La somma di tutte le cose

di yllel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** cap. 6 ***
Capitolo 8: *** capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ciao a tutti, sono tornataaaaa!
Ok... seguito di “Broken”, lo volevo davvero ma ci ho messo un po’ di tempo,  vediamo come va.
Dedicata a Ste-te... che ha scoperto che scrivo in questo fandom  e che pur non avendo mai visto una puntata di Sherlock sta leggendo le mie storie (le piacciono, a quanto pare...) e nonostante questo, continua a pensare che sia una buona idea tenermi come zia acquisita dei suoi magnifici figli nonchè madrina della sua primogenita.
Niente mi appartiene, scrivo solo per divertirmi.

 
LA SOMMA DI TUTTE LE COSE

PROLOGO
 
 
La nebbia avvolgeva Londra in una notte senza stelle.
Era difficile distinguere con sicurezza le poche ombre che si muovevano per la strada, sembravano scivolare silenziose lungo l’asfalto alla ricerca disperata di un po’ di calore e di luce, ansiose di rientrare nelle loro case o di raggiungere per lo meno un posto caldo e sicuro.
L’unico uomo che faceva eccezione se ne stava all’inizio di un vicolo ed era pazientemente immobile da più  di trenta minuti, la testa coperta da un cappello calato fino alle orecchie e lo sguardo annoiato. Non mosse un muscolo quando sentì  dei passi dietro di lui, sapeva esattamente chi l’aveva raggiunto.
“Non dovresti, fa male alla salute”  esclamò con un sorriso storto, continuando tuttavia a fissare il vicolo davanti a sè.
Il nuovo arrivato ebbe un moto di sorpresa nel sentirsi colto in flagrante mentre stava per accendersi una sigaretta, ma tuttavia cercò di sembrare a suo agio e fece comunque scattare la fiamma dell’accendino, aspirando voluttuosamente il fumo nel tentativo di calmarsi del tutto.
I loro incontri, per quanto rari e sempre molto rapidi, riuscivano a renderlo assai nervoso: aveva lavorato con ogni tipo di committente nella sua carriera e offerto i suoi servizi a piu’ di una persona colpevole di innumerevoli crimini efferati, ma gli occhi dell’uomo con cui doveva parlare riuscivano sempre a mandargli un brivido lungo la schiena e il suo fare glaciale non cessava mai di stupirlo.
Il suo sguardo sembrava scrutare il mondo con evidente distacco, quasi a voler sottolineare la sua superiorità  e la consapevolezza di poter fare qualunque cosa.
“Sei in ritardo” disse di nuovo il suo interlocutore, girandosi finalmente a guardarlo.
Una smorfia attraversò  il viso dell’uomo con la sigaretta.
“Muoversi senza destare sospetti richiede ormai una certa attenzione e cautela, come ben saprai. Soprattutto in questo periodo. Non sarebbe cosi, se tu mi lasciassi fare a modo mio” aggiunse in un moto di coraggio, ben sapendo di mettere in discussione le convinzioni e i desideri dell’altro.
“Pazienza... tutto a suo tempo” rispose questo con un sorriso lento e calcolatore, che tuttavia non mancò  di essere anche un avvertimento.
Si fa a modo mio.
“Per ora limitiamoci a seguire lo schema concordato. Hai contattato gli uomini di cui abbiamo bisogno?”
L’uomo  annuì  e aspirò un’altra boccata di fumo.
“Arriveranno domani. Sono ansiosi di conoscere il loro obiettivo, non è gente abituata a stare con le mani in mano, come puoi immaginare”
La risposta fu alquanto seccata.
“Li pago una somma spropositata, il minimo che mi aspetto è che seguano i miei ordini alla lettera. Di’ loro che avranno le istruzioni quando sarà il momento giusto”
Il nuovo arrivato non potè fare a meno di sentirsi curioso.
“E il momento giusto quando sarà?” chiese soffiando lentamente il fumo dalla bocca.
Il ghigno dell’uomo con il cappello si intensificò.
“Presto. Molto presto”
La sigaretta fu gettata a terra e schiacciata sotto una scarpa.
“E riguardo a quell’investigatore che facciamo?”
“Attento, lui preferisce la definizione di consulente investigativo. L’ho già detto, procediamo con il piano originale”
“Che sarebbe?”
Il ghigno sul volto dell’uomo con il cappello si fece divertito e l’immancabile brivido lungo la schiena del suo interlocutore si fece sentire non appena ottenne al risposta alla sua domanda.
“Gli bruceremo il cuore”

 
***
 
 
Lo sparo risuonò  improvviso.
Mrs Hudson sussultò  e poi scosse la testa.
“Benedetto ragazzo...” mormorò  tra sè, per poi tornare ad occuparsi del grembiule che stava rammendando.
Altri due colpi d’arma da fuoco si fecero sentire in rapida successione e a questo punto l’anziana signora si alzò dal divano e marciò su per le scale, il lavoro di cucito abbandonato su un cuscino.
“William Sherlock Scott Holmes, smetti subito di sparare ai miei muri!” gridò sulla soglia dell’appartamento.
La figura che giaceva languidamente in poltrona non si mosse se non per agitare svogliatamente una mano per aria.
Fortunatamente, non la mano che impugnava la pistola.
“Non sto sparando ai muri. Aveva chiaramente detto che dopo l’ultima volta mi era assolutamente proibito”
Mrs Hudson si mise le mani ai fianchi e strinse la bocca in una smorfia di disapprovazione.
“Beh, allora smetti di sparare a qualsiasi cosa tu stia sparando, signorino!”
Per tutta risposta, Sherlock Holmes puntò la pistola e premette di nuovo  il grilletto, colpendo una  lattina dall’altra parte della stanza.
“Oh bontà divina!” gemette la donna scuotendo piano la testa “spero che i vicini non abbiano già chiamato la polizia. Ti prego, ragazzo mio... smettila. Perchè invece non ti preparo una bella tazza di tè? E magari qualche dolcetto di quelli che ti piacciono tanto”
Dalla poltrona si udì un grugnito insoddisfatto e tutto d’un tratto la figura che fino a qualche secondo prima era mollemente seduta stava camminando come una furia per l’appartamento.
Mrs Hudson notò con sollievo che per lo meno aveva appoggiato la pistola.
“Non ho bisogno di tè e biscotti! Quello di cui ho bisogno e’ azione!  Nutrire la mia mente con domande, misteri e quesiti! Indagare, risolvere puzzle... lavorare!”
Sherlock si avvicinò alla sua padrona di casa e la guardò  fissa negli occhi.
“Le sembra che io stia lavorando, Mrs Hudson?”
I suoi occhi chiari brillavano per l’agitazione.
La donna si contorse le mani in grembo.
“No, caro... no”
Lui gettò  le braccia in aria con un grido di frustrazione.
“Esatto! Non sto lavorando! Solo misere consulenze che posso risolvere via mail e nessun caso interessante da parte della polizia. Tre settimane di omicidi efferati e ora il NULLA!” i suoi movimenti convulsi si fermarono davanti alla finestra e congiunse le mani sotto il mento.
“Che cosa? Che cosa stanno aspettando?”  riflettè tra sè a voce bassa, l’agitazione di pochi secondi prima ormai scomparsa.
Sul viso di Mrs Hudson comparve un’espressione dispiaciuta.
“Sherlock, capisco che questo periodo sia difficile ma non posso essere francamente dispiaciuta che quell’ondata di crimini violenti sia finita. Forse... forse non succederà altro e non sarebbe poi cosi brutto, giusto?”
L’uomo che considerava come un figlio non si curò di risponderle e lei non riuscì a decidere se quel silenzio fosse peggio del suo stato di agitazione di poco prima: sapeva bene che cosa potesse rappresentare per lui la minaccia che era arrivata sotto forma del viso di Jim Moriarty su ogni schermo possibile del Regno, sapeva che era dilaniato dall’incertezza e dalla preoccupazione.
Dalla paura di non riuscire a proteggere tutti loro.
E dalla noia derivante da questo stato di forzata attesa, benedetto ragazzo.
Il suo sguardo vagò per l’appartamento in disordine.
“Oh, Sherlock... di nuovo quelle orribili cose sul tavolo della cucina! Tu e i tuoi esperimenti! E pensare che hai a disposizione il laboratorio di Molly, non sarebbe meglio che rimanessero in uno spazio più sicuro e in cui non devi vivere? Che disastro... magari quella cara ragazza potrebbe passare e portare via un po’ di materiale, forse sarebbe il caso -”
Le spalle del consulente investigativo si irrigidirono di colpo e poi si girò di scatto.
“Fuori!” esclamò in tono duro.
Mrs Hudson sgranò gli occhi.
“Ho detto fuori, non tocchi nulla! E’ tutto esattamente dove deve essere! Via, se ne vada! Non ho bisogno di nulla, torni a rammendare quel suo vecchio grembiule che le piace tanto!”
“Ma...”
“Mrs Hudson!” tuonò di nuovo lui “mi lasci in pace!”
“Oh ma che modi...”
L’anziana donna si girò di scatto per nascondere il disappunto e Sherlock si sentì invadere da un’ondata di rimorso.
Chiuse gli occhi e fece un sospiro.
“Mi dispiace” le disse, bloccandola quando ormai era sulla porta “non... non avrei dovuto gridare. Non è colpa Sua, ma gradirei restare solo. Per favore”
Sherlock Holmes non si scusava tanto facilmente e Martha Husdon lo sapeva bene.
Si voltò e gli sorrise.
“Però  smetterai di sparare?” gli chiese con affetto.
Gli angoli della bocca di lui si curvarono appena.
“Si. Smetterò di sparare” le disse.
La donna sorrise ancora e uscì piano dall’appartamento, richiudendo la porta dietro di sè.
Lo sguardo di Sherlock corse al tavolo della cucina e il consulente investigativo rimase a contemplare il caos che vi regnava.
L’innocente suggerimento di Mrs Hudson aveva avuto il potere di scatenare in lui un moto di rabbia e risentimento: non vedeva la patologa da quella sera in laboratorio e non era più tornato al Bart’s, visto che la serie di omicidi era finita e che questo significava non doversi incontrare per forza.
A che scopo creare delle altre occasioni? Al momento non c’era davvero più nulla che potessero dirsi, nulla che potesse cambiare la situazione.
No. Molly Hooper non sarebbe senz’altro venuta... non quel giorno.
Nè quelli a venire.
Rilasciò  i pugni che aveva inconsapevolmente stretto  e afferrò il violino, cominciando poi a suonare una melodia struggente.
 
***
 
“Umpft!”
John si voltò  verso sua moglie dopo aver sentito l’esclamazione di fastidio e non potè trattenere un sorriso.
“Si muove?” le chiese raggiungendola sul divano e posandole una mano sul ventre.
Mary sbuffò di nuovo, ma poi sorrise anche lei.
“Capriole su capriole. Probabilmente da grande sarà una ginnasta” rispose appoggiandosi meglio allo schienale del divano e sovrapponendo una mano a quella di lui.
La bambina si agitò di nuovo.
“O una lottatrice di wrestling” commentò scherzoso John, guadagnandosi una sberla affettuosa sul braccio.
Per un attimo rimasero quieti a godersi quel piccolo momento di normalità, ma a Mary non sfuggì l’occhiata ansiosa che suo marito gettò al telefonino.
“Non ti risponde?” gli chiese, già consapevole della risposta.
Lui scosse piano la testa.
“No”
“Non lo vedi dalla cena di una settimana fa e a malapena ha risposto a qualche sms. E tu sei preoccupato” disse Mary con calma.
“No. Si. Un pochino...” ammise John frustrato “e’ solo che so che questa attesa lo sta snervando e che chiudersi nell’appartamento è  il suo modo di reagire, ma non vorrei che lui...”
“Stesse agendo alle tue spalle e per conto suo?”
Il Dottor Watson fece un profondo sospiro.
“Gli ho detto che questa volta affronteremo tutto insieme ma non sono sicuro che lui sia disposto a farlo, ho cosi paura che faccia di testa sua e si cacci in qualche altro guaio. Io non... non potrei...”
“Perderlo di nuovo” concluse lei con un sorriso triste, consapevole delle difficoltà che essere amico di Sherlock Holmes comportava.
“Esatto” concluse John in un soffio abbassando lo sguardo sulla piccola protuberanza che sporgeva dalla pancia di sua moglie e che segnalava l’inequivocabile iper attività’ di sua figlia.
“Sai, non devi stare qui per forza tutto il tempo” gli disse Mary infine.
Lui alzò la testa di scatto.
“Pensi che mi senta obbligato a passare del tempo con te?” le chiese incredulo.
Lei sorrise di nuovo.
“No. So che io e la piccola siamo la tua prima priorita’, ma so anche che non vedi Sherlock da un po’ e che hai bisogno di essere sicuro che stia per lo meno bene, che nel suo caso significa davvero che non stia combinando niente di stupido. Ne ho bisogno anche io, accidenti, e se non fosse perchè sono sicura che sia meglio che vi vediate a quattr’occhi trascinerei subito me stessa e il pancione dentro a un taxi diretto a Baker Street!”
John sorrise all’irruenza di sua moglie, tuttavia il suo sguardo era ancora incerto.
“Tesoro...” continuò Mary con dolcezza “noi staremo bene. Gli uomini di Mycroft sono qui fuori e io approfitterò della tua assenza per finire tutto il gelato che abbiamo in freezer. Va da lui, assicurati che stia bene e poi minaccialo di prenderlo di nuovo a pugni se non smette di comportarsi come il sociopatico che si vanta tanto di essere ma che in fondo non e’.
E tanto per essere chiari, ribadiscigli di nuovo che non chiameremo la bambina Sherlock”
A questo punto John scoppiò sonoramente a ridere e le diede un bacio.
 
***
 
“Signore?”
Greg Lestrade alzò  stancamente la testa dalle carte che stava esaminando alla sua scrivania e osservò la persona che l’aveva chiamato.
Non potè nascondere un moto di stupore.
Sally Donovan avanzò piano nell’ufficio, come se avesse paura di non essere ben accolta, ma il suo ex superiore le rivolse un sorriso.
“Ma tu guarda chi si rivede” esclamò.
La donna ricambiò il sorriso e si rilassò impercettibilmente.
“Ne è passato di tempo” disse, prima di fare una smorfia “vedo che qui c’è sempre il solito caos”
Lestrade alzò le spalle e la invitò a sedersi di fronte a lui con un gesto della mano.
“Non dirmi che ti manchiamo” le rispose alzando un sopracciglio.
La donna considerò per un attimo quell’affermazione e poi scosse il capo.
“No. Ma non posso negare che qui ho imparato quasi tutto quello che so. E’ stato un buon periodo... dopo tutto”
Per qualche secondo regnò il silenzio ed entrambi rimasero a fissarsi, ripensando probabilmente ai loro giorni di collaborazione e a quanto il loro rapporto si fosse inclinato dopo il “suicidio” di Sherlock: i sensi di colpa, le recriminazioni e le accuse reciproche avevano minato la squadra e messo a dura prova il team fino a che non c’era stata altra soluzione che quella di dividersi. Anderson aveva fatto le sue scelte... quelle di Donovan erano andate decisamente in un’altra direzione e la sua apparizione poteva significare solo una cosa.
“Suppongo che tu non sia qui in visita di cortesia” dichiarò l’Ispettore rompendo ogni indugio.
“No” sul viso di Sally apparve un’espressione determinata.
Lestrade si passò una mano sugli occhi.
“Quanto è grave?” chiese infine.
“Molto. E per quanto Le possa sembrare strano sentirlo detto da me, abbiamo bisogno di Sherlock Holmes”
 
 
 
Ehhhh... bene. Parto tra pochi giorni, torno settimana prossima.
A presto!
 
 
 

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Capitolo 2
*** capitolo 1 ***


Grazie a Martiachan che ha commentato il primo capitolo e a chi sta seguendo la storia o l’ha messa fra le preferite.
Spero che il capitolo vi piaccia!
 
LA SOMMA DI TUTTE LE COSE

CAPITOLO 1

 
 
La melodia del violino si poteva sentire fin dai primi gradini delle scale.
John ci era abituato, eppure una parte di lui si stupiva sempre di fronte all’enorme disciplina che una mente in costante movimento come quella di Sherlock riusciva a mettere a servizio dello strumento.
“Oh caro! Sono contenta di vederti! Come sta Mary?”
Il Dottor Watson sorrise alla sua vecchia padrona di casa apparsa sulla soglia del suo appartamento e registrò il sollievo che quest’ultima provava per la sua visita a Baker Street; evidentemente, Sherlock era stato un inquilino ancora meno facile del solito in quei giorni, e una punta di rammarico colpì l’uomo al pensiero di quanto l’anziana donna avesse dovuto affrontare.
Le si avvicinò e le posò un bacio sulla guancia.
“Mary sta bene, Mrs Hudson... tutto procede a meraviglia e non vediamo l’ora che arrivi il gran giorno. E qui come vanno le cose?”
La donna si prese un attimo per fare una leggera carezza a John e poi scosse piano la testa.
“Oh, proprio non saprei... ho davvero paura che ci sia qualcosa che non va”
John corrugò la fronte e il sorriso sul suo volto si fece perplesso.
“Senza offesa, ma su questo non c’è dubbio. Insomma... un uomo morto che è anche uno dei peggiori criminali di sempre riappare a terrorizzare tutti sui principali mezzi di comunicazione, non è di certo una cosa semplice. E se ci aggiungiamo quello che Sherlock ha dovuto fare e passare a causa sua... quello che tutti noi abbiamo dovuto subire...”
Mrs Hudson scosse di nuovo la testa.
“No, caro. E’ naturale che tu pensi che mi riferissi a questo, ma sento che c’è dell’altro”
“In che senso?” chiese curioso il Dottore.
“E’ come se qualcosa stesse tormentando Sherlock, come se oltre a tutto il resto ci fosse altro che lo preoccupa e che lo rende... triste”
Il viso di Mrs Hudson assunse un’aria malinconica, odiava vedere i suoi ragazzi stare male ed era davvero convinta che ci fosse qualcosa che non andasse.
Una donna... una madre, per quanto surrogata, lo capiva.
John sembrò interpretare i suoi pensieri e le diede una leggera stretta alla spalla.
“Non si preoccupi. Ora vado su e vedo di capire che sta succedendo, va bene?”
Martha sorrise.
“Ohh... ma certo caro. Se c’è qualcuno in grado di capirlo quello sei tu. Sono sicura che gli farà piacere vederti, solo... sta attento. Ha promesso di mettere via la pistola ma potrebbe già essersene dimenticato”
John sospirò.
“La pistola, eh?” commento’ scuotendo il capo.
Lei gli strizzò un occhio.
“Lo sai com’è, certe cose non cambiano mai”
Il violino smise di suonare e il Dottor Watson capì che il suo arrivo era stato colto e di essere atteso al piano di sopra, cosi si incamminò su per la scala.
“Ti conviene non spararmi” minacciò quando arrivò sulla soglia dell’appartamento.
Sherlock Holmes girò su sè stesso e la vestaglia svolazzò intorno alle sue gambe.
“Oh, come sei melodrammatico!” esclamò  sbuffando mentre appoggiava il suo strumento dentro la custodia “solo perchè ho esploso qualche colpo in preda alla noia, non significa che io non sia in grado di contenermi. Vieni pure avanti, il campo è libero e non c’è nessun pericolo!”
“Mrs. Hudson sembra pensarla diversamente e francamente non posso darle torto, visto lo stato in cui versa questo posto” con uno sguardo eloquente John accennò  alla montagna di lattine sparpagliate sul pavimento e al tavolo ingombro di materiale alquanto sospetto.
Per tutta risposta, il consulente investigativo si lasciò cadere sul divano e rimase a fissare l’amico fino a che quest’ultimo non si diede per vinto e non si sistemò  in poltrona.
“Che succede?” chiese.
Sherlock alzò  un sopracciglio.
“Che intendi dire?”
John rimase a scrutarlo per qualche istante.
“Che cosa c’è che non va?”
La risposta che ottenne venne preceduta da un sorriso di scherno.
“Intendi dire a parte il fatto che ho ucciso un uomo, sono stato mandato in missione all’estero per ben quattro minuti e sono stato richiamato perchè qualcuno ha risuscitato un pazzo criminale con il solo scopo, ben riuscito tra l’altro, di creare il caos e che dopo alcuni giorni di efferati omicidi ora tutto è estremamente noioso?”
Il Dottore socchiuse gli occhi.
“Esatto. A parte questo... che cosa c’è che non va?”
L’espressione di Sherlock si fece tesa, fino a che non rivolse lo sguardo altrove.
“Nulla” rispose infine in tono deciso.
John aveva imparato qualche trucchetto durante gli anni della sua collaborazione con Sherlock Holmes, per cui nel momento in cui il suo amico rispose si concentrò  sul linguaggio del suo corpo e si rese conto con stupore che Mrs Hudson non si era sbagliata.
La mano destra del consulente investigativo aveva avuto un leggero ma netto spasmo e si era contratta per il nervosismo, rivelando la sua bugia.
“Non stai progettando qualcosa di estremamente stupido tipo qualche azione o indagine per conto tuo, vero?” chiese John con una punta di rabbia e preoccupazione.
L’amico roteò  gli occhi al cielo e riprese la sua posa indolente, il capo reclinato sullo schienale del divano.
“Se cosi fosse questa domanda sarebbe alquanto inutile, non credi? Mi vedrei comunque costretto a risponderti di no per continuare a mantenere il segreto” esclamò  in tono ironico, per poi alzarsi di scatto  e raggiungere la finestra per scostare di poco la tenda.
“Non sei divertente” rispose John con voce seria facendolo voltare.
Sherlock rimase ad osservare l’amico per qualche secondo, poi quest’ultimo riprese a parlare.
“So che la situazione non è facile. So che odi questa attesa e questo momento di stasi, ma per favore parla con me... non usare il sarcasmo e non chiuderti in te stesso. Ti ho detto che avremmo affrontato questa situazione insieme e non mi tiro indietro”
“Presto avrai questioni molto più importanti a cui pensare”
John scosse la testa con forza.
“Smettila. Non usare la nascita di mia figlia come scusa per la tua acuta incapacità di condividere le cose! Sappiamo bene che sarà diverso ma non cosi tanto... non tanto da indurmi a lasciarti indietro e la stessa cosa vale per Mary. Sei tu quello che ha fatto un giuramento nei nostri confronti, ma questo non significa che noi non possiamo fare altrettanto... sei il mio migliore amico, Sherlock. Che ti piaccia o no dovrai sempre fare i conti con me”
L’amico sembrò esitare un attimo, poi chinò il capo in segno di assenso.
“Non è una prospettiva che mi dispiace” disse.
La risposta strappò  un sorriso a John e l’atmosfera sembrò  farsi un po’ più  leggera.
“Sta tranquillo... non sto architettando nulla alle tue spalle” riprese infine Sherlock, tornando a guardare fuori dalla finestra “E questo frustrante e inutile periodo di calma sta per finire però, a quanto pare...” un sorriso lieve gli apparve sulle labbra e poco dopo si udì  suonare il campanello.
“Un cliente?” chiese John incuriosito.
“Molto meglio” esclamo’ Sherlock Holmes mentre dei passi cominciarono a salire le scale “poliziotti incapaci che hanno bisogno di un consulente investigativo”
Il Dottor Watson avvertì  un fremito di eccitazione al pensiero che ci potessero essere delle novità e si rese conto che il suo amico stava provando la stessa sensazione, tuttavia non potè  fare a meno di essere dispiaciuto per l’interruzione che gli aveva negato la possibilità di continuare ad indagare sullo stato d’animo di Sherlock.
Quest’ultimo battè  le mani soddisfatto e si affrettò  a spalancare la porta dell’appartamento.
“Ahh... Detective Ispettore Lestrade... e il sergente Donovan!” esclamò, provocando un moto di stupore in John che si ritrovò  a fissare la donna a occhi spalancati.
Sherlock osservò  per qualche secondo i nuovi arrivati e poi incrocio’ le braccia dietro alla schiena.
“Sembra che io mi debba correggere, dopo tutto” commentò  con un cenno del capo rivolto verso Sally, che fece un sorriso storto ma esibì contemporaneamente un accenno di divertimento negli occhi.
“Potrei dirti che non mi interessa sapere da che cosa l’hai capito geniaccio” disse “ma tanto tu me lo dirai ugualmente. Sono sicura che non hai perso il tuo tocco magico, ma visto che non ho molto tempo da perdere e vado un po’ di fretta... cerca di essere conciso. Per favore
“Le tue scarpe indicano chiaramente” comincio’ Sherlock, che però  fu subito interrotto.
“Che diavolo ci fa lei qui?” domando’ John con astio.
Tre paia di occhi si puntarono su di lui.
“Tu...” riprese il Dottore alzandosi in piedi e puntando un dito verso Donovan “tu non hai nessun diritto di essere qui, non dopo quello che hai fatto anni fa!”
La donna sembro’ per un attimo a disagio, ma poi raddrizzò le spalle.
“Io ho fatto solo il mio dovere e non ho difficoltà ad ammettere di avere sbagliato, ma a quel  tempo non sono stata l’unica a pensarla a quel modo”
“Questo non toglie che tu ci abbia provato un gran gusto!” replico’ John arrabbiato.
“Per lo meno non mi sono ridotta come Anderson!”
Per lo meno lui ha chiesto scusa!”
“La vogliamo smettere?!” la voce irritata di Greg Lestrade risuonò per l’appartamento “non è  il momento di recriminare, abbiamo importanti novità. La situazione è seria”
“Va tutto bene, John” disse con calma Sherlock, spostandosi di lato per far entrare i due ospiti “sono sicuro che possiamo dimenticare il passato e ascoltare con attenzione quello che l’agente speciale dei servizi segreti Donovan ha da dirci”
Il Dottor Watson fece una smorfia.
“Oh, adesso è una spia. Non posso dire di esserne sorpreso” borbottò senza abbandonare la sua aria ostile.
Sally si limitò a roteare gli occhi e cominciò a parlare.
“Abbiamo notizia sicura che i fratelli Kybransky sono entrati nel paese nelle ultime ventiquattro ore”
L’espressione di Sherlock tradì un accenno di sorpresa, poi si sedette in poltrona e congiunse le mani al mento.
“Quanto sicura è la fonte della notizia?” domandò chiudendo gli occhi.
“Molto”
“Chi sono i fratelli Kybransky?” chiese John.
Il consulente investigativo continuò  a tenere una posa di concentrazione ma rispose ugualmente.
“Una coppia di sicari con una grande preparazione in chimica e biologia. Il loro modo preferito di uccidere è quello che si affida alla scienza. Virus, contaminazioni, attacchi chimici”
Sally Donovan annuì.
“Sono fra i primi venti ricercati dalle polizie di tutto il mondo, responsabili di diversi attentati, omicidi politici e regolamenti di conti fra criminali di alto profilo. Non hanno nessuna remora, lavorano semplicemente per chi li paga di più.
Il loro ingresso in Gran Bretagna dopo la “risurrezione” di Moriarty non puo’ essere una coincidenza”
“Moriarty è morto” disse con fermezza Sherlock.
“Lo eri anche tu” rispose semplicemente Donovan “eppure adesso sei qui”
John si voltò  a fissare l’amico con preoccupazione: fin dall’inizio di tutta quella storia Sherlock aveva mostrato una cieca fiducia nel fatto che Moriarty si fosse davvero ucciso su quel tetto, ma esisteva sempre la possibilità che si fosse sbagliato e in quel caso, la situazione già di per sè grave si sarebbe complicata ancora di più. Non era poi cosi sicuro che Sherlock fosse in grado di accettare il ritorno del suo nemico più acerrimo, non dopo quello che aveva dovuto affrontare per risolvere la questione Magnussen.
“Tu conosci i fratelli Kybransky, speravamo potessi darci una mano a individuare la loro base operativa e il loro obiettivo” la richiesta di Donovan lo distolse dai suoi pensieri.
“In collaborazione con tutti noi” specificò Greg Lestrade con tono serio.
Sherlock riaprì gli occhi di scatto e li fissò  sull’Ispettore.
“Siete tutti convinti che io possa architettare qualcosa per conto mio e voglia muovermi in maniera autonoma” constatò con tranquillità e una punta di curiosità.
“Perchè ti conosciamo bene”  ribattè John, attirando la sua attenzione con una domanda subito dopo “come hai avuto a che fare con  i fratelli Kybransky?”
Sherlock distolse lo sguardo.
“È successo molto tempo fa... non ha importanza, ora”
“È successo mentre eri via? Mentre eri morto?” si trovò a insistere John, mentre una piccola parte di lui non poteva evitare di pensare che erano molte le cose che ancora non sapeva di quel periodo e di cui  invece Sally  sembrava essere a conoscenza.
“Si” fu la risposta secca di Sherlock “ma sta tranquillo... Miss Donovan non è cosi ben informata come sembrerebbe, l’unico motivo per cui è qui è che qualcuno si è premunito di farle avere qualche informazione affinchè mi contattasse.
Come sta il mio caro fratello, Sally?”
“In buona forma, grazie per aver chiesto”
Tutti si voltarono verso la soglia dell’appartamento, dove Mycroft Holmes aveva appena fatto capolino per rispondere alla domanda di Sherlock.
Il taglio impeccabile dell’abito e l’onnipresente ombrello avrebbero potuto facilmente distogliere l’attenzione dall’aria leggermente incerta che il maggiore dei fratelli Holmes aveva sul volto,  ma John non si fece ingannare.
L’atmosfera  si era fatta improvvisamente molto pesante.
Sally Donovan scattò in piedi.
“Signore. Non pensavo sarebbe venuto di persona” commentò.
Mycroft piegò le labbra senza veramente sorridere.
“Non si senta messa in discussione, agente Donovan. Ho solo pensato che fosse ora di far visita a mio fratello e in questo modo si eviterà ogni ulteriore perdita di tempo”
John notò che l’uomo non aveva fatto nessun movimento per oltrepassare la soglia della porta, come se aspettasse di essere invitato ad entrare.
Sherlock non aveva mosso un muscolo dal suo arrivo e non disse una parola.
“Hai mandato lei in una specie di avanscoperta?” chiese meravigliato il Dottore indicando l’ex sergente di Scotland Yard.
Mycroft tenne gli occhi fissi sul fratello e rispose con un’alzata di sopracciglio.
“L’agente Donovan sta seguendo i movimenti dei fratelli Kybransky da molto tempo, può essere considerata un’esperta della questione... ma naturalmente Sherlock può dare un apporto significativo”
“In verità volevi assicurarti che non facessi di testa mia e non eri sicuro che Donovan sarebbe riuscita a controllarmi. Dopotutto non sei stato tu ad assegnarla a questo caso, ti è stata imposta. Stai perdendo il tuo smisurato potere decisionale, Mycroft?”
Il maggiore dei fratelli Holmes inalò a fondo e la sua espressione si fece dura.
“Può capitare, quando si ha un fratello come te e si deve fare i conti con le sue azioni e i suoi colpi di testa”
Sul viso di Sherlock passò un’espressione piena di sarcasmo.
“Oh... la famiglia può essere una vera disgrazia, non è cosi?”
John osservò incuriosito lo scambio che stava avvenendo tra i due, era come se si stessero rinfacciando qualcosa e non era sicuro che si trattasse solo della morte di Magnussen e del conseguente invio di Sherlock all’estero da parte del governo e quindi di suo fratello.
Sembrava esserci di più.
“Non c’è nessun bisogno di controllare che io faccia il bravo” riprese Sherlock dopo una breve pausa “Puoi andartene, essendo rimasto sulla soglia potrai facilmente trovare la strada per l’uscita”
L’affermazione sembrò spiazzare tutti tranne la persona alla quale era stata rivolta.
“L’ingresso in Gran Bretagna dei fratelli Kybransky può essere potenzialmente pericoloso. Una vera minaccia, se associato a quello che sta succedendo... non è certamente il momento adatto per essere ostinato in modo ridicolo. Non credo tu possa biasimarmi per aver voluto essere sicuro della tua capacità di giudizio” commentò Mycroft  come se non fosse appena stato cacciato.
Sherlock emise un suono di scherno.
“Non sta succedendo nulla. La serie di omicidi si è interrotta due settimane fa...e non siamo riusciti a delineare bene i collegamenti fra tutte le vittime.  I fratelli Kybransky possono essere arrivati nel paese per motivi totalmente differenti” disse.
“Non lo crederai sul serio?” fu il commento incredulo di Greg Lestrade.
“Sto solo valutando tutte le possibilità”
L’atmosfera all’interno dell’appartamento continuava ad essere tesa e John si schiarì la voce.
“Bene” disse guardandosi intorno “e pensare che fino a pochi attimi fa Sherlock si stava lamentando di questo inutile e frustrante periodo di calma. Sembra proprio che sia finito”
 “Si fratellino... è una fortuna, non pensi anche tu? Credo che la tua scorta di lattine a cui sparare stesse per terminare” commentò Mycroft con tono ironico.
Il consulente investigativo serrò le labbra e si alzò in piedi, poi raggiunse la soglia dell’appartamento e si fermò a pochi centimetri dal viso del fratello maggiore.
“Voglio che una cosa sia chiara.
Io. Non. Sto. Lavorando. Per. Te” scandì con calma lasciando però trasparire una profonda rabbia.
Mycroft sorrise a labbra strette.
“Non per me, ovviamente. Per il governo britannico, con il quale ti ricordo hai ancora un grosso conto in sospeso. Risolvi questo caso, Sherlock, e potrai aver fatto un considerevole passo avanti verso quello che potremmo definire... un perdono. Potresti addirittura ritrovarti libero di muoverti di nuovo a tuo piacimento”
Sherlock alzo’ un angolo della bocca in una smorfia.
“Quanta generosità. Mi chiedo però se questo comporti anche il potermi liberare di te” commentò.
Mycroft lo osservò per un attimo, poi si voltò per uscire dall’appartamento.
“Non sono io la fonte dei tuoi attuali problemi, Sherlock. Di nessuno di essi.” gli rispose da sopra le spalle “Sei stato bravissimo a crearteli da solo.
Mi aspetto un rapporto esaustivo quanto prima, Agente Donovan.
Buongiorno a tutti”
I quattro rimasti nell’appartamento rimasero per qualche secondo in un silenzio imbarazzato, poi Lestrade fu il primo a parlare.
“Beh, non si può dire che ci si annoi, con voi due”
John tornò a guardare con preoccupazione l’amico in attesa che commentasse qualcosa, ma Sally fu più veloce a riprendere il filo del discorso.
“Suppongo che tu abbia le tue fonti a cui rivolgerti per cominciare a raccogliere informazioni” esclamò rivolta a Sherlock.
“Le consulterò quanto prima” le rispose lui.
“Gradirei essere presente, se non ti dispiace”
“Si, mi dispiace” fu la risposta secca che ottenne “sono sicuro che le persone che devo incontrare non vedrebbero di buon occhio il fatto che io sia accompagnato da un ex agente di Scotland Yard che ora fa la spia per il governo. Sai... niente di personale. O forse si, dipende dai punti di vista naturalmente”
“Se ti aspetti che io mi sieda in un angolo e aspetti che tu condivida le informazioni ti sbagli di grosso...” disse la donna risentita.
“Lo accompagno io. E mi assicurerò che ti faccia rapporto quanto prima”
John intervenne con un tono fermo e uno sguardo altrettanto deciso rivolto al consulente investigativo.
Sherlock sembrò sul punto di replicare con qualche commento sarcastico ma si astenne non appena colse l’espressione dell’amico.
“Ohhh... va bene. Ti ragguaglierò non appena avrò raccolto delle informazioni utili, contenta?” disse con impazienza a Sally.
“Non dimenticare anche me, per favore” aggiunse Lestrade con un sorriso che però non nascose un tono di minaccia.
Sherlock serrò le labbra e li guardò con irritazione.
“Posso almeno andare a vestirmi senza che qualcuno pretenda di venirmi dietro?” chiese con fare petulante.
Lestrade e Donovan alzarono le mani in segno di resa e uscirono dopo un veloce congedo.
John si sedette sul divano, allungò le gambe davanti a lui con aria soddisfatta  e sorrise a Sherlock.
“Fai pure con calma. Io ti aspetto qui”
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** capitolo 2 ***


Approfittando degli ultimi giorni di ferie... il secondo capitolo!
Grazie mille a martiachan che ha commentato anche quello precedente... io spero davvero che la storia stia piacendo a chi la sta leggendo (ho visto che sono aumentate le persone che la preferiscono e la seguono... grazie anche a voi!)

