Nine Phases

di Arkadio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First: Pain ***
Capitolo 2: *** Second: Rejection ***
Capitolo 3: *** Third: Acceptance ***
Capitolo 4: *** Fourth: Fear (Challenge) ***
Capitolo 5: *** Fifth: Fatigue ***
Capitolo 6: *** Sixth: Torment ***
Capitolo 7: *** Seventh: Freedom (?) ***
Capitolo 8: *** Eighth: ? (Impotence) ***
Capitolo 9: *** Final: Awareness ***



Capitolo 1
*** First: Pain ***


Eccomi tornato con una nuova fic.

Molti di voi si staranno chiedendo il perché di questo prologo. È necessario, per spiegare la struttura della stessa.

Prendete questa fiction come un esorcismo personale a seguito di un mio infortunio, ed è di questo che tratta.

Ragionando sui famosi cinque stadi del malato terminale, ho notato che anche negli infortuni, nelle eventuali operazioni e nella riabilitazione si hanno alcuni punti comuni più o meno a tutti, e me li sono annotati.

Ogni capitolo sarà dedicato a uno di questi stadi, e saranno tutti flashfic, chi più e chi meno. Non mi sono mai ancorato ai buoni propositi.


Per me questo è un lavoro davvero molto importante... spero di essere in grado di trasmettervi qualcosa.


La dedico a tutti quelli che mi sono stati vicino.

In particolare a una certa volpe, che oggi compie gli anni, e che mi è stata vicina più di altri. Grazie di cuore. Forse ne sarei uscito lo stesso. Ma con te è stato più facile. E bello.


Ma grazie davvero a tutti.

La mia storia parlerà al mio posto.


Nine Phases.



First: Pain



Apro e chiudo gli occhi. Immagini sfocate davanti a me.

Tavolo, panchina, caffè, cane, scuola.

Parole a caso, per non pensare, per resistere.

Per continuare a esistere.

Dolore, dolore sordo(muto): da non sentire le urla attorno a te, da non sentire nulla escluso lui, da impedirti persino di urlare.

Ma utile, abbastanza per mantenerti sveglio pensando a esso quando mi sento svenire. Gli dedico la mia mente come solo un masochista sarebbe in grado di fare. E quando mi sento attivo penso ad altro.

Staccionata, albero, granoturco, maiale, cane.

È tutta questione di equilibrio. Precario, inesistente, a cui mi aggrappo come un naufrago, anche se non è mai stata la mia migliore prerogativa. Prima esisteva solo bianco o nero. Solo estremi. Ora agogno una giusta tonalità di grigio. E devo trovarlo in fretta, prima di impazzire. Cosa che, tra l'altro, credo sia già successa.

La vista si annebbia nuovamente, e allora prima di cadere mi gusto il dolore. Lo accolgo come una splendida terapia.

Alle mie orecchie arrivano parole strane: “atleta” “carriera” “schiena” “uscire”.

Non mi piacciono. Non le capisco e non voglio capirle.

Il mio posto è qui. Insieme a loro. Con o senza schiena. Senza, forse, starei meglio.

E poi, le mie parole, sono più belle.

Gatto, gallina, lupo, libro.

A questo calvario ci penserò domani con calma. Sperando di avere oggi abbastanza forza per sopportarlo.

Gorilla, nonno, nano, baciapiselli. Volpe.

Sì, le mie lo sono decisamente di più.



To be Continued...



Per la cronaca: è volutamente psicotica e disconnessa. Il dolore, datemi retta, non fa ragionare troppo lucidamente...

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Capitolo 2
*** Second: Rejection ***


Nine Phases.



Second: Rejection


“No, non mi fa male...”

un mantra. Che devi ripetere, come ogni buon religioso ripete la sua preghiera.

Per crederci.

Tu hai bisogno di crederci.

Come un viandante nel deserto ha bisogno di acqua.

Come un condannato ha bisogno di un istante in più.

Per questo aiuti più spesso tua madre, per questo porti pacchi più pesanti di prima, per questo vai ancora al campetto ogni sera. Anche se non salti, non corri troppo forte, riesci a malapena a tirare e passi le nottate in bianco, quasi piangendo per il dolore che sale. Anche se, ogniqualvolta sei solo, metti il ghiaccio sulla schiena sperando che il dolore passi, almeno il tempo necessario per dimostrare che non sei cambiato. Che sei sempre tu, il solito idiota che corre, salta, ride e gioca.


“No, non mi fa male...”


Lo ripeti come una macchina, stessa intonazione di voce, un automa. Ripeti che devi allenarti per i campionati invernali. Così avvisi che dopo le vacanze tornerai. Sicuro, che senza di te non possono farcela.


“No, Non mi fa male...”


Ma una volpe a caso non crede alla tua nenia. Non è mai stata una persona che ascoltava le parole. Per questo adesso è lì, al tuo fianco. In uno dei vostri “casuali” incontri al campetto.

“Fai uno scatto.”

il suo è un ordine, che riecheggia nel parchetto, quella sera.

E tu, indossando la tua splendida maschera rispondi a tono.

“E perché mai il tensai dovrebbe regalare un suo fenomenale scatto a una volpe qualunque?”

lui continua a fissarti.

E tu hai paura. Ha fiutato qualcosa, ha l'odorato fine, lui.

Il sudore scende lento sulla tua fronte. Mentre preghi tutto ciò che conosci, mentre speri che non continui. Perché tu, ora, uno scatto non sapresti nemmeno come si fa.

“Allora schiaccia.”

Un altro ordine. Che tu non esegui, da cui scappi, con una sparata. Insultandolo e mugugnando qualcosa sull'ora tarda.

