Chances di Alexiel Mihawk (/viewuser.php?uid=28142)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chances ***
Capitolo 2: *** To be is to be perceived ***
Capitolo 3: *** This world spins from the same unseen forces that twist our hearts ***
Capitolo 4: *** Death is only a door ***
Capitolo 5: *** It's all about your cries and kisses ***
Capitolo 6: *** It's all about you ***
Capitolo 7: *** I believe that love is real ***
Capitolo 1 *** Chances ***
Note: lo so che il
Fandom italiano di Frozen è quasi solo composto di shipper
accanite di Helsa (vi invidio tanto, avete un sacco di belle fic da
leggere), ma io la mia OTP proprio non riesco a mollarla. Questa
è una Hans/Anna reincarnation!Modern AU; non so se in futuro
ci farò un seguito o meno, dipenderà dai miei
impegni e dall'ispirazione, per ora rimane questo, uno spiraglio di
luce e una possibilità perché c'è
sempre la possibilità di rimediare ai propri errori.
Questa storia doveva essere una One Shot, ma poi mi sono accorta che non era mai vero e ora è una long in sette capitoli. Prima che vi ci inoltriate ho tre cose da dirvi:
1) leggete sempre le note, le lnote sono belle (lunghe) e chiariscono i dubbi (e ci ho messo un sacco a scriverle)
2) la colonna sonora di questa storia è Chances, degli Athlete, se leggete con la canzone in sottofondo, magari piazzata a ripetizione, la lettura ne gioverà. Tanto. (Scusatemi Doctor Who fans, per tutti questi Vincent feels)
3) Se non avete visto Cloud Atlas potrebbero esserci degli spoiler sul film che viene spesso citato nelle quote a inizio capitoli e che i protagonisti si mettono a vedere (perché sì, angst).
If
I had the chance to start again
Then
you would be the one I'd come and find
Like
the poster of Berlin on my wall
Maybe
there's a chance our walls might fall
Chaches –
Athlete
Chances
È
così impegnata a farsi una selfie da mandare a sua cugina
che non si accorge di
andare a sbattere contro qualcuno; il mocaccino, nel bicchiere di
cartone di
Starbucks, ondeggia pericolosamente tra le sue mani, minacciando di
rovesciarsi,
ma la ragazza riesce miracolosamente a non farlo cadere.
«Vuoi
guardare dove vai?» un ragazzo dall’aria piccata la
guarda da dietro un paio di
spessi occhiali scuri, non riesce a vederne lo sguardo, ma capisce che
la sta
rimproverando; forse le importerebbe di meno se non fosse che si tratta
di un
ragazzo incredibilmente affascinante, alto e con una chioma di capelli
rossicci
che culmina in due lunghe basette.
«Scusami,
scusami, mi dispiace tantissimo! Che cosa imbarazzante, cioè
io sono imbarazzante,
tu non sei imbarazzante, tu sei bellissimo. Aspetta, cosa? Ti sei fatto
male?»
domanda Anna ricomponendosi, infila il cellulare nella borsa e osserva
preoccupata il giovane.
Lui
scuote la testa e aggrotta la fronte, quindi lentamente si toglie gli
occhiali
e sbatte un paio di volte le palpebre. La
conosce? Perché non riesce a togliersi di dosso
una strana sensazione di
déjà-vu.
«Sicuro
di stare bene? Hai l’aria un po’ persa»
esclama la ragazza prendendolo per un
braccio e conducendolo fino a una panchina «Non volevo
venirti addosso, ma sai
alle volte non so proprio dove io abbia la testa, mia sorella dice che
sono la
quint’essenza della goffaggine. Comunque io sono Anna,
piacere».
Lui si
passa una mano sul volto, senza capire cosa
gli stia succedendo, stringe le palpebre e davanti ai suoi occhi,
serrati come
una morsa, sfilano una serie di immagini, una più assurda
dell’altra, una più
sgradevole dell’altra: un castello in un arcipelago del sud,
un ballo durante
un’incoronazione, un vestito verde, una risata, ciocche di
capelli arancioni
che si tingono di bianco, una sensazione alla bocca dello stomaco, come
di
rimorso? Oh, Anna, se solo qualcuno ti
amasse davvero. Sussulta, ma ovviamente lei non se ne
accorge; la sente
parlare in sottofondo, ma non la sta davvero ascoltando. Quando riapre
gli
occhi, dopo un tempo che a lui è parso infinito, fissa il
suo sguardo in quello
della ragazza.
«Anna?»
mormora con stupore, lei annuisce
perplessa, non è che il suo nome sia così
originale dopo tutto «Io sono Hans».
Gli
stringe la mano con foga e sorride, perdendosi
un attimo in quegli occhi verde smeraldo, le sembra una sensazione
nota, ma non
ci fa caso. Hans d’altra parte non sa cosa fare, continua a
sovrapporre la
figura di quella ragazza in jeans e canotta a quella di
un’altra donna, di
un’altra Anna, qualcuno che lui sa di non conoscere, ma con
cui, allo stesso
tempo, sente di avere condiviso qualcosa di estremamente importante; la
giovane
sorride e nelle sue orecchie rimbomba una eco, posso
dire una follia?
«Hans
è un bellissimo nome!» esclama lei
lasciandosi cadere sulla panchina al suo fianco e sorseggiando il suo
mocaccino
«Ti senti meglio?»
«Sì,
credo di sì» sorride il ragazzo osservandola.
La stessa naturalezza nei movimenti, la stessa adorabile goffaggine, lo
stesso
entusiasmo, ma in aggiunta, questa volta, una benedizione:
l’oblio del passato.
Un oblio che in qualche modo a lui non è stato concesso e
Hans si chiede
perché? Perché a lui, perché adesso.
Magari, sente una
vocina sussurragli, per avere una seconda
occasione, per avere
l’opportunità di sistemare le
cose, di chiedere scusa, sia maledetta la sua coscienza, lei
e i suoi
consigli di redenzione.
In quel
momento lei si alza dalla panchina e gli dà
una pacca amichevole sulla spalla.
«Fantastico!
Allora io vado, ci si vede in giro,
Hans» fa per incamminarsi quando la sua voce calda e gentile
la richiama
indietro.
«Anna,
aspetta!»
«Sì?»
Lo vede
arrossire leggermente e dentro di sé trova
che sia adorabile.
«Ecco»
inizia lui titubante «Me lo daresti il tuo
numero?»
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Capitolo 2 *** To be is to be perceived ***
Non
dite che non vi ascolto mai! Ecco qui il secondo capitolo di Chances, e
il terzo è già in fase di scrittura, prima di
partire, però qualche pallosa nota, che vi prego vivamente
di leggere.
Note: In tutti i
miei headcanon Hans è
dislessico. Per quanto riguarda il concetto di reincarnazione:
ovviamente i
personaggi si reincarnano in persone nate in nuclei famigliari diversi,
hanno
background differenti da quelli originali (Altrimenti vi immaginate che
casino se ogni volta rinascessero sempre gli stessi nuclei famigliari? Nopety
nope),
quindi Hans in questa vita non ha fratelli e non ha avuto unafamiglia
bastarda,
Anna non ha sorelle (ma Elsa comparirà, non preoccupatevi,
perché la amo troppo
per lasciarla da parte). Rapunzel giocherà un ruolo
abbastanza di rilievo per
tutta la storia e più avanti sarà lei a chiarire
bene come funzioni il concetto
di reincarnazione e in base a cosa ci si ricordi delle vite passate,
sappiate
che però non capita a tutti, è una cosa molto
rara. Ultima nota, Hans e Anna si
sono incontrati già altre volte, in un sacco di vite, e
quando si incontrano ad
Arendelle, non è la prima volta, solo che si tratta della
volta in cui Hans
rovina ogni cosa e in qualche modo rovina il ciclo.
Le
ultimissime due cose, poi giuro che vi lascio andare:
- ho
scritto una One Shot, sempre su Hans e Anna, di cui vado parecchio
fiera e a cui sono molto legata, è parecchio lunga, ma se
avete voglia di darci un'occhio è qui: Redemption:
under a benign sky (e sì, questa volta
è canon era e ci sono anche Kristoff ed Elsa,
perché li amo tutti)
- Io
e alcune amiche abbiamo iniziato il FanFiction Meme su Livejournal,
funziona così, io dò una lista di fandom e il
mondo mi lascia dei prompt su quei fandom, in modo che io possa poi
scriverci, trovate la mia lista qui
sul mio Livejournal, se volete passare e lasciare dei prompt
sentitevi liberi di farlo
To
be is to be perceived
To
be is to be perceived. And so to know thyself is only possible
through the eyes of the other. The nature of our immortal lives is in
the
consequences of our words and deeds that go on apportioning themselves
throughout all time. Our lives are not our own; from womb to tomb, we
are bound
to others, past and present, and by each crime and every kindness we
birth our
future.
Sonmi-451
– Cloud Atlas
Il
vero amore trascende il tempo e lo spazio, rompe maledizioni e scatena
guerre.
Ci
sono individui, a questo mondo, che sono legati da un filo sottile e
sono
destinati a incontrarsi ancora e ancora, in ognuna delle loro vite; per
questi
individui la morte è solo una linea di passaggio, un
confine, che, come ogni
confine che si rispetti, può essere superato.
La
prima volta che Hans ha ricordato il suo passato, seduto su quella
panchina
verde bottiglia, ha creduto di essere impazzito, ma quando i flash
hanno smesso
di scorrere davanti ai suoi occhi ha capito che quella non era altro
che una
eco di un tempo lontano. Ritornato a casa, nel buio della sua stanza,
ha
pensato a lungo al significato di quei ricordi, scavando nella memoria
senza
riuscire, però, a trovare alcun riscontro.
Ora,
a distanza di qualche giorno osserva il suo iPhone con aria nervosa e
si chiede
se ne valga la pena, se sia il caso di tentare; si guarda allo specchio
e si dà
mentalmente dello stupido, perché è ovvio che
vale la pena tentare, altrimenti
non avrebbe ricordato nulla.
Invia
il messaggio con mano tremante e impreca, sentendosi di nuovo un
sedicenne alla
prima cotta.
Anna gli
sorride e il
mondo smette di girare, tutto il resto non ha più importanza
perché lei è lì,
di fronte a lui, e, anche se non l’ha mai vista prima, Hans
sente di conoscerla
da una vita, sente che l’ha già incontrata,
perché lui quelle lentiggini e quel
sorriso sbilenco se li ricorda. Quando Citron lo lascia cadere in acqua
al
principe non importa perché ha incontrato lei e per un
attimo si dimentica del
motivo per cui si trova lì, si dimentica di Arendelle, del
trono e dei suoi fratelli.
Quando
il telefono di Anna vibra lei è in bagno e ci pensa la sua
compagna di stanza a
controllare di chi si tratti. L’autore del messaggio
è stato salvato come “Hans
il figo della panchina” e nel
vederlo Rapunzel ridacchia, ripensando al racconto dell’amica
di qualche giorno
prima.
«Che
succede?» domanda la ragazza in questione entrando nella
stanza.
«Ti
ha scritto Hans» è la placida risposta della
bionda mentre provvede lei stessa
a replicare al messaggio.
«Che
stai? Oh, Punzie, smettila!» Anna le sottrae il telefono
arrossendo leggermente
nel leggere la conversazione «Un
piacere
e un onore? Ma chi parla così!?»
«Dai,
Anna, in fondo avevi già intenzione di andarci no?»
La
giovane arrossisce e annuisce debolmente, certo che sì.
«Lo
hai visto di nuovo?» domanda quindi la compagna di stanza
sbocconcellando
Mikado e lanciandole un’occhiata in tralice.
Anna
si lascia cadere sul suo letto e con un braccio si copre gli occhi.
«Ho
fatto un sogno, sfioravo le sue mani».
Rapunzel
la raggiunge e le lancia addosso la confezione di dolcetti, non
c’è niente di
meglio per tirare su il morale dell’amica, soprattutto quando
è confusa e non
sa bene che pesci pigliare.
«Sai,
anche io, all’inizio, quando ho incontrato Eugene
–»
«Ti
prego, Punz, chiamalo Flynn, quel soprannome che gli hai dato
è atroce!»
«Quando
ho incontrato Eugene continuavo a sognarlo, e ora? Era destino, e
fidati,
sorella, se il destino ti parla è il caso di
ascoltarlo».
«Hai
mangiato di nuovo i muffin con la cannabis dei ragazzi di
ingegneria?»
Quando
Hans invita Anna ad uscire non sa niente di lei.
Non
ha idea di quanti anni abbia, né di cosa faccia nella vita,
non sa con chi
viva, se abbia sorelle o se sia di nuovo orfana.
Quello
che sa è che le sue lentiggini lo fanno impazzire e che
vuole scoprire se la
sua risata è davvero contagiosa come la rammenta, vuole
vedere se è ancora la
stessa persona entusiasta dei suoi ricordi e spera che continui a non
avere la
più pallida di chi lui sia.
Mentre
l’aspetta infila le mani nelle tasche della giacca alla
ricerca di una
sigaretta, si era ripromesso di smettere, ma quando è
nervoso non riesce a
farne a meno; con un movimento elegante l’accende e ispira,
il fumo acre gli
invade i polmoni e, senza sapere perché, Hans ha la
sensazione che sia giusto
così. Quando Anna arriva rimane senza fiato, a dire la
verità rimangono
entrambi senza fiato, Hans perché si strozza aspirando, la
ragazza perché senza
accorgersene trattiene il respiro nel vederlo. Merda,
è ancora più figo di quanto ricordasse.
«Dove
mi porti?» gli domanda con le mani dietro la schiena.
Il
ragazzo sorride, osservando il suo vestito verde bottiglia decorato con
fiori color
panna, e le indica una direzione; camminando a suo fianco scopre che
Anna ha
quattro anni meno di lui e che no, in questa vita non ha sorelle, ma ha
un
sacco di amiche. Scopre che studia letteratura inglese, che odia Hardy,
adora
Shakespeare e il suo scrittore preferito è Conrad. Per tutto
il tragitto la
ragazza non smette mai di parlare e risponde con gioia alle sue
domande, felice
di vedere, per la prima volta, un ragazzo davvero interessato a sapere
tutto di
lei.
Quando
arrivano al locale, Anna trattiene un gridolino di gioia,
perché quello è il
paradiso.
«Una
cioccolateria! Mi hai portato in una cioccolateria! Oh, io adoro il
cioccolato!»
Lo so, vorrebbe
risponderle, ma rimane in
silenzio e le sorride, guardandola con dolcezza.
«Vieni,
entriamo».
Si
siedono ad un tavolino rotondo e una ragazza paffutella
dall’aria allegra arriva
portando loro un enorme menù: è più il
tempo che passano a sfogliarlo – le loro
teste vicine, le loro guance che si sfiorano – che quello che
ci mettono a
decidere. Non devono nemmeno consultarsi perché entrambi
ordinano la stessa
cosa, nello stesso momento.
«Una
fontana di cioccolato, per favore!»
La
cameriera li guarda ed emette un risolino, quindi se ne va mormorando
qualcosa
riguardo al quanto siano adorabili.
Anna
arrossisce e per smorzare l’attenzione inizia a riempire Hans
di domande sulla
sua vita. Cosa fai? Studi? Lavori? Hai
fratelli? Vivi da solo?
Lui
le racconta tutto quello che può, cercando di essere il
più sincero possibile,
questa volta. Le dice che ha una sorella più grande e che
sì, vive da solo,
lavora come giornalista presso un editore locale, ma è
contento del suo incarico
e spera di riuscire a ottenere una promozione a breve; le racconta
della sua
famiglia e dei suoi genitori, di come sua madre sia una pediatra e una
donna
eccezionale e le parla di suo padre, pompiere. Più racconta
più gli occhi di
Anna si illuminano di eccitazione e interesse.
Hans
vorrebbe riuscire a mantenere quel fuoco sempre acceso e dentro di
sé spera di
riuscirci.
Sulla
via del ritorno la mano di Anna sfiora la sua e per il ragazzo
è come ricevere
una scarica elettrica, ma non osa afferrarla: è ancora
presto, si dice, la
prossima volta.
La
domanda della ragazza lo coglie di sorpresa, perché non ha
nessun legame
apparente col resto della conversazione e non riesce a capire da cosa
l’abbia
intuito.
«Sei
dislessico?» chiede Anna nel bel mezzo di un discorso sulle
foche.
Hans
si blocca e la fissa negli occhi, interdetto.
«Beh
sì, sono sempre –» cosa sta per dirle?
Che in tutte le sue vite è sempre stato
dislessico? «Sono migliorato col tempo».
«Scusa,
non so da dove mi sia uscita, è solo che a un certo punto mi
sono ritrovata con
la domanda sulla punta della lingua e BAM!»
Hans
scoppia a ridere quando il pugno della mano destra di Anna incontra il
palmo
della sinistra e un raggio di sole gli illumina il viso facendo
risaltare le
poche lentiggini e i capelli rossicci; nel vederlo così la
ragazza tende la
bocca in un sorriso, perché Hans non è figo in
quel momento, è bello, ma bello
davvero.
«Comunque,
se può farti stare meglio» e non sa
perché la cosa dovrebbe renderlo triste in
primo luogo «Un sacco di giornalisti e scrittori famosi erano
dislessici. Lo
sapevi che Fitzgerald lo era? E anche Victor Hugo!»
«E
Leonardo da Vinci, George Washington, Vincent VanGogh, Wiston Churchill
ed
Harrison Ford. Lo so, mia madre, quando ero piccolo, mi riempiva la
testa delle
gesta dei dislessici più famosi della storia. Per farmi
capire quanto sono
speciale, diceva».
«E
aveva ragione!» esclama Anna «Sei
speciale».
E
lei intende “Ognuno di noi
è speciale,
ognuno di noi è unico, ed è giusto che tua madre
ti abbia aiutato a capirlo”,
ma quello che Hans capisce è un’altra cosa e
quando Anna finisce di parlare,
proprio nel momento in cui realizza quello che ha detto e come potrebbe
essere
frainteso, prima che possa dire qualsiasi cosa per chiarirsi, Hans si
china su
di lei e le posa un bacio leggero sulle labbra rosate.
La
ragazza sobbalza e solo dopo qualche secondo chiude gli occhi e
risponde al
bacio; gli passa le mani intorno al collo mentre un braccio di Hans le
circonda
la vita. È una sensazione strana: quelle labbra, quelle
mani, ad Anna sembra di
averle già conosciute, il suo corpo le riconosce e risponde
al loro tocco.
