Tre cuori e un bisogno: amare

di IsAnastaciaHuddy92
(/viewuser.php?uid=52263)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Debolezze ***
Capitolo 2: *** é passato troppo tempo..? ***
Capitolo 3: *** La mattina è sempre dolorosa o no..? ***
Capitolo 4: *** Una nuova vita ***
Capitolo 5: *** Un'ultima sera e poi..? Cosa sarà di noi? ***
Capitolo 6: *** Un ritorno... un altro inizio ***
Capitolo 7: *** Una distanza insormontabile??? ***
Capitolo 8: *** Scusa ***
Capitolo 9: *** Per colpa tua di nuovo ***
Capitolo 10: *** Il test positivo al momento negativo... la scelta di una donna ***
Capitolo 11: *** Io e te: finalmente compresi ***



Capitolo 1
*** Debolezze ***


Debolezze

 

Cuddy aveva perso ciò che più d’importante aveva nella sua vita in quel momento. E si sentiva persa. La mattina le avevano annunciato la sua sospensione, e ciò che le dava più rabbia non era rischiare di perdere il posto ma la causa di ciò: House. Il medico, l'uomo, che lei aveva posto sopra tutti, sopra ogni cosa anche sopra cento milioni di dollari, e adesso lui aveva ucciso un paziente, mentendole, dicendole che le analisi davano un risposta diversa da quella reale, perché lui aveva ragione, perché lui era House, colui che aveva sbagliato momento per raggirare l'amministratore dell'ospedale. E adesso lei aspettava: che la condannassero o che l'assolvessero, ma l'attesa se la stava divorando lentamente, divorava la sua mente, il suo spirito, il suo corpo. Si sentiva persa all'idea di rinunciare a ciò per cui aveva sempre lottato, a tutto ciò che le restava, e che adesso stava andando perduto. Ma lei voleva soltanto abbandonarsi, lasciando che le cose prendessero il proprio corso, e per la prima volta in vita sua Lisa Cuddy si era rassegnata a ciò che la vita le stava dando in quel momento, senza alcuno opponimento perché per la prima volta lei non aveva provato a controllare, anche se era ciò che le veniva meglio.                                                                                                                                    Sola, a casa nel buio della notte, aveva indossato un pigiama largo con le maniche lunghe, che non lasciava intravedere nulla, in fondo sarebbe rimasta sola anche quella sera e, magari come sempre in piena notte si sarebbe svegliata, avrebbe guardato il cuscino accanto al suo e la metà del letto vuota e si sarebbe stretta sotto le lenzuola, con un grande senso di malinconia dentro. Qualche volta per questa ragione soffriva d'insonnia; si svegliava in piena notte agitata. Sognava di essere rimasta totalmente sola; ma quando si svegliava capiva che quell'incubo non si allontanava molto dalla realtà, così poi riusciva a malapena a riprendere sonno, dormendo poi male. E le saliva sempre un brivido addosso che le percorreva tutto il corpo, ogni mattina, quando si svegliava coccolata solo dai raggi del sole che penetravano attraverso le tendine della finestra della sua camera da letto. E in quel caldo abbraccio lei socchiudeva gli occhi e sperava che da dietro le sue spalle arrivassero due braccia grandi e amorevoli a stringerla forte. E quella mattina inaspettatamente lei si trovava stretta in un tenero abbraccio. Aveva poggiato la propria gamba su quella dell'uomo che le stava così vicino da sentire il calore del suo respiro e percepire il fondere dell'ardore ancora acceso dei loro corpi. Lui teneva un braccio sotto la testa della donna e con le dita le accarezzava il collo mentre lei gli massaggiava il petto nudo.

-Adesso credo stare meglio…- aveva sussurrato. Le baciò la fronte, sorrise; il suo più bel sorriso da anni.    

Sette ore prima

Stava per versare dello Scotch nel bicchiere che teneva in mano, non aveva certo intenzione di ubriacarsi, certamente non sarebbe mai scesa a simili debolezze, era sempre stata una donna molto dignitosa e soprattutto forte, ma ne beveva sempre un sorso ogni sera, prima di andare a letto, così, per scaricare le tensioni accumulate durante la giornata. Ma quell'istante fu interrotto dal suono imperterrito del campanello, quel suonare non era nuovo alle sue orecchie, e prima di andare ad aprire sapeva già cosa l'aspettasse, ma specialmente chi fosse! E sicuramente la cosa non l'allietava molto, anzi affatto. Mentre si dirigeva alla porta pensava a cosa avrebbe potuto dire o fare, ma non c'era molto, non c'era niente. Contro House avrebbe voluto scaricare la propria rabbia, avrebbe voluto urlare, disprezzarlo ed insultarlo, dirgli che era stata tutta colpa sua, che le aveva rovinato la vita. Ma a quale scopo? Lui era House e i sensi di colpa non gli si addicevano; lui non sarebbe cambiato;  lei non sarebbe cambiata;  nulla sarebbe cambiato. Probabilmente era lì per umiliarla ulteriormente, certamente non per chiederle scusa. Sapeva anche di non volerlo combattere, non se la sentiva, perché non c'era alcuna barriera a difenderla, quelle che, da tempo, la proteggevano come amministratrice dell'ospedale, certo House non era il tipo di persona che si poneva dei limiti, ma adesso restava soltanto Lisa da prendere in giro.

-Che vuoi ancora, House?- disse con aria irritata. Nascondeva un forte rancore davanti a quella grande figura.  

                                                                                         

-Come stai?- lo disse quasi come se fosse preoccupato. Lo era in realtà. Più che altro erano sensi di colpa. House non era quel genere di persona che si strugge davanti ai propri errori, ma li riconosce e, anche se quasi mai prova a ripararli, cerca nei suoi modi a chiedere scusa. E adesso eri lì davanti a lei, senza molto da dire, o perlomeno c’era qualcosa da dire ma dalle sue labbra quelle parole così significative erano difficile da far uscire, ma sarebbe stato l’unico modo per riparare a ciò che lui aveva appena mandato in frantumi. Lisa Cuddy gliene aveva fatte passare tante e lo aveva perdonato anche quando lui l’aveva  insultata come donna, anche quando aveva distrutto il sogno che lei aveva segretamente custodito e rivelato soltanto a lui, ma lui adesso le aveva negato l’unica cosa che le restava, che la rendeva quel poco più felice di Gregory House, sentiva che sarebbe stata dura perdonarlo.

 

-Sparisci!- disse lei innervosita, come se quella domanda le avesse dato più fastidio che di qualsiasi altra affermazione sarcastica. E aveva provato a chiudere la porta, poi bloccata dal bastone di House.

 

-Lasciami entrare. È la tua prima notte da disoccupata, mi preoccupo di cosa potresti fare- Cuddy non provò nemmeno a replicare, non voleva nemmeno ricordargli che non era stata ancora licenziata. Perché questo avrebbe seguito una serie di parole vuote e, magari offensive e lei non aveva voglia di affrontare il discorso. Quindi aprì la porta e si fece indietro per lasciarlo passare, e senza dire una parola si diresse in salotto e si sedette sul divano. Lui la seguì, fino ad essere seduto accanto a lei.

 

-Che sei venuto a fare House? Vuoi prenderti gioco di me?- disse con sconfitta, con aria d’arresa. Quel gioco sarebbe certamente stato vinto da lui, se avesse voluto iniziarlo. Lei sapeva che lui in quel momento avrebbe potuto distruggerla completamente e lei con quelle domande sembrava avergli dato la chiave per farlo, aveva aizzato bandiera bianca e non per testare quanto House fosse bastardo ma semplicemente nella speranza che lui per una volta si mostrasse umano. Così lui nemmeno rispose, rimase lì in silenzio accennando un “no” con la testa.

 

E in silenzio, si sentiva respirare il vuoto attorno a loro. In silenzio lui le stava chiedendo scusa. In silenzio lei lo stava apprezzando. Non restava che questo: il silenzio. Forse era il modo personale di House di chiederle scusa, restarle vicino, senza ricordare cosa fosse successo, il suo modo gentile di essere dispiaciuto era non mettere il dito sulla piaga.

Lisa si girò verso di lui e lo guardò negli occhi, in quegli attimi in cui il rumore delle loro voci era solo un lontano ricordo, lei lo fissava e provava a leggere la sua anima, che aveva fatto uscire quella umanità nascosta ma, sempre presente. Ma per Greg era chiedere troppo leggere nel suo cuore; voleva fermare quel momento così bello ma che lo rendeva così esposto al dolore, all’essere ferito di nuovo. La baciò, con tutta la passione in corpo, le teneva fermo un braccio che un instante prima aveva provato ad interrompere quel bacio, e la baciava con tutti i sentimenti che gli aveva provocato lei la prima volta che l’aveva vista sorridere e l’ultima, quando spariva via, con orgoglio, dall’ospedale col viso bagnato. E lei non poteva che ricambiare, perché sentiva assorbire quelle emozioni nel corpo, come se le loro labbra fossero una linea conduttrice delle loro emozioni, che li potevano mettere in contatto per pochi istanti. Tutti quegli anni d’incomprensione venivano saldati e  compensati con quel bacio, un istante di piacere, di debolezza che si erano concessi per dichiararsi vicini proprio quando erano stati loro ad allontanarsi. Non poteva che essere più intenso quel momento magico, in cui lei era così fragile e lui così forte da rianimarla con un bacio, con un solo contatto che le dava segno d’affetto, d’amore, segno che qualcuno nel mondo, oltre se stessa, tenesse a lei più di quanto non avesse mai voluto dimostrare.

