bussò, fu lesto a dirigersi alla
porta, ma non abbastanza da impedirle una sbirciata dentro.
“Ecco. Cinque minuti come sem-Ma sta male?”
domandò la ragazza, annuendo alla volta del loro
ospite.
“Solo un calo di zuccheri”, mentì
il medico, con un sorriso rassicurante. “È tutto ok, grazie”, le disse,
congedandola tacitamente.
“Va bene, Doc! Se
serve altro, fai un fischio…” rispose lei, lasciandoli nuovamente soli.
“Come va la testa?”
“Sta per scoppiare…” mugolò Arthur, con una smorfia dolente,
senza sollevare le palpebre.
Merlin trafficò nel cassetto della sua scrivania, sfilando
un blister di antidolorifici.
“Latte o limone?” domandò poi, costringendo Arthur a
prestargli attenzione.
Con uno sforzo immane, l’uomo diresse lo sguardo sul vassoio
davanti a sé. “Latte”.
“Strano! Acido
come sei, avrei scommesso che sguazzavi nel limone…” lo prese in giro, per dare
una parvenza di normalità e testare le altrui reazioni.
Quando l’altro ignorò la provocazione, il
veterinario chiese: “Quanto zucchero? E da quant’è che
non mangi?”
Fu a quel punto che Pendragon si
risollevò dalla sedia, cercando di raddrizzarsi.
“Non lo so. Credo… ieri sera”, ammise,
riluttante. “Stamattina ho fatto colazione con un paio di aspirine”.
Merlin versò un goccio di latte e un cucchiaino colmo di
dolcificante, lo mescolò metodicamente e poi gli porse la tazza, con una
compressa nel palmo dell’altra mano.
“Con cinque minuti di infusione, si
ottiene un effetto calmante”, motivò di fronte al suo scetticismo, incitandolo
a servirsene. “Bevi, e poi mangia questo, ti calmerà la nausea”, offrì, quindi,
afferrando il suo panino. “Ho il sospetto che tu abbia davvero una crisi
ipoglicemica o ci manca poco…”
Incredibilmente, Arthur fece esattamente quanto suggerito,
in religioso – imbarazzato –
silenzio.
***
“Come ti senti?”
Arthur fece una smorfia in
risposta. Voleva solo pace e quiete. E
possibilmente scomparire nel nulla.
“Fare il veterinario non rende abbastanza e offri sedute
psicologiche per arrotondare?” sbottò, caustico.
Merlin sorrise dolcemente.
“Sei uno strano animale, sai,
Arthur Pendragon?”
“Hai usato feromoni anche su di me?”
Il dottor Emrys si lasciò sfuggire
una breve, divertita risata.
“Avrei dovuto?”
“Non credo sarebbero bastati…”
ammise, sentendosi meglio, ora che l’emicrania e le palpitazioni gli davano
tregua.
“Hai spesso di queste crisi?” s’interessò Merlin,
inaspettatamente.
Arthur scosse il capo, a disagio. “Questa è… la terza
volta”.
E con la mente rivisse il primo esordio.
La paura annichilente
nel perdere il controllo del proprio corpo.
Il terrore che lo
sopraffaceva, la certezza di essere sul punto di morire mentre il cuore gli
esplodeva nel petto e l’aria – dannazione – l’aria non
arrivava nei polmoni. Non abbastanza per respirare. Non
per sopravvivere.
E tutto questo si
fondeva con l’umiliazione.
L’umiliazione, sì. Le urla
di suo padre. Vivian. Le sue lacrime false.
Lei, Vivian Olaf. La figlia di uno degli investitori, amico di Uther.
Si vedevano da qualche
settimana, niente di serio. Era la prima cosa che lui diceva sempre alle sue
partner, lo metteva bene in chiaro. Il sesso era divertente, ma niente legami.
E tantomeno figli.
E poi lei se n’era
uscita con questa bomba dell’‘incidente di percorso’ e una serie di pretese.
Suo padre aveva fatto
tremare i vetri di Pendragon Hall con la sua ira, lo
aveva svergognato con le peggiori offese, chiedendogli – con quell’espressione
così delusa... Delusa, dannazione, delusa – se non
avesse mai imparato niente di buono da tutto quello che gli aveva insegnato.
E rimproverandolo
dicendogli che, se non aveva capito la lezione, avrebbe dovuto tenere i
pantaloni chiusi.
E lo aveva
mortificato, ancora e ancora… perché, se non sapeva gestire la sua vita
privata, come avrebbe mai potuto, lui, ereditare e dirigere l’azienda di
famiglia? Avrebbe mandato a puttane anche la Pendragon
Company?
Boccheggiando come un
pesce asfittico, Arthur aveva davvero pregato di morire lì, e risparmiarsi
tutto il resto.
E invece era
sopravvissuto, aveva subìto l’ingerenza di suo padre – che gli aveva dato
dell’incapace, ma che aveva anche risolto la questione, pretendendo da Vivian un test di paternità (a cui,
francamente, Arthur non aveva ancora pensato, perché era troppo sconvolto).
Così la verità era uscita
a galla ed era spuntato un amante squattrinato. Forse il grande amore di Viv, ma che suo padre non avrebbe mai accettato.
Il vecchio Olaf e Uther si erano chiariti fra loro, in qualche modo – perché
gli affari erano affari, e che Vivian
fosse una troia manipolatrice e Arthur uno che dava di matto alle notizie, si
poteva anche dimenticare – e i loro sodalizi economici sarebbero continuati.
Ad ogni buon conto, suo padre l’aveva caricato
sul primo volo per l’America la mattina dopo (in economy class,
per punizione), spedendolo ufficialmente a monitorare l’andamento delle filiali
oltreoceano… e ufficiosamente per lasciare tempo al tempo di calmare le acque e
soffocare eventuali pettegolezzi, che l’una e l’altra famiglia si erano ben
guardati dal divulgare, per reciproco interesse.
La seconda crisi era avvenuta sei mesi dopo.
Con una chiamata in
conferenza intercontinentale alle tre del mattino tra Londra, Boston e Hong Kong,
Morgana aveva detto loro che era rimasta incinta.
Lei e Leon ne erano
felici, ma – ancora una volta – Arthur aveva sentito la scenata di suo padre, tuttora
così viva e sanguinante, nei suoi ricordi, e le infinite preoccupazioni del
loro genitore, e tutta un’escalation di cose che aveva portato UtherPendragon ad avere un
collasso in diretta, e ad Arthur una crisi di panico coicontrocazzi, subito dopo.
Morgana aveva inviato
i soccorsi e Gaius, il medico di famiglia, si era preso cura del Vecchio
Dragone (come lo chiamava lui), fino al loro ritorno.
Due giorni dopo,
Arthur (imbottito di ansiolitici) rimetteva piede sul suolo natio, e – volente
o nolente – prendeva in mano le redini di tutta la baracca, perché quel
collasso si era rivelato in realtà un infarto in piena regola e Gaius era stato
perentorio al riguardo: Uther aveva un cuore
malandato (da lungo tempo, ma l’aveva sempre tenuto nascosto), e non avrebbe
retto ad ulteriori, forti solleciti.
Segregato in una
specie di prepensionamento obbligatorio, egli aveva dettato nuovamente le
regole del suo gioco.
Per compiacerlo,
Morgana si era rassegnata a trasferirsi con lui nella casa di campagna, e ad Avalon House avrebbero proseguito insieme rispettivamente
la convalescenza e la gravidanza, dove lui poteva tenerla sott’occhio ogni dì.
Arthur, che si era
convinto di dover rimanere negli Statesvita natural durante per punizione,
aveva già venduto il proprio appartamento e aveva quindi accettato di vivere
nella casa che era stata di sua sorella e che lei gli aveva offerto.
Anche se da un lato compativa
Morgana – a cui era toccato il male peggiore –,
d’altra parte poteva anche capire il vecchio padre.
Benché entrambi
sapessero che un nipote sarebbe arrivato inevitabilmente, prima
o poi, la loro speranza era decisamente propensa per il ‘dopo’, per il
‘più tardi possibile’.
Arthur e Morgana non
avevano mai avuto un rapporto semplice, come buoni fratelli. Ma si volevano
bene nel profondo e lui – quanto Uther – non era
pronto alla possibilità di perderla, come era successo
con la loro madre, morta dandolo alla luce, quantunque fosse stata una donna
sana e forte.
La morte di Ygraine era stata una tragedia inspiegabile, che aveva
lasciato nei Pendragon una ferita che non si era mai
chiusa.
Arthur si fece sfuggire un ansito,
al ricordo. Altra umiliazione. Altra
vergogna. Altro spavento.
La
faccia di suo padre distorta nel portatile e la telefonata in ospedale.
Si sentiva persino in
colpa per aver terrorizzato Morgana. Di nuovo.
Poi il medico di
Boston lo aveva rimpinzato di Xanax, e lo aveva
dimesso.
E ora quest’altra ricaduta… del tutto inattesa.
Un nuovo ansito, un
rantolo, mentre sentiva il calore diffondersi sul viso.
“Vuoi un calmante?” Merlin ruppe quel circolo vizioso, intromettendosi fra i suoi pensieri. Bastò questo a
rendere Arthur nuovamente padrone di sé. Per snebbiarsi la mente, egli scosse
il capo.
“Se senti che la crisi sta per tornare… posso farti
un’iniezione”, gli offrì.
“Hai dosi da elefanti?” domandò, con macabra ironia.
“No, ma dicono che le botte in testa funzionino!” scherzò il
medico, per sdrammatizzare.
Arthur, suo malgrado, gli fece un
sorriso tremulo.
“No, è passata”, confermò, muovendo stancamente una mano tra
i capelli. “Io penso di doverti delle…”
“Non sei obbligato a parlarne, se non ti va”, premise il
dottor Emrys, con delicatezza.
“Credo tu abbia visto il peggio di me”, ammise Arthur, indifeso,
distogliendo lo sguardo.
Poteva anche essere
sincero, sapendo che non sarebbe mai più tornato qui. Il ricordo di questo
primo incontro sarebbe stato sempre un fantasma presente a celebrare il suo
orgoglio in frantumi, le sue debolezze. No, grazie.
“Il peggio di te l’ho visto quando sei
entrato: tutto arrogante, pronto a giudicarmi, come se possedessi la Verità Assoluta
in tasca; non adesso. Capita a tutti di stare male e di essere vulnerabili”, lo consolò.
Il giovane Pendragon si strofinò
la fronte, non del tutto persuaso. Come
un animale ferito, riluttante a fidarsi.
“Anche mia madre soffriva di attacchi di panico, dopo la
morte di mio padre”, gli confidò Merlin, per metterlo a suo agio e fargli
capire che aveva la giusta considerazione della cosa.
Arthur non conosceva nessuno col suo stesso problema.
“E…?” si ritrovò a chiedere. Per curiosità. Per necessità.
“È guarita. Con la giusta terapia. Superando
le sue paure”, gli spiegò. “Le ho regalato un cane. Ha
fatto miracoli contro la sua ansia…”
“Mi stai forse suggerendo che la chiave della mia salute sta
in quello scatolone?” chiese, indicando vagamente oltre la scrivania, dove si
presumeva stesse il cane.
“Se non è lei la
fonte del tuo problema, direi che sì… Sì, potrebbe aiutarti moltissimo.
Potresti persino smetterla con gli ansiolitici…”
Arthur sgranò gli occhi, stupito che l’altro avesse capito
troppe cose su di lui.
“Dov’eravamo rimasti con questo dannato controllo?” domandò,
per cambiare argomento.
Il veterinario gli venne incontro, intuendo il suo disagio.
“Se sei d’accordo, vorrei farle un’ecografia. Ci dirà se è
incinta, oppure no. In alternativa, si potrebbe fare una radiografia, ma non
amo sottoporre gli animali a radiazioni inutili…”
“Fa’ tutto quello che devi”, lo autorizzò, mettendosi
comodo, felice di non essere più al centro dell’attenzione.
Tuttavia, prima di rivolgersi al cane, il dottor Emrys gli lasciò cadere in grembo un grosso libro.
Arthur osservò con curiosità la copertina, dove fiorivano un
mare di cuccioli.
“Il libro dei nomi per il vostro cane: dalla A alla Z” lesse
ad alta voce, guardando l’altro, con una domanda sulla punta delle labbra.
“Devi trovarle un nome. Anche se non
è tua. Anche se lunedì, o forse prima, potresti
doverle dire addio. Devo preparare il suo fascicolo e mi serve un modo per
chiamarla. I nomi in rosa sono per le femmine”, gli spiegò in
aggiunta, malgrado fosse un’ovvietà. Poi si accinse a predisporre l’occorrente
per l’ecografia.
Arthur azzardò un’occhiata alla cagnetta, nuovamente stesa
sopra al tavolo medico. Quel topo-cane-pecora gli stava decisamente
complicando la vita. E lui non aveva mai scelto un nome prima d’ora. Perché
cominciare oggi, se tanto avrebbe dovuto dirle addio? Tzé,
stupida pecora pelosa!
Per un lungo, infinito istante, il nome si formò nella sua mente,
nitido e raccapricciante: Pecorella Pendragon.
No, cazzo. Non sia
mai.
“Arthur?” lo riscosse la voce del medico. Si accorse quasi con
vergogna di essere rimasto fermo solo a metà della A.
“Aithusa”, lesse, puntando a caso un
dito sulla pagina.
“Oh, è decisamente appropriato, con
tutto questo pelo bianco!” concordò Merlin, accarezzando la bestiola. “Il suo
nome significa ‘Luce del Sole’ nell’antica lingua dei…”
Arthur smise semplicemente di ascoltarlo.
Si chiese, piuttosto, se quel veterinario da strapazzo sapesse il significato di ogni dannato
nome scritto lì dentro.
“Quale vorresti prima?” si sentì domandare, senza preavviso.
Forse si era estraniato un po’ troppo.
Schiarendosi la voce con un colpetto di tosse, chiese:
“Potresti ripetere?”
“Dicevo: vuoi prima la notizia buona o quella cattiva?”
“La seconda”.
Il medico non attese oltre e, facendogli un cenno perché si
avvicinasse al lettino, aumentò il volume dell’ecografo. Ne uscì prima un suono
rauco e graffiante, seguito da dei velocissimi battiti
cardiaci sovrapposti.
“Li senti?”
Arthur deglutì un groppo strano in gola. Poi annuì.
“Credo che abbia appena superato il ventiduesimo giorno di
gestazione…”
“Quanti sono?”
“Due”, Merlin gli lanciò un’occhiata di sottecchi. “La cosa
positiva è che sembra tutto a posto”, lo rincuorò, spegnendo il macchinario e
coccolando la cagna.
“Quindi… è incinta”.
“Beh, direi proprio di sì”, ne convenne, cercando di non
canzonarlo per quest’ottusa cecità autoimposta. Uccise, però, le sue ultime
speranze, ricevendo come risposta uno“Sgualdrina”,
sibilato tra i denti.
“Non possiamo sapere per certo come siano andate le cose”, gli
appuntò, quasi con severità.
“Oh, sicuro! Magari
è stata sedotta e abbandonata!” ironizzò Pendragon.
“E se lo fosse? Lei sicuramente vuole mettere al mondo i
suoi cuccioli!”
“Ti sembro uno con la faccia da Centro di Aiuto alla Vita?”
“Oh! Sovvenzionare ragazze
madri non era il tuo mestiere?” scherzò Merlin, ma quando vide l’altro uomo
irrigidirsi e sbiancare, se ne pentì e deviò la
discussione. “Guarda. Potrei persino dirti che è stata abusata, per muoverti a
pietà, ma…”
“È stata abusata?!” saltò su Arthur, sconcertato. “Oh, per l’amor di-”
“Alt! Alt!” lo frenò il dottor Emrys, intuendo i voli mentali che l’altro stava per fare,
ma in un certo modo piacevolmente colpito dalla sua indignazione. “No.
Stavo solo ipotizzando. Il punto è che le cagne di razza sono destinate
all’accoppiamento programmato fin dalla nascita. Ogni cucciolo con pedigree
costa parecchio...”
“Quindi è stata costretta!” ribatté
Arthur, segnando il suo punto.
“Beh, in un certo senso, sì”.
“Oh, poverina!” la compianse, accarezzandole la testolina
per consolarla (Morgana doveva averlo plagiato, a furia di patrocinare eventi
benefici contro le violenze). “Dio, ma è così piccola!”
Il veterinario soppresse un sorriso indulgente.
“Il peso di una femmina Bichon
varia dai tre ai sei chilogrammi. Lei è perfettamente nella
norma”.
“E…” tentennò. “Fra quanto dovrebbe partorire?”
“Premesso che non sappiamo la data esatta del concepimento,
direi fra… un mese o poco più”.
“Così poco?!” si scandalizzò Pendragon. “È troppo presto! No! Non
posso tenerla!”
“Vivi in un condominio dove vietano animali?”
“Beh, no…”
“Hai un cortile recintato?”
“Mmm… sì”, ammise,
reticente.
“E allora?”
“E chi ti dice che io non sia un pazzo? Che non la
maltratterò o peggio?”
Merlin sollevò le sopracciglia scettico,
e Arthur ripensò irrazionalmente a Gaius, il medico di famiglia. Forse era qualcosa che ti insegnavano
a fare col Giuramento di Ippocrate?
“Sotto i quintali di arroganza e asineria, riesco a vedere
che hai un buon cuore, Arthur Pendragon”.
“P-perché?” s’intestardì.
“Perché ti sei preso cura di lei, anche se
non eri tenuto a farlo. Ti sei preoccupato della sua salute. Perché lei
si fida di te, e queste cose un cane le capisce… E perché mi hai detto di non
aver mai potuto avere animali, non
che non ti piacciono.
E se anche qualcuno ha rovinato la tua infanzia, non è
giusto che tu ti privi della gioia di avere il loro affetto. Un cane ti offre
amore incondizionato e sincero e non pretende nulla da te…”
Arthur rimase colpito – da quelle parole, da tutto ciò che
quell’estraneo aveva capito di lui in così poco tempo –, ma cercò di non darlo
a vedere.
“Non so neppure da dove incominciare!”
Merlin si risollevò e a colpo sicuro sfilò un grosso tomo da
una delle librerie dello studio.
“Ecco: ‘Come allevare un cane: guida
completa’! Prendilo in prestito. Qui dentro troverai la risposta ad ogni dubbio che potrà venirti fino a lunedì. Oppure chiamami a qualsiasi ora e ti aiuterò…” offrì.
“Merlin?”
“Mh?”
“Perché sei così convinto che non ritroverò il suo padrone?”
Il veterinario fece un sospiro di rammarico. “Perché un cane così non si perde. Semmai si abbandona”, motivò.
“Perché ha i cuccioli?”
“Perché la purezza del pedigree potrebbe essere stata
compromessa…”
“Ma che razza di persona farebbe
una cosa così?”
“Un vero bastardo?” insinuò il medico. “Ma non sarà né il primo né l’ultimo”.
“Quindi… tu me la affideresti,
anche se fossi completamente incompetente?”
“Punto tutto sull’iniziativa personale e la voglia di
mettersi in gioco…”
“E se davvero io non potessi tenerla?” domandò, stavolta
seriamente. ‘Pianificazione’ era il suo
motto, quindi era lecito chiedere quale fosse la rosa delle varianti.
“Allora… cercherei una sistemazione, ma con buona
probabilità finirebbe nel canile di BlackHill. Lei è comunque un cane di razza, potrebbe forse venire
adottata. Se non ci riuscirà, entro sei mesi verrà
soppressa”, Merlin vide che Arthur aveva sussultato, ma continuò. “Il vero problema
sono i cuccioli. Se nascono di razza, sono ugualmente senza un pedigree
certificato, e non saranno vendibili. Se nascono meticci, avranno
lo stesso rovinato lei, perché certe convinzioni – per quanto assurde – sono
dure a morire. Non sarà più una fattrice. Forse regaleranno i
piccoli – di solito commuovono la gente – ma forse no”.
“Detta così, sembrano destinati a morte certa”.
“È quello che sono”,
confermò il veterinario, con cruda verità. “Anche il
destino di Aithusa…” disse Merlin, guardandolo
seriamente e Arthur considerò fosse un colpo basso nominarla con l’appellativo
che le aveva appena scelto, “…è nelle tue mani. Spetta a te
scegliere”.
Continua...
Disclaimer:I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: I sintomi
descritti all’inizio sono quelli tipici di un attacco di panico. Ce ne sono
altri, ma non sempre sono tutti presenti contemporaneamente.
Merlin attua i consigli medici per fare superare una crisi
di panico, come da manuale d’intervento.
Vorrei chiarire che le crisi di panico sono una cosa seria e
non mi sognerei mai di offendere la sensibilità di qualche lettore che magari è
in contatto con questo problema. In caso contrario, mi scuso.
Lo Xanax è il nome commerciale dell’Alprazolam, un medicinale ansiolitico presente anche in
Italia (oltre che negli USA). Posso assicurare (per esperienza diretta) che fa
schifo, ma è un ottimo calmante.
Da qui in avanti, le varie informazioni sulle fasi della
gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.
Per quanto scrupolose siano le mie ricerche, non ho
esperienza pratica di questo, quindi non fidatevi di applicare consigli e
avvertenze.
Tuttavia, ho letto che, nel 20° giorno di gravidanza,
l’ecografia ci potrà dire solo SE la cagna è incinta; a
partire dal 22° giorno è rilevabile il battito cardiaco dei feti (da qui
l’affermazione di Merlin).
Doveroso chiarimento: non è affatto
vero che una cagna di razza, che si accoppia con un meticcio, rimane ‘segnata’
a vita. Alla successiva cucciolata, la purezza del pedigree non è sminuita.
Tuttavia, questa falsa convinzione della ‘contaminazione della razza’ è un’idea
ancora molto presente nell’immaginario collettivo e provoca diffidenza negli
acquirenti. Si deve la colpa a degli esperimenti pseudoscientifici, eseguiti
più di due secoli fa, che tuttavia si sono radicati nel pensiero comune, tanto
che, ancora oggi, molti cuccioli vengono abbandonati
per questo motivo.
Questa convinzione si chiama ‘telegonia’
e vi riporto la definizione della Treccani.
“Telegonia – Teoria infondata,
basata unicamente sulla credenza popolare e diffusa fra gli allevatori,
secondo la quale la femmina di un Mammifero, che sia stata una volta coperta da
un maschio di altra razza o specie e abbia partorito gli ibridi, quando sia
fecondata nuovamente da maschi della propria specie o razza, anche se a
distanza di molto tempo, può partorire figli con qualche carattere d’ibrido”.
Ora, se questo problema lo segnala
pure la Treccani,
non è cosa da poco.
Il nome del canile è inventato. Inizialmente pensavo di
usarne uno vero, poi non volevo creare possibili problemi.
Per chi non lo sapesse: è possibile regolare il doppio
effetto benefico del tè. Con un tempo di infusione di
circa 5 minuti, il tè ha un effetto calmante anziché stimolante, perché la
teina viene inibita (come se fosse tè deteinato).
Ecco ben TRE anticipazioni
del prossimo capitolo:
Arthur si prese il tempo di sondare tutto il posto. Poi
osservò la targhetta del luogo, sbiadita e col colore scrostato.
Un improvviso disagio
lo colse. Come qualcosa di sopito, di fastidioso. Un vago senso
di malessere nascosto dietro una porta socchiusa della mente.
Ricordò improvvisamente una cosa che aveva dimenticato.
Quand’era solo un
marmocchio, una sera suo padre lo aveva minacciato di mandarlo a dormire fra le
cucce di Black Hill, se non avesse smesso di frignare
all’istante.
L’Arthur di allora non sapeva
cos’era Black Hill, ma il nome Collina Nera non gli piaceva neanche un po’. L’Arthur di adesso era dello stesso parere.
Riaccese la macchina e – per una qualche forma di perverso
autolesionismo – fece il giro completo della decadente proprietà. Arrivato al
punto di partenza, lanciò uno sguardo alla cagnolina nella scatola. Lei
scodinzolò, di rimando.
Arthur diede gas, sospirò e andò via.
(...)
Il telefono squillò un’infinità di volte, prima che qualcuno
si decidesse a rispondere.
“Hello!”
“Gwaine?”
“Oh, Principessa!”
“Gwaine!”
“Sì, capo?” ritentò l’uomo, fingendosi deferente.
“Ho un lavoro per te…”
“Ma che cavolo! È
sabato pomeriggio!”
“E tu sei ancora in ufficio perché cazzeggi tutta la
settimana e i tuoi arretrati sono più alti del Big Ben!”
“Non infierire, ti prego…”
(...)
Ma nel dormiveglia i pensieri si
affollavano, e i padroni di Aithusa apparivano nella
sua mente come pazzi sanguinari o delinquenti incalliti.
Magari era stata
rapita. Magari la Regina
allevava questa razza in segreto e i Corgi erano solo
una copertura.
Magari il rapimento era
andato male, il negoziato era saltato e lui sarebbe stato incolpato?
Sarebbe finito a Pentonville, oppure – Dio non voglia! – nella Torre di
Londra, come i vecchi traditori della Corona, anche se era innocente?!
~ ~~~~
Ringrazio i 15 utenti che hanno
messo la fic fra i ‘preferiti’, i 3 ‘da ricordare’ e
i 75 ‘seguiti’.
Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne
pensate, ora che la storia sta ingranando! ^_=
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Ho
aggiornato, un paio di giorni fa, con una piccola ficfluffosa, spoiler post!5x13: “The Royal Baby” e mi piacerebbe avere un vostro
parere, se vorrete darci un’occhiata.
Campagna di Promozione Sociale -
Messaggio No Profit:
Dona l’8‰
del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede) Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.
Un pensiero speciale a chi
ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).
A chibimayu, katiaemrys, Eresseie93, misfatto, Barby_Ettelenie_91,
elisabethy92, DevinCarnes, FlameOfLife,
RavenCullen, Burupya, Orchidea Rosa, crazyclever_aveatquevale, mindyxx e _Serendipity_.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
Waiting for you
Capitolo V
Non era giusto. Ecco.
Quella era una
responsabilità troppo grande e lui non si sentiva pronto ad assumersela.
Come cazzo pretendeva
di stravolgergli la vita, quel dannato sacco di pulci?
E quel Dumbo da strapazzo?!
Arthur ingoiò un ansiolitico senz’acqua (giusto per
scrupolo) e poi mise in moto l’auto.
Il dottor Emrys lo aveva infinocchiato per bene, altroché!
Gli aveva fatto promettere di posticipare ogni scelta a lunedì, e di godersi
il weekend.Sì, certo. Come no?
Si era anche offerto, ad onor del
vero, di prestargli tutto il materiale occorrente per il soggiorno temporaneo
della cagnetta, ma Arthur aveva rifiutato, perché non voleva passare per uno
sporco spilorcio né vivere di carità della gente.
“Allora posso consigliarti il Pet Shop all’angolo, si trova in fondo al viale! Di’ che ti mando io, ti faranno lo sconto!” gli aveva suggerito,
stilando un breve elenco del necessario, prima di congedarlo.
Evidentemente, però, si era scordato di riferirgli che il
negozio non faceva orario continuato di sabato e che non avrebbe riaperto prima
di un paio d’ore abbondanti.
Arthur fulminò con lo sguardo il cartellino ‘CHIUSO’ appeso
sul vetro, imprecò tra sé e sbatté la portiera.
La cagnetta guaì in risposta, pertanto
le lanciò un’occhiata di scusa.
Oh, al diavolo!
Sarebbero tornati a casa e lui avrebbe trovato un’altra bottega altrove!
***
Arthur non sapeva
perché era finito lì.
Non l’aveva fatto di proposito, beninteso. Aveva
semplicemente guidato in maniera distratta, lasciando i pensieri vagare per
conto loro, innestando quasi il pilota automatico.
Quella zona periferica di Londra non gli
era affatto familiare, tutto prati e colline. E insetti fastidiosi. No, decisamente non
era il suo ambiente.
I cancelli di Black Hill si
stagliavano a pochi passi, oltre il marciapiede dove
aveva accostato.
La vecchia recinzione era malandata, rattoppata
in più punti alla bell’e meglio.
C’era un costante abbaiare di
sottofondo, e le voci di alcuni volontari che dedicavano un po’ del loro tempo
per rendere meno straziante il soggiorno degli animali lì dentro.
Arthur si prese un momento per sondare tutto il posto. Poi
osservò la targhetta del luogo, sbiadita e col colore scrostato.
Un improvviso disagio
lo colse. Come qualcosa di sopito, di fastidioso. Un vago senso
di malessere nascosto dietro una porta socchiusa della mente.
Ricordò improvvisamente una cosa che aveva dimenticato.
Quand’era solo un
marmocchio, una sera suo padre lo aveva minacciato di mandarlo a dormire fra le
cucce di Black Hill, se non avesse smesso di frignare
all’istante.
L’Arthur di allora non sapeva
cos’era Black Hill, ma il nome Collina Nera non gli piaceva neanche un po’. L’Arthur di adesso era dello stesso parere.
Riaccese la macchina e – per una qualche forma di perverso
autolesionismo – fece il giro completo della decadente proprietà. Arrivato al
punto di partenza, lanciò uno sguardo alla cagnolina nella scatola. Lei
scodinzolò, di rimando.
Arthur diede gas, sospirò e andò via.
***
Il telefono squillò un’infinità di volte, prima che qualcuno
si decidesse a rispondere.
“Hello!”
“Gwaine?”
“Oh, Principessa!”
“Gwaine!”
“Sì, capo?” ritentò l’uomo, fingendosi deferente.
“Ho un lavoro per te…”
“Ma che cavolo! È
sabato pomeriggio!”
“E tu sei ancora in ufficio perché cazzeggi tutta la
settimana e i tuoi arretrati sono più alti del Big Ben!”
“Non infierire, ti prego…”
“Infierisco eccome! Sono il tuo fottuto
capo!”
“Tiranno…” smozzicò l’uomo, a mezza bocca.
“Ci sento,sai?” sibilò Pendragon, in risposta.
“Dimmi cosa ti serve, e facciamola finita”, s’arrese.
Arthur sorrise interiormente. Gwaine O’Green era uno dei suoi più cari amici e
un fancazzistaad oltranza; era
contemporaneamente una spina nel fianco e una persona su cui poter contare ciecamente
(quando non era ubriaco fradicio – il che, purtroppo, capitava abbastanza
spesso). “Ti sto per inviare una foto-”
“Dimmi, ti prego, che sarà di una
bella gnoccatutta
curve e chioma fluente!” lo interruppe Gwaine,
supplicandolo con un tono querulo da bambino viziato.
“Sulla chioma fluente ci siamo!” confermò Arthur, ghignando
fra sé.
“Oh! Grazie al cazzo! Finalmente hai superato la cosa di Viv e ti sei rimesso in caccia! Com’è la volpetta? Eh? Eh?!”
“È una cagna pelosa”, sibilò Pendragon,
ancora suscettibile nel sentire il nome della sua ex.
“Eh?” la voce tentennò. “Suvvia, Principessa! Non è da te essere
così scurrile su una donna! Ma… aspetta… hai detto ‘pelosa’?!
