Our little infinite

di Locked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Non possiedo Glee – altrimenti cose come quelle di ieri notte non sarebbero mai accadute – e non possiedo The Fault in Our Stars/Colpa delle Stelle. Sono solo una pseudo-autrice a cui piace soffrire. :’)
(Tutte le note sono alla fine.)
Enjoy! *-*


 
Capitolo 1



Ci sono storie d’amore che iniziano al contrario.
Storie d’amore che non hanno senso, ma forse la verità è che ne hanno troppo.
Storie d’amore che valgono la pena di essere raccontate anche se fa male, anche se frantumano il cuore e lo calpestano fin quando non c’è più niente.
Questa è la storia di Kurt e Blaine – la storia di un amore avversato dalle stelle, che forse è solo una favola con un lieto fine diverso.
 
*
 
Ci sono tre cose che ti insegnano, quando hai il cancro.
La prima è che hai il cancro, quindi tecnicamente sei uguale al novantotto virgola otto percento delle persone sulla Terra, ma praticamente non lo sei – niente scuola, niente amici, niente passeggiate e corse e autonomia, niente.
La seconda è che il tempo vale. Il tempo vale tanto, e tutto si ribalta quando il tempo vale tanto, perché cresci prima e capisci prima. Salti a piedi pari tutto quel ridicolo e folle periodo che è l’adolescenza e ti butti a capofitto in una vita che forse non vale nemmeno la pena di essere vissuta.
La terza è il dolore e tutto quello che lo riguarda – non il semplice male fisico. Anche quello, certo; ma – il dolore. Quella sensazione spiacevole radicata nello stomaco che non ti fa stare bene mai, perché – sei una bomba ad orologeria. E quando esploderai non ci sarà nessuno a rimettere insieme i pezzi di te – perché non si può, perché non ci sarà nessun superstite.
E sì, fa piuttosto schifo, ti insegnano anche questo.
Ciò che non ti insegnano è che convivere col cancro non significa semplicemente inghiottire farmaci e correre in ospedale quando senti troppo – troppo troppo troppo – dolore; significa trovare un senso ad una vita che sembra troppo piatta anche solo per poter essere definita tale, significa trovare la forza di alzarsi ogni mattina e dirsi oggi potrebbe succedere qualcosa di bello, significa che quando tua madre ti dice che sembri depresso e che hai bisogno di frequentare un gruppo di supporto, tu vieni scarrozzato al suddetto gruppo di supporto ogni singolo mercoledì del mese. Ogni mese.
C’è una singola cosa che Blaine odia più del gruppo di supporto, ed è litigare con i suoi genitori per il gruppo di supporto.
“E’ sul serio strettamente necessario che ci vada ancora, mamma? Voglio dire – penso che in questa vita di sfighe io ne abbia avute anche troppe. Non ho particolarmente voglia di aggiungere anche il frequentare un gruppo di supporto alla lista.” Pam gli lancia un’occhiata a metà tra il divertito e il compassionevole – Blaine odia quel tipo di sguardi – e continua ad affettare le verdure e a gettarle nella pentola enorme posizionata sui fornelli.
“Sì, Blainey. Lo stiamo facendo per te, lo sai.” Blaine sbuffa e fa finta di accasciarsi sul bancone della cucina su cui è seduto – incespica appena col piccolo tubicino che dal naso gli si dirama fin dietro le orecchie e poi si ricongiunge sul petto, proprio sotto al collo, collegandosi a una bombola di ossigeno appoggiata su un carrellino accanto alle sue caviglie.
“Se avessi voluto più … che ne so? Vita sociale? Sarei andato da Sebastian. E lui mi avrebbe fatto conoscere qualcuno dei suoi amici lap-stripper-qualcosa e ce la saremmo spassata tutti insieme.”
“Credo che non esistano ballerini lap-stripper-qualcosa.”
“Vedi? E’ esattamente questo quello di cui ti sto parlando. Saprei questo genere di cose, se non fossi costretto ad andare a quel gruppo di supporto.”
 
Alla fine Blaine va al gruppo di supporto con l’eco delle parole di sua madre nelle orecchie – “Fatti qualche amico”. Certamente, perché è ovvio che ovunque vada ci sia una fila di persone ad aspettare di fare amicizia con un malato di cancro ai polmoni. Naturale.
C’è sempre un’atmosfera strana in quei gruppi di supporto. Di competitività, quasi. Come a dire ehi, c’è il venti percento di possibilità di sopravvivere a una malattia come un cancro, e se tra quel venti percento ci sarai tu, non ci sarò io. Blaine non era mai stato competitivo, ma ha imparato ad esserlo. Non prende l’ascensore, perché è uguale ad ammettere di non avere abbastanza forze; non chiede una mano per il carrellino della bombola d’ossigeno, perché sa che può farcela da solo; non parla troppo, perché chi parla troppo generalmente lo fa perché non ha più molto tempo per dire ciò che ha da dire.
Normalmente, la sequenza delle sue azioni è piuttosto regolare: entra nella piccola chiesa in cui si incontra con gli altri ragazzi ogni mercoledì e scende nel seminterrato, afferrando al volo un biscotto al cioccolato dalla minuscola dispensa messa a loro disposizione e dirigendosi verso il punto d’incontro. Will Shuester, l’unico tra di loro ad aver più di diciott’anni e il presunto capogruppo, ama chiamarlo il Cerchio della Fiducia, o il Cuore Letterale di Gesù – per via del fatto che si trovano esattamente al centro della croce, dove i due bracci si incontrano. A Blaine era sempre e solo sembrato un vecchio seminterrato di una vecchia chiesa, ma dubita che la sua opinione possa valere qualcosa. Ad ogni modo, prende il suo posto su una delle sgangherate seggiole del Cerchio della Fiducia e condivide la sua esperienza con il gruppo.
Perché è questo ciò che si fa nei gruppi di supporto. Si supporta e si condivide.
Blaine non avrebbe mai pensato che qualcosa avrebbe potuto alterare la monotonia dei suoi gesti; scende dalla macchina e incespica nel carrellino, entra in chiesa, scende nel seminterrato e prende un biscotto, incespica di nuovo nel carrellino e si dirige verso il cerchio. Ma poi si ferma , mezzo biscotto ancora in mano e i piedi incollati a terra, semplicemente a guardare.
C’è un ragazzo, seduto esattamente davanti a lui, nel cerchio. Un ragazzo che è completamente certo di non aver mai visto prima in vita sua. Seduto non è esattamente la parola esatta, piuttosto è allungato sulla sedia, in una maniera che sembra quasi aggressiva. E insieme difensiva, in qualche modo.
Ha le gambe più lunghe che Blaine abbia mai visto, piegate appena e fasciate da un paio di jeans stretti, il busto snello racchiuso in un maglione celeste e gli occhi più azzurri dell’acqua. Sembra completamente estraneo all’ambiente in cui è immerso, come se fosse finito lì assolutamente per caso, ed è bellissimo.
Il che fa risvegliare Blaine – lo fa rendere consapevole di ogni sua piccola imperfezione: i capelli ricci che non si è neanche preoccupato di sistemare, la felpa sformata che indossa, i jeans troppo sdruciti per sembrare strappati apposta, le proprie guance gonfie per via dei farmaci che è costretto a prendere. Tutto.
Cerca in qualche modo di farsi notare il meno possibile, scivolando a destra verso le sedie libere, ma gli occhi di quel ragazzo sono più veloci; lo intercettano in un attimo e – wow, non lo sta semplicemente guardando, è come se il suo sguardo lo stia toccando, sfiorandolo appena all’inizio e poi premendosi contro di lui sempre più forte.
I suoi occhi sono davvero azzurri.
Alla fine è Will ad interrompere quella sottospecie di gioco di sguardi col suo entusiasta “BENVENUTI NEL CUORE DI GESU’!” Quel ragazzo ha sempre avuto troppo entusiasmo, agli occhi di Blaine, ma anche in questo caso non crede che la sua opinione interessi a qualcuno. Sospira un po’ e si trova a sorridere di rimando all’angolo di labbra appena alzato del ragazzo dalle gambe lunghe e gli occhi impossibili.
Tranne qualche breve e inutile formalità – come la preghiera della serenità enunciata da Will all’inizio dell’incontro –, il gruppo di supporto è piuttosto … statico. O almeno, Blaine l’ha sempre visto così.
Non fanno altro che presentarsi. Nome. Età. Diagnosi. Come stai Blaine?
“Così, così.”
Se è vero che ci vuole coraggio a dire la verità, è altrettanto vero che ce ne vuole a mentire. Quindi dice così, così, scivola di nuovo al proprio posto e rimane in silenzio per il resto dell’incontro. Ogni volta.
Tranne quella.
“Mi chiamo Santana Lopez” – il giro è cominciato da qualche minuto, ormai; ma Blaine fa tremendamente fatica a rimanere concentrato quel giorno. Non che si sforzi troppo, le altre volte – “e ho diciassette anni. Cancro agli occhi. Tra due settimane mi opero e a quanto pare perderò completamente la vista. Per tutta la vita. Sarò guarita, più o meno, ma insomma – diventare cieca non è mai stata la mia più grande aspirazione. Però c’è la mia famiglia, c’è la mia ragazza e ci sono gli amici. Come Kurt. Quindi tutto sommato non fa così schifo.”
Kurt. Blaine lascia che il suo nome – il nome del ragazzo che lo sta contemplando da quando è entrato nella stanza – gli rimbalzi contro le pareti della mente. KurtKurtKurt.
Santana è sempre stata l’unica, all’interno di quel gruppo, con cui abbia condiviso qualcosa. Non molto, ma qualcosa. Come gli sguardi a metà tra il divertito e il disperato durante i numerosi sproloqui di Will sul suo cancro ai testicoli. Come le minuscole chiacchierate all’inizio e alla fine di ogni incontro. Lei sa perfettamente che Blaine è gay e lui conosce la sua ragazza, Brittany. Hanno in comune questo, oltre a un mucchio di cose mal funzionanti incastrate nel loro corpo.
Quando arriva il suo turno si alza in piedi. “Blaine. Sedici anni. In origine tiroide, poi polmoni. Sto così così.”
“C’è qualcosa che vuoi aggiungere, Blaine?” Una scrollata di spalle e lo scricchiolio di una sedia sono tutto ciò che Will ottiene in risposta.
“Bene, quindi – Kurt? Il nostro nuovo amico! Ti va di presentarti a me e agli altri? Kurt distoglie velocemente lo sguardo da Blaine – ha continuato a fissarlo per tutto il tempo – e si alza in piedi lentamente.
“Sono Kurt Hummel e ho diciassette anni. Tempo fa ho avuto un lieve osteosarcoma, ma ora sono qui per Santana,” la indica e riprende fiato per un attimo. In quella frazione di secondo, Blaine riesce ad enumerare nella propria testa almeno dieci ragioni per cui la voce di Kurt Hummel dovrebbe essere illegale in tutti gli stati del mondo.
“Vuoi dirci quali sono le tue paure, Kurt?” Il suo viso – che sembra angelico e diabolico tutto insieme – si contrae solo per un attimo in una smorfia confusa, prima di aprirsi in un sorriso quasi strafottente.
“Le mie – paure? L’oblio. Ho paura dell’oblio.”
Will e altre dodici paia di occhi lo fissano confusi, e Blaine è quasi tentato di alzare gli occhi al cielo e sbuffare una risata, perché contrariamente a quel che pensava sembra quasi divertente rimanere in silenzio ad ascoltare gli sproloqui insensati di un gruppo di ragazzi disposti in una sorta di versione macabra e non-anonima di un circolo di alcolisti anonimi. Ma poi si ricorda del valore del tempo, e decide che forse non ha poi così voglia di sprecare il proprio.
Quindi alza la mano.
“Sì, Blaine?”
“Vorrei dire a Kurt,” calca con la voce sul suo nome come se volesse imprimerselo nelle corda vocali, “che tra tutte le paure di questo mondo che funziona al contrario, ha scelto la più inutile. Aver paura del buio, Dio!, anche aver paura degli insetti è più logico, rispetto a quello. Che senso ha aver paura di essere dimenticati, in un mondo che è fatto apposta per dimenticare? Tutti, qui dentro e là fuori, verremo dimenticati, sepolti sotto una coltre di secoli e millenni troppo spessi. Non rimarranno neanche i ricordi, di noi. Quindi, se è l’inevitabile scorrere del tempo che ti fa paura, ti consiglio di ridimensionarne la definizione e l’importanza che dai loro.”
Blaine riprende fiato e scivola di nuovo sulla sedia – parlare e stare in piedi sono due delle cose che lo sfiniscono di più, e sta letteralmente crollando –, ignorando come può il mucchio di persone che lo sta fissando sconcertato e concentrandosi sugli occhi oceanici e divertiti di Kurt.
“Wow” è l’unica parola che esce dalle sue labbra, e per qualche assurdo motivo a Blaine viene da ridere.
“Direi che è giunto il momento di concludere,” Will inizia a parlare e tutti sconnettono il cervello.
 
*
 
“Ehi, aspetta un attimo!”
Blaine fa giusto in tempo ad impedirsi di incespicare di nuovo nel carrellino, prima di ritrovarsi sormontato dalla figura di Kurt Hummel. E, be’. E’ alto. Non quel genere di “alto” che ti costringe ad inclinare il collo per incontrare i suoi occhi, ma Blaine aveva ragione riguardo le sue gambe lunghissime. O forse è solo lui ad essere basso. Ad ogni modo, si dipinge sul viso un’aria vagamente incuriosita e si costringe ad incrociare il suo sguardo.
“Sì?”
“Come hai detto di chiamarti?” Kurt gli rivolge un sorriso stiracchiato e un po’ sbilenco, come la sua andatura.
“Blaine.”
“No, il tuo nome completo.” Blaine sbuffa.
“Blaine Anderson.” Santana sfreccia sui suoi tacchi accanto a loro proprio in quell’istante e la mano di Kurt si chiude attorno al suo polso. “Avevi ragione San, è un mortorio qui.”
“Lo so, non è vero?” La ragazza ispanica si riavvia una ciocca di capelli mori e lunghissimi dietro l’orecchio sinistro e fissa Blaine coi suoi occhi enormi – uno di vetro, l’altro no, entrambi offuscati da lenti che non fanno altro che ingigantirli. “E’ abbastanza deprimente, però … be’, aiuta. Qualche volta. Ora scusatemi, ma sono di fretta; c’è Brittany qui fuori e visto che tra due settimane sarò cieca voglio spendere ogni minuto del mio tempo a guardarla.” Una sventagliata di capelli ed è già sparita.
Kurt ridacchia e sposta l’attenzione su Blaine, osservandolo finché non lo costringe ad arrossire e abbassare lo sguardo. “Perché mi fissi così?”
“Perché sei bellissimo.” Blaine spalanca gli occhi e si ritrova a perdersi nel sorriso sbilenco di Kurt e nelle mille lentiggini sparse sulle sue guance come stelle in una galassia. “E perché se c’è una cosa che questo stupido cancro mi ha insegnato è godermi i piaceri della vita, e guardare le persone belle rientra tra questi.”
“Non sono –“
“Lascia decidere a me per cosa vale la pena perdere la testa, okay?” Blaine inclina il capo a metà tra l’imbarazzato e il divertito, ed è sul punto di rispondergli, quando Kurt continua ridacchiando, “Sei un po’ come Hugh Dancy, hai presente? Lo Hugh Dancy di I Love Shopping, non quello di Hysteria.
Ora la smorfia sul viso di Blaine è più confusa che altro.
“Non – Non hai mai visto I Love Shopping? Blaine Anderson, non puoi essere serio.”
“Ti piace proprio chiamarmi con nome e cognome?”
“Sai cosa dovresti fare, Blaine Anderson? Dovresti venire a vedere I Love Shopping con me.” Blaine sbuffa e riprende a camminare, trascinandosi dietro il carrellino. Riesce a non inciampare, questa volta. Si aggiusta il tubicino sul naso e si avvia verso le scale, preparandosi mentalmente alla fatica immensa che sta per affrontare. Kurt fa per aiutarlo, ma poi si morde il labbro e resta a guardarlo – ammirazione ed incredulità dipinte sul viso.
Alla fine la salita non è così terribile come Blaine credeva; fa un paio di respiri profondi e si volta a fronteggiare Kurt, che ha un piede sull’ultimo gradino e lo ha quasi raggiunto.
“Rettifico, dovresti venire a vedere I Love Shopping con me adesso.
Blaine lo ignora e si concentra sul parcheggio, aspettando di vedere la minuscola auto di sua madre sbucare da un momento all’altro; quel che non si aspetta di vedere, invece, è Santana completamente avvinghiata a una ragazza bionda, le braccia attorno al suo collo e le labbra premute contro le sue continuamente, tranne per minuscole frazioni di secondo, in cui entrambe riprendono fiato e si sussurrano “Sempre”  l’una sulla pelle dell’altra.
“Sempre?” Kurt alza le spalle e sbuffa un po’.
“E’ il loro modo di dirsi che si amano. Sempre. Nonostante il cancro di Santana, nonostante i genitori di Brittany che non sembrano propriamente felici della loro storia, nonostante le difficoltà che incontreranno.” Blaine lo guarda con un sorriso strano sulle labbra e smette di guardarlo solo quando il clacson di sua madre lo fa sussultare.
Il finestrino va giù lentamente e Pam ne sbuca fuori, “Tesoro? Andiamo?” Può quasi immaginarsi il sorriso sbilenco di Kurt sbiadire sulle sue labbra.
“No, mamma. Vado a vedere I Love Shopping dal mio amico Kurt Hummel.”
 
*
 
“Tu devi star scherzando.”
“Cosa?”
“Oh mio Dio, cosa diavolo c’è di sbagliato in te?” Kurt lo guarda come se stesse parlando in un’altra lingua e si sistema meglio la sigaretta tra i denti, all’angolo delle labbra. “Avevi un cancro, Kurt Hummel! Non è stato abbastanza, vivere un’esperienza del genere, per farti rendere conto di quanto questo schifo di vita valga qualcosa? Dio, non può mai funzionare tutto! Deve sempre esserci una hamartia.
“Non capisco –“ Blaine lo interrompe semplicemente guardandolo, e le parole gli restano incastrate in gola.
“Non capisci? Bene, vediamo se riesco a farti capire. Incontro un ragazzo in questo schifo di gruppo di supporto a cui sono costretto ad andare perché, ehi!, sono malato di cancro! E quante possibilità esistono su questa Terra di incontrare un ragazzo carino qui? Lascia che te lo dica, nessuna. In più questo ragazzo A) mi dice che sono bellissimo, B) mi paragona a un attore altrettanto bello e C) mi chiede di andare a vedere un film a casa sua, il che è fantastico, no? E poi questo dannato ragazzo inizia a fumare davanti a me! A me! Che ho un fottuto cancro ai polmoni! Che diavolo ti dice la testa, Kurt? Illuminami.” Blaine riprende fiato e tuffa la mano in tasca, chiudendola attorno al cellulare; lo estrae e lo sblocca velocemente, selezionando il numero di sua madre dalla lista abbastanza misera dei contatti e portandoselo all’orecchio. Si sente sbagliato, a stare lì, come se la semplice vista di una sigaretta gli desse la nausea, quindi afferra il carrellino e si volta verso l’entrata del parcheggio, calcolando velocemente che in tre minuti e mezzo sua madre non può essere andata tanto lontano e ripetendo a fior di labbra “Rispondi, rispondi, rispondi,” come se fosse una specie di mantra tutto suo.
Percepisce vagamente la stretta di una mano attorno al proprio polso – è più impegnato a metabolizzare i brividi che partono da quella porzione di pelle ed arrivano fino alla base della spina dorsale.
“Non ti uccidono, se non le accendi.” Blaine si volta, il cellulare ancora appiccicato all’orecchio e le labbra appena dischiuse, il cervello che lavora troppo, troppo, troppo in fretta.
“Blaine? Va tutto bene?” La voce di Pam rimbomba contro i suoi timpani col solito timbro terrorizzato – quella che sua madre ha ogni volta che la telefona per qualcosa di fuori dall’ordinario, perché ormai è così che reagisce automaticamente a qualsiasi cosa, come se lo facesse per inerzia.
“Sì, mamma – scusa. Tutto bene, ti richiamo dopo.” Kurt sorride – la sigaretta segue le sue labbra e si inclina appena contro di esse. Sembra passare un’eternità, quando riprende a parlargli.
“E’ una metafora.” Le sopracciglia di Blaine si inarcano quasi fino a sfiorare comicamente i suoi riccioli scuri.
“Una metafora?” Kurt prende tra le dita la sigaretta e la rigira un paio di volte, prima di tornare a fissarlo coi suoi occhi azzurri.
“Una metafora. Metti ciò che può ucciderti tra le tue labbra, ma non gli permetti di farlo.” L’occhiata che Blaine gli scocca è vagamente perplessa; infila il cellulare in tasca e lo guarda di sbieco. Kurt ridacchia e scrolla le spalle, “Allora? I love shopping?”
“E Hugh Dancy sia.”




Note:
Buon sabato pomeriggio, guys! *-*
Dunque, prima le cose importanti:
  • Questa fanfiction è ispirata a Colpa delle Stelle, il romanzo strappacuore e sbriciolasentimenti di John Green. Se in qualche modo vi infastidiscono tematiche come il cancro e le malattie terminali – o non vi piace TFIOS –, non leggetela. E’ vero che non è uguale a TFIOS, ma la storia è quella, e non vorrei che possa dar fastidio a qualcuno. <3
  • Augustus!Kurt e Hazel!Blaine. Lo so che è strano, ma ci sono dei motivi tecnici molto importanti. uwu
Primo fra tutti: height difference! Kurt è più alto di Blaine, proprio come Augustus lo è rispetto a Hazel. E poi Augustus Waters ha gli occhi azzurri, e mi sembra di aver detto tutto.
  • Alcune frasi – pienamente riconoscibili, I guess (“Why are you staring at me?” “Because you’re beautiful.” “It’s a metaphor.” …) – sono riprese dal libro. Per il resto, i dialoghi non lo sono e anche la sequenza in cui si svolgono i fatti a volte è alterata. Ci tengo a dirlo, perché non è mio il merito di quelle piccole perle. *-*
Poi, alcune piccole precisazioni:
  • Mentre Blaine sarà più simile ad Hazel, Kurt non lo sarà troppo ad Augustus. Quindi alcune cose cambiano – vedi I Love Shopping (se non avete mai visto questo film, GUARDATELO. *-*), Hugh Dancy (questo bell’uomo qui) e così via.
  • Isaac!Santana. Si è scritta da sola, non guardate me. ;w;
 
E direi che ci siamo! Un grazie speciale va alla mia seconda famiglia, le ragazze della Sevensome: Je, Mary, Fra, Paola, Rob e Sere – senza i loro vaffanculo questa storia non sarebbe qui, ora. E un altro va ad Ari, che ama questo Augustus!Kurt più di me.
Ringrazio fin da ora chiunque si scomoderà a leggerla, preferirla, seguirla, ricordarla o recensirla. <3
E ricordate sempre che The Fault in Our Stars è una storia d’amore, prima che una storia sul cancro. Quindi non uccidetemi perché io vi voglio tanto bene e perché vi offro tanti marshmallows. *lancia marshmallows*
Un bacio gigantesco! <3
Per chi volesse seguire i miei scleri: Pagina FB & Ask. :’)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Brevissime note iniziali:

Vi rubo dieci secondi, sul serio, ma ci tengo da morire a ringraziare ogni singola persona che abbia aperto questa storia, tutte quelle che l'hanno seguita, ricordata o addirittura preferita, e un abbraccio a Zurry, Fé, kissmycollarbones, Anto, alli, Paola, Anna_Vik, mia moglie Je, Dakota Auree e Mary che l'hanno addura recensito.
Siete la dolcezza, e mi togliete il fiato ogni volta. <3

 


Capitolo 2



Se Blaine dovesse scegliere un solo aggettivo per descrivere il viaggio in macchina con Kurt, è sicuro che sarebbe qualcosa di molto simile a scombussolante, poco importa che non sia neanche sicuro che sia una parola vera. Si prepara all’ennesimo impatto contro il materiale rigido della cintura di sicurezza e trattiene un po’ il respiro, quando vede la figura di un semaforo avvicinarsi.
“Giuro che la patente ce l’ho davvero. Ho passato l’esame al quarto tentativo. L’esaminatore disse che avevo una tecnica interessante.” Blaine ridacchia un po’ e maledice ogni legge della fisica che implica quel gioco di forze che ad ogni frenata lo fa sentire come una palla da basket nelle mani di un cestista.
“Un Premio Cancro?” Kurt si volta giusto per un attimo e annuisce, il sorriso sbilenco ancora fisso sul suo viso, e Blaine si ritrova a pensare che è strano. E’ strano parlare con qualcuno che ha vissuto esattamente quel che ha vissuto lui eppure non sembra curarsene. Qualcuno che sa che i Premi Cancro non sono altro che quei regali inaspettati che vorresti che una persona che tiene a te ti donasse di sua spontanea volontà – che invece ti ritrovi davanti solo perché sei malato, e che a quel punto non sei nemmeno più sicuro di desiderare davvero – , ma non ne parla con quella punta di rimpianto che pizzica nella gola di tutti gli altri.
“Blaine Anderson, non dirmi che la mia interessante tecnica da provetto guidatore ti ha fatto addormentare.” Blaine gli regala una risata brillante in gli risposta.
“Credo che sia altamente improbabile.” Kurt alza gli occhi al cielo e la macchina sobbalza – letteralmente – sotto di loro.
“Come stai, Blaine?” Blaine si volta e fissa il suo profilo – la curva dolce della mascella, le labbra sottili, il naso all’insù e gli occhi acquosi – e si ritrova a parlare senza neanche rendersene conto.
“Me l’hanno diagnosticato a tredici anni. Alla tiroide. E’ stato un periodo – buio. Prima un’operazione, poi tonnellate di farmaci che non servivano a nulla, chemioterapia e flebo. A quattordici anni stavo solo peggiorando, tanto che per un po’ tutti temettero la fine. Mia madre, mio padre, mio fratello – tutti erano con me in ospedale e mi ripetevano che ero pronto, che sarebbe andato tutto bene comunque. E poi mi somministrarono questo farmaco, il Phalanxifor, una medicina sperimentale che apparentemente funzionava solo su una minima parte delle persone a cui veniva propinato. Inesplicabilmente, ero in quella minima parte. Ora ho due polmoni. Due polmoni che come polmoni fanno schifo, ma che in qualche strano modo funzionano – grazie all’ossigeno e a dosi massicce e regolari di Phalanxifor, quindi be’ – è tutto.”
L’auto di Kurt singhiozza altre due o tre volte, prima di arenarsi sul vialetto acciottolato di quella che Blaine presuppone sia casa Hummel. Sente il familiare click di una cintura slacciata e poi la sua voce rimbombare nei propri timpani – nonostante Kurt abbia appena sussurrato.
“Credo che tu sia una persona molto coraggiosa, Blaine Anderson.”
 
*
 
“Ecco a te la mia umile dimora.” Blaine si guarda un po’ intorno nel piccolo atrio accogliente e si attorciglia un ricciolo alle dita. Un piccolo quadretto appeso al muro – più che quadretto è uno stralcio di stoffa infilato in una cornice colorata – attira la sua attenzione. La famiglia è per sempre, è la breve frase che vi è ricamata con un sottile filo azzurro; inarca appena le sopracciglia e si volta verso Kurt.
“I miei li chiamano gli Incoraggiamenti. Principalmente la moglie di mio padre, in realtà. Mio padre è più il tipo di persona che adora questo genere di cose ma non sarebbe in grado neanche tra un milione di anni di crearle.” Blaine sbuffa una risata e alza gli occhi al cielo.
“E’ carino,” mormora.
“Tesoro? Sei tornato?” Una voce dolce e femminile rimbomba  contro le pareti dell’atrio e Kurt alza appena il tono per risponderle “Sì, Carole!”, e fa come per afferrare la mano di Blaine non aggrappata al carrellino e trascinarlo con sé. Si ferma giusto un attimo prima di chiudere le proprie dita attorno alle sue, e Blaine si ritrova ad assaporare il fantasma di quella stretta col respiro incastrato in gola.
 
Attraversano un corridoio abbastanza largo che sbuca direttamente nella cucina – Blaine si rende conto con una punta di stupore che quei quadretti sono disseminati su ogni parete della casa –, dove una donna bella in un modo materno e un uomo dagli occhi azzurri e la testa priva di capelli stanno rimestando qualcosa di apparentemente complicato da preparare in una ciotola gialla.
“Burt, forse è meglio che faccia io – “
“Giuro che ce la sto facendo, è solo che questa cosa sta diventando molliccia – ehi, figliolo!” Kurt alza gli occhi al cielo e si avvicina all’uomo, schioccandogli un bacio sul naso e rubando una ditata dell’impasto; si porta il dito alle labbra – Blaine sposta il peso da un piede all’altro a disagio, a quel gesto – e torna accanto a Blaine, che è rimasto per tutto il tempo ancorato alla porta.
“Papà, Carole, lui è Blaine Anderson. Uno dei ragazzi del gruppo di supporto. E noi stiamo andando a colmare le sue lacune cinematografiche nel seminterrato. Loro sono mio padre e la moglie di mio padre, nonché madre del –“
“MAMMA!”
“—mio fratellastro dalle corde vocali di un tenore, Finn.” Un tornado colorato sbuca dalla porta della cucina come a sottolineare le sue parole – Blaine fa appena in tempo a scansare il carrellino, prima che venga travolto assieme a lui stesso – e un ragazzo esageratamente alto fa il suo ingresso in cucina in tutta la sua goffaggine.
“Mamma, devo passare a prendere Rachel tra –“, una breve pausa in cui Finn controlla freneticamente l’orologio al proprio polso, “—tre minuti e mezzo e non trovo la felpa blu!”
“Tesoro, è nell’armadio, dov’è sempre stata.” Finn sembra risvegliarsi tutt’un tratto; saltella appena e abbraccia velocemente Carole, prima di voltarsi e quasi – scontrarsi di nuovo con Blaine.
“Finn, ti presento Blaine Anderson.”
“Solo Blaine,” dice lui porgendogli la mano per una stretta veloce.
“E’ il tuo ragazzo?” chiede Finn, e Blaine sente la pelle delle guance sfiorare la stessa tonalità della propria felpa rossa scolorita.
“Oh – no! Voglio dire, noi siamo solo – uhm. Solo compagni di gruppo di supporto?” Kurt ridacchia mentre incespica nelle parole e Blaine gli scocca un’occhiata violenta. Non è propriamente sicuro che delle occhiate possano essere violente, ma tant’è. A quel punto Finn lo guarda meglio – lo scannerizza, in realtà, ma per la prima volta dopo troppo tempo a Blaine non dà fastidio – e gli offre un sorriso appena accennato.
“Be’, solo – Blaine, devi essere una persona speciale, perché Kurt  non ha mai portato a casa solo – un – compagno – del – gruppo – di – supporto.” Kurt gli tira un pugno sul braccio destro.
“Fratellino, non hai detto che Rachel ti sta aspettando?” Finn sbuffa e si lancia fuori dalla porta tanto veloce quanto vi è entrato. Kurt alza gli occhi al cielo e si rivolge alla schiena di suo padre, momentaneamente impegnato a rovesciare l’impasto in una teglia che sembra avere tutta l’intenzione di spiaccicarsi al suolo, “Io e Blaine andiamo di sotto a vedere un film.”
“Non se ne parla.”
“Ma papà!
“Il nostro divano è comodissimo, potete vederlo qui.” Kurt arriccia appena il naso – forse Blaine dovrebbe smetterla di trovarlo adorabile, ogni volta che lo fa – e borbotta “Ma volevo far vedere a Blaine il seminterrato!”
“Va bene, poi tornate su a vedere il film.”
“Vuoi fermarti a cena, tesoro?” La testa di Carole spunta dallo sportello della piccola credenza da cui sta racimolando qualche bicchiere. Blaine alza la testa dalle mattonelle quadrate e levigate del pavimento, prima di aprirsi in un’espressione vagamente stupita. Si ritrova a guardare alternativamente Carole, Burt, Kurt e di nuovo Carole, prima di offrire un “Sono vegetariano” a mezza voce.
“Non c’è problema!” esclama lei, regalandogli un sorriso che non è completamente sicuro di meritarsi.
“Allora – sì, be’, grazie signori Hummel …?” Si rende conto che sembra più una domanda che un’affermazione troppo tardi, ma i due coniugi devono prenderla abbastanza bene, perché scoppiano a ridere entrambi.
“Chiamaci Burt e Carole, figliolo. Non farci sembrare più vecchi di quanto già non siamo.” A quel punto anche le labbra mordicchiate di Blaine si sciolgono in un sorriso; “Lo terrò a mente.”
L’ultima cosa che sentono provenire dalla cucina, quando si voltano per dirigersi verso il famigerato seminterrato, è il “Porta aperta!” urlato da Burt e soffocato appena, verso la fine, dalla risata genuina di Carole.
 
*
 
E’ semplice riconoscere la camera di Kurt – che si è scoperta essere proprio il seminterrato che Blaine doveva “assolutamente vedere” – rispetto al resto della casa. Innanzitutto, non esistono Incoraggiamenti,lì.
La compattezza delle pareti azzurrine è interrotta solo dalla presenza di un armadio gigantesco e una scrivania disordinata altrettanto larga addossati al muro. Altrimenti ci sono solo mensole. Mensole alte, basse, sottili e di legno o colorate e spesse. E sono ricolme di fotografie incorniciate. Ci sono letteralmente centinaia di momenti intrappolati in scatti particolarmente artistici – un’alba violacea, una manciata di gocce di pioggia sparse sulla superficie liscia di una foglia verde, il sorriso brillante di una ragazza –; alcuni sono addirittura autografati con una piccola dedica all’angolo della fotografia.
“Se te lo stessi chiedendo, sì: le ho scattate io.” Blaine spalanca la bocca e si volta a guardare Kurt, appoggiato di sbieco alla cornice della porta, un sorriso divertito che gli gioca sulle labbra. “Tranne quelle autografate, ovviamente. Quelle sono state scattate da fotografi famosi e mi sono state regalate. Premi Cancro, sai.”
“Be’, quelle scattate da te sono bellissime.” Kurt ridacchia, quando lo vede afferrare cautamente una cornice e portarsela vicino agli occhi per osservarla meglio.
“Grazie, suppongo? In realtà non mi piace la fotografia.” Blaine gli scocca un’occhiata che è un po’ incredula e un po’ adorabile, e lui continua, stringendosi un braccio attorno alle spalle fasciate dal maglioncino celeste. “Magari all’inizio, credo. Ho imparato a scattare fotografie con la vecchia macchina fotografica di mia madre, a sei anni, e finché lei è rimasta con me – ad insegnarmi, a condividere con me la sua passione – era qualcosa di meraviglioso. Poi lei è morta, quando avevo nove anni.” Blaine è sicuro che il respiro che ha appena preso sia stato troppo rumoroso, perché si ritrova gli occhi asciutti e azzurri di Kurt puntati nei suoi e per un attimo quell’aria gli si incastra in gola e tutto resta immobile.
“Da quel momento in poi ho semplicemente – smesso. Non riuscivo neanche più a tenere in mano una macchina fotografica, ma ero in grado di vedere quanto questo ferisse mio padre. Lui – non mi ha mai imposto nulla. Credo semplicemente che soffrisse nel vedere come anche quell’ultimo frammento di lei che era rimasto in me si stesse inevitabilmente sbriciolando. Quindi col passare del tempo ho ripreso a scattare fotografie, fino a quando tutti non hanno iniziato a credere che fosse la mia unica vera passione. E da qui i Premi Cancro,” soffia, gesticolando appena con le mani per indicare le mensole. Blaine vorrebbe chiedergli qualcosa in più, vorrebbe andare lì e abbracciarlo – perché quanto può aver sofferto un ragazzo del genere, in soli diciassette miseri anni di vita? –  e allo stesso tempo vorrebbe essere in grado di dirgli qualcosa di più sensato, ma tutto ciò che riesce ad articolare è un piccolo scusami, prima di incespicare verso il letto cercando di non gettare a terra il carrellino. Affonda nel materasso e si porta le mani alla fronte, respirando profondamente per cercare di ricordare ai propri polmoni che sì, fanno schifo, ma non adesso, non adesso non adesso non adesso.
Kurt gli si avvicina cautamente e si siede affianco a lui, mormorando un ehi sottovoce; Blaine si volta e sorride appena. “Scusa, polmoni inutili,” soffia con la voce che assomiglia più a un sospiro; “Mi dispiace,” dice poi, e per la prima volta Kurt sente che quelle due insignificanti parole che nessuno perde mai l’occasione di rivolgergli forse così tanto insignificanti non sono.
 
*
 
Sono sprofondati nel divano del salotto a guardare I love shopping da una discreta quantità di tempo, quando Kurt si volta verso di lui e Blaine distrae l’attenzione dai riccioli rossicci della protagonista – Hugh Dancy tra l’altro è un attore bellissimo, e non ha assolutamente idea di cosa ci trovi Kurt di così affascinante, dato che Blaine si è sempre visto come tutto ciò che di non-sexy esista su questo pianeta.
“Prima mi hai detto che deve esserci sempre qualcosa – una … hamartia?” Blaine gli rivolge un’occhiata incuriosita – più che altro è abbastanza sorpreso dal fatto che se ne ricordi –, prima di percepire le proprie guance scottare.
“La mia scenata è stata melodrammatica, puoi ammetterlo.”
“Mmmh, già,” Kurt ridacchia e si becca una gomitata tra le costole, il che lo fa solo ridere di più, tanto che alla fine sta praticamente sghignazzando e Blaine solo ha voglia di sprofondare la faccia in un cuscino. “Ma non è stato niente di esagerato. Dovresti conoscere la ragazza di mio fratello, lei sì che è melodrammatica.
 