Scappi da lui, forse.

Scappi da una conferma.

Ma tu stai bene.

Tu lo sai.

Ma la tua schiena?


To be continued


Note dell'autore


Fase due. Difficile da accettare, ancor più da scrivere. Grazie a chi ha letto. Grazie ancor di più a chi ha commentato. Ricordate, i commenti sono la linfa di chi scrive fanfiction...

quindi vi prego, commentate


See you soon

Arka

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Capitolo 3
*** Third: Acceptance ***


Nine Phases



Third: Acceptance


Te lo sei sempre chiesto. Il perché quasi tutti gli studi medici siano bianchi; e tu ne hai girati parecchi, nella tua onorevole e onorata carriera da teppista.

Forse perché è il colore del candore, della pulizia.

O forse perché è quello della rinascita.

A te in genere piaceva il bianco, anche perché non ti erano mai piaciuti i compromessi o le vie di mezzo. Erano un modo per scappare, ti dicevi. La vita è bianca o nera, o vincenti, o perdenti.

Perlomeno, te lo dicevi una volta, perché ora è tutto cambiato. Il basket ti ha insegnato che si può perdere da vincenti e vincere da perdenti. È questione di priorità. È questione di punti di vista. E così hai cambiato il tuo modo di pensare, ma il bianco ti piace ancora.

Anche se oggi, in questa occasione, il bianco ferisce i tuoi occhi. Sarà per la luce eccessiva che emana. Sarà perché questo bianco non l'hai cercato tu.

Ti ci ha trascinato una volpe a caso, dopo la scuola, con il consenso e il benestare dell'intera squadra, segno che loro, forse, ci vedono meglio di te. O ci vogliono vedere più chiaro. O semplicemente cercano di fartelo ammettere.

Ed è quindi per questo, perché sei annoiato, che rispondi a mezze sillabe e male al medico, non perché hai paura. Non perché una diagnosi ti costringerebbe ad accettare la cosa.

Forse hai risposto in maniera anche eccessivamente scortese, perché Ru ti redarguisce con un buffetto in testa. E tu gli bestemmi a mezza voce, sperando di essere pronto a ricevere il fiume che sta per travolgerti.


“Sai cos'è un ernia del disco Sakuragi?”


Scuoti la testa. Ma già la parola ti spaventa. E non poco.


“Il disco è una sorta di cuscinetto fibroso con centro polposo posto tra una vertebra e l'altra, utile ad attutire pressioni, colpi e torsioni. Si dice ernia quando il centro polposo del disco fuoriesce, lesionando i nervi e provocando dolore.”


Rukawa deve ascoltare, o per lo meno, dovrebbe. Perché non lo vedi, non lo percepisci. Non senti null'altro. Né il pendolo che fino a qualche istante fa ti infastidiva così tanto, né il rumore delle macchine in strada. Solo il grido del tuo cuore, che tra l'altro è straziante.


“Il fatto che provi dolore solamente alla schiena mi fa ben pensare, non posso dirlo con certezza senza esami specifici, ma credo che non sia necessario intervenire chirurgicamente.”


alle tue spalle senti un sospiro di sollievo. Tu non ti muovi. Sei immobile. Ciò che succede in quella stanza ti appartiene, ma è come se ne fossi solo spettatore.


“E cosa si può fare dottore?”


Incredibile che sia proprio lui a preoccuparti per te. Incredibile come la tua verve, il tuo carisma e la tua voglia di fare sia necessaria, basilare in questa occasione, e tu non sei in grado di reagire. Ti senti vuoto. E la tua schiena ride. Di te.


“Beh, con cortisonici e antiinfiammatori ridurremo l'infiammazione nervosa, poi con ozono o manovre chiropratiche atrofizzeremo e ridurremo l'ernia. I tempi di...”


Ma tu non lo ascolti più. Tu hai chiuso il tuo cervello ermeticamente. La tua testa è totalmente insonorizzata.

Perché, se no, saprebbero che ora stai urlando.

Perché, forse, la schiena ti fa davvero male.


To be Continued...


Nda


Tutte le informazioni sull'ernia del disco vengono da Manuela, la fisioterapista dei miei genitori. Io non sono un medico, sono un biotecnologo, e comunque la schiena non è il mio campo infortuni. Quello è la caviglia... è_é

Spero di non aver fatto errori (orrori) di sorta con terapie, definizioni o altro. È stato un capitolo difficile, spero vi piaccia.

Come al solito sono ben accette le recensioni, che fanno molto piacere a noi scrittori in erba^^

Avviso, per un po' non sarò in grado di scrivere causa esami. Non vogliatemene. Al più presto il quarto.


Stay tuned

Arka

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Capitolo 4
*** Fourth: Fear (Challenge) ***


Nine Phases





Fourth: Fear (Challenge)




Il vento sferza il tuo viso, stasera. Occhi verso terra, mente che vaga. Uscito dall'ambulatorio non hai fatto altro che camminare. Muovere in sequenza le tue gambe da quel luogo bianco di verità verso un nero d'incertezza, che sta catturando le tue movenze lente, che ti sta imprigionando.

Destra, sinistra, destra. Dondolio lento, senza meta. La testa vuota, ma pesante. E non per aria fritta. Ti lasci guidare da qualcosa più grande di te. Sia esso un dio o il caso assoluto. O forse sono solo le tue gambe a guidarti. E quando ti accorgi dove hanno portato le tue doloranti membra, ti viene da sorridere.

Davanti a te, in tutta la sua magnificenza si staglia il campetto. Gli anelli rossi splendono grazie alla luce dei lampioni, le retine frusciano e poche foglie silenziose fanno da spettatrici al tuo passaggio.