Arthur! Che cazzo di gusti che ti ritrovi!” lo biasimò.
Arthur fu colto da uno strano déjà vu. Da quando Gwaine saltava alle conclusioni come
Gwen?
“No, idiota! È proprio un cane. Femmina”, specificò. “Sto per
mandarti una sua foto col cellulare. Voglio che prepari un volantino di
ritrovamento, con tutti i dati che ti invierò nel
messaggio”.
“Quante copie?”
“Direi… cento? Uhmm… no, meglio cinquecento. E pretendo che tu
muova il tuo culo pigro e che vada ad attaccarli nella
mia zona residenziale e nei dintorni”.
“Schiavista!” ruggì Gwaine, per
protesta, anche se sapeva che sarebbe stato inutile. “Perché non lo fai da
solo?”
“Perché non verrò in ufficio e non voglio che associno
questo volantino al mio nome, anche se c’è lì sopra il mio recapito. Sono nuovo
della zona e non conosco ancora nessuno…”
“Detto tra noi, hai fatto di tutto per non fare conoscenze!” gli appuntò l’amico.
“Sì, beh… non voglio trovarmi davanti a casa una coda di madri single, vecchie disperate o gay disponibili…”
“Hai proprio una bella cagna da pelare!” ironizzò Gwaine.
“Il tuo umorismo è davvero di bassa lega…” lo compatì Pendragon. “Mandami un prototipo via fax e poi datti da
fare”.
“Agli ordini, Vostra Maestà!” Scattò sull’attenti, anche se
Arthur sapeva che quell’idiota si stava divertendo a sue spese. “Ma… Principessa? Cos’è questa cosa del
cane?”
“Muoviti e mantieni il segreto! In cambio,
ti perdonerò quando lunedì arriverai tardi in ufficio”.
“Come fai a sapere che ritarderò?!”
chiese, piccato, accantonando la curiosità.
“Gwaine, non ti ho mai visto un
solo giorno puntuale, da che ti conosco…”
“Sì, beh…” mugugnò O’Green, senza una solida protesta. “Vado
a rendermi utile…” e chiuse la telefonata.
Arthur inoltrò i dati e si
stravaccò sul divano, esausto dalla notte insonne e in parte provato dalla
crisi di poco prima, mentre la cagnolina mordicchiava il giochino che il dottor
Emrys aveva dimenticato nello scatolone (anche se lui
sospettava che non fosse stata una vera e propria dimenticanza…).
Bene, si disse.
Aveva seguito il primo consiglio di Merlin per trovare quel padrone
disgraziato. Ora non restava che rifare un giro dell’isolato e vedere se – con
più fortuna di quella mattina – avrebbe forse incrociato qualcuno. Magarifra cinque minuti, giusto un attimo per riposare le palpebre pesanti…
sì, un attimo, si convinse, stiracchiandosi, rilassando la muscolatura. E
mentre cedeva al sonno, un pensiero confortante prese corpo… avrebbe sempre potuto infilare la cagnetta
in un cesto di vimini e consegnarla alla riva del Nilo, come Mosé alla porta del suo vicino. Come un ladro, di
notte.
Con un bel fiocco e un
grazioso bigliettino “Adottami” di accompagnamento.
***
Arthur si destò assaporando uno stato di beatitudine tra
sonno e veglia che francamente gli sembrava di non aver provato da secoli.
Si crogiolò languidamente col silenzio assoluto della casa, con
la quiete immobile e il piccolo peso che gli schiacciava il fianco. Allungò una
mano ed era morbido e caldo, palpitante contro le sue
dita.
Sollevò lentamente la testa e trovò Aithusa
che dormiva col musetto sul suo stomaco, il corpicino pigiato contro di lui.
“Ehi…” sussurrò, d’istinto.
Subito il cane sollevò il tartufo e, con una mossa
imprevedibile, si arrampicò su di lui, leccandogli la faccia a tradimento.
“Ehi!” sbottò allora Arthur, di colpo del tutto sveglio,
afferrandola per i fianchi per allontanarla da sé.
La cagnetta, per nulla indispettita, si mise a scodinzolare,
mugolando.
Lui la depose a terra, con un’espressione da ramanzina
pronta.
“Chi ti ha dato il permesso di
salire sul divano, eh?” l’interrogò, retorico, ma Aithusa
abbaiò di rimando, con tutta l’intenzione di rispondergli a tono.
Arthur sorrise suo malgrado.
“Seriamente, signorina, dovrò insegnarti come ci si lava i
denti, sai?” la canzonò, strofinandosi distrattamente la guancia piena di bava.
“Sempre che io non muoia per qualche infezione fulminante prima… ma Merlin ha
detto che sei sana, quindi…”
Aithusa abbaiò una seconda volta,
correndo poi verso la porta d’entrata.
“Pipì?” suppose l’uomo, afferrando il soprabito e le chiavi.
“D’accordo, tanto il giro era già programmato…”
Controllando il cellulare, si accorse delle cinque chiamate
perse da parte di Gwaine. Velocemente afferrò il fax arrivato
e, dopo averlo letto, gli rispose digitando un messaggio di approvazione.
***
Il tentativo si era rivelato un buco nell’acqua ma, dopo i discorsi
che gli aveva fatto il veterinario, non si era fatto
troppe illusioni a riguardo.
La cosa che invece lo aveva piacevolmente stupito era stato il comportamento di Aithusa.
Per portarla a spasso non era servito un guinzaglio (che,
per inciso, ancora non aveva, poiché quel venditore idiota non faceva orario
continuato): lei se ne stava rigorosamente affiancata alla sua gamba, come un
perfetto soldatino addestrato.
Nella zona del parco in cui anche i cani avevano accesso,
l’aveva lasciata libera di scorrazzare (perché Merlin gli aveva detto che bisognava
farla passeggiare spesso, per allenare i muscoli da usare al momento del
parto); e successivamente, con un altro paio di
comandi ben scanditi, lei aveva obbedito docilmente ritornandogli accanto.
Nel negozio di animali (quello
dell’idiota, perché in fondo lui era pigro e non voleva cercarne altri, e se
Merlin gliel’aveva consigliato… un motivo c’era, no?), Arthur si era visto
spalancare un intero mondo di novità.
William, il proprietario, aveva una faccia da schiaffi e un
atteggiamento che lo indispettiva a pelle (e
la cosa sembrava essere reciproca, per amor di pignoleria), ma quando aveva
visto la cagnetta si era illuminato come il sole di mezzogiorno e le aveva
fatto un sacco di feste, offrendole un bocconcino di benvenuto. Quando, poi,
Arthur gli aveva detto – controvoglia – che non se ne intendeva per nulla e che
era stato il dottor Emrys a mandarlo da lui, il
padrone del negozio era divenuto raggiante come il sole di mezzogiorno a ferragosto.
“I pazienti di Merls mi chiamano
Will!” aveva esordito, accantonando l’iniziale diffidenza.
Arthur, suo malgrado, avrebbe
voluto dirgli che lui, invece, restava Mr. Pendragon,
ma si limitò a presentarsi col suo nome di battesimo, stringendogli la mano, e
dopo gli aveva consegnato l’elenco stilato dal veterinario.
“La signorina è incinta, eh?” constatò,
quindi, dopo un rapida occhiata alla lista.
“Ma come hai…?”
“È per via del cibo! Molto spesso, si utilizza per le cagne
gravide lo stesso mangime dei cuccioli, perché ha un alto valore nutrizionale e
contiene delle sostanze necessarie che le femmine accumulano, per usarle poi
durante l’allattamento. E siccome lei non è certamente un
cucciolo”, gli appuntò Will, pungendo un po’ l’orgoglio del giovane Pendragon, per la sua iniziale ingenuità sull’argomento, “è
ovvio che sia incinta!”
“Sì, Sherlock. Vai avanti…” brontolò Arthur.
“Cosa mi consigli di prendere?”
“Ho un sacco da due chili di quel mangime, se vuoi, è ottimo
e-”
“Facciamo tre sacchi”, tagliò corto.
“Un paio di ciotole per cibo e acqua?”
“Dammene quattro”.
“Un ossicino per le gengive?”
“Almeno cinque”.
“Dei giochini?”
Arthur ne afferrò una cinquantina a caso, infilandoli nel
carrello. “Basteranno?”
“Per almeno un paio di vite, credo”, ridacchiò Will.
“E questo a che serve?” Arthur indicò una specie di torretta
con dei pedali.
“Ci metti dentro le crocchette e, se lei preme i posti
giusti, riceverà una ricompensa… anche quest’altro ha una funzione simile: ci
sono degli scomparti nascosti, il cane deve scoprirli e allora mangerà il
biscottino”, con praticità gli indicò il funzionamento dei due modelli.
“Potenzia le abilità cognitive”.
“Li prendo!”
“Entrambi?” domandò il negoziante, sollevando un
sopracciglio perplesso.
“Sì”.
“Ci sarebbe poi il cubo con sorpresa incorpora-”
“Lo voglio”.
“E la palla morbida che-”
“Anche quella!” Arthur gli rubò di mano il giochino e lo
infilò nel carrello straripante.
“D’accordo… d’accordo”, bofonchiò
il proprietario. “Passiamo ai generi di conforto… una cuccia?”
“Voglio una cesta, la migliore che hai”.
“Coperta? Cuscini?”
“Sì, tutto!”
“Una spazzola? Per mantenere questo
aspetto soffice e immacolato, il mantello va pettinato e tagliato regolarmente.
Anche le unghie vanno accorciate di frequente, perché crescono molto in fretta…”
“Alt!” lo frenò Arthur. “Spazzole sì, tagliaunghie no. Mi affiderò a qualche centro di toelettatura professionale”.
“Quindi… niente shampoo?”
“Certo che sì, mi serve!”
Scelsero anche il collare, il guinzaglio, altre vitamine e feromoni
rilassanti (perché non si sapeva mai)
con diffusore nell’ambiente temporizzato.
“Vuoi qualche fiocco? Degli elastici carini per farle le
codine? Potresti decorarle il pelo con…”
“Ti sembra forse una bambola?!”
saltò su Arthur, infastidito. “Non camufferò il mio cane come una stupida Barbie!”
Will rise di gusto, sollevando i palmi delle mani a
mezz’aria. “D’accordo. In fondo, il cane è tuo!”
C’era una piccola,
sottile vocina che ricordava ad Arthur che no, non lo era.
Che era una pazzia
spendere un capitale per qualcosa che sarebbe andato presto nella spazzatura, probabilmente
ancor prima di essere usato.
Arthur cacciò quel sussurro malevolo e porse la sua carta di
credito platino.
D’accordo. Aveva fatto
man bassa del negozio. Ma si sentiva euforico e
soddisfatto come non succedeva da tempo e poi, se le
cose fossero andate male, avrebbe anche potuto regalare tutto al canile. Magari
con una donazione.
“Mi sento in dovere di dirti che qui c’è il centuplo di
quello che Merlin ti aveva consigliato…” gli fece notare William, con una
schiettezza che andava contro i propri interessi.
Pendragon sorrise, apprezzando il
gesto.
“Non importa, va bene così”.
***
Ci aveva messo un secolo a svuotare tutte le sporte della
spesa fatta, e altrettanto tempo per riporre tutto in modo congeniale,
ma fu ricompensato pienamente, quando Aithusa –
durante un giro di ispezione sulle novità – si accoccolò felice nella sua novella
cesta imbottita (era risultata palesemente
di suo gusto, ma Arthur era certo che ogni propria scelta era la migliore,
signorsì), e poi aveva reso onore ai giochini,
dimostrandosi fin da subito sveglia e scaltra.
Arthur sentì un
piccolo gorgoglio di soddisfazione alla base dello stomaco. Era la sua cagna,
dopotutto! Aveva scelto lui perché era speciale, no?
Anche se, a dire il vero, nei suoi sogni privati, si era
immaginato che, quando fosse toccato a lui essere raffigurato
in uno di quei giganteschi quadri appesi nella galleria di Pendragon
Hall – quella con tutti i suoi predecessori, i patriarchi Pendragon
–, al massimo ci sarebbe stato un grosso cane con lui. Solennemente in posa al
suo fianco, aveva fantasticato su un Labrador (come nonno Constantine),
un alano (come lo zio Aurelius), o piuttosto un imponente Terranova o un Rottweiler
(come quel matto del prozio Constans, pace all’anima
sua) o forse… forse un Doberman.
Non certo con in
braccio quel… quel topo!
Perché sì, la prima
impressione era dura a morire. E Arthur, probabilmente, se la sarebbe portata
fin nella tomba.
Sentiva la coscienza rimordere, svalutandola così… e Aithusa poteva essere anche uno splendido cane, ma assomigliava ancora ad
un sorcio.
Quando la cagnetta gli riportò, servizievole, la pallina che
aveva lanciato, si sentì ancora più in colpa a disprezzare la sua natura. Tanto
più che, dopo suo padre, nessun Pendragon avrebbe più
avuto animali raffigurati accanto e il problema, in realtà, non si poneva
neppure.
Per questo motivo, Arthur accantonò ogni cruccio, preparò
una buona cena per sé e per la sua ospite (una grossa ciotola di cibo, nelle
dosi e nelle modalità spiegate dal promemoria di
Merlin), poi attese invano qualche novità su presunti padroni affranti.
Ma nessuno si fece vivo e le tre telefonate che ricevette non erano servite a niente.
Pazienza, si era
detto, preparandosi per la notte. C’era
ancora un’intera domenica che doveva trascorrere.
Forse quell’imbecille
del suo padrone si sarebbe fatto vivo, no?
Ma… se davvero il
proprietario di Aithusa si fosse rivelato un idiota,
con che coraggio gliel’avrebbe restituita?
Affondando nel piumino leggero, Arthur non riusciva a
cacciare quel velo d’inquietudine.
Controllò che la bestiola fosse comoda nella cesta accanto
al letto – perché non valeva la pena di
ingaggiare un’altra battaglia, come le notte
precedente,gli aveva sbattuto in
faccia il suo senso pratico – e poi aveva spento la luce.
Ma nel dormiveglia i pensieri si
affollavano, e i padroni di Aithusa apparivano nella
sua mente come pazzi sanguinari o delinquenti incalliti.
Magari era stata
rapita. Magari la Regina
allevava questa razza in segreto e i Corgi erano solo
una copertura.
Magari il rapimento era
andato male, il negoziato era saltato e lui sarebbe stato incolpato?
Sarebbe finito a Pentonville, oppure – Dio non voglia! – nella Torre di
Londra, come i vecchi traditori della Corona, anche se era innocente?!
Che cazzo. Doveva
smetterla di guardare film di bassa lega, che poi gli fottevano
l’inconscio.
Razionalmente, Arthur sapeva di essere emotivamente
stentato, e di compensare con una fantasia troppo fervida.
Ma quando dormiva, era il suo istinto a prendere il
sopravvento – non le rigide regole con cui Uther
l’aveva plagiato a sua immagine e somiglianza – e, nel sonno, che fosse fervente o meno, la sua mente trotterellava per i campi che
sceglieva da sé, senza consigli né direttive.
Arthur si rigirò nel letto, ad un passo dal risveglio.
Doveva contare le
pecore. Fanculo! No, le pecore no.
Doveva concentrarsi su
pensieri positivi, su idee rilassanti e piacevoli…
Ma poi la sua psiche lo ricondusse
al pensiero che Aithusa non aveva il chip –
obbligatorio per legge – né piastrina o tatuaggio.
Forse faceva parte dei
Narcos. Poteva essere un trafficante sotto copertura!
Così, se fosse stata arrestata, sarebbe stata irriconoscibile.
Irrintracciabile. Forse l’avevano già usata per il loro contrabbando e adesso
non serviva più e se ne erano disfatti...
Arthur si risollevò a sedere sul materasso, di colpo
incredibilmente sveglio.
Poi si voltò a guardare il topo-cane-pecora, con la poca luce che filtrava dalle
tende.
Aithusa dormiva serena, il
corpicino che si muoveva al ritmo del suo respiro.
Arthur scosse la testa.Nah.
Continua...
Disclaimer:I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: Le varie nozioni
veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate
sono prese da siti web specializzati.
La carta di credito platino: nell’immaginario
collettivo di qualche anno fa, rappresentava il massimo dello status di
ricchezza. Diciamo che è il predecessore
della famosa battuta “Mastercard”.
Pentonville e la torre di Londra
sono due prigioni, la prima ancora attiva, la seconda è ora monumento storico.
I nomi dei parenti Pendragon sono
effettivamente quelli del mito arturiano, anche se li ho mescolati un po’.
Come ho già detto,Black Hill non esiste. Ho preferito non citare un vero
canile.
Ho scelto O’Green come cognome di Gwaine,
perché lui è comunemente definito ‘Il Cavaliere Verde’
e O’ è in onore alle redici irlandesi di Eoin.
Credo che sia la prima fic in cui
tratto bene Gwaine. XD
Lo sanno anche i sassi che io lo odio (neanche tanto cordialmente), ma qui avrà
un bel ruolo! *_*
Secondo la tradizione ebraico-cristiana,
Mosè fu abbandonato in un cesto di vimini lungo le sponde del Nilo, per
salvarlo da morte certa, e poi salvato e adottato
dalla figlia del Faraone.
Ecco ben TRE anticipazioni
del prossimo capitolo:
Quando la sveglia suonò, Arthur si era già alzato da un po’.
Sentendosi come un padre single il primo giorno di scuola
della sua pupilla, aveva preparato tutto il necessario per rendere confortevole
la permanenza di Aithusa: copertina, cuscini, giochini, cibo, ciotole...
(...)
Con passo furtivo (quanto lo consentivano tutti i borsoni
addosso e il cane sottobraccio), era salito in ascensore, schivando occhi indiscreti.
Non si aspettava, però, di trovare nel suo ufficio una cesta
già predisposta, persino delle ciotole in attesa di essere riempite e un bel
cartello che diceva: “Sono la pupa del
boss”.
Arthur scoppiò a ridere, intuendo che ci fosse stata la mano
di Gwaine dietro a tutto
quello.
Prima o dopo, avrebbe
dovuto dargli un aumento… oppure l’avrebbe licenziato per la sua impudenza.
Poi, senza sapere esattamente perché, sfilò il cellulare
dalla tasca della giacca e scattò una foto del quadretto d’accoglienza e la
inoltrò al numero del dottor Emrys, che aveva
memorizzato per scrupolo.
Non capiva perché
l’aveva fatto.
Ma non se ne pentì.
Forse poteva
dimostrare di non essere così totalmente incapace, no?
(...)
Messaggio
inviato
A: Merlin
18:55
Un giorno ancora.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
18:57
Ottima idea! ;)
Arthur si sentì sorridere. Forse stava impazzendo. Non era da lui messaggiaread un uomo sconosciuto – d’accordo, semisconosciuto calzava meglio? – e perdersi in quelle
frivolezze.
Forse lo stava
infastidendo.Forse… beh, in tal
caso, sarebbe stato il veterinario a farglielo capire. E, comunque, quel gioco sarebbe finito con l’addio alla cagnetta.
~ ~~~~
Ringrazio i 17 utenti che hanno
messo la fic fra i ‘preferiti’, i 5 ‘da ricordare’ e
i 85 ‘seguiti’.
Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne
pensate, ora che la storia sta ingranando! ^_=
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Ho
aggiornato, qualche giorno fa, Linette 81.
Fra
qualche giorno, arriverà una nuova shotpre-serie.
Restate sintonizzati!
Campagna di Promozione Sociale -
Messaggio No Profit:
Dona l’8‰
del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede) Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
Perdonate il ritardo, sto ancora concludendo
il trasloco. ç_ç
Devo solo precisare che gli
orari e i tempi di risposta degli sms che leggerete, da questo capitolo in poi,
sono una scelta ragionata e prima della fine vi spiegherò il perché; anche se,
comunque, non vi cambierà la vita se preferite non farci caso…
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.
Un pensiero speciale a chi
ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).
A mindyxx, FlameOfLife,
Barby_Ettelenie_91, hiromi_chan, chibimayu,
Burupya, Orchidea Rosa, misfatto, crazyclever_aveatquevale, katiaemrys, Eresseie93, aria, DevinCarnes, RavenCullen, YukiEiriSensei e areon.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
Waiting for you
Capitolo VI
La domenica mattina era trascorsa pigramente, Arthur si era
svegliato con calma, Aithusa aveva aspettato
pazientemente che facesse colazione, e poi l’aveva portata fuori per una
passeggiata e un’altra (infruttuosa) ricognizione nel vicinato.
L’unica cosa rimarchevole era stata, in realtà, un
incidente: quando un grosso cagnaccio aveva cercato di molestarla, Arthur aveva
difeso il suo onore come il più valoroso dei cavalieri, e aveva fatto tutta la strada di ritorno con la cagnetta in braccio.
Nel pomeriggio l’aveva spazzolata per bene, col risultato
che il pelo si era gonfiato ancor di più, ma era diventato morbido e setoso
all’inverosimile: chiunque avrebbe potuto passarci le mani per ore intere. Era come una droga. Uhm… il che non
escludeva l’idea del narcotraffico… ma, francamente, Arthur scartava
l’ipotesi di qualcuno che fosse così disperato da leccare il mantello di un
cane per farsi un trip improvvisato.
All’imbrunire, il campanello dell’appartamento trillò e il
giovane Pendragon, mezzo appisolato sul divano con la
cagnetta sullo stomaco e un film ignorato, saltò per la sorpresa.
Aithusa abbaiò in
risposta ad una seconda scampanellata, mentre il suo ignaro padrone si faceva
prendere da un’improvvisa ansia.
Non aspettava nessuno.
Quindi… che fosse il proprietario della bestiola,
venuto a riprendersela?
No, cazzo. Non era
pronto a dirle addio. Non così.
Fu con un gesto nervoso che Arthur scavò nella tasca dei
pantaloni da casa, ma non trovò il consueto flaconcino degli ansiolitici.
Con stupore, realizzò che si era
scordato di prenderli, dal giorno prima, perché era stato troppo impegnato a
gestire il sacco di pulci.
Eppure non ne aveva mai sentito il bisogno da che si era
alzato; non aveva provato neppure un filo d’ansia, mentre era con lei. Forse – beh, dannazione, ma sarebbe morto prima di
ammetterlo! – il dottor Dumbo aveva ragione nel
dire che un animale da affezione avrebbe potuto giovare sulla sua apprensione.
Qualcuno bussò direttamente contro lo stipite della porta – qualcuno che aveva scavalcato la
recinzione, per arrivarci. Arthur sussultò e, con un lungo respiro, si
preparò a dar battaglia allo sconosciuto visitatore.
“Oh, Principessa! Finalmente! Pensavamo che fossi caduto nella tazza del cesso!” lo salutò Gwaine, facendosi largo sulla soglia, appena socchiusa,
senza permesso.
Arthur sbatté le palpebre. “Ma che
diavolo…?”
Il suo dipendente preferito
cliccò sul display del citofono e un rumore metallico avvertì che il
cancelletto esterno era stato aperto.
Qualche istante dopo, anche Gwen
fece la sua – imbarazzata – comparsa.
“Pizza?” suggerì, muovendo la testa riccia, come offerta o
scusante, sollevando verso di lui tre cartoni da asporto.
“Ma che…?” ritentò Pendragon.
“Morivamo dalla voglia di vederti, non ci basta subire le
tue angherie ogni giorno in ufficio, quindi… ci siamo detti che autoinvitarci
da te, per cena, era una buona idea!” spiegò O’Green, con la consueta spavalderia.
“Devi metterci la birra, però!” precisò poi, puntando un indice a mezz’aria,
come ammonimento.
“La verità è che eravamo curiosi di vedere la tua preziosa
ospite”, aggiustò Gwen, con un sorriso di
giustificazione.
E così Arthur fece le presentazioni, e il suo cane (che non era suo, ma un
po’ lo era) s’era fatta spupazzare da tutti, mentre lui raccontava
la sua odissea – preventivamente corretta – dal veterinario (Quello è tutto matto, Gwen!),
per concludere con Will, del Pet Shop.
“Quindi… te la tieni?” Come
d’abitudine, le domande di Gwaine arrivavano sempre
al sodo. Pungevano esattamente il fantomatico nervo scoperto, non importava di chi o dove fosse.
“Fino a domani, sì”, ripose Arthur, distogliendo poi lo
sguardo colpevole dalla cesta di Aithusa, ingoiando
un trancio di pizza con doppio formaggio filante.
“E perché non la tieni per sempre?” propose Guinevere, che si era innamorata a prima vista della
cagnetta.
“È tutto più complicato di così…” soffiò, con un senso di ineluttabilità. “Ho promesso di occuparmene per un paio
di giorni… ma, per esempio, domattina non so neppure a chi lasciarla!”
“Ti aiuteremo noi!” replicò la sua segretaria, prontamente.
“Oh, sì, Principessa!” confermò Gwaine,
con un sorriso malandrino. “Sono pronto a sacrificarmi e resterò qui a farle da
dog sitter mentre tu vai al lavoro!”
“Gwaine!” sbottarono all’unisono
gli altri due.
“Che c’è?!” si difese, stringendosi
nelle spalle.
“Lavativo!” “La riunione!” si sovrapposero nuovamente le
altre voci.
“Beh… ma non era una brutta idea!” protestò.
“Arthur…” ritentò Guinevere, più
pacatamente. “Puoi portarla in ufficio con te… le troveremo uno spazio
adeguato… ci organizzeremo per le passeggiate e i bisognini…”
“Sì, capo! In fondo la Pendragon
Company è tua, adesso!”
“Se mio padre lo venisse a sapere, morirebbe all’istante e me
lo ritroverei sulla coscienza…” obiettò, con poco impegno, in verità.
“Ok, allora è deciso!” deliberò Gwaine,
ignorando la protesta.
Gwen sorrise concorde. “Lascia fare a noi!” lo rincuorò, battendogli
una mano sulla spalla.
“È proprio per questo che non mi fido!” rise Arthur,
sentendosi però assurdamente più leggero.
***
Quando la sveglia suonò, Arthur si era già alzato da un po’.
Sentendosi come un padre single il primo giorno di scuola
della sua pupilla, aveva preparato tutto il necessario per rendere confortevole
la permanenza di Aithusa: copertina, cuscini, giochini, cibo, ciotole...
Ci aveva pensato su parecchio, una volta che i suoi amici ficcanaso se n’erano andati.
C’era l’anticamera del suo bagno privato, dove la cagnetta
avrebbe potuto dormire e giocare in pace, senza essere vista da chi entrava nel
suo ufficio.
Certo, non era una
soluzione ottimale, ma era un buon compromesso.
E così l’aveva fatta entrare nel
trasportino – per prudenza e perché non poteva continuare a farla
viaggiare in uno scatolone, miseria ladra! – e si era diretto alla sede molto
prima dell’orario consueto.
Con passo furtivo (quanto lo consentivano tutti i borsoni
addosso e il cane sottobraccio), era salito in ascensore, schivando occhi
indiscreti.
Non si aspettava, però, di trovare nel suo ufficio una cesta
già predisposta, persino delle ciotole in attesa di essere riempite e un bel
cartello che diceva: “Sono la pupa del
boss”.
Arthur scoppiò a ridere, intuendo che ci fosse stata la mano
di Gwaine dietro a tutto
quello.
Prima o dopo, avrebbe
dovuto dargli un aumento… oppure l’avrebbe licenziato per la sua impudenza.
Poi, senza sapere esattamente perché, sfilò il cellulare
dalla tasca della giacca e scattò una foto del quadretto d’accoglienza e la
inoltrò al numero del dottor Emrys, che aveva
memorizzato per scrupolo.
Non capiva perché
l’aveva fatto.
Ma non se ne pentì.
Forse poteva
dimostrare di non essere così totalmente incapace, no?
Gwen era arrivata poco dopo, con
il familiare ticchettio delle scarpe e il suo caffè doppio latte con caramello.
E la loro frenetica giornata lavorativa era incominciata.
***
Era chiaro che il suo sporco
segreto peloso non sarebbe rimasto tale per molto – c’erano decisamente troppe donne che lavoravano in quel piano dello
stabile –, ma Arthur non si era aspettato di vederle litigare per decidere chi dovesse portare Aithusa
a passeggio e quando.
Mithian e Sophia
si erano quasi accapigliate davanti alla macchinetta del caffè alle dieci, e il
suo ufficio non era mai stato così trafficato neppure nel periodo dei Revisori
dei Conti. Tutti erano curiosi di vedere La Novità
(che era riuscita a fregare quel babbeo
di Pendragon, era il sottinteso) e facevano a
gara per inventare una scusa qualsiasi, che motivasse un accesso alla stanza e
la sua attenzione, mentre loro sbirciavano alle sue spalle, in cerca del
succulento gossip.
A mezzogiorno, Arthur aveva preferito saltare il pranzo che
di solito consumava nel ristorante dirimpetto al loro stabile, in favore di
un’insalata che Gwen si era procurata per lui, con un
sorriso di scuse e un’occhiata di solidarietà.
Alle due, finita la pausa, il fermento era cresciuto a
dismisura, tanto che egli si sentì in dovere di prendere in mano la situazione.
Letteralmente.
Quindi afferrò Aithusa e spalancò
la porta facendo sussultare tre dipendenti che non si aspettavano
la sua improvvisa comparsa.
Fanculo la riservatezza.
Schiarendosi la voce, Arthur richiamò l’attenzione di tutti
i presenti che, dalle loro postazioni, allungarono il collo con curiosità.
“Gradirei due minuti del vostro tempo!” premise, impostando
poi il tono ‘da comando’ che suo padre gli aveva
insegnato sin da ragazzo. Poi spiegò brevemente perché il cane fosse lì.
Alla fine, però, erano state le moine della cagnetta a
conquistare tutti, e ognuno dei sottoposti le regalò una carezza o uno sguardo
d’affetto, anche per rispetto della sua triste condizione.
E tutti avevano giurato e spergiurato che il segreto sarebbe
rimasto tra quelle mura: era superfluo menzionare che il vecchio Pendragon non avrebbe mai approvato una simile ingerenza.
***
La scelta si era rivelata una mossa vincente,
perché finalmente poté concentrarsi sul suo lavoro per il resto del pomeriggio,
senza venire interrotto ogni due minuti da un fastidioso bussare alla porta, o
dall’interfono con cui Gwen lo avvisava che qualcuno
– ancora – aveva bisogno di lui.
Arthur aveva stabilito dei rigidi turni, per cui le sue
impiegate non avrebbe più dovuto litigare e Aithusa si sarebbe sgranchita le zampette con regolarità.
Fu solo alle sei e mezzo, quando Gwen
fece capolino dalla soglia, che lui s’accorse
realmente di che ora era. Il piano doveva
essersi già svuotato da un po’, ma lui era sempre l’ultimo a rincasare.
“Posso andare?” domandò lei. “Ho quasi finito il mangime di Lancelot e vorrei…”
Sentendo nominare l’animale, Arthur rammentò di colpo che
era stato così assorbito dai suoi dipendenti impiccioni e dalla novità da non
aver più controllato il suo cellulare.