 

L’indomani mattina non c’era imbarazzo ma solo una gran voglia di non perdere quel momento, paura di rovinare qualcosa così piacevole e indimenticabile.

 

-Ciao…- gli aveva detto dolcemente nel momento in cui lui aprì gli occhi. Lei si era svegliata per prima e lo aveva osservato dormire, sembrava così angelico quando teneva gli occhi chiusi e nessun dolore lo assaliva, nessuna ansia di apparire debole lo catturava e lo trascinava con sé, facendogli perdere poi, momenti come quelli, in cui si era mostrato inaspettatamente comprensivo da non sembrare nemmeno House, eppure lui aveva questa capacità: sorprenderti negli istanti in cui ne hai davvero bisogno, ed era stato anche ciò ad aver lasciato Lisa sfiorare quella gioia e arrendersi a quelle emozioni, a quei bisogni di sentire il suo profumo, di accarezzare la sua pelle e a smettere di sentirsi sola per quell’ennesima notte.

 

-Scommetto che hai approfittato del mio corpicino indifeso mentre dormivo…- teneva gli occhi socchiusi e riusciva a vederla a malapena, ma era bellissima l’immagine di lei appena sveglia, accanto a lui. La calda luce del mattino le illuminava il volto e in quel momento House pensò di stare ancora sognando, non riusciva a credere all’immagine incantevole che i suoi occhi gli stavano regalando in quell’istante. Era da tempo che dormiva solo e quella presenza lo aveva fatto riposare così bene, come mai in tutta la sua vita da anni, che non avrebbe mai voluto alzarsi da quel letto e accettare le conseguenze di quella notte ancora incompiuta.

Si tenevano ancora stretti l’uno all’altro, lei con la testa appoggiata sul suo petto alzava gli occhi per guardarlo e lui la teneva stretta per un fianco accarezzandole la pancia.

 

-Certo come no… sei irresistibile!- e si alzò dal letto avvolgendosi nel lenzuolo.

 

-Ehy riporta qui quel culetto!- lui le afferrò un braccio facendola ricadere sul letto. 

 

Provò una forte emozione dentro, si sentì come completa. Come se in quel momento avesse avuto tutto ciò di cui aveva bisogno -adesso credo di essere felice… adesso credo di stare meglio, accennò un sorriso-

 

Rimasero nel letto tutta la mattinata, e fu strano per House e Cuddy trovarsi in una situazione simile, così inaspettata ma piacevole per entrambi.

VI RINGRAZIO DI AVER LETTO QUESTO PRIMO CAPITOLO, CERCHERò DI AGGIORNARE IL PIù PRESTO POSSIBILE... MI PIACEREBBE SAPERE SE VI PIACE O MENO... A PRESTO!:)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** é passato troppo tempo..? ***


È passato troppo tempo..?

 

L’indomani all’ospedale l’assenza di Cuddy era percepibile, il consiglio aveva designato come suo momentaneo sostituto il dottor Wilson, in attesa di prendere una decisione. House sapeva che averla vinta su di lui sarebbe stato ancora più semplice e, se non ci fosse riuscito avrebbe potuto partecipare agli appuntamenti con Amber e prima o poi il “dolce Jimmy” si sarebbe arreso e gli avrebbe concesso anche la più pazza delle diagnosi. Questo era il potere di Greg House. Ed era rimasto il solito anche dopo quella notte, senza nominare però nemmeno una volta il nome di Cuddy, neppure per prenderla in giro, così gli fu semplice nascondere l’accaduto ai suoi assistenti anche se non a Wilson, a lui no. A lui era impossibile nascondere qualcosa e inoltre gli sembrò insolito il silenzio e l’indiscrezione da parte di House riguardo l’accaduto. Sentiva, sapeva che qualcosa fosse successa, ma cosa?

Si diresse nel suo ufficio dieci minuti prima che House finisse il turno.

 

-Hai notizie di Cuddy?-

 

-No- non aveva scherzato di nuovo sulla cosa, nonostante ne avesse avuto l’occasione e la situazione suonava alquanto sospetta per l’amico, temeva sempre peggio.

 

-Sei stato da lei per caso?- disse con aria interrogativa, la risposta lo incuriosiva.

 

-No- non lo guardò nemmeno negli occhi, continuava i suoi cruciverba, ormai era chiaro per l’oncologo: stava mentendo.

 

  successo qualcosa?-

 

-No- iniziava ad essere infastidito da tutte quelle domande su qualcosa di cui non gli andava affatto di parlare e, Wilson lo era per le risposte monosillabi, così fece cenno con la testa; un sì che diceva “non ti credo, ma per amore della nostra amicizia ti lascio perdere. Per ora”. E uscì dallo studio.

 

Due giorni dopo il telefono non aveva ancora squillato, e sentirsi stupida per Lisa era anche troppo poco, ma non voleva rischiare di perdere un’occasione come quella e dopo quella notte perfetta con lui, lei si sentiva vuota, come se Greg le avesse dato qualcosa di unico che aveva portato con sé anche una parte di lei nel momento in cui aveva lasciato casa sua.

 

-Ciao…- gli aveva detto mentre House indossava goffamente il cappotto, gli addii lo avevano sempre imbarazzato.

 

-Tornerò-

 

Ma il campanello non suonò nemmeno quella sera.

House aveva avuto paura; lui diceva che temeva di poter far soffrire gli altri, ma la verità era che lui paventava di potersi fare male. Non era un tipo facile da comprendere ma sembrava che lei quella sera lo avesse decifrato, avesse compreso finalmente il codice per accedere al suo cuore, e adesso sapeva di dover stare attenta, perché doveva maneggiare il tutto con cura, come un fragile specchio nel quale lei aveva avuto la fortuna di poter riflettere i propri sentimenti e sentirseli tornare indietro con ancora più passione. Sapeva che adesso toccava a lei prendere in mano la situazione e finire di scrivere le pagine bianche di quel libro cominciato insieme.

Si vestì, e in fretta salì in auto, era il cuore a guidarla, il cervello si era spento giorni prima, quando aveva lasciato l’unica cosa che la rendeva ancora un po’ più completa di House.

Non indossava il solito tailleur, bensì dei jeans aderenti e una camicetta rossa sbottonata nei primi bottoni che lasciava scoperto la parte superiore del seno e delle scarpe da tennis, non sembrava nemmeno più Cuddy, l’amministratrice del Princenton Plainsbore Teaching Hospital.

 

I loro ricordi: lui era sdraiato su di lei, le stava abbassando la cerniera della gonna e le accarezza, con la mano libera, i seni rigidi sorretti ancora dal reggiseno.

 

Lei: mise la cintura e accese l’auto, andava da lui; sapeva che era la cosa giusta da fare.

Lui: era appena tornato a casa, sbatté la porta dietro di sé, era nervoso, gli mancava, ma non andò da lei; sapeva che non era la cosa giusta da fare.

 

I loro ricordi: gli sbottonava la camicia azzurra, stropicciata, e sentiva il suo corpo sudato avvinghiarsi al suo.

 

Lei: era ferma ad un semaforo, giocava con le dite sullo sterzo, si sentiva agitata; sapeva che era la cosa giusta da fare.

Lui: prese il decimo Vicodin della giornata, e bevve due bicchieri di Vodka, il dolore era aumentato quel giorno, ormai gli era difficile stare senza di lei e lo sapeva; sapeva che non era la cosa giusta da fare.

 

I loro ricordi: e finalmente vennero insieme, sussultarono entrambi, si sdraiarono rilassati sul letto, stringendosi così l’uno all’altro.

 

Lei: era arrivata, spense l’auto, si tolse la cintura, sentiva forte il cuore battere; e sapeva sempre più che era la cosa giusta da fare.

Lui: iniziò a suonare al pianoforte, con note alte, cosicché la musica potesse ricoprire completamente i suoi pensieri, pensava troppo a lei; e sapeva sempre più che non era la cosa giusta da fare.

 

Non le servì bussare, la porta era già aperta davanti a sé, e quella figura possente adesso la stringeva contro il proprio corpo, le poggiava la testa sopra la spalla e lei che non riusciva nemmeno a toccarlo era rimasta così sorpresa che si paralizzò tra le sue braccia, nulla era andato perduto come temeva, sembrava che quella distanza durata due lunghissimi giorni non fosse mai esistita, come se fossero stati abbracciati per tutto quel tempo senza perdere nemmeno un solo respiro della persona amata.

Rimasero insieme tutta la notte e parlarono come mai, certo con House è complicato trovare punti di contatto, ma lei lo conosceva e discussero tutta la notte del suo nuovo paziente, lui prese in giro diverse volte Wilson e le sue sconvolte espressioni quando House gli proponeva cure strampalate solo per rendergli più difficile il nuovo ruolo.

 

Rise –non ci credo… come ha fatto a credere a una cosa simile???- era un po’ gelosa di non poter essere lei la vittima dei suoi giochi di potere.

 

-La droga accende le parti più remote del nostro cervello… magari funziona anche con gli uomini in coma… potrebbero aiutarci a capire come non far sbavare il mascara o tutte le altre cose per cui si dispera Wilson da una vita.

 

-Oddio!- continuò a ridere, la prima volta che rideva così per una delle sue solite pazzie e la prima volta per House di vantarsi con lei di una delle sue stronzate, dato che di solito lei li viveva in prima persona. E ciò le dava a riflettere: nonostante tutto, sei  rimasto lo stesso House, con o senza di me. E io che ho sempre creduto che fosse la mia voglia di contraddirti a portati simili idee.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La mattina è sempre dolorosa o no..? ***


La mattina è sempre dolorosa o no..?

