Revenge

di LuluXI
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Vendetta ***
Capitolo 2: *** Un nuovo Nemico ***
Capitolo 3: *** La ladra rossa ***
Capitolo 4: *** La rivolta ***
Capitolo 5: *** Un nuovo maestro ***
Capitolo 6: *** Indizzi ***
Capitolo 7: *** Partenze ***
Capitolo 8: *** Scoperte ***
Capitolo 9: *** Fallimento ***
Capitolo 10: *** Rivelazioni ***
Capitolo 11: *** In fuga ***
Capitolo 12: *** La fine della corsa ***
Capitolo 13: *** Fine? ***



Capitolo 1
*** Prologo: Vendetta ***


NOTE PRE LETTURA (IMPORTANTE!): E’ iniziata la scuola, ed è praticamente un suicidio mettersi a pubblicare una Long adesso. Però l’avete chiesta, quindi vi accontento (perché se non inizio adesso, non inizio più). Ecco a voi il seguito de “La Maschera della Morte e la Vendetta” e di “Stand By Me” (che è ancora in corso, ma non crea problemi in quanto raccolta di Missing Moments della prima storia ;) ) Non è necessario aver letto le altre due, per leggere questa e capirla, ma la prima delle due potrebbe rendere più immediati alcuni collegamenti. Essendo una “What If” che prende gli sviluppi da un’altra “What If”, potremmo cadere pericolosamente OOC da un dato momento in poi (anche se cerco sempre di evitarlo): lettore avvisato, mezzo salvato. A questo punto…If you want, ENJOY! =)
 

E tu sei stato catturato al punto di svolta,
catturato nel bagliore ardente
E io ero lì, a punto di svolta
(Linkin Park, Burn it down)

 
“E’ vero…” sussurrò Shunrei, intenta a preparare la tavola, mentre toglieva uno dei due piatti che aveva già posato, riponendolo nella credenza.
Abituata com’era a cenare con Shiryu si era dimenticata che il Bronze Saint era tornato al Santuario, per una riunione.
Atena aveva richiesto la presenza di tutti i Bronze a quell’assemblea con i dodici Gold Saint, ritornati in vita dopo la battaglia contro Hades perché, un nuovo nemico stava agendo nell’ombra.
Sebbene non si fosse ancora manifestato in tutta la sua potenza, il suo cosmo oscuro alleggiava sulla Grecia. Di tanto in tanto esplodeva con furore, ma quando i Saint mandati a cercarlo arrivavano sul luogo, si trovavano davanti solo la morte: del nemico, nessuna traccia.
 
“La pace è durata poco…tre anni” pensò Shunrei si appoggiandosi al davanzale della finestra e osservò le stelle che brillavano nel cielo. Poi l’acqua che era sul fuoco cominciò a bollire e la ragazza si voltò per andare a spegnere i fornelli: alle sue spalle un’ombra passo davanti alla finestra. La porta d’ingresso sbattè, costringendo Shunrei a voltarsi prima ancora di poter togliere la pentola dal fuoco.
“Chi sei?” domandò la ragazza alla figura ammantata che si palesò, un istante dopo, sulla porta della cucina.
“Qualcuno che vuole vendetta” rispose quell’ombra con il volto coperto da una maschera da Sacerdotessa di Atena, avanzando di un passo. I raggi della luna illuminarono la figura per un istante e l’armatura scintillò, emettendo bagliori argentati.
 
 
Shiryu fece il suo ritorno a Goro-Ho il mattino seguente e trovò la porta di casa aperta.
“Shunrei? Shunrei sei in casa?”
Non ricevette risposta. Istintivamente andò in cucina e trovò la pentola ancora sul fuoco: sulla parete di fronte alla porta d’ingresso l’intonaco era stato staccato per formare una parola: “Vendetta”
E, appeso al muro, alla fine della scritta, un ciondolo azzurro ghiaccio.
 
 
 
NOTE:
Bhe, questo è solo il prologo, quindi non posso dire molto… Che fine ha fatto Shunrei? Perché mai qualcuno con una maschera da Sacerdotessa dovrebbe avercela con lei? E questo misterioso nemico che minaccia Atena e la pace?
Se vorrete seguire questa storia, sarò ben lieta di rispondere a queste domande. I protagonisti principali, per ora, non sono ancora comparsi, ma arriveranno: questo è solo l’antefatto!
Grazie comunque a chi è passato di qui ;)

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Capitolo 2
*** Un nuovo Nemico ***



 

Il ciclo si ripeteva
Mentre le esplosioni tuonavano nel cielo
Tutto ciò di cui avevo bisogno
Era l’unica cosa che non riuscivo a trovare
(Linkin Park, Burn it down)

 
“Ritengo sia opportuno agire” disse Kanon, alzandosi in piedi “Non possiamo permettere che tutto questo continui” concluse, osservando prima Atena, poi gli altri Saint presenti: lui era l’unico a non indossare un’armatura.
“Forse sarebbe più opportuno aspettare ancora un po’: non abbiamo molte informazioni circa questo nostro nemico. Non possiamo certo agire alla cieca” replicò Saga.
“Fatto sta che il nemico va fermato” si intromise Aldebaran. “Saga, tu non hai visto la distruzione che si lascia alle spalle: campi bruciati, villaggi devastati…”
“E tutti i cadaveri hanno sul volto espressioni di puro terrore: massacra indistintamente uomini, donne e bambini.” Prese la parola Hyoga. “Non c’è limite alla brutalità di questo individuo.”
“Tuttavia Saga ha ragione” si intromise Camus, alzandosi in piedi a sua volta “Sappiamo troppo poco di questo nemico”.
“Fate silenzio un attimo, ve ne prego.”
 
Alla richiesta di Atena, che li osservava tutti, seduta sul suo scranno sopraelevato, i Saint presenti tacquero. La dea lasciò scivolare lo sguardo sui dodici Gold Saint, per poi guardare Kanon e tutti i Bronze Saint: l’unica sedia vuota era quella dove, nell’ultima riunione, si era seduto Shiryu che era momentaneamente rientrato a Goro-Ho.
“Ognuno di voi ha avuto un compito in questo periodo instabile” continuò quando vi fu silenzio “Ikki, tu che hai indagato sul nostro nemico, che cosa hai scoperto?”
Il Bronze Saint della Fenice, non appena fu interpellato, si alzò in piedi. “Gli attacchi più frequenti si sono verificati nella zona periferica di Atene. Vi sono anche altri casi nel resto della Grecia, ma sono isolati… quasi quelle fossero delle esercitazioni per il massacro imminente” rispose, per nulla turbato dagli sguardi dei presenti puntati su di lui “La zona è stata interamente evacuata: coloro che non hanno abbandonato le loro case, non si sono salvati.” Concluse, sedendosi nuovamente.
 
“Cos’altro sappiamo?” domandò la dea e fu Death Mask ad alzarsi in piedi.
“L’affluenza di anime nella Valle della Morte è aumentata, ma non sono molte quelle che finiscono nella voragine che li conduce negli inferi” rispose, incrociando le braccia. “Molte continuano a vagare senza meta e, a differenza delle altre, assumono dei contorni molto più netti e delineati e si potrebbe dire che si tingano di azzurro.”
“Il cosmo a noi ostile abbraccia una vasta area, in cui ora regna la morte” prese la parola Shaka “Non so dire quanto sia forte il suo possessore, fatto sta che ha il controllo quasi totale sulla periferia di Atene. Ha eretto una barriera, molto simile a quella che circondava il castello di Hades attorno ad un quartiere di periferia, dove si trova probabilmente il suo rifugio.”
“Ma perché seminare tutto questo terrore?” domandò Shun “Cosa lo spinge a comportarsi così?”
“Il desiderio di Vendetta.”
 
Tutti, istintivamente, si voltarono verso l’ingresso dove si vedeva chiaramente Shiryu, appena tornato da Goro-Ho.
“Come fai a saperlo Shiryu?” domandò Seiya, osservando l’amico che stringeva i pugni.
“Perché lo ha scritto sulla parete della mia casa a Goro-Ho” replicò il Saint del Dragone “E ha rapito Shunrei”.
Per un po’ nessuno disse nulla: nessuno osò obbiettare dicendo che, a dire il vero, non potevano essere certi che il nemico fosse lo stesso.
Toccò ad Atena rompere il silenzio.
“A questo punto non possiamo indugiare oltre: troppe vite sono state sacrificate senza una ragione.”
A quelle parole, tutti i presenti annuirono.
“Tuttavia sarebbe inutile attaccare tutti insieme: è vero, non conosciamo la potenza del nostro nemico, ma se ci recassimo tutti in quella che crediamo essere il suo rifugio rischieremmo troppo.” Proseguì la dea, nel silenzio generale.
“Ikki tu hai indagato su quanto succede e per questo sei colui che potrebbe più facilmente individuare la base operativa del nemico. Partirai assieme a Death Mask: le sue capacità mi sembrano le più adatte alla situazione.” Concluse la dea, alzandosi in piedi. “Gli altri rimarranno a difesa del Santuario mentre alcuni andranno a tenere sotto controllo Atene.”
“Fatemi partire con loro” intervenne Shiryu, avanzando verso lo scranno di Atena, che lo osservò silenziosa “Sei sicuro Shiryu?” domandò lei e, alla sua risposta piena di convinzione, la dea non potè fare a meno di accettare.
 

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“Pensi che la dea abbia fatto bene a mandare quei tre?” domandò Aldebaran a Mu, staccandosi dalla colonna della casa dell’Ariete alla quale era appoggiato, per avviarsi verso la sua casa.
“La dea sa quello che fa Aldebaran” fu la risposta del Saint dell’Ariete.
“Lo so Mu, ma se Ikki non costituisce un problema, non dobbiamo dimenticare che è stato Shiryu ad uccidere Death Mask.” Replicò l’altro “E sappiamo bene entrambi com’è fatto Death Mask”.
Mu si voltò a guardarlo, con un mezzo sorriso sul volto “Bhe, amico mio, non dimentichiamoci che entrambi combattono per la giustizia. Inoltre, ora come ora, Death Mask ha ben altro per la testa.” Concluse, pensieroso.
“Già…da quel che ho capito, questa situazione non gli piace” rispose il Saint del Toro “C’è qualcuno che gioca a fare il suo lavoro: erano le anime dei suoi nemici a vagare per l’eternità senza riposo e questa entità a noi nemica sembra fare lo stesso.”
 
“Si, è così, ma forse non è solo quello…è da parecchio che è strano…”
“Bhe, non pensarci troppo Mu!” rispose Aldebaran, dandogli una pacca sulla spalla “Altrimenti rischi di farti scappare il nemico quando attacca!” concluse, ridendo. “Torno a difendere la mia casa Mu: abbi cura di te.”
“Anche tu Al… E stai tranquillo, non dovrai sporcarti le mani: se qualche nemico arriverà qui, non andrà oltre”
“Non ne dubito!” fu la risposta del Toro, che sparì poco dopo diretto alla seconda casa.
 

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“E’ uno scenario desolante” fu la constatazione di Milo. Era seduto su una roccia, dalla quale poteva vedere l’intera città di Atene. Qua e là riusciva a scorgere alcuni degli altri Saint che, in molti casi, erano le uniche figure visibili: la città di Atene era praticamente deserta.
“La città è stata evacuata questa mattina: non c’è più nessuno, ad Atene” fu la risposta di Camus, in piedi alle sue spalle.
“Perciò... noi semplicemente dobbiamo assicurarci che questo individuo non si sposti da qui” fu la constatazione del Saint dello Scorpione “Esatto?”
“Esatto” concluse l’Acquario.
“Sempre di poche parole tu eh?” disse Milo, rialzandosi in piedi, soffermandosi ad osservarlo.
“Siamo in guerra, Milo…”
“Siamo in guerra, Milo” ripetè lo Scorpione, imitandolo “E con ciò? Non possiamo più parlare? L’ultima volta che c’è stata una guerra e non abbiamo parlato, poi non abbiamo più potuto farlo” continuò, camminando avanti e indietro. “Quindi, potresti anche collaborare.”
 
Per un po’, nessuno dei due disse nulla: rimasero in silenzio ad osservare tutti gli altri Saint che, come loro, erano stati incaricati di tenere sotto controllo la città, pronti a spostarsi in qualche altra zona della città, se necessario.
“Mi chiedo se Death Mask e gli altri riusciranno a portare a termine la missione…”
“Abbi fiducia Milo, sono dei validi Saint.”
“Lo so Cam, ma Death Mask mi sembrava… pensieroso”
“Lo sai bene quanto me che è cambiato Milo…”
“Si ma Cam, in questi ultimi anni quanto tempo è rimasto al Santuario? Pochissimo.” Replicò lo scorpione. “Solo negli ultimi sei mesi, da quando si è manifestato  il nemico, ha smesso di viaggiare: qualcosa lo preoccupa.”
“E immagino che tu avrai un’idea al riguardo…”
“Penso cercasse la bambina.”
“La bambina?”
Milo annuì, tornando a guardare Atene.
“Nessuno l’ha più vista dalla morte di Saga. Ora che è tornato in vita, si starà domandando dov’è finita. Inoltre…” tornò a guardare Camus “Ha passato molto tempo nella Valle della Morte.”
“Secondo te teme che ci sia anche lei tra le vittime del massacro?”
“Già…”
“Bhe Milo” Camus tornò a guardare, a sua volta, Atene. “Potremmo non scoprirlo mai che ne è stato di lei”.
 
 
Note:
Si, ci siamo spostati da Goro-Ho al Santuario… Nella zona calda, dove questo nemico (che, a detta di Shyriu, è lo stesso che ha rapito Shunrei) ha concentrato i suoi attacchi… o almeno così sembra. Ho voluto dare una panoramica un po’ su tutti i Saint all’inizio, per poi concentrarmi sui singoli…perché? Perché la storia riguarda Death e la sua “Happy (?) Family” e mi sembrava giusto mostrare cosa pensano di lui i suoi colleghi ù.ù La bambina di cui parlano Milo e Camus, penso di non dover spiegare chi è… o sbaglio?
Si, lo so, per ora non sta succedendo niente ma… bisogna iniziare con pochi indizi per poi svelare l’arcano, non si può avere tutto subito! xD Se inizio subito con morte, botte e sangue…poi non è divertente!

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Capitolo 3
*** La ladra rossa ***



Il destino mi aveva trovato alla fine
e la tua voce è tutto ciò che ho sentito
e diceva che ottengo solo ciò che merito
(Linkin Park, New Divide)


Due anni  prima

Oslo

“Kom tilbake hit!”(*)
La figura minuta, avvolta nel suo cappotto, non prestò attenzione al richiamo e, il più rapidamente possibile, sgusciò tra la folla, lontano dal suo inseguitore.
“Jeg kan ikke flyke darling tyv!”(*)
La gente iniziava a voltarsi, ma non le importava: non sarebbero riusciti a fermarla. Non smise di correre nemmeno quando udì lo schianto alle sue spalle: probabilmente il venditore che la stava inseguendo era scivolato sul ghiaccio. Lei, al contrario, si mosse agile e veloce e, quando fu abbastanza lontana, ricominciò a camminare normalmente, come se non fosse accaduto nulla. Poco dopo si infilò in un vicolo e da lì, attraverso una finestrella, si calò in una cantina umida, che aveva scelto come rifugio. Si era alzata, col tempo, ma era rimasta abbastanza magra per poter passare attraverso quel foro che dava sulla strada.
Seduta sul suo giaciglio di paglia rimase ad osservare il bottino della giornata: due pagnotte, un pesce crudo, tre portafogli, più o meno pieni e, cosa più importante, una scatola di fiammiferi. Soddisfatta la ragazzina si mise ad accatastare la legna per il fuoco: fuori già il cielo si stava scurendo.
 
Al nord era così: le giornate duravano poco in quel periodo dell’anno. Ormai era lì da un anno e si era abituata anche al freddo, nonostante fosse originaria della Grecia, che aveva un clima decisamente differente.
Stava per accendere il fuoco quando udì dei passi provenire dal piano superiore. Stupita, la ragazzina si nascose in un angolo.
Sapeva che avrebbe dovuto cambiare nascondiglio prima: le case disabitate erano i nascondigli migliori, ma prima o poi loro riuscivano sempre a trovarla.
Li aveva incontrati la prima volta un paio di mesi prima e, da allora, non aveva più avuto pace: volevano catturarla per farle qualcosa ma non avrebbe saputo dire che cosa.
Rivolgersi alla polizia era impensabile: la sua vita si basava principalmente sui furti e, visti i suoi tratti tipicamente stranieri, non ci avrebbero messo molto a capire che la “Tyven røde”(*) era lei.
La porta della cantina si aprì con uno schianto e i suoi sospetti furono confermati. I tre uomini entrarono, con le pistole puntate.
La ragazzina lasciò andare tutto ciò che aveva in mano, ad accezione della scatola di fiammiferi e dei borsellini che aveva infilato in tasca e si fiondò fuori dalla stessa finestrella che aveva usato per entrare.
Nella fretta e nel tentativo di evitare le pallottole, squarciò il cappotto che aveva indosso passando per l’apertura e iniziò a correre per le strade di Oslo che erano ormai quasi deserte.
 
Dietro di lei sentiva le imprecazioni dei tre uomini: doveva trovare un riparo al più presto o sarebbero riusciti a raggiungerla in poco tempo.
Rallentata dal cappotto ormai a brandelli, decise di abbandonarlo lungo la strada: lo lasciò sul viale principale e scartò a destra, in un vicolo: forse quell’oggetto sarebbe riuscito a portarli fuori strada.
Sbucò poco dopo nei pressi di uno dei grandi parchi di Oslo, ma non avrebbe saputo dire quale. Sapeva che era pericoloso correre in mezzo all’erba, dove il ghiaccio era più insidioso e bastava un passo falso per cadere a terra: tuttavia aggirarlo avrebbe richiesto troppo tempo e i suoi inseguitori sarebbero sicuramente riusciti a raggiungerla.
“Ta det! Ikke gå glipp av denne muligheten!”(*)
Le voci, sebbene distanti, la spronarono a correre ancora di più. Fortunatamente ora aveva le gambe più lunghe, e riusciva ad essere più rapida rispetto ad un anno prima e i duri allenamenti la avevano temprata abbastanza da permetterle di correre senza stancarsi troppo.
“Der nede! Er i trærne!”(*)
Trovata. Ricominciarono a sparare, ma erano troppo distanti per colpirla. Aveva quasi raggiunto il limitare del parco, quando un motore ruggì alla sua destra. La ragazzina non riuscì a capire esattamente quale mezzo stavano usando, fatto sta che non erano più tutti a piedi: la avrebbero raggiunta presto.
Un colpo di pistola, più vicino degli altri, le sfiorò la tempia destra, facendo volare via il pesante cappello che indossava: i suoi capelli rossi, ormai liberi, iniziarono a sventolare nell’aria.
 
