Oltre le stelle di ellephedre (/viewuser.php?uid=53532)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte - Ritrovarsi ***
Capitolo 2: *** Seconda parte - Salutarsi ***
Capitolo 3: *** Terza parte - Amarsi ***
Capitolo 4: *** Quarta parte - Rilassarsi ***
Capitolo 5: *** Quinta parte - Accettarsi ***
Capitolo 1 *** Prima parte - Ritrovarsi ***
oltrelestelle1
Oltre
le stelle
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Prima
parte - Ritrovarsi
Gli occhi blu di Mamoru guardarono verso l'alto.
Lui mosse la bocca per
pronunciare il suo nome, poi Usagi lo vide sparire nella stessa luce
che aveva tolto la
vita alle altre. Mamoru, che lei amava con tutta se stessa. Mamoru, con
cui avrebbe costruito un futuro. Mamoru, con cui avrebbe avuto Chibiusa.
Sparì così, in un
secondo.
Anzi... era
già scomparso da mesi.
Tutto il futuro che lei conosceva, tutta
la sua vita...
erano spariti
da tanto tempo.
Poco prima erano cadute Ami, Makoto, Rei e
Minako. Le amiche che l'avevano accompagnata in ogni
battaglia, ragazze con
sogni, con un futuro.
Sparite. Morte.
Fu una forza che non credeva di avere a farla
andare avanti, grazie
all'aiuto di tre guerriere venute dallo spazio.
Non si fermò, non si arrese. Si
rifiutò di
pensare a cosa
ne sarebbe stato di lei una volta che avesse vinto. In fondo, poteva
sempre perdere.
Ma sopravvisse, non fallì. Circondata da
semi di stella che
tornavano a casa, uscì vittoriosa dalla sua battaglia.
Ora sono sola.
Per la disperazione, quasi crollò.
Poi le ragazze apparvero in cerchio attorno a lei,
tutte quante, a
cancellare
ogni sua paura.
Infine tornò anche lui, proprio come nel
sogno che aveva avuto qualche ora prima.
Ma questa volta era tutto vero.
L'appartamento vuoto e scuro. Serrande abbassate,
neanche una luce
a regalare colore alle pareti.
Fermo
sulla
porta aperta, Mamoru si sorprese a
guardare lo
spazio davanti a sé, privo di vita, spento come la sua
esistenza
negli ultimi mesi.
Non andò a cercare
con la mano l'interruttore della luce, si
diresse alle
finestre. Roteò un manico cigolante e ne aprì
una.
Lentamente sollevò le tapparelle.
La luce della luna si
infiltrò nella
stanza, posandosi prima sul pavimento, quindi sul divano
verde
scuro e infine illuminando la parete opposta.
Rimase a fissare il
salotto della propria casa.
Non gli era mai
sembrato tanto strano trovarsi dentro il suo stesso appartamento.
Sul comodino giaceva la
lampada bianca che aveva scelto anni
prima. La accese, per avere l'unico alone di luce di cui sentiva il
bisogno. Si diresse dietro la televisione e riattaccò la
spina.
Ridiede energia al frigorifero e girò la manopola
del
gas, riattivando la pressione.
Cosa
sto facendo?
Non riuscì a darsi una risposta. Si stava
muovendo, stava
facendo qualcosa di utile.
Si diresse verso il telefono. Non lo aveva staccato
per
tenere in funzione la segreteria. Una spia rossa indicava
la presenza di messaggi.
Ne immaginò il
contenuto, lo temette. Premette ugualmente
sul
tasto che avrebbe fatto partire la voce registrata.
'Ci sono 5 messaggi.'
Beep.
'Messaggio
registrato il primo maggio.
Buongiorno Mr Chiba, la
chiamo dalla segreteria della J. Hopkins University. Come studente in
scambio, lei doveva presentarsi una settimana fa presso di noi per
raccogliere il materiale necessario a formalizzare l'iscrizione
temporanea e l'assicurazione sanitaria coperta
dall'università. Ha mancato anche la sessione di
orientamento.
La preghiamo di recarsi al
più presto presso i nostri uffici del campus per fornire un
recapito telefonico statunitense, essendo questo al momento
l'unico suo numero presente nei nostri archivi. Le auguro una buona
giornata.'
Beep.
'Messaggio
registrato il venti maggio.
Buongiorno Chiba-san. La
chiamo
dall'ufficio scambi dell'università di Tokyo. La J. Hopkins
University ha contattato i nostri uffici per informarci che non
sono riusciti a reperirla per svolgere le necessaria
formalità
in loco. La preghiamo di mettersi in contatto con loro il primo
possibile.
Nel caso abbia problemi di salute o se ha incontrato problemi a partire
per gli Stati Uniti, le chiedo di
darcene
rapida comunicazione.
Buona giornata.'
Beep.
'Messaggio
registrato il primo giugno.
Mamoru! Va bene che sei
occupato, ma potresti perdere due minuti per far sapere al tuo amico
che sei arrivato vivo e vegeto?' Il suono di una risata. 'In un
mese sarai
riuscito a trovarti una sistemazione. Magari hai un numero di telefono
da darmi, così ti chiamo io se tu non hai tempo.
Non me la prendo, ti conosco. Spero solo che
tu ti stia ricordando di Usagi. Sembra proprio
a
terra in questi giorni. Be', ciao!'
Beep.
'Messaggio
registrato il venti luglio.
Buongiorno Chiba-san, la
chiamo
dall'ufficio tasse dell'università di Tokyo. Avendo
constatato
la
sua mancata partecipazione al programma di scambi, le ricordiamo che la
sua posizione finanziaria presso l'università è
da regolare
per la prossima tassa, con scadenza nel mese di settembre. Buona
giornata.'
Beep.
'Messaggio
registrato il ventidue luglio.
'... ... ...'
Un
sospiro, seguito da un singhiozzo.
Beep.
La segreteria non emise altri
suoni.
Mamoru rimase in piedi,
immobile. Poi
premette la combinazione di tasti necessaria
a visualizzare la data sull'apparecchio.
Tre agosto.
Erano passati tre mesi.
A stento arrivò al
divano, vi crollò sopra.
«Usagi.»
Nascose la faccia tra le mani.
Lo svegliò lo squillo del telefono. Dalla
finestra
aperta entrava la luce del giorno.
Indolenzito, si alzò dal
divano. Si era addormentato, senza neanche rendersene
conto.
Portò la cornetta all'orecchio.
«Pronto?»
«Mamo-chan...»
Trasalì.
«Usagi.»
Strinse il telefono, chiuse
le palpebre.
Usagi.
Si
beò del suono della voce di lei, un eco delicato nella sua
mente.
L'aveva lasciata da sola per
tre mesi.
Non riuscì a dire
nulla.
La immaginò col
telefono
in mano, devastata quanto lui dietro il silenzio. O forse lei stava per
singhiozzare? Come aveva fatto nella sua segreteria.
Iniziarono a
prudergli le mani.
«Usa, vuoi-»
«Venire da te? Esco
ora.»
«Sì.» Voleva stringerla,
toccarla.
Lei aveva già
riattaccato, per venire a trovarlo.
Infuso di nuova vita, si alzò.
Usagi aveva dormito bene fino
a poco prima di svegliarsi.
Della sera precedente
ricordava ancora il viso sorridente delle
ragazze, strette intorno a lei per abbracciarla. Le aveva amate una ad
una nel rivederle, poi si era gettata tra le braccia di
Mamoru. Aveva faticato a respirare, concentrata solo
sulla voce di lui all'orecchio - tanto agognata, finalmente di
nuovo
con lei. Mamoru aveva asciugato
le sue lacrime continuando a guardarla negli occhi, a rassicurarla.
Lei si era sentita
ridiventare una ragazza normale,
che non poteva sostenere l'enormità delle perdite che aveva
vissuto. In quel momento le ali cresciute sulla sua schiena erano
sparite ed
erano caduti tutti di qualche metro, quasi finendo sulle macerie di
asfalto prima che
lei riuscisse a sostenere di nuovo il loro equilibrio. Era tornata
immensa e aveva rassicurato tutti. Io sono luce. Lei
era la bontà che la invadeva e che i suoi amici le avevano
insegnato a non dimenticare.
Aveva desiderato che tutto
tornasse a posto nel mondo e l'energia si
era liberata dall'interno del suo animo.
Edifici distrutti erano
tornati in piedi. Ricordi di devastazioni erano
scomparsi dalla mente di innumerevoli persone sul pianeta. Molto altro
era stato
sistemato, ma non avrebbe saputo spiegare cosa.
Guardando le Starlights e la
loro principessa, che la osservavano da
lontano, si era commossa nel vederle riunite. Tra le
braccia di Mamoru aveva chiesto un ultimo regalo al cristallo
d'argento, il suo seme di stella.
Facci
tornare tutti a
casa.
Era riapparsa sopra un
morbido materasso, in pigiama. Con l'odore di Mamo-chan ancora nel
naso,
si era infilata sotto le coperte ed era crollata, al sicuro nella
propria stanza.
Di mattina aveva fatto un
singolo, terrificante
incubo: Mamoru che
la abbracciava solo per sparire subito, fino a non esistere
più.
Si era svegliata con un grido
trattenuto in gola, il cuore un martello
nel petto. Per un attimo aveva voluto piangere di
disperazione, poi i ricordi erano tornati a lei.
Aveva preso in mano il
telefono per cercare un contatto, una prova.
"Usagi?"
La voce di Mamoru era stata
la conferma di
una realtà che nessun nemico poteva più
cancellare.
Si era abbandonata sul letto,
stringendo il telefono alla guancia.
"Usagi..." aveva detto di
nuovo lui e lei era risorta di
felicità.
Non doveva più immaginare la sua voce, non
doveva più attendere una risposta che non giungeva
mai. Mamoru era lì, era tornato. Lui non l'aveva mai
dimenticata.
Voglio
vederti,
abbracciarti, baciarti. Sei vivo.
«Usa,
vuoi-»
«Venire da te? Esco
ora.»
«Sì.»
Aveva riattaccato ed era
corsa a indossare la prima
cosa che aveva trovato in giro - i vestiti sistemati sulla sedia.
In
bagno si era data un momento per riflettere ed era andata a
recuperare uno zaino. Lo aveva riempito con un pigiama, delle
ciabatte
e
della biancheria intima pulita - il necessario per non tornare a
casa quella notte. Come vestito di ricambio aveva preso la divisa
scolastica - solo per non
perdere tempo a scegliere.
Sul punto di uscire dalla sua
stanza, si era fermata
a osservare la spilla posata sul comodino.
La stava ancora guardando, chiedendosi se doveva indossarla
o meno.
Quella era
la fonte del suo potere, il gioiello che le dava la
possibilità
di combattere. Lo aveva sempre portato con sé, anche quando
una
guerra era appena terminata.
«Usagi?»
Guardò Luna. Si
chinò su di lei per abbracciarla.
«Ehi...
è tutto a posto, Usagi.»
«Lo so. Ti voglio
bene.»
«Anche
io.»
Usagi represse un singhiozzo.
«Luna... vado da Mamoru adesso. Credo che
tornerò domani.»
Dopo un momento, Luna
annuì.
Sollevata, Usagi
uscì dalla stanza.
Luna rimase a osservare la
porta aperta.
Non le era sfuggita la lunga
occhiata che la sua protetta aveva lanciato alla spilla. Il cristallo
era ancora lì, deliberatamente ignorato.
Luna non corse a
portarglielo. Per quel giorno non
era necessario.
«Usagi?»
Ikuko fermò la
corsa di sua figlia verso
l'ingresso. Cosa ci faceva quella dormigliona in piedi alle otto del
mattino, in
una
giornata di vacanze estive?
Usagi le corse incontro e la
baciò sulla guancia.
Ikuko
sgranò gli occhi.
«Mamma, oggi...
facciamo una gita con le ragazze, va bene?
L'abbiamo
deciso solo ieri sera. Tornerò domani, sta'
tranquilla.»
«Una
gita?» Per
simili programmi Usagi doveva prima chiederle il
permesso, o quanto meno avvertirla in anticipo.
Non fu capace di ammonirla:
il giovane viso serio di sua figlia le sembrò d'un tratto
molto più
maturo dei
suoi sedici anni, diverso dal volto di una persona a cui lei avesse il
diritto
di
impedire qualcosa.
Spiazzata, annuì.
Usagi
tornò dolce e bambina davanti ai suoi occhi.
«Okay, allora
torno
domani
pomeriggio. Ciao, mamma.»
Ikuko osservò sua
figlia sparire oltre il muro della
cucina.
Incerta, rimase a domandarsi
cosa fosse accaduto.
C'erano molte cose da
sistemare, pensò Mamoru, dopo un
ritorno dall'aldilà.
Spalancò le
finestre di casa e sollevò le
tapparelle.
Non sopportando il silenzio, accese la televisione.
Con
le voci estranee che parlavano in sottofondo, andò a
dare aria a tutte le stanze.
In bagno girò i
rubinetti del lavandino. La tubatura
faticò a riempirsi, ma quando l'acqua riprese a scorrere il
getto fu pulito. Lo usò per rinfrescarsi.
In camera sua aprì
i cassetti, trovando solo
pochi vestiti. Gli altri, ricordò, erano
rimasti
chiusi nella valigia
che
si era portato in America, assieme a tutti i suoi documenti e al
computer
portatile.
L'aereo!
Cos'era successo all'aereo?
Forse Galaxia lo aveva distrutto?
Certo
che no, capì. Se il suo aereo avesse avuto
un incidente, Usagi avrebbe saputo
cosa gli era successo. Invece lei era rimasta ignara,
perciò
l'aereo
doveva
aver proseguito il volo dopo che lui era stato...
Già. La valigia
doveva trovarsi all'aeroporto di Baltimora. Dopo
tre mesi senza reclami, era sicuramente abbandonata in
qualche deposito.
Si appoggiò sul
letto, tenendosi la testa
tra le mani.
Senza vestiti, senza
documenti, senza portatile, considerato disperso
dalle università e da tutte le persone che lo conoscevano.
Ma soprattutto, era morto per
tre mesi. Non una parola a Usagi per
tre mesi interi.
Con lei non avevano parlato
la sera prima. Avevano usato i loro primi
momenti per stringersi, per accertarsi di essere vivi e di nuovo
insieme.
Lui le
aveva asciugato
lacrime di gioia e tristezza: sapeva a cosa era dovuta la
disperazione di lei. Mentre tornava in vita, il cristallo che gli era
uscito dal corpo lo
aveva riempito di informazioni: era appena terminata
la battaglia
finale e Usagi aveva vinto contro Galaxia, grazie a una bambina aliena
coi codini. L'oggetto che lo aveva rianimato - che gli era stato rubato
- era un 'seme di stella' e ogni guerriera
Sailor o protettore di un pianeta ne possedeva uno. Lui aveva perso il
suo da tempo - anche se solo una volta a casa
aveva capito quanti mesi fossero trascorsi.
Abbracciandolo, Usagi gli
aveva trasmesso con chiarezza le proprie
sensazioni.
Non mi hai
dimenticata. Mi ami ancora. Sei tornato da me.
Lei lo aveva creduto al
sicuro negli Stati Uniti. Si era convinta che
lui avesse deliberatamente evitato di contattarla.
Possibile?
Si
spogliò dei vestiti che aveva indossato
nell'aereo, gli stessi con cui aveva dormito. Voleva vita in
sé e
su di sé. Si cambiò con i
pochi indumenti che gli erano
rimasti - capi che non usava quasi mai.
Irrequieto e sveglio, non
seppe più cosa fare.
Erano troppe le questioni su
cui indagare, ma
solo Usagi avrebbe potuto
rispondergli. Doveva aspettare che lei arrivasse. Nel
frattempo, non
poteva rimanere con le mani in mano. Prese un foglio, per
buttare
giù una lista.
Aveva bisogno di
organizzarsi. Cosa c'era da fare nelle ore successive?
Doveva procurarsi del cibo,
innanzitutto. Il frigorifero era vuoto,
così come la dispensa.
Dopo aver rifornito e pulito
la casa doveva... be', doveva delle
spiegazioni a tutti. Andare a trovare Motoki era una
priorità.
All'università
avrebbe detto che aveva avuto un incidente.
Gli avrebbero chiesto un certificato medico come prova. Forse
Ami lo
poteva aiutare? Sua madre era un medico.
Medico...
Alla John Hopkins a studiare
medicina, mentre Usagi e le
altre affrontavano Galaxia da sole.
Se fosse rimasto con loro,
quella donna non sarebbe riuscita a
derubarlo della sua essenza tanto facilmente. E anche se ce l'avesse
fatta, Usagi
avrebbe
saputo
subito cosa gli era accaduto, invece di vivere nell'incertezza
per... tre mesi?
Come aveva fatto lei a non
intuire che c'era qualcosa che non andava
se lui non si era più fatto sentire per tutto quel tempo?
Le aveva detto
che non sarebbe riuscito a contattarla
per i primi tempi, ma solo come forma di precauzione: sapeva
che Usagi avrebbe tentato di comunicare con
lui
appena fosse atterrato, innervosendosi nel non risentirlo subito. Per
questo
aveva cercato di prevenire possibili crisi in anticipo,
ma... aveva avuto in mente qualche giorno di attesa, non tre
mesi interi.
Come aveva fatto Usagi a
credere che lui avesse deciso di non parlarle
per più di dodici settimane, quando a stento a casa passava
un giorno tra le loro chiamate?
Voleva saperlo, sarebbe stata la prima domanda che le avrebbe
fatto.
... no.
Prima doveva scusarsi
con lei: durante la battaglia
più dura di tutte non le era stato accanto.
Non importava come o
perché, ma Usagi aveva creduto
che
lui
non avesse voluto parlarle per mesi, proprio mentre aveva
bisogno di lui nei combattimenti per aiutarla, rassicurarla, darle
forza.
Premette forte sulle tempie.
Ma che aveva pensato quando se n'era andato?
Di poter tornare subito, ricordava.
Aveva
tenuto conto del possibile arrivo di
nuovi
nemici. Se fosse stato
necessario, si era detto, sarebbe tornato indietro a combattere, senza
condizioni o
rimpianti. Usagi avrebbe saputo dirgli quando ci fosse stato bisogno
del suo aiuto, lei non era più una guerriera inesperta.
Inoltre, anche le ragazze col tempo erano diventate più
abili e
forti. Il
contributo di lui non era più indispensabile.
Si era giustificato così per partire.
Stupido.
Avrebbe dovuto immaginare il peggio,
prevederlo. Non ci aveva pensato di proposito, per non
frenarsi dal
partire.
Aveva cercato di scappare?
No. Non si era
iscritto a nessun concorso, né ad alcun progetto di scambio.
Aveva
solamente completato una ricerca su cui si era impegnato per
mesi. Il suo lavoro era stato notato da un professore che lo aveva
lodato
presso un'università americana e, dal nulla, lui si era
ritrovato
con
una
proposta creata su misura. Dottori rinomati, tra i migliori
nel campo, avevano pensato che valesse la pena investire su di lui,
dandogli un'opportunità.
Ne era stato così fiero.
Perché se n'era andato? Per provare almeno a vivere
l'esperienza. Se i nemici si fossero ripresentati sapeva qual era il
suo dovere, il
compito così intimo al suo essere da non costituire
un
peso. Sarebbe tornato immediatamente.
Prima di accettare
si era consultato con Usagi. Senza il consenso di lei non avrebbe messo
piede fuori dal Giappone e Usagi... gli aveva detto di
partire.
Una parte di lei avrebbe preferito non vederlo andare
via, per continuare a vederlo tutti i giorni, ma quando lo
aveva incoraggiato ad andare, a parlare era stata una persona matura
che lo
amava e lo appoggiava incondizionatamente. La sua famiglia.
Nei giorni
precedenti alla partenza, lui si era reso conto di quanto Usagi fosse
cresciuta.
Da secoli - e ormai da due anni
- lei era l'amore della sua
vita. Si avvicinava
sempre più il
giorno in
cui
sarebbero stati una famiglia vera e propria. Perciò
le aveva comprato un
anello. Era troppo presto per
una promessa di
fidanzamento, ma l'aveva visto dietro una vetrina, rosa e a forma di
cuore, e aveva
pensato
che quell'anello rappresentava perfettamente la sua Usako.
L'aveva preso con
l'intenzione di portarselo dietro, per tenerlo con
sé mentre erano lontani.
Poi Usagi aveva cominciato a
piangere in aeroporto e lui aveva capito che,
nonostante la scelta consapevole di lasciarlo andare, per lei la
nostalgia sarebbe stata
devastante. Le aveva dato l'anello, per
ricordarle la verità che
aveva sempre presente: lei era e sarebbe stata unica nella sua
vita, il
centro
del suo universo.
Un giorno, nel futuro, ci
sarebbe stata Chibiusa, ma soprattutto il
regno di cui lui e Usagi sarebbero stati sovrani e...
Sentì una fitta al cervello - un tocco rapido,
un'iniezione di conoscenza.
Respirò la sensazione.
Nella sua testa si erano consolidate nuove informazioni.
Strinse gli occhi, cercando di farle andare via.
Perché si stava immaginando che...?
Inspirò a fondo, finché non ebbe
chiarezza: come quando Usagi lo aveva risvegliato, qualcosa - qualcuno?
- lo aveva dotato di risposte.
Il cristallo d'argento?
Gli veniva detto che... che l'avvenire era più
vicino di quello che pensava. Il regno argentato sarebbe
durato oltre mille anni nel futuro, ma sarebbe sorto entro...
dieci anni?
No, tra meno di dieci anni.
Sbatté le palpebre, incredulo.
Lui e
Usagi sarebbero diventati Re e Regina tra più di... cinque?
Sì, cinque anni. Ma entro dieci anni.
Ne
era certo, in maniera spaventosamente sicura.
Ma cosa-?
Massaggiò le tempie, cercando di smettere di pensare.
Si alzò, andò in un'altra stanza.
Provò a distinguere il sogno dalla realtà, ma non
cambiò nulla nella sua mente.
Sarebbe
diventato sovrano della Terra nel giro di pochissimo tempo.
Uscì sul balcone, cercando aria. Strinse
il cornicione tra le mani.
Re? Io?
Lo aveva sempre saputo, ma
aveva creduto di avere anni davanti, di poter vivere prima una sua vita.
Udì un rumore in casa, si voltò.
Qualcuno stava aprendo la porta dell'ingresso.
Entrando, Usagi vide Mamoru in controluce, stagliato
sulla
finestra del balcone. Le mancò il respiro finché
lui non si mosse. Non era un sogno.
Mamoru stava camminando verso di lei, fino al centro
del salotto. La stava raggiungendo piano, di sua volontà.
Non
era più lei a immaginarsi che lui volesse tornare a vederla,
a
sentirla.
Divenne vero quando lo guardò negli occhi. Mamoru
era attonito e colmo di emozione, sul punto di correre. Era
reale, vivo. Era veramente tornato da lei.
Usagi scoppiò a piangere.
Sentì i passi veloci di lui, poi le sue braccia
intorno al corpo che la sollevano di peso, aggrappandosi male alla sua
schiena, al vestito. Non le importò, si tenne stretta alle
sue spalle. Quegli abbracci, quanto le erano mancati!
Singhiozzò, non riuscì a respirare.
Annaspò pur di sentire l'odore dei capelli di lui,
del suo viso. Mamo-chan.
Cercò di balbettarlo, di dirglielo. Non riuscì,
premette il
naso contro la sua pelle, morì di gioia e dolore.
Pensavo che mi
avessi dimenticata! Lo baciò a bocca aperta
sullo zigomo, sulla
guancia. Nel sentirsi stretta forte morirono in lei mesi di sofferenza.
«Usako.»
Oh sì, era di nuovo Usako. Il sollievo
uscì da lei in un gemito. Non riuscì
più a
baciare perché si ritrovò baciata, amata.
Come si era tenuta dentro tutto quell'amore? Come aveva fatto
a non
esprimerlo, a trattenerlo?
Graffiò Mamoru tra nuca e collo mentre cercava di
tenersi su, per
continuare a dargli le labbra, a prendere le sue. Erano dolci e dure,
morbide, ansiose di ritrovarla. Era Mamo-chan, che non si era scordato
di lei nemmeno per un momento.
Insieme, inciamparono di lato,
ritrovando un equilibrio solo quando lui la tenne stretta con un
braccio,
piegando le ginocchia per sedersi.
Io potevo
perderti!
Gli cadde addosso, lo strinse
a piene mani. Passò le dita sulle sue spalle, sulla schiena,
tra i capelli, convulsamente, con forza. Non le sfuggì un
centimetro di pelle, perché voleva sentirlo tutto intero,
sano e
al sicuro. Aderì a lui col petto per sentire come si
muoveva,
come viveva. Era tornato, dopo essere morto.
Smise di muoversi, le mani ferme sul suo collo.
Percepì le labbra di lui che premevano
sulla sua bocca da sole, con la voglia di ritrovarla, di sentirla.
Non era un sogno. Non aveva lasciato che morisse, lo aveva
riportato indietro.
Lo strofinio del bacio si era fatto leggero, troppo bello per
essere solo nella sua immaginazione.
Prese aria, per accarezzare anche il nome di lui.
«Mamo-chan.»
Stava ancora piangendo. Le dita di Mamoru le tenevano le
guance, accudendo il suo viso per mandare via le lacrime.
Si baciarono piano, come bambini, consolandosi.
Non voleva mai
più staccarsi da lui: voleva custodirlo, amarlo da vicino.
Voleva continuare a baciarlo piano e forte, veloce e lento,
riempiendosi del suo sapore. Non lo sentiva più come prima e
si
azzardò a cercarlo con la lingua, proprio quando Mamoru
aprì le labbra e cercò quello di lei.
Tremarono. Usagi rabbrividì quando ripeterono
l'assaggio, troppo per non provare a staccarsi, poi a strofinarglisi
contro.
Si sciolse per quanto fu divino, dolce.
Aprirono di nuovo le labbra, l'uno nell'altra, non
più per disperazione. Le uscì un suono,
un gemito. Scivolò
sulle ginocchia di lui, si ritrovò seduta, poi con
la schiena cadde all'indietro. Non smise per un momento di stringerlo -
in quella tenerezza voleva disfarsi. Si adagiò sulla
moquette
con lui sopra, insieme.
«Usagi.»
Pulsò di gioia, sistemando la testa nell'incavo del
braccio di lui per continuare a baciarlo, comoda. Non lo avrebbe
più
lasciato andare. «Mamo-chan,
Mamoru.»
Lui si fermò, e nel respiro contro la guancia Usagi
sentì dolore. Tenne il volto attaccato al suo, non lo
abbandonò. Perdonami.
Era stata lei ad abbandonarlo. L'agonia della colpa fu
lancinante. Lo racchiuse tra le gambe, tra le braccia, forte e stretto
contro di
lei. Dondolarono insieme e fu talmente piacevole e bello... Ma
stando ferma sentiva di non dargli qualcosa, voleva e cercava
qualcosa... Si agitò tra le sue braccia, facendo muovere
Mamoru
contro di lei.
Trovò quello che cercava quando i loro fianchi si
incastrarono, una
puntura di realtà al bassoventre.
Spalancò gli occhi, non riuscì nemmeno
ad ansimare.
Lui si tirò su sulle braccia, rigido. Lentamente,
si
scostò da lei.
Usagi cercò i suoi occhi, ma Mamoru li teneva per
terra, confuso. Sulla parte superiore delle
guance lui aveva un po' di... colore?
Non lo aveva mai visto così. Non lo vedeva
davanti a sé, con tanta chiarezza e vicinanza, da molto
tempo.
«Eri morto» mormorò, reprimendo
un singhiozzo.
«Eri morto per tutti questi mesi.»
Lo vide soffrire di nuovo e non poté resistere:
gattonò fino a raggiungerlo, lo abbracciò.
Vibrò
al contatto, scioccamente, per sensazioni nuove che erano nulla
rispetto a quelle che lui le dava da sempre.
Si scostò per
guardarlo negli occhi: le iridi blu del suo Mamo-chan, con cui lui la
guardava quando la teneva stretta, le sorrideva, la contemplava. Quando
la chiamava Usako, facendola rabbrividire di dolcezza.
Aveva creduto che a lui non mancasse niente di loro due, che
non
avesse sentito il loro amore forte quanto lei.
Quanto era stata stupida.
Mamoru pativa e le accarezzava il viso. «Mi
dispiace.»
«Non è stata colpa tua...»
Perché aveva ancora voglia di piangere?
«Mi dispiace» continuò a
ripetere lui, ma lei
riuscì a pensare solo quando si ritrovò stretta
al suo
petto e lo sentì ansimare forte, sull'orlo della
disperazione.
No!
Si tirò indietro. «Sei vivo ora.» Lui
stava bene, non doveva avere paura.
Mamoru respirò veloce. «Non
andrò più via. Non ti lascerò
più.»
In lei si sciolse un altro nodo di dolore. Quelle erano le
parole che aveva agognato di sentirgli dire.
Era immatura a pensare ancora a se stessa. «Sei
vivo,
Mamo-chan.» Si sollevò sulle ginocchia, per
stringere al
seno la sua testa, cullandolo. «Non lascerò
più che
qualcuno ti faccia del male.»
Udì un suono basso, una risata stentata.
Le era mancato sentirsi presa in giro da lui.
«Cosa?» Asciugò la scia di una lacrima.
«Non posso essere
io a proteggerti?»
«Puoi.» Mamoru smise di sorridere.
«Ma è tutto cambiato. Avrei dovuto essere io ad
aiutarti.»
Lui stava trovando colpe dove non ne aveva. Non stava
pensando, ragionava male. Sicuramente si era appena svegliato e... Oh.
«Guarda cosa ti ho portato.» Tornò in
piedi e per un
istante faticò a separarsi da lui. Per il suo Mamo-chan fu
forte
e smise di fare la sciocca, muovendosi verso i sacchetti che aveva
lasciato cadere a terra,
sull'ingresso.
«Non hai mangiato nulla, vero?» Come
poteva
avere lui del cibo in casa? Lei ci aveva pensato mentre veniva a
trovarlo, era stata bravissima.
«Ti ho comprato delle cose. Avrai fame.»
Mamoru era rimasto seduto a terra. Si sciolse in un sorriso,
il più tenero e giovane che lei gli avesse mai visto fare.
«Pensi sempre al cibo.»
No. Su quella moquette, con lui, aveva pensato per anni ai
baci,
agli abbracci, a quanto gli voleva bene e ai momenti di
felicità che
creavano insieme, anche con in mezzo un tavolo
per mangiare o dei libri. Ora voleva tornare al suo fianco, arruffargli
i
capelli e un giorno sdraiarsi di nuovo insieme al suolo, stretti e
uniti.
Arrossì e fu felice di raggiungerlo. Gli prese le
mani.
«Vieni. Ora la tua Usako ti prepara una bella
colazione.»
Mamoru non riusciva a smettere di guardare Usagi. Lei
trafficava nella
sua cucina, muovendosi piano, per farsi osservare. Sorrideva quando
incrociava i suoi occhi.
Averla a pochi metri da lui era familiare, incredibile dopo
quello che era successo a entrambi e... dolorosamente raro.
Perché non le aveva chiesto più
spesso di stare in casa sua? Aveva troppi pochi ricordi di
come lei preparava un caffè, di come strappava le buste dei
biscotti.
Aveva quasi perso per sempre momenti come quello, e tutti
quelli che sarebbero venuti con lei in quella cucina, nella sua casa,
nella
loro vita.
Come aveva potuto andarsene?
Usagi era la stessa di sempre, ma lui sentiva un vuoto tra
loro, per i mesi dell'esistenza di lei a cui non aveva partecipato. La
distanza era solo
nella sua testa, irreale, perché Usagi non era cambiata. Gli
sembrava di averla vista solo il giorno prima - all'aeroporto - ma per
lei era passato
molto più tempo. Settimane di angoscia e preoccupazione di
cui
lui aveva solo un misero riassunto.
Perché non mi
hai cercato?
Strinse le labbra e non fece quella domanda. Usagi voleva solo
un momento di pace. Lui poteva darle almeno quello.
Lei si voltò, per contemplarlo di nuovo.
«Appene l'acqua bolle, preparo anche il tè. Come
piace a te.»
Non le aveva mai detto che gli piaceva qualunque cosa quando
era lei a prepararla.
Usagi si fermata, aveva gli occhi fissi su
di lui. Lo guardava come se fosse un sogno diventato realtà,
o
un fantasma tornato in vita.
Lei era la quotidianità che lui non aveva
apprezzato abbastanza. «Mi saresti mancata dopo il primo
giorno.»
Lei patì. «Dovevi studiare.»
Avrebbe potuto farlo ovunque. L'America sarebbe stata
un'esperienza
di studio inarrivabile, ma solo se avesse potuto portare Usagi con
sé. Solo se non fosse stato Tuxedo Kamen e lei non avesse
avuto
sulle spalle il destino del mondo intero. «Ti ho lasciata
da sola.»
Usagi guardò per terra. «... mi avresti
chiamata.»
Oh sì. Appena atterrato, per tranquillizzarla. O,
se il fuso
orario non lo avesse permesso, l'avrebbe lasciata dormire e non avrebbe
aspettato più di dodici ore dall'arrivo negli Stati Uniti.
Avrebbe
pensato a lei in ogni momento. L'aveva avuta in mente quando Galaxia lo
aveva trovato, e persino quando era morto.
Sapevo che
avresti salvato tutti. Avevo fiducia in te.
«Perché non mi hai cercato?»
Era morto pensando al
dolore che le avrebbe causato, pregando perché fosse felice
e forte. Ma
lei...
«Avevi detto... che saresti stato
impegnato.»
Era vergogna quella che sentiva nella sua voce? «Per
tre mesi?»
Usagi non lo guardava, invasa dal senso di colpa.
«Avevi detto che non avresti chiamato subito. Dovevi studiare
tanto, io non- non volevo disturbarti...»
Era la verità? Doveva essere la verità,
ma- «Hai
creduto che per tre mesi io non mi facessi sentire?» Era
irreale.
«E non hai sentito il bisogno di chiamarmi tu?»
Usagi lo guardò. Il suo silenzio lo
lasciò con un buco nel cuore.
Si era dimenticata di lui? Non le era mancato?
Lei scosse la testa. «Sono stata stupida. Ti ho
scritto
una lettera ogni giorno, Mamo-chan. Non c'era ora in cui non ti
pensassi.»
Lui continuava a non capire. «Credevi che ti stessi
ignorando?»
«... Sì.»
Si spazientì. «Come?!»
«Non lo so! Sembrava sensato che tu fossi
impegnato e che
ti aspettassi che io... Il silenzio era da te, nella mia testa era
normale!»
Lui non la incolpò più,
perché il dolore le aveva deformato il volto.
«Ci stavo così male, Mamoru! Ed ero
così stupida, perché in realtà ero io
quella che ti aveva abbandonato!»
No, no.
Andò da lei, la abbracciò. La sofferenza di
lui era a posteriori, era un ragionamento. Non aveva vissuto settimane
di silenzio e dubbi come lei.
Usagi si aggrappava alle sue braccia. «Voleva la tua
voce!
Così tanto che ho persino... Sollevavo il telefono, facevo
il numero e... Mi sento
così patetica.»
«Hai chiamato la mia segreteria.»
Lei sussultò.
«Ti
è sfuggito un messaggio...
Piangevi.» Eccola la prova, se davvero aveva avuto
bisogno di averne una.
Contro il suo petto, Usagi sollevò la testa. Aveva
ripreso
coraggio e fece un passo indietro, tenendogli le mani.
«Credevo
nel tuo amore, Mamo-chan.»
Lei non doveva spiegargli. Forse non era possibile ed era
stato tutto solo un enorme malinteso.
«Io ero sicura che tu mi pensassi. Non
dubitavo che stessi bene - come nei giorni di esame qui a Tokyo,
ricordi? Quando non ci sentivamo per un po'. Io sapevo che tu
c'eri, tu sapevi che ti sostenevo... Non avevamo bisogno di parlare. Mi
ero convinta che in queste settimane stesse succedendo la
stessa cosa. La stavo prendendo come una prova di pazienza, di...
resistenza.»
«Non ti avrei mai fatto una cosa simile.»
Lei non annuì, non lo
guardò. «Tu non sei come me. Parlavamo
ogni giorno quando
non avevi da studiare, ma di solito ero io che ti chiamavo. Sono io che
ho bisogno di conferme. Tu mi ami in un modo tuo, tranquillo. A volte
senza parole.»
... era questa l'impressione che le aveva dato?
«Tu mi pensi anche quando non parli, Mamoru,
io lo so.
Perciò... te n'eri andato lontano, per studiare cose
importanti.
Te l'eri meritato ed eri concentrato. Ti immaginavo chino sui libri.
Ogni
tanto magari ricordavi la mia faccia e sorridevi. Ma chiamare non era
indispensabile per te, non era... così importante.»
Lui iniziò a vedere l'errore, il problema che era
nato da un suo atteggiamento.
A volte si era comportato così con lei, con
innocenza, senza credere di farle alcun danno,
per poco tempo. Per
poco, vero?
Usagi sospirava. «Per me era ovvio che stessi bene.
Non potevo pensare che ti
fosse successo qualcosa, era... impossibile. Tu eri lontano e stavi
bene!»
Lui la prese per le spalle. «Usagi.»
Iniziò ad avere
una paura nuova. «Hai creduto fino alla fine che io pensassi
sempre a te?»
Lei annuì, dolorosamente. «Ma sentivo il
bisogno di un tuo
segno. Mi mancava da morire un contatto. Tu mi conoscevi e... Non
capivo! Sapevi sicuramente che stavo male ma non mi chiamavi. Mi
sentivo così...»
Abbandonata.
Lei si rifiutò di dirlo. «Tu non hai
fatto niente, era
tutto nella mia testa. Cercavo di distrarmi, sai? Le ragazze si
preoccupavano e mi stavano vicino. Anche se non sapevano che non mi
chiamavi, sentivano che ero giù. Poi c'era la
novità dei Three
Lights, e Seiya che...»
«Aspetta.» Non voleva ancora parlare di
altre persone. «Se fossi
partito, ti avrei richiamato già nella prima settimana.
Più volte.»
Lei si coprì il volto con le mani.
Mamoru non lo
sopportò: Usagi non aveva colpe da sola. «Non
avrei
dovuto lasciarti credere che non mi importasse di te.»
«No, non è-»
«Invece sì. Parlo poco e non ti dico
tutto. Mi chiami
di più tu, Usa, perché quasi sempre mi precedi,
ma
è vero che... io mi distraggo. E penso che tu sia
lì ad
aspettarmi.» Suonava crudele, e lo era per ciò che
aveva
causato. «Ma io ti sento con me. So che ci sei sempre, che ti
penso, e che tu... mi pensi a tua volta.» Era partito con
l'intenzione di spiegarle, ma stava finendo col ripetere le motivazioni
dietro l'errore di lei, confermandole.
Si teneva tutto dentro, come faceva Usagi a sapere cosa
provava lui?
Lei annuiva mesta. «Lo so.»
Era una consapevolezza che ora le portava speranza, ma che
l'aveva fatta soffrire a lungo.
Usagi non era felice di vederlo stare male. «Basta,
ho capito. Perdonami. Io ti ho già perdonato se
c'è qualcosa che
tu... Ma non è vero. Ho fatto tutto da sola.»
Lui non lo credeva più. Ma aveva tempo per
rimediare. Settimane, mesi. Anni.
L'acqua stava bollendo. Usagi si staccò e
andò ai fornelli. «Facciamo colazione ora. Solo...
colazione.»
Era la richiesta di un momento di calma. Anche lui ne sentiva
il bisogno e annuì.
La aiutò a tirare fuori le tazze, si destreggiarono
insieme nel portare a tavola tutto quello che volevano bere e mangiare.
Usagi si servì una bella tazza di latte, lui alla fine ne
versò un goccio nel tè. Il caffè lo
avrebbe innervosito e le disse, con gentilezza, che lo avrebbe bevuto
dopo.
Usagi lo guardava come se si aspettasse da lui un racconto,
inconsciamente.
Era strano, davvero, che alla fine non fosse mai andato in
America. «Sai, stamattina
sono andato in camera a cambiarmi... Sono quasi senza
vestiti. Li avevo messi nella valigia che mi ero portato
dietro.»
«Già.» Lei ebbe negli occhi un
ricordo. «Quando lei
ti... È accaduto mentre
eri in
aereo.»
Lui provò quasi vergogna. «...
Lo hai visto?» Il modo misero e rapido in cui era stato
sconfitto.
Usagi deglutì. «Galaxia me lo ha fatto
vedere.» Scosse la testa. «Era plagiata dal
male.»
Lei non voleva più pensare male di niente e
nessuno, ma Mamoru voleva sapere. «È successo
un'ora dopo che sono partito. Il resto dell'aereo è arrivato
in America, vero?» Si rispose quasi subito da solo.
«Sì,
nessun incidente.»
Naturale. Se un intero volo di linea fosse scomparso, ne
avrebbero parlato al telegiornale e lei avrebbe saputo cosa gli era
accaduto.
Fino a quel momento Usagi aveva riflettuto e
d'improvviso raddrizzò la schiena,
sorpresa.
«Cosa c'è?»
Lei sorrideva. Si alzò e lo trascinò per
un braccio, verso il balcone. Aprì l'anta di vetro. In un
lato non visibile dall'interno del
salotto, era riposta
una grossa valigia. La sua.
«Ma
come...?» Lui si inginocchiò e trafficò
con la combinazione numerica del lucchetto. Era la sua valigia?
Lì in casa?
La aprì. C'era tutto: vestiti, portatile, tutto.
«Ma
come...?» Guardò Usagi.
«Non
so spiegarti. Ma appena ne hai parlato ho avuto come una sensazione in
testa. Ci ho messo un po' a capire. Dev'essere riapparsa qui ieri
sera.»
Era stata lei.
Usagi guardava i suoi vestiti ben piegati. «Non so a
quante cose sia capace di pensare il mio cristallo. Ha rimesso
in piedi gli edifici che la battaglia ha distrutto e ti ha riportato da
me. Deve aver cancellato i ricordi di questi giorni di guerra dalla
mente delle persone, come al solito.»
«Era quello che desideravi. Pace.»
«So che è dipeso tutto da me,
però...» Lei provò a ridere.
«Non sono così precisa, ma il mio cristallo
sì. Per la tua valigia dobbiamo
ringraziare lui.»
Usagi aveva vinto l'ennesima guerra tutta da sola ed era
ancora modesta, troppo umile.
Lei si inginocchiò al suo fianco. «Piano
piano le cose torneranno come prima.» Inspirò e
trovò una sua mano. «No, meglio di prima.
Questa volta cercherò di capirti per davvero e non
farò mai più l'errore di-»
Doveva dirlo lui. «Usa.» Le
accarezzò un braccio. «Sono io che devo farti
capire cosa provo per te. Non adesso o solo una volta. Tutti i giorni.
Mi impegnerò. Devi sentire quanto ti amo.»
Poche parole e un effetto così grande: Usagi
gonfiò il petto di gioia, si illuminò.
Accarezzò tutto il suo braccio, la sua spalla. Giunse al suo
viso e per la prima volta, sulla sua mano, lui sentì
qualcosa.
Voltò la testa, toccò l'anello che le
aveva regalato.
«Non l'ho mai tolto» sorrise lei.
Per tutti quei mesi, in cui lui non le aveva parlato.
Lei l'aveva ricordato. L'aveva amato.
Lei si gettò tra le sue braccia.
«No» sorrideva. In gola avevano entrambi un masso
duro, buono, ma troppo pesante da gestire. Usagi lo mandò
giù. «Basta dolore. Lascialo andare con me,
Mamo-chan. Siamo insieme.»
Sì, lo erano. Con tutte le sue forze la strinse e
lì, su quel balcone, in casa sua, giurò. Non ti lascerò mai
più.
