The Echo of Your Spanish Lullaby

di GirlWithChakram
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The first time ever I saw your face ***
Capitolo 2: *** Beth ***
Capitolo 3: *** You're having my baby ***
Capitolo 4: *** V for... ***
Capitolo 5: *** ...Valerie ***
Capitolo 6: *** Last Friday night ***
Capitolo 7: *** Somewhere over the rainbow ***
Capitolo 8: *** The Untitled Santana Lopez Project ***
Capitolo 9: *** The nerd and the surfer, who's also a nerd ***



Capitolo 1
*** The first time ever I saw your face ***


THE ECHO OF YOUR SPANISH LULLABY
 
 
 
Alla mia ninnananna spagnola,
che non lascerò andare tanto facilmente


 
Avvertimento: si consiglia di aver letto prima la fanfiction a cui questa raccolta fa riferimento. QUI il link diretto al primo capitolo.
 
The first time ever I saw your face
 
Spagna, perché mai avevo detto Spagna? C’erano tante altre competizioni di surf in giro per il mondo: in California, in Australia, la grande gara delle Fiji… Ah, quelle meravigliose isole tropicali! Ma no, io dovevo proprio dire “Spagna” e Sam doveva, casualmente, sapere della sfida che si svolgeva a Donostia.
Non ebbi neppure il tempo di contestare che Kurt aveva già prenotato i biglietti e l’albergo, ovviamente per quattro, perché ormai Blaine era stato incluso a pieno titolo nel nostro gruppo.
Appena comunicai ai miei il piano per la vacanza, mio padre tirò fuori il blocchetto degli assegni e mi consegnò una cifra spropositata che ci avrebbe assicurato un soggiorno più che dignitoso. Naturalmente una buona fetta la tenni da parte per eventuali bagordi e per qualche possibile sfizio personale che mi sarei voluta togliere.
Lasciammo l’Ohio la notte tra l’1 e il 2 Luglio. Mi dispiaceva molto non poter festeggiare il Giorno dell’Indipendenza, ma volevo arrivare sul posto con largo anticipo per studiare la zona e imparare a sfruttare al meglio le caratteristiche del luogo. Avevo vinto già numerosi premi ed ero intenzionata a mantenere alto il mio record personale. Evans e Hummel erano in gamba, ma non potevano competere con me, come chiunque del resto.
Atterrammo a Barcellona, dove trascorremmo la bellezza di tre ore chiusi in aeroporto perché le nostre tavole non sembravano a norma. Ci vollero tutta la mia pazienza e il mio spagnolo per convincere gli addetti che non stavamo cercando di importare droga, nascosta, secondo loro, nell’intelaiatura dei surf.
Una volta trovato un noleggio auto, mi fu ufficialmente assegnato il ruolo di navigatore, in quanto era mio preciso dovere chiedere indicazioni ogni due per tre. Kurt stava al volante, cantando a squarciagola tutto “West side story”, a volte spalleggiato da Blaine, che nel frattempo chiacchierava con Sam dell’ultimo film che avevamo visto al cinema.
Io cercavo di distrarmi. Osservavo il bellissimo paesaggio che ci circondava e che variava ad una velocità impressionante. Quando ero bambina, mia nonna mi parlava spesso della Spagna. Lei c’era stata per il proprio viaggio di nozze e mi aveva invogliato a visitarla, ma non ero lì per fare la turista, non a tempo pieno almeno.
Mi misi ad organizzare un piano di allenamenti decisamente estenuante, che ci avrebbe visti in spiaggia dall’alba al tramonto. Le nottate le avremmo passate girando da un locale all’altro, magari rimorchiando qualche bella pollastra. Ovviamente l’ultima parte valeva solamente per me e il mio amico Evans, i “Klaine” non si sarebbero mai e poi mai sognati di tradirsi, tanto meno con persone dell’altro sesso.
In realtà, all’epoca, ritenevo quel loro tipo di rapporto piuttosto irrealistico; insomma, nel pieno dei nostri anni ruggenti, doversi dedicare anima e corpo ad un solo altro essere umano mi sembrava quanto di più lontano ci fosse dal “godersi la vita”. Eppure quei due sembravano aver davvero trovato la felicità l’uno nell’altro. Ero arrivata alla conclusione che esistessero pochi fortunati destinati a stare insieme per sempre e mi ero convinta che a me quella sorte non sarebbe mai toccata.