Una volta fuori dal parco, li sentì sempre più vicini.
Sentendosi in trappola, si lasciò scivolare in un altro vicolo.
“Fa che il loro mezzo sia troppo largo per passare”.
La sua muta preghiera fu ascoltata: il mezzo nemico frenò di botto e, un istante dopo, si sentirono, insieme alle imprecazioni, le portiere che si chiudevano, seguite da dei passi frettolosi.
Girò in tutta fretta l’angolo e si ritrovò contro un muro: era finita in un vicolo cieco.
Ma non si sarebbe arresa tanto facilmente: mise in tasca anche i fiammiferi e iniziò ad arrampicarsi su, per la parete. Le dita le facevano male e i guanti rendevano difficile rimanere attaccati, ma strinse i denti e continuò a salire.
Lo sparo arrivò improvviso, così come il dolore; colpita alla mano destra, mentre cercava di sollevare l’altra, rimase per un istante sospesa in aria, prima di cadere a terra.
Battè la schiena contro il suolo gelido, ma non emise un solo urlo di dolore: in un istante, nonostante la stanchezza, si rimise in piedi.
“Det er gjort, når er det vår! Det kan ikke splippe unna!”(*)
“E va bene! Ve la siete cercata!” urlò in risposta la ragazzina, sollevando la mano sinistra verso di loro. “S..”
BANG!
L’ennesimo colpo le arrivò all’altezza della spalla sinistra, costringendola con violenza ad abbassare il braccio.
“No…non può finire così!”
Il semicerchio di uomini, che ormai erano diventati sei, si aprì, lasciando passare una settima figura, che avanzò fino a lei.
“Overgi drittunge, har du tapt”(*)
L’espressione strafottente dipinta sul volto della ragazza non cambiò, tanto che l’uomo in piedi davanti a lei le tirò un calcio, facendola volare contro il muro alle sue spalle.
Avrebbe rincarato la dose, se quel vicolo di Oslo non si fosse riempito di luce all’improvviso.
La ragazzina chiuse gli occhi e, quando li riaprì, i suoi aguzzini erano a terra tutti quanti, morti o, più probabilmente, svenuti.
 
La figura in piedi davanti a lei era circondata da una luce argentata e aveva indosso qualcosa che per lei era fin troppo noto: un’armatura.
La ragazzina si sentiva fin troppo stanca per fare qualsiasi cosa, ma non poteva svenire, non in quel momento.
“Du vet hvem jeg er?”(*)
Parlava poco il norvegese, ma quella frase riuscì a capirla.
“Un…Un Saint… Jeg snakker ikke godt norsk(*)” rispose, usando una di quelle poche frasi che sapeva dire.
Lui, in tutta risposta, annuì.
“Sono Pål dell’Altare: ora sei al sicuro” disse, inginocchiandosi per prenderla tra le braccia.
“Aletto…” rispose lei in un soffio “Ikke ta meg til Shrine”. Aggiunse poi, in un soffio, pronunciando quella che per lei era stata la frase più importante da imparare in quella lingua.
Poi, svenne.
 

Atene

 
Death Mask osservò il palazzo che era davanti a lui, ignorando la pioggia battente  che scivolava sopra il suo impermeabile. Rimase immobile per un bel po’, mentre il sole, nascosto dalle nuvole, tramontava, lanciando sul mondo, di tanto in tanto, effimeri fasci di luce. Lo aveva osservato per quasi un mese, cercando di capirne orari e abitudini; aveva anche scoperto a quale piano abitava, il sesto. Ora, era arrivato il momento di entrare.
“Sono venuto a trovare un amico” aveva detto all’ingresso alla portinaia che, dopo qualche esitazione, lo aveva fatto  passare.
Con il cappuccio della mantella che ancora gli riparava la testa nonostante fosse arrivato all’asciutto, salì tutti e sei i piani, fermandosi davanti alla porta.
Dall’interno arrivava il tintinnare dei piatti e lo scrosciare dell’acqua: Federico doveva aver appena finito la cena.
DRIIIN!
Al suono del campanello seguì il silenzio; l’acqua venne richiusa e il padrone di casa raggiunse la porta, urlando “Arrivo!”, giusto per far capire che l’abitazione non era deserta.
Death Mask si dispose lateralmente, in modo da non offrire il viso allo spioncino.
“Chi è?” domandò il ragazzo dall’interno.
“Una vecchia conoscenza…”
“Ovvero? Chi sei?”
“Se te lo dico, non mi farai entrare”
“Bhe, non entrerai neanche così.”
Lo spioncino si richiuse e Death Mask sentì i passi allontanarsi dalla porta.
 
“Sono qui per Serena!” urlò il Saint e i passi si fermarono. Poi ricominciarono, più veloci: un istante dopo, la porta dell’abitazione era aperta.
“Senti, se è uno scherzo, è di pess…”
La frase gli morì in gola, quando Death Mask si tolse il cappuccio.
“Non sono qui per farti del male” disse il Saint, vedendolo impallidire, ma il suo tono tradiva tutto, fuorchè gentilezza.
“Tu…tu sei il bastardo che l’ha rapita!”
Death Mask, si lasciò sfuggire uno sbuffo.
“Senti bello, so che non abbiamo iniziato col piede giusto, io e te, ma io non ho tempo da perdere. Quindi, invece di urlare, perché non mi ascolti un attimo?” domandò infine, facendo un passo avanti.
“NON FARE IL FURBO CON ME!” urlò Federico, recuperando da dietro la porta, fuori dal campo visivo di Death Mask, una pistola: dopo la scomparsa di Serena, inutì Death Mask,  doveva aver chiesto il porto d’armi.
“Non fare il furbo con me.” Rispose con più calma il ragazzo, rassicurato forse dall’arma che teneva in mano. “Che cosa vuoi?”
“Quello che vuoi tu: lei” rispose Death Mask, rimanendo immobile: per non dare nell’occhio, non aveva portato con se l’armatura e in quel momento era vulnerabile come un qualsiasi essere umano. “La sto cercando anche io.”
“BUGIARDO!” urlò quello in risposta, posando la pistola contro il petto del Saint. “Ti ho visto mentre la portavi via!”
La pazienza di Death Mask aveva raggiunto il limite: alla velocità della luce afferrò il braccio di Federico e glie lo torse dietro la schiena; prima che il ragazzo potesse accorgersene, era passato in svantaggio e la pistola era scivolata a terra.
“PENSI CHE MI STIA DIVERTENDO?” urlò il Saint in risposta, spingendo Federico dentro la casa, per poi richiudere la porta con un calcio: l’ultima cosa che voleva era allarmare l’intero palazzo “LA TUA FOTTUTA FIDANZATA SI E’ PORTATA VIA MIA FIGLIA! E IO VOGLIO SAPERE DOV’E’ FINITA!”
 
 
NOTE:
Dovrebbe essere norvegese, ma si sa, su internet si trova di tutto… Se qualcuno sa il norvegese e vede che c’è scritta una cavolata colossale, mi avvisi per favore!
(*)Kom tilbake hit = torna subito qui!
“Jeg kan ikke flyke darling tyv!” = non mi sfuggirai brutta ladra!
Tyven røde = la ladra rossa
Ta det! Ikke gå glipp av denne muligheten! = Prendetela! Non lasciatevela sfuggire!
Der nede! Er i trærne = Laggiù, laggiù! E’ in mezzo agli alberi!
Det er gjort, når er det vår! Det kan ikke splippe unna! = Ormai è fatta, adesso è nostra! Non può sfuggirci!
Overgi drittunge, har du tapt = Arrenditi mocciosa, hai perso.
Du vet hvem jeg er? = sai chi sono io?
Jeg snakker ikke godt norsk = Non parlo bene il norvegese
Ikke ta meg til Shrine = non portarmi al Santuario
 
Ebbene Signore e Signori, a grande richiesta, ecco Aletto. In questa parte della storia (ambientata, come avrete capito dalla dicitura, due anni prima degli avvenimenti della storia principale) ha 11 anni. Questo capitolo a cosa serve? A farvi capire cosa è successo in questo spazio di tre anni che ci sono tra “La Maschera della Morte e la Vendetta” e la storia attuale. Ovviamente, questo capitolo non spiega tutto tutto… ma le informazioni che mancano vi verranno fornite pian piano, più avanti. Come avrete notato, è suddiviso in due parti, una ambientata ad Oslo, una ad Atene: questo perché voglio che sia chiaro cosa accade ai due nello stesso lasso di tempo. Chi sono Federico e Serena, se non avete letto l’altra storia, non potete saperlo, ma tutto poi diverrà chiaro, vedrete!
Ormai agli OC dovreste essere abituati… ed ecco che, giusto per non farmi mancare niente, ho introdotto un altro Saint: a voi decidere se amare questo personaggio o meno :)
Per qualsiasi chiarimento, come sempre, resto a disposizione: grazie ancora a chi mi segue con cotanta pazienza.

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Capitolo 4
*** La rivolta ***


I colori erano in conflitto
Mentre le fiamme
salivano tra le nuvole
(Linkin Park, Burn it down)

 
“E’ questa la casa?” domandò Shyriu piazzandosi davanti al cancello della villetta. Era una casa di periferia non molto grande, con un giardino che una volta doveva essere stato pieno di fiori ma che ora mostrava solamente piante nere, morte.
“Si, è questa” rispose Ikki, lanciando un’occhiata veloce a Death Mask. “Superato il cancello, si oltrepassa la barriera di protezione. Una volta dentro uscire è molto difficile, inoltre…” Ikki lanciò un’altra occhiata a Shyriu e poi al Gold Saint del Cancro “Risulta impossibile comunicare con l’esterno”.
“Perciò una volta dentro finchè non troviamo il nemico non possiamo uscire”
“Si Death Mask, è così” confermò Ikki.
“Bene, se siamo tutti pronti: andiamo!” disse Shyriu, avvicinandosi al cancello, seguito da Ikki. I due si fermarono poco prima di attraversarlo quando videro che Death Mask non li stava seguendo.
 
“Questa è la sua casa, me la ricordo bene. Il cancello, il citofono con un solo nome anche se ci vivevano due persone…”
“Death Mask?” lo chiamò Ikki
“Shura? Aphro?” li chiamò espandendo il suo cosmo il Saint del Cancro, ignorando i Bronze Saint.
“Dimmi”
“Ti ascolto”risposero i due.
“Avete trovato niente?”
“No Death Mask” rispose Shura “Di lei nessuna traccia”
“Una volta nella casa, non potrò più comunicare con l’esterno: so che siamo in stato di emergenza ma se per caso ricomparisse al Santuario, tenetela al sicuro”
“Non preoccuparti Death” fu la risposta di Aphrodite “Se dovesse tornare, saremo ben lieti di proteggerla”
Il Gold Saint del Cancro non aggiunse altro e tornò a fissare Ikki e Shyriu che lo osservavano preoccupati.
“Andiamo” disse poi, brusco, oltrepassando per primo il cancello.
 
L’aveva cercata ovunque da quando era tornato in vita: aveva lasciato il Santuario tutte le volte che gli era stato concesso, ma senza risultati. Aveva cercato anche notizie di Serena ma anche lei era scomparsa.
Era riuscito addirittura a trovare Federico, il suo fidanzato, ma la sua ancella era letteralmente svanita nel nulla.
 
Ciò che si parò dinnanzi a loro, al di là della barriera, sembrava tutto tranne una casa. L’erba del giardino era cresciuta e rendeva invisibile buona parte dell’edificio, che appariva addirittura diroccato: la grande villa sembrava essere uscita direttamente da un film dell’orrore e dovunque alleggiava aria di morte.
“L’edifico sembra cadere a pezzi” disse Ikki, raggiungendo Death Mask “Ma, nonostante questo, non c’è modo di entrare”.
“Un modo lo troveremo” rispose il Gold Saint “Chiunque si trovi lì dentro, sicuramente non proverà ad uscire: Atene è circondata e noi siamo qui. Vediamo solo di muoverci, che non ho tempo da perdere.”
Detto questo, si mosse lateralmente, in mezzo all’erba, verso sinistra.
“Io proverò dal retro: a voi la scelta se tentare dal camino o dall’ingresso principale”.
E, prima che i due Bronze Saint potessero replicare, sparì in mezzo all’erba.
“Death Mask, aspetta!” urlò Shyriu, inutilmente
“Lascialo perdere” disse Ikki con noncuranza “Star qui ad urlare e a discutere non servirà a nulla: io passo dal tetto”. E, detto questo, sparì anche lui in mezzo all’erba.
 

*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*~¤  ¤~*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*

 
“Aphrodite, dobbiamo rientrare! Voi, restate di pattuglia in questa zona, da qui fino alla piazza principale: sono stato chiaro?”
Il consenso salì da una manciata di guerrieri semplici.
“Misty, a te il comando” concluse Shura, rivolgendosi all’unico Silver Saint presente che, annuendo, ricominciò a dirigere le operazioni, dando ordini a destra e a manca, lasciando al Gold Saint la possibilità di osservare il compagno, che ancora non mostrava alcuna volontà di allontanarsi dal luogo.
“Aphro, Atena ci ha ordinato di andare a tenere sotto controllo Rodorio: qui rimarranno di pattuglia Milo e Camus, insieme ai Silver Saint.”
“Vai tu” gli rispose il compagno, mentre continuava a fissare un punto in lontananza “Io resto”.
La mascella di Shura ebbe una contrazione giusto un istante; poi il guerriero chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e ricominciò a parlare.
“E’ un ordine di Atena, non possiamo disobbedire. Inoltre, qui siamo perfettamente inutili.”
“Abbiamo fatto una promessa a Death Mask” rispose il Saint dei Pesci.
“Aletto non è qui Aphro” rispose Shura, posandogli una mano sulla spalla “Altrimenti la avremmo già trovata. Inoltre, se dovesse venire a cercarci, andrebbe al Santuario. E per arrivare al Santuario de…”
“Deve passare da Rodorio, lo so.” Lo interruppe Aphrodite “Ma sono comunque preoccupato. Death Mask si trova laggiù e il cosmo di questo nemico non mi piace.” Concluse, indicando con la mano destra l’orizzonte, verso il luogo in cui si trovava Death Mask.
“Non piace neanche a me Aphro, ma non possiamo farci niente, gli ordini li conosci anche tu. Interverremo più in là, se necessario.”
“Shura, Aphrodite… Rientrate, a Rodorio c’è bisogno di voi.”Il cosmo di Atena giunse sino a loro con quel messaggio e Aphrodite si convinse a muoversi.
 
Quando arrivarono a Rodorio il piccolo villaggio era nel panico. La gente correva per strada urlando, i bambini piangevano e ovunque regnava il caos. Shura si avvicinò ad un uomo che stava caricando dei sacchi su un carretto.
“Cosa sta succedendo? Cos’è questo trambusto?”
“N…nobile Shura… Il Signor Azzarà ci ha ordinato di lasciare la città.”
“Lasciare la città? Ma è pericoloso! Vi è stato ordinato di rimanere qui per la vostra sicurezza!”
“L-lui dice che ci uccideranno tutti… che porteranno qui la pestilenza se non ce ne andiamo subito”
“Porteranno? Ma chi?”
“Voi…I…I Saint di Atena”
Appena l’uomo rispose Shura lo lasciò andare. Aphrodite era non molto distante e cercava di calmare la gente; lui, istintivamente, si mise a correre verso la piazza principale. La folla diventava più calma, mano a mano che ci si avvicinava alla piazza, ma le persone erano sempre più appiccicate le une alle altre, tanto che il Gold Saint del Capricorno fu costretto a farsi largo a spallate.
“Dobbiamo andarcene subito! Prendete tutto ciò che avete e caricatelo sui carri del mercato. Non saremo al sicuro finché resteremo qui! Non siamo noi l’obiettivo del male, ma Atena!”
Sentendo il nome della dea, la folla esplose in un boato.
“Lei è la causa di tutto, da sempre, e non è in grado di proteggerci! Se non è stata capace di salvare la città a lei sacra, perché mai dovrebbe salvare noi? Andiamocene, vi dico!”.
Shura, nonostante le ovazioni della folla, riuscì a sentire chiaramente la voce di Azzarà, che urlava dall’alto di un palco e, per questo, era ben visibile da ogni angolo della piazza.
 
Per il momento la folla non sembrava essersi accorta di lui, nonostante l’armatura: probabilmente, il discorso di Azzarà, capo del piccolo villaggio di Rodorio e uomo molto devoto ad Atena fino a qualche giorno prima, aveva catturato la loro attenzione.
All’ improvviso le urla della folla aumentarono di intensità alla sua sinistra e Shura si voltò per capirne il motivo. Vide con chiarezza un gruppo di persone salire sulla statua di Atena che si trovava a pochi metri da lui, urlando all’impazzata. Non era difficile capire le loro intenzioni, visto quanto stava oscillando il monumento celebrativo: volevano abbatterla.
Se fosse intervenuto avrebbe attirato l’attenzione della folla e, probabilmente, Azzarà ne avrebbe approfittato per aizzarla ancora di più contro Atena e i suoi Saint, per poi defilarsi in caso di pericolo. Era lui il suo vero obbiettivo quindi, istintivamente, Shura cercò il cosmo di Aphrodite: lo trovò appostato su un tetto che, con una rosa in bocca, osservava Azzarà.
“A lui ci penso io Shura”.
 
Gli abitanti di Rodorio amavano Atena e i suoi guerrieri, che facevano si che potessero vivere nella pace e nella tranquillità, ma avevano da sempre una predilezione per il Saint della dodicesima casa. Era così da sempre e nessuno avrebbe saputo dire il perché: se si chiedeva alle anziane del villaggio, raccontavano che era perché da sempre, sin dalla nascita di Rodorio, i Saint protetti dalla costellazione dei Pesci difendevano il villaggio, visto che il roseto dove coltivavano le loro rose era stato creato proprio da un abitante del villaggio, uno dei primi Saint dei Pesci. Alcuni dicevano che un tempo le armate di Hades erano giunte fino a lì e per proteggere gli abitanti, il Saint dei Pesci aveva affrontato uno dei più forti guerrieri dell’armata nemica direttamente in città, affinchè non venisse fatto del male a nessuno, e lì era morto. (*)
 
Shura fu ben felice di non essere lì da solo: Aphrodite si sarebbe rivelato un alleato prezioso. Il sole stava ormai tramontando e un raggio di luce andò ad illuminare il tetto su cui si era fermato il suo compagno: tutti si sarebbero accorti della luce intensa rflessa dall’armatura del Saint e, in tal caso, l’effetto sorpresa sarebbe andato in rovina. Shura, con la coda dell’occhio, tornò a guardare il tetto ma si accorse che Aphrodite era già sparito.
Deciso dunque a tener sotto controllo, per quanto possibile, la situazione della piazza, tornò ad osservare lo spazio che circondava la statua di Atena, ormai prossima al collo. Gli abitanti, ben consapevoli del pericolo, si erano allontanati lasciando uno spazio vuoto attorno alla statua. Nel campo visivo di Shura però, non c’era solo il pavimento lastricato, ma anche un piccolo orsacchiotto di peluches, abbandonato sulle pietre, ai piedi della statua stessa.
Quest’ultima oscillava già pericolosamente quando un bambino emerse di corsa dalla folla, dalla parte opposta rispetto a Shura, intenzionato a riprendersi il suo orsetto. Una donna emerse poco dopo, urlando e inciampando, nel tentativo di richiamare il bambino che le era sfuggito di mano.
Il bimbo si gettò a terra, afferrando per una zampa l’orsacchiotto, mentre la madre gli urlava disperatamente di spostarsi. Il ragazzino alzò appena la testa, mentre la statua gli crollava sul capo; la donna urlò di terrore.
E Shura, rinunciando all’effetto sorpresa, si mosse.
 