Cammini lento, con riverenza totale, con il rispetto che si porta solo a qualcuno (qualcosa) che ti ha donato tanto, cercando di stare in equilibrio sulle linee del perimetrali, né dentro, né fuori.

Ancora nella più totale incertezza, indeciso se varcare la soglia di casa tua.

E c'è malinconia nei tuoi occhi, a pensare di aver perso qualcosa che una volta non consideravi minimamente.

In fondo si cambia...

Una volta avresti sfogato il tuo dolore picchiando, soffrendo e facendo soffrire, urlando. Ti saresti sfogato.

Sei cambiato, Sakuragi.

La tua schiena lo dimostra, urlando, implorandoti di allontanarti da un luogo che la porta solo verso ricordi dolorosi. E tu stai per ascoltarla, sottomesso come non lo sei mai stato, tornando sui tuoi passi.

E solo ora che ti giri, noti Rukawa di fianco a te. Solo ora noti che ti è stato vicino, come una lanterna a forma di volpe. Rimanendo al tuo fianco, forse, ti sta impedendo di perderti..

Ti ha seguito, senza proferire parola. Come suo solito, ma con mille frasi mai pronunciate nell'aria. Con mille domande a cui non è mai stata data risposta. Anche se alcune, oggi, forse l'hanno trovata.



“Dove credi di andare?”



Buffo. Non l'hai mai sentito parlare tanto. E oggi ha detto più parole che in tutto l'anno. E le ha dette per te.



“Non credo che ti riguardi Kit...”



Fai per allontanarti. Scappi l'ennesima volta da una realtà scomoda. Come eri scappato quando era morto tuo padre.



“E invece mi riguarda.”



La sua voce è aspra. Dura. Come se l'avessi offeso dicendo che la vita è tua. Non sua.



“E perché, di grazia?”



La tua è una provocazione. E lo sai. Vuoi stuzzicarlo. La danza pericolosa che state intraprendendo ha un che di violento. Di rivelatore. Lascerà strascichi. Lo sai già prima di iniziare.



“Perché odio la gente che si butta via.”



“Ma per favore! - sbotti – mi hai sfottuto tutto questo tempo per poi ammettere capacità mai realmente esistite? Perché ti faccio pena Rukawa? Solo perché non potrò più giocare?”



Urli. Per sfogarti. In faccia a lui. E i suoi occhi si assottigliano. Solo ora ti accorgi di non averlo mai visto arrabbiato.



“Il medico ha detto che potrai riprendere dopo quattro mesi gli allenamenti – prosegue gelido – e poi non credo che Akagi, Anzai e gli altri avrebbero speso così tanto tempo ad allenarti, se fossi stato una sega. Forse sei solo un codardo.”



I tuoi muscoli fremono di rabbia. Non puoi credere che ti stia parlando in quel modo, LUI. Non può capirti, LUI. Non è tuo amico, LUI.

Non è niente, LUI.



“Sì... forse hai ragione – ridi istericamente – forse hai proprio ragione. Sono un perdente, un codardo, un vigliacco. Scappo, come ho sempre fatto. Perché non sono come te! Non sono l'algido e intoccabile principe dei ghiacci! Non posso farcela! Non posso! Fa male, diavolo, non sai quanto! Io non posso farcela...”



Senti le guance bagnate. Non ricordi quando è successo l'ultima volta. Forse con Anzai, quando è stato male. E prima?... prima ti viene in mente solo tuo padre.

E non hai il coraggio di alzare gli occhi. Tieni la testa bassa, a fissare il terreno. Sai che ti sta per arrivare un pugno... Kaede Rukawa non è mai stato uno che le manda a dire o che fa sconti sulle cattiverie che gli si dicono. Così quando le sue scarpe entrano nel tuo campo visivo non puoi far altro che chiudere i tuoi occhi, aspettando il colpo. E invece quando le sue braccia ti toccano, lo fanno in un modo del tutto inaspettato.

Ti abbraccia. Come solo un compagno, un amico, un fratello saprebbe fare. E tu fai la cosa più imbarazzante che avresti mai potuto pensare fino a ieri. Scoppi a piangere. Un pianto rotto. Sordo. Lui in silenzio ti lascia sfogare.



“Puoi farcela. Tu ce la puoi fare.”



Nei singhiozzi senti queste sue parole. Sussurrate al vento.



“Ho paura che il dolore non passi...”



Lui continua a tenere la tua testa sulle sue spalle.



“Ce la farai sicuramente, Sakuragi.”



Sei sbalordito. Non lo avevi mai visto parlare così. Con nessuno, figurarsi contro il nemico (amico) giurato.



“Come puoi esserne sicuro?”



Si morde le labbra. Credi stia per dire qualcosa che non vuole. E non ti saresti mai aspettato di sentire parole così pronunciate da lui.

Sussurra la sua risposta al tuo orecchio. Tu sorridi, perché non puoi impedirti di farlo. Ma non fai sparate, nonostante la sua affermazione. Ti stacchi semplicemente da quell'abbraccio che sapeva di casa, di amicizia, voltandoti poi verso il campo.

E una luce illumina la tua via.

Non stai più brancolando nel buio.

Ce la farai sicuramente, Sakuragi.





Perché tu sei un genio.”



To be continued



Nda


Più lungo degli altri vero? Non credo nemmeno sia una flash... vi avevo detto che con me non funzionano i buoni propositi...

Vi è mai successo di essere fieri di quello che scrivete? Questa è la mia prima volta.

Ho passato 3 notti insonni, visto che ho mandato la preparazione di un esame a puttane per problemi familiari. E ci ho pensato. E sputato sopra, riscrivendolo quattro volte da capo e correggendo e cambiando un'infinità di cazzate.