 

Fu assalita dall’ansia quella mattina quando si ritrovò sola, in un letto sconosciuto, con ancora addosso vestiti che molta gente conoscendola non pensava potesse nemmeno tenere nell’armadio. House l’aveva lasciata? Di nuovo? Il solo pensiero le provocava delle fitte allo stomaco che sembravano spegnere quel calore che l’aveva avvolta la sera prima. Ma ad un certo punto sentì un rumore provenire dalla cucina: un piatto rotto. Non poteva che essere lui.

Si alzò con ancora tutti i capelli spettinata e il viso insonnacchiato, ma appariva agli occhi di Greg ancora una creatura perfetta, per lui lei era bella in qualsiasi momento della giornata, in qualsiasi condizione, ma quella mattina lo era davvero, aveva gli zigomi arrossati e gli occhi lucidi.

 

-Oh russi come un orso! È colpa tua se mi sono svegliato e poi ti ho

svegliata!-

Non gli disse che in realtà era stato un sollievo quel rumore per lei, perché voleva dire che lui era ancora lì e che non l’aveva abbandonata.

 

-Ma che carino… mi hai preparato la colazione?- disse lei sogghignando e prendendo dalle sue mani il caffè che aveva appena preparato.

 

-Ma… ah lascia perdere! Comunque non credere che puoi metterti a fare la prepotente anche qui!- Era divertito. Lisa per lui era stata la sua migliore compagnia da anni… anche meglio di Wilson. Con lui certe cose non poteva mica farle!

 

Lei si avvicinò, lo baciò sulle labbra e continuò a sorseggiare il suo caffè; era un modo carino di farsi perdonare.

Erano le dieci, per Cuddy svegliarsi a quell’orario era anomalo, ma era rimasta sveglia tutta la notte in dolce compagnia e, inoltre, lo preferiva dal restare alzata fino all’alba per sbrigare delle pratiche e poi poche ore dopo andare a lavorare.

Ma House doveva andare in ospedale, così fece una doccia veloce mentre lei, che aveva capito, prese la borsa e andò via. Il saluto di due persone come Lisa e Greg mentre lui va a lavoro e l’altro, inaspettatamente lei, era mezzo disoccupato, sarebbe sicuramente suonato strano, così gli lasciò un bigliettino attaccato al frigo e chiuse silenziosamente la porta.

House come al solito era già in ritardo, e quando uscì dal bagno si accorse dell’assenza di Lisa e si diresse subito in cucina, la conosceva, la dottoressa Cuddy avrebbe certamente lasciato un post-it:             -Ho molte cose da fare oggi, ci vediamo stasera, da me. X Lisa-.  Sì, la conosceva bene, ma questa sua fuga era stato un bene, perché Greg non sapeva come lasciarla e soprattutto cosa dirle.

HO AGGIUNTO ALTRI DUE CAPITOLI... SPERO VI STIA PIACENDO... ASPETTO VOSTRI COMMENTI! UN BACIO... GRAZIE FEDE PER LA TUA PAZIENZA... TVBTTT!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Una nuova vita ***


Una nuova vita

 

Adesso aveva tutto il tempo da poter dedicare a se stessa, e ciò non le dispiaceva affatto.

Quando uscì di casa, si diresse in fretta in un centro commerciale e si sbizzarrì. Acquistò abiti di ogni genere, tranne che tailleurs, voleva per una volta sentirsi soltanto una donna non il primario di medicina. E spesso tra il provare una t-shirt e una minigonna pensava a Greg e a quanto fosse felice con lui, a quanto lui stesse contribuendo a farla sentire soltanto la sua donna e nient’altro.

Adesso sentiva che non le mancava niente, anche se in realtà non era così. Aspettava ancora di ricevere dal consiglio quella telefonata che avrebbe segnato nuovamente il suo futuro, e sperava ancora che quel test risultasse positivo. E quando pensò a ciò le venne in mente nuovamente Greg, se una delle due cose fosse successa, l’avrebbe sicuramente perso. House e Cuddy avrebbero iniziato a litigare, come al solito, qualche volta ferendosi pesantemente, avrebbero certamente dimenticato la magia creatasi in quei giorni in cui erano soltanto due persone innamorate che temevano di ammetterlo anche solo a se stessi. E d’altra parte, le restava dentro un grande dubbio, chissà se Gregory House sarebbe stato in grado di diventare adulto, davvero. Era una domanda che aveva sempre posto a se stessa. Quando lui aveva saputo del suo desiderio di diventare madre, sembrava le avesse chiesto di poter avere un ruolo nel suo sogno, di poter essere il padre di quella creatura. Ma Lisa Cuddy non prese affatto in considerazione quella proposta, non era sicura che lui dicesse sul serio e, poi, tra loro le cose si sarebbero complicate a tal punto da non sapere neanche più cosa fossero per l’altro, e lei lo sapeva, ma, forse, in realtà era ciò che voleva da sempre House, aspirava di avere un posto nella sua vita da tempo, e quello per lui sembrava il modo più accessibile, ma per Lisa tutto ciò sarebbe sempre stato cosparso da una nube di mistero, buia che le negava in tutti i modi l’accesso, era la mente di House.

 

Erano le tre del pomeriggio e per House quello era stato un record. Soltanto la seconda pillola della giornata, e non perché non gli facesse male la gamba ma semplicemente perché non ci pensava più se non quando distoglieva i pensieri dalla sua morbida pelle, dai suoi scuri ricci e iniziava ad occuparsi seriamente del caso. I suoi assistenti si erano accorti della sua distrazione quella mattina, ma non potevano immaginare minimamente che c’entrasse il sorriso di Lisa, che riusciva a mandarlo in tilt. Gli dava addirittura fastidio il fatto che non facesse che pensare a lei, ma gli serviva adesso annullare totalmente Greg per dare spazio all’arrogante House e poter completare quel puzzle. Wilson, nel tardo pomeriggio, gli diede le solite due ore di ambulatorio, House ovviamente iniziò a sbattere i piedi per terra come un bambino capriccioso e ad urlare: “Ti odio! Ti odio! Ti odio!” Poteva anche sentirsi “allegro”, ma House è House e continuava a detestare le ore di clinica.

 

-House è tuo dovere! Non puoi fare solo ciò che ti piace!- Provava a superare la voce del diagnosta, che continuava ad urlare. –Adesso basta! Cuddy mi ha ordinato di fartele fare!-

 

Quel nome gli fece girare la testa, era quasi sul punto di chiedere chi fosse Cuddy. Lui conosceva Lisa, la donna che lo aveva così intimamente coinvolto da quella sera, che ormai gli faceva strano che qualcuno la chiamasse in quel modo, anche perché in ospedale era tempo che non veniva nominata.

 

-Ah ti posso assicurare che Cuddy mi lascerebbe fare la qualunque, io le ho dato qualcosa che tu  certamente non potresti darle…- Aveva appena alluso alla notte passata con lei, le aveva mancato di rispetto, si era appena accorto di ciò che aveva fatto, che uscì di fretta dal suo studio.

 

Si sentiva male con se stesso, non provava simili sensazioni da anni, erano sensi di colpa??? “Impossibile” pensava, lui era House non poteva, era semplice, ma allora perché era così nervoso? Perché diede un pugno contro lo stipite della porta urlando “stronza!”? La odiava perché lei era stata capace di fargli provare emozioni che lui si era ripromesso di non provare mai più nella vita. Si era imposto di non seguire le convenzioni sociali eppure le aveva chiesto scusa, era un misogino eppure la rispettava, ma cosa più importante lei lo aveva reso felicemente umano con un solo bacio e un leggero contatto, un sorriso e una carezza; e lui non aveva mai dato a nessuno tale potere su se stesso che adesso sentiva essersi tradito. Sì la amava. Sì la odiava.

SPERO VI SIA PIACIUTO...:)

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Un'ultima sera e poi..? Cosa sarà di noi? ***


Un’ultima sera e poi… Cosa sarà di noi?

 

Cuddy aspettava con ansia l’arrivo di House. Nel pomeriggio aveva ricevuto la telefonata dal consiglio.

 

-Cuddy?-

 

-Sì chi parla?-

 

-Sono Wilson. Oggi è giovedì e come sai il consiglio si è riunito. Sei stata riamessa-

 

-Bene… sono contenta. Grazie per avermi informata- in realtà non lo era, sapeva ciò che la preoccupava di più in quel momento ma finse di essere felice e con un falso sorriso aprì la porta.

Era lui, il suo problema.

 

-L’ho rubata a un tizio, a lui piace quella senza formaggio!- aveva una maxipizza in mano e l’altra, bé era impegnata a tenere il bastone che lo sorreggeva in piedi. Appena lo vide, si dimenticò di tutte le sue incertezze, adesso esistevano soltanto loro due. Prese la pizza e si diresse in cucina, dove lui la seguì, chiudendo la porta dietro di sé. Non fece in tempo a metterla sul tavolo, che Greg cominciò a baciarla, senza preavviso.