 
Note:
(*)Ovviamente questa è tutta farina del mio sacco: dove sia il roseto dove Aphro prende le sue rose, il Kuru non ce lo dice. Ho deciso di far finta che sia lì, giusto per far si che ci sia una valida ragione affinchè il nostro Gold Saint sia tanto amato e rispettato lì a Rodorio (il che servirà più avanti nella storia). Per questo il riferimento ad Albafica era inevitabile, visto che nel Lost Canvas è lui che stende le sue rose a difesa del villaggio e che si fa ammazzare da Minosse pur di difendere gli abitanti.
 
Che dire gente… Vi ho fatto aspettare più di un mese, scusatemi tanto! ç_ç Sono così impegnata con la scuola che non ho tempo neanche per aggiornare e leggere le vostre fan fiction ç_ç Per quanto riguarda il capitolo bhe, il trio alla ricerca del grande nemico è ancora agli inizi del suo percorso… questo perché ho voluto fare un excursus anche su Aphro e Shura, che ne “La Maschera della Morte e la Vendetta” hanno fatto un po’ da comparse e meriterebbero un po’ più di spazio… Peccato che io sia terribilmente incapace di descriverli. : ( Che dire…ci ho provato, mi appresto a prendere in faccia i pomodori ù.ù
Come avrete notato, Death Mask riconosce la casa scelta dal nemico come covo… Perché? Di chi è quella casa? (tanto lo so che avete indovinato di chi è, non ho dubbi! xD)
Vi lascio sul più bello, si, con la statua che sta cadendo su Shura, giusto per dare un po’ di Phatos! Scusatemi ancora per il ritardo, cercherò di aggiornare più spesso, promesso!
 
PS: Si, L’Avventura di Shura e Aphro a Rodorio ricorda molto il “dagli all’untore” ne “I promessi sposi” di Manzoni.. me ne accorgo solo adesso xD

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Capitolo 5
*** Un nuovo maestro ***


 

Mento a me stesso per sentirmi meglio
(Leonard Shelby, Memento)
 

 Tre anni  prima

Oslo

 
Aletto provò a girarsi nel letto, ma una fitta lancinante alla spalla sinistra, la costrinse a rimanere immobile. Istintivamente aprì gli occhi, ritrovandosi in una stanza a lei sconosciuta. Posando la mano destra sul letto, provò a mettersi a sedere, ma l’arto non resse il peso del corpo; sollevandola, la ragazzina vide che la mano era fasciata.
In un istante, tutto le tornò alla mente: la fuga dal mercato, la corsa nella notte, gli spari.
“Mi hanno presa…”
“Ciao Aletto, Hvor er dur(*)?”
Aletto fece l’ennesimo sforzo e, questa volta, riuscì a mettersi a sedere e Pål entrò ben presto nel suo campo visivo.
“Bene…” borbottò in risposta, osservandolo: sembrava una persona completamente diversa, senza armatura. “Perché mi hai salvato?”
“Perché eri in pericolo. Questo fanno i Saint di Atena, proteggono i deboli.” Rispose lui, allungandole un vassoio che conteneva la colazione “Dovresti saperlo, visto che mi hai riconosciuto come Saint… Pochi sanno della nostra esistenza.”
Aletto prese il vassoio e iniziò a mangiare, senza dir nulla.
“Come fai a sapere di Atena e dei suoi guerrieri?”
Silenzio. Aletto non sembrava intenzionata a rispondere: si limitò a mangiare  e ad osservare il Saint dell’Altare.
 
Non lo aveva mai visto al Santuario: aveva i capelli biondi, chiarissimi, tanto che ad un occhio poco attento potevano addirittura apparire bianchi ed era abbastanza basso e decisamente minuto per essere un Saint.
“Ho capito, non ti va di parlare” disse lui, con un mezzo sorriso “Ma rimarrai qui per un bel po’, quindi prima o poi dovrai sputare il rospo.”
Detto questo, si mosse per uscire dalla stanza.
“Chi sono quelli che mi inseguivano?” domandò la bambina, facendo bloccare Pål sulla porta.
“Te lo dirò quando parlerai anche tu” rispose quest’ultimo, prima di uscire. Lei, innervosita, lanciò il vassoio verso la porta, e lì esso rimase, fino all’ora di pranzo.
 
I due non si rivolsero la parola per due settimane, il tempo che fu necessario ad Aletto per riprendersi dalle ferite. Pål le portava sempre da mangiare e la medicava; Aletto non lasciava mai la sua stanza. Anche quando usciva e stava fuori tutto il giorno il Silver Saint aveva la premura di lasciare i pasti pronti per la bambina. Un giorno, finita la cena, Aletto si decise ad uscire dalla sua stanza e andò a sedersi nel piccolo salottino, in attesa di veder rientrare il Saint dell’Altare che stava tardando più del solito.
Quando quest’ultimo rientrò, due ore dopo, la trovò seduta a terra, davanti al camino, avvolta in una coperta.
“Bjørnen kom ut av hullet sitt(*)” commentò Pål ironico, sparendo in cucina e rientrando poco dopo.
“Che cosa vuol dire?” domandò Aletto, strappando una risata al ragazzo.
“Nulla di importante” rispose lui, osservandola mentre lei, dal canto suo, si limitava a fissare le fiamme del camino.
“Domani me ne vado” aggiunse, infine, dopo un lungo silenzio.
“Te ne vai?” domandò Pål perplesso, e lei annuì.
“Sono di troppo qui. Ti ringrazio per l’ospitalità, ma non posso rimanere”.
“Non puoi nemmeno andartene, se è per questo: quelli torneranno”
“Non mi fanno paura” replicò lei con durezza, lanciando un’occhiata veloce alla mano fasciata.
“Di questo mi ero accorto, Aletto, ma ciò non vuol dire che non siano pericolosi.”
“So cavarmela da sola”
“Non ne sarei così sicuro…”
“CHE COSA NE SAI TE?” sbottò alla fine lei, urlando e alzandosi in piedi. “Che cosa sai di me? Nulla! Quindi STAI ZITTO!”
Il suo cosmo esplose insieme alla sua rabbia: una fioca luce argentata, con qualche bagliore nero, che si estinse tuttavia, non appena Pål riprese la parola.
“Hai ragione, non so nulla di te” rispose lui, con voce calma “Ma non per mia volontà. Io volevo solo aiutarti, nulla di più. Ma se vuoi andare, la porta sai dov’è.” Concluse, e Aletto non se lo fece ripetere due volte: si alzò in piedi e si avviò verso la porta.
 
“Quelli che ti cercano sono trafficanti di bambini: li catturano e li rivendono in giro per il mondo, al miglior offerente. Le ragazze però potrebbero anche finire sulla strada a fare le prostitute.” Riprese Pål, senza staccare gli occhi dal camino “Non smetteranno mai di dare le caccia agli orfani, soprattutto se resistenti come te.”
Aletto rimase inchiodata sulla porta, in silenzio, con la mano sinistra attaccata alla maniglia; dallo spiraglio che aveva aperto entrava il vento gelido.
“Prendi il mio cappotto, altrimenti morirai di freddo; i tuoi guanti sono sul tavolino vicino all’ingresso. Farvel(*), Aletto.”
 
“Aletto, dove vai?”
“Via mamma… vado via”
“Via dove bambina? Non hai un posto dove andare!”
“Non posso rimanere in Grecia: con la guerra, nessuno mi insegnerà più nulla e io devo imparare ad essere forte, come voleva il papà.”
“Sicuramente gli altri Saint…”
“No, mamma. Non voglio altri maestri: papà era il mio maestro.”
“Il nobile Saint dello Scorpione potrebbe…”
“No. Non voglio nessuno che prenda il suo posto.”
Sara, la sua mamma, l’unica che avrebbe mai chiamato con quel nome la aveva abbracciata e baciata sulla fronte, ma non la aveva fermata: sapeva di non poterlo fare.
“Tornerai a trovarmi vero?” solo questo aveva chiesto, con le lacrime agli occhi, ferma sulla soglia di quella casa che avevano comprato insieme, con i risparmi di Aletto, ciò che rimaneva dei suoi vecchi stipendi e parte dei soldi guadagnati in vita da Death Mask.
“Se rimarrai in questa casa, si. Ma non devi andartene ne venderla, mai.”
Così la aveva lasciata sulla soglia, con in tasca pochi soldi, solo quelli necessari per pagarsi un viaggio, forse due: il resto dei soldi lo aveva lasciato a lei, così che potesse ricostruirsi una vita lì, nella sua città natale, Atene.
 
Quell’immagine, quell’addio, era fin troppo vivo nei suoi ricordi: in fondo, era passato molto tempo. Istintivamente lanciò un’occhiata ai guanti posti sul tavolino. Un altro ricordo ritornò a galla.
 
“Sai perché sei qui?”
“Perché l’ha ordinato il tizio con la maschera” aveva risposto, ferma in mezzo ai ghiacci della Siberia. “Ma non so cosa devo fare”.
“Devi sopravvivere” aveva risposto Camus dell’Acquario, prima di sparire in un lampo dorato. Ma prima di tutto le aveva lasciato dei guanti, proprio come quelli.
 
Così come la aveva aperta, Aletto richiuse la porta: quel “Farvel” era troppo anche per lei. Silenziosamente tornò accanto al camino e si risedette accanto a Pål, senza dir nulla. In fondo, che cosa le aveva fatto di male, lui? Nulla. Semplicemente, aveva provato ad aiutarla.
“Allora?” le domandò il Silver Saint, osservandola con un mezzo sorriso. “Accetti il mio aiuto?”
Lei non aveva mai accettato l’aiuto di nessuno, se non quello del suo papà, nelle rare occasioni in cui lui riteneva opportuno aiutarla. Aveva sempre fatto tutto da sola, sin da bambina, perché doveva essere forte. E si sentiva forte, forse non tanto quanto suo padre, ma si sentiva forte. Tuttavia, si sentiva anche molto sola.
“Scusa papà…”
In risposta alla domanda del Saint, Aletto si limitò ad annuire.
Tra i due, scese nuovamente il silenzio.
“Sarai il mio maestro?”
“E’ questo che vuoi, Aletto?”
Lei annuì un’altra volta.
“Per essere il tuo maestro, devo sapere come sei arrivata qui.”
 
La bambina tacque per un po’; poi, con coraggio, prese la parola.
“Mi allenavo al Santuario: Death Mask era il mio p…” si bloccò a metà della frase, abbassando la testa; Pål non sembrò intenzionato a metterle fretta.
“Precettore” proseguì, non appena trovò la parola adatta da usare: suo padre, in vita, non aveva mai voluto che si sapesse in giro che lei era sua figlia e, anche se era morto, lei non sarebbe venuta meno alla promessa di non chiamarlo mai papà in pubblico.
“Si, cioè, il mio maestro… finchè non è morto.” Proseguì, senza staccare gli occhi dalle fiamme. “Così, quando è morto, sono andata via: non volevo un altro maestro, perché lui era il più forte… io non volevo nessun altro.”
“Ho viaggiato a lungo, alla ricerca di un posto dove fermarmi” disse, alzando gli occhi verso di lui “Poi, ho scelto la Norvegia, ed eccomi qui.”
“Perché la Norvegia?”
 
“Faceva freddo. Quel brutto signore con la maschera mi ha mandato al freddo, e l’altro signore mi ha lasciato lì dicendo che dovevo sopravvivere. Ma io non vedevo  niente, era tutto bianco, e non sapevo dove andare…”
“Va tutto bene Aletto, stai tranquilla, è tutto passato.”
Non sapevo cosa fare: sapevo che dovevo essere forte, altrimenti tu non mi avresti più voluto bene e io sarei morta. Così ho usato il Sekishiki Meikaiha, anche se mi avevi detto di non farlo. L’ho usato, sperando di riuscire a scappare, ma quando sono arrivata qui, non riuscivo più ad uscire…ero troppo stanca… Mi dispiace, non la userò più e…”
“Shhh…zitta adesso, riposa” aveva risposto il suo papà “Sei stata bravissima: hai resistito al freddo della Siberia. Sei stata molto forte Aletto, e sei riuscita ad usare il Sekishiki Meikaiha. Il tuo papà è fiero di te: io sono fiero di te.”
 
Era uno dei suoi più bei ricordi, quello: era una delle rare occasioni in cui suo padre le aveva manifestato così apertamente il suo affetto, perché lei era stata forte, molto forte quella volta.
“Ricordi” rispose, dopo un lungo silenzio “Il freddo mi porta bei ricordi.”
 
 
 
NOTE:
(*)Hvor er dur = come stai?
Bjørnen kom ut av hullet sitt = l’orso è uscito dalla tana
Farvel = Addio
 
Finalmente sono in vacanza anche io e ne approfitto per pubblicare questo capitolo e, se la preparazione per la simulazione di terza prova che ho a gennaio lo permetterà, scriverò qualcos’altro e recensirò le vostre storie che ho lasciato in sospeso. Che dire… ecco il primo mese che Aletto ha passato con Pål, molto riassunto per motivi di copione. Un piccolo flashback, giusto per non dirvi subito che fine faranno Shura e Aphrodite xD
Ne approfitto per Augurare a tutti un Buon Natale e un felice anno nuovo (visto che non so quando aggiornerò nuovamente) e per farmi un po’ di pubblicità:
Se avete voglia di una lettura non impegnata, ambientata in un clima natalizio, potete leggere “Una passeggiata nella neve”.( http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1468774&i=1 )
Se invece preferite qualcosa di valido e scritto bene, vi suggerisco “Ombra”: è arrivata terza ad un concorso indetto sul forum di EFP… quantomeno sarà accettabile no? ;) (http:// http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1437550&i=1 )

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Capitolo 6
*** Indizzi ***


In questo addio
non c'è sangue
non ci sono alibi
perchè ho estratto il rimpianto

dalla verità di mille bugie
(Linkin Park, What I’ve done)

 
“EXCALIBUR!”
L’urlo di Shura, che si era precipitato in avanti, fu coperto dalle grida che si alzarono dalla folla.
La statua di Atena cadde al  suolo con uno schianto, sollevando un nugulo di polvere, tanto che per qualche istante nessuno vide più nulla. Poi, quando la polvere si fu abbassata, ci pensò il sole del tramonto a mostrare ogni cosa: la statua di Atena, ormai in frantumi, si era divisa in due prima ancora dell’impatto col terreno e il suolo della piazza presentava un solco assai profondo nei pressi della statua stessa. Al centro delle due metà della statua ormai distrutta vi era il Gold Saint del Capricorno, la cui armatura illuminata dal sole morente creava un gioco di luci particolare; tra le braccia stringeva il bambino  che aveva appena salvato.
Non appena Shura allentò la presa, il bambino corse dalla sua mamma che lo prese tra le braccia e il Gold Saint poté vedere chiaramente lo sguardo colmo di sollievo e di gratitudine della donna.
In cuor suo Shura sperava di aver mostrato agli abitanti di Rodorio la bontà di Atena e la nobiltà dei suoi guerrieri, ma l’urlo che giunse alle sue spalle gli confermò l’opposto.
 
“Guardate! E’ uno dei Saint di Atena! E’ qui per diffondere l’epidemia, PRENDIAMOLO!”
La folla si mosse come un'unica entità, avvicinandosi a lui che, da parte sua non si mosse. Atena gli aveva donato Excalibur per proteggere la giustizia e coloro che sono deboli dalle forze del male: non avrebbe alzato il braccio contro di loro. Inoltre, visto che indossava l’armatura, difficilmente avrebbero potuto fargli del male: se si fosse trovato in un reale pericolo, si sarebbe limitato ad evitare i colpi.
Il fiume di persone gli fu addosso in un attimo. Tutti lo prendevano e lo tiravano da una parte e dall’altra, nel tentativo di farlo cadere. Un bastone s’infranse contro la sua armatura, un rastrello raschiò contro l’armatura, producendo uno stridio sinistro per poi scivolare via, senza riuscire a scalfirla. Sempre più persone gli si ammassavano addosso e, se la situazione non fosse migliorata, Shura sarebbe caduto a terra. Un colpo alla nuca gli fece saltar via l’elmo, che brillò durante il suo volo, per poi sparire nell’ombra, inghiottito dalla folla.
 
“Adesso BASTA!”
L’urlo improvviso fece voltare tutti i presenti verso il palco, mentre su Rodorio calava un silenzio inumano. Lentamente, Shura sentì la pressione sulle braccia diminuire e in pochi istanti si ritrovò libero.
Lui, insieme alla folla, fissava Aphrodite, fermo sul palco, in piedi davanti a tutti: accanto a lui, con il viso rivolto al suolo e per metà a penzoloni dalla struttura in legno, giaceva Sebastian Azzarà.
La folla era magnetizzata dalla figura di Aphrodite e non fece molto caso al corpo del loro capo, a differenza di Shura che non potè fare a meno di notare il sangue che dal petto dell’uomo gocciolava a terra.
La rosa bianca che Aphrodite portava in bocca era sparita dalla vista: non era difficile capire dov’era finita.
“Sono secoli che la dea Atena vi protegge tutti” proseguì il Saint dei Pesci con voce più bassa, ma perfettamente udibile. “Da sempre noi Saint vi proteggiamo dal male e questa volta non sarà diverso.”
Mentre parlava li osservava ad uno ad uno, mentre molti chinavano il capo, incapaci di sostenere il suo sguardo. Dall’espressione che vedeva sul suo viso Shura poté capire che Aphrodite era ben consapevole del potere che aveva su di loro.
“La pestilenza che tanto vi spaventa è opera di un'unica persona che si trova ad Atene e che presto verrà sconfitta. Il perimetro della città è sorvegliato e costui non arriverà mai qui. Perciò, siete al sicuro.” Proseguì “L’importante ora è che voi restiate calmi. Visto lo stato di emergenza vi invito a non uscire di casa, a meno che non vi sia strettamente necessario. E, soprattutto, vi prego di attendere. Presto il peggio sarà passato e allora sarà mia premura informarvi. E vi prometto che io rimarrò qui di pattuglia nelle strade, a vegliare su di voi e al primo cenno di pericolo, non esiterò ad intervenire”.
 
Nuovamente nella piazza esplose in un unico grido, mentre Aphrodite lasciava il palco. Lentamente la folla iniziò a disperdersi mentre tutti rientravano a casa, così che il Saint dei Pesci potè raggiungere in poco tempo Shura. Al suo passaggio, molti chinavano il capo in segno di rispetto e molti altri si scusarono con Shura per il loro comportamento, prima di allontanarsi.
“Ho fatto bene a seguirti dunque” affermò ironico Aphrodite, porgendogli il suo elmo.
“A quanto pare…” rispose l’altro, riprendendosi l’elmo. “Grazie Aphro”.
“Dovere” concluse l’altro, alzando le spalle. “Comunque sia, Azzarà sapeva qualcosa.”
“Pensi fosse coinvolto in questa storia?”
“Si Shura…guarda qui” disse, allungandogli un ciondolo azzurro “Azzarà lo portava al collo, nascosto sotto i vestiti.”
“E’ identico a quello che Shiryu ha trovato in casa sua a Goro-Ho…”
“E non solo” proseguì Aphrodite “Accanto ad ogni cadavere c’è un ciondolo come questo, quasi fosse una firma dell’assassino.”
“E’ la prova che tutto quello che sta accadendo è opera di una stessa persona.” Concluse Shura, prendendo in mano il ciondolo “Tu resta qui, io lo porto da Atena”.
E, così dicendo, si allontanò in direzione del Santuario.
 

