We Are a Team, Aren't We?

di Lily Liddell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1/2 ***
Capitolo 2: *** Parte 2/2 ***



Capitolo 1
*** Parte 1/2 ***




We Are a Team, Aren't We?
Parte 1

 
“Nel settantacinquesimo anniversario, affinché i ribelli ricordino che anche il più forte tra loro non può prevalere sulla potenza di Capitol City, i tributi maschio e femmina saranno scelti tra i vincitori ancora in vita.”
~
Sono nel salotto di casa mia quando viene fatto l’annuncio. Non afferro subito il significato di quelle parole, resto immobile e confusa a fissare lo schermo della televisione.
Quando finalmente quella frase comincia ad avere senso, le parole pesano come un macigno nel mio stomaco.
Mentre il servizio in tv continua, la mia mente è altrove. Non riesco a concentrarmi su nemmeno uno dei pensieri che si susseguono velocemente nel mio cervello. Sono per lo più immagini, volti.
Ripercorro con la memoria tutte le morti, tutti i visi dei tributi che ho prima estratto e poi visto morire e alla fine vedo loro, i miei vincitori – no, la mia squadra – straziata e priva di vita, e non posso farci niente, anzi, sarò io a farli tornare nell’arena.
Katniss, Katniss e Peeta- non voglio, non posso. È in quel momento che realizzo, e il mio cervello si ferma.
Katniss è l’unica donna ma Peeta- non riesco a continuare questo pensiero. Devo fare qualcosa, qualsiasi cosa. Quando mi alzo, però, le mie gambe cedono sotto il peso del mio corpo e mi ritrovo per terra, accanto al divano.
Non ho la forza di rialzarmi, stringo le ginocchia al petto e cerco di respirare piano ma il respiro diventano presto singhiozzi incontrollati.
Non voglio far tornare Peeta nell’arena ma non posso farci tornare Haymitch. E mi sento un mostro, perché per un attimo, un breve attimo, non posso non sperare che sia il nome del dolce ragazzo del pane quello che estrarrò dalla boccia alla mietitura.
Questo fa solo peggiorare i miei singhiozzi, mentre poggio la testa sulle ginocchia, sperando che sia solo un incubo, che non sia vero, che non stia succedendo sul serio.
Il mio telefono comincia a squillare, ma non mi muovo. Non riesco più a muovermi, nemmeno quando smetto di piangere e rimango ferma a fissare un punto indefinito del pavimento.
Non so quanto tempo sia rimasta in questa posizione, finché qualcosa cattura la mia attenzione. È il rumore della serratura della mia porta di casa, qualcuno sta entrando nel mio appartamento e sono praticamente certa di sapere di chi si tratta.
Non sono in molti ad avere la chiave.
« Effie! » La voce di Portia arriva preoccupata alle mie orecchie e quando non le rispondo, si avvicina a me, prendendomi per le spalle e aiutandomi ad alzarmi. « Cinna, dammi una mano. Va a prendere un bicchiere d’acqua. »
È come se stessi vivendo un’esperienza extracorporea. Riesco a sentire le loro voci, avverto i loro movimenti accanto a me, li guardo confusa, ma non posso dire una parola.
Portia mi fa sedere sul divano e mi porta verso di lei, abbracciandomi e accarezzandomi la schiena. Cinna torna con l’acqua e mi aiuta a bere un sorso, poi mette via il bicchiere e comincia a fare qualcosa con i miei capelli.
Mi rendo conto che mi ha levato la parrucca solo quando la poggia sul divano, e subito mi stringe una mano, accarezzandomi i capelli con l’altra. « Abbiamo provato a chiamarti, ma non hai risposto. Volevamo controllare come stavi. »
Come sto? Non lo so nemmeno io. Chino lo sguardo, voltandomi verso Portia e nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla, senza riuscire a controllare un’altra ondata di singhiozzi.
