Chances

di Alexiel Mihawk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chances ***
Capitolo 2: *** To be is to be perceived ***
Capitolo 3: *** This world spins from the same unseen forces that twist our hearts ***
Capitolo 4: *** Death is only a door ***
Capitolo 5: *** It's all about your cries and kisses ***
Capitolo 6: *** It's all about you ***
Capitolo 7: *** I believe that love is real ***



Capitolo 1
*** Chances ***


Note: lo so che il Fandom italiano di Frozen è quasi solo composto di shipper accanite di Helsa (vi invidio tanto, avete un sacco di belle fic da leggere), ma io la mia OTP proprio non riesco a mollarla. Questa è una Hans/Anna reincarnation!Modern AU; non so se in futuro ci farò un seguito o meno, dipenderà dai miei impegni e dall'ispirazione, per ora rimane questo, uno spiraglio di luce e una possibilità perché c'è sempre la possibilità di rimediare ai propri errori.
Questa storia doveva essere una One Shot, ma poi mi sono accorta che non era mai vero e ora è una long in sette capitoli. Prima che vi ci inoltriate ho tre cose da dirvi:
1) leggete sempre le note, le lnote sono belle (lunghe) e chiariscono i dubbi (e ci ho messo un sacco a scriverle)
2) la colonna sonora di questa storia è Chances, degli Athlete, se leggete con la canzone in sottofondo, magari piazzata a ripetizione, la lettura ne gioverà. Tanto. (Scusatemi Doctor Who fans, per tutti questi Vincent feels)
3) Se non avete visto Cloud Atlas potrebbero esserci degli spoiler sul film che viene spesso citato nelle quote a inizio capitoli e che i protagonisti si mettono a vedere (perché sì, angst).


 
If I had the chance to start again
Then you would be the one I'd come and find
Like the poster of Berlin on my wall
Maybe there's a chance our walls might fall
Chaches – Athlete
 
 
Chances
 
 
È così impegnata a farsi una selfie da mandare a sua cugina che non si accorge di andare a sbattere contro qualcuno; il mocaccino, nel bicchiere di cartone di Starbucks, ondeggia pericolosamente tra le sue mani, minacciando di rovesciarsi, ma la ragazza riesce miracolosamente a non farlo cadere.
«Vuoi guardare dove vai?» un ragazzo dall’aria piccata la guarda da dietro un paio di spessi occhiali scuri, non riesce a vederne lo sguardo, ma capisce che la sta rimproverando; forse le importerebbe di meno se non fosse che si tratta di un ragazzo incredibilmente affascinante, alto e con una chioma di capelli rossicci che culmina in due lunghe basette.
«Scusami, scusami, mi dispiace tantissimo! Che cosa imbarazzante, cioè io sono imbarazzante, tu non sei imbarazzante, tu sei bellissimo. Aspetta, cosa? Ti sei fatto male?» domanda Anna ricomponendosi, infila il cellulare nella borsa e osserva preoccupata il giovane.
Lui scuote la testa e aggrotta la fronte, quindi lentamente si toglie gli occhiali e sbatte un paio di volte le palpebre. La conosce? Perché non riesce a togliersi di dosso una strana sensazione di déjà-vu.
«Sicuro di stare bene? Hai l’aria un po’ persa» esclama la ragazza prendendolo per un braccio e conducendolo fino a una panchina «Non volevo venirti addosso, ma sai alle volte non so proprio dove io abbia la testa, mia sorella dice che sono la quint’essenza della goffaggine. Comunque io sono Anna, piacere».
Lui si passa una mano sul volto, senza capire cosa gli stia succedendo, stringe le palpebre e davanti ai suoi occhi, serrati come una morsa, sfilano una serie di immagini, una più assurda dell’altra, una più sgradevole dell’altra: un castello in un arcipelago del sud, un ballo durante un’incoronazione, un vestito verde, una risata, ciocche di capelli arancioni che si tingono di bianco, una sensazione alla bocca dello stomaco, come di rimorso? Oh, Anna, se solo qualcuno ti amasse davvero. Sussulta, ma ovviamente lei non se ne accorge; la sente parlare in sottofondo, ma non la sta davvero ascoltando. Quando riapre gli occhi, dopo un tempo che a lui è parso infinito, fissa il suo sguardo in quello della ragazza.
«Anna?» mormora con stupore, lei annuisce perplessa, non è che il suo nome sia così originale dopo tutto «Io sono Hans».
Gli stringe la mano con foga e sorride, perdendosi un attimo in quegli occhi verde smeraldo, le sembra una sensazione nota, ma non ci fa caso. Hans d’altra parte non sa cosa fare, continua a sovrapporre la figura di quella ragazza in jeans e canotta a quella di un’altra donna, di un’altra Anna, qualcuno che lui sa di non conoscere, ma con cui, allo stesso tempo, sente di avere condiviso qualcosa di estremamente importante; la giovane sorride e nelle sue orecchie rimbomba una eco, posso dire una follia?
«Hans è un bellissimo nome!» esclama lei lasciandosi cadere sulla panchina al suo fianco e sorseggiando il suo mocaccino «Ti senti meglio?»
«Sì, credo di sì» sorride il ragazzo osservandola. La stessa naturalezza nei movimenti, la stessa adorabile goffaggine, lo stesso entusiasmo, ma in aggiunta, questa volta, una benedizione: l’oblio del passato. Un oblio che in qualche modo a lui non è stato concesso e Hans si chiede perché? Perché a lui, perché adesso.
Magari, sente una vocina sussurragli, per avere una seconda occasione, per avere l’opportunità di sistemare le cose, di chiedere scusa, sia maledetta la sua coscienza, lei e i suoi consigli di redenzione.
In quel momento lei si alza dalla panchina e gli dà una pacca amichevole sulla spalla.
«Fantastico! Allora io vado, ci si vede in giro, Hans» fa per incamminarsi quando la sua voce calda e gentile la richiama indietro.
«Anna, aspetta!»
«Sì?»
Lo vede arrossire leggermente e dentro di sé trova che sia adorabile.
«Ecco» inizia lui titubante «Me lo daresti il tuo numero?»






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Capitolo 2
*** To be is to be perceived ***


Non dite che non vi ascolto mai! Ecco qui il secondo capitolo di Chances, e il terzo è già in fase di scrittura, prima di partire, però qualche pallosa nota, che vi prego vivamente di leggere.
Note:
In tutti i miei headcanon Hans è dislessico. Per quanto riguarda il concetto di reincarnazione: ovviamente i personaggi si reincarnano in persone nate in nuclei famigliari diversi, hanno background differenti da quelli originali (Altrimenti vi immaginate che casino se ogni volta rinascessero sempre gli stessi nuclei famigliari? Nopety nope), quindi Hans in questa vita non ha fratelli e non ha avuto unafamiglia bastarda, Anna non ha sorelle (ma Elsa comparirà, non preoccupatevi, perché la amo troppo per lasciarla da parte). Rapunzel giocherà un ruolo abbastanza di rilievo per tutta la storia e più avanti sarà lei a chiarire bene come funzioni il concetto di reincarnazione e in base a cosa ci si ricordi delle vite passate, sappiate che però non capita a tutti, è una cosa molto rara. Ultima nota, Hans e Anna si sono incontrati già altre volte, in un sacco di vite, e quando si incontrano ad Arendelle, non è la prima volta, solo che si tratta della volta in cui Hans rovina ogni cosa e in qualche modo rovina il ciclo.
Le ultimissime due cose, poi giuro che vi lascio andare: 
  • ho scritto una One Shot, sempre su Hans e Anna, di cui vado parecchio fiera e a cui sono molto legata, è parecchio lunga, ma se avete voglia di darci un'occhio è qui: Redemption: under a benign sky (e sì, questa volta è canon era e ci sono anche Kristoff ed Elsa, perché li amo tutti)
  • Io e alcune amiche abbiamo iniziato il FanFiction Meme su Livejournal, funziona così, io dò una lista di fandom e il mondo mi lascia dei prompt su quei fandom, in modo che io possa poi scriverci, trovate la mia lista qui sul mio Livejournal, se volete passare e lasciare dei prompt sentitevi liberi di farlo

 
 
 
 
To be is to be perceived
 
 
 
 
To be is to be perceived. And so to know thyself is only possible through the eyes of the other. The nature of our immortal lives is in the consequences of our words and deeds that go on apportioning themselves throughout all time. Our lives are not our own; from womb to tomb, we are bound to others, past and present, and by each crime and every kindness we birth our future.
Sonmi-451 – Cloud Atlas
 
 
 
 
Il vero amore trascende il tempo e lo spazio, rompe maledizioni e scatena guerre.
Ci sono individui, a questo mondo, che sono legati da un filo sottile e sono destinati a incontrarsi ancora e ancora, in ognuna delle loro vite; per questi individui la morte è solo una linea di passaggio, un confine, che, come ogni confine che si rispetti, può essere superato.
La prima volta che Hans ha ricordato il suo passato, seduto su quella panchina verde bottiglia, ha creduto di essere impazzito, ma quando i flash hanno smesso di scorrere davanti ai suoi occhi ha capito che quella non era altro che una eco di un tempo lontano. Ritornato a casa, nel buio della sua stanza, ha pensato a lungo al significato di quei ricordi, scavando nella memoria senza riuscire, però, a trovare alcun riscontro.
Ora, a distanza di qualche giorno osserva il suo iPhone con aria nervosa e si chiede se ne valga la pena, se sia il caso di tentare; si guarda allo specchio e si dà mentalmente dello stupido, perché è ovvio che vale la pena tentare, altrimenti non avrebbe ricordato nulla.
Invia il messaggio con mano tremante e impreca, sentendosi di nuovo un sedicenne alla prima cotta.
 
Anna gli sorride e il mondo smette di girare, tutto il resto non ha più importanza perché lei è lì, di fronte a lui, e, anche se non l’ha mai vista prima, Hans sente di conoscerla da una vita, sente che l’ha già incontrata, perché lui quelle lentiggini e quel sorriso sbilenco se li ricorda. Quando Citron lo lascia cadere in acqua al principe non importa perché ha incontrato lei e per un attimo si dimentica del motivo per cui si trova lì, si dimentica di Arendelle, del trono e dei suoi fratelli.
 
Quando il telefono di Anna vibra lei è in bagno e ci pensa la sua compagna di stanza a controllare di chi si tratti. L’autore del messaggio è stato salvato come “Hans il figo della panchina” e nel vederlo Rapunzel ridacchia, ripensando al racconto dell’amica di qualche giorno prima.
«Che succede?» domanda la ragazza in questione entrando nella stanza.
«Ti ha scritto Hans» è la placida risposta della bionda mentre provvede lei stessa a replicare al messaggio.
«Che stai? Oh, Punzie, smettila!» Anna le sottrae il telefono arrossendo leggermente nel leggere la conversazione «Un piacere e un onore? Ma chi parla così!?»
«Dai, Anna, in fondo avevi già intenzione di andarci no?»
La giovane arrossisce e annuisce debolmente, certo che sì.
«Lo hai visto di nuovo?» domanda quindi la compagna di stanza sbocconcellando Mikado e lanciandole un’occhiata in tralice.
Anna si lascia cadere sul suo letto e con un braccio si copre gli occhi.
«Ho fatto un sogno, sfioravo le sue mani».
Rapunzel la raggiunge e le lancia addosso la confezione di dolcetti, non c’è niente di meglio per tirare su il morale dell’amica, soprattutto quando è confusa e non sa bene che pesci pigliare.
«Sai, anche io, all’inizio, quando ho incontrato Eugene –»
«Ti prego, Punz, chiamalo Flynn, quel soprannome che gli hai dato è atroce!»
«Quando ho incontrato Eugene continuavo a sognarlo, e ora? Era destino, e fidati, sorella, se il destino ti parla è il caso di ascoltarlo».
«Hai mangiato di nuovo i muffin con la cannabis dei ragazzi di ingegneria?»
 
Quando Hans invita Anna ad uscire non sa niente di lei.
Non ha idea di quanti anni abbia, né di cosa faccia nella vita, non sa con chi viva, se abbia sorelle o se sia di nuovo orfana.
Quello che sa è che le sue lentiggini lo fanno impazzire e che vuole scoprire se la sua risata è davvero contagiosa come la rammenta, vuole vedere se è ancora la stessa persona entusiasta dei suoi ricordi e spera che continui a non avere la più pallida di chi lui sia.
Mentre l’aspetta infila le mani nelle tasche della giacca alla ricerca di una sigaretta, si era ripromesso di smettere, ma quando è nervoso non riesce a farne a meno; con un movimento elegante l’accende e ispira, il fumo acre gli invade i polmoni e, senza sapere perché, Hans ha la sensazione che sia giusto così. Quando Anna arriva rimane senza fiato, a dire la verità rimangono entrambi senza fiato, Hans perché si strozza aspirando, la ragazza perché senza accorgersene trattiene il respiro nel vederlo. Merda, è ancora più figo di quanto ricordasse.
«Dove mi porti?» gli domanda con le mani dietro la schiena.
Il ragazzo sorride, osservando il suo vestito verde bottiglia decorato con fiori color panna, e le indica una direzione; camminando a suo fianco scopre che Anna ha quattro anni meno di lui e che no, in questa vita non ha sorelle, ma ha un sacco di amiche. Scopre che studia letteratura inglese, che odia Hardy, adora Shakespeare e il suo scrittore preferito è Conrad. Per tutto il tragitto la ragazza non smette mai di parlare e risponde con gioia alle sue domande, felice di vedere, per la prima volta, un ragazzo davvero interessato a sapere tutto di lei.
Quando arrivano al locale, Anna trattiene un gridolino di gioia, perché quello è il paradiso.
«Una cioccolateria! Mi hai portato in una cioccolateria! Oh, io adoro il cioccolato!»
Lo so, vorrebbe risponderle, ma rimane in silenzio e le sorride, guardandola con dolcezza.
«Vieni, entriamo».
Si siedono ad un tavolino rotondo e una ragazza paffutella dall’aria allegra arriva portando loro un enorme menù: è più il tempo che passano a sfogliarlo – le loro teste vicine, le loro guance che si sfiorano – che quello che ci mettono a decidere. Non devono nemmeno consultarsi perché entrambi ordinano la stessa cosa, nello stesso momento.
«Una fontana di cioccolato, per favore!»
La cameriera li guarda ed emette un risolino, quindi se ne va mormorando qualcosa riguardo al quanto siano adorabili.
Anna arrossisce e per smorzare l’attenzione inizia a riempire Hans di domande sulla sua vita. Cosa fai? Studi? Lavori? Hai fratelli? Vivi da solo?
Lui le racconta tutto quello che può, cercando di essere il più sincero possibile, questa volta. Le dice che ha una sorella più grande e che sì, vive da solo, lavora come giornalista presso un editore locale, ma è contento del suo incarico e spera di riuscire a ottenere una promozione a breve; le racconta della sua famiglia e dei suoi genitori, di come sua madre sia una pediatra e una donna eccezionale e le parla di suo padre, pompiere. Più racconta più gli occhi di Anna si illuminano di eccitazione e interesse.
Hans vorrebbe riuscire a mantenere quel fuoco sempre acceso e dentro di sé spera di riuscirci.
Sulla via del ritorno la mano di Anna sfiora la sua e per il ragazzo è come ricevere una scarica elettrica, ma non osa afferrarla: è ancora presto, si dice, la prossima volta.
La domanda della ragazza lo coglie di sorpresa, perché non ha nessun legame apparente col resto della conversazione e non riesce a capire da cosa l’abbia intuito.
«Sei dislessico?» chiede Anna nel bel mezzo di un discorso sulle foche.
Hans si blocca e la fissa negli occhi, interdetto.
«Beh sì, sono sempre –» cosa sta per dirle? Che in tutte le sue vite è sempre stato dislessico? «Sono migliorato col tempo».
«Scusa, non so da dove mi sia uscita, è solo che a un certo punto mi sono ritrovata con la domanda sulla punta della lingua e BAM!»
Hans scoppia a ridere quando il pugno della mano destra di Anna incontra il palmo della sinistra e un raggio di sole gli illumina il viso facendo risaltare le poche lentiggini e i capelli rossicci; nel vederlo così la ragazza tende la bocca in un sorriso, perché Hans non è figo in quel momento, è bello, ma bello davvero.
«Comunque, se può farti stare meglio» e non sa perché la cosa dovrebbe renderlo triste in primo luogo «Un sacco di giornalisti e scrittori famosi erano dislessici. Lo sapevi che Fitzgerald lo era? E anche Victor Hugo!»
«E Leonardo da Vinci, George Washington, Vincent VanGogh, Wiston Churchill ed Harrison Ford. Lo so, mia madre, quando ero piccolo, mi riempiva la testa delle gesta dei dislessici più famosi della storia. Per farmi capire quanto sono speciale, diceva».
«E aveva ragione!» esclama Anna «Sei speciale».
E lei intende “Ognuno di noi è speciale, ognuno di noi è unico, ed è giusto che tua madre ti abbia aiutato a capirlo”, ma quello che Hans capisce è un’altra cosa e quando Anna finisce di parlare, proprio nel momento in cui realizza quello che ha detto e come potrebbe essere frainteso, prima che possa dire qualsiasi cosa per chiarirsi, Hans si china su di lei e le posa un bacio leggero sulle labbra rosate.
La ragazza sobbalza e solo dopo qualche secondo chiude gli occhi e risponde al bacio; gli passa le mani intorno al collo mentre un braccio di Hans le circonda la vita. È una sensazione strana: quelle labbra, quelle mani, ad Anna sembra di averle già conosciute, il suo corpo le riconosce e risponde al loro tocco.
Quando si stacca è rossa come un peperone e non riesce a smettere di sorridere e quando lo saluta gli promette che la prossima volta deciderà lei dove andare e sarà indimenticabile.
Hans la guarda andare via e come la vede girare l’angolo il suo sorriso si piega in una smorfia triste. Non può durare, prima o poi Anna si ricorderà di lui, prima o poi Anna si ricorderà di cosa ha fatto e le azioni del suo passato torneranno a tormentarlo dimostrandogli che non esistono seconde possibilità per quelli come lui. Le conseguenze delle sue azioni si protraggono oltre il tempo, ripercuotendosi sul presente, cambiandolo e dimostrandogli quanto sia stato un folle, perché ora sta di nuovo per perdere ogni cosa.