*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*~¤  ¤~*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*

 
Death Mask proseguì in mezzo all’erba, perdendo ben presto di vista il cancello di ingresso e anche la casa. Non provò nemmeno una volta a non far rumore, perché sarebbe stato inutile dato che gli arbusti secchi schiacciati sotto il suo peso erano impossibili da evitare: il giardino ne era pieno, così come era impossibile aggirare quell’erba grigia, che si innalzava minacciosa ovunque. Proseguì alla cieca, nel silenzio più totale per diverso tempo, fino a quando non vide spuntare la casa alla sua destra. Non appena raggiunse il muro laterale della casa, tornò a fissare il prato: il cancello era invisibile, ma l’erba ondeggiava impercettibilmente, nonostante non soffiasse neanche un po’ di vento, segno che anche i due Bronze Saint si stavano muovendo. Lanciò una veloce occhiata all’ingresso, rendendosi conto che non era molto distante dal nascondiglio che aveva usato lei quando un tre anni prima erano arrivati lì.
Ma era davvero passato solo tre anni? O forse era passato più tempo? Da quando era morto, aveva perso il conto di quanto tempo era passato dall’ultima volta che la aveva vista.
 
“Bonjour Christine. E’ da parecchio che non ci vediamo… circa nove anni, se non sbaglio.”
Non aveva provato niente, nel rivederla, ma era andato a trovarla lo stesso, perché aveva fatto una promessa.
“Non sei contenta di vedermi?”aveva proseguito poi, dato che lei non rispondeva.
“Che cosa vuoi?” aveva, infine, risposto. “Come vedi, ora sono sposata, quindi non ho tempo per i tuoi giochetti”.
Era più vecchia di lui, e non di poco, ma non glie ne era mai importato molto.
 
Con le immagini di quell’incontro impresse nella mente Death Mask voltò le spalle all’ingresso e proseguì lungo la parete della casa, aggirandola completamente e ritrovandosi sul retro. Al centro della parete, così come nella facciata, si apriva una porta delle stesse dimensioni e con la stessa struttura della porta d’ingresso, dalla quale differiva solo perché era totalmente ricoperta d’edera. Il Gold Saint si avvicinò e, con un colpo secco, provò a girare la maniglia, che gli rimase in mano.
 
“Sono qui perché hai lasciato un conto in sospeso per ben nove anni…”
“Non so di cosa stai parlando” aveva risposto lei, ma lo sapeva fin troppo bene.
“Sto parlando di lei.”
Era bastata quella frase per far uscire Aletto, sua figlia, dal nascondiglio. A quella rivelazione, erano seguite solo morte e distruzione. Era stata proprio Aletto, quella figlia non voluta, ad uccidere la proprietaria dell’abitazione, la sua vera madre, mentre lui si occupava del marito di lei, l’unico testimone. Era stata fatta vendetta e i due erano morti.
 
Ma erano davvero morti?
Il dubbio si insinuò in Death Mask, per un istante; poi, si ricordò delle teste appese alle pareti. No, erano morti entrambi. Eppure, anche lui, sei mesi dopo o poco più, era morto, eppure era lì, tornato alla vita per volontà divina. Che gli dei avessero concesso questa possibilità anche a persone innocenti rimaste vittime durante le continue guerre tra divinità?
Se era andata così, dietro quella porta, avrebbe potuto trovare la madre di sua figlia, e non solo. Se davvero il nemico cercava vendetta contro i Saint di Atena poteva non aver rapito solo Shunrei, ma anche qualcun altro. E se sua figlia non era tornata a cercarlo per tutto quel tempo, poteva anche essere colpa di quel nemico.
Con un calcio, Death Mask colpì la porta, che si spalancò schiantandosi contro il muro con un rumore secco e il Gold Saint non perse tempo ad entrare nel corridoio buio che si apriva dietro di essa.
“E va bene Christine: ti hanno ammazzata una volta, non sarà un problema ammazzarti di nuovo”.
 
 
NOTE:
LO SO, sono in ritardo… e mi dispiace :( Non ho un attimo di respiro e questo fa si che anche questo capitolo non sia, effettivamente, un granchè. La rivolta a Rodorio è stata sedata, forse in modo un po’…teatrale ecco (mi piaceva l’idea di far fare a Shura qualcosa di scenografico, da film…non chiedetemi perchè xD) e, con ogni probabilità Aphrodite non è molto…Aphrodite ecco. Diciamo che mostra un carattere un po’ anomalo… a meno che non interpretiate tutto il suo bel discorso come lo interpreto io: l’arringa di un uomo astuto che deve convincere la folla a smammare. No, non lo volevo fare moralista… volevo mostrarlo come un buon avvocato ecco xD Perché lui mi puzza di astuto, ma è un’interpretazione personale (si, mi sto arrampicando sugli specchi per questo palese OOC). Per quanto riguarda Death, lo avete capito di chi è la casa no? Sarà giusta la sua teoria? E ultimo ma non meno importante… perché i ciondoli azzurri da serial killer?
Che altro dire? Vi ho promesso una Long e arriverà, davvero… appena il tempo per sistemarla pioverà dal cielo.

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Capitolo 7
*** Partenze ***


Quel che ho fatto 
affronterò me stesso 
per tracciare una croce 
su ciò che sono diventato 
cancellare me stesso 
e lasciar andare quel che ho fatto... 
(Linkin Park, What I’ve done)

 

Un anno prima

Oslo

 
“Pål, vieni, ho fatto la cioccolata!” urlò Aletto dalla cucina, sentendo che la porta d’ingresso veniva richiusa. Quel giorno avevano deciso di non allenarsi: in fondo, si erano allenati senza sosta per parecchio tempo.
“Brava Aletto, brava” disse lui, entrando in cucina e sedendosi accanto a lei, prendendo la sua tazza fumante.
Per un po’, nessuno dei due disse niente: erano troppo concentrati sulla bevanda calda per poter parlare.
“Quando ricominceremo gli allenamenti?” domandò infine Aletto, alzandosi per riporre la tazza nel lavandino.
“Ormai ti ho insegnato tutto quello che sapevo, lite lys (*)… ti è bastato un anno, perché molte cose le sapevi già da te. Ora più che altro devi perfezionare le tue tecniche e allenarti da sola.” Rispose Pål, osservandola.
“Ma so chi può aiutarti a migliorare.” Aggiunse poco dopo.
“Chi?” domandò lei scettica, mettendosi sulla difensiva. Non amava il contatto con gli estranei e, pertanto, non si fidava a lasciare la casa di Pål per andare da un’altra parte. Già l’aver concesso parte della sua fiducia al ragazzo era stato un evento eccezionale per lei, figurarsi allontanarsi da lui per andare da uno sconosciuto; le riusciva difficile anche solo pensare a Pål come un amico, non era pronta per nuovi incontri.
 
“Death Mask” rispose lui, con un sorriso.
“Death Mask?” ripetè lei, incredula, spalancando gli occhi “Il..il mio maestro?”
“Esattamente”
“M-a…ma lui è morto Pål! Ikke erte meg!(*)” sbottò Aletto in risposta, dandogli le spalle, per guardare fuori dalla finestra.
“Jeg tuller ikke, lite lys… Il tuo maestro è vivo. Sono arrivate solo oggi le notizie dal Santuario, vista la distanza, ma conclusa la guerra contro Hades tutti i Saint morti durante la battaglia per la salvezza della terra sono tornati in vita.”
La tazza scivolò dalle mani di Aletto e andò ad infrangersi nel lavandino.
“Stai…stai dicendo sul serio?” domandò lei voltandosi verso di lui; Pål annuì.
Senza perdere tempo, Aletto si fiondò fuori dalla cucina.
Accanto alla porta c’erano tutti i suoi averi: dei guanti, un cappotto e una piccola saccoccia, con dentro le poche cose che aveva tenuto da parte e dei soldi.
“Takk for alt du har gjort for meg: Jeg vil aldri glemme, men nå må jeg gå. Farvel Pål!(*)” disse Aletto urlando, prima di uscire di corsa dalla porta.
Dopo tutto quel tempo, era arrivato il momento di tornare a casa, in Grecia: suo padre la stava aspettando.
“Aletto, vent(*)!” urlò il Silver Saint, precipitandosi fuori dalla casa e fermandosi nell’ingresso. “Han kommer hit! Jeg skrev ham et brev som forteller ham at du er her! Ikke gå, han kommer til deg!(*)”
Ma il suo richiamo si perse nel vento che iniziava a soffiare sempre più forte, annunciando una tempesta: prima che potesse seguirla, Aletto era sparita nel nulla.
 

Atene

 
Death Mask si lasciò cadere sul letto, e rimase ad osservare il soffitto, con i pugni chiusi e la mascella contratta. Niente, neanche quella volta. Aveva girato tutta la Grecia, ma non aveva trovato niente: Aletto sembrava essere svanita nel nulla.
“In fondo che ti aspettavi Death Mask? L’unica pista che avevi si è rivelata un vicolo cieco tempo fa.”
Aveva vagato alla cieca, per un anno, quando aveva scoperto che anche Federico non sapeva nulla di Serena e al solo pensiero gli saliva il sangue alla testa.
 
Aveva richiuso la porta con un calcio e aveva rivelato a Federico il vero motivo della sua visita: cercava sua figlia. Il ragazzo si era mostrato assai stupito, e lui gli aveva liberato il braccio, non prima di aver tirato una pedata alla pistola, facendola finire sotto il mobile più vicino.
“L’ultima volta che ho visto la tua fidanzatina, era con mia figlia: non me ne frega niente di Serena, puoi anche tenertela, ma io voglio mia figlia. Quindi vedi di dirmi dov’è.”
“Io…io non lo so.”
“Non lo sai?” aveva ripetuto lui, stupito.
“Dovresti saperlo tu dov’è! L’hai rapita tu quasi due anni fa!”
“Bhe, è da più di un anno che non la vedo.”
“Come scusa? L’hai rapita e non la vedi da tutto questo tempo?” domandò Federico perplesso “Scusami ma in tutto questo tempo che hai fatto? Dov’eri? L’hai lasciata ad un complice e non hai controllato dov’era? Certo che sei proprio un idio…”
“Ero MORTO in questi due mesi!” urlò Death Mask, interrompendolo “E non sono tornato dall’Inferno per farmi fare una ramanzina da un moccioso come te, sono stato chiaro?” concluse, tirando un pugno alla parete.
 
“Io…io non penso di aver capito” aveva balbettato Federico in risposta.
“Cosa c’è di difficile da capire? Sono morto e, prima di morire, ho lasciato Serena con mia figlia. E ora le sto cercando: sicuramente Serena è fuggita, perché nessuno avrebbe potuto trattenerla. Sai dirmi dove sono o no?”
“No…” aveva risposto Federico, abbassando il capo, affranto. “Ma se mi dici che è fuggita, a questo punto credo sia morta. Se fosse viva, mi avrebbe raggiunto, visto che la casa la avevamo comprata insieme e sapeva dove trovarmi. Lei e tua figlia a quest’ora saranno in una fossa comune.”
In un istante gli si era lanciato contro, afferrandolo per il collo e sbattendolo contro la parete.
“Stammi bene a sentire: mia figlia non è una bambina frignona. Mia figlia è FORTE e sa combattere, quindi NON DIRE che Aletto è morta… Se c’è qualcuno che può essere morto, quella è la tua amata Serena. E ti assicuro che se per puro caso dovesse essere ancora viva e io dovessi trovarla… e se scoprissi che ha fatto qualcosa a mia figlia, stai pur certo che morirebbe presto. Quindi, ti conviene rassegnarti all’idea che non tornerà.”
Aveva sbattuto la porta e se ne era andato, per non tornare più: la voglia di ammazzarlo c’era, ma aveva giurato ad Atena che non avrebbe più aggredito persone innocenti e così avrebbe fatto.
 
Sbuffando, si rimise a sedere: ripensare a quell’incontro non lo aiutava molto.
Con un colpo di reni si alzò dal letto e si avviò in cucina: la quarta casa, vuota, gli faceva uno strano effetto. L’assenza delle teste, scomparse alla sua morte e della servitù, cacciata nel momento del suo ritorno alla vita, rendevano la sua abitazione un semplice tempio spoglio, in rovina. Aveva chiuso l’intera ala della servitù, lasciandola in balia della polvere e si era rintanato a vivere nella cucina, nel salotto e nella sua camera da letto; anche la stanza di Aletto era chiusa, inutilizzata.
 
“Death Mask ci sei?”
L’affermazione di Shura, per quanto fosse sussurrata, nel silenzio della casa rimbombò fino a lui.
“In cucina!” fu la secca risposta del quarto custode, che riprese a sorseggiare la sua birra appena aperta.
“Vuoi una birra?” offrì al Gold Saint del Capricorno quando quest’ultimo entrò in cucina.
“No grazie…”
“Bhe, io si!” concluse, finendola in un sorso, per poi sbattere la bottiglia sul tavolo. “Che cosa vuoi Shura?”
“Aphrodite è preoccupato.”
Death Mask lo guardò scettico, inarcando un sopracciglio.
“Fammi capire Shura… Aphro è preoccupato e manda TE a vedere come sto?”
“Anche io sono preoccupato… Tutti siamo preoccupati Death Mask.”
“E nel “tutti” chi staresti comprendendo?”
“Tutti, Death Mask.” Si intromise Aphrodite, entrando in cucina “Sei sempre qui dentro o in missione: tutti sono preoccupati. Io, Shura, Saga, Kanon, Milo, Camus, Mu, Aiolia, Shaka…”
“Aldebaran, Aiolos, Doko” proseguì Shura “La Dea Atena, i Bronze S…”
“Non sparate minchiate!” urlò Death Mask in risposta, battendo un pugno sul tavolo “Non glie ne fregava mai un cazzo a nessuno di me prima che ci ammazzassero tutti, quindi non venitemi a dire che le cose sono cambiate! Soprattutto per quanto riguarda quei Bronzini… Soprattutto se si parla del Dragone!”
Tanta fu la violenza con cui Death Mask si alzò, che la sedia cadde in terra.
“Se non fossero arrivati loro, non avrei passato un mese sottoterra e mia figlia sarebbe ancora qui!”
“Death, se non fossero arrivati loro, Atena sarebbe morta…” si intromise Shura.
“Eravamo nel torto, non puoi biasimarli: loro hanno fatto ciò che andava fatto” proseguì Aphrodite. “Non è colpa loro se Alet…”
“Torto? Io me ne infischio dell’essere nel torto!” urlò Death Mask in risposta “Che cosa ha fatto Atena per me? CHE COSA? Io ho passato la vita combattendo nel suo nome, nel nome della giustizia che tanto le interessa!”
“Ti ha ridato una nuova vita, Death Mask” rispose Shura, calmo “Un’altra possibilità… Ti ha dato la possibilità di ricominciare da capo tutto, anche con Aletto”
Senza dir nulla, Death Mask li lasciò lì, uscendo dalla quarta casa.
 
Percorse l’intera scalinata, evitando di proposito di rivolgere la parola ai custodi delle altre case e ai loro ospiti, i Bronze Saint. Aprì la bocca solo per chiedere ai guerrieri di guardia alle stanze della Dea, di essere annunciato; Atena lo ricevette immediatamente.
“Dimmi Death Mask, che cosa ti porta qui?”
“Per chiedervi perdono per avervi mancato di rispetto, di nuovo, quest’oggi” disse, rimanendo col capo abbassato e un ginocchio piegato, contro il freddo marmo del pavimento.
“Non devi chiedermi perdono per farmi felice, Death Mask” rispose lei, alzandosi dal suo scranno “Ma perché sei veramente pentito. E nel tuo cuore, il rancore non si è ancora spento.”
A quell’affermazione, il Gold Saint rimase in silenzio.
“Death Mask…”
“Si, Divina Atena?”
“Guardami.”
Un po’ riluttante, il Saint del Cancro alzò lo sguardo sulla dea.
“Capisco la tua rabbia e il tuo rancore Death Mask. Capisco che ciò che hai passato durante gli anni di addestramento e durante il tuo servizio come Saint ti ha portato a compiere azioni avventate e crudeli. Ma so anche che, nel tuo cuore, tu sei fedele alla giustizia e so che espierai le tue colpe. Sai perché sei di nuovo vivo?”
“Per ricominciare, Divina Atena. Per avere la possibilità di riparare ai miei vecchi errori.”
“Finchè non li riterrai tali, non potrai ripararli… lo sai questo vero?”
In risposta, Atena ricevette solo silenzio.
“Death Mask, non portare maschere con me…. Sono la tua Dea.”
“Io non ho mai chiesto una seconda vita” disse, infine, il Saint del Cancro. “Volevo potere e gloria. Li ho avuti e sono morto per difenderli. Sono tornato per portarvi un messaggio assieme al Sommo Shion e agli altri. Mi sono pentito e ho abbattuto il muro del pianto: ho già espiato i miei peccati. Sono morto due volte, ho vissuto abbastanza.”
“Ma non hai vissuto abbastanza con alcune persone…”
“Quando sono diventato un Saint, sapevo che vita mi avrebbe aspettato. Inoltre, loro non sono qui: una è morta e l’altra potrebbe esserlo.”
In tutta risposta, Atena gli allungò una lettera.
 
Death Mask la lesse velocemente e, non appena finì, rialzò lo sguardo su Atena.
“Vai. Ho già informato Pål della tua partenza.”
Death Mask non se lo fece ripetere due volte: si precipitò alla quarta casa per prendere il necessario per il viaggio. Meno di mezz’ora dopo era diretto verso la Norvegia.
 
NOTE:
(Sicuramente Google translate non è affidabile, ma io non ho un'anima pia pronta a tradurmi correttamente tutto quindi... spero vivamente che le traduzioni siano quantomeno "simili" ç_ç)
(*) lite lys = piccola luce
Ikke erte meg = non prendermi in giro
Jeg tuller ikke, lite lys = Non ti sto prendendo in giro, piccola stella.
(*)Takk for alt du har gjort for meg: Jeg vil aldri glemme, men nå må jeg gå. Farvel Pål = Grazie per tutto quello che hai fatto per me: non lo dimenticherò mai, ma ora devo andarmene. Addio Pål!
Vent! = aspetta!
= Sta venendo qui! Gli ho scritto una lettera in cui gli dicevo che sei qui! Non andare, sta venendo per te!
 