Il cuore mi fa male, letteralmente. Una morsa mi stringe dolorosamente il petto e mi impedisce di fare altro se non piangere.
Ero così felice questa mattina… stavo organizzando alcune cose per il matrimonio. Il matrimonio. Le immagini degli abiti di Katniss che il pubblico avrebbe dovuto scegliere si susseguono davanti ai miei occhi. Immagino che sia tutto annullato.
Un’altra fitta mi stringe il petto e le lacrime tornano a rigare il mio viso; come se avesse potuto leggermi nel pensiero, Cinna si alza e si allontana.
Non mi chiedo nemmeno dove stia andando finché non torna con quella che riconosco come la mia cartellina. Senza chiedermi il permesso, la apre e tira fuori dei fogli – le foto di Katniss nei suoi possibili abiti da sposa. « Effie, ho bisogno che tu mi dica se ci sono altre foto in giro. »
Sono confusa, ma scuoto la testa. « N-no. » Riesco a rispondere, controllando appena la voce. « Ma-? »
Portia mi stringe più forte. « Cinna… » Sembra più un avvertimento che un rimprovero, ma lui prende le foto e le mette da parte, poi torna a sedersi accanto a me, poggiandomi una mano sul braccio.
È ormai buio pesto quando riesco a riprendermi un po’. Non mi fido ancora delle mie gambe, quindi rimango seduta. Cinna ha preparato del tè per tutti, Portia non ha lasciato neanche un attimo il suo posto accanto a me.
« Forse dovrei chiamarli, o andare a fare una visita di persona. » La mia voce è roca, rovinata dal pianto e non oso nemmeno immaginare in che stato sia il mio volto.
Cinna scuote vigorosamente la testa, con uno sguardo serio. « No, lascia passare del tempo. » Mi incita a bere un altro po’ di tè, poi comincia anche lui a bere dalla sua tazza.
« Cinna ha ragione, Effie. » Il tono di voce di Portia è meno duro, il suo sguardo più dolce. « Devi restare calma e limitarti a fare il tuo lavoro. »
« Limitarmi a fare il mio lavoro… » Ripeto, con un filo di voce, più a me stessa che ai due stilisti. Non mi sono mai limitata a fare il mio lavoro, se non forse il primissimo anno da accompagnatrice. Come potevo farlo con un mentore come Haymitch?
Quattordici anni. Per quattrodici anni, ogni anno, abbiamo lavorato fianco a fianco, litigando e stando uno alla gola dell’altra. Sono andata ben oltre i miei compiti da accompagnatrice; sono stata la sua balia, la sua amica e la sua amante… e adesso potrei firmare la sua condanna.
Alla fine del Tour della Vittoria temevo di dover affrontare i prossimi giochi senza il conforto che mi dava, temevo che sarei stata costretta ad insegnare a Katniss e Peeta come fare i mentori e questo mi devastava.
Adesso sto rischiando di perderlo per sempre… fino a qualche mese fa non mi ero nemmeno resa conto di quanto la presenza di Haymitch fosse diventata così essenziale nella mia vita.
Cerco di non ricominciare a piangere, anche se gli occhi mi pizzicano e le lacrime premono per uscire. Un singhiozzo strozzato sfugge dalle mie labbra e chino la testa, sconfitta, mentre sento che le mie guance si inumidiscono di nuovo, nonostante i miei sforzi.
Come potrò salire su quel palco durante la mietitura? Con che coraggio potrò guardare in faccia tutti loro?
Il mio corpo viene scosso nuovamente dai singhiozzi, mentre le braccia di Portia ritrovano il loro posto attorno alle mie spalle e mi poggia il mento sulla testa. « Su, su. » Cerca di consolarmi, non so come facciano ad essere così calmi entrambi.
« Bevi, ti aiuterà a dormire. » Cinna mi passa di nuovo la tazza di tè, ormai quasi freddo.
