Time has a way of changing things di Alexiel Mihawk (/viewuser.php?uid=28142)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alfa, senza omega ***
Capitolo 2: *** διχοτομία ***
Capitolo 3: *** Giustizia divina ***
Capitolo 4: *** Infanzia in tre tempi ***
Capitolo 1 *** Alfa, senza omega ***
Prompt:
Saint Seiya,
Saori, Tu sai che sono
88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro.
Tu sei infinito, e
dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare.
Loro sono 88, tu sei
infinito. (Novecento - Baricco)
Nota: Avevo voglia
di un po' di Saori, perché la odiano tutti, ma io le voglio
bene lo stesso. Tantissimo. Vi spiego in breve il titolo del capitolo,
poi passo al blablabla: alfa è la prima lettera
dell'alfabeto greco, nel Cristianesimo, in particolare in epoca
paleocristiana e altomedievale, questo simbolo veniva accostato
all'omega, ultima lettera del medesimo alfabeto, ad indicare che Dio
fosse l'inizio e la fine di ogni cosa. Non a caso nell'apocalisse si
trova scritto « Ego sum alpha et omega, principium et finis
», Io sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine. In
questo caso beh, l'omega non c'è, vi lascio a trarre le
vostre conclusioni da soli.
E
niente, poi ti metti a scrivere su Avatar in attesa del Book 4 e scopri
che sei ancora in grado di mettere le parole in fila e l'ispirazione un
po' torna e allora torna la voglia di Saint Seiya. E anche se sono anni
che non scrivo più in questo fandom per me non è
cambiato nulla. E venite tutti a trovarci su piscina di
prompt e fillate i prompt di Saint Seiya. E di tutti gli
altri fandom, sì, insomma, avete capito.
Alfa,
senza omega.
Saori
Kido è una divinità, ma è anche una
ragazzina di tredici anni piena di dubbi. Le
certezze della sua vita non sono mai state tali, fin da quando, in
tenera età
le venne rivelato di non essere altro che il vessillo di carne di una
divinità.
Ci sono dei giorni in cui non sa se i suoi pensieri sono suoi o della
dea che
giace sopita dentro di lei; Saori esiste come individuo singolo?
È
una domanda che la perseguita da anni e a cui ancora non sa dare
risposta; ogni
volta che la sente affiorare avverte un nodo formarsi alla bocca dello
stomaco,
le dita delle mani irrigidirsi e sa che a seguire arriverebbe un
attacco d’ansia
– non di panico, ma alla fine a lei cambia ben poco. In
questi casi si chiude
nel suo studio, apre il pianoforte e comincia a suonare.
I
tasti del pianoforte sono ottantotto: li conosce a memoria, conosce
ogni
sequenza e ogni suono che possono emettere. Sono il suo calmante.
Aveva
nove anni quando ricevette la sua prima lezione di piano. Suo nonno si
era
accorto da qualche tempo che la musica era l’unica cosa che
sembrava placare il
suo animo inquieto e i suoi attacchi – all’epoca
fin troppo frequenti.
Saori
l’aveva preso per un altro dei capricci di
quell’uomo eccentrico, che cercava
ad ogni costo di fare di lei l’erede perfetta: a tredici anni
lo crede ancora.
Ora
Saori Kido ha sedici anni, due guerre sacre alle spalle e il sangue di
un
numero indefinito di morti sulle mani, il suo rapporto con la dea che
vive in
lei si è trasformato e in qualche modo ha compreso che non
è mai esistita una
distinzione di personalità. Lei è sempre stata
Atena, e Atena è sempre stata
Saori: a cambiare, in fondo, era solo un nome, un nome che aveva il
potere di
imprigionarla e di definirla
Ora
Saori Kido ha sedici anni, ha capito perché suona il
pianoforte e ha accettato
di essere una divinità, con tutte le conseguenze che questo
comporta. Si è resa
conto dell’impossibilità di definirsi,
perché come si può definire un dio? Come
si può definire un’ideale?
Atena
suona il pianoforte, i tasti sono ottantotto, li vede iniziare, li vede
finire, questo riesce a calmarla, questo la rende sicura: questo
è una
certezza. Le sue mani si muovo veloci e Saori espande il suo cosmo, con
gli occhi
interiori vede ogni cosa, il suo sguardo si allarga sul mondo,
controllandone
angoli e anfratti, nel tentativo di percepire nuove minacce. Il suo
cosmo è
infinito: questo è certezza.
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Capitolo 2 *** διχοτομία ***
διχοτομία
Bianco
e nero.