CONTINUA
Nota
di giugno 2015: ho
riscritto praticamente daccapo la storia dal momento in cui Usagi e
Mamoru si ritrovano. Il contenuto nella sostanza è lo
stesso, cambia l'ordine delle parti, lo stile, la presentazione. Non
c'è più un alternarsi continuo di punti di vista,
bensì abbiamo prima la voce di Usagi e le sue sensazioni nel
momento dei primi abbracci con Mamoru, poi solo la voce di lui. Avrei
voluto mantenere il più possibile ciò che c'era
nella versione precedente e in un certo senso l'ho fatto - tanti
concetti sono solo parafrasati, resi meglio - ma alcune cose erano
proprio ingenue a livello di stesura.
Dopo molto tempo volevo dare una versione più 'degna' di
quella che è stata la mia prima vera storia, ma soprattutto
ancora adesso la storia che introduce la mia saga. Rivedrò
anche il resto dei capitoli.
Ringrazio i lettori del mio gruppo Facebook, 'Verso l'alba e oltre...'
per avermi dato alcune prime indicazioni sulle reazioni che suscitavano
alcune modifiche. Spero che il capitolo completo vi soddisfi e vi dia
emozioni paragonabili a quelle della prima volta.
A voi, e a chiunque altro, lascio comunque detto che se volete una
copia della prima versione e non l'avete salvata, potete sempre
chiedermela via email :) Il mio indirizzo è
ellephedre@gmail.com
Leggo sempre i vecchi
commenti, se avete letto e il capitolo vi è piaciuto, mi
farà sempre piacere sentirlo ;)
ellephedre
NdA
originali:
salve a tutti, grazie per aver letto la prima parte della mia fanfic.
Come
vedete, ho voluto scrivere di quello che è successo
poco
dopo la fine della battaglia contro Sailor Galaxia in Sailor Star, la
quinta e ultima serie di Sailor Moon.
Ho
modificato e modificherò alcuni particolari dell'ultima
parte
dell'anime per adattarsi alle esigenze della storia che ho in mente (ad
esempio, avrete forse notato che ho ben definito i particolari
temporali; ecco, non so se sono quelli giusti, so solo che li ho
trovati
adatti.)
Al
momento ho già pronte almeno un altro paio di parti. Le
ho
scritte di getto per buttare su carta tutte le idee che avevo in mente
e ora mi sto dedicando a rendere il tutto stilisticamente migliore e
coerente col resto della trama.
Nella
prossima parte, farò valere il rating Rosso che ho
dato
alla storia, se per caso ve lo state chiedendo. ;) Praticamente
è già pronta ed è una lunga parte
incentrata quasi
esclusivamente su quello che forse vi aspettavate di trovare
già
qui. Non penso potrei definire proprio Lemon quello che
andrò a scrivere :)
Affronterò
anche l'argomento Seiya (per come lo vedo io ...
questa è una storia chiaramente e totalmente pro
Usagi/Mamoru,
quindi non aspettatevi nulla che vada in altro senso). In una parte che
ancora devo definire meglio, ci saranno anche le altre guerriere.
Al
momento non ho deciso se terminare questa mia storia con la
descrizione di ciò che succede appena dopo la fine di Sailor
Stars. Forse avrete notato che in un punto ho gettato le basi per
qualcosa su cui potrei costruire una trama più corposa.
Vedremo.
Ulima
cosa .... il titolo. Il titolo è stata davvero
l'ultima
cosa. L'ho scelto solo poco fa ma ora mi sembra appropriato. Volevo un
titolo che indicasse che scrivevo su qualcosa che veniva dopo Sailor
Stars. Dopo le stelle, appunto. Ho scelto 'oltre' perchè
dà un'idea più 'vasta', dal mio punto di vista.
Come
dicevo, ora mi sembra davvero un bel titolo.
Vi
ringrazio fin d'ora per ogni commento che vorrete darmi. Mi farebbe
veramente piacere sapere cosa ne pensate di questa prima parte.
Ellephedre
Settembre 2009:
ho riscritto qualcosa, per rendere meno pesante o ingenuo lo
stile. E tuttavia ritengo che lo stile di questa prima parte sia
pesante, ma per evitare l'effetto dovrei effettivamente riscrivere
tutto daccapo, impostare intere scene da un solo punto di vista.
Per
ora credo possa andare bene così. 'Oltre le stelle'
è stata la mia prima storia 'seria' e credo sia naturale
mantenga qualche difetto del momento in cui è stata per la
prima volta concepita. A meno di rivoluzioni, manterrò il
capitolo così com'è.
Gennaio2010:
ho sistemato un po' la questione dei punti di vista e migliorato
qualche parte scritta abbastanza male (sia a livello di descrizioni che
di dialoghi). Continuo ancora a credere che come lavoro sia
migliorabile, ho giusto limato qualche problema grossolano, tuttavia
continuo ad apprezzarlo a livello di contenuti (mi piacciono e basta :)
)
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Capitolo 2 *** Seconda parte - Salutarsi ***
oltrelestelle2
Oltre
le stelle
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Seconda
parte - Salutarsi
In seguito, entrambi sentirono che il peggio era
passato.
Percependo
che ormai poteva, Mamoru chiese a Usagi di parlargli delle esperienze
vissute in quei mesi.
La
sorpresa... il primo nemico era una guerriera Sailor. E altre
Sailor erano arrivate. Si erano rifiutate di collaborare con
loro nella lotta contro il male - proporio come
avevano fatto un tempo Uranus e Neptune, ma la differenza era stata
chiara fin da principio: le Starlights
non
facevano parte del sistema solare.
Semi di stella, il nuovo obiettivo del nemico.
A scuola i Three Lights, nelle battaglie le Starlights.
La nascita di nuove amicizie con tre ragazzi particolari, per
cui le
Inners stravedevano.
La comparsa di Sailor Lead Crow e Sailor Alluminium Siren.
Poi Chibi Chibi, che le somigliava così tanto e
che,
proprio come
Chibiusa,
si era stabilita a casa sua, fingendosi sua parente.
La scoperta della vera identità delle Starlights e
la
tristezza davanti a un'ostilità che non aveva senso.
L'apparizione di Sailor Tin Nyanko e di Kakyuu, la principessa
tanto
cercata dai
Three Lights...
Venire presa di mira, identificata come il bersaglio
cercato, protetta in ogni modo dalle sue amiche.
Il cammino verso la battaglia finale, il sacrificio della
principessa
Kakyuu, l'inizio di una distruzione che non sembrava avere fine.
Poi la morte di Mars, Mercury, Jupiter e Venus. Come se non
fosse
abbastanza, era giunta la
terribile
presa di coscienza sul vero disegno di Galaxia per l'universo e su cosa
quella guerriera avesse fatto con i semi di stella raccolti - quelli
fra cui
Usagi aveva visto il suo, dorato e splendente nonostante la morte che
rappresentava per lui.
La visione dei suoi ultimi istanti di vita - un dolore che
aveva
annientato tutto il resto.
La morte di Pluto e Saturn. Il tradimento di Uranus e Neptune.
Uasgi non ci
aveva voluto credere fino alla fine. Se l'avesse fatto, avrebbe
perso
ogni volontà di vivere.
Il sostegno continuo delle Starlights.
La scoperta della reale forza di volontà di Haruka
e
Michiru;
vederle sacrificare ogni cosa - vita, onore e dignità -
per la salvezza dell'universo, inutilmente.
La disperata fiducia delle Starlights, semplici guerriere
contro un
nemico dalla forza ineguagliabile.
L'insperato ultimo aiuto di Chibi Chibi... e realizzare che
crogiolarsi
nel dolore non serviva a nulla.
Lei doveva credere nell'amore e in quella
speranza in cui aveva riposto fiducia per tutta
la vita. Li aveva provati personalmente, ne conosceva la forza.
Se ne
era riempita, aveva immaginato un mondo di sofferenza e disperazione
per
tutti quanti e non era riuscita a rimanere inerme. Doveva impedirlo,
non poteva veder morire tutto ciò che la circondava.
La forza era
scaturita
da
dentro di lei... e Galaxia si era liberata di Chaos.
Mamoru la sentì terminare un racconto epico.
Aveva accanto una persona
in
grado di salvare l'universo intero: era quella l'essenza di Usagi, il
suo destino. Eppure lei era riuscita a non farsene travolgere. Sailor
Moon e
Serenity erano identità che non avevano mai preso il
sopravvento su di lei. Le si
erano sottomesse, erano diventate parti della sua
essenza, da richiamare quando necessario.
Forse
non lo sapeva nemmeno Usagi, ma aveva un enorme controllo sul proprio
potere. Non ci sarebbe mai stato nessuno di
più
adatto per il
ruolo che le spettava.
Lei era rimasta in silenzio, a guardare la finestra.
Mamoru decise di porle alcune domande su due argomenti
che non le aveva sentito toccare nel modo che gli interessava.
«Le altre guerriere...
Quando ti
sei confidata con loro sul problema
che avevi con me, cos'hanno detto?»
Non riusciva a
credere
che a una delle ragazze non fosse venuto il dubbio che ci fosse
qualcosa
che
non andava col suo silenzio. Usagi si era crogiolata nel dubbio, ma le
sue amiche dovevano
aver visto le cose con
più lucidità.
Lei non aveva spostato gli occhi dal pavimento.
Mamoru non ci mise molto a interpretare il suo mutismo.
Usako... non aveva detto nulla alle ragazze.
Lei era piena di
rimorsi. «L'ho rivelato a Rei solo poco prima della
battaglia
finale e solo perché lei ha insistito.
Neanche un attimo dopo alla
radio hanno annunciato lo scioglimento dei Three Lights. Era
un altro
tassello della battaglia che stavamo combattendo e non abbiamo
più parlato d'altro.» Iniziò a scuotere
la testa. «Oh, ma Rei aveva capito
subito che c'era qualcosa che non andava. Presto ne
parleranno tutte assieme e si renderanno conto che non ho avuto
fiducia in loro.» Rimase senza fiato, arrivando ad una
conclusione che
fino a quel momento non
aveva mai preso forma nella sua mente. «Ed
è stato
così: non ho avuto fiducia nelle mie amiche, Mamo-chan. Ma
io non
volevo... era solo che non riuscivo a-» Si
rannicchiò in una palla, come per eclissarsi.
Andando da lei, lui diede rifugio ai suoi
singhiozzi.
«E pensare che non volevo
più
piangere...»
Non la biasimava. Le mancanze presenti
all'interno del loro rapporto l'avevano
spinta a non confidarsi con nessuno. Lei si era
vergognata, aveva
creduto che lui stesse scegliendo di non parlarle e di non scriverle.
Per questo non
aveva voluto farlo sapere alle sue amiche.
Sulla bocca
sentì il salato delle sue lacrime. «Forse non
sarà
facile, ma le ragazze ti adorano proprio come tu adori
loro. Apriti su quello che hai provato e
vedrai che capiranno.»
Usagi annuì sospirando. «Mi
farò perdonare a tutti i costi.»
«Ad un
certo punto intuiranno anche la mia parte di colpa. Se
non ci arrivano da sole, faglielo presente tu.»
Lei prese fiato per protestare ma lui non la lasciò
iniziare.
«Per giustificarmi di' a tutte che ti amo e
sistemerò ogni cosa.»
Invece di una risposta, due lacrime felici le rigarono le
guance.
Qualunque fosse il motivo, lui non voleva farla piangere
più. Per distrarla scelse di porle la sua seconda domanda.
«Prima che iniziassi a raccontarmi di
questo
periodo,
avevi detto che quando non c'ero
erano tutti preoccupati per te. E che c'era Seiya, Seiya che
è
una
Sailor Starlight ma anche un ragazzo che canta coi Three Lights. Un
ragazzo
che...
Non avevi finito. Che cosa faceva?»
Le guance di lei presero colore. «Be'... ti
ho
detto
che coi Three Lights eravamo diventati amici. Le ragazze li
cercavano sempre e anche Taiki e
Yaten erano una compagnia divertente. Ma io mi divertivo con
Seiya in particolare, perché, ecco, mi
somiglia di
carattere. E noi...» Le sfuggì dalla gola una
mezza risata esitante.
Stranito, Mamoru continuò ad ascoltare.
«Quando ero triste lui
faceva tutto quello che poteva per tirarmi su. Una volta per
esempio mi ha
portata al luna park, poi a ballare... mi ha anche convinta a
partecipare ad un torneo di softball e abbiamo vinto! Mi ha
aiutata
tante volte
a non intristirmi troppo per te.»
Quante attenzioni.
Usagi sentì il bisogno di chiarire. «Gli
voglio bene, come ne voglio alle ragazze. Mi ha
fatto
male
quando si è allontanato da noi con le altre
Starlights. Comunque... okay, lui ha sempre
un po' flirtato, ma io credevo che fosse il suo modo di fare.
Poi, quella volta che Sailor Tin Nyanko mi ha attaccato, Seiya
è
venuto a
salvarmi e per fermarla ha gettato una rosa a terra. Quando l'ho
vista io ho
sperato così
profondamente
che fossi tu che, quando ho capito di essermi sbagliata, non ho
più
retto e sono scoppiata a piangere. Seiya era convinto che tu
mi avessi dimenticata e che mi stessi facendo del male ignorandomi
apposta. Mi
ha chiesto... perché non poteva essere lui.
Perché non potevo farmi bastare lui.»
Usagi preferì non attribuire un significato al
silenzio del suo ragazzo.
Ci aveva riflettuto e un pochino si vergognava per aver
fatto
credere a Seiya di avere delle speranze, per quanto inconsciamente.
«Solo allora mi sono resa conto di quanto fossi
stata cieca... Ma non
volevo che finisse così tra noi. Volevo chiarire e forse...
forse dopo
poteva tornare tutto come prima con la nostra amicizia. Non
è stato facile
incontrarlo,
anche per via di Uranus e le altre... eravamo ai ferri corti
con le Starlights e... be', Haruka, Michiru e Setsuna non erano
d'aiuto. Alla fine sono riuscita a vedere Seiya al loro ultimo
concerto,
poco prima che iniziasse l'ultimo scontro. Sono riuscita a fargli
capire che...» Se ci ripensava stava ancora male.
«Non poteva essere
lui la
mia scelta. Ho
pianto. I
suoi
sentimenti erano sinceri, ma quelli che io provavo per te erano
assoluti e alla fine
nessuno era felice. Mi dispiaceva farlo soffrire, ma Seiya ha
capito.»
Era stato molto comprensivo e come al solito allegro alla fine.
«È andato a cantare e da allora come
Seiya non
l'ho
più visto. Però come Sailor Star Fighter mi ha
sostenuto con tutto se stesso. Almeno
con lui è finita bene.»
Tra il disastro che aveva combinato con Mamoru e con le
sue amiche, almeno con Seiya si era comportata nel modo migliore.
Il silenzio di Mamo-chan
cominciò a
innervosirla. Capì di dover concludere con una spiegazione.
«Quando ne ho parlato, prima, non
intendevo dire che lui mi teneva troppo
occupata per pensare a te. Volevo solo
dire che... Seiya, come tutte le altre, mi vedeva giù.
Così giù che faceva quello che poteva
per farmi
stare allegra. Questo mi ha aiutato a non concentrarmi sul dolore e ad
avere maggiore fiducia sul fatto che sarebbe andato tutto bene. In quei
momenti
pensavo solo di esagerare con i miei pensieri negativi su di te
e che prestissimo ti saresti fatto sentire.»
Lui continuò a non commentare, facendola fremere
per il nervosismo. «Sei autorizzato a darmi della sciocca per
come ho
lasciato che Seiya
fraintendesse cosa provavo. Non avrei dovuto permettere
che accadesse.» Con cautela cercò i suoi occhi,
ma Mamoru guardava assorto la finestra.
«Dimmi a cosa
pensi.»
Lui era concentrato come quando stava cercando di risolvere
una formula. «Non
credo che tu abbia fatto qualcosa per farlo sperare,
a parte comportarti da te.» Rilasciò un inatteso
sospiro. «Mi
sono sempre sentito
abbastanza tranquillo
in merito ad altri ragazzi, ma forse
è perché tu tendi ad attirare
solo tipi sovrannaturali.»
«Eh?» Dopo tutto quello che gli aveva
detto, era l'unica riflessione che gli veniva fuori?
«Pensaci... me, Ail, Demando e infine
Seiya.»
Era una lista di nomi che non udiva da tanto. Possibile che
fossero le uniche
persone che si erano mai interessate a lei? «Piacevo
a Umino prima che si mettesse con
Naru» ribatté.
«Ma lui ti ha conosciuta prima che
diventassi Sailor Moon.»
Già, poi si era invaghito della sua migliore amica.
Cerco di farsi venire in mente qualcun
altro che le avesse ronzato intorno, ma non c'erano stati altri ragazzi.
Davvero le persone percepivano in lei qualcosa
di
diverso?
Mamoru notò la sua delusione mista a confusione.
«Usa,
dev'essere solo
perché ci vuole una certa dose di forza, di... potenza, per
pensare anche solo di essere sul tuo stesso piano.
Credo
che a livello inconscio si percepisca che non sei romanticamente
avvicinabile da una persona normale, proprio per ciò che
intrinsecamente sei.»
A volte lui parlava in
maniera così complicata...
Mamoru capì di averla
stranita. «Forse
mi piace solo pensare che non ci
siano molte
probabilità che altri ragazzi ti guardino come ti guardo
io.»
Fu un'ammissione che le piacque molto.
«Anche se succedesse,
non
sarà mai un problema.»
Lui avrebbe voluto scommetterci, però...
«Prima sei arrossita mentre parlavi di
questo Seiya.»
«Non è vero!» Usagi si
tradì da sola quando
le sue guance si infiammarono di nuovo. «Questo
è rossore di
imbarazzo! Per
essere stata scoperta» ammise, ma si affrettò a
spiegare.
«Non ho mai
avuto idee romantiche su Seiya, mai! Solo che certi flirt
erano piacevoli, cioè... era carino sentirmi al centro di
quel
tipo di attenzioni, anche se non significavano niente.»
Mamoru non se la prese. Un po' rise e un po' la
osservò. «Sai cosa
penso?»
«No.» Lei aveva messo il broncio.
«Penso che arrossisci per certe attenzioni
perché non ci
sei
abituata. E perché ti piacciono molto. Finora ho contato
troppo sul fatto che colmassi questi bisogni con segrete
fantasticherie sul nostro rapporto che non erano poi tanto
segrete.»
«Eh?»
«Ti
è sempre piaciuto quando venivo a salvarti come Tuxedo
Kamen,
quando ti prendevo in braccio... Se fosse stato possibile, al posto
degli occhi avresti avuto dei cuori.»
Usagi si rese conto che la stava prendendo in giro.
«Poi vediamo... ti piacciono quelle
situazioni da
principessa
delle favole. Quando ancora combattevamo contro il Dark Kingdom,
una volta hai
usato la penna lunare solo per metterti un vestito da sera e ballare a
un
ricevimento. E quando poi abbiamo ballato... occhi a cuore, appunto. E
per il tuo precedente compleanno mi hai chiesto delle scarpe di
cristallo. Sono certo che tu abbia fantasticato su me, te e quelle
scarpe per giorni interi. Nei giorni successivi eri sempre con la testa
tra le nuvole.»
La stava facendo vergognare, ma anche irritare.
Non era del tutto spiacevole, ma doveva metterlo al suo posto.
«È bello sapere che la
pensi così sui
miei bisogni.»
Lui la afferrò per un braccio e, in qualche modo,
la fece sedere tra le sue ginocchia. «Quello che
penso» udì Usagi
all'orecchio «è
che vorrei soddisfare più
spesso questi bisogni.»
Incredula, lei venne percorsa da un brivido di meraviglioso
imbarazzo.
Lui cominciò a guardare la punta del suo naso come
se lo
trovasse particolarmente carino, o come se non volesse incontrare i
suoi occhi dopo la romanticheria che si era lasciato sfuggire. Nel
privato era ancora così timido...
Lei gli ridiede coraggio appoggiando la fronte contro la sua.
Rilassato, lui abbassò le palpebre e
continuò. «Cè una cosa che sono sicuro
che ti
farà
contenta e su cui sognerai per qualche tempo.»
«Uh?»
«Quando ci siamo baciati per la prima
volta?»
«Eh?»
«Hai sentito, quando?»
Si era dimenticato? «C'eri anche
tu.»
«Rispondi lo
stesso.»
Dove voleva arrivare? «Durante il
nostro appuntamento al
parco, dopo essere
andati in
barca... quando è arrivata Chibiusa.»
«Sì. Ma non è andata proprio
così.»
«In che senso?»
«Ci siamo baciati reciprocamente per la
prima volta quel giorno. Però io ti avevo già
baciato in
un'altra occasione.»
Lei sobbalzò sulle sue gambe. «Quando?
Non è
possibile, non mi ricordo!»
«Ne ho parlato un attimo
fa.»
Lei corse a risentire le sue parole nella testa. «Al
ballo in
maschera, quello in
cui avevo
usato la penna lunare. A un certo punto mi sono sentita poco bene per
via di una bevanda troppo forte e qualcuno mi ha aiutato a uscire sul
balcone...
poi mi sono ripresa mentre ero appoggiata su una colonna.»
«Lì. Ti ho portata fuori io.»
«Tu hai... Oh.»
Lui ridacchiò come un ragazzino.
«Attenzione agli occhi a
cuore.»
«Ma è così... romantico.»
Gli
circondò il collo
con le braccia e lo baciò su una guancia, indugiando con
estrema tenerezza. «Avevi ragione, ci
fantasticherò su per
qualche
tempo.»
Lui si staccò per guardarla, d'improvviso serio.
«Solo che... non voglio
più che siano solo
fantasie. Altrimenti poi succederà che finirai con
l'assecondare qualche altro ragazzo, magari per un gesto
galante
qualunque. E sì, anche senza amarlo o averne la minima
intenzione.»
«Ti sbagli!» lo corresse lei.
«Potrei imbarazzarmi
ed esserne
lusingata, ma mi piacerà davvero solo quando sarai tu ad
essere romantico con me. Solo tu, Mamo-chan. Non sentirti costretto a
comportarti in un modo che non ti viene naturale.»
«Non sarà uno sforzo. Sarò
naturale.»
«A me basterà, okay?»
In risposta lui la fissò senza dire niente.
Poi...
«Ti amo, Usako.»
Le si spezzò il respiro. «Me lo dici
perché è quello che voglio sentire?»
«No.»
Decise di credergli, ma per lei era troppo importante fargli
capire che non c'erano cambiamenti che lui dovesse fare per farsi
amare. Non c'erano mai stati paragoni dentro di lei. Non c'erano mai
state tentazioni o altre possibilità. «Tu mi fai
sentire la ragazza più amata del mondo anche solo quando mi
chiami. Basta che dici 'Usa...'»
«Ko» terminò lui, causandole
una risatina.
«Sì» Si rannicchiò
nel suo abbraccio e nella consolazione del dono prezioso che aveva
ritrovato. «Ti basta un 'Usako' per fare di me la fidanzata
più felice sulla faccia di questa Terra.»
«Sono fortunato.»
«Questo è vero.»
«Troppo per meritarmelo.»
«Ma no...»
«Troppo per non ricambiare.» Mettendosi
dritto la costrinse a sollevare la testa. «Su, dimmi una di
quelle tue fantasie. Non mi sto sforzando. Ho solo
deciso che mi piace
la ricompensa e che voglio che sia solo per me.»
Era già solo per lui, ma se proprio insisteva... Le
sue fantasie più profonde erano
ridicole, ma c'era
un'idea sciocca e semplice che lei aveva sempre trovato
assurdamente
romantica. «Va bene. Prendimi in braccio e
baciami.»
Lui rimase in attesa di ulteriori richieste per un secondo
buono. «Tutto
qui?»
«Sì.» Visto che non la stava
prendendo in giro, un'aggiunta ci
stava.
«Devi
farlo
in modo romantico però, sta lì il
trucco.»
«Ah, non è un esercizio di
pura meccanica.
Capito.»
La posizione in cui si trovavano gli permise
facilmente
di sollevarla sotto le ginocchia. Lei si bilanciò con le
braccia attorno al suo collo mentre, con grande
aplomb, Mamoru le
faceva fare un giro completo del salotto. A tour completato,
teatralmente, lui si chinò per sfiorarle la bocca con la
propria, terminando il
tutto
con un finto sospiro da innamorato.
Usagi scoppiò a ridere.
«Pagliaccio!»
Lui si unì alla risata e posandola a terra la
avviluppò nella gioia che provava. Dondolò piano
con lei, accertandosi di essere vivo tra le sue braccia. Vivo, di
carne, e non più polvere di stelle che si era dispersa
facilmente in cielo.
Era stato così debole, così inerme nel
momento cruciale.
Non aveva lottato abbastanza, per se stesso, per lei...
Usagi recuperò la sua attenzione prendendogli le
guance tra le mani, centrandolo.
Lo guardò come se capisse, come se lui non avesse
bisogno di parlare.
Mamoru si donò a lei in un bacio soffice ma
totalizzante. Non voleva possedere, voleva adorare.
Voleva ringraziare, venerare, cullare - per un dolore che non
era stato solo suo e che aveva sanguinato troppo copiosamente.
Si staccò quando Usagi ansimò come se le
mancasse l'aria. I suoi occhi erano pozzi blu di sorpresa.
Cosa?
pensò lui.
Lei si perse nella letizia. «Ti adoro, Mamo-chan. Ti
adoro.»
Per pranzo Usagi propose di mangiare fuori.
Già che
c'erano, disse a Mamoru, potevano approfittarne per fare la
spesa per
il suo frigo
vuoto.
Quando ormai erano sulla porta di
casa, il sailorofono squillò. Appena lei
lo accese, sul piccolo
monitor apparve il volto
di...
«Minako!» urlò.
«Usagi-chan!»
Oh, la sua dolcissima Minako-chan rideva con una punta di
commozione. Qualcuno la spinse di lato.
«Usagi, ciao!»
«Makoto, ci sei anche tu!»
«Ehi, ci sono pure io!» Rei si
infilò
di prepotenza nella
visuale. «Eccomi!»
«Rei...» Usagi la
ricordò tra le sue braccia, col viso morente, e
trasudò agonia.
«Non piangere! Aspetta almeno di
vederci di persona!»
Il rimprovero le strappò una risata tremula.
Fuori dallo schermo si fece viva una voce pacata.
«Ci sono
anch'io...»
«Su, fatemela vedere!»
L'affetto tenero di Ami riempì l'immagine.
«Ciao,
Usagi.»
«Oh, Ami...»
«Ehi, basta con la tristezza!»
Minako
tornò al centro dello schermo. «Usagi, ti abbiamo
chiamata per dirti delle
Starlights.»
«Oh.» Che sciocca,
non aveva pensato a loro.
«Ci abbiamo parlato, andranno via
oggi.»
Come?
... ah, già. Doveva accadere, avrebbe dovuto
immaginarlo.
Cercò di essere felice per loro e di non pensare che se ne
stessero andando troppo presto.
«Abbiamo
programmato
un saluto
sul tetto della scuola, alle sette.»
«Ci sarò.»
«Perfetto. Allora ci vediamo dopo,
Usagi-chan.»
Il sailorofono venne appoggiato su un
tavolino. Minako si allontanò e a lei si unirono
le
altre, fino a che furono tutte presenti
nell'inquadratura. «Ti vogliamo bene!» Per
il coro quasi perfetto risero - Ami incassandosi nelle spalle, Minako a
squarciagola, Rei cercando lo sguardo delle altre e Makoto scuotendo la
testa.
Il cuore di Usagi strabordò di gioia.
«Vi voglio bene anch'io. A più tardi.»
Makoto si avvicinò allo schermo e
interruppe la
chiamata.
Per un lungo istante Usagi rimase a guardare il comunicatore
spento.
Mamoru posò una mano sulle sue spalle.
«Visto? Ti
adorano.»
«Già.» Come una sciocca
annuì.
«Su, andiamo!»
Per mangiare scelsero un buon ristorante. Usagi insistette per
un
pranzo nutriente, declinando la sua proposta di andare in un fast food.
«Tu devi mangiare in modo sano»
decretò,
senza
aggiungere quello che aveva inteso davvero. Dopo quello che ti
è
accaduto.
Quando furono seduti e in attesa dei piatti
ordinati, Mamoru rimuginò insieme a lei. «Allora
le nuove
guerriere se ne vanno.»
Usagi lo stava accettando piano piano. «Dovevo
aspettarmelo. Seiya e gli altri sono venuti
qui per salvare la loro principessa. Anzi, per cercarla. Ora l'hanno
ritrovata e Galaxia non c'è più. Al loro posto
anche io vorrei tornare a casa.»
Mamoru si chiese se fosse il caso di domandarle se
quel Seiya le sarebbe mancato più degli altri due,
ma lasciò perdere.
Il sorriso di lei lo accecò.
«È un finale felice, non c'è spazio per
la tristezza! Scommetto che a casa le Starlights hanno delle persone ad
aspettarli.
Magari un intero regno!»
Dato che quei tre avevano una principessa, doveva essere
così. Anzi, era possibile che quegli stranieri - quegli
alieni,
umani quanto loro - provenissero da un mondo simile
a quello del passato terrestre. «Dici che è un
regno vero e proprio, come il Silver Millennium?»
«Uh?»
Magari quel pianeta lontano era simile a ciò che
sarebbe stata la Terra del
futuro.
Usagi intuì la direzione delle sue domande.
«Quindi Seiya e gli altri sarebbero dei
nobili?» Ridacchiò, come se il concetto fosse
ridicolo. «Non ce li vedo!
Cioè, in realtà Yaten un po'
sì...»
«Quale dei tre è Yaten?»
«Quello coi capelli chiari. Lui e
Taiki sono abbastanza snob. Simili a Michiru, hai presente?
Incontravano le fan e lavoravano qui sulla Terra come cantanti, ma con
poca voglia. Avevano uno scopo più importante dopotutto. Una
vita a
cui volevano tornare... Non Seiya, non tanto. Ma penso
che cantasse con ardore proprio per la sua principessa.»
Mamoru non riuscì più a trattenersi.
«Ti mancherà.»
Usagi cercò la sua mano sopra il tavolo.
«Come amico. E mi manca l'idea di non avere qualche altro
giorno per salutarlo - per salutarli tutti quanti, anche se
capisco la loro fretta. Mi chiedo se...»
«Se li rivedrai mai più?»
Usagi lo confermò annuendo.
«Prima che se ne vadano, chiediamo da dove
provengono. E quanto tempo ci hanno messo ad arrivare.»
Lei si aggrappò a una speranza. «Credi
che un giorno per noi sarà possibile attraversare lo spazio
e andare a trovarli?»
Lui le massaggiò un pollice. «Sono
successe cose più strane.»
Lei tornò a illuminarsi. «Potremmo
portare con noi Chibiusa!»
Se in Mamoru era rimasto un briciolo di gelosia,
evaporò in quell'istante. La sua Usako non si
rendeva conto
della stilettata che avrebbe inflitto a un ragazzo che si era invaghito
di lei. Per come la vedeva, Chibiusa faceva semplicemente parte della
sua vita -
della loro vita. Non si rendeva conto che era la prova vivente che il
loro amore sarebbe durato in eterno.
Indirettamente, lui ebbe la risposta a una domanda che non
aveva fatto. «Chibiusa non è tornata in questo
periodo.»
«No» si intristì Usagi.
«Mi avrebbe aiutato in tanti modi... Mi mancava
portarla al Crown o alla sala giochi con me, da Motoki.»
Involontariamente, Mamoru sussultò.
«Motoki
non ha chiesto di me?» Dopotutto lo aveva chiamato sulla
segretaria.
Usagi si morse le labbra. «Certo. Mi domandava se
stessi bene e io... Io gli ho mentito. Che sciocca. Era ovvio che non
avresti ignorato anche lui. Ma mi sentivo
come se Motoki sapesse che non mi stavi chiamando, perciò
ogni volta che lo incrociavo gli assicuravo che ti stavo sentendo e che
lo salutavi.»
Mamoru le strinse forte le nocche.
Usagi era desolata. «Mi dispiace.»
Lui scosse la testa. «Devo chiamarlo e dirgli che
sto tornando. Così non sarà sorpreso di vedermi
quando mi presenterò da lui.»
«Sarà contentissimo di risentirti, sei
mancato a tutti. A lui, alle ragazze, ad Artemis, a Luna...»
A Luna? «Nemmeno lei ha mai sospettato...?»
Usagi chinò la testa. «Fingevo di
ricevere le tue lettere. Quando chiedeva, le dicevo che avevi chiamato
proprio mentre lei era fuori. Credo che sospettasse qualcosa, ma... non
ha mai detto nulla. La sera si acciambellava contro il mio collo, per
non lasciarmi sola.»
Mamoru non resistette più. Tirò le mani
di Usagi, delicatamente.
Comprendendo, lei fece il
giro del tavolo, raggiungendolo per sedersi sulle sue ginocchia. Non
erano soli, ma a nessuno dei due importò.
Stringersi, consolarsi, era l'unica cosa che contava.
Le pareti dell'istituto superiore Juuban quel pomeriggio
avevano assunto una tonalità malinconica. La scuola era
diversa agli occhi di Usagi: si apprestava a diventare uno scrigno di
ricordi carissimo, in cui lei avrebbe continuato ad abitare senza
ricavarne
più le sensazioni di un tempo.
In futuro, accanto agli armadietti dell'ingresso, dove posava
le scarpe,
si sarebbe sempre aspettata di vedere la faccia allegra di Seiya, il
ghigno burbero di Yaten, la noia assorta di Taiki. Nei corridoi non
avrebbe più sentito il brusio delle loro fan che li
seguivano passo passo.
Alla scuola di Azabu-Juuban sarebbero mancate in eterno tre
stelle.
Chissà se gli altri avrebbero ricordato.
Chissà se la fama dei Three Lights
sarebbe sopravvissuta alla loro scomparsa.
Lei a casa aveva i loro cd. Quando la nostalgia l'avesse
invasa, avrebbe risentito le loro canzoni a iosa.
Magari non
tanto presto, pensò, voltandosi verso Mamoru.
Seiya e gli altri le
sarebbero mancati, ma associava la loro presenza all'assenza di
Mamo-chan. Aveva sognato così a lungo che quelle due parti
della sua vita si conciliassero... Si era immaginata che
Mamoru
tornasse, per presentarlo subito a Seiya.
Solo ora si rendeva conto di quanto
sarebbe stata crudele, ma visto quanto Seiya la prendeva in giro - per
il suo essere apparentemente sola - aveva sognato di sbandierare il suo
bellissimo ragazzo sotto il suo naso, per fargli vedere.
Nella sua mente Seiya si sarebbe ritratto sbattendo la mano
sulla fronte,
ridendo. «Mi hai fregato, Odango! Allora il tuo ragazzo
esiste davvero!»
Non aveva capito che Seiya aveva desiderato che lei non stesse
con nessuno, per averla per sé.
... a lei piaceva sognare e voleva ancora farlo. Un giorno
sarebbe
andata a trovare Seiya a casa sua. Avrebbe portato con sé
Mamoru, Chibiusa, magari anche le ragazze. Lei e Seiya
avrebbero
urlato di felicità nel rivedersi. In quel futuro lontano lui
l'avrebbe considerata
solo un'amica e sarebbe stato tanto contento di essere tornato a casa.
Anche lui avrebbe trovato qualcuno da amare e magari le avrebbe persino
presentato la
famiglia che si era costruito.
Mamoru continuava a guardarla, quieto. «È
dura
dire addio.»
Già. «Questo però è
solo un
arrivederci.»
«Proprio così.»
Una voce si intromise di prepotenza nei loro discorsi.
«Guarda chi sta facendo la sentimentale!»
Il cuore di Usagi si riempì di lacrime quando
riconobbe il
timbro. «Rei-chan!» La scovò in
fondo alle
scale e le corse incontro,
travolgendola.
Lei le massaggiò le spalle, travolta dai sussulti.
Non piangeva, rideva. «Ohi, basta! Io sono viva e vegeta,
sai? Conserva le tue lacrime per il saluto ai Three Lights!»
Nient'affatto. «Ho deciso di non piangere!
È troppo brutto salutarsi così!»
Rei le asciugò le guance bagnate
«È
vero. Inoltre cos'abbiamo inventato il teletrasporto Sailor a fare, se
non per qualche viaggetto extra-galattico in
futuro?»
Usagi sobbalzò. «Pensi che potremmo
usarlo per quello? Anche se si tratterà di andare
così lontano?»
«In effetti non è vicino...»
Emise un gridolino quando udì la voce di Ami!
Lei uscì da dietro gli armadietti al piano terra.
«Ieri ho parlato con Taiki» continuò
come se nulla fosse.
«Mi ha dato le coordinate del loro pianeta.
Dedicherò i prossimi anni a uno studio sul teletrasporto a
grandi distanze. Se ci sono riusciti loro... Nel frattempo, con studi
del genere, arriverò a grandi scoperte.»
Usagi stava ridendo mentre la avvolgeva forte tra le braccia.
Una figura a gambe larghe, con le mani puntate sulla vita, si
stagliò sull'ingresso della scuola, in controluce. Aveva due
gatti sulle
spalle. «Come mai mi state escludendo dagli
abbracci?»
«Minako!»
Corse subito a darle la sua parte. Venne intercettata a
metà strada da due braccia femminili che la sollevarono per
aria, senza sforzo.
«Prima tocca a me!»
«Mako-chan!»
Mentre le altre le raggiungevano per un abbraccio di gruppo,
Mamoru rimase in disparte sulle scale, sereno e un poco commosso.
Usagi non era mai stata sola.
Artemis era giunto ai suoi piedi.
«Bentornato, Mamoru-san.»
«Grazie, Artemis.»
«Mi sei mancato. Senza di te ero circondato da
donne.»
«Una vera sofferenza.»
Risero piano, per non disturbare. Mamoru guardò il
quintetto rappresentato da Usagi e dalle sue amiche - compagne
di
battaglie anche per lui.
«Non preoccuparti» dichiarò,
«non andrò
più via.»
Artemis era sorpreso. «Sei sicuro?»
«Sono sicuro. Sono tornato per restare.»
Quando arrivò all'ultimo piano della scuola e
uscì sul tetto, Usagi era molto più tranquilla.
Seiya, Taiki, Yaten e la loro principessa li attendevano
appoggiati
contro il parapetto. Il sole era rosso fuoco, come i capelli della
sovrana delle Starlights.
«Vi aspettavamo.» Fu lei a parlare per
prima, in maniera formale e ossequiosa. Si profuse in un inchino di
gratitudine. «Vi dobbiamo tutto, guerriere.»
Usagi la invitò a tornare
dritta. «Cosa dici? Senza le tue combattenti, io... Non
saremmo
qui.»
Kakyuu non voleva sentire ragioni. «Hai dato loro la
forza di credere in se stesse. Ora sono le stelle luminose che
ridaranno luce al nostro sistema planetario.»
«In poche parole» si intromise Seiya.
«Sono diventato un eroe!»
Usagi scoppiò a ridere, non da sola. Volle a
Seiya un bene dell'anima. Se non fosse stato per Mamoru - e
perché temeva di dare al suo amico false speranze - gli
sarebbe andata incontro e lo avrebbe stretto forte.
Minako incrociò le braccia, giocosa.
«Vedi di moderarti o col tuo ego farai affondare il
tuo pianeta!»
«Gliel'ho sempre detto anch'io»
chiosò Yaten.
«Me lo domando da un po'.» Makoto stava
rimuginando. «Siete così famosi anche nel vostro
mondo?»
«Nei nostri mondi» specificò
Taiki. «Ognuno di noi ha il proprio, si tratta di un sistema
planetario quadruplo. Il mondo più
bello però è quello della nostra
principessa» disse,
guardandola con ammirazione.
Lei sorrise mesta. «Non dite così. Il
nostro sistema è meraviglioso in ogni sua parte. Ora che
lo ricostruiremo, non solo lo riporteremo agli antichi fasti, ma gli
doneremo uno splendore mai conosciuto. Se qualcosa di buono
può
venire fuori da tanta distruzione e infelicità...»
Usagi incrociò lo sguardo di Seiya.
«Dovete tornare per ricostruire allora.»
«Già» annuì lui.
Non ci fu bisogno di altre parole tra loro. Per quanto il
saluto fosse improvviso e brusco, era necessario.
Con la coda dell'occhio, Usagi notò che Kakyuu
aveva fatto un paio di passi verso Mamoru.
«Tu possiedi il seme di stella di questo
pianeta» gli disse.
«Sì.»
«Lei ti aveva perso come io ho perso l'uomo che
amo.»
Mamoru si stupì della confessione.
Kakyuu non se ne vergognava, voleva condividere il proprio
sollievo.
«Credo che lui sia là ad aspettarmi. Era uno dei
semi di stella che Galaxia ha liberato.» La
ragione della sua disperazione felice, della sua fretta di partire, fu
più chiara che mai a tutti.
Kakyuu si immedesimava nella coppia di persone che si era
appena ritrovata. «Spero che anche voi
possiate vivere felici nella vostra casa.»
Mamoru sapeva di dover approfittare di quel momento per fare
le sue domande. «Abbiamo ancora molta strada da fare per
migliorare la Terra....»
Era una richiesta di suggerimenti, ma
Kakyuu non ne offrì alcuno. «Avrete tutto il tempo
che vorrete. Siete molto giovani, vero?»
Usagi comprese la domanda a un livello istintivo. La
principessa si riferiva a un'età che non era terrena.
Anzi, terrestre. «Sì, noi... siamo nati
solo pochi
anni fa.»
Le code rosse di Kakyuu dondolarono mentre annuiva.
«Anche le mie guerriere sono molto giovani, ma non quanto
voi.»
Usagi guardò Seiya a occhi spalancati.
«Anche tu vivrai mille anni?»
«Certo, per chi mi hai preso?»
«Cavolo! Quanto sei vecchio in
realtà?»
Lui tirò fuori la lingua. «Non te lo
dirò mai.»
Antipatico! Ma un
giorno - sì, un giorno si sarebbero raccontati tutto. La
prossima volta che si
fossero visti.
Usagi volle comunque dirlo ad alta voce, solo a lui.
«Questo non è un addio definitivo, vero?»
«No. Un giorno io ti rivedrò.»
Il tono accorato le lasciò un dubbio.
«Quando succederà...
ti presenterò meglio Mamo-chan, va bene?»
Seiya roteò gli occhi al cielo. «Non mi
aspetto altro.»
Usagi indietreggiò, iniziando a porre una
distanza tra loro - tra lei e tutte quelle persone meravigliose che
stavano per partire.
Più si fossero attardate, più sarebbe
stato difficile salutarle.
Le ragazze colsero il suo segnale e, dopo aver terminato le
loro conversazioni con Taiki e Yaten, la seguirono, disponendosi una
accanto all'altra di fronte all'altro gruppo.
«E così dovete andare»
sospirò Ami.
«Ci aspettano» rispose Kakyuu - parole di
circostanza, per riempire il silenzio di un saluto che stava giungendo
troppo presto.
Yaten volle rassicurarle sul loro futuro. «Proveremo
a costruire un nuovo mondo insieme alla nostra principessa.»
Appoggiata alla spalla di Ami, Luna aveva occhi solo per lui.
«Buona fortuna!»
Yaten le offrì un occhiolino complice che
scatenò la gelosia di Artemis.
Mentre tutti ridevano, Seiya si decise. Aveva pochi
secondi per parlare con Usagi. Quelle erano le ultime parole che le
avrebbe rivolto per molto, moltissimo tempo.
«Odango.»
Lei si voltò verso di lui. Vedendola
accanto al suo ragazzo, serena e finalmente completa, Seiya
riuscì a esprimere il sentimento disinteressato e giusto che
dava un senso all'amore che aveva
provato. «Sono felice che il tuo ragazzo sia tornato
da te.» Fu fiero di se stesso per essere riuscito a dirlo.
Usagi non si era aspettata nulla di diverso da lui.
«È stato anche grazie a te»
confermò. «Mi sei stato vicino e per questo sono
riuscita
a farmi forza.»
Già... Lui l'aveva sostenuta, l'aveva protetta,
l'aveva
incoraggiata. Aveva trascorso con lei giornate che avrebbe
voluto non terminassero mai. «Odango...»
Lei sollevò su di lui occhi blu cielo limpidi e
innocenti.
«Hm?»
Seiya l'avrebbe rivista un giorno - per forza - e forse per
allora
avrebbe provato qualcosa di diverso nei suoi confronti. Ma ora...
ora...