“Una hamartia è un’imperfezione fatale, letteralmente.  Praticamente è tutto ciò che ti fa rendere conto che la perfezione non esiste. La costante che ti ricorda che dopotutto siamo umani.” C’è un piccolo silenzio imbarazzato, prima che Blaine riprenda a parlare; “L’ho imparato dal mio libro preferito, Un’imperiale afflizione, di Peter Van Houten.” Kurt si stiracchia appena contro lo schienale del divano.
“Credo di volerlo leggere.”
“E’ – davvero bello.”
“Parlami di te, Blaine Anderson.” E Blaine sa che dovrebbe essersi abituato a questo genere di uscite di Kurt – imprevedibili, eppure dettate da quel genere di ordine che ti porta a passare una serata sul divano di un semisconosciuto a trangugiare pizza vegetariana e bere coca-cola mentre parli di tutto e non parli di niente – ma la verità è che ancora lo destabilizzano.
“Uhm. Te l’ho detto, me l’hanno diagnosticato a tredici anni –“
“No, non della tua malattia. Di te.” A quel punto Blaine lo guarda – volontariamente. Cerca il suo sguardo di proposito e si ritrova ad aprire la bocca e a dire – tutto.
“Amo leggere. Tutto. Dai pretenziosi romanzi ottocenteschi agli stupidi romanzetti rosa che mia madre dissemina in ogni angolo della casa. Uhm – ho sempre desiderato viaggiare, anche se per me è praticamente impossibile. Non vado più a scuola, mi hanno ritirato tre anni fa e mi sono diplomato seguendo dei corsi da privatista. Mi piaceva cantare, mi piaceva tanto, ma ora i miei polmoni fanno schifo e ho ripiegato sul suonare – che è bellissimo, ma non è … non è la stessa cosa. Credo sia tutto qui.” Alla fine gli manca il fiato – ma non nell’accezione letterale di quell’espressione, quella che gli è più familiare. Gli manca il fiato in un modo bello e completamente nuovo.
“Sei proprio un bel tipo, Blaine Anderson.” Blaine sbuffa una risata e alza gli occhi al cielo.
“Ah, e sono gay. Se te lo stessi chiedendo.” Kurt lo guarda dritto negli occhi per un secondo.
“Non me lo stavo chiedendo—mpfh—“ A quel punto Blaine inizia a fargli il solletico e Kurt capisce che è completamente inutile rettificare che anche lui lo è.
 
*
 
“Blaine, posso lasciarti questo?” Kurt ha un’aria imbarazzata e Blaine deve letteralmente impedirsi di  stropicciarsi gli occhi per verificare se sta sognando o meno, perché se c’è una versione di Kurt che è sicuro di non aver mai visto è quella imbarazzata. Ad ogni modo, afferra il libro che gli sta porgendo e lancia un’occhiata alla copertina, mentre un’aria interrogativa gli si dipinge sul viso.
“George Orwell?” Gli abbaglianti dell’auto di Pam Anderson lampeggiano dietro di loro e rendono tutto bianco per un istante.
“Hai già letto 1984?” gli chiede Kurt.
“No, è sulla lista dei libri che leggerò prima o poi ma –“
“Allora leggilo. Vedrai che ne vale la pena.” Blaine sorride al suo entusiasmo e annuisce, mordicchiandosi appena il labbro inferiore. Alla fine decide che alle proprie paranoie penserà dopo, perché tutto quello che ha voglia di fare adesso è chiedere a Kurt “Ti va di rivederci?”, e quasi non riesce a credere di averlo detto a voce alta senza balbettare neanche una volta.
Lui comunque non sembra essersi offeso; al contrario, si apre in uno dei suoi sorrisi sghembi – anche se questo sembra più dolce degli altri. Ma forse è solo la mente di Blaine che così è ubriaca di sorrisi sghembi da non rendersi più conto di niente – ed annuisce.
“Perché ho come l’impressione che tu abbia già pensato a tutto e tra le pagine di questo libro ci sia il tuo numero di telefono?”
“A quanto pare mi conosci già fin troppo bene, Blaine Anderson.” A quel punto i fari dell’automobile sul vialetto di casa Hummel li abbagliano più di quanto i loro stessi sorrisi non stessero già facendo, e Kurt sbuffa una risata vagamente musicale; “Buonanotte,” gli dice, regalandogli uno sguardo diverso dagli altri.
“Buonanotte Kurt.” 








Note finali:
WELL, questo è sicuramente uno dei capitoli - tra quelli che ho già scritto - che più si discostano dall'originale. Kurt è più Kurt e meno Augustus e -- la fotografia. So che adesso può sembrare senza senso che sia quello il suo hobby-non-così-hobby, ma se vi fidate di me vi assicuro che tutto avrà un perché, poi.
Poi, 1984, parliamo di quel libro? *-* No, non ne parliamo perché altrimenti io inizio a sproloquiare e non finisco più. Dico solo una cosa: leggetelo. Anzi, ne dico anche un'altra, che ho scoperto per caso: 1984 ha ispirato il fumetto V perVendetta, da cui è stato tratto l'omonimo film. Ora, io non so se voi ve lo ricordate, ma il film che Augustus e Hazel guardano in TFIOS è proprio quel V per Vendetta, quello con Natalie Portman. E nulla, è una coincidenza ma mi ha fatto awware tantissimo. *-*

Ancora grazie ad ognuno di voi: ogni parola significa il mondo per me e non avete idea di quanto mi renda felice sapere ciò che pensate di un lavoro a cui tengo così tanto.
Vi abbraccio. *-*

PS: Guys, per chi volesse: Pagina Facebook & Ask.






 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Mini-note iniziali:

Stavolta sono breve, giuro! Un grazie enorme ad Anna_Vik, , kissmycollarbones, Paola, Zurry, _Bloodstream_ ed Alli. Mi riempite di una gioia gigantesca, quando mi scrivete parole come quelle delle vostre ultime recensioni. <3



 
Capitolo 3

 
Questo capitolo è per Je, la moglie migliore che esista. Ti voglio bene, piccola. *-*



Blaine non riesce neanche ad aspettare di arrivare nella propria camera – non riesce neanche ad aspettare di arrivare a casa, in realtà: seduto accanto a sua madre nella sua auto, sfiora con le dita leggere la copertina del libro, cercando in ogni modo di impedirsi di sollevarla e di imprimere quella sequenza di numeri nel cervello senza nemmeno provarci. Cede dopo ben tre minuti e cinquantasette secondi di tragitto.
Apre il libro e lo appoggia sul proprio grembo, sfogliando le pagine con la stessa cura con cui si trattano le opere d’arte; intravede subito la scrittura lineare e levigata di Kurt e sorride appena alla vista del piccolo smile che ha disegnato accanto al suo numero di telefono. Continua a sfogliare il libro finché non arriva alla prima pagina del romanzo.
“Era una luminosa e fredda giornata d’aprile, e gli orologi battevano tredici colpi.”
Scivola un po’ con la schiena sul sedile dell’auto e comincia a leggere; gli occhi nocciola di Pam lo scrutano velocemente e s’inumidiscono un po’.
 
*
 
Dato che “Il sonno è la cura del cancro!” – o almeno questo è ciò che si sente ripetere da sua madre da tre anni –, Blaine si sente abbastanza confuso quando percepisce due mani sbatacchiargli le spalle fin troppo velocemente, per essere le otto di mattina.
Ci mette qualche istante e qualche “Blaine, alzati!” entusiasta di Pam, prima di realizzare che effettivamente non sono le otto, ma le dieci passate – cerca di ignorare la vocina che gli rimbomba in testa, ricordandogli che il motivo per cui è così tardi è che ha passato gran parte della notte a leggere il libro che gli ha prestato Kurt.
Kurt.
Solo il semplice pensare a lui lo riempie di una sensazione nuova. Che ancora fa fatica a processare.
“Mamma, che c’è?” chiede, sporgendosi per districarsi dai tubicini che si diramano dalla bombola di ossigeno più grande per la notte – l’ha chiamata Papillon, quando aveva tredici anni. Ora che ne ha sedici forse dovrebbe cominciare a considerare l’idea di chiamarla Bombola – D’Ossigeno – Più – Grande, ma la verità è che si è affezionato a Papillon, e finché la chiama così nella propria mente nessuno del manicomio verrà per rinchiuderlo in una stanza dalle pareti imbottite.
“E’ il tuo trentatreesimo mezzo compleanno, Blaine! Non puoi chiedermi ‘Mamma che c’è?’” Se c’è una cosa a cui Pam Anderson tiene quasi più di quanto tenga ai suoi figli, è ricordare gli anniversari, i mesiversari e i qualsiasicosa – versari delle loro vite. Ma questo non è ciò a cui Blaine sta pensando – ormai è abituato alla stravaganza di sua madre –; al contrario, l’unico pensiero che gli svolazza nella mente non ancora completamente sveglia è che ha sedici anni e mezzo e ancora chiama una bombola d’ossigeno “Papillon”.
“Mmmmh” è l’unico verso – non si sentirebbe proprio di chiamarlo in un altro modo – che gli esce dalla gola quando percepisce l’aria fredda contro la propria pelle, dove le coperte gli sono state tolte senza troppe cerimonie.
“Cosa vuoi fare oggi, raggio di sole?” Blaine apre un occhio, poi ne apre due e tenta di mettere a fuoco il sorriso brillante di sua madre.
“Ho lezione.”
“Dico dopo le lezioni!” Cerca di passarsi una mano tra i ricci scompigliati ma desiste praticamente subito, dato che non riesce neanche ad infilarla in mezzo al cespuglio che si ritrova in testa, figurarsi districarla poi.
“Potrei … chiamare Sebastian? Magari ha voglia di uscire.” Il sorriso di Pam si allarga a dismisura. “Ma certo tesoro, se vuoi sono di sotto,” soffia, lasciandogli un bacio al sapore di caffè sulla guancia. Blaine si getta a pancia in giù sul letto e afferra il cellulare dal comodino.
Sebastian gli risponde dopo nemmeno sei secondi.
Buon trentatreesimo mezzo compleanno, Blainey. Ci vediamo al Lima Bean alle 15.00?
 
*
 
Sebastian è uno degli unici amici che gli sono rimasti. E Blaine lo adora, sul serio, ma ogni volta che decidono di incontrarsi non riesce a fare a meno di sentire una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco e una vocina nella mente che gli ripete costantemente “Vedi? Questa è la vita. Questo è ciò che ti stai perdendo.”
“Ehi, tu!” Blaine fa appena in tempo ad alzare gli occhi da 1984, prima di venire inglobato in un abbraccio che sembra più una morsa soffocante che una dimostrazione d’affetto.
“Ehi, Seb.” Gli piacerebbe poter dire che Sebastian sia cambiato in qualche modo dai tempi in cui condividevano acne da tredicenni e pomeriggi stravaccati sul divano a non far nulla, ma la verità è che è rimasto sempre la stesso tipo di persona – di quelle che detesti in modo affettuoso.
“Come sta il mio Blainey?” gli chiede ridacchiando, mentre prende posto sulla seggiola davanti alla sua di un minuscolo tavolino del Lima Bean. Blaine arriccia il naso.
“Per favore, c’è già mio fratello che mi tormenta coi soprannomi ridicoli.” Sebastian apre la carta del menù come ogni volta, e come ogni volta la ripone accanto al contenitore dei fazzoletti di carta dopo qualche istante – Blaine sa già il suo ordine a memoria: caffè macchiato con una spruzzata di cannella, prende la stessa cosa praticamente da una vita.
“Appunto, Cooper è all’università ora. Quindi il compito di affibbiarti nomignoli imbarazzanti spetta a me,” dice, avvolgendo le braccia attorno al proprio busto fasciato da un maglione bianco. Sposta gli occhi verdi su di lui e gli chiede di nuovo “Come stai?” Blaine sospira, perché a quel punto sa che Sebastian non si accontenterebbe mai di un semplice “così così” come quelli che rifila a Will al gruppo di supporto.
“Come sempre. Ultimamente la situazione è incredibilmente stabile, il farmaco miracoloso sta rendendo i miei polmoni inutili e schifosi dei polmoni altrettanto inutili ma un po’ meno schifosi, quindi direi che va tutto … normalmente.” A quel punto Sebastian stiracchia appena le labbra in un sorriso sollevato.
“Ne sono felice,” mormora. Poi inclina un po’ la testa e socchiude gli occhi; “1984? Non sapevo che ti fossi dato al distopico.” Blaine sente le proprie guance surriscaldarsi sotto lo sguardo indagatore del proprio amico.
“Blaine Anderson –“
“Oh mio Dio, non avrò questa discussione con te –“
“Hai un ragazzo?” sbotta a voce fin troppo alta – due ragazze al tavolo accanto a loro si voltano nella sua direzione e Blaine è diviso tra il desiderio che si apra una voragine sotto la sua sedia e lo ingurgiti e quello di prendere Sebastian per i capelli e lanciarlo oltre il bancone del bar. Una volta appurato che nessuno dei due piani è attuabile si rassegna ad incassare la testa tra le spalle e scivolare un po’ di più sulla sedia.
“No, Sebastian. Non ho un ragazzo.” L’altro lo fissa con una smorfia divertita dipinta sul viso e Blaine in questo momento ha veramente voglia di scaraventarlo oltre il bancone del bar. “Okay, c’è un ragazzo. Ma non è il mio ragazzo.”
“Bene, quindi. Questo tuo non – ragazzo. Potrei sapere come si chiama?” Il suo cellulare prende a vibrare e Blaine praticamente ghigna, quando vede il volto di Sebastian illuminarsi.
“Certo, dopo che mi avrai detto il nome del ragazzo con cui hai un appuntamento più tardi e che – a giudicare dalla tua espressione entusiasta – ti piace parecchio.” Sebastian è sul punto di aprire la bocca e protestare, ma poi la richiude e lo scruta per un attimo.
“Affare fatto.”
 
*
 
Blaine è abbastanza felice del fatto che Sebastian se ne sia andato un po’ prima. Sta bene con lui, è ovvio, ma ultimamente ha come una strana sensazione al petto che ha bisogno di processare, ed è abbastanza sicuro che lo stare da solo possa in qualche modo aiutarlo.
Non ci sono troppi parchi a Lima, ma in una delle loro stravaganti escursioni che li facevano sentire così grandi, quando erano piccoli, lui e Sebastian avevano scovato un piccolo fazzoletto di terra pieno di fiori e cespugli poco curati a pochi metri dal Lima Bean.
Non ci va da molto tempo, ma è sicuro che le due vecchie altalene cigolanti che lo popolano siano ancora lì, quindi afferra il manico del carrellino e comincia a camminare, grato che almeno per questa volta i propri polmoni abbiano deciso di stare dalla sua parte.
Non ha neanche bisogno di alzare la testa per capire che è arrivato – il profumo di fiori che ormai ha imparato a riconoscere tra tutti gli altri lo investe a pochi passi dal parco e si rende conto che effettivamente è rimasto tutto come lo ricordava: qualche cespuglio spelacchiato e due grosse querce a segnarne l’ingresso. Si lascia scivolare sull’altalena di legno e si tuffa di nuovo nel libro – è a pagina duecentosessantaquattro, quando inizia a leggere.
 
Sull’angolo in basso a sinistra c’è scritto trecentododici, quando sente la voce di un bambino squillare nella tranquillità del silenzio in cui è immerso.
“Ehi, ciao!” lo saluta il bimbo – non può avere più di sette anni a giudicare dalle sue guance tondeggianti e le manine paffute –, prima di corrucciare il visino in una smorfia adorabilmente concentrata. “Che cos’hai nel naso?”
“Jackie! Quante volte ti ho detto che devi aspettarmi? Io – scusalo. E’ solo un bambino.” Blaine ridacchia un po’, accarezzando i riccioli compatti e biondi di Jackie; si volta verso quella che sembra essere la madre e le mima con le labbra un non c’è problema. Torna a concentrarsi sul piccolo, poi. “E’ un tubicino, mi aiuta a respirare meglio. Vuoi provare?” Vede Jackie annuire e si sfila velocemente la cannula, pulendola con un fazzoletto che rinviene dalla tasca della felpa.
“Fa il solletico!” esclama il bambino. Blaine ridacchia.
“Un po’. Come ti senti?” Jackie prende un  respiro profondo e chiude gli occhi.
“Penso che sto respirando meglio,” dice con aria sicura. “Però fa il solletico.” A quel punto la madre gli dice di ridare il tubicino a Blaine, e lui le è immensamente grato perché i suoi polmoni stanno cominciando a sentire gli effetti di una camminata di cinque minuti e di tutto quel tempo senza ossigeno. Jackie gliela restituisce con un sorrisone e Blaine mormora un piccolo “grazie”, prima di strofinarla sulla parte di fazzoletto che non ha usato prima e rinfilarla nel naso.
Non riesce a fare a meno di sorridere, mentre osserva Jackie correre verso l’altalena accanto alla propria e darsi spinte sempre più forti e veloci, finché i raggi rossastri del sole che tramonta si confondono col color magenta delle sue guance.
 
*
 
Ventiquattro ore sembrano una quantità di tempo ragionevole, agli occhi di Blaine, per mandare un sms. Non che sia un esperto in questo genere di cose, ma sta fissando l’ultima pagina di 1984 da una buona manciata di minuti e in uno slancio di coraggio che non è propriamente sicuro di possedere afferra il cellulare e digita velocemente.
 
A: Kurt
Recensione di 1984: inquietante. Non penso di aver mai letto qualcosa di così intrigante in tutta la mia vita. Com’è il mio?
 
La risposta arriva circa sette secondi più tardi.
 
Da: Kurt
Pensavo che avresti chiamato, Blaine Anderson.
 
Blaine fissa il cellulare per qualche istante, accertandosi in un modo tutto suo che Kurt gli abbia veramente risposto. Poi lo chiama. Al quinto squillo – aveva quasi deciso di mettere giù al secondo, non ha ben capito come abbia fatto a resistere così tanto col cuore che praticamente gli palpita in gola – sente una voce femminile borbottare qualcosa e Kurt sospirare, prima di esclamare nel microfono “Blaine Anderson.”
“Ehi,” si ritrova a rispondergli, stropicciandosi l’orlo della felpa.
“Inquietante e intrigante, mh?” Può praticamente sentire il sorriso sghembo di Kurt farsi strada attraverso le radiazioni elettromagnetiche e stamparsi sul proprio timpano.
“Già,” sospira. Si dà una piccola spinta e l’altalena ricomincia a cigolare. “Un’Imperiale Afflizione?”
“Non dirò nulla finché non l’avrò finito tutto. Sono seicentocinquantuno pagine, Blaine Anderson. Io leggo i libri, non li divoro.
“A che pagina sei?”
“Quattrocentocinquantatré.” Blaine sbuffa una risata verso il cielo arrossato dagli ultimi raggi di tramonto.
“Be’, se non li divori ci vai molto vicino.“
“Mmh.” A quel punto il silenzio scende su di loro, come se il mondo si fosse fermato per un istante solo per permettere ad uno di ascoltare il respiro dell’altro. E’ un silenzio strano, comunque – non di quelli imbarazzati o imbarazzanti. E’ solo – un silenzio.
“Okay, quindi … a non appena avrò finito il libro.”
“A non appena avrai finito il libro.” Blaine si ritrova un sorriso sulle proprie labbra piene, e non ha assolutamente idea di come ci sia finito. Sa solo che Kurt finora è riuscito a farlo stare meglio di qualsiasi medicina gli abbiano mai iniettato.









Note:

WELL, buon sabato guys! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! *-*
Procediamo per punti, sennò mi dimentico tutto:

- Quella all'inizio è la primissima frase di 1984. So che messa così non ha molto senso, ma diciamo che è un piccolo omaggio che ho voluto fare a quel libro perché, be' -- è uno dei miei preferiti di sempre. *-*

- Sebasssssstian. Dunque, diciamo che prende il posto della Kaitlyn del libro - l'amica di Hazel con la puzza sotto il naso, per capirci. :') Con la gigantesca differenza che il "mio" Sebastian ha un carattere completamente diverso e si scoprirà pian piano. ;w; Spero che non vi dispiaccia come scelta, ma io ce lo vedevo moltissimo! (*cerca di nascondere la sua cotta stratosferica per Sebastian Smythe, fallendo*)

- Eeeeecco i primi cambiamenti libro/FF: il parco, la telefonata - che nel libro avviene più tardi - ed altre piccole cose che in qualche modo si discostano da TFIOS. Sono sempre moooolto in ansia quando faccio questi cambiamenti, perché be' ... penso sia semplice capire il perché. :') Spero che vi piacciano comunque. *si mangiucchia le unghie* 

Ancora grazie a chiunque dedichi qualche minuto a questa storia, leggendola, preferendola (SIETE PAZZI! *O*), seguendola, ricordandola o recensendola addirittura, siete l'amore e sappiate che io vi adoro infinitamente. <3

Brevissima comunicazione di servizio - che scriverò anche in pagina ma va be', intanto ve lo dico qui. :3 Per tutta questa settimana non ci sarò causa settimana bianca con la scuola, e tornerò sabato sera. Sì, non posso neanche fare la diretta della 605 con LA scena dell'ascensore. Sigh. Comunque, spero di riuscire ad aggiornare la sera in cui torno, altrimenti il capitolo slitterà a domenica. ;-;

Per chi volesse: Pagina FB & Ask

PS: Poooooosso spammarvi due storie bellissime scritte da due autrici altrettanto bellissime? Vero? *sbatte gli occhioni*

Questa è Fix a heart di _Anto, che è fdjgdni *_*
E questa è In the heart di mia moglie, che è tipo WOW. Leggetele perché stra-meritano! uwu

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Brevissime note iniziali:
So che non ho ancora finito di rispondere alle vostre recensioni meravigliosissime - lo faccio non appena pubblico il capitolo uwu - ma intanto ci tengo a super-ringraziare tutte quelle persone meravigliose che ricordano (!), seguono (!!) o addirittura preferiscono (!!!) questa storia. Io non ho parole per dirvi *quanto* vi sono grata.
Also, grazie a Anna_Vik, mia moglie Je, Zurry, alli, Fede, kissmycollarbones, Ari e Paola, che hanno recensito lo scorso capitolo.
Dovete smetterla di farmi piangere con le vostre parole, oKAY? OKAY.
...
Non l'ho fatto apposta. Ssssh.
Enjoy! <3


 
Capitolo 4



 
Blaine non è mai riuscito a capire il proprio amore incondizionato per Un’Imperiale Afflizione. O meglio, se l’è sempre spiegato come qualcosa di inevitabile, perché A) è un libro sul cancro che non parla di cancro e B) è stato scritto da qualcuno che in realtà non è malato di cancro e non è morto.
Un’Imperiale Afflizione è la storia di Anna, una ragazza californiana che vive insieme a sua madre, una giardiniera appassionata di tulipani, e della loro banalissima vita da banalissime persone normali. Finché Anna non scopre di avere un raro cancro al sangue. Per tutta la durata del libro continua a peggiorare, finché un ricchissimo esportatore olandese di tulipani di cui sua madre si innamora perdutamente – e che Anna sostiene essere in realtà un truffatore neanche poi così olandese – non decide di pagarle cure a dir poco stravaganti, per permetterle di rimanere in vita e gestire la sua associazione di Persone Col Cancro Che Vogliono Curare Il Colera – perché “Curare Il Cancro” sarebbe stato troppo narcisista, agli occhi di Anna. Ma la caratteristica migliore e allo stesso tempo più detestabile del libro è che si interrompe esattamente nel mezzo di una
E Blaine ha capito che si tratta semplicemente di una sorta di licenza poetica, ma forse il motivo per cui è incondizionatamente ed inevitabilmente innamorato di Un’Imperiale Afflizione è proprio il suo non finire. Il suo non rispondere alle domande che gli martellano in testa da quando lo ha letto per la prima volta – L’Olandese dei Tulipani è davvero un truffatore? Si è più sposato con sua madre? Diavolo, Blaine è anche ossessionato da ciò che potesse essere successo al criceto di Anna.
Ogni volta che solleva quella copertina rigida un po’ consumata agli angoli crede che sia diverso – che quella sarà l’occasione in cui noterà un particolare, rileggerà una frase particolare e capirà. Ma la verità è che Un’imperiale afflizione è la più dolce delle torture, e che ogni volta che rilegge quelle ultime parole – interrotte, come sospese nell’aria – il vuoto allo stomaco resta, così come il mucchio di domande che gli vortica in testa.
Il cellulare prende a vibrargli nella tasca posteriore dei jeans, e Blaine rischia di rovesciare i fogli e le matite sparsi sul tavolo a terra dallo spavento. Cerca di ricomporsi, mentre la sua insegnante privata di lettere continua a sproloquiare su un’autrice di cui non è neanche sicuro di aver ben capito il nome – ha passato la precedente ora a chiedersi se Kurt abbia finito di leggere il libro, se gli sia piaciuto o se abbia deciso di allontanarsi definitivamente da un adolescente strano che legge romanzi che non finiscono.
Il cellulare vibra una seconda volta e poi una terza, mentre la professoressa Holliday sventaglia i capelli biondi e continua a parlare di tutto e di nulla contemporaneamente. Blaine prova ad ignorare come può la tentazione che gli pizzica sui polpastrelli di infilare una mano in tasca e controllare di chi siano quei messaggi – ci prova davvero, ma quando il suo didietro trema un’altra volta, decide che al diavolo le buone maniere e le insegnanti di lettere.
“Professoressa Holliday, le spiace se uso il bagno?” Lei si sfila gli occhiali da vista dalla montatura gigantesca e li appoggia sulla testa, aprendosi in un sorriso entusiasta – Blaine non ha ben capito di cosa esattamente ci sia così entusiasmante in lui che svuota la propria vescica, ma decide di non farsi troppe domande e rifilarle un piccolo angolo delle labbra alzato in risposta.
“Ma certo Blaine! La seconda porta a destra del corridoio, fai pure.” Blaine afferra il carrellino – nella fretta, riesce ad inciampare e a rischiare di finire a faccia in avanti sul tavolo – e mormora un piccolo grazie, prima di precipitarsi nel bagno con il cuore in gola. Prende un respiro profondo e si siede sul bordo perlaceo della vasca, riesumando il cellulare dalla tasca dei jeans.
Ha un vago sospetto che il proprio cuore si sia cimentato in un triplo salto mortale, quando il nome Kurt lampeggia sullo schermo nero.
 
Blaine Anderson, dimmi che non ho appena finito di leggere questo libro.
 
C’è un sequel, non è vero? Dimmi che è vero.
 
BLAINE ANDERSON, COSA E’ QUESTA COSA, NON PUO’ NON FINIRE
 
Ho capito. Anna è morta e il libro finisce così, ma tutto ciò è tremendamente crudele. Va tutto bene? Chiamami appena puoi.

 
Blaine ha sempre avuto questa sorta di teoria, secondo la quale siamo tutti destinati ad esplodere, prima o poi. A volte queste esplosioni si manifestano tutte in una volta – e allora siamo tutti come granate, che non decidiamo chi e quando ferire, lo facciamo e basta, senza avere la possibilità di rendercene conto.
Altre volte non esplodiamo e basta, ma perdiamo pezzi di noi durante tutta la nostra vita – ci lasciamo alle spalle piccoli frammenti in tante piccole e dolorose esplosioni e feriamo le persone che amiamo semplicemente perché non possiamo impedircelo. Un po’ alla volta. Spettatori di una distruzione che siamo stati noi a causare e che nessuno sarà in grado di risolvere.
Blaine si è sempre sentito parte della seconda categoria – o forse un po’ di entrambe. Perché lui è una granata, è vero, ma allo stesso tempo è come un foglio di carta tagliato male che ferisce i polpastrelli ogni volta che lo si prende in mano. Riesce a far preoccupare – a far star male – le persone senza nemmeno volerlo.
Quindi prende un respiro profondo, schiaccia sulla piccola icona della chiamata e si porta il cellulare all’orecchio. Kurt risponde al primo squillo, stavolta.
“Blaine Anderson,” esala, e a Blaine viene quasi da ridere, perché ha sempre odiato che le persone lo chiamassero con nome e cognome, ma sentire quelle due parole rotolare sulle labbra di Kurt ha tutto un altro sapore e ne sta lentamente diventando dipendente in un modo che di normale ha ben poco.
“Kurt,” dice, stringendo il bordo freddo della vasca tra le dita. “Io – non posso parlare in realtà. Sono a lezione.”
“A lezione?” Il tono di Kurt è vagamente divertito – riesce quasi a vedere il suo sorriso sbilenco affiorargli sulle labbra.
“Già. Non proprio, in realtà. Sono nel bagno della mia professoressa e ho il sospetto che lei stia continuando a parlare da sola alla mia sedia vuota, ma – Sì. Devo tornare di là.” Kurt ridacchia contro il microfono – e il respiro di Blaine s’incastra nei suoi polmoni mal funzionanti, perché la sua risata è bellissima ed improvvisamente sta letteralmente incollando il cellulare al proprio orecchio per riuscire a percepirne ogni sfumatura.
“Sei un cattivo ragazzo, non è vero Blaine Anderson?”
“Kurt –“
“Senti, ti va di passare qui non appena hai finito di stare a sentire gli sproloqui della tua professoressa? Potrei – uhm, aver bisogno di te.” Blaine percepisce il cuore stringersi un po’, prima di pendere a battere così forte da sembrare intenzionato a sfondargli la cassa toracica – così forte da sovrastare ogni esplosione.
“Certo! Io … mi farebbe piacere – Kurt, quello era un singhiozzo?” Blaine sente un ehi, ehi non fare così mormorato al di là della cornetta e resta per un attimo col fiato sospeso e gli occhi persi nel proprio riflesso nello specchio che sovrasta il lavandino davanti a sé.
“Sì. Non sono io, è Santana. Lei ha –“, una breve pausa, un sussurro veloce, “Brittany l’ha appena mollata e non riesco nemmeno a capire il perché. Dio, non so cosa fare.”
“Sono lì tra mezz’ora.” Sente – non ha idea di come, ma sente – Kurt sorridere contro il cellulare e si ritrova a fissare il riflesso di un se stesso particolarmente imbambolato nello specchio.
“A dopo.”
 
*
 
“Signorina Holliday? Non mi sento molto bene, sono stanco. Credo che tornerò a casa prima.”
A Blaine non è mai piaciuta l’adrenalina; non gli è mai piaciuto correre – forse perché gli ricorda troppo le fughe per le corsie dell’ospedale – e allo stesso modo non gli sono mai piaciute tutte quelle cose che non gli danno il tempo di assaporare l’idea di star vivendo. Ma a volte per valerne la pena è necessario mettere da parte tutto e non limitarsi ad assaporare la vita, ma viverla. Vivere e basta.
 
*
 
C’è Kurt ad accoglierlo. Kurt che gli regala un piccolo ehi e si sposta subito accanto alla porta con la sua andatura leggermente ciondolante. Kurt che gli sorride e lo fa sorridere in un battito di ciglia – c’è Kurt e c’è l’eco di un singhiozzo dal piano di sotto. Blaine lo guarda con un’aria confusa – gli occhi spalancati ed attenti – e l’unica risposta che le labbra di Kurt riescono a formulare è un piccolo sussurro dal retrogusto amaro.
“Il dolore esige di essere sentito.” E Blaine sta quasi per ridere e piangere insieme, davvero, perché Kurt sta citando il suo libro preferito – quello che lo ossessiona da anni – e non ha idea del perché, ma lo rende inspiegabilmente felice. Quindi sì, vorrebbe ridere, ma allo stesso tempo sa cosa significa quella frase, sa quanto pesino quelle poche e semplici lettere, e anche in questo caso non ha idea del perché, ma se Kurt sta così allora anche lui sente la consistenza di quelle parole scivolargli sotto la pelle e depositarsi lì, dolce ed amara allo stesso tempo.
“Cos’è successo?” Kurt chiude la porta alle sue spalle e sbircia per un attimo verso le scale che portano al seminterrato.
“Santana sta piangendo da – più di un’ora. Brittany le ha mandato un sms in cui diceva che avrebbero dovuto smettere di vedersi, di sentirsi – tutto. Perché la situazione stava diventando troppo per lei. Ora, non so se conosci Brittany, ma questa non è una cosa da lei. Un messaggio non è suo se non è almeno vagamente sgrammaticato o ripieno di quelle faccette strane, questa non è Brittany. E Santana lo sa, lo sa benissimo, ma in questo momento non è in grado di capirlo e io non so che fare –“ Le ultime parole vengono soffocate dalle mani di Kurt, che si sfregano sul suo viso pallido e Blaine deve farsi violenza fisica per evitare di prenderle tra le proprie e stringerle.
“Posso parlarle?” Kurt scopre prima un occhio e poi l’altro, e a Blaine per un attimo sembra di affondare in quelle iridi azzurre e grigie come una tempesta.
 
*
 
“Ehi, San? C’è Blaine.” Santana sembra non vederli nemmeno. Ha gli occhi ancora più grandi e lucidi del solito, dietro tutte quelle lacrime, e delle scie nere e liquide le rigano le guance ambrate. Affonda un cucchiaio enorme nella vaschetta di gelato piena a metà poggiata in bilico sulle sue gambe scoperte dal vestito troppo corto, e una goccia di quello che sembra essere fiordilatte le scivola lungo la pelle olivastra e priva di imperfezioni delle cosce.
Sposta lo sguardo vacuo sullo schermo del pc abbandonato accanto a lei sul letto e sembra concentrare tutte le sue forze nel digitare poche lettere sulla tastiera, prima di riaffondare con la schiena nei cuscini appoggiati alla testiera e portarsi l’ennesima cucchiaiata di gelato alle labbra.
Kurt si passa la lingua sulle labbra e sospira un po’, avvicinandosi al letto ed accovacciandosi su un angolo; rimesta appena per terra, rinvenendo dal pavimento due microfoni un po’ ammaccati – di quelli che i bambini usano per giocare con quelle consolle che a Blaine sono sempre state antipatiche a pelle – e ne passa uno a Santana. Lei gli regala un sorriso piccolo minuscolo; si riavvia i capelli e impugna il microfono, premendo qualche tasto sulla tastiera.
Blaine fa appena in tempo a scorgere le labbra di Kurt mimare un veloce “Karaoke, quando è triste”, prima di perdersi nella sua voce – ed è in quell’esatto istante che comincia a chiedersi come abbia fatto a sopravvivere per sedici anni senza ascoltare Kurt cantare.
 
Guess it's true 
I'm not good at a one night stand 
But I still need love 
'Cause I'm just a man 

These nights never seem to 
Go to plan 
I don't want you to leave 
Will you hold my hand? 




E ciò che lo fa tremare più di qualsiasi altra cosa, ciò che gli aggroviglia lo stomaco e gli si arrampica nel petto e lo scuote è il fatto che Kurt lo stia fissando. I loro sguardi sono fusi insieme – come un tramonto che si specchia nell’azzurro profondo del mare – e sembra quasi che lui gli stia scavando dentro.
Afferra la mia mano.
 
Why am I so emotional? 
No, it's not a good look 
Need some self control 
And deep down, I know this never works 
But you can lay with me so it doesn't hurt 

Oh, won't you stay with me? 
'Cause you're all I need 
This ain't love, it's clear to see 
But darling, stay with me – 



La voce di Santana è leggermente più bassa – rauca, quasi. Per lo sforzo del pianto e delle lacrime. Finché non s’interrompe contro le sue stesse dita, quando cerca di reprimere un singhiozzo tra le pieghe delle mani.
“Ehi, San, no no no no, no, ti prego, no.” Kurt sembra volerla inglobare nel proprio abbraccio e per un attimo Blaine si sente di troppo – distoglie lo sguardo, fissando i riflessi vuoti della luce contro i vetri plastificati delle cornici.
 
“Sai Santana,” dice, ed improvvisamente i loro sguardi su di lui sembrano imbarazzarlo così tanto da costringerlo a mordicchiarsi le labbra e fissare un punto indefinito delle coperte spiegazzate. “Secondo me dovresti – sfogarti.” Santana lo guarda con gli occhi giganteschi e mormora “Come?”
“Quando ho scoperto di avere il cancro ho cominciato a – distruggere qualsiasi cosa mi capitasse tra le mani. Non ha aiutato molto, ma in quel momento era come se fosse l’unica cosa possibile. L’unico modo per non esplodere.” Kurt lo guarda – gli occhi socchiusi e le labbra pressate l’una contro l’altra – e sobbalza quando Santana  prende un cuscino dal letto, cominciando a colpirlo con pugni imprecisi e pieni di rabbia. Poi la guarda con un sorriso piccolo e dolce – che sa tanto di sei la mia famiglia, qualsiasi cosa accada – e le sfila gentilmente dalle mani il cuscino, aiutandola ad alzarsi sui suoi piedi scalzi.
Blaine li osserva in silenzio, mentre Kurt afferra una cornice autografata in basso a destra e gliela porge. “Prova con questa.” Santana lo guarda come se avesse appena affermato qualcosa di assolutamente ridicolo, ma quando lo vede sorriderle con un’aria tranquilla annuisce appena.
“Non toccare quelle sulla mensola più alta – per il resto puoi distruggere tutto ciò che vuoi.”
 
*
 
Blaine gli si avvicina nel frastuono di vetri che si infrangono e singhiozzi non più repressi e gli sussurra piano, vicino all’orecchio, “Il dolore esige di essere sentito.” Può giurare di aver visto una lacrima brillare all’angolo dell’occhio di Kurt.









Note finali:
Giusto due cosine, prima che mi dimentichi.