Come sempre, nulla mi appartiene ma per ora tutto mi fa ancora divertire.

 
LA SOMMA DI TUTTE LE COSE

CAPITOLO DUE


 
Quando John riconobbe la zona in cui il taxi li aveva accompagnati, rivolse un’occhiata piena di noia a Sherlock.
“Che ci facciamo qui?” domandò con insofferenza.
“Raccogliamo informazioni, naturalmente” fu la risposta che ottenne, come se la loro presenza in uno dei posti più malfamati della città fosse assolutamente normale.
Il Dottor Watson fece una smorfia.
“Oh, certo. Informazioni” replicò mentre scendeva dalla macchina e sbatteva la portiera “Perdonami, riesco sempre ad associare posti come questi alla tua ricaduta nelle droghe, ma sono sicuro che ci sono un sacco di altre cose interessanti da scoprire” finì in tono ironico.
Anche Sherlock era sceso dal taxi e si irrigidì sul marciapiede.
“Era per un” cominciò quasi automaticamente.
John alzò una mano per fermarlo.
“Caso. Si, si... l’hai già detto. Entriamo?” disse il Dottore, mentre già si dirigeva a passi sicuri verso l’edificio che avevano di fronte.
Sherlock lo seguì.
“Sei ancora arrabbiato per quella storia, nonostante tutto” commentò facendo bloccare l’amico al primo gradino di una palazzina.
Lo vide incassare la testa fra le spalle, come alla ricerca delle parole giuste.
“Si. Perdonami, ma non riesco a togliermi dalla testa che avresti potuto trovare un altro modo” rispose John dopo un attimo di esitazione.
Il consulente investigativo rimase per qualche secondo in silenzio: una parte di lui era davvero davvero stufa di doversi giustificare, semplicemente perchè un tempo non ne avrebbe avvertito la necessità e il fatto che invece ora lo considerasse possibile, quasi necesarrio,  era sicuramente un segno di debolezza.
Ma d’altra parte, John era il suo migliore amico e capiva di avergli procurato un dolore e di averlo preoccupato e tutte queste sensazioni erano ancora relativamente nuove per lui, anche se si conoscevano ormai da tempo.
Era dannatamente complicato.
“Lascia stare, non è sicuramente il momento di parlarne” riprese il Dottore, che sembrò avvertire il suo disagio e non volle infierire oltre: senza voltarsi appoggiò una mano sulla maniglia della porta, che cedette dopo una lieve spinta.
Entrambi arrivarono in un corridoio che dava su diverse stanze: Sherlock indicò la terza sulla destra ed entrò senza bussare.
“Shezza!”
John fece una smorfia dopo aver sentito l’esclamazione e varcò la soglia dell’appartamento cercando di evitare gli innumerevoli cartoni sparsi per terra.
“Ma guarda un po’ chi si rivede...” commentò per nulla sorpreso.
“Dottore” Wiggins lo salutò con un cenno del capo e si alzò dal lurido materasso su cui era seduto a leggere.
Guerra e pace di Tolstoj, notò John.
Quel ragazzo era proprio pieno di sorprese.
“Billy” salutò Sherlock, inoltrandosi più a fondo nella stanza e scrutandola con sguardo indagatore.
“Che succede?” chiese il ragazzo passandosi le mani sulle gambe per stirare i pantaloni spiegazzati “ti serve di nuovo qualcosa di particolare?”
John lo fulminò con lo sguardo.
“No, grazie” rispose in tono rigido.
Wiggins fece un sorriso storto e non si mostrò per nulla offeso al rifiuto netto delle sue prestazioni.
“Come sta la sua signora, Dottore? Ormai è bella grossa, vero?”
“Attento, Billy. Sembra che commentare il pur ovvio aumento di peso di una donna in gravidanza sia pericoloso. Si possono incorrere in veri attacchi d’ira, con possibilità di aggressioni fisiche” rispose Sherlock in maniera quasi assente, prima di continuare in tono molto più deciso “Informazioni, ci servono solo quelle”
L’espressione di Wiggins si fece nervosa.
“Ecco... veramente stavo per uscire...” esordì leccandosi il labbro superiore “di qualsiasi cosa tu abbia bisogno possiamo fare in fretta per favore?”
“Pieno di impegni, Billy?” chiese il consulente investigativo raggiungendo il materasso e scansando con un piede un vecchio zaino militare appoggiato li vicino.
“Io...” rispose il giovane “giusto, si. Ho un appuntamento”
“Un appuntamento” ripetè pensieroso Sherlock senza abbandonare gli occhi dalla borsa.
“Esatto, si” confermò Billy.
John osservò l’amico girarsi di scatto.
“Non ci metteremo molto, sempre se sarai collaborativo”
Billy sembrò sollevato nel vedere che l’attenzione del consulente investigativo si era distolta dallo zaino.
“Lo sai che se posso ti aiuto. Che genere di informazioni ti serve?” chiese con lo sguardo rivolto al pavimento.
Sherlock gli si avvicinò.
“Quelle che ci dicono se qualcuno sta facendo spese speciali... per esempio in componenti chimici”
Wiggins sembrò deglutire a fatica.
“Che tipo di componenti chimici?” domandò senza alzare il viso.
“Non di quelli che di norma utilizzeresti tu. Diciamo piuttosto qualcosa di letale. Che agisce molto più in fretta, comunque. Ma forse tu lo sai già” la voce di Sherlock si era fatta alquanto bassa e inquisitoria.
Bily alzò la testa a fatica e  fece girare lo sguardo a lungo per tutta la stanza.
“Io... non so niente” disse infine “Ma terrò le orecchie aperte, va bene? Mi spiace non potervi aiutare ma ora se volete scusarmi...”
Sherlock gli si avvicinò ulteriormente e puntò su di lui i suoi occhi chiari.
“Quanta fretta. Non trovi che il ragazzo abbia fretta, John?” chiese senza distogliere lo sguardo da Billy.
Il Dottore annuì.
“Si. Ho anche io questa impressione. Mi chiedo perchè”
Wiggins strinse le labbra con nervosismo.
“Sentite, sul serio... Shezza lo sai che se posso ti aiuto volentieri ma in questo momento... ehi!”
L’esclamazione era stata fatta alla vista di Sherlock che afferrava lo zaino e lo apriva per estrarne una scatola.
John si sarebbe aspettato molte cose, ma non il contenuto che fu rivelato.
La scatola conteneva delle statuine Swarosky appoggiate con cura su di un’imbottitura.
“Vedo che la tua collezione si è arricchita” commentò Sherlock fissando gli oggetti con attenzione.
 “Per favore... lascia stare la mia roba” la voce di Billy era supplichevole.
La mascella di Sherlock si contrasse e afferrò di malagrazia uno degli oggetti.
“E questa?”
Wiggins si avvicinò protendendo le mani in posa supplichevole.
“Non l’ho rubata, lo giuro!” disse velocemente “E’ un regalo... me l’ha regalata lei la settimana scorsa, ci siamo incontrati fuori da casa sua e mi ha invitato a salire  per un caffè. E’ gentile con me. Quando ha visto che la statuina mi piaceva e ha saputo che le colleziono ha insistito perchè la prendessi. Ha detto che sapeva che ne avrei avuto cura. Era come se... le stesse cercando un posto migliore” terminò Billy in un sussurro, continuando a tenere d’occhio Sherlock.
John a questo punto si era un po’ perso.
“Lei chi, scusate?”
Prima che Wiggins potesse rispondere, Sherlock afferrò la statuina dopo aver appoggiato la scatola e cominciò a farla saltare da una mano all’altra, provocando un gemito di disperazione nel ragazzo.
“Hai già procurato roba a qualcuno, Billy?” chiese con voce improvvisamente tesa e arrabbiata.
L’altro spalancò gli occhi.
 “Ehi attento... lo sai che è fragile!”
John notò una lieve nota di panico nella sua voce, doveva tenere davvero molto alla sua collezione e improvvisamente gli spiacque un po’ che Sherlock stesse usando quegli oggetti per spaventarlo.
Non avendo ottenuto risposta, il consulente investigativo fece saltare la fragile figura della ballerina  ancora più in alto.
Billy fece un altro passo in avanti e alzò le mani in segno di resa.
“Ok ok!! Ho solo sentito in giro che certa gente cercava certa roba, ma non sono riuscito a procurarla. Conosco chi potrebbe averlo fatto. Senti, vuoi metterla giù per favore?” supplicò.
“Il nome, Wiggins” dichiarò secco Sherlock, continuando a lanciare la statuina per aria.
“Stuart Loggins. E’ un tizio che lavora per conto suo, ha i mezzi per procurare tutto quello che vuoi. Per favore...”
Sherlock afferrò per l’ultima volta il pezzo Swarosky, poi lo appoggiò con delicatezza insieme alle altre e Billy si affrettò a raggiungere la sua collezione per risistemarla bene nella sua scatola.
John fu quasi preso a compassione nel vedere quanta cura e attenzione ci mettesse: non si sarebbe mai aspettato che qualcuno con le attitudini di Billy potesse nascondere una passione di quel genere.
Wiggins colse il suo sguardo e si fece rosso in viso.
“Mi piacciono... mi piacciono i riflessi colorati che hanno quando vengono colpite dalla luce e... sono belle. Fragili e perfette” disse, quasi giustificandosi.
“Stai lontano da quella gente, Billy” gli consigliò Sherlock “sono molto più pericolosi di quanto tu possa pensare. Sono convinto che gli altri tuoi affari siano più che sufficienti a colmare le tue necessità ma se così non fosse e avessi bisogno di qualcosa, fammelo sapere”
John sorrise, dopo tutto l’amico non era così noncurante nei confronti della sua “rete”.
La voce di Billy li raggiunse quando stavano per oltrepassare la soglia per andasene.
“Lei sembrava molto triste” disse in tono tranquillo.
Sherlock Holmes strinse le labbra e uscì senza nessun ulteriore commento.
 
***
 
Stuart Loggins era inequivocabilmente morto quando raggiunsero la sua casa circa un’ora più tardi.
John capì subito che Sherlock non si era aspettato nulla di diverso: a quanto pareva i fratelli Kybransky non amavano lasciare la benchè minima traccia del loro passaggio e dopo essersi procurati ciò che serviva, avevano cancellato un possibile testimone.
“Non capisco. Credi che non sappiano che siamo a conoscenza del fatto che sono entrati nel paese? Che bisogno c’era di ucciderlo?”
John pose la sua domanda mentre esaminava velocemente il cadavere e constatava i fori di proiettile in pieno petto.
“Le fotografie dei fratelli Kybransky che sono in circolazione sono abbastanza datate, io stesso non li ho mai veramente incontrati e se hanno fatto la loro spesa senza affidarsi a degli intermediari, forse non volevano correre il rischio che Loggins potesse identificarli. Inoltre in questo modo se ne va l’unico testimone che poteva dire che cosa hanno comprato”
“Il che potrebbe essere un punto di partenza per capire cosa hanno in mente di fare” terminò John alzandosi in piedi e facendo una smorfia sentendo le articolazioni delle ginocchia lamentarsi.
Sto invecchiando.
“Basterà che tu faccia un esercizio fisico più regolare” commentò Sherlock mentre scriveva un messaggio a Lestrade e John ci mise un attimo a capire che si stava riferendo a quello che aveva pensato pochi secondi prima. Possibile che avesse parlato a voce alta?
“No, non hai parlato a voce alta. E’ bastata la tua smorfia di fastidio quando ti sei alzato” aggiunse l’amico senza staccare gli occhi dal telefono.
John fece un sorriso.
“Giusto. Peccato che tra il lavoro, i nostri casi e l’arrivo di mia figlia non avrò molto tempo da dedicare alla ginnastica”
Sherlock finalmente mise via il cellulare.
“Dovrai trovarlo” disse sorridendo a sua volta “altrimenti come farai a camminare carponi per trottare dietro alla bambina o a stare sul tappeto a fare assurdi giochi per stimolare le sue risposte neurologiche?”
John alzò un sopracciglio in una smorfia divertita.
“Pensavo di lasciare queste incombenze a te, per la verità”
Il sorriso di Sherlock scomparve dal suo volto mentre si immaginava in tutte quelle attività così... ordinarie.
E ridicole.
Decisamente ridicole.
Inspirò forte e raddrizzò le spalle.
John sorrise di nuovo nel vedere la sua espressione quasi scandalizzata.
“Ti toccherà” commentò soddisfatto “sarai il suo padrino, eccome se ti toccherà”
Quando Lestrade arrivò dopo qualche momento li trovò che stavano ancora entrambi sogghignando.
“Ehi! Questa è una scena del crimine!” li rimproverò.
“Grazie della puntualizzazione, Ispettore” rispose Sherlock “oltre a questa ovvietà, io posso aggiungere che Stuart Loggins è stato ucciso circa tre ore fa da qualcuno che conosceva a cui ha aperto la porta, qualcuno che ha chiaramente preso delle cose dal magazzino. Ci sono tracce di almeno due persone diverse, uomini, sul metro e ottanta, le tracce in uscita sono leggermente più marcate di quelle in entrata, portavano qualcosa con sè. Suole di scarpe di fabbricazione italiana, molto costose”
“Il che ci porta di nuovo verso i fratelli Kybransky” commentò Donovan entrando nella stanza.
John si fece perplesso.
“Perchè?”
“I nostri amici amano le cose di lusso, vestono solo grandi firme” rispose Sally, dirigendosi verso Sherlock.
“Pensavo fossimo d’accordo di tenerci informati” gli disse in tono annoiato.
Lui alzò le spalle.
“Mi sembra che tu sia arrivata qui senza problemi”
La donna fece una smorfia.
“Solo perchè Lestrade mi ha chiamato” rispose “Lui, non tu” puntualizzò.
Sherlock non replicò e si diresse verso l’uscita.
“Il magazzino dietro di Leggins è molto interessante. Fai recapitare tutto al Bart’s, avremo modo di analizzare i vari componenti e forse potremo capire che cosa manca e cosa hanno preso” disse rivolto a Lestrade, il quale sbuffò.
“Non credi che sia una decisione che debba prendere io?” chiese un po’ irritato.
Sherlock roteò gli occhi.
“Cerco solo di risparmiarti tempo! Dove altro pensi che potrei lavorare? E se non me ne occupo io quegli idioti dei tuoi tecnici potrebbero metterci un’infinità di tempo e non ricavarci comunque nulla!”
“Potrei decidere di affidare comunque il lavoro a loro, giusto per non darti soddisfazione!” minacciò l’Ispettore risentito, prima di capitolare “Oh, va bene, che discuto a fare? Era naturale che tu avresti voluto tutto al Bart’s!”
Sherlock si zittì e strinse gli occhi per l’irritazione (era vero, per lui era stato assolutamente naturale e automatico pensare di lavorare da Molly: per un attimo, solo per un attimo, si era dimenticato della situazione attuale), poi sembrò cambiare idea e piuttosto di uscire si avvicinò all’uomo, cominciando a scrutarlo da vicino.
Nella stanza calò un improvviso silenzio.
Il consulente investigativo inclinò la testa da una parte e poi dall’altra e infine la scosse piano.
“Ohhh... Lestrade. Sul serio vuoi riprovarci di nuovo?” chiese in tono quasi sorpreso.
Il poliziotto si irrigidì.
“Dopo il disastro della prima volta sei davvero intenzionato a ripetere l’esperienza” continuò il consulente investigativo.
“Stai attento, Sherlock” sibilò Greg stringendo i pugni.
“Ragazzi! Che succede?” si intromise preoccupato John.
“Lestrade sta per riprovare l’emozionante avventura del matrimonio. Come un uomo possa non imparare dai propri sbagli è davvero un mistero” commentò Sherlock in modo assolutamente sarcastico.
“Che cosa?!? Ma è fantastico! Congratulazioni!” Jon si avvicinò e battè una mano sulla spalla di Greg, che sembrò rilassarsi impercettibilmente.
Un lieve sorriso fece capolino sul suo volto.
“Ve l’avrei detto presto, in verità non vedo l’ora di presentarvela... a quasi tutti voi” disse gettando un’occhiataccia a Sherlock “gliel’ho appena chiesto” continuò con un po’ di imbarazzo.
“Questo pomeriggio a pranzo. Il vostro anniversario, vi conoscete da sei mesi” lo sfidò Sherlock.
Lestrade scosse la testa.
“Non te lo chiederò, sul serio. Non voglio sapere come lo sai, non mi interessa”
“Congratulazioni, signore” si intromise Sally Donovan con un sorriso.
“E bravo Greg! Ci hai fregati tutti” disse John in tono contento “sai che significa questo, vero? Che la mia signora vorrà al più presto organizzare un’altra cena. Non aspetta altro... questa volta ci saremo davvero tutti!”
“Beh... Molly per la verità la conosce già. E’ lei che ci ha presentati, Linda è un’infermiera che lavora al Bart’s” all’affermazione di Lestrade Sherlock strinse le labbra e fece un passo indietro.
“Un po’ affrettato, non credi?”
John spalancò gli occhi per il tono rude che l’amico aveva assunto, ma l’Ispettore scrollò le spalle con indifferenza.
“Perchè mai dovrei aspettare? E’ una donna meravigliosa che mi rende molto felice e sta attento a quello che stai per dire, potrei sempre colpirti”
Per un attimo il consulente investigativo sembrò comunque sul punto di replicare in modo tagliente, poi si girò  e si diresse di nuovo verso la porta.
“Le mie congratulazioni, Ispettore” dichiarò “Non si può certo dire che tu manchi di coraggio, anche se qualcuno potrebbe definirla cieca ostinazione”
John scosse la testa e dopo aver rivolto un sorriso di simpatia a Greg si affrettò a raggiungere l’amico.
“Non tutti sono degli idioti come te, Sherlock” commentò piano Lestrade, guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte di Sally Donovan.
 
***
 
“Potevi anche risparmiarti i tuoi commenti al vetriolo” disse John quando furono di nuovo in taxi.
Sherlock non rispose e continuò a tenere lo sguardo puntato sul finestrino.
Non era di certo fiero del suo comportamento verso Lestrade, che era dopo tutto una delle persone più importanti della sua vita, ma per la terza volta quel giorno l’accenno a Molly Hooper aveva avuto la conseguenza di scatenare in lui solo rabbia e nervosismo: la prima era stata con Mrs. Hudson e  la seconda con Billy, quando aveva visto la statuina della ballerina di Molly nella collezione del ragazzo e aveva capito che lei gliel’aveva regalata quasi come segno d’addio.
Era stato improvvisamente conscio del fatto che la patologa se ne stava per andare via. Non che questo fosse un pensiero che qualche volta lo abbandonava (in quei giorni era sempre stato li, strisciante e pungente, pronto ad emergere nei  momenti meno opportuni), ma il dono di Molly a Billy ne aveva decretato tutta l’irrimediabilità e la concretezza: il fatto che la ragazza si fosse liberata di un oggetto a cui comunque teneva (era un ricordo dell’università, un regalo che si era fatta quando aveva passato un esame particolarmente difficile) era la prova tangibile che lei stava cominciando a prepararsi per lasciare Londra.
Sul serio.
Per sempre.
E Londra senza Molly Hooper era un pensiero... disturbante.
Strinse i pugni all’interno delle tasche del cappotto e ripensò brevemente a quello che Microft gli aveva detto, che era stato bravissimo a crearsi i suoi attuali problemi da solo: riconobbe con sè stesso che era vero, ma non poteva fare a meno di provare rabbia nei confronti del fratello, il quale aveva fatto in modo che Molly ascoltasse quella maledetta registrazione e si facesse un’idea sbagliata.
Perchè lui avrebbe voluto averla al suo fianco, ma semplicemente non poteva permetterselo. La presenza di Molly Hooper al momento della sua partenza avrebbe aperto un baratro di emozioni che era semplicemente inaccettabile e insostenibile... era già stato difficile salutare John e Mary, ma per lo meno sapeva che loro avrebbero avuto l’un l’altra per sostenersi a vicenda e che l’arrivo della bambina avrebbe riempito le loro vite in maniera più che ampia.
Quale scopo avrebbe avuto salutare Molly per l’ultima volta e lasciare che comprendesse che per lui non era previsto un ritorno? Perchè non c’era dubbio che lei l’avrebbe capito, anche senza l’intervento di Mycroft. Lei aveva la straordinaria capacità di leggergli dentro, quella capacità che le aveva permesso di vedere la sua difficoltà prima del suo finto suicidio e che le aveva fatto offrire il suo aiuto in maniera incondizionata.
Ricordava ancora con nitidezza lo sguardo furioso che la patologa gli aveva rivolto insieme ai tre schiaffi con cui l’aveva colpito in rapida successione: era lo sguardo di una donna offesa e arrabbiata, ma anche delusa. Era stato peggio di quel Natale, quando l’aveva insultata davanti a tutti... almeno in quell’occasione era riuscito a scusarsi, mentre al laboratorio non aveva fatto altro che ritorcerle contro sarcasmo e crudeltà. E poi Molly lo aveva sentito in quella registrazione definirla non necessaria e si era definitivamente arresa.
“Che intendeva dire Mycroft?”
La voce di John lo distolse dai suoi pensieri e si girò a guardarlo con aria perplessa.
“Quando ha detto che non è responsabile di nessuno dei tuoi problemi” riprese il Dottore “sembrava quasi che stesse parlando di qualcosa di diverso dalla faccenda di Magnussen”
Sherlock strinse le labbra.
“Sai che mio fratello ama essere melodrammatico, tende sempre ad esagerare”
“Però tu sei arrabbiato con lui” constatò John con calma.
Il consulente investigativo fece un sorriso storto.
“Essere in disaccordo con Mycroft è una delle grandi missioni della mia vita, farlo non cessa mai di darmi soddisfazione”
L’amico lo studiò per qualche secondo, evidentemente non troppo convinto della risposta che aveva ricevuto, ma poi il taxi si fermò e Sherlock ne approfittò per scendere velocemente.
“Ehi!” esclamò il Dottore, cercando in fretta e furia del contante da dare al guidatore “vuoi aspettarmi?”
Il suo compagno si era diretto a grandi passi verso l’entrata dell’ospedale, poi però si era fermato di botto.
“Ohi, grazie!” gli disse John, convinto che si fosse bloccato per farsi raggiungere “e ti faccio notare che ho pagato di nuovo io il taxi. Beh adesso ci sono, comunque... allora?” la domanda era stata posta perchè Sherlock sembrava quasi esitare e stava contemplando la porta d’ingresso con attenzione.
John aspettò qualche secondo, poi annuì convinto.
“Si certo” disse tra sè e sè “naturalmente capisco”
L’altro si voltò sorpreso.
“Chiedo scusa?”
John annuì di nuovo.
“Sai, spero tanto anche io che non succeda”
Sherlock si irrigidì. Possibile che John avesse in verità scoperto cosa stesse accadendo e si fosse preso gioco di lui fino a quel momento fingendo ignoranza?
“Che cosa?”
“Che Molly non sia in servizio, naturalmente! Non era a questo che stavi pensando? Certo è una bella cosa che si sia interessata all’insegnamento e che ultimamente richiedano spesso le sue consulenze, ma se devo pensare di lavorare ancora con il Dottor Coleman mi viene la nausea. Sembra sempre sul punto di chiederci un autografo!”
Sherlock strinse le labbra.
“Già” si limitò a commentare mentre varcava finalmente la soglia dell’ospedale.
Una parte di lui desiderava rivedere la patologa, ma un’altra...
Un’altra parte era assolutamente impreparata e innervosita all’idea di confrontarsi di nuovo con lei.
 
 

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Capitolo 4
*** capitolo 3 ***


Ufficialmente ferie finite, mi consolo con un altro capitolo e poi diventerò inesorabilmente più lenta con gli aggiornamenti!
Grazie a martiachan commentatrice fedelissima e a cateperson per il suo entusiasmo. È arrivato finalmente il momento di Molly, con un piccolo intermezzo che spero tanto piaccia a... non lo dico, spoiler!
Le recensioni e i giudizi sono come sempre molto ben accetti, buona lettura!

 
LA SOMMA DI TUTTE LE COSE

CAPITOLO 3

 
 
Gli organi all’interno della cavità toracica erano in buono stato, e il decesso non sembrava essere imputabile a un cedimento di alcuno di essi.
Questo significava ulteriori esami approfonditi dei liquidi, del sangue e probabilmente del cervello.
Molly Hooper sospirò e iniziò a dettare le sue osservazioni nel microfono appeso sopra alla sua testa, adottando come sempre inconsciamente quel modo di parlare alquanto distaccato e professionale che le era invece cosi estraneo nella vita di tutti i giorni.
Una volta, Tom aveva sentito la registrazione di una delle sue osservazioni che stava trascrivendo al computer mentre la aspettava per uscire a cena (fortunatamente, non una di quelle troppo particolareggiate) e le aveva detto ridendo che gli sembrava di essere fidanzato con due donne contemporaneamente, la Dottoressa con il suo tono sicuro e diretto e la Molly che a volte in preda alla timidezza  ancora si emozionava, incespicava sulle parole e iniziava a balbettare.
Erano stati a conoscere i genitori di lui il weekend prima e lei ce ne aveva messo di tempo, prima di smettere di essere rossa come un peperone e riuscire a dire qualche parola in fila e a sentirsi un po’  a suo agio.
Ai genitori di Tom Molly era piaciuta molto e loro erano piaciuti a lei: c’era qualcosa di estremamente rassicurante in quel cottage di campagna e nel profumo di torta appena sfornata che l’aveva accolta sulla soglia, insieme ai sorrisi dei suoi futuri suoceri.
Forse aveva amato più l’idea di far parte della famiglia di Tom che lui stesso, pensò la patologa con amarezza e una punta di vergogna.
Aveva amato il pensiero di una vita tranquilla, serena e normale.
Noiosa, potè quasi sentire la voce di Sherlock martellare nella sua testa e lei non potè fare altro che darle ragione, ma al contempo...
Ma al contempo sarebbe stata la sua vita noiosa e lei si sarebbe accontentata, si sarebbe impegnata.
Aveva gettato tutto al  vento, però... e non se ne era accorta se non quando era stato troppo tardi. Ma  era stato meglio cosi, dopotutto, perchè Tom meritava molto di più che una moglie che si accontentava.
La questione che rimaneva era un’altra.
Lei ora che cosa si meritava?
Il bisturi scivolò con un movimento sicuro fra le sue mani lungo l’incisione che stava praticando, per nulla disturbato dalla stretta che si era fatta leggermente più marcata: Molly si fermò comunque un attimo e fece un secondo sospiro più profondo per riguadagnare tutta la sua concentrazione, poi terminò l’analisi che stava effettuando senza lasciare che altri pensieri cercassero di distrarla.
Era difficile, in quei giorni.
C’era stata la grande paura di rivedere Jim
(no, non Jim. Moriarty)
ovunque, su ogni schermo e video, e di porsi la grande domanda se fosse davvero possibile che lui fosse ancora vivo.
(Che cosa era peggio? Pensare che anche lui avesse inscenato la sua morte e fosse quindi pronto a tornare, o il pensiero che ci fosse qualcuno talmente pazzo e preparato tanto da essere in grado di “resuscitarlo” con chissà quale scopo?)
C’era stata l’ondata di crimini che era seguita, che aveva messo tutti a dura prova e aveva generato tante domande ma aveva fornito poche risposte.
E naturalmente c’era stato Sherlock, tornato dal suo esilio di quattro minuti e di nuovo pronto a giocare, come se non fosse successo nulla.
Come se non fosse stato sul punto di partire per andare incontro a una morte sicura.
Mentre cominciava a preparare i suoi strumenti per la pulizia, Molly ritornò con il pensiero al momento in cui aveva realizzato che quello di Sherlock era molto probabilmente un viaggio di sola andata. Nella sua testa c’era stato come un black out, per qualche minuto era stata semplicemente incapace di pensare a qualsiasi cosa. Poi era sopravvenuta la rabbia... rabbia verso Sherlock che si era cacciato in quel pasticcio , rabbia verso suo fratello che non sembrava intenzionato a bloccare quella follia, rabbia verso Magnussen e perfino verso John e Mary e per i loro problemi e  i loro segreti (perchè sul serio, per chi altri Sherlock avrebbe potuto uccidere un uomo a quel modo?)
Rabbia verso sè stessa, perchè questa volta non poteva fare nulla per aiutare.
Poi era arrivata la speranza, perchè doveva esserci una soluzione e se c’era qualcuno in grado di sopravvivere, quello era Sherlock Holmes e a quel pensiero Molly si era attaccata con tutte le sue forze.
Ma insieme alla speranza era arrivata la delusione finale, l’ultima di una serie che avevano costellato il suo rapporto con il consulente investigativo e quel giorno, ascoltando quella registrazione nell’elegante ufficio di Mycroft, il cuore di Molly si era definitivamente spezzato.
A Sherlock era stata offerta l’occasione di incontrarla un’ultima volta e lui non l’aveva ritenuto necessario.
Avrebbe potuto dire mille altre cose e non le avrebbe fatto cosi male.
Buffo, come una parola possa cambiare improvvisamente tutto, riflettè amaramente Molly mentre faceva partire la macchina per la sterilizzazione: fino a quel momento le era sembrato di poter sopportare anche gli ultimi avvenimenti, le droghe, il modo orribile in cui quella donna era stata usata, le parole cattive del giorno del test al laboratorio... ennesime bruciature che però si sarebbero rimarginate, con il tempo, perchè fra loro due era esistito anche dell’altro.
Tu conti.
La persona più importante per me.
Ma invece il cuore di Molly  non aveva retto a quell’ennesima scossa e si era spezzato per l’ultima, definitiva volta e lei era sicura che non sarebbe mai guarito del tutto, ma andava bene cosi.
Sarebbero rimaste delle cicatrici che l’avrebbero aiutata a ricordarsi del perchè la sua decisione di andarsene fosse giusta. Lei non voleva guarire, voleva ricordare e ricordando sarebbe ripartita per ricostruirsi una nuova vita.
Lontana dal fuoco che l’aveva bruciata cosi tante volte.
L’idea di lasciare Londra e il suo lavoro, di lasciare i pochi amici e tutte le sue sicurezze non era naturalmente nè semplice nè indolore, ma Molly risolveva tutti i suoi dubbi ponendosi una semplice domanda.
Che altro avrebbe potuto fare, se non allontanarsi?
Aveva già cominciato a farlo nelle settimane precedenti, con piccoli passi che comunque naturalmente Sherlock aveva colto e di cui le aveva chiesto conto, quella notte di una settimana prima: era contenta che avessero avuto modo di chiarirsi, per lo meno non era rimasto più nulla da dirsi e poco importava se le lacrime continuavano ad arrivare improvvise e traditrici, Molly Hooper era decisa ad andarsene.
Aveva fatto una promessa, però, e intendeva mantenerla, per questo era pronta al fatto che Sherlock sarebbe presto arrivato: se c’era stato un qualche sviluppo forse era finalmente arrivato il momento di risolvere la tremenda situazione in cui si trovavano e la patologa sapeva che Sherlock ce l’avrebbe fatta, la sua fiducia in lui e nelle sue capacità non era stata affatto intaccata e se poteva aiutarlo, l’avrebbe fatto. Greg le aveva appena mandato un messaggio avvertendola dell’imminente arrivo di un corpo e del contenuto di un “laboratorio” non meglio specificato, chiedendole di portare pazienza e permettere al consulente investigativo di lavorare li.
Molly scosse la testa, non c’era nessun bisogno di portare pazienza, dove altro avrebbe potuto lavorare Sherlock se non al Bart’s? Quella era una certezza che lei non avrebbe mai messo in discussione, troppe vite e troppe cose dipendevano da questo, anche se non poteva evitare di avvertire una certa inquietudine all’idea di rivederlo.
Sorrise leggermente al pensiero delle ultime parole che Greg aveva aggiunto nel suo sms.
Ha detto si.
Non era difficile capire di cosa stesse parlando, visto che nell’ultima settimana l’Ispettore non aveva fatto che esprimere alternativamente i suoi dubbi, la sua impazienza e il contemporaneo terrore all’idea di fare la sua proposta.
Ma soprattutto, Linda le aveva già mandato un messaggio entusiasta per annunciarle il fidanzamento.
La felicità è possibile, si disse risoluta Molly.
Esiste.
Bisogna solo rendersi conto di dove è possibile trovarla, continuò a ragionare mentre cominciava a pulire il tavolo di lavoro e sentiva delle voci avvicinarsi.
E dove invece è impossibile da conquistare, finì di pensare tristemente mentre Sherlock Holmes faceva il suo ingresso nell’obitorio.
 