Quando
si stacca è rossa come un peperone e non riesce a smettere
di sorridere e
quando lo saluta gli promette che la prossima volta deciderà
lei dove andare e
sarà indimenticabile.
Hans
la guarda andare via e come la vede girare l’angolo il suo
sorriso si piega in
una smorfia triste. Non può durare,
prima o poi Anna si ricorderà di lui, prima o poi Anna si
ricorderà di cosa ha
fatto e le azioni del suo passato torneranno a tormentarlo
dimostrandogli che
non esistono seconde possibilità per quelli come lui. Le
conseguenze delle sue
azioni si protraggono oltre il tempo, ripercuotendosi sul presente,
cambiandolo
e dimostrandogli quanto sia stato un folle, perché ora sta
di nuovo per perdere
ogni cosa.
Postilla:
Traduzione
del quote a inizio capitolo: Essere vuol
dire essere percepiti, pertanto conoscere se stessi è
possibile solo attraverso
gli occhi degli altri. La natura della nostra vita immortale
è nelle
conseguenze delle nostre parole e azioni, che continuano a suddividersi
nell’arco
di tutto il tempo. La nostra vita non è nostra, da grembo a
tomba, siamo legati
ad altri, passati e presenti, e da ogni crimine e ogni gentilezza
generiamo il
nostro futuro. Non lo traduco perché penso che non
siate in grado di
capirlo da sole, ma perché l’ho scelto apposta,
perché è fondamentale per la
storia. Le due grandi ispirazioni di Chances sono l’omonima
canzone degli
Athlete e Cloud Atlas, quindi quando vedete le citazioni a inizio
capitolo
leggetele.
|
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Capitolo 3 *** This world spins from the same unseen forces that twist our hearts ***
ATTENZIONE:
I feels che ha scatenato in me la scrittura di questo capitolo. Le note
sono a
fondo pagina e vi chiedo gentilmente di leggerle DOPO la lettura, per
avere più
chiare alcune cose, ma non avere spoiler sui contenuti. Vi dico solo
che ho
deciso di utilizzare un pochino quello che ho studiato in cinque anni
di liceo
e una laurea in archeologia.
3.
This world spins from the same unseen forces that
twist our hearts
In momenti come
questi, sento chiaramente battere il tuo cuore come sento il mio, e so
che la
separazione è un’illusione. La mia vita si estende
ben oltre i limiti di me
stesso.
Robert
Frobisher – Cloud Atlas
I
sogni sono presto sostituiti dagli incubi.
Hans
si sveglia ansante e sudato, le mani a stringere convulsamente le
lenzuola e lo
sguardo perso nel buio della stanza. Anna è venuta a cena da
lui la sera prima
e, dopo una bottiglia di vino e una pizza, hanno trascorso la serata a
guardare
un film seduti sul suo divano, poi lei è tornata a casa e
Hans è rimasto solo a
maledirsi per non averle proposto di restare.
Ora,
dirigendosi verso la cucina alla ricerca di un bicchiere
d’acqua, ringrazia di
non averlo fatto, perché se l’avesse visto in
quelle condizioni avrebbe
iniziato a fare domande e Hans non vuole sentirsi costretto ad
ammettere che
l’ha sognata, che l’ha sognata morire. Questa volta
però è stato diverso, Anna
non moriva congelata, ma era di fronte a lui, il fuoco nei suoi occhi e
i
proiettili nel suo corpo; e gli sembra di rivedere il volto
dell’uomo che l’ha
uccisa e il suo sorriso sarcastico nel vederla accasciarsi al suolo.
L’unica
consolazione è che almeno, questa volta, non l’ha
uccisa lui, almeno il suo
sangue non è sulle mani.
O
forse non lo è mai stato, perché Anna
è viva, Anna respira e ride e cammina e
gli telefona quando si sente sola, quando ha voglia di vederlo, quando
le manca
troppo. Anna esiste in questo mondo e lui l’ha trovata ed
è su questo che deve
concentrarsi adesso o rischia di impazzire.
Anna gli dice
che Elsa
le ha gelato il cuore e solo un atto di vero amore può
salvarla; gli occhi di
Hans si sgranano per la sorpresa ed è tentato di fare un
passo indietro e
scappare, perché non è possibile che lo stiano
mettendo di fronte a quella
scelta di nuovo. Scegliere tra Anna e il desiderio di tutta una vita:
ma in
fondo Anna è sempre lì, è sempre stata
presente in ognuna delle sue vite e forse,
per una volta, può farne a meno, pensa. Oh, Anna, se solo
qualcuno ti amasse
davvero. E mentre pronuncia quelle parole sente qualcosa che va in
pezzi e
forse è la sua umanità, perché ha
scelto il potere e ha cercato di sovvertire
un ordine che dovrebbe essere naturale. E se avessi rovinato tutto? Si
domanda.
E se nella prossima vita lei non mi volesse più? Ma in
realtà Anna non si
ricorda di lui nemmeno in questa di vita, perché lei
è sempre stata quella la
cui memoria richiedeva più tempo. Anche se alla fine ci
arrivava sempre a
ricordarsi di lui.
Sono
le due del mattino e non riesce a riprendere sonno in alcun modo, il
vociare
sommesso dei presentatori notturni in televisione non gli è
di alcun conforto e
Hans osserva la bottiglia di vino rimasta aperta sul tavolo dalla sera
prima.
Quando il campanello suona lo coglie impreparato e per poco il ragazzo
non cade
dal divano.
«Anna?
Sei impazzita? Sai che ore sono?»
La
ragazza si intrufola dentro casa, ignorando le sue proteste, e gli
rivolge uno
sguardo preoccupato.
«Scusami,
so che è tardissimo e che probabilmente stavi dormendo, ma
avevo questa
sensazione e- Non prendermi in giro, non sono pazza. Temevo stessi
male»
conclude abbassando lo sguardo e sentendosi in colpa, perché
a vederlo Hans
pare stare benissimo.
«Non
sei pazza» le risponde abbracciandola e domandandosi come sia
possibile che sia
riuscita a percepire il suo turbamento interiore a quella distanza
«Se vuoi
puoi fermarti a dormire».
Anche
perché di sicuro non lascerà che torni da sola a
casa a quell’ora di notte.
Hans
non è abituato a dividere il letto e, sebbene si frequentino
da circa un mese,
lui e Anna non hanno mai dormito assieme; probabilmente avrebbe voluto
creare
un’atmosfera più romantica per la prima volta (non
che progetti di saltarle
addosso, ma a ventisette anni certe necessità si sentono
quando una bella donna
si addormenta al tuo fianco), avrebbe pulito la camera e piegato i
vestiti.
Alla
ragazza, però, non sembra importare, con estrema nonchalance
butta tutta la sua
roba su una sedia vuota e, dopo avergli impunemente sottratto una
maglietta, si
infila nel suo letto, lasciandolo lì a guardarla, in piedi,
con la bocca
semiaperta come uno stoccafisso.
«Hai
intenzione di venire a dormire o cosa?» gli domanda mentre si
scioglie le
trecce e libera la chioma fulva.
O cosa, vorrebbe
rispondere lui, e se
questo implica andare a dormire nella vasca anche meglio; con passo
lento
finalmente si avvicina al letto e si infila sotto il lenzuolo,
imprecando
mentalmente. Già fa caldo e la presenza di Anna
così vicina non aiuta per
niente; si corica a pancia in su e rimane a fissare il soffitto per
qualche
minuto, indeciso su cosa fare. C’è sempre stata
quella ragnatela nell’angolo?
Alla
fine ci pensa la ragazza a risolvere la situazione e senza chiedere
permesso,
né preoccuparsi delle apparenze gli passa un braccio attorno
alla vita e
intreccia le gambe con le sue, affondando il viso nell’incavo
del suo collo.
«Buona
notte, Hans» mormora posandogli un leggero bacio sulla
guancia e il ragazzo si
scioglie un pochino, l’abbraccia e decide che non importa
cosa succederà, non
importano le conseguenze: lui non ha intenzione di lasciarla andare.
Era del mito,
Aulide,
Grecia
La
prima volta che Anna, anzi no, all’epoca il suo nome era
Hagne, incontra Iason,
è in Aulide; il prode Menelao sta radunando guerrieri
provenienti da ogni parte
dell’attica per muovere guerra a Troia, colpevole di avere
dato asilo a Paride
e ad Elena, dopo che la meravigliosa sovrana della città
lacedemone è stata
rapita.
Hagne
sa bene, però, che la regina non è stata portata
via con la forza, ma è stato
l’amore a convincerla a seguire quel giovane dai capelli
biondi e l’aria persa
nel vuoto; si chiede cosa possa spingere una donna che ricopre un ruolo
simile
ad abbandonare ogni cosa e spera di poter provare anche lei
un’emozione simile,
un giorno.
Giunge
al porto assieme a suo padre, Diomede, e una schiera di innumerevoli
valorosi
guerrieri; non partirà per la guerra, ma ha insistito per
poter accompagnare il
genitore almeno fino a quel punto, per allontanarsi da Egialea ed,
eventualmente, attendere in quel luogo il rientro del padre. Stenelo le
ha
promesso che saranno tutti di ritorno e che saranno vittoriosi,
perché la loro
è una guerra giusta e non esiste che possano essere
sconfitti.
Mentre
cammina lungo le strade del porto, con la sua ancella Photine, va
distrattamente a sbattere contro qualcuno (com’è
che ogni volta si conoscono in
quel modo, pensa Hans continuando a sognare) e se non fosse per una
mano che la
trattiene per il polso, la ragazza cadrebbe per terra. Il guerriero la
scruta
con cipiglio severo pensando che quello non sia posto per una donna,
quindi la
supera senza rivolgerle la parola e se ne va, unendosi ad un gruppo di
spartani.
La
seconda volta che incontra Iason, Hagne scopre il suo nome e questa
volta è lui
a investirla, deve essersi distratto perché il suo oplon gli sfugge dalle mani e rotola
contro le gambe della ragazza
che lo raccoglie con mani esperte e glielo porge.
«Dovresti
avere più cura del tuo scudo, spartiota» gli dice
con voce ferma, senza
tremare, senza abbassare lo sguardo.
«E
tu non dovresti girare da sola, donna, né parlare di
argomenti che non ti competono».
«Io
sono Hagne, figlia di Diomede, figlio di Tideo, legittimo sovrano di
Argo.
Modera il tuo linguaggio quando ti rivolgi a me».
L’uomo
rimane interdetto e la fissa sollevando un sopracciglio, le strappa di
mano lo
scudo e le volge la schiena incamminandosi verso il suo re, poi cambia
idea e
si gira nuovamente verso la ragazza.
«Io
sono Iason, figlio di Teodoto, fedele suddito di Menelao, re di
Sparta» la
osserva in attesa di una sua reazione, ma lei non muove un muscolo
«Per
servirvi».
Quindi
sparisce in mezzo alla folla.
La
terza volta che Hagne e Iason si incontrano sono sulla strada per il
tempio di
Artemide, entrambi vi si sono recati con l’intento di
sacrificare alla dea perché
conceda all’esercito la possibilità di partire per
la guerra.
Quando
l’uomo la vede trattiene a malapena uno sbuffo,
perché sembra destino che
quella ragazza dai capelli rossicci continui ad attraversargli la
strada;
quando lei si accorge della sua presenza fa cenno a Photine di
allontanarsi e
con passo sicuro gli si avvicina e gli sorride.
«Buongiorno
Iason, figlio di Teodoto, mi faresti l’onore di scortarmi al
tempio della dea?»
«Come
vostra altezza desidera» risponde lo spartiota senza smettere
di camminare.
Hagne
non è formarle, non è ligia ai regolamenti e in
breve tempo comincia ad
investirlo di domande e di racconti; vuole sapere tutto di sparta,
vuole sapere
come sta Elena (perché lei l’ha conosciuta e le
manca), se pensa davvero che
sia stata rapita e crede che possano vincerla quella guerra, gli chiede
cosa
spera di ottenere il suo Re andando a Troia, se crede che Paride
accetterà una
resa o quanti dovranno perire prima che Priamo lo faccia per lui. Alla
fine gli
domanda se crede davvero che sia una guerra giusta e Iason scopre che
non sa
cosa rispondere, sa solo che Menelao ha ordinato di partire, sa che
è il suo
dovere e che non ha intenzione di rifiutarsi.
Dopo
il sacrificio, dopo le preghiere, Hagne lo saluta, depositandogli un
veloce
bacio sulla guancia prima di ritornare all’accampamento di
suo padre, e l’uomo
scopre, in quel momento, che l’idea della guerra non lo
alletta più come prima.
I
pomeriggi successivi li passa a seguirla con lo sguardo, mentre i suoi
compagni
attendono senza successo che Artemide li lasci salpare; la accompagna
lungo
interminabili passeggiate e la scorta in città ascoltando
senza stancarsi le
sue chiacchiere allegre.
Diomede
li vede da lontano, ma non osa intervenire, troppo dispiaciuto per la
perdita
che dovrà subire la sua bambina quando l’esercito
partirà, perché lui lo sa, non
resteranno lì per sempre; prega Atena che possa proteggere
sua figlia al suo
posto, in cambio lui durante quella guerra rivendicherà il
suo onore,
sconfiggerà chiunque si pari sulla sua strada, umani o dei
che essi siano, sarà
il suo fiume in piena e con il suo impeto respingerà il
nemico, tutto purché la
dea protegga sua figlia.
Quando
Calcante annuncia che per la partenza è necessario il
sacrificio di Ifigenia e
quando capiscono che Agamennone è disponibile a farlo
davvero, Hagne si chiude
in un mutismo ostinato e senza avvisare nessuno si allontana dal porto,
fino a
raggiungere un tempio di Demetra sperduto tra i boschi; quando Iason la
trova
(ed è solo grazie all’aiuto di Photine se ci
riesce) la ragazza sta piangendo disperatamente.
«Era
mia amica» gli dice tra le lacrime.
Quella
notte fanno l’amore e si baciano sotto le stelle; quando il
sole sorge li trova
abbracciati, nascosti in un campo di grano.
Il
sacrificio viene celebrato in pompa magna e il sangue schizza
sull’armatura di
Agamennone che non piange; Iason e Hagne si tengono per mano e la
ragazza sa
che presto l’esercitò dovrà partire.
Quando
l’uomo le dice di amarla lei sente che la sua
felicità non potrebbe essere più
grande, anche se l’ombra della guerra incombe; gli promette
di aspettarlo, gli
promette di amarlo per sempre, gli promette che né il tempo,
né la distanza
potranno fare sì che si dimentichi di lui e per dimostrarlo
fa un sacrificio ad
Afrodite, bruciando una ciocca dei loro capelli.
Due
giorni dopo l’esercito parte.
«Giuro
sugli dei che tornerò da te» sono le ultime parole
che Iason le rivolge.
«Quando
finirà la guerra torneremo entrambi» le promette
ancora suo padre.
Hagne
non rivedrà più nessuno dei due.
Anna
si sveglia e scopre che sta piangendo e il sogno è ancora
così vivido nella sua
mente che, quando apre la bocca per chiamare Hans, sbaglia nome e lo
chiama
Iason; sente una morsa a livello del cuore, sostituita ben presto da
una
consapevolezza diversa: Hans è vivo, Hans è di
fronte a lei a la guarda con
occhi pieni di amore e preoccupazione.
«Ho
fatto un sogno» mormora piano, mentre lui con gesti delicati
le asciuga le
lacrime.
«Sì,
lo so, Anna, credo di avere sognato la stessa cosa anche io».
«E
sei tornato da me» le lacrime non si fermano.
«Come
avevo promesso» risponde lui stringendola a sé e
baciandola con foga.
E
non ti lascerò più andare, nemmeno quando
ricorderai ognuna delle vite che abbiamo
passato assieme, nemmeno quando ricorderai le volte in cui ti ho persa,
nemmeno
quando ricorderai di come ti ho lasciata morire.
Note:
Questo capitolo
è
importantissimo ai fini della trama, perché finalmente Anna
ricorda. Non
ricorda la vita ad Arendelle, ma ricorda il suo primo incontro con
Hans, o con
quella che è l’anima di Hans e che ha continuato a
reincarnarsi e a seguirla
nel tempo. Siamo nell’antica Grecia, prima della guerra di
Troia. Il nome di
Anna per ragioni cronologiche diventa Hagne; Anna viene da Hannah, un
nome
biblico dell’antico testamento, ma qui siamo ancora
nell’era del mito, quindi
ho fatto riferimento ad un nome dell’antica Grecia, che in
realtà sarebbe un
arcaico di Agnes, ma, insomma, si avvicinano abbastanza. Per Hans,
invece, ho
scelto Iason, perché è quanto più si
avvicinava alla grecizzazione antica del
nome. Hans deriva dal greco Ioannes, che a sua volta viene
dall’ebraico, Yochanan
(che diventerà popolare grazie al Nuovo Testamento). I loro
nomi col tempo
muteranno e diventeranno quelli che conosciamo oggi: Anna e Hans.
Spero
di non dover spiegare chi sono Menelao, Agamennone, Elena, Paride,
Ifigenia e
Priamo nel caso vi consiglio di leggervi la storia della Guerra di
Troia (o
l’Iliade, o qualche tragedia greca).
Photine
è l’ancella di Anna e il suo nome significa Luce,
cento punti per chi indovina il parallelismo, perché,
sì, è un personaggio che
conosciamo.
Stenelo
è l’auriga di Diomede durante la guerra di Troia.
Gli
spartioti sono i guerrieri spartani, tutti nobili, tutti fortissimi;
l’oplon è
lo scudo, i lacedemoni sono sempre gli spartani e il padre di
Iason/Hans è
inventato di sana pianta.
Per
quanto riguarda le origini di Hagne/Anna, ho scelto di fare di lei la
figlia di
Diomede l’eroe sovrano di Argo e marito di Egialea (che
quindi è sua madre);
secondo il mito è uno dei guerrieri più valorosi
che partecipano alla guerra di
Troia sul lato Acheo, la sua furia è paragonata a quella di
un fiume in piena
ed è protetto da Atena. In guerra sconfigge innumerevoli
nemici e arriva a
ferire Afrodite e Ares costringendoli a ritirarsi dalla battaglia,
è un uomo
d’onore e di astuzia, amico di Achille e di Ulisse, che
aiuterà a rubare il Palladio.