Io obbedisco, e pochi minuti dopo il mio corpo si rilassa e la mia mente comincia ad assopirsi. Comincio a credere che con quel “ti aiuterà a dormire” Cinna intendesse proprio il senso letterale delle parole.
Dormo un sonno senza sogni, che solo un sonnifero potrebbe regalarmi, e quando mi sveglio è da poco passata l’alba. Mi ritrovo nel mio letto, cambiata e avvolta dalle coperte.
Quando guardo fuori dalla finestra, Capitol City appare ancora addormentata. È troppo presto per la maggior parte delle persone, ma io non voglio di tornare a letto.
Le parole di Portia risuonano nella mia mente, non ho intenzione di restare ferma a fare solo quello che la gente si aspetterebbe da un’accompagnatrice.
Non sono solo vincitori, sono la mia squadra, sono amici.
Accendo la televisione solo per impostarla sul muto; non posso rischiare di perdere di nuovo il controllo a causa dei servizi e delle interviste. Il volto del nuovo primo stratega, Plutarch Heavensbee, riempie lo schermo. Sta parlando con Caesar e sulle sue labbra c’è disegnato un sorriso contento.
Il mio stomaco comincia a bruciare alla vista di quell’uomo… sono costretta a distogliere lo sguardo.
Mi concentro su quello che devo fare; prendo immediatamente il telefono e comincio a fare decine di telefonate. Tutti questi anni passati al fianco di Haymitch, mi hanno permesso di fare molte conoscenze, fra strateghi e sponsor.
Non oso provare a chiamare mia madre, non le è mai andato a genio il fatto che non mi sia mai limitata a sorridere davanti alle telecamere.
Nel giro di un’ora, grazie ad alcune persone che mi dovevano dei favori, riesco a recuperare il materiale che mi serve: le registrazioni sui vincitori ancora vivi. Mi è bastato dire che era stato Haymitch a chiederle.
Ho bisogno di tempo per prepararmi psicologicamente prima di provare a chiamarlo veramente, ma lui non mi risponde. Probabilmente ha bevuto fino a perdere i sensi e per una volta non lo biasimo.
Mi decido quindi a chiamare Peeta. Cominciamo a parlare, dopo avergli detto quanto io sia addolorata da questa orrenda situazione in cui si trovano, lo convinco con molta facilità a cominciare a comportarsi come dei Favoriti. Anche lui sembra essere della stessa idea, quindi accetta volentieri di ricevere il materiale che sono riuscita a procurargli.
Prima di congedarmi, mi racconta quello che è successo la notte precedente e le parole mi restano bloccate in gola, senza sapere come rispondere.
Non voglio nemmeno pensare a come possano sentirsi in questo momento. Tutti loro.
Quindi prendo un’altra decisione: nessuno di loro dovrà più toccare una goccia di alcool. L’ultima cosa che gli serve è una Katniss alcolizzata…
Faccio mente locale e racconto a Peeta ogni singolo nascondiglio di Haymitch, non deve restargli nemmeno una bottiglia di liquore bianco. Potrà prendersela quanto gli pare, ora come ora non potrebbe importarmene di meno.
Quando finalmente la telefonata finisce, io mi ritrovo di nuovo vuota, senza sapere più che cosa fare o come aiutarli.
Nei giorni che seguono, Portia e Cinna sono sempre più difficili da trovare. Stanno lavorando a qualcosa di segreto, e di nuovo non vogliono dirmi di cosa si tratti.
Ricordi dei giorni del Tour della Vittoria tornano alla mia mente, e così la sensazione che loro mi credano incredibilmente più stupida di quanto io sia in realtà.
Decido di non intromettermi, perché ho paura che la risposta alle mie domande non mi piacerebbe affatto, spero solo che nessuno dei due si cacci in guai seri. 