“Sì, ci vediamo domani”, la salutò,
distrattamente, armeggiando nella tasca della giacca, drappeggiata sulla
spalliera della sua poltrona girevole.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
7:50
Ha allungato le sue
zampe nel tuo mondo, eh?
Arthur sorrise.
Risposta: Ha allungato
zampe, pelo e bava. Tutto il pacchetto, insomma.
D’istinto, però, anziché digitare l’invio, premette per il
tasto di chiamata.
“Ehi!” l’accolse la voce calda del
veterinario.
Arthur si morse il labbro inferiore, incerto. Forse non era stata poi un’idea così buona…
“Ciao…”
“Come va?”
“È lunedì”, rispose lapidario. Tutti i lunedì erano duri, no?
Ma di colpo s’accorse che l’altro
aveva frainteso le sue parole.
“Il lunedì è sempre il giorno peggiore, in ufficio”,
raddrizzò, sentendo un sospiro sollevato all’altro capo della linea.
“E la nostra signorina? Si è comportata bene?” s’interessò Merlin, restando sul vago.
“Ha fatto breccia nel cuore di tutti, senza neppure
sculettare!” rise.
“Beh, il cartello di stamattina metteva le cose in chiaro!”
replicò il medico, in maniera scherzosa.
“Ho dei dipendenti idioti…” si giustificò Pendragon, stiracchiando le labbra con divertimento.
“Chissà cosa si inventeranno
domattina!” considerò Merlin, per gioco.
“Oh, in caso, te lo saprò dire…” confermò Arthur, di
rimando, col medesimo tono allegro. Poi, però, un silenzio cupo cadde tra loro.
“Ehmm… senti… odio doverlo
chiedere… ma c’è stata qualche novità?” domandò il veterinario, con
apprensione.
“No. Nessuno si è fatto vivo. Eppure mezza città è tappezzata
col suo muso…”
“È lunedì. Cosa… cosa intendi fare?”
Arthur inspirò a fondo, perché dirlo
era diverso dal pensarlo.
“Due giorni sono pochi. La tengo in
consegna fino a domani…”
“Domani?”
“Sì, forse le cose cambieranno…” ipotizzò, anche se era il
primo a non crederci.
“Ok, è un buon compromesso”, concordò il dottor Emrys. “Per favore, chiamami se ci sono
novità”.
Arthur promise che l’avrebbe fatto, poi gli augurò una buona
serata e si apprestò a rincasare.
Non ricordava neppure
quand’era stata l’ultima volta che era uscito dall’ufficio prima delle venti, ma oggi avrebbe fatto uno strappo alla regola.
Aithusa, scodinzolando, sembrava essere d’accordo
con lui.
***
La mattina successiva, il cartello diceva: “Sono una vera cagna e me ne vanto!”
Arthur arcuò un sopracciglio per il dubbio gusto di Gwaine in fatto di pessime battutacce, ma – per dimostrare
il suo punto – scattò nuovamente una foto e la inviò a Merlin.
Il veterinario aveva risposto poco dopo, con uno smile che ammiccava.
Quella sera, alla fine del lavoro, l’aveva chiamato di nuovo
e la prima cosa che si era sentito uscire dalle labbra
era stata: “Un giorno ancora”.
***
Mercoledì l’annuncio affermava: “Il capo mi adora. (E) Posso avere
ciò che voglio.Tu, no”.
Arthur rise di cuore e inoltrò un
mms al dottor Emrys.
Al momento di andarsene, ben dopo il tramonto, digitò un
messaggio.
Messaggio
inviato
A: Merlin
18:55
Un giorno ancora.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
18:57
Ottima idea! ;)
Arthur si sentì sorridere. Forse stava impazzendo. Non era da lui messaggiaread un uomo sconosciuto – d’accordo, semisconosciuto calzava meglio? – e perdersi in quelle
frivolezze.
Forse lo stava
infastidendo.Forse… beh, in tal
caso, sarebbe stato il veterinario a farglielo capire. E, comunque, quel gioco sarebbe finito con l’addio alla cagnetta.
***
Giovedì, il marchio di Gwaine
divenne palese: “Sono la principessa
della Principessa”.
E probabilmente il dottor Emrys
non avrebbe mai capito il sottinteso di quella frase, ma gliela inoltrò comunque,
per dovere di cronaca.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
8:02
Non sapevo che anche
tu avessi sangue reale! Dov’è il tuo pedigree?
Arthur scosse la testa, divertito.
Messaggio
inviato
A: Merlin
8:03
Il mio pedigree è così
puro che farebbe impallidire anche i Windsor!
PS. Dio salvi comunque la
Regina.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
8:05
Non l’avrei mai detto,
sai? La tua umiltà era così abbagliante!
PS. Lunga vita alla
Regina. (Ma io sono Repubblicano! LOL)
Messaggio
inviato
A: Merlin
8:05
Merlin! O_O
Nuovo messaggio
Da: Merlin
8:06
Eh, lo so! Le
apparenze ingannano…;D
Messaggio
inviato
A: Merlin
8:08
Che idiota! XD
Nuovo messaggio
Da: Merlin
8:09
Zitto, Principessa!
LOL
Messaggio
inviato
A: Merlin
8:10
Merlin!!!è_é Non osare, sai?!
Nuovo messaggio
Da: Merlin
8:12
LOL.
Scappo in ambulatorio.
Buona giornata.
PS. Una grattatina per Aithusa da parte
mia?
Messaggio
inviato
A: Merlin
8:14
Anche a te.
PS. Provvedo
immediatamente.
Messaggio
inviato
A: Merlin
19:03
Un giorno ancora.
***
Venerdì mattina non c’era alcun cartello al solito posto.
Arthur controllò due volte, per scrupolo. Sollevò persino il cuscino nella
cuccia. Poi ispezionò anche i dintorni, e la propria scrivania… ma niente.
Una piccola, squilibrata
parte di lui ne fu quasi delusa.
Delusa perché – si
sarebbe portato il segreto nella tomba, beninteso – quella era diventata
una specie di piacevole routine. Si divertiva a verificare quali fossero i
livelli di idiozia che Gwaine
avrebbe potuto raggiungere.
Forse, invece, la sua vena creativa si era già esaurita. Ma avrebbe dovuto aspettare l’arrivo (come sempre in
ritardo) di quel mentecatto per chiedergli spiegazioni.
“Beh, pazienza…” bofonchiò, amareggiato anche dal fatto che
– suo malgrado – oggi non aveva nessun pretesto per inviare un messaggio al
dottor Emrys.
Cioè… non che lui
fosse tenuto a farlo, eh! Ma si era preso la briga di
aggiornarlo ogni mattina e ora anche Merlin sarebbe rimasto scontento come
lui...
Guinevere bussò discretamente alla
porta, entrando con il suo solito caffè.
“Gwaine stavolta si è superato,
eh?” constatò, mezza ammirata e mezza divertita.
Arthur si accigliò.
“E perché, di grazia?”
“Come? Non l’hai vista?!” domandò lei, indicando l’uscio.
“Visto cosa?”
Gwen girò sui tacchi, uscendo, e
lui le andò dietro.
Appeso in bella vista sul pannello di noce, giusto sotto al suo nome:
Mr. A. Pendragon - CEO
vi era un’altra targhetta dorata e
finemente cesellata:
Lady A. Pendragon - PA
Arthur scoppiò in una risata.
“Gwen! Aithusa ti ha
soffiato il posto!” le annunciò, riferendosi alla sigla di Assistente
Personale.
“Con tutte le ore che passa con te, dovevo aspettarmelo!”
esclamò, teatrale, fingendosi tradita. “Ma insegnale a
portarti il caffè, poi ne riparliamo!” lo avvertì, prima di scivolare alla sua
scrivania per accendere il computer.
Arthur ammiccò di rimando, e subito estrasse il cellulare
allegando un sms alla foto.
Messaggio
inviato
A: Merlin
8:20
Spiacente per il
ritardo.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
8:25
Stasera festeggerete
la promozione?
Messaggio
inviato
A: Merlin
8:26
Ovviamente sì!
Ma è incinta e non può bere alcolici.
Brinderemo con acqua naturale.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
8:30
Uomo saggio.
***
Il venerdì era sacro
ad Arthur per vari motivi: perché era l’anticamera del weekend, perché aveva
litigato a sangue con suo padre affinché anche la Pendragon
Company si adeguasse al Casual
Friday(e per una volta, aveva vinto la battaglia)
e perché, generalmente, tutte le rogne trovavano un aggiustamento in tempo
utile per la chiusura della settimana lavorativa.
Arthur amava fare i bilanci del venerdì e sentire che era
sopravvissuto e che poteva portare – per un’altra settimana ancora – il peso
della responsabilità che il vecchio Uther gli aveva
affidato, senza restarne schiacciato.
Per una qualche forma di autoconservazione, non osava
programmare niente di più lungo. Guardava il calendario da tavolo suddiviso di
sette in sette e, inspirando aria e coraggio, si diceva che andava bene così.
Quella settimana, poi, sarebbe finita negli annali delle
straordinarietà e nei memoriali dell’azienda.
L’arrivo di Aithusa aveva
rivoluzionato il suo mondo – personale e lavorativo –, ma non poteva che
ritenersi felice della sua scelta. E
niente avrebbe guastato il suo buonumore.
Ogni volta che aveva avuto
tempo, Arthur se l’era coccolata. Oppure aveva avuto uno stuolo di collaboratori
pronti a farlo.
Aithusa era servita e riverita come una regina.
Persino l’austera e
inflessibile Annis, stretta nel suo rigido chignon,
aveva ceduto ai suoi mugolii, il terzo giorno.
Quella cagna si rigirava
tutta la Pendragon
Company attorno ad un dit-
unghietta.
Ma, ovviamente, come in tutte le
cose che filavano lisce, doveva esserci un’anomalia.
***
Verso le cinque del pomeriggio, l’interfono ronzò e Gwen gli annunciò l’arrivo di uno degli esperti del Settore Marketing, ma non aveva fatto a tempo a dirgli
il nome, che la porta del suo ufficio si era spalancata di malagrazia,
interrompendo un colloquio che stava avendo con Gwaine,
a proposito della nuova offerta di un investitore.
“Pendragon! Ho
sentito la novità!” lo apostrofò l’uomo, sondando la stanza con malevola
curiosità. “Adesso ti presenti al lavoro con una cagnetta spocchiosetta?”
“Spocchiosetta sarà tua sorella, Val!” gli sibilò contro Gwaine,
prima ancora che Arthur potesse aprir bocca.
ValiantSnakeshield
fece un sorriso untuoso e se ne andò senza replicare.
Quel viscido – grazie a Dio! – se ne sarebbe tornato, entro
la fine della settimana successiva, nella filiale di Honk
Hong, quindi non avrebbero più dovuto sopportare il suo brutto muso per almeno
sei mesi.
Val non poteva essere licenziato,
perché era figlio di uno dei soci; ma, in ogni succursale in cui finiva a
lavorare, lo chiamavano tutti ‘Il Serpente’ e un motivo c’era di sicuro (e no, non riguardava il suo cognome).
“Non ti offendere, principessa…”
esclamò nuovamente Gwaine, con tono consolatorio.
“Quello lì non capisce un cazzo…”
Arthur era pronto a rimbrottarlo per l’ennesima volta su
quel nomignolo inappropriato, quando s’accorse che,
per una volta, non era rivolto a lui, ma alla cagnetta che si stava godendo un
giochino, nascosta sotto alla scrivania.
Pendragon sbuffò, scuotendo la
testa con divertita rassegnazione. Gwaine aveva un debole
per le femmine. Di qualsiasi tipo. Era il loro cavalier servente per eccellenza.
Quasi tutti i suoi amici, sin dall’infanzia, erano figli dei
colleghi di suo padre, amicizie costruite sulla convenienza più che per
autentico affiatamento.
MaGuinevere,
Elyan e Gwaine costituivano
l’eccezione a questa regola.
Malgrado lui e Morgana non avessero avuto un carattere
facile (e lo sapevano entrambi) questi tre ragazzi si erano affezionati a loro
e, col tempo, ne era nata una solida, sincera amicizia, anche se Arthur era – a
tutti gli effetti – anche il loro datore di lavoro.
“Ehi, Principessa!” la voce di O’Green lo distrasse dai suoi
pensieri. “Stavolta dico a te!”
“Gwaine!” lo sgridò, esasperato.
“Spero che Il Serpente
finisca mangiato in qualche bettola di Honk Hong. Ai
cinesi piace cucinare i vermi che hanno
fatto carriera!”
Arthur contrasse le labbra in un ghigno.
“Dubito che sarebbe commestibile
anche da cotto. È troppo velenoso!”
“Sì, beh… non doveva permettersi di offendere la nostra
mascotte”, puntualizzò, con uno sguardo d’affetto verso la cagnetta.
“Vattene a casa,Gwaine! E porta con te la tua armaturaglitter!” lo
cacciò Pendragon, predisponendo le ultime cose prima
di lasciare a sua volta.
Quella sera, anziché inviare il solito messaggio, Arthur
prese il coraggio a due mani e telefonò.
“Che ne dici se domani te la porto
per un controllo?” propose.
“È un’ottima idea”, concordò Merlin. “Vieni per mezzogiorno,
così facciamo le cose con calma…”
“Affare fatto!”
Continua...
Disclaimer:I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: Le varie
nozioni veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.
CEO è una sigla straniera per chief
executive officer (visto che
la fic è ambientata a Londra, ho preferito mantenere
quella originale), è equiparato al nostro Amministratore Delegato ed è
comunemente usato in ambito internazionale.
PA è, allo stesso modo di sopra, un Personal Assistent, quindi un segretario privato.
Casual Friday è l’usanza di
vestire con più libertà in ufficio il venerdì, che è l’ultimo giorno di lavoro
della settimana. Niente giacca e cravatta, per capirci, ma magari un
maglioncino.
Alle donne è consentito qualsiasi abito (purché
appropriato). All’estero è diffusissimo, in Italia ancora poco, ma so per
esperienza diretta che le imprese giovani e all’avanguardia lo applicano.
Il cognome di Valiant l’ho creato
ovviamente prendendo spunto dall’omonima puntata 1x02 e dallo scudo di
serpenti. Non da ultimo, perché lui è viscido come loro.
Com’è noto, i cinesi (per amor di precisione, solo nel Sud
della Cina) cucinano e mangiano serpenti.
La frase “Ai cinesi piace cucinare i vermi che hanno fatto
carriera!”
Fa il verso ad una battuta di
umorismo di qualche anno fa:
-Sai che cos’è un serpente?
-Cos’è?
-È un verme che ha fatto carriera!
Un’ultima cosa. Ancora una volta, Arthur accenna ad Aithusa come ignaro corriere della droga.
Molti di voi mi hanno detto nei commenti che davvero Arthur
ha volato troppo con la fantasia, ma – come ho già spiegato a qualcuno – in
realtà la sua ipotesi non è così folle, perché di recente si è scoperto che
molti trafficanti nascondono la droga fra i capelli, nelle treccine vicino al
cuoio capelluto, quindi la sua idea del pelo sporcato di droga non è poi così
folle! XD
E poi c’era gente che leccava i rospi sulla schiena, per
assorbire una sostanza allucinogena e farsi un trip gratis, quindi la follia
umana non ha confine!
Comunque garantisco: la povera Aithusa
non è mai stata uno spacciatore! XD
Ecco ben QUATTRO anticipazioni
del prossimo capitolo:
Messaggio
inviato
A: Strega
12:19
Ehi, Balena! Come va?
Nuovo messaggio
Da: Strega
12:20
Fratello disgraziato.
Potrei essere già morta, per quello che te ne importa!
Messaggio
inviato
A: Strega
12:21
Ti penso ogni giorno,
Morgana cara. Vivo in quella cazzo di casa delle
bambole che mi hai lasciato!
(...)
Arthur avrebbe detto
di essersi sbagliato. Ma – siccome lui non sbagliava
mai – era piuttosto una questione di congiunzioni astrali sfavorevoli e di
calendari. Cause di Forza Maggiore, o forse era Destino, che dir si voglia.
Com’era noto, però, il lunedì era il giorno peggiore della
settimana e le decisioni prese in quel giorno – secondo la sua esperienza
personale – erano sempre le più infauste.
Era ovvio, quindi, che non potesse scegliere sventatamente
sulla sorte di Aithusa e dei suoi cuccioli di lunedì.
Non era senza cuore, lui.
E nei giorni immediatamente precedenti, come aveva
anticipato al suo veterinario, aveva avuto una sessione intensissima di impegni che avevano scandito ogni istante del suo tempo
sia il sabato sia la domenica: fancazzismo ad
oltranza imparato da Gwaine, pomeriggi stravaccati
sul divano a sonnecchiare, una passeggiatina di rito con Aithusa,
e coccole, coccole, coccole.
Perciò… non sarebbe stato tanto male… procrastinare un altro
po’ non avrebbe ucciso nessuno. Letteralmente.
(...)
Tre giorni. Tre giorni
era durato il silenzio di Arthur.
Probabilmente, se non fosse stato concentrato su un brutto
caso di maltrattamento che aveva dovuto denunciare, Merlin avrebbe dovuto chiedersi perché ci fosse improvvisamente calma
piatta, quando – sul più bello – la suoneria che aveva associato ad Arthur Pendragon era risuscitata.
“Mi chiedevo”, aveva esordito l’uomo, senza preamboli. “Stiamo
andando incontro all’inverno: dici che dovrei comprarle un cappottino da
indossare?”
“Buongiorno anche a te!” aveva ironizzato il dottor Emrys. “Io sto bene, grazie. E tu?”
“Whatever”, fu la risposta annoiata di Arthur. “I preamboli sono noiosi…”
“I preamboli sono indispensabili
nelle comunicazioni… So che sei abituato a comandare, ma sarebbe carino – o
perlomeno cortese – fingere di interessarti al tuo interlocutore, prima di
subissarlo di domande!”
“Giornata pesante?” lo pungolò Pendragon.
“Pensavo vivessi per il tuo lavoro!”
“Testa di cavolo!” sibilò Merlin.
“Ehi!” si risentì Arthur. “Io ho intavolato una discussione,
ma tu non collabori!”
“Senti, devo andare. Ci risentiamo…”
“Merlin? Merlin?!Ehi, MERLIN!”
Ma dall’altro capo il segnale suonava
vuoto.
(...)
“Penso che Paris Hilton potrebbe
darti l’indirizzo del negozio che usa per il suo Tinkerbell…
Non frequentate forse gli stessi ambienti spocchiosi?”
“Ma il suo è un odioso chihuahua! Non ha niente a che spartire con Aithusa!”
esclamò, scandalizzato.
“Ora che ci penso… Ho letto da qualche
parte che lei lo veste solo Chanel! Vedi, già vi
trovate con le idee!” lo canzonò il veterinario.
“Bleah!” rumoreggiò Pendragon, esprimendo il proprio disgusto. “Potrei offendermi, sai? Di sicuro Aithusa
è offesa con te, per averla associata a quel topo viziato!”
“Per te, sono tutti topi, Arthur…” gli fece notare Merlin, quasi con dolcezza.
“Beh, ora so la differenza: Aithusa
è un topo finto, quello è un topovero!”
precisò, per amor proprio.
Il dottor Emrys rise a tal punto
che la penna con cui stava scrivendo bucò il foglio.
“Com’è che siamo partiti dal ‘cappottino
sì, cappottino no’, per arrivare allo ‘Chanel a tutti i costi’?
Devo essermi perso un passaggio…”
“Non importa. Davvero, non importa. Credo
che farò un salto da Will”.
“Will non
vende Chanel. Lo
sai, vero?” puntualizzò.
~ ~~~~
Ringrazio i 20 utenti che hanno messo
la fic fra i ‘preferiti’, i 6 ‘da ricordare’ e i 91
‘seguiti’.
Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne
pensate! ^_=
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Non mi ero accorta che fosse passato tanto
tempo dall’ultimo aggiornamento, chiedo scusa!
Devo solo precisare che gli
orari e i tempi di risposta degli sms che leggerete, in questo capitolo e nei
successivi, sono una scelta ragionata e prima della fine vi spiegherò il
perché; anche se, comunque, non vi cambierà la vita se preferite non farci
caso…
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia
orgogliosa.
Un pensiero speciale a chi
ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).
A DevinCarnes, chibimayu, Burupya, Barby_Ettelenie_91, misfatto, Eresseie93, aria, mindyxx, areon, FlameOfLife, hiromi_chan, Orchidea
Rosa, RavenCullen,
Sheeireen_Black 22,YukiEiriSensei, crazyclever_aveatquevale
e katiaemrys.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
Waiting for you
Capitolo VII
Erano passati appena otto giorni, eppure ad Arthur sembrava
un’eternità.
Questa volta l’ambulatorio era quasi vuoto, c’era solo una
vecchietta con due gatti malmessi nella saletta d’attesa e persino Freya, la frigida,
l’aveva salutato con più decenza e con un sorriso rivolto alla cagnetta.
Arthur, suo malgrado – e perché era un gentiluomo – aveva
ricambiato con meno supponenza.
Merlin, invece, l’aveva accolto raggiante – ricordandogli
vagamente l’inquietante sorriso ferragostano di Will –, pronto a dedicarsi
anima e corpo alla sua pelosa paziente.
Il dottor Gaius non si
era mai dimostrato così entusiasta di visitarlo. Forse avrebbe dovuto essere
geloso di Aithusa?
“Ha seguito la dieta che ti ho dato?” chiese il veterinario,
mentre la esaminava.
Arthur gli spiegò per filo e per segno tutti i pasti
consumati quotidianamente.
“Da questa settimana, dovrai modificare leggermente nelle
dosi”, anticipò Merlin. “Come sai, un cane incinta ha
bisogni particolari. E la sua alimentazione varia col procedere della
gravidanza. Poi ti spiego meglio”, lo rassicurò, preferendo
concentrarsi completamente sulla bestiola, facendo pertanto accomodare il suo
padrone.
Come la volta precedente, Arthur decise di non osservare la visita, quindi scelse
di occupare il tempo mandando un paio di messaggi arretrati – uno a Morgana,
per esempio, per chiederle come stava.
Messaggio
inviato
A: Strega
12:19
Ehi, Balena! Come va?
Nuovo messaggio
Da: Strega
12:20
Fratello disgraziato.
Potrei essere già morta, per quello che te ne importa!
Messaggio
inviato
A: Strega
12:21
Ti penso ogni giorno,
Morgana cara. Vivo in quella cazzo di casa delle
bambole che mi hai lasciato!
Nuovo messaggio
Da: Strega
12:23
È per quello che mi
fischiano sempre le orecchie?!E
io che credevo fosse colpa della pressione bassa!
Messaggio
inviato
A: Strega
12:23
Papà non ti tiene le
coronarie in movimento?
Nuovo messaggio
Da: Strega
12:24
Lo yoga tantrico mi aiuta a raggiungere la pace
interiore. (E migliora le prestazioni a letto).
Messaggio
inviato
A: Strega
12:25
Risparmiami i
particolari, ti prego, è l’ora di pranzo.
Quindi… Non hai ancora staccato a morsi la testa
di Leon?
Nuovo messaggio
Da: Strega
12:26
Anche se continui a
pensare il contrario, NON sono una Mantide Religiosa. Fratellino idiota!
Messaggio
inviato
A: Strega
12:26
Ma chissà che mostriciattolo partorirai!
Magari tutto verde e bitorzoluto!
Nuovo messaggio
Da: Strega
12:27
Fanculo, Arty. Uh! Mi hai fatto venire voglia di
cetrioli inzuppati nel miele. Scappo. Ciao.
Arthur fece una faccia schifata al solo pensiero. Ma si limitò a digitare indietro un saluto, giusto quando la
voce sorpresa di Merlin lo distrasse dal suo cellulare.
“Ah!”
“C’è qualcosa che non va?” domandò, in ansia, sollevandosi
dalla poltroncina.
“No, no. Vieni!”
lo invitò il veterinario, facendogli posto accanto a sé, davanti alla cagnetta
sdraiata.
“Qui”, indicò, afferrandogli la mano destra e guidandola
verso il pancino di Aithusa. “Lo senti questo grumo?”
Merlin accompagnò le sue dita nella palpazione, fino a che Arthur non realizzò cosa stava cercando.
“Oh!” esalò, sorpreso anch’egli, ripetendo il movimento. Sì, lo sentiva.
“Siamo nella quarta settimana!” gli spiegò il dottor Emrys, con entusiasmo, dimenticando di lasciargli la mano.
“E…?” l’incalzò Pendragon,
con curiosità.
“Dal trentesimo giorno in poi, si possono proprio vedere i
cuccioli, con testoline e tronchi ben distinti!”
Gli sfuggì un ansito e il suo corpo tremò. Merlin strinse un po’
più forte nel punto in cui la loro pelle si toccava e gli offrì
uno sguardo di conforto.
“Dai, respira…” gli suggerì, piano, quasi con delicatezza.
Arthur lo ascoltò, inalando una lunga boccata d’aria. Poi si
scrollò di dosso quel legame scomodo e fece un passo di distanza, pur cercando
di rimanere composto.
“Se ci fosse solo lei, sarebbe tutto più semplice…” si
ritrovò a dire, con un’intonazione spenta.
“Vorresti che non ci fossero?”
“Ti sembrerei così meschino, se lo desiderassi?” domandò,
lanciando però uno sguardo di scuse ad Aithusa.
La cagnetta si sentì osservata e scodinzolò di rimando,
anche dalla posizione sdraiata.
“È un bene che tu riesca ad
esternare ciò che senti…”
“Senza dare di matto?” concluse per
lui Arthur.
“No, non intendevo dire questo!” lo smentì Merlin. “Ma la negazione non ti porterà da nessuna parte!” motivò.
“Prima verrai a patti con tutto questo, e prima potrai decidere cosa fare!” lo
pungolò, mettendoci fin troppa enfasi.
“Merlin?”
“Dimmi…” soffiò il veterinario, sgonfiandosi come un
palloncino bucato.
“Vai avanti con la visita, per favore?” ‘E la smetti di farmi prediche?’ Era
sottinteso.
“Sì”.
“Grazie”.
Il dottor Emrys accese l’ecografo
senza replicare e stavolta non cercò di coinvolgerlo, mentre passava la sonda
sul ventre della cagnetta, e ingrandiva le sezioni sullo schermo, digitando
cifre sulla tastiera accanto, e faceva implicite misurazioni, controllando che
tutto fosse a posto.
Arthur sbirciò solo di striscio, ma – anche se avesse voluto
capire davvero –, quella sul monitor era solamente una macchia sfocata in
bianco e nero, in continuo mutamento e incomprensibile.
Anche la faccia di
Merlin sembrava indecifrabile. Era seria e concentrata. Così diversa dal
costante sorriso di buonumore con cui l’aveva abituato, tanto che Arthur
temette che ci fosse qualche anomalia latente che stava emergendo dall’esame.
Si morse il labbro inferiore, sul punto di chiederglielo,
quando il dottor Emrys cliccò sul volume eil suono di un
ritmico palpitare cardiaco si sparse nell’ambulatorio.
Arthur sentì qualcosa di strano rimestare nello stomaco.
E si ritrovò di nuovo accanto a Merlin, prima ancora di
saperlo.
“Una testolina… e l’altra testolina”,
indicò il medico, orientando la sonda correttamente. “E i due
tronchi. Li vedi?” domandò, retorico.
Deglutendo, Arthur annuì.
C’era ancora quel pulsare energico e rapidissimo che
rimbombava nelle sue orecchie.
Il cuore dei grumi che
aveva accarezzato prima.
“D’accordo. È
tutto in ordine”, decretò il veterinario, rompendo il momento e spegnendo il
macchinario. La stanza ripiombò nel silenzio più completo.
Arthur si chinò a lasciare una carezza per Aithusa, intanto che il medico stampava alcuni fogli con
dei numeri.
“Lo vuoi?” chiese poi, porgendogli un foglietto con le stampe
di un’ecografia.
Arthur grugnì qualcosa, e se lo infilò in tasca.
Merlin fu lesto a nascondere un sorriso, mentre riprendeva
posto dietro la sua scrivania e invitava il suo paziente a fare altrettanto.
“Allora?”
Sapevano entrambi che quella domanda – all’apparenza così
innocua – sottintendeva invece una scelta radicale.
Arthur fece un respiro profondo, accomodandosi meglioAithusa sulle ginocchia. Ma, quando fece per parlare, un colpo alla porta lo
interruppe.
“Doc…” incominciò la segretaria,
una volta ottenuto il permesso di entrare. Gli si
appressò, parlando sottovoce. “La signora Wilson dice che si scusa, ma al
momento non può pagare...”
Merlin scosse le spalle. “Ok, non è un problema”.
“Gliel’ho detto, lo sai. Ma lei
insiste perché venga a riferirtelo. Altrimenti non avrà
pace!”
Arthur rammentò di aver visto distrattamente una vecchina
con due sportine e due gatti malandati dentro.
“Freya, per cortesia, dille che la
prossima volta dovrà portarmi una delle sue meravigliose torte allo zenzero e
saremo pari!”
“D’accordo!” approvò la donna, congedandosi.
Quando rimasero soli, Merlin si sentì quasi in dovere di
giustificarla.
“La signora Wilson sfama con la sua pensione tutti i gatti
randagi del suo quartiere”, gli raccontò. “Andrebbe premiata per il suo
volontariato! Io cerco di non farla pagare, ma lei è orgogliosa e ci tiene…”
“Sì, capisco”, replicò Arthur. Anche se in fondo no, non era così semplice per lui capire una vita
spesa a raccattare gatti pulciosi nei vicoli o nei bidoni della spazzatura.
Merlin focalizzò il suo sguardo a disagio. “Dov’eravamo…?”
“Fino a lunedì”, lo interruppe Pendragon,
risollevandosi dalla sedia. “Mi prendo tempo fino a lunedì.
Questo weekend sono molto impegnato e non è il momento
migliore per una scelta”.
“V-va bene…” concordò, stupito.
“Allora… buon fine settimana, dottor Emrys”,
lo salutò, dirigendosi all’uscita con il cane e la nuova dieta.
“Arthur?” fu un richiamo esitante.
“Mh?”
“Ci sentiamo lunedì?”
***
Arthur avrebbe detto
di essersi sbagliato. Ma – siccome lui non sbagliava
mai – era piuttosto una questione di congiunzioni astrali sfavorevoli e di
calendari. Cause di Forza Maggiore, o forse era Destino, che dir si voglia.
Com’era noto, però, il lunedì era il giorno peggiore della
settimana e le decisioni prese in quel giorno – secondo la sua esperienza
personale – erano sempre le più infauste.
Era ovvio, quindi, che non potesse scegliere sventatamente
sulla sorte di Aithusa e dei suoi cuccioli di lunedì.
Non era senza cuore, lui.
E nei giorni immediatamente precedenti, come aveva anticipato
al suo veterinario, aveva avuto una sessione intensissima di impegni
che avevano scandito ogni istante del suo tempo sia il sabato sia la domenica: fancazzismo ad oltranza imparato da Gwaine,
pomeriggi stravaccati sul divano a sonnecchiare, una passeggiatina di rito con Aithusa, e coccole, coccole, coccole.