Ci sono due versioni riguardo a cosa gli succede tornato dalla guerra:
a) sua
moglie si mette col figlio di Stenelo e cercano di ucciderlo, ma
Diomede scappa
in Italia b) Afrodite fa in modo che tutti in patria si dimentichino di
lui e
quindi Diomede riparte. La motivazione per cui nella mia testa non
rivede più
sua figlia è che nel corso del tempo Hagne è
andata a vivere alla corte di
Sparta (visto che Menelao è uno dei pochi che a casa ci
arriva) e quando lui
torna non ha possibilità di riunirsi a lei.
Per concludere,
questo flash è fondamentale per capire la faccenda delle
reincarnazioni, non
solo perché il punto di partenza, ma anche perché
– nascoste tra le righe – ci
sono le motivazioni di ogni cosa che avverrà in futuro; ma
non vi preoccupate
che poi verrà spiegato tutto.
Vi
avviso che il prossimo capitolo sarà incentrato sulle vite
passate di Hans ed
Anna, ne prenderò in considerazione una dozzina, inclusa
Arendelle, e
attraverseremo con loro il tempo e i secoli; sarà un bel
capitolo, lungo una
decina di pagina e con moltissime reference storiche, quindi
preparatevi, io ho
amato scriverlo.
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Capitolo 4 *** Death is only a door ***
ATTENZIONE: le note sono tutte a fando pagina, vi rimando
già da subito al link
su Livejournal con le note complete, è un post
molto lungo e quindi ho preferito evitare di postarlo assieme al
capitolo.
Come preannunciato questo è un capitolo tutto incentrato sulle vite passate di Anna e Hans. Avete i fazzoletti? Bene, allora si comincia.
Edit: Mi hanno fatto notare che potrebbe esserci un po' di confusione coi nomi usati, se avete problemi nelle note di fondo c'è un elenco con tutti i nomi usati per i vari personaggi in ordine di apparizione
4.
Death is only a door
I believe death is only a door, when it closes, another opens. If I
care
to imagine heaven. I would imagine a door opening. And behind it, I
would find
him there, waiting for me.
Sonmi
451 – Cloud Atlas
11 a.C. – Roma
Augustea, corte di Livia
Lucilla
le sistema i capelli mentre Germana le aggiusta la veste; Liviana
chiude gli
occhi, pregando silenziosamente che il suo futuro marito sia gentile.
È sicura
che la sua protettrice, la divina Augusta, in onore della quale
è stato scelto
il suo nome, abbia compiuto una scelta saggia e ben ponderata,
riflettendo a
lungo su cosa fosse meglio per lei, tuttavia non riesce a fare a meno
di essere
nervosa.
«Non
preoccuparti, ’Ana, andrà tutto bene» la
rassicura Germana con voce ferma,
accarezzandole il volto.
«Ci
siamo noi con te» aggiunge Lucilla «Saremo sempre
con te».
Liviana
ha visto Nero solo tre volte prima di quel momento e, per quanto sia
rimasta
affascinata dal suo bell’aspetto e per nulla intimorita dalla
differenza d’età
(e non è raro a Roma vedere uomini di trent’anni
sposare fanciulle di quindici),
non sa niente di lui, se non che il suo cursus
honorum farebbe invidia a chiunque. Si sistema la collana di
spesso metallo
al collo, mentre le ancelle controllano che il mantello color zafferano
sia
ordinatamente fissato sopra la tunica
recta; i suoi capelli, raccolti da sei cercini posticci,
riprendono il
colore del velo arancione fiammeggiante che le copre la parte superiore
del
viso e la corona intrecciata di maggiorana e verbena rilascia al suo
passaggio
un profumo lieve.
Quando
il suo promesso sposo arriva, assieme a tutta la sua famiglia e ai suoi
amici,
la giovane sente i suoi muscoli irrigidirsi, mentre suo padre la invita
gentilmente a farsi avanti e a iniziare con la cerimonia.
Per
tutta la durata dei sacrifici non si parlano mai, se non per un breve
istante,
quando, dopo che l’aspex
ha
annunciato con somma gioia che questo matrimonio, secondo i presagi,
è gradito
agli dei come nessun altro dai tempi di Ottaviano e Livia, Nero si
china
lentamente al suo orecchio e le sussurra: «Il mio nome
è Iannus».
Lei
annuisce compita e quando procedono con la formula di rito evita
così di fare
l’ennesima figura imbarazzante della sua esistenza dicendo il
cognomen invece del nomen.
«Ubi tu Iannus, ego Ianna».
Tra
le urla di Feliciter e Talasius inizia così il
banchetto e
finalmente suo marito le rivolge la parola.
«Sono
contento di rivederti Hagn– Liviana».
Lei
dovrebbe offendersi perché l’ha già
chiamata col nome sbagliato e non è
esattamente il miglior modo per iniziare un matrimonio, ma qualcosa le
dice che
non si è sbagliato, che quello è davvero il suo
nome o, almeno, lo è stato.
«Lo
sono anch’io» risponde e si accorge, mentre lo
dice, che è vero.
Quando
Nero la bacia, davanti a tutti gli invitati al banchetto, Liviana
capisce che non
avrebbe potuto sposare nessun altro.
60/61 d.C
– Isola di Môn,
Gallia settentrionale
Sono
riuscite a scappare dall’isola per miracolo, mentre i soldati
del proconsole Svetonio
si davano allo sterminio dei druidi; Cadeyrn si è armato di
scudo e spada e ha
guidato l’esercito, dietro le fila di soldati armati i
sacerdoti della dea si
sono sistemati in una lunga fila di tuniche scure e braccia rivolte al
cielo,
invocando, in un lamento ritmico, giustizia divina.
Sono
morti tutti.
Eirwen
e Gráinne la stringono tra le braccia mentre le lacrime
scendono copiose lungo
i visi di tutte e tre: la loro casa è stata distrutta. Ma
qualcuno pagherà per
questo, andranno da Budicca, la avviseranno di ciò che i la
Legione sta facendo
e sangue sarà versato.
«Ynys Dywyll divorerà le vostre
anime.
Non resterà nulla di voi invasori» mormora Elian
con rabbia mentre i suoi occhi
si perdono a fissare i bagliori del fuoco che sta distruggendo
l’isola.
«Venite,
Sorelle» le invita Eirwen, che dopo tutto è pur
sempre una Sacerdotessa, con
voce materna «Un lungo cammino ci aspetta».
Ma
il loro tragitto è presto interrotto da un legionario che
spunta dalla foresta
con un gladius in una mano e il pilum nell’altra, intimando
loro di
fermarsi.
Gráinne
si frappone tra l’uomo e le amiche, invitandole a fuggire, ma
non possono
abbandonarla ed Elain le si attacca ad un braccio urlandole di non fare
follie.
Nell’udire la sua voce il soldato si blocca e lascia cadere
le armi, sfilatosi
l’elmo le si avvicina e la prende tra le braccia strappandole
un grido di
sdegno.
«’Ana!»
esclama stringendola «Ti ho cercata così a
lungo».
La
giovane adepta al culto della dea barcolla e sente il capo girare,
mentre un
flusso di ricordi le invade la testa, con un gesto tremante ferma la
mano di
Eirwen, che lesta ha raccolto da terra il gladius
e sembra intenzionata ad usarlo.
«Nero?»
domanda incerta.
«Sono
Iohannes adesso, e tu sei bellissima».
Novembre 866
– York,
Northumbria
I
vichinghi hanno attaccato la città.
Eadwig
sprona il cavallo ammirando la distruzione, il sangue ribolle nelle sue
vene e
la furia della battaglia lo pervade; erano secoli che non si sentiva
così vivo,
e non sa bene come possa parlare di secoli visto che ha a malapena
ventitré
estati.
Säde
e Hjördís lo seguono in silenzio, entrando in ogni
casa e controllando ogni
anfratto. Tutti e tre cercano qualcuno, sono dieci anni che la cercano,
ma non
sono ancora riusciti a trovarla e lei potrebbe anche essere
già morta.
Quando
raggiungono il centro della città Ívarr,
Hálfdan e Ubbe sono già lì a spartirsi
il bottino: ori, schiave, terreni. Ignorano le urla delle donne che
vengono
assalite dai loro uomini, ignorano le fiamme che si levano da alcuni
edifici ed
ignorano anche il guerriero con il ventre squarciato che cerca
malamente di
raccogliere le sue budella.
«Hai
trovato quello che cercavi Eadwig?» domanda il Disossato
avvicinandosi
zoppicando.
Chiunque
dica che i Vichinghi non sanno cosa sia il rispetto, la
civiltà o l’onore
semplicemente non ne ha mai incontrato uno: il sangue che scorre nelle
loro
vene è ustionante come un fiume di lava e la loro furia
è cieca e travolge ogni
cosa. Ma sono cresciuti in una terra di povertà e gelo e il
loro spirito e i
loro legami sono stati rinsaldati dal tempo; quelli che ancora seguono
il figlio
di Ragnarr Loðbrók nelle sue invasioni in Anglia,
sono disposti a dare la vita
per lui e si sono guadagnati il suo rispetto e la sua stima. Eadwig
è uno di
questi e lo sono anche Säde e Hjördís, le
due guerriere che lo seguono
fedelmente.
«Non
ancora».
«Puoi
consolarti con la figlia di Ælle e il suo seguito se la cosa
ti fa piacere,
nessuno le ha ancora toccate per ora. Io ho una vendetta di cui
occuparmi».
Il
giovane si volta appena nell’udire Säde sussultare,
tra tutti è quella meno
abituata a quello spettacolo di morte ed è, forse, quella
che avrebbe preferito
aspettare a casa; quando lo chiama col suo nome, cosa che non fa mai,
perché di
solito sbaglia sempre, Eadwig si gira e si accorge che sta esaminando
il corteo
della principessa di York.
«Che
c’è?» domanda avvicinandosi seccato.
Senza
farci caso va a sbattere contro una delle ragazze, quando la sposta,
con un
gesto brusco, un brivido gli passa lungo la schiena.
«Toglimi
le mani di dosso, schifoso vichingo. Io sono Jannah, figlia di
Ælle e –»
Senza
esitare il ragazzo le tappa la bocca con una mano e fa un cenno veloce
a Hjördís;
la donna estrae la spada e, senza alcun rimorso, infilza una delle
damigelle
della principessa, una ragazza di altezza e aspetto simili. Mentre si
allontana
trascinandola con sé, urla che la principessa è
morta e che la progenie del
tiranno si è estinta; Eadwig passa un braccio sporco di
sangue sul viso della
ragazza ed estraendo un pugnale sottile le taglia le lunghe trecce.
Lei
non osa parlare, gelata sul posto da quanto appena accaduto.
«Da
questo momento in poi il tuo nome è Annika, sei figlia di un
contadino e non
hai alcun legame con questa città».
Per
il resto a proteggerla ci penserà lui, pensa mentre Jannah
annuisce debolmente
e lascia che Säde la conduca verso l’accampamento.
1356
– Poitiers,
Francia
Yannik
indossa l’armatura e si dirige verso la morte.
Ha
venticinque anni, la testa pieni di sogni e il volto di una donna
stampato nel
cuore.
Non
riuscirà mai a trovarla.
1430
– Rouen, Francia
Jeanne
d’Arc vede le fiamme alzarsi e il inizia a sentire il calore
del fuoco.
Ai suoi
piedi, oltre i confini del rogo, la folla divisa tra esaltazione ed
orrore la guarda morire. Tra di loro due volti rigati di lacrime.
Jeanne
si concentra sui capelli biondi di Lucette e sulle lentiggini sul viso
di
Ninon.
Prima
di perdere i sensi pensa che avrebbe voluto vederla felice anche in
questa
vita, non sa che Sean è oltre la manica e che in questa vita
non riusciranno a incontrarsi.
1573
– Venezia, Italia
Anna
riesce a allontanarsi di nuovo da casa senza farsi notare, oramai
è diventato
un gioco il suo e, per quanto la servitù si impegni, nessuno
riesce a impedirle
di uscire. Il doge non ha mai troppo tempo per la sua famiglia e in
quei giorni
la città è in fermento, si dice che il Maestro
sia stato male e che il giovane
Veronese abbia finalmente la possibilità di calcare le scene
come una prima
donna.
Anna
storce il naso ogni volta che sente quelle voci, Paolo non farebbe mai
nulla di
simile e lei lo sa bene, visto che ultimamente trascorre le sue
giornate tra il
suo studio e la sua casa, incantata dai suoi lavori.
«Come
procede il telero?» domanda osservando il gigantesco dipinto
raffigurante
l’ultima cena «Oh, ma è sempre
più bello! È così originale!»
«Se
non fosse una richiesta dei Domenicani ti avrei usato come modella,
Anna» le
risponde facendola arrossire di piacere «Vieni, avviso Elena
che sei arrivata».
La
ragazza annuisce, seguendolo su per le scale, e mentre attende
l’amica si
affaccia alle finestre del piano nobile, osservando
l’esterno; nel cortile
della casa di fronte un giovane dall’aspetto affascinante e
l’aria gentile si
esercita nell’uso della spada con il suo maestro
d’armi.
«Finirai
con il consumarlo se continui a guardarlo a quel modo» le
dice una voce
squillante alle sue spalle e Anna sobbalza involontariamente.
Elena
Badile Caliari si accarezza il ventre rigonfio mentre ride della
ragazza, è una
novità vederla così tanto più giovane
di lei, già in attesa del terzo figlio.
«Non
lo stavo guardando» mormora piano la rossa.
«Ah
no? Peccato, perché sapendo che oggi saresti venuta (come da
due mesi a questa
parte) ho inviato qualcuno a invitarlo a pranzo».
Il
viso di Anna cambia colore, assumendo diverse sfumature di rosso,
mentre torna
ad affacciarsi alla finestra, giusto in tempo per vedere Isabella, la
dama di
compagnia dell’amica, inchinarsi di fronte al giovane, il
quale, proprio in
quel momento, alza il viso e incrocia lo sguardo con quello della
fanciulla,
sorridendole.
L’attesa
del pranzo è snervante e Anna deve ripetersi più
volte che lei è una Mocenigo,
figlia del Doge, è non ha motivo di allarmarsi per un pranzo
con un esponente
di una casata di così basso rilievo. In fondo i Ruzier non
sono nemmeno veri
veneziani e non sono che una delle innumerevoli case
nuove e cooptate.
Per
distrarsi inizia a parlare a raffica, mentre le mani giocano con uno
dei
pennelli di Paolo, che ha avuto la disgraziata idea di portarsene
qualcuno al
piano di sopra – dove Elena gli ha tassativamente proibito di
lasciare il
materiale da lavoro.
Quando
il valletto annuncia il giovane, il Veronese ringrazia tutti i santi
del
paradiso, perché crede di avere perso l’udito a
furia di ascoltare le
chiacchiere della ragazza; Isabella ride di lei e prendendola da parte
le
sistema i capelli, rassicurandola sul fatto che è bellissima
e non ha niente di
cui preoccuparsi, quindi la spinge gentilmente oltre la porta e Anna si
trova
nel mezzo del salone.
«Venite,
Giovanni, lasciate che vi presenti» esclama Elena con voce
squillante lanciando
un’occhiata al marito, come a dire levati
di torno «Anna Mocenico, figlia del nostro
stimatissimo Doge Alvise I
Mocenigo, Elena questo è Giovanni Ruzier».
Il
ragazzo si inchina leggermente e le bacia la mano, pensando che non ha
mai
visto niente di più bello.
Da
quel giorno al pranzo a casa Caliari si aggiunge una persona in
più: Paolo ne è
solo felice perché lui ama essere circondato da persone,
soprattutto quando
queste persone sono disposte ad ascoltare le sue disquisizioni
artistiche;
Elena si diverte a giocare a Cupido assieme a Isabella, mentre presto
il Doge
inizia a farsi delle domande sulle continue assenze della figlia.
È
luglio quando, dopo avere ultimato il telero, Paolo viene convocato
davanti al
Tribunale del Sant’Uffizio per via del quadro che ha finito
di dipingere; lo
obbligano a cambiare il nome in Cena a
casa di Levi e lo lasciano andare. Alvise Mocenigo
però non è soddisfatto
perché sospetta che il Veronese stia dando asilo alla tresca
di sua figlia,
decide quindi che deve farla sposare e inizia a prendere accordi con i
Gritti,
che hanno un figlio che farebbe proprio a caso suo.
Quando
Anna lo scopre scappa dal palazzo Ducale e si rifugia a palazzo Ruzier,
in
lacrime; Giovanni la stringe tra le braccia e improvvisamente ricorda
di averle
già viste, quelle lacrime, di averle già
asciugate da quel volto più volte.
Anna
viene rinchiusa in casa e solo grazie alle insistenze di sua madre,
Loredana
Marcello, riescono a posporre il matrimonio fino al giugno seguente,
mentre
Elena, Paolo, Isabella e Giovanni iniziano a ordire un piano di fuga.
L’11
maggio 1574 un incendio
distrugge Palazzo Ducale e Anna scappa, raggiungendo Giovanni al porto
dove li
attende un’imbarcazione che li conduce a Candia, isola in cui
i Ruzier hanno
ancora numerosi contatti che possano aiutarli.
In due
mesi Anna e Giovanni sono spariti
e nessuno a Venezia riuscirà più a trovarli.
1693
– da qualche
parte vicino a Tortuga, Mar dei Caraibi
Quando
Laurens Cornelis Boudewijn de Graaf incontra Anne lei lo sfida a duello
e gli
punta una pistola alla fronte. I suoi uomini lo guardano con occhi
sgranati, in
attesa di una reazione che non arriva, Laurens getta la spada per terra
e,
ignorando l’arma premuta contro di lui, si avvicina alla sua
avversaria.
«Io
non combatto contro le donne».
Lei
rotea gli occhi verso il cielo, e gli tira un calcio negli stinchi,
irritata.
Il
pirata sorride e si inginocchia di fronte a lei, prendendole la mano
libera tra
le sue.
«Tuttavia,
Anne, se voi voleste fare l’onore, a questo vecchio
quarantenne, di sposarlo,
lo rendereste il più Capitano più felice di tutto
il Mar dei Caraibi».
La
donna lo fissa per qualche istante, quindi scoppia a ridere a sua volta.