Ma ne sono fiero. Perché sono riuscito a renderlo simile (enfatizzando alcune cose e adattandole ai personaggi, s'intende) a ciò che è successo a me. Non perché sia bella, scritta bene o altre amenità... non ho le carte per dire una cosa del genere. Ma perché sono riuscito a descrivere la mia fuga, la mia sfida, in un modo decoroso.

Rukawa è OOC? Per la prima volta non me ne frega un beneamato cazzo. E poi non sappiamo se i due diverranno amici o meno appianando le divergenze.

Alcuni potranno leggerla in chiave Yaoi. Questa volta non era mia intenzione inserire nulla del genere. Anzi... è solo amicizia.


E dopo questo sfogo (scusate, ma ne avevo bisogno) passo ai ringraziamenti: Desme, Elyxyz, Free, ladyhellsing, lucilla_bella e Shinji... rigorosamente in ordine alfabetico. Non certo d'importanza. Grazie dal cuore.


A questo capitolo credo di essermici affezionato davvero.

Grazie.

Attendo recensioni che, ricordate, sono la benzina di noi writers.


Stay Tuned

Arka

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Capitolo 5
*** Fifth: Fatigue ***


Nine Phases



Fifth: Fatigue


Cammini affondando bene i piedi nella sabbia tiepida, illuminata dal tramonto che si staglia nel cielo di Kanagawa.

Le infradito affaticano leggermente i movimenti, sollevando una piccola tempesta ogni volta che concludi un passo. E non puoi fare a meno di osservare il sole che spegne lentamente nell'acqua del mare. E stai li, semplicemente a osservare. Cosa che, fino a poco tempo fa, non ti saresti mai sognato di fare. Non era proprio adatta a te. Non ti sei mai soffermato a godere di quei piccoli momenti che rendono bella una giornata.

Tu la vita la sbranavi, a grandi morsi.

A volte però, se il sapore di una pietanza assume toni delicati, bisogna saperla gustare. Cosa che stai imparando. Stai imparando nuovi ritmi, nuovi tempi.

Forse sei anche obbligato a farlo.


Probabilmente le infermiere ti staranno cercando. Sei scappato, giusto qualche secondo. Giusto qualche minuto.

Perché, per almeno qualche minuto, di stretching e esercizi per rinforzare la schiena non ne vuoi proprio sapere.

Perché è incredibile che tu non conosca la fatica. Nel senso vero del termine. Nel senso più vicino al dolore. La stanchezza durante un allenamento o una gara non ti è nuova. Ma la fatica sì. Quella che ti fa sudare, ti porta lentamente alla pazzia per il più piccolo movimento. La schiena che si stira pigramente, vertebra per vertebra. E tu che ascolti ogni suo più piccolo lamento, in attesa di una qualsivoglia risposta, che in cuor tuo, speri non arrivi.


Ti siedi, sulla riva di quella tavola ardente, permettendo ai flutti di raggiungere i tuoi piedi, godendo del fresco dell'acqua.

I capelli scarmigliati si muovono nel vento, mentre tu li sistemi con un gesto pigro. Poi una semplice occhiata cade su braccio. I lividi nell'interno gomito e sul dorso della mano erano uno spettacolo desolante.

Quante iniezioni? Quanti trattamenti? Non lo sai.

Non lo immagini.

Però ora sai esserci un uscita, da quel tunnel. Da qualche parte forse; non la vedi perché è ancora lontana. Ma da qualche parte c'è.

E allora gli esercizi non sono poi così faticosi, forse puoi resistere ancora a una puntura. L'ennesima, ma puoi resistervi.

Anche se a volte fa così male da piangere.

Anche se a volte, nonostante tutti siano venuti a trovarti mille volte, ti senti davvero solo.


Ma Rukawa no, la Kitsune non si è mossa.

Sai che è al ritiro della nazionale. Sai che lui ha raggiunto un traguardo importante. A cui vuoi arrivare anche tu.

Sai che lui non si è mai scomodato con nessuno, figurarsi con te.

E, nonostante l'abbondante dose di tempo concessa per la riabilitazione, non sei stato in grado di sistemare i pezzi del mosaico di un rapporto che non sei nemmeno in grado di definire. Che, forse, una definizione non può avere. Compagni di classe, di squadra. Forse la parola amici è per voi esagerata. O semplicemente non adatta a descrivervi.


Stai per alzarti, quando per l'ennesima volta il karma vuole giocarti uno strano tiro. Vedi in lontananza l'oggetto dei tuoi ultimi pensieri correre verso di te, fermarsi, sventolare sotto il tuo naso la divisa della nazionale e andarsene. Forse per farti capire che hai ancora da lavorare per raggiungerlo.

O forse per menarsela e basta.

Ma non puoi far altro che sorridere, alzarti e dirigerti verso il centro, pregustando la fatica che arriverà sulle tue membra tra poco, sapendo che, prima o poi, lo raggiungerai.

E hai una sensazione di dejavù quando l'infermiera ti chiede se ce la farai.


Sicuramente.


Perché sono un genio.”


To be continued


Tutta colpa degli esami eh, mica per altro...

...

Ecco, dopo un capitolo di piena soddisfazione, uno che non mi piace per un cazzo. Non è facile descrivere la fatica. Spero di aver dato un risultato decente.

Vi ringrazio. Le vostre recensioni mi hanno toccato il cuore. Vi ho sentiti vicini.

Grazie a elyxyz, a gaara4ever, Bella07, lucilla_bella, free e Shinji, in rigoroso ordine di apparizione. Grazie a tutti.

Continuate a seguirmi e a recensire.