Quando
sei giovane tendi a fare distinzioni molto nette tra gli opposti:
giusto e
sbagliato, buono e cattivo, ricco e povero, amore e odio. Non esistono
le vie
di mezzo; i sentimenti sono troppo forti, guidati da impulsi quasi
incontrollabili, perché tu possa riuscire a farti condurre
in ragionamenti lucidi
e logici.
Saori
ha tredici anni e le sue emozioni sono un agglomerato inconsulto e
confuso, ma Atena
ne ha più di duemila, è qui dall’alba
dei tempi – poco dopo la nascita
dell’universo stesso, o era dell’uomo? non ricorda
più bene – e a modo suo sarà
ancora qui quando il tempo cesserà di esistere. Quella massa
disordinata è come
un gomitolo di lana ai suoi occhi, basta districare il filo
perché la verità
appaia chiara e lampante.
Atena
è consapevole che non esistono il bianco e nero, il bene
assoluto e il male
assoluto: la vita è una costante scala di grigi, alle volte
i toni sono più
scuri e la scala è ripida ed erta, altre invece la sfumatura
è più chiara e la
scala discende tranquilla verso un altro grigio, ancora indefinito.
È un
costante trovarsi nel mezzo. Perché Saori sa bene che non
potrebbe esistere
giustizia senza un crimine da giudicare, non potrebbe esistere ombra se
non
esistesse la luce; è una dicotomia senza fine quella del
mondo a cui
appartiene, un ossimoro vivente. D’altra parte lei ne
è l’emblema più evidente,
lei che è bene, ma anche male, che è giudice,
giuria e carnefice: Atena è giustizia,
ma è anche morte e a morte seguono sempre sangue e
distruzione, e fin troppo
spesso è accompagnata da guerra.
Per
questo ogni tanto si ritrova a sorridere pensando a quanto sia stata
idealizzata
dai suoi cavalieri – e se non fosse una dea, forse le farebbe
piacere chiamarli
amici – che vedono in lei un ideale senza macchia, una
divinità senza paura,
che non verrà mai sconfitta, perché giusta. E
dentro di sé pensa ad Aracne,
pensa a Medusa, pensa a Tiresia, e senza tornare così
indietro nel tempo pensa
a cosa – ora, in questo momento della sua vita mortale
– sia pronta a
sacrificare pur di vincere in guerra e dentro di sé vorrebbe
sentirsi turbata
dalla risposta che si dà, ma così non
è. Perché lei lo sa, il sacrificio è
necessario, la morte è solo un tributo da pagare per una
causa più grande. Il
fine giustifica i mezzi, quando il fine è la pace.
Perché
Atena è Promachos, è Nike, è Atritonia
e la sconfitta non è contemplata.
NOTE: Prima di tutto
qualche informazione pratica: La frase Atena è giustizia,
ma è anche morte e a morte seguono sempre sangue e
distruzione, e fin troppo
spesso è accompagnata da guerra. è una eco di una drabble scritta un paio di anni fa sempre Saori centric che potete trovare qui.
Aracne è la fanciulla che
Atena trasformò in ragno ai tempi del mito come
punizione per la sua Hybris, ma anche perché invidiosa della
sue effetive abilità come tessitrice (ok, in realtà è un po' più complesso di così, ma non ho voglia di raccontare tutta la storia); Medusa venne
trasformata in mostro per essersi
congiunta a Poseidone nel tempio della dea; Tiresia venne reso
ceco per
averla vista nuda mentre faceva il bagno (e secondo me Tiresia direbbe
che ne è valsa la pena, ma questo è un altro
conto). In questo elenco la dea sta
pensando a quanto sia ironico che le venga attribuito
l’epiteto di giusta,
perché se si deve a mettere a fare un esame di coscienza,
non è che lei sia
proprio una santa. I
termini finali sono epiteti attribuiti alla dea e il loro rispettivo
significato è: Promachos, prima in battaglia; Nike, dea
della vittoriosa, in
questo caso Atena vincitrice/vittoriosa; Atritonia è
composto da Tryo –
logorare – preceduto dall’alfa privativo e
significa instancabile.
Questa
flash, come la successiva, è legata al concetto di
sacrificio e alla visione che Atena/Saori ha dello stesso.
Ora
qualche notizia di ordine diverso: SONO SENZA INTERNET. Mi sono
trasferita da poco in Francia per l'erasmus e stanno impiegandoci ere
geologiche per attaccarmi e attivarmi internet, se dio vuole il 5
dovrebbe venire il tecnico. Fortunatamente fino al 3 sarò a
Milano quindi sarò tra i vivi, se poi sparirò
sappiate che non è per mancanza di ispirazione, ma per
assenza di connessione, parte delle drabble sono infatti già
scritte.