«Jan»
si attacca la pistola alla cinta e con entrambe le mani cerca di
rimetterlo in
piedi «Certo che ce ne hai messo di tempo per
trovarmi».
«Non
ti ho trovata io, Amor mio, questa volta è tutto merito
tuo».
È
il 6 maggio 1693 e Anne sposa un pirata, diventando nota in tutto il
mondo come
Anne Dieu-Le-Veut. Avranno due figli.
5 Ottobre 1789
–
Parigi, Francia
Jean
tiene stretta nella sua la mano di Anais, la stringe con forza,
consapevole che
se la lascia andare rischia di non vederla mai più; il
corteo di donne si è
trasformato in una moltitudine armata, una folla che procede come un
fiume
verso il palazzo di Versailles.
«Merda!
Ci spareranno addosso» esclama il giovane stringendo a
sé la ragazza.
«Non
ho paura, se devo morire, morirò al tuo fianco»
risponde la fanciulla
baciandolo.
«Ti
amo, Anne, e ti ritroverò ancora».
Nessuno
dei due muore e quella sera, a casa di Jean, le sue sorelle, Claire ed
Erza,
festeggiano il loro ritorno cucinando quel poco di cibo che gli
è rimasto.
1840
– Arendelle,
Norvegia
Hans
è stufo marcio di sentirsi ripetere che non è
nessuno. Il tredicesimo principe non
ha diritti, a quanto pare. Beh, vuole proprio vedere se una volta
conquistato
il trono di Arendelle i suoi fratelli lo considereranno ancora indegno
di
essere uno di loro. Dentro
di sé sa che
forse questo non è l’obiettivo migliore che
potrebbe prefiggersi, ma non ha
importanza, perché dopo ventitré anni di soprusi,
dopo ventitré anni trascorsi
ad essere ignorato e deriso, ora Hans vuole giustizia.
Ci
sono notti in cui sogna una ragazza dai capelli aranciati e il viso
sparso di
efelidi, alle volte la ragazza è una donna e lo guarda con
occhi colmi d’amore
e lui sa che lei lo accetterà sempre. Quando incontra Anna
la prima volta
capisce subito che è lei la ragazza che lo perseguita e si
chiede come sia
possibile che si trovi proprio lì, si chiede se forse non
sia destino. Quando
le chiede di sposarlo e lei accetta, Hans sente uno strano calore
all’altezza
dello sterno, non sa bene cosa sia, non l’ha mai provato
prima. È felicità.
Anna
parte alla ricerca di sua sorella, è così
inquieta che il viso si contrae in
una smorfia corrucciata e Hans pensa che sia adorabile, quando la vede
andare
via si scopre seriamente preoccupato e la cosa lo infastidisce
perché
interferisce con il suo piano. Rimane a palazzo a crogiolarsi nelle sue
elucubrazioni mentali, interrotto solo una volta da una coppia di
dignitari di
Corona, la ragazza lo guarda e gli ride in faccia dicendogli:
«Tu non cambi
mai, nemmeno di una virgola». Si chiede cosa voglia dire,
considerato che lui
non l’hai mai vista prima, ma sceglie di ignorarla e quando
il cavallo della
principessa torna senza di lei decide di procedere col piano.
Anna
torna da lui dopo quarantotto ore e Hans si scopre sollevato nel
vederla, ma il
sollievo non dura a lungo, perché dopo secoli che non
accadeva più Hans viene
nuovamente posto di fronte a una scelta.
Baciala, gli dice una
voce nella testa.
Baciala
perché funzionerà, perché sei il suo
vero amore e lei è il tuo, e se lo farai tutti i
tuoi sogni si avvereranno, la tua infelicità si
tramuterà in gioia e non solo
avrai un regno, ma anche una regina che ti accetta incondizionatamente,
avrai
una famiglia.
Hans
sceglie la strada più sicura, sceglie di non correre rischi.
«Oh,
Anna, se solo qualcuno ti amasse davvero»
Nessuno
dei due se ne accorge, ma in quel momento qualcosa si spezza.
E
mentre la nave salpa, dalle inferriate della sua cella, Hans riesce a
vedere
Anna che bacia un giovane dalle spalle larghe e i capelli biondi.
Capisce
di avere perso tutto.
1840
– Altrove
«Non
posso credere che l’abbia fatto. Non posso credere che
l’abbia fatto!» una
donna sta urlando, è furiosa «Sei stato tu,
vero?»
«Era
solo questione di tempo prima che accadesse, lo sai, no?»
risponde una voce
maschile.
«Per
piacere» interviene una terza persona, un’altra
donna «È dai tempi del mito che
vuoi vendicarti, e sono millenni che ci provi!»
«E
ora ci sono riuscito. Lo sapete benissimo anche voi, il sangue ribolle
al
richiamo della battaglia, al richiamo del potere, il sangue dei
guerrieri che
–»
«Oh,
stai zitto. Ora sai cosa succederà?» domanda la
prima voce preoccupata.
«Certo,
continueranno a incontrarsi e a morire, come è giusto che
sia!»
«Tu
dovresti essere rinchiuso in un ospedale psichiatrico»
interviene la seconda
donna «Ora ci toccherà lavorare il doppio per
aiutarli».
«Ma
io pensavo che non voleste più aiutarli» risponde
l’uomo.
«Infatti,
quella sarebbe dovuta essere l’ultima volta. Il loro per sempre, ti rendi conto di cosa hai
fatto ora? Di quanto dovremo
lavorare di nuovo per spingerli a fidarsi l’una
dell’altro?» la prima voce è
isterica oramai.
«Consolati,
dopotutto sei tu che dici sempre che il vero amore trova sempre un
modo, no?»
la incoraggia la seconda donna «E con il tuo amore e la mia
astuzia non
dovrebbe essere difficile trovare una soluzione».
Belief,
like fear or love, is a force to be understood as we understand
the Theory of Relativity and Principles of Uncertainty: phenomenon that
determine the course of our lives. Yesterday, my life was headed in one
direction. Today, it is headed in another. Yesterday I believed that I
would
never have done what I did today. These forces that often remake time
and
space, that can shape and alter who we imagine ourselves to be, begin
long
before we are born and continue after we perish. Our lives and our
choices,
like quantum trajectories, are understood moment to moment. At each
point of
intersection, each encounter suggests a new potential direction.
Isaac
Sachs – Cloud Atlas
1917 – Londra,
Inghilterra
Anne
rimpiange di essere uscita di casa, ma come le dice sempre sua madre
non è
giusto comportarsi come se fossero già morti solo
perché la fuori c’è una
guerra.
Il
vestito verde la stringe in vita e scende fino ad arrivare alle
caviglie, la
seta le circonda morbidamente le braccia e Anne si sente bella; le
bollicine
dello champagne la fanno ridere, mentre il suo accompagnatore le
racconta una
storia divertente accaduta ai cavalli dell’ippodromo.
Non
vuole pensare alla guerra, vuole solo divertirsi e accetta di danzare
con
chiunque glielo chieda.
Quando
una mano guantata circonda la sua lei si lascia trascinare di nuovo in
mezzo alla
sala, senza fare troppa attenzione al suo accompagnatore, tanto
l’indomani
partirà per il Devon, là dove le bombe non cadono come
pioggia.
Solleva
il viso e il suo sguardo si perde in due profondi occhi verdi, occhi
che lei ha
già visto; quando il ragazzo la fa girare Anne sente che
anche la tua testa sta
vorticando, sebbene solo in senso figurato e lo ferma per riprendere
fiato.
«Stai
bene, ti porto qualcosa da bere?»
«Hans?»
la domanda della ragazza è un sussurro roco e lui distoglie
gli occhi
imbarazzato.
«Mi
chiamo Seán» risponde piano «Anna ti
prego –»
Oh, Anna, se
solo
qualcuno ti amasse davvero.
La
ragazza indietreggia come se si fosse scottata e lo guarda con occhi
pieni di
dolore e delusione.
«Non
toccarmi».
Seán
la osserva, ferito, ma non osa fare una mossa; questa volta i ricordi
stanno
tornando nell’ordine inverso, dal più recente al
più antico, e il più recente…
Beh, quello è qualcosa che nessuno vorrebbe rammentare.
Tu avevi una
tale sete
d’amore da sposarmi senza che io facessi niente.
Anna
solleva lo sguardo e ci sono delle lacrime che brillano e minacciano di
cadere.
«Non
era sete d’amore».
«Lo
so, ti prego, Anna, perdonami».
Ora non resta
che
uccidere Elsa e far tornare l’estate.
«Ti
avrei dato tutto» la ragazza fa un passo indietro, mentre le
lacrime iniziano a
scorrere lungo le sue guance».
«Ti
prego, Anna» Seán le afferra una mano con le
proprie e se lei non fosse così
sconvolta si accorgerebbe che anche lui sta piangendo.
No, tu non sei
all’altezza di Elsa, io, al contrario, sono
l’eroe…
Anna
si libera con uno scatto e corre fuori dalla sala, fuori
dall’edificio, in
mezzo alla strada; non vede bene dove sta andando, ma sa che
l’ha seguita e la
sta chiamando a gran voce.
Quando
si gira verso di lui urla, le sue parole sono incrinate dal pianto,
tremanti
dall’ira.
«Hai
scelto il potere a me. Hai scelto il potere a me!»
Seán
l’afferra per le spalle e l’abbraccia, ignorando i
pugni che la ragazza gli
sbatte sul petto, ignorando gli insulti. Nessuno dei due si accorge che
le prime
bombe hanno iniziato a cadere.
«Anna,
ti prego, ti prego, perdonami. Ho sbagliato, perdonami».
«Io
ti odio, ti odio, e non ti perdonerò mai, hai capito?
Mai».
E
lui sa bene cosa vuol dire: non ti perdono ora, in questa vita, e in
nessuna
delle vite a venire. Tra noi è finita, ti sei trovato di
fronte a un bivio e
hai scelto male.
Quando
si accorge che sono sotto tiro è oramai troppo tardi per
raggiungere i rifugi
antiaerei, la prende per un braccio e la trascina verso una porta,
cercando di
farle scudo con il suo corpo.
Nessuno
dei due si rialza dal cratere della bomba.
1941/45
– San
Pietroburgo, Russia
Quando,
nel giugno del 1941, le forze dell’esercito Tedesco invadono la
Russia nessuno
pensa che possano arrivare fino a Leningrado, ma
l’evacuazione viene cominciata
in ogni caso.
Anya
percorre il Campo di Marte in direzione della Neva, ha
vent’anni, un vestito
nuovo e una manciata di efelidi sul viso. Quel giorno non le interessa
se non
ha famiglia, se deve dividere la casa con altre undici persone o se
dovrà
passare dieci ore in fabbrica, quel giorno ha deciso di essere felice.
Ivan
la vede da lontano e per un attimo pensa di essere di nuovo a Londra e
vorrebbe
attraversare la strada e chiamarla, ma poi si ricorda cosa è
successo l’ultima
volta, quindi finge di non vederla e continua a camminare.
Il
19 settembre le truppe tedesche si fermano a 10 chilometri dalla
città e gli
abitanti sono nel panico perché il processo di evacuazione
viene bloccato; Ivan
si trova a dover difendere una città impreparata da un
assedio, ma durerà poco,
dicono dai vertici, nessuno può piegare la Russia.
Il
20 settembre Anya incontra Ivan di nuovo, questa volta si accorge di
lui, ma
non lo riconosce; il ragazzo è così sollevato che
la invita ad uscire senza
pensarci e lei accetta, onorata che un Capitano dell’Armata
Rossa abbia anche
solo preso in considerazione di uscire con lei.
«Costruisco
fucili» gli dice con voce allegra, come se fosse la cosa
più bella del mondo
«Prima facevamo carri armati, ora siamo passati ai fucili,
sembra che ne avremo
bisogno».
Ivan
la porta a pranzo fuori e la guarda mangiare, mentre alla ragazza
brillano gli
occhi di fronte a quello che per lei è un pasto luculliano,
lui vorrebbe fare
di più. Dopo averla presa per mano la fa salire su un
autobus e arrivati in
centro la porta a passeggiare nel Giardino d’Estate, non ha
importanza che in
quel momento le fontane non funzionino né che i fiori e gli
archi siano
palesemente trascurati: è il più
bell’appuntamento che Anya abbia mai avuto.
Ancora
non si ricorda di lui.
Due
giorni dopo Hitler ordina che San Pietroburgo sia cancellata dalla
faccia della
terra, non abbiamo alcun interesse nel
salvare le vite dei civili, dichiara.
In
ottobre la città inizia a soffrire la fame.
Ivan
si presenta spesso a casa di Anya e le regala del cibo, si assicura che
mangi e
stringe una specie di patto con una delle ragazze che vivono con lei
perché la
tenga sotto controllo, la ragazza si chiama Elizaveta e vive assieme a
sua
sorella, Irina. Forse per colpa della fame, forse per paura della
guerra, Anya
inizia a fare strani sogni, nello stesso periodo abbandona il lavoro
alla
fabbrica e decide di fare la volontaria in ospedale.
È
novembre e Anya ha raggiunto Ivan lungo la Neva, assieme a lui osserva
il fiume
e pensa a quando la guerra non c’era, il ragazzo le racconta
di come sia
entrato nell’esercito e di come sperasse di non vederla mai
una guerra; in quel
momento iniziano a cadere le prime bombe. Questa volta però
è diverso
dall’ultima volta a Lodra, il Capitano la prende per mano e
insieme a lei corre
disperatamente verso il rifugio, quando arrivano hanno il volto
scomposto dal
sudore e dalla paura e Anya ha iniziato a mettere ordine nei suoi
ricordi.
«Dio»
è tutto quello che riesce a dire passando una mano sul volto
di Ivan che
distoglie lo sguardo, capendo a cosa lei stia pensando.
«Anya,
mi dispiace».
Lei
chiude gli occhi e si appoggia al muro, in mezzo a tutta quella
devastazione
l’unica cosa che riesce a pensare è che
l’ultima volta Seán è morto
stringendola tra le braccia. Non ricorda perché stessero
litigando.
A
dicembre Ivan riesce a fare in modo che Anya se ne vada, chiede favori
a tutta
l’armata e, infine, trova un modo per farle attraversare la
strada della vita.
Anya lo ringrazia e cede il suo posto a Irina che, nonostante le
proteste,
attraversa il lago Ladoga e scompare oltre, là dove
c’è ancora speranza. Il
giorno di Natale muoiono cinquemila persone, Ivan piange guardando la
schiena
di Anya mentre medica i feriti, lei non se ne accorge.
Il
1942 è l’anno in cui le bombe sostituiscono la
pioggia ed è l’anno in cui Anya
ricorda ogni cosa. Ivan ha due giorni di congedo, la raggiunge nella
sua
stanza, nel suo appartamento condiviso con altre undici persone (che
oramai
sono sei, perché Irina è scappata e gli altri
sono morti) e lei lo riceve con
uno schiaffo in pieno volto. Non dice niente, ma entra lo stesso in
camera e
chiude la tenda che divide il suo piccolo spazio da quello degli altri.
«Non
voglio vederti mai più».
«Anya,
morirai se continui così».
«Vattene,
Hans».
Il
Capitano scuote il capo e in quel momento le bombe riprendono a cadere;
la
ragazza sbarra lo sguardo e senza pensarci si getta tra le sue braccia.
Quella
notte rimane con lei e fanno l’amore, come ogni volta quando
possono, il calore
dei loro corpi è tutto quello che hanno in una
città dove la gente muore di
freddo (e c’è dell’ironia in tutto
questo, con tutto quello che hanno passato,
con tutta la città che va a fuoco a causa delle bombe). Anya
non lo guarda mai
in faccia, non lo chiama mai con il suo nome, ma sempre Hans, per
dimostrargli
che ricorda; trattiene i gemiti cercando di dimostrargli quanto lo sta
odiando,
e lo sta odiando perché, nonostante tutto, continua ad
amarlo.
Ivan
pensa che in fondo Anya sia come Leningrado, sta morendo poco a poco,
ed è
colpa sua.
Il
secondo giorno la ragazza smette di torturarlo e inizia a fingere che
lui non
ci sia, ma il Capitano non se ne va e quando le bombe riprendono a
cadere e
Anya va nel panico, Ivan inizia a leggerle Puškin.
Di qui
minacceremo lo
svedese. Qui una città sarà fondata, del superbo
vicino in onta e danno.
Anya
si stringe al suo petto e le lacrime iniziano a scorrerle sulle guance
mentre
si domanda che cosa abbiano fatto per meritarsi tanta morte.
La Neva
s’è vestita di
granito; ponti si son curvati sopra l’acque; di verdicupi
giardini le sue isole
si sono coperte.
Ivan
la tiene stretta e continua a leggere, mentre la città viene
distrutta, mentre
la gente muore.
Ogni
volta che ne ha la possibilità, quando non è
intento a sparare ai tedeschi sul
fronte, quando non è intento a ordinare ai suoi uomini di
andare a morire, Ivan
va da Anya e trascorre le sue ore con lei.
Lei
che non gli parla, ma si aggrappa a lui come a un’ancora.
Quando
fanno l’amore gli affonda le unghie nelle spalle fino a
fargli male, fino a
farlo sanguinare e lo chiama Hans; forse quella guerra li sta uccidendo
davvero.
Ad
aprile Ivan riesce a trovarle nuovamente un passaggio lungo il lago
Ladoga,
questa volta Anya costringe Elizaveta a partire al suo posto, questa
volta
l’uomo le fa una scenata.
«Ho
paura, ma se devo morire, morirò al tuo fianco»
risponde Anya e le sue parole
suonano come l’eco distorto di una vita passata.
T’amo
creatura di
Pietro, amo il tuo grave ed armonioso aspetto, il regale corso della
Neva,
delle sue rive il granito, delle sue cinte il rabesco di ghisa.
Tra
marzo e maggio si registra un’epidemia di colera, la
città riesce a contenerla,
ma tra la malattia e le bombe che cadono su tutta la città e
sugli ospedali,
dei trentamila
dottori e delle centomila
infermiere ne rimangono solo la metà.
Anya
sopravvive.
Il
4 di aprile i bombardieri della Luftwaffe sganciano sulla
città una serie di
bombe incendiarie, Ivan sopravvive, ma il suo braccio sinistro non
sarà mai più
lo stesso.
Quella
notte fa l’amore con Anya, la ragazza piange, lo chiama col
suo vero nome e gli
dice che lo ama.