- Innanzitutto scusate per il ritardo *immenso*, ma non ho letteralmente avuto un attimo di tempo, tra settimana bianca e recupero di ore di sonno in arretrato. D: Sto rispondendo a tutte le recensioni, mi siete mancati da morire! **
- Penso che le citazioni del capitolo (Il libro che finisce --, "Il dolore esige di essere sentito", ...) siano abbastanza riconoscibili. Se avete dubbi (?) non esitate a chiedere. :3
- La canzone che Kurt e Santana cantano è la meravigliosa Stay With Me di Sam Smith - SENTITE, IO STO ASPETTANDO UN DUETTO KURTANA DA MILLENNI, SIGH.
- La Holliday. Vi prego, io *amo* Gwyneth, quel personaggio mi è entrato nel cuore. <3

Miiiiii sa che ci siamo.
Ora.
SPOILERISSIMO 605.
-
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NO MA GENTE IL BACIO NO MA COSA NON ERA UN BACIO ERA UN CONTROLLO ALLE TONSILLE RECIPROCO IO ANCORA NON CI CREDO ARIA HO BISOGNO DI ARIA SEND HELP QUI NON SOPRAVVIVO GENTE VENTI SECONDI IN GINOCCHIO A SLINGUARSI IS THIS THE REAL LIIIIIIIIFE?
Uhm.
Bene.
Questo è un assaggio di quello che sono io quando sclero. uwu

Me ne vado.

Buona serata e GRAZIE ancora a tutti voi!



 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Note Iniziali:
Dunque dunque dunque, rieccoci! I soliti *giganteschi* ringraziamenti a mia moglie Je, , Zurry, Anna_Vik, UnintendedMe e kissmycollarbones, che hanno trovato il tempo e la voglia di recensire il capitolo precedente. Io non ve lo dico abbastanza, ma siete davvero le persone più meravigliose che esistano. Vi voglio bene. <3
Questo capitolo è finora quello a cui sono più legata. Ci tengo *tantissimo* e ... be', più di ogni altra volta spero che vi piaccia.
Enjoy!


 
Capitolo 5




A: Kurt
Santana sta bene?
 
Da: Kurt
Più o meno. Ha svuotato la vaschetta di gelato prima di andarsene.
 
Da: Kurt
Posso chiederti una cosa?
 
Da: Kurt
Interpreterò il tuo silenzio stampa come un sì. Peter Van Houten non ha più scritto nulla riguardo Un’Imperiale Afflizione?
 
A: Kurt
Stavo cercando di infilarmi nel mio pigiama, eccomi.
 
A: Kurt
No, nulla. Ho provato a mandare lettere innumerevoli volte al suo indirizzo, ma non ha mai risposto.


 
Sono passati sette lunghissimi e noiosissimi giorni da quando ha scambiato quella manciata di messaggi con Kurt e lui non si è più fatto vivo in alcun modo. Nessuna telefonata, nessun sms, niente di niente di niente.
E sul serio, non è che Blaine si aspettasse chissà cosa, ma – niente?
La sua vita va avanti, comunque. Un po’ più grigia di quanto non lo fosse prima, ma va avanti – studia, incontra Sebastian e quello che sembra essere il suo ragazzo stabile, Thad, prende i farmaci e legge e rilegge 1984 e Un’Imperiale Afflizione finché non stropiccia le copertine di entrambi un po’ troppo.
E’ quasi tentato di chiamarlo con una scusa – “Devo restituirti il libro”, “Santana non era al gruppo di supporto, tu ne sai qualcosa?”, “Ho una nuova teoria sull’Olandese dei Tulipani e sul criceto di Anna” –, ma alla fine desiste perché – be’, lui è stato l’ultimo a cercarlo, quindi secondo le regole di questa sottospecie di relazione – lasciando da parte il fatto che A) non è che le conosca particolarmente bene e B) non è assolutamente sicuro di poter chiamare la loro una relazione – ora tocca a Kurt cercarlo.
Quindi aspetta.
 
Ovviamente, di tutti i momenti in cui avrebbe potuto mandargli un messaggio o chiamarlo, Kurt sceglie le otto di sera. Quando lui è a cena insieme ai suoi genitori e a Cooper. E naturalmente in casa sua vige la severissima regola del niente – cellulare – a – tavola.
La tasca dei pantaloni prende a vibrargli prepotentemente e ringrazia ogni divinità in cui non è neanche sicuro di credere per il fatto che i suoi genitori siano così immersi in una discussione apparentemente interminabile – su cosa, deve ancora capirlo – da non accorgersi del salto che ha appena fatto sulla sedia.
Cooper – che è momentaneamente tornato a casa dall’università e si sta godendo le coccole di due genitori iperprotettivi in astinenza da figlio primogenito – si blocca con la forchetta a mezz’aria e Blaine deve appellare ad ogni briciola del proprio autocontrollo per evitare di rinvenire il cellulare dai jeans e rispondere seduta stante alla chiamata; si costringe ad offrirgli un piccolo sorriso che spera con tutto il cuore essere innocente e prende ad ingurgitare quanto più cibo possibile ad ogni boccone.
Il cellulare smette di vibrare e sembra passare un’eternità da quel momento a quando il piatto davanti a lui è quasi completamente svuotato e può mormorare un piccolo “Non ho più fame” e svignarsela sotto lo sguardo sospettoso di Cooper.
 
Non ammetterebbe nemmeno tra un milione di anni ad aver sorriso come un idiota alle parole Chiamata persa da Kurt sullo schermo del cellulare, ma la verità non è che ha solo sorriso – ha anche sentito qualcosa di strano al livello dello stomaco e non ha assolutamente voglia di indagare su cosa sia quel qualcosa.
I suoi occhi vagano un po’ per la sala, finché non adocchia la portafinestra che si affaccia sul piccolo giardino degli Anderson; quando si ritrova nell’umidità frizzante della notte vorrebbe trascinarsi fino alla minuscola altalena che dondola dall’altra parte del prato, ma la verità è che è così stanco – o meglio, i suoi polmoni lo sono – che opta per sdraiarsi sull’erba fresca e cercare in tutti i modi di evitare di pensare a cosa diavolo significhi che è stanco. Ha semplicemente mangiato più in fretta del solito, non è –
“Blaine Anderson.” Si ritrova a sorridere al cielo stellato e a rabbrividire appena – per il freddo o per la voce di Kurt, preferisce non chiederselo.
“Ehi.”
“So di essere stato un tale maleducato a non richiamare per gli scorsi sei giorni e ventidue ore – se ti può far star meglio, sappi che avrei voluto trascorrere ogni minuto del mio tempo con l’orecchio incollato al cellulare ad ascoltare le tue congetture su Un’Imperiale Afflizione, ma avevo bisogno di farmi una mia idea riguardo tutto quanto. Non so se mi spiego.” Blaine è abbastanza sicuro di aver appena sentito per l’ennesima volta qualcosa ingarbugliarsi nel proprio stomaco, ma tant’è.
“Credo di capire; e la tue idea è …?” Sente Kurt sospirare appena contro il microfono.
“E’ come si mi avessi regalato – qualcosa di importante.”
 
Stare in silenzio con Kurt non è come stare in silenzio con chiunque altro. Non è una pausa da riempire con parole inutili, non è qualcosa di scomodo o imbarazzante o spiacevole. A Blaine piace restare zitto ad ascoltarlo respirare e a metabolizzare, il labbro inferiore intrappolato dagli incisivi e gli occhi pieni della luce delle stelle.
“Ehi, sei lì?” Blaine respira un po’ – si rifiuta categoricamente di pensare che anche quella piccola azione si stia rivelando più difficile del possibile – e ridacchia.
“Sì. Sì, sono qui.”
“Hai detto che Peter Van Houten è completamente irraggiungibile, non è vero?” Le sopracciglia vagamente triangolari di Blaine si accartocciano appena sulla sua fronte.
“Mmh. Io ho – ho provato a scrivergli, te l’ho detto, ma –“
“Isolato dal mondo.”
“Sì … Kurt, ma cosa—?”
“Un eremita, praticamente.”
“Non capisco –“
“Gentile signor Kurt Hummel, sono stato affabilmente sorpreso dalla sua mail fattami pervenire dalla mia segretaria Lidewij Vliegenthart. E’ così singolare trovare un adolescente che in questo secolo di emozioni digitalizzate e distrazioni in sequenze di 0 e 1 trascorra il proprio tempo a leggere il mio libriccino, preoccupandosi anche di ingegnarsi per riferirmi che per lui ‘ha significato tanto’ –“
“Kurt –“ Blaine è piuttosto certo di aver perso una grandissima quantità di battiti cardiaci tutti in una volta non ha praticamente più un briciolo di ossigeno nei polmoni.
“Ha una segretaria, ho trovato il suo indirizzo e-mail e le ho scritto, chiedendole se potesse far arrivare le mie parole a Van Houten. Ti prego, non avere un attacco di panico.” Tutta l’aria che Blaine sta trattenendo esce fuori assieme ad un rantolo che assomiglia vagamente ad una risata, e tutto ciò che è in grado di dire è un piccolo “Okay – okay, continua.” Sente Kurt sorridere contro lo schermo del cellulare.
“Dov’ero—? Oh, sì, ‘ha significato tanto’. Ma cosa significa, ‘significare tanto’, signor Hummel? Quanto può effettivamente ‘significare’ uno sforzo umano, di fronte alla maestosità ed all’immensità dell’Universo? Io credo, signor Hummel, che le nostre futili preoccupazioni e i nostri effimeri traguardi non siano altro che briciole, in realtà.
“Nonostante questo non posso fare a meno di mostrarle la mia gratitudine per il suo apprezzamento e il mio dispiacere per doverle rispondere negativamente. No, non ho più scritto né scriverò qualcosa in merito a Un’Imperiale Afflizione. Non credo che possa essere in qualche modo utile per me né per i miei personaggi. Spero che lei capisca,
Peter Van Houten per via Lidewij Vliegenthart.”
Rimangono in silenzio a lungo, poi. Finché Blaine non esala un piccolo sospiro e gli chiede a bassa voce “Non te lo sei inventato, vero? Perché credo di essere sul punto di svenire e – insomma, vorrei svenire per qualcosa di degno, non per uno scherzo –“
“Blaine.” Chiude gli occhi – non si abituerà mai alla sensazione del proprio nome sulle labbra di Kurt.
“Mmh?”
“Non potrei mai farti uno scherzo del genere. E poi seriamente, credi che uno come me sarebbe capace di inventare qualcosa come ‘emozioni digitalizzate’?” Blaine ridacchia sommessamente e solleva lentamente le palpebre.
“Posso – potrei –“
“Ti mando l’indirizzo e-mail per sms appena metti giù il cellulare,” dice lui, come se non gli stesse facendo il regalo più bello del mondo.
“Grazie.”
 
*
 
Blaine trascorre le due ore successive incollato alla tastiera del proprio pc, a digitare e digitare e digitare, finché non sente le dita indolenzite dal troppo scrivere e si stiracchia mollemente contro i cuscini del proprio letto. Lancia un’ultima occhiata allo schermo baluginante del portatile abbandonato sul suo grembo ed arriccia appena il naso, afferrando il cellulare dal comodino.
 
*
 
La reazione di Kurt all'e-mail scritta da Blaine a Van Houten è uno "wow" sussurrato – la voce soffice ed amplificata dal silenzio in cui sono immersi – e Blaine si ritrova a sorridere stupidamente alla parete dipinta di verde della propria camera. Incastra il cellulare tra orecchio e spalla e preme velocemente un paio di tasti sul portatile, prima di spegnerlo ed appoggiarlo sul comodino.
"Inviata. Credi che troverà tutto questo – infantile?" Sente Kurt sbuffare e può quasi vedere il suo sguardo alzarsi al cielo davanti a sé.
"Blaine Anderson. Dovresti seriamente iniziare a considerare l'idea di farti iniettare anche una generosa dose di autostima, insieme al tuo miracoloso farmaco anti-cancro." Blaine ridacchia e si sistema meglio contro la testiera del letto – i cuscini si afflosciano sotto il suo peso e per un attimo, solo per un attimo, si concede di abbandonarsi al pensiero delle braccia di Kurt che lo avvolgono, strette e morbide come gli strati di piume in cui è immerso.
"Non penso che sia qualcosa che ti possono regalare, sai? O ce l'hai o no."
"Mi permetto di dissentire." Blaine inarca un sopracciglio.
"E sentiamo, dove potrei trovare confezioni di autostima? O forse si vende in pillole? Aspetta! In bustine, non è vero?" Lo scampanellio della risata di Kurt risuona nel suo orecchio, e a quel punto Blaine è praticamente sicuro che potrebbe trascorrere un'intera esistenza ad ascoltare Kurt ridere e non stancarsi mai.
"L'autostima si trova in un sorriso, Blaine o in un "ehi, oggi stai proprio bene". Nei complimenti sinceri. Nei baci." Blaine trattiene appena il fiato, prima di ripetere "Nei baci?" facendolo sembrare una sorta di domanda.
"Nei baci," continua Kurt. "Nei bei baci, quelli che ti tolgono il fiato e ti fanno capire di essere davvero importante per qualcuno."
Blaine perde il conto di quanti secondi passano da quell'istante a quando la propria bocca si apre da sola e tra tutte le domande idiote che avrebbe potuto fare, decide di chiedere "Qual è stato il tuo ultimo bel bacio?"
Per un indeterminato periodo di tempo percepisce solo il respiro di Kurt sfiorargli il timpano, ed è quasi tentato di dirgli di ignorarlo perché evidentemente in sedici anni e mezzo di vita non ha ancora capito quando è meglio tacere, piuttosto che vomitare frasi inopportune al momento sbagliato, ma poi Kurt risponde e okay, forse non era una domanda così idiota.
"Meno di un anno fa, col mio ex-ragazzo." E Blaine lo sa, lo sa che è totalmente inopportuno che il suo cuore si stringa in una morsa a queste parole, ma non può farne a meno, e comunque quella è ufficialmente la serata delle cose inopportune, quindi decide di accantonare i propri sensi di colpa in qualche angolo remoto del cervello.
Deve essere rimasto in silenzio per troppo tempo, perché è di nuovo Kurt a parlare. "E il tuo?" Non ha nemmeno bisogno di pensarci due volte, prima di rispondere "Ad occhio e croce direi mai."
Kurt sbuffa – l'ombra di un sorriso nella voce. "Vedi? Forse è proprio per questo che la tua autostima sembra essersi sepolta sotto un mucchio di 'se', 'ma' e 'forse'."
 
*
 
Continuano a parlare per quello che sembra un battito di ciglia – ma che in realtà si rivela essere un'eternità, perché è l'una di notte e stanno ancora discutendo su quale potrebbe essere la fine del criceto Sisyphus dopo la morte di Anna e Blaine sta decisamente cominciando a sentire il sonno pesargli sulle palpebre.
“Amerei continuare a parlare con te per tutta la notte, lo sai, ma domani mattina devo andare a trovare Santana in ospedale, prima che la operino, e sto per addormentarmi con il cellulare incollato alla faccia.” Blaine ridacchia e si stropiccia gli occhi con la mano chiusa a pugno.
“Certo, ci risentiamo domani.”
C’è un breve attimo di silenzio, prima che sussurri “Okay”, sorridendo contro lo schermo del cellulare. Sente Kurt trattenere il respiro per un momento.
“Okay,” sussurra. Blaine diventa improvvisamente un po’ più attento – il sonno che si volatilizza dalle sue palpebre. In quell’istante – in quei secondi che si dilatano fino a sembrare minuti e poi ore intere – non c’è Kurt nella sua camera e non c’è Blaine steso sul proprio letto. Ci sono loro due e basta, come se fossero in una dimensione parallela e tutta loro – che basta respirare un po’ più forte e non c’è più niente.
Ma lì, in silenzio, al buio, l’uno in compagnia della presenza dell’altro, Kurt e Blaine decidono che non importa se devono respirare piano, non importa se non devono farlo affatto, vogliono solo esserci.
“Okay,” ripete Blaine, prima di serrare le palpebre e sorridere alle luci delle stelle.
“Forse Okay sarà il nostro per sempre,” mormora Kurt dopo quella che sembra un’eternità.
Alla fine è lui a riappendere – a spezzare quella dimensione che è solo loro –, ma quel sorriso non abbandona le loro labbra fino alle prime luci del mattino.








Note finali:
Okay?
Okay.
...
Uhm. Diciamo che è una delle mie parti preferite di *tutto* il libro, quindi sono particolarmente in ansia per come possiate averla accolta in versione Klaine. ;;
Ricordatevi sempre che io vi voglio tanto bene. uwu
Ora, le cose sensate: la parte della mail di Van Houten è piena di riferimenti al libro - ve ne accorgerete sicuramente se avete letto entrambi. Ho sempre adorato questa parte del libro e mi è sembrato doveroso fare qualche collegamento (?).
Poi, well, non c'è molto da aggiungere. Cooper: lo rivedremo sicuramente. Chi mi conosce sa quanto amo quel personaggio, quindi ... Ci sarà.
Spero davvero che in generale vi piaccia come capitolo, non avete idea di quanto in realtà io sia in ansia. :')

Piiiiccolo spam - ci sto prendendo gusto, ssssh. uwu
Correte a leggere: la OS che Ambros ha pubblicato stanotte - stamattina? - qui.
Eeeee la OneShottona di Ari del BigBang, Any Other World. *-* (Potrei star aspettando questa FF da mesi. Ssssh.)

Per il resto mi trovate nella mia Pagina Facebook o su Ask, per qualsiasi domanda/chiarimento/sclero. ;w;







 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Note Iniziali:
Hi guys! *-* Soliti ringraziamenti alle personcine meravigliose che leggono, seguono, preferiscono o recensiscono questa storia, in particolare a mia moglie Je - se non leggete le sue storie vi disconosco -, Paola (<3), alli, Anna_Vik, Zurry, UnintendedMe, e kissmycollarbones - e un grazie anche a chione_91 che addirittura mi ha cercata per mp. Questa storia ha quasi raggiunto quaranta recensioni e io so perfettamente che non si riduce tutto a quello, sono la prima a ripeterlo sempre, ma nessuna delle mie storie aveva raggiunto un traguardo del genere prima e mi sento così fortunata ed amata che -- wow. Grazie, il vostro supporto è meraviglioso tanto quanto lo siete voi. <3
Enjoy!


 
Capitolo 6




Kurt gli manda un messaggio il giorno dopo, e apparentemente “Tutto è andato bene, Santana è NEC.” A Blaine bastano pochi istanti e una carrellata di esperienza in campo tumori, per ricordare che NEC significa Nessuna Evidenza Cancro.
E pochi istanti è esattamente la quantità di tempo necessaria per sentire il cellulare vibrargli di nuovo tra le mani.
 

Da: Kurt
Cioè, è cieca. Il che fa schifo. Ma ora sta – bene.

 
Il pomeriggio stesso Blaine decide di andare a trovare Santana. Non lo sente come se fosse un obbligo, semplicemente – se lo sente. E c’è qualcosa di tremende sbagliato nel vederla completamente inerme sul lettino della sua stanza d’ospedale, le gambe lunghe avvolte da una coperta verdina e leggera e le braccia color caffellatte strette attorno al petto quasi a dire non vi avvicinate, lasciatemi qui da sola.
Blaine arriccia le dita sull’orlo del proprio maglioncino, prima di decidersi a bussare cautamente contro il legno verniciato della porta. Santana si muove a disagio con la testa – una benda le cinge la parte superiore del viso scompare sotto i suoi capelli mori e lunghissimi, sparsi e disordinati sul cuscino. “Chi è?” chiede, e le garze bianche scivolano sulla sua pelle.
“Sono Blaine, sono venuto – volevo salutarti. E chiederti come stai.” Le labbra della ragazza si stirano in un piccolo sorriso e per un attimo a Blaine sembra di cogliere l’ombra della Santana che era solito salutare con un pizzico di timidezza nel Cuore Letterale di Gesù.
“Ehi, entra pure.” Blaine inclina il carrellino e avanza di qualche passo, sedendosi su una minuscola poltroncina accostata al lettino. Esita un istante, ma poi poggia una mano sulle dita fredde di Santana – forse è la prima volta in vita sua che vede le sue unghie mangiucchiate, lo smalto sfregiato da crepe in più punti.
“I dottori dicono che ora che non ci vedo devo cominciare ad allenare gli altri quattro sensi che mi rimangono, e visto che di sicuro non posso prenderti a morsi e la tua voce e il tuo profumo sono già particolarmente inconfondibili, direi che posso cominciare ad imprimere i tuoi lineamenti nel cervello attraverso il tatto, no?” borbotta le ultime parole con un tono più cupo, imitando quello che probabilmente deve essere il ritornello preferito del suo medico. Quello dello specialista di Blaine era “Ricordati che devi respirare” e onestamente non ha idea di quale sia il più squallido tra i due.
“Certo,” ridacchia. “Vieni qua.” Le stringe le mani e le porta al proprio viso, sentendo la consistenza leggera dei suoi polpastrelli contro le tempie. Chiude gli occhi e lascia che Santana lo accarezzi – le dita che si muovono rapide lungo il profilo del naso, la curva degli zigomi e quella della mascella –, fin quando lei non si allontana e si fa triste – i lineamenti del volto che s’incurvano in una smorfia malinconica.
“E’ normale che io pensi ancora a lei? Che – dopo tutto questo, il mio primo pensiero sia Britt?” Blaine trattiene il respiro per un attimo e ripensa a Kurt. Ripensa al suo sorriso sbilenco e alla sua camminata ciondolante, ripensa alla sua stupida paura dell’oblio e al suo amore spassionato per Hugh Dancy, ripensa alle fotografie distrutte assieme alle loro cornici e alla sua voce che di umano ha poco – o forse niente.
Ripensa a lui e realizza che no, non è poi così strano che Santana pensi a Brittany in una situazione del genere. Perché è sicuro con una certezza matematica che lui starebbe pensando a Kurt – e al fatto che non sarebbe più stato in grado di perdersi nei suoi grandi occhi azzurri.
“Io – io credo di sì,” soffia, la voce sottile come a confessare il più profondo dei segreti. E forse lo sta facendo davvero.
 
*
 
Il giorno dopo Peter Van Houten ha risposto e Blaine per poco non rovescia la gigantesca tazza di caffè che ha in mano nell’accorgersene. Apre l’e-mail sommerso da un misto di agitazione, nervosismo ed esaltazione più totale ed insulta all’incirca una decina di volte la lentezza disarmante del proprio pc – che più che un computer sembra una tartaruga in sovrappeso.
Quasi lancia un urlo, quando la schermata si apre.

 
Da: LidewijVliegenthart@gmail.com

Oggetto: Risposta all’e-mail indirizzata a Peter Van Houten

Gentilissimo signor Blaine Anderson,
non sono affatto dispiaciuto dalla libertà che il signor Kurt Hummel si è preso di condividere con lei l’indirizzo e-mail della mia segretaria, e non le nascondo di sentirmi particolarmente compiaciuto dai complimenti da lei espressi riguardo la mia piccola opera.
Purtroppo, come ho già riferito al suo amico, non scriverò più nulla in merito e sì, questo implica che non potrò rispondere alle sue domande in quanto ciò implicherebbe scrivere qualcosa in merito ed equivarrebbe ad un seguito – non so se mi spiego. Certo, potrei chiamarla, ma chi mi garantirebbe che lei intanto non stia registrando la nostra conversazione? Non è che non mi fidi di lei, signor Anderson, ma la verità è che non mi fido di lei.
Magari se le capitasse di trovarsi qui ad Amsterdam me lo faccia sapere, sarei più che felice di condividere di persona con lei i miei pensieri sul mio libriccino.
Cordiali saluti,
Peter Van Houten per via Lidewij Vliegenthart.

 
“OH MIO DIO, MAMMA!” Blaine ha una mano incastrata nella zazzera bruna di ricci e l’altra davanti alle labbra spalancate. “MAMMA, VIENI QUA SUBITO!” Pam sembra una sottospecie di tornado, quando spalanca la porta della sua cameretta e si precipita dentro.
“Blaine, oh Dio, Blaine stai bene? E’ tutto a posto, tesoro?”
“Mamma, Peter Van Houten mi ha appena invitato ad Amsterdam, ha risposto alla mia e-mail – Mamma, Amsterdam! Possiamo andarci, non è vero?”
Pam lo scruta per un attimo con gli occhi spalancati e Blaine è più che sicuro che se non fosse per tutta l’adrenalina che gli scorre in corpo in quell’istante, si sentirebbe di nuovo come quel maledetto foglio di carta tagliato male che ferisce i polpastrelli di chiunque lo prenda in mano.
“Tesoro, non possiamo; la nostra disponibilità economica al momento è – limitata. C’è l’università di Cooper e le spese della casa e –“ Blaine lo sa, sa che sua madre non gli rinfaccerebbe mai il fatto che debbano spendere quasi la metà dei loro risparmi per il suo dannato cancro, e sa anche che quello è il motivo principale per cui non andrà mai ad Amsterdam. Quindi la interrompe con un sussurro – “Non fa niente. Sarebbe stato impossibile lo stesso.” – e sorride appena – un sorriso che non arriva nemmeno a sfiorargli gli occhi.

 
*
 
Kurt lo chiama quel pomeriggio – e forse l’unico modo per non pensare è svuotare tutto quello che ha dentro nel microfono del proprio cellulare, quindi Blaine lo fa. Inizia a parlare e non smette più, finché non è Kurt ad interromperlo con un “Ehi, ehi, ehi, va tutto bene” e in quel momento, solo in quel momento si ricorda che sì, ha due polmoni che fanno schifo, ma non respirare per niente non è un’alternativa, quindi prende una boccata profonda d’ossigeno e si zittisce, aspettando parole che non arrivano.
“Mi dispiace – ho esagerato.” Kurt ridacchia dall’altra parte della cornetta.
“No, non hai esagerato, io ti capisco.” Blaine chiude gli occhi e si sistema meglio a sedere sull’altalena cigolante – è tornato nel suo parco. Ora, definirlo “suo” è esagerato, probabilmente – per non parlare del fatto che definire “parco” un fazzoletto di terra e due altalene è molto più che esagerato ­–, ma tant’è.
“Il fatto è che ci tenevo tanto, capisci? E non ho più nemmeno il mio Desiderio.” E’abbastanza sicuro di sembrare un bambino piccolo e capriccioso a quel punto, ma non ne può proprio fare a meno. Il Desiderio è quel regalo che la Fondazione del Genio – un’associazione per giovani malati di cancro – mette a disposizione ad ogni ragazzo o ragazza ne richieda uno, e consiste nel concederti praticamente qualsiasi cosa sia anche solo vagamente realizzabile. Il problema è che Blaine ha già sprecato il proprio desiderio. E sì, non si sentirebbe proprio di dirlo in qualche altro modo, perché non si perdonerà mai di averlo buttato in –
“Aspetta!” esclama Kurt. “Non dirmelo. Non è possibile. Non è possibile che il ragazzo per cui ho un’infatuazione abbia realmente espresso il Desiderio di andare a Disney World.” Blaine cerca di sembrare il più rilassato possibile mentre ride ad alta voce e borbotta “Colpito”, ma la verità è che il suo cervello non fa altro che ripetere incessantemente infatuazione infatuazione infatuazione infatuazione infatuazione, come se fosse una sorta di CD rotto.
“Blaine Anderson. Non è possibile.”
“Kurt, avevo tredici anni.”
“Non è una buona giustificazione.”
“Ma è stato divertentissimo! Ho anche l’autografo di Topolino.”
“Oh, mio Dio.” A quel punto stanno ridendo entrambi così forte che non si capisce dove termini la risata di uno e dove inizi quella dell’altro.
 
*
 
“Ehi fratellino, ti va di parlare?” Blaine alza gli occhi da 1984 – potrebbe essere la terza volta che lo rilegge, ma tant’è. In questo momento ha problemi più grandi da affrontare, come il fatto che suo fratello gli chieda se ha voglia di parlare, che non è mai buon segno.
“Uhm – certo, vieni pure.” Si raddrizza a sedere sul letto e gli fa spazio sulle coperte spiegazzate, su cui Cooper atterra con un tonfo sordo. “C’è qualcosa di particolare di cui vorresti parlarmi?” Blaine solleva le sopracciglia e risponde “In realtà me l’hai chiesto tu. Pensavo – insomma, pensavo che tu avessi qualcosa da dirmi, no?” La verità è che Cooper l’ha sempre messo in soggezione. Non ha idea del perché: è suo fratello e sa perfettamente che si vogliono tanto bene, ma l’ha sempre visto come il fratello maggiore, quello perfetto da imitare in tutto e per tutto, e quando il cancro lo ha inghiottito si è ritrovato a non avere più la possibilità di assomigliargli in nessun modo, lasciandolo solo nella convinzione di essergli inferiore.
A quel punto Cooper si rilassa e si siede a gambe incrociate sul letto, ridacchiando appena. “Davvero Blainey non c’è nessuno di cui mi vorresti parlare?” E – okay, le guance di Blaine potrebbero aver assunto ogni sfumatura possibile della tonalità del rosso, ma questo non significa che abbia intenzione di aprir bocca riguardo Kurt. Assolutamente.
“Non so di cosa tu stia parlando.”
“Oh, davvero?” lo punzecchia Cooper.
“Mmmh.” Improvvisamente 1984 sembra anche più interessante di quanto già non lo fosse prima e Blaine infila letteralmente il naso tra le sue pagine. Cooper sembra essersi calmato; i successivi dodici secondi di silenzio sono tra i più lunghi ed imbarazzanti di tutta la propria esistenza, ma Blaine resiste stoicamente e non alza le palpebre dal libro.
“Okay, se non vuoi dirmi il suo nome va bene. Lo capisco. Ma sappi che chiunque sia il fortunato io sono dalla tua parte, va bene?” Solleva lo sguardo e trova gli occhi azzurri di Cooper fissi nei propri, pieni di qualcosa che non riesce a classificare se non come affetto; non è nemmeno sicuro di averlo propriamente deciso, quando stringe tra le dita il polso di suo fratello un attimo prima che si alzi in piedi. Cooper lo guarda con un’aria interrogativa e Blaine prende una boccata d’ossigeno gigantesca, prima di esalare una manciata di parole, “Kurt. Si – si chiama Kurt.” Il sorriso di Cooper è semplicemente smagliante, mentre si alza definitivamente e gli scompiglia i riccioli mori con una mano troppo grande.
“E bravo il mio fratellino,” dice ridacchiando.
“Idiota,” borbotta Blaine nascondendo a malapena un sorriso.

 
*
 
Da: Kurt
Sei a casa?
 
A: Kurt
In realtà no.
 
Da: Kurt
Domanda trabocchetto. So che non ci sei perché a casa tua ci sono io.
 
A: Kurt
Questa cosa è un po’ inquietante. Sto tornando, comunque.

 
*
 
“Blaine Anderson, ti andrebbe di fare un pic-nic?” Blaine lo guarda e pensa che in tutta la sua vita non ha mai incontrato una persona tanto singolare quanto lo è Kurt Hummel. Se ne sta seduto sui gradini del portico della villetta Anderson, le gambe piegate e un mazzo di tulipani arancioni poggiati su di esse, un sorriso sbarazzino sulle labbra e i capelli quasi biondi sotto la luce del sole disordinati sulla fronte. Cooper tossicchia e scompare in casa con un allusivo “A dopo, divertitevi!”, e Blaine non ha mai desiderato così tanto di essere figlio unico come in quel momento.
“Kurt, perché indossi una maglietta di Jan Smit?” Kurt lo guarda con quell’espressione così da Kurt che Blaine quasi si spaventa per essere riuscito ad identificarla in quel modo nel giro di una frazione di secondo, ma non fa in tempo a dire nulla perché dal portone sbuca un’affannata Pam coi capelli scompigliati e l’aria vagamente sorpresa.
“Che piacere vederti, Kurt! Vuoi entrare a bere qualcosa? Un caffè? Tè?” Il ragazzo sorride e si alza in piedi, raggiungendo Blaine. “Grazie signora Anderson, ma sono passato solo per rapire Blaine per un paio d’ore – naturalmente se lei e il signor Anderson mi date l’okay per andare.” Pam lo scruta per un attimo, il viso contratto in una smorfia divertita, prima di esclamare “Ma certo! Non c’è nessun problema – Jan Smit! Kurt, sei un fan di Jan Smit?”
“Trovo che le sue canzoni siano meravigliose, signora Anderson.” Pam sta letteralmente per saltellare.
“Lo so, non è vero? Blaine e Cooper mi dicono continuamente che la musica olandese è noiosa, ma secondo me non hanno idea di quello che dicono.” Kurt percepisce distintamente Blaine trattenere il fiato accanto a lui e ridacchia; “Decisamente.”
 
*
 
Kurt offre i tulipani a Blaine e lui stringe il mazzo tra le dita per un attimo, concentrato, prima di mormorare un “torno subito” a mezza voce e scomparire dentro la porta di casa.
Una volta in camera li osserva e li appoggia ai piedi del letto – tutto quell’arancione sembra risucchiare ogni altro colore nella stanza –; si guarda per un attimo allo specchio, inclina il carrellino e torna da Kurt.
 
*
 
“Quindi, dove andiamo?”
“Non pensavo conoscessi Jan Smit. Questo rende tutto più semplice.” Blaine alza gli occhi al cielo teatralmente, perché ormai è così, Kurt è imprevedibile e lo sorprende sempre – eppure ha imparato che adora questo lato di lui. Adora ogni lato di lui.
“Quando hai una madre che ha una cotta imbarazzante per lui, lo conosci sicuramente. Ormai so le sue canzoni a memoria per inerzia – aspetta, che cosa significa più semplice?” La macchina sobbalza sotto di loro e la bombola d’ossigeno di Blaine trema contro le sue gambe.
“Oh, Blaine. Devi scoprirlo da solo,” Kurt arriccia il naso e sposta momentaneamente la mano destra dal volante – tanto peggio di così non potrebbe guidare comunque – per afferrare il pacchetto di sigarette abbandonato nel portaoggetti ed infilarsene una in bocca.
Blaine inclina appena il viso e s’incupisce. “Non mi hai detto dove andiamo.”
“Scoprirai anche questo.”
 
*
 
“Questa, Blaine Anderson, è la scultura più bella dell’intero Ohio.” Blaine osserva l’opera d’arte con gli occhi socchiusi dai raggi del sole – “Ossa Funky, di Joep Van Lieshout”, recita la targa ferrea appoggiata al terreno – e schiude appena le labbra come per dire qualcosa di importante, ma poi le parole gli si incastrano in gola e resta in silenzio a contemplarla.
Non è niente di particolarmente meraviglioso, in realtà: sono solo ossa gigantesche che sbucano dal terreno e si innalzano per quasi due metri, alte e imponenti e allo stesso tempo schiacciate al terreno, a formare una sorta di scheletro umano in scala macroscopica. Ci sono bambini che saltano da una costola all’altra e due ragazze che chiacchierano con le schiene poggiate contro il femore destro, e a Blaine viene quasi da ridere, perché vive a Lima da una vita e conosce l’esistenza di quel parco soltanto perché una volta Sebastian gli ha raccontato di esserci uscito col suo ragazzo-del-mese.
“Quindi …?” La domanda di Kurt resta sospesa tra di loro come una bolla di sapone nella brezza primaverile.
“Mi piace.” Le sue labbra si aprono in un sorriso e Blaine sente le proprie imitarle.
“Non potevo sperare in una risposta migliore di questa.” Blaine si ritrova a chiedersi come ha fatto a non accorgersi del fatto che negli occhi di Kurt si cela l’infinito.
 
*
 
Stanno mangiucchiando dei sandwich vagamente insipidi sotto un sole vagamente bruciante, ma nessuno dei due sembra veramente farci caso, quando è in compagnia dell’altro; Blaine getta la testa all’indietro e ride alla battuta di Kurt, il viso che gli si contrae in tante piccole pieghe bellissime, e Kurt trattiene il respiro, un sorriso magnifico impresso a fuoco sulle labbra e gli occhi spalancati a catturare ogni sfaccettatura di quel momento che sembra perfetto in tutta la sua imperfezione.
“Aspetta – Aspetta un attimo.” Blaine sembra essere tornato serio, come se tutto nel suo cervello avesse assunto più chiarezza tutto in una volta. “Kurt –“ Lo sguardo nei suoi occhi è a metà tra l’incredulo e l’impaurito. “Tutto quello che hai fatto oggi – ha uno scopo, non è vero? Voglio dire – I tulipani arancioni, Jan Smit che è un cantante olandese, la – la scultura e il fatto che l’artista sia olandese e ora il formaggio olandese nei sandwich.” Si ferma un attimo semplicemente a respirare, gli occhi chiusi e la paura che sia tutta una sua stupida supposizione. “Okay – te lo chiederò perché ho paura che dire quello che sto pensando ad alta voce significherebbe renderlo reale e non so se ho voglia di rimanere ferito un’altra volta, quindi sì – Kurt. Stai cercando di dirmi qualcosa o sono io che sto iniziando a mostrare segni di demenza senile precoce? Ti prego ti prego ti prego, non pensare che io sia pazzo.
Kurt lo osserva divertito, le labbra impercettibilmente piegate all’insù e gli occhi colmi di qualcosa di nuovo; “Sapevo che avresti indovinato,” sussurra, prima di sedersi meglio e poggiare ciò che è rimasto del suo sandwich sulla tovaglia a quadri bianchi ed arancioni che hanno steso sull’erba verde e frizzante.
“Sai Blaine, non tutti decidono di chiedere Disney World come Desiderio ai Geni della Fabbrica dei Desideri. Alcuni lo fanno, certo, e decidono di collezionare autografi di Paperino –“
“Veramente era Topolino –“
“Non interrompermi che poi perdo il filo.” Blaine ridacchia, lacrime di felicità che già pizzicano agli angoli dei suoi occhi. “Dicevo, alcuni preferiscono gli autografi di Topolino, altri invece decidono di tenersi stretto il Desiderio finché non vogliono usarlo per qualcosa di importante.” Kurt sposta lo sguardo verso gli alberi secolari del parco e prende un respiro profondo, prima di specchiare i propri occhi in quelli lucidi e spalancati di Blaine.
“Dicono che Amsterdam sia meravigliosa a inizio maggio, sai?”
“Kurt, tu stai scherzando –“ E Blaine non vorrebbe piangere, non lo vuole davvero, ma è più forte di lui e un singhiozzo sfugge alla costrizione delle sue labbra pressate insieme.
Kurt scuote la testa e si chiede com’è possibile che una creatura così bella – così meravigliosa anche quando ha il volto rigato di lacrime – si sia potuta trovare nelle sue mani. Non se lo sa spiegare, ma decide che vuole stringerla tra le dita finché può – finché l’oblio non inghiottirà tutto.