Eh si, ancora un bel doppio flashback. Lo ammetto, in questo capitolo mi sono messa d’impegno per delineare al meglio il “nuovo Death Mask”, crudele e bastardo come sempre ma nel contempo un po’ “redento”. Mi piace dipingere in lui questo dissidio interiore (anche se, ahimè, lo porta ad essere un po’ OOC)...ho persino fatto riferimento al suo addestramento, che Atena sembra conoscere (si, tra i millemila programmi c’è anche un “prequel” con l’addestramento di Death Mask ma… non so se e quando riuscirò a realizzarlo, sigh ç_ç) Ora, Atena ha mandato la lettera, Pal l’ha ricevuta, Death Mask è partito ma… Aletto se ne è andata! Come la mettiamo?
PS:Giusto un angolino pubblicità: se non avete altro da fare (avrete sicuramente altro da fare, sono sicurissimissima) o volete comunque leggervi un'esperimento di AU! Fate un salto a leggere "Guerra e Pace"...potrebbe piacervi! =)

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Capitolo 8
*** Scoperte ***


 

Lascia perdere
ciò che hai pensato di me
mentre io pulisco questa parete
con le mani dell'incertezza

(Linkin Park, What I’ve done)

 
Shyriu arrivò alla porta d’ingresso nel momento esatto in cui Death Mask aggirava l’edificio, per proseguire verso il retro e, con suo grande stupore, la trovò aperta. Gli bastò sfiorarla perché questa, cigolando, ruotasse sui cardini e si aprisse. Prima di entrare il Bronze Saint lanciò un’occhiata ad Ikki che, alla sua destra, si stava arrampicando sugli alberi morti, nel tentativo di trovare un appiglio per salire sul tetto o, comunque, entrare da una delle finestre del secondo piano.
Una volta all’interno, la porta si richiuse alle spalle di Shyriu, lasciandolo nell’oscurità più totale. Quando i suoi occhi si furono abituati al buio il Bronze Saint riuscì a capire dove si trovava: un piccolo atrio che saliva al piano superiore con una scala e che permetteva di accedere ad altre due stanze passando attraverso due porte, una a destra e una a sinistra.
Le provò entrambe, ed entrambe risultarono chiuse; così si decise a salire al piano superiore.
 
La casa sembrava in tutto e per tutto disabitata, visto il silenzio irreale che vi regnava. Tuttavia, per quanto squallida fosse la costruzione, non vi era neanche un filo di polvere né una ragnatela sui mobili. La casa era si sinistra, ma non di certo per quello: era come se l’aria stessa si fosse impregnata di oscurità e rancore, oltre che di odio. Erano le pareti dell’edificio a lasciar trasudare tutte quelle emozioni negative.
Una volta al piano superiore il Saint del Dragone fu attirato da una luce, proveniente da una stanza. Silenziosamente, si avvicinò alla porta e sbirciò all’interno, attraverso lo spiraglio che era stato lasciato aperto: appesa alla parete di fondo della stanza con delle catene si trovava Shunrei, con al collo un ciondolo blu, identico a quello che lui aveva ritrovato a Goro-Ho.
Silenziosamente, continuò a guardare dentro la stanza, apparentemente vuota; stava per entrare, quando un colpo alla testa lo fece barcollare in avanti.
Un rumore metallico rimbombò per tutta la casa; qualcuno lo aveva colpito al capo con un oggetto di ferro. Voltandosi Shyriu si ritrovò faccia a faccia con una ragazza che teneva una padella in mano. Non fece in tempo a mettere a fuoco il viso, che la padella calò ancora sulla sua testa.
La ragazza però era troppo lenta e il Bronze Saint fece in tempo ad indietreggiare, entrando completamente nella stanza.
 
“Shyriu!” urlò Shunrei, riconoscendolo “Va via!”
“Che cosa vuoi?” disse la ragazza, che ancora reggeva tra le mani la padella; al collo, portava anche lei un ciondolo azzurro.
“Sono qui per salvare Shunrei, che tu hai rapito. Lasciala andare!”
“No, Shyriu, scappa! Non è lei il vero nemico! Scappa, non è me che vogliono ma…”
Shyriu non potè udire la fine della frase, perché un pugno lo colpì allo stomaco e, prima che potesse reagire, un altro gli arrivò in pieno viso.
“Mi dispiace Dragone, ma questa volta non ti sarà così facile vincere.” Nel campo visivo di Shyriu passò, per un istante, una maschera argentata e un’armatura.
 “SEKISHIKI KONSOHA!”(*)
Un’onda mista di luce argento-bluastra con sfumature nere avvolse Shyriu, inglobandolo, per poi implodere; il Saint provò a rialzarsi ma non fece in tempo: l’ennesima padellata in testa, lo fece svenire.
Shunrei continuava a piangere.
“Smettila, altrimenti lo ammazzo subito.”
“Perché stai facendo tutto questo? Sei una Sacerdotessa di Atena anche tu, perché ci attacchi?” domandò Shunrei, ma non ricevette risposta.
“Non può essere arrivato qui da solo…” disse la ragazza con in mano la padella.
“Non importa: ai suoi amichetti ci penso io” rispose la Sacerdotessa.
Un istante dopo, si udì il rumore dei vetri che andavano in frantumi.
“Qualcuno deve essere entrato dalla finestra” disse la Sacerdotessa “Rimani accanto alla botola: se tornano loro prima di me, scappa ma, qualsiasi altra cosa succeda, non ti muovere da qui.” disse precipitandosi fuori, non prima di aver immobilizzato come poteva il Saint del Dragone.
“Ti prego, fa attenzione!” urlò l’altra; la porta si richiuse a chiave e lei si rannicchio vicino alla botola. Da lì potè udire perfettamente il rumore della porta sul retro che andava in frantumi: era entrato qualcun altro. Tuttavia, qualcosa le diceva che chi stava arrivando non le era ostile: non avrebbe saputo dire cose, ma riusciva a sentirselo, dentro.
Rimase per un po’ immobile poi, decise di aprire la botola, disobbedendo agli ordini: era consapevole del fatto che, una volta uscita, non sarebbe più potuta rientrare passando di lì, visto che si apriva solo dall’interno.
“Qui sarai al sicuro, lei non vi farà del male: non è cattiva come sembra. Vedrai che finirà tutto bene.” Disse a Shunrei; poi si lasciò scivolare fuori dall’apertura nel pavimento.
 

*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*~¤  ¤~*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*

 
Death Mask proseguì lungo il corridoio, al buio, per molto tempo.
Quel corridoio era fin troppo lungo, viste le dimensioni della casa, ma si auto convinse a non pensarci, limitandosi a proseguire. Sul corridoio si affacciavano diverse porte ma, per quanto lui provasse ad aprirle, erano tutte chiuse. Dopo aver camminato per diversi minuti, si ritrovò alla fine del corridoio, che terminava con una porta, anch’essa sbarrata: l’unica altra via d’uscita era una botola che si apriva nel soffitto, raggiungibile tramite una scala a chiocciola; probabilmente, portava al piano superiore.
Stava per provare a salire la scala, quando la botola si aprì costringendolo a rintanarsi tra le ombre, per non essere visto.
La misteriosa figura posò i piedi sulla scala, per poi far sbucare anche le braccia e la testa dall’apertura, che si richiuse un istante dopo alle sue spalle; tuttavia, quell’istante bastò a Death Mask per vederne il viso.
A quella vista, un’espressione mista di stupore e rabbia comparve sul viso del Gold Saint che attese che la sua preda arrivasse alla fine della scala.
Non appena la figura gli passo accanto a passo svelto e stringendo tra le mani una padella, Death Mask scattò: la afferrò per un polso e la sbattè contro il muro.
 
La ragazza urlò per lo spavento e lui, facendo pressione col suo corpo, la schiacciò ancora di più contro la parete e con l’altra mano le tappò la bocca.
“Evita di belare come una pecora, Serena, altrimenti ti stacco subito la testa… Hai capito?”
La ragazza, riconoscendo la voce, annuì appena e lasciò cadere a terra la padella: il suono dell’impatto rimbombò per tutto il corridoio.
“Così va meglio…” concluse lui, con un ghigno, levando poi la mano che le chiudeva la bocca. “E’ da parecchio che non ci vediamo…”
“C-cavaliere voi…voi siete qui! Io…io non so che dire… E’ un sollievo sapere che siete viv…”
“Non fare la finta tonta con me” disse lui, schiacciandola ancora di più contro la parete “Mi hai odiato dal primo momento in cui mi hai visto, quindi non cercare di fregarmi. Che cosa state complottando tu e Christine eh? Dov’è Aletto?”
“C…Christine?” domandò la ragazza, stupita “Non c’è nessuna Christine… Io sono Sara…”
A quell’affermazione, Death Mask la afferrò per i capelli girandole la testa, di scatto, scoprendo il collo; dalla bocca di lei non uscì alcun suono.
“Niente voglia color caffè sul lato sinistro del collo: pensi che io possa dimenticarmi di chi uccido?”
“Soprattutto, pensi che possa dimenticarmi di lei e di quello che mi ha fatto? Di quello che le ho fatto?”
 
Ricordava fin troppo bene la morte di Sara. Era stesa sotto di lui, che non aveva nemmeno avuto il coraggio di guardarla in faccia mentre la uccideva. Aveva stretto le mani attorno al suo collo sottile e aveva affondato la testa nei suoi capelli. La aveva sentita tremare, ma Sara non aveva nemmeno provato ad opporre resistenza. Lui, da parte sua, non aveva sentito niente mentre la privava della vita.E quando il suo corpo aveva smesso di tremare, solo allora aveva trovato il coraggio di guardarla in faccia, per scoprire che il volto di quella che era stata la sua ancella più fedele non era colmo di orrore o ribrezzo, ma aveva un’espressione tranquilla, serena, quasi di gioia.
 
“No…No cavaliere ma è così! Sono io! Aletto ha…”
“NON PRONUNCIARE IL NOME DI MIA FIGLIA!”
La colpì al viso, con uno schiaffo e lei nuovamente, non emise alcun lamento.
“Sara non ha mai urlato quando la maltrattavo.”
Diverse immagini si susseguirono nella mente di Death Mask: Sara che veniva picchiata, sbattuta contro i muri e violentata, senza emettere alcun suono. E Serena, la sua gemella, che ad ogni minimo suo gesto, urlava di terrore.
Le afferrò il collo con violenza, costringendola a guardarlo.
“Se sei tanto convinta di essere Sara, convinci anche me.”
“Oggi è il compleanno di Aletto. Compie tredici anni.”
“Non basta” rispose lui, spostando la mano sul collo di lei, aumentando la stretta “Abbiamo festeggiato il suo decimo compleanno quando Serena era già nostra ospite.”
La pressione sul collo aumentò ancora: “
“Strangolerò anche lei”.
 
“Atena, ti prego, ascolta la mia preghiera: fa che i miei gesti siano sempre conformi al suo volere, fa che io non debba mai più disobbedire ai suoi ordini, fai in modo che io possa essere una sua serva fedele.” Ricominciò a parlare la ragazza, fermandosi di tanto in tanto nel tentativo di recuperare ossigeno.
“Fai in modo che io possa sempre servire lui e nessun altro tuo Cavaliere. Fa in modo che lui possa portare giustizia e uccidere chi cerca di distruggere la perfezione e la purezza del mondo che tu desideri. Fa in modo che Death Mask possa continuare a combattere per te… e fai in modo che il mio amore per lui possa sempre proteggerlo.”
Death Mask mollò di scatto la presa sul collo della ragazza e indietreggiò di un passo: la stava per uccidere, di nuovo, nella stessa maniera.
“Serena non era alla quarta casa quando Sara ha pronunciato questa preghiera e Sara aveva già smesso di scriverle delle lettere… Ma come è possibile che sia viva?”
Sara scivolò al suolo, ansimando, cercando di riempire nuovamente i polmoni d’aria.

“Papà lo so che ho sbagliato questa mattina ma… vorrei chiederti una cosa…”
“Dimmi…”

“Non uccidere Serena.”
“Perché me lo chiedi?
“Perché mi serve per quando sarò più forte”

Quella conversazione a cui non aveva dato molta importanza anni prima, gli tornò in mente, assieme al fuoco fatuo che aveva visto in continuazione girare con Aletto.
“Stesso corpo, anima diversa…” sussurrò appena “E’ stata lei vero?”
Sara, annuì.
“Dov’è adesso?”
“Al piano di sopra… Non potete passare dalla botola… dovete fare il giro.”
Death Mask non perse tempo: le lanciò un ultima occhiata, per poi tornare accanto alla porta che chiudeva il corridoio; la abbattè con una spallata e si rimise a correre.
 
NOTE:
(*)SEKISHIKI KONSOHA = Onda della Sepoltura Spirituale dello Tsei She Ke
Palesemente copiata (ma a modo mio, rivisitata) da una delle tecniche di Manigoldo (si, in questa storia ci sono tantissimi riferimenti al Lost Canvas xD Forse perché mentre la scrivevo, compravo gli ultimi manga e li leggevo tutti!). Visto che non son brava con i nomi, ho preferito approfittare di una tecnica già esistente e trasporla su Aletto. Si, teoricamente glie l’ha insegnata Pal (e anche qui, mi riaggancio al Lost Canvas: Hakurei e Sage, i due gemelli, sono rispettivamente Saint del Cancro e dell’Altare, ed entrambi giocano con le anime come Death Mask… Dunque perché anche in questa guerra Sacra il Saint dell’Altare non può sapere qualcosa circa queste tecniche?). Certo, ora non dobbiamo immaginarci che Aletto sia forte quanto Manigoldo eh? Anzi, questa tecnica è decisamente meno “efficace”: la tecnica migliore di Aletto resta il Sekishiki Meikaiha.
 
Passando alle cose serie… Alla fine, tutto era più semplice di quanto volevo farvi credere. Dubito di essere riuscita a fregarvi, ma volevo, quantomeno, insinuarvi dei dubbi. Sara è viva e vegeta, esattamente dove la avevamo lasciata alla fine dell’altra fic: nel corpo di Serena. Aletto, anche se non sappiamo ancora come, a quanto pare è rientrata ad Atene ed è lei che ha ordito tutto questo piano malefico ai danni di Atena. Il punto ora è: cosa farà quando vedrà suo padre?
Scusatemi, ancora una volta, per i lunghissimi tempi di aggiornamento :( 

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Capitolo 9
*** Fallimento ***


Ti ho aiutato a diventare quello che sei
Ma tu mi hai deluso
Quindi quando cadrai
Toccherà a me
E soffierò sul fuoco
Non appena le tue fiamme arderanno
(Linkin Park, Burn it down)

 
Ikki avanzò tra i vetri rotti, osservando la stanza attorno a lui: una camera da letto, semplice, che dava sul giardino. Per qualche istante non udì altro suono al di fuori dei vetri che andavano in frantumi ad ogni suo passo; poi, dal corridoio giunse un altro rumore: qualcuno stava correndo.
Un istante dopo, un’ombra comparve nell’ingresso.
“Ancora tu!” ringhiò la Sacerdotessa, mettendosi in posizione di attacco. “Che cosa vuoi fenice? Te l’ho già detto una volta, non ho nulla da spartire con te!”
Ikki riconobbe subito la sua avversaria: una ragazzina non troppo alta, magra come un chiodo, con indosso un’armatura e parte della maschera da Sacerdotessa di Atena coperta da un ciuffo di capelli rosso scuro.
“Chiunque infanghi il nome di Atena non può pensare di non affrontare, un giorno, i suoi guerrieri. Tu stessa, che indossi quell’armatura, la disonori: pagherai per tutte le vite che hai spezzato!”
“E tutte le vite che avete spezzato voi, allora? Perché dovreste essere diversi da me? ANCHE VOI INDOSSATE UN’ARMATURA, EPPURE LE MORTI CHE CAUSATE SONO TUTTE GIUSTIFICATE!”
Il cosmo della Sacerdotessa esplose, in un bagliore argento e nero.
“Tu stesso hai camminato sui gradini del grande tempio con indosso quell’armatura, servendo Arles e i suoi piani di distruzione. Poi hai tradito lui e sei tornato, uccidendo altre persone: ciò non ti rende migliore di me.”
“Vuoi continuare a parlare tutto il tempo, ragazzina?”
“Devo ricordarti com’è finito l’ultimo nostro incontro, Cavaliere?”
 
Come sempre erano arrivati troppo tardi per fermare l’ennesima strage, ma lui era riuscito a vedere l’artefice del massacro: una figura incappucciata che, con un monile azzurro legato al collo, aveva fatto molte vittime. La aveva inseguita, fino a quando non era arrivato all’abitazione. Le aveva urlato di fermarsi, ma l’ombra non lo aveva fatto: così aveva usato l’Hoyoku Tensho nel tentativo di colpire l’avversario.
Tuttavia il colpo era stato vano: tra lui e il nemico si era frapposta un’armatura d’argento. Le sue varie parti erano assemblate a formare una gru così che non gli era stato difficile collegare il loro nemico ad una Sacerdotessa di Atena traditrice. Tuttavia, quel dettaglio se l’era tenuto per se: la dea forse lo sapeva già e comunque allarmare i suoi compagni non sarebbe servito a niente.
“Non è te che voglio” aveva detto l’ombra, prima di sparire oltre la barriera protettiva “Il cosmo di colui che cerco brilla di ben altro colore”.
 
“Ci sono i miei colpi, pronti a ferirti, fenice: vattene ora, o la tua anima si aggiungerà alle altre!”
“Non intendo andarmene! HOYOKU TENSHO!”
La Sacerdotessa schivò, riatterrando in piedi qualche metro più in là.
“Mai usare la stessa tecnica due volte! SEKISHIKI KONSOHA!”
Ikki schivò, ma non abbastanza in fretta: il colpo arrivò sul lato sinistro del suo corpo, mandando in frantumi quella parte di armatura.
Il Bronze Saint tuttavia non si arrese e tornò all’attacco, provando con un corpo a corpo; la Sacerdotessa però, parava e contrattaccava e, se messa alle strette, schivava, andando altrove: era più minuta e, per questo, più rapida.
Tuttavia, lui non si perse d’animo e, alla fine, uno dei suoi pugni andò a segno: il Phoenix Genmaken non falliva mai.
La maschera della Sacerdotessa andò in frantumi, mentre lei si inginocchiava a terra, con entrambe le mani posate al suolo.
“Papà…” sussurrò appena.
 
Aletto la rivisse tutta, la scena: davanti ai suoi occhi l’armatura del Cancro stava nuovamente abbandonando suo padre.
“No…no, NO! Dannazione Aletto va via! VIA!”
“Ma papà tu…”
“Ha abbandonato la sua armatura, non vedi? Posso ancora batterlo, tu nasconditi.”
“Ma se muori?”
“Non morirò Aletto. E comunque non voglio che tu muoia.”
“Ma…”
“NIENTE MA!”
E poi era caduto: il Dragone lo aveva gettato giù, nella voragine. E lei, guardandolo andar via dalla quarta casa, aveva giurato vendetta.
 