«Io non ti dimenticherò mai!»
dichiarò.
Il sorriso di lei lo accecò. «Ovvio!
Io e te saremo amici per sempre.»
Ma che-? Le risate dei suoi
compagni lo fecero vergognare. «Smettetela!»
Taiki non ci pensava neanche. «Ti ha
fregato!»
Nella squadra delle Sailor terrestri più che
prendere in giro lui, si stavano focalizzando su Usagi, che davvero non
aveva capito. O forse, pensò Seiya, lei aveva compreso e
non riteneva di dovergli dire altro.
Andava bene ugualmente, giusto? Odango era sempre stata
così. Se fosse stata diversa, lui non si sarebbe
affezionato tanto.
Dopo gli ultimi convenevoli, indietreggiò insieme
agli altri verso il bordo del tetto. C'era
bisogno di spazio per dare il via al salto interstellare. Kakyuu
avrebbe impresso il grosso della spinta solo
quando si fossero trovati in orbita, ma la prudenza non era mai troppa.
Mentre si allontanava, Seiya si accorse di non aver ancora
parlato con la persona che aveva trascorso molto tempo a detestare. Si
voltò. «Mamoru-san!»
Il ragazzo di Usagi - ovvero il principe della Terra e la
nemesi
contro cui lui non aveva mai avuto alcuna speranza - lo
guardò con attenzione.
Per non sentirsi totalmente inutile, a Seiya andava di fare un
passaggio di consegne. «D'ora in avanti proteggila
tu.»
Il suo vittorioso rivale non mostrò alcuna reazione
di fronte alle sue parole.
Era proprio di ferro. «Questa cosa»
specificò Seiya, «mi è stata detta da
una tipa
che fa tanto la dura.»
Finalmente il messaggio passò. «Ho capito
di chi parli.»
Per forza, una come Uranus non si dimenticava.
Seiya raggiunse i suoi compagni e la principessa, piazzandosi
accanto a loro. Chiudendo le palpebre, assunse le vesti di Sailor Star
Fighter.
Taiki cedette per primo. «Statemi bene!»
Seiya lo seguì a ruota. «Ci
vediamo» disse a tutti, rivolgendosi soprattutto a Usagi.
La principessa ringraziò un'ultima volta e Yaten,
con
sorridente noncuranza, chiuse la carrellata con un tutt'altro che
poetico 'Bye bye'.
Non per niente era stato Taiki a scrivere i testi delle loro
canzoni.
Le ragazze dedicarono a tutti qualche parola finale,
ma Seiya udì solo Odango quando lei disse, 'Vi aspettiamo'.
Sì,
le rispose in cuor suo.
Aspettami. Un giorno io...
Chiuse gli occhi e si sentì librare in
aria.
Si
trovava già nell'atmosfera quando si voltò verso
la Terra e mormorò...
«Addio.»
Viaggiò verso casa, alla ricerca di un nuovo inizio.
Nota del
dicembre 2022: ehm, ho cambiato un pochino la scenetta di
Mamoru che prende in braccio Usagi, all'inizio. Lui mi sembrava un po'
troppo sdolcinato e ho provato a renderlo un pochino più
timido/ritroso, pur senza cambiare le sue azioni e intenzioni.
Nota del 2020: ebbene
sì, dopo dodici anni sono tornata a revisionare questa
storia e
ho pesantemente modificato la seconda parte di questo secondo capitolo.
Ho voluto renderla più scorrevole, più vivida e
meno
didascalica. Spero che vi piaccia.
Se avete commenti al
capitolo, io leggo sempre tutte le recensioni, anche quelle vecchie :)
ellephedre
NdA: scusate per non aver
inserito la parte da rating Rosso promessa
già in questo capitolo.
Ero convinta che avrei
esaurito
questa parte in
molte meno parole, ma
poi ho sentito che facendo altrimenti avrei avuto un buco narrativo
molto grosso. E ho voluto scrivere meglio anche della partenza
delle Starlights (i dialoghi sono presi dall'anime, come avrete
notato).
L'idea della Principessa
Kakyuu
che ha perso anche
lei l'uomo amato
è tratta dal manga, niente che mi sia inventata io. Come
avrete
notato, ho usato i nomi originali per le guerriere Sailor nemiche;
anche quelli li ho presi dal manga.
Vi ringrazio di aver letto
anche
questo capitolo.
L'altro è da
rivedere
ma è
scritto praticamente
nella sua
interezza. Per cui ci metterò meno a metterlo online e
lì
sicuramente c'è la parte da rating Rosso.
Ringrazio tutti per le
recensioni. Leggere di
essere stata in grado di
comunicarvi qualcosa di speciale mi ha fatto estremo piacere.
Mi piacerebbe molto
ovviamente
anche sentire cosa
pensate di questa
seconda parte.
Ciao a tutti.
Ellephedre
|
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Capitolo 3 *** Terza parte - Amarsi ***
oltrelestelle3
Oltre
le stelle
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Terza
parte - Amarsi
Ed erano andati.
Per un lungo momento, Usagi si sentì invadere da una
profonda
sensazione di malinconia: l'arrivederci poteva essere un addio.
Seiya, Yaten, Taiki,
Kakyuu... se è addio, siate per sempre felici.
Lasciò perdere la tristezza: certo che lo sarebbero stati,
si disse. C'era pace per tutti ora. Anche sulla Terra.
Voltò la testa di
lato. «Ragazze, vi va di incontrarci
domani pomeriggio?»
Minako si illuminò. «Per un po' di all-girls
time?»
Eh?
«Ehm, se ho capito bene quello che hai detto,
sì. Rei, possiamo stare da te?»
«Sicuro. Che ne dite delle tre?»
Usagi annuì e così fecero le altre.
Le sue care amiche. Compagne di battaglie, sorelle nell'anima.
Aveva bisogno di passare del tempo anche con loro.
Si salutarono all'uscita della scuola.
Con un ultimo sguardo, Usagi le osservò voltare l'angolo
oltre il muro di cinta dell'istituto.
Come aveva potuto non confidarsi con loro? Aveva sbagliato. Era
stato un errore tremendo non fidarsi delle sue amiche. Avevo mentito
anche a se stessa, rifiutandosi in prima persona di vedere la
realtà. Non ne aveva parlato con nessuno per non rendere
l'abbandono
fittizio di Mamoru più reale e doloroso. Aveva lasciato
passare
i giorni nella speranza che una chiamata di lui
risolvesse tutto, senza costringerla mai ad ammettere che era stata...
dimenticata, lasciata.
Quanto era stata stupida.
Stupida, amiche,
tremendamente sciocca. Riuscirete a perdonarmi?
Loro l'avevano sempre perdonata, forse anche quando non avrebbero
dovuto; si comportavano sempre così con lei. Era care e
ottime
amiche, le migliori che una scioccherella come lei potesse mai sperare
di avere.
Proprio perciò, si disse, doveva rivelare loro tutto, ogni
sua
più
piccola motivazione. Non doveva mai permettere che
immaginassero che non
aveva avuto fiducia nella loro capacità di aiutarla. Non
dovevano assolutamente credere che le avesse lasciate volontariamente
da parte.
Annuì tra sé, decisa.
Scorse un'occhiata silenziosa di Mamoru, che camminava accanto a lei;
non le chiese nulla, la lasciò ai suoi pensieri.
Era troppo buono anche lui. Da quando era tornato, sorridere era
diventato di nuovo meravigliosamente semplice. «Mamo-chan?»
«Hm?»
«Spiega un
po'
cos'ha detto Minako. Cos'era quello strano suono davanti a girls e
time? Ah,
ragazze e tempo, giusto?»
Lui annuì. «Ha detto 'all'. Significa 'tutto' ma
in questo
caso anche 'solo'. Una buona
traduzione dell'espressione usata da Minako sarebbe 'tempo per sole
ragazze'.»
«Ma è la stessa parola che significa due
cose
diverse!» Non trattenne il sospiro di rassegnazione.
«Ecco
perchè non imparerò mai l'inglese.»
«Non
è vero.» Si sentì prendere la mano.
«Anche il
giapponese è una lingua difficile, eppure la conosci bene.
Si
tratta solo di afferrare la mentalità dietro un idioma,
impararne le regole ed i vocaboli. Se vuoi, ti darò delle
lezioni intensive per aiutarti.»
Lezioni? Oh, era sempre il solito. «Mi metti in
difficoltà se metti insieme
una
delle cose che amo di più, passare del tempo con te, con una
delle cose che odio di più, studiare. Non puoi pretendere
che
scelga.» In parte era uno scherzo, ma non del tutto.
Lui tirò fuori un sorriso e le chiavi dell'auto. Le
avvicinò alla portiera.
«Hai lasciato qualcosa nel mio
appartamento, giusto? Se vuoi, andiamo a prenderlo e poi ti porto a
casa.» Rifletté. «O
puoi lasciarlo da me e magari venire a recuperarlo domani.»
Usagi si morse le labbra. Già.
«Ecco, veramente...» Si fece coraggio.
«Nello
zaino che ho lasciato nel tuo appartamento c'è un pigiama.
Stamattina...» Eliminò il
sorriso nervoso. «Beh,
ho pensato che per un po' non volevo starti
lontana. Alla mamma ho detto che sono in gita con le ragazze, quindi...
non ci sono problemi. Se per te va bene.»
Gli andava bene, capì subito. Anzi, era raro vedere una
simile luce
nel viso del suo Mamo-chan: lui non riuscì proprio a
nasconderla.
«Ma certo.
Allora torniamo a casa mia a
cenare.»
Usagi annuì soddisfatta e salì nella macchina
appena aperta.
Mamoru accese l'auto e partì, tranquillo e sereno. Non
avrebbe
mai potuto proporre per primo quella soluzione e che l'avesse
fatto
Usagi era stato insperato e liberatorio. Continuava a sentire il
bisogno
di averla accanto
a tal punto che avrebbe finito col presentarsi a casa di lei il
giorno seguente, probabilmente non più tardi del primo
raggio di
sole. Per fortuna, non doveva più preoccuparsi di
imbarazzarsi in quel modo.
Usagi avrebbe dormito nel suo appartamento ed era tutto sistemato.
Costringere gli angoli della bocca a non andare ancora più
in alto gli
risultò molto difficile: il
pensiero di poter riposare assieme a lei, di poterla vedere prima di
addormentarsi, semplicemente girandosi nel letto, era-
No.
«Il
divano...»
Deglutì. «E'
un divano letto. Posso dormire io
lì, come preferisci.»
Usagi annuì
debolmente. Giusto, pensò. Il letto.
Quella stessa mattina aveva avuto un solo pensiero in
merito: non
lo aveva giudicato un problema. Avrebbe dormito nello stesso letto di
lui, ovviamente.
Non voleva più sognare la sua morte senza
poter constatare subito che era stato solo un orribile incubo.
Prima di addormentarsi voleva poter udire il suo
respiro lento nel buio della stanza e la prima
cosa in cui voleva perdersi, la mattina, erano i sui occhi blu, che le
erano mancati per troppo tempo.
Era un'immagine talmente bella che
dormire insieme, per un momento, continuò a sembrarle solo
un'ottima idea.
Ma non lo era più, non del tutto.
Quella mattina...
Ricordò il loro primo bacio, pieno di... passione, non
sapeva come altro definirla. E non si era
mai manifestata così, tra loro. Lei stessa aveva desiderato
quel bacio come poco altro in
vita sua; aveva voluto il corpo di lui stretto al suo, sopra il suo,
contro il suo. E
quando i loro bacini si erano strofinati... Il fiato
le mancava
ancora.
Inutile girarci attorno, no?
Sesso.
O, nel loro caso, fare l'amore.
Ma, meccanicamente, sempre sesso.
Lei non ci aveva mai pensato in maniera... concreta. Le poche
volte che aveva tentato di immaginarlo era arrossita come una bambina,
persino di notte e nell'oscurità della sua camera,
completamente da sola. Aveva
preferito tornare a
concentrarsi sul pensiero dei baci, ché quelli da soli
bastavano a
farle
battere il cuore nel petto quanto desiderava.
Ma ora... ora era successo tutto e allo stesso tempo niente,
però come avrebbe potuto tornare a pensarla come prima?
Il loro
rapporto aveva fatto
un grosso balzo in avanti, forse troppo rapidamente per un passo
simile, e ora lei aveva un'idea di cosa avrebbe provato. Soprattutto,
aveva un'idea di cosa si provasse a desiderare di fare
qualcosa di simile.
Una parte di lei, folle e audace, già bramava l'esperienza,
ma un'altra parte di lei, quella che continuava a
prevalere, non si
sentiva ancora
pronta.
E Mamoru? Lui non aveva mai spinto in quel senso, non le aveva mai
fatto sentire alcuna pressione, nonostante fosse più grande
e
forse per lui...
Si ricordò improvvisamente di qualcosa di molto
importante.
Guardò rapidamente fuori dalla finestra, identificando i
propri dintorni. «Mamo-chan, ti dispiace lasciarmi
qui?»
Stupito, lui iniziò a rallentare.
«Perché?»
Non appena la macchina si accostò al marciapiede, Usagi
uscì. «Devo
comprare una cosa.» Prese
dal sedile la propria
borsa. «Non
aspettarmi, ormai siamo quasi arrivati a casa
tua. Faccio quel che devo e poi arrivo.» Chiuse la portiera.
La sorpresa di lui non era scomparsa: la guardava incerto da dietro il
finestrino aperto.
«Avanti, vai!»
Mamoru si ritrovò a premere sull'acceleratore,
tornando in strada.
Davanti al semaforo
rosso
alla fine della via, si fermò.
Cosa diavolo le era
preso?
Usagi si diresse di corsa verso la pasticceria che aveva visitato
quella
stessa mattina.
Era il tre agosto... il compleanno di Mamoru!
Si era dimenticata del suo compleanno!
Erano giorni che ci stava pensando, sperando magari che lui si facesse
sentire per quella data, desiderando con tutto il cuore che il
calendario segnasse i fatidici tre
e otto
insieme. E quel giorno era arrivato senza che lei nemmeno se ne
accorgesse.
Neanche lui lo ricordava, ne era sicura.
Non era tipo da aspettarsi feste, regali o anche solo auguri, ma era
comunque certa che non ricordasse. E come poteva, d'altronde?
Lei trovò la pasticceria aperta, fortunatamente un negozio
ad
orario prolungato.
Diede fondo ai suoi risparmi e comprò la torta
più bella tra
quelle esposte in vetrina. Portarla a casa fu una vera soddisfazione.
Casa.
Casa era la casa dei suoi genitori, la casa dove si trovava la sua
stanza, la casa che aveva ospitato la cameretta di Chibiusa.
Eppure, ora le sembrava
casa anche l'appartamento del ragazzo che amava.
Sapeva di avere solo sedici anni, sedici anni che nei momenti
più difficili le erano sembrati trenta. Cento, persino.
E Mamoru ne aveva solo diciannove, compiuti quello stesso
giorno.
Eppure, immaginò ugualmente che la sua casa fosse anche
quella
di lui, di poter tornare ogni giorno nel suo appartamento e vivere e
dormire
lì, stando con la persona che amava sopra ogni altra cosa.
E... non le sembrò più un concetto assurdo
e impossibile, ma un sogno dal sapore concreto.
Sì, era quasi pronta a vedere quel progetto diventare
realtà.
Si fermò un attimo sui propri passi, spaventata dall'idea...
di
non esserne spaventata. Durò qualche secondo,
perché la
sua mente, o forse il suo cuore, scalpitavano per viaggiare in quella
direzione almeno col pensiero e lei non era in grado di fermare
né
l'uno né l'altra.
Vivere insieme.
Le si accese un sorriso che non volle interrompere.
Vivere insieme.
Forse quando avrebbe compiuto
diciotto anni, pensò. Forse potevano sposarsi subito dopo.
Alzò la mano per guardare l'anello che portava al dito.
Magari anche Mamoru lo avrebbe voluto.
Fino a quel momento lei aveva desiderato immensamente di poterlo
sposare un giorno futuro, ma in maniera idealizzata, sognatrice. Ora
invece lo voleva davvero.
Tempo, si ricordò. C'era da ancora aspettare. Per adesso, si
disse, potevano iniziare a trascorrere ancora più giorni
e sere
assieme,
magari.
Rise tra sé e sé, sentendosi riempire di un amore
dolce e
insistente.
Sì, più tempo assieme, perché non
voleva
mai più stargli lontana.
Riprese a camminare.
Quando entrò nell'appartamento di lui e tolse le scarpe
sull'ingresso, Usagi si sentì chiamare dalla stanza da
letto.
Impaziente, corse a cercarlo e lo trovò
intento a
cambiare le
lenzuola del letto, la valigia sfatta e ormai mezza vuota.
«Mamoru, vieni di là un attimo. Ho comprato una
cosa.»
Lui si lasciò trascinare per una mano e, una volta in
salotto,
riconobbe subito il contenuto della confezione sul bancone.
«Una torta? Oggi hai proprio assaltato la
pasticceria.»
Era tremendo! «Ah bene, se la pensi
così...» Fece per
allontanarsi, ma
lui la
trattenne per la mano che ancora si stavano stringendo.
Usagi gli sorrise, ma si staccò ugualmente.
«Mamo-chan,
guarda...» Aprì la
confezione e
tirò fuori da una busta
un paio
di candele. Le appoggiò sulla torta.
I piccoli fusti di cera azzurra avevano forma
di numero: uno e nove.
Solo allora Mamoru capì.
Usagi scorse la sorpresa che si era aspettata e, subito dopo, anche
l'espressione
che le fece comprendere che lui si era ricordato il motivo per cui il
suo
compleanno era arrivato così presto.
Morto per tre mesi.
Non erano bei pensieri.
Lo abbracciò con forza.
«Buon
compleanno Mamo-chan.»
«Era questo che ti eri
ricordata in macchina... » Il mento di lui si
appoggiò sulla sua testa.
Staccandosi, Usagi prese a trafficare col fornello
della
cucina fino a che non ebbe acceso una delle due candele.
Usò la fiammella viva per accendere anche l'altra.
Dopo che le ebbe sistemate entrambe sulla torta, sollevò il
dolce per la base in plastica,
tenendolo
bene in alto e rivolto verso di lui.
Tossicchiò. «Allora... Taanti auguurii a tee»
intonò. Cercò di evitare le stonature, ma le
uscirono lo stesso.
Lasciò perdere l'intonazione e si limitò a
cantare, proprio come aveva fatto l'anno
precedente.
Mamoru osservò la luce delle candele risplenderle negli
occhi blu.
Casa.
Preparono la cena, mangiarono, rassettarono,
tolsero un po' di polvere
dall'appartamento e parlarono un po' di tutto.
Usagi gli raccontò qualche episodio dei tre mesi passati,
evitando
accuratamente ogni riferimento alle battaglie combattute. Aveva pensato
che fosse ora di
darsi un po' di tregua e smettere di pensarci, almeno per un po'.
Insieme rammentarono anche qualche momento del tempo passato con
Chibiusa.
L'atmosfera era piacevole, ma diversa da quella che c'era stata tra
loro durante la giornata.
La notte si avvicinava, lo percepivano entrambi.
Usagi lo sapeva semplicemente perché si sentiva a
sua
volta a
disagio all'idea che mancasse sempre meno all'ora di andare a dormire.
Certo, avevano deciso di dormire separatamente, ma erano da soli, ed
era... notte. Non avevano mai trascorso la notte da soli
nell'appartamento di lui.
Appena tre mesi prima non sarebbe stato un problema, ma ora lo amava
disperatamente e sentiva che, se lo avesse
baciato di nuovo, come voleva tanto fare, magari dopo
avrebbe
trovato tanto più comodo sdraiarsi e poi avrebbe trovato
così bello sentirlo sdraiato su di sé, la sua
bocca sulla
propria e poi-
Non c'era niente che potesse impedire un poi.
Ed era meraviglioso.
E troppo.
Entrambe le cose non erano mai state così vere.
Sospirò, fisicamente stanca.
Tutto quello che era accaduto il giorno prima faceva ancora sentire i
suoi effetti; durante la giornata la spossatezza le aveva solo
concesso una breve pausa.
Sbadigliò sonoramente.
Mamoru fece per sorridere, ma la bocca gli si allargò in
uno sbadiglio rotondo.
Risero insieme.
«Vado a prendere altre lenzuola» disse lui.
Usagi annuì e si diresse verso lo zaino che aveva portato.
Lo
prese e lo portò con sé in bagno. Lì,
osservò la vasca bianca, pulita e si morse le labbra.
Era sempre così
piacevole dormire dopo una bella
doccia...
Mamoru aveva tirato fuori molti asciugamani nuovi,
perciò c'era tutto l'occorrente per una doccia rapida. Il
lavaggio dei capelli era da escludere: per quelli le ci voleva sempre
almeno mezz'ora
buona.
Li annodò sopra la testa, in modo da non farseli ricadere
addosso,
e poco dopo sentì la rilassante carezza dell'acqua sul corpo.
Quando, molti minuti dopo, tornò in salotto, con indosso una
maglietta rosa e i
pantaloncini gialli del pigiama, il divano era già stato
rivoltato
e
preparato come letto.
Mamoru rientrò dalla sua stanza. Lanciando una rapida
occhiata nella sua direzione, produsse un sorriso divertito.
Usagi aggrottò la fronte. «Cosa
c'è?»
«È solo che... ora
ho un altro motivo per chiamarti Testolina
Buffa.»
Cavolo, si ricordò lei. I codini erano ancora annodati.
«Uffa. L'ho fatto
solo per evitare che i capelli
si
bagnassero.»
«Lo so, ho sentito scorrere l'acqua. Però sei
sempre una Testolina
Buffa.»
Oh, era peggio che tremendo! «Possibile che continui ancora a
volermi prendere in
giro?»
Poche parole in cui Mamoru percepì un'innegabile punta di
fastidio. Ne
rimase
momentaneamente sorpreso ma l'espressione di lei non
cambiò.
Mamoru si rese conto che non era più tempo di scherzare.
«Scusami.»
La sfiorò su un gomito. «Non voglio
farti del male, è solo che quando ti prendo in giro fai
una
faccia...» Si fermò, non riuscendo a spiegarsi. O
meglio,
sapendo fin troppo bene come spiegarsi.
Si sarebbe arrabbiata ancora di
più? si chiese.
«Che faccia?» insistette lei.
«Adorabile.» Forse era la parola più
giusta.
«Adorabile?
Come un cagnolino?»
«No, come...» Ma non c'era un termine di paragone,
Usagi somigliava ad Usagi.
Eppure, da come lo stava
guardando lei,
era chiaro
che la spiegazione non era sufficiente.
«Adorabile perché... più viva, Usa.
Quando
ti
punzecchio è come se per un momento... ti accendessi. E
credo di accendermi
un po' anche io.» Sì, era più o meno
così.
Usagi sospirò: Mamoru era un genio a farle dimenticare
qualunque
risentimento. «Uffa, potevi dire qualcosa di meno carino o
intelligente.»
Intenerita, gli prese una mano. «E poi ci sono modi
più piacevoli per accenderci, no?»
Gli occhi di lui si aprirono appena. E, lentamente, si fecero
più scuri, fissandosi intensamente su di lei.
... modi piacevoli per
accendersi.
Le esplosero le guance. Oh!
Divenne acutamente consapevole del
crescente calore che
sentiva in corpo, più forte proprio nella mano con cui lo
stava toccando.
La staccò di colpo.
Lui fece per riprenderla, ma la guardò in faccia e
sembrò colpito.
Interruppe il movimento.
Usagi si voltò e trovò il divano davanti alle
proprie ginocchia. Vi inciampò contro.
«Ehi, stai-»
«Sì!» scattò a sedersi lei.
«Sìsì,
va tutto bene.» Si
allontanò impercettibilmente dalla mano che lui aveva teso
per aiutarla. Come una scema, scoppiò a ridere.
«Che
disastro che sono!»
Lui la imitò malissimo. Non si stava affatto divertendo,
era... ferito. Le segnalò con lo sguardo la camera
da letto.
«Sono...
di là.»
Mortificata, Usagi rimase ad osservare le proprie ginocchia.
Scema, scema, scema.
Sollevò gli occhi solo quando Mamoru uscì dalla
sua stanza, i vestiti in mano.
Prima di dirigersi in bagno, lui le rivolse un rapido sorriso,
un'espressione che lei conosceva molto bene.
Nel corridoio risuonò la chiusura di una porta.
Sospirando, Usagi si lasciò
ricadere sul divano letto. Quanto, quanto
poteva essere scema?
Non era stata sua intenzione tenerlo lontano, solo... aveva avuto
bisogno di un
attimo di tempo? Sì, ecco.
E no, non andava tutto
bene, come aveva cercato di farle capire lui: respingerlo
in un qualunque modo era sbagliato, sbagliatissimo.
Sospirò.
Nella stanza si diffuse un suono squillante.
Oh! Il sailorofono.
Corse in corridoio, verso il suo zaino. Si
inginocchiò e aprì la tasca anteriore, fino a
poter premere un bottone qualunque dell'apparecchio.
«Ciao Usagi.»
Usagi la riconobbe ancor prima di vederla.
«Michiru!»
Michiru le sorrise nel solito modo splendido. Era chiaro che si
trovava fuori: dietro di lei si stagliava il cielo notturno, quasi nero.
«Abbiamo chiamato
per salutarti. Di' ciao, Haruka.»
Lo sbuffo fu trasmesso sotto forma di sospiro metallico. Sul piccolo
schermo apparve ugualmente l'espressione della forza e
della determinazione, Haruka Tenou in tutta la sua serena tenacia. Le
incrociò lo sguardo con un occhiolino.
«È
stato
un
ottimo lavoro, Usagi, lo sai vero?»
Si
riferiva ad ogni cosa.
Usagi annuì. «Anche il vostro. Lo sapete,
vero?»
Il rigido smarrimento di Haruka quasi le spezzò il cuore, al
pari del lieve tremolio nell'immagine, frutto dello sgomento di Michiru.
Ribadì con forza il concetto. «È
così.» Sorrise, scuotendo piano la testa. E'
proprio così. Avete fatto tutto il possibile.
Le palpebre di Haruka scesero sui suoi occhi stanchi. Piegò
il capo in un lento inchino, un gesto di accettazione e
gratitudine per
il perdono
ricevuto.
«Fatela vedere anche a me!»
Alla risata sommessa di
Michiru seguì il viso di- «Ciao Usagi!»
«Ciao Hotaru!»
Che sorriso innocente, s'intenerì Usagi. Ora Hotaru era una
bambina felice, come
avrebbe
sempre dovuto
essere. Vederla
così giovane le fece tanto ricordare Chibiusa.
«Che farai
ora?»
«Tornerò da papà. Io e
te ci vedremo
ancora, vero?»
Come poteva dubitarne? «Certo.»
Hotaru annuì e la salutò scuotendo allegramente
la mano. La visuale si
spostò verso l'alto.
L'aria grave e affettuosa di Setsuna era impareggiabile: ci
riusciva solo
lei.
«Setsuna.»
«Principessa.» Non le fu dato il tempo di
protestare per il titolo. «Siamo fieri di te. Porgi i
miei saluti
anche al principe. Ci rivedremo.»
Concisa e di poche parole.
Usagi si lasciò sfuggire un sorriso.
«Sì.
Arrivederci Setsuna.»
Era ora per Sailor Pluto di
tornare alla
volta del tempo.
Sullo schermo tornò il viso di Michiru. «Usagi...
io e Haruka
andremo
via
per un po'. Torneremo a Tokyo fra qualche tempo. Ci faremo
sentire.» Non disse altro, come se stesse cercando le
parole adatte a giustificare la loro scelta.
Non le dovevano alcuna spiegazione.
«Ehi, è bellissimo il cielo dietro di voi. Dove
siete?»
Le rispose uno sguardo rilassato.
«Sulla spiaggia. Sai,
abbiamo visto delle stelle volare oggi.»
Stelle umane che tornavano a casa.
Sorrisero entrambe.
«E tu?
Neanche tu sei
a casa.» La voce di Michiru assunse un tono malizioso.
«Abbiamo sentito
le altre
guerriere poco fa e sono tutte a dormire da Rei. Tu non sei da
Rei.»
Usagi si sentì
arrossire. «Hmm...
no.»
Fuori dallo schermo, risuonò la breve risata di Haruka.
«Salutaci Mamoru, Usagi. E mi raccomando, recupera il tempo
perso.»
Michiru si unì all'allegria. Quindi guardò
attraverso
l'apparecchio e anche lei inchinò la testa. Rispetto e
affetto. «Arrivederci.»
Lo schermo si spense.
Usagi fissò la parete bianca davanti a sé.
E così, capì, anche loro andavano. Separatamente,
tornavano alle loro vite.
Non sarebbe stato come per lei con le ragazze, non sarebbero seguiti
giorni di svago da passare assieme: Haruka e Michiru si riunivano con
Setsuna ed Hotaru solo in previsione
di una battaglia. Avevano vissuto assieme in quei
mesi proprio a causa di Galaxia eppure la loro
quotidianità non includeva le altre, tralasciando
Haruka e Michiru. Forse c'entrava anche la differenza di
età, ma era una cosa... triste.
Si sdraiò sul sottile materasso del divano, spostando le
lenzuola in fondo al letto.
Contemplò il soffitto.
Forse in futuro le cose sarebbero cambiate.
Hotaru sarebbe cresciuta, Haruka e Michiru sarebbero tornate e
Setsuna...
Doveva esserci un modo perché Setsuna potesse
condurre
una
vita normale, no?
E poi... già, il futuro sarebbe stato comune, per tutte.
Non più guerriere che nascondevano la propria
identità al
mondo, ma persone che assumevano il ruolo che spettava loro fin dalla
nascita.
Si girò di lato, affondando la guancia nel cuscino.
Principessa.
Regina.
Deglutì.
No, se ci pensava adesso, sarebbe stata travolta. Troppe
implicazioni, troppe emozioni piacevoli e spiacevoli insieme.
Abbracciò il
cuscino: aveva un buon odore di detersivo, di federa nuova e pulita.
... se fosse stato l'odore di Mamo-chan, sarebbe stato molto
più buono.
Mamoru.
Oh, come aveva potuto trattarlo in quel modo?
Doveva rimediare. Appena fosse uscito dal bagno, gli sarebbe andata
incontro dicendogli che era stata una stupida ad aver avuto paura di-
Nel corridoio, si aprì una porta.
Lui ricomparve sulla soglia del salotto, indosso una canottiera nera e
dei pantaloncini corti.
Era vestito quasi come lei, ma lei era molto più... esile.
Meno alta. Meno... grande e forte.
Le si seccò la gola. «Ah... Hanno chiamato Setsuna
e le
altre. Ci salutano.»
Incrociargli lo sguardo la aiutò a superare il nervosismo:
quelli erano solo gli occhi sorpresi del suo Mamo-chan di sempre.
«Stanno bene?»
«Sì. Hotaru
tornerà da suo padre, Setsuna alla volta del tempo e Haruka
e Michiru... si riposeranno un po'.»
«Se lo meritano. Hanno
tentato il tutto per tutto.»
Sapeva che sarebbe stato d'accordo con lei. «Si
sentivano un po' in colpa, ma ho fatto capire a tutte e due
che non dovevano.»
Lui annuì, sereno. «Hai
fatto bene.» Adocchiò il divano su cui era seduta.
«Dormi qui allora? Se
vuoi, puoi prendere il mio letto.»
«No, non preoccuparti. Sto già
comoda.» Tese le dita verso di lui.
Mamoru si avvicinò; lei gli prese una mano e se
la
portò alle labbra, per baciarne il palmo.
Sono una sciocca, ma ti
voglio bene, Mamo-chan.
Forse poteva essere meno sciocca ancora e chiedergli di rimanere un po'
lì con lei, ad abbracciarsi un pochin- Sbadigliò.
Lui rise sommessamente e si piegò in avanti. La
sfiorò sulla guancia con un bacio tenero, piacevolissimo.
«Dobbiamo riposare.
Buonanotte.»
...
non andare. «'Notte.»
Prima di spegnere la luce, lui la salutò di nuovo con gli
occhi.
Poi vi fu il buio e la sua figura che spariva oltre il corridoio,
appena una porta più in là.
Usagi si ritrovò illuminata dalla luna, con una stanchezza
che non sapeva come tramutare in sonno.
Le palpebre pesanti non riuscivano a rimanere chiuse.
Mamoru le lasciò scendere un'ultima volta prima di
rassegnarsi
a guardare di nuovo il soffitto.
... Avrebbe dovuto chiederle di
dormire assieme a lui. Usagi avrebbe capito che da parte sua non
c'erano secondi fini, che si
trattava solo di starle accanto.
O forse no. Magari il disagio di lei sarebbe aumentato davanti ad una
proposta come quella?
Sbuffò silenziosamente. Se non fosse stato per quella
mattina,
non gli sarebbe nemmeno mai venuto il dubbio. Se fosse potuto tornare
indietro, avrebbe...
Fu onesto: non avrebbe cambiato nulla.
Ora sapeva con quale forza Usagi fosse capace di stringersi a lui, come
fosse in grado di rispondere al bisogno che lei stessa gli suscitava.
Usagi gli aveva divorato la bocca, gli aveva messo le mani nei capelli,
lo
aveva stretto a sé come se non potesse fare a meno di
sentirlo contro ogni parte di lei. Abbracciandolo, si era
modellata contro di lui, lo aveva accolto tra i suoi fianchi. Aveva
spinto il bacino verso l'alto,
proprio mentre lui completava lo stesso movimento al contrario. Per un
istante brevissimo, le era sfuggito dalla gola un sospiro
così...
Si girò di fianco, improvvisamente scomodo.
Un sospiro capace di confonderlo, concluse, di rendere una cosa sola la
Usagi di
tante fantasie e la Usagi della realtà.
La Usagi dei sogni a cui si era avvicinato con inesorabile
necessità - all'inizio quasi sentendosi in colpa - era una
creatura timida, silenziosa, dai grandi occhi blu che rispecchiavano il
suo stesso desiderio. Pronunciava due sole parole mentre si lasciava
andare lentamente, abbandonandosi al tocco delle sue mani: il suo nome
e... sì.
Non parlava molto. Sospirava. Si sforzava di tenere la bocca chiusa,
gemeva pianissimo. Si muoveva contro di lui, si inarcava. Lo accoglieva
dentro di sé con sorpresa ma senza esitazioni, imparando a
riceverlo daccapo o traendone piacere continuo, come se fossero uniti
da sempre.
La Usagi della realtà ancora arrossiva innocentemente quando
terminavano un bacio più profondo degli altri. Gli si
attaccava al gomito perché non riusciva a stargli lontana,
avvicinava le labbra alle sue col sorriso dell'amore che non sarebbe
mai stato placato, gli portava le braccia attorno al corpo,
stringendolo forte e appoggiando la testa contro il suo petto, felice
di trovarsi con lui.
Era innamorato di quella Usagi.
Di lei, della sua innocenza e anche del corpo che acquisiva una nuova
curva con ogni mese che passava, che si faceva meno infantile sul viso,
più morbido e bello sulle gambe agili, sulla vita sottile,
sulla schiena liscia... e anche dove lui non la poteva toccare.
Le fantasie erano iniziate così, senza che nemmeno lo
volesse.
Fantasie...
Silenziosamente, rise. Alla fine, fantasticava anche lui su loro due,
proprio come
faceva Usagi.
Non era un male. Le fantasie potevano sostituire la realtà,
almeno per un po', e diventare un gioco che si poteva far avverare in
due, come aveva fatto lui con Usagi durante quel pomeriggio. Era stato
divertente e dolce poter esaudire una richiesta tanto romantica; ad
Usagi era piaciuto molto.
... a lui sarebbe piaciuto molto di più poterla rendere
partecipe della sua immaginazione, ma sapeva che ci sarebbe voluto
ancora qualche
anno. Nel frattempo, almeno, lei si sarebbe trovata più a
suo agio con l'idea di scambiarsi baci un po' meno corti e meno casti;
sarebbe venuta a casa sua più spesso e, di tanto in tanto,
avrebbero potuto stare un po' sul divano ad... accarezzarsi. Un po'.
Le sarebbe piaciuto.
... forse per qualcosa di simile alle sue fantasie poteva volerci meno
tempo: non anni, ma... mesi. Se lei fosse venuta a casa sua con una
certa frequenza, forse persino settiman-
No.
No, era troppo presto.
L'idea la metteva a disagio: quando ci pensava, Usagi non riusciva
nemmeno a guardarlo negli occhi, voleva allontanarsi da lui.
Quella mattina non era stata un errore, ma di sicuro un salto troppo
grosso e rapido.
E quello stesso giorno avevano avuto anche necessità di
parlare di cose che non si era mai detti con tanta chiarezza, di
appianare un'incomprensione che non sarebbe mai dovuta sorgere tra loro.
Usagi gli aveva aperto da pochissimo quell'ultima parte di lei che lui
avrebbe dovuto conoscere già da molto tempo e non era di
certo pronta a concedergli altro.
Lui comunque non voleva una concessione.
Voleva desiderio da parte di lei, una genuina volontà di
scoprire tutto quel che potevano provare insieme.
Loro due insieme avrebbero potuto raggiungere un mondo ignoto, di
sensazioni... favolose; non che quella fosse una parola adatta.
Per poterci entrare avrebbero dovuto volerlo tutti e due senza riserve.
Quando Usagi non ne avesse avuto più neanche un minimo
timore, lui non avrebbe dovuto condurla lì, ci sarebbero
andati insieme o avrebbe cercato di portarcelo lei stessa, entuasiasta
all'idea di offrirsi e offrire.
Fece scorrere la lingua sul palato, in circoli piccoli.
Usagi che sapeva offrire ogni sua emozione con tanta
semplicità forse sarebbe stata diversa dalla Usagi timida
che aveva immaginato lui.
Anzi, non forse, di
sicuro.
All'inizio magari no, ma dopo...
Tornare a sdraiarsi sulla schiena non gli ridiede nemmeno una piccola
parte della comodità sparita.
Al dopo a cui stava pensando mancava ancora diverso tempo, avrebbe
fatto meglio a tenerlo sempre a men-
«Mamo-chan?»
Balzò seduto sul letto.
Usagi era in piedi sulla porta.
Era il momento meno adatto di tutti per averla in
camera sua. «Sì, hai... ti manca qualcosa di
là?»
Lei non rispose, si avvicinò. «Per
favore, posso...» Portava
il cuscino sotto il braccio. «Posso dormire qui con
te?»
Dormire con lui? Adesso?
Lei fece un altro passo in avanti. «Solo
per... sentirti mentre dormi vicino a
me.»
Prima anche lui aveva avuto lo stesso desiderio innocente, ma adesso...
Usagi si sedette sul bordo del letto e, per quel poco che la tenue
luce notturna gli permise di vedere, lo guardò con occhi
stanchi
e supplichevoli. «Non ti darò fastidio.
Per
favore.»
Mamoru sospirò. Non riusciva mai a rifiutarle niente quando
lei lo
guardava così, quando usava quella voce.
Lui abbassò brevemente lo sguardo su di sé e si
spostò verso la
parte
più lontana del letto. «Vieni.»
Più che vedere, sentì il sorriso
sollevato di lei. Usagi si infilò sotto le lenzuola e
sistemò la
testa sul cuscino che si era portata.
Da parte sua, per evitare incidenti e imbarazzanti speculazioni, si
mise a pancia in giù: per calmarsi avrebbe pensato alla fame
nel mondo e
non si sarebbe spostato di un solo millimetro.
Usagi si allungò a prendergli una mano tra le sue. La
avvicinò al
proprio viso.
Il calore del suo respiro sulla pelle divenne un meraviglioso
tormento.
Poi... rimasero in silenzio.
Usagi era felice di essere venuta lì.
Dopo essere stata a rimuginare senza riuscire a prendere sonno, aveva
concluso che sapere di comportarsi da sciocca e non fare niente era la
cosa più sciocca in assoluto. Nell'altra stanza c'era
Mamoru, si era detta, Mamoru che l'amava, che non avrebbe mai fatto
niente che lei non avesse voluto e lei voleva
disperatamente stargli vicino; dopo tutto quello che era accaduto negli
ultimi mesi e solo la sera
prima,
ne aveva semplicemente diritto.
Ora che l'aveva accanto e vedeva il suo viso, con gli occhi chiusi, a
malapena illuminato dal bagliore lunare e una mano nella sua,
era...
incredibilmente felice.
E incredibilmente, inaspettatamente, a disagio.
Aveva una consapevolezza che fino a quel momento le era sempre
sfuggita: sentire
Mamoru
respirare accanto a sé, col corpo a neanche un
metro
dal suo, non era più solo fonte di una tranquilla gioia.
Aveva imprato a volere qualcosa di più e
allo
stesso tempo... a non volerlo.
Era troppo,
pensò. Se solo non ne avesse saputo mai niente! Desiderava
solo
che tutto tornasse come prima, quando quel problema non era
mai esistito.
Eppure a parlare era la paura, non lei.
Paura... Non avrebbe mai potuto avere paura di Mamoru. Aveva paura di
sensazioni che sembravano troppo adulte e che, chissà come,
aveva
già iniziato a desiderare.
Inutile cercare di nasconderselo: era a disagio per paura di
un ignoto verso il quale però stava già
tendendo.
Si concentrò sul calore della mano che stringeva e che non
si era mossa da quando l'aveva messa tra le sue.
Osservò le dita lunghe, incrociate tra le sue e piegate come
ad avvolgerle interamente la mano.
Con una tranquillità che prima le era mancata, gli
contemplò il braccio, notando i muscoli rilassati che la
maglietta aveva lasciato scoperti.
Forse lui era cambiato un poco da quando si erano conosciuti, ma
aveva lo stesso aspetto da molti mesi, no? Lei non aveva mai pensato
che la
sua forza potesse essere minacciosa e non lo pensava nemmeno adesso,
ma... Tornava a prima, ecco: aveva un lieve timore di quel che le
piaceva troppo. Forse perché l'idea non era più
vedere
solamente, ma... toccare. Farsi toccare.
Si impose di continuare ad osservare. Salì fin su le spalle
e scese lungo la
schiena, piano, fino ad arrivare alle gambe che,
distese, toccavano quasi la fine del letto.
... se avesse voluto abbracciarlo, lui l'avrebbe lasciata fare. E lui
poteva essere tanto più grande
di lei, ma le avrebbe permesso di fermarlo in qualunque gesto.
Perché era Mamo-chan.
Tornò sul viso, quel bellissimo viso
che le
era sempre piaciuto, anche quando all'inizio lo aveva detestato per
le prese in giro. Si fermò sulla bocca e
ricordò di avergli stretto il labbro inferiore, umido, tra
le
proprie labbra; lui aveva fatto lo stesso mentre lei gli si premeva
contro,
schiacciandogli i
seni contro il petto in un contatto delizioso che l'aveva fatta
fremere. E quando lo aveva sentito spingere tra le sue gambe, aveva
provato una sensazione dolorosamente intensa, tremenda
perché solo di
piacere.
Emise un sospiro strozzato.
Mamoru doveva averci pensato anche lui.
Inoltre, anche se aveva
smesso
di rifletterci da quando aveva ricordato il suo compleanno, lui era
appunto più grande ed era un maschio.
Non era tanto ingenua da non sapere quel che desideravano i maschi.
Forse, mentre lei sognava romanticherie su di lui, lui sognava che
lei...
Travolta da un imbarazzo acutamente piacevole, gli lasciò la
mano e si voltò dall'altra parte.
Mamoru era riuscito a calmarsi. Un po'.
Dormire invece gli era risultato impossibile.
Voleva
farlo, aveva sonno, ma come poteva rilassarsi mentre lei lo toccava?
Solo con una mano, certo, ma...
Quel problema non si era più posto quando Usagi lo aveva
lasciato andare. A quel punto lui aveva cominciato
a
dispiacersi di non avere più le dite di lei tra le proprie.
Liberazione e tortura, in entrambi i casi.
Aprì gli occhi.
Usagi gli dava la schiena.
... forse lei stava solo cercando una posizione più comoda.
I colori del suo pigiama erano così tipicamente...
Usagi.
Rosa tenue e giallo acceso. Colori infantili che non riuscivano a
donarle
quella stessa qualità.