Note Finali:
Ma salve! *-*
Non credo di aver nulla di particolare da dire riguardo questo capitolo, se non che finora è stato il più complesso da scrivere. Non ho idea del perché, anche adesso non sono completamente sicura di ciò che è uscito fuori. ;-;
Di una cosa sono sicura: più vado avanti a scrivere e più questo Blaine diventa me. Questa sta pian piano diventando la fanfiction a cui sono più legata proprio a livello di affetto, quindi non vi potete rendere conto di quanto mi rendete felice con le vostre visite/recensioni/commenti privati e quant'altro. <3
Un paio di comunicazioni di servizio: 
- In settimana arriva il prologo della minilong del Glee Big Bang Italia, so stay tuned! :3
- Se tutto va bene pubblicherò anche un'OS per la Klaine Wedding Challenge perché OMG I MIEI BAMBINI SI SPOSANO CAPITE SI SPOSANO -
Sì, okay.
Buon finesettimana! Un abbraccio,

- Elena









 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Note iniziali e bla bla bla :')
Voi non potete capire quanto mi dispiaccia di non aver postato la scorsa settimana. Purtroppo il mio pc mi ha molto adorabilmente cancellato metà capitolo e ho dovuto riscriverlo. ;-; Perdonatemi!
As always, un grazie GIGANTESCO a chione_91, Anna_Vik, mia moglie Je **, Zurry, Paola, Fede e kissmycollarbones per aver recensito lo scorso capitolo. Io wow. Solo wow.
E grazie anche a chi legge silenziosamente. Seriamente, siete tantissimi e io vi voglio davvero tanto tanto bene. <3
Enjoy!


 
Capitolo 7




Quando mette piede dentro casa – incespicando nel frattempo col carrellino – Blaine ha voglia di urlare. Ha voglia di ridere e collassare sul proprio letto e coprirsi gli occhi col palmo della mano mentre ripensa a quello che probabilmente è stato il miglior pomeriggio della sua vita.
Ed questa è esattamente la sequenza delle azioni che avrebbe intenzione di compiere, se non fosse per sua madre che lo placca – letteralmente – all’ingresso, puntandogli un dito contro – sta sempre più cominciando a capire da dove Cooper abbia preso questa abitudine – con un sorriso gigantesco spiegato sulle labbra.
“Raccontami tutto.” Blaine sbatte la porta contro lo stipite ridacchiando.
“Oh mio Dio, mamma –“
“Non dire Oh mio Dio, mamma a me, Blaine.” E lui vorrebbe davvero, davvero alzare gli occhi al cielo e fuggire in camera come un qualsiasi adolescente comune, ma ha quel tipo di felicità che gli preme contro le pareti del cuore per uscirne e non ha idea di come andare avanti senza esplodere, quindi mormora va bene ed inclina il carrellino, avviandosi verso la cucina.
 
*
 
C’è stato un momento in cui ha seriamente pensato che non sarebbe andato ad Amsterdam. Non perché gli piace essere pessimista – a Blaine piace essere razionale, ha imparato che è l’unico modo per sopravvivere a una disgrazia come il cancro –, ma perché Pam ha reagito diversamente da quel che si aspettava al suo “Kurt ha deciso di condividere il suo Desiderio con me, andremo ad Amsterdam da Van Houten!”
O meglio, non ha reagito. Ha semplicemente scosso la testa mormorando un “E’ troppo da accettare, Blaine – Lui è uno sconosciuto per noi, non – non possiamo.”
Non è stato particolarmente difficile convincerla, in realtà, ma in quel momento Blaine ha letteralmente sentito l’aria smaterializzarsi dai suoi polmoni. Alla fine è bastato il successivo fiume di parole a convincerla – c’è la possibilità di far venire un adulto con noi e puoi venire tu! Lui è praticamente maggiorenne e i suoi genitori non hanno problemi a lasciarlo andare. Papà non si sentirà solo, qui c’è Cooper e scommetto che non vedono l’ora di trascorrere tre giorni mangiando pizza d’asporto e lasciando i cartoni sul tavolino del salotto. Ti prego, ti prego ti prego.
E ora – Be’, Blaine ha il fiatone quando si ritrova ad incollare il cellulare all’orecchio e a rispondere al “Ciao” di Sebastian con un esageratamente acuto “ANDRO’ AD AMSTERDAM E INCONTRERO’ PETER VAN HOUTEN!”
“Blaine, ma che – sei serio?”
“Sì! Kurt ha deciso di condividere il suo Desiderio dei Geni con me, partiamo i primi di maggio e –“
“Aspetta, aspetta, frena un secondo. Kurt? Quel Kurt?” C’è un breve attimo di silenzio in cui Blaine si mordicchia leggermente il labbro inferiore; poi sospira. “Mmh.”
Mmh significa no o sto uscendo con un ragazzo e non te l’ho ancora detto?” Blaine si passa una mano tra i riccioli e chiude gli occhi, le labbra stirate in un sorriso. “Non ci sto proprio uscendo –“
“Blaine Anderson, giuro che vengo a bruciare tutta la tua collezione di spartiti, se non parli.”
 
*
 
In realtà c’era stato un momento, durante il picnic, in cui nessuno dei due aveva parlato molto. Non perché non ci fosse molto da dire, solo perché stavano – metabolizzando nuove informazioni.
Nuove informazioni che in realtà non erano nemmeno così nuove, visto che , Blaine sapeva già che Kurt aveva avuto un ragazzo, ma in fondo non conosceva niente di lui e no, non gli avrebbe mai chiesto qualcosa di quel genere se Kurt stesso non ne avesse iniziato a parlare.
“So a cosa stai pensando,” gli aveva detto – il peso del busto poggiato sugli avambracci e le gambe allungate sul prato, un sorriso sereno ad incurvargli le labbra. Blaine aveva sollevato le sopracciglia e si era sistemato meglio a gambe incrociate. “Ah, sì?” La verità era che c’era questo tarlo nella sua mente, questa idea sfinente e fastidiosa che gli stava impedendo di godersi completamente quel piccolo sprazzo di paradiso in cui sembrava essere capitato.
“Sai, lui si chiamava Charlie.” E Blaine si era chiesto come avesse fatto. Come fosse possibile essere così facile da leggere agli occhi di Kurt. Come potesse essere così semplice capire che le uniche domande che gli vorticavano in mente erano e lui? Avrà portato anche lui ad un picnic? Lo avrà baciato nella brezza della primavera? Lo avrà preso per mano sotto gli occhi di tutti?
Blaine aveva trattenuto il fiato e Kurt si era perso ad osservare i ghirigori disegnati dalle nuvole nel cielo, mentre parlava. “Era il mio migliore amico dell’ospedale. Per – sopravvivenza, sai. Quando non hai niente a cui aggrapparti e cerchi disperatamente qualcuno che ti impedisca di essere trascinato via? Noi lo eravamo l’uno per l’altro. Ci ricoverarono nello stesso periodo e diventammo compagni di stanza, e poi di sofferenze e di solitudine, solo perché non potevamo e volevamo farne a meno. Aveva un tumore al cervello. E’ morto otto mesi fa.” E Blaine non si era reso conto di nulla, ma si era ritrovato le guance solcate da sentieri umidi di lacrime e il respiro irregolarmente accelerato; aveva abbassato lo sguardo sui polsi sottili di Kurt ed aveva desiderato più di ogni altra volta di avere il coraggio di stringere quelle dita nella sua mano.
“Charlie Hampton,” aveva esalato Kurt in un sospiro, prima di voltarsi verso Blaine con gli occhi lucidi ed asciugargli le lacrime con la punta delle dita.
 
Adesso Blaine è seduto sulla seggiola girevole della scrivania della sua camera, il computer acceso davanti a lui e il labbro inferiore stretto dalla morsa degli incisivi. Digita per la quarta volta Charlie Hampton sulla barra di ricerca di Google e si ferma prima di premere invio, sentendosi quasi in colpa quando le dita sfiorano la tastiera. Si stropiccia gli occhi e torna a fissare lo schermo quasi completamente bianco, prima di decidersi ad avviare la ricerca.
Non ci mette molto a trovare qualche foto risalente ad un paio di anni prima, ed esattamente come è successo poche ore prima sente gli occhi colmarsi di lacrime e pizzicargli agli angoli. Perché Charlie Hampton era un ragazzo davvero bello, anche in quella che dalla data sembra la sua ultima foto – seduto sulla panchina di quello che sembra essere il giardino di un ospedale, la testa completamente priva di capelli e un sorriso genuino ad illuminargli gli occhi nocciola, un cucciolo di labrador accucciato sulle sue ginocchia.
Perché Blaine non conosceva Charlie Hampton, ma è sicuro che non meritasse di morire – non lo merita nessuno. Un commento sotto la foto attira la sua attenzione proprio perché sembra l’eco dei suoi pensieri scritta in sequenze di bit.
Non meritavi niente di quello che ti è successo. E’ come se andandotene avessi ferito tutti noi nella tua battaglia. Mi mancherai, Charlie.
E’ come se andandotene avessi ferito tutti noi nella tua battaglia.
Blaine non ha idea di quando i suoi respiri accelerati si siano trasformati in singhiozzi o di quando parole e immagini siano diventate un tutt’uno disordinato.
 
*
 
“Blaine, tesoro. Cosa c’è che non va?” Sente le parole pronunciate da Pam rimbombargli nei timpani e impiega qualche istante, prima di alzare la testa dal piatto che non ha ancora iniziato a mangiare – sta semplicemente rimestando le foglie di insalata, spostandole da una parte all’altra – e provare ad aprire la bocca e risponderle.
“Niente,” dice, sperando di sembrare il più convincente possibile. Ovviamente sua madre lo guarda con la sua solita aria da ti conosco meglio delle mie tasche, non provarci nemmeno e anche suo padre e Cooper smettono di chiacchierare su qualcosa riguardo l’ultima partita giocata dalla loro squadra preferita per prestare attenzione al loro dialogo. Improvvisamente le foglie di insalata diventano l’oggetto più interessante dell’intero universo, agli occhi di Blaine, che si ritrova a schivare tre paia di sguardi diversi e allo stesso tempo a desiderare che una voragine si apra sotto la sua sedia, così che lui possa sprofondarvi dentro.
“Sai che puoi dirci qualsiasi cosa, vero? Siamo qui per te, sempre. E – se è per Kurt e pensi che un paio di orecchie giovani siano più adatte ad ascoltare discorsi del genere piuttosto che quelle dei tuoi anziani genitori, c’è qui tuo fratello,” ridacchia suo Jonathan, pulendosi le labbra con il tovagliolo.
“Esattamente,” continua sua madre. “Anche se la prossima volta che tuo padre si azzarda ad insinuare che sono anziana si ritroverà a lavare i piatti per un mese.” E Blaine vorrebbe davvero lasciarsi le preoccupazioni alle spalle e ridere come sta facendo Cooper, ma la verità è che non ci riesce, non ci riesce non ci riesce non ci riesce –
“Io sono una granata,” sbotta, posando la forchetta sul piatto e trovando il coraggio di alzare lo sguardo. Il silenzio si fa strada tra i quattro, posandosi leggero come un velo sopra di loro. “Sono una granata e quando me ne andrò, quando non ci sarò più, sarà come esplodere e lasciare schegge di me ovunque e ferire chiunque, quindi no, non va tutto bene perché ho paura di farvi del male, ho così tanta paura di farvi del male che ogni tanto mi manca il respiro –“ Un singhiozzo interrompe il suo sproloquio, ma gli regala quel frammento di tempo necessario per respirare e chiudere gli occhi, per fare ordine nella sua mente. “Ora vado in camera, ma – non sto male, voglio solo stare da solo. Ne ho bisogno. Va bene?”
Quello che prima sembrava essere un velo di silenzio si è improvvisamente trasformato in qualcosa di pesante come una lastra di acciaio, e Pam, Jonathan e Cooper sono in grado di sentire ogni suo passo, mentre Blaine si allontana dal tavolo ed attraversa la sala, prima di chiudere la porta della camera.
 
*
 
A: Kurt
Non posso baciarti. So che tu probabilmente non ci hai nemmeno pensato, ma non posso. Mi dispiace.
 
Da: Kurt
Okay.
 
A: Kurt
Okay.
 
Da: Kurt
OH MIO DIO, Blaine Anderson, smettila di flirtare con me.
 
Da: Kurt
Sto scherzando, ovviamente. E lo capisco, non c’è bisogno di scusarsi.

 
“Blaine?” La voce esitante di Cooper lo fa sussultare e la striscia di luce che illumina il buio della sua stanza lo acceca per un attimo.
“Ehi,” sussurra, accendendo la abatjour e tirandosi a sedere contro la testata del letto. I riccioli disordinati di Pam fanno capolino dallo stipite della porta e in un attimo sia lei che suo padre e suo fratello sono accanto a lui, seduti sul materasso – che cigola inquietantemente sotto il loro peso, ma in quell’istante a Blaine non potrebbe importarne meno.
“Non sei una granata, piccolo,” comincia sua madre tirando su col naso – deve aver pianto. “Non sei un peso per noi e non lo sarai mai. Sei il nostro Blainey e ti vogliamo bene sempre, anche se fossi nato coi tentacoli.”
“Cosa da non escludere, tra l’altro, visto il cespuglio che si ritrova in testa.” Cooper riceve una gomitata nello stomaco e ridacchia, prima di seguire l’esempio dei suoi genitori ed avviluppare Blaine in una morsa stretta.
Blaine incastra la testa tra le spalle di suo padre e il petto di sua madre e reprime a malapena un singhiozzo. “Vi voglio bene anch’io,” dice, aprendosi in un sorriso acquoso.
 
Più tardi, quando resta solo sotto le coperte con solo il ronzio di Papillon – La – Bombola – D’Ossigeno – Più – Grande, sblocca il cellulare ed invia un sms.
 
A: Kurt
Grazie.











Note finali:

WELL. Diciamo che questo è il primo capitolo veramente angst. Quindi, alla vostra destra trovate i fazzoletti e alla vostra sinistra NON trovate oggetti contundenti da lanciarmi. :DDD
Dunque, non so chi ricorda il libro e chi non l'ha mai letto, ma vorrei dirvi fin da ora che il prossimo capitolo si discosterà molto dalla storia originale. O meglio, ci sarà un salto temporale. Non ho intenzione di saltare i passaggi fondamentali della storia - gosh, è difficile spiegarlo senza spoilerare ;; -, ma qualcosa cambierà un po'.
Se vi può consolare, Amsterdam è più vicina di quanto sembra! :3

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi rimando QUI per la mia pagina Facebook e QUI se volete dare un'occhiata alla mia mini-long per il Glee Big Bang, Every lifetime you and I have ever lived! :3
Un abbraccio,

Elena <3






 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Note iniziali:
Grazie grazie grazie a Anna_Vik, Zurry, Fede, Je, Alli e Paola per aver recensito (ah, Paola, sappi che in questo momento ho voglia di mangiarti di baci per quello che mi hai scritto <3).
E grazie a tutti voi che leggete in silenzio.
Vi voglio bene! <3
Enjoy!


 
Capitolo 8



Sarebbe meglio che vostro figlio non andasse ad Amsterdam, signori Anderson.
Una manciata di parole che non fa altro che rimbombare nel cranio di Blaine, finché non si sente soffocare dalla rabbia e spalanca la porta della camera con uno schianto, riversando ogni briciolo di energia che ha in corpo nelle azioni automatiche di inclinare il carrellino e dirigersi a grandi falcate verso il fazzoletto di terra dietro casa Anderson, quello che si affaccia ordinato e curato fuori dalla portafinestra della sala.
Fa scorrere velocemente l’anta sui cardini, fermandosi solo quando è riuscito a mettere una decina di passi tra se stesso e quella casa che improvvisamente è diventata una gabbia.
E’ stata solo una visita di controllo – solo una visita di controllo che molto probabilmente lo bloccherà nello squallore di Lima fino alla fine dei suoi giorni perché a quanto pare non è sicuro per lui fare viaggi di questa portata, ci dispiace. Blaine è grato ai suoi genitori per non averlo fatto entrare nello studio del dottor Smith per ascoltare i risultati della visita, perché altrimenti sarebbe sicuramente scoppiato a piangere davanti ai suoi profondi occhi color cioccolato, piuttosto che sulle panchine fredde dell’ospedale dopo aver origliato la conversazione attraverso le pareti sottili.
Non sono serviti a nulla i Va tutto bene di Pam, quella volta. Non sono serviti a niente perché Blaine ha solo voglia di piangere. Perché dopotutto è solo un ragazzo di sedici anni a cui è stato diagnosticato un cancro e che si è ritrovato la vita spezzata a metà tra un ospedale squallido e una casa che è troppo stretta per i suoi sogni, e diavolo si sente in diritto di piangere per se stesso almeno questa volta – solo per questa volta, solo per questa volta, solo per questa volta.
Non sa precisamente quando la sua mano gli sia scivolata in tasca e abbia afferrato di sua spontanea iniziativa il cellulare, selezionando il numero di Kurt dalla rubrica. Sa solo che quando sente il suo “Ehi, Blaine!” risuonargli nelle orecchie sta già piangendo, e deve fare appello a tutta la sua più buona volontà per non dare di matto e riappendere la chiamata nel giro di un istante.
“Ehi,” risponde – la voce arruffata dalle lacrime e dal troppo silenzio che si tiene dentro da ore. Non ha idea di come, ma riesce a percepire il sorriso sbilenco sbiadire dalle labbra di Kurt, e come a confermarlo lo sente sussurrare “Blaine, va tutto bene?”
“Sai,” risponde lui ingoiando le lacrime. “C’è quest’altalena nel giardino di casa mia che mio padre ha costruito quando ero piccolo che mi rende così triste,” un respiro profondo, “e il cielo è così grigio che è come se mi sentissi soffocare, e forse non andrò più ad Amsterdam perché non è sicuro per me, e no, no no no non va tutto bene.” Kurt trattene il fiato solo per un istante, dall’altra parte della linea telefonica.
“Perché non prendiamo questi problemi uno alla volta, che ne dici?” Blaine annuisce distrattamente, ricordandosi dopo un momento di troppo che Kurt non può vederlo ed affrettandosi a mormorare un piccolo “sì”.
“Hai detto che c’è quest’altalena deprimente, non è vero?”
“Sì,” ripete Blaine un po’ più chiaramente, sbuffando una risata.
“Sono lì tra un quarto d’ora.”
 
*
 
In realtà il campanello di casa sua squilla dodici minuti più tardi, e Blaine non può fare a meno di sentirsi vagamente preoccupato per la quantità di leggi stradali che Kurt deve aver infranto per arrivare così presto. Probabilmente è stata sua madre a farlo entrare, visto il sorriso imbarazzato che ancora aleggia sulle sue labbra quando si chiude alle spalle la portafinestra che dà sul giardino. Si ferma un attimo ad osservare Blaine – che lo guarda di rimando, gli occhi ancora gonfi di lacrime e un sorriso acquoso dipinto sulle labbra –, poi si volta verso l’altalena ed inclina un po’ la testa.
“Hai perfettamente ragione, Blaine Anderson. Quest’altalena è davvero triste.”
 
Sono finiti seduti sul divano, le cosce incollate l’una all’altra e il portatile di Blaine aperto sulle loro ginocchia, a contemplare lo spazio bianco sotto la gigantesca scritta rossa COMPILA UN ANNUNCIO E VENDI QUALSIASI OGGETTO USATO IMMEDIATAMENTE, quando le dita di Kurt corrono sulla tastiera.
Altalena triste e sola cerca casa. Sul serio, Kurt?” domanda Blaine, prima di modificare la scritta.
Altalena vagamente pedofila cerca chiappe di bambini.” Kurt scoppia a ridere, prima di voltarsi completamente verso di lui – il ginocchio sfiora la coscia di Blaine nel farlo, e lui sente ogni piccola vibrazione del suo tocco anche attraverso i due strati di jeans che li dividono.
“Vedi, è per questo che è impossibile non interessarsi a te, Blaine. Sei così impegnato ad essere te che non ti rendi nemmeno conto dell’effetto che fai sulle persone.”
Compilano quell’annuncio, alla fine, e le guance di Blaine rimangono colorate di una deliziosa tonalità di rosso.
 
*
 
“Quindi, abbiamo risolto il problema dell’altalena, non è vero?” La testa di Blaine spunta dall’anta aperta del frigorifero – un’aria confusa a delineargli i lineamenti delicati. “Oh – oh! Sì, be’, immagino di sì.”
Kurt si apre in un sorriso luminoso che scopre i suoi denti piccoli e bianchi, prima di sedersi sullo sgabello dell’isola della cucina Anderson ed esclamare “Bene! Passiamo al secondo, che se non ricordo male era il cielo grigio che ti faceva soffocare, non è vero?”
“Sai, tu –“ comincia Blaine, estraendo dal frigo una bottiglia di tè freddo e due tranci di pizza che mette a riscaldare nel microonde, “tu non dovresti davvero ascoltarmi quando straparlo, perché finisco sempre per risultare assolutamente ridicolo.”
“Blaine.” Si gira, due bicchieri in mano e le labbra strette in una linea dritta, e si avvicina al bancone, iniziando a versare la bibita. “Blaine,” ripete Kurt, poggiando i palmi delle mani sulle sue dita e bloccando i suoi movimenti irrequieti. “Va bene avere paura, va bene essere tristi perché il cielo è grigio e soprattutto va bene parlarne con qualcuno.”
I loro occhi si incatenano insieme per dei secondi che sembrano ore e Blaine sta per lasciar scivolare lo sguardo sulle labbra sottili e rosee di Kurt, quando il trillo del microonde li fa sussultare entrambi, le loro mani smettono di sfiorarsi e Blaine scivola via dalla presa di Kurt per recuperare il piatto.
“Non andrò ad Amsterdam.” La fronte di Kurt si corruga in tante piccole pieghe.
“Perché?” Blaine sospira, porgendogli il piatto con i tranci di pizza e prendendo un morso del suo.
“Stamattina ho avuto una visita di controllo, e a quanto pare i miei valori non sono abbastanza stabili per potermi permettere un viaggio intercontinentale, il che è ridicolo, perché i miei valori non saranno mai abbastanza stabili. Ma forse dovevo aspettarmelo, va sempre a finire così.” Kurt sta masticando lentamente il suo trancio di pizza; prende un sorso di tè freddo e fa per aprire bocca, quando la porta della cucina si spalanca e Cooper fa il suo ingresso precipitosamente.
“Mi spiace interrompervi,” dice senza fiato ad entrambi; poi si rivolge a Blaine. “Sto uscendo con mamma e papà, a quanto pare la mia presenza per fare la spesa era indispensabile.” Blaine annuisce ridacchiando, poi scruta il sorriso rilassato di Kurt, appollaiato sullo sgabello al di là del balcone – pensa che vorrebbe baciarlo, quel sorriso. “Penso che voi due non vi siate mai presentati,” dice. “Kurt, lui è mio fratello Cooper; Coop, lui è – un mio amico, Kurt Hummel.”
Kurt gli lancia un’occhiata sorpresa da sotto le sopracciglia inarcate, poi smonta dallo sgabello e si avvicina a Cooper stringendogli la mano. “Penso che non ce ne sia mai stata l’occasione.” Cooper ridacchia e annuisce, rispondendo alla stretta con un “Lo credo anch’io”, per poi aggiungere  “Ora devo andare, divertitevi!” E davvero, Blaine vorrebbe maledirlo in tutte le lingue del mondo per aver ammiccato in quel modo, ma suo fratello si è già chiuso la porta alle spalle e di lui è rimasto solo l’odore forte della sua colonia.
“E’ simpatico!”
“E’ un’idiota.” Kurt scoppia a ridere.
“Però gli vuoi bene.” Blaine inclina la testa, masticando il suo ultimo morso di pizza, prima di pulirsi le mani e rispondergli. “Certo che gliene voglio.”
 
“Ascolta, Blaine. Lo so che sarà difficile andare ad Amsterdam, che non tutti saranno d’accordo con la tua decisione e tutto il resto, ma ti prometto – ti giuro che ci andremo. Dovessimo scappare di nascosto e salire su un aereo con un passaporto falso.” Blaine nasconde il viso tra le mani – forse perché non è sicuro di volere che Kurt sappia quanto le sue parole siano in grado di colpirlo, forse perché non vuole nemmeno ammettere a se stesso di star sorridendo per la prima volta quel giorno solo grazie a lui.
“Sai, questa sembra una di quelle frasi da film sdolcinato in cui il protagonista non vuole far altro che portarsi a letto la ragazza in questione, e per raggiungere il suo scopo la riempie di promesse.”
“E chi ti dice che io non stia facendo la stessa cosa?” Blaine sente il sangue fluire lentamente ed inesorabilmente sulle sue guance e scosta le dita dagli occhi, lasciando solo i palmi premuti contro la pelle. “E chi ti dice che io verrei a letto con te?”, chiede, e le parole vengono fuori più maliziose di quanto volesse. Il che è ridicolo, perché Blaine non ha mai avuto un ragazzo, Blaine non ha mai dato il suo primo bacio, Blaine non sa neanche come si faccia a flirtare, eppure con Kurt è tutto diverso
“Morirò vergine, ho capito, ho capito,” ridacchia Kurt; punta il gomito sul bancone e appoggia il mento sul palmo della mano, tamburellandosi la guancia con le dita. Blaine spalanca gli occhi. “Sei vergine?” chiede, togliendosi velocemente le mani dal volto, per poi rendersi conto di ciò che ha appena chiesto.
“Oh mio – scusa. Okay, non volevo essere invadente –“
“Blaine.” Kurt sta sorridendo e questo lo spinge in qualche a modo a sollevare lo sguardo dal proprio piatto e a fissarlo in quegli occhi che sembrano essere fatti apposta per perdercisi dentro.
“Mmh?”
“Hai un foglio di carta e una penna?” Blaine solleva un sopracciglio ma non dice niente; si alza in piedi giusto il tempo di raggiungere il ripiano su cui si trovala televisione e recuperare il blocchetto degli appunti di sua madre e una penna col tappo mangiucchiato che quasi sicuramente Pam ha rubato a Cooper.
Quando torna a sedersi, le lentiggini di Kurt sembrano ancora più belle del solito – sparse sul suo naso e lungo la curva degli zigomi come stelle nella notte limpida. Lui gli sorride.
“Okay, disegna un cerchio.” Blaine lo fa. “Bene, questo è l’insieme dei ragazzi vergini. Ora disegna un cerchio più piccolo all’interno del cerchio grande.” Blaine fa anche quello, poi alza lo sguardo confuso. Kurt sorride placidamente; “Quello è l’insieme dei ragazzi vergini con una gamba sola.”
Scoppiano a ridere entrambi, nello stesso istante, così forte che a Blaine manca il respiro nel modo migliore possibile, così tanto che non riescono più a distinguere dove termini la risata di uno e dove inizi quella dell’altro.
 
*
 
Finiscono in camera di Blaine, alla fine. E questo è strano, in qualche modo, perché l’unico ragazzo che ci è mai entrato a parte lui è suo fratello – e il suo migliore amico Sebastian, ma è il suo migliore amico, e non è esattamente la stessa cosa, stavolta.
Kurt ha chiesto di poter vedere la sua collezione di spartiti, gli occhi brillanti e ancora più azzurri del solito, e Blaine non ha potuto fare a meno di prenderlo per mano – lo ha davvero preso per mano, ed è stato meravigliosamente frastornante – e trascinarlo sul suo letto, dove sono seduti anche adesso, la distanza di due respiri a separarli e un mucchio di fogli che li circonda.
“Non posso credere che hai davvero gli spartiti di Rent, Wicked e – cos’è questo?” chiede Kurt, sollevando un pezzo di carta scribacchiato da entrambi i lati. Blaine si riscuote e mette a fuoco lo spartito, prima di aprirsi in un sorriso macchiato d’imbarazzo.
“Uhm, mi piace – comporre. Non sono particolarmente bravo, ma lo faccio, ogni tanto.” E Kurt lo guarda con quegli occhi, così grandi che potrebbero contenere l’intero oceano, solleva appena un angolo delle labbra e gli chiede sottovoce, come se fosse il più grande dei segreti, “Mi fai sentire qualcosa?”
 
Ed è quando Blaine si ritrova ad un soffio dal viso di Kurt – seduto a metà sullo sgabello troppo piccolo per entrambi, con una mano sopra la sua per aiutarlo a suonare le note giuste – che si rende conto di essersi innamorato di lui.
Si è innamorato di Kurt.
Si è innamorato di Kurt come ci si addormenta: piano piano, e poi tutto in una volta.








Note:
Dunque, sappiate che nella trama originale c'era MOLTO più angst, che io ho saltato perché uhm ... you'll see. Quindi me li merito i marshmallows per essere stata una brava autrice e avervi dato un capitolo Klainoso? Vero? ;w;
L'ultima frase è una citazione di TFIOS (la mia preferita di tutto il libro, ci tenevo da morire a metterla **).
A domani con chi segue Every lifetime you and I have ever lived!
Un bacio,

Elena.

PS: so che non ho ancora risposto alle recensioni e mi sento tremendamente in colpa, ma sono reduce da due giorni di esami di inglese e non ho veramente avuto tempo. çwç
Stasera risponderò a tutti! <3



 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Note iniziali:
Ringrazio infinitamente chi ha recensito: Anna_Vik, Zurry, kissmycollarbones e alli! Siete stupende, ragazze. *-*
Tengo tantissimo a questo capitolo, ci ho lasciato un pezzo del mio cuore e forse più di ogni altra volta ho paura di pubblicare. Fatemi sapere, se vi va! <3


 
Capitolo 9




C’è qualcosa di tremendamente sbagliato nello svegliarsi ed accendere il computer, Blaine lo sa benissimo, ma la verità è che non si sente particolarmente bene quel giorno – non fisicamente, ma tant’è – e non ha assolutamente voglia di fare nulla.
Clicca sulla notifica di un nuovo messaggio di posta elettronica sopprimendo uno sbadiglio nell’incavo della mano, e spalanca ridicolmente gli occhi alla vista del contenuto dell’e-mail.
 
Da: LidewijVliegenthart@gmail.com
Ciao Blaine,
Ti scrivo per confermarti la disponibilità del signor Van Houten ad incontrare te e Kurt il cinque maggio. Non vediamo l’ora di accogliervi, e siamo sicuri che vi troverete meravigliosamente qui. Inoltre, se volete, dopo la visita posso accompagnarvi al museo di Anna Frank – è senz’altro una tappa fondamentale, se volete davvero visitare questa città!
A presto,
Lidewij.
 

“MAMMA!” Rilegge altre tre volte l’e-mail, per poi decidersi a scendere dal letto e cercare sua madre, ripetendosi costantemente che deve esserci un errore, perché non è possibile, non è possibile, non è possibile e perché ha così paura di crederci che sta letteralmente per smettere di respirare. Si impone di restare calmo.
“Mamma? Mamma, cosa significa questo?” Fa il suo ingresso in cucina trafelato, gli occhi ancora pieni di sonno e i capelli arruffati, il portatile in una mano e il manico del carrellino nell’altra. Pam finisce di versare il caffè nella sua tazza e lo scruta con aria interrogativa, avvicinandosi velocemente e gettando un’occhiata al computer.
“Oh!” esclama, reprimendo a malapena un sorriso. Si mordicchia le labbra e Blaine inclina appena il viso. “Oh?” ripete lui, e Pam lo guarda sorridendo coi suoi occhi color cioccolato. “Volevo aspettare e dirtelo insieme a Jonathan, ma a quanto pare l’hai scoperto troppo presto.”
“Andiamo – Andiamo ad Amsterdam?”
“I medici hanno concordato sul fatto che i tuoi valori possono essere considerati relativamente stabili per affrontare un viaggio intercontinentale. Certo, dovremo utilizzare tipi di bombole diverse, ma –“ Blaine si lancia in avanti, il computer che traballa pericolosamente sul palmo della sua mano e la vista offuscata dalle lacrime che già gli pizzicano contro le ciglia; stringe sua madre tra le braccia e per un attimo gli sembra che il mondo abbia ricominciato a girare nel verso giusto.
 
*
 
A: Kurt
Ancora libero il cinque maggio?
 
Da: Kurt
Sto già preparando le valigie.
 

*
 
Due giorni prima di partire Blaine va a trovare Santana.
Non sa bene perché; forse ha solo voglia di vederla e di sentirsi dire sei un idiota e perché non gli sei ancora saltato addosso?, o forse gli mancano i suoi sorrisi un po’ stirati agli angoli – quelli che al gruppo di supporto condivideva solo con lui.
Ora sono seduti sul letto di lei, l’Ipod di Blaine collegato alle casse e un vassoio con due tramezzini a dividerli; Santana è migliorata moltissimo: afferra qualsiasi cosa senza esitazione e sembra aver compensato la mancanza della vista col tatto e con una grandissima voglia di non mollare.
Affonda le mani nella sua felpa bordeaux e incrocia sulle coperte le gambe fasciate da un paio di jeans attillati, prima di alzare un po’ la testa e rivolgersi a Blaine da sotto un paio di occhiali da sole neri. “Allora, Amsterdam?” Blaine ingoia un morso di tramezzino e sorride, sapendo che anche se non può vederlo Santana riconoscerà le sue labbra incurvate dal suo tono di voce.
“Amsterdam,” ripete.
“Sono davvero felice per te e per Kurt. Voglio dire – so che state ancora fingendo di non provare nulla l’uno per l’altro e, per quanto trovi questo una gigantesca perdita di tempo per le vostre attività sotto le lenzuola, non posso fare a meno di augurarvi di aprire gli occhi e le gambe il prima possibile.” Si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio e Blaine arrossisce furiosamente, lieto che Santana non possa vederlo per prenderlo ulteriormente in giro. Sta per aprire bocca e borbottare un “Non stiamo fingendo nulla” a cui non crede neanche lui, quando la ragazza lo anticipa, spiazzandolo completamente.
“Sai, a volte vorrei poter avere quello che avete voi.” Un breve attimo di silenzio colma lo spazio attorno a loro, prima che Someone like you lasci spazio a Thinking out loud nel lettore multimediale.
“Credo – credo di non capire.”
“Da quando Brittany mi ha lasciata è come mi fossi arresa al fatto che non avrò più nessuno. Prima – prima era diverso. Io e lei potevamo stare insieme perché sì, ero malata, ma ero ancora tutta intera. Ero ancora io. Ma adesso? E’ come se una parte di me se ne fosse andata assieme alla capacità di vedere, e non ho idea di chi sarà così coraggioso da decidere di restare. Io capisco Brit. Capisco perché se ne sia andata. Sarei scappata anch’io al suo posto.”
“San –“
“No, ti prego, lasciami finire,” sussurra. Blaine si morde il labbro e chiude gli occhi, passandosi le mani tra i capelli che neanche quella mattina ha avuto voglia di pettinare.
“Io amavo ballare. Io e Brittany lo facevamo sempre, sai? A lei piacevano quelle coreografie piene di passi improbabili che finivamo per dimenticarci nel giro di pochi minuti, io amavo semplicemente stringerla contro di me e ondeggiare in silenzio in una stanza vuota. E ora – ora ho semplicemente paura di non essere in grado di trovare nessuno che voglia ondeggiare in una stanza vuota insieme a me, capisci?”
Blaine è quasi sicuro di percepire le lacrime pizzicargli agli angoli degli occhi; prende un respiro profondo e porta la mano in avanti, raggiungendo le dita di Santana chiuse a pugno nella tasca della felpa e stringendole tra le sue. Lei sussulta, ma non oppone resistenza – Blaine è quasi sicuro che si fidi di lui.
La prende per mano e la aiuta ad alzarsi, rischiando di perdere l’equilibrio nel farlo; poi semplicemente la stringe delicatamente tra le braccia, muovendosi impercettibilmente al ritmo della canzone che sta ormai sfumando verso la fine.
“Nel caso te ne fossi dimenticato, Anderson, sia tu che io siamo gay quanto un arcobaleno.” Blaine scoppia a ridere, prima di sussurrare “Troverai il tuo lieto fine, San” a pochi centimetri dalla stoffa bordeaux tesa sulla sua spalla.
 
*
 
Il giorno della partenza arriva così in fretta che Blaine nemmeno se ne rende conto. Ci sono così tante cose da preparare, così tanto a cui pensare che i giorni gli scivolano tra le dita come se fossero acqua e la mattina della partenza si ritrova a fissare la sua camera – parzialmente svuotata, visto che sua madre ha insistito per fargli portare praticamente tutto – con una sensazione strana al livello del petto.
Sensazione che non lo abbandona neanche un istante – mentre trascina il carrellino nella macchina di sua madre, quando si allaccia la cintura, durante il breve viaggio fino a casa di Kurt, mentre accostano l’auto al marciapiede che costeggia il giardino ben curato degli Hummel.
“Vado a chiamarlo, okay?” Pam annuisce sorridendo, restando a guardare suo figlio avvicinarsi al portone della villetta dal posto del guidatore, il finestrino abbassato e l’aria primaverile che le solletica il viso. Blaine prende un respiro profondo e fa per suonare il campanello, quando delle parole pronunciate ad alta voce dall’interno della casa lo congelano sul posto.
“E’ LA MIA VITA, LASCIATEMI DECIDERE ALMENO SU QUESTO!” E’ camuffato dallo strato di cemento che li separa, ma Blaine percepisce perfettamente il grido, come se Kurt avesse urlato direttamente nelle sue orecchie. Si ritrae di scatto, afferrando il carrellino ed affrettandosi verso l’auto. Pam lo guarda interrogativamente, ma riceve in risposta una scrollata di spalle silenziosa.
 
A: Kurt
Siamo arrivati!
 
Pochi istanti dopo il cellulare gli vibra tra le mani.
 
Da: Kurt
Sai, non riesco ASSOLUTAMENTE a decidere tra camicia e polo.
 