«San, sei completamente pazza se credi di costringerci a sgobbare tanto» mi criticò Sam quando gli mostrai la tabella degli orari «Noi siamo qui anche per divertirci!»
«Il surf è divertente» sottolineai.
«Ma non quando tu ci stai col fiato sul collo, costringendoci ad allenamenti di dieci ore al giorno!»
Sbuffai con noncuranza.
«Basta, voi due» ci riprese Lady Hummel «Non siamo ancora arrivati e già vi scannate!»
Proseguimmo lungo l’autostrada in silenzio, fino a che non entrammo nei Paesi Baschi, a quel punto la vicinanza alla meta sciolse un po’ la tensione, che era stata accentuata dallo scrosciante diluvio che si era scatenato a metà del tragitto. Ancora non potevo sapere che sarei dovuta essere stata grata in eterno alla pioggia spagnola.
Quando avvistammo la scritta “San Sebastian” si scatenò un’altra lite.
«Odio essere ripetitivo, ma proprio non mi piace l’idea di alloggiare nella città che porta il nome di un tuo ex» disse Kurt, rivolto al fidanzato.
«Io e Sebastian non siamo mai stati insieme» replicò Blaine.
«Lo dici tutte le volte, ma ho visto benissimo che sguardi ti lanciava allo “Scandals”, non credere che abbia fatto finta di niente!»
Avevo assistito ad un simile scambio di battute almeno un’altra dozzina di volte, dunque avevo smesso di sorprendermi di come i miei due compari, alla fine, risolvessero le loro controversie con coccole e carezze, che però avrebbero dovuto attendere, visto che Hummel era impegnato a guidare.
Come se mi avesse letto nel pensiero, il ragazzo chiese a Sam di prendere il suo posto al volante, così da potergli lasciare la possibilità di portare avanti la discussione.
Alla prima piazzola di sosta effettuammo lo scambio e neppure tre minuti dopo, dai sedili posteriori cominciarono a provenire gemiti e risolini.
«Oh, por favor!» sbottai «Ci sono innocenti ed indesiderati spettatori! Aspettate almeno di essere soli!»
«Verrà un giorno, Santana» mi ammonì Anderson «In cui sarai tu in questa situazione e noi saremo lì, pronti a rovinare l’atmosfera.»
Sghignazzai. «Contaci, Pretty Pony... Si vede che non mi conosci ancora abbastanza.»
«Su, adesso non cominciare» si intromise Trouty Mouth «Blaine potrebbe avere ragione. Non puoi sapere cosa ti riserva il futuro.»
Mi limitai a fare spallucce. In diciott’anni nessuno era stato in grado di farmi perdere la testa, le loro predizioni e minacce non sarebbero servite a cambiare quella parte di me che era sempre stata restia all’impegno sentimentale. Non esisteva persona in grado di legarmi indissolubilmente a sé, o così mi illudevo.
Trovare il Kursaal Hotel fu più difficile di quanto mi aspettassi, sembrava che quel maledetto albergo avesse deciso di volatilizzarsi e la pioggia scrosciante non rendeva certo più facile la nostra ricerca.
Dopo tanto girovagare a vuoto e numerose indicazioni errate forniteci dagli abitanti di San Sebastian, alla fine trovammo l’area del Kursaal, con tanto di parcheggio sotterraneo.
Portare le valigie e le tavole fino all’entrata dell’hotel fu decisamente problematico. Ci risolvemmo a fare avanti e indietro, con uno di noi che reggeva l’ombrello mentre un altro teneva all’asciutto i preziosi bagagli. Il risultato fu che, sebbene salvammo il salvabile, noi quattro finimmo fradici e con il serio rischio di prendere un malanno.
«Ah, los chicos norteamericanos!» esclamò un uomo dai palesi tratti latini «Siete qui per l’alloggio, giusto?»
«Sì, siamo noi» rispose Sam, cominciando poi una lunga conversazione con il señor Miguel Muñoz, al termine della quale ottenemmo le chiavi dell’appartamento di sinistra al terzo piano.
La divisione degli spazi fu subito chiara: i Klaine avrebbero avuto il letto matrimoniale, che sembravano intenzionati ad inaugurare quanto prima, mentre a me e ad Evans sarebbero toccate le due scomode brande nell’altra camera.