Detto
ciò vi ringrazio di cuore per le bellissime parole e
recensioni che mi avete lasciato risponderò a tutte piano
piano!
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Capitolo 3 *** Giustizia divina ***
Prompt:
Saint Seiya,
Saori&Seiya, "La dea per cui mi batto ha rispetto per la
vita"
Titolo: Giustizia
divina
Autore: Alexiel
Mihawk (alexiel_hamona su LJ)
Pairing: Nessuno
Rating: PG, Verde
Avvertimenti:
Flashfic, Introspettivo
Conteggio parole: 269
Note: Eccomi di
nuovo con una sfilza di note introduttive, sì questa volta
le metto all'inizio per dare una chiave di lettura migliore. Come
potete capire la drabble è ispirata al prompt qui sopra, che
è preso da piscinadiprompt
(passate!), si tratta di una frase che Seiya dice nell'anime durante il
combattimento ad Asgard contro Orion e che secondo me racchiude un
ulteriore step nella maturazione di Saori/Atena. Allo stesso tempo
questo capitolo vuole analizzare il concetto di sacrificio sotto un
altro punto di vista, nella flash precedente Atena si muoveva come un
generale sul campo di battaglia, qui prende in considerazione un
aspetto diverso che è, appunto, il rispetto per la vita. Non
fatevi strani viaggi sul perché alla fine io abbia messo il
nome di Seiya, era solo per rispettare il prompt.
Giustizia
divina
Saori
era stata, in passato, una giovane adolescente viziata, abituata a
trasformare
in realtà ogni suo desiderio. Unica erede di una delle
famiglie più ricche del
Giappone, la giovane era cresciuta nel lusso e nella bambagia; la sua
attitudine, poi, non era certo migliorata dopo avere scoperto di essere
la
reincarnazione di una divinità. Il suo ruolo, ai suoi occhi
poco allenati e
immaturi, era di vitale importanza: il mondo non poteva fare a meno di
lei, di
qualche cavaliere forse sì, di lei sicuramente no. Doveva
essere protetta,
difesa, onorata e se questo voleva dire che qualcuno sarebbe dovuto
morire al
suo posto, beh, così fosse. Ciò non la riguardava
di certo.
Col
tempo era sopraggiunta la consapevolezza: la consapevolezza di avere
torto.
La
giustizia, quella vera, quella divina,
non avrebbe mai dovuto richiedere la morte di coloro che lottavano per
essa. Il
sacrificio, qualora necessario, avrebbe dovuto essere suo. Questo i
suoi Saint
faticavano a concepirlo, ma lei aveva finalmente compreso, dopo una
vita
passata in cecità, ora era finalmente tornata a vedere.
Atena
era una divinità, un ideale e non si può uccidere
un ideale; lei sarebbe
tornata, magari ci sarebbero voluti anni, ma avrebbe, un giorno,
trovato un
nuovo corpo nel quale reincarnarsi e sarebbe rinata a nuova vita.
I
suoi cavalieri no, ai mortali nulla di simile era concesso, questo
Seiya lo
sapeva meglio di chiunque altro e, dentro di sé, sebbene
fosse restio ad
ammetterlo, era grato a Saori per il rispetto che dimostrava loro ogni
giorno,
per come lottava per le loro vite con la stessa forza con cui lottava
per
salvare il mondo.
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Capitolo 4 *** Infanzia in tre tempi ***
Titolo: Infanzia in tre
tempi
Autore: Alexiel Mihawk
(alexiel_hamona su
LJ)
Pairing: Nessuno
Rating: PG, Verde
Avvertimenti: One shot,
Introspettivo, Missing
moment
Conteggio
parole: 604
Note: eccomi di
nuovo ad aggiornare, con
un capitolo che spero sarà per voi più
soddisfacente. Siccome ne ho parlato con
Stellareika, ho deciso di spiegare anche voi il perché di
questo capitolo
ambientato nel passato di Saori si trovi proprio a questo punto. La
prima
motivazione, nonché causa di forza maggiore, è
che l’ho scritto dopo, dopo che
avevo già iniziato la raccolta e di conseguenza non mi
è stato possibile
ordinare i capitoli secondo un ordine cronologico. Ho dunque deciso di
rivedere
l’intera struttura della raccolta secondo un ordine diverso:
nei primi tre
capitoli ho cercato di parlare di Atena come la vediamo adesso,
partiamo dai 13
e arriviamo ai sedici anni, vedendo sfumature di Atena che riconosciamo
nelle
sue azioni, azioni che abbiamo visto con i nostri occhi nella serie;
ora vorrei
fare un salto indietro per vedere come ci siamo arrivati a questo
punto, per
vedere il percorso che ha fatto Atena per poi chiudere con Atena di
nuovo
adulta. Una sorta di composizione ad anello, se mi passate
l’arroganza.