Postilla:
Traduzione del quote a inizio capitolo: Essere vuol dire essere percepiti, pertanto conoscere se stessi è possibile solo attraverso gli occhi degli altri. La natura della nostra vita immortale è nelle conseguenze delle nostre parole e azioni, che continuano a suddividersi nell’arco di tutto il tempo. La nostra vita non è nostra, da grembo a tomba, siamo legati ad altri, passati e presenti, e da ogni crimine e ogni gentilezza generiamo il nostro futuro. Non lo traduco perché penso che non siate in grado di capirlo da sole, ma perché l’ho scelto apposta, perché è fondamentale per la storia. Le due grandi ispirazioni di Chances sono l’omonima canzone degli Athlete e Cloud Atlas, quindi quando vedete le citazioni a inizio capitolo leggetele.




 

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Capitolo 3
*** This world spins from the same unseen forces that twist our hearts ***


ATTENZIONE: I feels che ha scatenato in me la scrittura di questo capitolo. Le note sono a fondo pagina e vi chiedo gentilmente di leggerle DOPO la lettura, per avere più chiare alcune cose, ma non avere spoiler sui contenuti. Vi dico solo che ho deciso di utilizzare un pochino quello che ho studiato in cinque anni di liceo e una laurea in archeologia.

 
3. This world spins from the same unseen forces that twist our hearts

 
In momenti come questi, sento chiaramente battere il tuo cuore come sento il mio, e so che la separazione è un’illusione. La mia vita si estende ben oltre i limiti di me stesso.
Robert Frobisher – Cloud Atlas



 
I sogni sono presto sostituiti dagli incubi.
Hans si sveglia ansante e sudato, le mani a stringere convulsamente le lenzuola e lo sguardo perso nel buio della stanza. Anna è venuta a cena da lui la sera prima e, dopo una bottiglia di vino e una pizza, hanno trascorso la serata a guardare un film seduti sul suo divano, poi lei è tornata a casa e Hans è rimasto solo a maledirsi per non averle proposto di restare.
Ora, dirigendosi verso la cucina alla ricerca di un bicchiere d’acqua, ringrazia di non averlo fatto, perché se l’avesse visto in quelle condizioni avrebbe iniziato a fare domande e Hans non vuole sentirsi costretto ad ammettere che l’ha sognata, che l’ha sognata morire. Questa volta però è stato diverso, Anna non moriva congelata, ma era di fronte a lui, il fuoco nei suoi occhi e i proiettili nel suo corpo; e gli sembra di rivedere il volto dell’uomo che l’ha uccisa e il suo sorriso sarcastico nel vederla accasciarsi al suolo. L’unica consolazione è che almeno, questa volta, non l’ha uccisa lui, almeno il suo sangue non è sulle mani.
O forse non lo è mai stato, perché Anna è viva, Anna respira e ride e cammina e gli telefona quando si sente sola, quando ha voglia di vederlo, quando le manca troppo. Anna esiste in questo mondo e lui l’ha trovata ed è su questo che deve concentrarsi adesso o rischia di impazzire.
 
Anna gli dice che Elsa le ha gelato il cuore e solo un atto di vero amore può salvarla; gli occhi di Hans si sgranano per la sorpresa ed è tentato di fare un passo indietro e scappare, perché non è possibile che lo stiano mettendo di fronte a quella scelta di nuovo. Scegliere tra Anna e il desiderio di tutta una vita: ma in fondo Anna è sempre lì, è sempre stata presente in ognuna delle sue vite e forse, per una volta, può farne a meno, pensa. Oh, Anna, se solo qualcuno ti amasse davvero. E mentre pronuncia quelle parole sente qualcosa che va in pezzi e forse è la sua umanità, perché ha scelto il potere e ha cercato di sovvertire un ordine che dovrebbe essere naturale. E se avessi rovinato tutto? Si domanda. E se nella prossima vita lei non mi volesse più? Ma in realtà Anna non si ricorda di lui nemmeno in questa di vita, perché lei è sempre stata quella la cui memoria richiedeva più tempo. Anche se alla fine ci arrivava sempre a ricordarsi di lui.
 
Sono le due del mattino e non riesce a riprendere sonno in alcun modo, il vociare sommesso dei presentatori notturni in televisione non gli è di alcun conforto e Hans osserva la bottiglia di vino rimasta aperta sul tavolo dalla sera prima. Quando il campanello suona lo coglie impreparato e per poco il ragazzo non cade dal divano.
«Anna? Sei impazzita? Sai che ore sono?»
La ragazza si intrufola dentro casa, ignorando le sue proteste, e gli rivolge uno sguardo preoccupato.
«Scusami, so che è tardissimo e che probabilmente stavi dormendo, ma avevo questa sensazione e- Non prendermi in giro, non sono pazza. Temevo stessi male» conclude abbassando lo sguardo e sentendosi in colpa, perché a vederlo Hans pare stare benissimo.
«Non sei pazza» le risponde abbracciandola e domandandosi come sia possibile che sia riuscita a percepire il suo turbamento interiore a quella distanza «Se vuoi puoi fermarti a dormire».
Anche perché di sicuro non lascerà che torni da sola a casa a quell’ora di notte.
Hans non è abituato a dividere il letto e, sebbene si frequentino da circa un mese, lui e Anna non hanno mai dormito assieme; probabilmente avrebbe voluto creare un’atmosfera più romantica per la prima volta (non che progetti di saltarle addosso, ma a ventisette anni certe necessità si sentono quando una bella donna si addormenta al tuo fianco), avrebbe pulito la camera e piegato i vestiti.
Alla ragazza, però, non sembra importare, con estrema nonchalance butta tutta la sua roba su una sedia vuota e, dopo avergli impunemente sottratto una maglietta, si infila nel suo letto, lasciandolo lì a guardarla, in piedi, con la bocca semiaperta come uno stoccafisso.
«Hai intenzione di venire a dormire o cosa?» gli domanda mentre si scioglie le trecce e libera la chioma fulva.
O cosa, vorrebbe rispondere lui, e se questo implica andare a dormire nella vasca anche meglio; con passo lento finalmente si avvicina al letto e si infila sotto il lenzuolo, imprecando mentalmente. Già fa caldo e la presenza di Anna così vicina non aiuta per niente; si corica a pancia in su e rimane a fissare il soffitto per qualche minuto, indeciso su cosa fare. C’è sempre stata quella ragnatela nell’angolo?
Alla fine ci pensa la ragazza a risolvere la situazione e senza chiedere permesso, né preoccuparsi delle apparenze gli passa un braccio attorno alla vita e intreccia le gambe con le sue, affondando il viso nell’incavo del suo collo.
«Buona notte, Hans» mormora posandogli un leggero bacio sulla guancia e il ragazzo si scioglie un pochino, l’abbraccia e decide che non importa cosa succederà, non importano le conseguenze: lui non ha intenzione di lasciarla andare.
 
Era del mito, Aulide, Grecia
La prima volta che Anna, anzi no, all’epoca il suo nome era Hagne, incontra Iason, è in Aulide; il prode Menelao sta radunando guerrieri provenienti da ogni parte dell’attica per muovere guerra a Troia, colpevole di avere dato asilo a Paride e ad Elena, dopo che la meravigliosa sovrana della città lacedemone è stata rapita.
Hagne sa bene, però, che la regina non è stata portata via con la forza, ma è stato l’amore a convincerla a seguire quel giovane dai capelli biondi e l’aria persa nel vuoto; si chiede cosa possa spingere una donna che ricopre un ruolo simile ad abbandonare ogni cosa e spera di poter provare anche lei un’emozione simile, un giorno.
Giunge al porto assieme a suo padre, Diomede, e una schiera di innumerevoli valorosi guerrieri; non partirà per la guerra, ma ha insistito per poter accompagnare il genitore almeno fino a quel punto, per allontanarsi da Egialea ed, eventualmente, attendere in quel luogo il rientro del padre. Stenelo le ha promesso che saranno tutti di ritorno e che saranno vittoriosi, perché la loro è una guerra giusta e non esiste che possano essere sconfitti.
Mentre cammina lungo le strade del porto, con la sua ancella Photine, va distrattamente a sbattere contro qualcuno (com’è che ogni volta si conoscono in quel modo, pensa Hans continuando a sognare) e se non fosse per una mano che la trattiene per il polso, la ragazza cadrebbe per terra. Il guerriero la scruta con cipiglio severo pensando che quello non sia posto per una donna, quindi la supera senza rivolgerle la parola e se ne va, unendosi ad un gruppo di spartani.
La seconda volta che incontra Iason, Hagne scopre il suo nome e questa volta è lui a investirla, deve essersi distratto perché il suo oplon gli sfugge dalle mani e rotola contro le gambe della ragazza che lo raccoglie con mani esperte e glielo porge.
«Dovresti avere più cura del tuo scudo, spartiota» gli dice con voce ferma, senza tremare, senza abbassare lo sguardo.
«E tu non dovresti girare da sola, donna, né parlare di argomenti che non ti competono».
«Io sono Hagne, figlia di Diomede, figlio di Tideo, legittimo sovrano di Argo. Modera il tuo linguaggio quando ti rivolgi a me».
L’uomo rimane interdetto e la fissa sollevando un sopracciglio, le strappa di mano lo scudo e le volge la schiena incamminandosi verso il suo re, poi cambia idea e si gira nuovamente verso la ragazza.
«Io sono Iason, figlio di Teodoto, fedele suddito di Menelao, re di Sparta» la osserva in attesa di una sua reazione, ma lei non muove un muscolo «Per servirvi».
Quindi sparisce in mezzo alla folla.
La terza volta che Hagne e Iason si incontrano sono sulla strada per il tempio di Artemide, entrambi vi si sono recati con l’intento di sacrificare alla dea perché conceda all’esercito la possibilità di partire per la guerra.
Quando l’uomo la vede trattiene a malapena uno sbuffo, perché sembra destino che quella ragazza dai capelli rossicci continui ad attraversargli la strada; quando lei si accorge della sua presenza fa cenno a Photine di allontanarsi e con passo sicuro gli si avvicina e gli sorride.
«Buongiorno Iason, figlio di Teodoto, mi faresti l’onore di scortarmi al tempio della dea?»
«Come vostra altezza desidera» risponde lo spartiota senza smettere di camminare.
Hagne non è formarle, non è ligia ai regolamenti e in breve tempo comincia ad investirlo di domande e di racconti; vuole sapere tutto di sparta, vuole sapere come sta Elena (perché lei l’ha conosciuta e le manca), se pensa davvero che sia stata rapita e crede che possano vincerla quella guerra, gli chiede cosa spera di ottenere il suo Re andando a Troia, se crede che Paride accetterà una resa o quanti dovranno perire prima che Priamo lo faccia per lui. Alla fine gli domanda se crede davvero che sia una guerra giusta e Iason scopre che non sa cosa rispondere, sa solo che Menelao ha ordinato di partire, sa che è il suo dovere e che non ha intenzione di rifiutarsi.
Dopo il sacrificio, dopo le preghiere, Hagne lo saluta, depositandogli un veloce bacio sulla guancia prima di ritornare all’accampamento di suo padre, e l’uomo scopre, in quel momento, che l’idea della guerra non lo alletta più come prima.
I pomeriggi successivi li passa a seguirla con lo sguardo, mentre i suoi compagni attendono senza successo che Artemide li lasci salpare; la accompagna lungo interminabili passeggiate e la scorta in città ascoltando senza stancarsi le sue chiacchiere allegre.
Diomede li vede da lontano, ma non osa intervenire, troppo dispiaciuto per la perdita che dovrà subire la sua bambina quando l’esercito partirà, perché lui lo sa, non resteranno lì per sempre; prega Atena che possa proteggere sua figlia al suo posto, in cambio lui durante quella guerra rivendicherà il suo onore, sconfiggerà chiunque si pari sulla sua strada, umani o dei che essi siano, sarà il suo fiume in piena e con il suo impeto respingerà il nemico, tutto purché la dea protegga sua figlia.
Quando Calcante annuncia che per la partenza è necessario il sacrificio di Ifigenia e quando capiscono che Agamennone è disponibile a farlo davvero, Hagne si chiude in un mutismo ostinato e senza avvisare nessuno si allontana dal porto, fino a raggiungere un tempio di Demetra sperduto tra i boschi; quando Iason la trova (ed è solo grazie all’aiuto di Photine se ci riesce) la ragazza sta piangendo disperatamente.
«Era mia amica» gli dice tra le lacrime.
Quella notte fanno l’amore e si baciano sotto le stelle; quando il sole sorge li trova abbracciati, nascosti in un campo di grano.
Il sacrificio viene celebrato in pompa magna e il sangue schizza sull’armatura di Agamennone che non piange; Iason e Hagne si tengono per mano e la ragazza sa che presto l’esercitò dovrà partire.
Quando l’uomo le dice di amarla lei sente che la sua felicità non potrebbe essere più grande, anche se l’ombra della guerra incombe; gli promette di aspettarlo, gli promette di amarlo per sempre, gli promette che né il tempo, né la distanza potranno fare sì che si dimentichi di lui e per dimostrarlo fa un sacrificio ad Afrodite, bruciando una ciocca dei loro capelli.
Due giorni dopo l’esercito parte.
«Giuro sugli dei che tornerò da te» sono le ultime parole che Iason le rivolge.
«Quando finirà la guerra torneremo entrambi» le promette ancora suo padre.
Hagne non rivedrà più nessuno dei due.
 
Anna si sveglia e scopre che sta piangendo e il sogno è ancora così vivido nella sua mente che, quando apre la bocca per chiamare Hans, sbaglia nome e lo chiama Iason; sente una morsa a livello del cuore, sostituita ben presto da una consapevolezza diversa: Hans è vivo, Hans è di fronte a lei a la guarda con occhi pieni di amore e preoccupazione.
«Ho fatto un sogno» mormora piano, mentre lui con gesti delicati le asciuga le lacrime.
«Sì, lo so, Anna, credo di avere sognato la stessa cosa anche io».
«E sei tornato da me» le lacrime non si fermano.
«Come avevo promesso» risponde lui stringendola a sé e baciandola con foga.
E non ti lascerò più andare, nemmeno quando ricorderai ognuna delle vite che abbiamo passato assieme, nemmeno quando ricorderai le volte in cui ti ho persa, nemmeno quando ricorderai di come ti ho lasciata morire.
 







Note:

Questo capitolo è importantissimo ai fini della trama, perché finalmente Anna ricorda. Non ricorda la vita ad Arendelle, ma ricorda il suo primo incontro con Hans, o con quella che è l’anima di Hans e che ha continuato a reincarnarsi e a seguirla nel tempo. Siamo nell’antica Grecia, prima della guerra di Troia. Il nome di Anna per ragioni cronologiche diventa Hagne; Anna viene da Hannah, un nome biblico dell’antico testamento, ma qui siamo ancora nell’era del mito, quindi ho fatto riferimento ad un nome dell’antica Grecia, che in realtà sarebbe un arcaico di Agnes, ma, insomma, si avvicinano abbastanza. Per Hans, invece, ho scelto Iason, perché è quanto più si avvicinava alla grecizzazione antica del nome. Hans deriva dal greco Ioannes, che a sua volta viene dall’ebraico, Yochanan (che diventerà popolare grazie al Nuovo Testamento). I loro nomi col tempo muteranno e diventeranno quelli che conosciamo oggi: Anna e Hans.
Spero di non dover spiegare chi sono Menelao, Agamennone, Elena, Paride, Ifigenia e Priamo nel caso vi consiglio di leggervi la storia della Guerra di Troia (o l’Iliade, o qualche tragedia greca).
Photine è l’ancella di Anna e il suo nome significa Luce, cento punti per chi indovina il parallelismo, perché, sì, è un personaggio che conosciamo.
Stenelo è l’auriga di Diomede durante la guerra di Troia.
Gli spartioti sono i guerrieri spartani, tutti nobili, tutti fortissimi; l’oplon è lo scudo, i lacedemoni sono sempre gli spartani e il padre di Iason/Hans è inventato di sana pianta.
Per quanto riguarda le origini di Hagne/Anna, ho scelto di fare di lei la figlia di Diomede l’eroe sovrano di Argo e marito di Egialea (che quindi è sua madre); secondo il mito è uno dei guerrieri più valorosi che partecipano alla guerra di Troia sul lato Acheo, la sua furia è paragonata a quella di un fiume in piena ed è protetto da Atena. In guerra sconfigge innumerevoli nemici e arriva a ferire Afrodite e Ares costringendoli a ritirarsi dalla battaglia, è un uomo d’onore e di astuzia, amico di Achille e di Ulisse, che aiuterà a rubare il Palladio. Ci sono due versioni riguardo a cosa gli succede tornato dalla guerra: a) sua moglie si mette col figlio di Stenelo e cercano di ucciderlo, ma Diomede scappa in Italia b) Afrodite fa in modo che tutti in patria si dimentichino di lui e quindi Diomede riparte. La motivazione per cui nella mia testa non rivede più sua figlia è che nel corso del tempo Hagne è andata a vivere alla corte di Sparta (visto che Menelao è uno dei pochi che a casa ci arriva) e quando lui torna non ha possibilità di riunirsi a lei.
Per concludere, questo flash è fondamentale per capire la faccenda delle reincarnazioni, non solo perché il punto di partenza, ma anche perché – nascoste tra le righe – ci sono le motivazioni di ogni cosa che avverrà in futuro; ma non vi preoccupate che poi verrà spiegato tutto.
Vi avviso che il prossimo capitolo sarà incentrato sulle vite passate di Hans ed Anna, ne prenderò in considerazione una dozzina, inclusa Arendelle, e attraverseremo con loro il tempo e i secoli; sarà un bel capitolo, lungo una decina di pagina e con moltissime reference storiche, quindi preparatevi, io ho amato scriverlo.