La sera arrivò in fretta e i due piccioncini vollero rimanere soli, noi tutti sapevano per svolgere quali attività, così, spalleggiata dal mio collega Trouty, mi avventurai per le vie del centro alla ricerca di qualcosa, o qualcuna, con cui divertirmi.
Entrammo in una tavola calda, quella meno affollata, e ordinammo un paio di piatti tipici. Ma più che il variegato menu, ad attirare la mia attenzione fu l’ammiccante cameriera dai capelli rossi e le braccia piene di tatuaggi che tentò di intavolare con me una conversazione in inglese. Mi divertii a tormentarla fingendo di non capire il suo spagnolo, ma al momento di saldare il conto le strizzai l’occhio, con la tacita promessa di farmi rivedere.
«Adesso ci facciamo un giro di cocktail?» propose il biondo «Ho visto un locale dal nome interessante…»
«Per te più che interessanti sono nomi misteriosi ed arcani, capisci l’elfico meglio dello spagnolo!» lo presi in giro.
«Non è colpa mia se lo spagnolo è noioso… Ftia oel lì’fyati leNa’vi nì’o’ nìwotx
«Hm…» riflettei «Dovrebbe essere “studiare il Na’vi è molto più divertente”, giusto?»
«Più o meno… Noto con piacere che hai continuato a fare pratica, ma avresti potuto usare kefya srak invece di “giusto”» rispose «Comunque non mi hai ancora risposto riguardo l’andare in giro ad ubriacarci.»
«Andiamo, Trouty, e c’è da chiederlo?»
Dopo il quarto bicchiere non riuscii più a distinguere tra la ragazza che avevo abbordato io e quella che stava flirtando con Evans, a quel punto decisi di dichiarare chiusa la battuta di caccia. Mi divertivo a scegliere le mie prede e stuzzicarle, fino a farle capitolare ai miei piedi, era il classico schema d’attacco firmato Lopez, ma non potevo certo portare avanti la mia tattica a mente non lucida.
Tornammo al Kursaal verso le due del mattino, con la peggior sbornia che avessi mai sperimentato fino ad allora. E dire che avevamo fatto una sfida guardando “Twilight” durante la quale, ogni volta che Kristen Stewart aveva fatto il suo strano verso nasale, Sam ed io eravamo stati costretti a bere un sorso di birra.
Mi risvegliai sdraiata accanto al biondo sul pianerottolo davanti all’appartamento. Bussai, sentendo risuonare nella mia testa, amplificato di cento volte, il suono delle mie nocche contro la porta. Fortunatamente, in un tempo relativamente breve, Kurt aprì e ci fece entrare.
Dormii fino a sera e tutti sottolinearono, con particolare enfasi, come avessi già mandato all’aria il mio stesso piano di allenamenti. Fu per tale ragione che da lì in poi promisi di limitarmi nelle bevute.
Cominciai a lasciarmi trasportare dal ritmo della vita spagnola. Facevamo estenuanti sessioni di surf sotto l’incessante pioggia e poi ce la spassavamo con epiche mangiate accompagnate da ingenti quantità di alcol. Tra una risata e l’altra riuscii persino ad inserire un’intensa pomiciata nel bagno del ristorante con la cameriera del primo giorno. Tutto stava andando secondo i piani.
Mi ero talmente abituata a quella routine che la mattina del 6 Luglio mi parve tale e quale a tutte le altre.
Dopo la sveglia, mi alzai come di consueto prima dei maschi per poter usufruire in pace del bagno. Dopo che mi fui lavata e preparata, buttai Trouty giù dal letto, con la mia solita delicatezza comparabile a quella di un Ungaro Spinato.
«Sei un vero demonio, Lopez» si lamentò, stiracchiandosi.
«Ho solo fatto il mio dovere, pigrone.»
«Un giorno troverò un modo per vendicarmi…» mormorò guardandosi intorno «Come questo!»
Si scagliò fulmineo sull’unica cosa che potesse fare presa sul mio cuore.
«Valerie! No!» urlai «Non ti azzardare a toccarla!»
Lui sghignazzò con fare malefico e fece scorrere l’indice lungo il bordo della mia tavola.
«Il mio tesssssoro!» gracchiai, lanciandomi contro di lui.
Ci azzuffammo per un po’, mutando in fretta i colpi e i graffi in pizzicotti e solletico.
«Piantatela!» ci sgridò Blaine da dietro la porta «Ci sono persone civili che starebbero cercando di fare colazione!»