Sperando di riuscire a mantenere il proposito.
E con
questo vi lasciato al capitolo.
Infanzia
in tre tempi.
Tutti
i bambini hanno paura del buio.
Qualcuno
direbbe che è normale, che è giusto
così, perché l’oscurità
rappresenta tutto
ciò che l’uomo non può controllare,
ciò che non può vedere ed è normale
temere
qualcosa che non si può vedere.
Saori
ha quattro anni e non fa eccezione, ancora inconsapevole della sua
natura
divina, si comporta esattamente come una bambina normale e a Mitsumasa
si
stringe il cuore ogni volta. Per riuscire a farla addormentare le ha
comprato
un carillon. È un oggetto piuttosto pregiato, come ogni cosa
in quella casa,
composto da sottili strati di carta colorata, costellata da forellini,
quando
viene acceso parte una melodia di Chopin e sulle pareti bianche della
stanza si
riflette l’universo.
Saori
ancora non sa riconoscere le stelle, ma ogni volta che vede il soffitto
tingersi di viola e di blu chiude gli occhi tranquilla.
Saori
ancora non sa di essere Atena, ma le sue costellazioni vegliano
già su di lei.
La
prima volta che Saori chiede a suo nonno dei suoi genitori ha cinque
anni.
Mitsumasa
non sa cosa risponderle, perché come si può dire
a una bambina che non ha né
una madre né un padre? A quell’età
è impossibile comprendere cosa sia
l’incarnazione di una divinità, quindi lascia
perdere e le racconta la storia
di una donna bellissima e intelligente e di uomo potente e ambizioso,
le
racconta del loro incontro e come da questo incontro sia nata lei. Non
che a
Saori basti e come tutti i bambini parte con le domande, domande che
non fanno
che metterlo in difficoltà: « Ma dove sono ora?
Sono morti? Mi hanno lasciata
qui? Non mi volevano? Ma si volevano bene? Ma mi volevano bene? »
Nessun
bambino dovrebbe mai arrivare al punto di chiedersi se è
stato desiderato, e
gli occhi di Saori mentre i dubbi la assalgono sono così
grandi (e così pieni
di lacrime) da togliergli il sonno. E Kido sa che un giorno
dovrà dirle la
verità, dovrà dimostrarle
la verità e
risvegliare la dea che ora vive come una fanciulla, fino a quel
momento, però,
non può fare altro che inventarsi storie. Forse un giorno la
ragazza che
considera sua nipote lo guarderà con i suoi freddi occhi
celesti e gli
rinfaccerà un’infanzia di menzogne, ma fino a quel
momento Mitsumasa si riserva
di decidere come crescerla.
E
sceglie di crescerla come una bambina normale.
Saori
ha sei anni e non capisce perché suo nonno insista nel
circondarsi di pezzenti.
Tutti
quei ragazzini che girano per la villa la innervosiscono e la irritano,
non le
piacciono e le sembra che rubino l’attenzione di Mitsumasa,
che dovrebbe,
invece, essere concentrata tutta su di lei.
Si
diverte a dimostrare loro quanto siano inferiori, perché
è giusto che non si
sentano speciali, alla fine la fondazione non è diversa da
un orfanotrofio
qualsiasi (a parte per gli allenamenti e per l’istruzione
particolare che Kido
vuole venga impartita) e lei, lì dentro, è
l’unica ad avere una famiglia, ad
essere desiderata.
Quando
chiede perché abbia radunato lì tutti quei
ragazzini, suo nonno le risponde che
è per un bene superiore, Saori non ha assolutamente idea di
cosa voglia dire,
ma gli dà ragione, perché quell’uomo
è tutto ciò che ha e lei vuole renderlo
fiero.
Mitsumasa
la guarda orgoglioso e per dimostrarle quanto quei ragazzi (che poi
sono i suoi
figli, ma come può dirglielo?) non contino nulla al suo
confronto, le lascia
fare tutto ciò che vuole, le regala tutto ciò che
vuole e si preoccupa che il
sorriso non scompaia mai dal suo volto.
È
tutto ciò che può fare, per ora.
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