***
 
Mycroft Holmes appoggiò la cornetta del telefono sulla sua scrivania ed emise un sospiro di impazienza, mentre cominciava nervosamente a tamburellare con le dita sul ripiano di legno pregiato.
Anthea, seduta dirimpetto a lui a un altro tavolo non meno elegante, non spostò gli occhi di un millimetro dal suo blackberry
“Richiamerà” si limitò a dire continuando a digitare sulla tastiera.
L’uomo alzò un sopracciglio contrariato.
“La tua fiducia nel genere umano non cessa ancora di stupirmi” disse con una punta di disdegno.
Lei fece un mezzo sorriso.
“L’agente Donovan può non essere la prima persona alla quale avresti affidato un incarico cosi importante come quello che sta svolgendo, ma è competente nel suo lavoro e conosce tuo fratello quel tanto che basta per esserne esasperata senza aver voglia di ucciderlo. Due qualità non indifferenti che non si associano spesso nella stessa persona, non credi?”
Mycroft incrociò le mani all’altezza dello stomaco.
“Questo dovrebbe essere un tentativo di rassicurazione?” chiese dubbioso.
La sua assistente alzò finalmente lo sguardo dal cellulare.
“Ma come?” chiese con una punta di divertimento “non sta funzionando? Sai che ti puoi fidare del mio giudizio”
L’angolo della bocca del suo capo si sollevò leggermente mentre inclinava la testa.
“E tu sai che lo faccio sempre volentieri. A volte però fatico a seguire la tua linea di pensiero” dichiarò.
Anthea si alzò dalla sua sedia e andò verso la scrivania: si appoggiò ad essa con le  braccia conserte in parte alla poltrona da ufficio, e lui fu costretto a tirare indietro la testa per guardarla meglio.
“Perchè ho l’impressione che non stiamo più parlando dell’agente Donovan?” gli chiese lei con una smorfia eloquente.
Mycroft Holmes la fissò a sua volta.
“Sai bene che se non fosse stato per te io non avrei mai acconsentito a indulgere in simili... sentimentalismi” pronunciò la parola quasi sputandola, tuttavia il suo tono non sembrava risentito. Più che altro rassegnato.
Anthea si sporse leggermente verso di lui e il suo sorriso si fece luminoso.
“E di questo io ti sono grata” disse con un’espressione solenne, facendo sorridere anche l’uomo di fronte a lei.
Per un attimo rimasero a fissarsi, poi Mycroft sospirò.
“Tuttavia non posso fare a meno di chiedermi se io non abbia commesso un grave errore” commentò con perplessità.
Lo sguardo di Anthea si fece serio.
“Credi che non me lo sia chiesta più volte anche io  in questi giorni?” gli domandò dolcemente.
Mycroft sorrise leggermente di nuovo.
“Ma certo che lo hai fatto, tu sei sempre molto efficiente e scrupolosa. E dimmi... quale è stata la risposta che ti sei data?”
“Che tutti meritano una seconda possibilità. Persino tuo fratello” annunciò semplicemente la donna.
Mycroft fece una smorfia.
“Resta solo da capire se sarà tanto intelligente da rendersene conto. Altrimenti mamma questa volta pretenderà la mia testa. E ti ripeto...”
“Lo so, lo so” disse Anthea con una punta di insofferenza mista a rassegnazione mentre tornava a sedersi alla sua scrivania, da dove il cellulare aveva emesso una serie di suoni “se non fosse stato per me, tu non avresti indugiato in simili sciocchezze”
 
***
 
“Ciao ragazzi”
Molly Hooper gemette internamente al tono fin troppo gioviale con cui aveva accolto l’ingresso di Sherlock e John, ma si disse che dopo tutto era a beneficio del Dottore. Era abbastanza sicura che Sherlock non avesse detto a nessuno della sua intenzione di trasferirsi, e che gli altri  non avessero avuto il tempo o l’occasione di cogliere la distanza che si era venuta a creare tra loro due. Francamente  desiderava che la situazione continuasse ad essere cosi, non era pronta a domande o richieste di chiarimenti, voleva solo organizzare le cose con calma e salutare tutti nel miglior modo possibile.
John le rivolse un sorriso sincero  mentre dichiarava di essere contento di trovarla al lavoro e di avere a che fare con lei.
“Non che Coleman non sia in gamba...” cominciò a dire, ma Molly lo interruppe alzando la mano.
“Lo so, lo so... a volte è un po’ troppo... entusiasta” disse con un lieve sorriso.
“Evidentemente c’è qualcuno che riesce ancora ad essere entusiasta all’idea di avere a che fare con me” commentò acidamente Sherlock, cominciando a spogliare sciarpa e cappotto.
La testa di John scattò improvvisamente verso di lui e il suo sguardo perplesso riflettè tutta la sua sorpresa per quel commento inatteso.
Molly si limitò a mordersi il labbro.
Nella stanza calò il silenzio e il consulente investigativo si diede internamente dello stupido per aver lasciato che il fastidio avesse il sopravvento, ma il saluto gioioso della patologa al loro ingresso l’aveva innervosito.
Lei stava per andarsene, stava per lasciare tutto. Non aveva nessun diritto di essere allegra.
“Il cadavere, Molly” comandò con irritazione.
Lei fece un sospiro e raddrizzò le spalle.
“È per strada, naturalmente. Cosi come tutti i componenti del laboratorio che dovete analizzare. Mi spiace, ma Greg mi ha mandato un messaggio solo poco fa, non puoi certo pretendere che tutto sia già pronto e non dipende da me, lo sai”
“Ma certo che lo sa, Molly” intervenne John lanciando uno sguardo eloquente all’amico, per comunicargli tutto il suo biasimo per il suo comportamento “io gli avevo detto che avevamo tutto il tempo di berci un caffè, ma lui aveva una gran fretta di arrivare qui”
Sherlock aprì bocca per replicare, ma la richiuse subito: inutile negare, lui aveva davvero avuto una gran fretta di arrivare all’ospedale ma si rifiutò categoricamente di interrogarsi a cosa tale fretta fosse dovuta.
Di certo, però, almeno di quella non poteva incolpare Molly.
“Le mie scuse” si ritrovò a borbottare, guadagnandosi un’altra occhiata stupita da parte di John che lo fece di nuovo irritare “che c’è? Non avevi detto che avevamo tempo per un caffè?” sbottò rivolto al Dottore “nero due zollette per me, con latte senza zucchero per Molly e tu... tu sai benissimo come lo prendi. Va, va” disse quasi spingendo l’amico fuori dall’obitorio “e approfittane per chiamare Mary e sentire come sta per l’undicesima volta nelle ultime due ore!”
Quando le porte si furono richiuse dietro a John Sherlock fece un profondo sospiro e si voltò, con l’improvviso pensiero di aver fatto un grave errore nel rimanere solo con Molly.
“È naturale che si preoccupi per lei, io lo trovo molto dolce” la voce di lei lo raggiunse dall’altra parte della stanza. In qualche modo, nei pochi secondi che erano passati, aveva trovato modo di mettere il maggior spazio possibile fra loro due.
Sherlock avvertì una voglia improvvisa di avvicinarsi pericolosamente per scoprire quale sarebbe stata la reazione di lei... si sarebbe allontanata di nuovo? Gli avrebbe tenuto testa come aveva fatto qualche minuto prima e l’avrebbe sfidato a spostarsi per primo?
Rimase invece immobile a osservarla mentre finiva di ripulire il suo banco da lavoro.
“Tu invece sarai contento che ci sia stato un qualche sviluppo... deve essere stato difficile per te questo periodo di tranquillità”
È stato ancora più difficile da quando ho saputo che te ne andrai e perchè in questi giorni non potevo contare su di te, come sarà per ogni altro giorno in un futuro non troppo lontano.
Il pensiero colpì Sherlock tanto improvvisamente da lasciarlo per un attimo senza fiato.
“E lo è?” la domanda di Molly lo richiamò alla realtà.
“Che cosa?” chiese lui sbattendo le palpebre.
“Uno sviluppo... hai fatto qualche passo avanti nello scoprire cosa sta succedendo?”
Nella voce della patologa colse della preoccupazione ma soprattutto risolutezza, anche se naturalmente quella situazione non era facile neanche per lei; ognuno di loro stava reagendo a suo modo: Lestrade si buttava a capofitto in un nuovo matrimonio e gettava al vento tutte le paure che quello precedente gli aveva lasciato, Mrs Hudson ricamava copertine e scarpette da neonato mentre sfornava biscotti, John e Mary si concentravano sulla nuova vita che presto sarebbe arrivata... ma a lui e Molly che cosa era rimasto? Solo la cieca determinazione di proteggere i loro cari e di risolvere tutto al più presto. E non lo stavano facendo nemmeno più insieme, non sul serio per lo  meno. Non come un tempo.
E alla fine di tutto, non sarebbe rimasto nulla.
“Sherlock?”
Lui strinse le labbra e scacciò con risoluzione ogni pensiero dalla sua testa: erano inutili e dannosi, una distrazione pericolosa.
“Per ora solo congetture e tu sai quanto io odi le congetture. I fatti sono l’unica cosa di cui ci dobbiamo occupare” rispose infine.
Molly sembrò sul punto di replicare qualcosa, ma fu interrotta dall’arrivo dei tecnici della scientifica, che depositarono il materiale trovato sulla scena del crimine e dai portantini, che lasciarono il corpo di Stuart Loggins.
Dopo circa dieci minuti rientrò anche John e per le successive ore non ci fu molto da dire, se non per consultarsi su un’analisi o verificare un’ipotesi.
Molly terminò l’autopsia e arrivò per comunicare che questa non aveva rilevato nulla di particolare. Sherlock annuì distrattamente (in fondo aveva già esaminato il cadavere), tuttavia non potè fare a meno di chiedersi se adesso lei si sarebbe offerta di aiutarli come un tempo, fino a che non vide che aveva posato la borsa sul tavolo e stava quindi preparandosi per andarsene.
Il suo turno era finito, era ovvio, ma prima questo non l’aveva mai fermata dal restare comunque. Per lo meno non aveva trovato una scusa per delegare a qualcun altro l’autopsia ed era passata di persona per i risultati; Sherlock tornò a concentrarsi su quello che stava esaminando e John si stiracchiò vistosamente per poi guardare l’orologio.
“Per me è ora di rientrare” dichiarò.
Sherlock non mosse lo sguardo dal microscopio, mentre la patologa gli rivolse un sorriso caloroso.
“Saluta tanto Mary da parte mia, dille che la chiamo presto ok?”
John annuì e si rivolse all’amico.
“Resterai ancora per molto?”
Le spalle di Sherlock si irrigidirono e volse impercettibilmente il viso verso il Dottore.
“Sta tranquillo. Non andrò da nessuna parte senza di te, contento?” la risposta gli uscì un po’ più indispettita di quanto avrebbe voluto, ma le analisi che avevano condotto fino ad ora non avevano portato a nulla, la sua pazienza era agli sgoccioli e il lavoro da fare era ancora corposo.
E Molly stava andando a casa.
Sentì John inspirare forte accanto a lui nel tentativo di mantenere la calma.
“Veramente speravo che a un certo punto saresti andato a casa a riposare” disse infine “ma che mi preoccupo a fare, in fondo?” terminò con una smorfia scuotendo leggermente la testa e dirigendosi verso l’uscita “Ciao Molly, ci vediamo domani per continuare questa gradevole rimpatriata, in fondo è un po’ di tempo che non ci capita di stare tutti insieme nel laboratorio”
“Domani non ci sarò”
Molly non si accorse di aver pronunciato la frase a voce alta fino a che non avvertì il silenzio intorno a lei. Alzò il viso da un vetrino che aveva appena preso in mano e si diede della stupida: John si era bloccato incuriosito e l’espressione di Sherlock si era fatta di ghiaccio.
“P-parto per Cardiff” si ritrovò a dire.
“Oh” fu il commento iniziale di John “non avevo capito che avessi un viaggio in programma”
“Veramente io...”
“Questo perchè la Dottoressa Hooper si è ben guardata dal dircelo” si intromise Sherlock alzandosi dal suo sgabello e avvicinandosi finalmente a Molly, come aveva desiderato fare fin dal suo arrivo. La scrutò per un attimo.
“Viaggio di lavoro? Naturalmente, anche se ti sei presa la briga di passare dal parrucchiere per quel taglio di capelli che volevi fare da almeno due mesi. Quattro centimetri sono troppi, a proposito. Hai fatto anche una manicure... vuoi fare una buona prima impressione, Molly? Sono sicuro che le guardie che Mycroft ti ha assegnato saranno estasiate di doverti seguire per presenziare al tuo colloquio di lavoro”
John corrugò la fronte.
“Ehi, un momento... quale colloquio di lavoro?”
Sherlock non si curò di rispondere e Molly sembrava troppo impegnata a cercare di respirare con calma.
“Hai detto che avresti aspettato che questa storia del ritorno di Moriarty, di qualunque cosa si tratti, fosse finita prima di farlo. Mi meraviglio che mio fratello abbia acconsentito a una simile assurdità, ma evidentemente il tuo caro amico condivide la tua fretta” la accusò il consulente investigativo.
“Fare cosa?” tornò a chiedere John “Voi due volete spiegarmi che sta succedendo?”
Sherlock si girò con una smorfia e gettò le mani in aria, incapace di contenere il nervosismo che l’aveva minacciato per tutto il giorno: avevano lavorato di nuovo insieme (o quasi) per tutto il pomeriggio e lei se ne usciva tranquilla con la notizia del suo viaggio!
“Si Molly! Spiega a John che cosa sta succedendo! Spiegagli come hai deciso di abbandonare tutto e di andartene!”
Il Dottor Watson spalancò gli occhi e la bocca contemporaneamente.
“Vado a fare un intervento come relatrice a un convegno a cui sono stata invitata sei mesi fa. Te l’avevo anche detto Sherlock, quando ho ricevuto la comunicazione, e tu hai osservato che era una straordinaria possibilità e un giusto riconoscimento per il mio lavoro. Mycroft e la sicurezza non ritengono ci sia qualcosa di cui preoccuparsi, ma naturalmente non mi aspettavo che tu te lo ricordassi” la voce della patologa era bassa, complice il fatto che aveva rivolto il viso verso il pavimento.
Sherlock si bloccò di colpo e chiuse gli occhi.
Un convegno, non un colloquio di lavoro.
C’era sempre qualcosa.
Ma ormai il danno era fatto.
“Molly, stai davvero pensando di andartene?” la voce di John era ancora colma di incredulità.
Lei rialzò finalmente il viso ed evitò accuratamente di incrociare lo sguardo di Sherlock.
“Mi dispiace. Non c’è ancora nulla di definitivo e ho davvero intenzione di aspettare che questa storia finisca. Sto solo... guardandomi in giro ma... si. Sto per andarmene” cercò di mantenere un tono sereno, ma in verità era davvero dispiaciuta e arrabbiata che la notizia fosse emersa a quel modo.
Accidenti a Sherlock.
“Ma... perchè?”
La domanda di John la colse impreparata, si era aspettata di avere un po’ più di tempo per costruire una risposta soddisfacente a chi le avrebbe chiesto conto della sua decisione ed ora, invece, doveva già dare delle giustificazioni.
Sentiva su di sè lo sguardo attento di Sherlock, che aspettava la sua risposta ed evidentemente si stava chiedendo quanto avrebbe raccontato al Dottore.
Molly tornò con la mente alle riflessioni che aveva fatto qualche ora prima e ad un tratto sentì di avere la risposta giusta. Con calma prese la sua borsa e se la mise sulla spalla, poi si avvicinò a John e gli sorrise.
“Perchè voglio avere anche io la possibilità di essere felice” gli disse.
Si diresse verso l’uscita del laboratorio e poi si voltò ancora.
“Sai come chiudere il laboratorio, Sherlock. Cerca di non lasciare troppo in disordine, per favore”
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** capitolo 4 ***


Ehm ehm... qualcuno si ricorda ancora di questa storia?
Scusate!!! Non credo di aver mai fatto passare cosi tanto tempo tra un aggiornamento e l’altro!
Comunque!
Nuovo capitolo e come sempre, grazie a chi ha commentato il precedente e a chi ha iniziato a seguire o preferire la fanfic in questo periodo di latitanza ( spero che la mia assenza non vi abbia fatto pentire e nel frattempo no, i personaggi non sono neanche diventati miei...)
Le recensioni sono come sempre ben accette, buona settimana a tutti!

 
LA SOMMA DI TUTTE LE COSE

CAPITOLO 4
 
 
Un osservatore esterno avrebbe classificato l’uscita di Molly Hooper dal laboratorio come una di quelle di gran classe: era riuscita a far notare a Sherlock Holmes che aveva sbagliato ed era giunto a conclusioni affrettate e poi, oltre al fatto che gli aveva ordinato di non lasciare troppo in disordine (sottintendendo la sua incapacità e volontà di sistemare bene le cose), se ne era venuta fuori con una bella frase ad effetto.
Perchè voglio avere anche io la possibilità di essere felice.
Ora Sherlock stava ancora osservando le porte che si era richiuse dopo il passaggio della patologa.
Era questo in fondo, no? Questo bisogno che la gente normale avvertiva, questa ricerca di un senso pieno della vita che non aveva nulla a che fare con i casi risolti, o i misteri affascinanti e gli esperimenti soddisfacenti... Che andava oltre la logica e il pensiero razionale.
E che per questo a lui sfuggiva totalmente.
Molly Hooper era come tutti gli altri e aveva i loro stessi desideri , ci aveva solo messo un po’ più di tempo a prenderne atto... e Sherlock Holmes non poteva certo dimenticare di essere stato lui stesso ad assicurarle che lei si meritava la felicità che aveva appena proclamato di volere.
Era strano, come le sue stesse parole gli si stessero rivoltando contro, tuttavia una voce dentro di lui non poteva evitare di rinfacciargli di avere una grossa responsabilità nel cammino di presa di coscienza che Molly aveva fatto.
Lui, con i suoi commenti e i suoi comportamenti.
Lui, che l’aveva bruciata troppe volte.
Lui, che non l’aveva ritenuta necessaria.
“Stupido fottutissimo idiota”
Sherlock si riscosse dai suoi pensieri, sbattè le palpebre per qualche volta e poi si girò piano verso il Dottor Watson, allontanando finalmente lo sguardo dalla porta.
“Chiedo scusa?” sbottò stupito, in parte perchè si era quasi dimenticato di non essere rimasto solo e in parte perchè raramente gli insulti di John erano cosi coloriti e pieni di rancore.
Il suo migliore amico scosse la testa e fece due passi verso di lui, sul viso ancora una totale espressione di stupore e incredulità.
“Che cosa hai fatto? Che cosa accidenti hai combinato per spingerla ad andarsene?” nella sua voce traspariva una chiara nota di rabbia.
Sherlock sentì a sua volta l’irritazione invaderlo di nuovo: non era suo desiderio discutere con chicchessia di quello che stava succendendo con Molly, e la presunzione (giusta, ma non per questo ben accetta) che fosse colpa sua non faceva che aumentare il suo fastidio.
Sarebbe mai arrivato il momento in cui tutta quella situazione non sarebbe stata più in grado di fargli perdere le staffe?
Si, sentì di nuovo la voce dentro di lui, probabilmente quando Molly se ne sarà definitivamente andata e tu dovrai per forza fartene una ragione.
Quel pensiero, travolgente e improvviso e cosi cosparso di ineluttabilità lo riempì di ulteriore fastidio.
“Mi pareva avessi detto di voler andare a casa, John” iniziò a dire con un tono di voce teso che lasciava poco spazio alla discussione “Sicuramente Mary ti sta aspettando e il mio consiglio è quello di non presentarti a mani vuote, visto il persistere delle sue voglie da gravidanza e il suo conseguente malumore quando non riesce a soddisfarle. Certamente dell’ulteriore gelato potrebbe”
“Di qualsiasi cosa si tratti, puoi rimediare” lo interruppe John passandosi una mano fra i capelli e cominciando a camminare per la stanza “con Molly tu riesci sempre a farlo, in un modo o nell’altro. Dimmi che stai già pensando a un modo per fermare questa... cosa”
“L’unica cosa a cui sto pensando ora sono le indagini che dobbiamo portare avanti” ribattè ostinato Sherlock.
“Ti aiuteremo, naturalmente. Io, Mary e gli altri” continuò John senza veramente ascoltarlo “Non che te lo meriti, per la verità, qualunque cosa tu abbia combinato deve essere grave... ma la situazione richiede che per il momento lasciamo stare le tue colpe e ci concentriamo sul fatto che devi aggiustare la situazione”
“Smettila, John”
“Mrs Hudson l’aveva capito e io non le ho dato troppa retta” il Dottore scosse nuovamente il capo continuando a riflettere tra sè e sè “aveva capito che oltre a questa faccenda del ritorno vero o presunto di Moriarty c’era qualche cosa d’altro che ti stava rodendo”
“Non c’è nulla che mi sta rodendo” si intromise Sherlock, deciso a fermare quella conversazione una volta per tutte “quello che Molly vuole fare della sua vita sono affari suoi. L’hai sentita, John... si sta guardando in giro. Perchè vuole essere felice. Per quanto sia indisponente il fatto di dover collaborare con altri patologi, nemmeno io posso oppormi al fatto che la Dottoressa Hooper voglia cercare altrove quello che evidentemene non trova più qui” Sherlock tornò a sedersi al suo sgabello davanti al microscopio “Ora, o rimani per aiutarmi con le analisi o la tua presenza non può che”
“Ma ti stai ascoltando per lo meno?!?” lo interruppe di nuovo John incredulo dopo essersi fermato di botto “Il tuo cervello sociopatico riesce a capire che stai per mandare all’aria qualcosa di più che una mera collaborazione professionale? Perchè quello che penso io è che”
“NON C’E’ NESSUNA POSSIBILITA’ DI RIMEDIARE!”
Le parole urlate da Sherlock ricaddero pesantemente nel laboratorio e i due uomini rimasero a fissarsi, entrambi stupiti da quell’improvvisa esplosione.
Il consulente investigativo fu il primo a riscuotersi: fece un profondo sospiro e raddrizzo’ la schiena, sul volto un’espressione stoica che poco si associava alla sua sfuriata di pochi secondi prima.
Puntò gli occhi verso un punto lontano della stanza.
“Non c’è nessuna possibilità di rimediare” dichiarò di nuovo, questa volta con un tono più basso e contenuto “Molly ha preso la sua decisione. Forse dopo tutto è meglio cosi”
“Non ne sei davvero convinto” disse John.
L’amico si voltò a guardarlo e una smorfia apparve sul suo volto.
“Quello che io penso non ha importanza” dichiarò facendo per un attimo cadere tutte le sue barriere e rivelando la sua inquietudine.
L’altro lo fissò ancora più stupito di prima, come se gli fossero improvvisamente spuntate due teste: Sherlock Holmes che affermava che il suo pensiero non era importante... non era certamente cosa da tutti i giorni!
Anzi, non era mai successo e questo poteva solo significare che la situazione doveva essere davvero grave.
“Ma...” tentò comunque una timida protesta.
“Non ne voglio più parlare, John” il tono distaccato aveva fatto la sua ricomparsa, evidentemente Sherlock non intendeva lasciarsi andare ulteriormente ed era anzi intenzionato ad eliminare tutte le ripercussioni di quella discussione; si voltò di nuovo verso il microscopio e il Dottor Watson capì che il loro confronto era finito.
Solo per ora, si disse con risolutezza.
Senza aggiungere un’altra parola uscì silenziosamente dal laboratorio.
Il consulente investigativo chiuse per un attimo gli occhi e fece un sospiro profondo.
Tempo di tornare a concentrarsi, sarebbe stata una lunga notte.
 
***
 
Greg Lestrade aprì gli occhi solo per un attimo e poi li richiuse, giudicando il momento del mattino troppo presto per qualsiasi cosa.
La figura che gli stava accanto si mosse piano e lui sorrise.
Beh, forse non troppo presto per tutto.
“Buongiono, futura signora Lestrade” sussurrò a bassa voce posando un bacio sulla spalla di Linda.
Lei non si voltò, ma lui potè indovinare il suo sorriso.
“Mmm... fai piano” gli rispose la donna con la voce ancora impastata dal sonno “Il mio fidanzato potrebbe tornare da un momento all’altro e ti avverto, è armato e pericoloso”
Greg scoppiò a ridere e le si fece più vicino.
“Troppo tardi” commentò allegro “il tuo fidanzato è già qui”
“Bene” si sentì rispondere “perchè mi sei mancato molto, Detective Ispettore”
La sua fidanzata si voltò e lui scoprì di non essersi sbagliato, stava davvero sorridendo.
Ed era la cosa più bella che lui avesse mai potuto sperare di vedere nella sua vita.
Quando Molly gli aveva presentato Linda, Greg Lestrade era stato colpito da una potente verità, quella che l’amore a prima vista esiste e che poteva presentarsi anche a un uomo disilluso e amareggiato da un cattivo matrimonio come lui.
Aveva corteggiato l’infermiera senza tregua, ma anche con un senso di smarrimento che non ricordava di aver mai provato se non durante la sua adolescenza, desideroso di conquistare quella donna ma anche intimorito di non riuscire a fare le cose nel modo giusto.
Perchè lui aveva capito che la voleva sul serio. Per sempre.
E ora Linda portava il suo anello al dito e un pensiero improvviso lo colpì forte.
“Sposami” sbottò.
Lei lo guardò perplessa.
“Ho già risposto a questa richiesta, ricordi?” gli chiese corrugando la fronte in un misto tra divertimento e preoccupazione: in fondo era un’infermiera, e i vuoti di memoria non erano mai un buon segno.
Lestrade realizzò cosa le stesse passando per la mente  e scosse piano la testa.
“Certo che lo ricordo” si affrettò a chiarire “Intendevo... sposami subito. Oggi”
Linda si rizzò a sedere sul letto, d’un tratto sveglia più che mai.
“Greg...” sussurrò posandogli la mano sul viso.
Lui socchiuse gli occhi a quel contatto e poi la osservò tornare a sorridere.
“Troppo affrettato, vero?” le chiese con rassegnazione.
Lei annuì allargando il suo sorriso.
“Un pochino, si” gli disse con dolcezza.
“Ma non aspetteremo per tanto tempo, giusto?” le chiese speranzoso.
Linda ritornò seria.
“Assolutamente no, Ispettore. Non lascerò sul mercato un fusto come te ancora per molto, ma vorrei almeno avere la possibilità di organizzare il mio matrimonio con un po’ di cura, senza contare che mi dovrai sicuramente una magnifica luna di miele che in questo momento non mi puoi proprio assicurare, visto che insisti nel tornare a casa alle ore più impensate”
Lui fece una smorfia: era vero, nelle settimane precedenti e poi di nuovo quella notte aveva fatto le ore piccole e se la sua ex moglie aveva fatto del suo lavoro un punto di recriminazione e insoddisfazione, sapeva che invece Linda era fiera di lui e che capiva il suo senso del dovere, accettandone anche gli aspetti meno piacevoli. In fondo anche lei aveva i suoi turni di notte.
Linda ammiccò.
“E vorrei conoscere i tuoi amici, visto che li inviteremo al matrimonio. Tutti
L’espressione di lui si fece un po’ infastidita al pensiero di Sherlock e dei suoi commenti del giorno precedente, ma prima che potesse dire qualcosa il suo telefono sul comodino emise un suono.
 A malincuore si voltò per prenderlo e leggere il messaggio che era arrivato.
“Si parla del diavolo...” disse non appena lo ebbe letto.
All’occhiata interrogativa che Linda gli rivolse rispose facendole vedere lo schermo del cellulare.

DOBBIAMO PARLARE AL PIU’ PRESTO. SHERLOCK L’HA FATTA GROSSA, SI TRATTA DI MOLLY. JW

“Suppongo questo significhi che John ha scoperto che Molly sta pensando di andarsene” sospirò Greg appoggiando di nuovo il telefono in parte al letto e tornando a distendersi con le braccia incrociate dietro la testa.
La sua fidanzata si appoggiò ad un gomito e lo guardò preoccupata.
“Credi che si arrabbierà quando saprà che tu eri già a conoscenza delle sue intenzioni?” gli chiese, carezzandogli distrattamente il petto.
Lestrade annuì.
“Probabile, ma francamente il pensiero non mi disturba più di tanto” rispose con fermezza “Molly ha il diritto di decidere come crede e sono abbastanza sicuro che non sia stata lei a parlare con John. È più  probabile che quell’idiota di Sherlock l’abbia in qualche modo scoperto e che adesso stia facendo il diavolo a quattro per evitare di perdere il suo accesso illimitato all’obitorio”
L’espressione di Linda si fece pensierosa
“Ritieni davvero che sia cosi? Che gli dispiacerebbe solo per questo? Io non lo conosco, è vero... ma da quello che mi hai raccontato Sherlock Holmes non è davvero cosi freddo come potrebbe sembrare”
Greg si prese del tempo per pensare.
“No, non lo è” disse infine “ma credo anche lui che non riuscirà mai a capire o accettare che ci sia dell’altro e Molly si merita di meglio”
“Quindi secondo te non c’è speranza che le cose si risolvano...” ragionò Linda “è un vero peccato. Lei mi piace, quando sono arrivata al Bart’s è stata subito gentile con me, mi ha aiutata ad ambientarmi”
“Lo so...” Lestrade la prese tra le braccia “credi che a me faccia piacere vederla andare via? È in gamba ed è un’ottima persona con cui si lavora molto bene e che mi mancherà, ma proprio per questo ritengo che debba avere la sua possibilità”
“Si... credo che tu abbia ragione”
Rimasero in silenzio stretti l’una all’altro per qualche minuto, fino a che Greg non si decise a parlare.
“Allora... quanto presto ci sposiamo?”
Linda scoppiò a ridere ma fu interrotta di nuovo dal telefono del suo fidanzato, che però questa volta squillò.
“Lestrade”
“Signore?”
“Donovan... te l’ho già detto ieri... puoi anche smetterla di chiamarmi signore, non sono più il tuo capo e sospetto che in qualche modo tu mi sia addirittura superiore, quindi...”
“Ehm... si, ok. Va bene. Mi dispiace di averti disturbato ma dovresti venire, abbiamo una pista”
“Di che si tratta?”
“Pensiamo che i fratelli Kybransky abbiano appena fatto la loro seconda vittima londinese”
 