La quarta casa scomparve dalla sua vista e davanti a lei riapparve la piccola stanza: era stata una visione, nulla di più. Rialzò lo sguardo su Ikki, che la osservava, con uno sguardo assai stupito.
“Dunque è Shyriu che cerchi. Hai ucciso così tante persone solo per attirare la nostra attenzione e arrivare a Shyriu?”
“Non sono morte: non ancora. Tu non sai niente, NIENTE!”
“Me l’hai raccontata tu, la verità: il mio colpo crea illusioni che portano il mio nemico a confessare le sue paure più profonde. Tu temi la morte di tuo padre, che Shyriu ha ucciso. Temi che possa cadere di nuovo in quella voragine, perché sai che è vivo.”
Il volto di Ikki non mutò espressione, mentre parlava: ora gli era chiaro come mai quella ragazzina sapeva di ciò che era accaduto durante la Guerra Galattica: probabilmente, vivendo anche lei al grande tempio, lo aveva visto quando ancora appoggiava la causa di Arles.
Eppure non avrebbe mai creduto possibile che Death Mask fosse padre.
“Se pensi che questo possa bastare a fermarmi, ti sbagli di grosso!” disse Aletto, rimettendosi in piedi “Non sarei voluta arrivare a tanto, ma ora raggiungerai gli altri!” Urlò infine, sollevando il braccio destro, puntando l’indice della stessa mano verso di lui; nel contempo, fece avanzare leggermente la gamba sinistra.
“SEK…”
CRAC!
Aletto tacque udendo quel rumore, troppo cupo per ricordare quello del vetro che si infrange. Istintivamente, abbassò lo sguardo, spalancando poi gli occhi per l’orrore: ciò che aveva calpestato era parte della sua maschera.
L’istinto ebbe sopravvento sulla ragione: si voltò e fuggì.
 
“Aletto ascoltami!”
“E’ tardi Shaina, ho fame..”
“Smettila di piagnucolare!” aveva urlato in risposta la Sacerdotessa, tirandole un ceffone; era piccola, allora, e quella era la prima volta che Arles l’aveva separata da suo padre, affidandola alle Sacerdotesse di Atena.
“Questa è la lezione più importante, Aletto: dovrai ricordarla sempre. Impara questa e potrai andare a mangiare.”
Lei, in tutta risposta, aveva borbottato qualcosa che doveva corrispondere ad un “va bene”, ed era rimasta in ascolto.
“E’ molto importante che tu non faccia mai vedere il tuo viso a nessuno: per le Sacerdotesse di Atena, è di vitale importanza non mostrare mai il viso.”
“Perché?”
“Perché una Sacerdotessa che mostra il suo viso ad un uomo perde il suo onore: l’unico modo che ha per recuperarlo è uccidere chi l’ha vista in faccia. O, in alternativa, accettare di amarlo.”
 
Quella lezione se la ricordava fin troppo bene.
Si era allenata per anni senza pensarci, perché il suo maestro era il suo stesso padre, e lei lo amava già, il suo papà. Voleva anche molto bene a Shura e Aphrodite, che la avevano vista senza maschera.
Non era sicura, invece, di voler bene a Milo e Camus e sicuramente odiava Arles, ma quando li aveva conosciuti lei non era ancora una Sacerdotessa: era solo una bambina e non si sentiva in dovere di rispettare quella regola. Anche quando aveva conosciuto Pål non ci aveva fatto molto caso, ma tutto quello era accaduto prima che l’armatura la scegliesse.
In quel momento era diverso, tutto diverso.
Correndo, si fermò accanto alla porta che aveva chiuso, per recuperare la chiave per aprire e una maschera di scorta, che aveva lasciato nella cassettiera lì accanto: ne aveva nascosta una in ogni armadio della casa, per sicurezza.
Sentì fin troppo chiaramente i passi dietro di lei, troppi per appartenere ad una sola persona: la fenice non era venuta da sola. Si fiondò nella stanza, pronta a recuperare gli ostaggi e Sara, per andarsene, ma ciò che vide distrusse tutti i suoi piani: Sara non era da nessuna parte e, peggio ancora, il Dragone era libero.
Nella fretta, non lo aveva legato bene, e ora lui aveva liberato la ragazza.
“BASTARDO!” urlò la ragazzina, furiosa “Dov’è mia mamma?”
Shyriu, scosse il capo “Non lo so ragazzina, ma non mi interessa: arrenditi, è meglio per te.”
Furiosa, Aletto sollevò il primo oggetto che le captò a tiro e lo lanciò; non appena Shiryu schivò, gli fu addosso.
 
Lo colpì un paio di volte, poi fu costretta a schivare i colpi e a indietreggiare.
“Arrenditi ragazzina, non puoi più far nulla.”
Lei lo ignorò: aveva ancora un asso nella manica da giocare.
“Te lo puoi scordare Dragone!”
Partì all’attacco, un’altra volta, facendo allontanare Shyriu da Shunrei e facendolo avvicinare alla porta. Poi, fu costretta ad indietreggiare per l’ennesima volta.
“Non mi lasci altra scelta! ROZAN SHOR…”
La porta si aprì di scatto.
“No, Shyriu, aspetta!” urlò Ikki, ma non abbastanza forte perché il Dragone potesse sentire.
Tuttavia, prima che potesse lanciare il colpo, Death Mask gli fermò il braccio, proprio mentre lo portava all’indietro, un attimo prima di lanciare il colpo.
“FERMATI BRUTTO IDIOTA!”
“Death Mask! Ma cosa stai facendo?” domandò stupito divincolandosi dalla sua presa.
“Non ti permetterò di farle del male…”
“Ma…”
“Niente ma brutto coglione, SONO STATO CHIARO? Sono io il più alto in carica qui, quindi FARAI QUELLO CHE TI DICO!”
Detto questo, Death Mask tornò a guardare Aletto, mentre Sara rientrava di corsa, dietro di loro.
“Aletto, poniamo fine a queste stragi… Basta così…” Fece un passo verso di lei, e lei indietreggiò ancora.
“Aletto, sono io…”
Lei, abbassò il capo e iniziò a piangere: le lacrime, scorrendo sotto la maschera, si raggruppavano sul mento, cadendo a grandi goccioloni sul pavimento.
“Perdonami papà… ho fallito… Non sono stata abbastanza forte…” disse, con aria affranta.
“Aletto non…”
“Ma rimedierò, promesso: sarò forte, come hai sempre voluto.”
In quell’ultima frase la voce della ragazzina tradì tutta la sua determinazione: risollevò la testa e, con fierezza e rapidità, si voltò verso Shunrei.
 
“SEKISHIKI MEIKAIHA!”
Si mosse ad una velocità superiore di quella del suono, come ogni Silver Saint sa fare e Shunrei si accasciò al suolo. Un istante dopo le fu addosso, e le tolse il ciondolo azzurro che le aveva messo al collo.
“Mamma, perdonami…”
Un istante dopo, fu avvolta dalla luce, e scomparve.
Death Mask non perse tempo e si teletrasportò nella valle della morte anche lui, ma arrivò comunque troppo tardi: Aletto non era già più lì.
Tuttavia, l’anima di Shunrei non aveva fatto molta più strada: era lì, accanto a tutte le altre ma a differenza di quelle che andavano a buttarsi nella stessa voragine in cui era caduto lui, era immobile.
E, accanto ad essa, stavano immobili tutte le anime degli abitanti di Atene, circondate da una luce azzurra che non le abbandonava mai.
 
NOTE:
Innanzitutto chiedo perdono ç_ç lo so, sono passati 2 mesi dall’ultimo aggiornamento ma tra la maturità che incombe e gravi problemi materiali, l’ispirazione è andata a farsi benedire. Vi chiedo di pazientare: prima o poi ricomincerò a pubblicare con più frequenza.
 
Passando alla storia…
Si, ok, l’entrata di Ikki vuole essere una pallida imitazione delle sue “entrate teatrali”…lo ammetto! xD
Pensavate che si risolvesse tutto eh? E invece no ù.ù Aletto è scappata. Ammetto che caratterizzarla, dopo così tanto tempo senza scrivere, è stato difficile: avevo già una bozza del capitolo, ma sono arrugginita: sia lei che gli altri personaggi, ho cercato di farli il più fedeli possibili a loro stessi ma…è stata dura. Soprattutto con Ikki e Shyriu. E Aletto, ma perché lei ha una psicologia complicata, come tutte le adolescenti xD In ogni caso, ora sappiamo che le anime delle persone colpite da Aletto non finiscono nel mondo dei morti ma stazionano lì, a metà tra la vita e la morte: in fondo, la bambina non è cattiva come sembra. Vi lascio dunque alle vostre riflessioni e…alla prossima! (sperando che non sia troppo in là nel tempo J)

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Capitolo 10
*** Rivelazioni ***



Volevo risolvere il problema
Ma non riuscivo a smettere di demolirlo
(Linkin Park, Burn it down)

 
Death Mask tornò indietro a mani vuote: si ritrovò davanti allo sguardo speranzoso di Sara e al viso impassibile di Ikki; Shyriu era a terra, accanto a Shunrei.
“Era già fuggita.”
Sara si lasciò cadere su una delle poche sedie rimaste integre.
“Se non mi avessi fermato, ora la situazione sarebbe ben diversa.” Disse Shyriu, rialzandosi in piedi, con il corpo di Shunrei tra le braccia “Sei felice ora, Death Mask?”
Il Gold Saint lo ignorò.
“Ci devi delle spiegazioni, Death Mask” intervenne Ikki, facendo un passo verso di lui.
Da parte del Gold Saint, non vi fu alcuna risposta.
“Ormai la frittata è fatta Death”
“Non è forse semplice da capire? Quella è mia figlia.”
Lo stupore di Shyriu, in un’altra occasione, lo avrebbe fatto ridere, ma non in quel momento. Era stato ad un passo dal ritrovarla, e aveva perso di nuovo le sue tracce, come cinque mesi prima.
 
Aveva dovuto avanzare nella neve, fino a quell’abitazione isolata, ben lontana da Oslo. Il viaggio era stato lungo e diverse bufere di neve lo avevano costretto a fermarsi in città, prima di poter raggiungere quell’abitazione. Senza perdere tempo aveva bussato e dall’interno era arrivato un urlo.
“Sjekk!(*)”
A quell’affermazione erano seguiti dei passi affrettati, e poi la porta si era aperta.
Il ragazzino che si trovava sull’uscio lo aveva squadrato per un po’, fino a quando lui non si era presentato
“Death Mask del Cancro, dal Santuario”
Il Saint dell’Altare aveva annuito, facendogli cenno di entrare e lui non aveva perso tempo: quel viaggio era stato una scocciatura più che sufficiente. Perciò era rimasto lì, nell’ingresso, aspettandosi di veder arrivare da un momento all’altro Aletto.
“Mi dispiace Cavaliere, ma Aletto non è più qui.” Gli aveva detto Pål, col capo chino, evidentemente assai dispiaciuto. “Non appena le ho detto del vostro ritorno in vita, si è allontanata per tornare in Grecia, per venire da voi… Prima che potessi dirle che sareste arrivato voi, qui.”
L’aveva mancata, un’altra volta.
Lo aveva  guardato bene: doveva avere la stessa età dei  Bronze Saint.
“Quanto tempo è rimasta con te?”
“Un anno e qualche giorno, Cavaliere.”
“Da quanto è partita?”
“Due, tre mesi… non di più”.
Lo aveva lasciato lì, in casa sua, senza dir nulla, tornando a camminare nella neve. Lo avrebbe picchiato volentieri, ma non era colpa sua se Aletto non era lì: così, aveva lasciato perdere.
 
“Tu hai una figlia?”
Shyriu, faticava a crederci; Ikki, invece, taceva: non sembrava importargli molto.
“A quanto pare, Dragone, è così” replicò Death Mask, spazientito “E se proprio vuoi saperlo, lei c’era quando mi hai buttato giù dallo Yomotsu Hirasaka.”
Nella camera era sceso il silenzio, interrotto soltanto dalla voce di Death Mask.
“Fai te due conti: vista la situazione, mi pare abbastanza chiaro il perché di tutto questo putiferio.”
“Lei stessa ha confessato che il suo obbiettivo, sin dall’inizio, eri proprio tu Shyriu.” Intervenne Ikki, appoggiandosi con la schiena al muro e incrociando le braccia al petto. “Ho usato il Phoenix Genmaken, quindi di questo sono sicuro. Tu, Death Mask, ne sapevi qualcosa?”
“No” fu la risposta del Gold Saint “Ho cercato Aletto a lungo, ma non sono riuscito a trovarla in questi mesi: deve essersi organizzata mentre io la cercavo.” Il suo sguardo ricadde su Sara.
“Ma penso che Sara lo sappia meglio di me, cos’è successo. E le conviene parlare, adesso.”
La ragazza annuì impercettibilmente, e iniziò a raccontare.
“Dal giorno della mia morte, il mio spirito ha continuato a vagare per la quarta casa. Poi, quando Arles è stato sconfitto e voi siete morto, per un istante, mi sono ritrovata nell’oscurità più completa, fuori dallo spazio e dal tempo. Poi, ho rivisto la luce: Aletto, aveva scambiato la mia anima con quella di mia sorella gemella, immettendola nel suo corpo. Lo sforzo le era costato parecchia fatica e, per questo, dovette riposare per diversi giorni. Quando si fu ripresa del tutto, insistette per lasciare la quarta casa: così partimmo dal Santuario e ci trasferimmo a Rodorio, dove venimmo ospitati per qualche tempo dal signor Sebastian Azzarà”
 
 “Death Mask? Death Mask mi senti?”
Con un cenno della mano, il Gold Saint fece segno a Sara di tacere momentaneamente.
“Si Shura, ti sento.”
“Abbiamo sentito cadere la barriera: cosa è successo?”
“Il nemico è fuggito”
“Provvederò a dare l’allarme”
“Dì a tutti che nessuno deve far del male al nostro nemico”
“Death Mask, stai scherzando vero?”
“No: il nemico è Aletto.”
“CHE COSA?”
“Voleva vendicarsi di Shyriu per avermi ucciso e ha tirato su questo casino: i cittadini di Atene erano solo un’esca.”
“…”
“Shura, avvisa Atena prima di tutto: ora noi cercheremo di capire qualcosa di più. Non appena avrò maggiori informazioni, ti contatterò.”
 
“Continua…” incitò poi Sara, senza dar spiegazioni a nessuno.
“Aletto, poi, recuperati i risparmi di sempre, decise di acquistare questa casa, e io sono rimasta qui ad aspettarla, quando se ne è andata.” Riprese lei, tenendo il capo chinato e fissando il suolo “Quando è tornata aveva quell’armatura: era stata scelta. Da lì, ha iniziato a mettere in atto il suo piano: voleva vendicarsi ma sapeva di non poter attaccare direttamente. Così ha organizzato quest’esca. Ha studiato per diversi mesi il piano e, dopo diverse ricerche, è riuscita a trovare casa vostra” aggiunse, fissando Shyriu “Quando tutto è stato pronto, ha agito.”
“Ha ucciso così tante persone solo per arrivare a me?”
“Non le ha uccise.”
I Saint, si voltarono verso Sara, che si era alzata in piedi.
“Aletto non è un mostro, è solo una bambina. Precoce, forse, come bambina, ma resta tale. Non appena si è sentita braccata ha fatto la cosa più ovvia: è scappata.”
Teneva la testa alta, ora, mentre parlava, e li osservava tutti e tre, ben decisa a farsi ascoltare.
“Questi ciondoli, li ha forgiati lei” disse, indicando il ciondolo azzurro che portava al collo. “Le ci sono voluti diversi mesi per crearne così tanti, ma alla fine ci è riuscita. Ha sprecato cosmo ed energie, negli ultimi mesi, per la preparazione del piano e per questo. L’anima di chi viene colpito dal Sekishiki Meikaiha rimane bloccata a metà tra la vita e la morte, rinchiusa nel ciondolo stesso. L’energia di questi spiriti, inoltre, se racchiusa nei ciondoli, può essere convogliata in un unico punto per generare il Sekishiki Konsoha(**)”
“Quindi, tutte quelle persone non sono morte, ma solo momentaneamente non-vive” concluse Ikki, staccandosi dal muro, e Sara annuì.
 
“Allora perché portarlo via a Shunrei?” domandò Shyriu, perplesso.
“Per impedire che qualcuno con il suo stesso potere attivasse il processo inverso.” Concluse Death Mask, con una smorfia e Sara confermò il tutto, annuendo.
“Anche se gli ateniesi non sono morti, va fermata lo stesso” aggiunse Ikki, lanciando un’occhiata a Sara “Sai dove si trova?”
“No. Ma è spaventata e disorientata: pensava di fare qualcosa per…per voi Cavaliere” disse lei, osservando Death Mask “Vedervi accanto ai suoi nemici deve averla spaventata e quindi ha agito d’istinto.”
Death Mask annuì e si avviò verso la porta.
“Andiamo” disse agli altri “Dobbiamo far rapporto ad Atena e unirci alle ricerche: Aletto, non può essere lontana, e non intendo lasciarmela sfuggire un’altra volta.”
 
 
NOTE:
(*)Sjekk! = arrivo!
(**)Si, Riprendo sempre dal Lost Canvas^^
 
Si, voi mi odierete perché è un capitolo breve, terribilmente contorto e sono 2 mesi che non aggiorno ç_ç Ma dovete perdonarmi… avevo la maturità e il tempo scarseggiava. Spero di essere un po’ più puntuale nelle pubblicazioni d’ora in avanti, ma mi sa che una volta in vacanza sarò costretta a sparire ancora (causa assenza di connessione). Perciò vi lascio con questo capitolo, conscia di meritarmi taaante sassate ç_ç
PS: Bho, ho quasi il terrore di trasformare Aletto in una Mary Sue… Spero sia apparso abbastanza chiaro che, in ogni caso, per fare quei ciondoli ci ha messo un sacco di tempo e ha sprecato millemila energie

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Capitolo 11
*** In fuga ***


Ed ogni perdita
ed ogni luce
in ogni verità che neghi

ed ogni rammarico
ed ogni addio
era un errore, un modo per nascondersi
e la tua voce è tutto ciò che ho sentito
e diceva che ottengo solo ciò che merito

(Linkin Park, New Divide)

 
Aletto ricomparve, un istante dopo aver lasciato la casa, su un’altura posta fuori dalla città; da lì poteva vedere benissimo Atene, nonostante fosse notte.
Istintivamente, mise al collo il ciondolo di Shunrei e si avvicinò al bordo dello strapiombo, per osservare la città, ormai deserta.
Da lì riusciva a scorgere qualche gruppo di Saint di pattuglia per le vie di Atene: di lì a non molto sarebbe stato dato l’allarme e lei sarebbe dovuta fuggire.
“Si, ma dove?”si chiese.
Aveva aspettato per mesi quel giorno, ma nulla era andato come aveva sperato: la sua barriera era troppo esile per proteggere davvero la casa, lo sapeva, ma sperava comunque di riuscire a tenere il nemico fuori abbastanza a lungo; si era sopravvalutata. Istintivamente, strinse i pungi: possibile che fosse andato tutto così male? L’unica sua consolazione  era che il cosmo utilizzato per forgiare quei ciondoli non era andato sprecato: quelli, almeno, erano serviti a qualcosa.
“Possibile che io non sia in grado di fare altro che questo?”si chiese, alzando entrambi i polsi, per osservarli meglio. “Possibile che io possa occuparmi solo di morte?”
 
Aveva sempre sperato di diventare più forte, ma i risultati tardavano ad arrivare. Non sveniva più lanciando il Sekishiki Meikaiha, ma non era in grado di fare molto altro. La tecnica affinata in Norvegia era effettivamente dannosa solo se coglieva l’avversario alla sprovvista; altrimenti, era totalmente inutile. Poteva essere più efficace con un maggior afflusso di anime, ma richiamarle dai vari ciondoli, significava sprecare una grande quantità di energie.
L’unica cosa che le riusciva davvero bene era giocare con le anime: lo faceva da sempre e, probabilmente, non sarebbe riuscita a fare molto altro.
Poteva muoversi superando la velocità del suono, ma non quella della luce. Poteva accedere alla valle della morte e imprigionare le anime in quei ciondoli. Volendo, se le condizioni di due corpi erano affini, poteva scambiare le anime dei due occupanti.
“O forse, quello della mamma, è stato un colpo di fortuna…”
La mamma; quel pensiero le attraversò la mente in un lampo: l’aveva lasciata indietro.
Si sedette a terra, torcendosi le mani: l’aveva lasciata con suo padre.
 