 
A/N: Salve a tutti! Era da molto che mi ronzava in testa questa storia, lo so che non c’entra molto con quello che ho scritto ultimamente, soprattutto visto che con l’uscita del Canto della Rivolta, uno forse si aspetterebbe storie che riguardano il film o gli anni successivi… ma volevo un po’ allontanarmi da Petrichor. Ci tornerò appena finirò la seconda parte di questa storia, che comunque arriverà prestissimo!
In effetti questa storia è pensata un po’ come il proseguimento di 13 Days, la storia che ho scritto mesi fa, sul Tour della Vittoria. 
E, dal momento che il prossimo capitolo tratta i momenti precedente all
arena, se volete - non è necessario per il prossimo capitolo comunque - qui potete trovare una one-shot che invece descrive la mietitura dei 75° Hunger Games. Solo, il rating di questa one-shot è arancione, non vado nello specifico, ma cè comunque una scena damore.
Fatemi sapere cosa ne pensate, grazie per aver letto e alla prossima!
 

x Lily

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Capitolo 2
*** Parte 2/2 ***


 
We Are a Team, Aren’t We?
Parte 2
 
“Quando l'inno arriva alle battute finali, i ventiquattro vincitori sono una fila ininterrotta, la prima dimostrazione pubblica di unità tra i distretti dai Giorni Bui. Lo si capisce dal fatto che gli schermi iniziano ad annerirsi, uno dopo l'altro. Ma è troppo tardi. Nella confusione generale, non ci hanno censurati in tempo. Ci hanno visto tutti.”
~
In studio è scoppiato il caos più totale. Stanno mandando via tutti e io sono ferma dietro le quinte, cercando di riconoscere qualche volto familiare.
Quello che ho visto, quello che è successo- non era mai accaduto nulla di simile prima, non so bene come descriverlo.
Così come non so descrivere le sensazioni che provo in questo momento; sono confusa, disorientata e ho paura ad ammetterlo, ma sono anche spaventata.
Una morsa continua a stringermi lo stomaco da quando Katniss si è trasformata in una ghiandaia imitatrice. Cinna è completamente impazzito, cosa credeva di fare?
Non riesco a vederlo, così come non vedo nessuno, nessuno. Ma si può sapere dove sono finiti tutti?
E Peeta… la storia della gravidanza. Non può essere vero.
Qualcuno mi calpesta un piede e qualcun altro mi spintona da dietro, mentre la folla si dirige frettolosamente verso le uscite, nervosa e rumorosa. Comincio a marciare nella direzione opposta, facendomi largo a spallate.
Riesco quasi ad entrare nel Centro di Addestramento, e con la coda dell’occhio vedo Peeta e Katniss che si tengono per mano, stanno entrando nell’ascensore. Dietro di loro ci sono Finnick e Johanna, prima che possano seguirli, però, un Pacificatore blocca loro la strada.
Cerco di passare, ma qualcuno mi afferra saldamente un polso e mi costringe a voltarmi. La parrucca si inclina di lato e sono costretta a reggerla con la mano, mentre mi ritrovo di fronte Haymitch. « Ma dove diavolo ti eri cacciata? » È quasi un ringhio rabbioso, che per poco non mi spaventa. Perché è così preoccupato?
Non ho nemmeno il tempo di rispondergli, perché alle sue spalle compare Portia, è affannata, deve aver fatto una corsa per raggiungerci. « Hai visto Cinna? » La domanda è rivolta direttamente ad Haymitch, lui fa un piccolo cenno con la testa. La folla è talmente impazzita che nessuno bada a noi, anche se stiamo fermi e tutti ci aggirano. « Sta cercando di contattare Plutarch. »
« Plutarch? » Non riesco a trattenermi, mentre mi volto verso di lui, confusa e mi rendo conto che le sue dita sono ancora serrate saldamente attorno al mio polso.
Haymitch non mi risponde, ma mi spinge senza troppe cerimonie verso Portia, che continuando a guardarlo negli occhi con un’espressione che non mi piace affatto, mi afferra per le spalle, per evitare di farmi cadere.