***
 
Sherlock aveva lavorato per la maggior parte della notte sui componenti chimici rinvenuti nel laboratorio di Loggins, ma sentiva di essersi infilato in un vicolo cieco e di non aver fatto nessun passo avanti utile nello scoprire una qualche traccia.
“È tutto troppo confuso e ordinato allo stesso tempo” mormorò tra sè osservando i vari fogli appesi al muro sopra il divano, quelli che aveva attaccato dopo essere rientrato dal Bart’s (e aver riordinato. Si, lo aveva fatto) e che riassumevano i delitti delle settimane precedenti e le scarse informazioni che aveva acquisito nelle ultime ventiquattro ore.
Le immagini di Moriarty dappertutto.
La serie di omicidi.
I fratelli Kybransky e il loro modo di agire.
“È tutto collegato... ma in che modo?” continuò a ragionare a voce alta.
“Hai detto qualcosa caro?”
Mrs Hudson era appena apparsa sulla soglia dell’appartamento con un vassoio in mano, e un’espressione ancora più preoccupata del giorno prima alla vista dell’ulteriore caos in cui l’appartamento sembrava essere caduto.
Sherlock non le diede risposta e con un sospiro lei appoggiò il te e i toast sull’angolo del tavolino, pregando che rimanessero in equilibrio su quell’unico fazzoletto di superficie libera che sembrava esistere in quel pandemonio.
Aspettò ancora qualche secondo, ma quando si rese conto che il suo inquilino non le avrebbe dato risposta sospirò e si diresse verso le scale.
In quel momento il campanello squillò e lei aprì la porta.
“Oh... Ispettore!” cinguettò Martha alla vista del visitatore, prima che il suo sguardo si posasse sulla sua accompagnatrice “Oh. E lei” aggiunse con meno entusiasmo.
Sally Donovan non battè ciglio, era evidente che l’entourage di Sherlock Holmes non l’avrebbe mai accolta con larghi sorrisi: prima Watson, e adesso la sua padrona di casa. Per non parlare del fratello che non faceva mistero di essere stato costretto ad assegnarla a quel caso.
Beh, poco importava. Le era stata affidata una missione e non era certamente quella di vincere il premio simpatia dell’anno.
Raddrizzò le spalle.
“Lui è qui?” chiese con impazienza.
Mrs Hudson corrugò la fronte a quella domanda posta con evidente malagrazia e Lestrade si affrettò ad intervenire dopo aver lanciato un’occhiata esasperata alla collega.
“Per favore, abbiamo davvero bisogno di parlargli” disse in tono più mite, che fece di nuovo concentrare l’anziana donna su di lui.
“Si, è qui” rispose facendosi da parte “ma non so se sia dell’umore giusto per” si interruppe, inutile sprecare il fiato perchè quei due si erano già diretti a passi veloci su per i gradini.
Sospirò.
“La gioventù non è davvero più quella di una volta” commentò scuotendo la testa, mentre Lestrade e Donovan raggiungevano l’appartamento.
“Sai, lo scopo di avere un telefono è quello di essere raggiungibile” commentò acidamente l’Ispettore una volta che ebbe varcato la soglia.
Sherlock era ancora di fronte al muro, le mani congiunte sotto il mento e lo sguardo fisso.
A quella vista e in forza del fatto che non sembrava aver registrato l’arrivo dei visitatori, Lestrade perse la pazienza.
“Eh no! Non adesso il tuo dannato palazzo mentale! Esci subito da qualsiasi stanza o ala o salone tu sia e cerca di riconnetterti al mondo vero, Sherlock!”
Il consulente investigativo si voltò lentamente e rivolse il suo sguardo penetrante verso i due.
“Ispettore. Agente speciale” disse inclinando il capo, per poi tornare a guardare il muro.
Greg fece un respiro profondo alla ricerca di pazienza.
“Ti ho chiamato. Più volte” esclamò.
“Sono impegnato” fu la laconica risposta che ottenne.
Il poliziotto fece vagare lo sguardo per l’appartamento e i suoi occhi si fermarono verso la cucina.
“Balle” disse scuotendo la testa “è solo che il telefono è appoggiato sul tavolo dall’altra parte della stanza. Troppo distante?” chiese con una punta di ironia.
Sherlock serrò le labbra al commento e finalmente si voltò a guardarli: con calma si piegò verso il tavolino dove era appoggiato il vassoio che Mrs Hudson aveva portato, si versò una tazza di te e si sedette in poltrona accavvallando le gambe e iniziando a sorseggiare la bevanda.
“C’è stato un altro omicidio” disse con sicurezza.
Sally scosse la testa con irritazione, era ora di darsi una mossa.
“Esatto. E sarebbe stato molto più semplice se non fossimo dovuti venire a prenderti. Non siamo i tuoi baby sitter. Non io, per lo meno”
“Credo che il mio caro fratello avrebbe qualcosa da obiettare a tal proposito, il che mi porta a consigliarti di chiamarlo per aggiornarlo. Lui detesta non essere informato regolarmente e non otterrai nulla cercando di dimostrare la tua indipendenza nella gestione di questo caso” gli occhi di Sherlock rimasero impenetrabili, ma un angolo della sua bocca si sollevò con ironia.
La donna strinse la mascella ed evitò di rispondere.
Lestrade decise di intervenire.
“Adesso basta. Come hai già detto tu c’è stato un altro omicidio e pensiamo che sia opera dei fratelli Kybransky, un chimico già sospettato di collaborare con i cartelli della droga nella sintetizzazione di nuove sostanze. Non si è mai riusciti a trovare abbastanza prove su di lui per incriminarlo, ma era ben conosciuto nell’ambiente e questa mattina il suo cadavere è stato ritrovato dalla donna delle pulizie. Esaminiamo il corpo e”
“Irrilevante” lo interruppe il consulente investigativo.
“Che cosa è irrilevante?” chiese stupito l’Ispettore.
“Tutto” fu la risposta di nuovo laconica di Sherlock.
Sally Donovan fece un passo avanti.
“Stai scherzando, vero?” domandò con tono tra la sorpresa e l’irritazione “Nel giro di due giorni vengono ammazzate due persone che trafficano con sostanze chimiche potenzialmente pericolose e tu giudichi questo fatto irrilevante?”
“Come è stato ucciso quell’uomo? Evidentemente non con un attacco chimico” Sherlock pose la sua domanda con tranquillità, perchè evidentemente conosceva già la risposta.
“Un colpo di pistola” ammise la donna a malincuore “ma questo non significa che”
“I fratelli Kybransky operano in un altro modo. Non usano armi convenzionali, qualcuno li sta usando come specchietto per le allodole e questo ci porta ad una domanda molto più interessante. Perchè?”
“Ma i componenti rubati dal laboratorio di Loggins...” commentò dubbioso Lestrade.
“Inconcludenti” rispose Sherlock alzandosi dalla sedia e tornando a guardare il muro “non c’è uno schema specifico, è stato preso un po’ di tutto senza una vera logica”
Sally Donovan scosse la testa a dimostrazione del fatto che quelle parole non la convincevano.
“Dimentichi una cosa importante” disse “Siamo sicuri che siano entrati nel Paese, perchè sono qui allora? Sicuramente il legame con Moriarty...”
“Moriarty è morto” mascelle serrate e sguardo improvvisamente duro, Sherlock posò la tazza e si rialzò in piedi, dirigendosi verso la finestra.
L’agente speciale non si fece intimidire e fece un passo verso di lui.
“Di questo possiamo senz’altro dubitare, non credi?” domandò con insistenza “Non ti devo certo ricordare io che la sua faccia è apparsa”
“Io ero su quel tetto, agente Donovan. Ho visto quell’uomo spararsi in faccia”
Il consulente investigativo aveva parlato senza girarsi e si guadagnò un’esclamazione di impazienza.
“Smettila di interrompermi!” sbottò Sally “abbiamo già fatto questo discorso ieri, tu ti sei buttato da un tetto e adesso sei qui. Come fai a essere cosi sicuro che anche lui  non sia in qualche modo sopravvissuto?”
Sherlock sembrò sul punto di replicare, ma poi emise solo un gemito di insofferenza.
“Ah! I vostri cervelli! Cosi limitati e noiosi” dichiarò con noia, facendo spazientire ulteriormente Donovan ma non riuscendo ad ingannare del tutto Lestrade, che si ritrovò colpito da un pensiero improvviso.
Sherlock Holmes era preoccupato. Forse spaventato dall’idea che Moriarty potesse davvero essere ancora vivo.
Sally intanto non era diposta a far cadere la discussione.
“Mentre tu sai tutto, vero?” chiese ironicamente e questa volta Sherlock gettò le braccia al cielo.
“Per quale motivo dovremmo preoccuparci di due semplici omicidi?” affermò scuotendo la testa “Ve l’ho già detto, i fratelli Kybransky non agiscono in questo modo, di qualunque cosa si tratti non abbiamo un riscontro che si tratti di uno schema più grande!”
“Oh, certo. Aspettiamo pure qualche altro omicidio!” il commento acido di Donovan si sovrappose all’ingresso di John Watson nell’appartamento.
“Ehi che sta succedendo qui?” chiese con curiosità.
Sally non ebbe tempo di lamentarsi perchè il suo cellulare squillò.
“Donovan” rispose, allontanandosi in un angolo della stanza per portare avanti la sua conversazione senza essere disturbata.
Il Dottore la osservò per qualche secondo, poi scosse la testa e si avvicinò a Lestrade, visto che Sherlock si era di nuovo girato verso il muro e aveva ignorato il suo arrivo.
“Ti ho mandato un messaggio” disse sottovoce all’Ispettore.
“Si, l’ho visto”
“Non ci crederai mai...” ricominciò John, accorgendosi però subito dello sguardo sfuggente di Greg “o forse si. Tu lo sapevi già” lo accusò continuando a parlare a bassa voce.
“Si” fu la riposta che ottenne a denti stretti.
Il Dottore spalancò gli occhi.
“Non ci posso credere!” sbottò incredulo e alzando leggeremente il tono delle sue parole, per poi guardarsi intorno per vedere se era stato sentito. Ma Sherlock era concentrato e Donovan immersa in una fitta conversazione “Da quanto tempo? E perchè non ne hai fatto parola?” tornò a sussurrare.
Lestrade inspirò forte.
“Perchè Molly non sa che io e Linda sappiamo. Lei l’ha sentita parlare al telefono e discutere dell’invio di un curriculum e non è stato difficile capire che c’era qualcosa che non andava. Non crederai davvero che stesse lavorando quella sera della cena, vero? E probabilmente hai avuto  molto a cui pensare ultimamente, ma a me non è sfuggito che Molly sta evitando Sherlock quanto più possibile”
John rimase per un attimo in silenzio assimilando quelle parole, poi annuì deciso.
“Ok. Allora che facciamo?”
Lestrade si voltò finalmente a guardarlo.
“Facciamo? Nulla, per quanto mi riguarda” sibilò.
“Che cosa?”
“Molly ne ha sopportate anche troppe. Io non so che cosa sia successo per farle prendere questa decisione estrema, ma di qualunque cosa si tratti forse non è una cosa cosi sbagliata. È ora che si liberi di Sherlock e si prenda la possibilità di costruirsi una vita migliore e non sarò certo io a impedirglielo. Mi spiace che se ne vada, ma se questo è quello che vuole allora è giusto che lo faccia”
Il tono di Lestrade era cosi deciso che John non riuscì a replicare. Il poliziotto nel frattempo si stava concentrando su Sally, che era ancora al telefono.
“È successo qualcosa” disse, osservando la postura rigida della donna e la sua espressione seria.
In quel momento il suo telefono squillò e il nome apparso sullo schermo gettò un’ombra di inquietudine sul suo volto.
“Linda, tesoro? Che succede? Non mi chiami mai dal lavoro” rispose preoccupato.
Nel sentire il tono della telefonata, John si era allontanato di qualche passo per dare un po’ di privacy all’Ispettore, ma le sue parole successive lo bloccarono.
“Amore, calmati... no. Non ho ancora ricevuto notizia. Che cosa?? Sei sicura? Può darsi che ti sbagli. Si si... controllo subito. Non preoccuparti, sono certo che... lo so. Devi andare. Ti faccio sapere appensa so qualcosa”
Donovan nel frattempo aveva riattacato e si era diretta verso Sherlock e gli si parò davanti.
“Abbiamo il riscontro che cercavi, geniaccio” disse con una voce non proprio ferma.
“Mmm?” Sherlock non aveva distolto gli occhi dai vari documenti appesi.
“Un treno è appena deragliato poco fuori da Londra. Sembra sia un vero disastro e non venirmi a dire che si tratta di un incidente”
Il consulente investigativo si girò improvvisamente, gli occhi che gli brillavano.
“Qualcosa si muove...” esclamò soddisfatto.
“Solo tu potresti esserne contento...” commentò Donovan scuotendo la testa e osservando perplessa Lestrade che si avvicinava con un’espressione sconvolta.
“Sherlock...” l’Ispettore chiamò piano, ma fu ignorato.
“Io non ne sono contento, naturalmente. Ma se si tratta di un attentato questo ci darà una buona base di partenza” disse il consulente investigativo, muovendosi velocemente attraverso la stanza e prendendo il telefono.
“Sherlock...” cercò di richiamarlo Greg, mentre lo osservava dirigersi poi verso la sua camera per prepararsi.
Lui fece un cenno con la mano da sopra le spalle per liquidare ogni successivo commento.
“Essere dispiaciuto per quella gente non ci aiuterà a capire quello che è successo, Lestrade! Andiamo!”
“SHERLOCK!”
L’urlo di Greg bloccò tutti all’interno della stanza: Sherlock si girò lentamente, incrociò lo sguardo del poliziotto e  la realizzazione di qualcosa sembrò colpirlo in pieno... i muscoli del viso si contrassero e i pugni si chiusero.
“Ispettore?” domandò con voce bassa, come se si volesse sentir negare quello che aveva appena dedotto.
“Mi ha chiamato Linda... il Bart’s è stato allertato per l’arrivo dei feriti e lei ha saputo subito di che cosa si trattasse. Ha verificato la destinazione e l’orario di partenza del treno che è deragliato... Era quello di Molly”
 
 
 

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Capitolo 6
*** capitolo 5 ***


Inutile tergiversare... scusate per l’attesa. Spero che il capitolo vi piaccia... era tanto tempo che volevo scrivere il flashback della prima parte.
Grazie grazie grazie a martiachan e Erule per i loro bei commenti e a chi si è aggiunto nel seguire la storia.

 
LA SOMMA DI TUTTE LE COSE

CAPITOLO 5
 
 
“Oh per la miseria!”
L’esclamazione annoiata di Greg Lestrade accoglie il trambusto che si è venuto a creare fuori dal suo ufficio, e la conseguente apparizione di Sherlock Holmes sulla porta. Lo osserva per qualche secondo, registrando il pallore del viso, i capelli arruffati e la giacca dal taglio impeccabile che però è spiegazzata in più punti.
“Benvenuto” lo accoglie con tono ironico “vedo che come al solito hai fatto in modo di guadagnarti la simpatia di tutti”
Il nuovo arrivato stringe le labbra seccato e fa un gesto nell’aria con la mano, a voler significare che non gli importa proprio nulla di quanto le sue rapide deduzioni abbiano influito sull’umore dei poliziotti nel corridoio.
“Il tuo messaggio dice che finalmente potrò vedere il cadavere di Josh Dummer” si limita invece a replicare, cominciando a battere impaziente le dita della mano contro i pantaloni.
A Lestrade non sfugge quella manifestazione di nervosismo, ma evita di commentarla.
“Si” risponde quindi il poliziotto annuendo e prendendo la sua giacca dalla sedia dove è appoggiata “e ti pregherei di cercare per lo meno di limitarti, questa volta”
Sherlock alza un sopracciglio perplesso e Greg sospira.
“L’unico motivo per cui vieni riammesso all’obitorio è perchè c’è una nuova patologa che non ti conosce e quindi non ha ancora avuto l’occasione di rifiutarsi di lavorare con te, perchè non è ancora stata il bersaglio dei tuoi commenti non proprio sottili e”
“Non è colpa mia se sono tutti degli incompetenti e qualcuno si deve prendere la responsabilità di farlo loro notare” si intromette Sherlock con voce irritata.
Lestrade alza una mano per interromperlo e continua imperterrito la sua tirata.
“...E del tuo comportamento improponibile. La nuova arrivata è giovane ma mi sembra sia in gamba, in effetti è stata lei a richiedere una valutazione,  quindi per favore, per favore contieniti!”
Sherlock rotea gli occhi ma non dice nulla, la sua mente già proiettata verso il cadavere che deve esaminare, quello che gli permetterà di capire se il caso di cui si sta occupando è davvero cosi intrigante come sembra.
Si volta per uscire ma una voce lo trattiene.
“Non stai dimenticando qualcosa?”
Si volta e vede il poliziotto aprire un cassetto della scrivania ed estrarre un oggetto.
“Oh, per favore...” sbuffa impaziente mentre alza la mano per afferrare al volo il contenitore sterile che Lestrade gli ha lanciato.
I due rimangono per qualche attimo a fissarsi, fino a che Greg non fa un cenno.
“Sai bene quali sono le regole” gli dice serio.
“E tu sai bene che io non ne ho bisogno, per quanto ancora vuoi insistere con questa inutile procedura?” è la replica annoiata di Sherlock.
L’altro uomo lo fissa dritto negli occhi prima di rispondergli.
“Fino a quando non sarò convinto che sei definitivamente pulito. Questi erano i patti, lo sai anche tu. Ora... ti accompagno io in bagno o questa volta preferisci avere Anderson come testimone?”
Più tardi, mentre sono in macchina insieme, Lestrade non può fare a meno di rivolgere una silenziosa preghiera perchè anche questa volta il test antidroga di Sherlock sia negativo, come sta succedendo ormai da sei mesi.
Non si illude di essere stato lui con la sua imposizione a convincere quello che pomposamente si definisce l’unico consulente investigativo al mondo a smettere con le droghe, tuttavia vive ogni test con una sorta di senso di responsabilità misto ad apprensione, perchè non può negare che l’investigatore gli è utile, ma che l’uomo gli è egualmente caro, anche se sembra che nulla possa scalfire la corazza di Sherlock , tanto meno il concetto di amicizia.
Ma da quando si sono incontrati otto mesi prima non sono state solo le incredibili capacità di Holmes a colpirlo, ma tutte le sue enormi potenzialità, la brava persona  che potrebbe diventare e per questo spera che il costringerlo a rimanere pulito per poter lavorare con Scotland Yard sia uno stimolo sufficiente.
Scuote la testa leggermente mentre osserva Sherlock uscire a razzo dalla macchina dopo che l’ha parcheggiata e si domanda per l’ennesima volta quali siano le cose, oltre alle droghe e ai crimini, che eccitano quel ragazzo, se qualche volta lascia spazio anche per altro nella sua vita.
Probabilmente no.
Si affretta, non vuole assolutamente che il primo incontro tra la nuova patologa e Sherlock parta con il piede sbagliato, non possono permettersi un altro passo falso perchè è abbastanza sicuro che in tutto il Bart’s non ci sia più nessuno che sia disposto a lavorare con il consulente investigativo.
Mike Stamford è stato abbastanza chiaro su questo punto.
Sherlock irrompe nell’obitorio con sicurezza, come se quel posto gli appartenesse.
La Dottoressa Molly Hooper fa un salto e spalanca gli occhi, Greg ha un moto di pietà nei suoi confronti e le sorride con quella che spera essere un’espressione di incoraggiamento.
“Dottoressa” dice con un cenno del capo “ho ricevuto il suo messaggio e come le avevo accennato ho portato con me un nostro consulente, le presento il Signor Sherlock Holmes”
La patologa, se possibile, spalanca ancora di più gli occhi e stringe a sè  la cartellina che ha tra le mani.
“Oh si, buongiorno Ispettore. P-piacere Signor Holmes, le stringerei la mano ma ho appena finito un’autopsia... non che io non metta i guanti!” si affretta a dire quando si rende conto di ciò che ha detto “li metto. Sempre. Sono molto rispettosa delle procedure. La sicurezza prima di tutto” annuisce convinta, prima di arrossire per il suo discorso alquanto sconclusionato.
Lestrade la osserva mordersi il labbro inferiore e geme internamente, probabilmente Sherlock se la mangerà in un boccone.
Ma lui si sta già muovendo per l’obitorio e neanche l’ha degnata di uno sguardo.
“Si, si... molto piacere. Evitiamo i convenevoli, vedo comunque che non sono il suo forte. Josh Dummer” schiocca le dita della mano destra e l’Ispettore non può evitare di fare una smorfia a quel modo di fare maleducato e pretenzioso mentre Molly Hooper, se possibile, assume un’aria al contempo perplessa e ancora più timida.
“Josh Dummer?” chiede con voce insicura.
Sherlock emette un gemito di impazienza e gira su sè stesso per poi raggiungerla in due rapide falcate, ed è cosi improvviso e veloce nei suoi movimenti che la donna si ritrae come se fosse spaventata.
“Josh Dummer” ripete Sherlock al limite dell’esasperazione alla vista dello sguardo incerto di Molly “devo vedere il suo cadavere”
Lei sembra riscuotersi dal suo torpore.
“Ma certo, se Le serve... però vede io non...”
“Miss...” Sherlock fa scivolare lo sguardo verso il cartellino di riconoscimento appuntato sul camice, evidentemente non si ricorda già più il nome della patologa “...Hooper. Il mio tempo è prezioso. Devo risolvere un crimine e Lei non mi sta aiutando. Forse il fatto di sapere che il pediatra che Le ha chiesto di uscire e con cui deve incontrarsi a pranzo fa scommesse con gli altri interni su quanto tempo gli serve per portarsi a letto le nuove arrivate La aiuterebbe a concentrarsi sui miei bisogni, invece che sulle Sue inutili fantasie romantiche?”
“Sherlock!”
La voce irritata di Lestrade fa stringere la mascella al consulente investigativo.
Le guance di Molly si sono fatte ancora più rosse per l’imbarazzo.
“Io non...” tenta di riprendere a parlare, ma viene di nuovo interrotta.
“Josh Dummer” ripete con una voce ancora più ferma Sherlock, e finalmente la patologa si avvia a testa bassa verso le celle frigorifere ed estrae un cadavere: ancora prima che lei abbia finito di ritirare il lenzuolo, Sherlock sta già esaminandolo con una lente di ingrandimento e una smorfia di disappunto gli appare velocemente sul viso.
“Maledizione!” esclama con rabbia.
Lestrade gli si fa vicino.
“Che succede?”
È un chiaro caso di morte naturale! Qualunque incompetente se ne renderebbe conto!” Sherlock rimette con un gesto di stizza la sua lente in una tasca della giacca e si avvia verso l’uscita, ma una voce lo blocca.
“E infatti io non vi ho chiamati per questo”
Molly Hooper ha parlato in tono basso ma sicuro, le deve essere servito un sacco di coraggio per farlo.
Sherlock Holmes rimane fisso al suo posto davanti alle porte dell’obitorio, fa un profondo sospiro dilatando le narici e raddrizza le spalle.
Poi si volta e a passi lenti raggiunge di nuovo la patologa e la osserva con uno sguardo da predatore.
“No?” chiede avvicinandosi ulteriormente e facendola sussultare.
Lei scuote piano la testa ma questa volta non abbassa il viso, anche se è  di nuovo troppo intimorita per parlare.
Lestrade decide di intervenire.
“Mi perdoni, Dottoressa Hooper. Quando mi ha mandato il messaggio ho automaticamente pensato che si trattasse del cadavere di Dummer che Le avevo chiesto di poter fare esaminare al Signor Holmes... in effetti Lei ha solo detto di avere qualcosa da mostrarmi”
Le parole del poliziotto sembrano sortire il loro effetto, perchè Molly annuisce piano e assume un’aria più decisa mentre si dirige verso un’altra cella frigorifera.
“Maschio, cinquant’anni” comincia a elencare con tono sempre più sicuro “è arrivato stamattina e non ho ancora i risultati degli esami ematici ma la colorazione delle unghie e la sclera degli occhi, insieme al fegato che presentava un aspetto insolito, mi hanno  insospettito. Ho proceduto ad analisi più dettagliate oltre a quelle di routine, sono abbastanza sicura che si tratti di”
“Omicidio per avvelenamento” la precede Sherlock con gli occhi che gli brillano.
Molly annuisce con foga, il suo imbarazzo di poco prima ormai dimenticato a favore dell’entusiasmo per la sua scoperta.
“Si, molto ben elaborato” conferma “causato da qualche sostanza ben nascosta”
“Ma non per te. Davvero brillante”
Lestrade sgrana gli occhi, perchè il commento che Sherlock Holmes ha appena fatto sembra essere davvero un complimento ed è sicuro che sia la prima volta che gli capita di sentirlo dire qualcosa del genere.
Anche Molly deve aver colto la straordinarietà del momento, perchè torna ad arrossire selvaggiamente.
“Lestrade! Dobbiamo indagare su un traffico di animali esotici e sul mercato nero delle medicine alternative! Ah... questo caso sarà spettacolare, me lo sento! Dottoressa Hooper, dai buca a quel pediatra, non vale comunque il tuo prezioso tempo... tornerò nel pomeriggio e potremo condurre delle analisi parallele sul sangue della vittima. E vorrei il suo fegato, quando avremo finito!”
Mentre grida come un bambino la mattina di Natale, Sherlock prende  il suo telefono e inizia a messaggiare velocemente.
Molly Hooper sbatte le palpebre più volte, convinta di non aver sentito bene.
“Il.. il suo fegato?” chiede
Sherlock alza brevemente gli occhi dallo schermo del cellulare e annuisce con veemenza.
“Si. Gli esperimenti che non potrò fare su quell’organo...” dice con voce quasi sognante.
La patologa sgrana gli occhi e cerca con lo sguardo Lestrade, che però è opportunamente perso nella contemplazione di un muro davanti a lui.
“Ma ecco... io... io non so proprio se le regole dell’ospedale consentano di...” comincia a dire esitante: Sherlock smette di usare il telefono e lo rimette in tasca, poi le si avvicina di nuovo e inclina la testa con aria concentrata.
“Non dovresti tagliarli, sai” esclama infine.
“Cosa?”
“I capelli. Stai pensando di cambiare look. Non dovresti, i capelli lunghi ti donano molto”
Molly si porta inconsciamente una mano alla nuca e sorride.
“Oh, grazie” dice facendo vagare gli occhi per la stanza per l’imbarazzo.
Lestrade rotea gli occhi a quel misero tentativo di manipolazione, poi però si deve subito ricredere.
“Io... io suppongo che per quel fegato si possa fare qualcosa” dice infatti la Dottoressa.
Sherlock annuisce soddisfatto e si gira per andarsene, ma poi ci ripensa e le si para di nuovo di fronte.
“Molly Hooper” dice lentamente, questa volta senza bisogno di leggere il nome sul cartellino “credo proprio che io e te lavoreremo molto bene insieme” il suo tono è sincero e soddisfatto e lei gli fa un luminoso sorriso, che lui ricambia con un cenno del capo, prima di avviarsi verso la porta riprendendo a parlare “e quando sarai rapita tra qualche giorno non preoccuparti troppo, di solito le cose non vanno mai molto per le lunghe e la macchina di mio fratello ti riporterà esattamente dove vuoi tu”
Molly spalanca gli occhi e osserva le porte che si richiudono dietro di lui, poi si volta a fissare Lestrade con uno sguardo preoccupato.
Il poliziotto scuote le spalle con noncuranza.
“Sai” comincia passando a darle del tu, convinto che questo sia davvero l’inizio di una collaborazione stabile “sei riuscita dove molti altri hanno fallito”
“E cioè?” gli chiede lei esistante.
“Non l’hai annoiato”
“Ed è una cosa buona?” chiede Molly sempre più confusa, facendo quasi scoppiare a ridere l’uomo.
“Oh cielo, si... non immagini quanto!”
“Ma questa cosa del rapimento...non intendeva letteralmente, vero? Voglio dire... che significa la macchina di suo fratello?”
Greg Lestrade sorride.
“Benvenuta nel mondo di Sherlock Holmes”
 
 
“Nulla. Il cellulare non dà segni di vita”
Sherlock osservò John ricomporre per l’ennesima volta il numero del telefono di Molly e non ottenere risposta.
Mentre i ricordi che l’avevano assalito ritornavano al sicuro nella sua mente, tornò ad osservare la strada dal finestrino della macchina che li stava accompagnando sulla scena del disastro ferroviario. Non era neanche sicuro del perchè, fra tutte le miriadi di memorie che appartenevano al suo rapporto con la patologa, fosse proprio quella che in quel momento si era affacciata e che aveva voluto essere rivissuta.
Il loro primo incontro.
Rammentava ancora bene la profonda soddisfazione che aveva provato quando aveva capito che finalmente avrebbe potuto lavorare insieme a qualcuno di competente.
Qualcuno da manipolare, ma anche di cui fidarsi.
Gli ci era voluto l’arrivo di John Watson per poter avvertire di nuovo quella sensazione e nel frattempo, il suo rapporto con Molly era cresciuto.
Poi era cambiato... era andato avanti fra alti e bassi a volte sconcertanti, e ora non era certo di poter dire a che punto fosse in quel momento.
Forse non era più da nessuna parte perchè, semplicemente, non esisteva più.
Non era vero,  naturalmente, altrimenti come si sarebbero spiegate tutte quelle sensazioni... tutte quelle emozioni che stava vivendo da quando Lestrade gli aveva confermato che Molly era su quel treno?
Strinse i pugni e cercò di bloccare ogni pensiero che non fosse direttamente connesso all’analisi della situazione, ogni pensiero che lo portasse inevitabilmente a pensare che forse lei era...
“Sono sicuro che sta bene” John parlò senza voltarsi verso di lui, lo sguardo fisso in avanti e i lineamenti del viso tesi.
Anche lui era preoccupato.
“Non puoi esserne sicuro, invece” rispose Sherlock tentando di rifugiarsi nella logica “il treno è deragliato dopo poco la partenza, il che significa che non aveva ancora acquisito la velocità massima. Probabilmente è avvenuto in una curva, era un treno nazionale quindi con almeno quindici carrozze, lo sbalzo potrebbe averne fatte distaccare e rovesciare almeno la metà e stiamo comunque parlando  di velocità importanti. Niente cinture di sicurezza, ovviamente, forse alcuni dei passeggeri erano ancora in piedi per raggiungere i loro scompartimenti o sistemare eventuali bagagli e Molly” inspirò a fondo “Molly potrebbe essere semplicemente stata una di loro, sarà stata alla ricerca di una carrozza tranquilla per poter ripassare il suo intervento al convegno. Sai come si agita quando deve parlare in pubblico, diventa ossessiva nel ripassare tutti i suoi appunti anche se li conosce a memoria e poi... e poi ha quell’aria concentrata e al tempo stesso terrorizzata che”
“Sherlock” il tono gentile di John e la sua mano appoggiata sul braccio lo fermarono. Si accorse di avere il respiro corto e i palmi delle mani sudati.
No. Per favore no.
Non Molly.
In quel momento la macchina arrivò a un punto oltre il quale era impossibile andare per via della presenza dei cordoni di sicurezza e dei mezzi di soccorso, John e Sherlock scesero e l’odore acre e pungente del fumo riempì loro le narici.
Lestrade e Donovan fecero segno di avvicinarsi e insieme i quattro si infilarono sotto ad un nastro giallo.
“Misericordia...”
Il tono stupito e incredulo di John riflettè il primo impatto della scena del disastro: lamiere contorte si accartocciavano una sull’altra in posizioni che lasciavano poco spazio al pensiero che qualcuno potesse essere stato li dentro fino solo a qualche ora prima. Medici e personale sanitario si affrettavano lungo il terreno soccorrendo persone ferite, richiedendo a gran voce medicinali e barelle e cercando di dare un po’ di conforto a persone in uno stato tale di shock da non potersi neanche muovere.
Alcuni corpi erano pietosamente coperti da teli gialli e altri probilmente si sarebbero aggiunti non appena i pompieri avessero finito di tagliare l’acciaio delle carrozze.
Sally Donovan si portò una mano alla bocca in un gemito sommesso, ma poi sembrò farsi forza con un cenno deciso del capo.
“Vediamo di capire se il responsabile del treno sia sopravvissuto. Dobbiamo cominciare a farci un’idea di quello che è successo” disse con voce strozzata.
Gli altri non le risposero, troppo impegnati a scandagliare l’ambiente alla ricerca di Molly.
“Oh, grazie al cielo”
L’espressione di sollievo di Lestrade attirò l’attenzione sul punto da lui indicato e anche Sherlock la vide.
La donna era in piedi vicino a un gruppo di persone, qualcuno le aveva dato una giacca arancio da soccorso che ovviamente le stava troppo larga, tanto da coprirla fino quasi alle ginocchia e costringerla a rimboccare le maniche.
Anche da lontano Sherlock potè osservare le sue mani che tremavano leggermente mentre sembrava dare una qualche istruzione a chi la stava ascoltando, i capelli non più raccolti ordinatamente nella sua solita coda di cavallo e i pantaloni strappati in almeno due punti.
E del sangue. C’era del sangue sulla sua fronte.
Lestrade e John faticarono a stargli dietro mentre un impulso improvviso lo costringeva a correrle vicino, ma  i tre arrivarono comunque insieme.
“Allestiamo un altro settore nella zona sud, al di la dei binari... sarà più comodo per le ambulanze” il tono con cui lei stava parlando era fermo.
“Molly”
Il richiamo sommesso di Sherlock la fece voltare.
“Oh” la sua esclamazione fu quasi sorpresa.
Adesso che le era vicino, il consulente investigativo potè registrare anche un’escoriazione sul ginocchio sinistro e sulla mano e naturalmente ci aveva visto giusto, aveva una ferita alla tempia destra.
“Siamo cosi contenti che tu stia bene” disse Lestrade “eravamo preoccupati. Linda ha detto che questo era il tuo treno e non siamo riusciti ad avere notizie sicure. La situazione è ancora troppo caotica”
Molly scosse la testa impercettibilmente.
“Sto... sto bene” disse.
“Magari diamo una controllata giusto per essere sicuri, ok?” John era entrato in modalità medico e si avvicinò con un sorriso, ma lei si ritrasse.
“No, non posso. Non ora” affermò decisa.
“Certo che si, invece. Sei ferita” il tono di Sherlock fu secco e preciso ed entrambi gli amici gli gettarono uno sguardo di biasimo, mentre Molly si limitò ad assumere uno sguardo confuso.
“Ferita?” ripetè sorpresa e la sua mano corse alla tempia, dove si sporcò di sangue che lei rimase a guardare ipnotizzata per qualche secondo prima di scuotere più forte la testa.
“Sto bene” ribadì con convinzione “è solo un graffio. Stiamo organizzando i soccorsi e i recuperi dei corpi, non posso allontanarmi ora”
“Possono fare a meno di te” commentò Sherlock, improvvisamente  irritato dalla sua testardaggine.
Le labbra di Molly si strinsero in una linea sottile.
“No, perchè sono io che sto dirigendo le operazioni e prima che qualcuno possa obiettare, ho un master in gestione delle situazioni di emergenza e sono stata assegnata a questo preciso settore, quindi non andrò da nessuna parte!”
Sul gruppo calò il silenzio e lei sembrò rendersi conto che la sua reazione era stata irruente e fece un profondo sospiro.
“Sto bene” ripetè per l’ennesima volta in tono più tranquillo “grazie di esservi preoccupati, ma ora devo tornare al lavoro e sono sicura che anche voi dovete cercare di capire cosa mai sia successo... John, sono certa che ci sia bisogno di medici nei punti di raccolta dei feriti”
Il Dottor Watson annuì e si voltò verso la direzione indicata da Molly, non prima di aver gettato un’occhiata inquieta a Sherlock per assicurarsi che non volesse discutere oltre con la patologa.
Ma il suo amico si era già allontanato senza un’ulteriore parola.
 
***
 
L’uomo stava guardando il notiziario televisivo e sorseggiava con soddisfazione il liquore nel suo bicchiere.
Sullo schermo passavano immagini della zona del disastro ferroviario e dei parenti che arrivavano per avere notizie dei propri cari e un ghigno gli attraversò il viso nello scorgere Sherlock Holmes sul luogo dell’incidente.
“È andato tutto come avevamo programmato, sarà soddisfatto”
Si prese tempo prima di rispondere all’altro uomo presente nella stanza e si lasciò cadere un generoso sorso di liquido ambrato in gola.
“Oh si. Adesso è davvero arrivato il momento giusto”
 
***
 
“Il responsabile del treno era un certo Ralph Cotter, in servizio da più di vent’anni e con una larga esperienza”
Sally Donovan ripose il cellulare in tasca dopo aver letto le informazioni che le erano state mandate.
“Un errore può sempre capitare a chiunque” commentò dubbioso Lestrade.
“Al giorno d’oggi è praticamente impossibile, i treni sono guidati da un sistema elettronico avanzato che riduce significativamente l’intervento umano” Sherlock parlò senza distogliere gli occhi dal punto in cui poteva vedere Molly Hooper continuare a dirigere le operazioni del suo settore.
L’Ispettore seguì il suo sguardo.
“Sta bene” disse.
“È sotto shock, presto l’adrenalina lascerà il suo corpo e avrà un crollo” Lestrade non riuscì a capire se il tono di Sherlock fosse più scocciato o preoccupato.
“Forse invece no. È forte” gli disse quindi.
Sherlock distolse finalmente lo sguardo e fece un mezzo sorriso.
“Si. Lo è”
“Signori?” un uomo si avvicinò e fece un cenno del capo al consulente investigativo e al poliziotto, poi si accorse di Donovan “e Signora.
Mi hanno chiesto di aggiornarvi sull’indagine... sono il capitano Thompson, responsabile delle operazioni. Come potete immaginare siamo piuttosto presi, ma mi è stato fatto capire che avrei dovuto occuparmi anche di voi e francamente mi chiedo perchè non possiate”
“Il capotreno” lo interruppe Sherlock.
Thompson lo guardò interrogativamente.
“Dovremmo parlare con il Signor Cotter, il capotreno” aggiunse Sally “sappiamo che Lei è molto impegnato, ma ci sarebbe di grande utilità cominciare a capire che cosa sia successo qui e quale può essere stata la causa del deragliamento”
L’uomo aggrottò la fronte.
“Sospettate non si sia trattato di un incidente?”
Lestrade intervenne con un sorriso.
“Noi non sospettiamo niente. Siamo solo incaricati di appurare le circostanze... lei capirà naturalmente come molta gente stia già sollevando ogni tipo di ipotesi. Non vogliamo certo istigare un allarme inutile, giusto?”
Thompson scosse lentamente la testa.
“No... certo che no. Datemi un attimo e controllo”
Si allontanò e Lestrade si voltò veloce verso Sherlock e Donovan.
“Vediamo di non generare troppe domande, almeno per ora... ok?” sibilò.
I due risposero con un silenzio irritato per essere stati ripresi, ma l’Ispettore non se ne curò più di tanto: ci voleva solo che l’ipotesi di un attentato si propagasse con la velocità di un fulmine, prima ancora che avessero qualche risposta a disposizione... inutile scatenare il panico generale all’idea che il ritorno di Moriarty potesse in qualche modo aver portato qualcosa di più che la serie di efferati delitti di qualche settimana prima.
“Mi dispiace” la voce di Thomposon lo richiamò alla realtà “il capotreno Cotter è nella lista dei deceduti già identificati”
Maledizione.
 