Ivan
pensa che la guerra possa finire presto, ma arriva la fine
dell’anno e i
tedeschi sono ancora lì. Leningrado è una
città fantasma e l’uomo sente che
entrambi stanno morendo dentro, più di prima.
E, illuminato
da
pallida luna, teso nell’alto il braccio, dietro a lui corre
il bronzeo
Cavaliere sul cavallo sonorogaloppante.
Né
Ivan né Anya sanno come facciano a sopravvivere durante il
1943. La città è
stata decimata e oramai non è più possibile
fuggire; epidemie di tifo e febbre
paratifoide si diffondo per la città, aumentando le vittime,
in qualche modo
vengono contenute, ma nessuno sa bene come.
Anya
è lo spettro di sé stessa, è magra
come un chiodo e pallida, le lentiggini sono
quasi invisibili e i capelli rovinati e recisi; Ivan è
dimagrito e l’uniforme
gli va grande, è stato promosso a Maggiore, e mai come in
quel momento sente
l’inutilità di una cosa simile. Anya si rifiuta
ostinatamente di perdonarlo, ma
allo stesso tempo non vuole andarsene e lui è costretto a
guardarla sfiorire.
Continua
a leggere per lei, continuano a fare l’amore, anche se oramai
è quasi troppo
difficile, perché nessuno dei due ha più le forze
per muoversi; le razioni di
cibo sono così misere che i pochi sopravvissuti hanno
iniziato a darsi al
cannibalismo e il gelo è così intenso che hanno
iniziato a bruciare i cadaveri.
I
tedeschi hanno più pietà dei russi, pensa Ivan in
quelle notti senza speranza,
i tedeschi lasciano che le loro città si arrendano.
È
dicembre quando sente la voce di Anya per l’ultima volta.
«Ti
amo, nonostante tutto, ti amo ancora».
E
Ivan non sa cosa voglia dire, se sia un nonostante tutto quello che hai
fatto
ti amo ancora o un nonostante tutto quello che questa guerra mi ha
sottratto ho
ancora il mio amore per te. Non può chiederglielo,
perché Anya non si sveglia
più e lui perde la volontà di andare avanti.
Gli
sparano due giorni dopo, è 17 dicembre 1943.
Il
27 gennaio 1944 l’assedio finisce, Leningrado è
morta, sia dentro che fuori,
dei suoi tre milioni e mezzo di abitanti, un milione e quattrocentomila
riesce
a fuggire, dei restanti ne sopravvivono settecentomila.
1975
– Berlino,
Germania
Quando
Jon la vede di nuovo lei sta passeggiando con le sue sorelle.
Ha
attraversato il muro con un permesso ottenuto per motivi di lavoro e
improvvisamente desidera rimanere a Berlino Est per sempre. La rincorre
chiamandola Anya, ma lei non lo riconosce.
«Hanne»
gli dice sorridendo gentile e sul suo viso c’è
così tanta carne, così tanto
colore, ci sono così tante lentiggini che a Jon viene da
piangere, senza
capirne il motivo – rifiutandosi di capirne il motivo. La
abbraccia, nonostante
il suo sconcerto e le promette che tornerà.
Un
mese dopo è di nuovo lì e non sa da dove iniziare
a cercarla, ma dopo due ore
che gira a vuoto lei gli va a sbattere addosso, tiene un mazzo di fiori
in mano
che cade per terra e viene pestato. Alla ragazza però non
importa, perché
questa volta, quando lo vede, cade in ginocchio e si mette a piangere.
Jon
l’abbraccia e lei non sa se spingerlo via o stringerlo a
sé consapevole di
quello che ha fatto, ma anche di tutto quello che hanno vissuto
assieme. Sa che
dovrebbe perdonarlo, ma Arendelle è ancora troppo viva nei
suoi ricordi, Londra
è ancora troppo viva, e poi c’è
Leningrado, Leningrado brucia il suo cuore e
scorre nelle sue vene, avvelenando il suo sangue.
Lo odia
ancora, ma allo stesso tempo non riesce a
non amarlo.
La
colpa, pensa ogni tanto, deve essere di Berlino,
perché stare in Germania, sapersi tedesca nella Germania
sovietica è troppo
persino per una come Hanne, in grado di resistere a qualsiasi cosa.
Continuano
a vedersi una volta al mese, poi ogni settimana.
Jon
questa volta non è troppo preoccupato, non ha
conosciuto le sorelle della ragazza, ma sa che loro sono al suo fianco di nuovo, inoltre la guerra è
finita:
pensa che potrebbe chiedere un trasferimento a Berlino Est.
A
novembre accade la tragedia e non c’è nulla
nell’aria che possa presagirla.
Jon
saluta Hanne, promettendole di tornare presto,
lei non lo ha ancora perdonato, ma lui ha lo stesso intenzione di
chiederle di
sposarlo.
Hanne
non ha ancora detto a Jon di averlo
perdonato, ma ogni volta che viene a trovarla sente di stare guarendo
un
pochino.
Quel
giorno nevica e la temperatura si è abbassata
di almeno tre gradi, Jon le ha portato dei fiori e Hanne gli ha
concesso di
baciarla davanti a tutti, in mezzo alla piazza, e ha realizzato di non
essersi
mai sentita così viva.
Non in
quella vita, in nessuna delle ultime vite.
Quando
lo vede passare oltre il posto di blocco lo
richiama, perché non può aspettare, deve
dirglielo e deve dirglielo ora, perché
non può lasciare che lui passi un altro giorno a macerarsi
nel senso di colpa.
Jon si volta a metà strada e la vede cercare di inseguirlo,
le sorride e si
incammina per tornare indietro; la guardia al posto di blocco non se ne
accorge.
Vede
solo una donna che cerca di attraversare il
confine, da est a ovest, senza permesso; la ragazza sgomita e nella
foga gli tira
un pugno sul naso. Jon vede la scena a rallentatore, non capisce
nemmeno cosa
sia successo, ma si ritrova in ginocchio nella prima neve con il corpo
di Hanne
tra le braccia.
La
ragazza piange e sputa sangue: erano così
vicini.
«Ti
amo» fa in tempo a dirgli, ma non lo sente
rispondere, non lo sente promettere che la ritroverà ancora
e non lo vede
gettarsi contro la guardia e iniziare a colpirla finché
questa estrae la
pistola e spara anche a lui.
2014
– da qualche
parte in Inghilterra
Hans
ha imparato che le due grandi certezze della sua vita sono la morte e
l’amore
(e a volte anche la morte dell’amore, ma a questo preferisce
non pensare).
Ha
imparato anche che Anna prima o poi ricorda sempre ogni cosa, e che,
forse,
questa volta sarà quella giusta, questa volta forse lo
perdonerà. Non ci sono
guerre, non ci sono assedi, né bombardamenti e questo
è già qualcosa, ma il
ragazzo sa che è meglio non aspettarsi niente, non dare
nulla per scontato
perché nulla è certo.
Di
una cosa, però, Hans è sicuro: questa volta non
ha intenzione di morire, né,
tantomeno, di vedere Anna morire di nuovo.
E
sarebbe tutto più semplice se sapesse cosa diamine sta
succedendo, perché non
era questo il patto, non era questo che aveva promesso loro la dea. E
il suo
problema è capire come fare per interrompere quel ciclo di
reincarnazione e di perdita costante, ma non ha nessuno a cui chiedere.
Tuttavia è disposto a qualsiasi cosa,
qualsiasi cosa purché tutto torni come prima,
purché la morte smetta di
perseguitarli, perché se tornare in vita vuol dire rivedere
Anna è disposto a
farlo ogni volta che sarà necessario, ma non accetta di
verla spegnersi tra le
sue braccia.
NOTE:
Eccomi
con le note, prima di tutto vi avviso che qui inserirò solo
le note relative ai
nomi, per le note tecniche, ovvero quelle storiche, che servono a
inquadrare le
varie epoche da me prese in considerazione, vi rimando a
questo link. Ci
ho dedicato un post apposito su
Livejournal, perché altrimenti venivano
cinque pagine di note e mi sembrava eccessivo inserirle a fine capitolo
(ma
leggetele, vi prego, o di alcune cose non capirete una bega!).
»
I
nomi di Anna nelle varie epoche in ordine di apparizione: Hagne
(capitolo 3),
Liviana, Elian, Jannah/Annika, Ninon, Anna, Anne Dieu-Le-Veut, Anais,
Anne,
Anya.
»
I
nomi di Hans nelle varie epoche in ordine di apparizione: Iason
(capitolo 3),
Nero, Iohannes, Eadwig, Yannik, Giovanni, Laurens/Jan, Jean,
Seán, Ivan.
»
I
nomi di Photine nelle varie epoche in ordine di apparizione: Photine
(capitolo
3), Gráinne, Säde, Lucette, Elena, Claire, Irina.
»
Inoltre,
Elena di Troia (Capitolo 3), Germana, Eirwen,
Hjördís, Jeanne, Isabella, Erza,
Elizaveta è sempre la stessa persona.
Per
comprenderne i significati leggete le note relative alle singole
epoche. Le due
ragazze che compaiono sempre al fianco di Anna sono presenti in ognuna
delle
sue vite, anche se non le ho fatte apparire in tutte; inoltre queste
non sono
tutte le vite di Hans ed Anna, ma solo alcune delle numerose che hanno
vissuto.
Avrei
voluto usare “Like
quantum traiectories” come titolo del capitolo,
ma poi mi
sono resa conto che non avrei saputo spiegare a parole la teoria dei
quanti e
la loro traiettoria e quindi ho glissato, e glisso ancora salutandovi
con un “Scusate, gente,
avrò pure venticinque anni e
una laurea, ma rimango bionda”.
La
traduzione dei due quote è la seguente:
-
A inizio capitolo:
Io credo che la
morte
sia solo una porta, quando essa si chiude, un’altra si apre.
Se tenessi a
immaginare un paradiso, io immaginerei una porta che si apre e dietro
di essa,
lo troverei lì, ad attendermi
-
A metà capitolo:
La fede, come
la paura
o l’amore, è una forza che va compresa come noi
comprendiamo la teoria della
relatività, il principio di indeterminazione, fenomeni che
stabiliscono il
corso della nostra vita. Ieri la mia vita andava in una direzione, oggi
va
verso un’altra, ieri credevo che non avrei mai fatto quello
che ho fatto oggi,
queste forze che spesso ricreano tempo e spazio, che possono modellare
e
alterare chi immaginiamo di essere, cominciano molto prima che nasciamo
e
continuano dopo che spiriamo. Le nostre vite e le nostre scelte, come
traiettorie dei quanti, sono comprese momento per momento, a ogni punto
di
intersezione, ogni incontro suggerisce una nuova potenziale direzione.
|
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Capitolo 5 *** It's all about your cries and kisses ***
Due cose: Prima di tutto
una precisazione
doverosa. Questo capitolo è molto spoiler per chi non ha
visto il film Cloud
Atlas, nel senso che ci sono più citazioni del solito,
questa volta inserite
proprio nel capitolo, come parte della narrazione, le riconoscerete
subito, ma
vi avviso per correttezza. Come quote invece ho ripreso la canzone che
considero colonna sonora di questa storia e da cui ho tratto il titolo.
Quindi
sì, fatela partire come sottofondo e buona lettura. Le note
vere sono a fine capitolo
perché non volevo farvi spoiler.
5.
It's all about your cries and kisses
Take all your
chances
while you can
You never know
when they'll
pass you by
Like
a sum the mathematician cannot solve
Like
me trying my hardest to explain
It's
all about your cries and kisses
Those
first steps that I can't calculate
I
need some more of you to take me over
Chances,
The Athlete
La
prima volta che Elsa e Hans si incontrano non c’è
Anna a presentarli.
Al
giovane basta intravederla da lontano per riconoscerla; ha sempre gli
stessi
capelli biondi e la postura elegante, come se a piegare le spalle
dovesse
venire schiacciata dal peso del mondo.
La
chiama per nome, anche se non è davvero sicuro che quello
sia il suo nome, ma
questa vita sembra una eco di quella in cui ha rovinato ogni cosa e di
conseguenza le parole gli escono spontanee e naturali.
«Elsa?
Sai dov’è Anna?»
Quando
la ragazza si volta verso di lui sgrana gli occhi e piega la bocca in
una
smorfia.
«Tu!
Avrei dovuto immaginarlo che fossi tu. Rapunzel era così
entusiasta quando mi
ha parlato del ragazzo con cui usciva Anna che avrei dovuto capirlo, ha
sempre
avuto un debole per te».
Hans
non sa bene cosa rispondere. Si trova in uno stramaledetto campus
universitario, circondato da ragazzine che gli lanciano sguardi
languidi,
cercando di spogliarlo con gli occhi, e l’unica persona che
riconosce, e a cui
chiede un’informazione, è pronta a scavargli una
fossa e buttarcelo dentro.
Ehi! Oggi deve essere il suo giorno fortunato!
«Mi
sembrava strano non avervi ancora viste» borbotta sconsolato,
tira fuori le
sigarette dalla tasca dei pantaloni e ne accende una.
«Fammi
il piacere e stai zitto» esclama la ragazza mentre indica a
una matricola la
direzione corretta per la segreteria. È arrabbiata, Elsa,
è furibonda e non
tanto per la scelta compiuta da Hans durante la loro vita ad Arendelle,
quanto
per le conseguenze di quella stessa scelta. E alla fine lei
è stata fortunata,
lei non ha mai visto Anna morire, non ha mai dovuto stringere il suo
fragile
corpo tra le braccia, né sentire le sue urla, ma non per
questo è stato più
semplice, non per questo è stato facile vivere senza di lei.
Quando
torna a voltarsi verso di lui ha un’espressione severa
dipinta sul volto e il
suo sguardo si è fatto di ghiaccio (come quello di una
regina o di una
guerriera, come tanti anni prima); gli si avvicina e, ignorando gli
sguardi
perplessi delle studentesse al loro passaggio, lo prende sotto braccio,
trascinandolo verso la caffetteria del campus: «Dobbiamo
parlare».
Lo
scruta da dietro la tazza di caffè e Hans si chiede come
faccia a bere qualcosa
di così caldo quando ci sono trenta gradi
all’ombra, ma non fa domande. In
silenzio, stringendo tra le dita sottili la sua birra gelata, aspetta
che la
ragazza parli; è abbastanza contento di averla trovata,
anche se si è trattato
di un caso, anche se questo vuol dire che arriverà in
ritardo da Anna, perché
ci sono problemi che solo Elsa può risolvere, domande di cui
solo lei conosce
la risposta. E gli dei sanno quanto Hans abbia bisogno di risposte.
«Sai
vero» inizia la ragazza con voce fredda «Che
è solo colpa tua?»
«Come
dimenticarlo» borbotta lui, ripensando agli orribili incubi
degli ultimi
giorni.
«Hans
–»
«No,
ascolta, so che ho sbagliato, ma ho bisogno di aiuto, Elsa. Non posso
continuare a vederla morire».
«Guarda
che non sono qui per farti la paternale» risponde
ridacchiando «Sono ancora infuriata
con te, ma mi sono stufata di questa catena di sangue e morte. E anche
lei si è
stufata».
«Anna?
Anna si è ricordata di… Di Arendelle?»
domanda titubante il giovane, mentre un
brivido gelido gli percorre la schiena.
«Non
mi stavo riferendo ad Anna, Hans» Elsa sospira e il suo
guardo si perde nel
vuoto, mentre cerca di decidere se sia o meno il caso di raccontargli
la
verità, o almeno quella parte di verità di cui
lei è a conoscenza.
Scuote
il capo, non è ancora il momento.
Presto, dice una voce
dentro di lei.
«Anna
è nel dormitorio femminile, in quella direzione, oltre la
biblioteca, il primo
edificio di mattoni rossi. Sali al secondo piano, la sua stanza
è la quarantadue».
Hans
osserva per un secondo il liquido ambrato nel suo bicchiere,
domandandosi a cosa
sia servito seguirla fino a lì; si alza in piedi e
silenziosamente rimpiange di
non avere fatto a tempo a finire la birra, ma Elsa lo trattiene per un
polso.
«Finiremo
questa conversazione, Rekkr, quando
lei avrà recuperato ognuno dei suoi ricordi».
«Come
desideri, Fetils Svell».
Si
allontana a passi veloci, nella direzione indicatagli dalla ragazza,
mentre la
sua mente vaga e ritorna ad Anna, a tutti gli anni trascorsi assieme, a
ogni
vita passata al suo fianco. Ha bisogno di vederla, di vedere i suoi
occhi
celesti, di sentire la sua pelle calda e sapere che è viva;
sempre più spesso,
ultimamente, ha bisogno di rassicurazioni di questo tipo,
perché troppo di
frequente si sveglia nel cuore della notte dopo avere sognato le sue
ossa
sporgenti e il suo sguardo spento.
Bussa
piano alla porta della stanza e si trova di fronte a una cascata di
capelli
biondi e uno sguardo allegro.
«Oh,
Vænn! E pensare che stavo per dirti io di venire
qui!» esclama Rapunzel, che in
quella vita è la prima volta che lo incontra, ma si comporta
come se fossero
amici di vecchia data.
Hans
sorride, vedendo tra le mani della ragazza il cellulare rosa di Anna,
glielo
sfila delicatamente dalle dita, mentre la ragazza lo lascia entrare in
camera.
«Sei
sempre iperattiva, Vǫlva. Posso restare
da solo con lei?»
domanda quindi lanciando uno sguardo ad Anna, addormentata nel suo
letto.
Rapunzel
annuisce: «Stai attento però, i suoi sonni non
sono tranquilli da qualche
tempo. Lei sogna e ricorda, ho paura che tra non molto
sognerà solo morte».
Hans
sente tutti i muscoli irrigidirsi, mentre la porta si chiude; quando si
gira
verso Anna nota che il suo sonno è davvero agitato, si muove
leggermente e si
rannicchia su se stessa. Senza fare rumore si sdraia al suo fianco e
l’abbraccia, il letto è stretto e ci stanno
appena, ma al contatto con il suo
petto e le sue braccia la ragazza si rilassa, inconsciamente si gira
verso di
lui, cercando maggiore contatto. Hans le accarezza i capelli, mentre le
sussurra dolcemente all’orecchio, minn
ást, le bacia la fronte e la nuca, mentre la sua
mano segue la linea della
schiena, minn líf.