Per non pensarci, si concentrò sulle lunghe code bionde di
lei. Ricadevano sul materasso in tanti setosi fili d'oro.
Facendo attenzione a non farsi sentire, allungò una mano. Le
trovò i capelli con due dita e iniziò a farne
scorrere alcuni tra indice e polpastrello. Non si era avvicinato di
molto a lei, eppure gli sembrava lo stesso di riuscire a
percepire il calore del suo corpo, proprio come se la stesse
sfiorando.
La maglietta non la copriva del tutto, lasciava visibile un lembo di
pelle sulla schiena, sulla vita.
Se seguiva quella linea, lui poteva vederla mentre andava in alto, a
disegnare i fianchi avvolti dai pantaloncini.
Se l'avesse toccata lì, forse lei avrebbe sospirato. Forse
si
sarebbe mossa appena, come a chiedergli di continuare. E se lui avesse
proseguito-
Si voltò dall'altra parte e si impose, si impose
di fissare la parete.
Usagi era stanca. Non solo fisicamente, ma stanca di sentirsi
crescentemente frustrata.
Si sentiva pronta a scattare al minimo contatto e parti
di lei erano diventate particolarmente sensibili al più
piccolo movimento, a patto naturalmente che avvenisse dall'altra parte
del letto. E succedeva solo perché aveva continuato
a... pensarci.
Così tanto che aveva iniziato a chiedersi... cosa sarebbe
successo se
si fosse fatta abbracciare da Mamoru?
Sapeva che era sveglio, si era appena girato.
Cosa sarebbe successo se si fosse stretta a lui? Non c'era
più
la disperazione di quella mattina, non sarebbe stato più
tutto
così improvviso e... violento.
Forse sarebbe stato un crescendo più quieto. Forse poteva
semplicemente assaporare ancora un po' di quelle sensazioni senza che
la
travolgessero.
E avrebbe potuto averlo vicino, baciarlo, guardarlo negli occhi.
Quei
bisogni più teneri non erano mai lontani, perché
lei lo amava e voleva con tutta se stessa poterlo
stringere,
perdersi in lui. Perché per tre mesi non c'era stato, aveva
smesso di vivere e quel pensiero la colpì di nuovo come un
macigno durissimo allo
stomaco.
Si arrese. «Mamo-chan?»
Si girò.
Lui non si spostò, continuò a stare rivolto al
muro. «Sì?»
Lei gli si avvicinò,
sentendosi prendere coraggio man mano che riduceva la distanza tra loro.
A pochi centimetri da lui, vinse il bisogno: lo strinse a
sé,
appoggiando tutto il corpo contro la sua
schiena.
Mamoru si irrigidì.
Non le
piacque. «Stringimi.» Gli accarezzò il
braccio,
respirandogli sul
collo. Stringimi,
abbracciami.
Come prima cosa, Mamoru cercò di controllare il respiro.
Quindi,
tentò di allontanarsi verso il bordo
estremo
del letto, ma la stretta attorno a lui si fece appena più
salda,
costringendolo con delicatezza a rimanere dov'era.
... non poteva restare così.
Si girò e le appoggiò una mano sulla spalla, a
mantenere una
precisa distanza di sicurezza. «Usagi...» Non
sapeva nemmeno
come
cominciare.
Si sentì accarezzare una guancia. Dagli occhi di lei scese
una lacrima.
«Sei qui, Mamo-chan... sei
qui. Abbracciami.»
In lui la
tensione sparì
in un secondo, rimpiazzata solo dal desiderio di porre fine a tutto
quel dolore.
Vinto, abbassò il braccio che li separava e la accolse
contro il suo petto. Sentì la forza con cui lei cercava il
suo
abbraccio e la strinse
ancora di più.
Usagi singhiozzò piano contro di lui, avvolgendogli la vita
con una gamba, premendogli i seni morbidi contro il petto.
Rigido, prigioniero, Mamoru non capì se non doveva fare
niente o.... Il
respiro alla base del suo collo si spostò
sempre
più in alto, fino a toccargli le labbra.
Abbassò
la testa
e incontrò la bocca che cercava la sua. Dolce, umida, calda,
arrendevole e bramosa.
La assaggiò come quella stessa mattina, ma senza fretta,
prolungando ogni contatto, ogni sensazione.
Usagi si sentiva rilassata e fremente, eppure piangere sembra
inevitabile. Si
staccò per un istante. «Scusa
per
le
lacrime»
mormorò. «Scusa.
Voglio smettere, ma-»
Lui le catturò di nuovo le labbra, impedendole di continuare.
Un braccio la strinse forte per la vita e una mano aperta le
trovò la schiena. La accarezzò, consolando e
accendendo.
Usagi si sentì abbandonare ogni timore. Era questo che voleva:
sentirlo contro di lei, sentire lui e
nient'altro.
Si lasciò riempire dalle sensazioni e gli si
strofinò
contro,
cercando
di ammansire la piacevole vibrazione che ormai la percorreva
per intero.
Mamoru si staccò per respirare a fondo. E si reimmerse.
Fece funzionare la testa solo quando impedì alla mano di
andare dove non doveva: da qualche secondo non
vagava
più solo sulla schiena di lei, ma si era gradualmente
spostata
fino ai fianchi. La fermò lì, sulla vita di lei,
dove prese a scendere e a salire, accarezzandole la pelle da sopra la
stoffa leggera.
Usagi si sentì rabbrividire. Il tremore era totalizzante,
fantastico, capace di farle dimenticare ogni cosa, compresa se stessa.
La sensazione si acuiva quando la
mano di lui saliva verso l'alto, quasi fin sotto il braccio, ogni volta
sempre un poco di
più. Era... meraviglioso farsi toccare da lui, farsi amare
da lui. Le sembrava di sciogliersi.
Sul suo labbro inferiore arrivò una lunga scia umida,
delicata e
paziente.
Le sembrò di bruciare.
Si voltò
di lato col torso, appena, facendogli incontrare la curva di un seno
con le dita. Le scappò un sospiro strozzato.
Mamoru staccò la bocca da quella di lei. Nella
penombra, rimase a fissare la propria mano e quello che stava toccando.
Usagi si sentì torturare dall'attesa: la mano di
lui lì era così... così- Era come se,
con ogni respiro, gli appartenesse sempre di più.
Gli circondò il polso con le dita e spinse, di pochissimo,
verso l'alto. Incontrò resistenza.
«Usa, no... è...»
No?
«Voglio solo...
che mi accarezzi.» Perché no?
Mamoru prese una nuova e profonda boccata d'aria: accarezzarla a lui
non sarebbe bastato, stava lì
il
problema. Se cominciava, poi avrebbe voluto persino-
Niente, comprese
all'improvviso.
Non avrebbe potuto fare nulla. Non aveva niente in casa che
permettesse loro di intraprendere con
sicurezza un rapporto di quel tipo.
... e voleva toccarla anche lui. Non si sarebbe tolto i vestiti, non le
avrebbe tolto
i vestiti, non
sarebbe successo nulla, l'avrebbe solo... accarezzata un po'.
Mantenendo i loro bacini a debita distanza, era l'unica condizione.
Si
piegò all'indietro all'altezza delle anche e, ormai
convinto, spostò delicatamente le dita sul seno di lei,
gustando la morbidezza che sentiva anche sopra la sottile maglietta di
cotone.
Strinse appena con la mano: la scoprì morbida e soda,
calda,
molto meglio di qualunque cosa si fosse mai immaginato. Trattenendo
un ansito, trovò con
l'indice il punto più alto,
turgido, e
iniziò
a stimolarlo piano, avanti e indietro.
Lei sembrò trattenere un gemito, ma il brivido la scosse
ugualmente. La stretta sul suo polso prese forza.
Le piaceva.
Senza fermarsi, Mamoru avvicinò di nuovo la bocca alla sua.
Usagi sentì il respiro caldo tra le loro labbra, il seno
ancora tormentato dalle dita che sembravano sapere esattamente come
toccarla. Il piacevole dolore che aveva sentito
prima, sullo stesso letto ma lontana da lui, veniva
lenito e alimentato con ogni nuova carezza. E tutto sembrava
accumularsi in unico punto, sotto il bacino: era un bisogno che
chiedeva
disperatamente di essere saziato e, senza avere idea di come fare, lei
cercò per istinto un contatto, allungando una gamba e
trovando quella di lui. La piegò fino a circondargli il
fianco.
Staccandosi, lui spinse sul suo stomaco, allontanandola.
Ma... «Perché
non vuoi?»
«Perché non voglio? Perché
invece lo voglio e non
credo che tu lo voglia.»
Eh?
«È un gioco di parole? Ora?» Non
nascose la
frustrazione.
Mamoru sospirò e scosse la testa, frustrato anche lui e teso
come non
ricordava di
essere mai stato. «No. No.» Lei... voleva. Voleva. Ma non
quello che voleva lui, perciò... «Facciamo
così.» Proviamo
così.
La
spinse un
poco
all'indietro con la mano, facendole capire che doveva sdraiarsi. Quando
Usagi si rilassò, lui le si sistemò
accanto. «Se faccio qualcosa che non vuoi... dillo. Mi
fermerò
subito.»
Non ricevette risposta.
Lo prese come un assenso,
come il segno del
desiderio che lei gli aveva dimostrato. Tornò ad assaggiare
la
morbidezza delle labbra umide sotto le sue e, con la
mano, cercò
la parte
di
lei che era ancora più impossibilmente morbida.
Sfiorò il
seno sinistro, quindi spostò le dita su quello che
non aveva ancora
toccato, ora il più vicino a lui.
Inarcandosi un poco, lei premette contro la sua mano.
Le piaceva.
Lui le passò le labbra sulle guance, sulla mascella,
sull'orecchio. Scese sul collo,
sulla pelle sottile dal sapore sconosciuto che non aveva mai baciato.
Caldo. E piacere. Usagi non ne aveva mai provato
così tanto.
Non aveva mai pensato che sensazioni tanto gradi potessero
nascere da movimenti così semplici, leggeri. Sul seno,
solo
il
pollice
che andava
avanti e
indietro riusciva a-... Inarcò la schiena verso l'alto,
andando a
ricercare
quell'ultimo tocco, quello con cui due dita avevano stretto-
Sul collo l'umido e il ruvido del rapido contatto con la lingua
di lui minacciarono di uccidere ogni altro suo pensiero.
Sentì il sangue defluirle dalla testa,
come per
andare a
concentrarsi altrove.
La mano di Mamoru si staccò dal suo
petto
un secondo dopo, andando proprio in quella direzione, scendendo a
massaggiarle lo stomaco. Un movimento innocente, però...
perché ora sentiva
più
caldo di prima?
Le dita
di lui proseguirono lentamente verso il basso. I baci sul suo collo
si fecero prima più lievi e poi si fermarono del tutto, come
se fosse necessaria concentrazione per quanto stava per
accadere.
Un istante dopo, una carezza poco sotto il suo ombelico le
causò
un'improvvisa tensione. Usagi attese di sentirla continuare, ma... lui
si era fermato.
Era stata una stupida a pensare che Mamo-chan si sarebbe comportato
diversamente: non
aveva neanche avuto bisogno di avvertirlo a voce.
Girò la testa per baciarlo di nuovo, e, quando
incontrò ancora una volta le labbra che riuscivano ad essere
una cosa sola con le sue, alzò il braccio per circondargli
il
collo
e sfiorargli i capelli.
Era un assenso, capì Mamoru. Staccò la bocca da
quella di lei.
Voleva
dare senza costringersi ulteriormente a ricevere e non
era
più nella condizione di permettere che lei continuasse ad
alimentare in
lui la via del non ritorno. Fece scendere ulteriormente la mano sul
suo ventre, trovando prima i pantaloncini e poi il punto in cui le
gambe
appena piegate si chiudevano.
Usagi sussultò appena.
I respiri lunghi e tremuli gli
entrarono nelle orecchie.
Mamoru sapeva solo teoricamente cosa doveva fare e sperò che
fosse
sufficiente: con le sole dita, limitandosi ai polpastrelli, prese a
massaggiare piano
dove si era fermato, sopra i vestiti. Colse il rapido movimento della
mano che andò a stringere le
lenzuola e il gemito che si trasformò in sospiro spezzato.
Nella penombra che delineava linee scure e superfici chiare,
osservò ipnotizzato l'ondeggiare
dei fianchi sotto le sue dita, i movimenti lenti, quasi impercettibili
e sempre
più lievemente insistenti che lo costrinsero a
concentrarsi per continuare a ricordarsi
che doveva fare... piano.
La
stava già solo sfiorando, ma aveva letto che
in quei momenti poteva avere una percezione distorta della
forza richiesta, perciò...
più piano
del piano, si disse, mettendo a tacere il desiderio sempre
più
impellente di toccare in
modo più deciso, più veloce. Piano,
perché a lei
piaceva già così e forse le sarebbe piaciuto solo
così.
Staccò gli occhi dalla propria mano e le guardò
il viso, non aspettandosi la testa inclinata di lato, le
labbra aperte e
tremanti, il volto trasformato da un'espressione di completo rapimento.
Tornò ad osservare le proprie dita solo quando le gambe di
lei
andarono a stringervisi attorno, come per tenergli la mano ferma
proprio lì dove stava.
Parte del controllo iniziò a sfuggirgli.
Aveva creduto di
poter placare in lei il bisogno che gli aveva
dimostrato, non di vederla abbandonarsi a quel modo.
D'improvviso, un calore più forte gli toccò la
punta di un
dito: aveva premuto involontariamente con più forza contro
di
lei e quello era... era...
Per non perdere del tutto la ragione, smise di pensare e si concesse
almeno con la bocca un assalto
che
non poteva far avvenire in altri modi. Eppure, anche con le labbra
attaccate al collo di lei, ansimò ugualmente quando
la
sentì
inarcarsi, allargare le
gambe.
Le dita gli scesero da sole più in basso. Prese
a stuzzicare quel nuovo punto, esercitando più pressione.
Nell'inutile ricerca di
un appiglio, Usagi spostò
velocemente la mano sulle lenzuola.
Sìsì, pregò tra
sé, proprio lì.
Schiacciò le labbra tra loro,
trattenendo suoni che l'avrebbero solo imbarazz- Oh, sì,
lì.
Prima lui era
stato solo
vicino, ma non se ne era resa conto fino a quando non l'aveva sfiorata
dove ogni
carezza
sembrava una fitta di piacere immenso. Lì dove ogni
leggerissimo
tocco portava sensazioni sempre più impossibilmente grandi,
che
prendevano possesso di tutto il suo corpo. Si
sentì preda dei suoi stessi sensi, come se in quel
momento esistesse solo
per sentire la prossima carezza.
Strinse i denti.
Per l'altra.
Boccheggiò.
E per l'altra ancora.
Ondeggiò col bacino.
Stava... Oh
sì,
sempre più...
Le scappò un suono acuto. La morsa impossibilmente calda la
colpì con forza tra le gambe, da dentro, iniziando a
battere.
Ohh,
batteva, contrazioni ritmiche che- Le dita di lui ne incontrarono una
sulla cresta. «Ah!»
Mamoru sentì il grido che sapeva di richiamo,
il pulsare insistente sotto il leggero movimento delle sue
dita, i fianchi che iniziavano a muoversi con forza,
reclamando sempre di più. Assaggiò con un morso
il sapore
amaro delle lenzuola, continuando il movimento della mano che non
sarebbe stato comunque in grado di fermare, cercando di spegnere ogni
altro bisogno.
Lei prese tutto quel che poteva dalle sue dita, tra sussulti continui e
sospiri spezzati, agguantandogli il braccio. Infine, con lentezza quasi
esasperante, si rilassò contro il materasso
e
contro di
lui.
Mamoru spostò la mano sul suo stomaco e
tentò disperatamente di calmarsi.
Usagi inspirò un'ultima volta prima di chiudere la bocca.
Era
stato... stravolgente, sconvolgente, assolutamente incredibile. Aveva
tremato
là
sotto, in
mezzo alle gambe; si erano contratti muscoli che non aveva saputo di
avere. Muscoli interni, stimolati da carezze che l'avevano portata...
in paradiso, non c'era altro modo di parlarne.
In quel momento si sentiva quasi priva di forze, immensamente
rilassata. La sua mente
iniziava a intorpidirsi.
Era la pace dei sensi più completa che avesse mai conosciuto.
Andò a ricercare il contatto col corpo accanto al suo,
volendo
stringersi a Mamoru in quel momento e durante il sonno che stava
arrivando
rapido.
Con le dita gli trovò il viso e lo voltò
di lato
per un
ultimo bacio.
Lui si scostò bruscamente, portandosi
dall'altra
parte esatta del letto. Il movimento secco, così fuori
luogo, le
scrollò di dosso ogni torpore.
Mamoru iniziò a considerare seriamente l'idea di correre in
bagno e di trovare sollievo lì.
Lo frenava solo il pensiero di avere Usagi nella stessa casa, a pochi
passi da lui. Sembrava talmente poco... giusto, cedere in quel
modo,
con lei presente, per quanto non visto. Eppure calmarsi sembrava anche
quella
un'impresa fuori dalla sua portata. Dormire in quello stato poi sarebbe
stato
impossibile.
Doveva aspettare, sì. Aspettare fino a che non fosse stata
la sua testa a
tornare a prendere le decisioni.
Se non la smetteva di tornare con la mente alle immagini di poco
prima,
avrebbe finito con l'imbarazzare se stesso proprio su quel letto.
Usagi gli si attaccò alla schiena, stringendolo forte con un
braccio. «Basta! Perchè devi sempre
allontanarti da me?»
Mamoru riusciva ad immaginare, a vedere
ogni singola e deliziosa curva premuta contro di lui. Poco dopo,
anche la gamba che andò sopra la sua, come ad intrappolarlo.
Fece un solo respiro, poi si scostò da lei senza cura,
scendendo dal letto e alzandosi. Si girò
per
guardarla in faccia, nella voce un'implorazione e una rabbia che quasi
non riconobbe. «Tu
non capisci!»
Colse la sorpresa negli occhi sgranati di lei, ma fu solo
un attimo: Usagi si era già ripresa la propria indignazione.
«Non ti spieghi, come faccio a capire?»
Spiegarsi? «Io... mi sento come ti saresti sentita tu se
mi fossi fermato prima della fine.» Così avrebbe
capito, no?
«Ma...» Silenzio. «Allora vuoi...
finire anche tu?»
Finire? Finire
di...
Si sentì diventare più rigido che mai. Lei non
sapeva neanche di cosa stava parlando! «Il problema
è
che voglio spogliarti e finire
dentro di te.»
Gli occhi di Usagi si fecero rotondi, giganti.
Mamoru sbiancò.
Come aveva potuto
dirle una cosa del genere?!
La guardò in faccia e si sentì in un istante il
peggiore
dei vermi. Aveva detto quelle cose ad Usagi, a lei e alle sue innocenti
fantasie.
Non avrebbe dovuto permettere che arrivassero fino a quel
punto, avrebbe dovuto capire che non sarebbe stato in grado di
controllarsi. «No, scusami... no.»
Cominciò a fare il giro del letto. «Vado di
là, dormo in salotto.»
Uscì dalla stanza, lasciandola sola, seduta sul materasso.
... semplici parole potevano far male come colpi.
Usagi rimase imbambolata per diversi istanti.
Era stato davvero lui a parlare così? Mamo-chan?
Sì.
Aveva ancora in testa la disperazione della sua voce, le
scuse
mortificate
e la rapida ritirata.
... era successo davvero.
Com'era stato possibile, come?
Nemmeno qualche momento prima stavano...
Beh, stavano...
Okay, stavano facendo qualcosa di simile a quello che aveva detto lui.
Troppo simile.
Arrossendo, corrugò la fronte. Mamoru avrebbe
potuto dirlo ugualmente in un modo più delicato, no?!
... ma aveva voluto dirlo con altre parole, non ci era riuscito.
Ne era
rimasto sconvolto anche lui.
Si lasciò cadere sul letto.
Se erano arrivati fino a tanto era stato solo
perché
lo aveva voluto lei.
Vero, quando aveva insistito perché lui la accarezzasse, non
aveva chiesto... quello.
Ma adesso non riusciva a credere
di averne mai potuto fare a meno.
Era stato... Si
morse le labbra, non trovando le parole adatte. Non c'erano, comprese.
Era stato
tutto ciò di cui aveva
avuto bisogno, l'unica cosa che sarebbe mai servita a placare, a
soddisfare quello che aveva sentito dentro.
Mamoru aveva cercato ripetutamente di
non arrivare a quel punto, probabilmente per non farle
pressioni. Prima evitando di dormire sullo stesso letto. Poi cercando
di non
abbracciarla. Provando a non toccarle il seno. Impedendo il
contatto dei loro bacini. Infine, allontanandosi dopo averle fatto
provare... un orgasmo.
Conosceva quelle parola. Si era sempre chiesta
cosa fosse esattamente. Non aveva mai trovato il
coraggio di discutere dei suoi dubbi con le sue amiche, ma aveva sempre
saputo che voleva dire 'culmine del
piacere'. E ora aveva capito bene
cosa significasse arrivare al culmine del piacere, venirne
letteralmente
travolti.
Come aveva detto lui?
"Perché
non
voglio? Perché invece lo voglio e non credo che tu lo
voglia."
Mamoru non la credeva pronta per quell'ultimo passo.
Lei non poteva dargli del tutto torto.
Lo ricordò come lo aveva visto poco prima, in piedi accanto
al
letto, teso... teso anche là sotto. Lo sguardo le era
caduto
lì poco dopo averlo sentito parlare e si era poi
subito spostato sulla parete. Ripensando a quello che aveva visto,
anche se nascosto dai vestiti, pensò che non poteva essere
meccanicamente possibile. Lei là sotto non era
così...
insomma, non era
abbastanza...
Eppure, funzionava in quel modo. Perché il loro caso avrebbe
dovuto essere diverso?
Quello era... era solo una parte di lui, così come era una
parte
di lei la carne che aveva tra le... A
disagio, chiuse le gambe,
strofinandole tra loro.
Ma non era disagio, no? Era eccitazione, la stessa cosa che aveva
provato prima. Il disagio cresceva fino a diventare una sensazione
negativa come la paura o la vergogna. L'eccitazione invece andava a
diventare qualcosa di molto diverso. Ora conosceva la differenza.
Strofinò ancora le gambe tra loro, involontariamente, ma
questa volta
notò
qualcosa che aveva vagamente percepito anche molto prima: era... umida
là sotto. In un modo particolare. Scivolosa.
Ma perché mai doveva...?
Prese consapevolezza, finalmente senza imbarazzo.
Oh. Certo che... era un meccanismo davvero perfetto.
Fissò il soffitto.
Perfetto come quello che Mamoru le aveva fatto provare prima. Una
conclusione naturale e favolosa, propio come l'amore che lei provava
nei suoi
confronti, come quello con cui lui la ricambiava.
Tentò di immaginare concretamente come sarebbe potuto essere.
Il calore le salì al viso, ma non per una sensazione di
disagio, quanto per un acuto senso di eccitazione.
Si voltò verso la porta.
Immaginò Mamoru nell'altra
stanza,
stanco, frustrato, pieno di sensi di colpa e... insoddisfatto.
E lei invece era lì, con un corpo letteralmente pronto ad
accoglierlo. Ma, soprattutto, con una mente e un cuore pronti ad
accoglierlo.
Quello che lui le aveva fatto prima non era stato meraviglioso
solo per il piacere che le aveva fatto provare, ma anche per la
consapevolezza
che a toccarla così era stato lui, proprio lui che
lei amava con tutta se stessa.
Voleva toccarlo anche lei, accarezzarlo, dargli piacere e provare
piacere insieme, fino a riposare poi entrambi, stremati dall'atto
d'amore che avrebbero condiviso. Non sarebbe stato solo sesso, qualcosa
di puramente
meccanico in sé. Sarebbe stato fare l'amore. Con la persona
che amava.
E ora lei voleva farlo.
Moltissimo.
Iniziò ad alzarsi, lo sguardo concentrato sulla porta.
Sarebbe andata da lui e loro due avrebbero... insieme avrebbero...
Si bloccò. No.
La invase un senso di potente frustrazione: non potevano fare
niente! Non avevano niente per impedire che lei rimanesse
incinta.
Chibiusa. Il suo pensiero corse a lei, alla loro futura figlia: era
troppo
presto per Chibiusa. Anche se quella bambina le mancava da morire, non
era ancora pronta per diventare sua madre.
Si lasciò cadere sul letto, delusa e infelice.
Poi, in un istante, seppe.
Non perse un secondo e a passi decisi si diresse verso il salotto.
Mamoru si odiava.
Si detestava.
Si malediceva.
Aveva fatto ben più di quel che avrebbe dovuto fare, con
Usagi. Lei gli aveva chiesto solo delle carezze, non di farle provare
un
dannato orgasmo.
Era così che lui aveva interpretato la richiesta, ma
perché
aveva avuto in
testa solo quello e non era riuscito ad immaginare che
ci
potesse essere un'altra conclusione minimamente soddisfacente.
Però... ricordò il modo in cui Usagi aveva voluto
la sua mano su di
lei,
il
modo in cui gli aveva avvolto la gamba attorno al fianco.
No, forse non si era del tutto sbagliato, ma ad Usagi sarebbe bastato
molto meno di... Già, in genere era così per
tutte. Lo aveva
letto.
Certo, dopo le era piaciuto, ma non voleva dire che fosse stata pronta.
Se solo lui avesse avuto esperienza, forse sarebbe riuscito a capire se
l'aveva
spinta oltre i propri limiti o se aveva fatto solo quello che lei
gli aveva chiesto.
Se avesse avuto esperienza, forse non sarebbe stato così
maledettamente eccitato da buttarle in faccia un desiderio a cui non
era preparata.
Se, se, se.
Erano ipotesi senza utilità o fondamento. Non si era mai
avvicinato a nessuna come ad Usagi e non aveva mai desiderato farlo.
Eppure, in quel momento gli sarebbe piaciuto immensamente sapere
esattamente cosa
fare e come
comportarsi, proprio come in tutte le altre situazioni della sua vita.
Per quanto uno potesse saperne sul funzionamento dell'atto,
non esisteva
un modo per prepararsi
all'esperienza; lo aveva appena verificato.
La mattina seguente avrebbe dovuto affrontare Usagi.
Lo mortificava l'idea,
ma doveva chiederle scusa, capire se l'aveva offesa, farle
assolutamente comprendere che non si aspettava nulla da lei.
Ricordò lo sguardo che lei gli aveva rivolto quando gli
aveva
parlato dalla sua fantasia
romantica,
quella mattina.
Avrebbe perso momenti come quello, momenti in cui
Usagi si era totalmente fidata di lui?
Oppure... la sola idea lo atterriva: da un momento
all'altro lei sarebbe potuta entrare da quella porta,
offrirgli di continuare, nella convinzione di dovergli qualcosa.
Era quasi come se lui le avesse detto che, siccome le
aveva evitato una
frustrazione non fermandosi, allora lei
avrebbe pure potuto fargli lo stesso favore, no?
Favore.
Dannazione.
Se solo avesse potuto cancellare l'ultima mezz'ora, se solo si fosse
accontentato di addormentarsi con lei tra le braccia... Accontentato? Usagi
ora si sarebbe sentita a disagio anche solo se si fosse sdraiato
accanto a lei.
Aveva rovinato tutto.
A passi decisi, Usagi entrò nel salotto.
Mamoru balzò seduto sul letto, non osando proferire parola
ma
temendo ogni suono che sarebbe uscito dalla bocca di lei.
La sentì mormorare il suo nome e poi se la
ritrovò
sul letto, che
gli si avvicinava sempre di più.
La fermò senza
esitazioni, entrambe le braccia sulle sue spalle. «Non mi
devi niente.»
Lei si irrigidì. «Eh?»
«Non mi devi niente.
Non
avrei mai dovuto dirti quelle cose, non potrò mai
scusarmi abbastanza.» Si interruppe abbastanza a lungo da
studiare una
reazione che non gli diede alcun indizio sui pensieri di lei. Decise
che poteva solo continuare. «Io... mi vergogno
di averti
fatto credere che dovevi venire qui per... per qualcosa che ancora non
fa parte di te. Io non voglio fare sesso con te, Usa,
voglio
fare l'amore con te e bisogni meschini non c'entrano con
questo.»
Alle sue parole seguì il silenzio.
Usagi si allontanò
di colpo,
appoggiandosi all'indietro sulle ginocchia. «Quindi io sono
qui
per un bisogno meschino?»
«No!» Allora ogni parola
che gli usciva dalla bocca era un'idiozia! «Il tuo
è amore, io ti ho fatto
sentire in
colpa e per questo ora tu sei qui.»
Ancora una volta, tra loro regnò l'assoluto mutismo. Poi
l'aria
iniziò a caricarsi di energia.
«Tu mi avresti fatta sentire in colpa?»
Le uscì una risata incredula, spezzata. «Mi fa
ridere, no anzi, mi fa arrabbiare
che tu
creda di sapere sempre tutto. Sbagliando!»
Mamoru spalancò la bocca.
«Io sono venuta qui perché ti amo,
perché sono
eccitata
e perché volevo fare l'amore con te. Non sono bisogni
meschini e sì, fanno parte di me. Non
sono
qui per nessun'altra delle ragioni che ti sei immaginato.»
Le uscì un ultimo sospiro di rabbia.
«Devo spiegarti altro?»
Usagi si sentì vibrare.
Non aveva mai aveva usato quel tono con lui, ma Mamoru aveva
rovinato tutto.
Sì, era bello che si preoccupasse per lei,
ma avrebbe
dovuto ritenerla abbastanza matura da capire e
decidere da sola.
E sì, le piaceva che lui non volesse farle la minima
pressione,
perché, se non fosse stata pronta, lo avrebbe gradito
tantissimo.
Ed era tanto dolce quanto stupido quel bisogno di addossarsi
tutta la colpa, come se lei non avesse avuto alcuna parte in
ciò che
era successo.
Sì, sì, sì, le piacevano un sacco di
cose del
suo discorso, ma non che si dicesse certo di sapere
cosa pensava e provava
lei. Non era una bambina e lui l'aveva appena
trattata come se lo fosse.
Combattuta, riuscì solo a
guardarlo
piena di... Strinse i pugni: non sapeva nemmeno di cosa.
Si
alzò e se ne tornò nell'altra camera.
Senza sapere cosa fare o pensare, Mamoru si limitò a
trascinarsi nella propria stanza.
Trovò Usagi sdraiata su un
fianco, le spalle rivolte a lui.
Fece il giro del letto. «Dalla
bocca mi
escono solo sciocchezze, vero?»
Gli rispose prima il silenzio. Poi, uno sbuffo. «Mi serviva
sentirlo
anni fa, non
oggi.» Usagi gli diede nuovamente la schiena. «Tu
stai
ancora a
pensare
solo a te.»
Mamoru sospirò tra sé: aveva sbagliato di nuovo.
E forse avrebbe sbagliato ancora, ma non fare niente, comprese, sarebbe
stata la
soluzione peggiore in assoluto.
Si sedette sul materasso. E rimase a guardarla, la sua Usako che se ne
stava rannicchiata e gli dava la schiena come quando si offendeva per
cose molto meno serie. Usagi che era tanto cresciuta da non avere
più timore di
conoscere tutte le esperienze dell'amore, Usagi che cresceva in una
sola notte, in pochi minuti, per lui.
Si allungò sul letto, raggiungendola. «Ti
amo,
Usa.» Non diede peso al sospiro rassegnato di lei: la sua non
era
una
tattica. La abbracciò da dietro, stringendosela contro il
petto.
«E ho capito. Ma per oggi... stiamo solo
così.»
Perché se lei era pronta davvero, allora a lui bastava stare
solo
così, per quella notte. Ad amarla in silenzio per il modo in
cui
cambiava per lui, in cui si era sempre adattata a lui in ogni cosa. Non
si trattava di una tattica nemmeno da parte di lei: Usagi era
semplicemente
fatta per lui e per questo si incontravano in ogni modo, anche quando
non lo volevano. Come sempre, fin dalle prime volte che si erano visti.
Sorrise e le affondò il naso nel collo, inspirando l'odore
che era
completamente ed
unicamente di lei.
Usagi voltò piano la testa. E poi tutto il corpo, tra le sue
braccia. «Io non voglio stare solo
così.» Gli
accarezzò la spalla con una mano e le labbra col respiro.
«Ti amo tanto anche io, Mamo-chan. Troppo. Devo fare l'amore
con te, lo voglio.» Lo baciò. Lo prese, devastando
ogni sua barriera e facendolo suo.
In lui non sparirono proteste senza senso, prese semplicemente posto lo
stesso sicuro desiderio di lei, quello che non aveva bisogno di motivi.
Se la strinse contro con tutta la forza che aveva, rendendosi
proprietario infinitamente grato non della sua bocca o del suo corpo,
ma di lei stessa. Di Usagi che era sua e solo sua, la cosa
più
bella, la migliore che gli fosse mai capitata.
Per un istante rapidissimo, lei si staccò con forza per
respirare. Lui non riuscì quasi a carpire il movimento,
perché quando se ne accorse Usagi era già tornata
da lui.
Troppo forte,
pensò,
doveva abbracciarla un po' più piano.
Lei gli si strofinò contro, chiudendo il sospiro nelle
bocche di entrambi.
Più piano,
insistette con se stesso: lei non
sarebbe andata da nessuna parte. E poi se spostava le
mani poteva-
Bastò il pensiero a convincerlo. Le infilò le
dita sotto
la maglietta rosa, sulla schiena. Senza forza ma con infinita
concentrazione, le accarezzò per intero la spina dorsale,
cogliendo ogni brivido come fosse il proprio.
I baci di lei si fecero più lenti anche loro, ansiosi di
permetterle di cogliere meglio altre sensazioni, in attesa.
Con una delicatezza che smise subito di essere esitante, Usagi
usò
la mano per toccargli prima il braccio e poi la schiena, trovando
lì spazio per la primissima parte dell'amore che provava.
Mamoru assaporò la carezza del palmo, la mente persa in quel
tocco e in tutto ciò che sarebbe venuto, nei baci che le
avrebbe
dato, nella pelle sconosciuta che avrebbe assaggiato e stimolato fino
al piacere massimo, nel corpo che lo avrebbe accolto, aprendosi e
ricevendolo senza riserve o timori, prendendosi ogni
singola parte di lui e-
Bloccò i movimenti, interrotto da una gravissima
dimenticanza. «No.»
Si fermò anche lei, sorpresa.
«Cosa?»
Disperato, lui la fissò nella penombra. «Non
possiamo. Non abbiamo niente per...» Non potevano continuare!
La risatina tranquilla di Usagi lo destabilizzò.
«Non preoccuparti. Ci pensa il mio
cristallo.»
Il suo- Cosa? «Il cristallo?» Ma che-? Comprese
all'improvviso, ma no.
«No, non
può
esserci il caso.»
«Non ci sarà nessun
caso.»
Lei non aveva idea dei milioni
di casi che potevano esserci, né di
quanto gli dolesse fisicamente
dover perorare quella causa.
«Sarebbe ugualmente un grosso rischio, Usa, non-»
Lei lo interruppe con un dito sulla bocca.
«Mamoru. Con
quel cristallo, col mio potere, ho sconfitto l'origine di tutto il
male, ho fatto perdere la memoria a migliaia di persone, ho ricostruito
città ed edifici. Ricordi come ho saputo dove si trovava tua
valigia? Ne avevo la certezza assoluta, giusto? Ecco, è la
stessa
certezza che ho avuto prima, quando mi sono ricordata che non
avevamo... precauzioni da usare. Perciò non c'è
nessun
caso: sarà il mio cristallo a decidere quando
arriverà
Chibiusa, me lo ha... detto.»
Detto,
pensò Mamoru, in
quella maniera che
era nota a entrambi solo da quando Galaxia era stata sconfitta. Il loro
potere aveva iniziato a parlare e non c'era errore in quelle
previsioni, si trattava di intime verità assolute.
Usagi gli accarezzò la guancia, attendendo una decisione di
lui.
Sapeva
già quale sarebbe stata, ma l'urgenza di averlo vicino era
talmente forte che ogni secondo in cui rimanevano lontani era
insopportabile.
La bocca di Mamoru tornò sulla sua, strappandole
un'esclamazione di
completezza e sollievo. I loro baci in quel momento erano inebrianti,
totalizzanti e intensi come non erano stati mai. Si sforzò
di attutire minimamente la sensazione,
perché
era ora di smettere di ricevere solamente, doveva cominciare a dare.
Infilò la mano sotto la canottiera di lui, trovandogli lo
stomaco dalla pelle ruvida, dura e tanto
calda. Allargò le
dita,
accarezzando non lembi, ma intere superfici di carne. Le brevi
interruzioni nel respiro di Mamoru le fecero scoprire la magia di
ciò che gli provocava, gli effetti del più
piccolo
contatto. Continuò ad accarezzare, a disegnare ogni contorno
che
sentiva. Liberò la bocca dal loro bacio e la fece scendere
sulla
linea della sua clavicola, sfiorandola con le labbra, azzardando
minuscoli
tocchi umidi.
Lui si scostò di colpo. Con movimenti fluidi e frenetici si
levò la canottiera nera, buttandola lontano.
Il gesto, la stessa vista, furono talmente sensuali - sessuali - da
immobilizzarla.
Si ritrovò stretta contro il torso nudo che la
stava
facendo avvampare e avvampò ancora di più al
contatto, ma
in maniera così irremediabilmente piacevole che si
rassegnò ad esplodere di rossori. Si abbandonò ad
un
nuovo bacio aperto, scoprendo la gioia crescente di sentirsi presa da
lui, assediata.
Iniziò a respirare talmente forte da ansimare, ma
cominciò ugualmente a ricevere in maniera attiva: bastava
accarezzarlo, capì. A lui piaceva tanto. Poteva
accarezzarlo sul petto, sulle braccia, ovunque.
Una mano si intromise sotto la sua maglietta, sul fianco.
Risalì
verso l'alto e verso il centro con una velocità appassionata
che
le mozzò il respiro, che anzi le fece esalare l'ultimo di
quelli, al contatto diretto delle dita di lui sul seno.
Mamoru catturò il suo ultimo alito di vita tra le labbra
aperte,
riportandolo in lei col tocco leggero che lo portò a
riprendere
il bacio brevemente interrotto.
Usagi venne scossa da un unico e favoloso tremolio: si premette in
avanti, schiacciando la bocca su quella di lui e il seno contro la mano
che lo teneva a coppa.
Le dita di Mamoru la studiarono, tentarono. Giocarono.
L'oblio dei sensi iniziò a reclamarla, ma l'aria improvvisa
sull'intero petto, brutale, la riportò alla
realtà.
Corse a
coprirsi i seni nudi con le braccia, come meglio poteva, e
fermò la
tentazione di riabbassare la maglietta solo all'ultimo momento. Rimase
ferma.
«Scusa...» Fu un sussurro
bassissimo che il suo animo udì fin nel profondo.
Usagi respirò e scosse piano la testa, spostandosi in
avanti. Si
appoggiò contro di lui, la maglietta ancora sollevata: si
permise di abituarsi al contatto vivo e diretto tra i loro corpi che
respiravano, che sentivano ogni cosa, che vibravano nell'accarezzarsi
l'uno con l'altro.
Non gli chiese un nuovo bacio, lo prese lei. Niente scuse. E
liberò le mani, portandogliele attorno al collo. Continua.
Tramise il messaggio anche con un bacio che iniziò a
reclamare possesso,
ma Mamoru si limitò a posarle le mani sulla schiena e
lì
le tenne.
Usagi fu costretta a staccarsi e, dopo aver inspirato, a levarsi la
maglietta da sola, da sopra la testa. Quella le rimase impigliata nelle
code,
ma lei dovette finire di toglierla da sola.
Mamoru la stava guardando nella penombra, aiutato dalla debole luce che
proveniva dalla finestra.
Usagi si scoprì a respirare sempre più forte. I
movimenti
veloci del petto, nati da un istintivo imbarazzo, attirarono
l'attenzione di lui fino a incantarlo, immobilizzandolo. Eppure, ancora
non la toccò, le mani tenute ferme quasi con
sforzo.
Lui prendeva solo quello che voleva lei, comprese Usagi,
perché la amava e la
desiderava per quello stesso amore.
Colmò lei la distanza tra loro, offrendogli un bacio pieno e
se stessa, amore e tutto ciò che era. Ti amo, amami.
Amare era offrire e offrirsi, era toccarsi e sentire un tuffo al cuore,
una stretta al petto. Era trarre infinito piacere dal loro amore.
Gli si aggrappò al collo.
Ti amo, ti adoro, amore.
Lui le portò le mani sullo stomaco, salendo sul petto.
Lì prese, i
palmi aperti.
La sensazione la travolse d'energia. Con una forza che non sapeva di
possedere, gli si buttò addosso, spingendolo sulla schiena.
Le sembrò di percepire una risata silenziosa contro la sua
bocca. La
staccò da quella di lui e allargò gli occhi di
gioia,
sorridendo lei stessa: gli stava sdraiata... sopra.
Audace, hm?
Lui le prese la testa tra le mani, confermando con un bacio divertito
la sua impressione.
Usagi volle bearsi appieno del proprio potere e appoggiò le
mani
sul
materasso, sollevandosi lentamente, godendosi la vista. A
metà
strada non resistette, gli accarezzò la fronte, liberandola
per
metà dai capelli.
Sarai sempre tutto per me.
Benché non fosse una domanda, lui non le disse di
sì,
sollevò invece le mani e le catturò di nuovo i
seni tra i
palmi, dimostrandole che lei
sarebbe sempre stata tutta per
lui.
Oh, andava
più che bene anche così.
Le
titillò le punte con dita esploratrici, portandola ad
inarcarsi
all'indietro, a sedersi. Ad appoggiarsi completamente contro di lui,
duro e ben presente sotto di lei.
Gli scappò un sussulto che lo spinse a tirare su le anche.
Lei gli afferrò i polsi tra le mani, senza sapere se
rimanere o scappare.
Lui lo capì e rimase fermo, permettendole di assaporare
l'ombra
della sensazione dolorosamente intensa ancora viva dentro di lei.
Mamoru attese altri due secondi, poi si tirò su col torso,
raggiungendola.
Lievemente spostata all'indietro, Usagi se lo ritrovò
davanti con incredibile felicità. Mamo-chan.
Gli bastava non vedere nient'altro che lui per dimenticare ogni cosa,
per riuscire a ricordarsi cos'era sentire solamente. Gli
circondò le spalle con le braccia, si abbandonò
al tocco
umido e bollente delle loro bocche. Quando lui la circondò
per
la vita, lei trovò il coraggio per premersi e sfregarsi
completamente contro il suo corpo, dai seni nudi contro il petto
di lui fino allo squisito punto in mezzo alle gambe di entrambi.
I suoni nella sua gola rimasero soffocati tra le loro labbra.
Dentro di lei era iniziata una tensione meravigliosa dall'ormai chiaro
significato e tentare di alimentarla fu naturale. Usò il
proprio peso
per ondeggiare contro di lui, schiacciandosi di nuovo verso il basso.
Si
sentì ricadere all'indietro, di lato, e si
ritrovò sdraiata sulla
schiena,
sovrastata.
I baci non le trovarono più la bocca, le
esplorarono
invece il viso e ogni angolo del collo, divenuto d'improvviso nuovo
punto di sensibilità estrema.
Usagi cercò con le mani qualcosa da toccare e afferrare.
Optò mentalmente per le spalle di lui, ma finì
col
mettergli le
dita tra i capelli: la lunga scia umida sul collo non le aveva lasciato
scampo. Persa, gli massaggiò la nuca, sentendo il percorso
mortalmente rapido della bocca di lui verso il basso, una striscia di
labbra lievemente
bagnate che non si fermò in mezzo ai suoi seni o su una
delle
tante
curve, ma direttamente su un preciso punto d'interesse.
Con la lingua, Mamoru le lambì
voluttuosamente un
capezzolo. Non le diede il tempo di produrre un gemito, lo prese in
bocca e iniziò a suggerlo tra le labbra.
Usagi piegò la schiena in un arco impossibile, emetttendo un
grido sommesso, mozzato.