***
 
“Sarò a casa al più presto”
“Sei sicuro di stare bene? Non oso immaginare come sia la situazione...”
John si passò una mano sul volto stanco.
“Sto bene, tranquilla Mary. Sono contento di aver potuto dare una mano. È stata una fortuna che il treno non fosse ancora alla velocità massima, o le vittime avrebbero potuto essere molte di più’. È comunque uno scenario terribile”
“Sherlock è riuscito a capirci qualcosa?”
“Lo sto raggiungendo in questo momento, è da qualche ora che non lo vedo... suppongo che lui Donovan e Lestrade abbiano fatto un bel po’ di lavoro investigativo”
“E Molly?”
“L’ho intravista prima, stava ancora lavorando. Vorrei si fosse fatta dare assistenza medica ma da quel che ho visto non era nulla di grave”
“Al telegiornale hanno detto che si esclude un qualche tipo di esplosione... Ma si tratta di un attentato, vero?”
John provò una stretta al cuore nell’udire il tono di Mary: voleva sembrare forte, ma si capiva che era spaventata all’idea che qualcosa di grosso stesse per accadere e che potesse essere orchestrato da un uomo che li avrebbe potuti individuare come bersagli.
“Non lo sappiamo ancora, tesoro. Gli uomini di Mycroft sono li, vero?”
“Si, non preoccuparti. Io sto bene, solo... torna presto ok?”
“Ok. Ti amo”
“Ti amo anche io”
John ripose il cellulare e per un attimo si guardò intorno. La situazione era maggiormente sotto controllo e tutti i feriti erano stati presi in carico e dirottati verso gli ospedali, mentre era stato allestito un obitorio di emergenza per le vittime ed era li che lui si stava dirigendo per incontrare Sherlock.
Lo trovò chino su un microscopio arrivato da chissà dove: sapeva che stava analizzando dei campioni dal corpo di Cotter e si chiese meravigliato come potesse averne avuto l’autorizzazione.
Mycroft.
“Dimmi che il capotreno non è stato ucciso prima dell’incidente per fare in modo che il treno deragliasse” quasi  lo supplicò.
Sherlock non rispose subito, poi finalmente alzò lo sguardo.
“No, non è stato ucciso prima del deragliamento”
Nonostante ci sperasse, John non si era veramente aspettato quella risposta e lo guardò stupito.
“Quindi si è trattato davvero di un incidente?”
Sherlock strinse la mascella.
“Cotter aveva già perso conoscenza prima che il treno uscisse dai binari, è questo che non gli ha permesso di aggiustare la situazione quando il mezzo non ha rallentato alla curva per via di una qualche manomissione. Nel suo sangue è presente un composto chimico che si è attivato poco dopo la partenza dalla stazione e l’ha messo fuori gioco in pochi minuti. C’è stata si una bomba ad orologeria, ma non sui binari... piuttosto dentro il suo corpo”
“I fratelli Kybransky...” mormorò John.
“Già. Sembra proprio che tu ti sia sbagliato, Holmes”
Donovan, che li aveva raggiunti in quel momento insieme a Lestrade,  mostrava un’aria stanca ma non aveva rinunciato a puntualizzare l’inesattezza di ciò che Sherlock aveva detto quella mattina.
“Dacci un taglio, Sally” intervenne Greg con un tono a metà tra l’esasperato e il rassegnato “è tardi. Domani avremo i risultati definitivi, ma è chiaro che si è trattato di un attentato”
Per qualche secondo nessuno parlò, poi Sherlock si alzò dallo sgabello dove era seduto e cominciò ad allontanarsi.
John lo osservò preoccupato e fece per seguirlo.
“Torna a casa da Mary, ha bisogno di te” gli disse l’amico senza voltarsi “io... devo occuparmi di una cosa”
 
***
 
Molly Hooper si accorse di essere rimasta sola.
Le persone che fino a quel momento avevano collaborato con lei per la gestione dell’emergenza se ne erano andate e lei si rese conto che avrebbe dovuto fare lo stesso: stava sopraggiungendo la sera e la situazione era sotto controllo, il suo settore aveva lavorato bene e non c’era più nulla che lei potesse fare.
Improvvisamente, si sentì molto stanca e si accorse che le sue mani tremavano visibilmente.
Lo shock, pensò cercando di fare respiri profondi e regolari... lo shock stava prevalendo su tutto il resto, sulla calma e sulla cieca efficienza con cui aveva lavorato nelle ultime ore e che adesso non erano più necessarie.
Non aveva avuto davvero il tempo di rendersi conto della portata di ciò che aveva vissuto fino a quel momento ma ora, sola e stanca, le immagini e le sensazioni dell’incidente la assalirono di colpo.
Poi vennero le lacrime.
Si sedette su una delle sedie da campeggio lasciate da uno dei soccorritori e lasciò che i singhiozzi si facessero largo senza remore, conscia del fatto che fossero una buona cosa, un modo per scaricare la tensione.
Dopo l’incidente aveva perso conoscenza per qualche attimo e quando si era risvegliata attorno a lei la scena era spaventosa, persone che chiedevano aiuto o erano intrappolate gemevano e si lamentavano ed era impossibile addirittura capire se ci fosse una via d’uscita.
Poi Molly aveva fatto un respiro profondo e aveva cominciato a darsi da fare, continuando a farlo per ore e ore.
E adesso... adesso era finita.
Un rumore vicino a lei le fece alzare la testa di scatto.
“Sei ancora qui...” disse con un filo di voce alla vista di Sherlock.
Lui non rispose.
“Sto bene” ripetè lei quasi automaticamente come gli aveva detto in precedenza.
Lui si avvicinò di un passo.
“Lo so” le disse guardandola intensamente “tu sei forte. Più forte di chiunque altro”
Nonostante le lacrime le stessero ancora solcando le guance, Molly sorrise.
Sherlock si avvicinò ulteriormente e solo allora lei si accorse che aveva una borsa in mano.
“Cosa...” cominciò a chiedergli, ma si interruppe non appena lo vide inginocchiarsi davanti a lei e cominciare a tirare fuori dal contenitore del disinfettante e delle garze.
Senza dire una sola parola, lui cominciò a medicare le sue ferite con una mano sorprendentemente leggera e attenta e anche Molly rimase in silenzio, chiudendo gli occhi e decidendo per un attimo di dimenticare tutto il resto e di lasciare che fosse lui a prendersi cura di lei, per una volta.
Solo per qualche attimo ancora, sono cosi stanca.
Non potè reprimere una lieve smorfia quando il disinfettante cominciò a bruciare sulla ferita alla mano, e fu allora che Sherlock Holmes sorrise leggermente e si avvicinò con le labbra per soffiare leggermente e lenire il fastidio.
Molly inspirò a fondo.
Tra poco sarebbe stato tutto come prima ma in quell’istante, solo per quell’istante, andava tutto bene.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** cap. 6 ***


E lentissimamente è arrivato anche questo capitolo!!!
E ci siamo quasi, ve lo assicuro... altri due o tre al massimo dopo questo.
Ringrazio martiachan, Erule e Anne Elliot per il commento al precedente e vi assicuro che mi impegnerò per aggiornare al più presto, anche se non credo proprio che succederà prima del nuovo anno per cui...
Auguri di Buone Feste a tutti!
 
LA SOMMA DI TUTTE LE COSE

CAPITOLO SEI
 
St. Bart’s
Ore 10.35 am
 
“La ringrazio molto per aver telefonato, Professor Morrison”
Molly si passò una mano sugli occhi stanchi, mentre con l’altra continuava a impugnare il  telefono del suo ufficio.
“Si figuri, Dottoressa Hooper. Quando abbiamo sentito quello che era successo ci siamo molto preoccupati, fortunanatamente il St. Bart’s è stato in grado di rassicurarci velocemente sulle Sue condizioni”
Lei emise un sospiro.
“Si, è stato davvero un incidente spaventoso e mi ritengo molto fortunata...”
“Mi domando quanto ancora ci metteranno a scoprire cosa sia successo”
Molly si irrigidì: la stampa e il web speculavano sulle vere cause dell’incidente in ogni direzione possibile, ma non era ancora stato rilasciato un comunicato ufficiale e, naturalmente, lei non era autorizzata a divulgare nessuna informazione.
“Sono sicura che ci saranno degli sviluppi quanto prima” commentò piano, cercando di mantenere un tono di voce normale.
Il suo interlocutore sembrò capire la sua esitazione.
“Ma certo. So che probabilmente in questo momento ha altri pensieri, ma sappia che il Suo intervento al convegno era molto atteso e, come Le ho già accennato, avrei colto l’occasione per incontrarLa e approfondire i dettagli del nuovo studio che siamo in procinto di intraprendere  a Montreal”
Molly si morse il labbro.
“Si, ne sono consapevole e... Le sono grata per aver pensato al mio nome. Sarebbe certamente un onore far parte del Suo gruppo di ricerca, anche se mi era parso di capire che tutti i posti fossero già stati assegnati”
“Era cosi, infatti... ma sarò sincero, le Sue credenziali sono ottime e non possiamo proprio permetterci di non prenderLa in considerazione. So che non posso pensare di convincerLa per telefono, ma per lo meno dia un’occhiata al materiale che Le ho inviato e magari poi potremmo risentirci... ho in previsione un viaggio a Londra la settimana prossima, mi farebbe piacere incontrarLa e sentire il suo parere. Non Le nascondo che Lei è la persona che avevo in mente per la posizione che Le ho proposto”
“Ho già guardato quello che mi ha inviato. Le premesse sono davvvero notevoli, il piano di lavoro è ambizioso e impegnativo, io... Io sono lusingata che abbia pensato a me”
Il Professore scoppiò a ridere.
“La ringrazio mia cara! Sappia che io so essere molto testardo, quando voglio... Ci pensi su e Le farò sapere la data del mio viaggio, cosi potremo incontrarci e potrò convincerLa a dirmi di si”
Dopo aver salutato, Molly riattaccò il telefono e rimase a guardarlo pensierosa.
Il Canada.
Certo era quando di più impossibile potesse immaginarsi, un cambiamento davvero grande che non era sicura di volere o potere affrontare, nonostante la sua risoluzione nel desiderare di lasciare Londra... ma in fondo, perchè no? Non l’aveva davvero presa in considerazione perchè non sembrava che ci fossero più  posti disponibili, ma l’opportunità era davvero preziosa e non c’era nulla che la trattenesse in Gran Bretagna, nulla che
Le mani di Sherlock, che dolcemente la sfioravano e si prendevano cura delle sue ferite.
Scosse la testa con forza per scacciare il ricordo che l’aveva assalita improvvisamente, non avrebbe permesso a quel momento cosi surreale e delicato di influenzarla o farla dubitare, perchè le cose erano andate proprio come si era aspettata.
Perchè Sherlock l’aveva medicata senza mai parlare.
Perchè quando aveva finito non l’aveva più guardata e si era rialzato, facendo un cenno con il capo al personale di Mycroft che era venuto per riaccompagnarla a casa.
Perchè se ne era andato senza salutarla o dirle qualcosa, lasciandola seduta in mezzo alle macerie a domandarsi per qualche secondo se non fosse stato tutto un sogno, fino a che non si era riscossa  e si era alzata.
Perchè erano passati quattro giorni, e non l’aveva più visto o sentito (era stato Greg ad aggiornarla sulle scoperte delle sostanze presenti nel corpo del capo treno e l’autopsia era stata solo una procedura dovuta, del composto chimico si stavano occupando gli specialisti del governo. E probabilmente Sherlock... ma non al laboratorio, come invece avrebbe fatto un tempo).
Quello di quattro giorni prima era stato un singolo, prezioso momento... niente altro.
In sostanza, non era cambiato nulla.
Ma in fondo, perchè qualcosa sarebbe dovuto cambiare?
Il segnale di un sms in entrata la distrasse da quei pensieri: con un sospiro, prese il cellulare e aprì il messaggio appena arrivato.
Fantastico, pensò non appena ebbe letto il testo.
 
***
 
221/B Baker Street
Due ore prima
8.30 am
 
Il materiale appeso al muro nell’appartamento parlava chiaro  e, al contempo, sollevava una miriade di domande a cui non riusciva a dare risposte.
E questo lo irritava oltremodo.
Alla parete erano state aggiunte le fotografie del disastro ferroviario e i risultati dell’autopsia del capotreno, affiancati ad una copia dell’analisi del composto che l’aveva ucciso prima che potesse correggere l’aumentata velocità del mezzo. A lato, alcune note scarabocchiate di fretta costellate da punti interrogativi, cancellazioni e correzioni.
Gli parve di cogliere un collegamento, ma lo eliminò velocemente per provarne un altro ed un altro ancora, fino a che non si diede per vinto e non si avvicinò alla finestra; inutile tentare, in quel momento la posta in gioco era talmente alta da inficiare ogni sua capacità di giudizio e questo non era naturalmente accettabile.
Scosse la testa con irritazione.
“Problemi a concentrarti, fratello caro?”
Mycroft  si voltò verso la soglia per accogliere le parole sarcastiche e la pungente osservazione che Sherlock aveva appena fatto, e fu accolto da uno sguardo annoiato.
“Questa è casa mia, se non sbaglio. E non mi sembra di avervi invitato, nè tantomeno di averti chiesto di esaminare il mio materiale”
Il maggiore dei fratelli Holmes fece un sorriso a labbra strette e non diede l’impressione di essere in qualche modo dispiaciuto o imbarazzato per l’intrusione che aveva operato,  Anthea si limitò a continuare a digitare sui tasti del telefonino sul divano dove si era seduta.
“Mrs. Hudson è stata cosi gentile da farci salire perchè potessimo aspettarti qui” Mycroft inclinò la testa e non smise di sorridere con aria tesa “e perdonami se sono in errore, ma questo materiale ti è stato per lo più fornito dal governo, per il quale stai lavorando. Stavo solo facendo il punto della situazione in attesa che tu decidessi di rientrare da uno  degli innumerevoli vagabondaggi con cui ci stai deliziando in questi giorni. Dimmi, che cosa ne pensa l’Agente Donovan di questo tuo vagare per la città?”
Sherlock non si diede la pena di rispondere ed entrò definitivamente nell’appartamento, poi si prese del tempo per togliersi il cappotto e sedersi in poltrona.
“L’agente Donovan è stata informata a tempo debito di ogni mio spostamento” disse infine il consulente investigativo “ma insiste nell’indagare nella direzione degli omicidi attribuiti ai fratelli Kybransky. Non posso certo continuare a perdere tempo con la sua testardaggine e la sua inadeguatezza”
“Il che significa vagare in ogni tugurio e covo di drogati della città?” chiese suo fratello stizzito.
Sherlock alzò le spalle.
“Vedi? Tu sapevi esattamente come mi stessi muovendo, anche se le tue modalità di controllo sono state molto discrete, devo ammetterlo”
Mycroft scosse piano la testa.
“Saperti con il Dottor Watson ha di gran lunga placato i miei dubbi e le mie preoccupazioni, anche se non devo essere io a ricordarti che lui era presente, quando hai deciso di uccidere un uomo a sangue freddo e di macchiarti di un crimine per il quale non sei ancora stato perdonato”
L’espressione di Sherlock rimase impassibile, ma le sue mani si contrassero sui braccioli a testimonianza del nervosismo che le parole del fratello erano riuscite a generare. Lo scrutò per qualche istante, poi congiunse le mani all’altezza del mento e un sorriso di scherno gli apparve sul volto.
“Sono colpito” disse con ironia “la tua preoccupazione è talmente alta da inibire le tue capacità di analisi. Sei rimasto davanti a quella parete per quanto? Quindici, venti minuti... e in verità non sei giunto a nessuna conclusione accettabile”
L’altro si voltò di nuovo verso la finestra, era inutile negare le sue difficoltà, anche se Sherlock le stava mettendo a nudo solo per nascondere le proprie.
Era sempre stato così, fra loro due... perchè rischiare di essere sinceri quando potevano invece trincerarsi dietro il disdegno e le loro  menti brillanti?
“I risultati definitivi del composto trovato nel corpo del capotreno...” inziò in tono pensieroso.
“Danno alcuni dati per lo meno contrastanti” disse Sherlock con sicurezza.
Mycroft  annuì piano.
“Concordo con te. Il composto è stato creato in laboratorio e presenta alcune caratteristiche specifiche che sono riconducibili ai fratelli Kybransky...”
“Ma non del tutto”
“Esatto. Loro hanno una sorta di firma personale, sostanze che preferiscono usare invece di altre... qualcosa non quadra”
Sherlock emise un grugnito e si alzò di scatto dalla poltrona.
“Lieto di sapere che finalmente qualcuno comincia a pensarla come me” disse sarcasticamente.
Suo fratello scosse la testa.
“Tuttavia abbiamo la conferma che sono entrati nel paese. Abbiamo l’uso di sostanze chimiche nell’attentato al treno...”
“No, non è abbastanza” il consulente investigativo cominciò a camminare velocemente per la stanza “Ci ho lavorato sopra in questi giorni e”
Mycroft ebbe un moto di impazienza e lo interruppe.
“Perdonami fratellino, ma credo che tu non possa pretendere che aspettiamo la tua epifania. Le tue idee vanno in una direzione totalmente diversa da quella che indicano i fatti, anche se devo ammettere che in questa storia ci sono delle grosse incongruenze. Stiamo portando i protocolli contro gli attacchi bio terroristici a livello massimo”
Una smorfia di fastidio accolse la sua dichiarazione.
“Non sono sicuro che sia necessario andare in quella direzione!”
Sul viso di Mycroft apparve un’espressione irritata.
“Mi scuso per dover seguire una gerarchia e delle direttive...” disse “sappiamo bene entrambi che non è una cosa a cui sei abituato, ma vediamo anche dove tutto ciò ti ha portato!”
I due fratelli avevano entrambi alzato la voce nelle loro ultime affermazioni, ma poi nella stanza calò il silenzio e rimasero a fissarsi.
“Sai che ho ragione io” riprese infine Sherlock guardandolo dritto negli occhi.
L’uomo che talvolta era il governo in persona fece trasparire per un attimo sul suo volto il suo turbamento interiore: voleva dare credito al fratello, ma la posta in gioco era troppo alta, aveva bisogno di fatti certi.
“Che cosa hai scoperto?” chiese ritornando ad un tono di voce normale ma distaccato.
“Ho un’idea e in questi giorni ho seguito diverse piste che mi hanno portato alla definizione di alcuni scenari”
Mycroft strinse le labbra: alcuni scenari significava semplicemente nessuna certezza e questo purtroppo non gli bastava.
“Uno di questi prevede accettare che Moriarty sia davvero ancora vivo?”
Con un gemito di frustrazione, Sherlock ricominciò a camminare a passi agitati lungo l’appartamento.
“NO! Quell’uomo è morto!” esclamò con insofferenza “Davanti a me! Che vi prende a tutti quanti? Sembrate quasi sperare in un grande ritorno che semplifichi le cose! Diamo tutta la colpa al grande consulente criminale, per lo meno sapremo cosa dobbiamo affrontare!”
“E tu invece lo sai, Sherlock, che cosa dobbiamo affrontare?” sussurrò Mycroft.
Suo fratello si fermò di botto e lo fissò, realizzando che la discussione stava per prendere un’altra piega.
“Che cosa vuoi, Mycroft?” chiese in tono guardingo.
“Sono morte delle persone su quel treno...” continuò il maggiore dei fratelli Holmes “e nulla fa pensare che si sia trattato di un episodio isolato. E la Dottoressa Hooper era fra i passeggeri...”
“Questo è assolutamente irrilevante” lo interruppe il consulente investigativo irrigidendo tutta la sua postura.
“Il tuo comportamento in seguito all’incidente sembrerebbe provare il contrario”
Sherlock strinse la mascella al pensiero che il suo momento con Molly fosse stato spiato: era stata una decisione improvvisa, giusta e sbagliata allo stesso tempo... un momento privato che naturalmente suo fratello non aveva ritenuto tale.
“Perchè non provi a parlare chiaro, Mycroft?”
L’altro inspirò a fondo.
“Ho bisogno di sapere che sei effettivamente in grado di condurre questo caso, Sherlock.  Ho bisogno di essere certo che altre cose non ti stanno distraendo o portando nella direzione sbagliata.”
Come spesso gli era successo dal momento dell’incidente, l’immagine di Molly seduta su quella sedia da campeggio in mezzo alle macerie si ripresentò prepotentemente davanti agli occhi di Sherlock.
La accolse con una smorfia di fastidio, ma non tentò di mandarla via perchè ormai sapeva che era impossibile: da giorni lo tormentava, insieme al ricordo di tutte le sensazioni che aveva provato prima di essere sicuro che lei stesse bene dopo il deragliamento del treno, che non le fosse successo niente di grave.
Prima di essere sicuro di non averla persa per sempre.
Da un punto di vista prettamente scientifico, quello che il suo corpo aveva sperimentato era stato abbastanza chiaro: battiti del cuore aumentati per l’ansia, sudorazione e respiro leggermente affrettato, fatica a distogliere il pensiero dall’idea che Molly potesse essere in difficoltà.
Ricordava di aver provato le stesse sensazioni quando John si era trovato in situazioni di pericolo, o quando tempo più addietro Mrs Hudson era stata aggredita.
Sherlock Holmes aveva ormai ammesso da tempo con sè stesso di avere una cerchia di persone a cui teneva particolarmente, non era quello il problema.
Il problema era quello di riuscire ad archiviare quelle sensazioni, metterle al sicuro perchè non tornassero a tormentarlo e distrarlo... il problema era stato quella necessità incombente di tornare da Molly e medicarla, per essere sicuro che stesse bene e perchè sembrava che ogni singola fibra del suo corpo avvertisse  il bisogno di toccarla, di stabilire un contatto fisico come unico modo per rilassarsi e scacciare la sua stessa ansia.
Toccare Molly Hooper l’aveva fatto stare bene.
Era inaccettabile, naturalmente... una debolezza che andava combattuta, soprattutto alla luce del fatto che Molly stava per andarsene e che la separazione fisica non poteva ovviamente fornire alcuna possibilità di ulteriori contatti; sarebbe stata lontana e quindi questa necessità non avrebbe più trovato risposta, arrivando ad estinguersi.
Era una buona cosa, giusto?
Si rese conto che Mycroft stava aspettando un commento alle sue affermazioni.
“Adesso mi stai insultando” cominciò in tono glaciale “dovresti conoscermi abbastanza bene da sapere che la Dottoressa Hooper e la sua imminente partenza non costituiscono per me alcun motivo di distrazione. Quello che vuole fare della sua vita è affar suo e non mi riguarda, francamente comincio a trovare noiosa questo continuo ripetermi. In verità tu dovresti essere contento, visto che hai fatto di tutto perchè lei realizzasse quanto la mia presenza nella sua esistenza sia deleteria”
Il movimento degli occhi di Mycroft fu impercettibile, ma naturalmente il consulente investigativo lo intercettò.
Si voltò di scatto verso Anthea, che aveva smesso di digitare sui tasti del telefono e lo stava ora fissando.
“Oh. Non tu fratello, a quanto pare” disse inclinando la testa mentre cominciava ad osservare la donna “vedo che dopo tutto non sei capace di seguire i tuoi stessi consigli e ti sei trovato un pesce rosso tutto tuo... non pensavo che fossi il tipo di uomo che si fa influenzare dalla sua assistente... o c’è qualcosa che mamma dovrebbe sapere? Sempre se i particolari non sono troppo piccanti da non poter essere condivisi. Dubito che la nostra cara genitrice avrebbe voglia di sentire quanto si estende la qualità dell’assistenza che la tua segretaria ti procura. Tranquillo, neanche io sono curioso di sapere quali delle sue innumerevoli abilità ti ha convinto  a seguire le sue richieste”
Anthea impallidì notevolmente alle implicazioni di Sherlock e al suo tono sarcastico e accusatorio, tuttavia dopo qualche attimo si riprese e si alzò in piedi e gli si avvicinò.
“Lei è un idiota, Signor Holmes’ dichiarò con lentezza e sicurezza.
Sherlock spalancò la bocca sorpreso.
“Mia cara...” tentò di intromettersi Mycroft, ma lei alzò una mano per interromperlo.
“Si sbaglia, la decisione di far sentire la registrazione alla Dottoressa Hooper è stata unicamente di Suo fratello. Pensava che fosse il momento per lei di andare avanti come non era ancora riuscita a fare, era davvero il suo modo di ringraziarla ma vede... io invece pensavo che Lei, Signor Holmes, si sarebbe meritato una seconda possibilità al Suo ritorno”
Sherlock aggrottò la fronte confuso e Anthea scosse la testa con commiserazione.
“Crede davvero che Mycroft l’avrebbe fatta morire in quella missione senza intervenire?” gli chiese con un sorriso amaro “il messaggio di Moriarty o chi per lui ha solo anticipato i tempi. Era già pronto un piano per riportarLa a casa ed è davvero triste che Lei non se ne sia reso conto, che non abbia davvero realizzato quanto la Sua perdita avrebbe spezzato il cuore di Suo fratello”
“Anthea...” il tono del suo capo era alquanto riluttante.
“NO!” lo interruppe di nuovo lei con uno sguardo furioso negli occhi “ora mi rendo conto di aver fatto un errore, un grave errore di valutazione e nel sentire le Sue parole, Signor Holmes, ho deciso di porvi rimedio... credo che, dopo tutto, sia ora che smettiamo di impedire a Molly Hooper di avere quello che vuole”
Anthea tornò ad osservare il cellulare e con rapidi gesti inviò una mail.
Sherlock la scrutò per qualche istante: se le sue parole erano vere (e non dubitava che lo fossero, visto con quale irruenza le aveva pronunciate abbandonando il suo impeccabile aspetto compassato di sempre) Anthea in questo periodo aveva fatto in modo che Molly non avesse comunque la possibilità di ricevere offerte interessanti. Vero, la patologa gli aveva assicurato che sarebbe rimasta fino alla soluzione del caso, ma nulla le stava impedendo di guardarsi comunque intorno e l’assistente di suo fratello aveva in qualche maniera bloccato ogni possibile opportunità.
Almeno fino a quel momento.
“Che cosa hai fatto?” le chiese improvvisamente inquieto.
Anthea  gli restituì uno sguardo deciso.
“Ho appena dato alla Dottoressa Hooper la sua possibilità di essere felice. Aspetterò in macchina” terminò rivolta a Mycroft prima di lasciare l’appartamento.
Mycroft e Sherlock rimasero in un silenzio carico di tensione e imbarazzo per qualche minuto, poi il maggiore prese anch’egli la direzione verso la porta.
“L’avresti fatto davvero?”
Un mezzo sorriso si era stampato sul suo volto mentre si voltava per rispondere alla domanda di suo fratello.
“Che cosa?”
“Mi avresti davvero salvato?”
“Si”
Sherlock fece vagare lo sguardo per la stanza.
“Ti sarebbe costato molto” commentò a bassa voce.
L’altro alzò le spalle con noncuranza.
“Non così tanto, se fossi riuscito ad attribuire la tua miracolosa salvezza alle tue grandi capacità di cavartela o all’inettitudine di chi aveva programmato la missione. Avrebbero potuto avere dei sospetti, ma non delle prove”
Dopo qualche secondo, entrambi si misero a ridacchiare ma poi Mycroft tornò serio.
“Non parlerai più in quel modo ad Anthea, sono stato chiaro?”
Sherlock annuì piano, conscio del fatto che suo fratello aveva fatto una scelta seria, aveva scelto di legarsi a qualcuno nonostante tutte le sue precedenti convinzioni.
Il pensiero della possibilità di questa cosa gli procurò un nodo allo stomaco.
“Chiarissimo” disse, scacciando la sensazione “Magari però la tua assistente in futuro potrà evitare di insultarmi? Pensa altrimenti alle situazioni che si potrebbero venire a creare quando comincerà a partecipare alle nostre riunioni di famiglia...”
Mycroft fece una smorfia e si schiarì la voce in evidente imbarazzo, poi raddrizzò le spalle.
“Sono sicuro che Anthea riuscirà a moderarsi. È una donna intelligente e capace... ma su una cosa evidentemente si sbagliava.”
“E sarebbe?”
“La questione non è se tu ti meriti o no una seconda possibilità... forse dopo tutto tu non la vuoi davvero”
O forse sei proprio un idiota, fratellino, aggiunse tra sè Mycroft Holmes mentre lasciava Baker Street e raggiungeva la macchina che lo stava aspettando.
 
***
 
Casa di John e Mary Watson
10.15 am
 
“Altro caffè?”
“Ehm... no, grazie Mrs Watson”
“La prego mi chiami Mary, Agente Donovan”
Sally sorrise nervosamente, la moglie di John era la prima persona facente parte della cerchia di Holmes che era davvero gentile con lei, se non si considerava Lestrade.
Quel clima familiare era un po’ inquietante e strano, visto che si trovavano nell’appartamento dei coniugi Watson per fare il punto della situazione sulle indagini, ma John era stato chiaro: aveva trascorso gli ultimi quattro giorni a rincorrere Sherlock per Londra e ora aveva davvero bisogno di stare vicino a sua moglie per qualche ora, cosi avevano convenuto di trovarsi a casa sua e ora stavano sorseggiando caffè e mangiando i pasticcini di Mrs Hudson, in attesa del consulente investigativo.
“Solo se tu mi chiami Sally” rispose l’agente speciale, prendendo un altro dolcetto e considerando che il sorriso di Mary Morstan Watson era davvero angelico, e che la maternità le conferiva un’aurea luminosa e pacifica.
Poteva capire perchè suo marito avesse bisogno di starle accanto in quel momento.
La porta si aprì e Sherlock Holmes fece la sua apparizione, le mani infilate nel cappotto e uno sguardo penetrante che preannunciava un commento alquanto secco sull’inutilità di fare uno spuntino in un momento come quello.
Con suo sommo stupore, Donovan lo osservò stringere le labbra e rilassare impercettibilmente i muscoli del viso in un tentativo di sorriso: era davvero cambiato, una volta non avrebbe evitato di rimarcare il suo fastidio, ora lo vide battere le mani e annuire.
“Bene, caffè. Mary, nero due zollette, per favore”
E chiedeva anche per favore.
“Prenditelo da solo”
L’agente speciale del governo si voltò stupita verso la donna che aveva appena pronunciato la frase in tono glaciale: sul suo viso continuava ad aleggiare un sorriso serafico, ma i suoi occhi facevano trasparire una grossa, grossa irritazione.
Nella stanza si sentì chiaramente l’esclamazione disperata di John Watson.
“Oh cielo”
Sherlock dal canto suo si limitò a fissare per un attimo la moglie del suo migliore amico, poi socchiuse gli occhi.
“Mary?”
La donna ricambiò la sua espressione.
“Sherlock?”
Lui emise un sospiro di impazienza misto a rassegnazione e le si avvicinò, prendendola gentilmente ma con fermezza per un gomito.
“Vogliate scusarci” disse agli altri presenti nel salotto, prima di indirizzare Mary verso la cucina e chiudersi dentro insieme a lei, mentre Lestrade si lasciava andare ad un
“Glielo hai detto, vero John?”
abbastanza preoccupato.
Sherlock stava ancora chiudendo la porta quando fu aggredito da uno strofinaccio sbattuto a più riprese sulla sua spalla.
“Ehi!” commentò annoiato.
Mary si mise le mani sui fianchi, uno sguardo furioso negli occhi.
“Hai intenzione di far si che dopo la nascita della bambina la mia sia un’esistenza triste e solitaria, Sherlock Holmes?”
“Di che diavolo stai parlando?” le chiese lui altrettanto irritato.
“Del fatto che stai rovinando tutte le mie amicizie! Pensi che quando avrò partorito avrò molte opportunità di uscire nei primi tempi? John avrà il lavoro e naturalmente continuerà a seguirti,  ma io?
Sarò qui da sola con un esserino che so già di amare con tutta me stessa ma che, ammettiamolo, non sarà una compagnia molto interattiva! E non avrò nessuna amica con cui sfogarmi, perchè tu le stai facendo scappare tutte da Londra!”
Sherlock incrociò le braccia al petto e si appoggiò alla porta.
“Sei diventata amica di Janine solo perchè era l’assistente personale di Magnussen” la accusò con una smorfia eloquente.
Mary sbattè le palpebre due o tre volte, ma non si perse d’animo.
“Beh, senti chi parla... tu le hai chiesto di sposarti per lo stesso identico motivo. Ma si dà il caso che lei mi piacesse molto comunque! E io e Molly stavamo finalmente imparando a conoscerci meglio e sono sicura che potremmo essere buone amiche”
Sherlock fece per replicare, ma Mary gli mise una mano davanti alla bocca.
“Sta zitto, lo so che lei sa che cosa ho fatto. Non è una stupida,  ma nonostante questo ha continuato ad essere gentile con me e non mi ha fatto domande... ti dico che devi convincerla a restare!”
Lui roteò gli occhi con insofferenza.
“Perchè altrimenti che fai, mi spari di nuovo?”
Mary arretrò leggermente sotto il peso di quelle parole e Sherlock se ne pentì all’istante.
“Mi dispiace, scusa...” disse, mentre la sua mano raggiungeva i suoi capelli per arruffarli in preda alla frustrazione “Ma lei non vuole rimanere, Mary. John si è dimenticato di raccontarti questa parte della conversazione?”
Il tono amaro dell’amico fece scuotere piano la testa alla donna.
“Lei non vuole perchè pensa che a te non importi... ma sappiamo entrambi che non è cosi”
Sherlock scosse improvvisamente la testa con rabbia e si allontanò dalla porta.
“Siete tutti così sicuri di sapere cosa sia meglio, vero? A nessuno viene in mente che la partenza di Molly Hooper sarebbe un bene? Che finalmente potrebbe vivere la vita che desidera e che si merita?”
“Lontana da tutto ciò che ha costruito qui? Da tutto ciò che potrebbe avere qui?” chiese Mary dispiaciuta.
Lui fece un mezzo sorriso.
“Lontana da me” fu la sua risposta sussurrata.
Il suono del cellulare che segnalava un sms arrivò ad interromperli prima che uno dei due potesse aggiungere altro.
Sherlock prese il telefono e sul suo viso arrivò un’espressione determinata.
“Ci siamo” esclamò, uscendo a razzo dalla cucina.
“John, apri la porta!”
Il suo amico lo guardò perplesso.
“Ma non ha bussato ness”
Qualcuno bussò alla porta.
Il Dottor Watson sbuffò e andò ad aprire.
Billy Wiggins in una delle sue tenute migliori era sulla soglia e teneva per un braccio un tizio basso e fragilino, con due fondi di bottiglia al posto degli occhiali.
Il tizio in questione non sembrava molto contento di trovarsi dove era e guardava ostentatamente per terra, ma Billy sembrava avere su di lui una presa molto salda.
“Dottore” salutò rispettosamente, prima di far vagare lo sguardo per la stanza e intravedere Mary.
“Signora” annuì “La trovo in splendida forma.... non nel senso naturalmente che è formosa, questo no, perchè Le assicuro che non lo è. Certo, in verità lo è, essendo incinta, ma solo nelle parti giuste... voglio dire...”
“Billy” la voce di Sherlock interruppe il discorso e il ragazzo tirò un sospiro di sollievo.
“Si, Shezza. Certo”
“Shezza?” chiese Lestrade inarcando un sopracciglio.
“Soprannome tra compagni di avventure chimiche” disse a denti stretti John, il quale non era molto contento di quell’improvvisata a casa sua.
“Avventure chimiche nel senso di...” si intromise Donovan.
“ORA BASTA, TUTTI QUANTI! ZITTI!”
Nel soggiorno calò il silenzio.
Sherlock si avvicinò ai nuovi arrivati e scrutò con freddezza il compagno di Billy.
“Parla” comandò seccamente.
L’altro per tutta risposta mugugnò qualcosa, ma poi ritornò muto.
Billy gli diede uno strattone.
“Il Signor Holmes ti ha chiesto di parlare,  Jason. Puoi scegliere di farlo con le buone o aspettarti che si arrabbi un pochino. In quel caso ti assicuro che non sarai molto contento”
“Ehi...” si intromise Lestrade a quella minaccia.
Sherlock non se ne curò e si avvicinò ulteriormente.
“Jason. Ho passato quattro giorni a cercarti, devo dire che ti sei nascosto molto bene... non possiamo fartene un torto, visto che le altre due persone che hanno eseguito  il tuo stesso lavoretto non hanno fatto una buona fine...”
All’occhiata perplessa di Donovan, John decise di aggiungere qualche spiegazione.
“Sherlock ha elaborato una teoria per la quale il composto che ha ucciso il capotreno è stato sintetizzato in diverse fasi a cui hanno partecipato differenti persone, tra cui a quanto pare il nostro amico qui. In questi giorni ci siamo dati parecchio da fare per trovarlo... mai visto così tanti posti malfamati in una volta” indicò con il dito il tizio che stava ancora zitto.
“Le altre due persone sono state Loggins e quell’altro chimico che è stato ucciso dopo di lui?” chiese Donovan, che stava velocemente cominciando a fare i collegamenti necessari per assumere poi  un’aria perplessa “Ma perchè i fratelli Kybransky avrebbero avuto bisogno di far elaborare il composto chimico a qualcun altro?”
“Non ne avrebbero avuto bisogno, in effetti... se fossero stati davvero coinvolti. Ma come ho già detto, erano solo uno specchietto per le allodole” disse Sherlock senza distogliere lo sguardo da Jason.
“Allora?” tornò a chiedere.
L’altro emise un gemito.
“Voglio l’immunità! Io non sapevo assolutamente di cosa si trattasse! Ho fatto solo un pezzo di lavoro!”
Gli occhi di Sherlock si ridussero a una fessura.
“Quello che posso darti, Jason, è la rassicurazione che non ti farò tornare in strada fra due minuti senza una scorta o una protezione. Attualmente, questo è uno dei luoghi più protetti del Regno, ma quanto pensi che potresti durare prima di riuscire a tornare nel tuo lurido ma non perfettamente camuffato  nascondiglio?”
“Non lasceresti che mi uccidano davvero!” piagnucolò esterefatto l’altro.
“Non mettermi alla prova, Jason” sibilò Sherlock, mentre l’immagine di Molly sul luogo del disastro gli tornava di nuovo alla mente.
“Mi ha pagato un sacco di soldi! Non sapevo che l’avrebbe usato su quel treno!” gridò disperato il chimico.
“Ha? Non erano in due?” chiese Donovan ancora dubbiosa.
Jason scosse la testa.
“Era un uomo, uno solo. Mi ha dato un grosso anticipo, ma quando gli ho consegnato il composto ha tirato fuori una pistola e mi ha sparato. Non so come non mi ha beccato, allora l’ho colpito con la prima cosa che mi è venuta sotto mano e sono scappato. Mi nascondo da cinque giorni...”
“L’hai colpito con un’asse al braccio sinistro?”
Jason guardò stupito Sherlock.
“E lei come lo sa?”
Il consulente investigativo assunse un’aria eccitata ed estrasse una fotografia dalla tasca del cappotto.
“Era questo l’uomo?” domandò con impazienza.
“Accidenti, si!”
Donovan si sporse per osservare la foto e riuscì ad esprimere un unico commento.
“Merda”
 
***
 
St. Bart’s
10.45 am
 
Molly Hooper lesse e rilesse il messaggio che le era arrivato, poi scosse piano la testa.
In fondo, non poteva evitare l’incontro che le era richiesto all’infinito e, forse, era meglio sbrigare la faccenda al più presto, togliersi il pensiero... anche se le spiaceva davvero che le cose dovessero andare a quel modo.
Aprì la funzione dei messaggi e digitò poche parole.