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Capitolo 4
*** Death is only a door ***



ATTENZIONE:
le note sono tutte a fando pagina, vi rimando già da subito al link su Livejournal con le note complete, è un post molto lungo e quindi ho preferito evitare di postarlo assieme al capitolo.
Come preannunciato questo è un capitolo tutto incentrato sulle vite passate di Anna e Hans. Avete i fazzoletti? Bene, allora si comincia.
Edit: Mi hanno fatto notare che potrebbe esserci un po' di confusione coi nomi usati, se avete problemi nelle note di fondo c'è un elenco con tutti i nomi usati per i vari personaggi in ordine di apparizione


4. Death is only a door
 


I believe death is only a door, when it closes, another opens. If I care to imagine heaven. I would imagine a door opening. And behind it, I would find him there, waiting for me.

Sonmi 451 – Cloud Atlas
 


11 a.C. – Roma Augustea, corte di Livia

Lucilla le sistema i capelli mentre Germana le aggiusta la veste; Liviana chiude gli occhi, pregando silenziosamente che il suo futuro marito sia gentile. È sicura che la sua protettrice, la divina Augusta, in onore della quale è stato scelto il suo nome, abbia compiuto una scelta saggia e ben ponderata, riflettendo a lungo su cosa fosse meglio per lei, tuttavia non riesce a fare a meno di essere nervosa.
«Non preoccuparti, ’Ana, andrà tutto bene» la rassicura Germana con voce ferma, accarezzandole il volto.
«Ci siamo noi con te» aggiunge Lucilla «Saremo sempre con te».
Liviana ha visto Nero solo tre volte prima di quel momento e, per quanto sia rimasta affascinata dal suo bell’aspetto e per nulla intimorita dalla differenza d’età (e non è raro a Roma vedere uomini di trent’anni sposare fanciulle di quindici), non sa niente di lui, se non che il suo cursus honorum farebbe invidia a chiunque. Si sistema la collana di spesso metallo al collo, mentre le ancelle controllano che il mantello color zafferano sia ordinatamente fissato sopra la tunica recta; i suoi capelli, raccolti da sei cercini posticci, riprendono il colore del velo arancione fiammeggiante che le copre la parte superiore del viso e la corona intrecciata di maggiorana e verbena rilascia al suo passaggio un profumo lieve.
Quando il suo promesso sposo arriva, assieme a tutta la sua famiglia e ai suoi amici, la giovane sente i suoi muscoli irrigidirsi, mentre suo padre la invita gentilmente a farsi avanti e a iniziare con la cerimonia.
Per tutta la durata dei sacrifici non si parlano mai, se non per un breve istante, quando, dopo che l’aspex ha annunciato con somma gioia che questo matrimonio, secondo i presagi, è gradito agli dei come nessun altro dai tempi di Ottaviano e Livia, Nero si china lentamente al suo orecchio e le sussurra: «Il mio nome è Iannus».
Lei annuisce compita e quando procedono con la formula di rito evita così di fare l’ennesima figura imbarazzante della sua esistenza dicendo il cognomen invece del nomen.
«Ubi tu Iannus, ego Ianna».
Tra le urla di Feliciter e Talasius inizia così il banchetto e finalmente suo marito le rivolge la parola.
«Sono contento di rivederti Hagn– Liviana».
Lei dovrebbe offendersi perché l’ha già chiamata col nome sbagliato e non è esattamente il miglior modo per iniziare un matrimonio, ma qualcosa le dice che non si è sbagliato, che quello è davvero il suo nome o, almeno, lo è stato.
«Lo sono anch’io» risponde e si accorge, mentre lo dice, che è vero.
Quando Nero la bacia, davanti a tutti gli invitati al banchetto, Liviana capisce che non avrebbe potuto sposare nessun altro.
 
60/61 d.C – Isola di Môn, Gallia settentrionale
Sono riuscite a scappare dall’isola per miracolo, mentre i soldati del proconsole Svetonio si davano allo sterminio dei druidi; Cadeyrn si è armato di scudo e spada e ha guidato l’esercito, dietro le fila di soldati armati i sacerdoti della dea si sono sistemati in una lunga fila di tuniche scure e braccia rivolte al cielo, invocando, in un lamento ritmico, giustizia divina.
Sono morti tutti.
Eirwen e Gráinne la stringono tra le braccia mentre le lacrime scendono copiose lungo i visi di tutte e tre: la loro casa è stata distrutta. Ma qualcuno pagherà per questo, andranno da Budicca, la avviseranno di ciò che i la Legione sta facendo e sangue sarà versato.
«Ynys Dywyll divorerà le vostre anime. Non resterà nulla di voi invasori» mormora Elian con rabbia mentre i suoi occhi si perdono a fissare i bagliori del fuoco che sta distruggendo l’isola.
«Venite, Sorelle» le invita Eirwen, che dopo tutto è pur sempre una Sacerdotessa, con voce materna «Un lungo cammino ci aspetta».
Ma il loro tragitto è presto interrotto da un legionario che spunta dalla foresta con un gladius in una mano e il pilum nell’altra, intimando loro di fermarsi.
Gráinne si frappone tra l’uomo e le amiche, invitandole a fuggire, ma non possono abbandonarla ed Elain le si attacca ad un braccio urlandole di non fare follie. Nell’udire la sua voce il soldato si blocca e lascia cadere le armi, sfilatosi l’elmo le si avvicina e la prende tra le braccia strappandole un grido di sdegno.
«’Ana!» esclama stringendola «Ti ho cercata così a lungo».
La giovane adepta al culto della dea barcolla e sente il capo girare, mentre un flusso di ricordi le invade la testa, con un gesto tremante ferma la mano di Eirwen, che lesta ha raccolto da terra il gladius e sembra intenzionata ad usarlo.
«Nero?» domanda incerta.
«Sono Iohannes adesso, e tu sei bellissima».
 
Novembre 866 – York, Northumbria
I vichinghi hanno attaccato la città.
Eadwig sprona il cavallo ammirando la distruzione, il sangue ribolle nelle sue vene e la furia della battaglia lo pervade; erano secoli che non si sentiva così vivo, e non sa bene come possa parlare di secoli visto che ha a malapena ventitré estati.
Säde e Hjördís lo seguono in silenzio, entrando in ogni casa e controllando ogni anfratto. Tutti e tre cercano qualcuno, sono dieci anni che la cercano, ma non sono ancora riusciti a trovarla e lei potrebbe anche essere già morta.
Quando raggiungono il centro della città Ívarr, Hálfdan e Ubbe sono già lì a spartirsi il bottino: ori, schiave, terreni. Ignorano le urla delle donne che vengono assalite dai loro uomini, ignorano le fiamme che si levano da alcuni edifici ed ignorano anche il guerriero con il ventre squarciato che cerca malamente di raccogliere le sue budella.
«Hai trovato quello che cercavi Eadwig?» domanda il Disossato avvicinandosi zoppicando.
Chiunque dica che i Vichinghi non sanno cosa sia il rispetto, la civiltà o l’onore semplicemente non ne ha mai incontrato uno: il sangue che scorre nelle loro vene è ustionante come un fiume di lava e la loro furia è cieca e travolge ogni cosa. Ma sono cresciuti in una terra di povertà e gelo e il loro spirito e i loro legami sono stati rinsaldati dal tempo; quelli che ancora seguono il figlio di Ragnarr Loðbrók nelle sue invasioni in Anglia, sono disposti a dare la vita per lui e si sono guadagnati il suo rispetto e la sua stima. Eadwig è uno di questi e lo sono anche Säde e Hjördís, le due guerriere che lo seguono fedelmente.
«Non ancora».
«Puoi consolarti con la figlia di Ælle e il suo seguito se la cosa ti fa piacere, nessuno le ha ancora toccate per ora. Io ho una vendetta di cui occuparmi».
Il giovane si volta appena nell’udire Säde sussultare, tra tutti è quella meno abituata a quello spettacolo di morte ed è, forse, quella che avrebbe preferito aspettare a casa; quando lo chiama col suo nome, cosa che non fa mai, perché di solito sbaglia sempre, Eadwig si gira e si accorge che sta esaminando il corteo della principessa di York.
«Che c’è?» domanda avvicinandosi seccato.
Senza farci caso va a sbattere contro una delle ragazze, quando la sposta, con un gesto brusco, un brivido gli passa lungo la schiena.
«Toglimi le mani di dosso, schifoso vichingo. Io sono Jannah, figlia di Ælle e –»
Senza esitare il ragazzo le tappa la bocca con una mano e fa un cenno veloce a Hjördís; la donna estrae la spada e, senza alcun rimorso, infilza una delle damigelle della principessa, una ragazza di altezza e aspetto simili. Mentre si allontana trascinandola con sé, urla che la principessa è morta e che la progenie del tiranno si è estinta; Eadwig passa un braccio sporco di sangue sul viso della ragazza ed estraendo un pugnale sottile le taglia le lunghe trecce.
Lei non osa parlare, gelata sul posto da quanto appena accaduto.
«Da questo momento in poi il tuo nome è Annika, sei figlia di un contadino e non hai alcun legame con questa città».
Per il resto a proteggerla ci penserà lui, pensa mentre Jannah annuisce debolmente e lascia che Säde la conduca verso l’accampamento.
 
1356 – Poitiers, Francia
Yannik indossa l’armatura e si dirige verso la morte.
Ha venticinque anni, la testa pieni di sogni e il volto di una donna stampato nel cuore.
Non riuscirà mai a trovarla.
 
1430 – Rouen, Francia
Jeanne d’Arc vede le fiamme alzarsi e il inizia a sentire il calore del fuoco.
Ai suoi piedi, oltre i confini del rogo, la folla divisa tra esaltazione ed orrore la guarda morire. Tra di loro due volti rigati di lacrime.
Jeanne si concentra sui capelli biondi di Lucette e sulle lentiggini sul viso di Ninon.
Prima di perdere i sensi pensa che avrebbe voluto vederla felice anche in questa vita, non sa che Sean è oltre la manica e che in questa vita non riusciranno a incontrarsi.
 
1573 – Venezia, Italia
Anna riesce a allontanarsi di nuovo da casa senza farsi notare, oramai è diventato un gioco il suo e, per quanto la servitù si impegni, nessuno riesce a impedirle di uscire. Il doge non ha mai troppo tempo per la sua famiglia e in quei giorni la città è in fermento, si dice che il Maestro sia stato male e che il giovane Veronese abbia finalmente la possibilità di calcare le scene come una prima donna.
Anna storce il naso ogni volta che sente quelle voci, Paolo non farebbe mai nulla di simile e lei lo sa bene, visto che ultimamente trascorre le sue giornate tra il suo studio e la sua casa, incantata dai suoi lavori.
«Come procede il telero?» domanda osservando il gigantesco dipinto raffigurante l’ultima cena «Oh, ma è sempre più bello! È così originale!»
«Se non fosse una richiesta dei Domenicani ti avrei usato come modella, Anna» le risponde facendola arrossire di piacere «Vieni, avviso Elena che sei arrivata».
La ragazza annuisce, seguendolo su per le scale, e mentre attende l’amica si affaccia alle finestre del piano nobile, osservando l’esterno; nel cortile della casa di fronte un giovane dall’aspetto affascinante e l’aria gentile si esercita nell’uso della spada con il suo maestro d’armi.
«Finirai con il consumarlo se continui a guardarlo a quel modo» le dice una voce squillante alle sue spalle e Anna sobbalza involontariamente.
Elena Badile Caliari si accarezza il ventre rigonfio mentre ride della ragazza, è una novità vederla così tanto più giovane di lei, già in attesa del terzo figlio.
«Non lo stavo guardando» mormora piano la rossa.
«Ah no? Peccato, perché sapendo che oggi saresti venuta (come da due mesi a questa parte) ho inviato qualcuno a invitarlo a pranzo».
Il viso di Anna cambia colore, assumendo diverse sfumature di rosso, mentre torna ad affacciarsi alla finestra, giusto in tempo per vedere Isabella, la dama di compagnia dell’amica, inchinarsi di fronte al giovane, il quale, proprio in quel momento, alza il viso e incrocia lo sguardo con quello della fanciulla, sorridendole.
L’attesa del pranzo è snervante e Anna deve ripetersi più volte che lei è una Mocenigo, figlia del Doge, è non ha motivo di allarmarsi per un pranzo con un esponente di una casata di così basso rilievo. In fondo i Ruzier non sono nemmeno veri veneziani e non sono che una delle innumerevoli case nuove e cooptate.
Per distrarsi inizia a parlare a raffica, mentre le mani giocano con uno dei pennelli di Paolo, che ha avuto la disgraziata idea di portarsene qualcuno al piano di sopra – dove Elena gli ha tassativamente proibito di lasciare il materiale da lavoro.
Quando il valletto annuncia il giovane, il Veronese ringrazia tutti i santi del paradiso, perché crede di avere perso l’udito a furia di ascoltare le chiacchiere della ragazza; Isabella ride di lei e prendendola da parte le sistema i capelli, rassicurandola sul fatto che è bellissima e non ha niente di cui preoccuparsi, quindi la spinge gentilmente oltre la porta e Anna si trova nel mezzo del salone.
«Venite, Giovanni, lasciate che vi presenti» esclama Elena con voce squillante lanciando un’occhiata al marito, come a dire levati di torno «Anna Mocenico, figlia del nostro stimatissimo Doge Alvise I Mocenigo, Elena questo è Giovanni Ruzier».
Il ragazzo si inchina leggermente e le bacia la mano, pensando che non ha mai visto niente di più bello.
Da quel giorno al pranzo a casa Caliari si aggiunge una persona in più: Paolo ne è solo felice perché lui ama essere circondato da persone, soprattutto quando queste persone sono disposte ad ascoltare le sue disquisizioni artistiche; Elena si diverte a giocare a Cupido assieme a Isabella, mentre presto il Doge inizia a farsi delle domande sulle continue assenze della figlia.
È luglio quando, dopo avere ultimato il telero, Paolo viene convocato davanti al Tribunale del Sant’Uffizio per via del quadro che ha finito di dipingere; lo obbligano a cambiare il nome in Cena a casa di Levi e lo lasciano andare. Alvise Mocenigo però non è soddisfatto perché sospetta che il Veronese stia dando asilo alla tresca di sua figlia, decide quindi che deve farla sposare e inizia a prendere accordi con i Gritti, che hanno un figlio che farebbe proprio a caso suo.
Quando Anna lo scopre scappa dal palazzo Ducale e si rifugia a palazzo Ruzier, in lacrime; Giovanni la stringe tra le braccia e improvvisamente ricorda di averle già viste, quelle lacrime, di averle già asciugate da quel volto più volte.
Anna viene rinchiusa in casa e solo grazie alle insistenze di sua madre, Loredana Marcello, riescono a posporre il matrimonio fino al giugno seguente, mentre Elena, Paolo, Isabella e Giovanni iniziano a ordire un piano di fuga.
L’11 maggio 1574 un incendio distrugge Palazzo Ducale e Anna scappa, raggiungendo Giovanni al porto dove li attende un’imbarcazione che li conduce a Candia, isola in cui i Ruzier hanno ancora numerosi contatti che possano aiutarli.
In due mesi Anna e Giovanni sono spariti e nessuno a Venezia riuscirà più a trovarli.
 
1693 – da qualche parte vicino a Tortuga, Mar dei Caraibi
Quando Laurens Cornelis Boudewijn de Graaf incontra Anne lei lo sfida a duello e gli punta una pistola alla fronte. I suoi uomini lo guardano con occhi sgranati, in attesa di una reazione che non arriva, Laurens getta la spada per terra e, ignorando l’arma premuta contro di lui, si avvicina alla sua avversaria.
«Io non combatto contro le donne».
Lei rotea gli occhi verso il cielo, e gli tira un calcio negli stinchi, irritata.
Il pirata sorride e si inginocchia di fronte a lei, prendendole la mano libera tra le sue.
«Tuttavia, Anne, se voi voleste fare l’onore, a questo vecchio quarantenne, di sposarlo, lo rendereste il più Capitano più felice di tutto il Mar dei Caraibi».
La donna lo fissa per qualche istante, quindi scoppia a ridere a sua volta.
«Jan» si attacca la pistola alla cinta e con entrambe le mani cerca di rimetterlo in piedi «Certo che ce ne hai messo di tempo per trovarmi».
«Non ti ho trovata io, Amor mio, questa volta è tutto merito tuo».
È il 6 maggio 1693 e Anne sposa un pirata, diventando nota in tutto il mondo come Anne Dieu-Le-Veut. Avranno due figli.
 