 

-Non abbiamo nemmeno cominciato a mangiare!-

 

-Non ho fame. Ti voglio. Adesso.-

 

Salirono in camera da letto e passarono la notte insieme. Sapevano di appartenersi, e non c’era cosa più importante al mondo se non l’altro. Dormire nuovamente insieme li rese consapevoli di essere persone fortunate, di aver trovato ciò che da sempre avevano desiderato: una persona da amare, capace di amarli. Non volevano nient’altro dalla vita se non restare per sempre in quel letto. Lei voleva con tutta se stessa godersi quella notte perché temeva che sarebbe stata forse l’ultima che li avrebbe visti di nuovo insieme. L’indomani sarebbero ritornati House e Cuddy e nulla sarebbe stato come prima, lei voleva crederci, voleva sperare di sbagliare, voleva dare a quel sogno una possibilità, non voleva perdere ciò che era riuscita ad ottenere. E infatti non ebbe il coraggio di rivelargli la verità. Per lui doveva restare reale il loro amore, la possibilità di un futuro, meritava di continuare a crederci, lui che poteva ancora quella notte.

Prima che entrambi si addormentassero lei gli disse: -Io… ho bisogno di te- in realtà stava per pronunciare quella fatidica frase che una volta detta non ti permette di tornare indietro, ma aveva paura di spaventarlo, sentendo però il bisogno di dirglielo prima che tutto finisse, lui doveva sapere quanto speciale l’avesse resa standole vicina. Si era preso cura di lei e lei gli doveva tutto. Greg la strinse più forte a sé, le baciò il collo, le accarezzò il viso, le scostò i capelli dalla fronte. Voleva darle sicurezza no, non andrò via da te, non scapperò, resterò qui era quello che voleva dirle ma lui è sempre House, lo sapevano entrambi. Così quei gesti arrivarono a lei come: -Buona notte mio raggio di sole…- Questo fu ciò che le sussurrò all’orecchio subito dopo essersi accertato che lei dormisse, anche se in realtà Lisa aveva sentito tutto, e non riuscì a nascondere un sorriso nato nel suo volto, che teneva ancora gli occhi chiusi, e House fece finta di non accorgersene. Era bellissimo così. Lei era diventato il suo respiro, ciò di cui aveva bisogno da sempre, era l’unica persona capace di provocargli due emozioni contrastanti con lo stesso sentimento. Lei lo amava e lui per questa ragione la odiava e la amava. 

 

Si era svegliata prima di lui, e aveva preparato la colazione per entrambi. House dormiva così bene, che non si era neppure accorto che lei aveva allontanato la mano che per tutta la notte li aveva tenuti uniti. Aveva staccato il proprio corpo dal suo con delicatezza, non voleva svegliarlo. Ma Greg in realtà percepì subito la sua assenza; non sentiva più il profumo che lo aveva avvolto tutta la notte, ma non si alzò; sapeva che lei voleva fargli una sorpresa e non aveva alcuna intenzione di rovinarsela da solo. A Lisa piaceva prendersi cura del suo uomo. Aveva imbandito la tavola con cibo di ogni genere, non aveva mai fatto colazione con lui e non sapeva cosa mangiasse di solito. Erano le sette e mezza del mattino e per House era strano alzarsi a quell’ora e non sapeva nemmeno perché lei lo avesse fatto.

 

-Wow! Ti fai di steroidi?!? Sono solo le sette!- House era sbalordito: caffè, frittelle, speck, latte caldo, di tutto.

 

-No scemo! Oggi… torno a lavoro…- Fece una pausa per osservare la sua reazione, ma lui non lasciò nello sguardo che le diede alcuna sfumatura per farle interpretare ciò che stesse pensando. Era rimasto come di pietra.

 

Non era una reazione tipica di House, e lei lo sapeva, quindi era meglio andare via, quel silenzio la inquietava e sembrava anticipare una tempesta che lei non era pronta ad affrontare.

 

-Quindi è praticamente già tardi per me, devo andare, ci vediamo in ospedale- ma House era ancora lì, fermo, immobile, che osservava lei nel vuoto del suo silenzio, andare via.

Si era spaventata a vederlo in quel modo che non si era nemmeno avvicinata a salutarlo, non si era accorta che dopo tutta la fatica fatta non aveva fatto nemmeno colazione con lui; le aveva fatto davvero paura. Greg non era tipo che reagiva passivamente eppure era stato così sorpreso dalla cosa che era rimasto come paralizzato davanti a quella confessione. Perché non glielo aveva detto la sera prima?

NON POTRò AGGIORNARE PER UN PO'... SPERO PERò DI AVERVI COINVOLTO IN QUESTA MIA PAZZA SFRENATA VOGLIA DI VEDERE LA SUPER E UNICA COPPIA HUDDY!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Un ritorno... un altro inizio ***


Un ritorno… un altro inizio

 

Cuddy fu accolta a braccia aperte da tutta lo staff medico, era certamente un’eccellente amministratore e un buon capo, quindi appena entrata fu ricevuta con un applauso e uno striscione con su scritto bentornata appeso alla ringhiera del secondo piano che dava all’ingresso.
Wilson era lì, accanto a Foreman, che le sorrideva in prima fila. Sicuramente era stata una sua idea. Lei rispose ridendo ai colleghi, nascondendo l’ansia dentro di sé che accresceva sempre più. House non era certamente arrivato in ospedale, per lui era ancora presto, ma ciò che più la inquietava era il quesito che si poneva da quando l’aveva lasciato solo in casa sua senza reazione: l’avrebbe mai più rivisto in ospedale? 

Lui si era stato certamente stregato da quella donna forte, l’unica che riusciva a tenergli testa, ma poi l’aveva vista così fragile, che aveva imparato ad amare di nuovo, come un bambino impara la sua prima parola e lui, Gregory House, un uomo così debole era riuscito a darle la forza necessaria a renderla felice e a rendere anche se stesso felice. Ma poteva amarla all’alba di quel nuovo giorno che aveva reso tutto così diverso e difficile per loro o per lui era troppo? Sarebbe stato capace di mostrarlo anche a quell’altra donna alla quale fino a quel momento l’aveva celato? Cuddy.

A lei adesso non restava che fingere di essere felice del proprio ritorno a lavoro, ma fingere mentre nel cuore restava turbata per il suo amore che poteva non più appartenerle era difficile, così si diresse velocemente nel suo studio.

Ora nella testa aveva soltanto un pensiero e sentiva soltanto una voce: L’ho perso! L’ho perso per sempre!

Andò verso la scrivania dove ripose la borsa e si accorse di un bigliettino ripiegato, poggiato su di essa.

È lui!!!

Si era illusa; si sentiva una vera idiota; in quel momento era come la ragazzina sognante, che era stata un tempo, ogni volta che vedeva un nuovo messaggio nel cellulare pensava fosse lui, il ragazzo tanto ambito dell’ultimo banco, invece era sempre la sua migliore amica, l’ennesimo falso allarme per il suo cuore.

Infatti era soltanto Cameron che le dava il suo personale “bentornata”; e quel giorno che lei sperava tanto, la gentilezza dell’ormai infermiera la irritava ancora di più.

 

House arrivò con solo un’ora di ritardo. Un altro record per lui, come l’ultimo per il Vicodin. E Cameron lo notò, notò anche quel House urlante, sferrare un pugno contro la porta dell’ufficio di Cuddy, prima del suo ritorno. Lei era una donna, e aveva capito. Non si avvicinò a lui, non gli chiese nulla, le bastavano i suoi gesti per comprendere; e poi House aveva già qualcuno con cui parlarne.

 

-Questo non lo mangi vero?- e tolse dalle mani dell’amico il piatto con un hamburger e delle patatine.

 

-Ma si certo serviti pure!- Wilson si finse irritato, in realtà era abituato a mangiare poco a pranzo con House nei dintorni o a causa di qualche emergenza.

-Sai, fare sesso mi fa venire fame!-

 

-Anch’io faccio sesso! Ma non ti mostri mai comprensivo per questo!-

-Ah quello con Amber non è sesso! È masochismo! Comunque strano… mi sembra di aver appena detto di aver fatto sesso e che tu non te ne sia nemmeno accorto! La vecchiaia… aspetta!- Sbarrò gli occhi come se avesse avuto un illuminazione- Mi stai anche facendo dubitare che tu l’abbia fatto! Va bé, in effetti con un piccolo aiuto tutto è possibile poi tu sei un medico…- House farfugliava per confonderlo. Parlava anche con la bocca piena e prima di ingoiare la riempiva di patatine ogni volta, quindi era anche difficile comprendere cosa stesse dicendo.

 

-Con chi? Shane? Quella nuova “accompagnatrice” di diciannove anni?

 

-Vorresti conoscere l’identità della fortunata…- fece cenno con la mano come un mafioso chiede di solito dei soldi.

 

-Prego?!? Vuoi essere pagato per dire al tuo migliore,se non unico, con chi sei stato a letto?!?-

 

-Ah… ok! Tanto non te lo avrei detto!- House ritorno all’amico il piatto vuoto e uscì dall’ufficio di Wilson lasciando l’oncologo, affamato, solo a riflettere. Era strano… non aveva mai tenuto nascosto le proprie conquiste. Ma lui nonostante lo conoscesse, non aveva ancora capito che House lo voleva informare in modo indiretto riguardo qualcosa che gli era successa, riguardo lui e Cuddy.

 

-Caspita!!! Stamattina non mi ero accorto di quanto fosse corta quella gonna!- l’aveva decisamente perdonata… era entrato nel suo ufficio, distruggendo l’imbarazzo che ci sarebbe potuto essere tra due amanti, e iniziò proprio con le molestie sessuali sul posto di lavoro alle quali lei era comunque abituata.

 

-Hai un nuovo caso- Cuddy sospirò come se finalmente avesse avuto la risposta tanto attesa: lui è ancora è mio…certamente non gli fece notare la gioia tornata e l’ansia sparita nei suoi occhi così gli si avvicinò, consegnandogli una cartella, indossava un nuovo tailleur rosa, e sotto la giacca sembrava non portasse nulla data la scollatura della maglietta.