A: Kurt
Camicia. Sono io quello da-polo della coppia, ricordi?
 
Da: Kurt
Coppia, Blaine Anderson?
 
A: Kurt
Muoviti.
 

Quindici secondi più tardi la porta si spalanca e Kurt esce di casa, gli occhi celati da un paio di occhiali da sole e una camicia celeste leggerissima a fasciargli il busto. Si avvicina all’auto con la sua andatura un po’ ciondolante, trascinandosi dietro una valigia gigantesca, e quando sale sul sedile posteriore si alza gli occhiali sui capelli e regala loro un sorriso enorme. “Buongiorno Pam, ciao Blaine.”
“Kurt, tesoro! Sei pronto?”
“Assolutamente sì, signora Anderson!” Blaine si volta, torcendo il busto per poterlo guardare negli occhi. “Tutto okay?” gli chiede. Kurt sorride di nuovo, questa volta più dolcemente.
“Okay.” Blaine ridacchia.
“Okay.”
 
*
 
L’aeroporto assomiglia vagamente ad un ospedale, agli occhi di Blaine. Ha lo stesso viavai irrequieto di persone immerse nei propri pensieri, lo stesso odore di un posto che è casa di tutti e di nessuno, gli stessi sorrisi grigi stampati sui volti della gente.
“Vado a fare il check-in, voi aspettatemi qui. Torno subito!” Blaine si lascia cadere sulla seggiola plastificata dell’area d’attesa; appoggia la testa contro il muro e prende un respiro profondo, come se camminare per quel breve tratto lo abbia già completamente sfinito. In realtà è piuttosto sicuro che si tratti di ansia, ma i suoi polmoni non sono mai stati esattamente prevedibili, quindi non si sorprende più di tanto quando sente un’ombra di paura annidarsi alla base del suo stomaco.
“Tutto bene?” Kurt si siede affianco a lui e la sedia cigola un po’. “Sì,” gli risponde velocemente, aprendosi in un sorriso. Kurt non sembra convinto, quindi aggiunge “Kurt, sto benissimo. Davvero. Sono solo i miei soliti polmoni.” Le sue parole vengono interrotte dall’arrivo di quella che sembra essere un’impiegata dell’aeroporto, che a quanto pare è lì per sostituire la bombola di Blaine con una fatta apposta per i viaggi aerei.
Lui la lascia fare, sorridendo appena alle sue lentiggini e ai suoi occhi smeraldini, cercando di prestare meno attenzione possibile agli sguardi a metà tra il meravigliato e il curioso che i passanti gli rivolgono. Si sistema meglio sulla sedia, attento a non intralciarla mentre con mani esperte sfila e smonta i tubicini da una bombola all’altra.
“Odio quando lo fanno,” sussurra Kurt una volta che la ragazza se n’è andata.
“Cosa?”
“Fissare. Siamo persone, Blaine. Camminare in modo strano o portarsi dietro un carrellino non dovrebbe dare alla gente l’autorizzazione a scannerizzarti ogni volta che passi loro davanti.” Blaine inclina il viso pensieroso, scrutando la massa informe di persone che gli scorre davanti senza davvero guardarla.
“Immagino che in realtà gliela dia. Per quanto spiacevole possa essere, noi non apparteniamo alla normalità. E questa è una giustificazione, immagino.” Kurt storce le labbra in maniera quasi infantile.
“Questo significa che siamo … strambi?” Blaine ridacchia e si volta quel giusto che basta per afferrare il suo sguardo.
“Forse,” gli risponde. “Però possiamo esserlo insieme.”
 
*
 
Salgono sull’aereo per primi, e almeno questo sembra preservarli dagli sguardi interrogativi della gente. Kurt si siede accanto al finestrino e Blaine non esita nemmeno un istante per prendere il posto al centro, lasciando a Pam il sedile che si affaccia sul corridoio. Cerca in tutti i modi di evitare il sorriso ammiccante di sua madre, mentre di allaccia la cintura e si ambienta allo spazio relativamente angusto che è stato riservato a loro.
Kurt si agita irrequieto, slaccia la cintura di sicurezza e se la rigira tra le mani con un cipiglio stampato sul viso, prima di alzare un sopracciglio e tentare di allacciarla di nuovo. Le mani di Blaine sono sopra le sue ad aiutarlo, mentre entrambi trattengono il fiato e l’aereo si riempie pian piano di persone.
“Non hai mai volato prima?” gli chiede dopo un po’ Blaine. Kurt scuote la testa, le labbra pressate in una linea retta mentre la voce della hostess detta le istruzioni di come comportarsi a bordo. Blaine schiude le labbra per domandare qualcosa, ma poi sembra tentennare, almeno finché Kurt non si volta a guardarlo, una smorfia divertita a sollevargli gli angoli delle labbra. “Cosa c’è?”
“Hai paura?” Kurt sospira; “Te lo dico tra un attimo,” sussurra, percependo i motori accendersi sotto di loro. L’aeroplano inizia a muoversi lentamente, come un gigante che si risveglia, e un attimo dopo si stanno già inclinando verso l’alto, la punta del velivolo a solleticare le nuvole e le mani che si stringono ai braccioli dei sedili.
Blaine aspetta che si siano stabilizzati, prima di aprire bocca di nuovo. “Quindi?” Kurt sembra perdersi per un istante ad osservarlo, prima di rivolgere lo sguardo al paesaggio mozzafiato al di fuori del finestrino ed esclamare “OH MIO DIO, MA SI VEDE TUTTO DA QUASSU’!”
Blaine scoppia a ridere e smette di pensare, chinandosi in avanti per stampare un bacio dolce e fugace sulla sua guancia. Si ritrae altrettanto velocemente, aspettando il rossore che inesorabilmente gli risale il collo e gli macchia le guance. Kurt lo guarda a metà tra il meravigliato e il divertito, una sfumatura di qualcosa di più depositata come briciole sul fondo dei suoi occhi.
“Vorrei ricordarti che tua madre è esattamente a mezzo metro da te, Blaine,” borbotta Pam, nascondendosi come meglio può dietro la rivista che sta fingendo di leggere.
“Era un bacio puramente amichevole, mamma!” E Kurt può giurare di aver sentito un brivido rotolargli lungo la spina dorsale, quando la parola bacio sfugge dalle labbra di Blaine.








E quindi ... Amsterdam.
*ammicca*
*fugge a guardare l'intervista del Paley perché è l'unica sfigata che ancora non l'ha guardata*

PS: Pensare che questo è l'ultimo capitolo di questa FF che posto prima della fine di Glee mi fa stare male. *sigh*

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Note iniziali:
Diciamo che in questo istante ho una voragine al centro del petto perché be', è finito Glee e insomma --
Ci tengo comunque a ringraziare Zurry, Je e Anna_Vik, che hanno recensito lo scorso capitolo. <3
Also, sono indietrissimo nel rispondere alle recensioni, ma questi giorni sono stati un disastro e non ne ho avuto tempo né modo.
Spero che vi piaccia, è uno dei capitoli più fluffosi di tutta la FF. :')


 
Capitolo 10
 
Questo capitolo è per Ari, perché è stata la prima a credere in questa FF - forse ancor prima che ci credessi io.
Ti voglio bene. **
 
 


A Blaine non sembra neanche vero di poter sprofondare nella morbidezza delle coperte del suo letto dell’hotel Filosoof dopo aver trascorso ore incastrato nel minuscolo seggiolino dell’aereo. Esala un sospiro di sollievo, sfiorando con delicatezza i ricami elaborati delle lenzuola. Lui e sua madre si sono sistemati in una camera doppia al secondo piano, mentre Kurt è in una singola a quello superiore.
“Non c’è tempo per riposarsi, Blainey. Tra due ore sei a cena con Kurt all’Oranjee – un’offerta del tuo amico Van Houten, a quanto pare.” Blaine si acciglia.
“E tu che farai?” Pam ridacchia, sedendosi accanto a lui sul materasso. Alza una mano e gli accarezza uno zigomo con la punta delle dita. “Starò qui, forse farò una passeggiata per Amsterdam … Non preoccuparti per me, tesoro. E’ il vostro Desiderio. Pensate a godervelo fino in fondo.”
Le guance di Blaine si tendono in un sorriso un po’ amaro sotto i polpastrelli di Pam, prima che lei si alzi in piedi e batta le mani due volte. “Forza, devi farti bello, stasera!” esclama, spingendolo senza troppe cerimonie nel piccolo bagno della stanza d’hotel.
 
*
 
Riemerge dalla nuvola di vapore del bagno solo un’ora dopo, i ricci sparati in tutte le direzioni e una tuta e una felpa addosso. Pam solleva lo sguardo dalla rivista di moda che sta sfogliando, inarcando elegantemente un sopracciglio.
“Non so che mettermi,” pigola Blaine accasciandosi sul letto. Sua madre si apre in una risata a voce alta, il che non fa altro che imbarazzarlo ancor di più. Si copre il volto con le mani e borbotta “Mamma!”
“Okay, okay.” Delle dita gli sfiorano leggermente il polso. “Ci penso io.”
 
*
 
Quarantasette minuti più tardi Blaine sta per mangiarsi le dita dall’ansia che gli attanaglia il petto. Pam ha insistito per impiastricciargli i capelli con una discreta quantità di gel, e ora i riccioli gli incorniciano il volto più ordinatamente – il che è una novità piacevole, ma implica che non possa passarsi le dita tra essi e a questo punto gli sono rimasti ben pochi modi per sfogare l’agitazione.
Si guarda allo specchio per quella che potrebbe essere la terza o la trecentesima volta – il torace fasciato da una semplice polo bianca, un papillon rosso a cingergli il collo e dei pantaloni blu accorciati alle caviglie che gli si avviluppano lungo le gambe, tutto sommato si piace. Il che non è così scontato.
Un leggero bussare alla porta della camera lo riscuote, facendogli scivolare il cuore in gola, e fa appena in tempo a raccattare la giacca, prima di aprire la porta.
E Kurt è – be’, Blaine è sempre stato un amante dei libri e delle parole, ma in quel momento è come se il suo vocabolario si fosse notevolmente ridimensionato, lasciandolo con una sola parola a disposizione: meraviglioso.
Lo osserva coi suoi occhi scintillanti, mentre se ne sta appoggiato con la spalla allo stipite della porta, bello da lasciare senza fiato nella migliore delle accezioni dell’espressione, con le sue gambe lunghissime fasciate da un paio di pantaloni neri e aderenti e le spalle strette in una giacca nera non troppo elegante da cui spunta una camicia celeste pastello.
“Ciao.” Blaine cerca di riscuotersi.
“Ehi!” Kurt ridacchia e si sporge nella stanza; “Buonasera signora Anderson!”
“Kurt, tesoro! Stai benissimo. Mi raccomando, tornate per le undici.” Blaine alza gli occhi al cielo e Kurt le sorride; “Sarà fatto!” esclama, prima di stringere tra le dita il polso di Blaine e chiudersi la porta alle spalle.
 
*
 
Amsterdam di notte è come un fiore che si schiude.
Percorrono la via che porta all’Oranjee in tram, Blaine pressato contro Kurt che è seduto accanto al finestrino, il suo profumo che lo stordisce ad ogni respiro e i paesaggi suggestivi che si accavallano nei loro occhi.
Sembra quasi troppo presto quando varcano la soglia del ristorante, l’atmosfera calma ed accogliente che li avvolge seduta stante, e una cameriera dall’aria gentile si avvicina domandando “Hummel e Anderson, non è vero?” – Blaine potrebbe aver pensato a quanto i loro cognomi suonino bene l’uno accanto all’altro, ma tant’è. Kurt annuisce cordialmente e la ragazza li accompagna ad un tavolo abbastanza isolato, sulla terrazza scoperta che si affaccia su un piccolo fiumiciattolo colmo di barche mezze sprofondate sotto il peso dell’acqua piovana e di semi di olmi sparsi ovunque come petali di albicocco.
Kurt gli scosta la sedia prima che si sieda, e Blaine è sicuro di non essersi mai sentito come in quel momento – le guance incastrate in un sorriso gigantesco, il cuore che gli palpita contro la cassa toracica e una luce tutta nuova negli occhi, che senza dubbio è più luminosa dei riflessi delle stelle e delle luci della città nell’acqua del fiume.
Quando Kurt scivola sulla sedia davanti a lui si sente un po’ senza fiato – ma è quel senza fiato positivo, quello che solo Kurt è in grado di scatenare in lui. Pochi istanti dopo un cameriere dall’aspetto gentile si accosta a loro con una bottiglia in mano. “Benvenuti all’Oranjee. Volete che vi porti i menu o preferite il piatto dello chef?”, dice in un inglese vagamente buffo. Kurt lo osserva con aria interrogativa,e Blaine annuisce appena, “Il piatto dello chef va benissimo, per me.”
“Sì, anche per me. Blaine è vegetariano.” Blaine solleva le sopracciglia – glielo ha detto solo una volta, ed è stato diverso tempo prima. Un calore piacevole gli avvolge il petto al pensiero che se ne sia ricordato.
“Non c’è problema. Possiamo vegetarianizzare una porzione,” ridacchia il cameriere. “Champagne?” Blaine esita un istante – non è che non gli piaccia l’alcool: ha occasionalmente rubato qualche sorso di birra a suo padre e una volta ha bevuto due dita di vino rosso ad un pranzo di Natale. Semplicemente, non ha idea di cosa stia passando nella mente di Kurt e be’, sì, non ha esattamente voglia di sembrare un alcolizzato al loro primo appuntamento, grazie tante.
Da qualche parte, nella sua mente, la domanda ma quindi è un appuntamento? risuona insistentemente.
“Direi proprio di sì.” Blaine sorride piacevolmente alle sue parole e osserva le bollicine tuffarsi e risalire nei bicchieri, prima di prendere il proprio in mano ed aspettare che Kurt faccia lo stesso.
“Okay,” sussurra, prima di poterselo impedire. Gli occhi di Kurt brillano; “Okay,” gli risponde, facendo tintinnare insieme i calici.
 
*
 
“Questo soufflé è la meraviglia,” sussurra Kurt ad occhi chiusi e aria sognante, e Blaine non può fare a meno di ridacchiare e portare alla bocca l’ultimo boccone di crema di patate. Potrebbe essersi incantato a guardare le labbra di Kurt più di una volta durante la serata, e questa potrebbe essere una di quelle volte, ma non ha particolarmente voglia di farsene una colpa – non lì, non in quel momento.
Kurt prende un sorso di champagne e lo osserva silenzioso – quel tipo di silenzio che Blaine ha imparato a riconoscere come sto pensando a qualcosa di importante.
“A te piace leggere, non è vero?” Blaine deglutisce e lo guarda incuriosito.
“Questo è decisamente un drastico cambio di argomento.” Kurt ridacchia; “Direi di sì.”
“Mmh,” inizia, giocherellando con la cannula nervosamente. “Certo, mi piace moltissimo.”
“E Un’Imperiale Afflizione è il tuo libro preferito.” Stavolta non c’è una domanda, quindi Blaine aspetta che Kurt termini di parlare, decidendo che perdersi nelle lentiggini spruzzate sulle sue guance è un buon modo per impiegare il tempo. “Quali sono i tuoi altri libri preferiti?”
Esita un istante, prima di rispondere senza esitazione “Cime Tempestose.”
“Lo sapevo che eri un romanticone, in fondo!”
“Kurt, quel libro è una tragedia,” ridacchia, e Kurt gesticola con una mano distrattamente. “Qual è quella frase famosissima?” chiede più a se stesso che a Blaine, stringendo le palpebre finché le iridi non diventano una sottilissima linea azzurra.
“Le mie grandi sofferenze in questo mondo sono state quelle di Heathcliff, e le ho viste e vissute tutte fin dal principio; il mio pensiero principale nella vita è lui.” Lo osserva rapito, mentre Blaine fa scivolare le dita lungo il bordo del suo bicchiere ormai vuoto. “Continua,” gli chiede, e Blaine si decide ad incontrare finalmente i suoi occhi.
“Se tutto il resto morisse, e lui rimanesse, io continuerei ad esistere; e se tutto il resto continuasse ad esistere e lui fosse annientato, l'universo si trasformerebbe in un completo estraneo: non ne sembrerei parte.”
“Sono innamorato di te.” Ed è come un tuffo nel vuoto ed essere investiti da un uragano tutto in una volta, perché Kurt è lì, Kurt l’ha detto sul serio, e anche Blaine è lì e ha così tanta paura –
“Kurt.”
“Sono innamorato di te, e non sono il tipo da negare a me stesso il semplice piacere di dire cose vere. Sono innamorato di te, e so che l'amore non è che un grido nel vuoto, e che l'oblio è inevitabile, e che siamo tutti dannati e che verrà un giorno in cui tutti i nostri sforzi saranno ridotti in polvere, e so che il Sole inghiottirà l'unica Terra che avremo mai, e sono innamorato di te, Blaine Anderson.” Kurt ha il respiro pesante e gli occhi lucidi, e per quanto Blaine si sforzi non riesce a ricordare di averlo visto più bello di quanto lo sia ora.
Resta per qualche istante in silenzio, combattendo contro il desiderio di rispondergli Ti amo anch’io e di baciarlo fino a perdere le forze. “Ti sei innamorato di una granata, lo sai?”
Kurt lo fissa confuso, una ruga adorabile a solcargli lievemente la fronte, finché non capisce – perché è sempre così, con Kurt. Non c’è bisogno di spiegazioni, lui lo capisce – e stira le labbra in un sorriso dal retrogusto amaro. “Lascia decidere a me per cosa vale la pena perdere la testa.”







La dichiarazione è *ovviamente* ripresa da TFIOS - è talmente perfetta che non mi sono sentita in grado di modificare nemmeno una parola.
La citazione di Cime Tempestose ce l'ho messa perché be', è il mio libro preferito di sempre e -- well. Penso che leggendola capiate anche il perché.

Domani aggiorno Every lifetime you and I have ever lived con una oneshottona con dei werewolves!Klaine, per chi volesse. :3
Un bacio e tanti tanti abbracci, perché ne abbiamo bisogno tutti in questo momento.

Elena. <3


 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Note iniziali:
Grazie ad Anna_Vik, a Zurry e ad alli per aver recensito lo scorso capitolo, a kissmycollarbones che mi rassicura via mp (tesoro, recensisci quando vuoi. Sul serio. <3) e ad Ari che mi minaccia un giorno sì e l'altro anche. :3
Spero che il capitolo vi piaccia!


 
Capitolo 11


Blaine si sveglia troppo presto, il mattino successivo, i ricordi che spingono prepotentemente  contro le pareti del cranio e i riccioli sparsi sul cuscino. Non deve ancora essersi abituato al fuso orario, perché sono le quattro del mattino e Amsterdam sembra essere ancora sepolta sotto una coltre di buio e respiri profondi di sonno. Il che tutto sommato è un bene, perché gli dà modo di riflettere sulla sera precedente e su tutte le parole che Kurt gli ha detto a cena, su come le loro mani non abbiano fatto altro che sfiorarsi insistentemente durante la successiva passeggiata lungo la riva di un fiumiciattolo olandese, su tutto.
Non ha mai creduto di essere una di quelle persone che hanno bisogno di tempo per metabolizzare le notizie: quella del cancro è arrivata e si è trascinata via la sua infanzia non dandogli nemmeno la possibilità di ribellarsi; tutti quelli che sono entrati nella sua vita lo hanno fatto in punta di piedi, e Blaine si rende conto solo adesso di quanto la loro presenza sia stata marginale, puntini indefiniti ai bordi della sua esistenza.
Ma Kurt – oh, con Kurt è come prendere tutto ciò che c’è di normale e gettarlo via. Kurt la vita gliel’ha stravolta. Non ha chiesto il permesso di entrarvi, né quello di aprire la bocca e rovesciare tutti quei ti amo che Blaine non ha idea di come gestire. E questo – questo lo destabilizza, quindi sì. Ha bisogno di metabolizzare.
 
Ed è esattamente quello che fa nelle successive tre ore e quarantacinque minuti, quando la sveglia impostata da sua madre lo fa sobbalzare, riscuotendolo dal torpore del non-sonno.
“Mmh, tesoro? Sei già sveglio?” mugugna Pam, allungando un braccio alla cieca verso il comodino per disattivare quell’aggeggio infernale che li sta stordendo. Blaine si alza in piedi, destreggiandosi goffamente tra cannula e bombola d’ossigeno notturna, prima di caracollare sul lettino accanto al proprio e solleticare i fianchi di sua madre. “MAMMA, SI VA DA VAN HOUTEN!”
 
*
 
La sua affermazione – o per meglio dire, il suo grido – non si rivela essere particolarmente corretto, visto che dopo due ci sono solo lui e Kurt davanti ad un bar estremamente invitante, tappa fondamentale prima di quella a casa di Van Houten, e Pam è rimasta in albergo.
Kurt gli tiene aperta la porta e Blaine sussurra un piccolo grazie, prima di entrare nell’atmosfera accogliente del piccolo locale. E’ aperto su tre lati da delle ampie finestre trasparenti e offre una visuale di un piccolo giardino di tulipani arancioni – estremamente simili a quelli che Kurt gli ha regalato il giorno del pic-nic – e di una stradina, poco più avanti, costeggiata da case piccole e tutte diverse l’una dall’altra. Si avvicinano al bancone uno accanto all’altro, sotto le occhiate placide di due vecchietti davanti a un giornale e due tazze vuote e della barista. Inspiegabilmente, Blaine non si sente a disagio. Al contrario si apre in un sorriso gigantesco – perché quella è la sua giornata, e niente è in grado di rovinargliela – e si sporge verso la ragazza dai capelli rossi e le guance spruzzate di lentiggini.
“Un medium drip e un non-fat mocha, per favore.” Lei annuisce, regalando loro un sorriso brillante e mettendosi a lavoro.
“Sai il mio ordine del caffè?” gli chiede Kurt, e Blaine non nota nemmeno la scintilla d’incredulità nella sua voce. Si volta a guardarlo per annuire, come se fosse la cosa più scontata del mondo. E stavolta non si perde l’occhiata semplicemente mozzafiato che Kurt gli regala.
 
*
 
La villetta di Van Houten sembra quasi banale se rapportata ai colori sgargianti delle case adiacenti. Si staglia solitaria su un fazzoletto quadrato di terra poco curata; le persiane dalla vernice blu scrostata sono ancora serrate, nonostante siano le dieci del mattino, e tutto ciò contribuisce ad incrementare ulteriormente l’ansia che attanaglia lo stomaco di Blaine.
Kurt batte un paio di volte il batacchio contro il legno della porta ed entrambi trattengono il respiro quando questa si schiude lentamente, rivelando la figura massiccia di un uomo ben oltre la soglia della mezza età.
“Voi chi siete?” Una zaffata di odore di alcool li investe, mischiata ad un lieve sentore di colonia maschile. L’uomo li scruta attentamente dietro un paio di occhiali spessi e calati lungo il naso, sfregandosi con una mano il punto in cui la barba grigiastra si unisce ai capelli radi dello stesso colore.
Blaine si schiarisce la voce. “Io sono Blaine Anderson, lui è Kurt Hummel. Noi – noi siamo i ragazzi a cui ha risposto via mail attraverso l’indirizzo della sua segretaria.”
“LIDEVIJ!” Sobbalzano entrambi all’urlo e allo schianto della porta contro lo stipite.
“Peter! Non può sbattere loro la porta in faccia!”
“Non pensavo li avessimo invitati.”
“E invece lo abbiamo fatto, apra quel portone, per l’amor del cielo.”
“Sa per quale motivo mi sono trasferito dall’America? Perché non volevo più avere a che fare con gli Americani, Lidevij. E ora me li ritrovo fuori di casa.”
Blaine non scherza quando realizza di aver trattenuto il fiato per tutta la durata della conversazione.
La porta si riapre qualche istante più tardi, gli occhi grigi di Van Houten che spuntano sotto le sue sopracciglia spesse, e in un attimo sono dentro quella che probabilmente è la casa più disordinata che Blaine abbia mai visitato. Il che è tutto dire, considerato quanto poco incline all’ordine sia egli stesso.
Percorrono un breve corridoio che si affaccia su un salotto relativamente piccolo, considerato quanti oggetti tra poltrone, divani, impianto stereo e disordine generale siano sparsi un po’ ovunque.
Blaine prende coraggio. “Innanzitutto ci tenevamo a ringraziarla per la cena di ieri sera all’Oranjee. E’ stato davvero gentile da parte –“
“Abbiamo pagato loro la cena, Lidevij?”
Una voce gli risponde da un’altra stanza. “Sì, Peter!”
Van Houten torna a scrutarli; “Be’, ora sapete chi dovete ringraziare. Chi di voi è Kurt Hummel?”
“Io,” dice Kurt un po’ stranito. “Come le ho spiegato nella mail, è stato Blaine a farmi conoscere il suo libro. E be’ – lui vorrebbe ricevere qualche delucidazione riguardo il finale.” Blaine lo guarda riconoscente e fa per aprire la bocca, quando viene brutalmente interrotto per l’ennesima volta.
“Lidevij, un bicchiere di scotch e acqua. Poca acqua, molto scotch.” Dalla cucina arriva l’eco di un sospiro e Blaine deve ricordarsi di mantenere la calma, perché questa è l’unica possibilità che ha e non può sprecarla, non può, non può, non può.
“Vede, ho letto il suo libro anni fa, e fin dalla prima volta mi sono sempre chiesto cosa succedesse dopo la morte di Anna. Cosa accadesse a sua madre, all’Olandese dei Tulipani o … perfino al suo criceto. E ora che siamo qui, be’, per me sarebbe un privilegio poterlo finalmente scoprire.” L’uomo li guarda circospetto, percorrendo con le dita il bordo del bicchiere che Lidevij gli ha messo in mano, prima di buttarne giù il contenuto in un sorso solo.
“Voi conoscerete i paradossi di Zenone, immagino.” Kurt e Blaine si scambiano un’occhiata perplessa, prima di scuotere la testa quasi all’unisono.
“I paradossi di Zenone sono quanto di più singolare vi sia nella filosofia classica. Il loro autore, Zenone, per l’appunto, li creò per difendere le teorie del suo maestro Parmenide, che sicuramente conoscerete.” Questa volta non lascia loro nemmeno il tempo di rispondere. “Il più famoso è naturalmente quello di Achille e la tartaruga; secondo esso, presupponendo che una tartaruga parta dieci metri davanti a un guerriero, egli non riuscirà mai a raggiungerla, pur essendo più veloce. Ciò è semplicemente spiegabile, perché Achille dovrà in un primo momento raggiungere la prima posizione della tartaruga, ma lei nel frattempo si sarà spostata, quindi lui dovrà poi arrivare alla seconda, ma anche qui essa si sarà spostata e così via all’infinito, fino a non ricongiungersi mai con la tartaruga. In questo modo avremo infiniti spazialmente diversi: alcuni infiniti saranno più piccoli di altri infiniti.”
Restano in un silenzio imbarazzato per qualche istante, prima che Blaine riprenda a parlare. “Noi, uhm – non lo conoscevamo. Comunque, stavamo dicendo, cosa succede all’Olandese dei Tulipani?”
“E qual è il vostro livello di conoscenza riguardo il rap finlandese?”
“Direi minimo,” risponde Kurt, e a quel punto lo sta davvero guardando male, mentre Blaine sente solo una grande delusione montargli dentro.
“Lidevij, perché non accendi lo stereo? Questi due giovani non possono perdersi un’esperienza simile –“
“Scusi se sono sgarbato, signor Van Houten, ma a noi non interessa. Noi siamo qui per sapere cosa succede dopo –“
“Non succede niente, signor Anderson. E’ un libro. E non capisco da dove derivi questa stravagante convinzione secondo la quale noi autori dovremmo conoscere qualcosa in più degli altri in merito a dei mucchi di pagine che sono solo questo: mucchi di pagine.” Blaine è praticamente sicuro che quelle agli angoli dei propri occhi siano lacrime.
“Stronzate!” esclama, alzandosi in piedi. Kurt lo segue come un’ombra.
“Gradirei se non utilizzasse determinate parole in casa mia –”
“Lei aveva promesso – aveva promesso che ce lo avrebbe detto –“
Ora anche Van Houten è in piedi. “La mia era una proposta retorica, gettata lì per dare speranza a persone come voi che non sono abituate ad averne.”
“Peter!,” grida Lidevij scandalizzata, accompagnando la sua esclamazione con uno scatto dalla poltrona ai suoi tacchi. Blaine è sull’orlo delle lacrime.
“E’ così, non è vero? Voi, poveri ragazzini malati di cancro, così abituati a ricevere tonnellate di compassione unite a qualsiasi cosa vi passi per la testa. Indovinate un po’? La vita non è un ufficio di esaudimento di desideri. Ma forse non dovrei nemmeno parlarvene, visto che voi nemmeno vivete, sopravvivete.”
Io mi licenzio!” strilla Lidevij; Blaine è praticamente certo che Kurt stia per scavalcare quell’insulso tavolino di vetro che li separa da Van Houten e prenderlo a pugni, quindi poggia delicatamente una mano sulla sua spalla, ignorando l’occhiata stranita che gli lancia lui di rimando.
“Lei mi fa schifo,” scandisce lentamente Blaine. “E per quanto mi riguarda, lei e la sua dannatissima Imperiale Afflizione potete benissimo andare a farvi fottere.” Sente la stretta protettiva di un braccio di Kurt lungo la schiena e le sue dita che si arricciano sul proprio fianco, e si asciuga furiosamente le lacrime che sono sfuggite alla prigione delle sue ciglia.
“Andiamocene,” sussurra Kurt al suo orecchio, prima di spingerlo di nuovo verso il corridoio e poi fuori dalla porta. Il legno sbatte rumorosamente dietro di loro e Blaine semplicemente si scioglie tra le braccia forti di Kurt. “Mi dispiace,” mormora contro il suo petto. “Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.” Kurt lo costringe ad alzare lo sguardo su di lui.
“Ehi, no. Qui non sei tu ad aver sbagliato,” sussurra a qualche millimetro dalle sue ciglia imbevute di lacrime. “Peter Van Houten è un montato pallone gonfiato con un disperato bisogno di una doccia che nonostante sia un bravissimo scrittore non conosce il peso delle parole che usa. E’ lui ad essere un coglione.” Blaine lo scruta attentamente, cercando nelle sue sopracciglia corrucciate e nelle sue labbra strette in una linea retta il coraggio di non lasciarsi inghiottire dalla delusione.
“Ho sprecato il tuo desiderio per un coglione.”
“Il nostro desiderio, Blaine Anderson. E non lo abbiamo affatto sprecato: non so se ti sei guardato attorno, ma Amsterdam è una città meravigliosa e noi abbiamo ancora tempo per visitarla tutta. E chi se ne frega di quel vecchio idiota. Te lo scrivo io un seguito, e ti assicuro che sarà infinitamente più bello di qualsiasi schifezza che Van Houten potrebbe tirar fuori dal suo cervello consumato dall’alcool.” Malgrado tutto, entrambi ridacchiano.
Blaine si rifugia di nuovo nel suo abbraccio, decidendo che per quell’istante, solo per quell’istante, non gli importa assolutamente nulla di essere una stupida granata. In quell’istante ha solo voglia di stringere Kurt così forte da lasciare impressa la propria anima nella sua.
 
Devono essere passati pochi minuti, quando la porta di casa Van Houten si apre nuovamente; Lidevij si muove velocemente, stringendosi al collo una sciarpa azzurrina che richiama il colore dei suoi occhi. Si scosta una ciocca di capelli rossi dalle tempie e regala loro un piccolo sorriso.
“Non potete dire di aver visitato Amsterdam, se non entrate nel Museo di Anna Frank.”
“Non voglio più vedere Van Houten per il resto della mia vita.” La ragazza guarda Kurt con la consapevolezza negli occhi.
“Lui non è invitato.”




Io ... Uhm. 
Facciamo che non dico niente.
Tranne che col prossimo capitolo mi farò perdonare le tonnellate di angst che vi ho propinato finora. <3

Un bacio,
Elena. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Note iniziali:
Ci tengo a ringraziare infinitamente Anna_Vik, Zurry e Fé per le bellissime parole che mi hanno lasciato (also, Fé, sei meravigliosa quando scleri su FB <3 ), kissmycollarbones per i commenti via mp e tutte quelle persone meravigliose che continuano a seguire questa storia - io boh, siete bellissime *si asciuga una lacrimuccia*.
Ora, questo capitolo è /veramente/ importante per me - ma credo lo sia in generale, perché è un po' la fine di una parte della storia e l'inizio di un'altra. Non vi dico quante volte ho cancellato e riscritto la parte finale perché non lo volete sapere. *blusha*


 
Capitolo 12

Questo capitolo è per tutti quelli che sono arrivati fin qui, e in particolare è per mia moglie Je.
Grazie per aver reso reale il mio sogno di abbracciarti di persona.




Kurt e Blaine non parlano molto nell’auto di Lidevij. Più che altro si limitano ad ascoltare le sue scuse – che sembrano davvero sincere, ma questo significa che Van Houten sia automaticamente una persona migliore di quella che si è mostrata davanti a loro. Ad ogni modo la donna insiste per comprare loro i biglietti per l’ingresso al museo di Anna Frank – “Per sdebitarmi,” dice con un sorriso genuino e una scrollata di capelli rossi – e Blaine la ringrazia, sorridendole mentre stringe la mano di Kurt. Non l’ha lasciata andare nemmeno per un istante, da quando si sono abbracciati.
 
Quando la donna sbuca dall’ingresso del museo coi biglietti stretti tra le dita ha un’aria dispiaciuta. “Hanno detto che non c’è l’ascensore,” esordisce con un sorriso spento.
“Non c’è problema,” le risponde Blaine.
“Ci sono molte scale ripide, io – “
“Non c’è problema, posso farlo.” La stretta di Kurt attorno alla sua mano si fa un po’ più solida e Blaine lo guarda giusto il tempo di un sorriso. “Andiamo.”
 
*
 
Le prime scale non sono complicate da gestire. Lidevij apre la strada e Blaine la segue, mentre Kurt lo aiuta sorreggendogli il carrellino. Blaine osserva quasi con riverenza la libreria che ha protetto la famiglia Frank durante il periodo più critico della Seconda Guerra Mondiale, perdendosi ad accarezzare con lo sguardo i dorsi dei libri consumati dal tempo.
La seconda rampa lo lascia senza fiato. Sono quattordici scalini e sembrano diventare uno più ripido dell’altro ad ogni passo. Kurt gli passa un braccio attorno al fianco e Blaine fa del suo meglio per ignorare le occhiate incuriosite e preoccupate degli altri visitatori, mettendo su un sorriso di circostanza ed aggrappandosi a Kurt più forte che può. Percorre gli ultimi gradini col fiato che gli sfugge dai polmoni e con la sensazione di non essere più in possesso della facoltà di respirare, e si appoggia con la schiena alla prima parete che trova serrando gli occhi.
“Ehi.” Il respiro caldo di Kurt gli solletica la guancia e Blaine sorride ancor prima di sollevare le palpebre. “Va tutto bene. Solo – un attimo.” La stanza che li circonda è praticamente vuota, quasi completamente spoglia, tanto che è difficile immaginare che vi abbiano vissuto delle persone per così tanto tempo, e Blaine si ritrova ad immaginare cosa può essere stato, vivere durante la guerra.
Cuore in gola ed esplosioni di bombe, un continuo sopravvivere senza mai vivere veramente. Improvvisamente viene assalito da qualcosa di strano e tutto nuovo. Come se dovesse qualcosa ad Anna Frank. Perché diavolo, lei è quasi sopravvissuta ad una guerra ed è sicuramente stata peggio di quanto lui sia mai stato, e tutto ciò lo spinge a non arrendersi, a non fermarsi, a vivere ciò che è in grado di vivere.
Si avvia verso la rampa successiva – che si rivela essere una successione di diciotto gradini di una scala a pioli – e prende un respiro profondo, aggrappandosi fermamente al legno e spingendosi verso l’alto. Non pensa a ciò che sta facendo – non riesce nemmeno ad arrossire quando la mano di Kurt che lo sta aiutando a salire scivola accidentalmente dal suo fianco alla curva del sedere per un istante – lo fa e basta, arrancando ad ogni piolo, fin quando non si ritrova a sedere su un pavimento grigio con la schiena contro un muro freddo, l’aria che lotta per entrargli nei polmoni e il cuore che batte furiosamente nel petto.
Pochi secondi dopo i capelli di Kurt entrano nel suo campo visivo, seguiti dai suoi occhi e dal suo sorriso sghembo e dolce e dal suo corpo sinuoso. “Ce l’hai fatta,” gli dice, l’orgoglio e la dolcezza che traboccano dalla sua voce. Blaine deglutisce a vuoto un paio di volte, prima di annuire, la mano che va istintivamente ad intrecciarsi a quella di Kurt e cade mollemente sulla propria coscia.
Si alza in piedi dopo qualche minuto, mettendo finalmente a fuoco gli sguardi terrorizzati dei turisti. Abbassa automaticamente il viso, fissandosi la punta delle scarpe, quando Kurt gli stringe un po’ più forte la mano e gli sussurra “Va tutto bene. Non stanno giudicando, sono solo preoccupati.” Blaine gli offre un sorriso piccolo ed esitante, prima di avvicinarsi a Lidevij, intenta ad osservare un libro gigantesco pieno dei nomi di tutti gli Olandesi morti nel genocidio dei nazisti.
“Non so proprio come sia possibile vivere senza una famiglia come ha fatto lui,” mormora, il viso corrucciato mentre fissa attentamente il video proiettato sulla parete. Il volto di Otto Frank, il padre di Anna, e la sua voce calda e triste sono così vicini da sembrare reali, tangibili, mentre le dita di Kurt non intrecciate a quelle di Blaine sfiorano la superficie ruvida della carta del libro su cui è stampato il nome di Anna.
 