5 Ottobre 1789 – Parigi, Francia
Jean tiene stretta nella sua la mano di Anais, la stringe con forza, consapevole che se la lascia andare rischia di non vederla mai più; il corteo di donne si è trasformato in una moltitudine armata, una folla che procede come un fiume verso il palazzo di Versailles.
«Merda! Ci spareranno addosso» esclama il giovane stringendo a sé la ragazza.
«Non ho paura, se devo morire, morirò al tuo fianco» risponde la fanciulla baciandolo.
«Ti amo, Anne, e ti ritroverò ancora».
Nessuno dei due muore e quella sera, a casa di Jean, le sue sorelle, Claire ed Erza, festeggiano il loro ritorno cucinando quel poco di cibo che gli è rimasto.
 
1840 – Arendelle, Norvegia
Hans è stufo marcio di sentirsi ripetere che non è nessuno. Il tredicesimo principe non ha diritti, a quanto pare. Beh, vuole proprio vedere se una volta conquistato il trono di Arendelle i suoi fratelli lo considereranno ancora indegno di essere uno di loro.  Dentro di sé sa che forse questo non è l’obiettivo migliore che potrebbe prefiggersi, ma non ha importanza, perché dopo ventitré anni di soprusi, dopo ventitré anni trascorsi ad essere ignorato e deriso, ora Hans vuole giustizia.
Ci sono notti in cui sogna una ragazza dai capelli aranciati e il viso sparso di efelidi, alle volte la ragazza è una donna e lo guarda con occhi colmi d’amore e lui sa che lei lo accetterà sempre. Quando incontra Anna la prima volta capisce subito che è lei la ragazza che lo perseguita e si chiede come sia possibile che si trovi proprio lì, si chiede se forse non sia destino. Quando le chiede di sposarlo e lei accetta, Hans sente uno strano calore all’altezza dello sterno, non sa bene cosa sia, non l’ha mai provato prima. È felicità.
Anna parte alla ricerca di sua sorella, è così inquieta che il viso si contrae in una smorfia corrucciata e Hans pensa che sia adorabile, quando la vede andare via si scopre seriamente preoccupato e la cosa lo infastidisce perché interferisce con il suo piano. Rimane a palazzo a crogiolarsi nelle sue elucubrazioni mentali, interrotto solo una volta da una coppia di dignitari di Corona, la ragazza lo guarda e gli ride in faccia dicendogli: «Tu non cambi mai, nemmeno di una virgola». Si chiede cosa voglia dire, considerato che lui non l’hai mai vista prima, ma sceglie di ignorarla e quando il cavallo della principessa torna senza di lei decide di procedere col piano.
Anna torna da lui dopo quarantotto ore e Hans si scopre sollevato nel vederla, ma il sollievo non dura a lungo, perché dopo secoli che non accadeva più Hans viene nuovamente posto di fronte a una scelta.
Baciala, gli dice una voce nella testa.
Baciala perché funzionerà, perché sei il suo vero amore e lei è il tuo, e se lo farai tutti i tuoi sogni si avvereranno, la tua infelicità si tramuterà in gioia e non solo avrai un regno, ma anche una regina che ti accetta incondizionatamente, avrai una famiglia.
Hans sceglie la strada più sicura, sceglie di non correre rischi.
«Oh, Anna, se solo qualcuno ti amasse davvero»
Nessuno dei due se ne accorge, ma in quel momento qualcosa si spezza.
E mentre la nave salpa, dalle inferriate della sua cella, Hans riesce a vedere Anna che bacia un giovane dalle spalle larghe e i capelli biondi.
Capisce di avere perso tutto.
 
1840 – Altrove
«Non posso credere che l’abbia fatto. Non posso credere che l’abbia fatto!» una donna sta urlando, è furiosa «Sei stato tu, vero?»
«Era solo questione di tempo prima che accadesse, lo sai, no?» risponde una voce maschile.
«Per piacere» interviene una terza persona, un’altra donna «È dai tempi del mito che vuoi vendicarti, e sono millenni che ci provi!»
«E ora ci sono riuscito. Lo sapete benissimo anche voi, il sangue ribolle al richiamo della battaglia, al richiamo del potere, il sangue dei guerrieri che –»
«Oh, stai zitto. Ora sai cosa succederà?» domanda la prima voce preoccupata.
«Certo, continueranno a incontrarsi e a morire, come è giusto che sia!»
«Tu dovresti essere rinchiuso in un ospedale psichiatrico» interviene la seconda donna «Ora ci toccherà lavorare il doppio per aiutarli».
«Ma io pensavo che non voleste più aiutarli» risponde l’uomo.
«Infatti, quella sarebbe dovuta essere l’ultima volta. Il loro per sempre, ti rendi conto di cosa hai fatto ora? Di quanto dovremo lavorare di nuovo per spingerli a fidarsi l’una dell’altro?» la prima voce è isterica oramai.
«Consolati, dopotutto sei tu che dici sempre che il vero amore trova sempre un modo, no?» la incoraggia la seconda donna «E con il tuo amore e la mia astuzia non dovrebbe essere difficile trovare una soluzione».

 
Belief, like fear or love, is a force to be understood as we understand the Theory of Relativity and Principles of Uncertainty: phenomenon that determine the course of our lives. Yesterday, my life was headed in one direction. Today, it is headed in another. Yesterday I believed that I would never have done what I did today. These forces that often remake time and space, that can shape and alter who we imagine ourselves to be, begin long before we are born and continue after we perish. Our lives and our choices, like quantum trajectories, are understood moment to moment. At each point of intersection, each encounter suggests a new potential direction.
Isaac Sachs – Cloud Atlas
 

1917 – Londra, Inghilterra

Anne rimpiange di essere uscita di casa, ma come le dice sempre sua madre non è giusto comportarsi come se fossero già morti solo perché la fuori c’è una guerra.
Il vestito verde la stringe in vita e scende fino ad arrivare alle caviglie, la seta le circonda morbidamente le braccia e Anne si sente bella; le bollicine dello champagne la fanno ridere, mentre il suo accompagnatore le racconta una storia divertente accaduta ai cavalli dell’ippodromo.
Non vuole pensare alla guerra, vuole solo divertirsi e accetta di danzare con chiunque glielo chieda.
Quando una mano guantata circonda la sua lei si lascia trascinare di nuovo in mezzo alla sala, senza fare troppa attenzione al suo accompagnatore, tanto l’indomani partirà per il Devon, là dove le bombe non cadono come pioggia.
Solleva il viso e il suo sguardo si perde in due profondi occhi verdi, occhi che lei ha già visto; quando il ragazzo la fa girare Anne sente che anche la tua testa sta vorticando, sebbene solo in senso figurato e lo ferma per riprendere fiato.
«Stai bene, ti porto qualcosa da bere?»
«Hans?» la domanda della ragazza è un sussurro roco e lui distoglie gli occhi imbarazzato.
«Mi chiamo Seán» risponde piano «Anna ti prego –»
Oh, Anna, se solo qualcuno ti amasse davvero.
La ragazza indietreggia come se si fosse scottata e lo guarda con occhi pieni di dolore e delusione.
«Non toccarmi».
Seán la osserva, ferito, ma non osa fare una mossa; questa volta i ricordi stanno tornando nell’ordine inverso, dal più recente al più antico, e il più recente… Beh, quello è qualcosa che nessuno vorrebbe rammentare.
Tu avevi una tale sete d’amore da sposarmi senza che io facessi niente.
Anna solleva lo sguardo e ci sono delle lacrime che brillano e minacciano di cadere.
«Non era sete d’amore».
«Lo so, ti prego, Anna, perdonami».
Ora non resta che uccidere Elsa e far tornare l’estate.
«Ti avrei dato tutto» la ragazza fa un passo indietro, mentre le lacrime iniziano a scorrere lungo le sue guance».
«Ti prego, Anna» Seán le afferra una mano con le proprie e se lei non fosse così sconvolta si accorgerebbe che anche lui sta piangendo.
No, tu non sei all’altezza di Elsa, io, al contrario, sono l’eroe…
Anna si libera con uno scatto e corre fuori dalla sala, fuori dall’edificio, in mezzo alla strada; non vede bene dove sta andando, ma sa che l’ha seguita e la sta chiamando a gran voce.
Quando si gira verso di lui urla, le sue parole sono incrinate dal pianto, tremanti dall’ira.
«Hai scelto il potere a me. Hai scelto il potere a me!»
Seán l’afferra per le spalle e l’abbraccia, ignorando i pugni che la ragazza gli sbatte sul petto, ignorando gli insulti. Nessuno dei due si accorge che le prime bombe hanno iniziato a cadere.
«Anna, ti prego, ti prego, perdonami. Ho sbagliato, perdonami».
«Io ti odio, ti odio, e non ti perdonerò mai, hai capito? Mai».
E lui sa bene cosa vuol dire: non ti perdono ora, in questa vita, e in nessuna delle vite a venire. Tra noi è finita, ti sei trovato di fronte a un bivio e hai scelto male.
Quando si accorge che sono sotto tiro è oramai troppo tardi per raggiungere i rifugi antiaerei, la prende per un braccio e la trascina verso una porta, cercando di farle scudo con il suo corpo.
Nessuno dei due si rialza dal cratere della bomba.
 
1941/45 – San Pietroburgo, Russia
Quando, nel giugno del 1941, le forze dell’esercito Tedesco invadono la Russia nessuno pensa che possano arrivare fino a Leningrado, ma l’evacuazione viene cominciata in ogni caso.
Anya percorre il Campo di Marte in direzione della Neva, ha vent’anni, un vestito nuovo e una manciata di efelidi sul viso. Quel giorno non le interessa se non ha famiglia, se deve dividere la casa con altre undici persone o se dovrà passare dieci ore in fabbrica, quel giorno ha deciso di essere felice.
Ivan la vede da lontano e per un attimo pensa di essere di nuovo a Londra e vorrebbe attraversare la strada e chiamarla, ma poi si ricorda cosa è successo l’ultima volta, quindi finge di non vederla e continua a camminare.
Il 19 settembre le truppe tedesche si fermano a 10 chilometri dalla città e gli abitanti sono nel panico perché il processo di evacuazione viene bloccato; Ivan si trova a dover difendere una città impreparata da un assedio, ma durerà poco, dicono dai vertici, nessuno può piegare la Russia.
Il 20 settembre Anya incontra Ivan di nuovo, questa volta si accorge di lui, ma non lo riconosce; il ragazzo è così sollevato che la invita ad uscire senza pensarci e lei accetta, onorata che un Capitano dell’Armata Rossa abbia anche solo preso in considerazione di uscire con lei.
«Costruisco fucili» gli dice con voce allegra, come se fosse la cosa più bella del mondo «Prima facevamo carri armati, ora siamo passati ai fucili, sembra che ne avremo bisogno».
Ivan la porta a pranzo fuori e la guarda mangiare, mentre alla ragazza brillano gli occhi di fronte a quello che per lei è un pasto luculliano, lui vorrebbe fare di più. Dopo averla presa per mano la fa salire su un autobus e arrivati in centro la porta a passeggiare nel Giardino d’Estate, non ha importanza che in quel momento le fontane non funzionino né che i fiori e gli archi siano palesemente trascurati: è il più bell’appuntamento che Anya abbia mai avuto.
Ancora non si ricorda di lui.
Due giorni dopo Hitler ordina che San Pietroburgo sia cancellata dalla faccia della terra, non abbiamo alcun interesse nel salvare le vite dei civili, dichiara.
In ottobre la città inizia a soffrire la fame.
Ivan si presenta spesso a casa di Anya e le regala del cibo, si assicura che mangi e stringe una specie di patto con una delle ragazze che vivono con lei perché la tenga sotto controllo, la ragazza si chiama Elizaveta e vive assieme a sua sorella, Irina. Forse per colpa della fame, forse per paura della guerra, Anya inizia a fare strani sogni, nello stesso periodo abbandona il lavoro alla fabbrica e decide di fare la volontaria in ospedale.
È novembre e Anya ha raggiunto Ivan lungo la Neva, assieme a lui osserva il fiume e pensa a quando la guerra non c’era, il ragazzo le racconta di come sia entrato nell’esercito e di come sperasse di non vederla mai una guerra; in quel momento iniziano a cadere le prime bombe. Questa volta però è diverso dall’ultima volta a Lodra, il Capitano la prende per mano e insieme a lei corre disperatamente verso il rifugio, quando arrivano hanno il volto scomposto dal sudore e dalla paura e Anya ha iniziato a mettere ordine nei suoi ricordi.
«Dio» è tutto quello che riesce a dire passando una mano sul volto di Ivan che distoglie lo sguardo, capendo a cosa lei stia pensando.
«Anya, mi dispiace».
Lei chiude gli occhi e si appoggia al muro, in mezzo a tutta quella devastazione l’unica cosa che riesce a pensare è che l’ultima volta Seán è morto stringendola tra le braccia. Non ricorda perché stessero litigando.
A dicembre Ivan riesce a fare in modo che Anya se ne vada, chiede favori a tutta l’armata e, infine, trova un modo per farle attraversare la strada della vita. Anya lo ringrazia e cede il suo posto a Irina che, nonostante le proteste, attraversa il lago Ladoga e scompare oltre, là dove c’è ancora speranza. Il giorno di Natale muoiono cinquemila persone, Ivan piange guardando la schiena di Anya mentre medica i feriti, lei non se ne accorge.
Il 1942 è l’anno in cui le bombe sostituiscono la pioggia ed è l’anno in cui Anya ricorda ogni cosa. Ivan ha due giorni di congedo, la raggiunge nella sua stanza, nel suo appartamento condiviso con altre undici persone (che oramai sono sei, perché Irina è scappata e gli altri sono morti) e lei lo riceve con uno schiaffo in pieno volto. Non dice niente, ma entra lo stesso in camera e chiude la tenda che divide il suo piccolo spazio da quello degli altri.
«Non voglio vederti mai più».
«Anya, morirai se continui così».
«Vattene, Hans».
Il Capitano scuote il capo e in quel momento le bombe riprendono a cadere; la ragazza sbarra lo sguardo e senza pensarci si getta tra le sue braccia. Quella notte rimane con lei e fanno l’amore, come ogni volta quando possono, il calore dei loro corpi è tutto quello che hanno in una città dove la gente muore di freddo (e c’è dell’ironia in tutto questo, con tutto quello che hanno passato, con tutta la città che va a fuoco a causa delle bombe). Anya non lo guarda mai in faccia, non lo chiama mai con il suo nome, ma sempre Hans, per dimostrargli che ricorda; trattiene i gemiti cercando di dimostrargli quanto lo sta odiando, e lo sta odiando perché, nonostante tutto, continua ad amarlo.
Ivan pensa che in fondo Anya sia come Leningrado, sta morendo poco a poco, ed è colpa sua.
Il secondo giorno la ragazza smette di torturarlo e inizia a fingere che lui non ci sia, ma il Capitano non se ne va e quando le bombe riprendono a cadere e Anya va nel panico, Ivan inizia a leggerle Puškin.
Di qui minacceremo lo svedese. Qui una città sarà fondata, del superbo vicino in onta e danno.
Anya si stringe al suo petto e le lacrime iniziano a scorrerle sulle guance mentre si domanda che cosa abbiano fatto per meritarsi tanta morte.
La Neva s’è vestita di granito; ponti si son curvati sopra l’acque; di verdicupi giardini le sue isole si sono coperte.
Ivan la tiene stretta e continua a leggere, mentre la città viene distrutta, mentre la gente muore.
Ogni volta che ne ha la possibilità, quando non è intento a sparare ai tedeschi sul fronte, quando non è intento a ordinare ai suoi uomini di andare a morire, Ivan va da Anya e trascorre le sue ore con lei.
Lei che non gli parla, ma si aggrappa a lui come a un’ancora.
Quando fanno l’amore gli affonda le unghie nelle spalle fino a fargli male, fino a farlo sanguinare e lo chiama Hans; forse quella guerra li sta uccidendo davvero.
Ad aprile Ivan riesce a trovarle nuovamente un passaggio lungo il lago Ladoga, questa volta Anya costringe Elizaveta a partire al suo posto, questa volta l’uomo le fa una scenata.
«Ho paura, ma se devo morire, morirò al tuo fianco» risponde Anya e le sue parole suonano come l’eco distorto di una vita passata.
T’amo creatura di Pietro, amo il tuo grave ed armonioso aspetto, il regale corso della Neva, delle sue rive il granito, delle sue cinte il rabesco di ghisa.
Tra marzo e maggio si registra un’epidemia di colera, la città riesce a contenerla, ma tra la malattia e le bombe che cadono su tutta la città e sugli ospedali, dei  trentamila dottori e delle centomila infermiere ne rimangono solo la metà.
Anya sopravvive.
Il 4 di aprile i bombardieri della Luftwaffe sganciano sulla città una serie di bombe incendiarie, Ivan sopravvive, ma il suo braccio sinistro non sarà mai più lo stesso.
Quella notte fa l’amore con Anya, la ragazza piange, lo chiama col suo vero nome e gli dice che lo ama.
Ivan pensa che la guerra possa finire presto, ma arriva la fine dell’anno e i tedeschi sono ancora lì. Leningrado è una città fantasma e l’uomo sente che entrambi stanno morendo dentro, più di prima.
E, illuminato da pallida luna, teso nell’alto il braccio, dietro a lui corre il bronzeo Cavaliere sul cavallo sonorogaloppante.
Né Ivan né Anya sanno come facciano a sopravvivere durante il 1943. La città è stata decimata e oramai non è più possibile fuggire; epidemie di tifo e febbre paratifoide si diffondo per la città, aumentando le vittime, in qualche modo vengono contenute, ma nessuno sa bene come.
Anya è lo spettro di sé stessa, è magra come un chiodo e pallida, le lentiggini sono quasi invisibili e i capelli rovinati e recisi; Ivan è dimagrito e l’uniforme gli va grande, è stato promosso a Maggiore, e mai come in quel momento sente l’inutilità di una cosa simile. Anya si rifiuta ostinatamente di perdonarlo, ma allo stesso tempo non vuole andarsene e lui è costretto a guardarla sfiorire.
Continua a leggere per lei, continuano a fare l’amore, anche se oramai è quasi troppo difficile, perché nessuno dei due ha più le forze per muoversi; le razioni di cibo sono così misere che i pochi sopravvissuti hanno iniziato a darsi al cannibalismo e il gelo è così intenso che hanno iniziato a bruciare i cadaveri.
I tedeschi hanno più pietà dei russi, pensa Ivan in quelle notti senza speranza, i tedeschi lasciano che le loro città si arrendano.
È dicembre quando sente la voce di Anya per l’ultima volta.
«Ti amo, nonostante tutto, ti amo ancora».
E Ivan non sa cosa voglia dire, se sia un nonostante tutto quello che hai fatto ti amo ancora o un nonostante tutto quello che questa guerra mi ha sottratto ho ancora il mio amore per te. Non può chiederglielo, perché Anya non si sveglia più e lui perde la volontà di andare avanti.
Gli sparano due giorni dopo, è 17 dicembre 1943.
Il 27 gennaio 1944 l’assedio finisce, Leningrado è morta, sia dentro che fuori, dei suoi tre milioni e mezzo di abitanti, un milione e quattrocentomila riesce a fuggire, dei restanti ne sopravvivono settecentomila.
 