« Portala a casa. » Dice frettolosamente, poi le fa cenno di muoversi. « Non perdete tempo. Portia, portala a casa adesso. Aspettateci lì, non vi fermate. »
Si sta comportando in modo talmente anomalo che non so come reagire; apro la bocca per provare a dire qualcosa, ma quando mi volto per chiedere un supporto di qualsiasi tipo a Portia, mi ritrovo i suoi occhi che mi fissano intensamente.
La conosco da quando avevo diciassette anni, e non una sola volta le ho visto un’espressione simile dipinta sul volto.
È quell’espressione che mi convince a tacere, e a seguirla senza fare altre domande, in mezzo alla folla.
In un battito di ciglia, ci ritroviamo nelle strade di Capitol City, gli enormi teleschermi che generalmente trasmettono le dirette sulle facciate dei grattacieli, sono tutti bui.
Hanno cancellato il riepilogo delle interviste in televisione.
Mi ritrovo incantata, con il naso puntato verso il cielo, a fissare quegli enormi schermi neri, mentre le persone continuano a passarmi accanto, sono veloci, frenetici. Riesco ad afferrare stralci confusi di conversazioni, sono tutti in fermento per quello che è appena successo e io non riesco a muovere un muscolo; uno schermo nero non è mai stato così interessante.
« Effie! » Mi sento chiamare da Portia, che mi costringe a svegliarmi dal mio trance, poi mi prende per mano, guidandomi sui marciapiedi e affrettando sempre di più il passo.
Alla fine ci ritroviamo quasi a correre; Portia si lancia praticamente su un taxi già in corsa, costringe una donna a scendere e mi trascina a bordo. Dà l’indirizzo del mio appartamento e poi si sporge verso l’autista, mettendogli in mano delle banconote.
Senza fare ulteriori domande, lui mette in moto la macchina, che comincia a sfrecciare fra le strade della Capitale.
Durante il tragitto non parliamo, Portia guarda fuori dal finestrino, continuando a mangiarsi le unghie nervosamente. Anche la sua parrucca è terribilmente storta e spettinata, e il trucco sta cominciando a sbavare attorno ad occhi e bocca.
Improvvisamente, senza nessuna vera ragione, anch’io vengo assalita da una tremenda angoscia. Che cosa sta succedendo?
Sarebbe tutto più facile se mi parlassero… è dal Tour della Vittoria che mi tengono nascosto qualcosa. Prima credevo che lo facessero perché hanno poca fiducia in me, poi ho cominciato a pensare che invece lo fanno per proteggermi. Perché è evidente che non credono che io sia in grado di proteggermi da sola.
C’è sempre bisogno di qualcuno che mi guardi le spalle, che mi accompagni a casa… se non è Haymitch deve essere Portia, e se non è Portia allora sarà Cinna.
Non oso parlare qui, perché l’autista potrebbe ascoltare e a questo punto io non so più che cosa pensare.
Perché mi ritrovo in un taxi con la mia migliore amica, che trema letteralmente dal nervoso, e io ho paura di pronunciare anche solo una parola, perché? Perché l’autista del taxi potrebbe, cosa? Ascoltare? È assurdo. Forse sono veramente impazzita.
Resto in silenzio finché non siamo nel mio appartamento, solo allora riesco finalmente a lasciarmi un po’ andare. « Posso sapere che cosa sta succedendo? »
Ovviamente la mia è una domanda retorica, io pretendo di sapere che cosa sta succedendo.
Sono ferma accanto alla porta d’ingresso, mi guardo intorno portando le mani sui fianchi, mentre Portia ha già raggiunto il divano, si è seduta e adesso si sta massaggiando la fronte, stanca. « Effie- non sei una stupida. »
L’ironia. Finalmente lo ammette, eppure per una volta io mi sento esattamente come se lo fossi, perché non ho la più pallida idea di come dovrei interpretare questa sua risposta. O forse sì, ma non voglio accettarlo.