Perciò… non sarebbe stato tanto male… procrastinare un altro
po’ non avrebbe ucciso nessuno. Letteralmente.
***
In fondo… non era necessario
condannarla al canile, considerò, uscendo dall’ascensore con il cane e
tutto l’armamentario appresso.
Lì, dentro la sua
azienda, qualcuno si sarebbe offerto di adottarla. Forse, addirittura, avrebbero
litigato per lei.
Qualcun’altro si era già prenotato i cuccioli non
ancora nati...
Ma fu solo quando vide
che tutti i suoi collaboratori, nel piano, si aspettavano l’arrivo
di lui e Aithusa insieme, che comprese che no,
non l’avrebbe data via.
Che se tutti i suoi
dipendenti pendevano dalle sue labbra – beh, dal suo muso – lui era il primo
della lista a farlo.
E che quel cane
l’aveva reso migliore in soli dieci giorni.
E lui non se n’era
manco accorto, perché era stato naturale cambiare. Migliorare.
Beninteso, questa non
sarebbe mai stata una decisione presa di lunedì.
(Anche perché, fin da
quando se l’era trovata sotto al portico, la scelta
era già stata fatta, che lui volesse ammetterlo o no).
***
Arthur ricambiò il saluto di Guinevere
e di tutti gli impiegati presenti, poi prese posto nel
suo ufficio, con uno strano senso di leggerezza, malgrado i tanti bagagli.
Aithusa scivolò nella sua cuccia e
si predispose per un riposino e, siccomeGwaine aveva chiesto un paio di giorni di ferie, lui era
certo che non avrebbe più trovato strani messaggi in giro.
Eppure, non avrebbe
dovuto esserne così sicuro.
Alle dieci, aveva appuntato alla bacheca accanto alla
macchinetta del caffè una delle foto dell’ecografia
dei cuccioli. (L’altra, invece, l’aveva appesa sul frigorifero in cucina, con
una di quelle strane calamite kitsch
che Morgana aveva collezionato dai suoi viaggi).
Gli era sembrato quasi un gesto doveroso condividerla, dopo
tutto l’affetto che la sua squadra aveva dimostrato per la bestiola.
All’ora di pranzo, Arthur aveva messo il guinzaglio ad Aithusa, pronto a scortarla in quel ristorantino in fondo
all’isolato, dove era concessa l’entrata anche agli animali.
Certo, non aveva più
la comodità del locale di fronte, ma ora aveva la scusa buona per fare due
passi salutari e, se anche avesse ritardato un po’ nel rientrare in ufficio,difficilmente il suo capo l’avrebbe
sgridato, considerò, con un ghigno ironico.
Passando davanti alla bacheca, si accorse – con un certo
stupore – che la foto era tappezzata tutt’attorno di Post-it colorati.
“Gli eredi al trono!”,
“Brava la nostra mascotte!”, “Awwwhhh!!!” Arthur
ridacchiò, quando ne lesse uno un po’ sessista: “Speriamo siano maschi!” e la risposta immancabile di qualche donna,
forse era la calligrafia di Sophia: “No, meglio le femmine!”
Afferrando il cellulare, scattò e spedì il messaggio a due
destinatari:
Messaggio
inviato
A: Merlin
12:05
L’idiozia dilaga.
Messaggio
inviato
A: Il_Fannullone
12:05
È colpa tua. Hai
contagiato tutti!
Nuovo messaggio
Da: Il_Fannullone
12:07
Sono così orgoglioso
di me! ;D
Nuovo messaggio
Da: Merlin
12:10
Decisamente contagiosa, sì. Come pensi di curarla?
Messaggio
inviato
A: Merlin
12:11
Mi limiterò a
contenere i danni.
PS. Aithusa dice che è ora di mangiare la pappa.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
12:12
Come darle torto? Buon
pranzo!
Messaggio
inviato
A: Merlin
12:12
Anche a te. ;)
***
Arthur – quella sera – aveva atteso con una certa
trepidazione l’orario per rincasare.
Per essere stato un
lunedì, doveva ammetterlo, era risultato abbastanza
indolore e gli sguardi di solidarietà di Aithusa
lo avevano aiutato a superare ogni telefonata snervante che aveva ricevuto,
compresa quella quindicinale di suo padre, che ovviamente voleva essere
ragguagliato sull’andamento dell’intera baracca.
“Io e Aithusa abbiamo raggiunto un
compromesso”, aveva esordito, appena Merlin aveva risposto alla sua chiamata.
“E quali sarebbero i termini dell’accordo?” s’interessò il
veterinario.
“Io tengo il possesso del telecomando e lei quello del
divano”, spiegò Arthur, serio, facendo scoppiare a ridere l’altro uomo.
“Interessante! E…?”
“Lei decide quando dobbiamo uscire, e
io quando è ora di dormire”, continuò Pendragon.
“Sulle vacanze… ci accorderemo”.
“Avete già firmato il contratto?”
“Sì, l’orma della sua zampa sporca di fango è rimasta sul
mio tappeto”.
“Ottimo!” gioì Merlin. “Congratulazioni!”
“Grazie”.
“Seriamente, Arthur. È una bellissima
notizia…”
“Lo sai, vero, che qualcuno mi deve spiegare come si
allevano dei cuccioli… e avrò bisogno di un buon veterinario. Conosci nessuno?”
“Mi hanno detto che un certo dottor Emrys
è bravino… ma non so se può andarti a
genio… è un tipo strano…”
“Oh, sì. L’ho sentito dire!” ironizzò
Arthur. “Ma proverò il brivido del rischio!”
“Beh, poi dimmi come va… ma ricorda che ti avevo avvertito!”
lo mise in guardia, col medesimo tono leggero.
“D’accordo. Buona serata”.
“Anche a te! E non ubriacare Aithusa, se festeggiate!”
***
Il giorno dopo, la bacheca aveva avuto un paio di messaggi
nuovi e Arthur ritenne doveroso aggiornare il veterinario sulla situazione.
Poi, osservando Aithusa che si mordicchiava
le zampette, si fece cogliere da un assillante dubbio.
E, poiché Merlin gli aveva espressamente
detto più volte: “Se hai dubbi, chiamami. Non farti scrupoli!”, (anche se Arthur sospettava fosse stata più una
frase di circostanza), lui intendeva prenderlo in parola. Se fosse
servito.
Solo che non immaginava
quanto gli sarebbe servito.
Messaggio
inviato
A: Merlin
09:45
Domanda: le cagne
incinte possono andare dall’estetista?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
09:47
Dipende: meglio
evitare le lampade abbronzanti…
Messaggio
inviato
A: Merlin
09:48
Oh, spiritosone!
Credo che le unghiette
la infastidiscano.
Hai il nome di un buon
posto?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
09:50
Forse sì, forse no: devono
offrirti anche un cocktail mentre aspetti?
Altrimenti prova qui:
“Animal House”, è due strade
prima della mia, sulla destra.
Messaggio
inviato
A: Merlin
09:51
Grazie.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
09:53
Prego. ;)
***
Messaggio
inviato
A: Merlin
18:45
Merlin!!!
Non mi avevi avvertito
che me lo avrebbero tosato come un leone spelacchiato!
Nuovo messaggio
Da: Merlin
18:50
OMG! È un Bichon Frisé! Perché l’hai fatta massacrare?!
Messaggio
inviato
A: Merlin
18:51
Non l’ho ‘fatta
massacrare’, che ti agiti? Mi sono opposto, OVVIAMENTE, e le hanno dato solo
una spuntatina dove serviva…
Nuovo messaggio
Da: Merlin
18:55
Fiù!
Messaggio
inviato
A: Merlin
18:56
Uomo di poca fede!
Vedessi che unghiette! Ci manca solo lo smalto…
Nuovo messaggio
Da: Merlin
18:57
Abbi pietà di quel
cane, Arthur.
Messaggio
inviato
A: Merlin
18:58
La verità è che ha
goduto. Credimi.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
18:59
Voglio una foto alla
fine della tortura. Mi sento responsabile ad avertela affidata.
Messaggio
inviato
A: Merlin
19:00
Prova inviata.;D
Nuovo messaggio
Da: Merlin
19:01
Oh. Mio. Dio.
Arthur rise e si apprestò a pagare il conto della
toelettatura. Lasciò, per buona misura, una discreta mancia alla commessa,
perché era stata davvero gentile e premurosa con Aithusa.
***
Tre giorni. Tre giorni
era durato il silenzio di Arthur.
Probabilmente, se non fosse stato concentrato su un brutto
caso di maltrattamento che aveva dovuto denunciare, Merlin avrebbe dovuto chiedersi perché ci fosse improvvisamente calma
piatta, quando – sul più bello – la suoneria che aveva associato ad Arthur Pendragon era risuscitata.
“Mi chiedevo”, aveva esordito l’uomo, senza preamboli.
“Stiamo andando incontro all’inverno: dici che dovrei comprarle un cappottino
da indossare?”
“Buongiorno anche a te!” aveva ironizzato il dottor Emrys. “Io sto bene, grazie. E tu?”
“Whatever”, fu la risposta annoiata di Arthur. “I preamboli sono noiosi…”
“I preamboli sono indispensabili
nelle comunicazioni… So che sei abituato a comandare, ma sarebbe carino – o
perlomeno cortese – fingere di interessarti al tuo interlocutore, prima di
subissarlo di domande!”
“Giornata pesante?” lo pungolò Pendragon.
“Pensavo vivessi per il tuo lavoro!”
“Testa di cavolo!” sibilò Merlin.
“Ehi!” si risentì Arthur. “Io ho intavolato una discussione,
ma tu non collabori!”
“Senti, devo andare. Ci risentiamo…”
“Merlin? Merlin?!Ehi, MERLIN!”
Ma dall’altro capo il segnale
suonava vuoto.
Messaggio
inviato
A: Merlin
18:27
Mi dispiace.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
19:40
Non importa.
Messaggio
inviato
A: Merlin
19:42
È tutto ok?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
19:45
Sì.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
19:45
… Grazie.
***
“Quindi”, riprese Arthur, dopo
un’introduzione di convenevoli lunga come il Tamigi. “Pensi che dovrei
comprarle un cappottino di Chanel?”
Merlin sorrise contro la plastica del cellulare, mentre stava ultimando la compilazione di alcune cartelle.
Arthur era davvero
emotivamente stentato, ma almeno sapeva imparare in fretta dai propri errori e
aveva esordito la sua telefonata con una cortesia degna del Cerimoniale di
Corte Spagnolo, per farsi perdonare lo scivolone del giorno prima.
“Nah! Non mi sembra un tipino
pretenzioso… se è di cachemire puro, non credo si lamenterà. Qualunque
marca andrà bene…”
“Cachemire?!”
Arthur lampeggiò un’immagine mentale di una capra hircus.
Una pecora vestita con
pelo di capra. Sembrava una barzelletta malriuscita!
“No, non se ne parla proprio!”
“Penso che Paris Hilton potrebbe
darti l’indirizzo del negozio che usa per il suo Tinkerbell…
Non frequentate forse gli stessi ambienti spocchiosi?”
“Ma il suo è un odioso chihuahua! Non ha niente a che spartire con Aithusa!”
esclamò, scandalizzato.
“Ora che ci penso… Ho letto da qualche
parte che lei lo veste solo Chanel! Vedi, già vi
trovate con le idee!” lo canzonò il veterinario.
“Bleah!” rumoreggiò Pendragon, esprimendo il proprio disgusto. “Potrei offendermi, sai? Di sicuro Aithusa
è offesa con te, per averla associata a quel topo viziato!”
“Per te, sono tutti topi, Arthur…” gli fece notare Merlin, quasi con dolcezza.
“Beh, ora so la differenza: Aithusa
è un topo finto, quello è un topovero!”
precisò, per amor proprio.
Il dottor Emrys rise a tal punto
che la penna con cui stava scrivendo bucò il foglio.
“Com’è che siamo partiti dal ‘cappottino
sì, cappottino no’, per arrivare allo ‘Chanel a tutti i costi’?
Devo essermi perso un passaggio…”
“Non importa. Davvero, non importa. Credo
che farò un salto da Will”.
“Will non
vende Chanel. Lo
sai, vero?” puntualizzò.
“Sì, idiota, lo so”.
“È che sei un asino, e volevo evitarti figuracce!”
“Merlin!”
“D’accordo, d’accordo. Però voglio vedere il risultato e mi raccomando: Aithusa è una cagna rispettabile. Non scegliere colori
cretini… non mi fido molto del tuo senso estetico…”
“Che ne sai, tu, del mio senso
estetico?!” s’inalberò. “Ho dei gusti meravigliosi, io!”
“Oh, sì. Certo. Ma voglio le prove. Ricordalo”.
***
Due giorni dopo, il dottor Emrys
ricevette un MMS.
Aithusa indossava un cappottino rosso
fuoco con lo stemma dorato della Pendragon Company
ricamato con eleganza lungo tutto il bordo. Nel bel mezzo della schiena, campeggiava la scritta “Babies on Board” e Merlin sorrise, intenerito.
Messaggio
inviato
A: Merlin
19:42
Non è meravigliosa?
Continua...
Disclaimer:I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: Le varie
nozioni veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.
Dalla capra hircus si ricava la
pregiata lana “Cachemire”, che prende il nome dalla zona in cui originariamente
si allevavano questi animali.
Le info su Paris Hilton sono vere.
È noto che lei vesta il suo cane esclusivamente griffato Chanel.
Il Cerimoniale di Corte Spagnolo è noto per la sua rigidità
e complessità. È estremamente formale e quasi
paranoico. Qui, ovviamente, è citato con accezione ironica.
Poiché mi è stato chiesto, vorrei chiarire che gli orari
degli sms non nascondono alcun particolare segreto. Non è niente di
fondamentale… semplicemente, controllando i tempi di risposta fra loro, si può
capire l’evoluzione del merthur.
Ecco ben QUATTRO anticipazioni
del prossimo capitolo:
“Arthur!”
Arthur sobbalzò, ritrovandosi il padre, infuriato, davanti
alla porta dell’ufficio. A tradimento.
“Pa-!”
“Credo di avere avuto un’allucinazione, Arthur. Altrimenti non mi spiego perché io abbia appena visto un
cane camminare, nel corridoio, davanti al distributore delle bevande!”
“Ehm… non era un’allucinazione…” bofonchiò, a mezza voce,
sentendo il sudore gelare sulla nuca.
“Allora devi licenziare in tronco il responsabile! Non è
ammissibile che-”
“Allora la Pendragon Company
rimarrà senza Vicepresidente e Amministratore Delegato, perché quel cane è mio,
papà”.
(...)
“Ma…” farfugliò, incerta. “Non
avevamo chiarito la questione di Viv?”
A quel nome Arthur si irrigidì,
rannuvolandosi.
“Non intendo più sentirla nominare!” ordinò, caustico.
Tuttavia, quando si volse a guardare dove Aithusa
riposava, un sorriso gli stiracchiò le labbra.
“Io mi riferivo ai suoi gemelli…”
“I suoi gemelli?!” gli fece eco la sorella, incapace di raccapezzarsi. “Non
i miei?”
“I tuoi?!” ripeté Arthur con
espressione sconvolta.
“Sì, idiota. I miei
gemelli!” scandì la donna, spazientita. “Ge-mel-li!”
“Gemelli?”
s’intromise Uther, comparendo dal nulla,
accasciandosi al suo posto. “Gemelli di
chi?”
“Di Aithusa!” “Di Morgana!”
risposero sorella e fratello in contemporanea, addossando l’un
l’altra il peso della notizia.
“Oh, Ygraine, dammi tu la forza!” pregò l’uomo rivolto al
cielo, mettendosi teatralmente una mano sul cuore infartuato. “Morgana aspetta
dei gemelli e la cagna di Arthur pure!”
(...)
“Oh, cazzo!” imprecò, agitandosi, infilando la mano in tasca
con così tanta foga che strappò lievemente la cucitura laterale.
“Merlin?!” urlò nel telefono,
appena all’altro capo sentì rispondere. “Merlin, è un’emergenza!”
“Arthur? Calmati, cos’è successo? Aithusa sta…?”
“C’è un brutto mostro
nero attaccato alla sua pancia!” sbraitò Arthur, contenendo a stento
l’ansia, mentre si dirigeva alla porta.
“È una zecca?” chiese il veterinario, con spirito pratico.
“Sì, ha una zecca! Una dannata zecca!…
Almeno credo che sia una zecca… Merlin, devi
visitarla subito!” esclamò. “Sto giusto salendo in macchina!”
“Portala allo studio, ma sta’
calmo. Non è niente di grave”, lo rassicurò.
Arthur si rese conto
solo in quel momento che era domenica pomeriggio, e che l’ambulatorio non era
aperto, ma francamente non gli interessava. La salute della sua cagnetta veniva
prima di tutto.
(...)
“Credo che dovremmo parlare seriamente di ‘gestione dell’ansia’ – della tua
ansia –, prima che la gravidanza finisca… perché, se per una zecca fai
così… non oso pensare cosa accadrà al momento del parto!”
Arthur sgranò gli occhi come un cerbiatto davanti ai fari di
un’auto.
“Ma ci sarai tu, no?” farfugliò,
con apprensione. “Cioè… io davo per scontato che sarai con me e…”
“Ci sarò, se vuoi. Ma è bene essere pronti
all’evento, per tempo”.
“Vuoi direi che devo seguire una specie di corso pre-parto?” domandò, incerto. “Perché, se devo… insomma, io
lo faccio”.
Merlin scoppiò a ridere a tal punto che gli occhi gli si
riempirono di lacrime. “Sei il padrone migliore del mondo, Arthur, ma davvero, non serve. Ti chiarirò le idee in uno
dei prossimi controlli, mh?”
~ ~~~~
Ringrazio i 25 utenti che hanno
messo la fic fra i ‘preferiti’, i 7 ‘da ricordare’ e
i 106 ‘seguiti’.
Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne
pensate! ^_=
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia
orgogliosa.
Confesso che mi dispiace un po’ per il calo
di commenti, perciò ringrazio di cuore chi continua a lasciarmi il suo parere
dopo la lettura. Lo apprezzo molto, davvero!
Il cappottino aveva fatto furore in ufficio, ricevendo una
montagna di applausi e complimenti d’apprezzamento (l’ego di Arthur s’era gonfiato come un
tacchino, ed era stato sul punto di fare la ruota come un pavone, ma lo sguardo
divertito di Gwaine lo aveva dissuaso dal provare)
e Sophia aveva persino proposto di stampare delle
magliette – molto attillate – da
indossare, con lo stesso logo, ma Gwen (saggia donna)
aveva stroncato questo delirio sul nascere.
Quando poi, due giorni dopo, in qualità di
Grande Capo, aveva vidimato il distacco definitivo di Valiant
dall’altra parte del mondo, Arthur era stato seriamente in preda ad un delirio
d’onnipotenza.
Aithusa, ovviamente, lo compiaceva
in tutto, seguendo alla lettera ogni comando in tedesco che lui le ripeteva e
questo contribuiva alla sua beatitudine personale.
Ogni tanto (ogni tanto
spesso, a dire il vero), il giovane Pendragon
mandava un messaggio al dottor Emrys per risolvere
qualche dubbio o curiosità, ma doveva riconoscere che poteva cavarsela più che
bene anche da solo (beh, grazie al libro
che Merlin gli aveva prestato, ma era giusto una
sottigliezza).
A saperlo prima – doveva ammetterlo – avrebbe avuto meno
paturnie in testa. E il fatto che tutto filasse liscio gli confermava che era
stato solo un idiota apprensivo.
Tutto questo, fino a venerdì.
***
“Arthur!”
Arthur sobbalzò, ritrovandosi il padre, infuriato, davanti
alla porta dell’ufficio. A tradimento.
“Pa-!”
“Credo di avere avuto un’allucinazione, Arthur. Altrimenti non mi spiego perché io abbia appena visto un
cane camminare, nel corridoio, davanti al distributore delle bevande!”
“Ehm… non era un’allucinazione…” bofonchiò, a mezza voce,
sentendo il sudore gelare sulla nuca.
“Allora devi licenziare in tronco il responsabile! Non è ammissibile che-”
“Allora la Pendragon Company rimarrà
senza Vicepresidente e Amministratore Delegato, perché quel cane è mio, papà”.
“Tu…? Un cane?” Uther
sgranò gli occhi, esterrefatto. “Come hai potuto disobbedirmi?!Io ti ho sempre detto che-”
“Lo so. Ma ora sono
grande abbastanza per scegliere di vivere a modo mio.
Volevo un cane e l’ho preso!” motivò Arthur, inflessibile, raddrizzando
la schiena. Ma il suo sguardo si addolcì,
quando cadde sulla cesta di Aithusa. “E se un giorno
dovrò soffrire, lo farò. Ma ricorderò anche tutti i
momenti di gioia che mi ha dato. Ogni giorno di affetto e
compagnia che ho ricevuto da lei”.
“Perché non me l’hai detto?”
“Perché…” Non volevo
vedere una scenata come questa?Non
volevo una crisi di nervi? “Non volevo che ti allarmassi,
nel tuo stato di salute”.
Uther sbuffò, ma era tutt’altro
che rassegnato.
“Non c’è alcun modo per farti rinsavire?”
“Papà…”
“Questo giochino ti verrà presto a
noia, parola mia!”
“Non ti azzardare ad interferire!”
lo minacciò, sbattendo una mano sul legno lucido della scrivania. “Non osare!” reiterò. “Non starò a
guardare mentre distruggi la mia felicità!”
Uther parve francamente sorpreso
di quello sfogo.
Era forse la prima
volta, in vita sua, che suo figlio gli si opponeva così apertamente.
La prima volta che
dimostrava un po’ di spina dorsale, l’ardimento dei Pendragon.
Pur con rinnovata considerazione per il suo erede, egli chiese,
controvoglia: “E quindi… fai scorrazzare questa bestiaccia liberamente per
tutto il mio palazzo?”
“No, Gwen l’avrà portata fuori per
la passeggiata mattutina”, Arthur sorrise involontariamente, ma la cosa non era
sfuggita al vecchio Pendragon.
“C’è il Consiglio di Amministrazione,
lunedì. La riunione per i Bilanci. È tutto pronto?” domandò a bruciapelo, tornando
in un terreno a lui più congeniale.
“Sì, padre”.
“Bene”, si risolvette allora, avviandosi verso l’uscita, ma
all’ultimo ci ripensò: “Se ti spezzasse il cuore, non venire a-”
“Lo so. Ma non succederà”.
“Tua sorella ne era a conoscenza?”
“Non ancora…” ammise, riluttante. Probabilmente Morgana non avrebbe fatto storie e, anzi, in una certa
perversa maniera, forse, avrebbe anche potuto gioire per lui. Ma Arthur aveva ritenuto la cosa migliore tenere lontana Aithusa dalla sua famiglia. A suo modo, voleva proteggerla
e, finché i Pendragon non sapevano di lei, sarebbe
stata al sicuro.
Ora, però, era tempo
di giocare a carte scoperte.
“È da molto che non vi vedete”, buttò là suo padre.
“Potresti venire a pranzo domenica…”
“Con Aithusa?”
“Devi proprio?”
“Dove vado io, viene anche lei”.
“Arthur, non sfidare la tua buona stella…” lo redarguì Uther, spazientito.
“Prendere o lasciare”, rilanciò comunque, pur sapendo che
stava decisamente tirando un po’ troppo la corda.
“Potrebbe trasmettere malattie o parassiti a Morgana!”
obiettò suo padre. “Non è igienico!”
“Aithusa è perfettamente sana e
pulita. E in ogni caso non dovrà mangiare nello stesso piatto
di Morgana!” ironizzò. “Allora?”
“Ma perché diamine hai scelto quel topo?!” scoppiò Uther,
indispettito.
“Perché è il cane migliore del mondo”, rispose Arthur, a
colpo sicuro. “E – come si dice? – ‘nella botte piccola, sta il vino buono’?… Lo sai meglio di
me: noi Pendragon prendiamo sempre il meglio, no?”
“Lo spero per te, figliolo”, gli augurò suo padre, stavolta
senza doppi fini né avvertimenti.
A quel punto, Arthur ritenne lo scontro chiuso e lo
accompagnò fino alla soglia.
“Ciao, papà”.
“Ci vediamo domenica, sii puntuale”, gli raccomandò il
genitore, come unico saluto.
Con l’incedere lento e solenne di un vecchio re, UtherPendragon attraversò il
lungo corridoio, intimorendo ogni collaboratore e impiegato che avesse avuto l’ardire di incrociare il suo sguardo.
In lontananza, Arthur intravide Valiant.
Se ne accorse proprio perché era una presenza fuori posto. Non
doveva essere lì. Con quale scusa si era
presentato? Cosa stava tramando?
Ma la faccia seccata dell’uomo gli
fece intuire che non stava ricavando alcuna soddisfazione e, anzi, sembrava
alquanto indispettito da qualcosa.
Uther, nel momento in cui gli
passò accanto, lo riconobbe a malapena, ordinandogli
di portare i suoi saluti al padre, Snakeshield
Senior.
E Val aveva chinato il capo,
deferente.
Quando, subito dopo, i loro sguardi si incontrarono,
Arthur sorrise vittorioso, facendolo adirare ancor di più.
Forse la visita di UtherPendragon non era stata
casuale, ma lui era certo di aver vinto la battaglia.
***
Il pranzo della domenica in famiglia non era mai stato entusiasmante per Arthur.
Da che ne aveva memoria, era sempre stata una sequela
infinita di portate elaborate, gomiti stretti e silenzi imbarazzanti, occhiate
severe e malessere soffuso.
Ma era una tradizione a cuiUther era legato – una domenica al mese era d’obbligo
sacrificarsi – e l’unico aspetto positivo del suo esilio americano era stato il
pretesto buono per saltare questo supplizio.
Questa volta, invece,
era stato diverso.
Non appena era sceso dalla macchina, aveva liberato Aithusa dal trasportino e le aveva
ingiunto di restargli vicino.
Scodinzolando e annusando l’aria, la cagnetta si era
appostata accanto al suo piede.
Lui aveva scaricato dal bagagliaio l’occorrente per renderle
il soggiorno più piacevole, poi si era avvicinato all’entrata posteriore della
tenuta.
“Arthur!” lo accolse Morgana, comparendo sulla soglia.
“Gana, cara! Ti direi che stai d’incanto, ma la verità è che sembri già una balena spiaggiata
e manca ancora un sacco di tempo!”
“Il solito galantuomo. Tu, piccola merdina!”
sibilò lei, abbracciandolo con un sorriso falso come una banconota da cento
sterline.
L’accoglienza che riservò invece ad Aithusa
fu genuina e affettuosa.
Si chinò ad accarezzarla e a farle festa e la cagnetta le
rispose con entusiasmo, facendola innamorare all’istante.
“È lei che ci ha quasi tolto dai piedi papà?” domandò al
fratello, sottovoce, casomai il vecchio padre fosse nei paraggi.
Arthur rise divertito. “Quasi”,
ammise. “In realtà l’ha presa molto meglio di quel che credevo. A meno che oggi non tenti di ucciderla…” considerò, ironico.
Poi, però, i due fratelli si lanciarono uno strano sguardo d’intesa, memori dei vecchi pesci rossi. “Ripensandoci, è meglio se
gliela teniamo lontana…”
“Per una volta, Arty, sono d’accordo con te!” ne convenne Morgana, annuendo
grave, prima di accompagnarlo a salutare Leon e l’oggetto delle loro
preoccupazioni.
***
Godendo di uno degli ultimi giorni miti
dell’autunno, avevano scelto di pranzare nel patio e, mentre uno stuolo di
cameriere alternava le varie portate (un pranzo a Buckingham Palace sarebbe
stato, di certo, meno elaborato), Aithusa aveva
potuto scorrazzare nel giardino, liberamente, a distanza di sicurezza.
Quando, però, la cagnetta si avvicinò, ansimando vistosamente, in cerca di qualcosa per dissetarsi, Uther fece un cenno al maggiordomo, che era rimasto, discretamente,
in un angolo nascosto a disposizione.
“Malcom”,
ordinò, come sempre perentorio. “Procura a quel cane una ciotola per bere!”
“No!” saltarono su Arthur e Morgana nello stesso momento,
guadagnandosi un’occhiataccia dal loro genitore.
“E perché mai?” pretese di sapere il vecchio Pendragon.
“Non serve che ti disturbi, papà…” s’arrabattò
Arthur, rovesciando il calice di vino sulla tovaglia, nella foga di alzarsi.
“Ho portato tutto con me…” E, senza attendere oltre, corse verso uno dei
borsoni, che aveva messo accanto alla coperta stesa al sole per il cane.
Sotto l’esame severo del padre, egli sfilò la scodella e una
bottiglia d’acqua naturale.
“Non vorrai servirle quell’acqua calda!” s’indignò Uther, con disapprovazione. “Questo mi dimostra che non sai
occupartene!” gli rinfacciò, con biasimo. “Malcom!”
rifece. “Procedi!”
“No! Davvero,
papà, non serve!” ripeté Arthur, con ansia visibile. “Non voglio la tua acqua!” si lasciò
sfuggire, con un’intonazione quasi isterica.
“Figliolo... Non penserai, per caso, che voglia avvelenarla?!” l’accusò, dimostrandosi risentito.
Arthur e Morgana sollevarono contemporaneamente le
sopracciglia, pur non parlando. Leon non osò neppure fiatare.
“Arthur!” lo rimbrottò ancora il padre. “Spero vivamente che tu stia scherzando!”
“D’accordo…” cedette egli, infine, pregando ogni divinità
canina affinché non fosse un errore fidarsi. “Malcom,
provvedi a riempirle la ciotola, per cortesia”,
concesse, seppur riluttante.
Aithusa si dissetò con piacere e,
poiché non era morta all’istante, il pranzo continuò senza intoppi, almeno fino
al momento del dolce.
***
“Avanti, aggiornami su qualcosa! Su
qualche pettegolezzo! Mi accontento di sapere dove
porti a fare pipì il tuo cane! Lo sai che faccio una vita da reclusa, qui!”
piagnucolò Morgana rivolta al fratello, mentre Uther
si era assentato un attimo per rispondere ad una
telefonata urgente e Leon ne aveva approfittato per fare un salto in bagno.
Arthur si lasciò pregare un po’, ma alla fine le raccontò
con orgoglio di come tutti, alla Pendragon Company,
si fossero affezionati alla cagnetta, persino litigando per portarla a spasso.
Le raccontò delle idiozie di Gwaine e dei cartelli
che aveva disseminato con i vari messaggi e, arrivando infine alla bacheca con
i Post-it degli altri dipendenti, si accorse che non le aveva detto la cosa più
importante.
“Ahimè! È un compito ingrato, ma qualcuno dovrà pur confessare a nostro padre che le cicogne in viaggio sono due!”
Morgana sputò l’acqua che stava sorseggiando distrattamente.
“E tu come diavolo l’hai saputo?!”
domandò, sorpresa.
“Io so sempre tutto, Gana cara…”
si vantò.
“Idiota! E io che pensavo avresti
dato di matto come l’altra volta!”