La sensazione si interruppe immediatamente. «Troppo? Scusa,
non-»
Grazie alla presa sui capelli, lei lo riportò esattamente
dov'era stato prima. Sciocco
e ottuso-
La carezza umida non si fece aspettare per più di un altro
secondo.
No, bravo e capace.
Tanto capace da non permetterle di abituarsi alla sensazione: nessun
movimento era uguale all'altro, tutti generavano picchi diversi,
così, così incredibilmente...
Si strinse un labbro nella bocca e chiuse gli
occhi.
Mamoru la sentiva vibrare ogni volta che la assaggiava, che gustava
tra le labbra la protuberanza turgida del seno che tanto a lungo aveva
voluto vedere. Continuava a sentire il
respiro spezzato di lei e, ancora una volta, appena percepibili, i
suoni che
lo
pregavano di non fermarsi.
Ed era davvero lui, proprio
lui, a provocarle quelle reazioni, a
regalare tutto quel piacere alla sua vera Usagi e non a quella che si
era limitato ad immaginare. La sua vera Usagi era deliziosa, ricettiva,
altamente sensibile, uno spettacolo per gusto,
olfatto, vista, udito, tatto.
Mani rapide gli tirarono la testa verso
l'alto. Lui tornò sopra, a ricambiare immediatamente la
frenesia
dei baci senza fine di lei, l'entusiamo che andava oltre ogni suo sogno
e
immaginazione.
Si lasciò cadere sul fianco, catturandole un fianco con la
mano.
Infilò un dito sotto l'elastico dei pantaloncini gialli e
iniziò lentamente a tirarlo giù, su un solo lato.
Usagi
rabbrividì, ma non protestò. Quando l'altra sua
mano
toccò il fianco opposto, lei si sollevò,
permettendogli
di sfilare l'indumento anche da quella parte.
Lui seguì con gli occhi il movimento delle proprie dita che,
tirando giù, scoprirono mutandine bianche e gambe,
gambe
che, in proporzioni perfette, divennero ginocchia e infine piedi; tutto
vicino come non l'aveva mai avuto, a incredibile portata di... tocco.
Lanciò via i pantaloncini del pigiama.
Tornò a concentrarsi sul viso di lei con minuscola
riluttanza, ansioso di
assaporare
appieno la nuova vista che sapeva di scoperta. La dimenticò
quasi quando le mani di Usagi gli trovarono l'elastico dei boxer; le
dita
di lei presero la strada della sua schiena e lì lo fecero
irrigidire oltre l'impossibile, perché... andarono
giù, come alla ricerca di qualcosa. Si fermarono dopo pochi
centimetri che
quasi lo stroncarono.
Si librò in aria una risatina bassa, imbarazzata. Le mani di
Usagi uscirono rapide dai suoi boxer. «Pensavo-... credevo
avessi qualcos'altro sotto.»
Lui tentò di ridere, ma fu un
suono più roco che limpido.
«No... niente.» A parte la traccia ancora
viva che quelle dita gli
avevano
lasciato sulla pelle.
Il bianco del sorriso di Usagi fu accentuato dalla debole luce
notturna, una luce che le ricadeva su tutto il profilo, un bagliore che
in quel
momento sembrò esistere solo per illuminare quanto di
più
bello e sensuale lui avesse mai visto.
Le posò il palmo aperto sul fianco; accarezzò in
lungo e in largo, causando un sospiro e un movimento che si
offrì al
suo tocco. Lui percorse con le dita la stoffa leggera che la copriva,
fino a giungere sul punto che aveva già imparato a
stimolare oltre il culmine. Lo sfiorò di nuovo, col dorso
delle unghie.
Lei si tese, emettendo un suono sordo di abbandono.
Girando la mano, Mamoru la accarezzò coi
polpastrelli, premendo di quel poco che- Con un ansito, lei
separò le gambe,
invitando il contatto appena più in basso, quei
pochissimi centimentri che facevano tutta la
differenza. L'umidità sotto il cotone rese ogni sua carezza
più semplice, tanto piacevole da essere quasi mortale per
entrambi.
Mamoru sentì il respiro accelerato di lei contro il collo.
L'avrebbe spaventata di nuovo se avesse cercato di toglierle le-?
A bocca aperta, Usagi gli fece sentire il segno dei denti sulla
giugulare e lui non pensò più: con l'indice
scostò di lato il tessuto che lo ostacolava, trovandola con
le altre dita, tanto pronta e umida
che il primo contatto quasi gli fece male.
Usagi sentì il tocco diretto tra le gambe, dove non era mai
stata così morbida. La
prima lieve carezza la ferì di piacere. La seconda
alimentò una tortura di cui si poteva voler
morire. Alla
successiva, ogni pensiero divenne una smaniosa richiesta di completezza.
Più in alto, gridò
tra sé. No
non- Oh sì lì, più forte, no non
così for- di nuovo, per fav-
La colpì una scarica. No!
Gli afferrò il polso, non facendo in tempo a
fermare un secondo sussulto. «Aspetta»
ansimò senza forze.
Cosa? le
chiese lui in silenzio.
«Insieme» spiegò
lei. «Questa volta insieme.»
Il sospiro di Mamoru parve l'essenza stessa del sollievo. «Sarà
insieme» le sussurrò sulla fronte. «Ma
vorrei sentire di nuovo mentre tu... Puoi farlo tante volte.»
Usagi rabbrividì. «Tante?» Quante ne aveva in
mente? Lei oltre quella già-
Lo sentì sorridere. Lui
abbassò la testa e le
sfiorò le labbra. «Una alla volta.» La
convinse con
una carezza leggera delle dita, della bocca.
Quando il tessuto elastico sui suoi fianchi venne lievemente
allontanato
dalla pelle, Usagi chiuse gli occhi, concedendosi ad uno choc
desiderato
con un semplice abbraccio.
Mamoru le abbassò gli slip oltre i fianchi e trattenne il
respiro. Lo completò solo sforzandosi di continuare.
Sollevandosi prima e
piegando le gambe poi, Usagi lo aiutò a sfilarle di dosso
l'ultimo indumento.
Mamoru la strinse a sé mentre lei faceva lo stesso. La
assaggiò
con trattenuta frenesia sulla guancia, scendendo sul collo e finendo
sulla spalla. Le percorse la schiena, il fianco nudo e la prima parte
di una gamba: lei era incredibilmente soffice e calda in ogni dove e
ora
lui poteva toccarla dappertutto.
Spostò la mano sul davanti e poi sotto, in mezzo, dove i
tocchi portavano
più piacere. Scivolò con le dita su e
giù, piano, lungo
un brevissimo spazio che per lei significava ogni cosa. Questa volta
non chiuse gli occhi, non si estraneò mordendo
alcun lenzuolo: odorò lei, le serrò le labbra con
la
bocca, rimase concentrato sul suo corpo che, estasiato, si tendeva e si
rilassava, che tornava a tendersi non appena lui sfiorava una piccola
cresta, che vibrava al minimo tocco, sempre un po' più
forte,
più veloce.
La fine arrivò con mani che gli affondarono le unghie nelle
braccia, con una bocca che gli rubò l'aria e un ventre che
vibrò. Il bagnato sotto le
sue dita palpitò lieve, incessante, animato.
Si sarebbe unito a lei proprio lì.
Ne accarezzò più forte una parte più
grande,
causandole un sussulto che si dissolse in un respiro perduto e mai
ritrovato.
Proprio lì, pensò lui, solo un poco
più sotto, dove si poteva andare dentro e a fond-
Allontanò la mano, stringendo i denti. Percepire la
sensazione
immaginaria gli aveva causato una stretta troppo intensa dove... Gli si
seccò la gola. Dove Usagi si era appena appoggiata,
stringendosi
a lui.
Gli sarebbe bastato abbassare i boxer e, con una spinta dei fianchi,
avrebbe trovato lei e il piacere più assoluto; talmente in
fretta che le avrebbe fatto male di sicuro.
Con cautela, attento a limitare qualunque contatto, si
scostò
piano all'indietro. Si sdraiò per metà sulla
schiena,
come a cercare lo stesso riposo che si era presa lei, con la testa
sopra una sua spalla. Usagi sembrava spossata,
tranquilla.
... avrebbe dovuto fare piano, dopo. Fare attenzione e andare
abbastanza piano da non farle sentire dolore e abbastanza veloce da non
uccidersi nell'attesa. Ma non poteva pensare al tutto come un'impresa:
doveva calmarsi un po', concentrarsi magari su-
Sulla mano di lei che trovò il suo bacino e passò
molto vicino a dove lui si tendeva.
Mamoru sussultò, piegandosi di scatto all'indietro.
Lei si fece sentire con una risatina quasi incredula. «Ancora
ti allontani?»
Per quel che gli riusciva, rise anche lui.
«Scusa.» Tornò come prima.
«Solo... non
adesso.» Non ora che il minimo tocco minacciava di farlo
esplodere.
No? Usagi ne rimase
confusa: aveva creduto che gli sarebbe
piaciuto, come era piaciuto a lei. E poi voleva iniziare a dargli anche
lei
qualcosa, perché fino a quel momento aveva solo ricevuto,
lui
era sempre stato in grado di farle dimenticare tutto e- Oh!
«Mamo-chan.»
«Sì?»
Nel cuore le crebbe una triste amarezza, sciocca ma impossibile da
mandare via. «Questa... non è
la tua prima volta, vero?»
«Certo che lo è.»
La nota di incredulità offesa la riempì di
istantanea
felicità. E così ricordò meglio
com'era stato lui
un paio di anni prima, quando lo aveva conosciuto. Già, che
dubbio assurdo che le era venuto. La scosse una risatina bassa.
Lui si sistemò meglio su un fianco, concentrato.
«Perché credevi che non lo fosse?»
«Niente, così...»
Mamoru la vide distogliere lo sguardo e all'improvviso volle
assolutamente saperlo. Andò a mordicchiarle un orecchio, a
farle
il solletico.
Usagi si
dimenò tra piccole risate, senza successo.
«Dimmelo, altrimento continuo.» Accentuò
la
richiesta con un
altro lieve morso al lobo destro.
«Non saprei, quello stai facendo non è
così male...»
Usagi scoprì subito che il solletico insistente alla pancia
poteva essere quasi male
da quanto la faceva ridere.
Le venne concessa una tregua.
«È solo che» terminò di
sussultare,
«sai cosa
fare,
dove e
come mettere le mani e... Ora non montarti la testa.»
Lui stava sorridendo apertamente, come quella stessa mattina. Sorrideva maliziosamente,
ecco cosa le era sfuggito!
Comunque, era sempre il solito modesto. «Come hai
imparato?» ridacchiò lei.
«Hm... Studio.»
St-?
«Studio?» Grazie alla peggiore attività
sulla faccia della Terra?
«Sì, perché volevo saperne di
più.» Lui notò
il suo evidente disgusto con un nuovo sorriso. «Non
penso di aver imparato tanto. E' perché non so molto
che sto attento a quello che faccio ed è perché
tu non sai
niente che trovi ogni cosa... nuova. Funziona
per questo,
credo.» Le
sistemò una
sottile ciocca di capelli dietro l'orecchio. «E
perché
quando sbaglio non commetto più lo stesso errore. Forse mi
ispira l'amore.»
Ohhh.
«Che dolce
sei.» Usagi si riempì di allegra tenerezza.
«Sai, ti
meriti di montarti un po', perciò... A me tu sembri proprio
bravo, sappilo.» Rise di gusto, provocando in lui la stessa
reazione.
«Non ti credo se ridi. Vuoi dimostrarmelo invece?»
«Ah sì, e come?»
In volto gli tornò
uno
sguardo serio, profondo e... In lei, il tremito fu involontario. Non
poté che aumentare quando sentì di nuovo
la
carezza che si intrometteva tra le sue gambe, delicata e insistente.
«Così.»
Le uscì un ansito che non fu gemito solo per incredile forza
di volontà. «Ancora?»
Lui bloccò i movimenti. «E'... perché
sia insieme,
questa volta. Non so quanto riuscirò a resistere quando io...»
Si interruppe, come se continuare gli risultasse doloroso. «Perciò
un po'
così, prima.»
Okay, pensò Usagi. Va bene, si sarebbe sacrificata.
Chiuse un respiro forte nella bocca.
Però basta
stare sdraiata senza fare niente, doveva partecipare un po'.
Si schiacciò contro di lui e fece scorrere le mani
più
lentamente che poteva, dal petto alle sue spalle, fino alla sua
schiena,
cercando di accenderlo.
Lui iniziò a muovere una nocca a ritmo lentissimo su di lei,
esattamente
nella maniera giusta.
Usagi gli sfuggì con un sussulto, spostandosi di scatto
verso
l'alto. Non sarebbe stato insieme
se lui si metteva a fare così
e- Ansimò di colpo a bocca aperta, intrappolata dal bacio
sul
seno che si fece assaggio immediato, forte, di un unico punto.
Gli catturò i capelli tra le mani, schiacciandosi contro il
suo
viso, separando le gambe per accogliere meglio anche il tocco
lì
mezzo.
Oh, era un
completo
fallimento!
Per lui non riusciva a fare proprio- Si
bloccò, quasi gelandosi.
La mano di lui era scesa più in basso e un
dito aveva trovato un... apertura.
Mamoru scivolò piano verso l'alto, tornando con la testa
alla sua stessa
altezza. «Forse è più facile se
prima...»
Certo, quello era un prima.
Perché ci sarebbe stato un dopo e lei doveva
solo rilassarsi. Voleva quel dopo,
lo desiderava. «Ah-ha.» Si fidò di lui,
e si trattenne dal graffiargli il gomito quando lo sentì... entrare.
Il suo corpo si richiuse immediatamente attorno a quell'unico dito e
Usagi spalancò gli occhi. Se era così adesso,
come
avrebbe fatto poi a-
Si distrasse col bacio sulla bocca, quello che fu così dolce
e
bello da farle ricordare subito perché l'esitazione non
aveva
senso. Era fare l'amore, lo avrebbero fatto in quel modo, unendosi fin-
Fin dove stava toccando adesso lui, sempre più in fondo.
Era quasi piacevole, forse.
Una carezza molto
in fondo le
fece cambiare idea: poteva essere molto
piacevole. E non era male
neanche nel punto tra dentro e fuori, lo stesso movimento di entrata e
uscita
causava un piccolo sfregamento che... Ansimò. Oh, a fidarsi
di lui faceva
sempre benissimo.
Abbassò le palpebre e gli accarezzò con decisione
il
viso, nutrendosi delle sue labbra e di tutte le sensazioni che le stava
dando. Erano meno
acute di tutte le altre volte, ma forse più intense, forse-
Le
sembrò che lui avesse iniziato a cercare qualcosa, verso
l'alto,
a metà strada. Insisteva lì, perché?
Mamoru
continuò a farlo in una ricerca lenta che le
sembrò quasi
inutile, almeno fino all'istante in cui non ebbe pieno successo. Si
irrigidì di piacere. «Cosa-?»
«Studio.»
Le parve di cogliere un sorriso.
Lo soffocò nella propria bocca, abbracciandogli
la schiena e schiacciandosi piano contro la sua
mano,
L'invito fu colto in un nuovo modo, con la parte inferiore del suo
palmo
che premette verso l'alto e su di lei, ondeggiando, coordinando il
ritmo con l'altro movimento.
Usagi ne venne stravolta, tramortita.
Era meglio, ogni volta stupendamente meglio.
E anche se tra poco avrebbe finito di nuovo, non aveva importanza,
perché quella sensazione era nuova, doveva sentirla
completamente, doveva.
Non ci riuscì, perché ogni movimento di lui si
interruppe bruscamente.
Mamoru portò la mano che l'aveva toccata su di
sé,
unendola all'altra per creare un fruscio rapido di tessuto su pelle. La
penombra e lui stesso le impedirono di vedere; notò solo il
lancio distratto dei boxer oltre il letto e il modo in lui cui
tornò
da lei, sulle ginocchia e sulle braccia, senza toccarla, solo...
mettendosi sopra, con gli arti a creare quasi una gabbia attorno al suo
corpo.
Usagi si sentì costretta a rimanere sdraiata, bloccata.
Stupidamente,
si sentì persino minacciata e venne percorsa da un brivido
di
timore.
«Ehi, no.»
Ehi, no era
la voce di lui, di Mamo-chan.
«Sono... solo io.» Lo disse
come se lui stesso
fosse incerto su quanto quel fatto potesse essere rassicurante per lei.
L'insicurezza le causò un sorriso, una sottile
felicità
che si cementò quando sentì la fronte di lui
contro la
propria.
Gli accarezzò il volto tra le mani. Era solo Mamoru, l'amore
in cui riponeva ogni fiducia,
l'amore che non aveva nulla a che fare con la paura.
Alzò il mento e gli sfiorò le labbra con le
proprie.
Mamoru espirò, invaso da un sollievo che poteva non durare,
lo
sapeva. Piegando il braccio, riuscì a toccarle una guancia.
«Se ti farà male, mi fermerò... o
smetterò,
non dobbiamo...» No, non dovevamo, ma lui lo voleva talmente
tanto che smettere lo avrebbe stroncato. Eppure a lei non poteva farlo
capire, perché sarebbe stata capace di subire qualunque
dolore e
costringersi a continuare oltre la propria volontà pur di
farlo contento.
Le lacrime che le sarebbero cadute
dagli occhi non lo avrebbero ferito; lo avrebbero ucciso.
Usagi spezzò un sorriso. «Non... non è
normale il
dolore, la prima
volta?»
E magari non sarebbe stato tanto, pensò. Magari non dovevano
preoccuparsene in
quel modo. Aprì e piegò le gambe, quindi, con un
braccio
sulla schiena di lui, lo invitò ad avvicinarsi. Lo
sentì
colmare
parte della distanza tra loro. «Resisterò un
pochino...»
Il bacio fu come mille altri che si erano scambiati,
unione
pura e desiderata.
La sensazione non fece che aumentare quando percepì
il tocco delle dita di lui che tornava ad
alimentare
il piacere prima interrotto. Concentrarsi su quello e nient'altro fu
naturale, tutt'altro che difficile: vibrava e pulsava per lui, voleva lui e un desiderio
da raggiungere insieme.
Abbandonarsi sembrò giusto e
fu proprio quello che sentì fare anche a Mamoru quando le si
appoggiò contro, i fianchi all'interno del suoi. La
toccò
lì
proprio con quella parte di lui che- Ma non per entrare, solo... Si
appoggiò su di lei, fece semplicemente e solo quello.
Il contatto le tolse il respiro.
Era sconcertante, delizioso oltre ogni
limite, ma lo sentiva lungo tutta la pelle umida e
impossibilmente calda e fu immediato avere
un'idea di ciò che non aveva ancora visto. Si
irrigidì contro di lui, staccando le labbra dalle sue.
Percepì il respiro di piacere contro la bocca e
capì che il
lieve sussulto del proprio corpo lo aveva fatto fremere, costringendolo
a lasciarsi andare a sensazioni che avevano percorso anche lei. E...
sì, era quello
che voleva: dare piacere a lui.
Assaporò senza altri pensieri il movimento che lo fece
scivolare
contro di lei, poi lui prese a sfregarsi ripetutamente contro... oh. Usagi gli
afferrò la schiena e buttò all'indietro la testa.
Mamoru la sentì sciogliersi e fu costretto a smettere,
perché continuare sarebbe servito solo a fargli perdere del
tutto la ragione. Lo attanagliavano insieme un disperato bisogno di
trattenersi e il desiderio folle di provare solamente. Cercò
di
far prevalere il primo e di dimenticare il secondo, perché
adesso, si disse,
doveva concentrarsi.
Si scostò un poco e trovò di nuovo con la mano
l'apertura
del corpo di lei. Spostò subito le dita, questa volta
appoggiandosi proprio dove sarebbe dovuto ent-... ansimò e
strinse i
denti. I fianchi di Usagi si ritrassero d'istinto, senza trovare spazio
per spostarsi.
Doveva aiutarla a non pensarci, a rilassarsi.
Tornò con le dita sul centro umido di lei, in alto, con
l'indice
piegato. La massaggiò con quell'angolo e poi col polpastrello
Il primo sospiro gli fece pregustare quello che gli sarebbe piaciuto
provocarle col suo stesso corpo, da dentro di lei. Ormai doveva solo...
Abbassò lo sguardo, ma più che vedere,
andò a sensazioni. Forse... Forse le
avrebbe fatto meno male se la abituava lentamente; magari tante piccole
spinte avrebbero funzionato meglio, all'inizio. Provò.
Usagi si rilassò quando non giunse alcun dolore.
I tanti brevi movimenti contro di lei, sempre più tesi verso
l'interno,
non le
facevano per niente male e continuava a ricordarsi
soprattutto la carezza delle dita, quei tocchi che
la stavano di nuovo facendo impaz- Le sfuggì un ansito
acuto, sorpreso, quando col corpo iniziò a
racchiudere la
prima
parte di lui.
Mamoru serrò le palpebre con forza, concentrandosi
sull'effimera
sensazione generata dalla sua mano. Quasi non la sentiva
più; come
se non gli appartenesse, si muoveva per inerzia, sempre più
piano. Lei lo percepì e sembrò quasi calmarsi, ma
invece
doveva concentrarsi solo su- Lui tornò con la mente sulla
mano e si
impose di muoversi più in fretta, più forte.
Usagi
sussultò, inarcandosi fino ad accoglierlo un poco di
più,
persino stringen-
I denti schiacciati non lo aiutarono a non sentire tutta la forza della
morsa calda, impareggiabile.
Senza pensarci, mosse più veloce le dita e lei gli strinse
disperatamente i fianchi con le mani, talmente persa che-
Che forse non avrebbe provato dolore, comprese all'improvviso.
Tolse di colpo la mano e si spinse con decisione in avanti, d'istinto.
Non arrivò in fondo,
ma
lacerò qualcosa.
Sotto di lui Usagi si era paralizzata, in
gola un sospiro interrotto.
Nessuno dei due si mosse.
Nel silenzio iniziarono i respiri rapidi e spezzati che sapevano di
lacrime, che non appartenevano a lui.
Mamoru andò a circondarle la testa con le braccia, causando
involontariamente un incastro più profondo, che per lui fu-
Si
morse le labbra. Il brivido di lei non era stato di piacere.
«Usa... stai bene? Resto fermo, stai bene?»
Non ricevette risposta e si abbassò a sfiorarle una guancia
con
le labbra. Fu felice di non trovarla bagnata, ma sentì
ugualmente crescere il panico.
«... è solo strano averti...» Usagi
deglutì. Sì, aveva fatto male, ma era meglio non-
«Ha bruciato
un po'... sto bene.»
Il sospiro di sollievo di lui fu talmente grande che, per un momento,
lei
si preoccupò più dei suoi nervi che dei
propri. Avrebbe voluto dirgli che non faceva male, ma non ne era
sicura. Girò la testa per un rapido tocco di
labbra, poi
desiderò - solo per un secondo - essere padrona della
situazione. «Per favore, non muoverti... voglio provare a...»
Lo
fece, invece di spiegarlo. Tirò su le anche. Dove si
incontravano
intimamente provò un leggero fastidio, ma preponderante fu
la
sensazione di... pienezza. E quello che aveva appena fatto lo aveva
sentito
anche lui, perché si era lasciato sfuggire un suono che...
ed
era
la prima volta da quando avevano cominciato. La prima volta che a lui, finalmente, piaceva
così tanto.
Usagi gli sfiorò la
guancia con le labbra, rilassandosi e stringendolo a sé con
le
braccia. «Sì, non... sì, va'
avanti.» Perditi
in me, proprio come me.
Con la successiva spinta, lo sentì entrare fino in fondo.
Alla
fine i loro bacini si incontrarono quasi e, quando lui spinse ancora
contro di
lei, si sfregarono sulla parte alta, provocandole il delizioso e
già noto
piacere, diverso perché questa volta lo aveva
dentro di
sé.
Meglio,
gemette, sempre
incredibilmente meglio.
Il respiro caldo sul viso le fece aprire gli occhi.
Mamo-chan.
Con lei, dentro di lei, una cosa sola nel cuore, nell'anima.
Con una nuova unione, lui la completò come
mai
prima di allora. Completezza. Una cosa sola in ogni modo, ora. Quanto
di più bello ci fosse in qualunque universo, nel loro.
Labbra bisognose si cercarono.
Mamoru entrò di nuovo in lei, rabbrividendo e toccando il
corpo
che si muoveva assieme al suo. Usagi.
Unita a lui, in grado di fargli provare
il piacere più grande che potesse esistere, capace di
provarlo
anche lei con i medesimi movimenti. Lo accoglieva dentro di
sé,
lei
che gli aveva dato tutto e che lui amava più di ogni altra
cosa.
Abbandono.
Cercarono i fianchi l'uno dell'altra, l'incastro perfetto che poteva
essere solo quello infinito, ancora. Ancora.
Creati per unirsi, sentirono i propri sospiri sulle
guance,
sugli occhi, sulla bocca. E ancora quell'unica connessione, nuova e ora
indispensabile.
Nuova e da approfondire.
Usagi piegò le gambe verso l'alto, strappandosi un gemito e
regalando un ansito nella nuova unione.
Nuova e da catturare.
Lo fece cadere su di sé quando gli strinse attorno i muscoli
che lo avvolgevano, inconsciamente, in una sorpresa fantastica.
Unione nuova che donava naturale e desiderata follia.
Mamoru si allontanò quasi del tutto, riunendosi a lei in un
solo
affondo, facendole tendere il corpo verso l'alto e poi alla ricerca
spasmodica di lui.
Baci non finiti, ripresi e continuati, con un incastro che cambiava
angolo
solo per donare sempre più sospiri, per far perdere aria.
Si dovettero più volte ricordare di inspirare, espirare.
Usagi sentì pulsare di follia il calore che aveva
conosciuto
solo
quel giorno, ma questa volta batteva e tremava attorno a lui e
raggiunse un culmine ignoto e assoluto mordendogli un labbro, ansimando
e
gemendo e
stringendogli le braccia attorno al corpo come se fosse la sua unica
possibilità di salvezza. Batté con lui, solo e
sempre più forte per lui.
Mamoru sentì la stretta che chiedeva di più e non
diede
più tregua agli affondi, a lei o a se stesso, accogliendo
ogni suo
invito fino a che non le offrì tutto quanto, se stesso e
fino all'ultimo spasmo di sensazioni.
Nella fine, arrivò una rigidità di piacere che
bloccò il tempo. Si dissolse in un istante, trasformandosi
in
lieta spossatezza.
Usagi lo sentì completamente abbandonato su di
sé, pesante. Un peso non opprimente, desiderato e
amato.
Mamoru la sentì sotto di sé, che tentava come lui
di
riprendere fiato. Trovando le forze da dove non ne aveva,
scivolò in basso, appoggiando la testa
sul petto di lei, le orecchie sopra il battito di vita.
Per forse un minuto, Usagi fece scorrere dita
tranquille
sulla sua testa.
Mamoru se ne lasciò ipnotizzare fino a che non chiuse gli
occhi.
Prima di addormentarsi si costrinse a staccarsi, a sedersi fino a
raggiungere le lenzuola terminate a metà del letto. Le prese
in
un pugno, sdraiandosi accanto a lei e portandole sopra entrambi.
Trovarono l'abbraccio nello stesso momento.
Usagi lo sentì appoggiare la testa
sulla propria, colse l'odore della sua pelle viva alla base del
collo.
Mamoru sentì il corpo di lei, amato, quieto ed esausto,
mentre riposava contro il suo.
Pochi istanti dopo, il sonno catturò entrambi.
CONTINUA...
Note
del 2011.
Per chi ha Facebook, ecco
alcune note del capitolo (con immagini allegate) da condividere se
volete.
Se avete commenti al capitolo, io
leggo e rispondo sempre tutte le recensioni, anche quelle vecchie :)
ellephedre
NdA
2 (Luglio 2010): capitolo revisionato. Di nuovo, già :D:D:D
Non tanto per il concorso in sé, ma perché stavo
presentando a tante persone un testo che non rispecchiava
più il mio stile, ma soprattutto un testo con cui sentivo di
poter trasmettere di più, ora (forse anche grazie alla
raccolta 'Red Lemon' ;) ). Perciò l'ho rivisto e, come
con ogni revisione, sono sempre più soddisfatta :)
Non è cambiata la trama, né le azioni,
né la
sostanza di tutti i dialoghi, ho solo aggiunto più
sensazioni da
parte di Usagi e Mamoru a tutta la prima parte della scena lemon,
nonché a tutta la prima parte del capitolo, cambiando lo
stile
con cui esprimevo i loro pensieri.
Credo che rivedrò anche il resto della storia, cercando di
migliorare qualche problema, ma soprattutto lo stile acerbo di qualche
tempo fa.
Hmm... nota a parte:
visto che questo capitolo è parecchio cliccato (tipo 1000
visite in più di tutti gli altri :D) forse vi
interesserà anche leggere il capitolo 3 della raccolta
'Interludio'. Sempre rating rosso, sempre Usagi/Mamoru, ma un paio
d'anni dopo. La scena si inserisce nel ciclo dei sequel di Oltre le
stelle, su cui potete trovare maggiori informazioni nelle mie note
dell'autore.
NdA originali: è stato più difficile
di quello che pensavo.
:)
Grazie anche questa volta per avermi fatto sapere quel che pensavate
del capitolo due. Devo dire che mi piace leggere particolarmente le
recensioni in cui spiegate cosa vi ha più o meno colpito, mi
aiutano a capire se ho comunicato quello che volevo.
Questo capitolo è stato particolarmente sofferto e credo
smetterò di pensare che per il prossimo capitolo in fondo ho
già il materiale pronto, anche se in effetti anche il quarto
è già in gran parte formato.
Penso che questa storia non avrà più di cinque
capitoli.
Come dicevo nelle note al primo capitolo, forse ho in mente di scrivere
qualcosa di più articolato, inventare una trama
più corposa. Però devo vedere se avrò
davvero in mente del materiale con cui dare vita a questa idea, per cui
per ora la mia produzione su Sailor Moon si concluderà col
capitolo cinque di questa fanfic.
Non escludo one-shot se non riuscirò a concretizzare la
long-shot di cui parlavo.
Grazie a tutti di aver letto e per ogni commento che vorrete lasciarmi.
Ellephedre
|
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Capitolo 4 *** Quarta parte - Rilassarsi ***
oltrelestelle4
Oltre
le stelle
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Quarta
parte - Rilassarsi
Dormirono dodici ore, dalle dieci di sera fino alle dieci del mattino
successivo.
E, inaspettatamente, la prima a svegliarsi fu Usagi.
Fu un risveglio tranquillo, dove la coscienza del luogo e delle
circostanze arrivò rapidamente, grazie ad una buona notte di
sonno.
Usagi si sentì per un momento strana, senza vestiti addosso.
Poi
percepì il calore del corpo che aveva accanto e
sorrise di pura
soddisfazione
fisica.
Nella notte si erano allontanati, anche se aveva ancora un
braccio di lui sotto il collo; la sua mano non le stava molto lontano
dal viso.
Mamoru però non era più rivolto verso
di lei, ma era per metà sdraiato sulla schiena,
una posizione che non doveva essere troppo comoda.
Probabilmente lui era abituato a dormire a
pancia
in su.
Lo osservò, ripercorrendo con la mente
ciò
che
era
successo. Il calore le salì lungo il corpo e su fino
al
viso. Non aveva creduto di poter provare ancora imbarazzo. Si
passò una mano sulla faccia. Sciocca. Si mosse
inconsciamente e percepì per la prima volta qualcosa di
anomalo: tra le gambe... non sentiva alcun fastidio. Era strano,
perché in fondo all'inizio le aveva fatto un po' male e in
seguito se ne era scordata solo perché-
Le guance tornarono a bruciarle e le fu necessario
concentrarsi sul respiro.
Dentro e fuori. Dentro e fuori.
Strofinò le cosce l'una contro l'altra per capire se
muovendosi la situazione sarebbe cambiata, ma non notò nulla
di diverso. Si sentiva come ogni altro giorno.
Doveva essere stato il
cristallo. O lei stessa, alla fine. Di quello si trattava, in fin dei
conti. Della sua
volontà.
Pensieri troppo complicati di prima mattina. Era meglio andare in bagno
a darsi una rinfrescata.
Spostò per prime proprio le gambe, raggomitolate nella
direzione di lui, cercando di fare piano per
non
svegliarlo. Muovendosi, gli toccò una parte del
corpo che
la notte
prima aveva
conosciuto molto meglio. Ma che-?
Mamoru emise un mormorio e lei lo vide corrugare appena la fronte.
Subito
dopo però tornò completamente rilassato e,
chiaramente,
era ancora addormentato.
Cioè, succedeva anche mentre dormiva, senza alcun
motivo?
Cercò di darsi una risposta, ma non aveva abbastanza
informazioni per elaborarne una. Magari lo avrebbe
chiesto a lui dopo... era il suo corpo in fondo,
doveva pur conoscerlo.
Hmm... forse poteva approfittare della situazione per soddisfare
un'altra curiosità.
Sollevò le lenzuola, tendendole, sempre scrutandogli il viso
in cerca di
ogni possibile movimento rivelatore. Non notandone
alcuno, abbassò lo sguardo.
La luce del giorno era forte e illuminava abbastanza da poter vedere
bene anche sotto le lenzuola bianche.
Quello era
entrato dentro di lei?
Rammentando alcuni momenti della notte prima, le
sembrò che l'impressione
che
aveva avuto al tatto corrispondesse alla realtà visiva, ma
comunque non... Incredula, sbuffò, mollando le lenzuola.
Spostandosi molto piano
riuscì a districarsene e a
rimettersi in piedi. Raccolse gli indumenti finiti per terra e si
voltò per uscire dalla stanza.
«Visto nulla di interessante?»
Il cuore le balzò in gola. Si girò rapidamente su
se
stessa.
Mamoru la guardava con occhi assonnati ma
aperti, divertito.
Stava ridendo di lei! «Saresti stato gentile a non farmelo
notare.»
«Ah, invece non ci sono problemi ad osservare a
tradimento una persona addormentata?»
Come no, si sentiva proprio una vittima. «È
comprensibile
visto quello che è successo.»
«Ho capito...» Lui stiracchiò le braccia
e si
appoggiò meglio sul fianco. «Allora anche io posso
non dire nulla.»
Bastò seguirgli lo sguardo per capire di cosa
parlava: l'unica cosa che la copriva
erano
gli indumenti che teneva in mano, all'altezza del basso ventre. Corse a
sistemarli, per quel che poteva, sopra il petto nudo.
La risata che
risuonò nella stanza le fece desiderare di avere in mano
qualcosa da tirargli in faccia.
Iniziò a muoversi strategicamente a gambero, verso la
porta: non aveva altro modo di coprirsi dietro.
Nonostante
tutto, non si sentiva ancora abbastanza audace da stargli davanti senza
vestiti in pieno giorno. Indietreggiando, notò un
particolare che la mortificò: una
piccola chiazza rosso scuro che marchiava le lenzuola bianche.
Mamoru la vide cambiare espressione e seguì lo sguardo di
lei. Non fece in tempo a rendersi conto di che cosa fosse che
Usagi stava già strattonando via tutto quanto,
compresa l'unica cosa che lo copriva.
Mamoru scese precipitosamente
dall'altra parte del letto, finendoci dietro.
Lei aveva ormai raccolto tutte le lenzuola contro di sé,
ma
l'aria mortificata non se ne era andata.
«Usa... è normale.»
Il commento non servì a farle cambiare espressione,
perciò provò
in
un altro modo. «Quello che abbiamo fatto ieri notte... mi
è
piaciuto molto.»
Finalmente riuscì a farsi guardare.
Lo fissarono gli occhi blu che
aveva visto chiudersi in preda all'estasi. La labbra rosa scuro che
aveva baciato a fondo vennero appena morse, prima di distendersi in un
sorriso. Sensazioni ed immagini tanto surreali quanto intense.
Usagi sorrideva, le guance arrossate. «Anche a me. Ehm...
dove
posso metterle?»
«La lavatrice è in bagno.»
Lei annuì prima di avvolgersi le lenzuola attorno ai soli
fianchi,
districandosi tra tessuto bianco e vestiti. Soddisfatta del risultato,
si girò e uscì dalla stanza.
Non era sicuramente cosciente di regalargli una di quelle
viste che di solito si trovavano solo su un certo tipo di
pubblicazioni. La bocca gli si aprì senza che riuscisse a
controllarne il movimento.
Sulla porta sbucò la testa di Usagi.
Forse si era sentito lo scatto con cui aveva chiuso la bocca.
«Magari puoi alzarti dal pavimento, già che ci
sei.» Lei
ridacchiò e tornò in corridoio.
Rise anche lui di se stesso e si alzò, andando a
recuperare il proprio pigiama dai punti in cui era finito.
Piegò i due indumenti già usati e andò
all'armadio, dove scelse rapidamente qualcosa di nuovo da mettere.
Girandosi, lo colpì la vista della propria stanza: forse un
giorno sarebbe riuscito ad immaginarla nuovamente senza Usagi dentro.
La luce del giorno entrava con forza dalla finestra aperta, creando un
riflesso sul vetro della foto appoggiata sulla scrivania.
L'aveva tirata fuori dalla valigia solo il giorno prima, per rimetterla
dove era sempre stata.
Bevve un grosso sorso d'acqua dalla bottiglia che teneva sempre accanto
al letto.
Forse una foto sola non era più
sufficiente: mettercene di più sembrava giusto.
Era... allegro? Raramente aveva avuto voglia di ridere per nulla.
Si girò proprio ridendo e uscì dalla stanza. Era
ora di fare colazione.
Usagi entrò in cucina con addosso il pigiama delle notte
precedente.
Quello che lui le aveva tolto di dosso. Prima la maglietta,
scoprendo ciò che in precedenza aveva solo toccato sopra il
cotone leggero e
che poi aveva
anche-
Interruppe quel pensiero: non ci teneva a farsi notare da Usagi nello
stato in cui si sarebbe inevitabilmente ritrovato.
... per quel che poteva valere, poi: lei aveva già
notato e visto tutto.
In quel momento il divertimento aveva prevalso sull'imbarazzo: si era
svegliato solo quando aveva sentito le lenzuola che si
tendevano,
ma aveva visto bene la cura che lei ci aveva messo per
non essere scoperta.
Sorrise di nuovo, poi
subentrò un altro pensiero. Chissà cosa aveva
pensato lei quando-
«- ed era proprio grosso!»
Lui rovesciò sul bancone la tazza di latte che aveva
appena
servito. «Come?!»
Lei spalancò gli occhi. «Che ho detto?»
Mamoru sentì un forte caldo alla faccia: stava per...
arrossire. Inorridì e per
distrarsi prese un panno dal lavandino; iniziò ad
asciugare il
latte sparso sul bancone.
Usagi ancora non capiva. «Era un insetto davvero
grosso. Dev'essere entrato dalla
finestra aperta del bagno.» Guardò la reazione di
lui alle
sue parole e non poté fermare l'espressione infastidita e
annoiata. «Non
mi
stavi ascoltando.»
«No, è che...» Mamoru non
trovò un modo
per
continuare. Si
girò per
lavarsi le mani: era una scusa valida per non guardarla. Di sfuggita
notò però la testa inclinata di lei. Vide
nascere e crescere un sorriso trionfante.
«Ma sei arrossito!»
L'orgoglio ebbe la meglio e ogni traccia di rossore gli
sparì
dalla faccia. «No.» Sperò di aver infuso
in
quell'unica
parola
abbastanza disgusto.
Andò a servirle un'altra tazza
di
latte, sperando di aver posto fine
alla
discussione.
Usagi però girò attorno al bancone e gli prese il
viso tra le
mani, raggiante. «Sì, invece.
Perché?»
Era difficile risentirsi quando lei gli stava
così vicina.
«Dai, non pensare a come rispondere, dimmi solo la
verità.»
«Preferisco di no.» Ed era la verità.
Lei lo guardò perplessa. Poi appoggiò
d'improvviso
l'intero corpo contro il suo, circondandogli la testa con le braccia.
Certo che aveva capito davvero in fretta come polverizzargli il
cervello.
«Su, dimmelo.» Sospirato contro le labbra. Il colpo
finale.
«Stavo pensando a... quello che avevi visto prima.»
Terminò
lì, non riuscendo ad entrare nei dettagli.
Quando non continuò, lei lo fissò come se avesse
perso
metà della sua intelligenza in un colpo solo.
E che altro si
aspettava? «Sotto le lenzuola.»
Usagi iniziò con lentezza ad allontanarsi da lui. Mamoru le
vide
molte cose in volto, in
sequenza, mentre a poco a poco le si spalancava la bocca.
Comprensione.
Stupore
imbarazzato. Stupore indignato. Nota di divertimento.
Ilarità.
Scoppiò a ridergli in faccia.
Sonoramente.
Qualche secondo biascicò anche delle scuse, ma
sempre in mezzo ad altre risate.
Dato l'argomento, lui non lo trovava molto divertente. Si
girò,
dandole la schiena.
«Oh, non fare così.» Usagi lo
abbracciò da dietro, col corpo ancora scosso dalle risa.
Mamoru si scostò: non si sarebbe fatto ingannare una seconda
volta.
Lei gli apparve di fronte e lo abbracciò di nuovo, gli
occhi rivolti verso l'alto. «Anche tu fai una faccia
adorabile quando ti prendo in giro, sai?»
Aveva lei stessa un'espressione adorabile mentre lo diceva, e lui non
potè fare a meno di sciogliersi un po', nonostante tutto.
Scosse la testa: era senza speranza.
Ma lui non era adorabile.
«Avevi ragione anche tu: sembra un
aggettivo
da cucciolo di cane.»
«Oh, ma non c'è niente che mi ricordi un cucciolo
in
te.» Lo disse in un tono sensuale di cui finì col
sorprendersi lei stessa, gli occhi spalancati. Gli sorrise, tentennante.
A lui piaceva parecchio avere il coltello dalla parte del manico. Se la
strinse addosso.
E poi non ci furono più né cuccioli né
coltelli. O vincitori e vinti.
Quando staccarono le labbra, quasi un minuto dopo, Usagi
ridacchiò. «Mi piace
questo buongiorno.»
Risero entrambi.
Felicità.
La luce del sole sulla pelle era una vera delizia e la brezza
che correva sul balcone dell'appartamento di Mamoru non faceva che
acuire quella sensazione.
Usagi si appoggiò alla ringhiera senza un solo pensiero in
testa,
limitandosi semplicemente a... sentire.
Le giunsero i rumori della città, la cui vita frenetica
proseguiva come ogni altro giorno, molti piani sotto di lei. L'odore
dell'aria era pulito, per quanto potesse esserlo in una metropoli come
Tokyo. Infine... beh, faceva anche un bel po' caldo. Nonostante tutto,
era agosto.
Mamoru uscì sul balcone e le si mise accanto. In bagno
doveva essersi passato dell'acqua sui capelli, perché li
aveva umidi e
tirati
all'indietro. Le sembrò buffo così: sembrava
molto meno serio del solito.
«Sentivo caldo.» Spiegò lui, davanti
alla sua
espressione.
Lei annuì e tornò a guardare il cielo: c'era
qualcosa
che
aveva attirato la sua attenzione prima ma... non riusciva a capire
cosa.
Udì la voce di Mamoru. «Forse potremmo andare da
qualche parte.»
«Hm?»
«Al mare magari. O, per cominciare, in piscina.»
In viaggio da soli. Sarebbe stata la prima volta. Si
illuminò. «Sì, assolutamente. Hm... il
viaggio magari fra un paio di
settimane. Ho
appena detto alla mamma che sono andata in gita, in fondo.»
Lui annuì, quindi si riempì il volto di
un'espressione
seria. «Stai...
bene?»
«In che senso?»
«Voglio dire... senti dolore da qualche parte?»
Da... qualche parte?
Capì e sorrise. «Ma dai, è una domanda
così da
dottore. Sto
benissimo.» Non le sembrava proprio convinto, per cui gli
prese una
mano e spiegò meglio. «Forse c'entra ancora una
volta
il
mio cristallo.» Riuscì a
tranquillizzarlo: del cristallo che tutto poteva si fidava anche lui.