«Di’ la verità, Pretty Pony, ti brucia che con noi qui non puoi darti da fare con il tuo bello» replicai quando me lo trovai di fronte.
«Santana» intervenne Hummel «Non è questo il modo di cominciare la giornata.»
«Beh, il tuo fidanzato potrebbe almeno rendersi utile. Non si deve allenare, quindi perché non si impegna a sistemare un po’ questo porcile? Potrebbe anche fare la spesa» osservai con tono acido.
Fu così che quel giorno Anderson rimase al Kursaal, mentre noi tre sportivi ci dedicammo al nostro quotidiano allenamento sulla spiaggia deserta, a causa dell’ormai abituale temporale costiero.
Ci interrompemmo per poco, giusto il tempo per rifocillarci con l’unico snack rintracciabile nelle vicinanze: i churros, venduti da un simpatico uomo baffuto di mezza età che gestiva un baracchino non molto lontano dal nostro luogo di esercizio.
Eravamo tornati in acqua da una mezz’ora quando notai una scena piuttosto curiosa: in balia delle intemperie, appostate davanti al chiosco, c’erano due figure che mi incuriosirono fin dal primo istante.
Finii di cavalcare un’onda e corsi verso il bagnasciuga, intendendo che quelle due stavano importunando, inutilmente, il venditore.
«¿Que està pasando aquì?» domandai, avvicinandomi con Valerie sottobraccio.
«Las chicas me hablan en Inglès, pero yo no entiendo» mi rispose l’uomo con fare disperato.
«Tranquilo» replicai. Mi soffermai ad osservare le straniere. Mi bastò un solo sguardo per riconoscere un viso familiare. Non dimenticavo mai un nemico. Avevo già incontrato una delle due ragazze, era stata a capo del comitato sportivo del McKinley, l’unico liceo che non ero riuscita a sabotare per via della loro allenatrice psicotica.
Continuando a cercare di abbinare il volto da Barbie ad un nome, ad un tratto mi tornò alla mente: Quinn Fabray.
«Cosa vi serve?» domandai, preprandomi ad escogitare una succulenta rivincita.
«Oh, grazie al cielo!» esclamò la mia vecchia conoscenza «Siamo turiste…»
«Questo era decisamente ovvio» risposi sprezzante. La maggior parte delle volte non ero in grado di impedire a certi commenti di venir fuori.
La Fabray non parve prenderla bene, ma ormai avevo perso interesse nei suoi confronti. Il mio sguardo era stato calamitato dall’altra biondina, quella che mi fissava praticamente con la bava alla bocca. Ero lusingata da quell’attenzione e lei non era niente male, ne avrei potuto ricavare il miglior trofeo amoroso dell’estate.
«Stiamo cercando il Kursaal Hotel» riprese a parlare Quinn.
Mi ci volle qualche secondo per realizzare che le due alloggiavano nel nostro stesso albergo, rendendomi le cose molto più semplici, per vendicarmi dell’una e conquistare l’altra. «Siete dal lato sbagliato del fiume. Dovete risalire sulla strada, attraversare il centro, passare il ponte e fermarvi sull’altra spiaggia, la Zurriola. Potete lasciare l’auto nel parcheggio sotterraneo, se l’avete. Il Kursaal è proprio lì a due passi» spiegai loro, facendo poi per allontanarmi. Però qualcosa mi fermò, sentii il bisogno di dare un’altra occhiata alla mia potenziale preda, così trovai un pretesto per riprendere la conversazione. « Ah, un’ultima cosa: procuratevi un dizionario. Qui nessuno parla inglese.»
La bionda sconosciuta incrociò il mio sguardo mentre finivo di pronunciare quella frase e rimasi come folgorata. Mi scossi debolmente, cercando di ignorare la strana sensazione che per un istante mi aveva attanagliato le viscere, e tornai di corsa verso Kurt e Sam.
Tenevo gli occhi fissi sull’oceano, di un bel blu intenso nonostante la giornata cupa, eppure quel colore mi apparve vuoto, privo di qualsiasi emozione. Non riuscii ad ammetterlo per lungo tempo, ma era bastato sbirciare per un istante appena l’azzurro delle iridi della sconosciuta per farmi realizzare che solo in quel momento avevo davvero conosciuto il mare, l’unico in cui avrei voluto fare porto e in cui mi sarei lasciata dolcemente naufragare.
 