Dov’è Haymitch? Perché mi ha mandato via con tanta fretta? E Cinna… dove sono adesso tutti e due? Con Plutarch… vogliono provare a corrompere il Primo Stratega? No, non è credibile.
Voltandomi verso di lei, la mia parrucca – già storta per via degli scontri di prima – s’inclina completamente da un lato, finendomi sugli occhi e in un gesto che non mi si addice affatto, me ne libero lasciandola cadere su un mobile dell’ingresso.
Portia, imitando automaticamente i miei movimenti, rimuove anche la sua parrucca bionda, abbandonandola sul mio divano. I suoi capelli neri le ricadano sulle spalle, poi si lascia andare contro lo schienale, sospirando rumorosamente.
La raggiungo lentamente, passandomi le mani fra i capelli per cercare di sistemarli. È stato tutto così frenetico che ora, nel silenzio del mio appartamento, mi sento quasi a disagio. « Devo chiamare la mia famiglia? » Le chiedo, e lei solleva lo sguardo su di me.
Per un attimo non risponde, mi guarda e basta, come se stesse cercando di leggermi nel pensiero. Alla fine scuote la testa, prendendomi una mano e poggiandola sul mio ginocchio. « No, no. Tu e la tua famiglia siete al sicuro. »
Al sicuro. Al sicuro da cosa?
Non faccio in tempo a chiedere che qualcuno bussa alla porta del mio appartamento e sia io che Portia sussultiamo, spaventate. Restiamo immobili, in attesa di qualcosa – anche se non so il motivo, dovrei solo alzarmi e andare a chiedere chi è.
« Dolcezza, apri la porta, sono io. »
In un attimo sono di nuovo in piedi, con il cuore che mi martella nel petto e anche Portia si alza con me.
Quando apro la porta ad Haymitch, è evidente che lui non si aspetta di venire abbracciato ancora prima di poter entrare. Nonostante la sorpresa iniziale, ricambia l’abbraccio quasi immediatamente.
La porta è ancora aperta e io ho le braccia allacciate al suo collo, stringendomi a lui come se fosse la mia ancora di salvataggio. « Ti prego, dimmi che Peeta mentiva sul bambino. »
Non ce la faccio più, ho bisogno di sapere. Haymitch annuisce, e quando parla le sue labbra mi sfiorano appena il collo. « È stata una bella mossa. »
Finalmente, almeno adesso qualcosa è più chiaro. « Ha funzionato? » È un sussurro, appena percettibile. Ma è una domanda incredibilmente stupida.
« No. » La risposta arriva immediatamente, non senza un velo di amarezza nel suo tono di voce.
Mi lascia andare e sento immediatamente la mancanza del suo calore. I suoi occhi si spostano su Portia, mentre mantiene la porta aperta. « Cinna è rimasto al Centro di Addestramento, ha preferito non rischiare di muoversi, ti sta aspettando. »
Visibilmente sollevata, Portia inspira profondamente e poi abbraccia velocemente Haymitch, prima di voltarsi verso di me e stringermi forte fra le sue braccia, poggiandomi anche un bacio sulla fronte. « Sta tranquilla, e cerca di dormire. »
Io annuisco, senza ancora lasciarla andare. « Ci vediamo domani. » La saluto, e finalmente mi decido a separarmi da lei. Prima di andarsene ci scambiamo un ultimo, debole sorriso, poi esce dal mio appartamento e io chiudo la porta alle sue spalle.
Haymitch ha già preso il posto di Portia sul mio divano, solo in quel momento mi rendo conto che ha dimenticato la sua parrucca lì. La recupero e la pettino appena con le mani, portandola accanto alla mia e sistemandole più ordinatamente. Gliela riporterò domattina, dopo che avrà accompagnato Peeta all’hovercraft.