1975 – Berlino, Germania
Quando Jon la vede di nuovo lei sta passeggiando con le sue sorelle.
Ha attraversato il muro con un permesso ottenuto per motivi di lavoro e improvvisamente desidera rimanere a Berlino Est per sempre. La rincorre chiamandola Anya, ma lei non lo riconosce.
«Hanne» gli dice sorridendo gentile e sul suo viso c’è così tanta carne, così tanto colore, ci sono così tante lentiggini che a Jon viene da piangere, senza capirne il motivo – rifiutandosi di capirne il motivo. La abbraccia, nonostante il suo sconcerto e le promette che tornerà.
Un mese dopo è di nuovo lì e non sa da dove iniziare a cercarla, ma dopo due ore che gira a vuoto lei gli va a sbattere addosso, tiene un mazzo di fiori in mano che cade per terra e viene pestato. Alla ragazza però non importa, perché questa volta, quando lo vede, cade in ginocchio e si mette a piangere.
Jon l’abbraccia e lei non sa se spingerlo via o stringerlo a sé consapevole di quello che ha fatto, ma anche di tutto quello che hanno vissuto assieme. Sa che dovrebbe perdonarlo, ma Arendelle è ancora troppo viva nei suoi ricordi, Londra è ancora troppo viva, e poi c’è Leningrado, Leningrado brucia il suo cuore e scorre nelle sue vene, avvelenando il suo sangue.
Lo odia ancora, ma allo stesso tempo non riesce a non amarlo.
La colpa, pensa ogni tanto, deve essere di Berlino, perché stare in Germania, sapersi tedesca nella Germania sovietica è troppo persino per una come Hanne, in grado di resistere a qualsiasi cosa. Continuano a vedersi una volta al mese, poi ogni settimana.
Jon questa volta non è troppo preoccupato, non ha conosciuto le sorelle della ragazza, ma sa che loro sono al suo fianco di nuovo, inoltre la guerra è finita: pensa che potrebbe chiedere un trasferimento a Berlino Est.
A novembre accade la tragedia e non c’è nulla nell’aria che possa presagirla.
Jon saluta Hanne, promettendole di tornare presto, lei non lo ha ancora perdonato, ma lui ha lo stesso intenzione di chiederle di sposarlo.
Hanne non ha ancora detto a Jon di averlo perdonato, ma ogni volta che viene a trovarla sente di stare guarendo un pochino.
Quel giorno nevica e la temperatura si è abbassata di almeno tre gradi, Jon le ha portato dei fiori e Hanne gli ha concesso di baciarla davanti a tutti, in mezzo alla piazza, e ha realizzato di non essersi mai sentita così viva.
Non in quella vita, in nessuna delle ultime vite.
Quando lo vede passare oltre il posto di blocco lo richiama, perché non può aspettare, deve dirglielo e deve dirglielo ora, perché non può lasciare che lui passi un altro giorno a macerarsi nel senso di colpa. Jon si volta a metà strada e la vede cercare di inseguirlo, le sorride e si incammina per tornare indietro; la guardia al posto di blocco non se ne accorge.
Vede solo una donna che cerca di attraversare il confine, da est a ovest, senza permesso; la ragazza sgomita e nella foga gli tira un pugno sul naso. Jon vede la scena a rallentatore, non capisce nemmeno cosa sia successo, ma si ritrova in ginocchio nella prima neve con il corpo di Hanne tra le braccia.
La ragazza piange e sputa sangue: erano così vicini.
«Ti amo» fa in tempo a dirgli, ma non lo sente rispondere, non lo sente promettere che la ritroverà ancora e non lo vede gettarsi contro la guardia e iniziare a colpirla finché questa estrae la pistola e spara anche a lui.
 
2014 – da qualche parte in Inghilterra
Hans ha imparato che le due grandi certezze della sua vita sono la morte e l’amore (e a volte anche la morte dell’amore, ma a questo preferisce non pensare).
Ha imparato anche che Anna prima o poi ricorda sempre ogni cosa, e che, forse, questa volta sarà quella giusta, questa volta forse lo perdonerà. Non ci sono guerre, non ci sono assedi, né bombardamenti e questo è già qualcosa, ma il ragazzo sa che è meglio non aspettarsi niente, non dare nulla per scontato perché nulla è certo.
Di una cosa, però, Hans è sicuro: questa volta non ha intenzione di morire, né, tantomeno, di vedere Anna morire di nuovo.
E sarebbe tutto più semplice se sapesse cosa diamine sta succedendo, perché non era questo il patto, non era questo che aveva promesso loro la dea. E il suo problema è capire come fare per interrompere quel ciclo di reincarnazione e di perdita costante, ma non ha nessuno a cui chiedere. Tuttavia è disposto a qualsiasi cosa, qualsiasi cosa purché tutto torni come prima, purché la morte smetta di perseguitarli, perché se tornare in vita vuol dire rivedere Anna è disposto a farlo ogni volta che sarà necessario, ma non accetta di verla spegnersi tra le sue braccia.
 
 


 








NOTE:

Eccomi con le note, prima di tutto vi avviso che qui inserirò solo le note relative ai nomi, per le note tecniche, ovvero quelle storiche, che servono a inquadrare le varie epoche da me prese in considerazione, vi rimando a questo link. Ci ho dedicato un post apposito su Livejournal, perché altrimenti venivano cinque pagine di note e mi sembrava eccessivo inserirle a fine capitolo (ma leggetele, vi prego, o di alcune cose non capirete una bega!).

» I nomi di Anna nelle varie epoche in ordine di apparizione: Hagne (capitolo 3), Liviana, Elian, Jannah/Annika, Ninon, Anna, Anne Dieu-Le-Veut, Anais, Anne, Anya.
» I nomi di Hans nelle varie epoche in ordine di apparizione: Iason (capitolo 3), Nero, Iohannes, Eadwig, Yannik, Giovanni, Laurens/Jan, Jean, Seán, Ivan.
» I nomi di Photine nelle varie epoche in ordine di apparizione: Photine (capitolo 3), Gráinne, Säde, Lucette, Elena, Claire, Irina.
» Inoltre, Elena di Troia (Capitolo 3), Germana, Eirwen, Hjördís, Jeanne, Isabella, Erza, Elizaveta è sempre la stessa persona.
Per comprenderne i significati leggete le note relative alle singole epoche. Le due ragazze che compaiono sempre al fianco di Anna sono presenti in ognuna delle sue vite, anche se non le ho fatte apparire in tutte; inoltre queste non sono tutte le vite di Hans ed Anna, ma solo alcune delle numerose che hanno vissuto.
Avrei voluto usare “Like quantum traiectories” come titolo del capitolo, ma poi mi sono resa conto che non avrei saputo spiegare a parole la teoria dei quanti e la loro traiettoria e quindi ho glissato, e glisso ancora salutandovi con un “Scusate, gente, avrò pure venticinque anni e una laurea, ma rimango bionda”.
 
La traduzione dei due quote è la seguente:
- A inizio capitolo:
Io credo che la morte sia solo una porta, quando essa si chiude, un’altra si apre. Se tenessi a immaginare un paradiso, io immaginerei una porta che si apre e dietro di essa, lo troverei lì, ad attendermi
- A metà capitolo:
La fede, come la paura o l’amore, è una forza che va compresa come noi comprendiamo la teoria della relatività, il principio di indeterminazione, fenomeni che stabiliscono il corso della nostra vita. Ieri la mia vita andava in una direzione, oggi va verso un’altra, ieri credevo che non avrei mai fatto quello che ho fatto oggi, queste forze che spesso ricreano tempo e spazio, che possono modellare e alterare chi immaginiamo di essere, cominciano molto prima che nasciamo e continuano dopo che spiriamo. Le nostre vite e le nostre scelte, come traiettorie dei quanti, sono comprese momento per momento, a ogni punto di intersezione, ogni incontro suggerisce una nuova potenziale direzione.





 

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Capitolo 5
*** It's all about your cries and kisses ***


Due cose: Prima di tutto una precisazione doverosa. Questo capitolo è molto spoiler per chi non ha visto il film Cloud Atlas, nel senso che ci sono più citazioni del solito, questa volta inserite proprio nel capitolo, come parte della narrazione, le riconoscerete subito, ma vi avviso per correttezza. Come quote invece ho ripreso la canzone che considero colonna sonora di questa storia e da cui ho tratto il titolo. Quindi sì, fatela partire come sottofondo e buona lettura. Le note vere sono a fine capitolo perché non volevo farvi spoiler.

 
 
5. It's all about your cries and kisses
 

 
Take all your chances while you can
You never know when they'll pass you by
Like a sum the mathematician cannot solve
Like me trying my hardest to explain
It's all about your cries and kisses
Those first steps that I can't calculate
I need some more of you to take me over
Chances, The Athlete
 
 
La prima volta che Elsa e Hans si incontrano non c’è Anna a presentarli.
Al giovane basta intravederla da lontano per riconoscerla; ha sempre gli stessi capelli biondi e la postura elegante, come se a piegare le spalle dovesse venire schiacciata dal peso del mondo.
La chiama per nome, anche se non è davvero sicuro che quello sia il suo nome, ma questa vita sembra una eco di quella in cui ha rovinato ogni cosa e di conseguenza le parole gli escono spontanee e naturali.
«Elsa? Sai dov’è Anna?»
Quando la ragazza si volta verso di lui sgrana gli occhi e piega la bocca in una smorfia.
«Tu! Avrei dovuto immaginarlo che fossi tu. Rapunzel era così entusiasta quando mi ha parlato del ragazzo con cui usciva Anna che avrei dovuto capirlo, ha sempre avuto un debole per te».
Hans non sa bene cosa rispondere. Si trova in uno stramaledetto campus universitario, circondato da ragazzine che gli lanciano sguardi languidi, cercando di spogliarlo con gli occhi, e l’unica persona che riconosce, e a cui chiede un’informazione, è pronta a scavargli una fossa e buttarcelo dentro. Ehi! Oggi deve essere il suo giorno fortunato!
«Mi sembrava strano non avervi ancora viste» borbotta sconsolato, tira fuori le sigarette dalla tasca dei pantaloni e ne accende una.
«Fammi il piacere e stai zitto» esclama la ragazza mentre indica a una matricola la direzione corretta per la segreteria. È arrabbiata, Elsa, è furibonda e non tanto per la scelta compiuta da Hans durante la loro vita ad Arendelle, quanto per le conseguenze di quella stessa scelta. E alla fine lei è stata fortunata, lei non ha mai visto Anna morire, non ha mai dovuto stringere il suo fragile corpo tra le braccia, né sentire le sue urla, ma non per questo è stato più semplice, non per questo è stato facile vivere senza di lei.
Quando torna a voltarsi verso di lui ha un’espressione severa dipinta sul volto e il suo sguardo si è fatto di ghiaccio (come quello di una regina o di una guerriera, come tanti anni prima); gli si avvicina e, ignorando gli sguardi perplessi delle studentesse al loro passaggio, lo prende sotto braccio, trascinandolo verso la caffetteria del campus: «Dobbiamo parlare».
Lo scruta da dietro la tazza di caffè e Hans si chiede come faccia a bere qualcosa di così caldo quando ci sono trenta gradi all’ombra, ma non fa domande. In silenzio, stringendo tra le dita sottili la sua birra gelata, aspetta che la ragazza parli; è abbastanza contento di averla trovata, anche se si è trattato di un caso, anche se questo vuol dire che arriverà in ritardo da Anna, perché ci sono problemi che solo Elsa può risolvere, domande di cui solo lei conosce la risposta. E gli dei sanno quanto Hans abbia bisogno di risposte.
«Sai vero» inizia la ragazza con voce fredda «Che è solo colpa tua?»
«Come dimenticarlo» borbotta lui, ripensando agli orribili incubi degli ultimi giorni.
«Hans –»
«No, ascolta, so che ho sbagliato, ma ho bisogno di aiuto, Elsa. Non posso continuare a vederla morire».
«Guarda che non sono qui per farti la paternale» risponde ridacchiando «Sono ancora infuriata con te, ma mi sono stufata di questa catena di sangue e morte. E anche lei si è stufata».
«Anna? Anna si è ricordata di… Di Arendelle?» domanda titubante il giovane, mentre un brivido gelido gli percorre la schiena.
«Non mi stavo riferendo ad Anna, Hans» Elsa sospira e il suo guardo si perde nel vuoto, mentre cerca di decidere se sia o meno il caso di raccontargli la verità, o almeno quella parte di verità di cui lei è a conoscenza.
Scuote il capo, non è ancora il momento.
Presto, dice una voce dentro di lei.
«Anna è nel dormitorio femminile, in quella direzione, oltre la biblioteca, il primo edificio di mattoni rossi. Sali al secondo piano, la sua stanza è la quarantadue».
Hans osserva per un secondo il liquido ambrato nel suo bicchiere, domandandosi a cosa sia servito seguirla fino a lì; si alza in piedi e silenziosamente rimpiange di non avere fatto a tempo a finire la birra, ma Elsa lo trattiene per un polso.
«Finiremo questa conversazione, Rekkr, quando lei avrà recuperato ognuno dei suoi ricordi».
«Come desideri, Fetils Svell».
Si allontana a passi veloci, nella direzione indicatagli dalla ragazza, mentre la sua mente vaga e ritorna ad Anna, a tutti gli anni trascorsi assieme, a ogni vita passata al suo fianco. Ha bisogno di vederla, di vedere i suoi occhi celesti, di sentire la sua pelle calda e sapere che è viva; sempre più spesso, ultimamente, ha bisogno di rassicurazioni di questo tipo, perché troppo di frequente si sveglia nel cuore della notte dopo avere sognato le sue ossa sporgenti e il suo sguardo spento.
Bussa piano alla porta della stanza e si trova di fronte a una cascata di capelli biondi e uno sguardo allegro.
«Oh, Vænn! E pensare che stavo per dirti io di venire qui!» esclama Rapunzel, che in quella vita è la prima volta che lo incontra, ma si comporta come se fossero amici di vecchia data.
Hans sorride, vedendo tra le mani della ragazza il cellulare rosa di Anna, glielo sfila delicatamente dalle dita, mentre la ragazza lo lascia entrare in camera.
«Sei sempre iperattiva, Vǫlva. Posso restare da solo con lei?» domanda quindi lanciando uno sguardo ad Anna, addormentata nel suo letto.
Rapunzel annuisce: «Stai attento però, i suoi sonni non sono tranquilli da qualche tempo. Lei sogna e ricorda, ho paura che tra non molto sognerà solo morte».
Hans sente tutti i muscoli irrigidirsi, mentre la porta si chiude; quando si gira verso Anna nota che il suo sonno è davvero agitato, si muove leggermente e si rannicchia su se stessa. Senza fare rumore si sdraia al suo fianco e l’abbraccia, il letto è stretto e ci stanno appena, ma al contatto con il suo petto e le sue braccia la ragazza si rilassa, inconsciamente si gira verso di lui, cercando maggiore contatto. Hans le accarezza i capelli, mentre le sussurra dolcemente all’orecchio, minn ást, le bacia la fronte e la nuca, mentre la sua mano segue la linea della schiena, minn líf.
Anna apre lentamente gli occhi, inspira profondamente il profumo di deodorante e tabacco, e sorride.
«Stavo avendo un incubo. È finito di colpo quando sei arrivato tu» gli sussurra piano strofinando il naso sul suo mento.
«Cosa stavi sognando?» le domanda l’uomo baciandole le gote.
«Il cielo si era tinto di grigio e la città era in fiamme. Come nubi le bombe oscuravano il cielo e ricadevano per le strade, disseminate di morte. Tu leggevi, leggevi per me, leggevi per farmi addormentare e per scacciare la paura» si interrompe, la sua voce ha un tremito «È successo davvero?»
«Sì, tanto tempo fa».
«E come… Come è finita?»
«Non è mai finita, Anna».
La bacia con delicatezza e la invita a venire a cena da lui quella sera.
«Se vuoi» le dice con voce calda mentre con le labbra le sfiora il lobo dell’orecchio «Puoi fermarti a dormire».
E non c’è malizia in quelle parole, ma Anna riesce a leggervi lo stesso il disperato bisogno che Hans ha di lei e sorride, mentre con le braccia gli circonda il collo.
«Solo se compri del vino».
 