NdA: nato più per uno sfogo personale che per altro, ecco il primo di una serie di episodi legati a "Your Spanish Lullaby". Avevo annunciato/avvisato/profetizzato che ci sarebbe stata una cosa simile, ma non credevo di fare tanto in fretta, soprattutto perchè ho altre storie a cui dovrei dedicare più tempo e attenzione (questo vuole essere anche un piccolo regalo per chi avesse preso male il ritardo di "Faking"). Non posso far mancare la lista di grazie: a wislava, per tutto, a tutti i fan affezionati che, spero, saranno contenti di questo ritorno, infine a Donostia, perchè, per quanto mi sforzi, il ricordo della  bella estate passata rimane indelebile nella mia mente. Inutile dirvi che non ho la più pallida idea di quando arriverà il capitolo seguente, dipende da quanto forte la ninnananna spagnola continuerà a risuonarmi nelle orecchie. Un saluto.

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Capitolo 2
*** Beth ***


THE ECHO OF YOUR SPANISH LULLABY
 
 
 
Ai fedelissimi,
che come me si sono affezionati a questa storia

 

 
Avvertimento: si consiglia di aver letto prima la fanfiction a cui questa raccolta fa riferimento. QUI il link diretto al primo capitolo.

Beth
 
Fissai con sguardo critico il gigantesco fiocco rosa che stava appeso sulla porta, proprio sotto la targhetta dorata “Puckerman – Fabray”.
«Gelosa, Lopez?» mi apostrofò Sam «Ne vuoi uno anche tu?»
Assunsi la mia espressione più impassibile e mi voltai. «No, sono solo scocciata dal fatto che il mio matrimonio sia caduto nell’oblio non appena Q. se n’è uscita con la storia della gravidanza. Avete passato il ricevimento a farle mille moine mentre Britt ed io mangiavamo la torta da sole!»
Il biondo ridacchiò. «A proposito della tua bellissima moglie, dov’è?»
«E me lo chiedi pure?» ironizzai «È dentro già da stamattina a spupazzarsi quella povera neonata. Io ho staccato adesso, nella fretta ho persino lasciato una pila di scartoffie sul caso a cui sto lavorando vicino alla macchinetta del caffè. Per fortuna ho uno stagista che è praticamente il mio schiavo, così l’ho spedito a sistemare tutto.»
«Sei sempre la solita» commentò con un sorriso «Adesso vogliamo entrare anche noi a dare il benvenuto alla nuova arrivata?»
«Se proprio dobbiamo…»
Aprii la porta di quella che, da più di un anno ormai, era casa di Noah e Quinn e da appena ventiquattr’ore era anche la dimora della loro primogenita.
«Tesoro, sono a casa!» annunciai.
«Abbassa la voce, razza di scellerata!» mi assalì Puck «La piccola si è appena addormentata!»
Trattenni a stento le risate. Il mio amico indossava uno sformato grembiule rosa con tasche organizzate per trasportare biberon, pannolini, ciucci e quant’altro. Aveva il viso stanco, tipico di chi aveva dormito sì e no dieci ore nell’ultima settimana.
«Non hai una bella cera, amico» osservò Evans, accompagnando le parole con una pacca sulla spalla che per poco non sbilanciò il neo-padre.
«Gli ultimi dieci giorni sono stati deleteri… Judy mi ha fatto praticamente ribaltare l’appartamento perché “non era a prova di bambino” e non voleva che la sua nipotina arrivasse in un ambiente “non idoneo”, poi il soggiorno di Quinn in ospedale, il parto… Non sono neppure più certo di che giorno sia oggi.»
«Oh, povero papi… Vorrei tanto stare qui a sentirti lamentare, ma sento la mancanza della mia dolce metà, quindi fatti da parte» conclusi, superandolo. Con passo deciso mi diressi verso la nursery, che io stessa avevo contribuito a progettare e costruire, con sommo tormento di due poveri impiegati dell’Ikea.
Socchiusi l’uscio e gettai un’occhiata all’interno.
Sprofondata in una morbidissima poltrona rossa, c’era Quinn, circondata da tre silenziose figure. Mi avvicinai cercando di non fare rumore, ma l’eco dei miei tacchi ruppe la quiete, facendo sì che tutti si voltassero nella mia direzione.
«Guarda chi ha deciso di farsi viva» bisbigliò la Fabray, stringendo al petto un fagotto avvolto in una coperta rosata.
«Finalmente» mi salutò Brittany, avvicinandosi per posarmi un lieve bacio sulle labbra «A Beth è mancata molto la sua zietta preferita.»
«Ehi» contestò Rachel «È chiaro a tutti che Betty preferisca me a Santana.»
«Non dire assurdità, Hobbit» risposi, portandomi vicino a Q. per accarezzare la testolina della mia “nipotina” «Ogni volta che mi vede le si illuminano quei bellissimi occhioni verdi… E poi non chiamarla Betty, sembra un nome da spogliarellista. Potresti indirizzarla su una cattiva strada.»
«Santana» mi riprese Kurt «Non ricominciare con questa storia del nome…»
Io non gli diedi retta. «Dovevate scegliere qualcosa di più sofisticato e meno ambiguo. E poi come diavolo vi è venuto in mente Beth? Capisco fosse stato il diminutivo di Elizabeth, avrebbe avuto senso. Invece Noah ha sbattuto la testa e ha deciso di darle il nome di una canzone… Tanto valeva chiamarla “Sweet Caroline”.»
«Non ti permetto di criticare il nome di mia figlia» sbottò Quinn.
«Ti conviene tacere se non vuoi che tiri fuori qualcosa anche su di te, Lucille» sogghignai.