Sospirò e tornò a guardare il cielo. Cos'era che
le sfuggiva... oh.
L'aereo.
Già prima aveva notato nel cielo le strane scie che solo i
velivoli lasciavano, ma non aveva visto che l'aereo era ancora
lì,
minuscolo, che fendeva l'aria mentre volava via.
In quei mesi si era ritrovata talmente tante volte ad alzare gli occhi
al cielo, gli occhi catturati dalle righe bianche che in precedenza
aveva sempre ignorato. Erano servite solo a ricordarle che, se fosse
potuta tornare indietro, avrebbe risposto in modo diverso alla domanda
cruciale.
No, sarebbe stata la sua risposta. No, non
andare via. Non
lasciarmi sola.
Ma ora, ora che non c'erano più equivoci... Era quasi
incredibile: la risposta che gli avrebbe dato ora sarebbe stata la
stessa
che aveva già scelto mesi prima. Se Mamoru
fosse dovuto partire ancora una volta, ancora una volta lei lo avrebbe
spinto ad andare. Sorrise mestamente. «Guarda che traccia
strana hanno
lasciato gli aerei su in cielo.»
Lui alzò lo sguardo e notò la forma a croce
obliqua
dipinta da almeno un paio di velivoli. «È
vero.»
Se fosse dovuto partire ancora una volta... «Mamo-chan...
quando pensi di tornare negli Stati Uniti?»
Ricevette uno sguardo dapprima disorientato e poi quasi offeso.
«Ti ho
detto ieri che non ti lascerò più.»
Usagi sapeva che lui aveva messo l'anima dentro quelle parole, il
giorno
prima.
Ma doveva fargli capire che non era tenuto a prometterle una cosa
simile solo per il timore di farla soffrire ancora, partendo. Anche se
avrebbe sofferto,
ovviamente. Ma non più come prima, mai più come
prima.
Sarebbe stato tutto così diverso una prossima volta. Si
convinse
a parlarne, ma abbassò prima lo sguardo sulle loro mani
unite: non
sapeva se sarebbe stata del tutto convincente guardandolo negli occhi e
immaginandoselo già lontano. «Andare
lì non
sarebbe lasciarmi. Ora siamo certi che ci
sentiremmo tutti i giorni, no? E non si può vivere con la
paura
che succeda qualcosa; tu te l'eri guadagnato quel viaggio.»
Ogni parola che le usciva dalla bocca era vera. Più di
tutto,
non poteva sopportare l'idea di imprigionarlo in un qualunque modo,
impedire che lui si realizzasse come era in grado di fare.
Era
vero in quel momento come era stato vero allora, quando gli aveva detto
di andare. Il
dolore era stato quasi capace di farglielo dimenticare.
Mamoru scosse la testa. «L'università non mi ha
visto
arrivare, credo che la loro
offerta sia saltata. Ma anche se si potesse renderla di nuovo valida,
non voglio più lasciarti.»
Usagi si avvicinò a lui e gli appoggiò la testa
al
petto: non si sarebbe mai stancata di sentirgli ripetere quanto
aveva bisogno di lei. «Sai che mentirei se ti dicessi che
voglio che tu
vada lontano da me.
Come posso non
volere che tu rimanga? Ma... non voglio
che rinunci a qualcosa di così importante solo per
causa
mia.»
Lui si scostò. «Guardami.»
Usagi lo fece e capì che lui non aveva preso bene il modo in
cui si era espressa.
«Solo per
causa tua?
Non credi di essere altrettanto importante?»
«No, non è questo.» Si
affrettò a scuotere
la testa. «Non
pensare che dubiti del bisogno che hai
di
stare con me. Non è più
così. So
che è pari al mio e il mio è enorme.»
Disegnò con le braccia un grosso cerchio.
Servì a
farlo rilassare. «Non è che non mi
mancheresti da
morire,
ma... non potrei
tenerti accanto a me sapendo di averti privato di qualcosa di
così importante per te, di qualcosa che ti renderebbe
felice. Quindi,
se lo stai pensando,
non frenarti dal partire solo perché pensi che
starò qui ogni
giorno a struggermi. Non sarà così. Non
più. Questa volta staresti bene, ci scriveremmo, ci
sentiremmo
al telefono e non vedrei l'ora di rivederti, ma... non è
niente
con
cui non possa convivere bene.» O convivere, almeno.
Mamoru scelse un momento in silenzio. E la
abbracciò. «Ieri ti ho fatto quella
promessa
perché non riuscivo più ad immaginare di
lasciarti.
Ed è ancora così. Ma...» Si
abbassò
fino ad
appoggiare la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi. «...
grazie.»
Sembravano i ringraziamenti di chi non si aspettava di ricevere parole
simili da qualcun altro. Di chi non aveva mai avuto una
famiglia.
Colta da un moto di tenerezza, Usagi lo strinse forte,
affondando
il viso nell'incavo delle sue spalle. «Allora magari per il
futuro, se
lo vorrai.»
Lui non disse altro, in un silenzio che
sembrò particolarmente carico. Sospirò
all'improvviso, allontanandosi da lei. «Non credo
ce ne
sarà più l'occasione.»
Usagi lo guardò senza capire, ma lui la invitò a
seguirlo
dentro.
Una volta entrati in salotto, si sedettero sui divani.
Perché era così serio?
Seduto davanti a lei, Mamoru inspirò piano, incontrandole
gli
occhi. «Ho deciso di lasciare Medicina.»
Lei balzò in piedi. «Cosa?!» Era un
brutto scherzo, vero? No, lui non avrebbe mai scherzato su una cosa del
genere, ma... tutta la sua passione, tutti i suoi sforzi...
«Ma...
perché?»
Lui comprese la sua reazione, ma rimase calmo. «In
realtà
fa parte di
una decisione più grande...
qualcosa che riguarda anche te. Ascoltami fino alle fine, per
favore.»
Usagi aveva una gran voglia di fare mille domande, ma si arrese alla
determinazione che gli udì nella sua voce e
tornò a sedersi.
«Sai quando mi hai detto che ti ci era voluto un solo istante
per
capire che il tuo cristallo era in grado di agire in determinati
modi?»
Lei annuì.
«È stata la stessa cosa per me. Ieri mattina,
prima che
arrivassi, stavo pensando al futuro e ad un certo punto ho
semplicemente... saputo. E anche ora ne sono assolutamente
certo. È vero che il Regno Argentato che abbiamo visto nel
futuro
sarà
ancora lì tra più di novecento anni, ma... io e
te non inizieremo a
governarlo fra centinaia di anni. O fra decine di anni. Diventeremo Re
e Regina già tra qualche anno.»
... cosa?
Lo choc la rese rigida.
Mamoru continuò. «Dopo che
avrò
compiuto venticinque anni ma qualche anno prima dei miei trent'anni.
Ne sono sicuro. Quando mi sono
reso conto di sapere, ho cercato dentro di me di datare il momento e
tutto quello che sono riuscito a sapere è questo.»
Le
rivolse uno sguardo comprensivo, cosciente di quello che le aveva
provocato con poche parole. «Per tanto
tempo... Così a lungo ho pensato che avremmo avuto
una
vita intera, normale, prima di salire al trono, prima che il nostro
regno iniziasse ad esistere. Ma» scosse la testa,
«non
sarà
così.»
La mente continuò a rimanerle vuota.
Anche Mamoru mantenne a lungo il silenzio, lo sguardo alla parete. Le
rivolse d'un tratto un sorriso mesto. «Era quello che
credevi
anche
tu, vero?»
Una domanda a cui sapeva rispondere. «Sì.
Ma non ne
ero del tutto contenta. Mi sono
vista tra
diversi secoli ed ero adulta sì, ma non... invecchiata. Mi
chiedevo... se fossero
venuti decenni in cui non sarei invecchiata di un solo anno, come avrei
potuto spiegarlo alla mia famiglia? Le uniche soluzioni che mi
venivano
in mente contemplavano fughe, menzogne...»
Scrollò le
spalle con sofferenza. «Tragedie. Ho sempre evitato
di pensarci più di tanto proprio per questo. Inoltre... in
un
certo senso sapevo anche che sarebbe andato tutto bene. Ma non...»
Inspirò, tentando di scacciare il dolore provocato dal
pensiero. «Non
immaginavo che avrei finito col dover rivelare tutto quanto
così presto.» Scosse la testa: ancora non sapeva
come
digerire quella notizia. Ma
almeno... sì, ecco un'idea serena. «Per il
resto...
beh, non ho
mai avuto progetti
molto
diversi dal vivere assieme a te e
sapevo che quella era una certezza in qualunque caso.»
Sbuffò piano, rendendosi conto di aver appena confermato
di
non aver mai avuto alcun progetto per il futuro, a parte quello di
sposarsi. «Sono una sciocca svampita. Di questo passo la
Terra si
ritroverà con una Regina che non è nemmeno
riuscita a
prendere il diploma.» Aveva pensato... di avere tempo. Tempo
per
cambiare, tempo per
conservare ancora per un po' quella spensieratezza di cui sentiva tanto
il bisogno. Cos'era in fondo qualche altro anno?
Era stata troppo
ottimista.
Mamoru le si sedette accanto, mettendole un
braccio attorno alle spalle. «La Terra si
ritroverà con una Regina
dall'incredibile
potere
che porterà luce in ogni dove.»
Forse. O, almeno, lei ci avrebbe provato.
«E
con
il sorriso più bello del creato.»
Usagi gli regalò proprio quello che lui aveva appena lodato.
Non
riusciva a fare altrimenti quando riceveva un suo complimento.
Appoggiò la testa sulla sua spalla.
Era ora di smettere di pensare solo a se stessa. «Se non
Medicina, cosa
farai allora?»
«Ecco... sicuramente, impareremo a governare soprattutto
regnando.
E la
preparazione non finirà mai, ma... penso che sia necessario
avere
buone basi di politica ed economia. Sono cose che mi interessano, per
fortuna. Visionerò l'offerta formativa e
sceglierò
qualcosa che ritengo adatto. L'università però
sarà
il meno... inizierò ad interessarmi a ciò che
già
succede oggi e credo mi sarà utile anche studiare storia
politica ed economica a livello mondiale.»
Usagi emise un sospiro: tutto quel che diceva lui era tremendamente
giusto. «Non dovrai essere il solo. Prima
dovrò finire le superiori, ma... dovrò
iniziare a
provare interessi simili, suppongo.» La percorse un
improvviso brivido.
«Cosa c'è?»
Alzò gli occhi su di lui. «...
è come se avessi appena capito quanto
è
importante
quello che stiamo decidendo ora. Quanto
sarà tutto diverso da questo momento in poi.
Io...» Chiuse
solo per un momento gli occhi, quindi annuì e
tornò
a guardarlo. «Sono pronta. Lo sono. E' solo che... mi sembra
di
aver detto addio troppo rapidamente alla mia vita, a quello che sono
stata fino ad ora.»
«Usagi...» Mamoru la strinse più forte e
lei
accolse
volentieri il nuovo calore.
Ancora pochi anni per vivere normalmente, prima che molti guardassero a
lei per avere soluzioni e risposte. La Regina che
era diventata era stata il perno del mondo futuro che aveva visitato.
Quando lei aveva perso conoscenza, la Terra non era riuscita a salvarsi
da sola. Lei. Se stessa, cioè.
No, meglio non pensare a
problemi
che avrebbe dovuto affrontare tra centinaia di anni. Anche
perché alla fine si sarebbe risolto tutto, no?
Già.
Piuttosto, c'erano valanghe di libri che la
stavano
aspettando. Il pensiero era... un po' fastidioso, ma non opprimente.
La propria reazione la sorprese.
Beh... sicuramente ne
avrebbe ricavato molti benefici, no? Avrebbe imparato tante cose. Non
si
sarebbe
più sentita la sciocca del gruppo, tra le sue amiche. E non
le
sembrava più impossibile farsi entrare in testa tanti
concetti.
Forse era solo ottimismo, ma sperava di no.
Fastidiosa più che altro era l'idea di potersi divertire
meno di
prima. Naturalmente avrebbe chiesto aiuto ad Ami. E a Mamoru,
se lui non
avesse avuto troppi impegni.
Almeno avrebbero passato più tempo insieme, anche se
studiando.
E se anche lei fosse venuta spesso a casa sua, se poi i risultati si
fossero visti,
sua madre non avrebbe avuto alcun problema a vederla uscire ogni giorno
per andare da lui. Che era quello che aveva intenzione di
fare, in ogni caso.
Le sfuggì una breve risata. «Sai, in tutta questa
faccenda
del diventare adulti e prendere
decisioni che cambieranno la nostra vita, un aspetto positivo
c'è.» Gli mise entrambe le braccia attorno al
collo e gli stampò un bacio sulle labbra. «Noi.
Non siamo mai stati vicini come ora e da questo
punto
non possiamo tornare più indietro, solo andare avanti.
È...
meraviglioso. Non riesco quasi a immaginare
cosa possa
esserci di più, eppure... dev'esserci qualcosa di
più. Ne sono sicura.»
Era riuscita a far tornare il sorriso anche nell'espressione di lui e
quello da solo
servì a farle dimenticare ogni altra cosa.
«Lo scopriremo insieme, no?»
«Sì... insieme, per sempre insieme.» Si
portò davanti agli occhi la mano sinistra, quella in cui
c'era
l'anello che lui le aveva dato.
Gli occhi di Mamoru seguirono il suo movimento. «Ti si
addice molto, ma non l'avevo pensato come
anello di fidanzamento. L'idea di metterlo a quel dito... mi
è
venuta in quel momento.»
«Non ha importanza.» Lei continuò a
rimirare il
semplice
gioiello. «È
perfetto proprio per quello.»
Lui non sembrò condividere appieno quell'opinione.
«Più in là te ne prenderò un
altro
e... te lo chiederò in maniera
più...»
Lo interruppe con un rapido bacio, sorridendo. Come faceva a
preoccuparsi già ora di una cosa del genere? «Lo
so. Non
vedo
l'ora che arrivi quel giorno, ma ci vorrà ancora qualche
tempo. Per ora lasciami
adorare la nostra situazione così com'è. Io...
non sono
mai stata così felice.»
«Anche
io.»
«E poi...» Lei cercò di non
arrossire. «...
vorrei
passare
più
notti qui da te.»
Mamoru annuì solamente, senza prenderla in giro per il suo
imbarazzo.
La reazione la aiutò a non perdere il coraggio.
«Ora
che so finalmente tutto quello che c'è da sapere, io...»
Non riuscì a trattenersi e riprese colore sulle guance.
«Non
credevo fosse possibile, ma è come se mi si fosse aperto un
mondo. È stato così piacevole e... »
Spalancò gli occhi, irretita. «Si
può
sapere che
c'è?»
Mamoru stringeva le labbra col chiaro intento di
trattenere le risate. «È solo che... hai
detto che
ora sai tutto
quello
che c'è da sapere...»
E quindi? «Sì, ieri è stato
istruttivo e
credo di avere tutta l'esperienza che mi serve. Non sono
completamente innocente e sapevo qualcosa anche io
già prima, sai?»
«Ah sì?»
«Sì, voglio dire... ho letto e visto qualcosa
anche io e
penso che abbiamo
fatto... tutto quello che c'era da fare... Oh, smettila di
ridere!»
«Scusa.» Lui tornò serio, ma non del
tutto. «È
che... hmm... abbiamo fatto appena un po' più
del... repertorio base.»
«Che significa?»
«Significa che, per cominciare, ci sarebbero diverse...
posizioni.»
«Oh.» Fu l'unica cosa che le uscì dalla
bocca.
Scema. Certo che sapeva che c'erano diverse posizioni. C'era quella
che...
e poi quella dove...
... gliene vennero in mente soltanto due e
sentì un tale caldo alla faccia che si allontanò
un
attimo da lui, per respirare meglio. Gli lanciò uno sguardo
di
sfuggita e lo vide con addosso quel bel ghigno malefico che aveva
sempre nell'istante prima di colpire.
«Arrossisci perché te ne è venuta in
mente
qualcuna?»
Lei si alzò di scatto e gli tirò addosso uno
dei
cuscini del divano.
Lui rise di gusto mentre si toglieva il cuscino dalla faccia;
quella vista le scaldò il cuore.
Come le era già capitato di fare tante volte in passato, si
fermò a contemplarlo. Adorava guardarlo ben
sapendo
che, se avesse voluto, avrebbe potuto in qualunque momento toccarlo.
Eppure quel giorno si ritrovò inconsciamente ad osservarlo
da
una
nuova
prospettiva: mentre un tempo si era sempre concentrata sul viso, sugli
occhi, sui capelli, quel giorno...
Chiaramente sapeva bene tutte quelle cose, ma non si era mai ritrovata,
prima di ieri,
a voler osservare la lunghezza delle sue spalle, l'ampiezza del suo
torace, quanto erano diverse le sue braccia da quelle di lei,
così muscolose... Si sentì
all'improvviso come
una delle
sciocche protagoniste di quegli shojo-manga spinti che Rei insisteva a
nascondere in fondo alla sua biblioteca. Quelli che in effetti avevano
contribuito in modo principale alla sua formazione nel campo del sesso,
a parte letture più 'mediche'.
Trovò un motivo per rallegrarsi subito: quantomeno ora era
in grado
identificare lo stato in cui si
trovava. E la cosa più bella? Ora sapeva anche che aveva a
disposizione un modo molto, molto soddisfacente per rilassarsi.
Si
andò a sedere sulle sue ginocchia, cogliendolo di sorpresa.
Perfetto. «Beh, non è che ci stessi proprio
pensando,
ma... sì, riesco
a
immaginare.»
Mamoru spalancò la bocca e non pronunciò una sola
parola.
Renderlo così inerme le piacque tantissimo.
Continuò.
«C'è qualcos'altro secondo te che dovrei
sapere?»
Lui proseguì a fissarla sbalordito, ma poi, piano, molto
piano, si riprese; inclinò la testa e sorrise appena, in
modo parecchio... furbo.
Aveva sicuramente capito la sua strategia e lei sapeva bene che non era
da
lui rimanere indietro. Forse aveva cantato vittoria troppa in fretta.
Il modo in cui la stava guardando la fece all'improvviso sentire...
preda.
Sentì le sue labbra all'orecchio. «Ci sarebbe
quello che
ho fatto
ieri
con le dita... però con la bocca.»
Lei sussultò. Quello che- Con la-...
Prese fuoco o almeno così le sembrò da tutto il
caldo che la invase. Non aveva mai
sentito contemporaneamente tanto imbarazzo e tanta eccitazione insieme.
Un secondo dopo udì la propria voce dire, con un suono
appena percettibile: «Po-potremmo andare sul letto?»
Trovò il coraggio di guardarlo.
La osservava come se lo
avesse appena attraversato un fulmine.
Assaggiò per un istante il gusto della vittoria,
perché
alla fine era stata lei a scioccarlo di più.
Per l'istante,
si
intende, in cui riuscì a non pensare a cosa avrebbero fatto
su
quel letto, scaldandosi oltre l'impossibile. Oh, non quella cosa
con
la bocca perché sarebbe di sicuro andata in autocombustione
molto
prima. Ma il resto... ogni istante che passava aveva sempre
più
bisogno di tutto il resto.
E se non si alzava lui da quel divano entro
un secondo-
Mamoru scattò in piedi e verso la camera, tenendola in
braccio
in maniera incredibilmente disordinata, tanto che lei dovette
aggrapparsi come poteva per non cadere.
La prima volta le dimostrò che, a quanto pare, non aveva
considerato che certi incastri potessero riuscire anche di
lato.
La seconda, fra le altre cose, che si poteva sopravvivere
all'autocombustione.
La lampada che illuminava la stanza di Rei aveva una bella fantasia
incisa sopra.
Makoto capì di non essersene mai
accorta
prima. «Devo dirlo... mi sembra incredibile stare a parlare
qui come
se non
fosse successo nulla. Sembra quasi un pomeriggio qualunque, uno dei
tanti che abbiamo passato insieme in questa stanza. Eppure l'altro
ieri, per qualche ora, siamo morte.»
Era la prima a parlarne, nonostante avessero passato insieme ormai
tutto un giorno e una notte.
Nella stanza regnò il silenzio.
A prendere la parola fu Ami. «Non sarebbe la prima
volta.»
«Come?»
«Si riferisce al combattimento finale col Regno delle
Tenebre.» Rei si
appoggiò coi gomiti sul tavolo.
«Ah, sì... ma allora è stato diverso.
Forse
perché
siamo tornate a vivere normalmente per qualche settimana prima di
prendere coscienza di quanto era accaduto. È stato
più facile abituarsi all'idea che...»
Sospirò. «Che andava davvero tutto bene.»
«Ma va tutto bene.»
Makoto sorrise. «Lo so, Rei. Non sto cercando di fare la
guastafeste.»
«No, fai bene a parlarne.« Ami incrociò
le braccia
sul tavolo. «In fondo è quello che
stiamo provando tutte.»
Si sentirono i cenni di assenso di Rei e Minako.
«Per Usagi dev'essere stata molto più
dura.»
Rei guardò fuori dalla finestra. «Non è
la prima
volta che ci ha viste lasciarla.»
Nessuna trovò un modo per commentare quell'affermazione.
Pensare alla disperazione di Usagi quando le aveva viste morire non
richiedeva parole.
A rompere il silenzio fu di nuovo Ami. «Sento che ti stai
incolpando Rei. Devo ammetterlo, anche io
mi sento
in colpa per non essere riuscita ad essere di maggiore aiuto, ma...
non
potevamo fare altro. Non eravamo in grado. Persino la soluzione estrema
di Uranus e Neptune non ha funzionato.»
Avevano appreso di quegli eventi nell'istante stesso in cui erano
tornate
alla
vita.
Fingere di tradire la propria causa, uccidere con le proprie mani delle
compagne, fare del male ad Usagi... eppure, alla fine, riuscire a
piantare
quei dischi di luce nel petto di Galaxia.
«Che coraggio che hanno avuto.» Minako scosse la
testa. «Io
non
credo che avrei mai osato tanto.»
«Nemmeno io.» Makoto osservò le proprie
mani. «E mi secca. Ora
sappiamo che non avrebbe funzionato, ma sarebbe stato nostro dovere
provare ogni soluzione possibile. Ne andava del destino dell'universo,
del destino di Usagi che dovevamo proteggere.»
Questa volta nemmeno Ami trovò di che replicare.
«Sapete» esordì Minako, dopo qualche
secondo di
ulteriore
silenzio. «Penso che Usagi
non
avrà voglia di sentire tutti questi discorsi. La faranno
sentire
solo peggio. So che noi pensiamo di aver fallito, ma non credo di
sbagliare quando dico che... è lei che crede di aver
fallito,
per quanto riguarda tutte noi. Noi sentiamo che è nostro
compito difenderla, ma lei crede che sia suo compito
proteggere noi.»
Rei non trattenne la smorfia di dolore: dovevano convivere anche con
quella consapevolezza.
«Forse stiamo esagerando.» Makoto cercò
di incrociare gli sguardi di tutte. «Usagi avrà
passato tutto il giorno con Mamoru e già ieri si
vedeva che era molto più felice che negli ultimi
mesi.
Sono certa che arriverà qui serena.»
«Già.» Minako si trovò a
concordare
pienamente. «In mezzo a tutto, c'è
questa
fortuna.» Sospirò profondamente, con un minimo di
rimpianto. «Uffa, piacerebbe anche a
me
avere un ragazzo da riabbracciare, dopo tutto questo.»
Ami alzò gli occhi al cielo. «Minako, ma sempre ai
ragazzi
pensi!»
«Eddai Ami!» Minako iniziò a ridere.
«Non dirmi
che non
vorresti anche tu un
ragazzo da amare! Dev'essere la cosa più bella che esista...
amare ed essere
riamati. Sono felice per Usagi, ma... un po' la invidio.»
Sorrise
comunque.
«La volete sapere una cosa?» Rei si mise
più
dritta.
Le altre la guardarono con fare interrogativo.
«Io penso che questa volta possa essere quella buona per
noi, da
questo punto di vista. Io... ho percepito che non avremmo battaglie
per
un bel po'. Forse per un paio d'anni o addirittura per tre. Ieri,
mentre
pregavo
davanti al sacro fuoco, ho voluto saperlo e ho ricavato questa
risposta.» Si rallegrò della serenità
che
quell'informazione portò nel viso delle sue amiche.
«Finalmente avremo tempo
per
dedicarci ad una vita più normale, per dedicarci a
trovare...
qualcuno di speciale.» Nel finire la frase,
arrossì
un poco.
«Ha! Rei, sei una romantica anche tu!» Minako
sorrise
apertamente. «Lo sapevo che non leggevi
shojo manga per nulla!»
«E piantala!»
Ma il rossore sul suo viso si accentuò e Minako non
poté trattenersi dal proseguire su quella nota.
«Ma perché? È bello sognare storie come
queste.»
Si
alzò
e andò a prendere un manga dallo scaffale dei libri.
«Per esempio questo...» Sfogliando il volumetto,
iniziò a
sgranare gli occhi. «Rei! Ma... e
così
leggi anche queste cose! Rei-chan, non immaginavo questo di
te.»
Rei capì subito cosa avesse in mano e scattò
in piedi, per toglierle il manga dalle mani.
Minako
fu più agile e saltò sul
letto, riprendendo la rapida lettura.
Makoto si unì al divertimento. «Uhh,
cos'è?
Racconta.»
Rei si riprese il manga con uno scatto, ma, anche a mani vuote, Minako
non perse il sorriso. «Inutile, ormai ho capito i
fondamentali della trama. Non che ci
voglia
mai molto con questi smut. Allora, lei è una studentessa
timida
che viene circuita da questo bellissimo compagno di scuola, che le
tende trappole nelle aule vuote e poi un po' dappertutto e appena ne ha
l'occasione-»
«Ragazze!»
Ami cercò disperatamente di far finire un tipo di discorso
che la metteva sempre a disagio.
«Shh, Ami.» Makoto si portò un dito
davanti alla
bocca. «Sta
entrando nel punto interessante della storia.»
«E lo fanno da tutte le parti e in tutti i modi,
fine.» Rei
scelse di
affrontare la questione di petto.
Minako la guardò trionfante: l'aveva
costretta
ad ammettere l'evidenza. «Sì, in sostanza
è
così
ma credo che sia tutto molto più... divertente.»
Sorrise,
maliziosa. Non per niente possedeva manga simili lei stessa.
«Ma non dovrebbe esserci una storia d'amore prima di tutto
quel...
sesso?» La voce di Ami si fece minuta sull'ultima parola.
«Ma è solo un manga, Ami!» Minako si era
già
messa le mani sui fianchi. «Esistono
queste storie fatte solo di passione, ma non significa che chi
ne legge voglia qualcosa di simile per sé. Piace leggerle
solo
per...» Si fermò, non sapendo bene come esprimersi.
«Soddisfare anche solo a livello di immaginazione un naturale
bisogno
ormonale, tipico della nostra età?»
suggerì Ami.
Cavolo. «... sì. Ma solo tu potevi metterla
giù con
quei paroloni.»
«Mi sembrano quelli giusti. Personalmente credo che sia
tutto migliore quando c'è l'amore e non credo che
avrò
seriamente necessità simili prima di trovarmi in una
relazione stabile e
duratura. Una come quella di Usagi e Mamoru.»
Rimasero in silenzio, ognuna a pensare alla propria naturale
inclinazione sull'argomento. Makoto intervenne con
un'osservazione. «Hmm... mi chiedo se Usagi e Mamoru
l'abbiano mai
fatto.»
«Makoto!» Ami alzò gli occhi al cielo:
evidentemente era
impossibile distoglierle dall'argomento.
«Beh, sei stata tu a parlare della loro relazione e in fondo
loro due stanno
insieme da
due anni, oramai.»
«Sì, ma due anni fa Usagi era una
ragazzina.»
«Non che adesso la situazione sia molto diversa, nella vita
di tutti i
giorni...» Non voleva essere cattiva, ma Rei non
riuscì a
non far trasudare sarcasmo da ogni parola.
«Cattivella di una Rei!» la ammonì
Minako. «Se
volete
sapere la
mia opinione...» Si sentì subito tutti gli occhi
puntati
addosso e capì che volevano sentire eccome quello che
pensava in
merito. «Beh, secondo me non l'hanno mai fatto.»
Rei ci pensò su solo per un momento. «Neanche
secondo
me.»
Ami sospirò ancora una volta. «Ormai mi avete
coinvolta e ve
lo chiedo giusto
perché non riesco a capire: perché ne siete
così
certe?»
«Non saprei spiegarlo bene... penso solo che l'avrei vista
più
matura.» Rei annuì fra sé e
sé: era
quella la sua sensazione.
Minako si accordò a lei. «Sì e, credo
anche
meno
suscettibile alle lusinghe di
altre persone.»
«Chiamiamo le cose col loro nome» si intromise
Makoto. «Seiya.»
«Infatti.» Minako annuì.
«So che Usagi non ha mai
avuto
neanche una
cotta per lui, ma-»
«Confermo» la interruppe Rei. «Non ha
mai nemmeno concepito
l'idea che
ci
potesse essere qualcun altro per lei, romanticamente
parlando.»
«Appunto.» Minako riprese il discorso.
«Però era
lo stesso
suscettibile a certi flirt. Vabbeh, lui era quel che era.»
Sospirò con gli occhi al cielo, al ricordo dell'immagine di
Seiya. «Però non credo che se con Mamoru fosse
arrivata fino
a
in
fondo avrebbe trovato anche solo minimamente interessanti o
sconvolgenti certi
atteggiamenti.»
«E perché?»
Ami a quel punto seguiva la
discussione con interesse.
«Oh, Ami! Forse dovresti davvero leggere gli shojo smut di
Rei per
capire cosa intendo dire.»
Makoto e Rei ridacchiarono.
«Oh, non prendetemi per una che non sa nulla!» Ami
appoggiò i pugni chiusi sulle ginocchia. «Se
volete sapere quello che penso, secondo me invece l'hanno fatto. Ed
è successo ieri.»
Tutti gli sguardi si fissarono di colpo su di lei.
«Non li avete visti quando ci hanno salutati? Sembravano
veramente in sintonia e proprio come una coppia che... beh, una
coppia adulta. E non credo che Usagi sia andata a dormire a
casa
sua questa notte.»
«Hoho, Ami! Non ti credevo capace di certe
osservazioni!»
Minako
aveva il tono eccitato di chi aveva appena scoperto un succosissimo
segreto.
«E brava la nostra Ami!» le fece eco Makoto.
Ami arrossì.
Rei invece intervenne solo dopo aver riflettuto. «Hm, in
effetti,
quando lui era partito, le aveva dato quell'anello di
simil-fidanzamento. E sono passati tre mesi dall'ultima
volta che si sono parlati. Mamoru in realtà era
addirittura
morto in questo periodo e Usagi lo è venuta a sapere solo
l'altro ieri.
Pensandoci, sembrano gli elementi di una trama costruita apposta per
portare a quella conclusione.»
A quel punto, anche Minako e Makoto si erano messe a pensarci
seriamente.
«State dicendo che è accaduto stanotte.»
Minako
arrivò ad una conclusione. «Se la teoria
è
esatta, oggi dovremmo vederla
diversa,
per cui non ci resta che aspettare.»
«Diversa come?» indagò Makoto.
«Non so dire di preciso... potrebbe fare qualcosa che la
solita Usagi
che conosciamo non farebbe mai normalmente. O avere un'aria
diversa.»
In quel momento, sentirono dei rapidi passi provenire dal corridoio e
qualche
istante dopo apparve Usagi, coi codini svolazzanti e un sorriso
contagioso. «Ragazze!»
Nel vederla, dimenticarono tutte ogni altro discorso. Era
così
facile sentirsi invadere dall'affetto per lei, che tanta luce aveva
portato nelle loro vite. Si alzarono e Usagi salutò ciascuna
di loro con un forte abbraccio. Un gesto comprensibile, dato
ciò che era recentemente accaduto.
Tornarono a sedersi e Usagi iniziò a farsi aria con
una mano. Rise. «Ho fatto una corsa per venire
qui!»
«Oh, vuoi della cola o del tè freddo?»
offrì Rei.
Usagi notò le bevande e il cibo sul tavolo.
«Tè
freddo, grazie. Oh, scusate, non ho portato niente da
mangiare.»
«Figurati, li ho fatti comprare dal nonno. Tieni, qui ci sono
anche dei
pasticcini, serviti pure quanto vuoi. Con le altre
abbiamo già mangiato a sufficienza.»
«Sembrano buoni. Però... no, sto bene
così,
grazie.
Forse più tardi.»
Usagi si rese subito conto di essersi guadagnata una sfilza di sguardi
straniti. «Non voglio mangiarne ora, è
così
strano?«
«Ma dai Usagi, sì che lo è.»
Makoto non
si fece problemi a sottolineare la verità.
Usagi voleva sentirsi un minimo offesa a nome del proprio stomaco, ma
in fondo non poteva negare l'evidenza. Non dopo che
intere
scatole di pasticcini avevano conosciuto la sua furia divoratrice, in
passato. «E va bene, mi avete scoperta. È che ho
già
mangiato del dolce a casa di Mamoru, per cui...» Si
interruppe
nuovamente,
notando gli sguardi stupefatti. Doveva spiegare? «Ieri era il
suo compleanno, per cui ho preso una
torta.» Al
pensiero
di quel momento non riuscì a
trattenere un sorriso. «È durata fino a oggi e
così ne ho
mangiata un po' anche a colazione e poi anche dopo
pranzo...»
Si fermò.
Gli sguardi che le venivano
rivolti
erano sempre
più sorpresi.
«Insomma, che
c'è?»
«Niente, Usagi.» Ami attirò la sua
attenzione su
di
sé. «Senti, con le altre stavamo programmando di
andare in
vacanza per un paio di giorni tutte insieme. Abbiamo pensato ad alcuni
luoghi, ma volevamo sentire anche il tuo parere, prima di
decidere.»
«Ah... quando? Ve lo chiedo perché ho progettato
di andare
da qualche parte da sola
anche con Mamoru e -»
«Ommiddio, l'hai fatto!» Minako scattò
in
piedi.
Ami si
coprì la bocca spalancata con la mano.
Rei chiuse gli occhi
arrossendo e contemporaneamente irritandosi per la mancanza di tatto di
Minako.
Makoto balzò seduta sul letto e osservò
Usagi con
aria rapita.
Usagi non riuscì a capire. «Ma di che state
parlando?»
«Tu hai fatto sesso!»
la accusò Makoto.
«Co-?» Usagi arrossì fino alla punta dei
capelli e
non
riuscì a dire una sola altra parola. Si rese conto quasi
immediatamente che con quell'atteggiamento non aveva fatto altro che
confermare il sospetto.
«Oh mio dio...»
La voce di Ami si era mantenuta
bassa, ma
nemmeno lei era riuscita a trattenersi.
«Usagi!» Rei riuscì a malapena a
respirarlo, in un
misto di
incredulità e stupore.
Makoto spalancò la bocca oltre l'impossibile, mentre Minako
si limitò a restare immobile dov'era, come fulminata.
Finalmente Usagi riprese l'uso della parola. «Ma-ma-... che
domande
sono? E poi cosa c'entra?»
Makoto ignorò le obiezioni. «Oh, com'è
stato?»
«Ma Makoto!» I rimproveri di Ami e Usagi si fecero
eco tra
loro.
«Sìsì, ti prego Usagi, dicci
qualcosa!» Minako
non vedeva l'ora di saperne di più.
Rei non disse nulla, ma si avvicinò ancora di più
per sentire.
«Non sono affari vostri!» Usagi cercò di
arginare
l'imbarazzo e porre fine alla discussione.
«Stupidaggini!» ribatté pronta Minako.
«Se fosse
stata una
di
noi, tu saresti stata la prima a volerne sapere di
più.»
«Non è vero!» Usagi si sentiva sempre
più in
trappola.
«Inutile resistere, parla!» Makoto e Minako
la
circondarono e
dietro di loro a poca distanza sbucò anche Rei. Ami avrebbe
voluto
nascondersi in un angoletto, ma la curiosità la spingeva a
rimanere ferma dov'era, seduta accanto al tavolino. Scientifica, era
curiosità puramente scientifica, si disse.
Vide Usagi
capitolare
davanti agli sguardi insistenti delle altre.
«Uffa, e va bene. Ma non credo di poter descrivere... Voglio
dire, la
prima volta è stato...»
«La PRIMA
volta?!?» Quattro voci in coro.
Usagi nascose la faccia tra ginocchia. «Basta, non dico
più niente!» Ridacchiò di puro
imbarazzo.
Minako le si avvicinò da dietro.
«Sei una
donna perduta
oramai, Usagi!»
Usagi emise un piagnucolio non del tutto finto.
«Meno male che non ci sono qui Luna e Artemis, altrimenti sai
che
ramanzina...» Makoto pensò alle possibili
osservazioni dei
normalmente sempre presenti gatti.
«Beh, non la accetterei da loro.» Usagi riprese
tutto il
coraggio. «Nessuno ha il diritto di dirmi nulla
in merito a questo!» Non usò un briciolo del
solito
tono infantile che normalmente adottava quando parlava dei divieti di
Luna, se ne accorsero tutte.
«Se non fosse bastato già il resto, questa sarebbe
la prova
definitiva.»
Rei sospirò. «Hai appena
avuto un
atteggiamento più maturo, Usagi.»
«Hmm.» Il mormorio di Ami era stato abbastanza
forte da
farsi
sentire in tutta la stanza. «Siete stati responsabili, vero,
Usagi?
Avete
usato precauzioni?» Non era sua intenzione intromettersi, ma
era un
aspetto fin troppo importante. E, a sentire lo scenario dipinto da Rei
prima, non sembrava proprio la prima cosa a cui avrebbero potuto
pensare due persone in una simile situazione.
Usagi cominciò a giocare coi pollici. «Ecco,
veramente...»
«Non l'avete
fatto?» Ami saltò in piedi.
«Nono, voglio dire, sìsì. Il cristallo.
È stato
il
cristallo d'argento a proteggermi.»
Alla menzione della fonte del suo potere, tornarono tutte
serie.
Ami proseguì. «Il cristallo... hai rimesso a posto
tu tutto
quanto, vero?» Distruzioni sparite, ricordi scomparsi.
«Sì... come le altre volte. Dopo ogni battaglia
sono in
grado di usarlo per fare cose che normalmente non riuscirei neanche a
immaginare, lo sapete.»
Ami annuì, poi volle chiedere. «Hai fatto
affidamento su
questo residuo di potere per...»
«No. No, io credo... Penso che questa volta sia diverso:
sento di
avere un maggiore controllo su questo mio potere, almeno a livelli
minimi.
Penso che non
andrà mai
più via. E... beh, funzionerà anche in quel
modo, fino a quando non
sarà il momento per me di avere Chibiusa.»
Tornò per un istante il silenzio, poi Minako
commentò il tutto con un sorriso. «Wow,
è un
oggetto multiuso.»
Usagi sorrise e proseguì. «A questo proposito,
devo parlarvi
di una
cosa che mi ha detto Mamoru. Lui crede... Lui crede che...»
Si era ripromessa di parlarne subito e senza fare storie,
perché
sapeva che se ci avesse riflettuto non avrebbe voluto discuterne
affatto. Ma le sue amiche avevano il diritto di sapere.
Notò gli sguardi di attesa e si decise. «Lui
è convinto che non manchi più di
qualche
anno prima che...
il Regno Argentato inizi ad esistere. Davvero pochi anni. Meno di
dieci.»
Cadde un silenzio tombale.
Usagi riusciva a immaginare benissimo quello a cui stavano pensando.
«Come lo sa?» Rei preferì non iniziare
ad agitarsi
prima
del
tempo.
«Lo sente. Non è molto, ma io credo che abbia
ragione
perché-»
«Lo senti anche tu.» Rei percepì dentro
di
sé una
consapevolezza giunta solo in quel momento. Sospirò.
«Ora
che me l'hai detto, lo sento anche io.»
Usagi udì la tristezza nella sua voce.
«È da
ieri che
all'improvviso mi appaiono in testa delle risposte, come se le avessi
sempre avute. Finora mi è servito solo per ritrovare la
valigia di Mamoru e per sapere... in quale altro modo utilizzare il
potere del mio cristallo. Ma è per questo che quando
Mamo-chan
mi ha
spiegato che era capitato anche a lui, ho capito subito cosa intendeva
dire. A te era già successo, Rei. A voi?»
Le altre scossero tutte la testa.
Ami cercò di dare una
spiegazione. «Dev'essere perché... Rei ha sempre
avuto un
potere di questo tipo, e tu e Mamoru sarete i reali di questo
pianeta. Forse anche noi in futuro sentiremo qualcosa, ma... per ora
no.»
Rei tornò a parlare. «C'è una buona
notizia. Ho
percepito anche che non avremmo battaglie
per almeno un paio d'anni.»
Usagi ne fu contenta, ma si ritrovò a sorridere solo
debolmente. Era certamente una buona cosa, ma
sapeva che le altre erano ancora sotto choc per via di ciò
che aveva detto loro,
perciò decise di aggiungere qualcosa. «Mamoru ha
detto che
non succederà prima di altri sei anni
almeno. Non sa essere più
preciso.»
Ancora una volta fu Makoto la prima a parlare di quello che
avevano avuto in mente tutte quante. «Il Regno Argentato
durava da centinaia
di anni nel futuro.
Sapevo
da tempo che saremmo vissute molto a lungo, per cui avevo creduto
che... che ci
sarebbe voluta almeno qualche altra decina d'anni. Per la
verità
cercavo di capire come avremmo fatto con le persone che ci stavano
vicino. Ci avrebbero visto rimanere giovani mentre loro
invecchiavano.»
Sbuffò. «Pare non
dovremmo preoccuparci di trovare una scusa.»
La malinconia e
un filo di
amarezza si percepivano bene nella sua voce.
«Mi dispiace ragazze...»
«Non è colpa tua Usagi» la interruppe
subito Rei. «Non
toglierci le
nostre responsabilità. Noi non possiamo fare a meno di
essere
ciò che siamo. Siamo guerriere Sailor» lo disse
con
fermezza. «Io sono fiera di aver combattuto per salvare
questo nostro
mondo.»
Guardò le altre e le vide annuire convinte. «Non
possiamo
fare a
meno di diventare ciò che saremo più di quanto
non possa
farne a meno tu.» Nel terminare così, si rese
conto del peso che gravava sulle
spalle di Usagi.
Regina... in pochi anni.
Usagi lesse la preoccupazione nel suo sguardo e capì a quale
conclusione fosse arrivata. «Non ho paura.» Non
mostrò alcuna
indecisione,
perché ormai non ne aveva più. «Forse
è per via di tutto
quello che è successo in quest'ultima battaglia, ma non
ho paura. Io devo e voglio proteggere coloro che amo e questa
Terra. So che fra qualche anno sarò pronta.»
Annuì. «E poi non sarò sola in
questo compito. Avrò accanto Mamoru...
Endymion.» Lo chiamò con quel nome un tempo caro
alla sua
anima
più di ogni altra cosa. Non era
più quella
persona, ma in un certo senso lo era ancora. Così come lei
nella sua stessa essenza era Serenity proprio quanto era
Usagi.
Scosse la testa, cercando di tornare al presente. «Mamoru ha
preso una
decisione. Lui... lascerà
la
facoltà di Medicina.»
«Che cosa?!» Ami si sollevò con le mani
sul
tavolo.
Mamoru... che lasciava Medicina? Ragionandoci, capì che era
una decisione
più che logica dato il futuro che lui si preparava ad
affrontare,
ma non riuscì a fare a meno di pensare che si trattava di
abbandonare quella che per lui era stata quasi una vocazione e qualcosa
in cui
aveva già conseguito ottimi risultati.
Usagi non fu sorpresa da quella reazione: era stata la propria.
«Sì, lui... pensa che sia giusto che si prepari
come
può
per quello che saremo. Non ha ancora deciso a cosa iscriversi...
qualcosa che gli insegni politica o economia, probabilmente. Non mi
sembra che rimpianga davvero ciò che si sta lasciando
dietro. Gli dispiace, ma è una scelta che ormai ha
abbracciato
con tutto se stesso.» Si fermò un attimo,
riflettendo. «Ami... voglio
che tu
mi dia lezioni.»