Hans ha pulito la casa, ha riordinato la camera, cambiato le lenzuola e lavato i pavimenti; sua madre sarebbe fiera di lui, ma non è certo per fare un favore a lei che il ragazzo si è dato alle pulizie a metà luglio, quando avrebbe solo voglia di fare un bagno gelato o di stravaccarsi sul divano davanti al ventilatore.
Lo ha fatto per Anna.
C’è qualcosa di cui vorrebbe parlarle quella sera, qualcosa che non può aspettare. Le ha comprato dei fiori e nel frigo li aspetta una torta al cioccolato, non ha intenzione di cucinare (anche perché rischierebbe di avvelenarla), ma ha già deciso che ordineranno una pizza, ha perfino comprato un film adatto. Gliel’ha consigliato Rapunzel quando è uscito dalla stanza, dicendogli: «Oh, Vænn, lo conosci quel film che è praticamente la storia della tua vita? Perché dovresti vederlo. Con Anna».
Grazie tante, pensa il ragazzo, lanciando un’occhiata al dvd di Cloud Atlas sul tavolino del salotto, se scopre che c’è gente che continua a morire la va a prendere a calci!
Quando la ragazza arriva Hans rimane senza fiato, perché Anna è sempre bellissima, ma quella sera lo è di più, forse perché gli ricorda una notte di tanti anni prima quando ha danzato con lui in una sala affollata; il suo vestito verde è lo stesso che ha indossato al loro primo appuntamento e il ragazzo sente il cuore sciogliersi un pochino.
«Ho portato le pizze» esclama sorridendo.
«Avremmo potuto ordinarle» risponde Hans ridendo.
«Ma così avremmo dovuto aspettarle, invece ora sono già qui e sono calde e senti che profumino!»
«Se ti sei fatta fare la pizza alla nutella, giuro che non ti bacio. E nemmeno se hai preso quella col gorgonzola».
«Uomo di poca fede! Ho preso qualcosa di semplice e di digeribile!»
Ride di nuovo, mentre Anna si fa strada verso la cucina dove la tavola apparecchiata la lascia senza parole: Hans non apparecchia mai la tavola. Di solito si limitano a fare take away da qualche parte e a mangiare sul divano mentre guardano un film, come due beceri della peggior specie.
«Aspettavi qualcuno?» domanda incerta.
«Sì, Anna, aspettavo te» risponde Hans ridendo e prendendole i cartoni dalle mani per sistemarli sul piano «Siediti».
«Pizza e vino, che accoppiata vincente. La tua eleganza e il mio entusiasmo, credo» ridacchia, inconsapevole di quanto siano vere le sue parole.
Per tutta la durata della cena Hans l’ascolta parlare, e Anna non si ferma mai, gli racconta dei corsi, della bibliotecaria strabica, del ragazzo che ci ha provato con Rapunzel ed è stato pestato da Flynn, del tizio del corso di scrittura creativa che è inciampato nella sua stessa sciarpa ed è caduto lungo e disteso per terra. Gli racconta di Elsa, che è a capo del dormitorio e che è stata un po’ la ragazza che si è presa cura di lei e di Punzie da quando sono arrivate, gli racconta dell’ultima telefonata con sua madre e del matrimonio di sua cugina che si è tenuto il weekend precedente.
Per tutto il tempo lui ascolta, ascolta la sua voce, ride delle sue battute, la prende in giro e le risponde raccontandole della sua giornata, dell’ufficio, del suo capo e dell’ultimo articolo che ha scritto.
Quando si spostano sul divano Anna emette un gridolino di gioia.
«Ho sempre voluto vedere quel film! E tu hai una televisione da quarantacinque pollici! Finalmente potrò godermi Ben Winshaw in alta definizione!»
«Ehi!» si lamenta il ragazzo, che non sa se essere offeso e divertito.
Anna si accoccola contro di lui, il bicchiere di vino in mano, una leggera brezza che entra dalla finestra insieme al frinire dei grilli, quando il film comincia Hans la sente trattenere il fiato e le passa un braccio lungo la vita con la ferma intenzione di tenerla il più vicino possibile a sé.
Ci sono interi movimenti dell'Atlante che ho scritto immaginando nostri incontri e incontri in vite diverse, epoche diverse.
Anna gli stringe la mano e Hans si accorge che i suoi occhi sono umidi, le bacia i capelli e riprende a guardare il film.
Vorrei poterti fare vedere tutta questa luminosità, non preoccuparti, va tutto bene, va tutto così perfettamente maledettamente bene. Capisco ora che i confini tra rumore e suono sono convenzioni. Tutti i confini sono convenzioni, in attesa di essere superate; si può superare qualunque convenzione, solo se prima si può concepire di poterlo fare. In momenti come questi, sento chiaramente battere il tuo cuore come sento il mio, e so che la separazione è un’illusione. La mia vita si estende ben oltre i limiti di me stesso.
Anna sta piangendo e le lacrime scendono silenziose lungo le guance, le ciglia bagnate brillano illuminate dalla luce della televisione e i capelli della ragazza, prima ordinatamente legati in una crocchia sul capo, sono scivolati in ciocche scomposte lungo le sue spalle.
Il rapporto dice che il Comandante Chang è stato ucciso nell'assalto.
Questo è esatto.
Anna trattiene il fiato, non se ne è resa conto, ma si è affezionata a questa storia quasi quanto a quella di Frobisher e Sixsmith, appoggia il bicchiere sul tavolo e stringe i pugni per la tensione.
Potresti dire che l'amavi?
...Sì, lo amo.
Vuoi dire che sei ancora innamorata di lui?
Hans le passa le mani lungo la vita e se la trascina in braccio, torace contro schiena, non importa se fa caldo, non gli importa di niente, vuole solo sentire Anna vicina in quel momento.
Voglio dire che lo sarò per sempre. La nostra vita non è nostra. Da grembo a tomba, siamo legati ad altri passati e presenti... E da ogni crimine e ogni gentilezza generiamo il nostro futuro.
Anna si appoggia a lui e Hans sente che sta continuando a piangere, più forte di prima, le appoggia il viso su una spalla e lascia che lei inclini il capo contro il suo.
Nella tua rivelazione hai parlato delle conseguenze della vita di un individuo che si spandono per tutta l'eternità... Questo vuol dire che credi a una vita nell'aldilà? Nel Paradiso e nell'Inferno?
«Ti amo» le sussurra piano e la sente rilassarsi sotto di lui. Non le vede il viso, ma sa che sta sorridendo tra le lacrime.
...Io credo che la morte sia solo una porta. Quando essa si chiude, un'altra si apre. Se tenessi ad immaginare un Paradiso io immaginerei una porta che si apre e dietro di essa lo troverei lì, ad attendermi.
Gira lentamente il capo verso di lui, che le passa una mano sul viso ad asciugarle le lacrime.
«Ti amo anche io, Hans» risponde baciandolo.
È la prima volta che se lo dicono, in questa vita per lo meno, e mentre le scene finali del film si susseguono sullo schermo, il ragazzo si domanda perché abbia aspettato così tanto. Lo ha capito nel momento in cui l’ha vista per la prima volta, quel giorno di sole, attraverso le lenti scure degli occhiali, che lei era quella giusta, era la donna che aveva bramato per tutta la vita senza sapere di starla cercando.
Spegne il televisore, mentre i titoli di coda si susseguono sulle note dell’Atlante delle Nuvole, e le sorride, mentre Anna cerca nella borsa un pacchetto di fazzoletti.
«Ho pianto così tanto» dice «Che mi è colato tutto il trucco».
«E allora vai a struccarti, panda» ride Hans baciandole la guancia.
La segue in camera da letto e la guarda mentre appoggia le cose in giro, mentre si muove come se quella fosse casa sua e fosse abituata a vivere lì.
«Anna».
«Sì?» borbotta lei impegnata a passarsi una salvietta struccante sotto gli occhi.
«Stavo pensando. Sei sempre qui di recente».
«Se vuoi me ne vado» e il suo tono è contrariato.
«No, preferirei il contrario. Vorrei che ti trasferissi qui, cioè a vivere qui, con me. Cioè se vuoi».
Silenzio.
«Aspetta, cosa?»
Hans arrossisce, ma non fa in tempo a ripetersi perché lei ha lasciato andare qualsiasi cosa avesse in mano per gettarglisi con le braccia al collo e stampargli una scia di baci sul viso.
«Certo che sì! Sempre» esclama ridendo felice.
A quel punto Hans non riesce più a resistere e il suo bacio non ha niente a che vedere coi precedenti: è profondo, passionale, morde le labbra di Anna e se ne impossessa con foga, bisognoso di sentirla vicino, di sentirla sua. Lei ne coglie tutta la prepotenza, percepisce l’urgenza di Hans, che non è solo fisica, è qualcosa di diverso, di più profondo: è una necessità, ed è anche una sua necessità.
Lascia che le sue mani la spoglino e le accarezzino la schiena e il ventre, lo guida fino al letto e mentre lo bacia, mentre sente i muscoli guizzare sotto il suo tocco, mentre la pila degli abiti sul pavimento aumenta, sente il suo cuore battere all’impazzata e l’eccitazione farsi largo dentro di lei.
Quella notte fanno l’amore, ed entrambi hanno già avuto altre esperienze, altri compagni, ma, come dicono alcuni, la verginità è uno stato mentale e per loro risulta più che mai vero. Ogni volta che si ritrovano, in ognuna delle loro vite, è come se fosse la prima volta.
Quando Anna raggiunge l’orgasmo qualcosa dentro di lei esplode, un muro si infrange e insieme al piacere si sente inondare da schegge di ricordi, come un torrente in piena.
Hans non smette mai di sussurrarle che la ama, e ogni scheggia è una vita diversa, e ogni scheggia è un amore diverso, ma è anche sempre lo stesso amore.
«Ti amo» le dice Hans baciandola sul collo.
Ed è ancora in Aulide, ed è di nuovo a Roma e Nero le sussurra il suo nome all’orecchio.
«Ti amo» le dice Iason baciandole la clavicola.
E lei è in Anglia, mano nella mano con un legionario dagli occhi verdi.
«Ti amo» le dice Eadwig baciandole un seno.
E davanti ai suoi occhi c’è York, e Venezia, e Rouen e tutte le vite in cui non è riuscita a incontrarlo.
«Ti amo» le dice Laurens, o forse è Jan, mordendole il lobo dell’orecchio.
E Anna è a Parigi e Jean le stringe la mano.
«Ti amo» le dice Hans «Ti ho sempre amata».
Anche ad Arendelle, Arendelle che invade i suoi ricordi come una pugnalata, che le mozza il fiato e le toglie il respiro, e quando il ragazzo si lascia cadere su di lei affondando il viso nell’incavo della sua spalla, Anna vede un castello di ghiaccio e una sala da ballo.
«Ti amo» le dice Hans, ma nella testa di Anna sono altre le parole che risuonano, parole che sanno di veleno e di menzogna e che lei riconosce come false, ma non riesce comunque a fermare quei ricordi.
«Ti amo» le dice Hans, che forse è Seán, o Ivan, o Jon.
Ed è di nuovo Londra, con i balli e lo champagne, ed è di nuovo Leningrado, e Dio! Anna non è sicura di riuscire a resistere a Leningrado, alle bombe, al dolore, ma soprattutto alla morte, alla morte e all’amore, che in quei giorni sono stati così intrecciati e così vicini; e le lacrime iniziano a scorrerle lungo le guance e non riesce a fermarle.
E poi arriva Berlino e il pianto non si ferma più, ed Hans la guarda, preoccupato di avere fatto qualcosa di sbagliato, perché non capisce altrimenti per quale motivo Anna dovrebbe piangere.
Non capisce o non vuole capire, finché lei non si mette a sedere, il lenzuolo pallido le scivola sotto il seno lasciando esposta la sua carnagione candida, i suoi occhi luccicano e le guance sono bagnate di lacrime; si stringe le ginocchia al petto e quando Hans l’abbraccia chiamando il suo nome con tono preoccupato, Anna si volta a guardarlo e la voce le trema.
«Ricordo tutto. Ricordo ogni cosa».
Affonda il viso nel suo petto e lascia che le sue braccia la stringano a sé, più forte, sempre più forte, sempre più vicino.
«Ti amo» le dice Hans.
Anna continua a piangere.









 
Note: Questa volta non sono cinque pagine, quando dico che Rapunzel ha un debole per Hans non intendo a livello di attrazione, ma nel senso che, siccome è quella che lo conosce da ancora prima di Elsa, è sempre stata lei a insistere per cercarlo affinché lui e Anna potessero re-incontrarsi (è una fangirl, insomma). Il ruolo di Elsa e Rapunzel sarà più chiaro dal prossimo capitolo. Non so bene come sia venuta la scena di intimità tra i due (in cui il sesso non è propriamente descritto perché voglio mantenere il rating basso e perché proprio non è quello il punto della storia) ma spero riusciate ad apprezzarla comunque. E non so come vi immaginaste Anna che ricorda, io avevo pesato a diverse situazioni, ma alla fine ho optato per questa scena, e spero che soddisfi voi come ha soddisfatto me. Le altre alternative erano troppo angst e ne hanno già passate troppe.
Alcune precisazioni di lingua:
  •  fetils svell – spada di neve
  •  rekkr – guerriero, uomo
  • vǫlva – strega, profetessa, maga, veggente
  • vænn – bello, affascinante, bello da guardare
  • minn ást, minn líf – mio amore, mia vita
Sono una sorta di reminiscenza della vita “Vichinga” in cui Elsa, Hans e Rapunzel sono cresciuti e vissuti insieme fin dall’inizio, la lingua usata è antico norvegese, ma ho fatto riferimento a un dizionario on-line e non ci metterei la mano sul fuoco, ecco.
Il prossimo sarà il capitolo spiegone in cui si tutta la faccenda delle vite parallele diverrà chiara, richiederà un po’ più di tempo però, perché ancora non l’ho scritto.
 

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Capitolo 6
*** It's all about you ***


Spero per voi che siate più preparati di quanto non lo fossi io mentre scrivevo. Questo è il penultimo capitolo, il prossimo sarà assai breve e sarà l’epilogo. Ed è già stato scritto.
Prompt:
Frozen, Hans/Anna, when love is real, it finds a way (Avatar Roku)
 

 
 
6. It’s all about you
 

I need some more of you to take me over
I know I because I can’t calculate
How to respect you
How to start again
It's all about you
Athlete, Chances
 

Hans continua a stringerla sé, le sussurra parole di scusa tra i capelli e aspetta con pazienza (e con la morte nel cuore) che i sussulti e i gemiti spezzati di Anna si plachino. Le mani della ragazza sono strette attorno alle sue braccia, il viso affondato nell’incavo del collo; è così saldamente aggrappata a lui che è sicuro che gli rimarranno i segni delle unghie sulla pelle.
Quando finalmente riesce ad alzare lo sguardo gli occhi sono rossi e gonfi e la voce trema leggermente ad ogni parola.
«Da quanto tempo lo sapevi?»
Il viso del giovane si piega in una smorfia di dispiacere e colpa (soprattutto colpa).
«Dalla prima volta che ti ho visto».
Anna emette un gemito e si stringe più forte al suo corpo nudo.
«Se… Se deciderai che non vuoi più vedermi io capirò, ma prima-»
«Non volerti più vedere? Oh, Hans, non mi dire che per tutto questo tempo hai vissuto con l’ansia di vedermi andare via».
Il ragazzo annuisce piano, passandole le mani lungo schiena e lanciandole uno sguardo affranto.
«L’ho sempre saputo, Anna, ma non sono mai stato pronto a rinunciare a te».
Lei non sa cosa dire, o meglio, avrebbe così tante cose da comunicargli, da urlargli, da ammettere, così tante da riempirci un intero libro, ma quella dichiarazione la lascia in silenzio, la lascia più stordita di quanto già non sia e lui ne approfitta per riprendere il discorso.
«Dovremmo parlare ad Elsa, prima che succeda qualcosa di irrimediabile».
Prima che io ti veda di nuovo morire. Prima che io sia di nuovo costretto ad abbracciare il tuo corpo privo di vita.
«Domani» sussurra piano lei.
Sì, ci sarà tempo domani, le risposte possono attendere altre dodici ore, quella notte (quello che ne resta) rimane per loro, per abbracciarsi in un silenzio carico di significati, di parole non dette, di Ti amo pensati e mai espressi. Quella notte sperano entrambi che sia in grado di portare loro consiglio, di tendere un velo di oblio sui loro occhi stanchi e di trascinarli con sé in un mondo di sogni (e questa volta si augurano che nessuno dei due sprofondi tra gli incubi).
 