Torno a sedermi sul divano, più calma. La presenza di Haymitch mi rassicura, anche se continuo ad avercela con lui perché si ostina ancora a tenermi fuori da tutto quello che sta succedendo.
Ho deciso di non chiedergli nulla, non mi risponderebbe e mi farebbe solo infuriare. Mi credono stupida? Bene, allora reciterò la mia parte, facendo finta di essere sorda o cieca.
Con uno sguardo terribilmente stanco e pericolosamente sobrio, Haymitch mi tira appena verso si sé, costringendomi a sporgermi verso di lui finché non sono praticamente appoggiata contro la sua spalla.
Non ho fatto poi troppa resistenza, sono ancora molto stranita da tutta questa situazione e il braccio che mi cinge la vita riesce come al solito a tranquillizzarmi.
Chiudo gli occhi per un istante, provando a tenere distanti tutti i brutti pensieri e i dubbi che ronzano nella mia testa da fin troppo tempo.
« Ho parlato con i ragazzi. » La voce di Haymitch è quasi assonnata, quando sollevo la testa dalla sua spalla per guardalo in faccia, lui si sta massaggiando le palpebre, cercando di tenere gli occhi aperti. Una veloce occhiata all’orologio a muro mi informa che sono passate da poco le tre di notte, non mi ero resa conto che si fosse fatto così tardi.
« Ti hanno detto qualcosa? » Improvvisamente mi rendo conto che domani avrò molto da fare e che non mi è permesso di accompagnarli agli hovercraft. Ho perso la mia occasione di salutarli…
Haymitch annuisce, stringendo appena la presa attorno alla mia vita, in segno di conforto. « Mi hanno fatto promettere che ti avrei portato i loro saluti. Vogliono che ti ringrazi e che tu sappia quanto hanno apprezzato il tuo lavoro e che – testuali parole di Katniss – sei stata l'accompagnatrice migliore di sempre, e ti vogliono bene. » Il suo tono tenta di essere leggero, quasi a prendermi in giro.
Ma non serve a niente, perché gli occhi mi si riempiono di lacrime lo stesso e chino nuovamente la testa sulla sua spalla; lo sento sospirare pesantemente, consapevole di aver fallito miseramente nel suo tentativo penoso di addolcirmi la pillola.
« Loro- » Un singhiozzo mi impedisce di continuare, ma Haymitch non mi interrompe, aspettando che provi a riprendere a parlare. « Loro meritavano, tutti e due, molto di più. »
Rimaniamo in silenzio, ogni tanto rotto solo dai miei singhiozzi, quando non riesco a controllarli e le lacrime continuano a rigare il mio viso.
Domani – oggi, anzi, fra qualche ora – Katniss e Peeta saliranno sull’hovercraft che li porterà nell’arena. Arena piena di persone che conosco, che Haymitch considera suoi amici. Non so come riusciremo a cavarcela questa volta… non vedo vie d’uscita.
« Sei riuscito a parlare con qualcuno? » Gli chiedo alla fine, quando il mio respiro torna regolare, spostando solo la testa per guardarlo negli occhi, perché non voglio smettere di essere abbracciata. « Cecelia, Chaff, Finnick, Mags? »
In un primo momento lui scuote la testa, rimanendo silenzioso, poi sembra ripensarci. « No, sì. Ho- ho parlato con Finnick, ha detto che si alleerà con i ragazzi. »
Non so come prendere la notizia, Katniss sembrava piuttosto sicura sul non voler stringere alcun tipo di alleanza all’interno dell’arena. « Non si fiderà mai di nessuno che non sia Peeta. »
In risposta Haymitch solleva il braccio con cui non mi sta abbracciando, e non capisco subito che cosa stia cercando di dirmi, poi i miei occhi cadono sul suo polso e mi rendo conto di cosa c’è, o meglio di cosa non c’è. Il braccialetto d’oro che gli ho regalato.
Così da sembrare un’unica squadra.