“Beh, ammetto che ci ho messo un minuto per farmene una ragione, ma tu
dovresti sapere già come ci si sente, no? Ma
ora puoi dimostrarmi apertamente la tua gioia! Non capita
tutti i giorni di sentirsi dire che stai per diventare zia!” le annunciò con
solennità, e Morgana sbatté le palpebre, stupita.
“Ma…” farfugliò, incerta. “Non
avevamo chiarito la questione di Viv?”
A quel nome Arthur si irrigidì,
rannuvolandosi.
“Non intendo più sentirla nominare!” ordinò, caustico. Tuttavia,
quando si volse a guardare dove Aithusa riposava, un
sorriso gli stiracchiò le labbra.
“Io mi riferivo ai suoi gemelli…”
“I suoi gemelli?!” gli fece eco la sorella, incapace di raccapezzarsi. “Non
i miei?”
“I tuoi?!” ripeté Arthur con
espressione sconvolta.
“Sì, idiota. I miei gemelli!” scandì la donna, spazientita. “Ge-mel-li!”
“Gemelli?”
s’intromise Uther, comparendo dal nulla,
accasciandosi al suo posto. “Gemelli di
chi?”
“Di Aithusa!” “Di Morgana!”
risposero sorella e fratello in contemporanea, addossando l’un
l’altra il peso della notizia.
“Oh, Ygraine, dammi tu la forza!” pregò l’uomo rivolto al
cielo, mettendosi teatralmente una mano sul cuore infartuato. “Morgana aspetta
dei gemelli e la cagna di Arthur pure!”
“Papà, sta’ calmo!” lo supplicò
Morgana, temendo un collasso.
“Ecco! Vuoi portarlo nella fossa?” l’incolpò
Arthur, con un’occhiataccia. “Ti sembra il modo di rivelargli le cose?!”
“Chi, io? Sei tu
quello che si è preso un cane incinta!” lo accusò lei,
a sua volta.
“Brutta strega!”
“Idiota mentecatto!”
“Ragazzi!”
“Befana!”
“Cretino!”
“RAGAZZI!” urlò Uther, la seconda
volta, mettendoli a tacere.
I due chinarono il capo, mortificati, ma non prima di essersi
lanciati reciprocamente uno sguardo accusatorio.
Fu a quel punto che Aithusasi intromise, abbaiando vivacemente, richiamata dal
trambusto, ma Arthur fu lesto a calmarla, impressionando persino suo padre per
l’obbedienza che il cane gli dimostrava.
“Morgana, nel tuo stato non ti fa bene agitarti!” la
rimproverò, per buona misura. “E tu, figliolo, vai a prendermi un calmante,
sento che ne avrò bisogno…”
In quel mentre, un gioviale e ignaro Leon fece la sua
ricomparsa, osservando i loro visi stravolti.
“Ehi! Cosa mi sono perso?”
***
Il giorno in cui un intero pranzo Pendragon
si fosse svolto serenamente, con tutta probabilità, sarebbe stato l’inizio della fine. Le
trombe dell’Apocalisse avrebbero suonato e tanti saluti al mondo.
Tuttavia, rifletté
Arthur, stravaccandosi finalmente sul suo divano, gemelli a parte,non era
stato un disastro totale.
Anzitutto, aveva riportato a casa il suo cane sano e salvo, e questa era la cosa fondamentale; secondariamente,
anche suo padre era ancora vivo, quando
lo aveva lasciato e – cosa inaudita! – Uther
aveva perfino speso un mezzo complimento sul fatto che la sua cagnetta era
stata addestrata a dovere e che, anche in futuro, sarebbe potuta tornare ad Avalon House (sempre se fosse rimasta ben lontana da
Morgana e dai gemelli).
Beh, non poteva
pretendere di più. Un passo alla volta, si disse. E
questo era già molto.
Con sua sorella, poi, si erano chiariti al momento del
commiato e, com’era loro abitudine, con un paio di offese scambiate avevano
fatto la pace.
Anche lei, come il loro genitore, si era raccomandata di
riportare presto la bestiola, cuccioli in arrivo permettendo.
***
Arthur si prese Aithusa sulle
ginocchia e, per rilassarsi dopo quella lunga giornata, cominciò il rituale
della spazzolatura, che la cagnetta sembrava gradire parecchio.
Arrivato sul pancino, però, egli notò una strana macchiolina
nera, che emergeva in contrasto col pelo candido e il ventre rosato.
Chinandosi per controllare meglio –
poteva essere un grumo di fango o di sporco indefinito –, si rese
drammaticamente conto che l’oggetto aveva le zampe. E si muovevano.
“Oh, cazzo!” imprecò, agitandosi, infilando la mano in tasca
con così tanta foga che strappò lievemente la cucitura laterale.
“Merlin?!” urlò nel telefono, appena
all’altro capo sentì rispondere. “Merlin, è un’emergenza!”
“Arthur? Calmati, cos’è successo? Aithusa sta…?”
“C’è un brutto mostro
nero attaccato alla sua pancia!” sbraitò Arthur, contenendo a stento l’ansia,
mentre si dirigeva alla porta.
“È una zecca?” chiese il veterinario, con spirito pratico.
“Sì, ha una zecca! Una dannata zecca!…
Almeno credo che sia una zecca… Merlin, devi
visitarla subito!” esclamò. “Sto giusto salendo in macchina!”
“Portala allo studio, ma sta’
calmo. Non è niente di grave”, lo rassicurò.
Arthur si rese conto
solo in quel momento che era domenica pomeriggio, e che l’ambulatorio non era
aperto, ma francamente non gli interessava. La salute della sua cagnetta veniva
prima di tutto.
“Merlin? Sei… a casa?”
“Vieni, ti aspetto”, aveva riposto l’uomo, riagganciando.
***
“Sì, è una zecca”, aveva diagnosticato il dottor Emrys, osservando il parassita attraverso una lente
ingrandita.
“Ecco, lo sapevo!
Non dovevo portarla a casa di Morgana! E pensare che mio padre aveva insinuato che potesse essere lei un’untrice! Lei, piccola vittima innocente! È tutta colpa mia… Oh, Gesù!”
“Arthur”, l’aveva
chiamato Merlin, interrompendo il suo sproloquio e puntandogli addosso un paio di pinze mediche. “Se adesso ti fai venire
una crisi di panico, stavolta ti prendo a ceffoni!” lo minacciò, anche se non sembrava affatto intimorente senza camice, con indosso i
pantaloni di una tuta, una vecchia maglia sbiadita e l’aria di chi era stato buttato già dal letto. Aveva i capelli
tutti arruffati, quindi, probabilmente, lo aveva svegliato davvero nel bel mezzo del pisolino pomeridiano.
“Beh, io…” aveva borbottato Pendragon,
di rimando, lievemente mortificato.
“Non puoi incolparti di niente, perché non è colpa tua!” lo sgridò il veterinario.
“Ma se io non l’avessi portata nella casa di campagna, in
quel dannato prato, lei…”
“È un cane, Arthur.
Ha bisogno di prati e di corse all’aria aperta. Non puoi tenerla sotto ad una campana di vetro per proteggerla. La faresti soffrire
molto più che per un morso di zecca!”
“Ma io…”
“Le zecche sono ovunque, come le pulci o i pidocchi. Un buon
repellente le allontana, ma ogni tanto succede che qualcuna s’attacchi.
Ora ti spiego come fare e la prossima volta potrai arrangiarti
da solo, senza però farti venire un accidente nel frattempo, ok?”
“Mh, mmmhhh…”
mugghiò, annuendo. “Mi dispiace di averti disturbato nel tuo giorno libero”, si
scusò. “Ti ho svegliato?”
“Oggi era il mio turno di volontariato a BlackHill. Visitare tutti quei cani è una faticaccia, ma lo
faccio volentieri!” Merlin sorrise. “E comunque non importa,
hai fatto bene a chiamarmi. Solo… manteniamo la calma, va bene? Agitarsi così non aiuta neppure lei…” disse, indicando la bestiola.
“Hai ragione”, ammise, contrito.
“Ora guarda come faccio: basta usare una pinzetta e
afferrare la zecca il più vicino possibile alla pelle
– ma stai attento al pelo! –, devi compiere una lenta torsione in senso
antiorario, senza strappi né movimenti bruschi. Ecco, vedi? Si
sfila abbastanza facilmente”, spiegò, mostrando l’insetto che si muoveva ancora.
“Se invece, per caso, rimanesse sottopelle qualche pezzetto, devi chiamarmi
assolutamente”.
“D’accordo”.
“Adesso basta disinfettare la zona e abbiamo finito”.
“Perché non l’hai fatto anche prima di rimuovere quella dannata
sanguisuga?”
“No, non va bene, perché qualsiasi sostanza le indurrebbe il
vomito e, di riflesso, inoculerebbe tossine nel cane”.
“Oh, porca puttana!”
“Basta che tu segua la procedura che ti ho appena spiegato,
ok?” lo tranquillizzò. “I parassiti possono essere pericolosi, ma se tieni
controllata Aithusa dopo ogni passeggiata nei parchi
o nei boschi, il rischio è bassissimo”.
Arthur non sembrava completamente persuaso, ma annuì.
“Allora è tutto!” sorrise il medico, accarezzando la
bestiola, prima di porgerla indietro al suo padrone.
“Merlin? Grazie”, farfugliò, a disagio.
“Mi scuso per essere piombato qui, trascinandoti via da-”
“Vivo al piano di sopra, non ho
fatto tanta strada!” rise l’uomo, indicando con gli occhi il soffitto.
“Sì, beh, scusa lo stesso…” ripeté, mettendo mano al
portafogli. “Ci metterò un extra per il disturbo…”
“Stai scherzando? Lascia perdere…” lo
dissuase il veterinario. “Le prestazioni festive sono in omaggio!” ridacchiò,
accompagnandolo all’uscita. “Solo… Arthur?”
“Mh?”
“Credo che dovremmo parlare seriamente di ‘gestione dell’ansia’ – della tua
ansia –, prima che la gravidanza finisca… perché, se per una zecca fai
così… non oso pensare cosa accadrà al momento del parto!”
Arthur sgranò gli occhi come un cerbiatto davanti ai fari di
un’auto.
“Ma ci sarai tu, no?” farfugliò,
con apprensione. “Cioè… io davo per scontato che sarai con me e…”
“Ci sarò, se vuoi. Ma è bene essere pronti
all’evento, per tempo”.
“Vuoi direi che devo seguire una specie di corso pre-parto?” domandò, incerto. “Perché, se devo… insomma, io
lo faccio”.
Merlin scoppiò a ridere a tal punto che gli occhi gli si
riempirono di lacrime. “Sei il padrone migliore del mondo, Arthur, ma davvero, non serve. Ti chiarirò le idee in uno
dei prossimi controlli, mh?”
Coi capelli spettinati, la maglia sgualcita e
l’espressione da ragazzino, sembrava irresistibile. Ma…
Pendragon assottigliò lo sguardo.
“Merlin! Mi stavi
prendendo per il culo?!”
“Oh, no. Credimi! Anche volendo, fai tutto
da solo!”
Continua...
Disclaimer:I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: Le varie
nozioni veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.
In particolare, la procedura utilizzata e le spiegazioni di
Merlin sull’estrazione di una zecca sono il metodo standard usato anche in
ospedale, quindi sì, potete usarlo. ^^
Il riferimento ai pesci rossi morti misteriosamente si ricollega al cap. 1 di
questa fic.
Penso che il fraintendimento sulle due cicogne sia
abbastanza chiaro… ma, a scanso di equivoci, Arthur nomina due cicogne intendendo la gravidanza di Morgana e la gravidanza di Aithusa; Morgana,
invece, quando lo sente parlare di due
cicogne crede che suo fratello sappia già della sua gravidanza gemellare e
ignora che anche Aithusa sia incinta.
Non so voi, ma io adoro far bisticciare Arty
e Gana. XD
Ecco ben QUATTRO anticipazioni
del prossimo capitolo (e un po’ di fraintendimenti):
Messaggio
inviato
A: Merlin
19:16
Ho sentito i cuccioli
muoversi! Li ho sentiti!
Nuovo messaggio
Da: Merlin
19:20
Bello, eh?
Messaggio
inviato
A: Merlin
19:21
È meraviglioso.
(...)
Merlin raccolse il borsone che aveva preparato in fretta
all’alba e si apprestò a scendere dalla carrozza.
Quindi… Gwen dormiva da
Arthur, considerò, mentre il suo cervello ronzava al pari dell’altoparlante
in stazione. Con Arthur, si corresse,
fastidiosamente.
Beh, erano amici e
colleghi… Guinevere gli aveva sempre parlato con
affetto di Arthur, magari stavano insieme da secoli, e lui era l’unico a non
saperlo… ma, poi, perché mai
Pendragon avrebbe dovuto dirglielo?
La sua parte più razionale gli suggeriva che no, non poteva
essere questo. Se fossero vissuti insieme, la gestione di Aithusa
e le incertezze di quell’asino sarebbero state diverse… fin da subito.
Forse erano amici…
uhm… amici con benefici. Sì, questo poteva anche essere. Collimava più con l’idea che si era fatto di
Arthur. In fondo, un tipo come lui poteva avere tutte le donne che voleva, ma aveva anche una vita stressante e impegnata e… Gwen era la sua segretaria, la persona che ogni giorno gli
era più vicina. L’essere amici con
benefici offriva sesso e gratificazioni senza complicazioni. Questa era la risposta.
(...)
E invece no,
realizzò. Non sapeva niente di lui. Merlin Emrys era
un perfetto estraneo, in fin dei conti.
Quando entrò nel negozio e lo vide dietro al bancone, lo
stomaco gli si attorcigliò in un modo strano. Era diverso dal nodo che aveva sentito negli attacchi di panico, ma anche questo era
sgradevole e doloroso.
Merlin indossava il grembiule da commesso e Will gli teneva
un braccio attorno alle spalle, testa contro testa,
mentre gli bisbigliava qualcosa che aveva fatto sorridere il suo veterinario in
modo fin troppo affettuoso.
Forse erano una coppia?
Sì, forse stavano insieme.
Perché – dannazione –
sembravano così uniti…
Arthur percepì lo strano nodo allo stomaco stringersi un po’
di più.
Non l’avrebbe chiamata
gelosia. Quella era solo delusione.
Delusione nel capire
che non conosceva affatto l’uomo davanti a sé e la
vita che conduceva fuori dall’ambulatorio.
(...)
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:39
Devo uscire con una
ragazza.
Arthur sbatté le palpebre, stranito.
Cazzo.
Francamente non sapeva perché l’aveva scritto, ma l’aveva
inviato prima di cancellarlo. Quindi era troppo tardi.
~ ~~~~
Ringrazio i 28 utenti che hanno
messo la fic fra i ‘preferiti’, i 7 ‘da ricordare’ e
i 112 ‘seguiti’.
Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne
pensate! ^_=
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia
orgogliosa
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia
orgogliosa.
Un pensiero speciale a chi
ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).
A kibakun, Barby_Ettelenie_91, chibimayu,
hiromi_chan, Burupya,
misfatto, DevinCarnes, Orchidea Rosa, Eresseie93,
aria, mindyxx, YukiEiriSensei, katiaemrys e Clary Rose94.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
Waiting for you
CapitoloIX
Gwaine si presentò nell’ufficio di
Arthur con un sorriso a trentadue denti.
“Ehi, Principessa!” esordì, stravaccandosi sulla sedia
imbottita dell’ospite, senza permesso. “Vuoi sapere l’ultima?”
“Anche se ti dicessi di no, dubito che mi
daresti retta…” brontolò Arthur, sollevando lo sguardo da un report che
stava leggendo.
“Oh, ma questo pettegolezzo piacerà
anche a te!” lo lusingò, ammiccando.
Il Grande Capo sospirò, rinunciando a concentrarsi sul
blocco di fogli, per prestargli attenzione.
“Sentiamo…”
“Si dà il caso…” premise O’Green, con la faccia di un gatto
che si è appena pappato un canarino. “Si dà il caso che io abbia avuto una
telefonata con LiMeng,
della sezione Marketing di Honk Hong…”
Arthur inarcò un sopracciglio, invitandolo implicitamente a
venire al punto.
“E lei mi ha raccontato che, due giorni fa, hanno
organizzato una ‘festa di bentornato’ per Val…
l’hanno portato fuori a mangiare in un bel ristorantino nuovo… E poi, la
mattina dopo, gli hanno spiegato che il piatto principale era stato serpente. Ti immagini la sua faccia? Meng ha detto che è diventato di
color verde ed è corso a vomitare!” Gwaine rise
sguaiatamente. “Che meschino! È diventato persino cannibale! Non ha
rispetto neppure per i suoi simili!”
Arthur rise con lui. “Poveri serpenti… che triste fine…”
concordò, perché, di certo, non avrebbe
avuto pietà per quel viscido di Valiant.
***
Anche se Gwaine cercava di
distrarlo, da buon amico qual era, con l’andar dei giorni, Arthur cominciava a
sentire l’avvicinamento del fantomatico ‘Momento X’.
Egli aveva persino segnato sul calendario l’ipotetica
scadenza, dedotta dai controlli di Merlin e, nel frattempo, curava che Aithusa si alimentasse al meglio e facesse tutto il
movimento che il dottor Emrys si era raccomandato,
per allenare i muscoli da usare durante il parto.
Una volta, durante una delle loro passeggiate, erano persino
finiti nelle vicinanze della sua vecchia casa, che aveva venduto in fretta
quando era partito per l’America.
Per un lungo istante, Arthur sentì il sapore amaro della
nostalgia e gli venne quasi voglia di camminare fin lì davanti, anche se
ritornare a viverci era impossibile e, anche potendo, non avrebbe retto agli sguardi
pietosi dei vicini che sapevano delle corna diViv.
No, si disse, quell’abitazione faceva parte del suo
passato, e tale doveva restare.
Ora aveva Aithusa, una nuova vita che lo soddisfaceva. E, con la
cucciolata in arrivo, sarebbe stato tutto ancor più bello.
Poi, quando sentiva i dubbi crescere e pensava di non
potercela fare, il suo veterinario trovava sempre, magicamente, le parole giuste per confortarlo (anche se lui si sarebbe fatto tagliare la lingua, piuttosto che
ammetterlo).
Del resto, il dottor Emrys gli
aveva detto di chiamarlo per ogni incertezza, senza farsi scrupolo.
E lui lo avrebbe
fatto.
Per ogni nuovo giorno, un nuovo
messaggio.
***
Messaggio
inviato
A: Merlin
20:27
Aithusa ha fame. Ma ha già
mangiato la sua razione giornaliera.
Cosa
faccio?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
20:31
Falla giocare.
Distraila.
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:20
L’ho fatta distrarre.
E sono distrutto.
Ma ha ancora fame.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:22
Ha consumato calorie.
Ora può mangiare.
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:23
Potevi dirmelo prima!
L’avrei messa sul tapis roulant!
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:25
Pigrone!
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:26
Sappi che non ti
ringrazierò per questo consulto!
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:27
Prego.
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:28
You, littleshit!
Buonanotte.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:28
‘notte ;D
***
Messaggio
inviato
A: Merlin
19:16
Ho sentito i cuccioli
muoversi! Li ho sentiti!
Nuovo messaggio
Da: Merlin
19:20
Bello, eh?
Messaggio
inviato
A: Merlin
19:21
È meraviglioso.
***
Messaggio
inviato
A: Merlin
15:04
Aithusa è agitata, cosa faccio?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
15:06
Accarezzala, parlale.
Messaggio
inviato
A: Merlin
15:16
Funziona! Grazie.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
15:16
Prego.
***
Messaggio
inviato
A: Merlin
08:17
Croccantini o
biscotti?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
08:18
Biscotti.
***
Messaggio
inviato
A: Merlin
08:02
Cappottino o no?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
08:03
Senza.
***
Quel sabato mattina, Merlin controllò nuovamente l’ora sul
quadrante al polso. Le sette e mezza.
Da quando Aithusa viveva con lui,
Arthur si svegliava sempre praticamente all’alba, come
aveva scoperto fin dal loro primo incontro. Perché
allora non rispondeva?
“Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile.
Si prega di riprovare più-”
Con un verso di frustrazione, chiuse la comunicazione,
cercando nella rubrica del cellulare il recapito alternativo di casa, perché di
sabato Arthur non andava mai in ufficio.
“Sì, pronto?” rispose, dopo un’infinità di squilli, una voce
molto assonnata. Una voce di donna.
“Casa Pendragon?” domandò Merlin,
dopo un momento di completo stupore. Forse
aveva selezionato il nome sbagliato, forse lo aveva memorizzato male…
“Sì, mi dica…” confermò la signora, all’altro capo della
linea, reprimendo malamente uno sbadiglio.
“Cerco Arthur”, si sentì dire, mentre il suo cervello si era
fermato allo step precedente. E questa chi era? La… compagna di Arthur?
“Arthur non c’è, mi dispiace. Se vuole, può dire a me e poi
riferirò!”
“Sono il dottor Emrys, il suo
veterinario…”
“Oh, Merlin!” lo riconobbe la voce femminile, rianimandosi. “Sono Gwen! Scusami,
ero così addormentata che non ti avevo riconosciuto!” ridacchiò.
“Ciao, Gwen”, la risalutò, per
buona misura. “Avevamo programmato un controllo per Aithusa,
stamattina...”
“Sì, me l’ha detto!” confermò Guinevere.
“Senti, Arthur voleva essere il primo appuntamento della
giornata, ma ho avuto un contrattempo... ed è tutto rimandato”.
“Spero non sia niente di grave!”
“Piccola emergenza di famiglia. Mia madre è scivolata dalle
scale. Forse è solo una distorsione, ma voglio accompagnarla
a fare accertamenti”.
“Perciò sei…?”
“A Ealdor, sì. Il treno è quasi
arrivato…” le confermò. “Senti,Gwen,
dillo ad Arthur, ok? Mi dispiace, devo lasciarti”.
“Oh, ma certo… E tanti auguri per tua madre!” si raccomandò Guinevere, chiudendo la conversazione.
Merlin raccolse il borsone che aveva preparato in fretta
all’alba e si apprestò a scendere dalla carrozza.
Quindi… Gwen dormiva da
Arthur, considerò, mentre il suo cervello ronzava al pari dell’altoparlante
in stazione. Con Arthur, si corresse,
fastidiosamente.
Beh, erano amici e
colleghi… Guinevere gli aveva sempre parlato con
affetto di Arthur, magari stavano insieme da secoli, e lui era l’unico a non saperlo…
ma, poi, perché mai Pendragon avrebbe dovuto dirglielo?
La sua parte più razionale gli suggeriva che no, non poteva
essere questo. Se fossero vissuti insieme, la gestione di Aithusa
e le incertezze di quell’asino sarebbero state diverse… fin da subito.
Forse erano amici…
uhm… amici con benefici. Sì, questo poteva anche essere. Collimava più con l’idea che si era fatto di
Arthur. In fondo, un tipo come lui poteva avere tutte le donne che voleva, ma aveva anche una vita stressante e impegnata e… Gwen era la sua segretaria, la persona che ogni giorno gli
era più vicina. L’essere amici con
benefici offriva sesso e gratificazioni senza complicazioni. Questa era la risposta.
Merlin cercò di cacciare il senso di stordimento vuoto che
sentiva e il suo cellulare vibrò in tasca.
Irrazionalmente, sperò
che fosse Arthur, con un messaggio o una chiamata. Uno di quei contatti che
avevano quasi quotidianamente.
“Pronto?” esclamò, di slancio, con un’assurda speranza. “Ah,
Freya…” disse poi, mascherando la delusione,
riconoscendo la propria assistente. “Sì, sono arrivato. Scusa, sono riuscito ad
avvisare solo il signor Pendragon. Potresti annullare
tu gli altri appuntamenti? Almeno fino a martedì. Sì,
grazie. Ciao”.
Uscendo, il dottor Emrys inspirò
l’aria fresca della campagna, quella familiare, della sua infanzia.
Eppure, il disagio che sentiva non passò. Merlin si disse
che era l’ansia per le condizioni di sua madre. Appena avesse appurato che Hunith stava bene, tutto sarebbe andato al suo posto, sì.
Ma allora, dov’era Arthur?
***
Arthur – Mister Sparisco-e-torno-quando-voglio
– si era fatto vivo con un messaggio solo il martedì successivo, dopo quattro
giorni di silenzio assoluto, giusto mentre anche Merlin stava rincasando dal
suo paese natale. E così era venuto a sapere che il Boss della Pendragon Company era dovuto salire di corsa su un volo per
la Cina, venerdì
notte, a causa di un problema con un contratto multimilionario che richiedeva
la sua presenza immediata ad Hong Kong (c’entrava qualcosa con un serpente, ma
Merlin non aveva osato chiedere chiarimenti).
E, se da un lato questo aveva rabbonito le inquietudini del
dottor Emrys circa l’improvvisa sparizione del suo
paziente più impegnativo, d’altra parte non risolveva la spinosa questione di Gwen e la presunta (non)relazione
che la legava al suo capo. E questo tarlo
rosicchiava i pensieri di Merlin in modo scomodo, rendendolo eccezionalmente nervoso, cosa inusuale per la sua natura costantemente solare.
Per ritrovare il suo quieto vivere, avrebbe dovuto arginare
tutta la faccenda e, se necessario, fare un passo indietro in quello strano
rapporto che si era creato con Arthur Pendragon. Mettere paletti, ecco cosa serviva. Dei
maledetti paletti.
A complicare le cose – a fargli prendere questa sofferta decisione
– fu un messaggio che il dottor Emrys ricevette, come
dal nulla, il mercoledì sera.
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:12
Il controllo di Aithusa saltato è fissato per sabato?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:13
Sì.
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:14
Solita ora?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:14
Sì.
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:16
Ti piacerebbe mangiare
cinese?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:21
…Non esco con i miei
pazienti.
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:22
E ci mancherebbe
altro! Neanch’io ti concederei di uscire con Aithusa, sei troppo vecchio per lei!
E comunque non ti
stavo invitando. Era solo per fare conversazione.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:23
D’accordo. Comunque
non esco con i pazienti.
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:23
Io non sono un tuo paziente.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:24
Beh, non esco neppure
con i clienti.
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:25
Detta così, è
abbastanza ambigua!;D
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:26
Arthur…
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:27
Merlin, relax, non ti stavo invitando.
Mi sembri un tipo da
cinese. Ero curioso.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:29
Mmm… preferisco dell’altro.
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:30
Aithusa può mangiare cinese?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:31
Arthur!
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:32
Ok. Scherzavo.
Buonanotte.
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:32
…sono annoiato.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:34
L’ho notato.
***
Forse con una punta di ingenuità, ma Arthur credeva ormai di conoscere Merlin
almeno un po’.
E invece l’ultimo scambio di messaggi, che aveva avuto con
lui il giorno prima, lo aveva lasciato parecchio stupito… forse anche un
tantino amareggiato…
D’accordo, la sua
domanda poteva anche esser stata fraintendibile, ma – ammesso e non concesso che
lo avesse invitato davvero a cenare insieme – due persone normali non potevano farlo? Da quando era diventato
illegale? Sicuramente non gli aveva chiesto apertamente un appuntamento e
non ci sarebbero stati doppi fini né implicazioni sentimentali a cui far fronte.
Eppure il dottor Emrys aveva
risposto in modo conciso e irremovibile. Come se fosse stato prevenuto a
riguardo. Forse addirittura infastidito. E
lui aveva dovuto correre ai ripari con la scusa della noia per alleggerire la
gaffe.
Ma siccome non c’erano stati dei precedenti sgradevoli fra
loro, Arthur s’era quasi convinto di aver preso un
enorme granchio. Forse la freddezza di Merlin aveva avuto una ragione diversa,
non imputabile a lui. Chissà, magari lo
aveva beccato in un momento sbagliato, in una giornata storta…
Arrivò a questa conclusione passando davanti
all’ambulatorio, quel pomeriggio, lanciando uno sguardo affezionato per
abitudine, mentre si dirigeva al Pet Shop di William per
rifornirsi di viveri per Aithusa.
E invece no,
realizzò. Non sapeva niente di lui. Merlin Emrys era
un perfetto estraneo, in fin dei conti.
Quando entrò nel negozio e lo vide dietro al bancone, lo
stomaco gli si attorcigliò in un modo strano. Era diverso dal nodo che aveva sentito negli attacchi di panico, ma anche questo era
sgradevole e doloroso.
Merlin indossava il grembiule da commesso e Will gli teneva
un braccio attorno alle spalle, testa contro testa, mentre
gli bisbigliava qualcosa che aveva fatto sorridere il suo veterinario in modo fin
troppo affettuoso.
Forse erano una coppia?
Sì, forse stavano insieme.
Perché – dannazione – sembravano
così uniti…
Arthur percepì lo strano nodo allo stomaco stringersi un po’
di più.
Non l’avrebbe chiamata
gelosia. Quella era solo delusione.
Delusione nel capire
che non conosceva affatto l’uomo davanti a sé e la
vita che conduceva fuori dall’ambulatorio.
Lui si era messo a nudo più volte, gli aveva offerto i suoi sentimenti più
intimi e le sue paure su un piatto d’argento, ma Merlin?
Merlin era solo il medico
della sua cagna.
Perché avrebbe dovuto
dare confidenza ad un cliente qualunque?
“Lo studio non rende abbastanza?” l’apostrofò,
con tono sgarbato che fece sussultare i due uomini, dato che non si erano
accorti della sua presenza.
“Arthur!” lo salutò il dottor Emrys,
con uno dei suoi soliti (falsi?) sorrisi.
“Non è poco ortodosso lavorare nel negozio che di solito
consigli ai tuoi assistiti?” domandò, retorico e sprezzante.
Il veterinario lo fissò, stranito.
“C’è qualche problema? Will aveva biso-”
“Francamente, non mi interessa”,
tagliò corto Pendragon. “Mi serve solo un sacco di crocchette
per Aithusa”.
In quel momento entrarono altri quattro clienti e, quando
Merlin tentò di riprendere il discorso, Arthur si limitò a lasciargli una
banconota sul bancone, senza neppure aspettare il resto.
***
Vedere Merlin e Will
aveva smosso qualcosa dentro di lui.
Un qualcosa che, dopo
la storia con Vivian, aveva murato vivo.
Arthur aveva seriamente bisogno di una buona scopata.
Erano mesi che non si divertiva un po’ e ne aveva le palle
piene di quella vita monastica. Letteralmente.
Così non fece lo schizzinoso davanti alla rossa procace che
gli ammiccava da almeno mezz’ora. O aveva
un tic nervoso, oppure qualcosa nell’occhio, altrimenti cercava anche lei,
disperatamente, di rimorchiare.
Generalmente quelle non erano il suo tipo, ma dopo la cosa
con Vivs’era dato nuove
regole e una botta e via non avrebbe ucciso nessuno.
Arthur mandò un veloce messaggio a Gwen,
chiedendole il favore di passare a casa sua per controllare Aithusa,
senza motivarle la sua assenza prolungata.
La discrezione della sua segretaria era rinomata, e difatti Guinevere non gli chiese chiarimenti, mentre accettava il
compito.