«Se non fosse stata una cosa importante Anna non ci avrebbe fatto venire fino qui».
«Smettila di cercare di difenderli, Punzie, e parcheggia. E ti prego, rallenta prima di entrare nel vialetto».
La ragazza sbuffa, indispettita dalla mancanza di fiducia della maggiore, non lo sa quante lezioni di guida sicura ha preso assieme a Flynn?
«Almeno in questa vita non è un pezzente» borbotta ancora Elsa, lanciando un’occhiata alla villetta in cui vive Hans.
«Oh, andiamo, quando mai lo è stato! Oh! Hai visto come è curato il prato?»
«Suona il campanello e finiamola, ti prego».
Ad aprire la porta è Anna, gli occhi sono ancora gonfi per il pianto della sera precedente ed entrambe le amiche capiscono al volo cosa sia successo.
«Lo hai ucciso e hai bisogno di aiuto per sbarazzarti del corpo?» domanda Elsa senza fare una piega.
«Aspetta, cosa? No! Certo che no, oh, insomma, entrate».
La casa è pulita e accogliente, una brezza leggera penetra dalle finestre aperte ed entrambe le ragazze rimangono piacevolmente colpite a quella vista, Anna le guida in salotto e le fa accomodare sul divano, ma di Hans nemmeno l’ombra.
«Scusa, ma lui dov’è?»
«In giardino, c’è un cortile sul retro. È lì da stamattina» la voce di Anna è stanca, stanca come nessuna delle due l’ha mai sentita e improvvisamente entrambe si rendono conto di quanto debba essere stato difficile per lei più che per chiunque altro.
Il ragazzo è seduto sui gradini di un piccolo portico, osserva l’erba verde e i cespugli di fiori bruciacchiati dal caldo sole estivo, il suo sguardo è malinconico e vuoto e se dovessero domandargli per quanto tempo è rimasto lì non saprebbe rispondere; si riscuote solo nel momento in cui ode voci sommesse provenire dal salotto, quando capisce che è giunto il tempo di avere delle risposte.
Entra in casa silenziosamente e si sofferma, per qualche minuto, a guardare le due ragazze che abbracciano Anna, una scena così familiare che quasi fa male al cuore.
«Oh, sei qua» borbotta Elsa lanciandogli un’occhiata di ghiaccio.
«Sai com’è, ci vivo!» risponde lui sedendosi su una delle poltrone e facendo segno alle ospiti di accomodarsi.
Anna gli si avvicina e, incurante del suo sguardo preoccupato, si siede sul bracciolo della poltrona; Hans vorrebbe trattenersi, ma non ci riesce, le passa un braccio lungo la vita e se la trascina sulle gambe, stringendola a sé. Potrebbe essere l’ultima volta che ne ha la possibilità.
«Elsa, io non capisco» mormora Anna a mezza voce «Cosa sta succedendo?»
«È cominciato tutto secoli, no, millenni fa, nell’era del mito» risponde Rapunzel al suo posto «Eri così giovane, all’epoca, e io ero la tua ancella, ricordi? Il mio nome a quel tempo era Photine. In ogni caso avvenne in Aulide, prima della partenza per la guerra di Troia».
Si interrompe per riprendere fiato e raccogliere le idee, quindi riprende a raccontare.
«Vi recaste assieme al tempio di Afrodite, consapevoli che presto la guerra vi avrebbe diviso; il sacrificio che faceste, beh, non era niente di eccezionale a dire la verità. Niente di diverso dal solito, da quello che tutti fanno. Ma durante la guerra tuo padre, Diomede, osò colpire la dea che, impossibilitata a prendersela con un protetto di Atena, riversò su di te la sua rabbia. Fece in modo che il suo pupillo, Paride, colpisse Iason con una freccia e lasciò il suo corpo sotto le mura della città».
«E allora come è possibile? Come mi spiegate tutto questo? Tutte le vite trascorse, tutte le vite insieme?» domanda Hans, che improvvisamente sente di ricordarsela fin troppo bene quella morte.
«Diomede, dopo la guerra, ottenne in qualche modo il perdono di Afrodite» ricomincia Rapunzel «Non so cosa accadde, nessuno di noi sa cosa ne fu di lui, ma conosco le leggende moderne, si parla di viaggi in Italia, di nuove città e nuovi templi; in ogni caso Afrodite si sentiva in colpa, accecata dall’odio era venuta meno alla promessa che vi aveva fatto il giorno del sacrificio e credette opportuno benedirvi a suo modo. Offrendovi la possibilità di incontrarvi ancora».
«E tu? Voi? Insomma, io sono sempre felice di avervi al mio fianco, ma non capisco come sia possibile» mormora Anna aggrottando la fronte.
«Io più che altro vorrei sapere perché continuiamo a morire e soprattutto vorrei capire come fermarlo».
«Credo che sia più opportuno che sia Elsa a raccontarvi questa parte» mormora la bionda scambiandosi uno sguardo di intesa con l’amica.
La maggiore sospira, si passa stancamente le mani sul volto e quando i suoi occhi tornano ad essere visibili sono carichi di energia e forza, e a guardarli bene vi si riflettono immagini lontane di un tempo oramai passato.
«Voi non ve lo ricordate, non potete ricordarvelo. A dire la verità nemmeno io ero presente in quel momento, mi fu raccontato da lei in seguito. Il sacrificio che voi faceste ad Afrodite non fu l’unico ad essere celebrato a quel tempo; fu tuo padre, Diomede, che, prima di partire per la guerra, si recò al tempio di Atena, là fece un giuramento. Promise alla Dea che sarebbe stato il suo braccio destro, sarebbe stato il più veloce e il più forte dei suoi guerrieri, promise che sarebbe stato come un fiume in piena, inarrestabile, implacabile, e promise anche che avrebbe vinto per lei ogni battaglia; in cambio di tutto questo le domandò una sola cosa, le chiese di proteggerti, di proteggerti sempre».
 
Elena cammina per le stanze del palazzo, coglie con la coda dell’occhio gli sguardi di disprezzo della servitù e sa perfettamente cosa stiano pensando. Lei è la donna, la donna che ha abbandonato la sua gente e suo marito per seguire un principe straniero, è la cagna che ha attirato su di loro ogni disgrazia, che ha portato la guerra e la morte a Troia; ovviamente nessuno osa dirglielo, nessuno osa insultare una figlia di Zeus, nessuno osa insultare la nuova moglie di Paride, la protetta del Re.
Elena cammina nella reggia deserta, mentre gli uomini sotto le mura combattono e muoiono, è stato il turno di Ettore il giorno prima e lei sente ancora nelle orecchie le urla strazianti di Andromaca mentre si lacera le vesti e si strappa i capelli; Paride è tornato indenne, ancora una volta. Lei lo sa il perché, dall’alto delle mura colpisce i nemici, senza avvicinarsi alla mischia, senza correre rischi: forse è meglio così.
Paride che quando la vede la stringe a sé con forza inaudita, i cui occhi brillano d’amore e desiderio, che quando le parla le sussurra all’orecchio per ricordarle che lei gli appartiene, ed Elena non è sicura di voler appartenere a qualcuno, ma la sua voce la fa rabbrividire e le annebbia la mente.
Paride che le dice che la ama e che la amerà per sempre. Sempre. Sempre è un lasso di tempo così lungo, ride lei, ma Paride ne è convinto, per sempre. E forse quello è l’unico momento in cui nella mente di Elena sfreccia un ricordo; il ricordo di un altro uomo, in un altro palazzo, in un'altra città, un uomo che accarezza il suo corpo nudo con amore e che le sussurra fedeltà e le promette amore eterno. Sempre. Ma è un attimo è Menelao non è che un ricordo lontano.
 
Sospira appena, prima di ricominciare.
«All’epoca dei fatti io ero a Troia, circondata da ori e lussi sfrenati, avevo Paride e, sinceramente, non mi serviva altro per essere felice. Mi sentivo la regina che ero nata per essere, trattata dal mondo come una degna figlia di Zeus; il resto non era importante, non mi importava della guerra, né dei caduti. Non credo, a quel tempo, di avere mai pensato, nemmeno una volta, a mio marito, a Menelao, che sapevo essere là per me, con la spada sguainata in mezzo al campo di battaglia. La mia, beh, la mia immagino sia stata una punizione di Atena, o forse una seconda opportunità, io non lo so. Quello che so è che, quando la guerra finì, tornai a Sparta e da quel giorno Paride non lo rividi mai più, non ci siamo incontrati in nessuna delle mie vite successive; immagino che sia il modo di Afrodite per ricordarmi quando il mio amore per lui fosse in realtà opera sua, per ricordarmi di avere amato e perduto l’uomo sbagliato, deludendo così chi mi amava davvero, ma poco importa ora. A Sparta ritrovai entrambe, sia te Anna, mia amica di infanzia, che Rapunzel, la tua fedele ancella; una notte, poco dopo il vostro arrivo, feci un sogno. Sognai le spiagge candide della Magna Grecia e due donne in piedi, ferme a fissarmi. La prima, le gambe lambite dalle onde del mare, vestita di stoffe leggere e con ghirlande tra i capelli, la riconobbi immediatamente: era Afrodite. La seconda, dritta e fiera nella sua armatura, ci misi più tempo a capire chi fosse, non l’avevo mai incontrata prima, ma quando parlò, oh, quando udii la sua voce compresi immediatamente che Atena era venuta a trovarmi in sogno. “Rinascerai” mi disse “Rinascerai e non sarai sola, proverai a te stessa e al mondo di essere una regina e in ogni vita, in virtù del tuo sangue, sarai sempre la più forte, la più vicina agli dei, ma bada. Il tuo compito è un altro, il tuo compito da adesso e per sempre sarà proteggere la figlia di Diomede, come io ho promesso a suo padre”. E così ho fatto, ho cessato di essere una principessa in pericolo e sono diventata una guerriera, ho messo da parte i sentimenti, le emozioni, l’amore che una volta ho provato per un uomo, ma non ho mai smesso di essere una regina».
 
Elena si desta di colpo, il lenzuolo sottile appiccicato al suo corpo sudato, i capelli scomposti, non sa per quale motivo, ma si rende conto di stare piangendo. Si alza con passo leggero e, senza aspettare le ancelle, indossa il primo chitone candido che riesce a trovare, dirigendosi poi, a passo spedito, verso le stanze di Hagne.
Ad attenderla, di fronte all’ingresso della stanza da letto, c’è Photine, gli occhi lucidi e i capelli in disordine e in lei Elena rivede sé stessa; le si avvicina senza però superarla né provare a varcare la soglia.
«Ho fatto un sogno» mormora piano la regina di Sparta «Riguardava Hagne»
«Anche io» replica piano l’ancella allungano una mano che la donna afferra prontamente «Non avevo mai visto un dio».
Elena non sa cosa dire, perché lei ha visto innumerevoli divinità camminare tra i mortali durante gli ultimi dieci anni, ma nessuna l’hai mai considerata degna della sua attenzione prima di quel momento.
«Mia regina, ritenete opportuno parlarne con lei?» domanda quindi Photine, lanciando uno sguardo preoccupato alla stanza in cui Hagne riposa.
«No, credo di no. Credo sia più saggio non farle sapere nulla riguardo al nostro compito» risponde Elena.
Si passa le mani sul volto: è tempo di crescere, anche per lei.
Quindi riprende a parlare e ora il suo tono è cambiato, è freddo e deciso, è più regale di quanto Photine non l’abbia mai vista: «Da questo momento la volontà degli dei è anche la nostra».
Quando la porta della stanza si apre ed entrano le due donne, Hagne non ha idea di cosa sia avvenuto, ma non ha importanza, perché non è sola, e questo è abbastanza per renderla felice.
 
Un silenzio di tomba regna nella sala, mentre fuori friniscono i grilli e il sole di mezzogiorno scalda l’asfalto grigio; Rapunzel si alza, raggiunge la cucina e porta un bicchiere di acqua fresca ad Elsa, che accetta con gratitudine prima di riprendere il suo racconto.
«Fu tuo padre, inavvertitamente, a scagliare su di voi la maledizione che a lungo vi siete portati dietro, ma non fu lui ad attivarla. Durante la guerra di Troia, combattendo sotto le mura, poco dopo avere colpito Afrodite, Diomede si trovò ad affrontare Ares stesso. Con grande scorno del dio riuscì a respingerlo, lo ferì al ventre così profondamente da indurlo a ritirarsi dalla battaglia e tornare sull’Olimpo. Inutile che io stia qui a parlarvi di quanto gli dei siano suscettibili, permalosi e vendicativi; in qualche modo, negli anni a venire Diomede si riappacificò con Afrodite, ma Ares, no Ares non era così semplice da gestire».
«Quindi è stato Ares a maledirci?» domanda Hans aggrottando la fronte.
«Sì e no. Fu Ares a scagliarvi contro la sua ira, questo è indubbio. Non poteva colpire direttamente Diomede senza scatenare le ire di Atena, e in parte anche di Afrodite, visto che tuo padre finì con l’aiutare Enea nella guerra contro i Rutuli. Atena sostiene che la sua furia aumentò ancora di più quando si rese conto che non poteva nemmeno toccare te, Anna, protetta da entrambe le dee. Ma ovviamente a tutto c’è una soluzione, e Ares trovò in Hans il suo cavallo di Troia».
«Se stai insinuando che io lo sapevo –»
«No, per quanto mi costi ammetterlo tu non hai colpe. Sei nato spartano, sei nato guerriero, la furia che ti scorre nel sangue è quella della battaglia, gli spiriti che ti guidano sono Phobos e Deimos e, per quanto ti sforzi, non puoi cambiare. Ci sono state vite tranquille, sì indubbiamente, ma la guerra era sempre lì, in agguato, sempre pronta a colpire e a trascinarti con sé e Ares aspettava solamente che tu scegliessi lei invece di Anna. Allora la sua maledizione si sarebbe avverata perché avresti scelto la morte anziché l’amore, la morte anziché la vita. E, a modo tuo, sei stato bravo, dico davvero, hai resistito per millenni, ma poi è arrivata Arendelle e non so cosa sia successo, non lo voglio nemmeno sapere; forse non ricordavi, o non ricordavi abbastanza, forse hai avuto un passato diverso e le tue scelte sono state dettate dalle esperienze che hai vissuto, fatto sta che hai ceduto e ogni cosa è andata in frantumi».
«In pratica stai dicendo che è colpa mia».
La voce di Hans è gelida e tagliente, così sferzante che Anna sente un brivido percorrerle la schiena.
«Dimmi come farlo smettere» il suoi occhi si inchiodano in quelli di Elsa, mentre il ragazzo si alza in piedi lasciando che sia Anna ad occupare la poltrona «Dimmi come spezzare questo circolo di morte, perché io non ne posso più. Sono disposto a fare qualsiasi cosa, qualsiasi cosa».
«Oh, Hans, se solo potessi fare qualcosa» esclama Rapunzel dispiaciuta, senza sapere quanto le sue parole suonino come la eco di una condanna a morte.
«Punz ha ragione, non ci puoi fare niente. Solo Anna può farlo».
«Cosa?! Io? Come?» domanda la ragazza frastornata.
«Devi perdonare Hans, Anna. Perdonare ogni suo errore dal profondo del cuore, sinceramente, devi essere in grado di guardare al passato e accettarlo come parte del vostro essere, come parte delle vostre vite».
Quando Elsa finisce di parlare, il silenzio invade nuovamente la casa e Hans si allontana senza dire nulla; torna in giardino, con la consapevolezza di essere ancora una volta inutile.
Non ci vuole molto perché Anna si riscuota dallo stupore che le ultime parole hanno suscitato in lei e lo segua; quando lo raggiunge lo vede appoggiato al porticato, una sigaretta in bocca e lo sguardo spento.
«È meglio se te ne vai, Anna» dice piano «Lo sai come funziona, prima che scatenassi questa cosa rischiavamo di morire solo in quelle vite in cui non ci trovavamo, ora che la maledizione pende su di noi, come una spada di Damocle, trovi la morte ogni volta che siamo vicini».
«Hans, ti prego. Non ho nessuna intenzione di andarmene».
«Per cento settantaquattro anni ho convissuto col senso di colpa. Ogni giorno della mia vita, di tutte le mie ultime vite, ho vissuto con questo peso sulle spalle. Un peso che mi schiaccia, mi opprime, mi toglie il respiro e, ogni volta che ti guardo, mi sento come se stessi affogando o come se stessi per affogare, perché vivo con la consapevolezza che prima o poi sparirai. Quindi ti prego, vai via ora, prima che io ti veda morire di nuovo, perché questa volta non sono sicuro che riuscirei a sopportarlo. Non più, non ora che so che sono stato io a scatenare tutto questo».
Anna si avvicina e gli prende una mano tra le proprie, mentre i suoi occhi azzurri luccicano di determinazione e amore.
«Ti ho odiato, Hans. Ti ho odiato così tanto e per così poco tempo quando eravamo a Londra. Ti ho odiato così intensamente e ti ho amato così profondamente a Leningrado e la morte e la guerra hanno consumato ogni parte di me, la rabbia era così nera e accecante che non ero in grado di liberarmene, ma, allo stesso tempo, non riuscivo a vivere quando tu eri lontano, quando tu non c’eri. E poi Berlino. Avrei voluto  scavalcare quel maledetto muro, avrei voluto urlartelo e ripetertelo mille volte, ma non ci sono riuscita e sono morta di nuovo, quindi lascia che te lo dica ora. Io ti perdono. Ti perdono Arendelle. Ti perdono di avere sbagliato, ti perdono di avere scelto altro oltre a me. Sei un essere umano Hans, quante volte pensi di dover chiedere scusa prima di essere perdonato, quante vite pensi di dover vivere senza mai sbagliare? Qualcosa è andato storto ad Arendelle, non ti ricordavi davvero di me, forse per un po’ hai creduto di farlo, ma non era così, e io… Io non avevo idea di chi tu fossi. Ti volevo, ti volevo disperatamente, ma non avevo idea di avessi di fronte. E sono stanca, oh, Hans, sono così stanca di-»
«Di morire? Lo so, Anna» mormora il giovane con le lacrime agli occhi.
«No, di vivere senza di te».
Hans lascia cadere la sigaretta per terra e abbraccia la ragazza di scatto stringendola a sé, mentre una lacrima gli scivola silenziosa lungo la guancia.
«Ti amo, Anna. Ogni vita precedente l’ho vissuta con la consapevolezza che prima o poi ti avrei trovata, ti ho cercata sempre e a volte non ti ho trovata mai. Ma non era importante, perché sapevo che per quanto lontana tu fossi, per quanto distante, magari legata ad un altro, sapevo che ti avrei trovata e sapevo che avresti scelto me. Ma ora, ora non sono sicuro di volerti imporre questa scelta, perché è sinonimo di morte».
«Non hai capito. Non mi sono innamorata di te tutte le volte per volere del destino, o del fato, non è mai stata un’imposizione, mi sono innamorata di te perché ti ho scelto. In ogni vita, a ogni bivio, io ho scelto te. E continuerò a farlo, in ogni vita futura, ogni mondo, in ogni versione della realtà, qualunque cosa tu faccia, qualunque azione tu compia, io sceglierò sempre te. E non è solo questo, Hans, voglio che tu ricordi che io ti perdono. Ti perdono tutto, ti perdono adesso e ti perdonerò sempre, quindi, ti prego, ti prego, non mandarmi via» la ragazza boccheggia rifiutandosi anche solo di ascoltare una verità troppo scomoda.
«Lo so, Anna. E sono sicuro che sia vero perché in questo momento le rose del giardino fioriscono alle tue spalle e vedo i colori così intensamente come non credo di averli mai visti nelle mie ultime vite. E so che dovessi rimanere nessuno dei due morirebbe, ma… Ma anche se tu sei riuscita a perdonarmi, io non riesco a perdonare me stesso. Mi dispiace, ma ogni volta che chiudo gli occhi ti vedo morire e se prima era difficile da tollerare, ora mi è impossibile. Perché so che è colpa mia, tutta quella morte, tutto quel dolore, me li porto dentro come un fardello e non so come lasciarlo andare».
«Hans, cosa stai dicendo?»
«Ti ho chiesto di vivere con me, Anna, ed ero sincero. Lo pensavo davvero e, per gli dei, lo desidero ancora, più di ogni altra cosa. E questa casa sarà anche casa tua, finché lo vorrai. Ma io non sarò qui».
«Aspetta, cosa?»
«Ti amo, ti amerò sempre, ma non posso stare con te. Non finché non avrò accettato quello che ho fatto, finché non avrò accettato me stesso e ognuna delle azioni che ho compiuto nelle mie vite passate. Tornerò, te lo prometto, tornerò da te, ma fino a quel momento, ti prego, cerca di capire».
Hans non sa bene quando abbia preso quella decisione, sa che l’idea si è formata nel mezzo del discorso di Elsa e nell’istante stesso in cui l’ha formulata ha capito che era la cosa giusta da fare. Forse non giusta per Anna, ma come può pensare di darle il meglio se lui stesso non è convinto di essere il meglio, se lui stesso non è convinto che ne valga la pena?
Un giorno tornerà e quel giorno saprà essere non solo l’uomo di cui Anna ha bisogno, ma anche l’uomo che Anna merita, forse, se sarà fortunato, riuscirà ad essere molto di più; ad essere qualcuno orgoglioso delle sue azioni e del suo passato, un uomo che ha sbagliato e ha imparato dai suoi errori, sfruttandoli per diventare migliore.
E non importa quanto tempo dovrà passare, perché, lui lo sa, Anna sarà lì. Ad aspettarlo.
 