E’ quando Blaine sposta lo sguardo sul suo viso, che si rende conto di voler baciare Kurt. Vuole baciarlo. E sembra tutto così inopportuno e sbagliato, per via del posto in cui si trovano e della situazione in cui si trovano e del tutto in cui si trovano, ma vuole baciarlo.
Vuole baciarlo perché Kurt non gli ha chiesto il permesso prima di entrare nella sua vita, come tutti gli altri hanno fatto. Vuole baciarlo perché Kurt non ha mai avuto paura della granata che Blaine è, e perché per un po’ è riuscito a cancellare quella paura dal suo stesso cuore. Vuole baciarlo perché Kurt è quel tipo di ragazzo che continua a scattare fotografie solo perché vuole lasciare a suo padre un briciolo del ricordo di sua madre e che consola la sua migliore amica con gelato e karaoke anche se la sua vita è anche più incasinata di quella di Santana. Vuole baciarlo perché Kurt gli ha confessato di amarlo ad alta voce, senza vergogna e senza paura, come se fosse ciò che di più naturale esista al mondo, con la dolcezza e la delicatezza di chi non chiede nulla in cambio.
Vuole baciarlo e ora lo sta facendo.
Kurt sussulta contro il suo corpo e si scioglie nella sua stretta, lasciando che le dita di Blaine creino un sentiero dal proprio fianco al collo, scandagliando ogni curva muscolosa del braccio nel salire, e si intreccino delicatamente alle ciocche dei capelli della nuca – non lasciarmi. Blaine chiude le labbra sulle sue in un contatto lieve e soffice e si ritrova stupidamente a pensare che non assaggerà mai più in vita sua qualcosa di più buono di quei lembi di carne sottili e pieni allo stesso tempo – stringimi. Sente la gravità oscillare pericolosamente quando Kurt gli preme le dita contro i fianchi e lo solleva sulle punte dei piedi per poterlo avere più vicino e più reale contro di sé, come se avesse il bisogno di rendersi conto che non è un sogno – ti amo.
Ed è come morire e rinascere tutto in una volta, quando si separano – Blaine con gli occhi spalancati e senza fiato in una maniera tutta nuova ed affascinante; Kurt sorridente, il cuore che gli pulsa contro la cassa toracica e i lineamenti delicati del viso distesi in un’espressione meravigliosa.
Tornare nella realtà è come una doccia fredda, ma prima che Blaine possa cominciare a preoccuparsi delle conseguenze che un bacio tra due ragazzi in un luogo così malinconico possa portare, le persone stanno già applaudendo. Si volta sconcertato, distogliendo malvolentieri lo sguardo dagli occhi impassibilmente azzurri di Kurt, ma trova solo sorrisi commossi e mani che battono davanti a sé. Qualcuno ad un certo punto grida “Bravi!” e Kurt scoppia a ridere, trascinando Blaine con sé in quel suono cristallino.
Quando si guardano di nuovo negli occhi, la consapevolezza di ciò che hanno appena fatto li travolge e Blaine può affermarlo con una certezza matematica, per la prima volta in vita sua non ha paura – al contrario, si sente così pieno di coraggio e di felicità da non essere sicuro di essere in grado di contenere tutto nel proprio corpo.
 
*
 
Salutano Lidevij davanti all’ingresso dell’hotel – ringraziandola nuovamente perché si è anche offerta di pagare loro anche il trancio di pizza che hanno mangiato come pranzo – e quando l’immagine della sua auto sparisce alla loro vista dietro un angolo Blaine non riesce a pensare assolutamente a nulla.
E sa che si sta comportando da immaturo, perché è stato lui a baciare Kurt e ora dovrebbe essere in grado di prendere la situazione in mano e quantomeno parlarne. Ma non ci riesce. Quindi continua a fissare la strada sotto il sole cocente di maggio, le mani infilate in tasca e il labbro inferiore prepotentemente stretto tra i denti – nella vana speranza di ritrovare qualche traccia del sapore di Kurt.
“Blaine?” Prende un respiro profondo, prima di voltarsi verso di lui. “Forse dovresti … riposare? Non so, sei stanco.” E Blaine sorride, perché è così tipico di Kurt, preoccuparsi per gli altri in ogni situazione.
“Io credo di non essere mai stato meglio in vita mia, in realtà.” E questa volta è lui a spiazzarlo, perché Kurt spalanca gli occhi ed inclina il volto. “Davvero?” chiede, l’ansia mal mascherata nella voce, “Niente – Niente ripensamenti?” Blaine sorride così tanto da sentire male alle guance.
“Niente ripensamenti.”
 
*
 
Non sanno nemmeno come ci arrivano, in camera di Kurt. Riescono a trattenersi per tutto il tragitto che va dalla reception all’ascensore, poi Blaine si ritrova le labbra umide di Kurt che si modellano sulle sue e si schiudono leggermente, succhiando appena il suo labbro inferiore. Serra gli occhi e assaggia Kurt, tracciando con la lingua il sentiero morbido della sua bocca, prima di staccarsi e riprendere fiato.
“Ne sei sicuro?” gli chiede Kurt, e Blaine percepisce delle lacrime calde annidarsi agli angoli degli occhi, perché è tutto troppo e si sente come se dovesse esplodere dalla felicità e dalla completezza da un istante all’altro. Perché Kurt è così perfetto per lui che sembra fatto apposta per modellarsi attorno alle proprie crepe e ai propri pezzi mancanti e in quel momento ne è così consapevole che non riesce neanche a pensare ad una risposta diversa da un“sì”sussurrato contro le sue labbra.
L’ascensore si apre improvvisamente e Kurt lo prende per mano prima di uscire – sta cominciando a percepire questa sensazione come familiare e davvero, Blaine non potrebbe chiedere niente di più di quello –, e a quel punto sente il bisogno di chiederlo anche lui, perché dopotutto è una prima volta anche per Kurt e sono in due a dover essere sicuri.
“E tu?” Kurt lo scruta da sotto le ciglia castane con un sorriso dolce impresso sulle labbra. “Mai stato più certo di qualcosa di così.” Ma Blaine glielo legge negli occhi, che c’è qualcosa che non va.
“Se c’è anche una singola cosa che ho fatto che non va bene – tu devi dirmelo, okay?”
“Blaine, non sei tu.” Blaine continua a fissarlo con aria interrogativa e Kurt si passa una mano tra i capelli. “E’ sopra il ginocchio. C’è una brutta cicatrice che si restringe e –“
“Cosa?” Kurt chiude gli occhi. Quando li riapre sembra essere diventato più piccolo, così spaventato ed impaurito. “La gamba,” spiega velocemente. Fa per aprire bocca di nuovo, ma Blaine lo interrompe.
“Kurt, non c’è assolutamente nulla che non va in te. Nulla. Vorrei solo che ti vedessi con i miei occhi in questo istante, per renderti conto di ciò che vedo io.” E Kurt gli sorride dolcemente, accarezzandogli una guancia con tutta la delicatezza che possiede, avvicinandosi per stampargli un bacio veloce sulle labbra.
“Però, Blaine Anderson è uno sdolcinato romanticone, chi l’avrebbe mai detto?” Blaine alza teatralmente gli occhi al cielo, prima di lasciarsi trascinare verso la sua camera.
 
*
 
Non che Blaine non l’avesse messo in conto, ma l’idea di spogliarsi davanti a qualcun altro è imbarazzante. Si ritrova in piedi al lato del letto su cui Kurt si è appena seduto senza la più pallida idea di cosa fare. Giocherella nervosamente col manico del carrellino, finché Kurt non afferra la sua mano e lo fa cadere accanto a sé sul materasso.
Gli stringe il viso tra le mani e lo trascina in un bacio tutto nuovo. Leggero e lieve all’inizio, solo tocchi morbidi di labbra e sorrisi accennati tra uno sfioramento e l’altro, come se Blaine fosse fragile come il cristallo. Poi più profondo, a labbra aperte e fiato corto, e basta quello a far scattare qualcosa.
Kurt si distende sulle coperte, scivolando all’indietro fino ad appoggiare la schiena contro la testiera di legno, e Blaine non può fare a meno di seguirlo, esitante, mentre lascia scivolare le gambe ai lati del suo corpo e gli si accovaccia sopra, chiudendo gli occhi e pressando le labbra sulle sue, perché non ha assolutamente idea di cosa stia facendo e questo sembra quanto di più giusto il suo corpo riesca a fare.
Sente le dita sottili di Kurt premere contro i propri fianchi gentilmente e poi scorrere lentamente lungo la curva che i jeans disegnano sulle natiche; trattiene un po’ il fiato e tanto basta ad interrompere il bacio e a ritrovarsi gli occhi scintillanti di Kurt estremamente vicini al viso.
“E’ tutto okay?” Blaine sorride scioccamente e stringe i lembi di stoffa della sua camicia tra le dita.
“Okay,” sussurra, chiedendo silenziosamente il permesso di slacciare i bottoni – che in quel momento gli sembrano decisamente superflui –, per poi procedere a sfilarli dalle asole con una calma che non sapeva di possedere. Sfiora coi polpastrelli la pelle candida di Kurt, levigata attorno ai muscoli e alle ossa, tesa ed invitante sotto le sue dita – ed è consapevole di star arrossendo, ma decide che varrebbe la pena di assumere ogni tonalità di rosso immaginabile, se poi avesse la possibilità di osservare e toccare la pelle di Kurt all’infinito.
Quando rialza gli occhi su di lui, ha l’impressione che Kurt gli stia scavando dentro solo col suo sguardo. Lascia vagare le mani sulla sua pelle per qualche altro istante, prima di cercare le sue, ancora strette alle cosce, e prenderle tra le proprie, conducendole gentilmente all’orlo della t-shirt che sta indossando.
Kurt lo osserva rapito e solleva lentamente la maglietta, e improvvisamente stanno ridendo entrambi, perché si è incastrata alla cannula ed è così tipico di loro due che non riescono letteralmente a farne a meno.
“Siamo un casino,” dice Blaine, la voce soffocata dalla t-shirt mentre aiuta Kurt a toglierla e la getta da qualche parte a terra. Kurt avvolge le mani ai suoi fianchi, i palmi che si imprimono bollenti sulla pelle, e tutto è così imperfettamente perfetto che Blaine lo dice senza esitare nemmeno un istante.
“Ti amo.”
Kurt lo guarda con quei suoi occhi così brillanti da oscurare le stelle, poi lo bacia e tutto il resto perde importanza.
 
*
 
La sveglia sul comodino segna le ventuno e diciotto, quando Blaine riapre gli occhi. La consapevolezza di ciò che è successo lo colpisce ancora prima della realizzazione di avere il corpo di Kurt sotto di sé, e per un attimo è costretto a passarsi una mano davanti agli occhi, sorridendo come un idiota alla parete, per rendersi conto che non è stato solo un sogno.
Ruota leggermente il bacino e si stiracchia verso l’alto per poter lasciare un bacio soffice sulla guancia di Kurt, che emette un verso adorabile ed assonnato in risposta.
 
Una volta rivestito, Blaine afferra un foglio di carta intestato all’hotel Filosoof e una penna e disegna due cerchi: uno più grande e un piccolino per metà dentro e per metà fuori da quello grande. Ridacchia un po’, quando scrive in una calligrafia tondeggiante VERGINI nel cerchio maggiore e ragazzi di diciassette anni con una gamba sola accanto a quello più piccolo.
Firma il foglio e lo lascia sul comodino accanto al letto in cui Kurt sta ancora dormendo, placidamente avvolto dalle coperte, prima di sorridere scioccamente, afferrare il manico del carrellino e chiudersi la porta alle spalle.








QUESTO è il biglietto che Hazel lascia ad Augustus, visto che la mia descrizione non sembra molto comprensibile. ;;
Well --
*fugge via*
Io ci ho provato, ma lo smut non lo so scrivere. ;-;
(Per Ari: te l'avevo detto che più smuttoso di così non era possibile. :'))
Spero che non sia una schifezza.
Un abbraccio,


Elena.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Note iniziali:
Grazie, grazie, grazie a Anna_Vik, Zurry e mia moglie Je per aver recensito lo scorso capitolo. (E Anto! Io vi auguro di trovare qualcuno che scleri nella vostra chat come fa lei con me, perché è meravigliosa. **) Chi mi conosce sa quanto io sia terrorizzata di poter scrivere stupidaggini, quando si tratta di cose anche solo vagamente smuttose, quindi grazie.
Il capitolo è corto - vi chiedo di nuovo scusa, ma questi giorni sono un po' un inferno ed è complicato per me anche trovare tempo per respirare. 
Anche qui, spero di mettermi presto in pari con le risposte alle vostre splendide recensioni! <3

 
Capitolo 13



La mattina seguente segna l’inizio del loro ultimo giorno ad Amsterdam.
Blaine non vuole pensarci, quindi cerca di distrarsi il più possibile durante la loro colazione arrangiata – Kurt è sceso nella loro camera schioccandogli un bacio sulle labbra non appena Blaine gli ha aperto la porta, sventolando davanti a sé un sacchetto di brioches appena sfornate e tre caffelatte incastrati in un vassoio di cartone, e Pam ha acconsentito a restare in camera a mangiare, piuttosto che scendere al bar dell’hotel.
Kurt e Blaine le raccontano le stramberie di Van Houten, preferendo evitare i particolari tragici e concentrarsi sulla ridicolezza della sua pancia gonfia di alcool e del suo continuo vaneggiare di cose inutili. Viene fuori una storia tragicomica – ma Blaine è contento lo stesso, perché ridere di una delusione gigantesca è un po’ come esorcizzare una paura di una vita intera.
Quando Pam, tra le risate per le loro buffe imitazioni, chiede “E cosa avete fatto, dopo aver visitato il museo di Anna Frank?”, Blaine non fa neanche in tempo ad arrossire, perché Kurt lo ha già preceduto. “Abbiamo visitato un caffè e mangiato degli ottimi biscotti al cioccolato; Blaine mi ha intrattenuto con degli interessantissimi discorsi riguardo i diagrammi di Eulero Venn.” E okay, ora Blaine sta arrossendo e Kurt sta ammiccando e Pam li sta guardando a metà tra il confuso e il consapevole.
Si alza stiracchiandosi da una poltroncina e si infila un maglione più pesante, prima di annunciare di star andando a fare una passeggiata. Li saluta con un “Ci vediamo a pranzo!”, prima di scomparire dietro la porta in una scrollata di capelli castani.
 
“I diagrammi di Eulero Venn, mmh?” Kurt gli scocca un’occhiata divertita.
“Non guardarmi così, sei tu che ti diverti a lasciare quel tipo di romanticissime lettere d’amore al tuo ragazzo.” Blaine ride e si siede più comodamente sul letto, incrociando le gambe sul letto e guardandolo da sotto le ciglia scure. Kurt prende l’ultimo morso della sua brioche, prima di voltarsi verso di lui e stringergli una mano. “Dobbiamo parlare,” aggiunge.
“Oh, queste parole non sono mai un buon segno, sai?” sussurra Blaine intrecciando le dita alle sue. Improvvisamente è come se la bolla in cui gli è sembrato di essere racchiuso per quei giorni ad Amsterdam stesse scoppiando, portandosi via con sé la tranquillità e la serenità che conteneva. Kurt continua a non incontrare il suo sguardo.
“Kurt, va – va tutto bene, non è vero?” Quando i suoi occhi azzurri si decidono ad alzarsi, Blaine si sente morire.
“No. Non va tutto bene,” bisbiglia Kurt. “Poco prima di partire per Amsterdam ho cominciato a sentire – dolore.” La mano di Blaine stringe la presa sulla sua con la stessa forza con cui le palpebre si spalancano.
“No –“
“Ho fatto una PET e mi sono acceso ovunque, Blaine. Il torace, sopra l’anca sinistra, il fegato – ovunque.”
“No,” sussurra di nuovo Blaine, la sillaba che si spezza a metà a causa di un singhiozzo che non è riuscito a reprimere, gli occhi ridotti a fessure di lacrime e le labbra premute violentemente l’una contro l’altra. “No, no, no, no.” Kurt lo attira a sé e gli lascia la mano per poterlo stringere, le braccia pressate contro la sua schiena, e permettere al suo volto di incastrasi nell’incavo del proprio collo, le lacrime calde di Blaine che gli scorrono sulla pelle e macchiano di blu il celeste della maglietta, mentre le gambe sue gambe scivolano sopra le proprie cosce per sentirlo ancora più vicino.
“Mi dispiace così tanto.” E ancora una volta è Kurt a spezzarlo e rimettere a posto i suoi pezzi uno alla volta, mentre tutto ciò che Blaine vorrebbe fare è scomparire tra le sue braccia ed annullarsi, perché questo è il dolore più forte che abbia mai sentito. Ora ne è sicuro.
 
Passa una quantità di tempo indefinita, prima che uno dei due dica una parola – potrebbero essere secondi o minuti o ore intere, Blaine non ne ha idea, ma quando solleva la testa, gli occhi rossi e lucidi e sentieri di lacrime a popolargli gli zigomi, è giunto ad una conclusione tutta nuova.
Questa volta sarà più forte. Lo sarà per Kurt.
“Non posso prometterti che andrà bene,” mormora, lo sguardo fisso negli occhi arrossati di Kurt. “Ma posso prometterti che io sarò sempre al tuo fianco, accada quel che accada.”
“Non ti chiederei mai una cosa del genere –“
“Non è necessario che tu chieda niente.” A quel punto, solo a quel punto Kurt lascia che una minuscola lacrima si faccia strada dalle sue ciglia alla guancia, scavalcando la curva della mascella fino a scomparire.
“Sembra che alla fine sarò io la granata, tra i due. Sarò io a – sai, esplodere e spezzare cuori.” Blaine lo guarda con quegli occhi – che Kurt deve ancora capirlo, di che colore siano – prima di sussurrare sulle sue labbra “Sarebbe un privilegio ritrovarmi il cuore spezzato da te, Kurt Hummel.”
 
Quando Kurt lo bacia, Blaine sente il sapore di caffelatte mischiarsi a quello salato delle lacrime. Quando le loro magliette finiscono sul pavimento, Kurt è piuttosto sicuro di non essere più in grado di distinguere quali siano i propri confini. Quando tutto ciò che resta di loro sono sospiri e “ti amo” sussurrati come se fossero il più prezioso dei segreti, Blaine si concede di chiudersi di nuovo nella sua bolla e di non pensare – di amare, di amare e basta.
 
*
 
Blaine sa cosa significa essere guardati con quello sguardo, quello da sei in fin di vita, mi dispiace molto per te – è quello con cui l’hanno guardato per anni e continuano a guardarlo anche ora –, e lo odia, quindi fa tutto il possibile per nascondere i propri occhi lucidi a Kurt e si limita a stringergli un po’ più forte le dita quando l’aereo prende quota con uno scossone poco rassicurante.
Kurt rilascia il respiro che aveva trattenuto fino a quel momento e gli sorride – il suo sorriso non è cambiato, e Blaine gli è così grato per questo. “Suppongo che tutto questo volare ad alta quota sopra le nuvole mi dia ancora fastidio.” Blaine ride – genuinamente, perché solo Kurt sa farlo ridere così – e si accoccola meglio sul sedile, i capelli più arruffati del solito e gli occhi assonnati. Pam si abbassa una mascherina sul viso e scivola appena contro lo schienale, annunciando di voler fare un pisolino, e Blaine è certo al cento percento che lo stia facendo solo per lasciare loro un minimo d’intimità – il che lo imbarazza e lo fa sorridere come un’idiota allo stesso tempo, ma tant’è.
“Be’, non sai cosa ti perdi. Scommetto che vivere sulle nuvole è meraviglioso.” Kurt solleva un sopracciglio con aria scettica.
“Blaine, sulle nuvole il vento soffia a migliaia di chilometri all’ora.” Blaine sbuffa.
“Distruttore di sogni.”
“Incolpa il mio insegnante di scienze.”
 
*
 
Blaine riemerge dal dormiveglia quando la mano di Kurt si serra improvvisamente nella sua. Apre gli occhi e trova i suoi chiusi. “Ehi –“
“Non volevo svegliarti,” dice lui, sollevando lentamente le palpebre. Il respiro di Blaine si mozza in gola, perché lui conosce, conosce quello sguardo.
“Male?” Kurt annuisce. Blaine si sporge appena oltre il sedile di Pam, attento a non svegliarla, ed attira l’attenzione di una hostess con un gesto nervoso della mano. Le chiede un bicchiere d’acqua e lei li scruta perplessa e preoccupata, prima di porgergli quanto le ha domandato.
Blaine la ringrazia velocemente, poi tuffa la mano libera nello zainetto che hanno portato a bordo, cavandone le pasticche di Kurt. Lui ne ingoia una e prende un sorso d’acqua, prima di rilassarsi appena contro lo schienale e chiudere gli occhi.
Il cuore di Blaine si stringe e sente di nuovo il bisogno di abbassare lo sguardo per non mostrare le lacrime impigliate tra le ciglia, perché deve essere forte, essere forte essere forte essere forte, per Kurt. Si sporge in avanti e gli pressa un bacio leggero sulla guancia – le labbra di Kurt si arricciano all’insù automaticamente a quel tocco.
“Avevo iniziato una terapia prima di partire, una di quelle che non funzionerebbero nemmeno con un miracolo. E l’ho interrotta prima di partire per Amsterdam, il che è anche il motivo per cui mi hai sentito urlare quando tu e tua madre siete venuti a prendermi a casa.”
Blaine pressa le labbra l’una contro l’altra, accarezzandogli col pollice le nocche e il dorso della mano.
“Proveranno qualcosa di nuovo quando tornerò a casa,” aggiunge Kurt scrollando appena le spalle. La presa sulla sua mano si rafforza e lo costringe ad alzare lo sguardo da quell’intreccio di dita agli occhi verdi e liquidi di Blaine – che sono lì, sempre lì ad afferrarlo prima che cada.
“Ascolta, tu puoi farcela. Io credo in te. E so che sembra una di quelle frasi inutili che si dicono in queste occasioni, ma non lo è. Andrà bene.”
E per un attimo, solo per un attimo, Kurt si concede di credergli.









Ricordatevi che io vi voglio tanto bene. *sbaciucchia tutti*

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Note iniziali:
Un grazie ad Anna_Vik, Zurry e kissmycollarbones per aver recensito lo scorso capitolo, a tutti quelli che continuano a mettere questa FF nelle seguite/preferite/ricordate, e a tutti quelli che leggono silenziosamente.
Siete le persone più speciali del pianeta. <3
Ora, da questo momento in poi, la storia prende una piega diversa. Molto, molto più angst. Penso che la maggior parte di voi lo sappia, ma voglio comunque specificarlo in modo che sappiate cosa state leggendo.
Warning: tematiche delicate e un OOC grande come l'Empire State Building per i genitori di Brittany - ma proprio della serie: dimenticatevi i due folli del telefilm. :')
Un bacio! **


 
Capitolo 14




Il giorno dopo il loro ritorno a Lima Blaine è seduto sul materasso a gambe incrociate, la cannula che gli solletica le narici e la testa tra le mani, gli occhi chiusi perché non piangere, non piangere, non piangere. Quando suo padre bussa delicatamente sul legno della porta, solleva lo sguardo per incontrare il suo, seminascosto dagli occhiali da lettura che deve essersi dimenticato di avere sul naso.
“Vuoi andare da Kurt?” Blaine lo scruta per un istante, ricaccia indietro le lacrime ed annuisce.
 
*
 
Kurt sta riposando  in camera sua, quando Blaine lo raggiunge, in tarda mattinata. Carole gli apre la porta con un sorriso mesto e offre un caffè a suo padre, mentre senza neanche che Blaine le chieda niente le ha già detto sommessamente “E’ di sotto che riposa, sono sicura che vuole vederti.” e Blaine non vorrebbe trattenere il respiro quando scorge gli occhi azzurri e lucidi di Burt dietro i capelli di sua moglie, quegli occhi che ricordano così tanto quelli di suo figlio, ma lo fa lo stesso perché ha come l’impressione che il dolore che quell’uomo stia provando sia esponenzialmente più grande di quello che gli attanaglia il petto da due giorni – il che è ridicolo, perché a volte gli sembra di morire.
Non ci pensa neanche per un secondo, prima di trascinarsi dietro il carrellino, avvicinarsi a Burt e stringerlo in un abbraccio un po’ goffo e un po’ strano – gli bruciano gli occhi, ma non piangere, non piangere, non piangere.
Alla fine si districano in qualche modo dalla stretta e Blaine si volta per raggiungere Kurt al piano di sotto.
 
Quando lo vede, gli occhi aperti ma spenti e il tubicino della flebo che scompare sotto le maniche larghe del maglione verde che lo avvolge, disteso sul letto con lo sguardo rivolto al soffitto, deve soffocare l’ennesimo istinto di scoppiare in lacrime ed ingoiare il nodo che si è formato nella sua gola.
“Ehi,” sussurra, temendo inconsciamente di disturbarlo.
“Blaine Anderson.” Kurt si volta verso di lui e quegli occhi riescono ancora una volta a togliergli il fiato. Quasi incespica nel carrellino, nella foga di raggiungerlo. Gli poggia una mano sulla guancia, sfiorandolo delicatamente come se la sua pelle fosse cristallo, e avvolge con l’altra la curva nivea del suo collo, pressando un bacio dolce e leggero sulla sua fronte. Sente Kurt ridacchiare contro il proprio petto; “Dammi un bacio vero, idiota”, e chi è Blaine per non accontentarlo? Preme le proprie labbra arricciate in un sorriso sulle sue e le socchiude appena, lascia che sia Kurt ad approfondire il bacio, a stringergli il braccio non costretto dalla flebo attorno al torace e a trascinarlo sul letto, il materasso che affonda sotto il loro peso, a sospirare nella sua bocca e a mordicchiargli minuziosamente il labbro inferiore.
Quando si separano, entrambi a corto di respiro, restano a guardarsi a ciglia e labbra socchiuse, a respirarsi a vicenda, a sfiorarsi solo con la punta delle dita. Un rumore improvviso li distrae e si voltano simultaneamente verso le scale, giusto in tempo per scorgere Santana incespicare vagamente sulle scale, ancorata al braccio di Carole mentre cerca inutilmente di dirle “Non si preoccupi, ce la faccio, la mia coordinazione piedi-mani è migliorata tantissimo da quando non ci vedo più” per poi sbraitare verso di loro “Ditemi che non siete vestiti e che sto per beccarvi mentre fate sesso, vi prego!” facendo scoppiare a ridere Carole.
“No, Santana” le risponde Kurt roteando gli occhi, mentre Blaine si allontana dal suo viso arrossendo. “Nessuno sta facendo sesso.” Carole torna al piano di sopra con un “Vi lascio da soli”, e un momento dopo Santana si sta già aggiustando la montatura degli occhiali scuri sul naso borbottando qualcosa di tremendamente simile a “Peccato, avrei voluto ascoltarvi” che Blaine decide prontamente di ignorare per il proprio bene. Si alza e la prende per mano, facendola avvicinare a Kurt, che a sua volta le stringe i polsi e la aiuta a sistemarsi accanto a lui sul letto.
“Come stai, Hummel?” chiede lei, sfiorandolo delicatamente, finché non incontra le ciocche dei suoi capelli e le accarezza all’indietro.
“Stamattina il medico che mi ha visitato mi ha prescritto un nuovo cocktail di farmaci, che al momento sta fluendo nel mio sangue attraverso la flebo. Per ora non possono dirci molto, bisogna aspettare e vedere che effetto mi farà.” Santana pressa le labbra in una linea retta e non dice nulla – sa perfettamente quanto poco valgano le parole in momenti del genere – quindi è Kurt stesso a riprendere a parlare.
“E tu?” le chiede. “Hai più parlato con – con Brittany?” continua incerto. A quel punto la ragazza si apre in un sorriso dolce.
“Sì,” sussurra. “Due giorni fa ha bussato alla porta di casa e si è precipitata dentro. Mi ha – mi ha spiegato tutto. Sono stati i suoi genitori ad impedirle di vedermi, o di stare con me.” Blaine si lascia cadere sul materasso, stringendole una mano sulla spalla. “Impedirle …?” chiede. Lei sospira.
“A quanto pare sono dei bastardi a cui non va a genio che loro figlia sia innamorata di una ragazza. O meglio, il padre lo è e la madre sembra accettare tutto ciò che lui dice come se fosse oro. Non hanno neanche voluto sapere chi fossi, l’hanno semplicemente obbligata a tagliare tutti i contatti con me. Non – non le hanno neanche permesso di spiegarmi perché. Lei – è scappata di casa. O meglio, è andata da sua nonna lasciando loro un biglietto in cui diceva di non preoccuparsi per lei. E poi è venuta da me.”
Kurt lancia un’occhiata a Blaine, e poi è come se si muovessero simultaneamente, stringendola in un abbraccio un po’ goffo, Kurt che le passa un braccio attorno al fianco e Blaine che appoggia il mento alla sua spalla, le dita dei due ragazzi che s’incontrano e si stringono sopra la stoffa della maglietta leggera di Santana. Lei scoppia in una risata un po’ arruffata e tira su col naso.
“Blaine, possiamo prendere in prestito l’auto di tuo padre?” domanda Kurt dopo una quantità di tempo indeterminata. Lui gli risponde con un “sì” un po’ rauco. “Prendi i dieci dollari sul comodino, andiamo a fare una cosa.”
 
*
 
Blaine guida fino al supermercato, dove Kurt lo istruisce affinché compri una confezione gigante di uova, e poi a casa di Brittany – è destabilizzante, in qualche modo, rendersi conto di essere il più sano dei tre, quando deve aiutare Santana ad uscire dall’auto e Kurt ad alzarsi in piedi.
“Okay, ora San prendi questo” le dice, mettendole in mano un uovo “e lancialo contro la Volkswagen dei genitori della tua ragazza.
“Ooh, sembra divertente,” ridacchia lei, prima di scagliare l’uovo ad almeno un paio di metri di distanza dal veicolo.
“Più a sinistra.” Un uovo si spiaccica contro il portone di legno.
“Troppo a sinistra.” Quella volta finisce contro il parabrezza e Kurt emette un “Sì!” soddisfatto. Blaine scoppia a ridere, la schiena appoggiata al cofano della macchina di suo padre e il sole che gli riscalda il viso, e si ritrova a pensare che nonostante il casino che la sua vita continua ad essere, non è vero che la felicità non esiste. Forse non esiste più quella genuina, quella senza pensieri e senza preoccupazioni; forse la loro è una felicità più cupa, più evanescente – ma c’è.
Quando una donna in vestaglia si affaccia sbigottita dalla finestra del primo piano, le uova che continuano a volare per tutto il vialetto ed imbrattare qualsiasi cosa sia sotto il loro tiro, Kurt le urla “Signora Pierce, la prossima volta dica a suo marito di comportarsi meno come un omofobo retrogrado e di rendersi conto di –“
“DI QUANTO FACCIA SCHIFO!” conclude per lui Santana, sussurrando “Andiamocene”, prima di cercare automaticamente il braccio di Kurt.
 
*
 
Due settimane dopo Kurt si sente male.
Avviene così in fretta che Blaine nemmeno capisce come si ritrova in auto alle sei del mattino diretto verso l’ospedale. Sarebbe abbastanza presuntuoso da parte sua dire che se lo sentiva, che sarebbe accaduto – non si era sentito assolutamente nulla se non infastidito, quando un’ora prima il suo cellulare aveva cominciato a vibrare come impazzito sul comodino, strappandolo dal groviglio confuso del sonno. Quando aveva realizzato che era una telefonata di Kurt aveva quasi staccato la cannula dalla bombola d’ossigeno, precipitandosi a rispondere – e quando a parlare non era stata la voce del suo ragazzo ma quella concitata di Carole, che gli riversava addosso valanghe di parole per spiegargli che Kurt è stato male stanotte, siamo in ospedale, ti abbiamo chiamato il prima possibile, non sei obbligato a raggiungerci, lo sai, Blaine aveva semplicemente mormorato uno “sto arrivando”, prima di riattaccare e caracollare fino alla camera dei suoi genitori sotto le prime luci dell’alba.
Pam insiste per accompagnarlo – e forse è un bene, perché non sa se in quelle condizioni sarebbe stato in grado di guidare. Ma è anche un male, perché non c’è niente a distrarlo mentre siede sul sedile del passeggero e si torce le dita delle mani e pensa non c’eri, si è sentito male e non c’eri non c’eri non c’eri e non potevi esserci, non è colpa tua se non c’eri, è successo di notte, non potevi saperlo e ancora non c’eri.
Quando parcheggiano davanti all’ospedale di Lima, Blaine si riscuote dai suoi pensieri. Sgancia la cintura di sicurezza, apre la portiera, solleva il carrellino, scende, chiude la portiera – tutto automatico: non pensare, non piangere, sii forte per lui. Pam gli cinge i fianchi con un braccio ed entra con lui nell’edificio, e quando quasi si scontrano con Burt all’ingresso è come rivivere l’incubo che è stato il tumore tutto daccapo.
Kurt è stato ricoverato. Kurt ha sforzato troppo il cuore. Kurt non può più camminare. Kurt deve usare la sedia a rotelle. Kurt sta provando nuovi farmaci perché i primi non hanno fatto effetto. Kurt sta male.
E’ come una marea – parole e parole e parole che inizialmente lo sfiorano, poi lo travolgono e lo trascinano via e Blaine non può farci assolutamente niente. Si aggrappa alla spalla di sua madre, mentre gli occhi di Burt sembrano acquisire la trasparenza dell’acqua, sotto uno strato liquido di lacrime.
“Posso – posso vederlo?” domanda alla fine, la voce sottile e spezzata. Burt scuote la testa, dispiaciuto. “Per ora solo i familiari, ma è possibile che nel pomeriggio lascino entrare qualcun altro, se le sue condizioni restano stabili.” Blaine annuisce e sente la presa di Pam farsi un po’ più stretta attorno alla sua vita – pensa di non essere mai stato tanto grato a sua madre quanto lo è in quel momento.
“Vorrei rimanere lo stesso. Qui. Se è possibile.” Burt gli regala un sorriso piccolo – non arriva neanche a sfiorare i suoi occhi – prima di rispondergli “Certamente” ed accompagnarli davanti alla stanza di Kurt, i brividi che risalgono sulla pelle di Blaine quando scorge quelle pareti e quei corridoi così familiari. C’è Finn seduto su una delle seggiole disposte ordinatamente contro la parete – che sembra essere quasi troppo piccola per la sua statura gigantesca. Non appena lo vede le sue labbra si arricciano in un sorriso sbilenco – è totalmente irrazionale pensare che assomigli così tanto a quello di Kurt, visto che non sono neanche veramente fratelli, ma Blaine non si sente particolarmente razionale in quel momento, quindi – e Blaine gli si avvicina, sedendosi accanto a lui.
Non parlano nemmeno – a volte le parole sono davvero sopravvalutate. Pam, Burt e Carole scompaiono dietro l’angolo del corridoio, e Blaine resta lì a ricordare. La prima volta che l’ha visto – il suo maglione celeste e i suoi occhi brillanti –, la prima volta che ci ha parlato – e che è andato a casa sua a vedere un film, perché per Kurt Hummel è normale invitare sconosciuti a casa –, la prima volta che l’ha baciato – il fiato corto e il cuore in gola –
Ricorda e pensa che sembra essere passata un’eternità. Una quantità di tempo infinita.
Alcuni infiniti sono più grandi di altri infiniti.
Le parole di Van Houten gli rimbombano nella mente, un’eco sorda di quello che lui e Kurt avrebbero potuto avere.
 
*
 
Due settimane dopo sono seduti nel parco delle Ossa Funky, Kurt sulla sedia a rotelle, il volto leggermente scavato e una luce triste negli occhi, Blaine a terra su una coperta spessa, a gambe incrociate e dita pressate nelle guance, i gomiti puntati sulle ginocchia mentre osserva il cielo limpido di giugno.
“Hai ancora paura dell’oblio?” chiede Blaine ad un certo punto, stracciando il velo di silenzio che si è posato su di loro. Kurt non risponde subito. Si limita a spostare l’attenzione su di lui e ad osservarlo. Blaine ne approfitta per continuare a parlare. “Perché voglio che tu sappia che non verrai dimenticato. Né da me, né dalla tua famiglia. E so che non è molto, e che prima o poi finiremo tutti nel dimenticatoio, ma non mi scorderò di te. Mai, Kurt.” Blaine lo sta guardando come se stesse cercando di dirgli qualcosa di importante e Kurt non può fare a meno di attirarlo a sé, la cannula che si intreccia tra le loro braccia, e di baciarlo finché ne ha la forza.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Note iniziali:
Innanzitutto, s c u s a t e per il ritardo immenso. Questi due finesettimana sono stati assurdi - sono stata a casa giusto il tempo di dormire O.o - e non ho mai avuto tempo di postare nulla. çwç
In pù sta finendo la scuola e per me è un periodo intensissimo, quindi sono davvero *esausta*. Grazie per la pazienza che avete, e *grazie* a Anna, alli, kissmycollarbones e Fé che hanno recensito lo scorso capitolo. *w*
Spero che questo vi piaccia - è stato uno dei miei preferiti da scrivere, so. <3



 
Capitolo 15
 
Se avessi chiamato questo capitolo "Federica" sarebbe stato più appropriato.
Capirai perché, Fé.