«Lezioni?» Ami la guardò sorpresa. Non
che una
richiesta simile non
le fosse già stata formulata altre
volte, specie quando Usagi si decideva brevemente a migliorare
qualche voto, ma la colpì l'insolita determinazione che le
vide
nello sguardo.
«Sì, un po' su tutte le materie, se puoi. Mi
aiuterà anche Mamoru, ovviamente. Devo recuperare. Io...
dovrò studiare anche io qualcosa
che mi
prepari a... regnare. Non posso più giocare a prendere
insufficienze. Le cose devono cambiare.»
In cuor suo Rei aveva sempre voluto sentirla
parlare in
quel modo, eppure quelle parole le causarono un'improvvisa e
profonda tristezza.
Si rese conto di aver appena visto Usagi cambiare per non tornare mai
più completamente come prima; non era uno dei momenti
in cui lei si
decideva a studiare un po', per poi riprendere con la
solita routine di sempre. Oh, le avrebbe voluto bene sempre e comunque,
ma
le sarebbe mancata molto quell'incredibile spensieratezza che aveva
contraddistinto sempre e solo lei per così tanto tempo.
Sarebbero
probabilmente state rare le occasioni in cui avrebbe potuto rivedere
quel tratto del suo carattere, nella futura eternità che si
preparavano
ad affrontare.
«Non guardarmi così, Minako.» Era stata
Usagi a
parlare e Rei
si
ritrovò a guardare Minako... sì, anche
lei
doveva aver avuto pensieri simili ai suoi. Una rapida occhiata a
Makoto e ad Ami confermò quell'impressione anche per loro.
«Andremo ancora a giocare ai videogiochi.» Usagi
sorrise
allegramente. «Sono certa che, dopo che avrò
cominciato a
capire
le basi, dovrò solo studiare moderatamente.»
Minako sorrise e Usagi si tranquillizzò. Riprese a
parlare guardando negli occhi ognuna di loro. «Non credo che
tutto
questo significhi che dovremo abbandonare le
nostre naturali inclinazioni. Ami, niente ti impedirà di
continuare a studiare Medicina. Sei un genio e avrai appunto
un'eternità per prepararti in molte e molte cose, se vorrai.
Minako, non devi rinunciare al tuo sogno di diventare famosa... anzi,
magari puoi diventare famosissima così sarai già
conosciuta
quando... succederà. Makoto, non dovrai trattenerti
dall'aprire
una pasticceria tutta tua, se vuoi. Niente impedisce ad una
guerriera di saper cucinare molto bene. Rei... qualunque cosa tu
voglia fare, restare al tempio o altro, non credo ti
pregiudicherà in nessun modo. Hai una potenza spirituale che
già alleni continuamente.»
Lentamente, annuirono tutte.
«Penso...» esordì Makoto.
«Beh, forse
aprirò lo
stesso quel
negozio. O forse no. Però, e credo di parlare anche per le
altre, non ti devi preoccupare per noi Usagi. Per ognuna di noi ci
saranno sempre le altre a sostenerla e saremo in grado di scegliere e
affrontare il nostro destino.»
«Sì.» Minako, Rei ed Ami lo dissero
assieme.
Usagi si sentì visibilmente sollevata nel vedere la
serenità nei
volti delle sue care amiche. Erano proprio ragazze forti.
Ricordò di cos'altro doveva parlare. Non era bello tirare
fuori le cose spiacevoli tutte in una volta, ma
non riusciva a tenerselo dentro. Dovevano sapere, nel caso ci avessero
già pensato.
«Ragazze... io...» Inspirò.
«Volevo scusarmi
con voi. Profondamente. Per non avervi detto di Mamoru, del fatto
che... non lo sentivo da quando era partito e-»
Sentì sulla spalla la mano di Rei. «Ne abbiamo
già discusso.»
Nonostante lo sguardo comprensivo che le
venne rivolto, Usagi trattenne il fiato.
«Parlo a nome di tutte.» Le altre annuirono, mentre
Rei
continuava. «Pensiamo di aver compreso perché non
ne
hai parlato con noi
prima, per cui ci interessa sapere solo una cosa, anche se penso di
sapere già la risposta: hai chiarito con lui?»
Aveva delle amiche fantastiche, meravigliose.
«Sì. Io
ci tengo a
dirvi che penso sia stata anche colpa mia, ma lui ha detto di riferirvi
che... è stata anche colpa sua. E che mi ama
così tanto che sistemerà tutto.»
Arrossì come una sciocca al ricordo di quelle parole.
«Ma sentila che gusto ci prova a ripetere le dichiarazioni
del suo
ragazzo!» Rei andò a metterle un braccio intorno
al collo e
fece finta di darle un colpo in testa.
Risero tutte.
Minako non voleva certo essere da meno in quell'atmosfera allegra.
«Sono invidiosa! Dobbiamo proprio usare i due anni previsti
da Rei per
trovarci finalmente un nostro ragazzo!»
Ami sorrise. «Sai Usagi, era
così che siamo arrivate a parlare di
te e
Mamoru, prima. Rei aveva appena detto che avremmo avuto tempo prima di
un'altra
battaglia e quindi che avremmo potuto dedicarci a trovare
qualcuno.»
«Perché no? Spero lo troviate presto,
così sarete felici come me.» Usagi si
portò una mano al petto, come a darsi un'aria di grande
importanza.
«Va bene, ma mi raccomando: non diventare troppo
'fisicamente'
felice, Usagi.»
Una risata di ilarità generale scoppiò nel gruppo.
«Scusa, Makoto, non posso promettere niente.»
Makoto assunse un'espressione fintamente scandalizzata e, preso un
cuscino, lo tirò in faccia ad Usagi.
«Va bene, va bene, la smetto.»
«Tornando serie...» riprese Minako.
La guardarono tutte, concentrate.
«Quando hai detto 'prima volta', cosa intendevi?»
La cascata di braccia fu generale.
«Minako! Pensavo stessi per parlare di qualcosa di veramente
importante!»
Ami non riusciva a capacitarsi di quanto Minako
avesse
un unico pensiero fisso.
«Ma è una questione importante!»
replicò lei,
tutta sincerità.
Usagi si stava ancora riprendendo dalla precedente uscita.
«Ehm... non
vedo davvero come.»
«Semplice, sto cercando di capire se devo ampliare il mio
bacino di
ricerca. Finora ho escluso a priori i tipi tutto studio e poco
divertimento.»
«Ancora non capisco.»
Minako balzò in piedi, un dito puntato in avanti.
«Io voglio
un rapporto di passione!»
Forse le braccia potevano cascare più sotto del pavimento.
«Io leggerò pure quei manga, ma l'assatanata sei
tu»
intervenne Rei.
«Che c'è di male, scusa? Anzi, è
completamente
naturale, se ci pensi.»
«Io non ci sto pensando.» Ami cercò di
coprirsi le
orecchie.
Makoto sorrise imbarazzata, ma condiscendente. «Scusa Minako,
ma... non è importante che arrivi l'amore prima?»
«Ma certo. Io sto parlando del dopo. Non tutti quelli che
sono
innamorati lo esprimono nello stesso modo e a me interessa qualcosa
di... travolgente. Sono la guerriera dell'Amore, in fondo.»
Usagi intervenne di nuovo solo allora. «Ecco»
Minako
scattò
subito a guardarla. «In verità non credo che avrai
scelta
nel
momento in cui ti innamorerai, quindi questi ragionamenti non ti
saranno molto utili. Voglio dire... un paio di anni fa non avrei mai
nemmeno potuto concepire una relazione con Mamoru. Ero troppo occupata
a dargli contro per pensarci. E viceversa. Eppure è finita
come sappiamo e non certo solo per via di tutta la faccenda del
Regno
della Luna.»
Minako annuì. «Sì, ma penso lo
stesso che il
tuo sia
un caso particolare. Dai, era
destino! Più normalmente, funziona così: se non
ti
metti a cercare tra i tipi tutto studio o lavoro, non trovi un
fidanzato tutto studio o lavoro.»
«L'unica cosa con un po' di senso che ho sentito uscire dalla
tua bocca
oggi» commentò Rei.
Minako la fulminò
con lo
sguardo.
Rei
tirò fuori la lingua.
Usagi si arrese, prima di assistere a
Rei contro Minako, parte prima. Era stata protagonista assieme a Rei di
un numero sufficiente di scontri per sapere quanto poteva andare avanti
la cosa. «Va bene, va bene... cosa volevi sapere? Ah
sì...»
Arrossendo, abbassò lo sguardo e proseguì a voce
talmente
bassa che non la sentì nessuno nella stanza.
Minako si mise una mano a ventola sull'orecchio e si sporse verso di
lei. «Cosa?»
Usagi inspirò.
«Prima di
tre.»
«Prima di tre cosa- OOoh... Wow.» E Minako si
zittì. Ami
aveva sprofondato il viso tra le braccia
appoggiate sul tavolino. Rei era rossa quasi quanto la sua tuta da
Sailor. Makoto, con gli occhi fissi sul soffitto, stava
cercando disperatamente di pensare ad altro.
Usagi si inpuntò. «Se la prossima volta che lo
vedete lasciate
in un
qualunque modo intendere di sapere una cosa del genere, giuro che vi
strozzo con le mie mani.»
«Ma certo che no.»
«Nessun problema.»
«No, no.»
«...»
Ami ricevette un'occhiata di fuoco per il suo silenzio.
«Ma Usagi, come puoi pensarlo?»
piagnucolò quasi.
«Perfetto, allora è tutto a posto. E presto
dimenticato.» Fu una chiara minaccia.
Insomma, pensò Minako, sorridendo tra sé e
sé.
Chiedere era stato utilissimo: era proprio ora di cominciare ad aprirsi
all'esplorazione di nuove riserve di caccia.
Usagi chiuse dietro di sé la porta della sua stanza. Aveva
appena fatto una bella doccia e i capelli, nonostante il phon, erano
ancora
lievemente umidi.
Erano mesi che non ricordava di essersi sentita così in pace
con se
stessa e col mondo.
Si sedette sul letto, facendo sobbalzare appena Luna. La gatta,
raggomitolata su se stessa e sul punto di addormentarsi,
aprì un
occhio per guardarla e poi lo richiuse, soddisfatta nel vedere che era
tutto a posto.
Usagi sorrise: era sempre divertente vedere Luna comportarsi come un
tipico felino, nonostante tutto.
Prese una spazzola dal cassetto del comodino e si passò il
pettine sui capelli un paio di volte, senza alcuna fretta.
Era felice. Era serena. Le era mancato così tanto essere
entrambe le cose.
Andò alla finestra e la aprì, per far entrare
l'aria fresca.
Era appena passata una bella giornata. Domani ne sarebbe venuta
un'altra.
Si infilò sotto le lenzuola rosa con un sorriso stampato in
volto,
stanca nonostante le tante ore di sonno della notte precedente.
Conosceva bene il motivo di quella deliziosa spossatezza.
La bocca le si incurvò talmente all'insù
che un
attimo dopo le fecero male i muscoli della guance.
Ignorò il leggero fastidio e si congratulò con se
stessa,
perché finalmente non era più arrossita
a quei
pensieri.
Di sicuro, sarebbe migliorata sempre di più.
La mente iniziò a spegnersi e, in poco tempo, si
trovò
nello sfuggevole stato in cui la testa è sul punto di
lasciarsi
andare al sonno.
In quell'attimo, udì un rumore anomalo fuori dalla
finestra; aprì un occhio.
Luna saltò in piedi, la coda dritta.
E Tuxedo Kamen entrò con un balzo nella stanza, atterrando
in mezzo al pavimento vuoto.
Usagi si alzò di scatto, impiegando un istante a
riconoscerlo. «Mamoru!»
bisbigliò più forte che
poteva.
«Mi hai fatto prendere un colpo!»
«Mamoru, che ci fai qui?
C'è pericolo?» Luna si guardava intorno,
frenetica.
Lui la guardò come se fosse sorpreso di trovarla
lì. «Oh, ciao Luna.» Rimase a fissarla,
contemplando
il da farsi.
«Ehi, sono trasparente?» Usagi prese ad agitare le
braccia.
Mamoru le lanciò uno sfuggevole sorriso prima di rivolgersi
ancora a
Luna. «No, non c'è
nessun
pericolo, non preoccuparti. Ho usato la trasformazione solo per
muovermi
agevolmente a quest'ora. Luna, potrei chiederti di dormire di sotto? Ho
bisogno di... parlare con Usagi e ci metterò un
po'.»
«Di sotto?» Luna si rese conto che la voleva fuori
dalla stanza. Ma
perchè mai...?
All'improvviso capì di cosa doveva parlare. Ma non era
possibile! Aveva permesso ad Usagi di stare da lui tutta la notte solo
ieri e ora credeva di-
«Luna?» A parlare era stata la stessa Usagi.
«Va' a dormire
di sotto,
per favore.»
COSA?
«Usagi, tu devi- Non puoi-» Era impazzita? I suoi
genitori dormivano nello stesso corridoio!
«Luna.»
Luna smise di parlare, colpita dal tono serio.
Usagi continuò
a parlarle senza una goccia di allegria.
«So da me quello che devo e posso fare.»
Luna iniziò a percepire un profondo
senso di disagio: quella non era la voce da amica che Usagi aveva
sempre usato con lei.
Usagi la vide irrigidirsi e addolcì
immediatamente il tono, andando ad accarezzarle il pelo morbido della
schiena.
«Luna... non ti devi più preoccupare per me. Io so
badare a
me
stessa oramai. E sono in grado di decidere cosa è meglio per
me.
Comunque» rise, cercando di alleggerire la conversazione.
«Non
sarò forse una regina un giorno? È ora, no, che
decida da
sola,
almeno per quello che mi riguarda.»
Luna non replicò, limitandosi ad abbassare lo sguardo.
Senza dire altro, Usagi la prese in braccio e andò a
strofinare
il proprio viso contro il piccolo muso di lei. «Posso
accompagnarti di
sotto?»
Luna annuì, triste.
Usagi lanciò una singola occhiata in direzione di Mamoru,
poi scese fino al salotto con Luna in braccio. La appoggiò
sul divano,
sistemandola su uno dei cuscini più morbidi.
«Luna, io lo amo.»
Luna si girò su se stessa, preparandosi ad accomodarsi sul
cuscino. Non le rispose.
«Sono felice quando è con me. Forse questo
comportamento non
sarà
appropriato, ma sono contenta che sia qui. Non è per questo
che ho negato
la tua autorità, è solo che-»
«Sei la Principessa Serenity. Era ora che lo
facessi.» Era
una risposta
secca che offriva una verità che ormai non si poteva
più negare.
«Sono quella che sono, ma non voglio mai smettere di averti
come
amica.»
Luna sospirò e si accoccolò contro la mano che le
accarezzava la testa. «Lo so. Cercherò di
intromettermi di
meno
e così... troveremo un equilibrio. Un nuovo
equilibrio.»
Usagi le sorrise e appoggiò di nuovo il viso contro il suo
muso. «Ti voglio bene, Luna.»
«Anche io, Usagi.»
Usagi si staccò da lei e, dopo averle augurato la buona
notte, tornò di sopra.
Luna la osservò sparire oltre le scale, sentendosi come se
avesse appena perso una figlia. Per un certo periodo
aveva considerato Usagi quasi a quella maniera. E ora, quella
che era sempre stata la bambina che lei aveva dovuto guidare e
proteggere
non aveva
più
bisogno dei suoi consigli.
Provò una buona dose di malinconia.
Eppure, in fondo, il suo compito e quello che lei stessa aveva sempre
desiderato, era stato veder Usagi crescere. E, finalmente, Usagi era
cresciuta.
Luna appoggiò la testa contro il cuscino e, per
addomentarsi, pensò al futuro.
Al lungo futuro che attendeva tutti quanti.
Mamoru udì Usagi rientrare in camera e chiudere la porta
dietro di sé.
«Se mi avessi avvertito prima» lo
rimproverò lei a bassa voce. «Avremmo potuto
evitare tutto
questo.»
Lui si era immaginato un inizio ben diverso e non aveva proprio pensato
a
Luna. Era da quella mattina che pensava meno del dovuto.
«È
arrabbiata?»
«Dispiaciuta. Non l'ho mai contestata come oggi. Ma ha
accettato la
situazione e fra noi le cose si rimetteranno a posto.«
«Scusami. Volevo farti una sorpresa, qualcosa di
diverso.»
Lei iniziò a sorridere. «In effetti non
è
da te presentarti in camera mia
nel cuore della notte.»
Mamoru infilò una mano nella tasca interna
della giacca e ne
tirò fuori una rosa rossa, senza spine. Gliela porse.
Usagi se la portò al naso, inspirandone il profumo.
«Ora non
rimpiango neanche un po' di averti parlato delle mie fantasie
romantiche.»
Insieme, risero sommessamente.
Lei gli andò vicino e con le mani prese ad
accarezzare
una manica della giacca nera. Sentì il tessuto soffice
accarezzarle
le dita. «Mi è mancato vederti con questi
abiti.» Mancato
da morire.
Le era mancato così tanto vederlo apparire durante gli
scontri con i nemici, sapere che sarebbe sempre venuto ad aiutarla,
sempre e in ogni caso. Scacciò quei pensieri,
perché... lui ora era qui. Con lei. Nella sua stanza.
Sorrise,
sinceramente divertita. «Se non fosse che
so esattamente che tipo di poteri
hanno i costumi che indossiamo, ti chiederei come fai a non morire di
caldo con tutta questa roba addosso.»
Lei si avvicinò ancora, ma con qualcosa di molto
diverso dal divertimento nello sguardo.
«Non ti
dispiace
se te la tolgo lo stesso?»
Lui aveva pensato di essere venuto lì per sedurre,
non per essere sedotto, ma-
Con un colpo della mano, Usagi gli scoprì la testa,
facendogli
cadere all'indietro il cappello. Con l'altra mano,
afferrò la maschera che gli copriva gli
occhi e la buttò a terra. Poi cambiò di nuovo
d'umore e rise, piano. «Ehi, sei stato proprio bravo.
Hai beccato
una delle mie
fantasie, sai?»
«Ah, sì?»
«Ha-ah. In realtà è stata una delle
primissime
che ho
avuto su di te, quando ancora non sapevo che... tu eri tu. Sognavo di
vederti entrare dalla finestra e che venivi
a rubarmi un bacio, mentre dormivo. Era una fantasia molto...
innocente.» Gli sorrise di nuovo, ma in un modo che gli fece
venire
voglia di smettere
di parlare. «Solo... temo di essere un po' cambiata. Vorrei
modificarla, un po'...
magari
puoi prendere qualcosa di più di un bacio. E forse mentre
sono
sveglia.» Gli aveva slacciato il mantello, facendolo cadere a
terra.
In un istante, furono l'uno tra le braccia dell'altra.
Usagi si meravigliò della foga con cui lo stava baciando:
sembrava non lo toccasse da mesi, quando invece aveva fatto ben altro
non
più tardi di quella stessa mattina. Era un fuoco che non si
estingueva, ma lei era
più che felice di bruciare ancora a lungo. Si
sentì sollevare e un istante dopo si ritrovò sul
suo stesso
letto, col
corpo che già tremava.
Mamoru si tolse i guanti, le scarpe, buttò via
il
cravattino e la giacca. Poi fu sul letto, su di lei.
Il suo non era un letto piccolo, anzi: una piazza e mezza che aveva
spesso
permesso a Chibiusa di dormirle accanto senza che si finissero
addosso a vicenda. Con
Mamoru c'era molto meno spazio. Dato lo scopo presente del letto, non
era certo un problema.
Ormai completamente priva di controllo in merito,
andò ad
avvolgergli le gambe attorno alla vita, strofinandosi contro
di lui e cercando subito il contatto più
intimo, quello che
un momento dopo fece ansimare entrambi.
Mamoru le portò le
labbra sulla guance e iniziò a scendere sul collo.
Era
incredibilmente piacevole, ma se fosse sceso sarebbe stato
anche più-
Si lasciò scappare un sorriso. «Pensi
che...» Lo
sentì assaggiarle la pelle e un brivido la costrinse a
interrompersi. «... riusciremo mai a farlo durare
più di un
quarto d'ora?»
Lo ritrovò con gli occhi allarmati davanti ai suoi.
«Come?»
Era mortificato. «Ah,
è colpa mia. Vedrai che presto
riuscirò
a-»
«Cosa?» Che colpa? Che gli aveva detto
perché si
comportasse
all'improvviso così?
Lui sospirò. «Voglio dire che... anche se adesso
non riesco
a durare molto poi...»
Durare? Ma
che-? Oh!
Lo colpì alla spalla. «Ma no! Come hai
potuto
pensare che-» Non riuscì a trattenersi e
scoppiò a
ridere, piano.
Mamoru era ancora rigido sopra
di lei, l'espressione corrucciata.
Gli prese il viso tra le mani. «Andiamo, hai sentito anche tu
come
ho...» Cercò un termine adatto. «Come ho
finito ogni
volta. Ti
pareva che il tempo fosse un problema?»
«No, ma allora perché-»
«Stavo parlando della nostra impazienza, della mia impazienza. Mi
chiedevo solo se un giorno sarei riuscita a rallentare un poco in modo
da farlo durare... un po' di più. Non ho niente da ridire
sulla... hmm... soddisfazione raggiunta.» Con quelle
ultime parole, arrossì. Dalla finestra entrava poca luce, ma
i suoi erano rossori che si potevano persino udire.
Sul volto di lui riapparve di nuovo il bel ghigno. Meno malefico,
stavolta. «Ti rendi conto
di cosa stiamo per fare in camera tua? E tu ti vergogni solo ora... e
per delle semplici parole?»
Lei si coprì la faccia con le mani.
«Uffa, non mi
prendo responsabilità.
Mi hai corrotta, è tutta colpa tua.»
Mamoru le prese i polsi, portandoli lentamente in alto. «Per
quanto
riguarda la tua domanda... è possibile farlo durare ore
intere, volendo.»
«Intendi dire più volte in una sola
notte...»
Da
quella
mattina non aveva più dubbi sul fatto che fosse possibile
qualcosa di simile.
«No, intendo dire una sola volta, allungata per tante ore.
Naturalmente, contando ciò che viene prima.»
Usagi sentì la bocca di lui sopra
la
leggera canottiera di cotone che aveva indosso. Rabbrividì e
liberò le mani.
«Per ora mi accontento di un quarto
d'ora.» Lo
attirò a sé.
NdA:
ed è finito il quarto :)
Ringrazio ciascuna di voi per le belle parole che avete avuto per
quello che ho scritto nel capitolo tre.
Poter leggere cosa vi ho trasmesso è stata fonte di grossa
soddisfazione per me. Quello che ho scritto mi piace, ma sapere di aver
fatto la gioia di qualcun altro è sempre un piacere
particolare, diverso e non minore, specie se uno scrittore arriva a
capire di aver centrato proprio l'obiettivo ricercato con impegno.
Ringrazio anche m00onlight per la critica che mi ha fatto: non abbiate
nessuna remora a farmi degli appunti in questo senso, li apprezzo
quanto i complimenti quando ben motivati. E non c'è certo
bisogno di scusarsi. L'appunto che mi hai fatto era già
qualcosa a cui avevo pensato anche io, in fase di stesura. Ho
visto che altri hanno gradito, ma ci tengo a sapere anche quando,
leggendo, si ritiene che il testo avrebbe potuto funzionare meglio se
scritto in un altro modo. Aiuta a migliorare o quantomeno a
confrontarsi.
Non penso descriverò altre scene così nel
dettaglio, in futuro (intendo, includendo i particolari 'inutili',
quelli che si sarebbero anche potuti tralasciare)...
in questo caso non sono riuscita ad immaginare di saltare qualcosa
nella descrizione di quella lunga scena. Forse ho il difetto di voler
essere troppo fotografica, a volte :)
Comunque, come avrete intuito, non ci saranno altre scene
simili in questa storia; avevo già deciso di fermarmi ai
livelli presenti in questo capitolo, che mi sembrano adatti.
Ah, una nota: ho visto commentare la differenza di età tra
Usagi e Mamoru nel manga e nell'anime. Personalmente non ho
mai percepito che la differenza di età fosse poi
così diversa nelle due versioni dell'opera; ho sempre
pensato non si estendesse oltre un anno (Quindi, tre nel manga, e
quattro nell'anime), però potrei sbagliarmi. Questo
perchè il sistema scolastico giapponese è diverso
da quello italiano. Ci sono sei anni di elementari, tre di medie, tre
di superiori e poi c'è l'università. Magari lo
sapevate già :)
Per l'ultimo capitolo di questa storia, ci risentiamo agli inizi di
Novembre.
Poi per ora, so con certezza solo che pubblicherò una
one-shot, dedicata a Rei.
Grazie anche questa volta per aver letto. Ricordate che una recensione
articolata, se potete, fa la mai felicità :)
Ellephedre
Nota del Giugno 2009:
la revisione di questo capitolo è soprattutto stilistica. Ho
aggiunto qualche pensiero e modificato lievemente l'ultima scena.
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Capitolo 5 *** Quinta parte - Accettarsi ***
oltrelestelle5
Oltre
le stelle
Autore: ellephedre
Disclaimer:
i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Quinta
parte - Accettarsi
Sentiva il sole del mattino sugli occhi. Sul viso, una piacevole brezza
che entrava dalla finestra aperta. Udiva persino il cinguettio degli
uccellini che salutavano il giorno-
«Usagi!!!»
Nonché l'urlo di sua madre. Aprì un occhio.
«È ora di svegliarsi, Usagi!»
Ora di svegliarsi.
Mamoru!
Allungò il braccio.
Ah già, non era più lì.
E lei non aveva nemmeno il pigiama addosso. Si mise seduta e con lo
sguardo lo cercò attorno al letto; lo
individuò e se lo infilò in fretta.
Ma che ore erano... le undici?!
«Usagii!»
«Sono sveglia, mamma!» urlò di rimando.
Si stiracchiò, aprendo la bocca in un grosso sbadiglio
soddisfatto. Era tardi, ma almeno avevo dormito bene.
Udì dei graffi alla porta. Andò ad aprirla
e trovò Luna fuori. La gatta entrò
guardandosi intorno, circospetta.
«È andato via ieri notte.»
«Ah, bene. Tua madre stava scalpitando per venire a
svegliarti. Ho
cercato di trattenerla come ho
potuto.»
Usagi si abbassò ad accarezzarle la schiena.
«Grazie.
Prometto che
non
ti metterò più in queste situazioni. È
stata
solo... la
pazzia di una volta.»
Luna pensò che era una fortuna. Da gatta, l'unica cosa che
poteva fare lei per distrarre la madre di Usagi era miagolare per farsi
dare da mangiare. Non era molto, in termini di tempo.
Dal sorriso che aveva in faccia Usagi però, era chiaro che
se
la pazzia non si fosse ripetuta in camera sua, si sarebbe svolta
sicuramenteo altrove.
Emise un sospiro rassegnato. Almeno Usagi era felice. «Allora
io vado
da Artemis.»
«Oh, è vero. Hai da farti perdonare il tradimento
con
Yaten.»
«Ma cosa dici?»
Usagi notò il rossore persino sotto il
pelo
scuro. «Scherzo. Ciao Luna.»
Mentre ancora ridacchiava, Luna uscì dalla finestra.
Sembrava che avesse preso a cuore la promessa che le aveva fatto la
sera prima.
Usagi sapeva bene che non sarebbe stato facile per Luna: dirle cosa
fare
era
stata una vera vocazione per la sua amica gatta. Quello stesso istinto
era stato
molto
utile, in fondo. Tante volte Luna era stata la sua forza, il suo
sostegno e la voce della ragione; ne aveva avuto un disperato bisogno,
soprattutto agli inizi. Era da un po' però che aveva
iniziato a
trovare più pesanti di un tempo le critiche e i continui
consigli, per quanto ben intenzionati. Gli insegnamenti di Luna
dovevano
aver dato i loro frutti però: ormai sapeva in anticipo cosa
le avrebbe detto. Ed era d'accordo con i suoi punti di
vista, in genere, motivo per cui non trovava più utile
sentirseli
ripetere in continuazione, come se non ci fosse altro modo per lei di
arrivarci da
sola.
Forse era stata un po' brusca la sera prima, ma era ancora convinta di
aver
fatto la cosa migliore: ora Luna avrebbe iniziato a trattarla da pari e
a lungo andare sarebbero state più in
armonia l'una con l'altra.
Si guardò distrattamente intorno e notò che la
sua stanza
era in disordine. Se la sera prima ci fosse stata più luce,
persino Mamoru gliel'avrebbe fatto notare.
O forse no. Sorrise fra sé e sé.
Lui era un po' troppo preciso, da quel punto di vista... in fondo
c'erano tante cose da fare nella vita. Non aveva molto
senso continuare a riordinare quel che poi avrebbe nuovamente messo in
disordine di lì a poco. Almeno, quella era la conclusione a
cui
era arrivata personalmente: l'ordine le piaceva, ma, le volte in cui si
era
prodigata per metterlo in pratica, aveva notato che inevitabilmente
qualche ora dopo le cose erano tornate esattamente come prima.
Sbuffò.
Quasi sicuramente era un problema solo suo, però... era
fatta così. Comunque negli ultimi giorni aveva avuto
scusanti più che valide per pensare a qualcosa di diverso.
Tuttavia, quella era giornata di pulizie casalinghe e a sua
madre non
sarebbe piaciuto per niente trovare la sua stanza in quello stato.
Si decise a mettere un po' a posto: voleva dimostrare di essere
diventata anche lei un po' più adulta e responsabile.
Alla fine non si trattava che di qualche vestito sparso in giro, del
letto di rifare e
delle cose sulla scrivania da sistemare.
Si mise al lavoro di buona lena; aveva addosso aveva un certo buon
umore. Quel primo
pomeriggio
doveva passare da Motoki. La notte prima Mamoru
le aveva portato la lettera che aveva scritto per lui, secondo
l'accordo fatto il giorno prima. Dopo lei sarebbe passata da lui e
sarebbero
usciti insieme da qualche parte, per godere insieme di un
bell'appuntamento in
piena regola. Un progetto che poteva mettere di buon umore una
qualunque ragazza
innamorata, anche se sospettava che fosse la sola idea di averlo di
nuovo a portata di bacio a renderla felice.
Ridacchiò e iniziò a sistemare i vestiti che
aveva
buttato sopra una sedia. Scostando l'ultimo, trovò... la
sua
spilla. La spilla magica.
Fermò ogni movimento, rimase semplicemente a guardarla.
La prese in mano e si diresse sul letto, sdraiandovisi sopra. La
alzò sopra il viso e la aprì.
Eccolo lì, il cristallo. Rosa scuro e lucente. Enorme, se
paragonato a qualunque altro gioiello.
La fonte del suo potere.
Non le capitava spesso di osservarlo; le volte in cui si ritrovava ad
aprire la spilla erano principalmente le volte in cui iniziava la
trasformazione.
Il cristallo catturava ogni raggio di sole che entrava dalla
finestra.
Lei lo mosse piano, osservando i giochi di luce che creava
con la
sua superficie.
Chissà cosa sarebbe accaduto se
qualcun altro avesse mai visto quello che conteneva quel suo
accessorio. Le venne da ridere: probabilmente avrebbero fatto a gara
per comprarlo all'asta per
chissà quanti
miliardi di yen, senza nemmeno immaginare il potere che
conteneva. Per fortuna, quello non era in vendita.
La spilla si apriva solo per lei o per persone che possedevano un certo
grado di potenza. Aveva fatto una prova, una volta, con le amiche della
scuola media che aveva frequentato. Nel caso fossero riuscite ad
aprirla, era stata pronta a spiegare che all'interno c'era solo un
ninnolo molto, molto
luminoso. Ma loro non erano nemmeno riuscite ad alzare il coperchio e
alla
fine avevano
creduto che fosse rotto.
Mamoru e le altre guerriere invece non avevano mai avuto problemi.
Tutti insieme avevano concluso che nemmeno eventuali nemici
avrebbero
incontrato difficoltà ad aprire la spilla.
Il Regno delle Tenebre e la Luna Nera avevano puntato proprio al
cristallo d'argento, nella sua versione presente e futura, convinti di
poterlo usare per i loro scopi.
Ma aprire la spilla era un conto, usare il potere del cristallo era
tutt'altra cosa. Per
quello era necessario una forza molto più grande, un potere
che lei
stessa era capace di richiamare solo in rare occasioni e sempre con
grande dispendio di energie. Tuttavia, probabilmente sia Metallia che
il
grande
Saggio erano stati abbastanza potenti da essere in grado di
sfruttare quanto lei il potere del cristallo.
Eppure... il cristallo era lei. Parte di lei. Il suo potere era il
proprio.
Fino a qualche giorno prima non aveva preso
effettivamente consapevolezza di una questione importante: poteva fare
uso del potere del cristallo anche senza il cristallo, no? Nelle
battaglie più importanti lo faceva sempre, come se fosse una
sua capacità innata.
Sarebbe dovuto essere sempre così.
Ricordò le volte in cui l'avevo dimenticato a casa ed era
dovuta
tornare di corsa a prenderlo. Era stato ai tempi delle sue prime
trasformazioni.
O la volta in cui Kaolinite glielo aveva rubato, impedendole di fatto
di trasformarsi. Rammentò l'impotenza, il pericolo corso da
tutti, Mamoru
compreso.
Quel potere che ora stringeva in una mano non avrebbe dovuto poterle
venire sottratto sotto forma di un semplice oggetto.
Era una grave debolezza.
Non sapeva come, ma... doveva allenarsi. Doveva fare in modo di poter
combattere senza portarselo continuamente appresso.
Sarebbe stato molto difficile probabilmente, ma ora...
Richiuse la spilla, portandosela al petto.
Ora le risultava insopportabile il pensiero di portarla con
sé. Era
come dichiarare implicitamente a se stessa che doveva sempre e in
qualunque momento essere pronta per una battaglia. Non voleva
più avere addosso quella sensazione, quella
consapevolezza.
Almeno, non ora.
Per qualche altra settimana, come minimo.
Non ora.
Non riusciva a sopportare l'idea di dover di nuovo difendere la
vita di Mamoru e delle sue amiche. Non poteva pensarli di nuovo in
pericolo.
Rei aveva detto che non avrebbero avuto guai per almeno un altro paio
di anni, ma poteva riferirsi a vere e proprie guerre di molti mesi, non
a semplici battaglie, destinate a concludersi nel giro di pochi scontri
o di uno scontro solo. Era già successo in passato.
Prese a ricordare quegli episodi.
E sospirò, alzandosi dal
letto.
Quei pensieri la stavano deprimendo.
Appoggiò la spilla sul materasso.
Oggi non
succederà nulla, si disse.
Nulla.
In fretta, terminò di sistemare il resto della stanza.
Infine uscì, guardandosi dietro di sé un'ultima
volta.
«Buongiorno mamma!»
«Finalmente Usagi!»
«Era capace di dormire fino a domani.»
Shingo non la smetteva mai di prenderla in giro. Ne sorrise e si
fermò, a pochi passi da tutti loro.
Quella che aveva davanti era una scena incredibilmente familiare. Sua
madre ai fornelli. Suo fratello che la prendeva in giro. Suo padre
con in mano il giornale, a tavola.
«Ma che hai?»
«Niente, Shingo.»
«Su, Usagi, vieni a mangiare.» Sua madre
appoggiò
sul tavolo
un primo piatto di cibo.
«Ma... è già pronto il
pranzo?»
«Tuo padre deve partire tra poco per fare un servizio e deve
mangiare
presto.»
Kenji Tsukino staccò gli occhi dalla lettura del quotidiano
e annuì. «Sì,
ho un servizio fotografico e un'intervista con un giovane politico.
Un'ottima
occasione per me.»
«Ho capito.» Usagi si sedette a
tavola.
Vedendosi servire un piatto davanti, suo padre mise da parte il
giornale. «Allora, Usagi, ieri hai fatto una gita. Dove sei
andata?»
«Ahh...» Dove si poteva andare e tornare in un
giorno? «A... Yokohama.»
Nei volti dei suoi genitori si dipinse la perplessità.
Già. Yokohama
non distava neanche una cinquantina di chilometri da Tokyo.
Prese a ridere nervosamente. «Anche se è
così vicina, non significa che la
conosca
bene. Ami ha organizzato un piccolo tour guidato delle principali
attrazioni, giusto per un paio di giornate. Abbiamo camminato ed
esplorato un po' la città, soprattutto.» Bella
bugia.
Suo padre sembrò soddisfatto dalla risposta.
«Giusto, non si
finisce mai
di conoscere bene un luogo. È stata un'ottima idea. La tua
amica Ami
è proprio una buona influenza per te.» Come padre,
Kenji era proprio soddisfatto: Usagi aveva come
amiche ragazze che sembravano tranquille e
giudiziose.
Nel tempo aveva apprezzato un certo cambiamento in sua figlia e
sospettava che avesse avuto a che fare con la loro compagnia.
Ikuko
finì di servire l'ultimo piatto e si sedette a sua volta a
tavola.
Si
augurono tutti buon appetito e iniziarono a mangiare.
«Mamoru non è venuto con voi?» chiese
Ikuko.
Kenji vide la forchetta di Usagi cadere nel piatto.
«Cosa?»
Ecco, quel tipo invece non era certo una buona influenza. Non gliene
importava nulla di quanto fosse intelligente, era semplicemente troppo
grande per Usagi. Alla loro età, tre anni di differenza
erano un'enormità.
«Non ha giornate libere?» continuò Ikuko.
«Mamoru?» Usagi si ritrovò solamente a
ripetere
quel nome,
non sapendo
cos'altro dire.
«... sì.»
Sua madre la stava guardando come se il cervello le fosse andato a
male e Usagi cercò di adattarsi alla situazione,
improvvisando.
«È... andato a fare un viaggio.»
«Ah sì? Dove?»
«A... Kyushu?»
«Non ne sei sicura?»
«No. Voglio dire, sì. A Kyushu.»
«Che bello.»
Usagi rimase in attesa di ulteriori commenti, ma non ne arrivarono.
«Torna domani, però» aggiunse. Non
dovevano certo
stupirsi
di vederlo, uno di quei giorni.
Un viaggio!
Kenji rimescolò il cibo nel piatto con una certa forza. Quel
ragazzo aveva troppo denaro a disposizione. Aveva persino una
macchina e un appartamento propri e nessun genitore a controllarlo. Non
che fosse colpa sua e nturalmente a lui spiaceva per la sua situazione,
almeno in generale. Tutto
ciò però non faceva che renderlo troppo adulto
per sua figlia.
Quantomeno aveva avuto l'impressione che fosse un bravo ragazzo: la
piccola Chibiusa gli aveva spesso parlato di lui. Si era molto
attaccata al fidanzato di Usagi, quindi, se non altro, Chiba doveva
essere paziente
con i bambini. Chibiusa aveva
spesso insistito per unirsi ad Usagi le volte in cui usciva con lui e
questo era stato un gran bene: con una bambina fra loro, difficilmente
poteva succedere tra loro qualcosa che non doveva accadere.
Ora però Chibiusa era tornata dai suoi genitori e a Kenji
non sfuggiva che, oggi più di un tempo, c'era il pericolo
che
sua
figlia facesse qualcosa che non doveva fare. Fisicamente era ormai
adulta, anche se mentalmente era ancora una ragazzina. Quel ragazzo
poteva farsi venire strane idee e spingerla a cose per cui era pronto
lui, ma non lei.
Forse lo stava giudicando peggio di quanto non meritasse,
ma
aveva visto fin troppi amici, quando era stato altrettanto giovane,
comportarsi in modi che non aveva approvato allora e che
certamente non approvava oggi. Non erano fatti che poteva ignorare,
specie ora che si trattava di sua figlia.
Sospirò silenziosamente. Se solo fosse stato possibile
separarli per qualche tempo: lontani, forse
entrambi avrebbero capito che al mondo c'erano altre persone. Usagi
magari si sarebbe invaghita di qualche altro ragazzo e avrebbe avuto
una relazione meno impegnata, qualcosa di più adatto alla
sua
età. Così sarebbe stato tutto relativamente
indolore.
Per un attimo gli sembrò strano che Chiba
non si trovasse già lontano. Cercò di
rifletterci, ma non riuscì a capire da dove gli fosse
venuta quell'idea.
Lasciò perdere e si concentrò sul cibo che aveva
davanti. Non aveva molto tempo prima di uscire.
Usagi allontanò gli occhi da suo padre e iniziò a
mangiare anche lei.
Ogni volta che parlavano di Mamoru, suo padre assumeva un'espressione
corrucciata. Sentir nominare Mamoru non era mai stato di suo
gradimento.
Non le era sfuggito quanto fosse stato contento, quando aveva saputo
che
sarebbe partito per gli Stati Uniti.
E ora era chiaro che... non lo sapeva. Né lui,
né
sua madre
né suo fratello, che non aveva trovato minimamente strano
sentir nominare la vacanza che lei si era inventata sul
momento. Eppure proprio Shingo l'aveva presa in giro, dicendo che
le sarebbe toccato
un anno da zitella, totalmente ignaro di quanto lei fosse stata male.
All'età che aveva e per quello che sapeva di lei e Mamoru,
Usagi semplicemente non gliene aveva fatto una colpa.
... e così, per la sua famiglia, Mamoru non era mai
andato
negli Stati Uniti.
Continuò a mangiare in silenzio, chiedendosi se non
avesse
sistemato più di quello che aveva inizialmente
pensato.
Doveva andare da Motoki per saperlo con certezza.
Sua madre parlò di nuovo. «Forse potresti
invitarlo a cenare
uno di questi giorni. Una sera in
cui sia presente anche papà.»
Si udirono alcuni colpi di tosse. Suo padre si si stava battendo il
petto.
«Non vedo perché» commentò
lui. «Non
c'è motivo
per cui questo ragazzo ci debba incontrare entrambi così
formalmente.»
Kenji sapeva che Ikuko lo aveva invitato a casa, in passato. Non aveva
approvato l'accoglienza che sua moglie aveva dato
in casa
loro a Mamoru Chiba,
ma almeno uno di loro due aveva incontrato e conosciuto il 'nemico'. Da
parte sua, lui non aveva voluto in alcun modo far diventare quella
relazione
più seria, facendoselo persino presentare. Anche
perché
aveva pensato che quel rapporto potesse
finire da un momento all'altro.
«Non ignorare la realtà. Sono quasi due anni che
stanno
insieme.»
Due anni? Detto così, sembrava tantissimo tempo. Era
tantissimo tempo. Ma erano solo- «Sono ragazzini.»
Usagi sapeva riconoscere che sedici anni erano pochi per
avere un
fidanzato fisso, almeno in genere. Tuttavia, lei era
tutt'altro che normale, anche se i suoi genitori non lo sapevano. Di
questo non poteva far loro una colpa, ma non poteva nemmeno
più lasciare che ignorassero ciò che era, almeno
in
parte. «So quello che faccio, papà. Ed
è una
storia
seria.»
Suo padre assunse un'espressione stupita e terrorizzata.
«È troppo
presto perché tu dica una cosa simile.»
Usagi sospirò: non lo era affatto. «Per ora vorrei
solo che
lo conoscessi meglio. Tutto qui. Puoi farlo?»
Ikuko vide sua figlia guardare Kenji come già aveva
guardato lei la mattina di un paio di giorni prima.
Era successo qualcosa. Non sapeva cosa, ma era successo qualcosa.
Voleva saperlo, perché nulla di quello che le veniva in
mente poteva aver messo addosso alla sua bambina uno sguardo
del
genere. Per quanto riguardava ciò a cui non aveva pensato...
l'universo
delle sue paure era più vasto di quanto non desiderasse
immaginare.
Ricordò all'improvviso che Usagi era stata molto
triste negli ultimi mesi. Le era sembrata una cosa naturale
eppure ora
non sapeva spiegarsene il motivo. Come poteva non ricordarlo?
«Se ci tieni, va bene.»
Kenji capitolò davanti alla serietà dello sguardo
di Usagi. Pensò che, se non altro, era ora che avesse modo
di
giudicare personalmente e a fondo quel ragazzo.
Inoltre, c'erano
sicuramente cose che doveva mettere in chiaro. Due anni. Scosse
la testa e riprese a mangiare.