Con voi, questo esorcismo, sarà meno amaro.


See you Soon

Arka

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Capitolo 6
*** Sixth: Torment ***


Nine Phases



Sixth: Torment


La mano trema, il sudore cola rapidamente sulla fronte. Lo specchio del bagno della scuola ti restituisce un riflesso tutt'altro che rassicurante: occhiaie profonde, viso tirato e occhi rossi.

Ormai hai perso il conto delle ore di sonno. Poche, sicuramente troppo. Massimo un paio a notte. Credi, perché non sei più nemmeno sicuro di quello. Hai scoperto che la notte sa essere lunga, e buia. Soprattutto per te, che la passi a stare attento a non compiere il più piccolo movimento, nella paura che possa provocarti dolore.


Dolore che non sei nemmeno più sicuro di provare.


Le terapie, ti è stato detto, stanno facendo effetto velocemente. L'ernia si sta riducendo in tempi record. Un recupero rapido che nessuno si aspettava, dato probabilmente dalla tua voglia di tornare in campo.

Ma ora.


Ora non sei più lo stesso.


Cerchi velocemente in tasca un punto fermo e, quando la tua mano si appoggia su una superficie squadrate e liscia, il tuo cuore rallenta rapidamente, trovando serenità. Apri la scatola, dal quale estrai un blister di capsule di un arancione pieno, vivo. Noti che ne sono rimaste poche. Sai che dovrai andare dal medico a chiedere una nuova ricetta. E sai che ti farà storie. Ma non te le negherà. Ormai ne hai chieste così tante, che sai come prenderlo. Ne inghiotti una senza nemmeno accompagnarla con acqua. La tua gola la avvolge, come per proteggerla, e tu ti senti subito meglio. Effetto della medicina.


O della tua mente.


Butti giù antidolorifici come mentine per prevenire qualcosa che forse non arriverà mai. Il dottore ti aveva chiesto di non abusarne, ma tu non riesci. Fuggi, cerchi rifugio in una fuga chimica assoluta, che ti dona qualche istante di insensibilità, di pace. Quelle capsule di quel colore intenso sono diventate la tua panacea per ogni male, non sai nemmeno se riusciresti ancora a farne a meno.

Sei diventato debole. E lo sai.


Nemmeno il tuo migliore amico ti riconosce più.

Chiedi scusa a qualsiasi persona incontri per strada, nella paura che possa toccarti male o voglia picchiarti, dati i tuoi trascorsi, rovinando tutto. Sei insicuro, scappi da tutto e tutti. Ti muovi piano, e per quanto sia possibile stai fermo.

Mito sa che il basket è importante per te. Ma non sapeva che il dolore potesse cambiarti. La tua non è paura.


È paranoia.


Ma tu non puoi farci niente. Continui a chiedere scusa, evitando qualsiasi contatto umano.

E il tuo capitano non può che provare paura per te.

Perché sa, dopo la storia di Mitsui, che non è facile uscirne.

E non sa come aiutarti.


Esci dal bagno e ti dirigi lentamente in classe. Ma sulla tua strada un imprevisto.

L'unica persona che ha provato qualcosa che si avvicina dannatamente a ciò che è successo a te.


“Ehi Sakuragi...”


“Mitsui...”


Lo scansi con parecchio anticipo. Lui ne sembra quasi risentito. Poi ti guarda negli occhi. E sai che ha capito. E te ne vergogni. Lo superi rapidamente, sperando di poter fuggire l'ennesima volta.


“Quando la finirai di scappare Sakuragi?”


La sua voce ti raggiunge, come un soffio gelido, un vento che senti sulla tua pelle.


“Non sto scappando da nulla.”


Lui sorride, di scherno.


“Sì, come no. Perché il blister che hai in mano non sono antidolorifici vero?”


Una scossa ti pervade. Diventi rosso, arranchi, cercando una risposta. Senti il sangue salire velocemente. E non sai cosa dire.


“Faceva male...”


Ti guarda, con occhi gelidi. E penetra. Lui sa. Lo capisce. C'è passato prima di te. Molto prima.


“Non è vero. E smettila con le paranoie. Ascolta un po' di più il tuo corpo, se sei ancora in grado di farlo...”


Ti mordi il labbro, cercando risposte che non arrivano.


“Non è facile...”


Lui sorride, poi si gira e prosegue per la sua strada.


“Non lo sarà mai.”


E tu non puoi che vergognarti di te, della tua debolezza. E non puoi non cercare di ascoltare nuovamente il tuo corpo, attendendo risposte. Forse tarderanno ad arrivare. Ma tu sai aspettare.


E non puoi non sperare che arrivino presto.


Perché, di quell'arancione che ferisce i tuoi occhi, non ne puoi più.


To be continued...


Nda


Capitolo pesante. Davvero. Anche da scrivere... spero vi possa far riflettere. E non so se avete notato che nemmeno questa è una flash... evviva i buoni propositi...

Ritardo a causa di un esame di statistica, passato! E andiamo! XD l'avevo bocciato 2 volte XD


Ringrazio tutti quelli che hanno letto e recensito. E mi fa piacere vi sia piaciuto il capitolo... nella speranza vi possa piacere anche questo... non sapete quanto mi faccia piacere leggere le vostre recensioni...

Quindi mi raccomando, continuate a farlo è_é


Stay tuned


Arka

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Capitolo 7
*** Seventh: Freedom (?) ***


Nine Phases



Seventh: Freedom (?)


Ponete una scimmia in una gabbia, poi ponete la gabbia in una stanza molto vasta, ma chiusa.