 

Ci sono i giorni in cui non succede niente.
Quelli sono i preferiti di Blaine, perché significa che Kurt non sta migliorando, ma non sta neanche peggiorando, il che è confortante, da un punto di vista completamente distorto e pessimistico. E Blaine non è più ottimista da quando gli hanno diagnosticato il cancro.
Si alza ogni mattina e si veste di fretta, saluta suo padre e lascia un bacio sulla guancia di sua madre, prima di precipitarsi in macchina verso la casa di Kurt. C’è sempre Burt ad accoglierlo, quella che Blaine ha imparato a riconoscere come l’ombra di un sorriso ormai sbiadito sulle labbra e la solita offerta di un caffè caldo che ha smesso di rifiutare da tempo.
Quel giorno Kurt lo aspetta sulla sedia a rotelle, il corpo già naturalmente magro che sembra più smunto ogni giorno che passa e i lineamenti del viso tirati come corde di violino, ma l’azzurro dei suoi occhi è ancora vivo e brillante come la prima volta che si sono incontrati. “Blaine Anderson”, lo saluta, rivolgendogli un sorriso a metà. Lui gli si avvicina, trascinandosi dietro il carrellino, si abbassa e gli pressa un bacio sulle labbra, inghiottisce il suo sorriso come se avesse bisogno di verificare che sia vero, che nonostante tutto Kurt sia ancora lì e abbia ancora la forza di non piangere.
“Ehi,” dice. Pensa Ti amo. Pensa Voglio dirtelo anche se non ce n’è motivo. “Ti amo,” aggiunge, e il sorriso di Kurt si allarga. “Ti amo anch’io.”
Burt si schiarisce la voce dietro di loro e porge una tazza a Blaine, che lo ringrazia abbassando lo sguardo imbarazzato.
“Ha preso dei giorni liberi dal lavoro in officina,” sussurra Kurt dopo che suo padre è scomparso dietro la porta della cucina. “Credo –“ continua stringendosi nelle spalle, “Credo che voglia starmi vicino. Carole e Finn sono sempre qui e … non so. Penso che si senta in colpa a non fare lo stesso. Ho provato a dirgli che non è necessario, ma non vuole ascoltarmi.” Blaine lo scruta attraverso il vapore che sale dalla tazza di caffè – lo lascia parlare. Sa che ne ha bisogno. Dopotutto è sempre stato bravo ad ascoltare.
 
Finn entra poco dopo dalla porta di casa – si sente il rumore del mazzo di chiavi che cade a terra, un’imprecazione soffocata e dei passi che si trascinano lungo il corridoio – e li raggiunge in sala. Ormai si è abituato alla presenza di Blaine: lo saluta come se fosse un vecchio amico, porgendogli una mano stretta a pugno e aspettando che lui lo colpisca di rimando col suo, poi si china su Kurt e lo ingloba in un abbraccio soffocante – “Ciao fratellino!” – prima di sparire in cucina a salutare Carole e Burt.
“Sta saltando le ultime lezioni, dice che non si perde niente i giorni prima delle vacanze.” Blaine giocherella con la punta delle sue dita, le mani avviluppate alle sue e la tazza vuota appoggiata sul tavolino su cui un’eternità di tempo prima avevano condiviso pizza vegetariana e I love shopping.
“Kurt, non è sbagliato che le persone che ti vogliono bene vogliano starti vicino.” Lui lo guarda e sembra già un po’ rassegnato.
“Mi trattano come se fossi già un cadavere. Io – lo so che è dura per loro. Lo so, lo so, ma – non voglio.” Blaine si sposta sul divano, piegando una gamba sotto di sé sul divano e sporgendosi oltre il bracciolo per potersi muovere più agilmente. Avvicina il viso al suo e percorre coi polpastrelli la curva dei suoi fianchi, fino a stringerlo tra le braccia e ad averlo a pochi centimetri dalle labbra.
Poi lo bacia – lo bacia come se dovesse fargli ricordare cosa significa vivere, cosa significa rinascere, e non importa quanto la posizione in cui si trova  sia strana e scomoda, non importa che le loro bocche pressate l’una contro l’altra sappiano di disperazione, perché Blaine lo ama, lo ama, lo ama e Kurt sta già dischiudendo le labbra e lo sta attirando a sé come se fosse ossigeno dopo una vita in apnea e –
Quando si separano, Kurt ha il respiro pesante e gli occhi brillanti. “Be’, questo è decisamente un modo per farmi sentire vivo,” soffia, e Blaine scoppia a ridere, accasciandosi di nuovo sul divano, senza mai abbandonare il suo sguardo.
“Ti va di guardare I love shopping?” Kurt sorride e annuisce, e per un po’ è come se non esista malattia, non esistano farmaci – non esista niente,tranne loro due.
Burt li osserva seminascosto dalla porta della cucina, il braccio di Carole che gli cinge le spalle.
 
Blaine ama i giorni in cui non succede niente.
 
*
 
Finché ogni giorno succede qualcosa, e Blaine non ha altra scelta che adattarsi.
 
E’ un lunedì afoso di fine giugno, quando Blaine è costretto a rimanere fermo sull’uscio di casa, Burt e Carole che si affrettano dal seminterrato al bagno alla cucina e poi di nuovo al seminterrato, la bocca piena di scuse e gli occhi lucidi di lacrime.
Kurt non - non è riuscito ad alzarsi per andare in bagno. Stiamo pulendo.
E Blaine ha così tanta voglia di accartocciarsi a terra e piangere con la testa incassata tra le ginocchia, perché ha promesso di essere forte, l’ha promesso, ma è così difficile e lui non sa se ce la fa, non sa se ce la può fare, e Kurt – dio, Kurt, come può anche solo pensare di non farcela quando c’è Kurt che ha bisogno di lui?
Quindi resta in piedi, il manico del carrellino stretto fino a farsi diventare le nocche bianche e la schiena rigida, fin quando Carole gli si avvicina in silenzio e fa un cenno verso il piano inferiore, prima di voltarsi e dirigersi verso la cucina, da Burt.
Blaine prende un respiro profondo e scende le scale – la camera di Kurt profuma troppo di detersivo e disinfettante e le lenzuola sembrano quasi troppo rigide, ripiegate ai piedi del letto. Ha voglia di piangere. Non lo fa.
Ha voglia di dire a Kurt che non fa niente, non fa niente, non fa niente. Andrà bene. Non lo fa.
Cattura il suo sguardo – ogni giorno sembra un po’ più vacuo, non lasciarmi, Kurt, non lasciarmi – e non lo lascia andare finché non si ritrova a qualche millimetro dai suoi occhi. Poi serra le palpebre e lo bacia, una mano che affonda nel materasso e l’altra tra i suoi capelli.
Le parole sono così sopravvalutate.
 
“Potresti – potresti aprire il secondo cassetto della mia scrivania?” Blaine solleva le sopracciglia, preso vagamente alla sprovvista dalle prime parole che Kurt gli ha rivolto da quando è arrivato – non hanno davvero fatto qualcosa fino a quel momento, sono solo rimasti stretti l’uno all’altro, il caldo tiepido e avvolgente a riscaldarli e qualche bacio, ogni tanto. Si districa gentilmente dal tubicino della flebo di Kurt e dalla cannula, per poi rovistare e cavare una macchina fotografica dal cassetto che Kurt gli ha indicato.
Blaine non ne capisce quasi nulla, ma quella sembra essere un modello parecchio costoso, ed è piuttosto sicuro che appartenga al periodo in cui Kurt ancora scattava fotografie. Un’eternità prima.
La porge a Kurt prima di arrampicarsi di nuovo sul letto, perché ha seriamente paura di romperla, e quando gli si accoccola di nuovo accanto non ha neanche un attimo di tempo per rendersi conto che lui l’ha girata tra le sue mani, prima che il flash gli abbagli le retine e gli faccia vedere tutto bianco.
“Kurt!” esclama in un tono lamentoso, e lui ridacchia, volta di nuovo la macchina fotografica e preme qualche tasto che Blaine non riuscirebbe mai a riconoscere, e un’immagine un po’ sgranata di loro due appare sul display.
E Blaine non se n’è mai reso conto, ma è come se anche negli istanti più fugaci il suo corpo tendesse naturalmente verso Kurt. La testa appoggiata alla sua spalla e le dita strette ai muscoli delle braccia, gli occhi rivolti al suo viso nell’inconsapevolezza di essere fotografato. Da quando l’ha conosciuto, è come se il suo centro gravitazionale si fosse spostato nel corpo di Kurt, ed è così semplice abbandonarsi a lui e lasciarsi stringere dalle sue braccia ogni volta, essere se stesso e ricongiungersi a lui, com’è giusto che sia.
 
“Sai, mi dispiace,” sussurra Kurt, gli occhi ancora fissi sulla fotografia e il respiro regolare contro la tempia di Blaine. Blaine che aspetta, perché sa che non ha bisogno di chiedere nulla, che sarà Kurt a dirgli tutto, quando sarà pronto.
“Mi dispiace per quello che avremmo potuto avere. Avremmo potuto – avremmo potuto riempire questa macchina fotografica di foto di noi. Dei nostri viaggi insieme – tu avresti voluto una meta calda, sole e spiagge e sabbia dappertutto, e io avrei preferito lo smog di New York e il verde di Central Park, e alla fine avremmo trovato un compromesso, oppure avremmo scelto entrambi i posti, e la mia camera sarebbe stata piena di foto di albe sull’Atlantico e di grattacieli alti fino alle nuvole.
“E poi saremmo andati al prom, e ti avrei tenuto la mano stretta nella mia sotto gli occhi dei ragazzi omofobi che popolano la mia scuola; avremmo ballato un lento senza muoverci nemmeno, tu mi avresti stretto le mani ai fianchi mentre io ti avrei avvolto le spalle con le braccia, e poi avremmo scattato un’altra fotografia di noi, solo perché avremmo saputo di poterlo fare.
“I tuoi capelli dopo la doccia, il tuo sorriso nascosto dietro una tazza di caffè, noi seduti sopra le Ossa Funky – avrei fatto in modo che fossi dappertutto, che fosse impossibile dimenticarci. Che nemmeno l’oblio fosse in grado di inghiottirci. E invece –”
Blaine – non dice niente. Kurt lo ha già fatto per entrambi. Prende la macchina fotografica dalle sue mani e la volta di nuovo, poi stringe il suo maglione tra le dita e si sporge in avanti, le labbra che si chiudono gentilmente sulle sue, ed è come scambiarsi un nuovo primo bacio.
Scatta una fotografia e sente le labbra di Kurt arricciarsi in un sorriso dolce – e umido di lacrime. Ma questo Blaine finge di non sentirlo, finge di non saperlo, finge di non capirlo, finge, finge, finge.



 
We keep this love in a photograph 
We made these memories for ourselves 
Where our eyes are never closing 
Our hearts were never broken 
And time's forever frozen, still









 
Io lo so che mi volete bene.
Mettete via quei coltelli.
Dai.
Pls.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Non vi dirò quanto mi dispiaccia di essere *così* in ritardo adesso semplicemente perché lo farò alla fine. 
:D
Enjoy!


 
Capitolo 16



Il cellulare di Blaine squilla alle due e cinquantaquattro di notte.
Si sveglia di soprassalto, il cuore che rimbomba nella cassa toracica e il respiro accelerato, gli occhi ancora impastati di sonno e di sogni che fanno fatica a schiudersi. Mette a fuoco lo schermo, Kurt, una foto che gli ha scattato senza che se ne accorgesse ad illuminare il display. Pensa è finita. E’ finita, è finita, è finita. Ora risponderai e non sentirai la sua voce, la sua voce dolce e pura e bellissima, e sarà finita.
Il cellulare di Blaine squilla alle due e cinquantaquattro di notte e lui trattiene il fiato prima di accettare la chiamata e portarselo all’orecchio, le dita che non riescono a smettere di tremare per la paura che il mondo gli stia per crollare addosso.
“Pronto,” mormora, piano.
“Blaine.” Blaine chiude gli occhi, stringe le lenzuola tra le dita e sospira. Per un attimo è solo così grato di poter sentire la sua voce, così grato.
“Oh, mio Dio, Kurt. Oh mio Dio. Ciao. Ti amo. Ciao.”
“Blaine, sono dal benzinaio – puoi venire qui? Ti prego, io – Io volevo solo fare qualcosa da solo, ma fa male –“ Basta il tempo di un secondo, e la gratitudine si trasforma in terrore.
“Oh, mio Dio– Sto arrivando.”
 
*
 
C’è un benzinaio, nella periferia di Lima, poco distante da casa di Kurt, che Blaine ricorda a malapena e che improvvisamente diventa il centro dei suoi pensieri – mentre caracolla fuori dal letto, mentre si infila un maglione, mentre afferra le chiavi dell’auto di sua madre e le lascia un biglietto stropicciato sul tavolo della cucina – perché Kurt.
Kurt è solo, di notte, nel bel mezzo del nulla, a fare Dio solo sa cosa, e sta male.
 
Gli sembra che il suo cuore riprenda a battere, quando scorge le luci intermittenti dell’auto di Kurt parcheggiata accanto a una pompa di benzina, e quasi dimentica il motore acceso nella fretta di precipitarsi fuori e raggiungerlo e aprire la portiera del guidatore e – “Kurt, oh mio Dio, Kurt –“ e nonostante continui a ripetere il suo nome quel ragazzo, riverso sul volante con gli occhi vacui puntati nel nulla, non sembra neanche più Kurt.
“Amore mio, che ti è successo?” Tenta di slacciargli la cintura di sicurezza, le mani che gli tremano, e Kurt si lascia spostare, modellare a suo piacimento dalle sue dita, finché non è appoggiato con la schiena al sedile e le ciglia gli svolazzano lentamente, come se anche tenere gli occhi aperti fosse una fatica immensa.
“Volevo – le sigarette. Il mio pacchetto non c’è più –“, un respiro, “— non lo trovo più. Volevo – essere in grado di fare qualcosa da solo. Per –“, un respiro, “Per una volta.” Gli occhi serrati e le mani strette a pugno sul volante, rabbia e lacrime sgorgano dalle sue ciglia fuse insieme, sta ancora tentando di recuperare il controllo di sé quando un brivido lo scuote con la forza di uragano ed è di nuovo piegato in avanti, il palmo di una mano pressato contro le labbra a trattenere un conato di vomito, e Blaine chiude gli occhi, respira, apre gli occhi.
“Kurt, sto chiamando l’ambulanza.”
“No – Blaine, no. L’ambulanza no. Sto bene – io – no –“ Blaine gli passa una mano tra i capelli, sottili e morbidi, gli accarezzano i polpastrelli mentre tenta di calmarsi.
“Shh, andrà tutto bene amore mio, tutto bene, shh –“
“No, ti prego, no, Blaine, no, non l’ambulanza non voglio tornare in ospedale, no –“
“Nove uno uno?” chiede incerto, mima un Mi dispiace a Kurt mentre una donna gli risponde dall’altra parte della linea. “Abbiamo bisogno di un’ambulanza, siamo alla pompa di benzina vicina all’uscita Nord di Lima, il mio ragazzo sta male –“ Kurt perde la percezione della realtà, a quel punto. Chiude gli occhi, respira, respira, respira.
 
Blaine si stringe le braccia al busto, le mani premute negli incavi dei gomiti e la testa incassata tra le spalle mentre due uomini spostano Kurt su una barella e lo caricano nell’ambulanza, ricaccia indietro le lacrime e alza lo sguardo e si sente così impotente che sembra quasi impossibile anche solo restare in piedi.
“Sali, ragazzo!” gli dice burberamente uno dei due infermieri, e Blaine si affretta verso il veicolo, solleva a fatica la bombola d’ossigeno e rifiuta la mano dell’uomo, precipitandosi accanto al viso di Kurt, le ginocchia pressate scomodamente contro il petto e il respiro pesante.
 
Quando Kurt comincia a svegliarsi, sperduto, stordito, impaurito – Blaine non lo ha mai visto impaurito prima – non bastano le parole del medico a calmarlo. Non basta il ritmo cadenzato delle ruote che percorrono la strada, non bastano i tranquillanti che gli stanno lentamente scorrendo in corpo attraverso la flebo.
Solo la voce di Blaine ci riesce – la voce di Blaine, così dolce, soffice, calda, Kurt ne vuole di più. “Continua a parlarmi,” gli sussurra, e Blaine ha paura di ciò che potrebbe dire, se dovesse parlare di quello che sente in quell’istante. Quindi chiude gli occhi, deglutisce, prende un respiro e continua ad accarezzargli i capelli, e con la dolcezza e la delicatezza di chi ha paura sussurra quelle parole che ormai per loro hanno un significato ben più grande dell’originale, “ Le mie grandi sofferenze in questo mondo—“, respira, prende fiato, si asciuga una lacrima “sono state quelle di Heathcliff, e le ho viste e vissute tutte fin dal principio; il mio pensiero principale nella vita è lui –“, ignora come può gli occhi del medico puntati su di loro, “Se tutto il resto morisse, e lui rimanesse, io continuerei ad esistere; e se tutto il resto continuasse ad esistere e lui fosse annientato, l'universo si trasformerebbe in un completo estraneo: non ne sembrerei parte.”
Kurt è scivolato nell’oblio del sonno prima che lui abbia finito di parlare.
 
*
 
Passano due giorni prima che torni a casa – ed è tutto diverso. Blaine è lì ad accoglierlo; gli getta le braccia al collo, piegandosi fino ad essere alla sua altezza, urtando la sedia a rotelle su cui è relegato e trattenendosi appena dallo scoppiare in lacrime mentre gli sfiora le labbra con le proprie, gentilmente, dolcemente.
In questi due giorni Blaine pensa alla morte. Ci ha già pensato prima, ovviamente; è malato di cancro, morire è una possibilità che è obbligato a prendere in considerazione ogni giorno – ma stavolta è diverso. Stavolta non pensa alla morte in relazione a se stesso: pensa che cosa accadrebbe a se stesso se Kurt morirà. Quando. Perché non è ingenuo, non vuole fingere, sa che accadrà con la stessa certezza con cui sa che presto succederà anche a lui, ed è terribile, sa anche questo, ma non può fare nient’altro che sperare, sperare, sperare, amarlo.
Blaine non ha mai capito prima di quel momento perché la morte faccia paura. Probabilmente la sua è sempre stata una visione un po’ distorta delle sue conseguenze – è cresciuto con l’idea che se ne sarebbe andato prima ancora di aver visto i suoi genitori invecchiare e sì, detesta l’idea di doverli lasciare, l’idea di lasciarli con un vuoto al suo posto, l’idea di lasciare quel poco di vita che ha vissuto, di amici che si è fatto, di amore che ha provato, ma morire non sarà mai più doloroso delle fitte lancinanti e della sensazione di  non vivere più che gli dà il cancro, no? Ha sempre ed egoisticamente pensato alla morte in prima persona. A volte l’ha desiderata, pur di metter fine a tutto quel dolore. Ma.
Ma. Ma adesso pensa alla morte e pensa a Kurt, pensa che, inesplicabilmente ed ingiustamente, sarà lui ad essere la granata. Sarà lui ad esplodere, a portarsi via quel poco che è rimasto della sua anima sofferente, a lasciarlo con un vuoto nel petto che farà ancora più male della malattia. Sarà lui a soffrire per primo – sarà lui a soffrire.
Pensa a tutto questo, in quei due giorni, Blaine. Chiuso nella sua camera, le ginocchia rannicchiate al petto, accartocciato su se stesso come un foglio di carta utilizzato, Blaine mangia pochissimo e dorme ancora meno, si tormenta le dita e tiene il cellulare sul comodino, aspettando morbosamente che il viso di Kurt appaia sullo schermo assieme al suo numero.
 
Solo Cooper – Blaine sospetta che sua madre abbia insistito affinché tornasse, perché quello è periodo di esami, in realtà – riesce a farlo parlare.
“Ho paura, Coop; ne ho così tanta.” Le braccia strette al petto e gli occhi lucidi, Cooper contempla suo fratello aggrovigliato in una matassa di lenzuola e pensa che nessuno, alla sua età, dovrebbe avere gli occhi così vitrei – dovrebbe sopportare tutto quel dolore.
 
Sebastian insiste per andare a trovarlo; scavalca i nodi contorti della cannula e gli resta accanto un pomeriggio intero, in silenzio, contando quante volte il respiro di Blaine accelera in un singhiozzo.
 
Ricevere la notizia che Kurt può tornare a casa lo fa rinascere.
Si infila sotto al getto bollente della doccia e indossa la t-shirt verde, quella che Kurt dice risalti il colore dei suoi occhi, trascina il carrellino fino alla macchina e guida verso casa sua, lo aspetta in piedi davanti alla porta e arriccia le dita sulla pelle delle braccia incrociate al petto. Quando Kurt scende dall’auto e suo padre lo aiuta a sedersi sulla sedia a rotelle, ricaccia indietro le lacrime e gli si avvicina.
 
*
 
Gli amici di Kurt sono – rumorosi. Sono arrivati alla spicciolata, di pomeriggio, e Kurt, lungo sul divano con la flebo attaccata al braccio, solo un po’ più pallido del solito, li osserva interagire e s’intromette con qualche battuta di tanto in tanto, la mano stretta a Blaine, seduto accanto a lui sul tappeto, e gli occhi giusto un po’ più spenti.
Blaine resta in disparte; non conosce quasi nessuno, a parte Finn e Santana – e Brittany, ma non ci ha mai scambiato più di qualche parola. Ora osserva le sue dita intrecciate a quelle di San e sorride, perché se c’è qualcosa di cui è sicuro è che almeno loro il lieto fine se lo meritano, nonostante gli occhiali da sole scuri e la cecità di Santana, nonostante la ristrettezza mentale dei genitori di Brittany. Nonostante tutte le difficoltà.
Ci sono due ragazze che parlano a voce particolarmente alta: una sembra essere Rachel, la ragazza di Finn, a giudicare dal loro gravitare continuamente l’uno attorno all’altro; l’altra è Mercedes, un concentrato di spontaneità e forza e dolcezza – Blaine è abbastanza sicuro che dopo Santana e Finn sia quella più affezionata a Kurt, a giudicare dall’abbraccio in cui l’ha inglobato non appena lo ha visto.
Poi ci sono Mike e Tina, due ragazzi dalle origini asiatiche che sono arrivati insieme; Puck, che non fa decisamente parte della categoria di persone di cui Blaine pensava che Kurt potesse essere amico, ma Kurt è imprevedibile, sempre, e dopo tutto sotto quella cresta da moicano e quei vestiti trasandati non sembra nascondersi un ragazzo così cattivo, quindi; c’è Quinn, una ragazza bionda ed estremamente bella che parla poco, ma sorride gentilmente a Blaine e lo saluta con un cenno timido; e poi ci sono Sam e Artie, i due ragazzi con cui Blaine finora ha parlato di più e con cui si sente più a suo agio.
Sono dei buoni amici – Blaine sa poco o nulla dell’amicizia per poterli giudicare obiettivamente, ma si vede che tengono a Kurt e tanto basta. Si sforzano di mantenere l’atmosfera allegra, o quantomeno leggera, ma c’è una tristezza, un dolore costante che preme sui loro cuori, e Blaine non si stupisce di vedere le ragazze piangere prima di chinarsi su Kurt e stringerlo in abbracci goffi e umidi di lacrime per salutarlo. Non si stupisce quando Puck si strofina velocemente il palmo della mano sulla guancia, non si stupisce quando la voce di Sam e quella di Artie tremano, non si stupisce quando i pugni di Finn si stringono fino a far diventare le nocche bianche.
Non si stupisce perché il dolore è qualcosa di personale, con una forma e delle dimensioni diverse per ognuno di loro, e quando Kurt gli chiede se vuole restare per cena gli occhi di Blaine bruciano per le troppe lacrime trattenute, ma annuisce e sorride appena, perché ci sarà tempo per il suo dolore, poi.
Adesso ha tempo solo per Kurt.










Note finali:
*Lo so* che siete divisi a metà tra la voglia di scagliarmi qualcosa di pericolosamente contundente addosso per il ritardo *enorme* che ho accumulato e quella di farlo per il capitolo che vi ho appena lasciato.
Non fate nessuna delle due cose? Plis? Ci tengo alla mia testa. *puppy eyes*
Come avrete già intuito, questo ritardo è dovuto all'ultimo periodo di scuola, che mi ha *risucchiata* e mi ha lasciata completamente spossata. Non appena ho ripreso un po' di energie, ho anche ripreso in mano il pc e - be', diciamo che l'angst non era previsto? No, okay, era previsto. Però insomma, mi volete bene lo stesso. Vero? 
...
<3
Sappiate che, comunque vada, *nessuna* mia storia resterà incompleta. Mai. Compresa questa. 
Ora, vi posterei la pagina su cui seguire i prossimi aggiornamenti, ma Zuckerberg, il mio bff, ha deciso di chiudere l'account dal quale la gestivo. Quindi nulla, per ora devo arrangiarmi con un profilo temporaneo. ;_; Sappiare che comunque questi ultimi aggiornamenti saranno tutti di lunedì, e che molto probabilmente saranno diciannove capitoli più un epilogo, per un totale di venti.

Parlando di altro, entro questa settimana posterò una OS *completamente* fluff sui Klaine della seconda stagione. PERCHE' MI MANCANO. OKAY? OKAY. La citazione non era voluta. Giuro. L'ho scritta semplicemente perché ne sentivo il bisogno, ma spero che oltre che essere un mio sfogo sarà anche un modo per farmi perdonare per tutta l'attesa e per tutto l'angst.
Poi, parteciperò al contest "Daddy Klaine Challenge" organizzato da F l a n e Ginny_Potter, quindi sì, altro fluff. Spero. D: 

LAST BUT NOT LEAST AVETE SAPUTO DI DARREN AL GIFFONI SI VERO BENE PERCHE' GUESS WHO CON TUTTA PROBABILITA' SARA' LI' A SPIACCICARSI CONTRO LE TRANSENNE PER VEDERE QUEL NANO IDIOTA LIFE RUINER???
*accende insegne luminose che puntano contro di lei*
Yas. Ce l'abbiamo fatta, gente. ;___;

Un bacio a tutti e G R A Z I E per la pazienza e per avermi aspettata.

Locked




 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Grazie a Fede, Zurry, Anna, alli e kissmycollarbones, siete la dolcezza. E seriamente, la vostra pazienza è incredibile.
Aaaaaw, non pubblicavo qualcosa all'una di notte da luglio scorso. :')
Enjoy!
Scusate per il ritardo e l'orario improbabile. D:



 
Capitolo 17


Ci sono due parole di cui Blaine ha più paura, e sono Ultima e Volta. Ogni volta che si chiude la porta di casa di Kurt dietro alle spalle, ha paura che quella sia l’Ultima Volta che ha incrociato il suo sguardo. Ogni volta che si allontana dalle sue labbra dopo aver pressato un bacio contro di esse, ha paura che quella sia l’Ultima Volta che lo bacia. Ogni volta che scorge il suo sorriso a metà, ha paura che sia l’Ultima Volta in cui può perdercisi.
E quando si accorge che non è così, che quelle non sono Ultime Volte, esala un sospiro di sollievo e si concede di sorridere solo per il tempo necessario a ricordarsi che potrebbero esserlo quelle successive.
Quindi comincia a dedicargli più tempo, a rimanere a pranzo dagli Hummel-Hudson, a stargli più vicino, a non lasciargli andare la mano se non per lo stretto indispensabile, a ritardare sempre di più l’ora in cui rientra a casa la sera, ad accarezzargli più spesso i capelli, a contare più precisamente le lentiggini sparse sul suo naso, a baciarlo di più, di più, di più.
 
Sono le venti e cinquantasette di un noioso venerdì sera, quando la suoneria di Blaine squilla e lui appoggia la forchetta sul piatto, lasciando a metà la porzione di polpettone che tanto non riuscirà a finire, e tuffa la mano in tasca, cavandone il cellulare e portandoselo all’orecchio in una frazione di secondo.
I suoi genitori e Cooper si immobilizzano come congelati, mentre mormora un “Pronto” un po’ tremolante e attende la risposta con un vuoto nello stomaco.
Succede sempre così, da un paio di settimane a questa parte. Il cellulare di Blaine – o il telefono di casa – squilla e lui si precipita a rispondere trattenendo il fiato, mentre tutta la sua famiglia smette di fare qualsiasi cosa stesse facendo e aspetta, inevitabilmente, la volta in cui, invece che un sorriso sollevato, sarà il dolore a dipingersi sulle labbra di Blaine.
Ma anche questa è una delle volte in cui sorride – potrebbe essere un’Ultima Volta, sussurra una parte non meglio identificata del suo cervello, ma Blaine la mette prepotentemente a tacere, perché l’ehi, Blaine Anderson che Kurt gli ha appena regalato dall’altra parte della cornetta è quanto di più prezioso in quell’istante ci sia al mondo.
Cooper espira l’aria tutta in una volta e i suoi genitori si guardano a metà tra il sollevato e il rassegnato, ma Blaine non gli sta più prestando attenzione.
“Ehi, mi hai fatto –“
“Spaventare, sì, lo so. Ascolta, hai da fare?” Blaine soppesa per un attimo con lo sguardo la porzione di cibo sul suo piatto.
“No, niente di particolare.” Sente Kurt sorridere dall’altra parte della linea.
“Pensi di potermi scrivere un elogio funebre? E di poter passare, dopo averlo fatto, nel Cuore Letterale di Gesù?” Le sopracciglia di Blaine s’incurvano sospettose, ma ancor prima che riesca a dire qualcosa di simile a Kurt, ma che hai in mente? il suo ragazzo gli ha già sussurrato “Ti amo” e le sue capacità di ragionare vanno a farsi benedire ogni volta che sente quelle due parole, quindi sospira e sorride, mormora “Ci sarò” e fa una breve pausa prima di aggiungere “Ti amo anch’io”, sperando con tutte le sue forze che quella non sia una delle loro Ultime Volte.
 
*
 
Un elogio funebre.
Può farcela. Non ha mai scritto un elogio funebre per nessuno prima d’ora, e ha seriamente paura di scoppiare inevitabilmente a piangere davanti al foglio di carta e alla penna che sembrano fissarlo da dieci minuti con aria accusatoria. Può farcela.
(Per quale diavolo di motivo Kurt vuole che gli scriva un elogio funebre? Non stanno già soffrendo abbastanza?)
Può farcela, per Kurt.
Stappa la penna e ne mordicchia il tappo, prima di iniziare a scrivere.
 
*
 
“Dove stai andando?” La voce di sua madre è a metà tra l’incuriosito e lo scocciato, quando scende dalle scale e trascina con sé il carrellino dell’ossigeno. Blaine valuta la possibilità di mentire. Poi realizza che non avrebbe senso.
“Da Kurt, in quella specie di chiesa sconsacrata in cui facevamo le riunioni del gruppo di supporto. E’ una specie di – riunione dell’ultimo minuto. Mettila così.”
“Blaine, no.” Blaine crede seriamente di aver avuto un’allucinazione uditiva.
“Cosa?” Suo padre si stringe nelle spalle, affondando un po’ di più nella poltrona, mentre Cooper e Pam li scrutano col fiato sospeso.
“Ho detto di no. Io e tua madre ne abbiamo parlato, trascorri troppo tempo fuori casa, non ti vediamo praticamente più e sappiamo che Kurt non sta bene e che tu vuoi stargli vicino ma – “ Ma Blaine ha smesso di ascoltarlo più o meno al secondo no e ora sta cercando di trattenersi il più possibile, di reprimere le emozioni, di bloccarle e plasmarle in qualcosa di più pacato, perché non ha seriamente intenzione di litigare coi propri genitori, non in quel momento, non per quel motivo.
Quindi prende un respiro profondo e chiude gli occhi, prima di stringere un po’ più forte la mano attorno al manico del carrellino ed interromperlo.
“Kurt sta morendo.” E’ incredibile quanto quelle parole facciano male, nonostante abbia cercato di scendere a patti col loro significato. Suo padre si congela a metà frase, la bocca aperta e il senso di colpa che gli inonda gli occhi. “Mi ha chiesto di scrivergli un dannato elogio funebre.” Un respiro pesante. “E non voglio ancora realizzarlo, ma a partire da uno di questi giorni starò a casa sempre. Con voi. Sempre.” Stavolta è Pam a parlare.
“Tesoro,” tenta la donna, spostandosi leggermente in avanti, la schiena leggermente curva e gli occhi lucidi. “Sai che noi non ti abbiamo mai vietato di vedere Kurt, in qualsiasi circostanza, ma ci manchi; sei la nostra vita, Blaine –“ Blaine spalanca gli occhi.
“Sai cosa, mamma? Forse non dovrei esserlo. Perché tra qualche giorno, settimana o mese morirò anch’io, e a quel punto cosa ne sarà delle vostre vite?” La scintilla di dolore negli occhi di Pam è sufficiente a fargli mordere le labbra e abbassare le palpebre di nuovo, lentamente. “Scusami, è – venuto fuori nel modo sbagliato. Ma lo penso davvero, okay?” Trova il coraggio di guardarla, perché quello che sta per fare è il tipo di discorso che è necessario fare a cuore aperto.
“So che il centro della vostra vita sono stato io, finora. Specialmente – specialmente della tua, mamma. Ed è vero, ci sono stati momenti in cui senza il vostro sostegno probabilmente non avrei superato neanche la metà di ciò che ho superato, ma – io me ne andrò. Presto o tardi che sia. E non voglio che quando non ci sarò più la tua – la vostra vita sia così vuota da farvi rendere conto di aver buttato via anni ed anni e di non ritrovarvi più niente tra le mani.”
“Blaine,” lo interrompe Cooper, alzandosi. “Sei la nostra famiglia. Nessuno di questi anni è stato sprecato, per noi. Mai.” Pam stringe le braccia al petto e guarda in alto, tentando di ricacciare indietro le lacrime, e Blaine per un momento si odia per averla fatta sentire così. Poi però la donna lo guarda. “Ho ricominciato a studiare,” dice, e Blaine spalanca gli occhi. “Cosa?”
Pam annuisce lentamente, poi si alza in piedi e gli si avvicina, accarezzandogli una guancia come non fa da troppo tempo. Blaine socchiude gli occhi e realizza lentamente quanto un contatto del genere gli sia mancato. “In questi ultimi mesi. Perché so che l’esperienza che io e tuo padre e tuo fratello viviamo con te tutti i giorni può essere d’aiuto per persone che non hanno la fortuna di trovarsi in una famiglia abbastanza forte. E – sembra che per diventare una consulente e aiutare io abbia bisogno di una sorta di specializzazione, ma non volevo dirtelo perché avevo paura che ti sentissi messo da parte o non considerato e –“
 
“Mamma, stai scherzando? E una notizia meravigliosa!” Si rende conto solo dopo di aver combinato un disastro coi fili della cannula, ma al momento non può curarsene, perché sta stringendo sua madre in un abbraccio che probabilmente gli farebbe sentire la mancanza dell’ossigeno anche se non avesse dei polmoni schifosi, e sente le braccia di Cooper cingerli entrambi e il fantasma delle lacrime di suo padre sulla manica della maglietta, mentre li stringe anche lui.
 
*
 
“Non è letteralmente possibile che questo posto sia aperto di notte, ma non voglio essere coinvolto in uno dei vostri atti di vandalismo quando si tratterà di testimoniare davanti alla polizia, quindi vi prego, non ditemi come siete riusciti ad entrare.” Kurt e Santana si voltano contemporaneamente al suono della sua voce e a Blaine non sembra di essere mai stato più felice di entrare seminterrato  umido di una chiesa sconsacrata.
Sorride, avvicinandosi a Kurt, prendendo una sedia e posizionandosi accanto a lui, perennemente relegato su quella sedia a rotelle, strappandogli un bacio a fior di labbra mentre Santana sbuffa e appoggia i gomiti al leggio dietro al quale si trova, in piedi, gli occhiali da sole perennemente calati sugli occhi e i capelli perfettamente acconciati in morbide onde corvine.
“Ragazzi? Va bene che non vi vedo, ma la vostra dolcezza è percepibile comunque ed è nauseante. Davvero.” Kurt si separa dalle labbra di Blaine ridacchiando, gli occhi ancora fissi in quelli del suo ragazzo, mentre annuncia con aria solenne, “Blaine, benvenuto al mio pre-funerale.” Blaine spalanca gli occhi.
“Il tuo cosa?”
“Be’, ho pensato che se non potrò essere presente al mio funerale, almeno voglio avere un’idea di quel che sarà. So che è molto egoista come cosa, ma –“ Santana sbuffa di nuovo.
“Hummel, non puoi rubarmi le idee, la terza frase del mio discorso dice che sei un bastardo egoista, andiamo.” Kurt rotea gli occhi e Blaine è felice che in quell’istante sia distratto, perché ha bisogno di un attimo per metabolizzare, ed è difficile farlo con le iridi azzurre di Kurt che lo osservano attente. Deglutisce, prima di rivolgere la propria attenzione a Santana, che inizia a parlare.
“Non so dirvi se aver conosciuto Kurt Hummel possa essere stato positivo o negativo nella vostra vita. Però posso dirvi che nella mia è stata una delle cose migliori che mi sia successa. E non perché fosse un bastardo egoista che ha addirittura preteso di organizzare il suo pre-funerale, o perché fosse un bastardo egoista che se n’è andato troppo presto, ma perché di persone come Kurt se ne trovano poche nella vita. Perché le persone che vanno oltre le apparenze e ti capiscono per quello che sei, che scavano oltre la facciata da stronza e trovano la vera te sono troppo, troppo, troppo poche.” Prende un respiro pesante, un altro. Si aggiusta gli occhiali sul naso e raddrizza la schiena, mentre Blaine sta già piangendo.
“Quindi Kurt, so che probabilmente ci starai ascoltando adesso, da ovunque tu sia, e ci starai giudicando con il naso arricciato perché ci sarà qualcosa che non ti andrà bene, anche al tuo maledetto funerale, e sappi che ti vogliamo bene anche per questo. Kurt, sappi che –“ Singhiozza. L’eco rimbomba in tutto il seminterrato. “Che –“
“San, va bene così,” sussurra Kurt, ed è quello il momento in cui lei incurva la schiena e si accartoccia sul leggio, spezzandosi in singhiozzi sempre più irregolari, finché Blaine non si alza e le si avvicina, cingendole delicatamente la schiena per aiutarla a trovare la sedia accanto a Kurt.
 