Ikuko scorse il sorriso dolce che Usagi rivolse prima a suo padre e poi
a lei.
Era successo qualcosa, ma Usagi era ancora capace di sorridere
così. Anche il giorno prima era tornata a casa felice e
serena.
Le cose erano ancora a posto in fondo.
Anche se, da quel momento, voleva prestare più attenzione. E
magari trovare il momento giusto per parlare con lei.
Per saperne di più sulla vita di sua figlia e non avere
più, in futuro, l'impressione di parlare con
un'estranea.
Un paio d'ore più tardi, Usagi suonò alla
porta di Mamoru.
Lui le aprì la porta poco dopo.
«Sai che puoi usare le tue chiavi per entrare.»
Lei saltellò in casa, sorridendogli. «Non volevo
essere
sfacciata.» Appoggiò la borsa in un angolo e si
tolse le scarpe, quindi si
girò verso di lui e alzò la testa,
tirando fuori la labbra. Come aveva previsto, Mamoru si sporse verso di
lei per baciarla.
Lei lo incontrò a mezz'aria, stampandogli un bacio giocoso
sulla
bocca.
Lui sorrise apertamente.
Era da quando aveva preso la strada per arrivare a casa sua che Usagi
si
sentiva euforica. Dentro di sé l'aveva definita la
'sindrome della
luna di miele': non erano certo sposati, ma era da molto
poco che
si erano conosciuti in una maniera più intima e questo
sembrava
averle messo addosso non solo un continuo buon umore ma anche un
persistente desiderio di effusioni varie.
L'espressione di Mamoru le confermò che erano effetti
tutt'altro
che sgraditi, perciò diede loro libero sfogo e, ridendo, gli
saltò in
braccio, le gambe attorno alla vita e le braccia intorno al collo.
Si accorse dell'errore nell'istante stesso in cui dondolarono
pericolosamente
all'indietro.
«Ahhhh! Attento, attento!»
Mamoru indietreggiò di un paio di passi, stringendola;
riuscì a ritrovare l'equilibrio solo inginocchiandosi.
Scoppiò a ridere.
Scossa anche lei dalle risate, lo abbracciò felice. «Grazie
per avermi salvato»
scherzò,
dandogli un bacio sulla guancia.
Lui le sembrò momentaneamente sorpreso.
Quando lo sentì strofinare il naso contro il suo, lei
riconobbe l'espressione di... tenerezza. In
passato, l'aveva vista tante volte. Un tempo l'avrebbe definita
più semplicemente un'espressione
d'amore, ma ora era in grado di notare la differenza: erano tante le
espressioni dell'amore. E ora lei le amava tutte.
Appoggiò la bocca su quella di lui e presto cercarne il
sapore fu un bisogno impossibile da controllare. Col corpo si spinse in
avanti, quasi inconsciamente.
Lui accolse il silenzioso invito e si
sdraiò sulla schiena, portandola con sé.
Forse un giorno il contatto tra loro avrebbe smesso di
sembrarle la cosa più incredibile che potesse esistere, ma
in quel momento assaporò il calore contro di lei, il calore
che nasceva dentro di lei, e sperò solo che non accadesse
mai.
Strano quanto persino il pavimento potesse sembrare comodo, in quei
momenti.
Le dita persero la presa sui capelli neri e si appoggiarono sulle
piastrelle dure. Beh, lei stava sicuramente comoda, ma lui...
Staccò le
labbra dalle sue. Era ora di alzarsi.
Privato della sua bocca, Mamoru scese a baciarle prima le
guance e poi il collo. «Già... forse non
è il posto migliore per...»
Usagi non trattenne le risate sommesse, acuite dal fiato sul collo.
Anche lui non riusciva a smettere!
Si allontanò del tutto, appoggiandosi sulle braccia tese; lo
guardò con occhi divertiti. «Credo che tu abbia
ragione.» Con un paio di rapidi balzi, era già in
piedi che lo
guardava dall'alto,
girata dalla parte opposta.
Anche al contrario, l'espressione perplessa di lui era veramente buffa.
«Non parlavo sul serio.»
«Troppo tardi» lo canzonò, ridendo anche
della
posizione da
cui ancora non si era mosso.
Eppure, anche sdraiato e per terra, Mamoru riuscì ad
assumere
piano piano l'espressione di chi stava per colpire.
Ma che-?
«Carina la gonna.»
Lei richiuse le gambe in un unico scatto, rendendosi conto di averle
avute spalancate
quasi sopra la testa di lui. Si allontanò di un
paio di passi,
fumante.
Mamoru iniziò a ridere di gusto, rimettendosi in piedi.
Oh, non era possibile che proprio quando pensava di averla vinta...
«Quelli come te hanno un nome, lo sai?»
«Davvero?»
Usagi annuì vigorosamente. «Hentai. Mamoru
hentai.»
Lui non sembrò particolarmente colpito dall'epiteto.
«Veramente eri tu che ti stavi mettendo in mostra.»
In mostra?!
«Sempre tu mi eri saltata addosso neanche cinque secondi
prima. Adesso che ci
penso...
quelle come te hanno un nome, Usa.»
Di solito aveva un cuscino in mano, in questi casi.
«Se cerchi un cuscino, è dietro di te. Se vuoi,
puoi provare
a prenderlo.»
«Nessun problema.» Partì di scatto verso
il divano.
Mamoru fece lo stesso e due metri dopo Usagi si
sentì sollevare,
mentre la caricava
sulle spalle. «Cado, cado!» Rise sonoramente in
mezzo alle
grida.
Lui la appoggiò sul divano qualche istante dopo, seduta,
ridendo e sistemandosi accanto a lei.
Allargò naturalmente il braccio sullo schienale,
permettendole di appoggiare la testa sulla sua spalla.
Le uscì un sospirò. «Sono andata da
Motoki.»
«Io sono andato all'università.»
Usagi alzò gli occhi nella sua direzione. «Non
sanno
niente
di una tua partenza, vero?»
Lui scosse la testa. «Mi è anche capitato di
incontrare il
professore che mi aveva
presentato l'offerta di scambio. Oggi me l'ha proposta di
nuovo.»
«Come?»
«Era come se non me l'avesse mai fatta.» Le
sorrise. «Hai
sistemato
davvero molte cose.»
Un'altra conferma di quello che aveva già scoperto.
«Anche
per Motoki non eri mai partito. Sono andata a dargli la lettera,
ma quando sono entrata nella sala
giochi, la prima cosa che mi ha chiesto era se dovevo incontrarmi
lì con te questo pomeriggio.»
«Quello che mi sembra strano è che... nella mia
segreteria
c'erano messaggi dell'università. E anche uno di
Motoki.»
Usagi rimase in silenzio, a riflettere. «Forse non sono
spariti
perché tu invece dovevi sapere cosa era accaduto in questi
mesi,
anche se poi è stato tutto quanto cancellato. Ma...
è
solo un'ipotesi.» Sospirò.
«È
frustrante
non riuscire a
spiegare quello che ho fatto io stessa.»
Lui inclinò la testa di lato, appoggiandola sulla sua.
«Non ti preoccupare.»
Usagi non poté far altro che annuire.
«Com'è
andata col tuo
professore?»
«Quando ho rifiutato la proposta, ha passato minuti interi ad
elencarmi a cosa stavo rinunciando. Alla fine sono stato costretto a
dirgli che abbandonavo la
facoltà. A quel punto mi ha chiesto una
spiegazione.» Gli uscì un sospiro rassegnato.
«Non avevo preparato qualcosa da
dire e ho finito con l'inventare una scusa sul momento.» Si
girò verso di lei, una
mezza risata in volto. «Gli ho detto che stavo per sposarmi.
Quando lui ha protestato ancora, gli
ho detto che la mia ragazza era incinta. Solo allora si è
arreso.»
Usagi ridacchiò divertita.
«So che era impossibile, ma per un momento ho
desiderato potergli
dire la verità. Aveva creduto in me, mi aveva sostenuto con
quel
progetto. Si sarebbe meritato qualcosa di diverso da una
bugia.»
«Non è facile spiegare, vero?»
Dal tono che aveva usato, Mamoru capì che c'era altro dietro
quelle poche parole. «No, non lo è. A chi hai
dovuto
spiegare?»
«Il problema è che non posso. Parlo dei miei
genitori. Mi
considerano ancora una ragazzina e per quello che sanno...
è giusto. Ma... ecco, per fare un esempio mi piacerebbe
poter dire loro
che
vorrei fare un viaggio da sola con te senza che questo crei problemi a
nessuno. Ho nascosto per tanto tempo tutta una parte della mia
vita, ma forse... solo ora sto iniziando a considerarlo un
problema.»
Lui si limitò ad ascoltarla.
«Penso che la mamma abbia capito qualcosa. Un paio di volte
mi sono
comportata poco 'da me' a casa, in questi giorni.
È una fortuna che
non ci saranno battaglie per qualche tempo, almeno.»
Gli
aveva parlato
la sera prima del presentimento di Rei. Di quella che era
più probabilmente una vera e propria previsione.
«Ah, ma
c'è una cosa bella. La mamma ha suggerito che tu
venissi a cena da noi, con mio
padre presente. Finora si è sempre rifiutato di incontrarti
come
si deve, ma questa volta ho insistito.» Usagi notò
l'immediato
irrigidirsi nel corpo di lui e si mise dritta sul divano.
«Non sarai
mica nervoso?»
Mamoru fu sul punto di negarlo, a lei e a se stesso. Poi
cambiò
idea. «Un po'. Incontrandomi, tuo
padre cercherà di capire chi sono e quali intenzioni ho
verso di te. E... potrò fargli sapere la verità
solo
fino ad un certo punto. Non è il modo migliore per fare la
sua conoscenza.» Scosse la testa. «Con tua madre
è
stato
diverso, lei non mi
ha mai visto come una minaccia per te. Tuo padre sì invece.
Ricordi il mio primo incontro con lui?» Lo choc del
padre di
Usagi, le urla e la sua poco dignitosa
ritirata, con la scusa del jogging, gli erano rimasti in testa.
Decisamente, non uno dei suoi
momenti migliori.
Lei non sembrava della sua stessa opinione. «È
stato tanto
tempo fa.
A me piacerebbe solo che ti conoscesse, in
modo che possa fidarsi di te un po' di più. Non mi
piace l'idea di fare ogni cosa le cose alle loro spalle, ora che
vorrò vederti più spesso.»
Dargli modo di fidarsi maggiormente di lui?
Mamoru non era certo che il
risultato sarebbe stato quello. Avrebbe dovuto passare metà
del tempo a cercare di non
tradirsi, tentando di stare attento a non dire qualcosa di troppo o
persino a non guardare Usagi troppo a lungo. Era abbastanza
convinto che chiunque li avesse visti assieme avrebbe finito
col notare quanto era profondo il loro rapporto. In tutti i
sensi. A maggior ragione, lo avrebbe capito una persona che di
proposito avesse cercato indizi in
merito, come poteva essere un padre.
Mamoru ne sapeva molto poco, ma preoccuparsi per Chibiusa gli aveva
dato una
certa idea del grado di apprensione che poteva provare Kenji Tsukino.
Ad esempio, sapeva che lui stesso avrebbe ucciso con le sue mani il
folle che
avesse mai
osato avventurarsi in camera di sua figlia sotto il suo stesso tetto,
se mai fosse venuto a
sapere una
cosa del genere.... eppure era stato proprio lui a comportarsi
così, la sera prima.
Si ritrovò con sentimenti contrastanti: da una parte non
riusciva a
pentirsi di essere andato da Usagi; dall'altra,
all'improvviso, non gli
sembrò un gesto particolarmente rispettoso nei confronti dei
genitori
di lei. Sperò di non farselo leggere negli occhi quando li
avrebbe incontrati: non era mai stato bravo a mentire su certe faccende
personali. Era
stato un vero fallimento persino col suo stesso professore.
La voce di Usagi lo distolse dai suoi pensieri. «Allora
verrai?»
«Certo.»
Lei gli sorrise e si appoggiò ancora meglio contro il suo
fianco. «Sai, ieri sera mi sarebbe piaciuto rimanere
tranquillamente
addormentati...
dopo. Una prossima volta è meglio lasciar stare la mia
stanza. Ma... mi è piaciuto molto che tu sia venuto ieri
sera. Grazie.»
Grazie per quello che avevano fatto? Gli venne da ridere.
«Direi che
è stato... un piacere.»
Usagi rise anche lei a denti stretti, poi lo colpì
piano al petto. «Senti, perché non ci sdraiamo un
po'
adesso? Guarda.»
Si appoggiò lungo il divano, di fianco, il viso rivolto
verso lo schienale e
le gambe su quelle di lui, ancora seduto; poi si avvicinò
ancora di più al bordo, di lato, probabilmente per testare
se ci stavano in due.
«Sembra un po' stretto.»
Lei divenne pensierosa e controllò di nuovo la propria
posizione.
Gli uscì un sorriso. «Ma proprio per questo
comodo, da un altro punto di
vista. Va bene.» Si
allungò anche lui sul divano, sistemandosi tra lei e lo
schienale, su un fianco.
Usagi scoprì di avere abbastanza posto per riuscire a
sdraiarsi sulla schiena e,
felice, sistemò la testa nell'incavo del collo di Mamoru,
appoggiandosi su un suo braccio.
Poco dopo sentì la mano di lui scendere piano
sul petto.
Iniziò
a provare quel desiderio che ormai ben conosceva, prima di accorgersi
che le dita si erano fermate proprio in mezzo ai suoi seni.
Lì diedero un paio di colpetti leggeri.
«La tua spilla... non l'hai avuta indosso in questi giorni.
»
Ecco una cosa di cui avrebbe preferito non parlare.
Senza saperlo, lui continuò. «Ci ho pensato e...
sei riuscita
ugualmente ad usare il tuo potere senza ricorrere al cristallo, anche
se in modo
minimo. Forse esiste la possibilità che un giorno tu possa
arrivare
a trasformarti anche senza averlo con te.»
Come?
«Pensavo che magari potrei aiutarti. Ad allenarti
intendo, se
pensi di avere bisogno di qualcuno contro cui combattere...
Cos'hai?»
Si mise a ridere come una sciocca e lo abbracciò forte.
«Cosa c'è?»
«È che... è la stessa cosa che ho
pensato questa
mattina.
La trasformazione senza il cristallo, voglio dire. E pensavo
che volessi chiedermi perché non l'avevo con me
oggi.»
«Non è nella tua borsa?»
Usagi negò col capo e lui rimase in silenzio, visibilmente
sorpreso.
Oh. Lui aveva creduto che lei avesse comunque il cristallo a portata di
mano, anche se non su
di sé.
Usagi si irrigidì: Mamoru non avrebbe approvato. Avrebbe
avuto ragione, ma non-
«Ho capito.»
«È solo che-»
«Usa, lo so. Però... tra qualche giorno ricomincia
a
portarlo. Nemmeno
io posso immaginarti in pericolo.» Le mise un braccio intorno
alla vita
e appoggiò il viso sui
suoi capelli.
Lei chiuse gli occhi, meravigliandosi di come ogni tanto la sua anima
lo riconoscesse come la propria
parte mancante, esattamente come se lo stesse incontrando per
la
prima volta. Si lasciò cullare dall'intensità di
quella
sensazione, totalizzante ma portatrice di una infinita calma.
In quel momento era dove niente e nessuno le avrebbe fatto del
male, con l'altra parte di sé.
La mente si sgombrò e iniziò a vagare
sul nulla della tranquillità.
A lato, vedeva la tenda del balcone sollevarsi da terra,
la luce del giorno tanto più forte là
fuori, rispetto all'interno della stanza.
Sentiva aria, sulle gambe, sul viso... appena. L'orlo della gonna si
muoveva piano, cullato dal vento.
I capelli della frangia si spostavano, accarezzandole la fronte.
Rimase ferma, con lo sguardo fisso a notare tutto e niente.
In pace.
Percepiva anche il calore del corpo di Mamoru. Il suo respiro sui
capelli. E, in quel silenzio, come portato dal vento, quel suono...
Si concentrò, appoggiando meglio la
testa sul suo petto. Lo sentiva appena, ma era proprio il
battito
del cuore di lui.
Gli angoli della bocca si spostarono all'insù
con infinita
ma inesorabile
lentezza, mentre la assalivano i ricordi di innumerevoli
momenti.
Quel battito lo avrebbe sentito tante volte, in futuro, ma lo
aveva fissato nella mente già da tempo,
testimone di una vicinanza conquistata e riconosciuta come
necessaria. La prima volta, la ricordava ancora distintamente, lo aveva
udito con
sorpresa all'orecchio, la testa appoggiata contro il petto di Tuxedo
Kamen, mentre lui la allontanava da un nemico.
La volta che ricordava come più cara, lo aveva
udito con la testa affondata tra le sue braccia, mentre lui la
stringeva dopo aver ricordato il loro passato, quando per la prima
volta davanti a loro c'era stato un vero futuro da vivere insieme.
Erano talmente tante le occasioni in cui quel suono l'aveva cullata,
rassicurata.
Era un battito lento e portatore di calore la cui vicinanza le era
mancata
come l'aria stessa, nei mesi appena trascorsi.
Chiuse gli occhi, volendo solamente... sentire.
Nel successivo istante, vide senza vedere. Sopra di lei il cielo era
scuro, immenso. Stelle brillanti,
dal numero infinito. E sempre in alto, su un lato, c'era uno strano
astro,
quasi del tutto blu, enorme. Meraviglioso.
Lei aveva le braccia nude,
addosso un vestito quasi impalpabile, leggero. Rimaneva sempre quel
battito,
all'orecchio. Alzando lo sguardo incontrò gli
stessi occhi,
lo stesso viso, lo stesso sentimento. Dalle labbra che quasi la
toccavano udì un nome diverso,
ma
sempre, sempre il proprio.
Sbatté le palpebre e fu di nuovo tutto come prima.
Serenity.
Il primo vero ricordo della sua vita passata, vissuto e non raccontato.
Era stata Serenity. Con Endymion.
Aveva sempre saputo di essere stata Serenity, ma erano state
davvero una cosa sola nei momenti di pericolo e in quelli solamente.
Mentre ora... si era ritrovata come Usagi, sulla Luna, con Mamoru.
Tutto quello che aveva provato chissà quante centinaia di
migliaia di anni prima continuava ad essere
identico a ciò che provava adesso, grazie a quell'unica
costante.
Con altri nomi, con altre vite, quel rapporto tra anime per
loro era
sempre uguale.
Si erano persi e poi ritrovati, in un altro tempo e in un altro pianeta.
E ora erano Usagi e Mamoru, sulla Terra.
E ugualmente erano Serenity ed Endymion, sdraiati su un divano,
tranquillamente vicini, come avevano sempre desiderato.
Insieme.
Dopo guerre e tragedie, secoli dopo, erano ancora lì.
Quello che aveva in quel momento sarebbe stato suo per sempre,
qualunque cosa fosse successa in futuro.
«Credo che si metterà a piovere più
tardi» commentò Mamoru, sentendo aumentare la
forza dell'aria che
entrava
dalla finestra e vedendo diminuire la luce del sole.
Usagi alzò lo sguardo su di lui. «Non ha
importanza. Ti
amo.»
«Come?»
«Ti amo.» Si abbandonò al calore del suo
abbraccio.
«Dalla pioggia alla dichiarazione mi è sfuggito un
passaggio.» Mamoru si mise a ridere. «Ma ti amo
anche
io.»
Nel buio del solaio entrava solo la luce della luna.
Dopo il temporale del primo pomeriggio, le nuvole si erano rapidamente
dissolte.
Non c'era polvere dove lei appoggiava le mani. Sua madre doveva aver
pulito
da poco; credeva ancora che la nipotina Chibiusa fosse tornata a stare
dai suoi genitori.
Finendo di salire le scale, Usagi si alzò in piedi: non
rischiava
più di sbattere la testa contro il soffito.
Si diresse verso la luce della piccola finestra. Accanto c'erano un
lettino, un comodino e una scrivania.
Il piccolo letto... Sorrise. Era proprio da bambina. Minuto e con
sopra le coperte decorate con buffi
animali.
Vi si sedette sopra. E vi si sdraiò,
raggomitolandosi
per
starci tutta.
Chibiusa le mancava.
Nei mesi passati, in assenza di Mamoru, era stato quasi lacerante il
bisogno che aveva sentito di averla accanto. Senza di lei e senza
Mamoru,
era stato come vivere con un cuore incompleto, una metà
persa in un colpo
solo. Per tanto tempo erano stati in tre e, all'improvviso, era rimasta
solo lei.
Eppure aveva sempre saputo che Chibiusa stava bene. Anzi, che stava
persino
là, in quel futuro dove lei e Mamoru erano insieme e felici.
Quel pensiero l'aveva confortata: vi aveva fatto ricorso
più
volte, per togliersi di dosso la tristezza che l'aveva oppressa.
Da quando Mamoru era tornato, aveva smesso di pensarci, ma, da poco,
era nato in lei un pensiero sfuggevole: quanto sarebbe
stato
bello poter uscire di nuovo tutti e tre
insieme. Solo dopo si era ricordata che Chibiusa non c'era.
Certo, era cosciente che sarebbe potuta tornare da un momento
all'altro, ma oramai erano quattro mesi che non lei non si faceva
vedere. Nei
precedenti viaggi era passato molto meno tempo tra una visita e
l'altra. Certo, se fosse arrivata anche solo un mese prima...
Ebbe in testa l'immagine di Chibiusa che spariva nel vuoto, il
seme di stella rubato.
Di scatto, si mise seduta sul letto.
No, per fortuna non era stata lì.
Sospirò e scosse la testa.
Nonostante tutta la felicità di quei giorni, quelle immagini
ci avrebbero messo qualche tempo ad abbandonarla del tutto.
L'unica cosa da fare era concentrarsi su quanto di bello la circondava.
Ricordi, sensazioni.
Lo sguardo le cadde sulla scrivania.
Sorrise.
Se Chibiusa fosse tornata, probabilmente non avrebbero più
litigato per l'attenzione di Mamoru, come una volta.
In fondo, la bella lampada incantata di cui Chibiusa le aveva parlato,
aveva nascosto
più segreti di quanti lei avesse immaginato.
E in quella battaglia, anche grazie a quel ragazzo dai capelli argento,
Chibiusa era cresciuta.
Ricordò lo sguardo perso nel vuoto
che aveva visto
spesso nel piccolo viso di lei, così simile al suo. Il primo
amore.
Già, Chibiusa era cresciuta da quando era arrivata
lì per la
prima volta, in quel giorno lontano, nel parco, armata di una pistola
giocattolo.
Una bambina che cresceva.
Ogni tanto si era domandata come mai la futura se stessa continuasse a
mandarla nel presente.
Non pensava fosse indolore vivere lontani dalla propria
figlia, perdersi quei momenti in cui piano piano lei diventava grande.
Allo stesso tempo, capiva la necessità di farla allenare, di
farla diventare una guerriera abile. In un mondo futuro, di pace,
questo non
sarebbe stato possibile.
E poi la se stessa futura avrebbe saputo che-
Gli occhi le si spalancarono.
La se stessa futura avrebbe saputo che Chibiusa li avrebbe aiutati a
sconfiggere Nehellenia, con l'aiuto di Pegasus.
Avrebbe saputo che contro il Faraone 90 Chibiusa sarebbe stata
fondamentale per Hotaru e che da questo sarebbere dipese le sorti delle
battaglia.
Avrebbe anche saputo che... Trattenne il respiro.
Non c'era stato alcun bisogno di Chibiusa contro Galaxia. Ecco
perché non era tornata.
C'è
una buona notizia. Ho
percepito anche che non avremmo battaglie
per almeno un paio d'anni.
Nella mente le risuonarono le parole di Rei.
Niente battaglie per i due anni che sarebbero venuti.
Niente Chibiusa.
Scosse la testa.
Forse stava esagerando. Magari Chibiusa sarebbe tornata in visita.
Forse non a
lungo, ma almeno in visita.
Lo sperò tanto. Semplicemente, senza di lei le cose non
erano
più come prima.
Portò le ginocchia al petto e appoggiò
lì la testa,
guardando la luna fuori dalla finestra, ormai non più piena.
Cercando di rilassarsi, chiuse gli occhi.
All'improvviso, dietro di sé udì un
insieme di rumori... magici.
Quando si girò, una luce intensa le accecò la
vista.
Un tonfo. «Ahi!»
E una voce femminile. Che lei non riconosceva.
Balzò in piedi sul pavimento e assunse una posizione
di difesa.
Non aveva la spilla. Era di sotto.
Ironico che le paure di quella mattina si dovessero concretizzare con
tanta velocità.
Maledizione.
Prima che potesse pensare ad altro, nella parte del solaio non
illuminata dalla luce si mosse una figura.
Il suo stesso corpo
impediva alla già poca luce presente di arrivare a coprire
quell'angolo della stanza, perciò si spostò
appena e
riuscì a vedere meglio.
La
figura ora era
in piedi. Sembrava una ragazza. In una posa... inoffensiva.
Era comunque un'estranea dentro casa sua, perciò non si
fidò.
«Chi
sei?»
Le sembrò di sentire una breve risata dalla sconosciuta. La
vide avanzare a passi lenti verso la luce.
Si preparò ad attaccare, pensando a come fare per riuscire a
spostarla dal proprio cammino e correre rapidamente di sotto.
Fermò ogni movimento quando vide la faccia della ragazza.
La
propria faccia.
Ma che-?
Un nemico?
Un'illusione?
Mille idee le attraversarono la testa e la sconosciuta parve capirlo.
Si fermò e andò a toccarsi i capelli, portandoli
sotto la luce. Parlò per la prima volta. «Non
capisci?»
I capelli della ragazza non erano biondi. Per via della poco luce
all'inizio non capì bene, ma poi... rosa. E i
codini non erano rotondi, ma coni rovesciati e alti.
Non era possibile.
Non- «Chibiusa?»
Ebbe come l'impressione che fosse stata la sua voce a giungere a quella
conclusione, ben prima della sua testa.
La ragazza le sorrise dolcemente.
Nella curva di quelle labbra Usagi riconobbe
il sorriso di Mamoru, quel particolare che solo lei aveva notato, nel
tempo.
Nel viso della ragazza brillarono gli stessi occhi marroni della
bambina che lei aveva amato.
«Chibiusa?» ripeté, avvicinandosi.
Un cenno della testa confermò le sue parole.
«Anche se nessuno mi chiama
più
così.»
«Chibiusa?»
«Sì, Usagi. Sono Chibiusa. O Usagi. Sono
Usagi.»
Usagi alzò una mano per toccarle il viso e non ci furono
né proteste né movimenti.
Si stupì nel venire a contatto con la pelle fresca,
nonostante
ogni altra prova che aveva avuto.
Era vera.
E grande. Alta quanto lei e all'incirca con la sua stessa
età.
Vestita come una principessa.
«Ma...»
«Sediamoci Usagi. Ti spiego.»
Usagi si lasciò prendere la mano, facendosi condurre verso
il letto. Ancora una volta, nel gesto tranquillo e deciso, la
nuova Chibiusa
le
ricordò Mamoru.
Anche da seduta, Usagi continuò a guardarle il viso,
memorizzando le fattezze
ormai
adulte. Erano le sue, ma, allo stesso tempo, erano proprio quelle di
Chibiusa.
«Sei... »
«Cresciuta» finì Chibiusa.
Usagi annuì.
«Sì» le confermò lei, poi
fece
una pausa, come
se stesse cercando le parole giuste.
Chibiusa cresciuta. Per quale motivo doveva tornare indietro da grande?
Forse... «C'è qualche problema, un
nuovo nemico?»
«No no, sta tranquilla. Nessun nemico.» Vi fu
sorpresa per la conclusione a cui era arrivata.
Usagi si
tranquillizzò. «Ma allora
perché...»
«Aspetta. Aspetta un attimo.» Chibiusa rimase a
contemplarla
per qualche
istante; poi, all'improvviso, le
gettò le braccia al collo.
«Mi
sei mancata
tantissimo, Usagi.»
Nel profumo dei suoi capelli Usagi riconobbe l'odore di Chibiusa. Un
po'
cambiato,
più maturo, ma sempre quello stesso odore.
La abbracciò
forte e sorrise di gioia: ecco, in quell'abbraccio improvviso
riconosceva molto di
se
stessa. «Anche tu, Chibiusa. Mi sei mancata da
morire.»
Si staccarono.
Chibiusa continuò a guardarla
con aria commossa e le sembrò che deglutisse un
groppo alla gola. «Secondo quello che ha detto Puu, qui non
sono
passati più
di quattro mesi da quando sono venuta l'ultima volta.»
Già.
«Per me... sono passati anni da quando sono sono
stata in questo tempo.» Un sospiro. «Usagi...
questa sarà
l'ultima volta che ci vedremo, prima che io nasca.»
Per Usagi fu come una pugnalata al cuore. Anche se, nel vederla grande,
in un
angolo della sua mente lo aveva
già capito. Chiese lo stesso, stupidamente. «Non-
Non
tornerai come...»
«No, non tornerò da bambina qui.»
Usagi rimase in silenzio, ogni parola dimenticata. Se avesse cercato di
parlare, probabilmente avrebbe solo pianto.
Chibiusa continuò. «L'ultima volta che sono venuta
in questo
tempo è stato
durante
l'ultima battaglia contro Nehellenia. Vi avevo promesso che
sarei tornata. Volevo tornare, ma la mamma non me l'ha
permesso.»
Lei stessa
le aveva proibito di tornare?
«La mamma mi ha raccontato solo recentemente in modo preciso
cosa
è accaduto in questi mesi, in questo tempo. Anni fa non
l'avrei
mai detto, tanto ero arrabbiata con lei, ma... è stato
meglio
che
io non sia stata qui. Era pericoloso e sarei stata...
d'intralcio.»
«No!» Si affrettò a smentirla.
«È
vero,
sarebbe stato
molto
pericoloso per te, ma... non hai idea di quanto tu mi sia mancata in
questi
mesi. Se tu fossi stata qui, io credo che forse sarei stata meno
male,
che forse...» Sospirò e mosse la testa da un lato
all'altro. «Saprai di cosa sto
parlando. Ma anche così, no, per il tuo bene è
stato
meglio che tu non sia stata presente. Ma non perché saresti
stata
d'intralcio.»
Chibiusa le appoggiò una mano su una spalla.
«Grazie.
Sì, so cosa è successo con Mamoru.
Dev'essere stato difficile... a dir poco.»
Usagi non poté far altro che annuire.
«Ma è passata, Usagi. Ora siete felici.»
Chibiusa che le faceva forza. Lo aveva fatto già da
piccolina, ma ora...
«Sai, mi sembra così
strano parlarti così, mentre
sono grande. È... diverso.»
Usagi le mostrò un sorriso. «Stavo pensando la
stessa cosa.»
Chibiusa ridacchiò, tirando fuori la lingua con fare
sbarazzino. «Ci somigliamo di carattere anche dopo tanti
anni.»
«Sì.» Con una mano, Usagi le
accarezzò il
viso. «Mi
somigli davvero molto.»
«È vero, lo dicono tutti.» Il tono
sembrava
quasi...
soddisfatto.
«Tutti chi?»
«La mamma, il papà, le altre guerriere e... beh,
le
persone.» Sorrise, quasi come se
nascondesse un segreto. «Le
persone su cui regniamo. Dicono che somiglio
sempre più ad una vera
regina.»
«Col nostro aspetto?» Usagi era incredula.
Chibiusa scoppiò a ridere, piano. «Sì.
Non mi ero
mai accorta di quanto fosse assurdo.»
«E... tu stai bene, nel futuro?»
Chibiusa tornò lentamente seria e guardò nel
vuoto, come se avesse la mente in un mondo lontano.
«Sì, sto
molto bene. Ho delle amiche ora, care amiche. E... sento
di
aver trovato il mio posto. A casa mia. È un traguardo, se ci
pensi.» Sorrise e poi si voltò verso di lei,
guardandola negli
occhi. «Usagi, il mio apprendistato era finito. Dentro di me
avevo imparato ad
essere una guerriera. E nella battaglia che stavi per combattere tu non
c'era più bisogno di me.»
E per questo non era tornata. Come aveva sospettato.
«Chibiusa, nonostante quello che dicevo a volte, tu per me
non eri un
peso, eri come...»
«Una sorellina?»
Usagi si ritrovò ad annuire, sorpresa.
«Me l'ha detto la mamma. Anche tu eri come una sorella per
me,
Usagi. Ma... tu hai solo sedici anni. E una sorella che
è
anche tua figlia non è proprio la cosa migliore.»
Usagi fu sul
punto di protestare, ma Chibiusa la interruppe. «So
che mi
volevi
bene, ma ora
che sono grande come te credo di riuscire a
capire
meglio perché ti facevo arrabbiare tanto spesso.
Per la
verità, non so nemmeno come reagirei se capitasse a
me
di
dover vivere con la mia futura figlia intorno.» Le sorrise ma
allo
stesso tempo assunse
un'espressione più grave. «Mamma ha detto che non
c'è
nessun problema a parlartene, ora.
Dice che tu e Mamoru sapete quanto tempo manca più
o meno
prima che... il presente incontri il futuro.»
«Sì.»
«Non sono poi così tanti anni, Usagi. È
giusto
che tu sia
solo una ragazza
ora. Che tu stia sola con Mamoru, che tu cresca per diventare quello
che sarai in futuro. Non chiedermi se ci saranno altre battaglie prima
di allora, questo non posso dirtelo.»
Usagi si sentì prendere le mani fra quelle di lei.
«Avrai una vita intera per stare con me. Crescendo, ho
rivisto un po'
più di te nella mamma. Mi ha detto che è questo
il
periodo a partire dal quale tu... inizierai a diventare lei. Sai,
quando
stavo qui non facevo che chiedermi come tu potessi essere la mia
mamma, che quando voleva
invece riusciva a essere così elegante e seria.»
La
osservò
attentamente. «Mi è stato detto anche che l'hai
deciso da
poco.»
Usagi annuì ancora una volta.
«Vedi? Sono cambiate così tante cose in questi
mesi per te.
L'Usagi che
conoscevo io non avrebbe mai preso una decisione del genere.»
L'Usagi che conosceva lei era stata così sicura che la
piccola Chibiusa sarebbe stata ancora a lungo una costante della sua
vita...
«Io e te staremo ancora insieme, perciò non essere
triste.» Chibiusa le
strinse più forte le mani e aspettò che lei
alzasse
lo
sguardo
per continuare. «Ho già parlato con le ragazze e
con Mamoru, tu
eri l'ultima
che volevo salutare, prima di lasciare questo tempo.» La
abbracciò. «Ti voglio bene, Usagi. La prossima
volta che ci
rivedremo, avrò la vista sfocata e non
sarò più
lunga di
cinquanta centimetri.»
Nonostante le lacrime che ormai le stavano cadendo dagli occhi, Usagi
trovò il modo di ridere.
Chibiusa le diede un bacio sulla guancia e, quando si
allontanò,
Usagi vide che stava piangendo anche lei, pur cercando di
trattenersi.
«Ricordati che quando tornerò dall'altra parte, ci
sarai
proprio
tu ad aspettarmi. Sto solo tornando da te.»
Usagi non riuscì a lasciarle le dita.
Chibiusa si passò l'altra mano sulle guance, asciugandole.
Inspirò profondamente e la guardò dritta negli
occhi,
serena. «Allora... arrivederci, mamma.»
E sparì, in un bagliore di luci.
La Chibiusa dei suoi anni adolescenziali se ne andò
così, in una notte d'estate.
Usagi non si mosse, sentendo ancora la sua mano tra le proprie.
Si trovava sul lettino dove tante volte Chibiusa aveva dormito.
Ancora prima, nel proprio letto, aveva spesso sentito
il respiro della
bambina che dormiva beata, per poi calciarla nel mezzo della notte.
Le mille scocciature, le mani con cui tirava la giacca di Mamoru per
farsi prendere in braccio, le battute intelligenti, le liti per
prendere il pezzo di torta più grande, le battaglie da
Sailor ChibiMoon, la sua testardaggine, il suo coraggio...
Usagi sentì un vuoto dentro, all'altezza del petto.
Si strinse il torso con entrambe le braccia, per non crollare.
Respirò e tentò di dare aria al corpo intero.
Infine, ricordò.
Chibiusa sarebbe tornata alla vita proprio da dentro
di lei. Sarebbe nata da lei e Mamoru.
Lei l'avrebbe stretta di nuovo un giorno, piccolina, pronta a darle
tutto il suo
amore.
L'avrebbe vista crescere, l'avrebbe educata, amata e poi... l'avrebbe
lasciata sola per affrontare una battaglia. E allora quella sua bambina
sarebbe tornata nel passato, dove sarebbe andata tante altre volte,
dopo.
Le
sarebbe mancata anche allora ma un giorno, finalmente, sarebbe rimasta
a casa,
con lei.
Con lei, sua madre, e con Mamoru, suo padre.
Per vivere insieme ancora, prima che diventasse grande come l'aveva
appena vista
e cominciasse a costruire una propria vita, un proprio destino.
A quel punto pianse davvero, e furono lacrime di gioia e tristezza.
Sì, Chibiusa era tornata dove doveva stare, con l'altra se
stessa, quella di cui era davvero figlia in ogni senso.
Chibiusa, la piccola Usagi.
Si asciugò le lacrime e fece un profondo respiro.
Sua figlia.
Avrebbe avuto una figlia.
Avrebbero avuto una figlia.
Non era affatto la fine.
Tutto doveva solo ancora iniziare.
Camminava nel parco, in pieno pomeriggio.
Era una giornata come le altre, eppure nuova.
Andava dalla ragazza che amava, con la consapevolezza che non avrebbe
più rivisto quella bambina che aveva tanto amato.
Parte di lui, parte di lei.
Ma sarebbe tornata, in futuro, in una forma diversa e lui sapeva che,
inverosimilmente, l'avrebbe amata ancora di
più.
Tornò a guardarsi intorno.
Coppie che passeggiavano, gente che leggeva, cani coi loro padroni,
bambini
che correvano.
Vita. Uno scorcio di esistenza quotidiana.
La loro non era mai stata una vita normale.
Eppure, qualche tempo, avrebbero vissuto completamente la
quotidianità tanto comune ad altri.
Li aspettavano anni di pace.
Ed erano già iniziati.
Mamoru sorrise apertamente e iniziò a correre.
Era sdraiata sull'erba, nel parco, gli occhi al cielo.
Sotto di lei, un manto erboso. Intorno a lei, quell'odore di terra che
aveva sempre trovato così piacevole, così vivo.
Usagi girò la testa di lato. La mano era appoggiata sulla
distesa
verde.
Osservò la brezza del vento muovere delicatamente i fili
d'erba, come in una danza. Ne accarezzò uno, dalla radice
fino alla punta. Contro le
sue
dita, danzò. Lei ricambiò la sua armonia con un
sorriso dell'anima.
Alzò nuovamente lo sguardo.
Il sole le accecava la vista, fonte di vita.
In un lato del cielo, timida, sbiadita, stava la Luna. Era ancora
presto per iniziare a illuminare la notte.
Luna.
Era stata casa, un tempo.
Forse, col passare dei mesi, degli anni, avrebbe ricordato sempre di
più.
Ora vedeva solo quel cielo scuro e immenso di quell'unico ricordo, con
a lato... la Terra.
Lei l'aveva guardata da lassù, in un'epoca lontana.
E ora viveva proprio lì, proprio qui.
Questa, ora, era casa.
Un tempo era stata una principessa della Luna, erede del potere di quel
pianeta.
Ora...
Affondò la mano nella terreno.
Ora era un'abitante della Terra.
Sarebbe stata la sua regina.
Quella Terra che aveva a lungo sognato da lontano ora era parte di lei,
totalmente parte di lei.
La amava.
Ed era lì che avrebbe costruito un futuro.
«A cosa stai pensando, lì sdraiata?»
Sorrise allo sguardo felice sopra il suo. «A questo
mondo.»
Gli tese una mano.
«Vieni anche tu.»
Lui prese la mano offerta e si sdraiò accanto a lei.
FINE
Note del Luglio 2010:
Questa fanfic appartiene alla saga di 'Oltre le stelle'. Il sequel
diretto è 'Oltre le stelle - scene' e prosegue poi con
storie dedicate ad Ami e Rei e agli altri personaggi in due
one-shot e una raccolta di one-shot, fino ad arrivare al sequel di
'Oltre le stelle', 'Verso l'alba', una fanfiction in cui sto cercando
di costruire una sorta di proseguimento vero e proprio di Sailor Moon e
dare attenzione anche a tutte le altre guerriere (Makoto e Minako in
primis, ma anche le Outer Senshi e alcuni nuovi personaggi di mia
creazione), nonché naturalmente a Usagi e Mamoru. Vi sono
storie d'amore, momenti drammatici, combattimenti e situazioni comiche,
tutto cercando di rimanere sempre IC.
Ringrazio le 84 persone che hanno messo 'Oltre le stelle' tra i
preferiti e tutti coloro che hanno recensito questa storia. Per me
sentire cosa pensate (critiche o complimenti che siano) è
sempre un enorme e grandissimo piacere.
ellephedre
NdA
originali:
Un po' mi sono commossa.
La fine della mia prima storia a capitoli.
Questa forse è stata la parte più
difficile da scrivere; molte scene non le avevo già avute in
mente, come in precedenza. Ma, con pazienza, mi sono venute mentre
scrivevo e sono soddisfatta del risultato finale.
Spero che il finale vi sia piaciuto.
Grazie a tutti coloro che hanno seguito questa storia.
Grazie alle ventotto persone che l'hanno inserita tra i preferiti.
Grazie per averla voluta tenere sempre d'occhio. A chi di voi non ha
mai lasciato un commento, chiederei solo un paio di parole,
perchè è sempre bello sapere cosa ha attirato la
vostra attenzione.
Un grazie particolare a tutti coloro che mi hanno lasciato un commento.
È stato sinceramente una gioia leggere ciò che
pensavate.
Mi avete fatta ridere, mi avete reso fiera del mio lavoro, mi avete
dato persino idee per scrivere :)
Mi riferisco alla breve one-shot che ho scritto già per
metà in risposta alle domande 'Mamoru verrà mai a
sapere cosa ha detto Usagi alle sue amiche? Le amiche si tradiranno?'
Sarà un pezzo divertente (spero almeno di riuscire a rendere
bene il divertimento). Non si adattava come tono al finale di questa
fanfic, però ho voluto scriverne comunque.
Lo pubblicherò fra non molto, ma solo dopo la one-shot su
Rei, un'idea che mi ha molto preso. Anche quella fanfic sarà
comunque collegabile all'universo di 'Oltre le stelle'
(ovvero, la
Usagi che troverete lì sarà proprio questa Usagi,
più o meno due anni dopo; la sua però
sarà giusto una breve apparizione).
Ancora non ho deciso se continuare questa saga, anche se ho diverse
idee (al momento l'idea che prende corpo nella mia mente è
di scrivere cosa inizia a succedere due o tre anni dopo la fine di
questa storia), ma se metterò per iscritto tutto
ciò, non si tratterà di un progetto piccolo, per
cui probabilmente non lo pubblicherò in tempi brevi.
Un paio di note:
- 'hentai' per chi non lo sapesse è un termine giapponese
che indica tutto ciò che è 'pervertito'. Si
potrebbe tradurre sia così che con 'maniaco'.
- Kyushu è l'isola più meridionale
dell'arcipelago giapponese. È considerata un buon luogo di
villeggiatura per quel che poco che so, anche per via del clima caldo.
- Yokohama è davvero molto vicina a Tokyo. Date le
dimensioni delle due città, sono di fatto
considerate un unico grosso conglomerato urbano a livello di
densità abitativa
Ah, a luciadom che mi chiedeva di inserire un carattere più
grande: un trucco che funziona è quello di allargare i
caratteri della pagina tramite il browser; si può adattare i
testi alla dimensione preferita se si fa così.
Salutandovi, volevo consigliarvi, nel caso vi sia piaciuta la mia
storia, di leggere le storie che ho messo fra i preferiti. Meritano.
Grazie di aver letto e spero di sentirvi in una recensione.
Ciao a tutti
ellephedre
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