Sentendosi un po’ più tranquillo, almeno su quel fronte, sfoderò
uno di quei sorrisi che metteva su quand’era in caccia
e si avvicinò alla sua conquista.
Vedendolo arrivare, la rossa finta non si era fatta pregare
e, alla prima occasione, aveva fatto le fusa come una gattina in calore, chinandosi
a parlargli, per mettere in mostra il generoso décolleté.
Dopo averle offerto da bere un aperitivo e aver
chiacchierato un po’, erano passati all’ipotesi di una cena in un delizioso
localino non troppo lontano.
Lei aveva accettato subito con evidente entusiasmo ma, prima
di andarsene, con la scusa di incipriarsi il naso, era andata alla toilette, e
Arthur aveva sfilato il cellulare dalla tasca dei pantaloni, per controllare
eventuali messaggi o chiamate perse.
Messaggio
inviato
A: Merlin
21:39
Devo uscire con una
ragazza.
Arthur sbatté le palpebre, stranito.
Cazzo.
Onestamente non sapeva perché l’aveva scritto, ma l’aveva
inviato prima di cancellarlo. Quindi era troppo tardi.
Passò un secolo prima di ricevere risposta (e non succedeva mai, perché Merlin sembrava
vivere col cellulare incollato al culo, come Arthur,
del resto); nel frattempo, lui pregò seriamente che il messaggio fosse
andato perso – anche se era una
possibilità remota – o che il suo veterinario avesse cambiato numero senza
avvertirlo – possibilità ancor più rara.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
21:59
…buon per te.
Si lasciò sfuggire un ansito, ma la
tizia davanti a lui probabilmente aveva pensato fosse un apprezzamento al
bottone della camicetta che aveva slacciato in bagno e che ora lasciava ben
poco all’immaginazione.
Ad Arthur, però, importava solo di correggere il tiro – e non certo con lei.
Si scusò con la sua accompagnatrice con un’occhiata neanche tanto pentita, mentre digitava una scappatoia decente.
Messaggio
inviato
A: Merlin
22:01
Come faccio a lasciare
Aithusa da sola?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
22:03
Per una sera, non
morirà.
D’accordo. D’accordo.
Basta. Se avesse scritto oltre, sarebbe solo parso patetico. Perciò optò per un silenzio dignitoso e, mettendo via il telefono,
cercò di dedicarsi alla sua compagna improvvisata.
***
Benché gli argomenti di discussione non avessero brillato
per l’interesse o la sagacia, Arthur doveva
riconoscere che la tipa – Nimueh, si chiamava – era passabile. Un po’ oca, forse, ma aveva sicuramente visto di peggio.
Dopo aver cenato, si era sentito in dovere di suggerirle di
passare la serata altrove, ma lei gli aveva chiaramente fatto capire che
potevano anche saltare i convenevoli. E
arrivare direttamente al letto.
Quindi, se l’era caricata in
macchina per un po’ di sano divertimento senza complicazioni.
E, quando lei aveva squittito, entusiasta nel vedere il suo
quartiere residenziale – e la sua casa, in particolare –, Arthur sentì
vezzeggiato il proprio ego.
Le aprì la portiera, galantemente, e la accompagnò con
cavalleria fin sull’uscio.
Fu all’entrata che Aithusa abbaiò,
salutandolo festosa.
“Ciao, tesoro!” ricambiò, chinandosi per accarezzarla, ma la
sua accompagnatrice arretrò di scatto.
“Hai un cane!” l’accusò, come se
fosse il peggiore dei crimini.
“Di sicuro non è un gatto…” ridacchiò Arthur, decidendo di
ignorare il primo impatto non proprio idilliaco.
“A me non piacciono i cani! Hanno le
pulci, e forse sono allergica!”
Sei allergica
all’intelligenza, mia cara, ma questo è un altro discorso, considerò tra
sé.
“Mandala fuori!” stridé Nimueh,
inviperita.
“Aithusa non esce di notte”, le rese noto, incrociando le braccia, perentorio.
“Beh, io qui con un cane non ci resto!” diede l’ultimatum.
Arthur le aprì educatamente la porta di casa.
“Allora a maipiùarrivederci!” la congedò.
La ragazza sbuffò, indignata, partendo a passo di carica
verso l’uscita, con in mano già il cellulare per
chiamare un taxi.
Arthur sbatté la porta di malagrazia dietro di lei, poi
prese in braccio il cane e lo coccolò e si lasciò leccare il naso.
“D’accordo, hai ragione. La cagna
era lei, non tu. Ma adesso ho davvero bisogno di una doccia
fredda…” ammise, sentendo ancora la patta dei pantaloni tirare scomodamente.
Aithusa fu rimessa a terra e lo
seguì, accucciandosi davanti alla porta del bagno, senza entrare, decidendo di
aspettare lì.
Mezz’ora dopo, Arthur scrisse un messaggio, e lo inviò,
prima di avere ripensamenti.
Messaggio
inviato
A: Merlin
23:45
Appuntamento saltato.
Ha offeso Aithusa.
Ma non si aspettava una vera risposta.
Non così in fretta.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
23:46
Se non ama Aithusa, non ti merita.
Continua...
Disclaimer:I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: Le varie
nozioni veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.
Ricordate che Valiant era
soprannominato il ‘Serpente’, mh?
Un ‘Report’ è una relazione
amministrativa.
Probabilmente è superfluo dirlo, ma forse avrete notato che
in tutta la fic, finora, Merlin ha sempre risposto
agli sms di Arthur molto in fretta. Da un lato, è vero che gli orari che ho
scelto sono fuori dall’orario standard dell’ambulatorio, ma (in generale)
Merlin è stato, fin da subito, molto disponibile con il suo cliente. Invece, in
questo capitolo abbiamo dei ritardi voluti, tutti in momenti cruciali: quando
c’è Nimueh fra loro, quando vuole mettere dei
‘paletti’ nel loro rapporto, e quando è preoccupato per sua madre. In generale,
la frequenza del loro scambio di sms dimostra ‘il
polso’ dell’evoluzione del merthur.
Ecco due anticipazioni
del prossimo capitolo:
Un bussare alla porta s’intromise fra loro, azzittendoli.
Freya entrò un momento dopo,
appena ottenuto il permesso da Merlin.
“Ehm…” incominciò l’assistente, osservando ora l’uno, ora
l’altro e l’aria tesa fra loro. Poi avanzò cautamente nella fossa dei leoni e
depose sulla scrivania un vassoio con due tazze di tè fumante, lo zucchero e i
bricchetti del latte e limone.
“Ma non avevo chiesto del tè…” le rese
noto il medico, stupito.
“Sì, uhmm… ho
pensato che avreste gradito. Cinque
minuti di infusione, come sempre”, calcò,
esprimendo un implicito messaggio, prima di arretrare svelta verso l’uscita. “E
il signor Steel ha telefonato perché vorrebbe sapere quante gocce deve mettere
nell’acqua di Penny…” domandò, aspettando una risposta dal veterinario.
“Dodici, non di più”, prescrisse il dottor Emrys, dopo averci pensato un attimo e, considerando la
faccenda chiusa, aspettò che Freya uscisse
dall’ambulatorio, ma la sua segretaria rimaneva ancora lì, in bilico sulla
soglia.
“Ehm…” rifece lei, scambiando nuovamente un’occhiata fra
loro. “Doc, i coniugi Taylor danno ragione a te, ma
la signora Freeman e Grace affermano che Arthur non ha tutti i torti…” rese noto, facendoli avvampare, prima di colpirli con la
stoccata finale: “E il vecchio James ha detto di riferirvi testuali parole:
‘Per l’amor di Dio, che si prendano una camera in un motel!’ Beh, ecco. Io l’ho riferito”, si discolpò. “Forse è il caso che abbassiate un po’ i toni…” suggerì la donna, prima di
scomparire da lì.
(...)
“Il tuo stomaco dice il contrario!” gli appuntò, sfidandolo
a negare. “Dai, su! Se scroccarmi una cena ti mette a disagio, puoi sempre fare un controllo ad Aithusa e andiamo in pari!” gli propose, speranzoso.
“Oh, al diavolo! Accompagnami nel
tuo castello!” esclamò Merlin, infilando la borsa medica in macchina e
affiancandolo sul marciapiedi.
Arthur sorrise gioioso. “Vedrai, non te ne pentirai!”
“Beninteso… questo non è un appuntamento… vengo solo perché
quelle lasagne cantano suadenti come le Sirene di Ulisse…”
“Oh, sì. Credimi. Lo fanno…”
~ ~~~~
Ringrazio i 35 utenti che hanno messo
la fic fra i ‘preferiti’, i 10 ‘da ricordare’ e i 124
‘seguiti’.
Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne
pensate! ^_=
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Edit: c’era un errore nel codice del file, ho dovuto togliere e rimettere
il capitolo. Questa è la versione definitiva.
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia
orgogliosa.
Un pensiero speciale a chi
ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).
A chibimayu, hiromi_chan, misfatto,
DevinCarnes, Orchidea Rosa, Clary
Rose94, mindyxx, Burupya, _Serendipity_, RavenCullen, YukiEiriSensei e FlameOfLife.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
Waiting for you
CapitoloX
Anche se si erano scambiati alcuni messaggi dai toni civili (fingendo
che niente fosse accaduto), dall’incontro nel negozio di Will non avevano più
avuto occasione di vedersi di persona né di sentirsi al telefono. E sapevano entrambi che questa cosa
ingombrante e imbarazzante era come un enorme elefante parcheggiato tra di loro
con cui, prima o poi, avrebbero dovuto fare i conti,
anche se Arthur voleva evitare il confronto come la peste.
Non appena si erano ritrovati faccia a
faccia, infatti, la tensione era montata a livelli di guardia e Pendragon – con quel bagaglio di ricordi scomodi nuovamente
così vividi (sembravano passati minuti, non giorni) – aveva arruffato il pelo
come un grosso gatto arrabbiato.
Alla fine della visita di controllo, poiché la cosa non
sembrava smuoversi da sé, fu Merlin a recuperare l’argomento, poco prima di
congedarlo.
“L’altro giorno, sai… mi è parso che tu fossi...” contrariato
“sorpreso di trovarmi da Will”, incominciò, cercando di usare un tenero
eufemismo e prenderla larga per non renderlo suscettibile.
“Quello che fai, non mi riguarda!” rispose Arthur,
indispettito. “Puoi muoverti? Ho una certa fretta”.
“Com’è che, quando una cosa non gira come
vuoi tu, hai sempre una gran premura di scappare?!” sbottò il veterinario,
pentendosene un attimo dopo, quando l’altro uomo si era congelato sul posto,
sussultando.
“Senti…” ritentò. “Will è mio amico! La sua commessa era
malata e, siccome non avevo appuntamenti fissati per
quel pomeriggio, sono andato ad aiutarlo un paio d’ore”.
“Complimenti per l’animo da samaritano, ma – come ti ho
detto – non mi devi alcuna spiegazione!”
“Infatti mi chiedo come mai sto sprecando
tempo a parlare con un asino come te!” sfogò allora, perdendo forse le staffe
per la prima volta da quando Arthur lo conosceva.
“Non ti ho chiesto niente…” sibilò quindi Pendragon, infastidito ancor di più.
“Sei stato uno stupido a fraintendere!”
“Io non ho frainteso un bel niente! Quello che fai nel tuo
tempo libero non è affar mio!”
“E invece ho come l’impressione che tu mi abbia già
processato, ritenuto colpevole e condannato per qualcosa che non so di aver
fatto!” eruppe. “Pensavo che tu avessi più stima nei miei confronti!” gli
rinfacciò. “Io ti rispetto, anche se non approvo la tua condotta morale!”
Arthur sbatté le palpebre, stranito.
“A cosa ti riferisci?!”
“Al fatto che ti scopi la tua segretaria per passatempo! E
contemporaneamente vai anche con altre donne!”
Mancò poco che Arthur ci restasse secco sul colpo.
“Co-cosa?!” balbettò, dopo aver boccheggiato come un pesce
asfittico. “Io e Gwen?! Io non mi
porto a letto Gwen! Ci mancherebbe
altro!” partì a raffica, accalorandosi. “Siamo amici!”
“Appunto. Amici con
benefici. E non serve che lo neghi!”
“Merlin! Ma che cazzo stai dicendo?!
Sei impazzito?!”
“Non sono pazzo! Ho
le prove!” s’intestardì, puntando i pugni sul camice medico.
“Quali… prove?” domandò Pendragon,
sollevando le sopracciglia ad arco.
“Sabato scorso! Quando ti ho cercato a casa! Ha risposto lei
e so che ha dormito lì, perché l’ho svegliata telefonando!”
Ci volle un lungo attimo ad Arthur per fare mente locale,
poi – incredibilmente – scoppiò a ridere.
“Sì, Guinevere ha dormito a casa
mia, ma solo perché doveva badare ad Aithusa mentre
ero in viaggio in Cina!” spiegò, con un sorriso vittorioso che si allargava
sulla bocca impudente. “Mi ha accompagnato all’aeroporto e poi si è presa cura
del mio cane. Non ci sembrava il caso di traumatizzare Aithusa
portandola in una casa nuova, che non ha mai visto prima d’ora, e così Gwen si è trasferita provvisoriamente da me…”
Merlin deglutì a vuoto. Oh,
cazzo.
“E tu sei geloso!” gli appuntò Arthur picchiettandolo sul
torace per consolidare la sua affermazione.
“No, ti sbagli… Io non-”
“Sì, che lo sei!” rincarò, trionfante.
“Smettila!” s’inalberò il veterinario. “Mi
infastidiva la tua condotta, tutto qui. Gwen è
una brava ragazza e non meritava di soffrire…”
“Ecco il salvatore del mondo…” lo canzonò Arthur, ma con una
punta di tenerezza.
“Io ci tengo alle persone a cui
sono affezionato”, si difese Merlin, arrossendo fin nelle orecchie vistose.
“Me ne sono reso conto…” concordò Pendragon. Ma rientrava anche lui
nel numero dei fortunati?
“Tu, piuttosto!” riprese il veterinario, animandosi, perché
quello sembrava il momento di tirar fuori la verità e quantomeno andare in
pareggio. “Che diamine ti è passato per la testa nel negozio di Will?”
“Voi due state insieme?” chiese Arthur, a bruciapelo.
“Chi?” domandò di riflesso Merlin, senza capire.
“Tu e William, idiota. E chi, sennò?” sbottò Pendragon, roteando
gli occhi.
“Io e Will?” gli fece eco il dottor
Emrys, come se l’altro parlasse un’altra lingua. “Io e Will?! Ma se siamo come fratelli!”
esclamò, sconcertato. “Che schifo!Come puoi anche solo pensare che-” non terminò la frase,
perché la sua faccia disgustata parlava per lui. “E poi Will è il più
etero degli etero! E, per inciso, convive da almeno
tre anni con la sua fidanzata!”
“Beh, eravate fraintendibili e…” si
difese Arthur, senza troppa energia.
“Mi hai visto mentre gli infilavo la lingua in bocca?” lo
provocò, facendosi violenza. “Oppure ci allungavamo le mani addosso?”
“Beh, no…”
“E allora?!”
“Neanche tu avevi le prove!”
“Sì, io sapevo che Guinevere aveva
dormito da te!”
“Nella stanza degli ospiti…”
“Questo è un particolare secondario”.
“Mica tanto…” obiettò.
Un bussare alla porta s’intromise fra loro, azzittendoli.
Freya entrò un momento dopo,
appena ottenuto il permesso da Merlin.
“Ehm…” incominciò l’assistente, osservando ora l’uno, ora
l’altro e l’aria tesa fra loro. Poi avanzò cautamente nella fossa dei leoni e
depose sulla scrivania un vassoio con due tazze di tè fumante, lo zucchero e i
bricchetti del latte e limone.
“Ma non avevo chiesto del tè…” le rese
noto il medico, stupito.
“Sì, uhmm… ho
pensato che avreste gradito. Cinque
minuti di infusione, come sempre”, calcò,
esprimendo un implicito messaggio, prima di arretrare svelta verso l’uscita. “E
il signor Steel ha telefonato perché vorrebbe sapere quante gocce deve mettere
nell’acqua di Penny…” domandò, aspettando una risposta dal veterinario.
“Dodici, non di più”, prescrisse il dottor Emrys, dopo averci pensato un attimo e, considerando la
faccenda chiusa, aspettò che Freya uscisse
dall’ambulatorio, ma la sua segretaria rimaneva ancora lì, in bilico sulla
soglia.
“Ehm…” rifece lei, scambiando nuovamente un’occhiata fra
loro. “Doc, i coniugi Taylor danno ragione a te, ma
la signora Freeman e Grace affermano che Arthur non ha tutti i torti…” rese noto, facendoli avvampare, prima di colpirli con la
stoccata finale: “E il vecchio James ha detto di riferirvi testuali parole:
‘Per l’amor di Dio, che si prendano una camera in un motel!’ Beh, ecco. Io l’ho riferito”, si discolpò. “Forse è il caso che abbassiate un po’ i toni…” suggerì la donna, prima di
scomparire da lì.
I due condivisero un lungo – imbarazzato, mortalmente vergognoso – sguardo a vicenda. Poi si resero conto che era tempo di sotterrare l’ascia di guerra.
“D’accordo. Hai
ancora la mia fiducia come veterinario di Aithusa”,
gli riconobbe Arthur, sorridendo malandrino per nascondere la vergogna.
“E tu resti un Dongiovanni libertino, ma rimani un buon
padrone”, approvò il veterinario, restituendogli il sorriso, anche se sentiva
ancora le orecchie bruciare.
“Hai per caso un’uscita secondaria?
Ho una certa dignità in frantumi…” scherzò Pendragon, raccogliendo Aithusa.
“Mi dispiace, dovrai attraversare la saletta d’attesa per la
sfilata ‘Pride & Shame’”,
si rammaricò, con una punta di divertimento.
Arthur fece buon viso a cattivo gioco. “Ok, tanto… ci siamo
già sputtanati tutto!”
***
Messaggio
inviato
A: Merlin
16:08
Problema: Aithusa fa scenate. È tutto il pomeriggio che abbaia con
chiunque entri nel mio ufficio.
Non aveva mai fatto così…
Nuovo messaggio
Da: Merlin
16:10
Com’è stata la tua
giornata oggi?
Messaggio
inviato
A: Merlin
16:11
Ci stai provando con
me? XD
Nuovo messaggio
Da: Merlin
16:11
No, asino! Devo
capire…
Messaggio
inviato
A: Merlin
16:12
Sfinente. Una riunione
allucinante è durata quasi cinque ore.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
16:13
Quindi è rimasta a lungo da sola…
Messaggio
inviato
A: Merlin
16:14
Ma c’era Gwen lì
fuori e ha fatto le sue passeggiate regolarmente.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
16:15
Ma è abituata a te. E si è sentita persa.
Messaggio
inviato
A: Merlin
16:16
E cosa dovrei fare?
Merlin fu tentato di digitare le prime lettere. Poi,
semplicemente, premette il tasto di chiamata.
“Era un discorso troppo lungo da scrivere…” si giustificò, come
premessa, appena Arthur rispose all’altro capo della linea.
“Ok, sono tutto orecchi”.
“Vedi… Abbaiare è il suo modo di reagire
allo stress dell’abbandono. Quindi, se lo fa,
non devi rimproverarla. Anzi, accarezzala finché non smetterà
da sé”, gli consigliò.
“D’accordo. Ma alla prossima riunione che si protrae, mi
andrà in paranoia di nuovo?”
“L’ideale sarebbe non lasciarla mai sola
troppo a lungo; è difficile da sopportare, per lei. Tuttavia, se è
inevitabile, puoi chiedere ad uno dei tuoi collaboratori
di giocare un po’ insieme; bastano pochi minuti ogni tanto, per distrarla.
E, per farla sentire meno sola, lascia accese le casse del
computer, metti della musica qualsiasi. La aiuterà a restare
più serena”.
“D’accordo…”
“Arthur?”
“Mh?”
“A volte, può anche abbaiare se sente dei
rumori sconosciuti fuori dalla tua porta, mentre è da sola.
È l’istinto naturale di difesa del suo spazio vitale. Non
devi razionalizzare ogni cosa, solo quelle che si ripetono nel tempo e quindi
vanno aggiustate…”
“Va bene. Messaggio ricevuto. Alla
prossima!”
E, chissà perché, sapevano entrambi che non sarebbe stato
dopo molto.
Ma talvolta anche il Destino ci metteva la
mano…
***
Tutto
sommato, era una bella serata
per fare quattro passi.
Ma la zazzera scura del tizio che
stava salendo su una piccola utilitaria gli sembrava…
“Merlin!” chiamò, alzando la voce e l’uomo, sbattendo la
testa contro il tettuccio della sua auto, riemerse dall’abitacolo.
“Arthur!” lo salutò, con il consueto sorriso. “Aithusa!” disse poi, e la cagnetta, solitamente così ligia
agli ordini, prese inaspettatamente a corrergli incontro festosa.
Arthur li raggiunse pochi istanti dopo.
“Che ci fai qui?” domandò, curioso.
“Visita a domicilio per un’emergenza.
Sto facendo un favore ad un amico…” spiegò, sollevando
il borsone in pelle tipico dei medici che ancora teneva in mano. “E tu?” fece
di rimando. “Non… non mi dire che vivi
qui!” esclamò, stupefatto.
“Ehmm…” mugugnò Pendragon, per la prima volta imbarazzato della sua
ricchezza.
“Questo posto fa sentire squallido persino Notting Hill!” rincarò il veterinario. “Cioè,
immaginavo fossi facoltoso, ma…”
“È la casa di mia sorella!” si difese Arthur. “Non mia!”
“Ora capisco perché Aithusa ti ha
scelto…” insinuò il dottor Emrys, con un sorriso
civettuolo. “Sa fiutare gli scapoli d’oro!”
Arthur sentì le guance pizzicare per l’imbarazzo, ma poi lo
lavò via con una risata divertita.
“Ha buon fiuto, sì!” concordò, lanciandole un sorriso
affettuoso.
“Ma che ci fai in giro a
quest’ora?” domandò Merlin, incuriosito. “Di solito non sei ancora in ufficio?”
“Siamo appena rientrati. E sto seguendo scrupolosamente il
programma d’allenamento che mi ha prescritto il mio veterinario!” gli rese noto,
ammiccando. “Mentre le lasagne al forno si cucinano al punto giusto…”
“Passeggiata prima di cena?!Non corri il rischio di bruciare tutto?” rise il medico.
“Il forno di Morgana ha più comandi di uno Shuttle della
NASA…” gli raccontò, sorvolando sul fatto che aveva letto tre volte il libretto
d’istruzioni per capirne il funzionamento. “Se digiti due tasti
contemporaneamente, sa fare anche in caffè!” scherzò. “Ma se sbagli
combinazione, si autodistruggerà entro cinque secondi…”
“Wow! Sembra interessante… e
sicuramente non rischi di annoiarti!” esclamò Merlin,
col medesimo tono divertito.
“E vedessi la cucina! Sembra il ponte di comando dell’Enterprise!”
rincarò Arthur, gesticolando.
“Tua sorella è una fan di Star Trek?”
sogghignò il veterinario.
“No, solo delle cose complicate…” ammise l’altro, con una
smorfia. “Ma il forno, lo riconosco, è stato un buon investimento…”
“Fa davvero tutto da solo?!” Fu la
domanda curiosa.
“Sì, mentre noi due andiamo a
spasso, lui cucina. Altrimenti poi si fa tardi e non mi piace che Aithusa esca col buio... Potrebbe fare
qualche brutto incontro. Qualche cagnaccio malintenzionato del quartiere… non
si sa mai!”
“Eh, certo! Questo posto è come il Bronx!” lo prese in giro Merlin,
divertito, lanciando un’occhiata veloce alla schiera di villette superlusso che
costeggiavano il viale.
“Anche tu devi ancora cenare? Ti va di unirti a noi?” propose Arthur. “Oh,
sia chiaro: non ti sto invitando fuori a mangiare. E soprattutto non è
cibo cinese! Quindi non contravvengo a nessuna regola sul
conflitto d’interesse e cose così…” precisò, mettendo le mani avanti.
Merlin si raffigurò mentalmente un’invitante porzione di
croccanti lasagne italiane filanti e sentì l’acquolina in bocca. Poi ricordò
gli avanzi freddi di pollo tandoorimasala e l’insalata che lo attendevano
dal giorno prima.
“Ti ringrazio davvero, però non-” rifiutò, garbatamente, ma
il brontolare della sua pancia espresse vivamente un parere opposto e Arthur
scoppiò a ridere.
“Il tuo stomaco dice il contrario!” gli appuntò, sfidandolo
a negare. “Dai, su! Se scroccarmi una cena ti mette a disagio, puoi sempre fare un controllo ad Aithusa e andiamo in pari!” gli propose, speranzoso.
“Oh, al diavolo! Accompagnami nel
tuo castello!” esclamò Merlin, infilando la borsa medica in macchina e
affiancandolo sul marciapiedi.
Arthur sorrise gioioso. “Vedrai, non te ne pentirai!”
“Beninteso… questo non è un appuntamento… vengo solo perché
quelle lasagne cantano suadenti come le Sirene di Ulisse…”
“Oh, sì. Credimi. Lo fanno…”
***
Messaggio
inviato
A: Merlin
07:15
Aithusa ha preso possesso della mia camicia
preferita.
Ora è diventata la
fodera della sua cuccia.
Perché?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
07:21
Scusa, stavo facendo
colazione…
Le cause sono tre: o
sente la tua mancanza. E vuole il tuo odore.
Oppure ama le camicie
costose.
Altrimenti… sta
preparando il nido.
Messaggio
inviato
A: Merlin
07:22
Ma che cazzo, Merlin!
Non è mica un uccello!
Nuovo messaggio
Da: Merlin
07:23
Puoi chiamarla anche
tana, ma il concetto non cambia.
Lei sente che il parto
si sta avvicinando e si prepara il posto giusto.
Messaggio
inviato
A: Merlin
07:24
Oddio! Oddio!!
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Da: Merlin
07:25
Arthur, smettila!
Questa cosa va avanti
per dei giorni…
Sta’ sereno. Ne riparliamo
sabato, dopo l’ecografia.
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A: Merlin
07:26
…se lo dici tu…
Merlin stiracchiò le labbra, sospirando. Prevedeva che
sarebbe stato un parto podalico. Ma non per Aithusa.
Quello che non si aspettava, era che Arthur sarebbe tornato
alla carica un paio d’ore dopo.
***
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inviato
A: Merlin
08:53
Merlin, è grave! Aithusa
fa ancora i dispetti!
Ha preso anche la
camicia di scorta, che tengo nel bagno dell’ufficio.
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A: Merlin
09:20
E ha rubato la sciarpa
di Gwen.
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inviato
A: Merlin
09:44
E il maglioncino di Vivian.
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A: Merlin
10:52
E i guanti di Sophia.
Messaggio
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A: Merlin
11:11
E Gwaine
si è offeso perché a lui non ha preso niente…
Messaggio
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A: Merlin
11:36
Merlin! Ma ci sei, o
cosa?!
Il dottor Emrys riaccese il
cellulare, uscendo dall’ospedale dove aveva accompagnato sua madre per un
controllo, trovandosi una marea di testi
in arrivo.
… E probabilmente Arthur
sul punto di una crisi di nervi.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
12:00
Scusa, telefono spento
per necessità.
Comunque: Aithusa è unacagna
intelligente.
Siccome non sa dove
sarà al momento del parto, si è preparata un nido in
ufficio e uno a casa… anche se il tuo ufficio è ormai una casa, per lei.
Relax, Arthur. È presto.
Messaggio
inviato
A: Merlin
12:01
Guarda. Sono calmo.
Calmissimo. L’imperturbabilità fatta a Pendragon.
PS: perché non
possiamo fare un controllo quotidiano, da qui al parto?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
12:02
Perché sarebbe
inutile.
E ho anche altri
pazienti.
(E la mia giornata ha
solo 24 ore, non so la tua).
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inviato
A: Merlin
12:02
E se ti rapissi fino
al giorno del parto?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
12:03
Arthur!
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A: Merlin
12:03
È una bella idea.
Perché non ti va?
Nuovo messaggio
Da: Merlin
12:05
Sembra come il remake infelice di ‘Misery non
deve morire’!
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inviato
A: Merlin
12:06
Oh! Io adoro quel
film!
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Da: Merlin
12:07
Vorrei consigliarti il
nome di un nuovo veterinario. Sto partendo per l’Alaska.
Messaggio
inviato
A: Merlin
12:08
Merlin, idiota. Stavo
scherzando.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
12:08
Sì, d’accordo. Ma niente controlli quotidiani né film inquietanti, grazie.
Messaggio
inviato
A: Merlin
12:09
Peccato. Avresti un’intera
videoteca e buon cibo a tua disposizione…
Nuovo messaggio
Da: Merlin
12:10
Aspetta. Intendi dire come…
…come lasagne ogni
giorno?
Messaggio
inviato
A: Merlin
12:11
Certo. Lasagne ogni
volta che vorrai.
Nuovo messaggio
Da: Merlin
12:11
Affare fatto. Rapiscimi
pure.
Messaggio
inviato
A: Merlin
12:12
LOL.
***
“Allora… come andiamo?” domandò Merlin, posando la cagnetta
sul lettuccio medico mentre accendeva l’ecografo. “Si dorme la notte? Mh?”
“Poco e male, in realtà”, rispose Arthur, stropicciandosi la
faccia stanca.
“Oh, hai notato se la pancia la infastidisce? Se è già nervosa?”
“Uh… ti stavi riferendo a lei?” chiese Pendragon,
stupito. “Oh, allora sì, dorme benissimo. Tutta la notte,
senza svegliarsi mai…”
“Qualcosa mi dice che
qualcuno si fa le ronde notturne per controllare…” insinuò il veterinario,
con un tono di dolce canzonatura.
“Giusto un paio, tra un incubo e l’altro…” ammise Arthur,
sopprimendo uno sbadiglio.
Fu allora che Merlin si girò verso di lui, accantonando la
visita.
“Ti va di parlarmene?”
“Non c’è niente da dire”, premise, smentendosi poi col resto
della frase. “Quella storia del nido mi ha un po’ sconcertato, ecco”, ammise.
“E…?” lo invitò a continuare.
“E mi sono sognato che Aithusa si
è costruita un nido sulla cima di una quercia gigante… e mi sono dovuto arrampicare
fin lassù per recuperarla!” gli raccontò, scuotendo la testa come a dire che
era un’assurdità. “Devo aver mangiato pesante!” si schernì.
“E poi…?”
“Oh, niente di che… ho sognato che mi parlava in tedesco – e io non parlo tedesco, dannazione, tu lo sai!
–, ma in qualche modo capivo tutto e lei aveva delle strane voglie… come di
crocchette al gusto di gelato e biscottini di pollo e panna… e qualcosa sui
cetrioli… una vera schifezza…”
“Uh! Le voglie! Sì, certo…”
“Quindi è normale?!” saltò su
Arthur, grondando sollievo nella voce.