“Aletto? Come stai?”
“Meglio… mi sono ripresa ormai. Dov’è il Signor Azzarà?”
“E’ fuori per delle compere.”
“Posso uscire anche io, vero?”
“Certo, ma prima devi fare una cosa.”
“Cosa?”
Si era messa a sedere sul letto e la aveva osservata: forse le avrebbe chiesto di pulire un po’ la casa, o di rifare il letto. Suo padre non voleva che lei se ne occupasse, ma per una volta poteva fare uno strappo alla regola.
“Voglio che tu ridia a mia sorella il suo corpo.”
 
Le si era gelato il sangue nelle vene, quella volta.
“No” aveva risposto, con cocciutaggine.
“Aletto, tutti muoiono. Io ero destinata a morire quella notte e così è stato. Mia sorella aveva una lunga vita davanti e doveva vivere: è giusto che riabbia indietro il suo corpo. Io non sono diversa dalle altre persone, non è giusto che io abbia una possibilità in più.”
Non le aveva parlato per tre giorni, dopo quella richiesta. Poi, sentendosi un po’ in colpa, era tornata a parlarle, ma ogni volta che le era stato chiesto di ricambiare le anime, aveva rifiutato.
“Se vuoi la riporto in vita: ma dopo la ucciderei comunque” aveva detto un giorno e Sara si era convinta a non ritentare con quella richiesta.
 
Ma avrebbe potuto chiedere a suo padre. O peggio: lui avrebbe potuto farla fuori lo stesso, pensando che fosse Serena. E lei non poteva tornare indietro, perché era troppo pericoloso.
Istintivamente, la mano andò a sfiorare i due ciondoli che aveva al collo: il suo e quello di Shunrei, e si sentì più tranquilla dato che ne aveva lasciato uno identico a Sara.
“Papà  non sa come liberare l’anima…”
Era rincuorata, certo, ma aveva un altro problema: suo padre. Pensava di portargli la notizia di un successo: la morte del Dragone o, se si fosse rivelato un avversario imbattibile, quantomeno lo avrebbe informato che vendetta era stata fatta, uccidendo la ragazza.
Fatto ciò, suo padre si sarebbe dimostrato orgoglioso e le avrebbe detto che era diventata forte.
O, almeno, così sarebbero dovute andare le cose, nella sua testa. Purtroppo per lei la realtà si era presentata in maniera assai diversa: suo padre era arrivato ad attaccarla assieme agli altri due. Certo, lui non poteva sapere che si trattava di lei, ma dopo averla riconosciuta, la prima cosa che le aveva chiesto era di smettere. Di arrendersi.
“Perché papà? Cos’è successo? Cos’è cambiato?”
Non si era nemmeno complimentato per la conquista dell’armatura.
 
“Sacerdotessa: che cosa ci fate qui?”
Colta alla sprovvista, Aletto balzò in piedi, voltandosi velocemente verso la voce fin troppo nota; con un rapido gesto, lasciò che i due ciondoli scivolassero dietro le sue spalle, in modo da nasconderli coi capelli, riuscendo così a mostrare al suo interlocutore solamente il cordoncino a cui erano legati.
“Dovreste essere di ronda, in città…” proseguì Camus
“Pensa Aletto, pensa in fretta… una scusa…”
“Sono appena arrivata dalla Norvegia, Cavaliere” disse, istintivamente, posando un ginocchio a terra e abbassando il capo. Mentalmente, ringraziò la sua maschera: difficilmente il Saint dell’Acquario che l’aveva vista solo un paio di volte da bambina sarebbe riuscito a riconoscerla. Inoltre, se si fosse liberata di lui in fretta, poteva riuscire a scappare: probabilmente, in quel momento il Dragone e gli altri non avevano ancora dato l’allarme.
“Dalla Norvegia?”
“Si. Ho conquistato da poco l’armatura e sono venuta qui il più in fretta possibile.”
“Infatti non ti avevo mai vista al Santuario: come ti chiami?”
 
“Pål?”
“Dimmi lite lys(*)…”
“Hai detto che non hai mai conosciuto il tuo papà… Ma la tua mamma com’era? Era buona?”
“Si, era buona…si chiamava Rikke. E la tua mamma?”
“Io non ce l’ho una mamma…”
 
Rikke. Rikke della Gru”
“Rikke…” ripetè il nome Camus, pensieroso “E chi ti ha addestrato?”
“Pål dell’Altare, Cavaliere”
“Pål dell’Altare?” ripetè Camus stupito.(**)
“Camus!” d’istinto Aletto sollevò la testa e guardò oltre le spalle dell’Acquario: anche se ormai era notte le stelle e la luna illuminavano tutto, tanto da permetterle di riconoscere la figura di Milo che, avvolto nella sua armatura, li stava raggiungendo.
“Notizie dal Santuario?”
“Hanno trovato il nemico, ma è fuggito.”
“Dannazione!”
Avevano dato l’allarme: ora doveva andarsene, il più in fretta possibile; mentre Camus fissava Milo, Aletto scivolò all’indietro, verso il bordo dell’altura.
“L’ordine è di catturarla e basta, senza farle del male” disse Milo, giunto ormai accanto a Camus “E’ una sacerdotessa, capelli rossi, maschera con dei segni blu: indossa l’armatura della Gru.”
Quella definizione bastò a Camus: si voltò di scatto, pronto a colpire.
“FREEZING COF…”
Un lampo di luce costrinse i due Gold Saint a chiudere gli occhi: quando li riaprirono, Aletto era sparita.
 
“Dannazione Milo!” disse Camus, voltandosi verso di lui “Ma non potevi dirlo prima?”
“Bhe, anche tu non sei stato molto furbo… non ti sembrava un po’ strano che una Sacerdotessa così giovane fosse qui senza permesso?”
“Vorrei ricordarti Milo, che noi quando abbiamo ricevuto l’investitura andavamo comunque in giro senza permesso. Che poi scusa, quanti anni ha?”
“Penso undici… dodici forse, non ricordo con esattezza”
“Pensi?”
Milo, per un istante, non rispose direttamente a Camus, e gli fece cenno di aspettare.
“Shura?”
“Dimmi Milo”
“Io e Camus l’abbiamo mancata. Death Mask l’ha raggiunta?”
“No, purtroppo. Ma la prossima volta non la mancheremo. Se ci sono novità, Aphrodite ed io vi aggiorneremo. Se sapete qualcosa, non esitate ad avvisarci.”
“Va bene Shura, solo una domanda”
“Dimmi.”
“Quanti anni hai detto che ha la bambina?”
“Non l’ho detto… ma questo cosa centra?”
“Ero curioso di saperlo…”
Nessuna risposta.
“Ebbene?” domandò Camus, alzando un sopracciglio.
“Shura non vuole dirmelo; comunque sia, è sfuggita anche a Death Mask. Il che è strano: pensavo che si facesse avvicinare almeno da lui…”
“Perché scusa?”
“Te la ricordi la bambina che hai mollato in mezzo alla neve qualche anno fa, per ordine del Sacerdote?”
“La figlia di Death Mask?”
“Si”
“E’ LEI?”
“Eh già.”
 

*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*~¤  ¤~*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*

 
Aletto si catapultò nella Valle della Morte il più in fretta possibile ma, non appena vi mise piede, si accorse di suo padre che, non molto lontano da lì, si guardava attorno. Non appena la vide, si mosse verso di lei e, per puro istinto, la bambina si spostò nuovamente, abbandonando il luogo un istante prima di essere raggiunta.
Atterrò di pancia su un letto e, per un po’, rimase in silenzio: nessun rumore.
Alzò leggermente la testa per guardarsi attorno, riconoscendo il luogo del suo arrivo. Istintivamente, davanti al pericolo, si era recata in un luogo a lei familiare: la casa di Sebastian Azzarà, dove era rimasta per qualche tempo.
In punta di piedi, scese dal letto e si affacciò sul corridoio, avvicinandosi al ballatoio che dava sul piano di sotto;le scale erano lì, alla sua sinistra.
Con un po’ di fortuna avrebbe trovato Azzarà e gli avrebbe chiesto di nasconderla per un po’, fino a quando non si fossero calmate le acque. Nel peggiore dei casi, Sebastian era morto.
Gli aveva lasciato un ciondolo apposta, come protezione, ma non era mai stata molto convinta della sua partecipazione al piano.
 
“Lascia che ti aiuti!” aveva detto lui.
“Perché? I Saint non hanno forse fatto molto per te?” aveva domandato lei, diffidente.
“Te lo spiegherò, un giorno”
“No, non se ne parla. Non mi saresti di nessun aiuto.”
“Si invece: potrei crearti un diversivo.”
 
E, effettivamente, il diversivo aveva funzionato: Rodorio era stata messa a soqquadro con l’invenzione dell’epidemia, attirando l’attenzione dei Saint, tanto quanto la finta strage di Atene. Certo, non si poteva dire che fosse servito a molto, ma almeno aveva diminuito il numero dei Saint che si erano recati a casa sua, dato che sicuramente qualcuno si era dovuto occupare di riportare l’ordine nel piccolo villaggio.
Aletto stava per scendere la scala, quando la porta d’ingresso si aprì.
Istintivamente, si ritrasse, nascondendosi nell’ombra; dalla porta, entrarono Shura e Aphrodite.
“Milo e Camus non sono riusciti a prenderla… Death Mask nemmeno”
“Non preoccuparti Shura, presto la riprenderemo. Sicuramente, ora che è stata scoperta non attaccherà direttamente, ma cercherà un rifugio.”
“E’ per questo che siamo qui?”
“Anche” rispose Aphrodite, vago “potrebbe ricomparire qui, o comunque da qualche parte a Rodorio, per questo ritengo opportuno rimanere di ronda. Le strade rimarranno deserte fino a nuovo ordine. Se è per strada, la troveremo, se è in una casa, basterà ispezionarle tutte.”
Shura annuì in risposta e Aletto si mosse appena: doveva strisciare contro il muro e rientrare nella camera da letto, per scappare dal tetto.
“Però è confortante sapere che quelle persone non sono ancora morte…” aggiunse Shura, avanzando nel salone “In fondo è solo una bambina…così tante vite spezzate in così poco tempo.”
“E’ figlia di Death Mask Shura… io non ci avrei messo la mano sul fuoco.”
Ancora un passo,  due…
SGNEEEK.
“No…”
Un’asse aveva cigolato e, nello stesso momento i due Saint alzarono la testa verso di lei.
“Di sopra” disse Shura, scattando, seguito a ruota da Aphrodite.
Aletto si mise a correre.
 
 
 
NOTE:
(*)Lite lys = piccola stella
(**) Camus rimane un po’ perplesso perché ogni Saint (con eccezione dei Gold Saint), per ottenere un’armatura dovrebbe essere addestrato da un Saint di grado superiore (= un Bronze Saint deve essere addestrato da un Silver Saint/Gold Saint, un Silver Saint da un Gold Saint),ricordo di averlo letto da qualche parte… per questo, ho deciso di sfruttare questa piccola cosa per la mia storia, giusto per instaurare un sospetto un po’ più forte in Camus. Aletto, ovviamente, questa cosa non la sa, per questo mente dicendo che ad addestrarla è stato un Silver Saint.
 
Immaginatevi la faccia di Camus. Vi prego, immaginatevela nel momento in cui Milo gli dice a chi stanno dando la caccia. Non lo so, per come me la immagino io, fa davvero ridere xD. Che dire… per la gioia di qualcuno, ho provato ad allungare un po’ i capitoli (ma non garantisco che questa lunghezza duri ancora molto ù.ù). Ormai la nostra cara Aletto è braccata, ha alle calcagna l’intero Santuario. Però, se è riuscita a sfuggire a Camus (scusate se non glie l’ho fatta catturare, ma sarebbe finito tutto il divertimento!), potrebbe scappare di nuovo, voi che dite? Io, per ora, non vi dico nulla, vi toccherà aspettare il prossimo capitolo che, però, non so quando arriverà: la mia partenza per le vacanze è sempre, inesorabilmente, più vicina… Potrei non aggiornare più fino a settembre…vedremo! Muahahahah!

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Capitolo 12
*** La fine della corsa ***



Allora dammi una ragione
per dimostrare che ho torto
per lavare questa memoria pulita
lascia che i pensieri attraversino
la distanza nei tuoi occhi
dammi una ragione
per riempire questo vuoto
con cose senza vita in mezzo
fatti bastare
il voler trovare verità e bugie
attraverso questa nuova divisione

(Linkin Park, New Divide)
 
 
Fermarsi significava morire.
O peggio. La morte le sembrava niente in confronto a quello che avrebbero potuto farle.
“Ta det, TA DET!(*)”
Era ormai arrivata in Grecia, sebbene Atene fosse ancora lontana. Si era fermata a metà pomeriggio nei pressi di un ruscello, per bere e, in un attimo, si era ritrovata circondata.
Gli stessi uomini che l’avevano perseguitata in Norvegia, l’avevano seguita fino a lì: proprio come diceva Pål, chi trafficava organi o bambini, non si arrendeva tanto facilmente, se il soggetto era in salute.
Perciò aveva iniziato a correre, ma era stanca: viaggiava a piedi da più di un mese ed era da due giorni che non trovava cibo.
Le gambe la tradirono troppo presto e si ritrovò a terra, circondata.
“Når er det vår(*)” disse il capo, ma lei non si perse d’animo e provò a rialzarsi.
Avevano iniziato a picchiarla, ma non si lasciò sfuggire nemmeno un gemito: le botte che prendeva in allenamento facevano più male.
Le avevano fermato i polsi e aveva scalciato; le avevano immobilizzato le gambe e aveva morso. Ogni tentativo di bloccarla era inutile,  distruggeva ogni corda, sfuggiva ad ogni presa.
Il capo, spazientito, aveva sollevato la pistola, mirando alla testa, e aveva sparato.
Il rumore del metallo che si scontra col metallo aveva segnalato che il colpo era andato a vuoto: una gru d’argento si era disposta davanti a lei.
I suoi nemici non potevano sapere cos’era, ma lei lo sapeva: era un’armatura. Si era adattata al suo corpo, come se fosse stata fatta d’acqua e la banda, spaventata, era fuggita: non li aveva più visti.
 
Aletto voleva fuggire anche quella volta: scavalcò la finestra e si lanciò di sotto; ammortizzò la caduta, fece una capriola per attutire ulteriormente l’impatto col suolo e poi ricominciò a correre per le strade di Rodorio, buie e deserte.
Non sapeva neanche lei se stava andando verso Atene, verso il Santuario o verso l’altura che da Rodorio si allontanava verso delle terre disabitate, che separavano il villaggio dalla capitale greca, ma non le importava: voleva solo andare il più lontano possibile da lì.
Sentiva i passi di Shura alle sue spalle, fin troppo vicini; poi, da uno dei tetti delle case alla sua destra, una rosa rossa piombò ai suoi piedi. Fu costretta a scartare a sinistra, per evitarla, ma prima che potesse continuare la sua corsa, Aphrodite era sceso dal tetto: ogni via di fuga era chiusa.
“Aletto… ne è passato di tempo dall’ultima volta” disse il Saint dei Pesci, facendo un passo verso di lei, sorridendo “Non ha senso scappare così, siamo o non siamo i tuoi zii?”
Con la coda dell’occhio, la ragazzina si accorse di un vicolo laterale, e scartò da quella parte.
Un lampo di luce le tagliò la strada, squarciando il suolo e aprendo una voragine, costringendola ad indietreggiare. Dietro di lei Shura era con il braccio alzato, in posizione d’attacco.
“Qualsiasi movimento tu faccia, sei sotto tiro, Aletto” disse il Gold Saint “ma non voglio farti del male, nessuno lo vuole.”
“Devi soltanto venire con noi” aggiunse Aphrodite “Atena vuole parlarti, ma non ti verrà fatto alcun male.”
“Io non voglio vederla, quella dea! E’ colpa sua se siete morti tutti!” urlò in risposta lei.
“Ma ora siamo qui” replicò Aphrodite.
 
Non rispose. Se fosse riuscita a raggiungere il confine della barriera che proteggeva il Santuario, sarebbe potuta correre fino alla quarta casa e da lì alla tomba che dava sul mare. Sarebbe potuta rimanere sulla spiaggia mangiando pesce tutto il tempo necessario e poi sarebbe fuggita. L’unico problema era arrivarci. Poteva farlo solo passando per la Valle della Morte, ma le probabilità di incontrare suo padre erano alte. Però, sapendo dove voleva andare ed agendo in fretta, poteva riuscirci.
“Va bene… vengo con voi” disse, abbassando il capo.
Shura abbassò il braccio che conteneva Excalibur e in quell’istante lei agì.
Un attimo dopo era nella Valle della Morte e stava per spostarsi ancora quando un colpo le arrivò dritto al capo, mandandola a terra.
Non fece nemmeno in tempo a provare a rialzarsi: suo padre era lì, e aveva caricato tutto il suo peso su di lei: le teneva un ginocchio sullo stomaco e con una mano le bloccava i polsi sopra la testa.
“Non così in fretta.”
Incominciò a scalciare e a dimenarsi, ma suo padre aumentò la pressione sullo stomaco; fu costretta a desistere. Con la mano sinistra, quella libera, Death Mask le strappò via la maschera.
“Ora tu verrai con me, da Atena.”
“NO!”
Non voleva andare da lei: odiava Atena tanto quanto odiava i Bronze Saint.
 
“IO SONO TUO PADRE E FARAI QUELLO CHE TI DICO!” urlò Death Mask, incavolato: la sua pazienza era andata a farsi benedire già da un pezzo.
“DEVI SMETTERLA! TUTTO QUESTO PIANO E’ PRIVO DI SENSO. LA GUERRA COI BRONZE E’ FINITA, OGNI GUERRA E’ FINITA. E NON LASCERO’ CHE TU TI FACCIA AMMAZZARE PER UN CAPRICCIO!”
Non seppe cosa rispondergli; si limitò a girare lo sguardo verso le anime azzurrognole che danzavano lì attorno. Erano tutti abitanti di Atene, pochi in confronto a quelli che vivevano realmente in città: la maggior parte era stata fatta evacuare prima che lei potesse agire.
“Se hai fatto tutto questo per vendicarmi, perché non sei tornata da me quando hai scoperto che ero vivo?” Il Gold Saint non urlava più, ma la voce era comunque secca, decisa.
“Avevo…avevo paura…” rispose lei; la maschera di sicurezza che aveva indossato fino ad allora si sciolse e Aletto tornò a mostrare il suo lato da bambina, tanto a lungo represso, scoppiando in lacrime.
“Avresti visto che n-non ero forte… Che ogni volta che…che facevo qualcosa…avevo bisogno di tanto tempo per…per recuperare le forze.” La voce le tremava, scossa dai singhiozzi. “Avresti scoperto che non ti avevo vendicato, ti saresti arrabbiato…perché non ero alla tua altezza… non mi avresti più voluto.”
Death Mask, con la mano libera, la costrinse a voltare il viso verso di lui.
“Piccola idiota che non sei altro, GUARDAMI IN FACCIA QUANDO PARLI!”
Lei tacque di nuovo per un po’, ma lo guardò, senza smettere di piangere.
“Quando ho conquistato l’armatura, mi sentivo forte… ma…ma poi per ogni ciondolo che creavo, anche se era piccolo…avevo bisogno di almeno due giorni di riposo prima di poterne fare un altro… Per questo non colpivo mai t-tante persone…non avevo abbastanza collane per farlo senza ucciderli.”
Senza dire una parola, Death Mask la sollevò di peso da terra e tornò indietro dalla Valle della Morte, direttamente alla tredicesima casa. Senza perdere tempo, trascinandosi dietro la figlia in lacrime, la portò al cospetto di Atena.
 