-House concentrati su qualcos’altro. Siamo a lavoro- aveva, come al solito, esagerato nel sbirciare nella scollatura del proprio capo. Lei si voltò e si diresse versò la propria scrivania. Le aveva fatto più piacere del solito quell’attenzione alle sue curve.

 

-Certo, tu sì che sai come rendermi le cose più semplici!- il solito. Si era decisamente concentrato su qualcos’altro, visto le “spalle” dategli dal suo capo.

Diede uno sguardo alla cartella. -È osteoporosi-

 

-No, non credo proprio. La paziente ha solo dieci anni-

 

House uscì. 

 

Durante il resto della giornata non si videro affatto, lei era impegnata a rimettere in ordine il suo ufficio e lui a trovare una diagnosi alla sua piccola paziente. Alle cinque House era già pronto per andare via, quel giorno non aveva fatto nemmeno le sue due ore di ambulatorio. Cuddy non se n’era accorta, era troppo impegnata per inseguirlo nei corridoi di tutto il PPTH. Affacciò la testa dalla porta a vetri nell’ufficio della dottoressa.

 

-Ti piace la panna montata?- fece un sorriso malizioso.

 

-Sì perché?- non sollevò la testa nemmeno per un secondo dalle pratiche che stava completando.

 

-Ho comprato del gelato al cioccolato, potremmo metterla lì sopra e non solo...- la fissava di nuovo maliziosamente, ma lei lo aveva appena ascoltato e non gli rivolse lo sguardo.

 

-Sì ok- rispose. Lui la contemplò per un istante -le scimmie mangiano banane e fanno sesso per piacere, come gli uomini… secondo te c’è qualche attinenza?-

 

-Come? Scusa House… Ho molto da lavorare. Stasera non posso venire da te a mangiare banane con la panna o scimmie o qualsiasi altra cosa…- e ripose nuovamente gli occhi sulla cartella che aveva appena preso in mano.

 

Non si era nemmeno accorta di aver detto una frase senza senso, ma soprattutto non si rese conto di aver ignorato Greg che le chiedeva di passare del tempo con lui e non capì di averlo ferito pesantemente. Lo aveva chiamato “House” e infatti lo aveva trattato come un bastardo incapace di essere amato, esattamente il modo in cui si comportava con lui prima che entrambi riuscissero a capire che l’altro era la parte mancante nella loro vita, che avevano cercato da tanto, anzi troppo tempo e, che adesso ritrovatisi li aveva resi totalmente completi. E lui che cercava costantemente quel pezzo, tanto che da tempo ormai si era arreso, adesso aveva completato il proprio di puzzle.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Una distanza insormontabile??? ***


Una distanza insormontabile???

 

Già gli mancava. Quella sera passato solo lo aveva reso più infelice di prima, perché lei sembrava avergli dato un assaggio del proprio amore e poi che gli avesse strappato via, quel poco donatogli, con prepotenza.

Si sdraiò sul divano e prese due Vicodin, vuotò la bottiglia di spumante che aveva comprato ore prima, quella che avrebbe voluto bere insieme a lei e indeciso iniziò a fare su e giù per tutta la stanza. La gamba gli doleva davvero tanto quella sera, gli cadde il bastone dalle mani e andò a letto. Una notte insonne, durante la quale fu inghiottito dal dolore. Alle cinque aveva preso altri due Vicodin ed era corso in fretta in bagno. Aveva rigettato totalmente ciò che ore prima aveva bevuto e nient’altro perché lo spasimo gli aveva tolto completamente anche l’appetito. Riuscì a dormire solamente tre ore perché al settimo Vicodin di quella nottata erano già le dieci dell’indomani.

 

Lisa la mattina si svegliò con l’amaro in bocca; si era voltata di scatto e comprese perché quella notte aveva provato il gelo dentro e fuori di sé. Si tenevano abbracciati tutto il tempo e se uno di loro due si allontanava dall’altro c’erano ancora le loro mani a tenerli in contatto. Si accorse, inoltre, che era ancora vestita come la sera prima e che da quella mattina non aveva ancora messo in ordine il letto. Aveva avuto una gran fretta ad andare via per non lasciargli tempo di scaraventarsi con rabbia contro di lei. Guardò il lato del letto vuoto e il comodino accanto, si accorse di un tubetto di medicinale, vuoto: Vicodin. La sorprendeva sempre, era il suo modo molto speciale di farle ricordare che lui era stato lì, in quella stanza, e aveva marcato il proprio territorio, un po’ come gli animali insomma.

Si incontrarono nel parcheggio, erano entrambi in ritardo, lei lo vide per prima; lo temeva, non conosceva la reazione innescatasi in lui. Sapeva come poterlo far arrabbiare da medico e da suo dipendente ma non sapeva come farsi perdonare come sua donna. La guardò e per un istante le bastò quello sguardo per riacquistare la sicurezza in loro, poi come se avesse ricordato appena cosa fosse successo la sera prima lui si voltò con rabbia e dolore, sentimenti in House facili da riscontrare ma non semplici da comprendere, specie in quella situazione.

Lisa andò nel suo ufficio e fece chiamare Wilson.

 

-Questo caso è per House, faglielo accettare- disse sospirando, si sentiva a pezzi.

 

-Sì… ma stai bene? Posso aiutarti?- Wilson si accorse del suo malumore e avanzò verso di lei, seduta alla scrivania.

 

-Certo… è tutto ok!- si sforzò di accennare un sorriso e abbassò lo sguardo per non dover incrociare i suoi occhi dato che i suoi mentivano in quel momento.

 

L’oncologo abbandonò lo studio e intanto che si dirigeva verso l’ascensore per salire al piano di diagnostica diede un occhiata alla cartella. Si fermò di scatto davanti ad esso e tornò a passo lungo e deciso nell’ufficio del primario.

 

-È un caso complicatissimo! Perché mai House avrebbe dovuto rifiutarlo? Intriga anche me!-

 

-Non mi va di discutere con lui…- sospirò nuovamente.

 

-Ma che vuol dire?!? Siete tutti così strani in questo periodo! Che succede???- Wilson era confuso. Ma cominciava a capire.

 

-Niente… niente… niente…- non sollevò lo sguardo dal suo lavoro nemmeno per un istante.

 

-Dillo un’altra volta e magari ti credo!- Wilson era interessato sempre più alla risposta.

 

-Io e Greg stiamo insieme! Contento adesso?- disse Cuddy esasperata. Non che lui avesse insistito troppo ma colse l’occasione per confidarlo a qualcuno.

 

-Aaah…- fece la faccia sconvolta, perché cominciava a capire sempre meno e corse via. Era più confuso di prima.

 

Così andò nell’ufficio di House; stava giocando con la solita pallina rossa contro il muro, pur di non lavorare in clinica… si sedette sulla sedia di fronte la scrivania del diagnosta. Si passò nervosamente le mani davanti al viso.

 

-Hai scoperto che una delle tue ex mogli è lesbica? Sai, ho sempre sospettato che Jane avesse problemi riguardo le sue tendenze sessuali. È andata a letto con te! Già questo è un grave sintomo! Poi quando veniva in ospedale guardava Cameron in certi modi sconci… sembrava volesse strapparle i vestiti di dosso… mi metteva in imbarazzo! O quasi… sai ho sempre creduto che fossi tu la causa della sua confusione ses…-

 

-No è Cuddy- lo guardò attentamente per vedere una reazione nell’amico.

House si sedette di fronte a lui e lo guardò aspettando che dicesse qualcosa.

 

-Cuddy? La nostra Cuddy??? La nostra Lisa Cuddy è gay?!? Molto meglio di quanto immaginassi… sicuro o è qualcos’altro? Ti ha dato ore di clinica in più eh? Quella donna ha una mente perversa! Ah come ti compatisco..! Mi trovo anch’io tra le sue grinfie!- non era esattamente la risposta che si aspettava Wilson così continuò.

 

-Mi ha baciato- s’ipnotizzò come intontito davanti alla faccia di House, finse di stare ricordare in quell’istante ciò accaduto. Tanto per rendere il tutto più credibile.

 

House si alzò di scatto dalla sedia facendola cadere all’indietro e con gli occhi sbarrati:

-che cosa???-

 

-Oh mio Dio! -scandì bene parola per parola -allora è vero! Tu e lei! Ma come…? Perché…?  Quando…? Non me lo hai detto!-

 

-Ero impegnato a portare avanti questa baracca io!- si finse offeso come se la cosa fosse ovvia.

 

-Ma sei scemo?- Wilson si confuse ancora di più.

 

-Quella donna mi sta facendo diventare matto!- Si sedette nuovamente, si

sentiva più leggero come se si fosse tolto un peso dallo stomaco dicendolo.

 

-Dio quanto la odio!-

 

-Dio quanto la ami!-

 

-Ehy per chi mi hai preso?!? Sono un uomo IO! Non sono capace di fare due cose contemporaneamente!-

 

Wilson restò a bocca aperta, si sentiva come in una gabbia di matti. Poggiò sulla scrivania dell’amico la cartella del paziente che gli aveva dato Cuddy, si alzò e andò via. Per quel giorno le stranezze erano state sufficienti.

E quei due erano realmente troppo insoliti quel giorno, più del normale, che rischiava di uscire di testa pure lui!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Scusa ***


Scusa

 

-Mi dispiace per ieri- aveva esordito Lisa entrando nell’ufficio del diagnosta. Lui era solo nella sala dove lavorava di solito con il suo staff e, seduto sul tavolo con la gamba indolenzita su di una sedia fissava la lavagna concentrato, alla ricerca della risposta del suo enigma.