Il dottor Emrys non ebbe cuore di dirgli che sì, di solito capitava,
ma con i padri eccezionalmente ansiosi. Non con i padroni.
“Oh, sì. Sì, succede… solo che la gente
non lo dice in giro molto spesso… anche se non c’è niente di male, beninteso!”
si affrettò a rassicurarlo. “Forse è una distorta idea di pudore…”
“Ammetto che è un sollievo sentirtelo dire… cominciavo a
temere di essere impazzito…”
“Macché… passerà presto…” lo confortò, ricevendo in cambio
un sorriso liberatorio. “Anche perché manca poco al parto… fra meno di dieci giorni
sarà tutto finito!” e, a quelle parole, l’espressione di Arthur si ghiacciò.
Merlin si morse le labbra, pentito
dello scivolone. “Dai, vieni a vedere come si muovono i cuccioli!” lo lusingò, per
distrarlo e, dopo averlo avuto accanto, continuò: “Adesso possiamo controllare meglio
ogni cosa… questi sono i reni e l’intestino del primo
e questi sono quelli del secondo… e sembra tutto in ordine”.
“Puoi vedere anche il sesso?”
Il veterinario si girò a fissarlo e Arthur si chiese se non
avesse sbagliato a fare la domanda.
“Teoricamente potrei…” premise Merlin, dopo un lunga pausa silenziosa. “Ma, per
te, farebbe qualche differenza? Hai delle aspettative?”
“No, certo che no!” dichiarò Arthur, di slancio. “Andrà bene
qualunque cosa!”
“E allora… non è meglio la sorpresa?” sorrise il dottor Emrys, facendo fare allo stomaco
di Arthur una strana capriola.
“Una… sorpresa?”
ripeté quindi, stordito. “Ma io odio le sorprese! Che
diamine, Merlin, ormai dovresti saperlo!” sbottò,
allargando le braccia. “Il mio motto è ‘PianificarePianificarePianificare’!”
“Però questa è una bella sorpresa…” lo corresse l’uomo,
ammiccando. “Sono certo che varrà l’attesa”.
“Oh, d’accordo”, s’arrese Pendragon, lasciando
cadere le mani a penzoloni lungo i fianchi e poi in tasca.
Fu allora che ricordò una cosa di fondamentaleimportanza, ma attese che il
medico si fosse accomodato alla sua scrivania, prima di porgergli un biglietto.
“Questo è l’indirizzo dello stabile. Il numero diretto del
mio ufficio e tre recapiti alternativi. Il primo è quello diGwen…”
“Giusto per precauzione, avevamo detto?”
“Sì, solo per scrupolo… dobbiamo essere preparati, Merlin”, calcò. “Se Aithusa
va in travaglio mentre sono al lavoro, devi raggiungerci lì, no?” rispiegò,
ripassando tutti i suoi piani. “Ah!, per tua informazione,
ho consegnato al portiere e alla sorveglianza all’ingresso le tue generalità e
una tua foto di riconoscimento…”
“Cioè… praticamente mi hai
schedato!”
“Se la mettiamo in questo modo, sì”, ammise Pendragon. “Devono poterti identificare”.
“Perché… così mi arresteranno quando mi vedono?!” scherzò Merlin, fingendosi scandalizzato.
“Al contrario! Finiresti arrestato
se varcassi la soglia del mio palazzo senza un permesso! Hai una vaga idea dei
livelli esistenti di spionaggio industriale? Ecco. Meglio non sfidare Percy. Ha degli avambracci grossi come tronchi…” lo
spaventò, mimando con le sopracciglia un’espressione suggestiva.
“Ho curato degli orsi arrabbiati, una volta, quindi sono
vaccinato contro tutto”, ci tenne a precisare il
veterinario. “Il tuo gorilla non mi spaventa!”
“Oh, certo! Puoi
sempre combatterlo a colpi di feromoni, no?” lo stuzzicò, ricevendo in cambio
una linguaccia indispettita.
Continua...
Disclaimer:I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: Le varie
nozioni veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.
Ecografia canina: dal 40° giorno in poi si vedranno lo
scheletro, il cuore e il tessuto polmonare, mentre negli ultimi 15 giorni si identificheranno anche i reni e l’intestino.
Ho preferito usare la forma inglese ‘amici
con benefici’, invece che la nostrana ‘amici di letto’ per evitare alcune
ripetizioni.
Le lasagne sono la
forma evoluta del “Vieni a casa mia che ti mostro la mia collezione di
farfalle?” XD
USS Enterprise è il nome
dell’astronave (o nave stellare, un immaginario tipo di veicolo spaziale) delle
prime tre serie di Star Trek.
Ok. Lo so che non avrei dovuto prendere in giro Arthur, scrivendo
questo capitolo, perché questa cosa mi si è ritorta contro. Ç.ç
Man mano che i giorni del parto di mia sorella si avvicinavano, ho cominciato a dormire poco e male, temendo
che il cell cominciasse a suonare ogni notte, per
avvisarci che stava andando in ospedale. In aggiunta a questo, ho fatto un mare
di incubi: parti trigemellari,
parti in luoghi dimenticati da Dio, salvataggi strani… ecco. Mi sono sentita
molto Arthur. Davvero.
Quando Arthur dice a Merlin che non è affar suo ciò che
l’altro fa nel tempo libero è un chiaro riferimento alla puntata 2x09 “La
signora del lago”.
In questo capitolo, ci sono vari riferimenti ai precedenti
(tipo la cosa dei feromoni; al tè che, in infusione 5
minuti, ha un effetto calmante; all’invito alla cena cinese…) spero che
possiate ricondurli, in caso chiedete.
Ecco tre anticipazioni
del prossimo capitolo (che è anche il penultimo):
Arthur sospirò, in
parte rasserenato e in parte frustrato. C’era un pezzetto di lui che non voleva mutare questa situazione,
tutto sommato ormai familiare e gestibile… e c’era l’altro tassello che invece
desiderava la fine di quest’ansia, di quest’attesa gocciolata giorno per
giorno.
Voleva il parto. E
vedere i cuccioli. E soprattutto avere finalmente la certezza che Aithusa sarebbe sopravissuta con i suoi piccoli, e che
tutto era andato bene.
(...)
Arthur si sentì stringere le viscere, eppure doveva
lasciarla da sola almeno il tempo per recuperare il telefono e l’occorrente di
emergenza che il veterinario gli aveva insegnato a predisporre.
Doveva essere lì, lo
voleva con lui. Cazzo. Cazzo. Cazzo.
Con le mani che tremavano, cercò il cellulare e attese una
risposta all’altro capo della linea, che suonava libera. Eppure Emrys non rispondeva.
(...)
“Pronto?” gracchiò, con un fastidioso brusio di sottofondo.
“Dove sei?!” lo aggredì
verbalmente.
“A Canterbury. Al convegno di veterinaria! Non ricordi? Te
l’ho detto ieri…” – Arthur si sbatté una manata in fronte, dandosi dello
sciocco. Cazzo, era vero. – “C’è qualche problema?”
“Aithusa sta partorendo! Ha le
contrazioni!” lo informò, ansioso. “Ci siamo! Ci siamo!”
“Aspetta un secondo”, l’avvertì e
per un lungo istante ci fu solo rumore caotico, poi la voce di Merlin, seria,
ritornò circondata dal silenzio. “Ok, non allarmarti,
o la spaventerai! Devi stare calmo, così la tranquillizzi”,
ripeté. “Te l’ho già detto, se la innervosisci, complichi le cose.
Potrebbe anche non volersi occupare dei cuccioli…”
“Merlin! Ti voglio qui! Ho bisogno di te!” lo scongiurò.
“Arthur…” lo chiamò il veterinario, costernato. “Ci vogliono
quasi due ore per raggiungerti, non so se farò in tempo a…”
~ ~~~~
Ringrazio i 38 utenti che hanno
messo la fic fra i ‘preferiti’, i 10 ‘da ricordare’ e
i 138 ‘seguiti’.
Noto con piacere che molte persone si sono aggiunte! Su, non
siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate! ^_=
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Aggiornata Linette cap. 87
AggiornataThe
Once and Future… Prat.cap. 10
Restate sintonizzati!
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del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede) Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia
orgogliosa.
Un pensiero speciale a chi
ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).
A FlameOfLife, DevinCarnes, chibimayu, _Serendipity_, hiromi_chan, katiaemrys, lululove2, mindyxx, Burupya, misfatto, YukiEiriSensei, MorbidFleur,Sheireen_Black 22, Eresseie93 e Clary Rose94.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
Waiting for you
CapitoloXI
“Arthur... Sono consapevole che non
dovrei dirtelo, ma... Non puoi farti venire una crisi di panico, lo sai, vero?”
Merlin gliel’aveva raccomandato come se stessero camminando
sulle uova.
Certo. Lo sapeva anche
lui.
Ed era per questo che aveva preferito
conoscere ogni particolare, ogni fase del parto in anticipo, per essere pronto
e preparato a qualsiasi evenienza.
Eppure le parole del veterinario non gli davano pace. Perché
capivano entrambi che c’era un rischio reale che lui andasse fuori
di testa, e questa era l’ultima cosa di cui avevano bisogno in quel
frangente delicato.
A costo di spaventarlo, il dottor Emrys
era stato estremamente chiaro: “Bisogna lasciare la
cagna tranquilla ed evitarle qualunque fastidio o stress. Niente visitatori in
giro o estranei. Se si innervosisse, potrebbe persino
decidere di non occuparsi dei cuccioli”, aveva avvisato, come monito. “E tu,
ovviamente, non devi essere una fonte di ansia per lei…”
Più facile a dirsi che
a farsi, considerò Arthur, facendo mente locale.
Dall’ultima visita, ogni giorno aveva riavviato nella
memoria la loro conversazione, aveva rivisto passo per passo
ogni indicazione, ogni consiglio e avvertimento.
Si era fatto più accorto, per cogliere i segnali del
cambiamento.
Aveva preparato per Aithusa una
tana vera, dove avrebbe partorito e allattato i suoi cuccioli nelle settimane a
venire.
Il veterinario l’aveva messo in guardia: gli abiti rubati
erano stati il primo segnale della scadenza; se lui non avesse fornito un buon
nido per tempo, la cagnetta avrebbe provveduto da sé, perché questo le diceva
il suo istinto.
Invece, lasciandole il tempo di familiarizzare col nuovo posto,
aveva evitato una fuga dell’ultimo minuto.
Arthur spazzolò il fondo dello scatolone e riaccomodò
l’imbottitura. Una parte
di lui storse il naso per la misera scelta. Un altro pezzo di sé
considerò che fosse ironico come tutto questo assomigliasse all’inizio della
loro avventura, ora che ci si apprestava ad un nuovo avvio.
Tra tutte le possibili (costose e confortevoli) scelte,
Merlin gli aveva consigliato la semplicità come opzione
migliore: un grosso scatolone di cartone, ricoperto di asciugamani, tappetini e
teli assorbenti. Niente giornali,
aveva detto il veterinario, perché erano troppo sottili
e scivolosi per le zampette tenere dei cuccioli, soprattutto nella delicata
fase in cui avrebbero imparato a camminare.
Ritagliando da un lato un’apertura, Aithusaavrebbe potuto entrare ed uscire a suo piacimento, ma
il bordo alto avrebbe ugualmente impedito la fuga dei piccoli per le prime
settimane.
Arthur aveva posizionato il
contenitore in un luogo più riparato e quieto della casa rispetto alla vecchia
cuccia, lontano da rumori e luci fastidiose.
A volte, la sera, quando Aithusa
vi si sdraiava, anche lui le sedeva accanto, sul pavimento, accarezzandola, immaginandola
allattare i cuccioli che percepiva muoversi sotto alle
sue dita.
***
Francamente, chiunque avesse detto – neanche due mesi prima
– che il grande Arthur Pendragon si sarebbe ridotto a
misurare le temperatura rettale di un cane due volte
al giorno, sarebbe stato chiamato pazzo. Come
minimo.
E invece eccolo lì, il grande uomo, ad aspettare il suono
rivelatore, pronto a registrare il nuovo dato sulla tabella che il dottor Emrys gli aveva fornito, spiegandogli che il primo sintomo
evidente del travaglio era una chiara diminuzione della temperatura della
cagna.
Al bip di avviso, esaminò il
display, ancora immobile sui 38,5° costanti, come quella mattina, quando era
stato il veterinario a misurarla, durante il controllo abituale del sabato.
Arthur sospirò, in
parte rasserenato e in parte frustrato. C’era un pezzetto di lui che non voleva mutare questa situazione,
tutto sommato ormai familiare e gestibile… e c’era l’altro tassello che invece
desiderava la fine di quest’ansia, di quest’attesa gocciolata giorno per
giorno.
Voleva il parto. E
vedere i cuccioli. E soprattutto avere finalmente la certezza che Aithusa sarebbe sopravissuta con i suoi piccoli, e che
tutto era andato bene.
Ma, ovviamente, non aveva il potere
di far accadere tutto questo programmandolo. Merlin gli aveva detto che i parti
cesarei costituivano un’eccezione, in casi gravi e inevitabili, e a loro volta
non erano esenti da rischi e complicazioni.
Restava solo una cosa: lasciare alla natura il tempo di fare
il suo corso.
Dannata natura!, borbottò
Arthur, fra sé, impaziente. E poi cercò di dominarsi, preparando il necessario
per la cena. Chiudendo le imposte, s’accorse che il
cielo nero prometteva un acquazzone imminente. Questo lo incupì ancor di più. Dannata natura!, bofonchiò di nuovo, stavolta per
una ragione diversa, ricevendo in cambio il rombo di un tuono e le prime gocce
che rimbalzavano contro le persiane.
Aithusa abbaiò, impaurita dal suono
improvviso, e lui corse a rassicurarla, prima di tornare al loro cibo.
***
Quella domenica era iniziata sotto ad
un cielo plumbeo, un diluvio costante fin dalla sera prima e vento con raffiche
impressionanti.
Visto che la passeggiata mattutina
era fuor di questione, Arthur si godette il caldo del suo letto come non
succedeva da secoli. Dopo una veloce capatina in bagno e aver riempito le
ciotole della cagnetta, se n’era tornato a dormire un po’, perché davvero lo
stress di quell’ultimo periodo lo aveva logorato.
Erano quasi le undici, quando il mugolio di Aithusa lo risvegliò.
Forse si era sentita
sola, senza coccole né compagnia.
Ma, quando la raggiunse accanto al
nido, si accorse subito che qualcosa non andava.
Il cibo che le aveva versato era ancora intatto, c’erano due
chiazze di vomito sul pavimento, e la cagna, irrequieta, continuava a raspare
nello scatolone con frenesia, come se stesse cercando di accomodare
l’imbottitura.
Accucciandosi, Arthur si avvicinò, notando solo in quel
momento che lei stava tremando, mentre i muscoli addominali si contraevano.
“Oh! Oh, cazzo!” esalò, mettendosi
una mano sulla bocca, scioccato. “Merlin!” esclamò, spaventando
la cagna con l’urlo e subito le lanciò uno sguardo di scuse, avvicinandosi
cauto con la mano, per offrirle una carezza.
Aithusa uggiolò in
risposta, andando incontro alle dita del suo padrone col muso, leccandogliele
prima di lasciarsi toccare.
Arthur si sentì stringere le viscere, eppure doveva
lasciarla da sola almeno il tempo per recuperare il telefono e l’occorrente di
emergenza che il veterinario gli aveva insegnato a predisporre.
Doveva essere lì, lo
voleva con lui. Cazzo. Cazzo. Cazzo.
Con le mani che tremavano, cercò il cellulare e attese una
risposta all’altro capo della linea, che suonava libera. Eppure Emrys non rispondeva.
Dov’era finito,
quell’idiota?,
imprecò mentalmente Pendragon, posando il telefono
sul ripiano, mentre raccoglieva il kit necessario. Asciugamani, sì. Disinfettante, sì. Forbicine, sì. Guanti, sì. Spago,
sì. Bilancina, sì. Carta e penna per annotare il peso, sì.
Arthur interruppe il controllo dell’elenco mentale per
ritentare un contatto col veterinario, mentre sbirciava di lontano la cagna
sofferente.
Gesù, Merlin! Rispondi!, lo supplicò,
sentendo la voce familiare solo dopo un’infinità di squilli.
“Pronto?” gracchiò, con un fastidioso brusio di sottofondo.
“Dove sei?!” lo aggredì verbalmente.
“A Canterbury. Al convegno di veterinaria! Non ricordi? Te l’ho detto ieri…” – Arthur si sbatté una manata in fronte,
dandosi dello sciocco. Cazzo, era vero. –
“C’è qualche problema?”
“Aithusa sta partorendo! Ha le contrazioni!” lo informò, ansioso. “Ci siamo! Ci siamo!”
“Aspetta un secondo”, l’avvertì e
per un lungo istante ci fu solo rumore caotico, poi la voce di Merlin, seria,
ritornò circondata dal silenzio. “Ok, non allarmarti, o
la spaventerai! Devi stare calmo, così la tranquillizzi”,
ripeté. “Te l’ho già detto, se la innervosisci, complichi le cose. Potrebbe
anche non volersi occupare dei cuccioli…”
“Merlin! Ti voglio qui! Ho bisogno di te!” lo scongiurò.
“Arthur…” lo chiamò il veterinario, costernato. “Ci vogliono
quasi due ore per raggiungerti, non so se farò in tempo a…”
“L’Università di Canterbury, hai detto?” L’interruppe,
strofinandosi i capelli biondi in un gesto nervoso. “C’è un aeroporto, lì
vicino. Ti mando l’elicottero della Pendragon
Company, e ti preleverà in un battito di ciglia!” lo informò, valutando la via
più breve. “Resta in linea, finché chiamo il pilota…”
Purtroppo per loro, le forti raffiche di vento e l’acquazzone
inclemente – che stava inzuppando mezza Inghilterra – impedivano qualunque
decollo in tempi ragionevoli.
Fu col cuore pieno d’angoscia che Arthur diede
la brutta notizia al medico.
“Permesso negato!” sbottò, allarmandosi.
“E come faccio?!”
“Farà tutto lei!” lo rassicurò Merlin. “Senti… Devi solo capire
se ti vuole vicino oppure no”.
“Sì, mi chiama e mugola”, gli riferì, accostandosi a lei.
“Ok, è una bella cosa. Restale accanto,
parlale piano, accarezzala se lo vuole…” lo istruì. “Io adesso parto, ma
piove a dirotto…” lo avvertì, come preavvisandolo che la situazione meteo
avrebbe rallentato il rientro. “Resterò al telefono con te e ti darò
istruzioni, d’accordo?”
“D’accordo”, si rassegnò Arthur, sentendosi impotente.
“Descrivimi la situazione”, gli chiese il veterinario, per
avere un quadro completo e, contemporaneamente, tenere la mente occupata
dell’uomo al telefono.
Dopo essersi fatto raccontare tutto,
Merlin gli ricordò due cose fondamentali: “Tra un cucciolo e l’altro, passeranno
almeno venti minuti, potrebbe volerci anche un’ora… ma sono solo due, sarà una
cosa veloce… E potrebbe spuntare prima la coda. Ecco, non ti allarmare, è una cosa abbastanza comune…”
“E se uno si incastra?” domandò,
preoccupato.
“Arthur, che cazzo, smettila di gufare!” lo sgridò,
stringendo i denti e accelerando per eseguire un sorpasso un po’ azzardato. Non avrebbe mai potuto spiegargli i
movimenti da compiere al telefono, non senza averli visti prima di persona. “Andrà
tutto bene, lo sappiamo entra-” un bip-bip
s’intromise nella loro comunicazione. “Merda!”
sibilò Merlin, dopo un momento di silenzio.
“Che c’è? Che c’è?!” insistette Arthur, all’altro capo. “Sei a corto di
gas?”
“Peggio…” gemette il veterinario. “La
batteria del cellulare è quasi esaurita e ho dimenticato a casa il cavo di
ricarica…”
“Oh, dannazione!”
ruggì Pendragon.
“Arthur, ascoltami bene. Non so quanta
autonomia mi sia rimasta, quindi presta la massima attenzione: ripasserò i
passaggi fondamentali, ok?” Merlin attese appena un sospiro, prima di
incominciare. “Lasciala fare: Aithusa saprà
per istinto come comportarsi. Quando il cucciolo uscirà, gli romperà il sacco, lo
leccherà per aiutarlo a respirare e lo laverà. Morderà il cordone – so che fa
schifo, ma probabilmente mangerà anche la placenta perché favorirà la
produzione di latte. Farà la stessa cosa con l’altro e ripulirà quasi tutto da
sola; ripeto: lasciala fare. Poi tu devi cambiare la pavimentazione della tana,
asciuga bene tutta l’umidità senza disturbarla troppo e lasciala in pace coi cuccioli, che probabilmente si attaccheranno a lei per
nutrirsi. Ti è chiaro fin qui?”
“Sì…”
“Se per qualche remota ragione lei non facesse quello che ti
ho spiegato, ricordi i passaggi che abbiamo tentato in ambulatorio?”
“Ssss-no”,
farfugliò Arthur, in quell’istante col vuoto più assoluto. Rammentava tutto fino a pochi minuti prima, però ora… ora il suo
cervello era una tabula rasa.
“Devi indossare i guanti puliti e fare con le mani le stesse
cose che lei farebbe col muso”, e poi aveva riassunto in preciso ordine come
rompere il sacco, disinfettare, legare i cordoni e tagliarli e frizionare delicatamente
ogni cucciolo, aiutandolo al primo respiro. “I piccoli, appena nati, vanno
pesati e contrassegnati in qualche modo e il loro peso va annotato”, si
raccomandò. “E…”
“Merlin? Ma a che punto sei?”
“Ho appena superato la periferia di Cuxton,
mi ci vorrà circa un’altra ora di viaggio”, lo ragguagliò.
“Fai in fretta, per favore!”
“Credimi, sto già
infrangendo tutti i limiti di velocità!”
“Metti tutte le multe sul mio conto!”
“Oh, sii certo che lo farò!” gli appuntò, divertito, prima
di tornare serio. “Ascolta: dimenticavo un’altra cosa! Le perdite ematiche sono
normali, non ti spaventa-!”
“Merlin? Merlin?!MERLIN!” urlò contro il telefono. Ma
la linea si era interrotta. Arthur digitò freneticamente fra le chiamate recenti,
tuttavia una voce preregistrata lo avvisava che il cliente selezionato non era
al momento raggiungibile. Così imprecò a denti stretti, per non allarmare la cagna.
Eppure, all’improvviso sentì la nausea avvolgerlo e il
battito cardiaco aumentare, e riconobbe i sintomi per istinto. Le mani gli
tremavano, ma s’impose di fare respiri profondi e di non perdere la calma. Non poteva avere un altro attacco di panico.
No, non ora.
Aithusa si fidava di lui. E non l’avrebbe delusa.
D’accordo, sapeva di
potercela fare.
Calma. Calma. Calma.
Non avrebbe mandato
tutto a puttane, vero?
***
Merlin parcheggiò di sbieco davanti a Casa Pendragon con una grande frenata e per poco non finì addosso
all’auto parcheggiata del suo cliente. Agguantando la sua borsa medica,
rinunciò all’ombrello e corse verso l’entrata, senza stupirsi di trovare il
cancelletto e la porta semiaperta.
“Arthur?” chiamò piano, entrando.
Poiché nessuno gli rispose, gocciolando, avanzò a tentoni verso l’unica zona tenuamente illuminata
dell’appartamento e fu lì che lo trovò.
Circondato da asciugamani sporchi, guanti usati, stracci,
spaghi e confusione generale, se ne stava seduto a
terra a gambe piegate, accanto allo scatolone, con la testa reclinata in
avanti, nascosta fra le braccia puntellate sulle ginocchia.
“Ehi…” lo chiamò piano, accarezzandogli una spalla.
Arthur sollevò di scatto il viso, sussultando. Aveva
un’espressione sfatta, gli occhi arrossati e un’aria fragile che strinse il
cuore di Merlin.
“Stanno…” farfugliò sfinito, annuendo alla cagna e ai
cuccioli seminascosti da lei. “Bene?”
E mentre lui riabbassava le palpebre e lasciava cadere la
testa all’indietro, contro il muro, il dottor Emrys non
perse tempo e visitò la madre e i neonati, leggendo anche gli appunti
scarabocchiati in fretta su un foglio, dimenticato in mezzo al caos del
pavimento.
“È tutto a posto!” riesordì, poco
dopo, nuovamente chino davanti a lui, esprimendo un verdetto positivo.
“Invece è stato un casino! Io mi sono agitato,
lei si è agitata e-” farfugliò Pendragon, attingendo
alle ultime scorte di energia o di adrenalina rimasta in circolo gesticolando
freneticamente.
“Arthur…” lo blandì Merlin, sfiorandogli gli avambracci,
come a confortarlo. “Sei stato bravissimo. Davvero.
Non poteva concludersi meglio di così. E non addossarti colpe che non hai, stupido asino!” lo sgridò,
cercando di alleggerire l’atmosfera con quel nomignolo. “Se hai fatto
qualche errore, hai rimediato alla grande ed è comunque il risultato che conta:
sono tutti vivi, sani e salvi…” Il dottor Emrys sorrise, cercando di tranquillizzarlo, anche se
sembrava che l’altro uomo non fosse completamente in sé.
Tutti vivi, sani e
salvi, aveva detto Merlin.
Tutto era andato bene,
Aithusa stava bene, i due cuccioli stavano
bene… Dio, grazie.
D’improvviso sentì la tensione abbandonarlo, come le parole
andavano a scavarsi una nicchia dentro di lui, accendendo un tremito.
Arthur sentì le palpebre pungere, un singhiozzo spingere
contro la gola, ansioso di uscire.
Deglutì un groppo di pianto, ma lo liberò un momento dopo,
quando le braccia di Merlin lo circondarono in una stretta calda e
rassicurante, e lui si lasciò cullare e confortare – nascondendo il volto nell’incavo
del suo collo –, lavando via il terrore annichilente e l’apprensione che lo avevano tenuto ostaggio finora.
“Shh… Shh…
Va bene così…” lo sentì bisbigliare, caldo e rassicurante. “Butta fuori tutto…
È finita… È davvero finita…”
Quando lo sfogo cessò e si divisero, il veterinario si
appoggiò sui talloni, ma rimase ancora lì, accucciato fra le gambe di Arthur. Non c’era alcun imbarazzo, mentre i loro
sguardi si incrociavano, e comunicavano quello che le
parole non avevano ancora detto.
Merlin allungò una mano e, con un gesto d’affetto, tentò di arruffare
la testaccia bionda che tanto lo aveva fatto penare. Ma
non arrivò mai alla fine delle sue intenzioni, perché Arthur, catturandolo con
una mossa fulminea, afferrò il suo viso, accarezzando con le palme gli zigomi
spigolosi. E l’istante successivo
le loro bocche erano unite.
Era un bacio al sapor
di lacrime salate. Ed euforia. E liberazione.
Nel momento in cui si separarono, però, Arthur abbassò lo
sguardo, quasi intimidito, forse pentito di essersi approfittato di lui. “Scu-”
“Non ci provare nemmeno!” lo mise in guardia Merlin,
afferrando la stoffa della sua maglia all’altezza del cuore. “Quasi non ci
speravo più!” ruggì, prima di strattonarselo contro e di ricambiare il favore,
assaggiando le sue labbra una seconda volta, per esserne certo. Ma sì, Arthur Pendragon
sembrava essere il baciatore migliore del mondo.
***
“Hai già scelto i nomi?” domandò Merlin, accomodandosi
accanto a lui sul divano, dove finalmente potevano riposare in pace dopo una
doccia calda – avevano anche scherzato sull’idea di farla insieme, per
risparmiare acqua (sì, come no?) –,
ma era effettivamente un po’ troppo presto per quel genere d’intimità (non che volessero aspettare molto di più
per raggiungere quel traguardo, a giudicare dagli sguardi che si lanciavano),
e il tutto si era risolto ottenendo un cambio d’abiti per entrambi e una
cioccolata calda come genere di conforto.
“Beh… In realtà, non ho ancora controllato il sesso…” ammise
Arthur, grattandosi la nuca. “Avevo altro per la testa”.
“O forse temevi di prendere la stessa cantonata della prima
volta, eh?” lo pungolò il dottor Emrys, ammiccando. Ma prima che l’altro protestasse, continuò: “Sono un
maschietto e una femminuccia!” gli rivelò, con un sorriso. “Il maschietto è
quello color crema, la femminuccia ha la macchiolina nera sul musetto”,
precisò.
“Quindi, alla fine…”
“Sì, sono dei meticci. Mi dispiace dirlo,
ma solamente un mantello completamente candido è sinonimo di purezza in un Bichon, il resto è considerato un difetto”.
Arthur scosse il capo, stringendo le loro dita intrecciate.
“Sai che non me ne importa nulla… Uno stupido pezzo di carta non fa la
differenza!”
Il veterinario lo ricompensò con un enorme sorriso. “Questo
sì che è parlare!” approvò, con orgoglio. “Ma,
tornando a noi: voglio i nomi!”
“Beh… M’ero fatto un paio di idee…”
“Vuoi farti pregare?!” lo pungolò.
“Dai, sentiamo!”
“Il maschietto si chiamerà Kilgharrah”.
Il dottor Emrys sbatté la palpebre, sorpreso. “Questo sicuramente non viene suggerito dal mio libro!” considerò. “Sembra il nome
di un drago e non di un cane, neppure se fosse grosso come una montagna!”
obiettò, ridacchiando.
“Beh, ma è un nome imponente
e per gli amici sarà Killy…” Arthur difese riottoso
la propria idea.
“Killy è perfetto”, approvò
Merlin. “E lei?”
“La femmina sarà Albion”.
“Nientemeno! L’antico nome dell’Inghilterra e quello che
sembra un drago!” fischiò, ammirato. “Fai progetti in grande
stile, tu!”
Arthur rise. “Oh, sì! Mi è andata di lusso! Perché, vedi… sarà
Morgana, fra noi due, a fare la figlia devota... E se i gemelli avranno dei
problemi mentali per questo, sarà solo colpa sua! Leon
si è già rassegnato alle sue stranezze…”
“E quale sarebbe la rosa delle possibilità?” s’incuriosì.
“Anche se manca poco, il ginecologo non ha ancora visto con
certezza cosa saranno; ma lei propende per Ygraine,
come nostra madre. E poi Mordred, perché ha sempre sognato di chiamare suo
figlio così, se fossero una coppia mista. Se invece nascessero due femmine,
punterebbe su Elizabeth, come la mamma di Leon. E, Dio non voglia!,Uther jr, per rendere felice
mio padre…”
“Beh, sarebbe stato peggio se lo avessi nominato tu così,
no?” ipotizzò, ridacchiando. “Pensa a quando rimprovererai il cucciolo: ‘No, Uther, non rovistare nel secchio della spazzatura!’
oppure: ‘Uther!Non fare pipì nell’angolo!’”
“A mio padre verrebbe un altro infarto!” sogghignò,
immaginandosi la scena. “Aithusa per poco non lo ha portato nella tomba, ma questo sarebbe il colpo di
grazia!”