Resta in disparte per un attimo, perché quel momento gli sembra troppo intimo e lui sembra così fuori posto, le braccia strette attorno al proprio petto mentre le mani di Santana artigliano il maglione di Kurt e le sue lacrime lo bagnano all’altezza della spalla. Poi Kurt alza la testa, gli occhi velati di lacrime ancora più azzurri del solito, e gli regala uno di quei sorrisi che Blaine piace credere di essere l’unico a ricevere.
Annuisce, prima di prendere posto dietro al leggio e tirare fuori dalla tasca dei jeans un foglietto stropicciato; lo spiega e lo appoggia sulla superficie di legno. Si schiarisce la voce.
“Ho sempre pensato che non esista un'unica definizione di amore. Che ogni storia d'amore sia diversa dall'altra, perché ogni persona e ogni coppia sono diverse dalle altre e sì, tutte le storie hanno in comune questo sentimento fortissimo, e sì, tutte sono formate da un numero infinito di momenti da ricordare, di caffè preso insieme la mattina, di caviglie che s’intrecciano sotto un tavolo, di ciotole di popcorn condivise e di tramonti guardati assieme, ma ognuno di questi momenti sarà diverso dall'altro. Sempre.
“Ci sono storie d'amore che durano una vita, e che porteranno con sé un infinito di momenti più grande, più attimi da vivere insieme. E poi ci sono storie d'amore veloci come comete; e sì, forse Romeo e Giulietta avranno un infinito più piccolo di ricordi da custodire e di momenti da condividere, ma dio, se il loro non era amore non so cosa possa esserlo.” Blaine chiude gli occhi solo per un attimo, mentre quelli di Kurt si spalancano sempre di più e le lacrime scorrono libere lungo le sue guance.
“Noi non abbiamo avuto molto tempo, è vero. Non abbiamo avuto un lieto fine, ma Kurt Hummel era l'amore della mia vita, e non credo di essere in grado di esprimere quanto gli sono grato per il nostro piccolo, infinito amore.”
Si accorge che tutti i suoi sforzi per non piangere sono stati nulli più o meno quando emette un singhiozzo che non si era neanche accorto di aver trattenuto. Kurt lo fissa dal basso della sua sedia a rotelle e gli sorride tra le lacrime, mentre gli fa cenno di avvicinarsi – e Blaine lo fa, perché cos’altro ha da perdere?
E in quel momento non c’è nessuno, non c’è Santana, non c’è il cancro, non c’è uno stupido seminterrato umido, non ci sono discorsi – ci sono solo Kurt e Blaine, un Grazie e un Ti amo sussurrati labbra contro labbra, e Blaine non avrebbe mai pensato che quella sera sarebbe stata proprio quella che si sarebbe portata via tutte le loro Ultime Volte.












So, ecco spiegato perché la storia si chiama Our Little Infinite e non Our Little Infinity. Perché nella mia testa è sempre stato Our Little Infinite Love, ma diciamo che volevo mantenere l'idea originale, quindi ho lasciato i tre aggettivi e basta. (?)(Magari nemmeno vi interessava?)(:D)
Vado a dormire, che forse è meglio.

Oh, dal prossimo capitolo, come potete intuire, ci sarà il picco di angst della storia. Credo. O forse no. Per me è stato più difficile scrivere altri capitoli piuttosto che i prossimi, però be', ognuno ha una sensibilità diversa, e in ogni caso voglio avvertire, in modo che se non vi va a genio l'idea di major character death cambiate storia, ecco. ;_;
Vi abbraccio. <3

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo, ancora mi stupisco dell'affetto che questa storia continua a ricevere. Grazie dal profondo del mio cuore. ;_;


Capitolo 18
 
Questo capitolo è per Fede e Lavi, che stanno realizzando il loro sogno.
So che è abbastanza insolito dedicare un capitolo così triste ad un'occasione così felice, ma l'angst è più forte di me. Si scrive da solo.
Sort of. <3





Blaine non ha idea di come fa a saperlo ancor prima di rispondere al cellulare, la sveglia che segna le tre del mattino e le dita che tremano, ma lo sa, e aspetta un secondo, prima di rispondere. Un secondo per ricordare il sorriso di Kurt, per ricordare i suoi occhi pieni di vita e l’ultimo bacio che gli ha regalato poche ore prima nel Cuore Letterale di Gesù, un secondo per illudersi che sia ancora vivo.
Poi alza la cornetta e risponde, e non ha neanche bisogno di spiegazioni, perché i singhiozzi di Burt dicono più di mille parole, e lui non tenta nemmeno di trattenere le lacrime, e piange, piange davvero, come non si permetteva di fare da settimane, e sussurra mi dispiace, dice mi dispiace, grida mi dispiace e si sente affondare, giù giù giù, e questo è molto peggio di non respirare, del bruciare del cancro contro la propria cassa toracica, delle centinaia di flebo che è stato costretto a farsi – questo è peggio.
Cooper è il primo a raggiungerlo, sale i gradini a due a due e lo stringe in una morsa soffocante e piange anche lui; poi arrivano Pam e Jonathan, e anche qui non c’è bisogno di spiegazioni, non sono necessarie. Si incastrano in un groviglio di gambe e braccia e lacrime sul letto a una piazza e mezzo di Blaine e restano così per un’eternità, fino al mattino, stretti l’uno all’altro, stretti attorno a Blaine, come ad impedire che vada inevitabilmente in pezzi.
 
Kurt Hummel muore alle tre del mattino di un giorno d’estate, e l’universo perde per sempre un po’ della sua meraviglia.
 
*
 
I suoi genitori e Cooper lo lasciano solo quando il sole comincia a premere più forte contro le persiane della camera e Blaine gliene è grato, perché ha onestamente terminato le lacrime e al momento crede di trovarsi in una sorta di limbo, un universo tutto suo in cui Kurt Hummel è ancora vivo eppure non lo è più, e ha così voglia di parlarne con qualcuno, qualcuno che lo capisca davvero, e il dolore che lo assale quando realizza che l’unico con cui vorrebbe parlare della morte di Kurt è Kurt è così forte, così lancinante e lacerante che forse si sbagliava, non ha ancora terminato le lacrime.
Forse non le terminerà mai.
Trascorre la giornata da solo, osservando le strisce di luce del sole farsi più luminose e poi più tiepide, finché non è sera un’altra volta. Sua madre lo obbliga a mangiare qualcosa all’ora di pranzo – onestamente, poi, non ricorda neanche cosa, ma non gli interessa  – e gli sta accanto, seduta sul letto, finché non finisce tutto ciò che c’era nel piatto e rifiuta per l’ennesima volta qualsiasi cosa sua madre gli proponga – Scendi di sotto con noi, Vuoi che chiami Sebastian?, Resto qui se vuoi.
 
Si alza dal letto all’ora di cena, quando la malsana idea di riprendere in mano Un’Imperiale Afflizione gli s’insinua nella mente e decide che sì, forse, dopotutto, ha solo bisogno di stringersi insieme alla sua famiglia nel loro divano troppo piccolo e di addormentarsi davanti a qualche film di cui conosce già il finale.
Finisce schiacciato tra la spalla di sua madre e il petto di Cooper, mentre la mano di suo padre arriva a solleticargli la spalla.
 
*
 
(1.04)
Da: Santana
Fa schifo, non è vero?
 
(1.12)
A: Santana
Cosa?
 
(1.14)
Da: Santana
Il mondo senza Kurt Hummel.

 
*
 
Due giorni dopo viene allestita la camera ardente nella chiesa che sovrasta il Cuore Letterale di Gesù – Burt chiama per avvertirli, e quando Pam lo dice a Blaine lui annuisce, gli occhi vacui ed arrossati, ed affonda di nuovo il naso nella sua copia di Cime Tempestose, stringendo le ginocchia al petto con un braccio.
Sebastian insiste per andarlo a trovare, quel giorno. Lo aiuta ad infilarsi nel suo completo elegante e quando Blaine gli chiede di Thad fa un sorriso a metà e cerca di distrarlo come può, perché odia vedere Blaine così e farebbe di tutto per cancellare il solco delle sue occhiaie o il gonfiore dei suoi occhi – e Blaine lo sa, ma non c’è niente che Sebastian possa fare. Che chiunque possa fare, ormai.
 
Kurt non credeva in Dio, Blaine lo sa bene. Era così convinto che gli uomini dovessero ingegnarsi in qualsiasi modo per evitare l’oblio che sarebbe stato ridicolo, per lui, credere in un dio che potesse farlo al posto loro. Eppure tutte quelle persone che si avvicinano alla sua bara e la sfiorano con le dita – evitando di toccare lui, perché la gente ha paura dei morti –, tornano al proprio posto e pregano qualcuno che forse nemmeno esiste per la salvezza di qualcuno che sicuramente non esiste più, e Blaine non ha mai visto niente di più grottesco in vita sua. Aspetta in silenzio, in un angolo, la sua famiglia alle sue spalle e Sebastian qualche passo più distante, finché la zona attorno alla bara è vuota e tutte quelle persone che non ha mai visto prima e che sono venute per Kurt si ritirano in piccoli gruppetti, a sussurrare frasi di circostanza in cui neanche credono.
A quel punto fa per avvicinarsi, ma viene preceduto dal gruppo di amici di Kurt – Mercedes, Quinn, Puck, Sam, Mike, Tina, Artie, Brittany, Rachel e Finn avvinghiato a lei, scosso da singhiozzi così forti che il cuore di Blaine si spezza giusto un po’ di più, e si sente paradossalmente più felice, perché quei ragazzi tenevano a Kurt, tanto, e certo non lo amavano come fa lui – non faceva, Blaine non si permette di pensare al tempo passato, non ancora, mai – ma gli volevano bene, gliene vogliono ancora, e questo è abbastanza.
Non vede Santana. La cerca nella stanza, scandagliando i gruppi di uomini e donne vestiti di nero, ma non la trova, e per un attimo si sente solo, perché sì, quelli sono gli amici di Kurt e gli vogliono bene, ma Santana – non può non esserci, non può non può non può. Sta giusto per prendere coraggio e muoversi, andare a chiedere a Brittany, a chiunque, dove sia, perché ha bisogno che ci sia anche lei, ne ha bisogno, perché non è sicuro di riuscire a farcela da solo.
 
La riconosce dai singhiozzi – si volta di scatto e la vede lì, appoggiata alla parete della chiesa più lontana, gli occhiali da sole immancabilmente calati sugli occhi e una mano sulle labbra, una sul cuore, come a volersi impedire di singhiozzare, come a voler proibire ai suoi battiti di correre così veloce – e le si avvicina velocemente e mormora San”, prima di stringerla a sé ed aspettare che lo riconosca e che lo abbracci in risposta, il suo petto che trema contro il proprio.
“Stavo aspettando te,” gli dice, prima di lasciar scivolare un braccio lungo i suoi fianchi e chiudere le dita sulla stoffa del suo tubino nero. Lei gli stringe la spalla con una mano e si lascia guidare verso la bara, e Blaine sente gli occhi di tutti puntati su di loro ma onestamente non potrebbe curarsene meno, perché ora che lo spazio attorno a Kurt è di nuovo vuoto e ci sono solo loro accanto a lui, riesce di nuovo a vederlo.
Riesce a scorgere i suoi lineamenti dolci e spigolosi insieme – la curva dei suoi zigomi e la linea della sua mascella, le labbra e gli occhi chiusi – e stavolta è Santana a sorreggerlo, perché le sue ginocchia hanno davvero appena tremato e deve chiudere gli occhi per un attimo perché è tutto troppo.
La ragazza allunga una mano e cerca le dita di Kurt per un attimo, prima di stringerle e chinarsi e sussurrare “Ciao, Hummel” accanto al suo viso, i morbidi capelli scuri che sfiorano il suo completo scuro, e Blaine stavolta non si sente estraneo in tutto quel dolore, al contrario, sente di starne vivendo fin troppo, quindi si avvicina un altro po’, seguendo Santana, e lascia che tutta la perfezione di Kurt si rifletta nei suoi occhi per un’ultima volta, prima di permettere loro di appannarsi di lacrime.
Santana torna in piedi e fa un passo indietro, gli lascia spazio, gli dice “Vai”, e Blaine le stringe appena il fianco con le dita, prima di lasciarla ed inginocchiarsi accanto alla bara. Scaccia via le lacrime con un gesto veloce di una mano, prima di infilarsela in tasca e tirar fuori un pacchetto di sigarette della stessa marca di quelle che non fumava Kurt. Lo lascia scivolare tra il rivestimento della bara e il braccio di Kurt e si avvicina alla sua guancia, premendo lì un bacio leggero e bagnato di lacrime, sussurrando “Non mi arrabbio se le accendi, queste.”
Quando si alza in piedi, Santana cerca a tentoni la sua mano, la trova e lo attira a sé in un abbraccio, e solo in quel momento Blaine si permette di nascondere il viso nella curva della sua spalla e di singhiozzare, piano, come se il suo pianto fosse una ninnananna e ogni lacrima una nota, e Santana lo stringe, lo stringe forte, così tanto che per un attimo a Blaine sembra di essere tornato tutto intero.
 
Non ascolta una singola parola di ciò che dice il prete. Resta seduto tra sua madre e Santana, che si è letteralmente rifiutata di lasciare la sua mano; Cooper, Sebastian e suo padre sono sulla panca dietro alla loro, Brittany è accanto a Santana, tutti gli amici di Kurt sono davanti a lui, Finn è seduto qualche posto più avanti, la testa nascosta dalla schiena di Burt, che gli avvolge un braccio attorno alle spalle ed è stretto da Carole dall’altro lato.
Ad un certo punto il prete si interrompe e chiede “Se c’è qualcuno che vuole dire qualcosa per Kurt, lo faccia pure.” Santana lo guarda e scuote appena la testa, incassandola tra le spalle ed incurvando la schiena, e Blaine la capisce, perché lui stesso non sa se sarà in grado di portare a termine quello che sta per fare, ma sa che deve farlo, quindi prende un bel respiro ed afferra il manico del carrellino, alzandosi in piedi e percorrendo i pochi metri di navata che lo separano dall’altare, cercando di evitare come può le occhiate incuriosite di persone che non ha mai visto in vita sua.
“Mi chiamo Blaine,” dice, guardando le scanalature del legno del leggio senza il coraggio né la forza di alzare lo sguardo. Pensa che a quel punto non ha senso mentire, quindi lo dice perché di questo non ha paura, “ed ero il ragazzo di Kurt.” Nessuno osa parlare, sembra che abbiano smesso tutti di respirare, in realtà, dalla bolla di silenzio in cui l’intera chiesa sembra essere stata inglobata.
“C’è una frase di uno dei nostri libri preferiti che dice uhm – “ Si schiarisce la voce, ancora umida di pianto. Poi alza gli occhi e li punta nel vuoto. “Se tutto il resto morisse, e lui rimanesse, io continuerei ad esistere; e se tutto il resto continuasse ad esistere e lui fosse annientato, l'universo si trasformerebbe per me in un completo estraneo. Credo di aver capito solo ora ciò che significa.”
Poi i ricordi di Blaine si fanno sfocati. Ricorda di essere tornato a posto, di aver visto Burt e Finn parlare dietro quel leggio, di aver ascoltato gli amici di Kurt cantare una canzone per lui (If I die young, bury me in satin, lay me down on a bed of roses, sink me in the river at dawn, send me away with the words of a love song) e di aver pianto.
Poi ricorda di essersi aggrappato a sua madre per uscire e, una volta fuori, ricorda di aver inspirato quanto più a fondo possibile l’aria calda dell’estate e di aver incrociato, per una frazione di secondo, degli occhi piccoli ed inquieti. Ricorda di aver spalancato i propri e poi, oh, questo lo ricorda perfettamente, Peter Van Houten gli aveva sorriso dall’altra parte della strada.












So che in quest'istante vorreste mutilarmi con qualche oggetto contundente, ma io vi voglio bene.
Davvero.
(Note di regia: ovviamente la frase è presa da Cime Tempestose. La canzone cantata dai ragazzi del Glee è If I die young.)
Diciamo che questo è il capitolo più angst della storia, il prossimo lo è meno e l'epilogo non ha molto a che fare con TFIOS, quindi sarà qualcosa di diverso.
Se vi va di passare, qui c'è una shot che ho scritto - i Klaine della seconda stagione e taaaanti baci. :3 Così mi faccio perdonare per tutto questo angst. ;;

Un abbraccio,

Locked

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Grazie a tutti coloro che hanno recensito e che continuano a seguire questa storia con una dolcezza incomprensibile.
Grazie.

 
Capitolo 19
 
 
A Cory Allan Michael Monteith,
grazie, per tutto.



Blaine ha un’immediata e malsana voglia di piangere. Perché stanno per seppellire Kurt, per esempio. Perché non c’è un essere umano che detesta più di Peter Van Houten e non sa cos’ha fatto di male per ritrovarselo davanti in quel momento, forse. O forse è solo un insieme di tante cose messe tutte insieme, pressate dentro di lui, che occupano troppo spazio e premono contro i suoi occhi, e in quel momento non riesce a far altro che assecondare quella voglia e lasciare che le ultime lacrime che ha scivolino lentamente dai suoi occhi arrossati alle sue labbra, tracciando percorsi irregolari lungo la curva degli zigomi e delle guance.
Van Houten gli si avvicina, una fiaschetta contenente dio solo sa cosa in mano e la pancia da alcolizzato che ondeggia ad ogni passo, e a Blaine fa così schifo che forse ci ha appena ripensato, non ha solo voglia di piangere, ha voglia di vomitare.
“Salve ragazzo,” esclama, e Blaine sta per prenderlo a pugni, davvero. Non fa in tempo a rispondergli, che l’uomo gli ha messo in mano un pezzetto di carta sgualcito e Blaine non sa cosa si aspetta che se ne faccia, onestamente ha ancora voglia di piangere e vomitare e prenderlo a pugni, ma poi intravede una frase scritta al suo interno con un inchiostro blu e lo apre lentamente.
Omnis cellula e cellula.
Altrettanto onestamente, Blaine non ha voglia di giocare, né di stupidi indovinelli. “Cosa vuole da me, signor Van Houten?” Peter lo osserva stranito, come se la risposta a quella domanda fosse lampante, e Blaine è così, così stanco di tutto questo. Sbuffa.
“Si ricorda la sua ossessione per il mio libro, non è vero? Ecco. Il suo ragazzo, a sua insaputa a quanto vedo, ha continuato a scrivermi dopo il vostro viaggio ad Amsterdam, implorandomi di scrivere un qualche seguito per lei. Questo è il seguito di Un’Imperiale Afflizione. Omnis cellula e cellula. Tutte le cellule vengono dalle cellule, che vengono dalle cellule che vengono dalle cellule, in un ciclo continuo.” Sembra particolarmente fiero della sua spiegazione. Blaine lo guarda per un attimo, gli occhi vacui, annuisce e si ficca in tasca il foglietto, prima di voltarsi e tornare dalla sua famiglia e da Santana, che sono rimasti qualche passo più indietro a fissarli curiosi.
 
“Non vuole una spiegazione?” chiede Van Houten, allarmato. Blaine scatta, voltandosi per quella che giura essere l’ultima volta.
“Cosa ci fa qui, Van Houten? Cosa, tra tutte le ragioni del mondo, l’ha spinto a venire fin qui, in questa città dimenticata da dio, per poi neanche assistere al funerale di un ragazzo che ha visto un’unica volta in vita sua?” Blaine è arrabbiato, è furioso, perché Kurt non c’è più e da qualche parte l’unica flebile voce razionale che è rimasta nel suo cervello prova a sussurrare che non è colpa di Van Houten, ma Blaine non ha voglia di essere razionale. L’uomo fa un passo indietro, colpito dalla veemenza delle sue parole, e Blaine riafferra il carrellino e si spinge in avanti, verso le braccia aperte di sua madre, che lo accoglie dolcemente, accarezzandogli i capelli mori con le dita in un modo che gli ricorda così dolorosamente i tocchi di Kurt.
 
*
 
Blaine non avrebbe voluto accompagnare Burt e Carole e Finn e tutti gli altri a seppellire Kurt; non avrebbe voluto continuare a piangere, esausto; non avrebbe voluto essere costretto a lanciare un mucchietto di terra sulla sua bara; non avrebbe voluto fare nessuna di queste cose.
(Avrebbe voluto prendere l’auto, tornare a casa e trovare Kurt ad accoglierlo, gli occhi azzurri e le labbra al sapore di caffè.)
Ma le fa, tutte.
Poi torna a casa davvero, e piange un altro po’, perché di Kurt non gli sono rimasti che i ricordi.
 
*
 
Il giorno dopo Santana va a trovarlo e Blaine gliene è sinceramente e profondamente grato, perché fissare il soffitto dal letto con gli occhi vacui sta diventando la sua attività principale e sì, forse non cambia poi così tanto, ma farlo con qualcuno al suo fianco lo fa sentire meno peggio.
“Dove pensi che sia, adesso?” gli chiede lei, il corpo snello, racchiuso in un paio di pantaloncini e una canotta, è accartocciato accanto al suo sul materasso. La sua testa e appoggiata al torace di Blaine, e lui riesce a vedere solo le sue spalle color caffelatte e una distesa di capelli corvini che le nasconde in parte e in parte gli ricopre il petto. “Voglio dire –“ continua lei, non dandogli il modo di rispondere, “Non ci credevo nemmeno io al Paradiso e a tutta quella roba là, ma adesso – adesso è tutto diverso, capisci? Non è possibile che di lui non sia rimasto nient’altro che un corpo freddo e un mucchio di ricordi.” Blaine sospira.
“Non lo so, San,” sussurra, cingendole le spalle con un braccio e stropicciandosi gli occhi col palmo dell’altra. “Credo che nessuno sia effettivamente in grado di saperlo. Ma – ho sempre pensato che ci fosse qualcosa, sai? Quando ero più piccolo avevo questa fantasia: che quando me ne sarei andato avrei aspettato la mia famiglia, anni e anni e decenni, tutto il tempo necessario, e poi quando tutte le persone a me più care mi avrebbero raggiunto saremmo rimasti insieme per sempre. Era – infantile, credo. Ma avevo bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi.” Respira profondamente dal naso, aggiustandosi velocemente la cannula. “Nessuno sa con precisione ciò che ci aspetta, dopo. Puoi scegliere di credere in quello che vuoi; io scelsi di credere in questo e ora – semplicemente so che Kurt non se ne andrà mai del tutto. Finché vivrò io, finché vivrai tu, finché vivranno i suoi genitori e suo fratello e i suoi amici – tutti noi ne conserveremo il ricordo.” Santana resta in silenzio per un attimo, prima di tremare un po’.
“Vaffanculo, Anderson; avevo appena smesso di piangere.”
 
*
 
Blaine la accompagna alla porta, i calzoncini dismessi della tuta che gli abbracciano morbidi la vita e le braccia incrociate sul petto mentre la guarda allontanarsi sottobraccio a sua madre, e non ha la forza di pensare a nulla – non ne vede il motivo. Un movimento brusco proveniente da un angolo della siepe del loro giardino lo distrae e per poco non spalanca la bocca quando vede Peter Van Houten alzarsi e barcollare verso di lui con la solita fiaschetta di alcool in mano.
“Che diavolo ci fa qui?” grida, e grazie a dio la casa è vuota e Santana e sua madre sono troppo lontane per sentirlo, perché non ha assolutamente voglia di spiegare perché uno scrittore mezzo olandese e mezzo americano e mezzo collassato nel giardino di casa sua gli si stia avvicinando ondeggiando. “Ha dormito qui? Lei è fuori di testa, ora chiamo la polizia –“
“Blaine –“ E’ la prima volta che lo sente pronunciare il suo nome. “Non sono ubriaco.” Blaine continua a fissarlo. Van Houten sbuffa. “Voglio dire, lo ero, ma non lo sono più; io – voglio solo parlarti, un attimo, e darti una cosa –“
“Se è uno di quegli stupidi bigliettini come quello che mi ha dato ieri può anche tornarsene da dove è venuto perché –“
“No!” lo interrompe, “No, davvero, ascoltami un attimo. Per favore.” Blaine continua a credere che sia ubriaco almeno parzialmente, perché andiamo, gli sta dando del tu e sta barcollando,ma annuisce, incerto.
“Kurt –“ Blaine si irrigidisce. E’ automatico ormai, non può farci assolutamente nulla. “Kurt ha continuato a scrivermi, dopo il vostro viaggio ad Amsterdam. E’ vero, lui voleva che scrivessi un seguito, che rispondessi alle tue domande, ma lo voleva così tanto che aveva scritto appunti, creato scene e collezionato idee che voleva che rendessi mie e rielaborassi fino a scriverci una storia e io non potevo, capisci? Non potevo perché quella storia è mia.”
Ed è quello, il momento in cui Blaine realizza. “Anna,” sussurra, e gli sembra di riemergere da sott’acqua dopo un’apnea eterna, “la protagonista – il motivo per cui il libro non finisce è che Anna muore. Anna – era sua figlia.” Van Houten lo guarda, gli occhi stanchi e cerchiati di nero, gonfi, il completo che indossa stropicciato un po’ ovunque, e sembra così miserabile, così impotente. Annuisce una volta sola.
Peter Van Houten aveva una figlia che è morta di cancro. Improvvisamente tutto torna, il suo conoscere così bene la malattia, il suo scriverne come se l’avesse vissuta sulla propria pelle, il suo odio nei confronti di lui e Kurt, che erano stati così in salute da poter sostenere un viaggio oltreoceano, il suo dispiacere così spaventosamente autentico per la morte di Kurt.
“Peter, lei è una bella persona, lo sa? Io credo che sia davvero una bella persona, anche se sotto l’effetto dell’alcool diventa uno stronzo.” Un sorriso tiepido si apre sulle labbra di entrambi. “Torni a casa. Si disintossichi, vada a cercare Lidevij, scriva, faccia ciò che le riesce meglio, si rifaccia una vita.” Van Houten resta a guardarlo per un attimo, poi fa per girarsi ed andare via davvero ma all’ultimo secondo si ferma, di spalle, si infila una mano in tasca e ne cava un foglio stropicciato piegato a metà. Torna indietro il tempo necessario per porgerlo a Blaine ed aspettare che lo afferri con una punta di stupore, poi dice “Arrivederci, Blaine”, e lui lo saluta con una mano, osservandolo mentre si allontana.
 
Poi spiega il foglio attentamente, e il suo cuore precipita.
 
*
 
E’ di Kurt. E’ la calligrafia di Kurt. KurtKurtKurt.
Gli si riempiono automaticamente gli occhi di lacrime e cerca di scacciarle via il più velocemente possibile perché – Kurt.
Non si rende neanche conto di aver chiuso la porta di casa e di star arrancando verso il divano, su cui si siede con un tonfo, perché ha tra le mani una lettera di Kurt, una parte di Kurt, e le mani gli tremano incontrollabili.
 
Gentile signor Van Houten,
(Non so neanche per quale motivo l’ho appena definita gentile, dato che lei, con me e Blaine, non lo è mai stato. Ma sa, siamo così schiavi delle consuetudini – e delle contraddizioni.)
Spero che lei abbia ricevuto la mia e-mail con gli appunti per il suo seguito. Sa, io non sono mai stato bravo a scrivere; quando ci provo, le parole vengono fuori tutte in una volta e non riesco a stargli dietro, è come se mancasse sempre qualcosa. Blaine, lui è bravo con le parole. Non importa quante volte provi a negarlo, a dire che non ha mai scritto niente di serio – si capisce da come parla. Ha sempre l’aggettivo giusto, lui, la frase perfetta al momento perfetto e onestamente, com’è possibile anche solo pensare il contrario, se lui stesso è perfetto?
E perché sto scrivendo tutto questo ad un alcolizzato che in tutta probabilità nemmeno si prenderà la briga di capire ciò che sta leggendo – che forse nemmeno leggerà questa lettera? E perché sto scrivendo una lettera e non un’e-mail?
Perché, Van Houten, certe cose sono troppo autentiche per racchiuderle in sequenze fredde di zero e uno sullo schermo di un computer.
Se non vuole scrivere questo seguito per me, lo faccia per Blaine. Se tutto continua ad andare come sta andando, tra un mese o forse ancora meno sarò in una bara sottoterra, e non avrò niente da lasciare a Blaine, niente che valga la pena di essere ricordato, niente. E io lo amo, Van Houten, lo amo così tanto che questa consapevolezza mi uccide.
So che lei sa cosa significa restare solo. Trasuda da ogni parola del suo libro, la sua solitudine. E io non voglio che Blaine si senta così, mai, perciò la prego. Lo faccia per lui. So che non sarà un miracolo, che non gli impedirà di soffrire e di restarne ferito – ma sa, Van Houten, nella vita non esiste la possibilità di non ferirsi.
Esiste, però, una vaga possibilità di scegliere da chi farsi ferire. Io ho scelto Blaine,e sono felice di averlo fatto.
Spero che lui non si penta delle sue scelte.
 
E Blaine si ritrova a sorridere, tra le lacrime.
Non me ne pento, Kurt. Non potrei mai pentirmene.











Non avevo voglia di aggiornare, oggi. Non ho voglia di far nulla da stamattina, in realtà; semplicemente perché il tredici luglio è una data, per me, impossibile da ricordare senza sprofondare nella tristezza.
Poi però mi sono detta che non ho niente da poter dare a Cory - o a Lea, o a chiunque gli era vicino - se non il mio affetto e la mia tristezza. E non so, postare questo capitolo e dedicarlo a lui mi sembrava giusto.
Forse perché se non ci fosse stato lui, questo capitolo, questa storia, Glee, la me di adesso - non ci sarebbe stato niente.

E quindi nulla, alla prossima settimana con l'epilogo.
Un abbraccio,

Elena.

(Rest in peace, angel.)






 

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Capitolo 20
*** Epilogo ***


(Ultime) Note Iniziali *sigh*:
Ho intenzione di scrivere tutto qui e di non intasarvi di commenti lacrimosi alla fine, perché ci tengo che l'ultimo ricordo che vi resti di questa FF sia quel "The End" giù in fondo.
Grazie. Grazie a chi ha aperto questa storia per sbaglio, a chi ha iniziato a leggerla dall'inizio e chi l'ha scoperta ieri, a chi ci ha creduto da prima ancora che iniziassi a scriverla, a chi ha recensito ogni capitolo, a chi l'ha fatto solo una volta, a chi non l'ha fatto mai ma l'ha letta lo stesso, a chi l'ha messa tra le preferite, le seguite o le ricordate, a chi mi ha insultato settimanalmente, a chi l'ha apprezzata e ha voluto mostrarmelo anche solo con una semplice visualizzazione.
G r a z i e.
Ad Ari, a Fé, a Zurry, ad Anna, a kissmycollarbones, ad Alli, a mia moglie Je, a Paola, a Mary, alla Sevensome intera - che è un po' la mia seconda famiglia -, ad Anto e ad un sacco di altra gente che mi ha scritto su FB e che mi ha sopportato in chat.
Significa molto per me.
Questa è la mia prima *vera* long. La prima cosa veramente seria che porto a termine. Ci ho trascorso sette mesi sopra e mi sta già mancando da morire, anche se il bottoncino "completa" ancora non ho avuto il coraggio di premerlo.
E niente - ora è rimasto solo questo breve epilogo, che è un po' la conclusione che in TFIOS non c'è.
Uh, grazie anche a John Green, perché il merito qui in realtà è tutto suo.
Grazie ad Emily Brönte per la quantità spropositata di Cime Tempestose che ho gettato in questa storia.
Grazie ad Einaudi, perché senza di lui come sottofondo non avrei scritto mezza parola. E a Jacques Prévert, perché sì.
Grazie a Glee, che mi manca.

E, ancora, grazie a tutti voi.
A presto - domani, con la OS della Daddy Klaine Challenge, actually. *-*

Elena.




 
Epilogo




 
Burt va spesso sulla tomba di suo figlio.
Si inginocchia lì davanti, le gambe che gli fanno male e le punte dei piedi affondate nell’erba giallastra, e ci resta ore intere.
A volte lo accompagna anche Carole – resta uno o due passi più indietro e si passa continuamente un fazzoletto sugli occhi stanchi, e lo abbraccia, quando smette di stare in silenzio e il suo petto inizia ad essere sconquassato da singhiozzi sempre più forti.
 
*
 
Blaine apprezza il fatto che i suoi gli lascino spazio. Ne ha un bisogno quasi ossessivo. E’ solo nel silenzio della sua camera che riesce a rievocare quella sensazione di terza dimensione in cui gli sembrava di essere ogni volta che parlava al telefono con Kurt. E si ripete che va bene, illudersi, ogni tanto.
Va bene crederci ancora un altro po’, solo un altro po’.
 
*
 
Finn ci mette un po’, ad abituarsi all’idea di non avere più un fratello.
Era stato semplice accettare di essere figlio unico, prima di Kurt – non aveva mai sperimentato cosa significasse ricevere piccoli schiaffi ogni volta che provava a rubare qualcosa dal frigo o delle occhiate esasperate quando lasciava i suoi vestiti dappertutto, e ora tutto quello gli manca.
Finn non piangeva quasi mai, prima.
Ora Finn affonda il viso nel cuscino e svuota la sua anima tra le sue pieghe, ogni sera, per settimane, mesi.
 
*
 
La lettera di Kurt che Van Houten gli ha consegnato quasi un mese prima è spiegazzata ai bordi, stropicciata, quadrettata per il troppo spiegarla, leggerla, ripiegarla, infilarla in tasca – dove riesce sempre a raggiungerla ogni volta che si sente troppo solo e che il peso del vuoto che gli preme sul cuore diventa troppo intenso.
 
*
 
A Brittany non è mai piaciuto piangere, ma se c’è qualcosa che odia più di farlo è che lo faccia Santana.
Che si accartocci contro il suo petto e si sciolga in singhiozzi.
Lei, così bella e forte e meravigliosa, che le ha portato via il cuore con un battito di ciglia dei suoi occhi che non vedono più.
Quindi la stringe più forte, sperando che le sue braccia possano tenerla tutta insieme, che possano smettere di farla cadere in pezzi.
 
*
 
Alla fine ce la fa, Blaine, a rileggere Un’Imperiale Afflizione.
Alla fine Peter lo pubblica davvero, quel seguito. Gliene fa recapitare una copia in anteprima con una frase scribacchiata sull’angolo in basso a destra della prima pagina – Spero davvero di essere riuscito a rispondere a tutte le tue domande, sai?
La dedica recita: A Kurt, che lo voleva dedicare a Blaine.
 
*
 
Rachel si è sempre voluta vedere come una persona forte, di quelle che gestiscono il dolore da sole e ce la fanno – ma la verità è che Kurt era uno dei suoi migliori amici e a volte semplicemente non ci riesce, a stare da sola. Perché è un po’ come rendersi conto tutto in una volta che lui non c’è più.
Quindi va a casa di Mercedes – o di Quinn, o di Tina – e, a volte, con loro è più facile ripetersi che può farcela, che può andare avanti.
Che deve essere forte per Finn.
Che Kurt non avrebbe voluto vederla così.
 
A volte nemmeno questo è abbastanza.
 
*
 
Blaine comincia a sentire i primi sintomi del cancro che si fa più forte ancora prima che lo facciano le macchine e le ecografie e i medici.
Una mattina si sveglia e vomita.
Il giorno dopo è troppo debole per alzarsi dal letto e sente i suoi genitori singhiozzare al piano di sotto, mentre chiedono a Cooper di prendere il primo treno per tornare a casa.
 
*
 
Puck e Quinn hanno questa tradizione, quando accade qualcosa di brutto – si ritrovano insieme, scelgono una canzone a testa, alternandosi, e si fermano ad ascoltarla, in silenzio.
“Aiuta ad esorcizzare la paura,” aveva detto una volta Puck.
“Sono sorpresa dal fatto che tu conosca il significato della parola esorcizzare,” gli aveva risposto lei, guadagnandosi un paio di occhi rivolti verso il cielo.
Non ne parlano mai, è una cosa così – loro che sembrerebbe sbagliato farlo.
 
Let it be.
How to save a life.
Pieces.
Afire love.
Blue jeans.
 
“Gli volevo bene, Quinn. Gliene volevo tanto.”
“Lo so, shh – lo so. Non piangere – vieni qui.”
 
*
 
Santana e Sebastian vanno a trovarlo praticamente ogni giorno – motivo per cui diventano amici, alla fine. In qualche modo. E’ buffo vederli roteare gli occhi ad ogni frase dell’altro, cercando fin quando è possibile di fingere che la presenza di uno o dell’altra nella stessa stanza li irriti quando invece – Blaine ne è sicuro – li aiuta.
Perché condividere il dolore è un po’ come portarne il peso a metà, in fondo.
 
*
 
Santana non torna più alla sua vita di prima – perché come potrebbe anche solo pensarci, dopo aver conosciuto una persona come Kurt? Una persona che lascia la propria impronta dentro di te per sempre, e ti cambia un po’, che tu lo voglia o meno.
Ci prova, certo che ci prova.
E capisce che ci sta quasi riuscendo quando realizza di aver lasciato il suo letto, quando realizza di essere riuscita ad uscire di casa senza il disperato bisogno di tornare dentro a nascondersi e piangere, piangere, piangere, quando realizza di star sorridendo mentre ripensa a lui e si sfiora le labbra incredula, come se pensasse di non essere più in grado di farlo.
 
Quando riesce a stare accanto a Blaine anche se sa come andrà a finire.
 
*
 
E’ macabramente romantico che Blaine muoia quasi ad un anno preciso dalla morte di Kurt.
Triste, avrebbe detto qualcuno.
Lo seppelliscono vicino a lui, le tombe una accanto all’altra, che sembra quasi che le loro fotografie si guardino da una lapide all’altra.
Ed in fondo, anche il loro è un per sempre.
 
Immense et rouge
Au-dessus du Grand Palais
Le soleil d’hiver apparaît
Et disparaît

Comme lui mon coeur va disparaître
Et tout mon sang va s’en aller
S’en aller à ta recherche
Mon amour
Ma beauté
Et te trouver
Là où tu es.
 
- Jacques Prévert


[Immenso e rosso
Sopra il Grand Palais
Il sole d’inverno viene
E se ne va 

Come lui il mio cuore sparirà
E tutto il mio sangue se ne andrà
Se ne andrà in cerca di te
Amore mio
Bellezza mia
E ti ritroverà
Là dove tu sarai.]


The End

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