Il mio sguardo è incerto. « Credi che basterà? » Perché io non sono sicura che un gioiello d’oro possa bastare a Katniss per fidarsi di un perfetto sconosciuto.
« Lo spero… » Dice lui, senza aggiungere altro. È ovvio che l’unica cosa da fare è riporre fiducia nella ragazza.
Istintivamente gli stringo una mano, senza smettere di guardarlo negli occhi. Non c’è speranza, né paura o rabbia. Sono vuoti, terribilmente vuoti. « Mi dispiace. » E non so bene per quale motivo io mi stia scusando, non so nemmeno se sono scuse vere e proprie in realtà. Quello che so, con certezza assoluta, è che è vero: mi dispiace. Mi dispiace sul serio, per tutto quello che sta succedendo.
Credo che, nonostante nemmeno io riesca a capire bene il senso delle mie parole, lui invece ci riesca perfettamente. I suoi occhi si illuminano solo per un istante, ma è abbastanza per farmi sentire il peso del suo sguardo e quasi non riesco a sopportarlo.
Il mio labbro inferiore comincia a tremare pericolosamente, e prima che io possa scoppiare nuovamente a piangere, Haymitch mi bacia, nel tentativo di impedirmi di farlo.
Come il suo primo tentativo di migliorare le cose, in realtà le peggiora solamente. Ricambio il bacio, ma le lacrime cominciano a scendere, bagnando le mie guance e il suo viso.
Haymitch prova ad approfondire il bacio e io glielo concedo, perché con i giorni che ci aspettano, non so quando potremo avere un momento tranquillo per noi.
Mi era mancato il suo tocco, e avrei preferito averlo ritrovato in un momento diverso.
Quando i miei polmoni reclamano ossigeno, sono costretta a separarmi da lui, ma non mi sposto. In un raro gesto di tenerezza, mi sfiora una tempia con le labbra. « Va a letto, Effie… hai bisogno di dormire. »
Non è mai un buon segno quando usa il mio nome al posto di stupidi nomignoli. Sono quasi le quattro, ormai ho ben poco da dormire e quando verrà il momento di truccarmi, dovrò lavorare parecchio per coprire le occhiaie. No, non chiuderò occhio, ne sono certa. Come potrei?
Nonostante il suo consiglio, non dà segno di volersi muovere.
Dovrebbe tornare al Centro di Addestramento, e io dovrei andarmi a cambiare e levare il trucco sciolto dalla faccia. Invece Haymitch resta accanto a me, sul divano e finiamo per addormentarci contro ogni mia aspettativa.
L’unica speranza a cui posso aggrapparmi è quella di rivedere vivo almeno uno dei miei due vincitori.


A/N: Okay, sono veramente  quasi le quattro. Anzi, per quando avrò pubblicato le quattro saranno anche passate. Non sto bene, lo so… ma volevo finire di scrivere questa storia e l’ispirazione mi è arrivata due ore fa.
Ho pianto mentre scrivevo e mentre rileggevo pezzetti di Catching Fire per poter scrivere meglio. Mi manca Cinna, mi manca Portia e il rapporto magnifico che c’era fra questi quattro prima che tutto cadesse in rovina.
Ora che questa mia piccola storia si è conclusa, posso tornare ad occuparmi di Petrichor, ho un matrimonio da celebrare!
Ho scritto qualcosa che potrebbe essere un capitolo aggiuntivo a questa storia, ma alla fine un po’ tutte le mie one-shot seguono lo stesso filo logico e hanno un po’ di continuità. In particolare, c’è Segreti che è vista dal POV di Haymitch, ambientata durante i primi momenti di Katniss e Peeta nell’arena dei 75° giochi e poi c’è Prigionia che invece racconta dell’esperienza di Effie in prigione, dopo quindi che la catturano alla fine dell’Edizione della Memoria.
Spero di avervi tenuto un po’ di compagnia, grazie per aver letto e a presto con altre storie!
 

x Lily

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