Altrove.
«Sembra proprio, fratello, che tu abbia perso».
«Taci, Atena, lo vedo da solo che l’ho presa in culo» borbotta Ares indispettito.
«Oh consolati, tesoro, sai che Eros ha aperto un sexy shop? Vieni, ti ci porto, così ti distrai un po’».
«Ma come, te ne vai e li lasci così? Appesi a un filo?» domanda la dea della saggezza perplessa.
«Oh, ma non preoccuparti. Lo sai come si dice, no? Quando l’amore è vero, trova sempre un modo» risponde Afrodite, sorridendo divertita.
 
 
 
I do hope you will be able to find it in your heart to forgive me.
Hated leaving you like that. Wasn't the goodbye I had in mind.
Robert Frobisher, Cloud Atlas
 
 
Posso dirti che ogni volta che potrò scegliere, sceglierò sempre te.
Scrubs.
 
 
 
 
Note:
Ci siamo. Questo è il penultimo capitolo, ora manca solo l’epilogo.
Non credo di avere molto da dire a questo punto della storia; questo capitolo dovrebbe, spero, illuminare e rispondere a tutti i vostri dubbi e le vostre domande. Non me la sento di riapprofondire queste note con particolari note mitologiche, molti di voi avevano già intuito chi fossero le tre divinità nel capitolo quattro e quindi dirò solo che 1) Phobos e Deimos sono Paura e Terrore, figli di Ares, che di solito vanno in battaglia con lui 2) la lei a cui Elsa fa riferimento è Atena.
So che volevate qualcosa di diverso e mi dispiace che non sia stato così, sono state un paio di settimane mentalmente estenuanti e per qualche giorno ho pensato che non sarei mai stata in grado di finire questa storia, perché non so ancora come finisce perché ogni parola ha un significato particolare ai miei occhi e scriverlo è stato davvero strano, e boh, gente, alla fine ho deciso che il lieto fine rose e fiori non fa per me, e credo nemmeno per Anna e Hans. Cioè per Anna sì, ma questa non è una favola, non è Frozen, e qui volevo rimanere il più possibile ancorata alla realtà, e non mi sembrava giusto lasciare che questa relazione prendesse piede, andasse avanti, quando Hans ancora non era pronto per farlo.
L’ultima precisazione, si parla molto di Elsa qui, mai di Rapunzel, mi dispiace per quelli che avrebbero voluto vedere la sua relazione con Flynn maggiormente approfondita, ma non ho intenzione di farlo, sarebbe stato forzato spiegarlo e non avrebbe avuto senso nel capitolo, tuttavia ci sono numerosi accenni a Flynn nei capitoli precedenti, sentitevi liberi di interpretarli come meglio volete. Per quanto riguarda Elsa, ho cercato di giustificare i suoi poteri in Frozen e il suo essere personaggi particolarmente importanti storicamente (vedi Giovanna d’Arco) con il suo essere Elena, ovvero figlia di Zeus e quindi più vicina agli dei per discendenza e più potente dei normali mortali.
 
Per concludere, la frase di Afrodite ad Ares, su Eros che ha aperto un sexy shop, è un richiamo alle mie modern AU su Ade/Persefone, nonché una specie di, boh, anticipaspoiler del contenuto della prossima one shot che li vedrà protagonisti (much crossover, very reference, such selfpreach).
 
Una parte del discorso di Anna è ispirato a questa frase tratta dal libro The Chaos of Stars: “I didn't fall in love with you. I walked into love with you, with my eyes wide open, choosing to take every step along the way. I do believe in fate and destiny, but I also believe we are only fated to do the things that we'd choose anyway. And I'd choose you; in a hundred lifetimes, in a hundred worlds, in any version of reality, I'd find you and I'd choose you”
Quello che dice Afrodite: When love it's real it finds a way, è una citazione dell'Avatar Roku in Avatar the last airbender, la serie, ovviamente.






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Capitolo 7
*** I believe that love is real ***




7. I believe that love is real
 
 
My uncle was a scientist, but he believed that love was real. A kind of natural phenomenon. He believed that love could outlive death.
Megan Sixsmith, Cloud Atlas
 
 
La vita è fatta di stronzate, ne facciamo una dietro l’altra e non ci fermiamo nemmeno a pensare come sia possibile.
La vita è fatta di errori e di sbagli grandi come un condominio, e spesso, anzi, quasi sempre, è solo colpa nostra. Certo è più semplice scaricare i nostri sbagli sugli altri, ma è solo un modo carino per prendersi in giro.
La vita è fatta di responsabilità, alcune le rifuggiamo come bambini, di altre ci facciamo carico e piano, piano diventiamo adulti. A volte dei pessimi adulti.
Ma non credo sia tutto qui: la vita è anche, e soprattutto, un insieme di cose positive e negative ed è l’insieme che dobbiamo guardare.
Nel corso della mia fin troppo lunga esistenza ho fatto sogni che sono rimasti con me ben oltre il momento della sveglia, frammenti di ricordi, di vite passate, di esperienze già vissute in precedenza; sogni che sono diventati realtà, che hanno plasmato la mia persona e si sono fusi con essa, diventando per sempre parte di me.
Mano a mano che trascorrevano gli anni, i secoli, mi sono resa conto che i confini sono solo convenzioni in attesa di essere superate, ho scoperto che giusto e sbagliato sono categorie troppo nette per essere prese realmente come punti di riferimento e che la vita non è altro che una scala di grigi in sequenza. Ogni tanto ci accorgiamo di avvicinarci al bianco e allora ci sentiamo come se niente potesse ostacolarci, perché siamo così vicini ad avere raggiunto la verità (una verità, spesso nemmeno noi sappiamo quale) che tutto il resto perde di importanza; altre volte siamo così vicini al nero che pare che il mondo stesso si stia rivoltando contro di noi, pare che non ci sia possibilità di salvezza, né via d’uscita.
Mi ci sono voluti anni per capirlo, ma alla fine ci sono arrivata anche io, con calma, passo dopo passo, vita dopo vita, morte dopo morte.
Alla fine ho capito che a definirci sono le nostre scelte, i nostri insuccessi tanto quanto i nostri successi, i nostri errori tanto quanto i nostri meriti, ciò che scegliamo di essere, di diventare, chi scegliamo di amare.
Credo che l’amore sia una delle cose più importanti da cercare nel corso della propria esistenza, e io lo so bene, l’ho inseguito per millenni e mi sono scoperta disposta a qualsiasi cosa pur di viverlo. Ovviamente parlo dell’amore vero: quello che ti brucia i polmoni e ti lascia senza fiato, quello che toglie il respiro e il sonno e che ti impedisce di pensare ad altro se non alla persona con cui vorresti stare. Quel genere di amore che è come una calamita e che, quando hai tredici anni, sogni con tutta te stessa e credi fermamente che esista, quel genere di amore che a sedici sei convinto sia un’invenzione dei romanzi e che in parte rigetti e in parte vorresti vivere (perché a volte è bello sapere di avere torto), quell’amore che a venti hai più o meno idea di cosa sia, ma ancora non sei in grado di afferrare con mano. E che, già quando arrivi ai venticinque anni, sai di essere disposto ad aspettare tutta la vita.
A volte ci sono cose per cui vale la pena lottare e credo che questa sia una di quelle.
La vita è fatta di errori, ma è anche fatta di seconde possibilità, è fatta di perdono, incomprensioni e mani tese. È fatta di scelte e, a volte, sta a noi decidere se perdonare e riprovarci ancora o se girarci, non offrire altro che le nostre spalle piegate dal peso del passato e cancellare quanto abbiamo vissuto prima.
So che in molti diranno che non ne vale la pena. Che un uomo che ha sbagliato una volta sbaglierà ancora, che sceglierà di nuovo la morte e tornerà a stringere il mio corpo freddo, che la mia non è che una storia, un’illusione, il sogno di qualcuno che ha vissuto troppo a lungo e ha perso di vista la realtà. Ma quanto di vero ci può essere in un sogno? Quando vi troverete di fronte a un bivio in cui dovrete scegliere tra ciò per cui vale la pena soffrire e ciò che sembra essere più sicuro, sarete in grado di fare la scelta giusta? Sarete in grado di perdonare? Il perdono comporta un grande cuore, comporta sforzo e sacrificio, e spesso anche sofferenza, ma a volte ciò che si ottiene in cambio è in grado di illuminare le nostre giornate e donarci un sorriso e una felicità talmente immensi da ripagare qualsiasi fatica.
Io ho scelto di perdonare Hans e se dovessi tornare indietro lo rifarei. Non c’è niente di cui io mi penta, rifarei tutto dall’inizio mille altre volte per stare con lui, perché ogni anno di solutine e sofferenza è stato ripagato dalla felicità incontenibile che provo ora, che ho sempre provato nel ritrovarlo, nell’amarlo di nuovo.
Nel frattempo, posso aspettare. Posso aspettare mesi, anni, anche decenni.
Quello che ho mi basta. E quello che ho è una consapevolezza: la consapevolezza di non essere sola. La consapevolezza che, da qualche parte a questo mondo, esiste una persona che pensa a me come la sua metà, qualcuno che mi ama, contro il tempo, contro gli anni, contro la distanza e che mi amerà sempre.
E un giorno lo incontrerò ancora, non so quando accadrà, ma so che accadrà e quel giorno mi prenderà per mano, mi sorriderà dolcemente e io sentirò ancora la sua voce dirmi “Ti ho ritrovata”.
E quando mi bacerà di nuovo, finalmente, allora il mondo ritornerà a girare.
Alla fine, rimpiangiamo solo le opportunità che non siamo stati in grado di cogliere.
 
 
Are the dreams you dreams reality or fantasy?
Ashbear, Crimson Lies
 
 
Non ha mai cambiato la serratura.
Da quando si è trasferita a vivere in quella casa, un giorno di Agosto di tanti anni prima, Anna ha sempre lasciato che la porta rimanesse così com’era. In realtà è più corretto dire che non ha toccato niente, non se l’è sentita: stessi mobili, stesse suppellettili, stessi quadri (ci sono ancora i suoi vestiti in un angolo dell’armadio).
È in cucina quando l’uscio si apre con un cigolio, niente di inquietante, niente di sinistro, ma si apre. Sobbalza leggermente nel sentire quel rumore e lascia andare la pasta della torta (per la crostata di lamponi e cioccolata, che prepara sempre ogni domenica), si pulisce maldestramente le mani nel grembiule rosa e si dirige in salotto.
La grossa borsa di color verde militare è per terra, di fronte alla porta nuovamente chiusa, nell’aria un leggero profumo di tabacco.
«Ti stavo aspettando» mormora sorridendo.
Le lacrime le bagnano le ciglia e poi le guance, scivolando giù come in corsa, Anna, però, non smette mai di sorridere, sente il cuore scoppiarle nel petto e tutto il resto non ha più alcuna importanza.
Quando le sue braccia la cingono in un abbraccio capisce che sì, è valsa la pena aspettare; Hans strofina la barba incolta sulla guancia della donna, mentre il suo viso scivola a cercarne le labbra, per il primo bacio dopo otto anni.
Ispira profondamente, fissandola con amore, quindi finalmente sorride.
«Bene. Sono tornato».
 
 
When love is real, it finds a way
Avatar: the last Airbender, Roku
 
 
 
Note:
È finita. È la fine e non mi sono nemmeno accorta di esserci arrivata, perché questa storia è stata scritta così velocemente e così di getto che non so nemmeno come io ci sia riuscita.
Come avrete sicuramente notato questo epilogo è molto corto, ma è normale, perché è, per l’appunto, l’epilogo e serve solo a tirare i fili. All’inizio l’avevo scritto dal punto di vista di Hans, perché quasi tutta la storia è dal punto di vista di Hans, e l’ottima ragione è che mi identifico molto di più con lui che con Anna; ma poi mi sono resa conto che proprio perché avevo sempre dato così tanto spazio ad Hans era meglio se nell’ultimo capitolo avessi finalmente dato voce ai pensieri e alle emozioni di Anna.
E scusate è così melenso che credo mi sia venuto il diabete a scriverlo e ho avuto la tentazione di cancellare tutto otto volte e di non postarlo perché sì, insomma, è troppo cheesy per i miei standard. Ma ok, va bene così, perché sinceramente non riesco a immaginarmi un altro epilogo.
Quindi abbiamo una parte in prima persona e un brevissimo 8 anni dopo, otto anni perché ogni cosa richiede tempo, perché mi immagino Hans che torna in tempo per il trentesimo compleanno di Anna e mi immagino la sua gioia e niente.
Questa è la fine, grazie per avere letto tutta la storia, grazie a chi l’ha commentata, a chi l’ha preferita e a chi ha seguito e basta. Non è l’ultima Hans/Anna che scriverò, ma è sicuramente quella a cui sono più legata.
(Ci sono così tante citazioni sparse in questo capitolo che io boh, se le cogliete tutti siete delle bellissime persone).
 
E niente, sono un po’ triste ora.





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