Merlin sorrise, felice di quel momento sereno dopo tutta la
tempesta che si era abbattuta su di loro.
“A proposito… Visto che sei sopravvissuto
a questo, potresti anche offrirti di accompagnare tua sorella in sala parto!”
gli suggerì, fingendosi serio.
“COSA?!” esclamò Arthur, tutto sdegnato. “Non ci penso neppure
a sopportare quella strega! È già abbastanza isterica di suo,
figurarsi in travaglio!” ipotizzò, rabbrividendo. “No, grazie”, rifiutò,
con ampi cenni del capo. “Probabilmente, a quest’ora mio padre ha già affittato
mezzo del St Mary’s Hospital
e un’intera equipe di specialisti pronti a sorbirsi le sue paturnie. Che s’arrangino!” decretò.
“Comunque sarebbe carino mandarle un
messaggio per avvisarla che è appena diventata zia… o prozia. Non so… Esattamente, come ti vedi in tutta la faccenda?” gli domandò,
incuriosito.
“Il padrone. Sono
solo Il Padrone”, scandì, con enfasi.
Anche se era lui il primo a non crederci.
Continua...
Disclaimer:I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
La foto non mi appartiene, ma
essendo il parto di un Bichon con due cuccioli, non
ho resistito. Con un po’ di fantasia, mi piace pensare che siano Killy e Albion con Aithusa.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: Ed eccoci
al tanto sospirato momento del parto e del chiarimento!
Spero che vi siano piaciuti, e che la parte medica non sia
stata troppo pallosa. Mi sembrava necessaria per rendere realistico il compito
di Arthur. Non poteva improvvisarsi esperto e sicuro da solo, non con le
premesse di questa storia.
Le varie nozioni veterinarie e le indicazioni riguardanti il
parto e l’accudimento sono prese da guide mediche
veterinarie, da siti web specializzati e dalla visione di alcuni filmati.
Tuttavia, non sono un’esperta del settore né ho avuto esperienze dirette,
quindi – malgrado la mia pignoleria – potrebbe esserci
qualche imprecisione.
Il St Mary’s
Hospital è rinomato per il suo reparto di maternità ed è dove, per inciso, ha
partorito anche Kate Middleton, futura regina
d’Inghilterra.
Per pignoleria, Arthur chiede a Merlin se ha finito il gas e
non benzina, perché le auto con impianto a gas hanno un allarme sonoro ‘bip-bip’ che indica quando il serbatoio è quasi vuoto.
Ecco tre anticipazioni
del prossimo capitolo (che è anche l’ultimo!):
Arthur sorrise, intenerito. C’era poco da fare. Era più forte di lui.
Quei sacchi di pulci simil topi lo avevano ridotto alla stregua di un budino
floscio. Si era bruciato dignità e orgoglio. Ma
andava bene così.
Oh, certo. Anche
risvegliarsi con Merlin abbarbicato contro, come se fosse stato il suo orsacchiotto
personale, e la colazione che avevano condiviso
assieme avevano contribuito a portarlo verso questo stato di atarassia
perfetta…
Ma quando, verso le undici, un
corriere espresso gli consegnò un enorme pacco dono, con dentro un cesto di
prodotti per cuccioli e un biglietto firmato da ciascuno dei suoi
collaboratori, Arthur fu seriamente sul punto di fare un’idiozia, come dare una promozione a tutti con aumento
di stipendio, e fanculo se avesse portato le finanze
della ditta al tracollo.
(...)
“Ciao! Io sono Elena…” si presentò
lei, allungando una mano da cui pendevano un sacco di
bracciali etnici.
“Arthur Pendragon…” ricambiò, ancora incerto, il saluto e la stretta. “Guarda…
Se fai parte di qualche astrusa setta o stai cercando di vendermi qualcosa,
devo avvertirti che io non sono interessato”, premise, con gentile fermezza.
“Uhmm… no. Veramente… è stato
Merlin a dirmi che dovevo presentarmi a questo indirizzo…” motivò, con un
sorriso incoraggiante. “Sono la nuova dog sitter!”
Col cazzo che avrebbe
affidato la sua preziosa prole ad una Figlia dei Fiori
malcresciuta!
Quella lì sembrava
così svampita da essere uscita direttamente da Woodstock!
(...)
Giunto a ritroso, Arthur affondò il naso contro la conca del
bacino, dove depositò un bacio a schiocco, che fece tremare Merlin, mentre
accarezzava nuovamente le sue natiche sode.
E infine, si tuffò fra loro.
“Oh, sììì…”
~ ~~~~
Ringrazio i 40 utenti che hanno
messo la fic fra i ‘preferiti’, i 10 ‘da ricordare’ e
i 150 ‘seguiti’.
Noto con piacere che molte persone si sono aggiunte! Su, non
siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne
pensate visto che siamo alla fine! ^_=
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
AggiornataLinette cap. 88.
Postata
la shotmodern!AU merthur “Estetico trascendentale (con)gelato”.
Restate sintonizzati!
Campagna di Promozione Sociale -
Messaggio No Profit:
Dona l’8‰
del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede) Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
E siamo alla fine di un viaggio durato 12 capitoli e 14 mesi.
Avrei dovuto
postare questo capitolo qualche tempo fa; ma, come ho già spiegato nell’ultimo
aggiornamento di Linette, ho necessariamente dato la precedenza ad altre cose,
in attesa di capire se voglio restare su EFP o no. (Non mi dilungo oltre su
questo, nell’intro del cap. 89
c’è tutto).
Tuttavia, oggi è
anche il compleanno del nostro amato re, quindi è un momento propizio, da
festeggiare con una storia. Tanti auguri
a Bradley!
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia
orgogliosa.
Un pensiero speciale a chi
ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).
Il cellulare vibrò, segnalando l’arrivo dell’ennesimo
messaggio di congratulazioni e ovviamente
poteva scommetterci che, dietro a tutto questo, c’era
lo zampino di Gwaine.
Arthur, infatti, s’era limitato a
mandare una foto della cucciolata a lui e a Gwen,
annunciando il lieto evento, ma ben presto tutti i suoi collaboratori avevano
fatto un giro d’informazione sulla notizia, inviando le loro – a volte fin troppo zelanti –
felicitazioni.
“Mithian e Sophia
stanno litigando di nuovo. Stavolta per i cuccioli”, sbuffò,
mettendo via il telefono. “Entrambe li vogliono tutti
e due, e accampano pretese prenotando l’adozione”.
Merlin tastò il terreno. “È una cosa buona, no? Conosci già chi si occuperà di loro…”
“No, perché non voglio darli via”, confessò, combattuto fra
due sentimenti contrastanti. “La verità è che sono un pessimo padrone, io… Pessimo, lo so”, ripeté. “Con che coraggio li
costringerei a stare rinchiusi in ufficio tutto il giorno?”
“Arthur, smettila”, lo rassicurò. “Stai andando alla
grande!” lo lodò, accarezzando col pollice il palmo della sua mano. “Comunque
non è una scelta che devi fare adesso… Per almeno due mesi verranno
allattati, e poi prenderai la tua decisione…”
“Quale decisione?” replicò, enfatico, intristendosi.
“Insomma… Come si può togliere un figlio a sua madre?” domandò, retorico.
Ma Merlin comprese che
c’era molto di più nascosto lì sotto. Uno strato
sottile e fragile su cui camminare. Qualcosa che prima o poi
avrebbero affrontato insieme, a tempo debito.
“Le tue assistenti fanno così perché cercano una
promozione?” domandò allora, per distrarlo dai pensieri malinconici.
“Nah! Sono sempre in competizione
fra loro… Vorrebbero essere le principesse del regno…”
“Ma l’unica Principessa sei tu,
giusto?” Tirò a indovinare.
Arthur, suo malgrado, rise.
“Oh, credimi,Merls!
Tu faresti la felicità di Gwaine!”
***
“Ho intenzione di assumere una tata…” lasciò cadere Arthur,
offrendo una seconda porzione di lasagne a Merlin, che sembrava nutrire un
feticismo kinky
per quel cibo.
“Una tata?!” rifece Emrys, sollevando le sopracciglia mentre addentava una
forchettata con gratitudine.
“Sì, beh… Sono cresciuto anche io
con una di loro…”
“E guarda che risultato!” scherzò il veterinario,
masticando.
“Stai forse insinuando qualcosa?” domandò, permaloso,
fingendo di rubargli il piatto e l’altro uomo si prodigò per difendere la
propria cena.
“Oh, no! Arthur,
no!” piagnucolò, trattenendo i bordi di porcellana.
Pendragon rise, cedendogli il
pasto.
“E comunque sei stato tu a dirmi che i cuccioli non si
possono lasciare da soli almeno per i primi quattro mesi! E se non posso
portarli in ufficio appena nati… Devo trovare qualcuno di affidabile che se ne
occupi!”
Il veterinario parve pensarci su (o forse si prese solamente
il tempo di masticare e gustare un boccone), ma poco dopo esordì, propositivo:
“Conosco la persona giusta che fa per te!”
“Ha esperienza? E delle referenze?”
“Fidati di me!” lo rassicurò Merlin, prima di rubargli un
bacio e proporre un brindisi a tutte le cose positive della giornata.
***
Il lunedì Arthur non andò in ufficio, perché aveva chiesto –
cioè, si era concesso – tre giorni di
permesso dal lavoro dopo il parto.
Quando lo aveva
sentito, Gwaine l’aveva canzonato, dicendo che era un
congedo di paternità.
E, per buona misura, il suo dipendente più creativo gli
aveva anche mandato un MMS con l’immagine della porta del suo ufficio e due
fiocchi – rosa e azzurro – penzolanti ai lati delle targhette, seguito da
un’altra foto della bacheca nell’area caffè.
‘La Pendragon Company è
lieta di annunciare la nascita di Kilgharrah e Albion’ recava la scritta, accanto alla fotografia che
lui aveva inviato il giorno prima, con Aithusa e i
cuccioli.
Arthur sorrise, intenerito. C’era poco da fare. Era più forte di lui.
Quei sacchi di pulci simil topi lo avevano ridotto alla stregua di un budino
floscio. Si era bruciato dignità e orgoglio. Ma
andava bene così.
Oh, certo. Anche
risvegliarsi con Merlin abbarbicato contro, come se fosse stato il suo
orsacchiotto personale, e la colazione che avevano
condiviso assieme avevano contribuito a portarlo verso questo stato di
atarassia perfetta…
Ma quando, verso le undici, un
corriere espresso gli consegnò un enorme pacco dono, con dentro un cesto di
prodotti per cuccioli e un biglietto firmato da ciascuno dei suoi
collaboratori, Arthur fu seriamente sul punto di fare un’idiozia, come dare una promozione a tutti con aumento
di stipendio, e fanculo se avesse portato le finanze
della ditta al tracollo.
Ci pensò un altro scampanellio a riportarlo in sé,
distraendolo dalla sua generosa follia momentanea.
Facendosi un promemoria mentale di chiamare un catering, che
avrebbe fornito un adeguato buffet di festeggiamento in ufficio, Pendragon aprì la porta e si ritrovò davanti la tizia più strana che avesse mai visto in vita sua.
Doveva essere
daltonica, pensò, scioccato. Oppure aveva semplicemente un gusto per l’abbinamento dei colori pari
allo zero assoluto.
“Ciao! Io sono Elena…” si presentò
lei, allungando una mano da cui pendevano un sacco di
bracciali etnici.
“Arthur Pendragon…” ricambiò, ancora incerto, il saluto e la stretta. “Guarda…
Se fai parte di qualche astrusa setta o stai cercando di vendermi qualcosa,
devo avvertirti che io non sono interessato”, premise, con gentile fermezza.
“Uhmm… no. Veramente…
è stato Merlin a dirmi che dovevo presentarmi a questo indirizzo…” motivò, con
un sorriso incoraggiante. “Sono la nuova dog sitter!”
Col cazzo che avrebbe
affidato la sua preziosa prole ad una Figlia dei Fiori
malcresciuta!
Quella lì sembrava
così svampita da essere uscita direttamente da Woodstock!
“Ehm…” temporeggiò, ricordando almeno i rudimenti della
buona educazione. “Vieni, entra”, le offrì, facendosi
da parte e, quando la ragazza inciampò goffamente sul tappeto della soglia, la
sua prima impressione peggiorò ancor di più.
No, no, no. Non se ne
parlava neppure. Ma che cazzo di idee aveva Merlin?
Eppure, quando Elena aveva insistito per vedere la
cucciolata, rifiutando un caffè di cortesia, fu amore a prima vista.
Di colpo si era trasformata, dimostrandosi preparata e
disponibile, spiegandogli una serie di cose che probabilmente avrebbe saputo
solo dal dottor Emrys. Tra dosi di cibo, iniezioni di
ossitocina e colostro, Arthur si era fatto una nuova
cultura alternativa.
E nel momento in cui Aithusa, dopo
averle annusato la mano, si era lasciata accarezzare, anche il suo padrone si
rilassò.
Incurante di sporcarsi la gonna a fiorelloni,
Elena si era accovacciata sul pavimento, prendendo confidenza con le bestiole,
fino a che – incredibilmente – la cagna non le aveva concesso di stringere in
braccio i suoi cuccioli. E allora Arthur capitolò.
Se ad Aithusa andava a genio quella hippie mancata, chi era lui
per opporsi?
***
Qualche mese dopo...
Arthur chiuse l’ennesimo scatolone con lo scotch e scrisse a
lato il contenuto sommario. Poi sospirò soddisfatto, lasciandosi cadere a
terra.
Era certo che Morgana – prima o poi
– avrebbe voluto indietro il suo appartamento.
Probabilmente solo
quando Uther avrebbe tirato le cuoia, lasciandola
libera di vivere la sua vita, o quando i gemelli sarebbero andati
all’università, più verosimilmente, considerò, con un ghigno. Se l’erba cattiva non moriva mai, pensò
Arthur, con affetto caino, Uther era immortale.
Quindi – a conti fatti – poteva
godersi quella casa ancora a lungo.
Eppure, quando aveva proposto a Merlin di vivere insieme e
lui aveva accettato, la scelta era caduta sul suo piccolo appartamento sopra l’ambulatorio
– perché era intimo e accogliente, molto più che un’abitazione ipermoderna e fredda.
C’era un bel giardino sul retro dello stabile, i cuccioli e Aithusa avrebbero potuto giocare in pace – dopo un’accurata disinfestazione,
ovviamente.
Ma se Merlin ci metteva l’alloggio,
lui avrebbe provveduto al forno. Oh, sì.
L’unica cosa su cui non si poteva transigere era un regalo –
per l’inizio della loro convivenza – che Arthur aveva intenzione di far
recapitare al suo fidanzato, perché il forno di Morgana meritava un gemello a
casa loro, signorsì.
E così loro avrebbero
cominciato una nuova vita insieme. Fatta di filanti lasagne croccanti e di
veterinari pronti a ricompensarlo coi migliori pompini…
***
“No, Killy!
Lascia! Aus!AUS!”
comandò Arthur, venendo bellamente ignorato dal
cucciolo, che continuava a strattonare la felpa che fuoriusciva da una delle
scatole, i dentini ben piantati nella manica. Ci pensò Aithusa
a soccorrere il suo padrone, afferrando il figlio per la collottola,
trascinandolo via, verso la cuccia.
Arthur sbuffò, grato per la sua intromissione. “Oh, guai se
non ci fossi tu…” la ringraziò, lanciandole uno sguardo carico di riconoscenza,
ma giusto in quel mentre un altro rumore improvviso lo fece sussultare.
Corse in cucina, solo per vedere che uno dei vasi di sua
sorella era finito in mille pezzi.
“Oh, cazzo… no!” esclamò, “Via, Alby! Via dai cocci!” le ordinò, e
nuovamente fu ignorato. “Getz, Albion!” urlò, senza effetto alcuno.
Fu la risata divertita di Merlin, dietro di lui, a
impedirgli una sequela di bestemmie.
“I piccoli hanno fatto altri disastri, oggi?”
“Cinque, per
l’esattezza”, gli rese noto, strofinandosi una tempia
per combattere un’emicrania incipiente.
“Guarda il lato positivo: ti hanno alleggerito il bagaglio!
Così avrai meno cose da dover traslocare!”
“Morgana avrà meno
cose al suo ritorno…” lo corresse, con un piccolo ghigno.
“Puoi sempre dirle che l’hai fatto per il
suo bene! Adesso ha una casa a prova di bimbo e
i gemellini saranno al sicuro!” gli propose,
addolcendo la sua rabbia con un abbraccio da dietro, tirandosi contro il torace
la schiena di Arthur, mentre gli mordicchiava quel lembo di pelle dietro
l’orecchio, che sapeva mandarlo su di giri.
“Merlin…” ansò infatti, sovrapponendo le mani a quelle dell’altro, che gli
stavano accarezzando gli addominali infilandosi sotto alla camicia. “Se
continui così, non finirò mai di impacchettare la mia roba…” lo avvertì.
“L’intento era proprio quello…” bisbigliò il compagno,
leccando il suo padiglione auricolare, strofinando il naso contro l’attaccatura
dei capelli biondi e sulla nuca, dove la pelle si era già accapponata con un
brivido di piacere.
“Oh, l’hai voluto tu!” ruggì Pendragon,
girandolo con una mossa fulminea e caricandoselo in spalla, senza tante
cerimonie.
“Ehi! Animale!” rise Merlin, colpendolo con
piccoli pugnetti sulla schiena.
“Non hai sempre detto che ero una strana bestia? E adesso ho
bisogno del mio veterinario preferito. Il migliore del mondo!” decantò, sbattendolo sul letto
matrimoniale, prima di divorargli le labbra con un bacio.
***
“Artie?”
“Mh?”
Merlin smise di tracciare oziosi cerchi con le dita sulla
schiena del suo amante.
“Ti è passato l’incazzo?”
Arthur si stiracchiò pigramente, girandosi supino per esigere
l’ennesimo bacio.
“Sì, Merls… direi che il sesso è
un buon distraente…” ammise, con un ghigno
soddisfatto.
“Oh, bene…” sorrise l’altro, riprendendo le carezze,
stavolta sul torace. “Perché… vedi… ieri mi sono scordato di dirti che, mentre
non c’eri, Albion e Kilgharrah
hanno distrutto quel puzzle in 3D a cui tenevi tanto…”
“Cosa?!” saltò su Pendragon, perdendo l’aria gioviale. “E com’è possibile?!”
“Beh, ehm… potrei accidentalmente aver lanciato loro una
pallina che-”
“Merlin!” ululò
tonante. “La mia Torre Eiffel!”
“Amore, mi dispiace…” si scusò, contrito.
“Credo che dovremmo replicare. Adesso. E tu dovrai impegnarti molto, ed essere convincente come distraente,
finché non ti perdonerò…”
“Agli ordini, Vostra Maestà!” esclamò Merlin, solennemente,
prima di scivolare sotto alle lenzuola, ammiccando
vizioso.
***
“Ah, Merls?” lo chiamò Arthur,
quando le lucine dell’orgasmo si spensero dietro il tendone delle sue palpebre
chiuse.
“Sì?”
“Visto che siamo in vena di
confidenze…” incominciò, diventando improvvisamente malleabile e disponibile ad
offrirgli coccole. “Stamattina, Killy si è mangiato
metà della relazione che dovevi esporre al prossimo Convegno di martedì. Spero vivamente
che tu abbia ancora una copia del file nel pc...”
“Oh, no!”
“Oh, sì.L’ha fatto…” ridacchiò. “E gli è anche piaciuta parecchio!”
“Ci ho lavorato tre notti! Cazzo!” imprecò.
“Sono fottuto!”
“Di questo, non ti sei mai lamentato…” lo stuzzicò, giocando
sul doppiosenso e, prima che il veterinario potesse
perdere le staffe per davvero, Arthur decise che fosse più saggio ricambiargli
il favore.
“È il mio turno, allora…” si offrì, scostando le lenzuola
denudandolo, e lasciando una lenta scia umida lungo tutta la schiena,
soffermandosi su ogni picco e ogni avvallo, baciando
ogni singola vertebra, mentre le sue mani accarezzavano i fianchi sottili
dell’altro in cerchi rilassanti.
“Mmh… sì, oh, sì…” piagnucolò
Merlin, in tono ben diverso da poco prima.
Pendragon nascose un sorriso
compiaciuto contro un gluteo, mentre con le dita impastava l’altro. Dando
ragione a una punta di sadismo, deviò volutamente la traiettoria verso l’interno coscia, mordicchiando con ingordigia la tenera
carne – le gambe del suo partner si allargarono di riflesso, permettendogli
maggior accesso –, ma lui decise di scendere verso il retro sensibile delle
ginocchia, vezzeggiandone uno con la bocca e l’altro con la mano ancora libera.
Si prese il tempo di arrivare fino alla caviglia, succhiando la sporgenza del
perone come anticipazione di ciò che sarebbe arrivato fra poco.
Quindi risalì, strisciando al
contrario, occupandosi leziosamente dell’altra gamba, in parte finora
trascurata.
Giunto a ritroso, Arthur affondò il naso contro la conca del
bacino, dove depositò un bacio a schiocco, che fece tremare Merlin, mentre
accarezzava nuovamente le sue natiche sode.
E infine, si tuffò fra loro.
“Oh, sììì…”
***
“Pensi che io abbia fatto una buona impressione su Uther?” domandò Merlin, posando in entrata tutto
l’occorrente usato per Aithusa e i suoi figli dopo la
loro scampagnata domenicale.
Arthur lo raggiunse un momento dopo, trascinandosi appresso il trasportino carico.
“Certo!” ansò, cercando di rassicurarlo e di riprendere
fiato contemporaneamente. “Sto con un medico, adesso! E, da che mondo è mondo, accasarsi con un dottore è considerato un
successo assicurato! Persino mio padre non può avere nulla da obiettare a
riguardo!”
“Sono solo un povero veterinario squattrinato che fa troppa
beneficenza, Arthur”, lo corresse,
con un sorriso indulgente.
“Ma è per questo che ti amo…”
“Quindi, ti sei innamorato del mio
grande cuore?”
“Oh, certo! Ma anche un bel culo aiuta!” completò, per amor di precisione.
“Stupido asino”, bofonchiò Merlin, prevedendo ciò che
sarebbe seguito.
“Ovviamente, se tu possedessi la mia bellezza, saresti
perfetto, ma…” lasciò cadere lì, facendosi azzittire nel modo più facile.
Ma la verità era una sola. Amava
tutto di Merlin, anche le piccole imperfezioni che lo rendevano speciale.
E adorava perdersi nei
suoi occhi – quell’azzurro così particolare, così unico –, accarezzare i suoi
zigomi cesellati e venerare ogni frammento di quel corpo che ora gli
apparteneva.
***
“Non pensi che siano davvero adorabili?” domandò Arthur,
retorico, gonfiando il petto con orgoglio.
Merlin afferrò la cornice che Morgana aveva
fatto recapitare loro, e sorrise, osservando la foto in cui i cuccioli e i
gemelli giocavano assieme su una coperta stesa sul prato dietro Avalon House.
“Sì, sono davvero graziosi…” concordò. “Ma è meglio che tuo padre non la veda. Potrebbe decidere di
lavare i gemelli con la candeggina…”
“Ma sono passati cinque giorni!”
“Effetto retroattivo!” scherzò Emrys,
fingendosi preoccupato, per diventarlo poi seriamente. “Scherzi a parte… Uther non dovrà mai sapere che Mordred ha mangiato alcune
crocchette dalla ciotola di Albion…”
“Hai detto che non sono pericolose!”
“Non lo sono, ma ti immagini la sua
scenata?!”
“Più di quella che ha fatto quando Killy
ha avuto la geniale idea di
emozionarsi, facendo pipì sopra i suoi costosi mocassini?”
“Oh, mio Dio! Me la sono persa!” si lagnò.
“Ma è stato prima o dopo che Lizzie
gli ha rovesciato l’omogeneizzato sui pantaloni?” chiarì.
Arthur rise fino alle lacrime. “Avessi visto la sua faccia! Credevo che esplodesse!”
“Vergogna…” lo sgridò Merlin, blandamente. “Il suo cuore
malandato non dovrebbe subire questi strapazzi…”
“Io, invece, credo che gli facciano
bene. Quello che non
uccide, fortifica!” filosofò, ammiccando.
“In tal caso, me ne ricorderò una di queste sere…” lo
avvertì, allusivo.
***
“Come mai sei così di buonumore?” domandò Arthur, quando
Merlin rientrò dal suo abituale sabato di volontariato al canile.
Lasciandosi cadere sul divano, il veterinario – anziché pretendere
il consueto bacio di bentornato e le coccole, perché rientrava
sempre sfinito – si chinò per primo verso il partner.
“È successa una cosa bellissima!” annunciò, separandosi
dalle sue labbra, trattenendo a stento l’euforia.
“Ti sei innamorato?” buttò là Pendragon,
piegando malamente il giornale per dargli completa attenzione.
“Idiota che non sei altro…” borbottò il compagno,
afferrandogli però una mano, per trattenerla tra le sue in un gesto d’affetto.
“E allora?” l’incitò, annuendo.
“Questa novità?”
“Stamattina è arrivata una donazione!
Una donazione generosissima!”
squittì quasi. “Potremo rimettere a nuovo Black
Hill e aiutare anche altri canili!” spiegò Merlin, entusiasta.
Arthur sorrise nel vederlo così felice.
“Tu non ne sai niente? Mh?” si insospettì però.
“Io? E perché
dovrei?” Finse stupore.
Non era importante che
il suo compagno sapesse dei salti mortali che aveva fatto con i Revisori dei
Conti. Quelli erano soldi suoi, e la Pendragon
Company poteva permettersi un po’ di beneficenza.
Merlin gli lanciò una lunga occhiata, strofinando poi il
naso contro il suo. Cazzo, questo era
giocare sporco! E lui stava per cedere!
“Non… non era forse un’offerta anonima?” ritentò all’ultimo,
per sviarlo e sottrarsi al suo esame.
“Oh, sì, certo…” confermò il veterinario, sollevandosi per
unire le braccia attorno al suo collo, mettendosi poi a cavalcioni
su di lui col preciso intento di creare attrito fra i loro inguini. “Ma il tizio camuffato – un
travestimento ridicolo, peraltro!– che è venuto a consegnarci la busta…” sussurrò, appoggiando
le labbra contro il suo orecchio e Arthur si sentì ansimare, di riflesso, mentre
i pantaloni diventavano improvvisamente stretti. “Il tizio, dicevo”,
riprese Merlin, mordicchiandogli il lobo con sensualità, dondolando i fianchi.
“Lui voleva fare colpo su Eira, una delle nostre
volontarie… E le ha lasciato il numero di telefono…” spiegò, mordicchiandogli il
profilo della mandibola mentre con le dita si aggrappava alle spalle larghe per
aumentare lo sfregamento.
Cazzo. Cazzo. Cazzo.Idiota col cervello nelle mutande!, imprecò
Arthur, sull’orlo del baratro.
“E chissà come… ma assomigliava stranamente a Gwaine…” terminò Merlin, con un’ultima spinta
che li condusse insieme all’orgasmo.
***
“Tu…” sbottò Pendragon, una volta
che aveva ripreso fiato, piantando un indice teso fra le costole ossute del suo
amante.
“Ahi!” guaì Merlin, ancora stravaccato in rilassamento sopra
di lui.
“Tu non puoi fami venire nelle mutande come un pivello!” lo
ammonì, ricevendo in cambio un grugnito distratto. “E –
soprattutto – non ti voglio mai più sentir nominare Gwaine,
mentre scopiamo. Intesi? Intesi?!” ripeté, facendogli il solletico per punizione.
Merlin rise, divincolandosi, ma sapeva benissimo che Arthur
era più forte di lui e perciò si arrese trasformando la piccola lotta in un
groviglio di braccia e gambe stese.
“Pace?” propose, come armistizio.
“Pace”, concordò l’altro, stringendoselo contro un po’ di
più.
Fu a quel punto che Aithusa e i
cuccioli, svegliatisi dal sonnellino pomeridiano, zampettarono incontro a loro,
saltando sul sofà nella nicchia che i due padroni si affrettarono
a creare.
Merlin allungò una mano per accarezzarli e Arthur guardò la
sua famiglia nuovamente al completo e sorrise, lasciandosi cullare da un senso
di pace e perfezione, mentre le parole del loro primo incontro gli tornavano
alla mente.
“Stava aspettando te…”aveva detto quel pazzo veterinario,
quasi come un atto di fede.
E forse era stato davvero
tutto un piano del Destino.
Forse Aithusa aveva aspettato lui e anche Merlin aveva atteso che
le loro strade si incrociassero. E i cuccioli avevano pazientato
per conoscerlo.
O, forse, era semplicemente
Arthur, quello che era rimasto in attesa di tutti loro.
-
Fine -
Disclaimer:I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: Ed eccoci alla
fine.
Confesso che, rileggendo per le ultime sistemazioni, mi sono
commossa un pochino, perché mi dispiace chiudere questa storia, che mi sono
divertita a scrivere, ma mi ha anche fatta arrabbiare.
Il fatto è che pure con Linette siamo agli sgoccioli e
questo non aiuta il mio lato sentimentale…
Per l’ultima volta… beccatevi le mie noiose note.
Le varie nozioni veterinarie e le indicazioni riguardanti il
parto e l’accudimento sono prese da guide mediche
veterinarie, da siti web specializzati e dalla visione di alcuni filmati.
Tuttavia, non sono un’esperta del settore né ho avuto esperienze dirette,
quindi – malgrado la mia pignoleria – potrebbe esserci
qualche imprecisione.
Può essere utile a fine parto che il veterinario somministri
una singola iniezione di ossitocinain quanto si è visto che facilita l’involuzione uterina,
l’eliminazione degli eventuali invogli ritenuti e stimola la produzione di
latte.
Il Colostro è il primo latte, quello che i cuccioli
dovrebbero assumere entro le 12-18 ore dal parto, così da ottenere gli
anticorpi della madre, che li proteggeranno fino alla vaccinazione.
“Aus!” e “Getz!”
sono due comandi traducibili con “Lascia!” e “Vai!” (nel senso di allontanare).
Le parole usate come comandi sono quelle comuni per
l’addestramento in tedesco. Per comodità, ho preferito riportarle come si scrivono
e non come si pronunciano.
Eira, personaggio della quinta
serie del telefilm, ha un breve flirt con Gwaine. Non
dico altro perché sarebbe spoiler! XD
“Se non uccide, fortifica”, è un vecchio adagio. E una frase
usata da Tiziano Ferro nella canzone “Sere nere”.
L’accenno ai croccantini mangiati da bambini (senza
conseguenze) è preso da un fatto di vita vera… all’epoca, mio cugino assaggiò
il pasto del mio defunto Toby.
~ ~~~~
Ringrazio i 50 utenti che hanno
messo la fic fra i ‘preferiti’, i 10 ‘da ricordare’ e
i 155 ‘seguiti’.
Visto che siamo alla fine, mi
piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate, soprattutto da parte di chi ha
sempre seguito silenziosamente la storia.^_=
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):