«È il mio secondo nome…» sottolineò lei.
«È comunque un nome orrendo» replicai.
«Stop the violence!» intervenne mia moglie, prima che si scatenasse una rissa «O almeno prima lasciate la bimba in mani sicure.»
Quando la mia bionda ebbe tra le braccia la piccola le sfiorò con un dito la punta del naso e sorrise. «Adesso potete accapigliarvi quanto vi pare.»
«Lascerai che questa psicopatica di Lucille metta le mani addosso alla tua mogliettina adorata?» mi lamentai, sentendomi messa in secondo piano.
«San, sei benissimo in grado di difenderti contro una donna che fino ad una settimana fa aveva una pancia grande quanto un’anguria» disse, senza prestarmi attenzione.
«A quanto pare il mio frugoletto è riuscito a portarti via la donna, piccole vendette per le tue angherie» si aggiunse Puck, seguito da Sam.
«Britt, di’ qualcosa!» brontolai, cercando il suo appoggio, ma lei aveva occhi solo per Beth. Sarebbe stato giusto prendermela per essere così snobbata ed era proprio quella la mia intenzione infatti, ma qualcosa mi fermò.
Brittany aveva un sorriso bellissimo, disteso come non lo vedevo dal giorno del matrimonio. Eravamo felici, indiscutibilmente felici, ma forse ci mancava qualcosa. Il suo sguardo brillava di gioia nel posarsi su quella marmocchia, potevo scorgere un’aura radiosa che le avvolgeva entrambe.
Non avevamo parlato seriamente dell’eventualità di avere dei figli, o meglio, io avevo sempre fatto sì che l’argomento fosse buttato sul ridere. Non mi figuravo come madre. Potevo essere la simpatica e fantastica zia Tana che portava di nascosto dolciumi e videogame ai suoi nipoti e avrei adorato farlo, ma occuparmi per tutta la vita di un altro essere vivente mi sembrava un compito troppo gravoso. Certo, Britt sarebbe stata al mio fianco e non mi avrebbe mai lasciata sola, ma comunque non mi sentivo sicura.
«Scusate il ritardo» ci sorprese la voce di Blaine «Avevo delle faccende da sbrigare.»
Il marito gli corse incontro e gli afferrò un braccio per tirarlo in disparte. Si misero a confabulare tanto a lungo che nel momento in cui finirono di discutere io avevo già preparato la cena.
Beth si era svegliata ed era stata molto contenta di vederci tutti insieme, sembrava piacerle avere tante persone intorno, ma ovviamente non potevamo esagerare nel passarcela e coccolarla perché dopotutto aveva appena una settimana di vita. Contavo sul fatto che l’avrei potuta conquistare nel corso degli anni, eppure era chiaro che si sentisse al sicuro quando la prendevo in braccio perché assumeva un’aria serafica particolare.
«Questo mi ricorda una certa scena in Privet Drive…» commentò Blaine.
«Anderson, questa volta il tuo riferimento fa acqua da tutte le parti» gli feci notare «Primo: non ho una motocicletta volante, secondo: non ho la barba, terzo: questo angioletto non ha ancora sconfitto nessun Signore Oscuro. Conserva il tuo umorismo potteriano per quando sarà richiesto.»
«La solita Serpeverde» mi rispose facendomi l’occhiolino.
«Cosa ho appena detto?» borbottai, ma le mie parole, pronunciate con un po’ troppa enfasi, bastarono a turbare la quiete della piccola che riposava tra le mie braccia.
«Perché mia figlia piange?» Noah arrivò nello stesso istante in cui il primo lamento lasciò la bocca di Beth, sembrava essersi teletrasportato.
«Quello scellerato le ha dato fastidio» spiegai.
«Falso!» intervenne Blaine.
«Non mi importa chi di voi abbia cominciato, dammi la piccola e finite di litigare altrove» sentenziò Puckerman.
Controvoglia, gli cedetti il fagotto e trascinai l’altro uomo in un angolo dove avremmo potuto infierire l’uno sull’altra in santa pace.
«È colpa tua se ho perso le staffe e ho dato fastidio a Beth» iniziai, ma Anderson, prontamente, fece un cenno con la mano, per farmi capire che l’argomento doveva chiudersi lì.
«Sai perché ho fatto tardi oggi?» mi domandò.
«No, Pretty Pony, dimmelo» replicai.
«Da quando Quinn ha annunciato la gravidanza…»
«Sì, il giorno del mio matrimonio, me ne ricordo.»
«Non intendevo quello. Stavo dicendo… Quando Quinn ha annunciato la gravidanza, Kurt ha iniziato a tormentarmi. Abbiamo entrambi un lavoro, ma lui è pronto a prendersi una pausa per…»
«Badare ad un figlio? Sul serio? Volete fare i genitori?» continuai ad interromperlo.
«Sì, San. Io avevo già considerato un’eventualità simile, ormai è da più un anno che porto avanti le pratiche per l’adozione e oggi mi hanno comunicato che c’è una ragazza disposta ad incontrarci per trattare i termini, ho dovuto compilare una sfilza di moduli, per questo sono arrivato in ritardo.»
«Ok, Blaine, ma perché me lo stai dicendo?»
«Perché tu sei una persona saggia, Santana, e prima di annunciare la cosa pubblicamente volevo avere la tua opinione. Dopotutto tu e Brittany…»
«Io e Brittany, cosa?» domandai.
«Beh, Britt me ne ha parlato, insomma…»
«Senti, smettila di parlare con frasi sospese o ti appendo per le mutande al fiocco che c’è fuori dalla porta» lo minacciai.