SARO’ DA TE VERSO LA PAUSA PRANZO.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** capitolo 7 ***


Hello!
Si, sono io. Con il nuovo capitolo.
È un periodo pessimo sotto alcuni punti di vista, quindi scusate l’attesa. Nel frattempo però ho visto la terza serie (ma come? Donovan non se ne è andata? Ho adorato la sua scena con Lestrade e va beh... lasciatemi il suo passaggio ai servizi segreti come una piccola licenza poetica. Sono invece fiera del fatto che c’è un dialogo tra Mary e Sherlock a proposito di Janine che è simile al mio del precedente capitolo, e che avevo scritto senza ovviamente aver visto la puntata...). Che dire? La serie è bellissima, un po’ meno lo è stato il trattamento che le ha riservato Italia 1.
Ho visto anche The Imitation Game, è davvero notevole (si, si... anche e soprattutto al di la dell’interpretazione di B C. che è fenomenale.
E, per la cronaca, ho plagiato una mia cara amica che ora lo adora e adora Sherlock)
Ho avuto un sacco di idee per delle one shot e spero che questo mi sproni a finire in fretta questa storia, ma la pazienza è una gran virtù per cui la eserciterò per evitare di fare le cose grossolanamente.
Grazie, grazie a chi ha commentato e si è aggiunto nel  seguire questa fanfic.
Basta.
(no, giusto... nulla nei personaggi o nelle cose descritte mi appartiene, li utilizzo solo a scopo di divertimento)
 
LA SOMMA DI TUTTE LE COSE

CAPITOLO 7
 
 
“Perchè non mi hai detto che sospettavi di lui?”
La domanda di John era stata posta con un misto di rassegnazione, rabbia e stupore.
Rassegnazione perchè, per l’ennesima volta, Sherlock dimostrava di non riuscere a smettere di  tenere sempre qualcosa per sè.
Rabbia perchè, per la miseria, era davvero ora di finirla anche se in verità il Dottor Watson sapeva che il consulente investigativo semplicemente funzionava cosi, e non si faceva davvero un problema ad ammetterlo.
Stupore perchè, per l’ennesima volta,  a tutti era sfuggito qualcosa di fondamentale... a tutti, tranne che a Sherlock.
Il quale continuò a tenere gli occhi fissi sull’entrata del palazzo che stavano sorvegliando, le mani nelle tasche del  cappotto.
“Volevo esserne sicuro, e non lo sono stato fino a che non abbiamo parlato con Jason e lui non ha riconosciuto l’uomo nella fotografia” disse infine.
John annuì piano.
“È pazzesco. E tutto ciò mi porta a farmi una domanda... che dietro a tutto questo non c’è Moriarty... di questo sei davvero sicuro?” gli chiese ancora, notando il leggero contrarsi della sua mascella.
“Si” rispose a voce bassa Sherlock, gli occhi sempre puntati avanti.
John tornò anche lui a guardare il portone del palazzo e si mosse sui piedi per riattivare la circolazione, visto che ormai era più di  un’ora che si trovavano in quel posto e in quella posizione.
“Ho davvero bisogno di crederci”
La frase che Sherlock aveva sussurrato lo distrasse di colpo dal pensiero di aver voglia di un caffè; il suo sguardo si volse deciso verso il suo compagno, che aveva ora un sorriso amaro sulle labbra.
“Non fare quella faccia stupita, John. So che tu sospettavi che io non fossi cosi sicuro”
Il Dottor Watson scosse piano la testa.
“Non esattamente. Non riuscivo a capire come tu potessi dichiararlo con tanta certezza, quali prove potessi avere in mano oltre al fatto di averlo visto spararsi in faccia e prima che tu possa dire qualcosa, no... questo per me non era abbastanza. In fondo io ti ho visto buttarti da un palazzo, mi sono inginocchiato vicino al tuo cadavere e ho sentito che il tuo polso non batteva più”
Lo sguardo di Sherlock sembrò andare oltre al portone che stavano sorvegliando, oltre quel momento che stavano condividendo, fino a quel giorno di più di tre anni prima.
“È vero... ma vedi, io ho avuto qualcosa che Moriarty non aveva. Avevo Mycroft, e Molly. E la mia rete di senza tetto. Più di tutto, avevo voglia di vivere e il pensiero che quello che mi aspettava era il prezzo da pagare perchè le persone a cui tengo, e di riflesso la società, fossero al sicuro... avevo una motivazione, avevo uno scopo. E non voglio pensare che i due anni che ho trascorso via, i due anni e tutte le cose che ho perso siano stati un sacrificio inutile”
Sherlock si voltò finalmente verso di lui, lo sguardo intenso e profondo.
“Voglio che ne sia valsa la pena” concluse “perchè significa che qualsiasi cosa che ora stiamo per fronteggiare la potremo sconfiggere. Perchè non sarò mai più spaventato come lo sono stato  quel giorno”
John rimase ad osservarlo per qualche secondo, poi deglutì e si schiarì la voce (l’improvviso nodo alla gola non sarebbe passato inosservato, naturalmente, ma per lo meno poteva non essere troppo esplicito).
“Eppure poi hai ucciso un uomo...”
Sherlock scosse piano la testa.
“Sapevo perfettamente quello che stavo facendo, sapevo cosa mi aspettava quando ho sparato a Magnussen. Non c’era nulla di incerto in quello che sarebbe successo dopo, solo le conseguenze per aver mantenuto un giuramento che ho preso consapevolmente e con convinzione”
“Ti riferisci all’esilio di sei mesi da cui probabilmente non saresti tornato?”
Sul viso di Sherlock  apparve un’espressione stupita.
John sorrise amaramente.
“Ancora una volta dobbiamo dare credito alla mia incredibile moglie per averlo capito prima di me. E non credere, ci occuperemo anche di questo  quando tutto sarà finito” disse a denti stretti “ma per ora ci focalizzeremo su Molly. Quando ho detto a Mary che lei vuole andarsene, ha capito che doveva esserci qualcosa di più del fatto che non l’avessi salutata prima di partire per un viaggio. Non lei... non dopo tutto quello che ha passato per te, ti avrebbe comunque aspettato. Ma se avesse saputo che c’era la possibilità di non rivedervi più e che tu non le avevi voluto dire addio beh... posso capire perchè ora non voglia più restare”
Sherlock rimase in silenzio,lo sguardo di nuovo proiettato in avanti: se c’era qualcuno in grado di capire perchè non avesse voluto salutare Molly Hooper, quello era John Watson.
Il che non significava che il suo migliore amico dovesse anche approvare.
“Sei un idiota, Sherlock” disse infatti il Dottore “quando questa storia sarà finita dovremo davvero rivedere il modo in cui gestisci i tuoi rapporti personali”
“Credo che ormai sia troppo tardi” rispose il consulente investigativo con una smorfia.
Il pensiero di perdere Molly era ancora incredibilmente doloroso.
“Non è detta l’ultima parola” disse l’amico con aria misteriosa.
L”espressione di Sherlock si fece guardinga e sospettosa.
“Che intendi dire?” chiese scrutando a fondo John, ma quest’ultimo cominciò ad agitarsi interrompendo qualsiasi processo deduttivo.
“Guarda” indicò con un cenno della testa.
Un taxi era arrivato davanti al portone ed era chiaramente in attesa di un passeggero: dal palazzo uscì una persona con una borsa da viaggio in mano.
Sherlock  e John si precipitarono dall’altra parte della strada, l’uomo li vide e sul suo viso passò un’ombra di sorpresa che si tramutò in un tentativo di sorriso.
“Signor Holmes! Non pensavo che l’avrei rivista!”
Il consulente investigativo si avvicinò.
“Va da qualche parte?” chiese in tono colloquiale.
L’altro annuì.
“Si, mi spiace se ha bisogno di altre informazioni sono sicuro che il mio ufficio sarà più che disponibile nel fornirglieLe. Io devo partire per un viaggio di lavoro. Se volete scusarmi, avrei una certa fretta”
L’uomo fece per salire in macchina ma la mano di Sherlock gli artigliò il braccio sinistro, costringendolo a lanciare un gemito.
“L’asse di legno che Jason Crapper ha usato per colpirla deve averLe assestato un bel colpo” disse l’investigatore senza lasciare la presa.
La bocca dell’altro si contrasse in una smorfia, poi accennò un movimento per divincolarsi.
“Non so di cosa stia parlando. Ora, se non Le dispiace, ho un aereo da prendere”
“Oh, niente treno?” chiese Sherlock in tono ironico.
“Mi lasci andare! Non ha nessun diritto di trattenermi contro la mia volontà” sibilò l’altro.
Sherlock sorrise.
“Ha ragione. Io no. Sfortunatamente per Lei, loro si”
Lestrade e Donovan si avvicinarono in quel momento e l’Ispettore estrasse un paio di manette.
“Signor Thompson, o quale sia il suo vero nome” dichiarò soddisfatta Sally “da questo momento è sotto la custodia del governo del Regno Unito”
 
***
 
Molly fece un profondo sospiro e poi bussò alla porta dopo aver scambiato uno sguardo di saluto con l’agente di guardia, che ricambiò con un impercettibile cenno del capo.
Era davvero strano come tutti loro si fossero velocemente abituati alla presenza degli uomini di scorta: erano solo ombre, presenze invisibili e discrete che si assicuravano che tutto fosse a posto e Molly era davvero grata di essere stata inclusa nella lista delle persone da proteggere anche se era un controsenso, perchè significava essere un possibile bersaglio di un pazzo criminale, chiunque ci fosse dietro la riapparizione di Moriarty.
Si era domandata spesso se fosse davvero possibile che quell’uomo fosse sopravvissuto su quel tetto, ma la risposta che si era data alla fine non contava. Sherlock lo negava assolutamente, e questo le bastava. Si fidava ciecamente del suo giudizio e se lui lo riteneva impossibile, allora era semplicemente impossibile.
Gettò ancora un’occhiata distratta alla guardia prima di suonare il campanello e per un attimo le sembrò di aver dimenticato qualcosa, poi scosse la testa e fece un profondo sospiro, preparandosi a quello che doveva affrontare.
La porta si aprì quasi subito e sulla soglia apparve Mary.
“Ciao Molly” esclamò con un sorriso.
La patologa non si fece confondere neanche per un momento.
Quello sul volto della donna era lo sguardo più risoluto e deciso che le avesse mai visto: Mary Morstan Watson era entrata in azione.
Ed era sul piede di guerra.
 
***
 
“Vi ripeto che non avete nessun diritto di”
“Oh, la pianti!” Sally Donovan sbattè con forza una mano sul tavolo, uno sguardo deciso sul volto “può anche smetterla con  la sua sciarada di cittadino oltraggiato che reclama i suoi diritti. Sappiamo benissimo che Lei non è chi dice di essere, ora si tratta solo di capire quanta voglia ha di collaborare e cercare cosi di ridurre la Sua pena”
L’uomo che avevano conosciuto come Thompson scrutò per un lungo attimo il volto dell’agente speciale, poi un sorriso ironico gli apparve sul viso.
Sherlock osservò il suo viso tramutarsi in una maschera di pietra, dura e impenetrabile. La maschera di un assassino navigato.
“La mia  pena...” sembrò riflettere il prigioniero alzando un angolo della bocca “Lei non ha davvero idea di cosa sta parlando... non ci sarà nessuna pena. Quando vengo assunto per un lavoro, chi mi paga non si aspetta certo che io fallisca.
Non è semplicemente accettabile”
“Le garantiremo protezione, a patto che collabori” disse Donovan.
L’uomo accennò una risata.
“Protezione? Lei è proprio ingenua... non sa con chi ha a che fare”
“Allora ce lo dica. Con chi abbiamo a che fare?” intervenne Sherlock dal suo angolo.
L’altro volse lentamente il capo verso il consulente investigativo e per un attimo i due si sfidarono con lo sguardo.
“Sherlock Holmes...devo congratularmi con Lei. È davvero bravo come dicono, mi chiedo che cosa mi abbia tradito”
“Il suo braccio”
Thompson alzò interrogativamente un sopracciglio.
“Ho notato come nonostante Lei sia mancino, facesse molti movimenti con il braccio destro per evitare di sforzare il sinistro e la contrazione occasionale delle sue labbra per il fastidio. Evidentemente aveva avuto un incidente di qualche tipo che le procurava dolore... una collutazione?
Ha delle minuscole cicatrici sulle mani, le ho già viste in chi usa spesso il coltello per difesa personale e naturalmente ci sono la sua postura, che indicano un passato militare che non è citato nella sua scheda, e il leggero claudicare per il ginocchio sinistro, tipico di chi è stato coinvolto in una sparatoria.
Ha un colorito abbronzato che sta svanendo, non propriamente indicativo di una vita passata a Londra negli ultimi tempi.... ha viaggiato, ma non per piacere. L’abbronzatura si ferma al polsino della camicia, e il suo viso segnato dalle rughe indica che spesso ha viaggiato in paesi caldi, dovunque sia stato non ha preso il sole durante una vacanza, ma piuttosto per un viaggio di lavoro. Più volte, direi.
Una vita per lo meno avventurosa... relativamente strano, visto che si occupa della sicurezza della rete ferroviaria in Gran Bretagna. Il che ci porta al suo trasferimento, avvenuto circa due mesi fa. In tempo per inserirsi negli schemi di controllo e avere la possibilità di iniettare il composto al capo treno, un composto che si è procurato facendolo sintetizzare a tre chimici diversi i quali, me lo lasci dire, si sarebbero fatti avvicinare e convincere solo da un professionista e da un sacco di soldi.
Il che ci porta alla domanda principale”
Sherlock si avvicinò al tavolo e appoggiò entrambe le mani su di esso, sporgendosi verso l’uomo.
“Chi è Lei? Per chi sta lavorando?”
L’altro si allungò sulla sedia e incrociò le braccia al petto senza perdere il suo sguardo impenetrabile.
“Vorrei una sigaretta”
 
***
 
“Ti ringrazio di essere venuta, per me diventa sempre più difficile portarmi in giro il pancione, ormai devo avere le misure di un elefante”
Certo, come no.
Molly osservò Mary muoversi per la cucina e portare in tavola dei panini e del te: era chiaro che la gentile signora Watson aveva scelto di attirarla nella sua tana per avere il controllo assoluto della situazione e non credette neanche per un attimo alla scusa del pancione.
Una parte di lei non poteva fare a meno di essere divertita dal tentativo di Mary (nel messaggio che le aveva inviato diceva che si sentiva davvero davvero sola e aveva bisogno di un contatto femminile): se le circostanze fossero state diverse, le sarebbe davvero piaciuto che loro due potessero diventare amiche... e non si riferiva al fatto che la donna avesse sparato a Sherlock, era stata sincera quando aveva affermato che non giudicava nessuno, anche se era un pensiero alquanto disturbante. No, si riferiva al fatto che era in procinto di andarsene e sapeva bene che un’amicizia vissuta da lontano era ben diversa da quella che poteva contare sulla vicinanza e il conforto di una chiacchierata a quattr’occhi.
“Non dovevi disturbarti” disse addentando un panino e decidendo di lasciare a lei la prima  mossa.
Mary la scrutò per un attimo, poi prese anche lei da mangiare.
“Figurati. È il minimo che potessi fare, visto che ti ho fatto venire qui. È solo che... mi sento cosi sola! John è sempre via con Sherlock e naturalmente io capisco la situazione, ma è davvero difficile stare qui ed aspettare... non sapere cosa succede o cosa succederà. Mi sento cosi inutile” il suo labbro tremò e gli occhi le si fecero lucidi.
Per un attimo, Molly si lasciò quasi convincere.
Quasi.
“Mary” disse con un sospiro “so che John ti ha detto che sto per partire. Billy Wiggins mi ha mandato un messaggio, dice che non ha mai visto nessuno trattare Shezza con cosi tanta energia da quando io l’ho schiaffeggiato al laboratorio. Hai un nuovo ammiratore”
L’espressione affranta di Mary sparì dal suo volto cosi come era arrivata, in un battibaleno.
“Quel ragazzo mi ha drogata e poco fa ha commentato il mio peso, direi che non è esattamente nella lista delle mie persone preferite” dichiarò con enfasi mentre prendeva un altro morso dal panino, prima di tornare a guardare Molly e farle un sorriso “Se anche non ti avesse detto nulla non ci avresti abboccato, vero?”
La patologa scosse la testa divertita.
“No. Non ti ci vedo proprio nella parte della donna che si lamenta e va in crisi”
Mary le fece l’occhiolino.
“Non dirlo a John. Anche se le mie caviglie non sono gonfie come gli dico, i suoi massaggi ai piedi alla sera sono fantastici”
Molly scoppiò definitivamente a ridere.
“Ok”
Come in un duello, le due donne rimasero a osservarsi fisse negli occhi per qualche secondo, poi Mary fece un sospiro.
“Molly Hooper” disse con un tono serio “tu lo sai vero che non puoi assolutamente andartene?”
 
***
 
“Non cederà, vero?”
Greg Lestrade fece una smorfia e strinse le labbra con stizza.
‘Ok, lo prendo in custodia io. Vediamo se riusciamo a spaventarlo con la minaccia di un interrogatorio da parte dei servizi segreti”
L’Ispettore si voltò verso Donovan.
“Ehi, no! L’ho arrestato io, non andrà da nessuna parte!”
L’agente speciale scosse la testa.
“Non se ne parla proprio! È in gioco la sicurezza nazionale, non posso permettere che le cose vengano gestite da qui!”
“Che significa da qui? Non siamo degli incompetenti e ti ricordo che fino a poco tempo fa tu facevi parte della squadra... o entrare nei Servizi Segreti ti ha fatto dimenticare di essere stata una poliziotta?”
“Questa è la mia indagine!”
“Ma fammi il piacere, eri convinta che si trattasse dei fratelli Kybransky! Come al solito dobbiamo tutto a Sherlock... a proposito, tu che ne dici?”
“Già geniaccio... tu che ne pensi?”
Lestrade e Donovan si voltarono contemporaneamente verso il consulente investigativo e furono accolti da uno sguardo decisamente assente.
“Palazzo mentale” commentò John sorseggiando un caffè che risputò subito dopo nel bicchiere di carta.
“Che schifo! Ma come si fa a bere questa roba, fa parte dei test per entrare nella polizia?” commentò disgustato.
“Ehi!” l’esclamazione oltreggiata di Donovan e Lestrade lo fece sorridere.
“Bene” disse “almeno su qualcosa siete d’accordo. Cominciavo a pensare di dovervi dividere e mettere ai due angoli della stanza”
I due assunsero un’espressione imbarazzata e mormorarono delle mezze scuse a bassa voce l’uno all’altra, poi l’Ispettore fece un cenno con il capo verso Sherlock.
“Quando ci è andato?”
John alzò le spalle.
“Circa dieci minuti fa, subito dopo essere uscito dalla stanza degli interrogatori”
Sally si avvicinò curiosa e passò una mano davanti al viso dell’investigatore, che rimase impassibile.
“E quanto ci starà in questo stato?”
Il Dottor Watson alzò di nuovo le spalle.
“Dipende. Potrebbero volerci ore”
“Non abbiamo ore a disposizione!” esclamò Donovan spazientita voltandosi di nuovo verso di lui.
“Concordo” il commento improvviso fatto con voce profonda la fece sussultare.
“Oh, bene. Di nuovo tra noi. Allora?”
“Allora quell’uomo è un professionista. Non parlerà. Ho dato un’occhiata al suo appartamento mentre lo stavate portando qui dopo l’arresto. Non ha lasciato tracce, non avremo ulteriori indizi da lui. Rilasciatelo”
“Cosaaa?”
“Rilasciatelo e non passerà molto tempo prima che  l’uomo che lo ha assunto tenti di farlo uccidere, ha detto lui stesso che un suo fallimento non sarà tollerato. Potremo avere altri indizi a quel modo”
“E magari gli attacco un bel cartello sulla schiena con una una freccia lampeggiante. Sai bene che non possiamo farlo!” disse Lestrade.
“Perchè no?” lo sguardo di Sherlock era sinceramente perplesso.
“Perchè noi siamo i buoni. Non siamo autorizzati a mandare in giro la gente a fare da bersaglio, anche se si tratta di criminali” rispose l’Ispettore  esasperato .
“Noioso” fu l’unico commento del consulente investigativo.
Prima che qualcuno potesse replicare, un agente bussò alla porta.
“Signore?” disse rivolto al suo capo “il prigioniero chiede un colloquio”
Sally Donovan fece due passi avanti con uno sguardo soddisfatto.
“Bene, finalmente si decide a parlare”
L’agente si mosse a disagio.
“Veramente, Signora, ha chiesto di parlare con il Signor Holmes. Solo con lui”
La donna roteò gli occhi con insofferenza e guardò Lestrade, il quale si limitò ad alzare le spalle.
Sherlock era già uscito dalla porta.
 
***
 
“Mary...”
“No, aspetta”
Molly sospirò all’interruzione della donna davanti a lei e chinò il capo facendole segno di andare avanti, considerando inutile tentare di bloccare il fiume di parole che stava per arrivare e sentendosi d’un tratto molto stanca.
Stanca di tutto.
“So che le cose non sono state facili per te, ultimamente” iniziò infatti a razzo la Signora Watson “hai tenuto il segreto di Sherlock per due anni, hai mentito a tutti ed eri consapevole che lui fosse chissà dove a rischiare la vita. Immagino fossi molto preoccupata e spaventata e questo giustifica il tuo fidanzamento... sul serio. Beh, solo questo in effetti... non penso che se tu fossi stata davvero serena e in possesso di tutte le tue facoltà mentali avresti mai davvero potuto pensare di poter sposare Tom...”
“Ehi!”
Mary fece una smorfia e un cenno con la mano.
“Francamente, Molly... non era adatto a te. Comunque! Io...” fece un profondo sospiro “mi rendo anche conto che devo addossarmi un sacco di colpe per tutto quello che è successo poi e per quello che Sherlock ha fatto e che ha portato alla sua partenza, ma sicuramente concorderai con me che quell’uomo ha grosse difficoltà solo ad esprimere i sentimenti, non a provarli... sono sicura che se parlate potreste scoprire che”
“Adesso smettila, per favore” il tono sommesso di Molly ebbe il potere di frenare Mary.
La patologa alzò gli occhi e rivelò le lacrime che stavano cominciando a scenderle sulle guance.
“Non capisci, vero?” chiese piano “io so che Sherlock è in grado di amare, anche se si permette di farlo solo con poche persone ma io non... non posso più permettermi di aspettare e sperare che un giorno lui decida di mettermi stabilmente nel gruppo, che decida di farmi avvicinare per restare e non solo quando gli serve o gli sono comoda”
“Tu gli hai salvato la vita” Mary le prese le mani e le strinse forte nel tentativo di confortarla.
Molly scosse la testa.
“Non mi basta più, Mary. Voglio esserci sempre, non solo nelle occasioni straordinarie... voglio essere importante sempre
I suoi singhiozzi furono l’unico suono che riempirono la cucina.
 
***
 
Sherlock entrò silenziosamente nella sala interrogatori e l’uomo seduto al tavolo alzò il sopracciglio in una muta richiesta.
Dalla tasca del cappotto del consulente investigativo fu estratta una sigaretta, che il prigioniero accettò con un cenno del capo prima di aspettare che gli fosse accesa.
“Grazie” disse, aspirando voluttuosamente il fumo “Lei non mi fa compagnia?”
Sherlock si sedette dall’altra parte del tavolo e incrociò le mani in grembo.
“Cerco di limitare le cattive abitudini”
L’uomo che stava fumando ridacchiò.
“Non è quello che mi hanno riferito”
L’investigatore serrò la mascella ma non colse la provocazione, invece si chinò in avanti e studiò l’uomo davanti a lui.
“Per chi lavora?” chiese infine.
“Me lo dica Lei, Signor So Tutto”
Dopo qualche attimo di silenzio, Sherlock tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia.
“Un uomo ricco. Ha sostenuto molte spese per architettare tutto questo e sospetto che il Suo stesso stipendio, Signor Thomposon, non sia propriamente alla portata di tutti. Quest’uomo ha molti agganci, i fratelli Kybransky lavorano per soldi ma non si sarebbero scomodati a fare da esche per chiunque... e gli omicidi delle scorse settimane indicano sicari diversi, di nuovo la prova che il piano era molto elaborato...  A quest’uomo non interessa ricostruire la rete di Moriarty, no... ha mandato un messaggio, chi ha tradito doveva pagare ma mira a qualcosa d’altro, qualcosa che gli dai un rendiconto personale. Che cosa?”
“Perchè dovrei dirglielo, Signor Holmes? Sta andando cosi bene anche da solo... sono sicuro che prima o poi ci arriverà. Speriamo solo che non sia troppo tardi”
No, evidentemente l’uomo non aveva intenzione di collaborare.
Sherlock si alzò con un gesto secco e si diresse verso la porta, ma la voce dell’altro  lo bloccò.
“Lo sa?” disse schiacciando la sigaretta direttamente sul tavolo “La Sua amica è molto carina, una parte di me è stata felice che sia sopravvissuta all’incidente ferroviario, anche se naturalmente non è che avessimo scelto apposta il suo treno... eventuale danno collaterale, lo avrei definito. La sua morte però sarebbe stata un po’ come la cigliegina sulla torta, non crede?”
Con un gemito rabbioso Sherlock si voltò raggiungendo con un balzo  il prigioniero, per poi sollevarlo di peso dalla sedia e sbatterlo contro il muro mentre gli torceva i il braccio ferito fino a farlo gemere di dolore.
Nella stranza entrarono trafelati Lestrade, Donovan e John.
“Sherlock, lascialo!” gridò l’Ispettore.
Per tutta risposta, il consulente investigativo strinse ancora più forte il braccio e avvicinò la bocca all’orecchio dell’assassino.
“Se lei fosse rimasta uccisa” gli sibilò “tu ora non saresti più vivo, te lo posso assicurare”
L’uomo strinse i denti mentre una nuova fitta gli attraversava l’arto, ma riuscì comunque a sorridere.
“Gliel’ho detto, Signor Holmes... danno collaterale. Anche se il mio capo potrebbe cambiare idea, dopotutto. Scoprirà ben presto che non gli piacciono le cose lasciate a metà” disse prima di un altro gemito.
John arrivò a togliergli di dosso Sherlock.
Il Dottore tenne saldamente le mani sulle spalle dell’amico e lo allontanò.
“Adesso calmati, ok?” gli disse, osservando il suo respiro affannato e il suo sguardo furioso.
Sherlock strinse i pugni e sul suo viso riapparve una maschera di fredda concentrazione, mentre i suoi occhi caddero sul biglietto aereo che era fuoriuscito dalla tasca della giacca di Thompson quando l’aveva sollevato dalla sedia.
“Stava partendo oggi” constatò.
Donovan lo guardò interrogativamente, ma lui continuò nel suo ragionamento.
“Perchè farlo proprio ora? Avrebbe destato più di un sospetto e la sua faccia sarebbe stata riconoscibile in futuro. Questa era il Suo ultimo lavoro vero? Diretto verso la Svizzera dove ci sono un paio di buone cliniche di chirurgia plastica a si è già sottoposto in passato, visti i segni sul collo e intorno alle tempie”
L’altro si limitò a guardarlo freddamente.
“Aveva cosi fretta di partire che ha accelerato i tempi, commettendo degli errori perchè tutto doveva essere pronto, affidandosi a un tipo instabile come Jason per l’ultima parte di sintetizzazione del composto. Di qualsiasi cosa si tratti, succederà oggi  e l’incidente del treno era solo un diversivo, abbastanza da generare un allarme di attacco chimico che avrebbe rivolto le attenzioni dalla parte sbagliata...” l’espressione di Sherlock si fece di nuovo lontana, mentre ripercorreva le ultime parole dette.
A un tratto, sul suo viso apparve un sorriso soddisfatto.
“E lui mi ha appena detto di cosa si tratta!”
Voltandosi velocemente su sè stesso,uscì a razzo dalla stanza mentre estraeva il cellulare dalla tasca.
Donovan, Lestrade e John lo seguirono subito e lo trovarono già impegnato nella conversazione.
“Mycroft? Cosa c’è  in programma oggi al Parlamento?”
 

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Capitolo 9
*** capitolo 8 ***


Che dire? Scusate per l’attesa, questo è il penultimo capitolo. Dedicata a martiachan che ha commentato tutti i precedenti e alla quale, se non sbaglio, avevo detto qualcosa del tipo... non dovrei metterci molto ad aggiornare.