Dopo alcune settimane, in cui avete tenuto la scimmia all'interno della gabbia, in cui ha anelato la libertà, aprite la gabbia. Il primate, dapprima dubbioso, si guarderà in giro, poi scorrazzerà via. Dopo essersi accorto di essere passato semplicemente da una gabbia più piccola a una più grande, tornerà nella prima, non uscendone più.



Pochi passi fuori. La brezza. È questa la prima cosa che noti. Un vento forte, che spazza via ogni dubbio, che ti fa sentire vivo.

Che ti fa sentire libero.



Ancora un centimetro, solo uno!”

Pianopianopiano! Cazzocazzocazzo!”

Solo uno! Ancora uno!”

Argh!”



Cominci a mettere a fuoco la strada che hai percorso ogni giorno degli ultimi mesi. La stessa strada che, fino a ieri, era grigia, oggi si è tinta di mille colori.

Colori vivi.

Che non ricordavi nemmeno esistessero.



Cosa fai? Leggi ancora quelle lettere?”

Sì...”

Sono dei tuoi amici? Della tua ragazza?”

Anche...”

Ti mancano?”

... può darsi...”



Un passo, poi un altro. Attendi qualcosa che non arriva. Un dolore che oramai è un solo ricordo. E non per merito di antidolorifici. Quelli hai smesso di prenderli qualche mese fa, dopo il discorso con Mitsui. Ora non hai un motivo per non sorridere.

E lo fai, finalmente.

Col cuore.



Sakuragi, sei a posto...”

In che senso dottore?”

Che sei guarito. Puoi tornare a giocare. Con calma, senza sforzare ancora, ma ti dimetto. Ora sei libero.”



Libero.

Un'altra cosa che nella tua vita assume una nuova posizione. Una parola che ha sempre avuto un significato strettamente legato a obblighi: sei libero da compiti, da punizioni.

Mai libero da te stesso.

E oggi, quelle tre sillabe, ti suonano più dolci che mai.

Per questo cammini velocemente verso i cancelli dello Shohoku, evitando tutti gli scontri possibili e immaginabili, in cerca di Kaede, del capitano.

In cerca di chiunque.

Per fargli sapere che, finalmente, è tutto finito.

Puoi tornare.

Sei libero.


“Davvero Hanamichi?”


“Esatto Ryo-chan! Tornerò presto a calcare questo parquet. Manca poco al rientro del genio!”


Rukawa ti guarda da lontano. Ti fissa preoccupato. E a una tua battuta sulla sua prossima sconfitta a opera tua, non risponde nemmeno. Torna ai suoi tiri. La cosa stona: non avete più parlato dopo quella sera. Ma i muri tra di voi sono caduti. Non ha motivo per starti lontano. Ti guarda spaventato.

E non sai perché.

Allora prendi la porta e esci, per andare a casa. Vuoi dirlo a tua madre, che ti è stata vicina per tutti questi lunghi mesi. Per goderti un po' d'affetto. Anche se non ne sai il motivo, ne hai voglia. E dici ai tuoi compagni di aspettarti, che presto ricalcherai quel campo, con loro. Perché quello è il tuo posto. Avresti voluto dirlo anche al tuo capitano, ma ti hanno detto che ha una simulazione d'esame.


Infatti passa almeno un'ora da quando te ne sei andato prima che Akagi, insieme a Mitsui, entri in palestra. E Miyagi non può tenersi dal raccontar loro la buona nuova.


“Speriamo non se ne accorga...” Conclude Hisashi.


“Cosa intendi?” Miyagi non capisce.


“Dico solo che speriamo non si butti giù” puntualizza.


“Perché dovrebbe Mitsui? Non hai sentito? È tornato come prima...” Akagi è dubbioso.


“Appunto.”


“Credo, anzi, crediamo di non riuscire a seguirti...”


“... Sto sperando non si accorga che è esattamente come prima. Di per se non è cambiato nulla, può sempre infortunarsi in qualsiasi momento. Solo che ora lo sa.”


Ora capiscono. E sperano. Che tu non cada in una trappola così tremendamente fatale. Sperano solo che tu non ti accorga che sei solo scappato da una gabbia più piccola in una più grande: la consapevolezza dei tuoi limiti.


To be continued...



Altro parto lunghissimo XD è inutile cara lucilla_bella... aggiornare più velocemente è impossibile... faccio fatica a scrivere senza voglia e voi leggete i miei pezzi in tempo reale poiché li posto appena pronti^^ ti sconsiglio vivamente anche lo scambio di cervelli... ci guadagneresti ben poco.

Detto questo due parole sul capitolo... l'intro è un esperimento realmente eseguito che ho letto su un vecchio numero di Nathan Never... se qualcuno conosce l'esperimento in questione mi faccia sapere...

il resto... è stato difficilissimo scriverlo^^

Comunque -2 alla fine...


Grazie a tutti quelli che hanno commentato il sesto e, mi raccomando... continuate... necessito il vostro appoggio ;_;

Elyxyz, free, lucilla_bella, Bella07 e temarisan... grazie.


Stay tuned


Arka

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Capitolo 8
*** Eighth: ? (Impotence) ***


Nine Phases



Eighth: ? (Impotence)



Due settimane.

Quattordici giorni.

Trecentotrentasei ore.


Così tanto tempo è passato da quando ti hanno dimesso.

Da quando hai chiesto ai ragazzi di aspettarti.


E non sei più tornato.


Vegeti sul letto, anche stasera, in attesa di qualcosa. Non sai nemmeno di cosa. Sai solo che non hai mai corso. Mai, da quando ti hanno diagnosticato l'ernia.

Ne sei sicuro.