«Brittany mi ha detto che anche voi avete parlato della possibilità di metter su famiglia.»
Avrei voluto nascondere la sorpresa, ma la mia espressione dovette tradirmi perché l’uomo spalancò la bocca e iniziò a balbettare: «Lei… Lei ha detto… Insomma, deve avertelo almeno accennato…»
«Cosa? Cosa deve avermi accennato? C’è dell’altro?» presi a tormentarlo.
«Le visite… La clinica per la fecondazione eterologa… Sì, insomma, non dovrei essere io a parlartene…»
«Infatti, non dovresti» mormorai «Adesso credo che sia ora per me di tornare a casa. Devo andare a chiamare Brittany.» Il mio tono era piatto, inespressivo. Stavo cercando di reprimere qualsiasi pensiero. Volevo essere sola con lei, prima di dare libero sfogo al mio disappunto.
Tornai il cucina, dove tutti si erano radunati per salutare Finn, che era riuscito a passare nonostante avesse una serie di riunioni legate alla scuola.
«Grazie per la bella serata, Beth è adorabile, ma adesso dobbiamo proprio andare. Vieni Britt, ho lasciato la macchina qui vicino, forza» dissi meccanicamente. Non stavo prestando attenzione al mondo intorno, volevo restare da sola con lei per parlare.
«Ma San, Finn è appena arrivato ed è ancora presto per tornare a casa» obiettò, supplicandomi di restare con i suoi limpidi occhi celesti, ma non mi lasciai intenerire.
«Dobbiamo andare. Ora.»
Ci congedammo in fretta dal resto del gruppo, agguantai la giacca ma non me infilai, ero talmente agitata da sentire un caldo insopportabile, nonostante fosse pieno inverno.
Restai in silenzio lungo il tragitto fino all’auto, non mi andava che tutto il circondario mi sentisse litigare con mia moglie, che, dal canto suo, mi stava accanto con lo sguardo basso, persa in chissà quale ragionamento.
Non riuscii a spiccicare parola neppure durante il resto del viaggio fino a casa. Ogni volta che tentavo di aprire bocca mi si stringeva un nodo alla gola. Non avevo idea di come tirar fuori la questione.
Arrivammo a destinazione in un quarto d’ora. Quando misi piede nella dimora, mi lanciai subito in bagno e iniziai a sciacquarmi la faccia con l’acqua gelida, per schiarirmi le idee.
«Tesoro» mormorò Brittany da fuori «Ti aspetto a letto, ok? Prometto di non fingere di dormire, ho capito che vuoi parlarmi.»
Non risposi, ma presi a camminare avanti e indietro, rischiando di scavare un solco. Alla fine, dopo aver fatto un centinaio di respiri profondi, mi decisi ad uscire.
Entrai in camera e trovai Britt già sotto le coperte, ma sveglia, come aveva promesso.
Mi cambiai rapidamente e sgusciai sotto il piumone, lasciando accesa la luce del comodino, cosicché la potessi vedere in faccia.
«Blaine Boccalarga si è lasciato sfuggire un segreto di troppo» esordii.
«Sapevo che prima o poi lo avresti scoperto» mi rispose, fissando il vuoto davanti a sé «Avrei voluto dirtelo, ma avevo paura della tua reazione.» Si voltò lentamente verso di me, ma io evitai prontamente il suo sguardo, che avrebbe certamente abbattuto qualsiasi mia opposizione.
«Sono sempre stata io quella timorosa, costretta a nascondere le cose» commentai «Non vorrei averti trasmesso questi pessimi vizi.»
«Santana» disse dopo un momento di silenzio «Ti prego guardami.»
Riluttante, feci quanto mi aveva chiesto.
«Guardami negli occhi e dimmi che non lo vuoi anche tu e io domani mattina prenderò il telefono, chiamerò la clinica e dirò che non siamo più interessate.»
Quelle iridi. Avrebbe potuto dire che, se mi fossi opposta, mi avrebbe soffocato con il cuscino e io non sarei riuscita comunque a concentrarmi su altro che quei magnifici pozzi azzurri. Come potevo negarle qualcosa quando mi fissava con quegli occhi?
Mi tornò in mente il momento in cui l’avevo vista con in braccio Beth. Brittany sarebbe stata una madre perfetta, ce l’aveva nel sangue, lo si poteva scorgere chiaramente: quando coccolava la piccola Puckerman, quando consolava i bambini a cui insegnava danza, persino quando si intratteneva a fare le boccacce ai mocciosi che incontrava per caso al supermercato. Io la osservavo e notavo tutto ciò, ma fino ad allora avevo categoricamente rifiutato l’idea che una cosa simile potesse contagiare anche me. Ma quelle iridi, purissime come la sua anima, mi avrebbero vinto, sempre.
«Ti odio quando fai così…» borbottai «Lo sai che potresti estorcermi qualsiasi cosa…»
Lei si allungò verso di me e iniziò a baciarmi dolcemente.
«Però» la fermai «Ho qualche richiesta da avanzare e abbiamo ancora un sacco di cose da discutere. Non credere che si risolva tutto magicamente e che domani una cicogna si presenti sul nostro tetto con un bebè.»
Britt si limitò a mugugnare un assenso, stringendomi a sé.
«Adesso però sono stanca, amore. Questa giornata è stata più traumatica del previsto» ripresi, girandomi su un fianco per spegnere la luce.
«Non stai dimenticando qualcosa?»
Sorrisi nel buio e mi riavvicinai alla bionda. Le diedi un bacio sulla fronte e poi iniziai a cantare, perché non poteva passare giorno senza che io le dedicassi la sua ninnananna spagnola.