Anna
apre lentamente gli occhi, inspira profondamente il profumo di
deodorante e
tabacco, e sorride.
«Stavo
avendo un incubo. È finito di colpo quando sei arrivato
tu» gli sussurra piano
strofinando il naso sul suo mento.
«Cosa
stavi sognando?» le domanda l’uomo baciandole le
gote.
«Il
cielo si era tinto di grigio e la città era in fiamme. Come
nubi le bombe
oscuravano il cielo e ricadevano per le strade, disseminate di morte.
Tu
leggevi, leggevi per me, leggevi per farmi addormentare e per scacciare
la
paura» si interrompe, la sua voce ha un tremito
«È successo davvero?»
«Sì,
tanto tempo fa».
«E
come… Come è finita?»
«Non
è mai finita, Anna».
La
bacia con delicatezza e la invita a venire a cena da lui quella sera.
«Se
vuoi» le dice con voce calda mentre con le labbra le sfiora
il lobo
dell’orecchio «Puoi fermarti a dormire».
E
non c’è malizia in quelle parole, ma Anna riesce a
leggervi lo stesso il
disperato bisogno che Hans ha di lei e sorride, mentre con le braccia
gli
circonda il collo.
«Solo
se compri del vino».
Hans
ha pulito la casa, ha riordinato la camera, cambiato le lenzuola e
lavato i
pavimenti; sua madre sarebbe fiera di lui, ma non è certo
per fare un favore a
lei che il ragazzo si è dato alle pulizie a metà
luglio, quando avrebbe solo
voglia di fare un bagno gelato o di stravaccarsi sul divano davanti al
ventilatore.
Lo
ha fatto per Anna.
C’è
qualcosa di cui vorrebbe parlarle quella sera, qualcosa che non
può aspettare.
Le ha comprato dei fiori e nel frigo li aspetta una torta al
cioccolato, non ha
intenzione di cucinare (anche perché rischierebbe di
avvelenarla), ma ha già
deciso che ordineranno una pizza, ha perfino comprato un film adatto.
Gliel’ha
consigliato Rapunzel quando è uscito dalla stanza,
dicendogli: «Oh, Vænn,
lo conosci quel film che è
praticamente la storia della tua vita? Perché dovresti
vederlo. Con Anna».
Grazie tante, pensa il
ragazzo, lanciando
un’occhiata al dvd di Cloud Atlas sul tavolino del salotto,
se scopre che c’è
gente che continua a morire la va a prendere a calci!
Quando
la ragazza arriva Hans rimane senza fiato, perché Anna
è sempre bellissima, ma
quella sera lo è di più, forse perché
gli ricorda una notte di tanti anni prima
quando ha danzato con lui in una sala affollata; il suo vestito verde
è lo
stesso che ha indossato al loro primo appuntamento e il ragazzo sente
il cuore
sciogliersi un pochino.
«Ho
portato le pizze» esclama sorridendo.
«Avremmo
potuto ordinarle» risponde Hans ridendo.
«Ma
così avremmo dovuto aspettarle, invece ora sono
già qui e sono calde e senti
che profumino!»
«Se
ti sei fatta fare la pizza alla nutella, giuro che non ti bacio. E
nemmeno se
hai preso quella col gorgonzola».
«Uomo
di poca fede! Ho preso qualcosa di semplice e di digeribile!»
Ride
di nuovo, mentre Anna si fa strada verso la cucina dove la tavola
apparecchiata
la lascia senza parole: Hans non apparecchia mai la tavola. Di solito
si
limitano a fare take away da qualche parte e a mangiare sul divano
mentre
guardano un film, come due beceri della peggior specie.
«Aspettavi
qualcuno?» domanda incerta.
«Sì,
Anna, aspettavo te» risponde Hans ridendo e prendendole i
cartoni dalle mani
per sistemarli sul piano «Siediti».
«Pizza
e vino, che accoppiata vincente. La tua eleganza e il mio entusiasmo,
credo»
ridacchia, inconsapevole di quanto siano vere le sue parole.
Per
tutta la durata della cena Hans l’ascolta parlare, e Anna non
si ferma mai, gli
racconta dei corsi, della bibliotecaria strabica, del ragazzo che ci ha
provato
con Rapunzel ed è stato pestato da Flynn, del tizio del
corso di scrittura
creativa che è inciampato nella sua stessa sciarpa ed
è caduto lungo e disteso
per terra. Gli racconta di Elsa, che è a capo del dormitorio
e che è stata un
po’ la ragazza che si è presa cura di lei e di
Punzie da quando sono arrivate,
gli racconta dell’ultima telefonata con sua madre e del
matrimonio di sua
cugina che si è tenuto il weekend precedente.
Per
tutto il tempo lui ascolta, ascolta la sua voce, ride delle sue
battute, la
prende in giro e le risponde raccontandole della sua giornata,
dell’ufficio,
del suo capo e dell’ultimo articolo che ha scritto.
Quando
si spostano sul divano Anna emette un gridolino di gioia.
«Ho
sempre voluto vedere quel film! E tu hai una televisione da
quarantacinque
pollici! Finalmente potrò godermi Ben Winshaw in alta
definizione!»
«Ehi!»
si lamenta il ragazzo, che non sa se essere offeso e divertito.
Anna
si accoccola contro di lui, il bicchiere di vino in mano, una leggera
brezza
che entra dalla finestra insieme al frinire dei grilli, quando il film
comincia
Hans la sente trattenere il fiato e le passa un braccio lungo la vita
con la
ferma intenzione di tenerla il più vicino possibile a
sé.
Ci sono interi
movimenti dell'Atlante che ho scritto immaginando nostri incontri e
incontri in
vite diverse, epoche diverse.
Anna
gli stringe la mano e Hans si accorge che i suoi occhi sono umidi, le
bacia i
capelli e riprende a guardare il film.
Vorrei poterti
fare
vedere tutta questa luminosità, non preoccuparti, va tutto
bene, va tutto così
perfettamente maledettamente bene. Capisco ora che i confini tra rumore
e suono
sono convenzioni. Tutti i confini sono convenzioni, in attesa di essere
superate; si può superare qualunque convenzione, solo se
prima si può concepire
di poterlo fare. In momenti come questi, sento chiaramente battere il
tuo cuore
come sento il mio, e so che la separazione è
un’illusione. La mia vita si
estende ben oltre i limiti di me stesso.
Anna
sta piangendo e le lacrime scendono silenziose lungo le guance, le
ciglia
bagnate brillano illuminate dalla luce della televisione e i capelli
della
ragazza, prima ordinatamente legati in una crocchia sul capo, sono
scivolati in
ciocche scomposte lungo le sue spalle.
Il rapporto
dice che
il Comandante Chang è stato ucciso nell'assalto.
Questo
è esatto.
Anna
trattiene il fiato, non se ne è resa conto, ma si
è affezionata a questa storia
quasi quanto a quella di Frobisher e Sixsmith, appoggia il bicchiere
sul tavolo
e stringe i pugni per la tensione.
Potresti dire
che
l'amavi?
...Sì,
lo amo.
Vuoi dire che
sei
ancora innamorata di lui?
Hans
le passa le mani lungo la vita e se la trascina in braccio, torace
contro
schiena, non importa se fa caldo, non gli importa di niente, vuole solo
sentire
Anna vicina in quel momento.
Voglio dire che
lo
sarò per sempre. La nostra vita non è nostra. Da
grembo a tomba, siamo legati
ad altri passati e presenti... E da ogni crimine e ogni gentilezza
generiamo il
nostro futuro.
Anna
si appoggia a lui e Hans sente che sta continuando a piangere,
più forte di
prima, le appoggia il viso su una spalla e lascia che lei inclini il
capo
contro il suo.
Nella tua
rivelazione
hai parlato delle conseguenze della vita di un individuo che si
spandono per
tutta l'eternità... Questo vuol dire che credi a una vita
nell'aldilà? Nel
Paradiso e nell'Inferno?
«Ti
amo» le sussurra piano e la sente rilassarsi sotto di lui.
Non le vede il viso,
ma sa che sta sorridendo tra le lacrime.
...Io credo che
la
morte sia solo una porta. Quando essa si chiude, un'altra si apre. Se
tenessi
ad immaginare un Paradiso io immaginerei una porta che si apre e dietro
di essa
lo troverei lì, ad attendermi.
Gira
lentamente il capo verso di lui, che le passa una mano sul viso ad
asciugarle
le lacrime.
«Ti
amo anche io, Hans» risponde baciandolo.
È
la prima volta che se lo dicono, in questa vita per lo meno, e mentre
le scene
finali del film si susseguono sullo schermo, il ragazzo si domanda
perché abbia
aspettato così tanto. Lo ha capito nel momento in cui
l’ha vista per la prima
volta, quel giorno di sole, attraverso le lenti scure degli occhiali,
che lei
era quella giusta, era la donna che aveva bramato per tutta la vita
senza
sapere di starla cercando.
Spegne
il televisore, mentre i titoli di coda si susseguono sulle note
dell’Atlante
delle Nuvole, e le sorride, mentre Anna cerca nella borsa un pacchetto
di
fazzoletti.
«Ho
pianto così tanto» dice «Che mi
è colato tutto il trucco».
«E
allora vai a struccarti, panda» ride Hans baciandole la
guancia.
La
segue in camera da letto e la guarda mentre appoggia le cose in giro,
mentre si
muove come se quella fosse casa sua e fosse abituata a vivere
lì.
«Anna».
«Sì?»
borbotta lei impegnata a passarsi una salvietta struccante sotto gli
occhi.
«Stavo
pensando. Sei sempre qui di recente».
«Se
vuoi me ne vado» e il suo tono è contrariato.
«No,
preferirei il contrario. Vorrei che ti trasferissi qui, cioè
a vivere qui, con
me. Cioè se vuoi».
Silenzio.
«Aspetta,
cosa?»
Hans
arrossisce, ma non fa in tempo a ripetersi
perché lei ha lasciato andare qualsiasi cosa avesse in mano
per gettarglisi con
le braccia al collo e stampargli una scia di baci sul viso.
«Certo
che sì! Sempre» esclama ridendo felice.
A quel
punto Hans non riesce più a resistere e il
suo bacio non ha niente a che vedere coi precedenti: è
profondo, passionale,
morde le labbra di Anna e se ne impossessa con foga, bisognoso di
sentirla
vicino, di sentirla sua. Lei ne coglie tutta la prepotenza, percepisce
l’urgenza di Hans, che non è solo fisica,
è qualcosa di diverso, di più
profondo: è una necessità, ed è anche
una sua necessità.
Lascia
che le sue mani la spoglino e le accarezzino
la schiena e il ventre, lo guida fino al letto e mentre lo bacia,
mentre sente
i muscoli guizzare sotto il suo tocco, mentre la pila degli abiti sul
pavimento
aumenta, sente il suo cuore battere all’impazzata e
l’eccitazione farsi largo
dentro di lei.
Quella
notte fanno l’amore, ed entrambi hanno già
avuto altre esperienze, altri compagni, ma, come dicono alcuni, la
verginità è
uno stato mentale e per loro risulta più che mai vero. Ogni
volta che si
ritrovano, in ognuna delle loro vite, è come se fosse la
prima volta.
Quando
Anna raggiunge l’orgasmo qualcosa dentro di
lei esplode, un muro si infrange e insieme al piacere si sente inondare
da
schegge di ricordi, come un torrente in piena.
Hans
non smette mai di sussurrarle che la ama, e
ogni scheggia è una vita diversa, e ogni scheggia
è un amore diverso, ma è anche
sempre lo stesso amore.
«Ti
amo» le dice Hans baciandola sul collo.
Ed
è ancora in Aulide, ed è di nuovo a Roma e Nero
le sussurra il suo nome all’orecchio.
«Ti
amo» le dice Iason baciandole la clavicola.
E lei
è in Anglia, mano nella mano con un
legionario dagli occhi verdi.
«Ti
amo» le dice Eadwig baciandole un seno.
E
davanti ai suoi occhi c’è York, e Venezia, e Rouen
e tutte le vite in cui non è
riuscita a incontrarlo.
«Ti
amo» le dice Laurens, o forse è Jan, mordendole il
lobo dell’orecchio.
E
Anna è a Parigi e Jean le stringe la mano.
«Ti
amo» le dice Hans «Ti ho sempre amata».
Anche
ad Arendelle, Arendelle che invade i suoi
ricordi come una pugnalata, che le mozza il fiato e le toglie il
respiro, e
quando il ragazzo si lascia cadere su di lei affondando il viso
nell’incavo
della sua spalla, Anna vede un castello di ghiaccio e una sala da ballo.
«Ti
amo» le dice Hans, ma nella testa di Anna sono
altre le parole che risuonano, parole che sanno di veleno e di menzogna
e che
lei riconosce come false, ma non riesce comunque a fermare quei ricordi.
«Ti
amo» le dice Hans, che forse è Seán, o Ivan, o Jon.
Ed
è di nuovo Londra, con i balli e lo champagne,
ed è di nuovo Leningrado, e Dio! Anna non è
sicura di riuscire a resistere a
Leningrado, alle bombe, al dolore, ma soprattutto alla morte, alla
morte e
all’amore, che in quei giorni sono stati così
intrecciati e così vicini; e le
lacrime iniziano a scorrerle lungo le guance e non riesce a fermarle.
E poi
arriva Berlino e il pianto non si ferma più,
ed Hans la guarda, preoccupato di avere fatto qualcosa di sbagliato,
perché non
capisce altrimenti per quale motivo Anna dovrebbe piangere.
Non
capisce o non vuole capire, finché lei non si
mette a sedere, il lenzuolo pallido le scivola sotto il seno lasciando
esposta
la sua carnagione candida, i suoi occhi luccicano e le guance sono
bagnate di
lacrime; si stringe le ginocchia al petto e quando Hans
l’abbraccia chiamando
il suo nome con tono preoccupato, Anna si volta a guardarlo e la voce
le trema.
«Ricordo
tutto. Ricordo ogni cosa».
Affonda
il viso nel suo petto e lascia che le sue
braccia la stringano a sé, più forte, sempre
più forte, sempre più vicino.
«Ti
amo» le dice Hans.
Anna
continua a piangere.
Note: Questa volta
non sono cinque pagine,
quando dico che Rapunzel ha un debole per Hans non intendo a livello di
attrazione, ma nel senso che, siccome è quella che lo
conosce da ancora prima
di Elsa, è sempre stata lei a insistere per cercarlo
affinché lui e Anna
potessero re-incontrarsi (è una fangirl, insomma). Il ruolo
di Elsa e Rapunzel
sarà più chiaro dal prossimo capitolo. Non so
bene come sia venuta la scena di
intimità tra i due (in cui il sesso non è
propriamente descritto perché voglio
mantenere il rating basso e perché proprio non è
quello il punto della storia)
ma spero riusciate ad apprezzarla comunque. E non so come vi
immaginaste Anna
che ricorda, io avevo pesato a diverse situazioni, ma alla fine ho
optato per
questa scena, e spero che soddisfi voi come ha soddisfatto me. Le altre
alternative erano troppo angst e ne hanno già passate troppe.
Alcune
precisazioni di lingua:
- fetils svell –
spada di neve
- rekkr –
guerriero, uomo
- vǫlva
–
strega,
profetessa, maga, veggente
- vænn –
bello, affascinante, bello da guardare
- minn
ást, minn líf – mio
amore, mia vita
Sono
una sorta di reminiscenza della vita “Vichinga” in
cui Elsa, Hans e Rapunzel
sono cresciuti e vissuti insieme fin dall’inizio, la lingua
usata è antico
norvegese, ma ho fatto riferimento a un dizionario on-line e non ci
metterei la
mano sul fuoco, ecco.
Il
prossimo sarà il capitolo spiegone in cui si tutta la
faccenda delle vite
parallele diverrà chiara, richiederà un
po’ più di tempo però,
perché ancora
non l’ho scritto.
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Capitolo 6 *** It's all about you ***
Spero
per voi che siate più preparati di quanto non lo fossi io
mentre scrivevo. Questo
è il penultimo capitolo, il prossimo sarà assai
breve e sarà l’epilogo. Ed è
già stato scritto.
Prompt: Frozen, Hans/Anna,
when love is real, it finds a way (Avatar Roku)
6.
It’s all about you
I
need some more of you to take me over
I
know I because I can’t calculate
How
to respect you
How
to start again
It's
all about you
Athlete,
Chances
Hans
continua a stringerla sé, le sussurra parole di scusa tra i
capelli e aspetta
con pazienza (e con la morte nel cuore) che i sussulti e i gemiti
spezzati di
Anna si plachino. Le mani della ragazza sono strette attorno alle sue
braccia,
il viso affondato nell’incavo del collo; è
così saldamente aggrappata a lui che
è sicuro che gli rimarranno i segni delle unghie sulla
pelle.
Quando
finalmente riesce ad alzare lo sguardo gli occhi sono rossi e gonfi e
la voce
trema leggermente ad ogni parola.
«Da
quanto tempo lo sapevi?»
Il
viso del giovane si piega in una smorfia di dispiacere e colpa
(soprattutto
colpa).
«Dalla
prima volta che ti ho visto».
Anna
emette un gemito e si stringe più forte al suo corpo nudo.
«Se…
Se deciderai che non vuoi più vedermi io capirò,
ma prima-»
«Non
volerti più vedere? Oh, Hans, non mi dire che per tutto
questo tempo hai vissuto
con l’ansia di vedermi andare via».
Il
ragazzo annuisce piano, passandole le mani lungo schiena e lanciandole
uno
sguardo affranto.
«L’ho
sempre saputo, Anna, ma non sono mai stato pronto a rinunciare a
te».
Lei
non sa cosa dire, o meglio, avrebbe così tante cose da
comunicargli, da
urlargli, da ammettere, così tante da riempirci un intero
libro, ma quella
dichiarazione la lascia in silenzio, la lascia più stordita
di quanto già non
sia e lui ne approfitta per riprendere il discorso.
«Dovremmo
parlare ad Elsa, prima che succeda qualcosa di irrimediabile».
Prima che io ti
veda
di nuovo morire. Prima che io sia di nuovo costretto ad abbracciare il
tuo
corpo privo di vita.
«Domani»
sussurra piano lei.