*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*~¤  ¤~*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*
 
L’orologio battè le sei e Death Mask, seduto in cucina, stava ingoiando l’ultima sorsata di birra. Era la terza bottiglia che finiva, ma non sembrava poi così preoccupato. Con la mente, ritornò all’incontro avvenuto tra Aletto e la Dea Atena, a cui aveva assistito, in silenzio. Aveva passato il tempo squadrando ora la figlia, ora Atena, ora il Saint dell’Altare, convocato dalla Dea per un consulto.
La bambina aveva ripetuto esattamente quello che aveva detto a lui, che si era dovuto sforzare per non prenderla a pugni di nuovo: possibile che fosse così spaventata da lui, dopo tutto quel tempo?
 
“Aletto, sai perché quest’armatura ti ha scelto?” aveva domandato al dea.
“Perché sono forte abbastanza per indossarla?” aveva domandato con riluttanza la bambina.
“Anche” aveva detto Atena, accarezzandole i capelli. “Ma soprattutto perché in te vi è un cuore colmo di giustizia. Tu non sei cattiva, fai solo finta di esserlo.”
Conscia della presenza del padre, Aletto aveva aperto la bocca per replicare, per provare a negare tutto, ma Atena la aveva interrotta.
“Altrimenti le avresti uccise, quelle persone, senza farti scrupoli. Non avresti pianto per la morte di tuo padre o per quella di Sara. O Sbaglio?”
Padre e figlia sapevano che non sbagliava, ma nessuno dei due aveva detto niente.
“Devi continuare ad essere forte” aveva aggiunto la dea, interrompendo il silenzio “Perché con la tua forza potrai difendere la giustizia, come fa tuo padre. Non è forse questo che hai sempre voluto?”
 
Quel discorso aveva confuso la bambina, ma lei aveva annuito: in fondo le era stato insegnato che erano i forti a comandare e che essere forti era importante, e se ciò che doveva difendere con la sua forza era la giustizia Aletto lo avrebbe fatto.
Death Mask era ancora convinto di quel principio, e per nulla pentito di averlo trasmesso alla figlia: semplicemente, non le aveva mai spiegato qual’era la vera fazione con cui schierarsi e il modo corretto di usare la sua forza. Forse perché anche lui, per capirlo, prima aveva dovuto vedere la reincarnazione di Atena con i suoi occhi.
Scrollò il capo, cancellando quei pensieri: orma il peggio era passato. Aletto sembrava aver capito quel’era la nuova strada da percorrere e tanto bastava.
“Dovreste riposare, Cavaliere.”
 
Sara. Death Mask si voltò verso di lei: indossava ancora il ciondolo azzurro che invece Aletto aveva già rinchiuso in un cassetto. Portarlo era pericoloso: morendo con quel ciondolo addosso non si arrivava nell’Ade, questo era vero, ma si rischiava di rimanere intrappolati per sempre in una sorta di Limbo, incapaci di agire se non si trovava qualcuno in grado di liberare l’anima. Erano serviti al piano di sua figlia ma per un Saint era di gran lunga preferibile morire con onore e finirla lì.
Sara però, gli aveva spiegato Aletto, non avrebbe mai potuto toglierselo: lo scambio di corpi che lei aveva effettuato e che non era mai stata in grado di riprodurre, non era totalmente stabile: l’anima dell’ancella poteva abbandonare il corpo da un momento all’altro cedendolo alla sorella, la cui anima non aveva mai smesso di lottare. Infatti, come tutte le anime di coloro che morivano per mano di Death Mask e Aletto, rimanevano imprigionate: se la testa di Serena non era comparsa sulle pareti della quarta casa, accanto a quella di Christine, era solo perché i suo corpo era lì, ancora vivo.
 
“Non rompermi le palle” fu la risposta di Death Mask. Dormire non gli sarebbe servito a niente: di lì ad un’ora si sarebbe dovuto alzare per gestire il flusso di anime all’inverso, riportando in vita gli abitanti di Atene colpiti dalla furia di Aletto.
Sua figlia, troppo debole e spossata per farlo, gli aveva spiegato come fare, visto che era l’unico in grado di usare il Sekishiki Meikaiha oltre a lei: poi era crollata in un sonno profondo.
“Cavaliere?”
Era ancora lì e lui si voltò a fissare la donna che era stato sul punto di amare e che aveva prontamente ucciso.
“Che vuoi ancora?”
“Intende… tenermi ancora in servizio, come un tempo dopo…ciò che è successo?”
Le tremava la voce e Death Mask se ne accorse: aveva cacciato tutta la servitù da un pezzo, ma un’ancella gli avrebbe fatto comodo, soprattutto se era un’ancella fidata come Sara.
“Condividi ancora le mie idee?” domandò, curioso, alzandosi dalla sedia.
“Si” fu la risposta “Forse sono leggermente diverse da quelle che avevate prima… prima della mia morte e della vostra” aggiunse, abbassando lo sguardo. “Ma, come ha aiutato Aletto e voi, questa esperienza ha aiutato anche me a capire qual è la via.”
“Devozione incrollabile”.
“Sai vero che non riceverai alcun privilegio? Sai che nulla sarà diverso da ciò che era prima che io ti facessi fuori?” domandò il Gold Saint, avvicinandosi sempre di più.
Sara annuì debolmente, abbassando ancora di più gli occhi.
“Ha ancora paura… ma cerca di non mostrarlo.”
Si concesse un ghigno soddisfatto.
“Sai, vero, che se non sarò soddisfatto, potrei anche decidere di ammazzarti di nuovo?”
 
“Ho fatto un giuramento, davanti al Sacerdote e alla mia famiglia. Ho giurato di servirvi in tutto, qualunque fosse la richiesta. E ho promesso a me stessa che non sarei mai venuta meno a ciò. Se desiderate che io muoia non mi opporrò. Anche perché, come ho spiegato anche ad Aletto, la mia vita si era interrotta tempo fa, e io non ne ho mai chiesta una seconda.” Disse lei, fissandolo ora, con una determinazione che mai prima si era vista nel suo sguardo.
Tanta determinazione lo lasciò interdetto. No, non le avrebbe lasciato l’ultima parola. Anche perché in quelle parole, un po’ rivedeva se stesso.
“Non ho mai chiesto una seconda occasione”
“Allora ti consiglio di andare a dormire.” Disse spingendola con violenza contro la parete della cucina, tenendola ferma con il peso del suo corpo. “Perché domani sera, non chiuderai occhio.”
Sara riabbassò la testa senza proferir parola e lui, soddisfatto, lasciò la stanza.
 
 
Note:
(*) Ta det, ta det! = prendetela, prendetela!
når er det vår = adesso è nostra
 
No, non ce la faccio. Davvero, non ci riesco. La coppietta felice non mi riesce bene, soprattutto se devo mettere insieme Sara e Death Mask. Davvero, non riesco a vedere il Saint del Cancro in una relazione, se non così come ho cercato di dipingerla. Quindi… per tutti quelli che speravano nella coppietta felice, fiori e quant’altro…non ce la faccio ç-ç
E lo so che mi odiate perché avete aspettato più di un mese e mezzo per questo penultimo capitolo (si, avete capito bene, penultimo, siamo quasi alla fine), ma ho avuto un sacco da fare, davvero ç_ç Inoltre l’ispirazione è da un po’ di tempo andata a farsi benedire quindi non so cos’altro potrò produrre dopo  che avrò finito qui e Stand by Me… è vero ho mille storie a metà, ma ripeto, l’ispirazione è morta. Blocco dello scrittore sì, qualcosa del genere. Ma confidiamo in un futuro migliore >.<

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Capitolo 13
*** Fine? ***


Per quel che ho fatto 
ricomincio da capo 
e qualsiasi dolore possa mai venire 
oggi questo finisce 
sto perdonando quel che ho fatto... 

(Linkin Park, What I’ve done)


 
Aletto trascorse la settimana seguente chiusa nella sua stanza a riflettere su quanto accaduto, senza alcun contatto con il mondo esterno: all’ora dei pasti, Sara lasciava un vassoio fuori dalla porta e bussava per avvisarla, andando a riprenderlo quando Aletto lo lasciava nuovamente fuori. La bambina aveva bisogno di tempo per assimilare le parole di Atena e capire cosa ne sarebbe stato nel futuro. Doveva accettare l’idea che qualcosa era cambiato dopo la battaglia in cui suo padre aveva perso la vita e, per questo, aveva bisogno di tempo. La maschera era sul comodino: da quanto tempo non la toglieva? Si era concessa la possibilità di guardarsi allo specchio, scorgendo il volto della ragazza che era diventata: i tre anni senza suo padre erano passati terribilmente in fretta.
Col tempo aveva iniziato a sentire sua quell’armatura anche se, prima dell’incontro con Atena, non sapeva che cosa significasse la Gru.
“E’ l’immagine della relazione tra padre e figlio, della vigilanza e, soprattutto, l’ animale che doveva accompagnare le anime verso l’aldilà.”(*)
 
Death Mask, invece, passò la settimana riportando in vita gli abitanti di Atene e tutti coloro che erano bloccati a metà tra la vita e la morte, concedendosi di tanto in tanto un po’ di riposo. Anche Sebastian Azzarà era stato riportato in vita, salvato proprio dal ciondolo che Aletto gli aveva regalato; tuttavia, su richiesta di Aphrodite e Shura e, visto ciò che aveva fatto, gli venne tolta la carica che ricopriva a Rodorio, senza tuttavia essere bandito dal villaggio.
Quando tutto fu tornato alla normalità, Death Mask potè finalmente prendersi del tempo per riflettere: per farlo, decise di recarsi sul promontorio dove era stata seppellita Sara. Mentre camminava cercava di riflettere su tutto ciò che era successo a lui e alla figlia: entrambi avevano vissuto esperienza traumatiche sin dalla giovane età, anche se quelle di Aletto erano nulla in confronto alle sue. Il loro addestramento era stato simile ed entrambi avevano preso l’armatura in un momento in cui, forse, non erano totalmente dalla parte della giustizia.
 
Eppure quegli oggetti sembrava fossero riusciti a vedere oltre: lui, dopo tre anni, non aveva perso se stesso ma aveva capito i suoi errori e si era impegnato per redimersi dalle sue colpe; Aletto avrebbe dovuto fare lo stesso a causa sua. Quello era solo uno dei suoi problemi: l’altro, ovviamente, era Sara. Anche se da quando si erano incontrati lei si era comportata come sempre, lui non poteva sapere che cosa le passasse per la mente: lo credeva innamorato? O forse lo odiava per averla uccisa?
Dopo lunghe riflessioni, era arrivato a scartare la seconda ipotesi: se aveva chiesto ad Aletto di ridare a Serena il suo corpo, voleva dire che aveva accettato l’idea di morire. Quanto alla prima opzione, non sapeva cosa pensare. Di certo però, lui non la amava; se qualcosa di simile a quel sentimento c’era stato in passato, dopo la morte era scomparso: in quei tre anni, passati alla ricerca di Aletto, non aveva pensato a lei se non in rarissime occasioni.
Arrivato alla tomba, la trovo lì, davanti a quella che era stata, per anni, la sua tomba, prima che Aletto le ridesse la vita.
 
Il potere di sua figlia era qualcosa di sorprendete: era in grado, come lui, di mandare le anime nella valle della morte e di trattenerle lì. Tuttavia, a differenza sua, la figlia aveva bisogno di un tramite: i suoi ciondoli. La tecnica, pertanto, non era del tutto infallibile: ciò che più stupiva era quel piccolo miracolo, l’aver scambiato l’anima all’interno di un corpo.
“Difficilmente riuscirà a rifare una cosa del genere in futuro: tre anni fa ci riuscì perché aveva una motivazione sincera, profonda; non penso riuscirebbe a fare lo stesso in altre circostanze.”
Quella era stata la sentenza di Atena e, visto che lo diceva una dea, probabilmente era così: ma Death Mask era comunque orgoglioso di Aletto.
“E’ strano guardare la propria tomba” disse Sara, accorgendosi in quel momento del suo arrivo silenzioso “Ma ancor più strano è leggere le lettere che i vivi lasciano per i morti.”
Sara teneva in mano due pergamene, una lettera di Aletto e una sua: erano state lasciate sulla tomba, in un cofanetto, come era usanza presso la famiglia di Sara. Death Mask si morse un labbro: sulla sua lettera vi erano parole, emozioni, che lui non provava più da tempo.
“Tuttavia, non mi faccio illusioni” disse Sara, riponendole nel cofanetto “I sentimenti di Aletto li conosco bene e posso dire con certezza che sono gli stessi dell’anno della mia morte. I vostri... penso non li conosciate neanche voi.”
 
Detto questo, sorrise, e si riavviò verso la quarta casa; quando gli passò accanto, Death Mask la afferrò per un polso, fermandola.
“E i tuoi?”
Sara, si mise a ridere “La mia vita è sempre stata dedicata a servirvi: la morte non ha cambiato nulla”.
La lasciò andare, concedendosi un sorriso: era tutto ciò che voleva sentire.
 
*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*~¤  ¤~*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*
 
Solo alla sera Aletto si decise a lasciare la sua stanza, passando dalla finestra. A passo svelto, con la sua maschera indosso, andò fino alla spiaggia, dove vi trovò Ikki: a quanto pareva Sara aveva riferito il messaggio.
“Che cosa vuoi?” le chiese lui non appena lei mise i piedi sulla sabbia: era in piedi, appoggiato con la schiena alla parete rocciosa e le braccia conserte.
“Voglio parlare di quello che hai visto”
Ikki inarcò un sopracciglio.
“Senti…Aletto giusto?” chiese; lei annuì “So come funziona per voi Sacerdotesse ma, a dire la verità, non mi interessa.” Disse, riportando il suo sguardo sul mare.
Lei, stupita dalla risposta, per un po’ non disse nulla, limitandosi a stringere i pugni per la rabbia.
“Come sarebbe a dire, non ti interessa?” domandò poi, urlando “E se io volessi ucciderti?”
Ikki riportò lo sguardo su di lei “Atena ti ha appena perdonato, non penso sia tua intenzione. E, anche volendo, non ne saresti in grado.”
Punta nell’orgoglio, Aletto si mosse, superando la velocità del suono; caricò il pugno destro e andò a colpire la parete, alla sinistra di Ikki, accanto alla sua testa.
“Io sono un cavaliere d’argento” sibilò irata.
“Ma con meno esperienza.”
 
Caricò ancora il colpo, ma poi abbassò il braccio; lacrime di rabbia scorrevano sotto la maschera. Gli diede le spalle, asciugandosi con foga quelle che erano arrivate sino al mento.
“Senti, dove sta il problema?”
“E’ una macchia sul mio onore” fu la risposta secca “Dovresti saperlo.”
“Nessuno sa nulla di quello che è successo.”
Aletto, tornò a guardarlo, scoprendo il volto, in modo che, nella penombra, il Bronze Saint potesse scorgerlo.
“Ma io lo saprò, sempre.”
Tra i due scese il silenzio e, mentre lei lo fissava, Ikki tornò a rivolgere lo sguardo al mare.
“Se mi stai chiedendo di ricambiare il tuo amore, mi dispiace, ma non posso farlo: ho amato una persona, in passato e non amerò più nessuno.”
Scoraggiata, ma non sconfitta, Aletto si rimise la maschera.
“Ti sto chiedendo di non farne parola con nessuno: ai miei sentimenti, ci penso io.”
Così dicendo la ragazza lo lasciò lì, sulla spiaggia.
 
Rientrata nella sua stanza, fece appena in tempo a chiudere la finestra, che una mano si posò sulla sua spalla: suo padre, nascosto nell’ombra, l’aveva aspettata.
“Dove sei stata?”
“A prendere un po’ d’aria.” Fu la risposta evasiva; sfuggendo al suo contatto, andò a sedersi sul letto.
“Aletto?”
“Si papà?”
“Guardami”
Lo stava già facendo, ma ovviamente il Gold Saint non intendeva quello. Per la seconda volta in quella serata, Aletto si tolse la Maschera, mostrando il suo viso. Death Mask si concesse un po’ di tempo per guardarla.
“Sei cresciuta tanto…”
Lei non replicò.
 
“Aletto?” la chiamò ancora una volta, fermandosi in piedi davanti a lei.
“Si papà?”
“So che è stata dura per entrambi, ma non tollero debolezze né le persone che gettano la spugna. Lo sai questo, vero?”
La ragazza annuì.
“Perciò, Aletto, la mia proposta è questa: ricominciamo insieme.”
Allungò la mano destra verso di lei, ma la ragazza la ignorò: col volto rigato dalle lacrime, gli si lanciò addosso per abbracciarlo.
Si, era ora di ricominciare, nello stesso luogo in cui tutto era finito.
 

NOTE:
(*)La gru, anticamente, era ammirata per la sua presunta capacità di volare senza mai stancarsi, e le sue ali servivano come amuleti contro la stanchezza. In Cina è un’immagine di longevità e della relazione tra padre e figlio, poiché il piccolo della gru risponde al grido dei genitori. Ritenuta, a seconda dei paesi, simbolo di saggezza o, al contrario, di falsità e malvagità, nel 1600 in Europa si leggeva: « ...di notte la gru un sassolino in gola/tiene prudentemente per non cadere inavvertitamente nel sonno» incarnando così il simbolo della vigilanza.
Ah, Esmeralda, Esmeralda… Così carina, così giovane…capita proprio a fagiolo per rovinare una possibile love story! -.- Ma io non sono amante delle cose smielate, dunque niente happy ending in quel senso. Già Death Mask mi sembra fin troppo zuccheroso già così, ci mancava solo di rammollire Ikki ed eravamo a posto!
Che dire? Questa storia attende una conclusione da più di un anno, ma tra università, computer fuso (ringrazio di aver tenuto i capitoli scritti a mano così sono riuscita a riscriverli nuovamente) e una serie di altri problemi, mi sono ridotta a pubblicarlo solo adesso. Ringrazio chiunque sia riuscito a pazientare fino ad ora, ma anche chi si è arreso allo scorso capitolo: so che questo seguito, purtroppo, non è stato all'altezza della storia iniziale. Io vi ringrazio in ogni caso. Vi avevo promesso che avrei quantomeno tentato di portare avanti ulteriormente questa storia, ma purtroppo non ne ho il tempo né l'ispirazione giusta: preferisco che si chiuda qui...almeno per il momento!

 

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