Anche quando sei andato ad avvisare i ragazzi, hai camminato velocemente, evitando tutti gli scontri possibili. Quando sei tornato in palestra ricordi di aver avuto bisogno di affetto. Ti ricordi anche che non sapevi individuarne il motivo.


E nemmeno ora lo sai.


Pressione, nella gola, nel torace, nel cuore. Sei guarito: puoi correre, saltare. Ma non lo hai mai fatto. Qualcosa ti blocca. A un osservatore esterno potrebbe sembrare quasi che tu non ne abbia voglia. Assurdo. Sai benissimo che non può essere. Ogni volta che, in lontananza, senti una palla rimbalzare, muori.


Soffri, ti viene da piangere. Vorresti muoverti.

Null'altro importa.

Vorresti scattare.

Null'altro importa.

Vorresti volare.

Ma il tuo corpo non ricorda come si fa.


Il campanello suona. Stai per chiedere a tua madre di aprire, ma il tuo cervello suggerisce che è uscita a fare la spesa. Ti alzi controvoglia, attraversando la casa. Apri la porta.


Rukawa.


Fermo, immobile. Ti guarda, anzi no... ti scruta. Ti legge. Voleva capire, e ha capito. Chiedeva solo una conferma.


“Seguimi.”


Di parole non ne ha mai dette troppe, solo le strette necessarie. E questa volta non fa eccezione.


Senza risposta scompari da dietro l'uscio e, dopo pochi minuti, ti trovi a chiudere casa, vestito con un paio di pantaloni della tuta e una maglietta. Lo segui, a distanza di sicurezza, senza guardare dove voglia portarti, senza nemmeno interrogarti, perché la risposta già la sai. È l'unico luogo in cui, voi due nemici (amici) giurati abbiate mai parlato. Ma il campetto stasera non è vuoto. Ci sono altre persone, sei o sette. Non le conosci, sembrano più grandi. Intorno ai vent'anni.


Rukawa ti indica la panchina e tu ti siedi docile, senza lamentarti. Si fanno le squadre e scoppia una partita accesa da puro spirito agonistico. Non per vincere e andare avanti in un torneo, ma per la semplice voglia di primeggiare. Per pura competizione. Nessuno di loro è un campione assoluto, nessuno è al livello di Kaede. Ma se la cavano.

In particolare il ragazzo marcato dall'algida Kitsune si muove bene. Finte, palleggio, arresto e tiro. Ha in mano delle buone carte.

Poi noti.

Una calza blu e una bianca.

No, quella blu non è una calza.

È una cavigliera.

Anche abbastanza rigida.

Infortunato.


Le tue gambe esplodono. Il tuo cuore con loro. E tu non sai quanto riuscirai a trattenere le une a l'altro. Vuoi alzarti, prendere un assist della Kitsune e schiacciare.

Dio solo sa quanto lo vuoi.

Vuoi dimostrare al mondo, a chi ci credeva, ma soprattutto a chi non credeva, che non sei stato meteora. Che non sei finito, sei appena iniziato. Sei un foglio bianco con qualche scarabocchio, a indicare un dubbio sull'incipit iniziale. Ma con una storia meravigliosa, e un epilogo glorioso.

Vuoi, ma non riesci. Resti a fissare fino alla fine della partita.

Impotente.


Rukawa ti si avvicina e tu gli passi l'asciugamano.


“Volevi dimostrarmi che posso comunque giocare abbastanza bene anche da post infortunio?” la voce saccente, da chi crede di aver già capito tutto.


“Cosa?” Kaede è seriamente incuriosito dalle tue parole.


“Il tuo marcatore – spieghi – quello con la cavigliera...”


Il tuo compagno gira la testa e nota. Poi si volge a te.


“Non me n'ero nemmeno accorto.”


Solo ora se ne accorge, perché lui era fisso sul gioco. E solo ora ti accorgi che, nonostante tu fossi a un campetto, il tuo primo impeto non è stato lo scappare, ma il correre a giocare. Che la paura c'è, ma ha una voce più bassa, non urla più. Sussurra solamente.


“Guarda che hai deciso tu da solo che un giocatore che si è fatto male deve smettere... - continua - Infortunato o meno, cavigliera o meno, un buon giocatore resta un buon giocatore... Ti ho portato qui solo perché pensavo che ti mancasse il gioco, Hana.”


Non sai come rispondere. Sai che non ha tutti i torti. Tutti ti hanno sempre assicurato che con una buona riabilitazione saresti potuto tornare sui campi. Ma forse, tu per primo, non ci hai mai creduto. E registri con un sorriso la sua gentilezza. Non sai come comportarti.


“Grazie, ma non credo sia servito a molto...”


“Tu dici? - ti allunga il pallone – palleggia.”


“Cosa?” sei stupito e allarmato allo stesso tempo. Non ti aspettavi qualcosa del genere. Non da lui. Dal Gori, o dal Nano. Ma da Rukawa...


“Tranquillo... intendevo da seduto. La schiena non può farti male, no?”


Gli occhi sono spalancati a fissarlo. Poi la tua attenzione è rapita da quella maledetta sfera arancione. Croce e delizia delle tue notti insonni.


Forse tutti i torti non ha. In fondo non è niente di pericoloso.


Già.


Palleggiare da seduto.


Male non può farti.


E allora riempi il silenzio del campetto, con quel ritmico rimbombare. Non sai cosa succederà dopo. Se ridarai la palla a Kaede, capendo che il tuo tempo è finito e tornando sui tuoi passi, o se ti alzerai, prenderai la rincorsa e schiaccerai come solo tu sai fare in tutta Kanagawa.

Sai solo che ora, il quel campetto, tra le risa degli avventori e il vento che soffia dolcemente sulle tue mani, sei a casa.