 
LA SOMMA DI TUTTE LE COSE

CAPITOLO 8

 
 
“Ti rendi conto, vero, che al momento questo  è uno dei posti più sicuri al mondo?”
“Non quanto la casa dei miei genitori, te lo assicuro” mormorò distratto Sherlock continuando a guardarsi in giro.
John fece un sospiro.
Naturalmente.
 “Ma tu” disse nel tentativo di ricostruire i fatti “credi comunque che chiunque ci sia dietro questa storia stia per far saltare il Parlamento”
“Si”
“E saresti cosi gentile da dirmi come sei arrivato a questa conclusione?”
Il tono frustrato del Dottore sembrò avere un qualche potere sul consulente investigativo, il quale finalmente posò i suoi occhi sull’amico.
“Thompson ha detto che l’uomo per cui lavora non ama lasciare le cose a metà e poco più di un anno fa noi abbiamo evitato che il Parlamento esplodesse, ricordi?”
John scosse la testa.
“Non credo che riuscirò mai a dimenticare quella notte... sta sicuro. Ma perchè proprio qui? Non potrebbero esserci un sacco di altre situazioni rimaste a metà di cui potrebbe volersi occupare il nostro uomo misterioso?”
Anche Sherlock scosse la testa.
“Mycroft ha confermato che è in atto una seduta straordinaria per approvare un disegno di legge che limiterà le grandi società finanziarie nello spostamento di ingenti capitali all’estero” rispose rapido “Se il disegno passa, come sembra sia probabile, il reciclaggio di denaro e il finanziamento occulto saranno più difficili. L’uomo che stiamo cercando ha grandi risorse economiche e le gestisce in modo criminale, ha ogni interesse per fermare questa legge. Pensa al caos finanziario e politico che potrebbe venire da un attentato come questo”
“Tuttavia...”
“E deve per forza essere qualcosa che ha a che fare direttamente con me... Tutta questa storia fin dall’inizio non ha fatto altro che puntare verso Moriarty per attirare la mia attenzione.
Qualcuno stava giocando con me, qualcuno che gli era vicino”
Sul viso di John passò un’ombra.
“Credi che sia una persona che lavorava con lui? Qualcuno che lo conosceva cosi tanto da avere voglia di vendetta, ma che al contempo ha come ultimo scopo quello di fermare questa legge?”
Prima che Sherlock avesse la possibilità di rispondere, Donovan arrivò mentre stava concludendo una conversazione al cellulare.
“Il Primo Ministro non vuole interrompere la seduta fino a che non ci sarà un pericolo reale, sembra che siano mesi che tenta di far passare questa normativa e non vuole perdere l’occasione. Per ora i cani e le squadre non hanno rilevato nulla. Esplosivi o altro” disse la donna in tono frustrato.
Deve essere per forza qui...” mormorò Sherlock a denti stretti, prima di ricominciare a guardarsi in giro.
“Beh, spero per te che sia cosi. Se ti sbagli e succede qualcosa da un’altra parte sarà un vero casino” commentò l’agente prima di rispondere ad una nuova telefonata.
“Oh... grazie per non aver voluto aggiungere ulteriore pressione alla situazione” mormorò scocciato John, ma il consulente investigativo  scosse la testa.
“Ha ragione, invece. Se mi sbaglio...”
“No” lo interruppe il Dottore “se dici che è cosi io mi fido. So che hai ragione. Devi solo trovare l’ultimo tassello, come quella volta con Moran. So che puoi farcela”
Sherlock cominciò a passeggiare nervosamente.
“Quella volta fu per un caso di cui io e Molly ci occupammo... il tizio fissato con la metropolitana ci fece vedere le incongruenze dei filmati e cosi individuammo la stazione fantasma e” si interruppe con un’espressione  meravigliata sul volto.
Esattamente a metà...” mormorò voltandosi lentamente verso John.
“Che cosa?” gli chiese quest’ultimo confuso.
Sherlock cominciò a sorridere.
“Non si tratta solo dell’attentato, ma dell’azione stessa di  Lord Moran... lavorava già per il nostro misterioso personaggio...” il detective sbarrò gli occhi mentre la soluzione gli si profilava davanti “il quale sta riprendendo esattamente da dove tutto è stato interrotto”
L’amico ci mise solo qualche secondo a capire.
“Ha rimesso la bomba esattamente dove era stata piazzata la prima volta. Ma è pazzesco!”
Sherlock annuì.
“A nessuno sarebbe venuto in mente di cercarla di nuovo li e Thompson poteva facilmente accedere anche a tutte le linee sotteranee!”
I due si precipitarono verso lo stesso percorso che più di un anno prima li aveva portati sotto terra a individuare una carrozza piena di esplosivo.
“Sherlock aspetta! Dobbiamo mettere al corrente gli altri!”
John avvertì un pauroso senso di deja vu e si chiese per un attimo se anche questa volta ci sarebbe stato un interruttore da schiacciare.
Parecchi metri davanti a lui, il suo compagno non si curò di rispondergli e aumentò il passo, costringendolo a fare uno sforzo ulteriore per stargli dietro.
E a un certo punto, eccola.
Di nuovo la stessa carrozza. Nello stesso punto.
Con un movimento frenetico Sherlock si inginocchiò sul pavimento al centro della vettura e lo sollevò, ma si ritrovò a fissare solo uno spazio vuoto.
“Dove diavolo è il timer?” gridò John osservando impotente le cariche di C4 legate ai sedili.
“Evidentemente non hanno tenuto proprio tutto allo stesso modo!” rispose Sherlock, cominciando a cercare intorno a sè.
“Non sappiamo neanche quanto tempo abbiamo!” urlò di nuovo  il Dottore.
L’amico gli gettò un’occhiata veloce.
“Vattene John!”
“Non ci penso nemmeno, questa cosa la risolviamo insieme!”
“Pensa pensa pensa...” Sherlock si passò le mani tra i capelli, prima di alzare la testa di scatto “sotto!”
I due uscirono a razzo dalla carrozza e si infilarono sotto di essa, dove trovarono il timer.
“Sherlock!”
“Ho visto!”
Cinque minuti all’esplosione.
E nessun interruttore, questa volta.
Sherlock lanciò un grido di frustrazione e si raddrizzò per entrare di nuovo nella carrozza, doveva per forza essergli sfuggito qualcosa, non era possibile che
“Ciao Sherlock”
La voce e il viso di Moriarty bloccarono ogni pensiero che stava per formarsi nella sua mente.
“No”
Sherlock osservò il monitor con un’espressione mista tra incredulità e determinazione.
Il volto di Moriarty era ancora li, fisso sullo schermo.
Troppo fisso pensò John quando si riprese dallo stupore.
“È un fermo immagine su una base registrata” disse a denti stretti.
“Esatto, Dottor Watson. Non uno dei migliori, lo ammetto... ma pur sempre efficace, non crede? Jim si è divertito a registrarne qualcuno prima di farsi saltare il cervello, cosi... in caso di evenienza. Quello di qualche settimana fa è stato particolarmente efficace, non trova?”
La voce che ora stava parlando dimostrava  la stessa cadenza di Moriarty, ma era indiscutibilmente diversa e proveniva da alcune casse sistemate lungo il soffitto.
 “Chi è Lei?” domandò Sherlock.
Si udì una risata sommessa, poi la voce parlò di nuovo.
“Che delusione. Pensavo che ormai l’avesse capito, Signor Holmes”
“E io pensavo che Lei fosse solo una leggenda” fu la risposta del consulente investigativo.
La risata questa volta fu più decisa.
“Lei mi lusinga, Signor Holmes”
John squadrò confuso l’amico.
“Sherlock?”
Lui si voltò.
“Jacob” disse con voce grave “il maggiore dei due fratelli Moriarty”
Il Dottor Watson non potè reprimere un gemito.
“Ce ne sono due?” gli chiese allibito “e tu l’hai sempre saputo?”
“Non sia cosi affrettato nelle conclusioni, Signor Watson!” si intromise di nuovo la voce “Le assicuro che ho sempre tenuto un profilo molto basso e che la mia esistenza è sempre stata molto discreta. Il Signor Holmes potrà aver sentito parlare di me, ma non ha mai avuto prove del fatto che io esistessi davvero. Diciamo che io e Jim non avevamo gli stessi interessi e lo stesso modo di operare”
“Però condividete la stessa passione per  i melodrammi” commentò Sherlock, cominciando a riesaminare l’ambiente intorno a lui.
Ci fu un attimo di silenzio.
“Oh, si riferisce alla piccola riapparizione di Jim sugli schermi... molto carino, non trova? Gli sarebbe piaciuto, ne sono sicuro. Cosi telegenico...” disse infine la voce “Diciamo che mi sono preso qualche soddisfazione in queste settimane.. perchè no, in fondo? D’altronde, se il mio caro fratello ha sempre tratto cosi godimento dal giocare con Lei, Signor Holmes, qualche lato positivo ci sarà pur dovuto essere, no?”
“Suo fratello era un pazzo assassino che non ha esitato a togliersi la vita pur di dimostrare il suo punto di vista” disse Sherlock con rabbia.
“Io la chiamerei coerenza e penso che parte di quello che è successo sia piuttosto da imputare a Lei” ribattè la voce con un tono irato.
Il consulente investigativo scosse la testa.
“Non mi scuserò per essere sopravvissuto, se è questo che vuole”
“No... naturalmente no. Ma vede... capisce bene che la famiglia è la famiglia. Potrò non essere sempre stato d’accordo sul modo di agire di Jim, ma questo non significa che io non abbia pensato di vendicarlo”
“E come? Facendo deragliare un treno e saltare in aria il Parlamento del Regno Unito?”
John assisteva a quella conversazione surreale e nel frattempo si era unito a Sherlock nello scandagliare ogni angolo della carrozza, alla ricerca di un modo per fermare l’esplosione.
“Trovato qualcosa di interessante, Dottor Watson?” chiese la voce, evitando di rispondere all’ultima domanda che le era stata posta.
“No” rispose lui seccamente, rendendosi conto che i loro movimenti erano in qualche modo monitorati.
“Forse perchè non c’è niente da trovare” dichiarò Sherlock “ È un comando a distanza, vero? Di nuova generazione... impossibile da disattivare. Mi chiedo come ne sia venuto in possesso, è in fase sperimentale persino per l’esercito”
 “Sarebbe stupito di sapere quante cose possono comprare i soldi, Signor Holmes.”
“Che. Cosa. Vuole?” ripetè Sherlock, valutando che ormai i minuti rimasti erano quattro.
“Faccia evacuare il Parlamento e io disattiverò il timer. Ma non faccia intervenire nessuno, rimaniamo un po’ soli quaggiù, ho voglia di parlare” rispose con voce tranquilla Moriarty.
“Parlare? È per questo che sono qui? Per parlare e per dare un ordine che anche Lei avrebbe potuto ottenere con una semplice telefonata anonima che annunciava la bomba?”
L’uomo rise di nuovo.
“Lei è proprio come La descrivono, Signor Holmes. Ansioso di conoscere anche se il tempo stringe. Le rimangono tre minuti”
Sherlock scosse la testa.
“Il cellulare non ha campo”
“Sbagliato” ribattè divertita la voce “provi a controllare”.
Il consulente investigativo prese il telefono dalla tasca e lo fissò.
Piena ricezione.
Fece partire la chiamata.
“Donovan”
“Fai evacuare il Parlamento”
“Che cosa?”
“Dai l’ordine di far uscire tutti. Abbiamo trovato la bomba”
“Cavolo. Dove sei? Faccio intervenire gli artificieri”
“Non c’e’ tempo, manca poco. Fai evacuare tutti”
“Ehi se la bomba scoppia stiamo comunque parlando del Parlamento del Regno Unito! ”
“Dannazione Donovan fa come dico. Fidati”
La donna dall’altra parte del telefono esitò per un attimo e poi fece un sospiro.
“Ok. Do immediatamente l’ordine”
Sherlock riattaccò e fece un gesto a John, che uscì velocemente dalla carrozza e si sporse sotto il pavimento per controllare il timer.
“È bloccato!” urlò con un tono di sollievo.
“Ha ottenuto quello che voleva, la seduta è interrotta” disse il consulente investigativo, suscitando un’altra risata.
“Si... anche se naturalmente non era il mio unico obiettivo.  
Volevo avere la possibilità di conoscerla e di parlare con Lei, La fissazione di mio fratello nei Suoi confronti  mi ha sempre stupito e incuriosito, devo dire che da un certo punto di vista lo capisco. Il gioco, il mistero... affascinanti. Ma anche oltremodo complicati.
Troppo sforzo, non ci sono abituato... di solito io amo agire in modo diverso e non condivido i metodi che mio fratello usava... non come prima soluzione, comunque. Un anno e mezzo fa l’esplosione del Parlamento mi avrebbe fatto molto comodo e voi l’avete fermata. Questa volta, ho trovato una strada alternativa  per fermare l’aprrovazione della legge non credete?
Diciamo che l’esplosione era la mia arma di riserva, in fondo sono contento di non averla dovuta usare”
“Quindi è di questo che si tratta? Era semplicemente curioso? Tutti quei morti... solo per soddisfare la sua curiosità?”
“Oh no. Quelle erano vere e proprie vendette, mi creda. Quella gente ha tradito, ha utilizzato il lavoro di mio fratello per arricchirsi, non potevo permettere che rimanesse impunita”
“E il treno?”
“Prove generali. Non si sa mai quando un bell’attentato terroristico possa venire utile, non lo pensa anche Lei?”
“No. Direi proprio di no” ribattè Sherlock “Quindi è tutto? La Sua vendetta e due chiacchiere insieme a me?”
Sherlock incrociò le mani dietro la schiena e si rivolse direttamente al soffitto dove c’erano i microfoni.
“Ma come? Non le basta per il nostro primo incontro Signor Holmes?”
Il consulente investigativo strinse le labbra e John si accorse che qualcosa aveva attirato la sua attenzione, ma un fugace sguardo intorno non gli rivelò nulla di nuovo.
“Sa... Jim aveva una vera fissazione per Lei” riprese Jacob Moriarty “Gli ho detto che questo non gli avrebbe portato nulla di buono, ma lui non ha voluto ascoltarmi. È sempre cosi, con i fratelli minori... credono di sapere tutto. È cosi anche per Lei, Signor Holmes? Immagino davvero la frustrazione di Suo fratello Mycroft, il fatto di doversi costantemente preoccupare per Lei”
“Lo aiuta a sentirsi utile” commentò ironicamente Sherlock.
 “Oh... non saprei. L’affetto tra fratelli assume molte forme. Io, per esempio, non vorrei dedicarmi solo alla mera vendetta. In fondo Jim aveva dei piani e c’era un lavoretto che dopo tutto lui desiderava più di ogni altra cosa portare a termine.
Lo farò io al suo posto”
“Di che si tratta?”
“Mi dica, Signor Holmes, Lei è un uomo d’onore?”
L’espressione di Sherlock si fece stupita.
“Di cosa sta parlando?”
Piuttosto di una risposta, sul video apparve la registrazione del giorno del matrimonio dei Watson, con la scena del momento in cui Sherlock giurava che li avrebbe sempre protetti, tutti e tre.
“Per un uomo d’onore la cosa più importante è mantenere i propri giuramenti, non crede?” disse la voce, mentre il video si fermava su un volto in particolare e il cuore di Sherlock sembrò rimbombare come un tamburo.
“Mary...” il nome fu sussurrato con un tono spaventato da John.
“Lei potrà anche aver dichiarato di non averlo, ma penso che tutti abbiamo potuto osservare come in questi anni abbia smentito questa affermazione.
Le brucerò il cuore, Signor Holmes”
La trasmissione si interruppe.
 
***
 
Molly smise di piangere dopo quella che le parve un’eternità, ma una veloce occhiata all’orologio appeso nella cucina dei Watson le dimostrò che erano passati forse due minuti:  alla vista del quadrante e delle lancette qualcosa cercò di farsi spazio nella sua mente, ma dopo un attimo di confusione lei puntò l’attenzione  sul suo stato sicuramente pietoso.
“Mi dispiace” mormorò tirando su con il naso, ma Mary fu svelta a scuotere la testa.
“No. È a me che dispiace. Ero cosi concentrata sul fatto di trattenerti qui a Londra che non ho riflettuto bene su quanto fossero profonde le tue esigenze, ma cerca di capire... io sono davvero sicura che tu e Sherlock” una smorfia le contrasse il viso prima che potesse terminare la frase e proprio quando Molly stava per chiederle se fosse tutto a posto, il pensiero arrivò improvviso e lampante.
“Oh cielo”
Mary colse subito il suo tono allarmato.
“Che cosa c’è?”
“L’orologio. Aveva un orologio diverso”
“Molly?”
“L’orologio. Aveva un orologio diverso” ripetè la patologa.
Mary scosse la testa.
“Di che stai parlando?”
Molly le rivolse uno sguardo spaventato.
“È una mia fissa. Guardo sempre gli orologi ai polsi delle persone, mio padre era un appassionato. E le nostre guardie del corpo portano tutte lo stesso modello, Anthea una volta mi ha detto che quello di scegliere una sola marca è un modo per poter controllare gli accessori degli agenti ed evitare possibili manipolazioni, ma l’uomo fuori dalla porta... ne ha un altro, di un altro tipo. Potrebbe non voler significare nulla, ma”
Molly fu interrotta dal movimento improvviso di Mary che si alzò e andò verso un cassetto.
“Sai usare una pistola?” si sentì chiedere con voce fredda.
Stringendo convulsamente un angolo del tavolo, anche Molly si alzò.
“No” rispose piano.
Mary fece un’altra smorfia come qualche attimo prima, poi le si avvicinò.
“È un vero peccato, ricordami che quando questa storia sarà finita sarà meglio che tu prenda qualche lezione al poligono di tiro. Per ora cerca di non spararti sui piedi” le disse, mettendole in mano un’arma.
Molly sgranò gli occhi.
“Io non credo di riuscire a...” iniziò in preda al nervosismo, ma Mary le mise una mano sulla bocca.
“Niente panico” le disse “Forse aspettavano che tu fossi uscita prima di fare irruzione, abbiamo dalla nostra l’elemento sorpresa e questo non può giocare che a nostro favore. Sospetto che i cellulari siano stati messi fuori gioco e non abbiano campo e che quindi per ora dobbiamo cavarcela da sole ma credimi, Molly Hooper, ce la faremo. Io proteggerò la mia bambina ad ogni costo e per favore, per favore... dimmi che sei pronta ad aiutarmi. Ho bisogno del tuo aiuto più che mai” la implorò.
Un’espressione risoluta apparve sul volto di Molly.
“Va bene. Ma non assicuro niente sul fatto di non spararsi sui piedi” rispose mentre con mano tremante impugnava meglio la pistola.
Mary le sorrise e poi una nuova smorfia le attraversò il viso.
“Andiamo” affermò subito dopo risoluta “dobbiamo uscire di qui e a trovare un luogo sicuro, se riescono a isolarci qui dentro siamo finite. Il sotterraneo farà al caso nostro, purtroppo non c’è nessun vicino a quest’ora a cui possiamo rivolgerci... lasceremo la porta che dà sul retro spalancata, come se fossimo scappate da li, ma invece  ci nasconderemo nel locale lavanderia. Non avremmo scampo là fuori.  Ora, quello che mi serve è un diversivo, quel tanto che basta per neutralizzare il gorilla qui sul pianerottolo. E poi ce n’è solo un altro in fondo alle scale?”
Molly annuì e Mary ghignò.
“Oh... ci hanno davvero sottovalutate. Meglio per noi e peggio per loro... pronta?”
Molly non si sentiva affatto pronta per alcunchè, ma deglutì e si fece coraggio.
“Ok”
Due minuti dopo spalancò la porta dell’appartamento, fermandosi a gridare sulla soglia.
 “Non credo proprio che tu abbia il diritto di dirmi come mi devo comportare!”
 Se voglio lasciare Londra sono solo affari miei!”
L’uomo di guardia sembrò preso alla sprovvista da quell’improvvisa uscita furiosa e Molly ne approfittò per avvicinarsi  e costringerlo a voltare le spalle alla porta per guardarla.
“Che c’è? Vuole dirmi anche Lei quello che devo fare? Mi basta Miss perfettina li dentro, grazie!”
Il colpo arrivò preciso e la finta guardia non ebbe neanche il tempo di accorgersi di quello che stava succedendo.
Molly represse un brivido mentre lo osservava cadere.
Mary uscì dall’appartamento, il viso pallido e sudato.
“Andiamo, sta per arrivare il suo compagno”
Passi affrettati lungo la scala confermarono le sue parole.
“Di qua!”
La donna prese Molly per mano e insieme si nascosero in una nicchia del corridoio.
L’altra falsa guardia aveva la pistola in mano e si guardò intorno, poi scorse il compagno a terra.
Mary alzò la mano per sparare ma un gemito le percorse il corpo, deviando il colpo che finì a pochi centimetri dal suo bersaglio.
Molly osservò inorridita l’uomo girarsi, scorgere il loro nascondiglio e alzare la pistola.
Il proiettile le passò vicino al viso.
Mary rispose al colpo ma ora le sue possibilità di avere una visuale libera e l’elemento sorpresa dalla sua parte erano svanite, per cui riuscì solo a far accucciare l’uomo con il proiettile successivamente sparato.
Molly sentì il metallo pesante fra le sue mani e prese la sua decisione: alzò una mano e con una muta preghiera sparò.
Il lampadario sopra la testa del gorilla si staccò dal soffitto e gli crollò addosso tramortendolo.
Le due donne uscirono velocemente dal nascondiglio e Mary si chinò a prendere l’arma dalla mani dell’uomo.
“Bel colpo”
“Io avevo  mirato al braccio”
Mary si lasciò sfuggire una risata.
“È il risultato che conta, Molly. Vieni, scendiamo prima che arrivi qualcun altro, non ci metteranno molto”
Dopo aver spalancato l’uscita sul retro, arrivarono al locale lavanderia che si trovava tre piani più sotto e sprangarono la porta.
Molly emise un sospiro di sollievo, per ora erano in salvo. Poi notò che Mary si era pesantemente appoggiata ad un tavolo.
 “Mary, stai bene? Non sei stata colpita vero?” chiese preoccupata.
“Scusa” affermò l’altra donna ansimando.
Molly la guardò perplessa.
“Per che cosa?”
“So che il momento è alquanto inopportuno, ma mi si sono appena rotte le acque”
 
***
 
“Il cellulare di Mary non dà segnale!”
Per una volta era John quello che correva più veloce, sul volto un’aria terrorizzata.
Appena ritornati in superfice provò di nuovo a cercare di telefonare,  ma  diede un gemito di frustrazione.
“Neanche quello di Molly!” esclamò facendo girare Sherlock verso di lui.
“Perchè Molly?”
“Mary l’aveva invitata per parlarle, dovrebbe essere andata a casa nostra verso la pausa pranzo”
Al pensiero che anche la patologa fosse in pericolo, un morsa ancora più grande di terrore invase il petto di Sherlock.
Sentì John fare una telefonata frenetica a Lestrade per dirgli di recarsi subito a casa sua; l’Ispettore doveva avergli detto che sarebbe arrivato a prenderlo con una macchina, perchè il Dottore cominciò a passeggiare nervosamente sul marciapiede.
Sherlock si sentì sopraffatto.
Mary.
E Molly.
Le brucerò il cuore, Signor Holmes.
Davanti a lui il Parlamento si stagliava in tutta la sua gloria architettonica nel cielo azzurro di Londra, simbolo del Regno e della sua capacità di continuare fra mille contraddizioni.
E a un tratto la verità fu davvero tutta li.
 “Vai” sussurrò al compagno.
John lo guardò perplesso.
“Cosa? Andiamo insieme no?”
Sherlock lo guardò intensamente e sul suo viso John lesse la verità.
Chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
“C’è un’altra bomba, giusto?” disse piano.
Sherlock fece un sorriso amaro.
“No, hai sentito cosa ha detto Moriarty, gli avrebbe fatto comodo un anno fa, non ora. Ma sta per succedere qualcosa e io sono l’unico che può riuscire a impedirlo. Lo capisci, vero? Mi brucerà il cuore... comunque vada, perderò. Potrei salvare Mary, ma qui ci sarà un avvenimento talmente grave da generare una forte crisi... oppure potrei rimanere, con il rischio di arrivare troppo tardi a casa tua. È un vicolo cieco... ma non per te. Non se ci dividiamo” il consulente investigativo terminò il suo discorso indicando la macchina che si stava avvicinando.
John esitò un attimo.
Stava per fare una cosa che si era ripromesso non avrebbe mai fatto, stava per abbandonare il suo migliore amico.
“Sherlock...”
“Vai!” ripetè l’altro con forza “salva Mary e la bambina. Salva Molly...”
“E tu...”
“Ci penso io” una voce decisa li fece girare entrambi.
Sally Donovan aveva sul volto un’aria sicura.
“Gli copro io le spalle, Lei vada Dottor Watson”
John esitò ancora un secondo fissando Sherlock negli occhi, poi con un cenno deciso del capo entrò nella vettura.
 
***
 
“Mi dispiace, dovremo accontentarci di questo per ora. Ma io spero davvero che non ce ne sia bisogno, se siamo fortunate e non sei troppo dilatata potrai partorire in un vero ospedale. E prima che tu possa dirlo, evita di aggiungere con un vero Dottore. Sono stanca di questa battuta, io sono un vero Dottore. Ho fatto la regolare rotazione in ginecologia e ostetricia quando ero studente.”
Molly si stava sbrigando ad aprire le varie asciugatrici per togliere biancheria pulita da piazzare sul pavimento.
Mary fece una smorfia mentre si stendeva sul pavimento.
“Cavolo. Dovrò rimborsare ai vicini tutte le loro lenzuola e la biancheria... e non mi sarei mai sognata di fare quella battuta! Ma giusto per sapere... quanti bambini hai fatto nascere durante la tua rotazione?”
La patologa si morse il labbro.
“Direttamente?” rispose “Nessuno. Ma ho guardato un sacco. E fino ad oggi non avevo mai sparato, quindi suppongo sia il giorno giusto per cominciare a fare cose nuove”
Mary fece un mezzo sorriso, poi assunse uno sguardo preoccupato.
“È troppo presto...”
Molly scosse la testa.
“No. La bambina è prematura ma non cosi tanto” disse decisa  mentre si lavava le mani alla vasca per il bucato e si passava del disinfettante fino agli avambracci.
Poi si avvicinò e si chinò su Mary.
“E poi te l’ho detto, forse non sei cosi avanti e la dilatazione è appena” si interruppe e mormorò una parolaccia.
“Molly Hooper!” esclamò l’altra donna fingendosi scandalizzata mentre una nuova contrazione le attraversava il corpo.
“Beh” disse la patologa cercando di forzare un sorriso “sembra proprio che dopo tutto sia il momento, tesoro”
“Oh no!” gemette Mary “John non è qui e ci sono dei tizi che ci vogliono uccidere e mia figlia decide di nascere! Non ha certo preso questa propensione al melodramma da me, io volevo un parto in ospedale con tanti bei farmaci in circolo e la possibiltà di insultare liberamente mio marito!”
“Mi spiace, Mary... dovrà succedere qui ed entro poco” disse Molly “Ma te l’ho promesso, farò di tutto per proteggere la tua bambina” la mano le corse al fianco dove era depositata la pistola. Il tempo rimasto prima che arrivasse qualcun altro poteva essere veramente poco e lei doveva far partorire una donna in una lavanderia.
Un brivido le percorse il corpo, ma Mary le prese forte la mano e gliela strinse, comunicandole tutta la sua fiducia.
Le due donne si sorrisero.
“Ok?”
“Ok”
 
***
 
Sherlock e Donovan erano rientrati a passi veloci nel Parlamento, e il consulente investigativo isolò rapidamente nel suo palazzo mentale tutta la preoccupazione per Mary e Molly e cominciò a pensare con logica.
Moriarty aveva in mente qualcosa d’altro, ma cosa? Tutti i dettagli della loro folle conversazione si ripresentarono alla sua mente.
 “Maledizione, i cellulari non funzionano”
La voce di Donovan lo distrasse dai suoi pensieri.
“Che succede?” domandò, improvvisamente attento.
 “Il Primo Ministro sta rientrando a Downing Street, era appena arrivato quando abbiamo dato l’ordine di evacuare. Volevo confermare la procedura di emergenza.”
“Non fatelo scendere dalla macchina” dichiarò improvvisamente Sherlock mentre un minuscolo dettaglio si faceva spazio.
“Che cosa?”
“Non fatelo scendere! È lui il bersaglio, non si tratta di una bomba... Moriarty vuole ucciderlo!”
“Moriarty? Hai detto che era morto!”
“Non lui, suo fratello! Non ho tempo di spiegarti, ora, ma lui vuole uccidere il Primo Ministro, è sempre stato questo il suo obiettivo... ha concentrato l’attenzione sugli attacchi bioterroristici e mi ha attirato verso la bomba per confondermi. Non fatelo scendere dalla macchina, Jacob è su un tetto e sparerà... durante la nostra conversazione si sentivano il vento e gli uccelli che voltaggiano sulla torre come se fosse all’aria aperta ad un piano rialzato!”
Donovan impallidì.
 “Il Primo Ministro non sta viaggiando in macchina. Si sta muovendo a piedi e non c’è modo di avvertire la scorta”
“Ha manomesso tutte le forme di comunicazione!” urlò Sherlock correndo verso l’esterno e cominciando a scandagliare i tetti senza cogliere nulla.
Poi la vide. Un’ombra sul cornicione a Est.
“Per di qua!”
Donovan gli passò accanto correndo e gli mostrò un’entrata secondaria con delle scale.
“Corso base di formazione per gli agenti del Governo” spiegò la donna “comprende la memorizzazione di tutte le vie di fuga dei principali luoghi strategici del Regno”
Sally estrasse una pistola e la consegnò a Sherlock.
“Ti interesserà sapere che è inclusa anche la casa di tuo fratello” mormorò, tendendo l’arma davanti a sè.
Tra di loro passò un dialogo silenzioso e poi lui annuì silenziosamente, prima di voltarsi e cominciare a salire freneticamente le scale che lo avrebbero portato allo scoperto sul cornicione.
 
***
 
“Stai andando benissimo”
“Tu dici?” chiese Mary inspirando forte e cercando di trattenere un urlo di dolore all’ennesima contrazione.
Molly annuì.
“Si. E ora è arrivato il momento di spingere”
L’amica emise un singhiozzo.
“John dovrebbe essere qui... dovevamo farlo insieme. Ma quando la bambina sarà abbastanza grande le spiegherò che il suo papà era troppo impegnato a salvare il mondo insieme al suo padrino per poter assistere alla sua nascita. Impegnato ad essere un eroe”
Molly le sorrise.
“E tu non l’avresti mai preferito diverso da com’è, giusto?”
Mary annuì tra le lacrime.
“Giusto”
“Ora spingi. Vediamo di conoscere questa meraviglia”
Mary diede una spinta potente.
Gli spari cominciarono proprio in quel momento.
 
***
 
“Moriarty”
L’uomo vestito di nero che imbracciava un fucile di precisione si voltò lentamente, un ghigno sul volto.
“Vedo che ha preso la Sua decisione, Signor Holmes”
“Posi l’arma”
“Il Dottor Watson sarà devastato dalla perdita della sua famiglia, spero davvero che non imputerà a Lei la colpa di quello che è successo. Sarebbe davvero un duro colpo per la vostra amicizia”
“Posi l’arma” ripetè freddamente Sherlock.
Jacob Moriarty non diede segno di voler acconsentire alla richiesta e tornò a concentrarsi sul suo obiettivo, che ignaro stava seguendo con la sua scorta la procedura che in teoria avrebbe dovuto proteggerlo.
Sherlock si avvicinò ulteriormente e a sua volta estrasse la pistola.
Jacob non si voltò ma fece un mezzo sorriso.
“Oh. Un altro tetto. Un altro Moriarty. Ma questa volta Lei è armato”
Il consulente investigativo puntò l’arma.
“Non sembra preoccupato” commentò.
“So bene che Lei è capace di sparare a un altro essere umano, Signor Holmes. Il caro Augustus ne è la prova, io glielo avevo detto che si stava esponendo troppo ma lui era fatto cosi, cocciuto e troppo ambizioso. Sembra che abbia uno strano effetto sugli uomini, Sherlock... li spinge a cercare disperatamente di fare colpo su di Lei”
“È successo anche a Lei, no? Ha giocato con me”
“Si, lo ammetto. È stato divertente ma ora smettiamola, a  me interessa solo portare avanti i miei affari. Ora mi scusi, ho un omicidio da commettere e naturalmente Lei ha già capito che non Le servirebbe a nulla spararmi, perchè ho altri cecchini appostati e pronti per continuare ciò che deve essere fatto”
Sherlock colse un bagliore sul tetto di fronte e un sorriso gli apparve sulle labbra.
“Mmm... no. Non più” disse.
Moriarty ebbe una lieve esitazione e poi si voltò impercettibilmente.
“Che intende dire?”
“Mio fratello ha appena neutralizzato l’ultimo dei suoi uomini. Dalla sua postura e dal modo in cui imbraccia l’arma, oltre che dalle Sue conoscenze, deduco che Lei sia stato nell’esercito. Quindi sarà in grado di decifrare il codice Morse che quella luce sta trasmettendo”
Il messaggio si ripetè.
C – A – M – P – O – L – I – B – E – R – O
“Non è possibile. Ho disattivato tutti i cellulari della zona, non c’era modo che riusciste a comunicare cosi in fretta” disse furioso Moriarty.
“Ha dimenticato una cosa” replicò Sherlock avvicinandosi con l’arma puntata “le cabine telefoniche funzionano ancora e le comunicazioni sono avvenute con il vecchio caro metodo tradizionale”
Dalle scale dietro di lui arrivarono dei passi affrettati di uomini pronti a intervenire.
“È finita” disse il consulentente investigativo.
Jacob scosse la testa.
“Forse, ma a che prezzo? Lei non ha salvato la Signora Watson... ha perso comunque” disse con tono tagliente “e questo mi basta. Sa? Credo proprio che in fondo io e mio fratello non fossimo cosi diversi”
Sherlock ci mise un secondo a realizzare la portata di quelle parole, ma quando si mosse il corpo di Jacob Moriarty era già oltre il cornicione.
 
***
 
“Ancora poche  spinte e ci siamo!”
Gli spari erano continuati per qualche minuto, ma Molly e Mary non avevano potuto capire che cosa stesse succedendo: quest’ultima lanciò un urlo e spinse con tutte le sue forze, sentendo la testa della bambina farsi strada verso il mondo.
“Non lascerò che la prendano!” gridò afferrando la pistola e puntandola disperata verso la porta sentendo avvicinarsi dei forti rumori.
Molly era troppo concentrata su quello che stava succedendo di fronte a lei e si preparò ad afferrare la neonata, proprio mentre qualcuno cominciava a bussare forte.
Una voce conosciuta e disperata risuonò al di la della stanza.
“Mary!”
 “John!” il richiamo strozzato della donna era un misto tra sollievo e sofferenza.
“Tesoro, aprite!”
Mary posò la pistola e sorrise tra le lacrime, poi un’altra fitta dolorosa la attraversò.
“Dottor Watson, al momento sono un po’ impegnata  e anche Molly! Trova un altro fottuto modo di entrare!” urlò.
Dall’altra parte della porta ci fu un attimo di sbigottito silenzio, poi John tornò a bussare.
“Che sta succedendo?”
“Mary, Molly, state bene?” la voce di Lestrade si unì a quella del Dottore.
La patologa non si era distratta neanche un attimo, anche se aveva sorriso alla risposta colorita di Mary. Forse dopo tutto aveva avuto la sua occasione di insultare il marito.
“Stiamo cercando di far nascere qualcuno che ha un po’ di fretta, signori!” urlò, senza distogliere lo sguardo dal suo compito principale. Poi vide apparire la piccola massa rosa punteggiata da fini capelli biondi.
“Che cosa?!?” gridò John in preda al panico, prima di cominciare a prendere a spallate la porta.
“Adesso!” Molly emise con sicurezza il suo comando e posizionò le mani.
Mary urlò un’altra volta e si aggrappò alle ginocchia spingendo con tutte le sue forze.
La testa uscì.
Poi uscì il corpicino e grida acute cominciarono a risuonare nella lavanderia.
La porta cedette: John e Lestrade irruppero nella stanza dopo l’ennesima spallata.
Piangendo, Molly Hooper si voltò verso i nuovi arrivati e sorrise tra le lacrime, il fagottino stretto tra le braccia e avvolto in una salvietta.
“Appena in tempo” disse “qui c’è qualcuno che vuole conoscervi”
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** capitolo 9 ***


Completa!!!
Note alla fine del capitolo, spero sia una buona lettura!
 