Sì,
ci sarà tempo domani, le risposte possono attendere altre
dodici ore, quella
notte (quello che ne resta) rimane per loro, per abbracciarsi in un
silenzio
carico di significati, di parole non dette, di Ti
amo pensati e mai espressi. Quella notte sperano entrambi che
sia in grado di portare loro consiglio, di tendere un velo di oblio sui
loro
occhi stanchi e di trascinarli con sé in un mondo di sogni
(e questa volta si
augurano che nessuno dei due sprofondi tra gli incubi).
«Se
non fosse stata una cosa importante Anna non ci avrebbe fatto venire
fino qui».
«Smettila
di cercare di difenderli, Punzie, e parcheggia. E ti prego, rallenta
prima di
entrare nel vialetto».
La
ragazza sbuffa, indispettita dalla mancanza di fiducia della maggiore,
non lo
sa quante lezioni di guida sicura ha preso assieme a Flynn?
«Almeno
in questa vita non è un pezzente» borbotta ancora
Elsa, lanciando un’occhiata
alla villetta in cui vive Hans.
«Oh,
andiamo, quando mai lo è stato! Oh! Hai visto come
è curato il prato?»
«Suona
il campanello e finiamola, ti prego».
Ad
aprire la porta è Anna, gli occhi sono ancora gonfi per il
pianto della sera
precedente ed entrambe le amiche capiscono al volo cosa sia successo.
«Lo
hai ucciso e hai bisogno di aiuto per sbarazzarti del corpo?»
domanda Elsa
senza fare una piega.
«Aspetta,
cosa? No! Certo che no, oh, insomma, entrate».
La
casa è pulita e accogliente, una brezza leggera penetra
dalle finestre aperte
ed entrambe le ragazze rimangono piacevolmente colpite a quella vista,
Anna le
guida in salotto e le fa accomodare sul divano, ma di Hans nemmeno
l’ombra.
«Scusa,
ma lui dov’è?»
«In
giardino, c’è un cortile sul retro. È
lì da stamattina» la voce di Anna è
stanca, stanca come nessuna delle due l’ha mai sentita e
improvvisamente
entrambe si rendono conto di quanto debba essere stato difficile per
lei più
che per chiunque altro.
Il
ragazzo è seduto sui gradini di un piccolo portico, osserva
l’erba verde e i
cespugli di fiori bruciacchiati dal caldo sole estivo, il suo sguardo
è
malinconico e vuoto e se dovessero domandargli per quanto tempo
è rimasto lì
non saprebbe rispondere; si riscuote solo nel momento in cui ode voci
sommesse
provenire dal salotto, quando capisce che è giunto il tempo
di avere delle
risposte.
Entra
in casa silenziosamente e si sofferma, per qualche minuto, a guardare
le due
ragazze che abbracciano Anna, una scena così familiare che
quasi fa male al
cuore.
«Oh,
sei qua» borbotta Elsa lanciandogli un’occhiata di
ghiaccio.
«Sai
com’è, ci vivo!» risponde lui sedendosi
su una delle poltrone e facendo segno
alle ospiti di accomodarsi.
Anna
gli si avvicina e, incurante del suo sguardo preoccupato, si siede sul
bracciolo
della poltrona; Hans vorrebbe trattenersi, ma non ci riesce, le passa
un
braccio lungo la vita e se la trascina sulle gambe, stringendola a
sé. Potrebbe
essere l’ultima volta che ne ha la possibilità.
«Elsa,
io non capisco» mormora Anna a mezza voce «Cosa sta
succedendo?»
«È
cominciato tutto secoli, no, millenni fa, nell’era del
mito» risponde Rapunzel
al suo posto «Eri così giovane,
all’epoca, e io ero la tua ancella, ricordi? Il
mio nome a quel tempo era Photine. In ogni caso avvenne in Aulide,
prima della
partenza per la guerra di Troia».
Si
interrompe per riprendere fiato e raccogliere le idee, quindi riprende
a
raccontare.
«Vi
recaste assieme al tempio di Afrodite, consapevoli che presto la guerra
vi
avrebbe diviso; il sacrificio che faceste, beh, non era niente di
eccezionale a
dire la verità. Niente di diverso dal solito, da quello che
tutti fanno. Ma
durante la guerra tuo padre, Diomede, osò colpire la dea
che, impossibilitata a
prendersela con un protetto di Atena, riversò su di te la
sua rabbia. Fece in
modo che il suo pupillo, Paride, colpisse Iason con una freccia e
lasciò il suo
corpo sotto le mura della città».
«E
allora come è possibile? Come mi spiegate tutto questo?
Tutte le vite
trascorse, tutte le vite insieme?» domanda Hans, che
improvvisamente sente di
ricordarsela fin troppo bene quella morte.
«Diomede,
dopo la guerra, ottenne in qualche modo il perdono di
Afrodite» ricomincia
Rapunzel «Non so cosa accadde, nessuno di noi sa cosa ne fu
di lui, ma conosco
le leggende moderne, si parla di viaggi in Italia, di nuove
città e nuovi
templi; in ogni caso Afrodite si sentiva in colpa, accecata
dall’odio era
venuta meno alla promessa che vi aveva fatto il giorno del sacrificio e
credette opportuno benedirvi a suo modo. Offrendovi la
possibilità di
incontrarvi ancora».
«E
tu? Voi? Insomma, io sono sempre felice di avervi al mio fianco, ma non
capisco
come sia possibile» mormora Anna aggrottando la fronte.
«Io
più che altro vorrei sapere perché continuiamo a
morire e soprattutto vorrei
capire come fermarlo».
«Credo
che sia più opportuno che sia Elsa a raccontarvi questa
parte» mormora la
bionda scambiandosi uno sguardo di intesa con l’amica.
La
maggiore sospira, si passa stancamente le mani sul volto e quando i
suoi occhi
tornano ad essere visibili sono carichi di energia e forza, e a
guardarli bene
vi si riflettono immagini lontane di un tempo oramai passato.
«Voi
non ve lo ricordate, non potete ricordarvelo. A dire la
verità nemmeno io ero
presente in quel momento, mi fu raccontato da lei
in seguito. Il sacrificio che voi faceste ad Afrodite non fu
l’unico ad essere celebrato a quel tempo; fu tuo padre,
Diomede, che, prima di
partire per la guerra, si recò al tempio di Atena,
là fece un giuramento. Promise
alla Dea che sarebbe stato il suo braccio destro, sarebbe stato il
più veloce e
il più forte dei suoi guerrieri, promise che sarebbe stato
come un fiume in
piena, inarrestabile, implacabile, e promise anche che avrebbe vinto
per lei
ogni battaglia; in cambio di tutto questo le domandò una
sola cosa, le chiese
di proteggerti, di proteggerti sempre».
Elena cammina
per le
stanze del palazzo, coglie con la coda dell’occhio gli
sguardi di disprezzo
della servitù e sa perfettamente cosa stiano pensando. Lei
è la donna, la donna che ha abbandonato la sua gente e suo
marito per seguire un
principe straniero, è la cagna che ha attirato su di loro
ogni disgrazia, che
ha portato la guerra e la morte a Troia; ovviamente nessuno osa
dirglielo,
nessuno osa insultare una figlia di Zeus, nessuno osa insultare la
nuova moglie
di Paride, la protetta del Re.
Elena cammina
nella
reggia deserta, mentre gli uomini sotto le mura combattono e muoiono,
è stato
il turno di Ettore il giorno prima e lei sente ancora nelle orecchie le
urla
strazianti di Andromaca mentre si lacera le vesti e si strappa i
capelli;
Paride è tornato indenne, ancora una volta. Lei lo sa il
perché, dall’alto
delle mura colpisce i nemici, senza avvicinarsi alla mischia, senza
correre
rischi: forse è meglio così.
Paride che
quando la
vede la stringe a sé con forza inaudita, i cui occhi
brillano d’amore e
desiderio, che quando le parla le sussurra all’orecchio per
ricordarle che lei
gli appartiene, ed Elena non è sicura di voler appartenere a
qualcuno, ma la
sua voce la fa rabbrividire e le annebbia la mente.
Paride che le
dice che
la ama e che la amerà per sempre. Sempre. Sempre
è un lasso di tempo così
lungo, ride lei, ma Paride ne è convinto, per sempre. E
forse quello è l’unico
momento in cui nella mente di Elena sfreccia un ricordo; il ricordo di
un altro
uomo, in un altro palazzo, in un'altra città, un uomo che
accarezza il suo
corpo nudo con amore e che le sussurra fedeltà e le promette
amore eterno. Sempre.
Ma è un attimo è Menelao non è che un
ricordo lontano.
Sospira
appena, prima di ricominciare.
«All’epoca
dei fatti io ero a Troia, circondata da ori e lussi sfrenati, avevo
Paride e,
sinceramente, non mi serviva altro per essere felice. Mi sentivo la
regina che
ero nata per essere, trattata dal mondo come una degna figlia di Zeus;
il resto
non era importante, non mi importava della guerra, né dei
caduti. Non credo, a
quel tempo, di avere mai pensato, nemmeno una volta, a mio marito, a
Menelao,
che sapevo essere là per me, con la spada sguainata in mezzo
al campo di
battaglia. La mia, beh, la mia immagino sia stata una punizione di
Atena, o
forse una seconda opportunità, io non lo so. Quello che so
è che, quando la
guerra finì, tornai a Sparta e da quel giorno Paride non lo
rividi mai più, non
ci siamo incontrati in nessuna delle mie vite successive; immagino che
sia il
modo di Afrodite per ricordarmi quando il mio amore per lui fosse in
realtà
opera sua, per ricordarmi di avere amato e perduto l’uomo
sbagliato, deludendo
così chi mi amava davvero, ma poco importa ora. A Sparta
ritrovai entrambe, sia
te Anna, mia amica di infanzia, che Rapunzel, la tua fedele ancella;
una notte,
poco dopo il vostro arrivo, feci un sogno. Sognai le spiagge candide
della
Magna Grecia e due donne in piedi, ferme a fissarmi. La prima, le gambe
lambite
dalle onde del mare, vestita di stoffe leggere e con ghirlande tra i
capelli,
la riconobbi immediatamente: era Afrodite. La seconda, dritta e fiera
nella sua
armatura, ci misi più tempo a capire chi fosse, non
l’avevo mai incontrata
prima, ma quando parlò, oh, quando udii la sua voce compresi
immediatamente che
Atena era venuta a trovarmi in sogno. “Rinascerai”
mi disse “Rinascerai e non sarai
sola,
proverai a te stessa e al mondo di essere una regina e in ogni vita, in
virtù
del tuo sangue, sarai sempre la più forte, la più
vicina agli dei, ma bada. Il
tuo compito è un altro, il tuo compito da adesso e per
sempre sarà proteggere
la figlia di Diomede, come io ho promesso a suo padre”.
E così ho fatto, ho
cessato di essere una principessa in pericolo e sono diventata una
guerriera, ho
messo da parte i sentimenti, le emozioni, l’amore che una
volta ho provato per
un uomo, ma non ho mai smesso di essere una regina».
Elena si desta
di
colpo, il lenzuolo sottile appiccicato al suo corpo sudato, i capelli
scomposti,
non sa per quale motivo, ma si rende conto di stare piangendo. Si alza
con
passo leggero e, senza aspettare le ancelle, indossa il primo chitone
candido
che riesce a trovare, dirigendosi poi, a passo spedito, verso le stanze
di
Hagne.
Ad attenderla,
di
fronte all’ingresso della stanza da letto,
c’è Photine, gli occhi lucidi e i
capelli in disordine e in lei Elena rivede sé stessa; le si
avvicina senza però
superarla né provare a varcare la soglia.
«Ho
fatto un sogno» mormora
piano la regina di Sparta «Riguardava Hagne»
«Anche
io» replica
piano l’ancella allungano una mano che la donna afferra
prontamente «Non avevo
mai visto un dio».
Elena non sa
cosa
dire, perché lei ha visto innumerevoli divinità
camminare tra i mortali durante
gli ultimi dieci anni, ma nessuna l’hai mai considerata degna
della sua
attenzione prima di quel momento.
«Mia
regina, ritenete
opportuno parlarne con lei?» domanda quindi Photine,
lanciando uno sguardo
preoccupato alla stanza in cui Hagne riposa.
«No,
credo di no.
Credo sia più saggio non farle sapere nulla riguardo al
nostro compito»
risponde Elena.
Si passa le
mani sul
volto: è tempo di crescere, anche per lei.
Quindi riprende
a
parlare e ora il suo tono è cambiato, è freddo e
deciso, è più regale di quanto
Photine non l’abbia mai vista: «Da questo momento
la volontà degli dei è anche
la nostra».
Quando la porta
della
stanza si apre ed entrano le due donne, Hagne non ha idea di cosa sia
avvenuto,
ma non ha importanza, perché non è sola, e questo
è abbastanza per renderla
felice.
Un
silenzio di tomba regna nella sala, mentre fuori friniscono i grilli
e il
sole di mezzogiorno scalda l’asfalto grigio; Rapunzel si
alza, raggiunge la
cucina e porta un bicchiere di acqua fresca ad Elsa, che accetta con
gratitudine prima di riprendere il suo racconto.
«Fu
tuo padre, inavvertitamente, a scagliare su di voi la maledizione che a
lungo
vi siete portati dietro, ma non fu lui ad attivarla. Durante la guerra
di Troia,
combattendo sotto le mura, poco dopo avere colpito Afrodite, Diomede si
trovò
ad affrontare Ares stesso. Con grande scorno del dio riuscì
a respingerlo, lo ferì
al ventre così profondamente da indurlo a ritirarsi dalla
battaglia e tornare
sull’Olimpo. Inutile che io stia qui a parlarvi di quanto gli
dei siano
suscettibili, permalosi e vendicativi; in qualche modo, negli anni a
venire
Diomede si riappacificò con Afrodite, ma Ares, no Ares non
era così semplice da
gestire».
«Quindi
è stato Ares a maledirci?» domanda Hans
aggrottando la fronte.
«Sì
e no. Fu Ares a scagliarvi contro la sua ira, questo è
indubbio. Non poteva
colpire direttamente Diomede senza scatenare le ire di Atena, e in
parte anche
di Afrodite, visto che tuo padre finì con
l’aiutare Enea nella guerra contro i
Rutuli. Atena sostiene che la sua furia aumentò ancora di
più quando si rese
conto che non poteva nemmeno toccare te, Anna, protetta da entrambe le
dee. Ma
ovviamente a tutto c’è una soluzione, e Ares
trovò in Hans il suo cavallo di
Troia».
«Se
stai insinuando che io lo sapevo –»
«No,
per quanto mi costi ammetterlo tu non hai colpe. Sei nato spartano, sei
nato
guerriero, la furia che ti scorre nel sangue è quella della
battaglia, gli
spiriti che ti guidano sono Phobos e Deimos e, per quanto ti sforzi,
non puoi
cambiare. Ci sono state vite tranquille, sì indubbiamente,
ma la guerra era
sempre lì, in agguato, sempre pronta a colpire e a
trascinarti con sé e Ares
aspettava solamente che tu scegliessi lei invece di Anna. Allora la sua
maledizione si sarebbe avverata perché avresti scelto la
morte anziché l’amore,
la morte anziché la vita. E, a modo tuo, sei stato bravo,
dico davvero, hai
resistito per millenni, ma poi è arrivata Arendelle e non so
cosa sia successo,
non lo voglio nemmeno sapere; forse non ricordavi, o non ricordavi
abbastanza, forse
hai avuto un passato diverso e le tue scelte sono state dettate dalle
esperienze
che hai vissuto, fatto sta che hai ceduto e ogni cosa è
andata in frantumi».
«In
pratica stai dicendo che è colpa mia».
La
voce di Hans è gelida e tagliente, così sferzante
che Anna sente un brivido
percorrerle la schiena.
«Dimmi
come farlo smettere» il suoi occhi si inchiodano in quelli di
Elsa, mentre il
ragazzo si alza in piedi lasciando che sia Anna ad occupare la poltrona
«Dimmi
come spezzare questo circolo di morte, perché io non ne
posso più. Sono
disposto a fare qualsiasi cosa, qualsiasi cosa».
«Oh,
Hans, se solo potessi fare qualcosa» esclama Rapunzel
dispiaciuta, senza sapere
quanto le sue parole suonino come la eco di una condanna a morte.
«Punz
ha ragione, non ci puoi fare niente. Solo Anna può
farlo».
«Cosa?!
Io? Come?» domanda la ragazza frastornata.
«Devi
perdonare Hans, Anna. Perdonare ogni suo errore dal profondo del cuore,
sinceramente,
devi essere in grado di guardare al passato e accettarlo come parte del
vostro
essere, come parte delle vostre vite».
Quando
Elsa finisce di parlare, il silenzio invade nuovamente la casa e Hans si
allontana senza dire nulla; torna in giardino, con la consapevolezza di
essere
ancora una volta inutile.
Non
ci vuole molto perché Anna si riscuota dallo stupore che le
ultime parole hanno
suscitato in lei e lo segua; quando lo raggiunge lo vede appoggiato al
porticato, una sigaretta in bocca e lo sguardo spento.
«È
meglio se te ne vai, Anna» dice piano «Lo sai come
funziona, prima che
scatenassi questa cosa rischiavamo di morire solo in quelle vite in cui
non ci
trovavamo, ora che la maledizione pende su di noi, come una spada di
Damocle, trovi
la morte ogni volta che siamo vicini».
«Hans,
ti prego. Non ho nessuna intenzione di andarmene».
«Per
cento settantaquattro anni ho convissuto col senso di colpa. Ogni
giorno della
mia vita, di tutte le mie ultime vite, ho vissuto con questo peso sulle
spalle.
Un peso che mi schiaccia, mi opprime, mi toglie il respiro e, ogni
volta che ti
guardo, mi sento come se stessi affogando o come se stessi per
affogare, perché
vivo con la consapevolezza che prima o poi sparirai. Quindi ti prego,
vai via ora,
prima che io ti veda morire di nuovo, perché questa volta
non sono sicuro che
riuscirei a sopportarlo. Non più, non ora che so che sono
stato io a scatenare
tutto questo».
Anna
si avvicina e gli prende una mano tra le proprie, mentre i suoi occhi
azzurri
luccicano di determinazione e amore.