Si.

Non sai che succederà domani.

Ma stasera.

Casa.



A volte, il passo più difficile che puoi fare, è il primo.


To be continued




Scritta di notte, quindi perdonate errori/orrori, annessi e connessi. Questa volta credo siano davvero tanti.

Capitolo importante. Spero di aver reso bene il senso di pressione di Hanamichi. In quei casi non sai dare un nome alle tue angosce.

Per la nona dovrete aspettare un po'. Almeno una settimana, forse due...

Resistete.


Grazie a Bella07, elyxyz, free, kuro e Shinji.


Miss one.


Stay tuned


Arka

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Capitolo 9
*** Final: Awareness ***


Nine Phases



Final: Awareness


La gola raschia. I conati di vomito ti squassano. Senti un sapore acido in bocca, completamente asciutta. Ma sai che non devi bere. Prima devi spezzare il fiato. E sai benissimo che se ti fermassi a bere faresti una fatica tremenda a ripartire. Allora rallenti solamente, guardandoti bene in giro per non pensare.

E non puoi che apprezzare il completo silenzio della palestra. Dev'essere per questo che piace a una volpe di tua conoscenza.

Il tuo cuore rallenta. Piccoli respiri veloci, per portare alle tue gambe tutto l'ossigeno necessario. Anche se, tutto sommato, stanno meglio di quanto ti saresti mai aspettato. Quelli che scarseggiano sono i polmoni.

Ma tu stai meglio di quanto ti saresti mai aspettato.

Sei cresciuto.


Sei cresciuto Hana...”

Metti la testa fuori dal frigo, attaccato al cartoccio di latte, guardando tua madre con due occhi dubbiosi.

Cosa mà? Non credo di essermi alzato ancora negli ultimi due mesi.”

Lei sorride scuotendo la testa.

Niente Hana, niente.”


Anche Haruko se n'è accorta. E pure tu ne hai avuto il sentore quando ti si è dichiarata, e tu ti sei tirato indietro, l'hai rifiutata. Hai sentito che qualcosa non andava. Hai capito che lei è una cara ragazza. Ma con te ha poco a che fare. Una volta non l'avresti nemmeno pensato.

Un'esperienza come quella che hai passato ti cambia, ti rende nuovo, differente.

Strano.

Pensi di più alle cose. Ti guardi di più in giro. Pensi prima di parlare.


La paura non è passata. Ogni passo lo fai ancora con il cuore che sussulta, sperando di non sentire più quel dolore.

Però lo fai. Non ti fai spaventare. E a esso ne segue un altro. E un altro ancora. Ci metti la testa. Perché ora sai cosa rischi di perdere, e non puoi.


Non vuoi.


Rallenti il passo e, mentre passi di fronte alla panchina, raccogli l'asciugamano senza fermarti, appoggiandolo in testa. Cammini, sciogliendo bene i muscoli. Poi guardi l'orologio. Hai mezzora prima che arrivino i ragazzi, e tu devi fare ancora stretching e ginnastica posturale. Hanno bisogno tutto lo spazio possibile. Devono allenarsi per il campionato estivo, loro.

Tu no. Non perché abbia mollato.

Ma devi recuperare la forma prima di ripartire.

Per evitare soste di qualsiasi altro tipo.


Forse, l'unica cosa che è davvero cambiata in te è la consapevolezza.

Comprendi cosa hai perso. Comprendi cosa tutto ha comportato. E vuoi solo evitarlo, ora. Conosci i tuoi limiti e la tua forza. Conosci. Comprendi.


Cose che, una volta, non ti saresti mai sognato di fare.


La porta si apre. Un ragazzo alto quasi come te, moro, entra. Borsone in spalla, pallone in mano. Molla giù tutto senza nemmeno farti un cenno. Poi, continuando a guardarti scatta verso di te. Un paio di cambi di direzione, una finta, sospensione e tiro. Al ciuffo torna a guardarti. Come per ricordarti che lui è ancora lì. Che devi ancora pedalare per raggiungerlo.


Che lui non rallenterà per aspettarti.


Allora tu sorridi, prendi il pallone e da fermo tiri.


Poi lo fissi.

E lui comprende.


“Ti raggiungerò, Kitsune.


Perché sono un genio.”


E Rukawa si volta senza guardarti.

Ma non può fare a meno di sorridere.

Perché la persona che più si avvicinava al suo concetto di amico, ce l'aveva fatta.


E tu guardi la sua schiena prima di riprendere i suoi esercizi.

La strada è ancora lunga.

Ma sei finalmente rientrato in quella lunga sequenza di eventi che tutti chiamano vita. Ci hai perso molto, ma hai guadagnato altrettanto.


E allora sorridi.


Perché non puoi fare altro.




Owari


Finale scontato, forse. Difficile, perché in questa fase io ci sono davvero da poco. E non è facile comprenderla a pieno. Il rosso ha perso molto, ma credo che qualcosa lo abbia guadagnato.


Un'altra cosa: le canzoni giuste con cui leggere la fiction sono 3: Brothers dalla OST di Fullmetal Alchemist, You and me dei Lifehouse e Another Day dei Dream Theater.


In particolare la seconda per il capitolo quattro.


E ora? Che si fa alla fine di un viaggio? Si ringrazia.

Tutti. Chi è solo passato, chi mi ha commentato. Chiunque. Non mi sarei mai aspettato di essere così seguito. E allora Grazie. A Bella07, desme, elyxyz, free, gaara4ever, Gojyina, kuro, lady hellsing, lucilla_bella, Luna11, Shinji e temarisan.


Spero di avervi dato qualcosa.

Voi molto.


Al prossimo viaggio

Arka

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