 
LA SOMMA DI TUTTE LE COSE

CAPITOLO NOVE
 
Quando posi la tua testa su di me
il dolore tace
Incanto – Tiziano Ferro
 
 
Queste scarpe mi stanno uccidendo.
Molly Hooper fece una smorfia e allungò le gambe sotto il tavolo alla ricerca di un po’ di sollievo, e nel contempo fece vagare lo sguardo attraverso la stanza.
Un sorriso le apparve sul volto: Greg e Linda stavano ballando ad un ritmo tutto loro, che prevedeva lo starsene abbracciati e muoversi il meno possibile, le teste vicine a sussurrarsi piccole sciocchezze che li facevano ridere piano... probabilmente lui le stava dicendo per l’ennesima volta per quel giorno quanto fosse bella nel semplice abito da sposa che indossava (non che lui non fosse altrettanto favoloso, nel suo abito grigio che faceva risaltare la sua capigliatura in un binomio estremamente affascinante).
Lo sguardo dell’Ispettore si alzò per un attimo e incrociò il suo: Molly sorrise ancora di più e gli fece ciao con la mano, lui si limitò a farle l’occhiolino e a mimare un dopo con le labbra, facendole capire che le avrebbe chiesto un altro ballo: era il ritratto della felicità e per un piccolo attimo Molly lo invidiò, invidiò la vita che lui e Linda si stavano costruendo e che cominciava con quel tranquillo matrimonio deciso in fretta e furia ma semplicemente perfetto.
Era passato quasi un mese dal giorno in cui Molly aveva fatto nascere la bambina di John e Mary in quella lavanderia, e la grave minaccia del fratello di Moriarty era stata eliminata... in poche ore si erano concentrati cosi tanti avvenimenti da farle sembrare di essere finita in una spy story: John e Lestrade erano arrivati in tempo per neutralizzare gli uomini che stavano dando la caccia a lei e Mary, e sull’ambulanza che li portava verso l’ospedale il Dottor Watson aveva raccontato di come Sherlock avesse di nuovo capito tutto, gli occhi costantemente puntati sul piccolo fagotto tra le braccia di sua moglie con un senso di meraviglia e incredulità.
I cellulari avevano ripreso a funzionare (quel piccolo lasso di tempo aveva messo ko l’intera rete mobile nazionale) ed erano stati in grado di avere notizie sicure sul fatto che Sherlock stesse bene e fosse riuscito a portare a termine il suo compito: solo allora il cuore di Molly aveva smesso di battere furiosamente e le sue mani di contorcersi, solo quando era stata sicura che il consulente investigativo era anch’egli al sicuro ed era sulla via dell’ospedale per venire a conoscere la sua figlioccia la quale, pur se prematura, era stata giudicata in perfetta salute.
Molly era sola nel corridoio quando Sherlock era arrivato, il passo veloce e lo sguardo ansioso che si era solo in parte tranquillizzato quando i loro occhi si erano incrociati: c’era stato un lungo attimo di silenzio mentre lui si avvicinava e lei aveva sentito forte il bisogno di abbracciarlo, di sentirlo vicino come quella sera del deragliamento del treno. Le era quasi sembrato che anche lui stesse provando le stesse sensazioni, mentre le sue iridi chiare non la lasciavano e i suoi movimenti tradivano la sua voglia di avvicinarsi.
Poi  John era uscito dalla stanza di Mary e aveva interrotto quel momento andando ad abbracciare il suo migliore amico, mentre borbottava qualcosa a proposito del fatto che se ne infischiava se era una cosa troppo emotiva e che la bambina era semplicemente perfetta e che lo sapeva, lo sapeva che tutto sarebbe finito bene.
Molly si era accorta di quanto Sherlock avesse solo finto un irrigidimento, giusto per mantenere le apparenze... in verità i suoi occhi si erano illuminati e avevano comunicato tutto il suo sollievo e tutta la sua contentezza per la felicità dell’amico.
John era un fiume in piena, non smetteva un attimo di parlare e poi si era voltato e aveva avvolto anche Molly in un caloroso abbraccio, ringraziandola per l’ennesima volta per essersi presa cura delle sue donne. Non sembrava essersi reso conto di aver interrotto un attimo speciale, ma Molly non poteva dargli torto e gli aveva chiesto con un sorriso se la sua donna più piccola avesse finalmente un nome.
John aveva annuito e l’aveva guardata con solennità.
“Amelia, come la donna che l’ha salvata”
“Come la donna che entrambi i fratelli Moriarty hanno sempre sottovalutato e che invece ha salvato tutti noi” aggiunse Sherlock, lo sguardo intenso di nuovo puntato su di lei, che aveva spalancato la bocca per la sorpresa.
Amelia era il suo secondo nome... Margaret Amelia Hooper.
Molly.
“Come...”
John aveva indicato con il pollice Sherlock.
“Mi sono affidato a una fonte certa, ha quasi una fissazione con i secondi nomi... a te sta bene, vero?”
Lei si era sentita pericolosamente sull’orlo delle lacrime.
“Ne sono onorata”
Se possibile in quel giorno, John aveva sorriso ancora più forte e aveva afferrato Sherlock per un braccio, dicendogli che era ora che incontrasse  la sua meravigliosa bambina.
Molly non li aveva seguiti, rendendosi improvvisamente conto di non voler testimoniare quel momento cosi privato: gli occhi del consulente investigativo non avevano più incrociato i suoi mentre entrava nella stanza e lei ne era stata grata.
Non poteva dimenticare che tutto ora era finalmente finito e che cosa questo potesse significare.
Si riscosse dai suoi pensieri in tempo per cogliere il saluto del testimone dello sposo, Micheal Lestrade, mentre correva dietro a uno dei suoi cinque figli che aveva deciso di inondare il pavimento di torta nuziale: il fatto che il fratello di Greg fosse felicemente sposato aveva tolto tutto l’imbarazzo relativo agli scherzi tra testimone e damigella d’onore e Molly si era goduta il ballo con lui, che era un gentiluomo esattamente come lo sposo, con quest’ultimo e con John (lui e Mary avevano portato anche Amelia, che ben presto era diventata la stella del ricevimento, assolutamente bellissima e serena anche in mezzo al caos).
Mrs Hudson le fece un cenno di saluto dal bar dove si stava intrattenendo con una compagnia niente affatto male (tre uomini, colleghi di Greg a Scotland Yard, che sembravano contendersi le sue attenzioni con complimenti e battute che la facevano ridere e ammiccare) e Molly ricambiò divertita.
Era tutto perfetto.
Ed era ora di andare.
Con un sospiro recuperò la sua borsa da una sedia vicina: avrebbe salutato gli sposi e gli altri e sarebbe tornata  a casa, c’erano ancora delle cose che doveva preparare e
“Un ultimo ballo?”
La voce profonda vicino a lei le fece alzare la testa di scatto.
Sherlock Holmes le stava tendendo una mano, sul viso un’espressione intensa.
Molly si ritrovò di nuovo persa in quegli occhi che non incrociava da quel giorno in ospedale: sapeva che lui era stato impegnato a chiudere definitivamente il caso e non aveva creduto che sarebbe venuto al matrimonio, anche se Linda le aveva confidato che lui e Greg si erano visti per una birra insieme e che Sherlock si era prodigato per fargli degli auguri sinceri.
“Sempre se queste scarpe  non ti hanno già definitivamente uccisa” aggiunse lui con un sorriso che però non riusciva del tutto a nascondere la sua incertezza.
Molly lo scrutò per un attimo in volto, rendendosi conto del potenziale pericolo che quel ballo poteva portare ma poi decise di lasciarsi semplicemente andare, un’ultima volta: prese la mano dell’uomo a cui non era mai riuscita a dire di no e lo seguì in mezzo alla pista, consapevole solo in parte del fatto che ora tutti gli sguardi erano puntati su loro due e che i loro amici stavano seguendo i loro movimenti con curiosità e un po’ di apprensione.
Una mano di lui le cinse la vita e l’altra la attirò a sè.
Le prime note della musica partirono e lei spalancò gli occhi.
“Oh. Adoro questa canzone”*
Sherlock sorrise lievemente mentre faceva un cenno di ringraziamento con il capo al dj, che alzò il pollice con fare cospiratorio.
“Lo so” rispose, senza nascondere un tono saccente di soddisfazione.
Lei scosse piano la testa.
“Naturalmente”
Per qualche secondo furono impegnati a seguire il ritmo e poi Molly si stupì di sentirsi rilassata: aveva sempre creduto che nel caso di un ballo con Sherlock Holmes si sarebbe sentita un fascio di nervi, invece lui era un ottimo ballerino e si muoveva sicuro, rendendole  facile sentirsi  a proprio agio.
“Non credevo saresti venuto” disse infine lei, incapace di sostenere oltre quel silenzio fin troppo confortevole.
“I matrimoni non sono il mio forte, vero. Ma Greg è un amico e gli amici condividono anche i bei momenti, no?”
Molly non potè fare a meno di ridacchiare a al suo sguardo interrogativo gli sorrise.
“Ti sei ricordato il suo  nome, ma d’altronde sospetto che tu non l’abbia mai dimenticato...”
Anche lui sorrise.
“Non dirglielo. È divertente inventarne ogni volta uno diverso”
Sherlock rafforzò la presa sulla sua schiena e lei si concesse il lusso di perdersi nel suo abbraccio.
“Il Canada è una grossa opportunità. Sono fortunati ad averti con loro”
Molly alzò la testa verso di lui e vide la linea sottile delle sue labbra, strette a indicare quanto fosse difficile dirle quelle parole senza recriminare o aggiungere altro, solo un augurio di buona fortuna che si trasformava in un addio dolcissimo e struggente come la canzone che stavano ballando.
Molly sospirò: una parte di lei le stava gridando di allontanarsi subito, ma un’altra non poteva fare a meno di desiderare di portare a termine quella conversazione e avere finalmente alcune risposte.
“Non volevo tenertelo nascosto, ma in questo mese sono successe molte cose e suppongo tu sia stato molto impegnato. E poi... sapevi che era quello che stavo aspettando di fare”
Lui annuì e il suo sguardo si perse lontano.
“È finita?” chiese lei improvvisamente “davvero davvero finita?”
Sherlock tornò a guardarla e sorrise.
“Si. Abbiamo preso tutti quelli coinvolti nel progetto di Jacob Moriarty e lui è morto”
Molly fece un inconsapevole sospiro di sollievo. Era più facile pensare di partire sapendo che le persone che amava erano al sicuro... il Professor Morrison era arrivato a Londra come promesso e le aveva offerto il posto per il progetto in Canada, e lei si era ritrovata a pensare che non c’era più nulla che potesse trattenerla a Londra. Il preavviso per la partenza era stato breve ed erano trascorsi giorni frenetici in cui si era imposta di non pensare a ciò che stava lasciando, ma solo a ciò che la aspettava... ma ora stava ballando con Sherlock Holmes, e non era sicura di riuscire a finire la danza senza cedere al rimpianto.
“Che cosa stiamo facendo, Sherlock?” chiese infine.
“Un ballo” rispose serio lui “non l’abbiamo mai fatto e non mi sembrava giusto... parti domani, era la nostra ultima occasione.”
Lei capì all’istante che la risposta poteva contenere molto di più, ma non era sicura di voler sapere di cosa si trattasse.
“Questo perchè al matrimonio di John tu te ne sei andato presto” lo accusò senza rimproverarlo veramente e senza dare spazio ad altre interpretazioni alle sue parole. Aveva capito subito il suo disagio quella sera, la sua difficoltà nell’affrontare quello che stava succedendo.
Sherlock sorrise.
“Sei stata l’unica a notarlo, l’unica a notarmi. Come sempre, Molly Hooper” la fece girare piano sulle note del ritornello.
“Ti ho seguito” disse lei improvvisamente.
Sul viso di Sherlock apparve un’espressione stupita.
Molly annuì piano.
“Quella sera... ti venni dietro ma tu eri già andato via. Credo che sia stato questo che ha fatto decidere Tom... per il fidanzamento, intendo. L’ha sciolto dopo pochi giorni”
Si è reso conto che avrei sempre scelto te.
“Oh” commentò Sherlock, prima di fare una smorfia divertita “questo, e la forchettata nella mano durante il  pranzo”
Molly arrossì, ma non potè evitare di sorridere a sua volta.
“Non uno dei miei momenti migliori, lo ammetto” disse.
Lui quasi si fermò per permettere ai suoi occhi chiari di guardarla.
“Tu mi hai sempre difeso” rispose con tono solenne “Hai sempre trovato il modo di stare dalla mia parte, anche quando non lo meritavo, il che purtroppo è successo molto spesso. Più di quanto avrei voluto”
Ed eccole, le parole che lei avrebbe sempre ricordato... le parole che Sherlock Holmes le lasciava a testimonianza della sua gratitudine e riconoscimento di quanto lei, a suo modo, contasse.
Ma era troppo tardi, ormai... no?
Molly  affondò il volto sul suo torace continuando a seguire il ritmo della musica, troppo sopraffatta da quel momento e dalle emozioni che stava generando. Entrambi però ormai stavano solo ondeggiando senza veramente muoversi e  Sherlock appoggiò il mento sulla sua testa.
Rimasero in silenzio, ormai ignari degli sguardi degli amici intorno a loro: Greg e John avevano un’espressione concentrata come se stessero cercando di suggerire al consulente investigativo le parole giuste, Mary stringeva la piccola Amelia al petto ma non si perdeva una mossa e Mrs Hudson aveva gli occhi lucidi, i corteggiatori accantonati.
 “Mi dispiace”
Sherlock aveva di nuovo rotto il silenzio e Molly alzò gli occhi verso di lui.
“Per che cosa?”
“Io ero sincero quando ho detto che volevo vederti felice... che te lo meritavi. Mi rendo conto di non aver contribuito a far si che questo accadesse. Mi dispiace di non poter essere diverso”
Molly fece un segno di diniego con il capo.
“Non vorrei mai che tu fossi diverso” sussurrò convinta.
Sherlock sorrise, come se non si fosse aspettato nessun altro tipo di risposta... la fiducia che Molly riponeva in lui non era mai stata messa in discussione.
“Lo so. E per questo e per tutto il resto ti sarò sempre grato” sussurrò a sua volta.
Ormai entrambi si erano fermati, mentre la musica invece continuava a suonare: Molly si sciolse piano dall’abbraccio e riportò le mani lungo i fianchi, non aveva davvero senso continuare quella tortura.
Lei aveva deciso. Stava andando avanti.
“E quindi è cosi che finisce” sperò che il suo tono di voce sembrasse abbastanza fermo e convinto “Suppongo che  questo sia davvero un addio. Meglio del messaggio che avevo pensato di mandarti” disse guardandolo fisso negli occhi, cercando di imprimere nella sua mente ogni dettaglio di quel volto che amava tanto.
L’angolo della bocca di lui si alzò in una smorfia, poi però annuì.
“Sii felice, Molly Hooper. Grazie per il ballo”
Immobile al centro della pista da ballo, Sherlock si piegò verso la sua guancia, ma lei scosse piano la testa mentre le lacrime cominciavano a scenderle lungo il viso. Stava andando esattamente come doveva andare, ma questo non significava che gli avrebbe permesso di farle male un’ultima volta.
Perchè i baci di Sherlock Holmes facevano male. Sempre.Ogni volta. Come se arrivassero per dare uno sguardo  fugace su quello che invece non sarebbe mai potuto essere.
“No. Questa volta no, per favore” disse piano mentre arretrava di un passo.
Lui sembrò esitare, ma poi si rialzò lentamente e volse lo sguardo altrove, mentre Molly Hooper usciva dalla stanza e si allontanava per sempre dalla sua vita.
Dopo qualche secondo, anche lui si allontanò nella direzione opposta alla disperata ricerca del giardino, dove si accese una sigaretta con la mano leggermente tremante.
Ora era davvero finita ed era  meglio cosi, no?
Molly avrebbe avuto la sua opportunità di essere felice e farsi una vita lontano da lui e da quello che stargli vicino comportava. Ripensò al momento in cui l’aveva raggiunta in ospedale e l’aveva vista, scarmigliata ed esausta ma viva... ai suoi occhi che l’avevano cercato e a come il suo corpo era sembrato tendersi verso di lui in modo automatico.
Al desiderio struggente e potente di abbracciarla che aveva provato, messo a tacere solo dall’arrivo di John.
Era arrrivato al matrimonio con l’intento di salutarla soltanto, non di ballare con lei... nel momento in cui l’aveva invitata (perchè semplicemente non era riuscito a resistere all’impulso di farlo) aveva saputo che sarebbe stato un gesto pieno di emozioni, eppure non aveva voluto negarselo.
E naturalmente, aveva finito per farla piangere.
Nel caso ce ne fosse stato bisogno, quella era la conferma che lontano da lui Molly avrebbe avuto un’esistenza migliore.
Aspirò il fumo, lo sguardo perso nel vuoto.
“Sai? È un vizio che continua ad essere molto pericoloso”
Sherlock fece una smorfia, ma non si voltò.
“Sei solo invidioso perchè ne vorresti disperatamente una, ma è la tua prima notte di nozze e naturalmente non vuoi irritare tua moglie e vederti negare le gioie del talamo nuziale”
“E nessuno può darmi torto su questa cosa” commentò tranquillo Lestrade mentre arrivava al suo fianco.
Sherlock girò il viso verso di lui e registrò la sua aria felice e rilassata, data dalla consapevolezza di aver sposato finalmente la donna giusta.
“No, suppongo di no” concordò il consulente investigativo,  tornando a guardare davanti a sè.
“La lascerai andare davvero? Farai davvero questo errore?”
Sherlock ebbe un moto di stupore.
“Pensavo che tu, più di tutti, fossi quello che riteneva che Molly dovesse avere la sua occasione” disse con tono confuso.
Greg annuì piano.
“Si, lo penso ancora per la verità. Penso che lei si meriti di essere felice, ma a quanto pare l’unico modo in cui può riuscire a farlo è standoti accanto. Oh... non mi fraintendere. Farà faville in quel nuovo lavoro e si ambienterà, si farà nuovi amici e troverà qualcuno abbastanza degno da starle accanto... ma non sarai tu e questo sarà quello che stonerà per sempre nella sua vita, quello che ogni tanto tornerà a tormentarla e le impedirà di essere completamente felice.
E lo impedirà anche a te, perchè avrai il tuo lavoro... noi che continueremo ad aver voglia di avere a che fare con te... ma non avrai lei  e questo è sbagliato. Perchè vedi, Sherlock... la tua esistenza è fatta di tante cose,  tanti pezzi che si combinano come in un puzzle e ti fanno sentire soddisfatto, ti fanno sentire vivo.
Considera la somma di tutte le cose e rifletti: se togli un elemento, quello che rimane è ancora accettabile?
La tua vita senza Molly... è ancora accettabile?” L’Ispettore emise un sospiro e si voltò a guardarlo “certe volte, amico mio... certe volte ci accontentiamo” disse con un sorriso “Ma viene il momento in cui non possiamo permetterci di farlo, in cui vale la pena non farlo e dobbiamo concederci invece di desiderare di più. Anche se pensiamo di non  meritarlo. Anche se ci costa fatica e ci spaventa da morire”
Sherlock strinse le labbra, la sigaretta ormai dimenticata tra le dita.
“È cosi che è andata per te?” chiese infine in un sussurro.
Lestrade annuì.
“Si. Ed ora, Sherlock... solo tu puoi decidere se può valere anche per te”
“Perchè mi stai dicendo tutto questo?”
Greg alzò la spalle.
“Perchè è il giorno del mio matrimonio e mi sento particolarmente ispirato. E anche un pochino ubriaco. E perchè ne è passato di tempo, da quando facevi pipì in una provetta nei bagni di Scotland Yard... sei un pochino maturato, da allora” rispose con un ghigno.
Sherlock lo imitò.
“Solo un pochino?”
“Quel tanto che basta da non considerarti più solo un genio irritante e stronzo”
Il consulente investigativo sorrise.
“Genio, eh?”
Lestrade scosse il capo.
“Lo sapevo che sarebbe stato l’unico aggettivo che avresti colto”
Sherlock buttò la sigaretta ormai consumata e la spense con il tacco della scarpa.
“Tua moglie ti aspetta, Ispettore. Meglio se rientri”
“Penserai a quello che ti ho detto?”
Sherlock scosse piano la testa.
“Io non sono come la maggior parte delle persone” disse piano.
Lestrade annuì.
“Vero. Ma sei comunque una persona”
Si voltò per tornare dentro, ma il richiamo di Sherlock lo bloccò.
“Greg?”
L’Ispettore fece un sorriso... il fatto di essere chiamato con il nome giusto era un regalo di nozze meraviglioso.
“Si?”
“Grazie”
“Non c’è di che... amico”
 
***
 
“Non c’era davvero bisogno che veniste...” Molly Hooper guardò il gruppo di persone che l’aveva raggiunta all’aereoporto e poi sorrise “Non è vero. È fantastico che voi siate qua, grazie!”
“Oh, cara. Non pensavi davvero che ti avremmo lasciata partire senza un ultimo saluto, vero?”
Linda Lestrade la abbracciò e la patologa ricambiò con affetto.
“Beh, qualcuno non dovrebbe essere in luna di miele?”
Greg sorrise e si sostituì alla moglie nell’abbraccio a Molly.
“Assolutamente si. Partiamo domani” disse stringendola con energia “buona fortuna, tesoro. È stato bello, mi mancherai”
Lei annuì senza riuscire a parlare, un nodo che le stringeva la gola.
I coniugi Lestrade e Watson l’avevano raggiunta (Amelia era rimasta con Mrs Hudson, con la quale c’era stata una telefonata commovente quella mattina) e lei non poteva fare a meno di sentirsi grata per l’affetto che gli amici le stavano dimostrando.
“Oh, maledizione!” l’esclamazione soffocata di Mary la fece voltare “dannati ormoni post parto, mi ero ripromessa di non piangere!”
Molly le si fece incontro e la abbracciò silenziosamente, stringendola forte e cercando di non scoppiare a piangere anche lei.
“Skype, almeno due volte a settimana. Ed email... tante tante. Hai promesso, ricordi?” sussurrò la bionda staccandosi e asciugandosi le guance con le mani.
Molly annuì.
“E tante, tante foto di Amelia da parte vostra” confermò con un sorriso.
“Non ti preoccupare, ti inonderemo di immagini e filmati” le disse John, procedendo a sua volta ad abbracciarla.
“Grazie” gli sussurrò lei nell’orecchio “e... avrai cura di lui, giusto?”
John rafforzò la presa.
“Si” le mormorò  commosso “anche se è uno stupido che non se lo merita”
Molly si allontanò e gli sorrise tristemente: non aveva nulla da recriminare, lei e Sherlock si erano già detti addio, non avrebbe avuto senso che lui fosse li a salutarla.
“Sai che non è  vero e che non lo pensi sul serio, Dottor Watson!”
Il gruppo rimase per qualche secondo in silenzio, poi la patologa fece un profondo sospiro e afferrò il suo trolley.
“Bene. Ora è veramente ora che io vada” disse indicando la linea per il check in “Io... io vorrei solo dirvi che sono onorata che siate miei amici e che adesso mi volterò e non guarderò più indietro per non scoppiare a piangere, ok? Mi farò viva presto...” un altro profondo sospiro “vi voglio bene. Grazie”
Molly si voltò decisa e fece un passo in direzione delle procedure di imbarco, gli occhi impegnati a cercare il biglietto nella borsa.
Si scontrò con un torace.
Riconobbe all’istante il profumo dell’acqua di colonia e l’inconfondibile colore della camicia.
Alzò piano lo sguardo incredula.
“Sherlock”
“Molly”
Mary, John e Linda assunsero un’aria sorpresa... Greg si limitò a sogghignare.
“Visto? Lo sapevo che aveva un piano” sussurrò il Dottor Watson a sua moglie quando si fu ripreso dallo stupore.
“Oh, ma per favore... non è vero” gli rispose la donna.
“Ok, ci speravo” ammise John.
Molly nel frattempo aveva fatto un altro, enorme sospiro e aveva scartato di lato, decisa ormai a lasciare il paese con dignità.
Avrebbe salutato Sherlock Holmes per l’ennesima ultima volta e non si sarebbe voltata indietro.
Il torace si mosse insieme a lei e si ritrovò di nuovo la strada sbarrata.
“Sherlock” sussurrò irritata “lasciami passare”
“No”
Lei fece per spostarsi di nuovo, ma lui copiò il suo movimento.
“Ci sono problemi, Signora?” una guardia di sicurezza si era avvicinata e ora stava osservando perplesso e guardingo la coppia che sembrava eseguire una strana danza.
“Sarebbe questo il suo brillante piano?” disse Mary a denti stretti a suo marito “farsi arrestare?”
John strinse le labbra.
“Non ho mai detto che fosse un piano brillante” ribattè irritato il Dottore, scuotendo piano la testa per la stupidità del suo migliore amico mentre mormorava “Idiota”
Possibile che avesse sempre bisogno di essere cosi melodrammatico?
“È tutto a posto, agente. Ci penso io” Greg era intervenuto e stava mostrando il suo tesserino alla guardia, che tuttavia non sembrava ancora convinta e osservava Sherlock e Molly, i quali stavano sostenendo una dura battaglia di sguardi.
Senza spostare gli occhi dal consulente investigativo, lei fece un cenno.
“Va tutto bene, agente. Si tratta solo di un... piccolo contrattempo. Io sto per partire”
“No”
Linda emise un gemito di frustrazione e si avvicinò al marito.
“Credi che riuscirà a dire qualcosa di diverso, prima o poi? Perchè non credo che Molly abbia ancora una grande riserva di pazienza, a questo punto”
Greg si limitò ad alzare le spalle.
“Si invece” la voce irritata di Molly Hooper salì chiara a contraddire l’ultima affermazione di Sherlock “sto per andarmene. A lavorare e a vivere in Canada e non capisco perchè tu senta il bisogno proprio a questo punto di”
“Io ti amo”
Molly ammutolì.
Gli altri ammutolirono e in effetti probabilmente sarebbe ammutolito l’intero aereoporto, se ci fosse stata la possibilità di diffondere la frase di Sherlock agli altoparlanti.
John si riprese a fatica, poi un sorriso soddisfatto gli apparve sul viso.
“Visto? Te l’avevo detto che era un piano brillante” sussurrò gongolante a Mary, che si girò a guardarlo.
“No che non l’avevi detto” sussurrò lei a sua volta “Ma forse lo è. Di certo lo sarebbe stato di più se non gliel’avesse detto con la faccia di uno che ha appena ingoiato una cassetta di limoni” concluse con una smorfia, ma anche lei stava sorridendo.
Sherlock in effetti sembrava aver espresso il concetto con molta difficoltà e ora stava aspettando la reazione di Molly, la quale aveva la bocca spalancata.
“C-c-cosa hai detto?”
Lui inspirò a fondo e chiuse gli occhi, poi puntò deciso lo sguardo su di lei.
“Io ti amo, Molly Hooper” il secondo tentativo fu decisamente migliore e più spontaneo “E il fatto che non solo abbia accettato di ripeterlo, ma che te lo stia dicendo davanti a quella che praticamente rappresenta tutta la cerchia delle nostre amicizie che mi tortureranno per anni su questa cosa dovrebbe dirla lunga sulla serietà della mia dichiarazione. Non voglio che tu parta, perchè non posso stare senza di te... ho pensato a lungo e sono giunto alla conclusione che un’esistenza che non contempli la tua presenza al suo interno non è accettabile, sei una parte importante della mia vita che non voglio perdere. Sei l’elemento che non mi posso permettere di non avere”
Mary si portò una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo e John la strinse a sè.
Linda si girò verso suo marito ed ebbe un moto di sorpresa.
“Che stai facendo?” gli sussurrò.
Greg non si voltò, troppo impegnato ad inquadrare la scena con il telefonino.
“Faccio un filmato. Per i posteri. Per futuri ricatti. Mi verranno in mente un sacco di modi per utilizzare questa cosa!”
“Non farai niente del genere!” esclamò scandalizzata lei, togliendogli l’apparecchio dalle mani.
Lui emise un gemito.
“Ma tesoro! Pensa almeno alla povera Mrs Hudson che si sta perdendo la scena!”
Mary sorrise vicino a lui.
“Oh, Greg! Con chi pensi che Sherlock abbia provato il discorso per buona parte della mattinata?”
John spalancò gli occhi.
“Tu lo sapevi?!?”
Lei si limitò a sorridergli con aria misteriosa  e gli appoggiò teneramente la testa sulla spalla, tornando poi a concentrarsi sulla coppia davanti a loro.
Molly non aveva ancora aperto bocca dopo l’incredibile affermazione di Sherlock e si stava limitando a guardarlo intensamente con uno sguardo indagatore, che lui ricambiò con uno preoccupato e ansioso fino a che non si rese conto che lei lo stava deducendo. Un moto di orgoglio enorme lo sommerse.
“Stai dicendo sul serio...” disse lei infine con un tono incredulo.
Lui raddrizzò le spalle e le sorrise.
Bene. Dopo tutto, era stato facile.
“Io... io devo andare”
La dichiarazione di Molly Hooper fu cosi improvvisa e sconvolgente che Sherlock si dimenticò di sbarrarle il  passo e lei riuscì a passare oltre per dirigersi verso la fila del check in.
Fu lesto però a riprendersi e la bloccò per un gomito.
“Come,  andare?”
Lei emise un gemito di frustrazione.
“Sherlock! Ho un aereo da prendere!”
“Ma questo è il punto in cui anche tu dichiari di amarmi, ci  baciamo appassionatamente e tu dimentichi la tua stupida idea di andartene via!” commentò il consulente investigativo nel pieno del panico.
Molly ridusse la bocca a una linea sottile, chiaramente irritata da quello che lui aveva appena detto.
“Stupida idea?” sibilò.
Anche lui strinse le labbra contrariato dal suo passo falso, tuttavia non mollò la presa.
“Non stupida nel senso di stupida...” dichiarò “stupida nel senso di...inopportuna”
Lei spalancò gli occhi.
“Inopportuna? Scusa tanto se per una volta non tengo conto dei tuoi bisogni!”
Lui si passò la mano libera nei capelli con un gesto frustrato.
“Molly...”
Lo sguardo della patologa si addolcì.
“Oh, Sherlock. Ho aspettato e sperato per cosi tanto tempo che tu mi dicessi quello che mi hai detto ma ora... ora non posso tornare indietro solo perchè per adesso per te è opportuno... cosa succederà quando cambierai idea? Quando non sarà più comodo o, peggio, diventerà un peso per te?”
Lui assunse un’aria ferita.
“È questo che pensi? Hai una cosi bassa opinione di me da pensare che cambierò presto idea?”
Lei scosse la testa.
Era incredibile, di tutto quello che sarebbe potuto succedere questo era lo scenario peggiore... era chiaro che la paura del cambiamento per Sherlock era più forte di qualsiasi altra cosa e che questo l’aveva convinto di amarla. Ma lei lo sapeva, non poteva durare e lui si sarebbe pentito di aver permesso a una cosa tanto disturbante come i sentimenti di intromettersi nella sua vita. Fino a poco tempo fa avrebbe fatto i salti di gioia alla sua dichiarazione, ma ora non riusciva a non vederla per quello che era: un disperato tentativo di fermare il cambiamento in un moto di disperazione che sarebbe presto passato, lasciando spazio al pentimento e al risentimento.
Provò l’impulso irrefrenabile di accarezzargli una guancia, ma si trattenne in tempo e si disse che era necessaria un’azione di forza.
“Ricordi? Ieri mi hai detto che non puoi essere diverso...”
“E tu hai risposto che non lo vorresti, che non vorresti mai che io cambiassi... ma se lo volessi io Molly? Se fossi io a voler cambiare?”
Lei tornò a scuotere la testa.
“Non mi perdonerei mai e tu lo sai... arriverebbe un giorno in cui tu lo rimpiangeresti e sarebbe colpa mia. Arriverebbe di nuovo il momento in cui non mi riterresti necessaria
Lui si avvicinò.
“Non capisci, vero?” disse con tono frustrato.
“Che cosa?”
“Che averti vicina quel giorno sarebbe stata una sofferenza enorme, che non sarei stato capace di dirti addio senza confidarti quello che... sento, quando invece sarebbe stato inutile farlo sapendo che non sarei tornato.
E stai facendo un grosso errore, Molly Hooper”
Lei si ritrovò a fissare i suoi occhi chiari ipnotizzata mentre lentamente rielaborava il suo discorso nella sua mente e si scopriva a nutrire un fondo di speranza.
“E quale sarebbe?” gli chiese sussurrando.
“Tu non ritieni di essere la persona per cui varrebbe la pena cambiare, ma ti assicuro...” disse lui avvicinandosi ulteriormente “che lo sei. Ho proceduto ad un’analisi razionale e logica della situazione e ti posso dire che il risultato è solo uno... tu rientri nella somma di tutte le cose. Tutto ciò che rende la mia vita esattamente come voglio che sia”
“Oh” Molly chiuse gli occhi e assaporò quelle parole cosi convinte e delicate e finalmente accettò il fatto che quel giorno sarebbe stato speciale, ma non per i motivi che si era aspettata.
Perchè quello era il giorno in cui tutto cambiava e la felicità, quella vera, arrivava.
Sherlock colse il mutamento nel suo stato d’animo ed espirò  lentamente per il sollievo, poi le lasciò il gomito e le afferrò entrambe le mani, il viso vicino al suo e un lieve sorriso sulle labbra.
“Ci ho messo un po’ di tempo, ma a onor del vero la colpa è di Lestrade che ha dovuto aspettare di sposare una donna che non lo tradirà ogni tre per due per riuscire a farmi un discorso sensato e vagamente di ispirazione”
“Ehi!” cominciò a recriminare l’Ispettore, e sua moglie fu veloce a tappargli la bocca con la mano.
Ma il consulente investigativo e la patologa non diedero segno di curarsene, erano troppo impegnati a scambiarsi il loro primo bacio.
 

EPILOGO
 
Da una postazione protetta e opportunamente adatta a seguire gli avvenimenti, Mycroft Holmes fece una smorfia di disdegno a tutta quell’esternazione di sentimentalismo e prese nota mentalmente di inviare una copia della registrazione della scena che aveva appena avuto luogo a sua madre, cosa che gli sarebbe senz’altro ritornata utile per rientrare definitivamente nelle sue grazie.
Poi sorrise alla donna accanto a lui.
“Mia cara, ricordami di non giocare mai a poker con te, ho l’impressione che potrebbe essere un’esperienza altamente deleteria per le mie finanze. La tua capacità di bluffare non ha paragoni”
Anthea rispose al suo sorriso.
“Grazie. Quella scenetta a Baker Street in cui mi sono arrabbiata con tuo fratello è stata divertente”
“E il fatto di mandare l’email che offriva il posto in Canada a Molly proprio davanti a lui è stato, permettimi di dirlo, un colpo da maestra”
“Tuo fratello aveva bisogno di una scossa, ho solo fatto in modo che fosse una scossa potente. Tu però ritenevi che questo l’avrebbe distratto dallo scoprire cosa stava succedendo e dal risolvere il caso...” ammiccò lei maliziosamente.
Lui inclinò la testa senza smettere di sorridere.
“Mi sono sbagliato, te lo concedo. Mio fratello ha ottenuto il perdono e la Dottoressa Hooper è riuscita a stupirci ancora una volta. Hai rischiato grosso, però... e se lui oggi non fosse venuto?”
“Non sottovalutarmi, avevo un paio di piani di riserva: sai, aerei che non partono... casi improvvisi in Canada... chiuderli a chiave in una stanza fino a che non si fossero chiariti...”
Mycroft assunse un’aria veramente soddisfatta.
“Oh certo, naturalmente. Non cesserai mai di stupirmi, mia cara”
“Lo spero proprio, mio caro”
 
NOTE FINALI

*la canzone che ballano Sherlock e Molly è (ed è sempre stata lungo tutta la stesura della fanfic) Surrender di Joshua James, la trovate qui:
https://www.youtube.com/watch?v=TrsjEa4HwGk

Grazie, grazie a tutti per le recensioni e perchè ho visto che nel corso dei mesi molte persone hanno iniziato a seguire/preferire la storia, o a mettermi tra i loro autori preferiti.: è stata lunga e impegnativa, ma ne è valsa la pena!

Magari prima o poi torno.
Ciaooo!
yllel.
 

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