 

-Ah ma non m’interessa… tu sei una donna molto impegnata. Non hai tempo… certo- House comprensivo corrispondeva a House offeso.

 

-No davvero mi dispiace… ho sbagliato. Ero così presa dal lavoro che non ti ho dato ascolto-

 

-No davvero non me ne frega niente!- la guardava con occhi indifferenti, come se fossero tornati House e Cuddy che si fermavano a stuzzicarsi quando potevano e niente di più, due semplici colleghi che si chiedevano scusa. Lisa era rimasta come paralizzata di fronte alla sua reazione che chiuse gli occhi sperando che quello fosse soltanto un incubo, ma quando li riaprì lui era di nuovo voltato a guardare la lavagna; le sembrò di sconoscere totalmente quell’uomo, o di ricordare cosa volesse dire essere ignorata da House. Aveva il timore che in realtà fosse stato un sogno a regalarle tutti quei ricordi di quella bellissima storia d’amore che adesso le passavano davanti la mente, così, come se stessero scivolando via dal suo corpo per abbandonarla per sempre, proprio come lui ora. Uscì di corsa da quella stanza che la soffocava, che le toglieva l’aria ad ogni respiro, quello che lei un tempo completava con lui. Ma presto un segno che quello non era stato semplicemente una meravigliosa illusione si stava facendo avanti.

 

-Ho finito il gelato però!- House urlò affacciandosi al corridoio. Cuddy si voltò lentamente chiedendo a se stessa se non stesse ancora sognando, aveva gli occhi lucidi ma la voce di lui arrivò in tempo per stamparle un sorriso sul viso.

 

-Mi accontenterò della panna!- urlò di rimpetto lei davanti l’ascensore le cui porte le si aprirono alle spalle, fece un passo indietro senza smettere di guardargli le labbra, quelle labbra che le mancavano, che avrebbe voluto assaggiare, ed entrata premette il tasto uno e scese al primo piano.

Si lasciarono con quell’enigma a metà.

 

Si rifece il trucco e si diresse a casa del “suo uomo” le piaceva pensare a lui in questo modo.

House lavorava circa quattro ore meno di lei e adesso che erano le otto di sera lei aveva appena staccato. Era quel periodo del mese nel quale lei in teoria avrebbe dovuto interrompere la sua dieta priva di zuccheri per concedersi uno yogurt con guarnizioni complete, ma quello era il terzo giorno che registrava un ritardo, eppure non si spiegava come, non era preoccupata, anche se erano regolari e precise esattamente come lei.

 

Arrivata bussò.

 

-È aperta-

 

 Era seduto sul divano a guardare la finale di baseball, sulla pancia teneva un vassoio pieno di popcorn caldi e le gambe sul tavolino, uno scenario davvero romantico pensò Lisa tra sé.

 

-Forza Yenkeys!- Cuddy si immise nell’atmosfera, anche a lei piaceva il baseball. Ripose per terra la borsa nella quale aveva portato del lavoro da completare e mise su una sedia il giubbotto tutto bagnato. Pioveva a dirotto quella sera.

 

-Devi pagare per guardare un canale satellitare- Greg poggiò il piede sano sul divano per non farla sedere.

 

-Pensavo che venire a letto con chi ne possiede uno fosse sufficiente…- House tolse la gamba pensando che quella fosse un’argomentazione valida e Lisa lo baciò sulle labbra sedendosi accanto a lui.

 

-Aspetta!- sgranò gli occhi -con chi vai a letto?!?-

 

-Con te stupido!-

 

-Ah già… avrei dovuto ricordarlo…- si finse rattristito.

 

-Ti rinfresco la memoria- gli saltò addosso e cominciarono a baciarsi animatamente.

 

Dopo si sedette nuovamente sul divano e come se niente fosse continuò a guardare la partita.

 

-Tutto qui?!? Non è che ricordi tanto bene…- House rimase a bocca asciutta.

 

-C’è a partita- disse togliendogli dalle mani i popcorn, e ridendo della sua espressione insoddisfatta.

 

Verso le undici andarono a letto, si coccolarono un po’ e si addormentarono abbracciati.

Lisa si alzò alle tre, cercò di non fare alcun rumore per non svegliare Greg ma subito lui si accorse del letto vuoto e andò in cucina. Il tavolo era pieno di documenti e cartelle e Cuddy indossava quegli occhiali da vista che la facevano sembrare tanto professorina sexy. Era talmente concentrata che non si accorse che House la fissava da circa un minuto.

 

-Ma che stai facendo? Sono le tre di notte- sbadigliò.

 

-Oh sei sveglio… scusa… ho del lavoro arretrato. Torna a letto. Vengo tra un po’-

 

Ubbidì. Ma gli era difficile dormire sapendo che lei stava lavorando nella stanza accanto, e non gli andava di stare solo a letto.

 

-Non riesco a dormire mammina. Dai vieni a letto-

 

-Domani c’è una riunione straordinaria del consiglio e queste carte devono essere pronte!-

 

-Ma goditi la vita donna!-

 

-House sul serio, mi stai facendo perdere tempo! Vattene devo finire!- l’aveva chiamato di nuovo come un semplice collega e l’aveva trattato di nuovo come meriterebbe un bastardo.

 

-È casa mia questa! Sto dove mi pare!-

 

-Bene allora visto che è casa tua scusa tanto!!! Me ne vado immediatamente!- si alzò raccolse le proprie cose e sbatté la porta dietro di sé. Sentiva di aver provato a combattere le prepotenze di un bambino troppo cresciuto per continuare ad essere così capriccioso.

Pioveva ancora e salendo in auto vide dalla finestra il profilo di House nel buio suonare malinconicamente il pianoforte. Lui la rendeva così nervosa! Non capiva niente. Il solito bambino. Lisa era così presa dalla rabbia che arrivata a casa si dimenticò di finire il lavoro e andò subito a letto.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Per colpa tua di nuovo ***


Per colpa tua di nuovo!

 

-Scusate ero convinta di aver finito il bilancio di questo mese…- Cuddy provava a giustificare la sua impreparazione. Si sentiva di nuovo un’adolescente; solamente House poteva farla sentire così piccola.

 

-Cuddy che succede? Non ti è mai successa una cosa simile…- Wilson prima di uscire dalla sala riunioni aveva fermato il capo all’interno.

 

-Ieri sera mi sono addormentata… e non ho fatto in tempo a finire- raccolse gli ultimi documenti rimasti sul tavolo.

 

-No non è vero. Non ti addormenteresti mai con del lavoro da completare.

 

È colpa di House vero?-

Lisa abbassò la testa.

 

-Il solito! Ah ma ora mi sente!- l’oncologo fece come per andarsene.

 

-No Wilson non è necessario, è una cosa che riguarda soltanto noi due...- mentì. Riguardava soltanto House e il suo egoismo, ma preferiva non farlo innervosire ulteriormente con le prediche dell’amico. In quell’istante pensò a quanto fosse stata idiota a permettere a House di cambiare la sua vita in quel modo, ma soprattutto a quanto fosse stata sognante quando sperava che sarebbe lui cambiato quel poco per rendere possibile la loro relazione.

 

-Buongiorno caramellina profumata!- House entrò nella stanza 1 dove Cuddy stava visitando una paziente. Ma lei era ancora nervosa per la brutta figura fatta in consiglio che lui così sereno le dava fastidio.

 

-Sto lavorando, che vuoi?- nel frattempo controllò la gola arrossata della ragazza che guardava House con aria maliziosa.

 

-Due raggi di sole nella stessa stanza… oggi dev’essere la mia giornata fortunata!- in realtà non aveva notato affatto la ragazza ma si era accorto che Lisa era infastidita dal modo di guardare della paziente che ne approfittò per stuzzicarla, senza ricordare minimamente cosa avesse combinato la sera prima.

 

-Sei davvero infantile!- uscì in fretta dalla stanza e si diresse nel suo studio.

 

-Cuddy gelosa… scopro qualcosa di te ogni giorno! Peccato che quella potrebbe essere mia figlia!-

 

-Non è soltanto per questo House! Ti comporti come un bambino in cerca d’attenzione e guai a chi te la nega!- chiamandolo in quel modo per la terza volta senza neanche accorgersene, innescò l’ira del diagnosta.

 

-Davvero patetico! Da quando sei tornata a lavoro ti metti a fare tutta la saputella: questo non si fa, questo è sbagliato, non ho tempo per quello, sei un bambino…- le fece il verso -ti preferivo disoccupata! Anche il sesso era migliore! Scarica la depressione della tua infelicità su qualcun altro!-

Lisa si voltò e Greg uscì. Era rimasta talmente ferite dalle sue parole che non ebbe forza di replica e scoppiò in un pianto silenzioso.

cmq dato che sn una strafissata della coppia Huddy se qualcuno ne va matto come me e ne parla all'infinito che si faccia sentire! mi può aggiungere! il mio contatto è lo stesso con il quale posto la storia!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Il test positivo al momento negativo... la scelta di una donna ***


Il test positivo al momento negativo… la scelta di una donna

 

Non si parlarono per due settimane, entrambi troppo occupati per lasciarsi sfuggire un pensiero sull’altro e si distraevano come potevano. Lei impegnata a dirigere il suo ospedale e lui a salvare la vita ai suoi paziente. House e Cuddy di nuovo; adesso più distanti di prima.