«Ti
ho odiato, Hans. Ti ho odiato così tanto e per
così poco tempo quando eravamo a
Londra. Ti ho odiato così intensamente e ti ho amato
così profondamente a
Leningrado e la morte e la guerra hanno consumato ogni parte di me, la
rabbia
era così nera e accecante che non ero in grado di
liberarmene, ma, allo stesso
tempo, non riuscivo a vivere quando tu eri lontano, quando tu non
c’eri. E poi
Berlino. Avrei voluto scavalcare
quel
maledetto muro, avrei voluto urlartelo e ripetertelo mille volte, ma
non ci
sono riuscita e sono morta di nuovo, quindi lascia che te lo dica ora.
Io ti
perdono. Ti perdono Arendelle. Ti perdono di avere sbagliato, ti
perdono di
avere scelto altro oltre a me. Sei un essere umano Hans, quante volte
pensi di dover
chiedere scusa prima di essere perdonato, quante vite pensi di dover
vivere
senza mai sbagliare? Qualcosa è andato storto ad Arendelle,
non ti ricordavi davvero di me,
forse per un po’ hai
creduto di farlo, ma non era così, e io… Io non
avevo idea di chi tu fossi. Ti
volevo, ti volevo disperatamente, ma non avevo idea di avessi di
fronte. E sono
stanca, oh, Hans, sono così stanca di-»
«Di
morire? Lo so, Anna» mormora il giovane con le lacrime agli
occhi.
«No,
di vivere senza di te».
Hans
lascia cadere la sigaretta per terra e abbraccia la ragazza di scatto
stringendola a sé, mentre una lacrima gli scivola silenziosa
lungo la guancia.
«Ti
amo, Anna. Ogni vita precedente l’ho vissuta con la
consapevolezza che prima o
poi ti avrei trovata, ti ho cercata sempre e a volte non ti ho trovata
mai. Ma
non era importante, perché sapevo che per quanto lontana tu
fossi, per quanto
distante, magari legata ad un altro, sapevo che ti avrei trovata e
sapevo che
avresti scelto me.
Ma
ora, ora non sono sicuro di volerti imporre questa scelta,
perché è sinonimo di
morte».
«Non
hai capito. Non mi sono innamorata di te tutte le volte per volere del
destino,
o del fato, non è mai stata un’imposizione, mi
sono innamorata di te perché ti ho
scelto. In ogni vita, a ogni bivio, io ho scelto te. E
continuerò a farlo, in
ogni vita futura, ogni mondo, in ogni versione della realtà,
qualunque cosa tu
faccia, qualunque azione tu compia, io sceglierò sempre te.
E non è solo
questo, Hans, voglio che tu ricordi che io ti perdono. Ti perdono
tutto, ti
perdono adesso e ti perdonerò sempre, quindi, ti prego, ti
prego, non mandarmi
via» la ragazza boccheggia rifiutandosi anche solo di
ascoltare una verità
troppo scomoda.
«Lo
so, Anna. E sono sicuro che sia vero perché in questo
momento le rose del
giardino fioriscono alle tue spalle e vedo i colori così
intensamente come non
credo di averli mai visti nelle mie ultime vite. E so che dovessi
rimanere
nessuno dei due morirebbe, ma… Ma anche se tu sei riuscita a
perdonarmi, io non
riesco a perdonare me stesso. Mi dispiace, ma ogni volta che chiudo gli
occhi
ti vedo morire e se prima era difficile da tollerare, ora mi
è impossibile.
Perché so che è colpa mia, tutta quella morte,
tutto quel dolore, me li porto
dentro come un fardello e non so come lasciarlo andare».
«Hans,
cosa stai dicendo?»
«Ti
ho chiesto di vivere con me, Anna, ed ero sincero. Lo pensavo davvero
e, per
gli dei, lo desidero ancora, più di ogni altra cosa. E
questa casa sarà anche
casa tua, finché lo vorrai. Ma io non sarò
qui».
«Aspetta,
cosa?»
«Ti
amo, ti amerò sempre, ma non posso stare con te. Non
finché non avrò accettato
quello che ho fatto, finché non avrò accettato me
stesso e ognuna delle azioni
che ho compiuto nelle mie vite passate. Tornerò, te lo
prometto, tornerò da te,
ma fino a quel momento, ti prego, cerca di capire».
Hans
non sa bene quando abbia preso quella decisione, sa che
l’idea si è formata nel
mezzo del discorso di Elsa e nell’istante stesso in cui
l’ha formulata ha
capito che era la cosa giusta da fare. Forse non giusta per Anna, ma
come può
pensare di darle il meglio se lui stesso non è convinto di
essere il meglio, se
lui stesso non è convinto che ne valga la pena?
Un
giorno tornerà e quel giorno saprà essere non
solo l’uomo di cui Anna ha
bisogno, ma anche l’uomo che Anna merita, forse, se
sarà fortunato, riuscirà ad
essere molto di più; ad essere qualcuno orgoglioso delle sue
azioni e del suo
passato, un uomo che ha sbagliato e ha imparato dai suoi errori,
sfruttandoli
per diventare migliore.
E
non importa quanto tempo dovrà passare, perché,
lui lo sa, Anna sarà lì. Ad
aspettarlo.
Altrove.
«Sembra
proprio, fratello, che tu abbia perso».
«Taci,
Atena, lo vedo da solo che l’ho presa in culo»
borbotta Ares indispettito.
«Oh
consolati, tesoro, sai che Eros ha aperto un sexy shop? Vieni, ti ci
porto,
così ti distrai un po’».
«Ma
come, te ne vai e li lasci così? Appesi a un
filo?» domanda la dea della
saggezza perplessa.
«Oh,
ma non preoccuparti. Lo sai come si dice, no? Quando l’amore
è vero, trova
sempre un modo» risponde Afrodite, sorridendo divertita.
I
do hope you will be able to find it in your heart to forgive me.
Hated
leaving you like that. Wasn't the goodbye I had in mind.
Robert
Frobisher, Cloud Atlas
Posso dirti che
ogni volta
che potrò scegliere, sceglierò sempre te.
Scrubs.
Note:
Ci siamo. Questo
è il penultimo capitolo, ora
manca solo l’epilogo.
Non
credo di avere molto da dire a questo punto della storia; questo
capitolo dovrebbe,
spero, illuminare e rispondere a tutti i vostri dubbi e le vostre
domande. Non
me la sento di riapprofondire queste note con particolari note
mitologiche,
molti di voi avevano già intuito chi fossero le tre
divinità nel capitolo quattro
e quindi dirò solo che 1) Phobos e Deimos sono Paura e
Terrore, figli di Ares,
che di solito vanno in battaglia con lui 2) la lei a cui Elsa fa
riferimento è
Atena.
So
che volevate qualcosa di diverso e mi dispiace che non sia stato
così, sono
state un paio di settimane mentalmente estenuanti e per qualche giorno
ho
pensato che non sarei mai stata in grado di finire questa storia, perché
non
so ancora come finisce perché ogni parola ha un
significato particolare ai miei
occhi e scriverlo è stato davvero strano, e boh, gente, alla
fine ho deciso che
il lieto fine rose e fiori non fa per me, e credo nemmeno per Anna e
Hans. Cioè
per Anna sì, ma questa non è una favola, non
è Frozen, e qui volevo rimanere il
più possibile ancorata alla realtà, e non mi
sembrava giusto lasciare che
questa relazione prendesse piede, andasse avanti, quando Hans ancora
non era
pronto per farlo.
L’ultima
precisazione, si parla molto di Elsa qui, mai di Rapunzel, mi dispiace
per
quelli che avrebbero voluto vedere la sua relazione con Flynn
maggiormente
approfondita, ma non ho intenzione di farlo, sarebbe stato forzato
spiegarlo e
non avrebbe avuto senso nel capitolo, tuttavia ci sono numerosi accenni
a Flynn
nei capitoli precedenti, sentitevi liberi di interpretarli come meglio
volete.
Per quanto riguarda Elsa, ho cercato di giustificare i suoi poteri in
Frozen e
il suo essere personaggi particolarmente importanti storicamente (vedi
Giovanna
d’Arco) con il suo essere Elena, ovvero figlia di Zeus e
quindi più vicina agli
dei per discendenza e più potente dei normali mortali.
Per
concludere, la frase di Afrodite ad Ares, su Eros che ha aperto un sexy
shop, è
un richiamo alle mie modern AU su Ade/Persefone, nonché una
specie di, boh,
anticipaspoiler del contenuto della prossima one shot che li
vedrà protagonisti
(much crossover, very reference, such selfpreach).
Una
parte del discorso di Anna è ispirato a questa frase tratta
dal libro The Chaos
of Stars: “I didn't fall in love with you. I
walked
into love with you, with my eyes wide open, choosing to take every step
along
the way. I do believe in fate and destiny, but I also believe we are
only fated
to do the things that we'd choose anyway. And I'd choose you; in a
hundred
lifetimes, in a hundred worlds, in any version of reality, I'd find you
and I'd
choose you”
Quello che dice Afrodite: When love it's real it finds a way,
è una citazione dell'Avatar Roku in Avatar the last
airbender, la serie, ovviamente.
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Capitolo 7 *** I believe that love is real ***
7.
I believe that love is real
My
uncle was a scientist, but he believed that love was real. A kind of
natural phenomenon. He believed that love could outlive death.
Megan
Sixsmith, Cloud Atlas
La
vita è fatta di stronzate, ne facciamo una dietro
l’altra e non ci fermiamo
nemmeno a pensare come sia possibile.
La
vita è fatta di errori e di sbagli grandi come un
condominio, e spesso, anzi,
quasi sempre, è solo colpa nostra. Certo è
più semplice scaricare i nostri
sbagli sugli altri, ma è solo un modo carino per prendersi
in giro.
La
vita è fatta di responsabilità, alcune le
rifuggiamo come bambini, di altre ci
facciamo carico e piano, piano diventiamo adulti. A volte dei pessimi
adulti.
Ma
non credo sia tutto qui: la vita è anche, e soprattutto, un
insieme di cose
positive e negative ed è l’insieme che dobbiamo
guardare.
Nel
corso della mia fin troppo lunga esistenza ho fatto sogni che sono
rimasti con
me ben oltre il momento della sveglia, frammenti di ricordi, di vite
passate,
di esperienze già vissute in precedenza; sogni che sono
diventati realtà, che
hanno plasmato la mia persona e si sono fusi con essa, diventando per
sempre
parte di me.
Mano
a mano che trascorrevano gli anni, i secoli, mi sono resa conto che i
confini
sono solo convenzioni in attesa di essere superate, ho scoperto che
giusto e sbagliato
sono categorie troppo nette per essere prese realmente come punti di
riferimento e che la vita non è altro che una scala di grigi
in sequenza. Ogni
tanto ci accorgiamo di avvicinarci al bianco e allora ci sentiamo come
se
niente potesse ostacolarci, perché siamo così
vicini ad avere raggiunto la
verità (una verità, spesso nemmeno noi sappiamo
quale) che tutto il resto perde
di importanza; altre volte siamo così vicini al nero che
pare che il mondo
stesso si stia rivoltando contro di noi, pare che non ci sia
possibilità di
salvezza, né via d’uscita.
Mi
ci sono voluti anni per capirlo, ma alla fine ci sono arrivata anche
io, con
calma, passo dopo passo, vita dopo vita, morte dopo morte.
Alla
fine ho capito che a definirci sono le nostre scelte, i nostri
insuccessi tanto
quanto i nostri successi, i nostri errori tanto quanto i nostri meriti,
ciò che
scegliamo di essere, di diventare, chi scegliamo di amare.
Credo
che l’amore sia una delle cose più importanti da
cercare nel corso della
propria esistenza, e io lo so bene, l’ho inseguito per
millenni e mi sono
scoperta disposta a qualsiasi cosa pur di viverlo. Ovviamente parlo
dell’amore
vero: quello che ti brucia i polmoni e ti lascia senza fiato, quello
che toglie
il respiro e il sonno e che ti impedisce di pensare ad altro se non
alla
persona con cui vorresti stare. Quel genere di amore che è
come una calamita e
che, quando hai tredici anni, sogni con tutta te stessa e credi
fermamente che
esista, quel genere di amore che a sedici sei convinto sia
un’invenzione dei
romanzi e che in parte rigetti e in parte vorresti vivere
(perché a volte è
bello sapere di avere torto), quell’amore che a venti hai
più o meno idea di
cosa sia, ma ancora non sei in grado di afferrare con mano. E che,
già quando
arrivi ai venticinque anni, sai di essere disposto ad aspettare tutta
la vita.
A
volte ci sono cose per cui vale la pena lottare e credo che questa sia
una di
quelle.
La
vita è fatta di errori, ma è anche fatta di
seconde possibilità, è fatta di
perdono, incomprensioni e mani tese. È fatta di scelte e, a
volte, sta a noi
decidere se perdonare e riprovarci ancora o se girarci, non offrire
altro che
le nostre spalle piegate dal peso del passato e cancellare quanto
abbiamo
vissuto prima.
So
che in molti diranno che non ne vale la pena. Che un uomo che ha
sbagliato una
volta sbaglierà ancora, che sceglierà di nuovo la morte
e tornerà a stringere il mio corpo
freddo, che la mia non è che una storia,
un’illusione, il sogno di qualcuno che
ha vissuto troppo a lungo e ha perso di vista la realtà. Ma
quanto di vero ci
può essere in un sogno? Quando vi troverete di fronte a un
bivio in cui dovrete
scegliere tra ciò per cui vale la pena soffrire e
ciò che sembra essere più
sicuro, sarete in grado di fare la scelta giusta? Sarete in grado di
perdonare?
Il perdono comporta un grande cuore, comporta sforzo e sacrificio, e
spesso
anche sofferenza, ma a volte ciò che si ottiene in cambio
è in grado di
illuminare le nostre giornate e donarci un sorriso e una
felicità talmente
immensi da ripagare qualsiasi fatica.
Io
ho scelto di perdonare Hans e se dovessi tornare indietro lo rifarei.
Non c’è
niente di cui io mi penta, rifarei tutto dall’inizio mille
altre volte per
stare con lui, perché ogni anno di solutine e sofferenza
è stato ripagato dalla
felicità incontenibile che provo ora, che ho sempre provato
nel ritrovarlo, nell’amarlo
di nuovo.
Nel
frattempo, posso aspettare. Posso aspettare mesi, anni, anche decenni.
Quello
che ho mi basta. E quello che ho è una consapevolezza: la
consapevolezza di non
essere sola. La consapevolezza che, da qualche parte a questo mondo,
esiste una
persona che pensa a me come la sua metà, qualcuno che mi
ama, contro il tempo,
contro gli anni, contro la distanza e che mi amerà sempre.
E
un giorno lo incontrerò ancora, non so quando
accadrà, ma so che accadrà e quel
giorno mi prenderà per mano, mi sorriderà
dolcemente e io sentirò ancora la sua
voce dirmi “Ti ho ritrovata”.
E
quando mi bacerà di nuovo, finalmente, allora il mondo
ritornerà a girare.
Alla
fine, rimpiangiamo solo le opportunità che non siamo stati
in grado di
cogliere.
Are
the dreams you dreams reality or fantasy?
Ashbear,
Crimson Lies
Non
ha mai cambiato la serratura.
Da
quando si è trasferita a vivere in quella casa, un giorno di
Agosto di tanti
anni prima, Anna ha sempre lasciato che la porta rimanesse
così com’era. In
realtà è più corretto dire che non ha
toccato niente, non se l’è sentita:
stessi mobili, stesse suppellettili, stessi quadri (ci sono ancora i
suoi
vestiti in un angolo dell’armadio).
È
in cucina quando l’uscio si apre con un cigolio, niente di
inquietante, niente
di sinistro, ma si apre. Sobbalza leggermente nel sentire quel rumore e
lascia andare
la pasta della torta (per la crostata di lamponi e cioccolata, che
prepara sempre
ogni domenica), si pulisce maldestramente le mani nel grembiule rosa e
si
dirige in salotto.
La
grossa borsa di color verde militare è per terra, di fronte
alla porta nuovamente
chiusa, nell’aria un leggero profumo di tabacco.
«Ti
stavo aspettando» mormora sorridendo.
Le
lacrime le bagnano le ciglia e poi le guance, scivolando giù
come in corsa,
Anna, però, non smette mai di sorridere, sente il cuore
scoppiarle nel petto e
tutto il resto non ha più alcuna importanza.
Quando
le sue braccia la cingono in un abbraccio capisce che sì,
è valsa la pena
aspettare; Hans strofina la barba incolta sulla guancia della donna,
mentre il
suo viso scivola a cercarne le labbra, per il primo bacio dopo otto
anni.
Ispira
profondamente, fissandola con amore, quindi finalmente sorride.
«Bene. Sono
tornato».
When
love is real, it finds a way
Avatar: the
last Airbender, Roku
Note:
È
finita. È la fine e non mi sono nemmeno accorta di esserci
arrivata, perché
questa storia è stata scritta così velocemente e
così di getto che non so
nemmeno come io ci sia riuscita.
Come
avrete sicuramente notato questo epilogo è molto corto, ma
è normale, perché è,
per l’appunto, l’epilogo e serve solo a tirare i
fili. All’inizio l’avevo
scritto dal punto di vista di Hans, perché quasi tutta la
storia è dal punto di
vista di Hans, e l’ottima ragione è che mi
identifico molto di più con lui che
con Anna; ma poi mi sono resa conto che proprio perché avevo
sempre dato così
tanto spazio ad Hans era meglio se nell’ultimo capitolo
avessi finalmente dato
voce ai pensieri e alle emozioni di Anna.
E
scusate è così melenso che credo mi sia venuto il
diabete a scriverlo e ho
avuto la tentazione di cancellare tutto otto volte e di non postarlo
perché sì,
insomma, è troppo cheesy per i miei standard. Ma ok, va bene
così, perché
sinceramente non riesco a immaginarmi un altro epilogo.
Quindi
abbiamo una parte in prima persona e un brevissimo 8 anni dopo, otto
anni
perché ogni cosa richiede tempo, perché mi
immagino Hans che torna in tempo per
il trentesimo compleanno di Anna e mi immagino la sua gioia e niente.
Questa
è la fine, grazie per avere letto tutta la storia, grazie a
chi l’ha
commentata, a chi l’ha preferita e a chi ha seguito e basta.
Non è l’ultima
Hans/Anna che scriverò, ma è sicuramente quella a
cui sono più legata.
(Ci
sono così tante citazioni sparse in questo capitolo che io
boh, se le cogliete
tutti siete delle bellissime persone).
E
niente, sono un po’ triste ora.
|
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