In realtà dentro se stessi soffrivano tanto, non lo davano a vedere, soprattutto per non fare accorgere l’altro della loro debolezza; così orgogliosi non lo erano stati mai. Fingevano che senza l’altro la vita andasse comunque avanti, come se capitolare un evento come la fine della loro relazione fosse una cosa come un’altra. Non nascondevano il dolore soltanto agli altri ma anche a sé stessi, ignorando la solitudine e la tristezza ritornata sui loro volti. Mai permisero ai loro sguardi di incrociarsi, mai permisero alle loro orecchie di ascoltare il proprio cuore, mai permisero alla loro pelle di sfiorare l’altra. Totale finta indifferenza.

Eppure le mancava tutto di Greg, la voce che le sussurrava parole difficile di per sé da pronunciare ma di più per uno come lui; le mancava il modo unico in cui sorride una persona per cui è semplicemente complicato essere felice e probabilmente era questo ciò che rendeva l’essere amata, di già grandioso, unico perché trasmesso da lui.

A lui mancavano i suoi occhi su suoi occhi che lo guardavano come se non fosse un mostro, una persona da evitare; a lui mancava quel modo speciale di essere amato, quel modo speciale in cui lei lo sfiorava delicatamente attenta a non ferirlo nel corpo e nell’anima.

Chi dei due avrebbe ceduto per prima non si poteva sapere, ma nel cuore di entrambi una speranza del ritorno del loro amore era ancora presente, e sapevano che non era finita.

 

Durante la loro “pausa” Wilson si era occupato di tutto: aveva portato i casi nuovi a House, e si era assicurato che quest’ultimo facesse le ore di clinica. E gli era stato anche vicino essendo poi più gentile del solito con Lisa, perché sapeva che bastava una minima cosa per farla crollare definitivamente. Era davvero fragile con House, era davvero spaventata da lui così imprevedibile e incomprensibile, non era mai stata così in tensione per una storia tanto coinvolgente, non aveva mai permesso a se stessa di piangere tanto per un qualcosa di così breve ma appassionante.

Quando arrivò la terza settimana del loro grande silenzio, era un altro giovedì e il consiglio si era congiunto, Lisa che in quelle settimana aveva meditato a lungo, e adesso aveva preso in mano la parola, con sicurezza aveva dichiarato le proprie dimissioni. La reazioni di tutti fu chiara fin dall’inizio, erano sorpresi quanto lei la prima volta che le aveva sfiorato l’idea. Rimasero basiti, senza parole, speravano che da un momento all’altro lei dicesse che si trattava di uno scherzo. Ma aveva un’aria così sicura di qualcuno che non aveva la minima intenzione di tornare indietro e, soprattutto di qualcuno che c’aveva riflettuto davvero tanto prima di prendere una simile decisione che ognuno di loro tra sé si chiedeva: era ancora la Cuddy che conoscevano? Quella Cuddy che avrebbe dato la propria vita per quell’ospedale, che metteva sopra ogni cosa il lavoro, che aveva impegnato dieci anni per ricoprire quel ruolo tanto ambito e che adesso stava buttando tutto al vento… no. Ci doveva essere una ragione. Ma era complicato comprendere la scelta di una donna, quindi dopo lunghe insistenze alla fine si arresero all’idea e accettarono le carte del licenziamento.

Cuddy impacchettò la propria roba una settimana successiva, quando ormai il suo sostituto definitivo era stato designato nuovamente Wilson. E uscendo guardò per l’ultima volta l’ospedale; le sarebbe mancato, ma sapeva che adesso c’era qualcos’altro che richiedeva la sua attenzione, ciò che lei riteneva più importante di qualsiasi altra cosa al mondo. Dai suoi occhi scese una lacrima… sì ne avrebbe certamente percepito la mancanza, ma stava facendo la cosa giusta, ne era certa. Non pianse ancora, nel cuore aveva una gioia insormontabile e qualsiasi cosa le fosse successa lei sarebbe rimasta felice comunque, ciò avvenuto lo attendeva da tanto tempo, che aveva addirittura  perso ogni speranza e adesso che una fievole luce si era accesa ad illuminare il suo sogno lei non aveva la minima intenzione di rinunciarvi.

Ma la malinconia di stare tra quelle mura l’assaliva, avrebbe sentito certamente il bisogno di inseguirlo tra quei lunghi e conosciuti corridoi, quella voglia matta di vedergli fare il broncio alla notizia di dover fare ore di clinica. Tutti i ricordi riaffiorarono alla mente di quella donna che si era formata proprio lì, in quell’ospedale dove morte e vita spesso s’incontravano. Il suo studio dal quale decideva e comandava era stato il suo covo, il suo rifugio per anni, il luogo dove tristezza e sconsolazione venivano dissolti con l’impegno di salvare vite umane. Ed era stato proprio lì che lo aveva rivisto dopo anni, dopo tutto quel tempo da quell’ultimo sussultato bacio che aveva visto dividere, di nuovo, per lavoro, il loro amore.

 

-È una grande opportunità per me, diventerò decano di medicina. Giura che non mi dimenticherai- 

 

-È una promessa- un ultimo bacio, un tenero abbraccio di due cuori appena spezzati a metà, appena divisi.

 

Ultima chiamata per il volo 277 diretto a New Jersey.

 

-Devo andare-

 

E tra la folla si distingue silenziosa una voce maschile che in un “ti amo” con lo sguardo abbassato e le spalle rivolte contro, da’ l’addio al suo amore che va via, lontano da lui. Perché per quella ancora piccola donna la carriera viene prima di tutto.

 

Si pentì tante volte. Pensò tante volte a come sarebbe stata la vita se avesse scelto Greg piuttosto che il PPTH e non lo avrebbe mai saputo, ne era certa, forse aveva commesso l’errore più grande della sua vita. Perché quel lavoro l’aveva resa infelice, sola, incompleta, tutti sentimenti che con House non avrebbe certamente provato, lui era capace di farti sentire bene come nessuno. Ed è per questo che adesso aveva avuto un’altra opportunità dalla vita e non voleva andasse sprecata, voleva prendere la giusta decisione, e questa volta la scelta era lui.

 

Wilson dopo la riunione non le aveva parlato, ormai gli era tutto chiaro e conoscere la verità dalle sue labbra non era suo diritto. Durante le settimane della loro litigata, aveva avuto funzione di intermediario tra i due. Questo accadde fino ad una settimana prima della presentazione delle dimissioni di Lisa.

 

-Ho bisogno di una pausa- era nel suo ufficio e queste furono le uniche parole rivoltale dopo quell’infinita indifferenza.

 

-Puoi prenderti una settimana di ferie- in realtà lui non si riferiva al lavoro, ma accettò il suggerimento scomparendo per due settimane e lei ovviamente non lo cercò. Lo lasciò fare.

 

Così Greg si chiuse in se stesso. Uscì pochissime volte da casa e staccò totalmente il telefono per non sentire nemmeno la segreteria telefonica. Nessun contatto umano, nemmeno con se stesso. Non rifletté su ciò che provava, ignorò totalmente i sintomi che gli diagnosticavano quel male d’amore che non aveva nessuna cura se non lasciarsi andare e aspettare che esso prendesse il sopravvento su di lui, lasciandogli fare quelle pazzie da innamorati a cui lui aveva sbattuto la porta, nascondendo la chiave molto tempo prima. Ma questo era tipico di House: fingere di non provare alcuna emozione per un altro essere umano, specie se questi con la assenza ti lasciava dentro un vuoto incolmabile. Escluse anche Wilson da ciò che restava della sua vita, perché si sentiva perso senza di lei, erano anni che lavorava in quell’ospedale e mai gli era successo di non parlarle per tutto quel tempo, nemmeno quando lui l’aveva analizzata e definita una donna disperata. Era alle sue dipendenze in ogni modo. Anche solo prenderla in giro per il suo abbigliamento troppo sexy d’amministratrice o sfotterla per i suoi irrazionali, come a lui piaceva definirli, sensi di colpa che facevano parte della dimostrazione d’affetto di House di cui entrambi ne sentivano adesso la mancanza. Ma provò in ogni modo a non pensarla, certo era difficile, ma Gregory House è un uomo pieno di risorse e suonare al piano o la sua nuova chitarra elettrica erano sempre stati delle buone cure per dimenticare la sua “malattia”.

 

Non seppe del suo autolicenziamento se non la sera stessa che lei raccolse la propria roba rimasta e quando Wilson andò direttamente a casa sua, dato che non trovava altri modi per mettersi in contatto con lui. E durante quelle due settimane, proprio l’oncologo decise di non cercarlo, voleva lasciarlo solo a riflettere anche se dato il pensiero, probabilmente aveva dimenticato che si trattava di House, l’uomo che ignora i sentimenti, e che quindi non gli furono affatto utili quei giorni di solitudine, anche se per lei furono decisivi, e grazie ai quali comprese molto della loro “relazione”.

Bussò diverse volte alla porta dell’amico, senza ottenere alcuna risposta dall’interno. Allora comprese la ragione per cui House aveva insistito tanto a fargli avere la copia di casa sua, sia perché in quelle sere di impasticcamento totale con alcool era utile poter aprirsi la porta da solo, dato che lui non era nelle condizioni ottimali di alzare la faccia di vomito da terra e andare ad aprire, sia perché in casi come quelli House doveva davvero ascoltare ciò che d’importante aveva da dirgli l’amico, che non aveva usato la chiave fino ad allora per rispettare gli spazi tanto personali del diagnosta.

 

-Sono dieci minuti che aspetto fuori!- House era sdraiato sul divano, alla presenza dell’amico prese un altro Vicodin, come per farlo arrabbiare ulteriormente e continuò a mangiare la sua pizza fissando la tv che trasmetteva in quel momento Monster truck, il suo programma preferito.

 

-Ho scommesso cinquanta dollari sulla rossa con il tizio del bar- non lo guardò nemmeno.

 

-Cuddy ha dato le dimissioni- House rifletté un istante con lo sguardo immerso nel vuoto e all’improvviso, facendo sobbalzare l’amico, sbatté i piedi per terra, afferrò il bastone appoggiato all’appendiabiti accanto la porta d’ingresso e senza dire nulla, nei limiti di uno zoppo, corse fuori dell’appartamento, accese la moto e partì a razzo. Wilson rimase ammutolito dal fare dell’amico, aveva immaginato tutte le reazioni eventuali davanti a quell’affermazione ma questa era l’ultima che considerava minimamente possibile. Rimase immobile per qualche momento e capì che House probabilmente dopo aver insultato diverse volte Cuddy e preso in giro la sua scelta avrebbe capito la ragione che Wilson tempo prima aveva intuito.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Io e te: finalmente compresi ***


Io e te: finalmente compresi

 

-Tu che dai le dimissioni??? Cos’è ora il mondo va a rovescio?!? È il Sole che gira intorno alla Terra?!? Adesso diventeranno eccitanti le ciccione pelose con gli occhiali?!? Wilson smetterà di cercare un’altra donna disperata per salvarla e poi portarla all’esasperazione??? No dico sei diventata idiota? Che ti è saltato in mente??? Anche tu mischi droga e alcool? Poi dicono che quella responsabile sei tu! È da pazzi! E c’è un limite anche alla pazzia stessa! Dieci anni per diventare amministratrice! Dieci anni hai impiegato per potermi rompere le palle e non lasciarmi fare il mio lavoro e adesso butti tutto all’aria in questo modo?!? Per caso questo lavoro non ti gratifica abbastanza? Cos’è vuoi un applauso ogni volta che firmi un altro inutile foglio di carta? No perché se vuoi ti iscrivo a uno di quegli stupidi concorsi “miss amministratrice, trattino, sgobbratice dell’anno” ! No ripeto ma sei scema???- si fermò perplesso- Sei diversa… perché sorridi?- cominciava a confondersi. Lisa lo guardava divertita, non le aveva nemmeno dato il tempo di parlare, appena arrivato aveva insistentemente bussato alla porta sbattendone contro il bastone come se fosse sul punto di sfondarla, ma lei sapeva che si trattava di House e non si era spaventata, anzi aveva acquisito una strana sicurezza in se stessa che di solito non riusciva mai ad avere con lui da quando la loro storia aveva avuto inizio, lui un tipo così imprevedibile e difficile da controllare, lei così narcisamente ordinata. Ma era questo che rendeva tutto così unico. L’insicurezza in quello strano rapporto instabile rendeva tutto ciò indimenticabile perché vissuto come se dovesse essere l’ultimo istante insieme. Ed era tutto complicato da quando stavano insieme, ogni giorno scoprivano qualcosa di nuovo sull’altro, come se dieci anni lavorando nello stesso ospedale non fossero stati sufficienti. La verità è che si conoscevano come due medici, come due semplici colleghi, come il capo e il dipendente annoiato ma mai in modo così profondo e intimo erano entrati in contatto.

Adesso lei era così serena e raggiante. Lo aveva sorpreso; per un uomo che ha bisogno di conoscere, il tutto lo iniziava a incuriosire. E sembrava, inoltre, che le sue parole non l’avessero turbata affatto, lui si aspettava una Cuddy in lacrime, con chi chissà quale dolore e conflitto interno, lo stesso che l’aveva portata a compiere quel gesto, e che si trascinava a stento ad aprire la porta d’ingresso, per poi cominciare a piangere poggiandosi sulle sue spalle; oppure una Cuddy urlante che si sfrecciava contro di lui a parolacce, e finire poi col colpirlo.

Riprese fiato, dato che aveva parlato senza sosta, forse senza neanche rendersi seriamente conto di ciò che avesse appena detto e la guardò con aria interrogativa.

 

-Aspetto un bambino…- e House capì tutto, finalmente la comprese veramente.

 

 

-Da quanti mesi?- si fermò per non fare accorgere lei del suo turbamento, la sua voce iniziò a tremare e questo non riusciva a controllarlo. Ed era anche l’unica domanda che gli veniva in mente, non aveva voglia di scappare come pensava avrebbe fatto a una qualsiasi simile affermazione, aveva voglia invece di cominciare a pensare a come chiamare il piccolo medico frustrato o la piccola amministratrice prepotente, e di come crescere quella creatura che adesso stava andando formandosi nella pancia della donna che aveva amato sopra ogni cosa, anche sopra quel suo stupido orgoglio maschile che lo teneva distante da un qualsiasi rapporto umano che potesse minimamente ferirlo. Non negò a se stesso la paura che provò in quell’istante. Greg House genitore poteva essere il migliore dei papà e la persona più felice al mondo, oppure un uomo arrabbiato che odiava quell’essere che richiedeva tutte quelle responsabilità dalle quali lui era sempre scappato, e che lo tenevano legato ulteriormente a Lisa. Aveva paura di se stesso, del suo dolore che avrebbe potuto rovinare tutto, e lei, come lui, sapeva a cosa stesse andando incontro, sapeva di potersi sentire completamente sicura al suo fianco oppure avere paura dei suoi scatti d’ira provocati dal residuo ormai della sua infelicità interiore. Ma anche se lui avesse rifiutato di tenere e di prendersi cura di esso, Cuddy sapeva che lo avrebbe avuto comunque, ma desiderava con tutta se stessa che House adesso non dicesse più nulla ma che le desse segno di essere felice per quella notizia e smettere di fare domande per rimanere così distaccato razionalmente dalla situazione e quindi lasciarsi andare e farsi coinvolgere dalla gioia di un qualsiasi genitore.

 

-È un piccolo Greg- Con quelle parole a House si sciolse il cuore. I suoi occhi divennero lucidi, ma a nessuna lacrima fu concesso di scendere, per quel giorno i progressi da cinico bastardo egoista a genitore innamorato e felice erano stati tanti, sarebbe stato chiedere troppo a se stesso se anche una sola goccia avesse bagnato il suo viso. Quell’emozione ovviamente non fu mascherabile a Lisa che gli sorrise così lui abbassò lo sguardo.

 

-Sarà un bravissimo diagnosta autoritario- continuò lei. Gli prese la mano e l’appoggio sulla pancia, si accorse che era lievemente ingrossata, e sollevò lo sguardo fissandola dritta negli occhi. Adesso si era reso maggiormente conto di ciò che stava accadendo.

Lei si avvicinò con cautela, ancora non aveva capito come avesse preso la cosa e non vedendo alcuna reazione in lui pose le proprie labbra vicine alle sue. Lui la strinse forte a sé, sembrava quasi aver rifiutato quel bacio che le restituì istanti dopo. Quell’abbraccio consolidò ogni cosa. E quel bacio ricompose le parti dei loro fragili cuori di vetro che si erano frantumati in mille pezzettini un mese prima.

 

-Farò il bravo mammina se mi prometti che ti prenderai cura anche di me!- sì, si era decisamente ripreso.

 

-Non ti cambierò il pannolino però!- disse lei ridendo, sentì come di essersi tolta un peso enorme, finalmente lui conosceva la verità e, a differenza di come entrambi temevano, lui aveva accettato il tutto.

 

-Devi dormire nel lettone con me! E mettermi il pigiama..!- le fece un sorriso e uno sguardo malizioso. Si tenevano ancora abbracciati ma adesso si guardavano negli occhi, lei gli prese la mano.

 

-Ti amo Greg...- lo guardò dritto negli occhi, ma non si aspettava nulla, lui non poteva rispondere, era semplice, ma lei glielo perdonava. A quell’affermazione lui le avrebbe voluto dire ciò che tempo prima gli era stato difficile da pronunciare, ma in fondo era sempre House e con tutte le evoluzioni possibili per lui era sempre complicato abbassare ogni barriera e rendere visibile i propri sentimenti. La amava già da molto tempo, e aveva finto che ciò non fosse vero, ma dopo la prima notte passata insieme non faceva che amarla e rinnegare se stesso sempre più, se stesso che avrebbe provato a rovinare tutto, quella parte di sé che per qualche ragione sentiva il bisogno di essere infelice e solo, l’aspetto più spaventato e più odiato da House stesso.

 

-Io…- abbassò lo guardo dall’imbarazzo, scusa se non ci riesco, ma tu sai già che sei l’unica ragione di questa mia inutile esistenza. Sospirò come atterrito dal fatto che non riuscisse ad aprir bocca.

 

-Sì lo so…- Lisa rispose al suo silenzio. Lo aveva finalmente capito, e lo aveva colto in ogni senso.

 

-In effetti hai le tette più grosse!-

 

-Greg!- finalmente l’aveva rimproverato nel modo giusto.

 

Entrarono in casa e chiusero la porta dietro di loro. Un capitolo nuovo della loro vita stava iniziando proprio adesso.

 

 

 

 

FINE

GRAZIE MILLE PER LE RECENSIONI!MI HA FATTO MOLTO PIACERE CHE LA STORIA VI SIA PIACIUTA!:) DITEMI ALLORA COSA NE PENSATE DEL FINALE! ASPETTO CON ANSIA!;) AH ASPETTO ANCHE DI ESSERE AGGIUNTA!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=296862