NdA: Buonsalve signore e signori, eccomi con una nuova OS, ma, specifichiamo, si capisce subito che non è completa. Infatti questa è solo parte di una storia più grande, una specie di mini-long divisa in più OS, che dovranno essere tre o quattro, a seconda di come mi gira, che saranno caricate in seguito. Ad esclusione di questi "pseudo capitoli", ricordo che le OS sono tra loro indipendenti, non vincolate dall'ordine cronologico degli eventi e dipendono solamente dalla mia voglia di scrivere e da ciò che la mente malata decide di plasmare. Mi sono dilungata anche troppo, quindi passo a ringraziare i fedelissimi citati all'inizio, coloro che hanno recensito lo scorso capitolo: wislava, MartaDelo, WankyHastings e strapelot. Un grazie dovuto anche a tutti gli altri lettori e a coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite. A presto il seguito, sempre in compagnia delle Brittana e della loro ninnananna spagnola.

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Capitolo 3
*** You're having my baby ***


THE ECHO OF YOUR SPANISH LULLABY
 
Avvertimento: si consiglia di aver letto prima la fanfiction a cui questa raccolta fa riferimento. QUI il link diretto al primo capitolo

You’re having my baby
 
«Allora, glielo ripeterò ancora una volta, perché voglio essere certa che abbia capito» scandii, fissando trucemente la povera donna dietro la scrivania con cui stavamo discutendo «Ho detto che il donatore deve corrispondere ai miei parametri delle tre “S”, sono stata chiara?»
La poveretta annuì, ma era meglio ricordarglielo ancora una volta: «Sano, Spagnolo e Sexy. Ce la farà a ricordarlo?»
«Signora Lopez, ho scritto tutto qui…»
«Lopez-Pierce, si ricordi» puntualizzai.
«Sì, certo, mi scusi» rispose con voce tremante «Ho segnato le vostre preferenze, ma, con richieste così specifiche, sarebbe meglio se fosse lei ad individuare il candidato adatto.»
«Ma non posso sceglierlo da una specie di catalogo, giusto? Devo trovarmelo da sola il belloccio?»
«Dobbiamo garantire l’anonimato dei donatori e non abbiamo a disposizione tutte le informazioni per verificare le vostre… Particolari richieste.»
Brittany mi guardò, cercando di capire cosa avessi intenzione di fare.
«Allora grazie mille» conclusi alzandomi e stringendo la mano alla donna «Ci rivedremo quando avrò trovato il padre di nostro figlio.» Dopodiché, senza mezzi termini, afferrai Britt e la condussi fuori dalla clinica.
«Hai sul serio intenzione di metterti a pescare dall’elenco telefonico un potenziale donatore di sperma?» mi domandò quando le spiegai quale fosse il mio piano.
«Ovvio. Proverò a rintracciare tutti i nomi spagnoleggianti e, appena ne troverò uno sano e sexy, lo convincerò a venire con noi, così sarà tutto pronto per avere il nostro adorabile marmocchio.» Mi sentivo esattamente come ogni volta in cui, solitamente con l’aiuto di Puck, avevo messo in piedi un qualche macchinoso progetto.
«E sei ancora sicura di non voler essere tu a portare avanti la gravidanza?»
«Ma certo, cara! Io ho un lavoro, un lavoro serio! E mi ci vedi col pancione? Io no. E le nausee mattutine proprio non fanno per me. Poi sei stata tu a cominciare con l’idea della fecondazione, il minimo che tu possa fare è essere lunatica e intrattabile per nove mesi» spiegai.
«Così saprai cosa si prova a vivere con te ogni giorno» sghignazzò.
«E con questo cosa vorresti dire?»
«Niente… Non sto certo insinuando che tu sia lunatica e intrattabile» replicò, schioccandomi un bacio sulla guancia «Adesso andiamo a cercare l’uomo delle tre S.»
Un paio di settimane più tardi ci fu una delle solite cene di riunione, ma a casa Anderson-Hummel, dato che Noah e Quinn volevano uscire da quella che era praticamente diventata la loro tomba. In un primo momento avevano pensato di lasciare la piccola Beth con la nonna materna, ma Britt li aveva convinti a portarla, solo per poterla coccolare per tutta la sera.
Arrivammo che i Puckerman erano già lì, così come Finn. Rachel, invece, era rimasta bloccata a New York per uno spettacolo, mentre il volo di Sam dalla California era stato cancellato, impedendogli di raggiungerci.
Ci accomodammo in salotto, davanti ad un aperitivo, per chiacchierare come nostro solito.
«Avremmo voluto fare questo annuncio con tutti presenti» esordì Kurt «Perché questo è il genere di notizie che si vuole condividere con la propria famiglia e voi, ragazzi, siete decisamente parte della nostra.»
Sapevo dove sarebbe arrivato quel discorso e mi sentii presa in giro. Perché ogni volta che avevo qualcosa di epico da annunciare qualcuno riusciva a rubarmi la scena? Mia moglie ed io avevamo discusso a lungo se rendere pubblica la nostra, si augurava, imminente maternità e dopo mille pressioni avevo ceduto. Avremmo introdotto l’argomento a fine serata, ma l’uscita dei Klaine avrebbe certamente anticipato le cose.
«A breve saremo papà» prese la parola Blaine «Di due bambini.»
Mi cadde la mandibola.
«Come due?» domandò Q, parlando a nome di tutti.
«L’agenzia di adozione ci aveva messo in contatto con Jane, una ragazza di Boston, che abbiamo conosciuto di persona tre giorni fa e in quell’occasione ci ha comunicato che, dalla prima ecografia, è risultato che il suo sarà un parto gemellare. Tra un mese scopriremo se saranno maschi o femmine.» Anderson sciorinava date, informazioni cliniche e programmi di viaggi nel Massachusetts come se stesse parlando dell’uscita di uno dei suoi racconti. Era emozionato, nervoso, esaltato e il marito non era da meno. Ascoltandoli mi era chiaro che sarebbero stati due meravigliosi papà.
Brittany, seduta al mio fianco, cercò istintivamente la mia mano e la strinse, mentre i nostri amici proseguivano, elencando tutti i nomi possibili ed immaginabili per i loro pargoli, da Clarisse, nome di alta classe sostenuto da Kurt, ad Albus Percival Wulfric Brian, ovviamente proposto da Blaine, che trovava la scelta di “Fred e George” troppo scontata.
Quando i nostri amici conclusero il loro siparietto, seppi che era il nostro momento. Quinn, ancora piena di ormoni della gravidanza, versava copiose lacrime di gioia, mentre Puck e Finn si complimentavano.
Mi alzai, senza lasciar andare la mano di Britt, e cominciai il mio discorso: «Avremmo voluto cogliervi di sorpresa, ma a questo punto la nostra non sembrerà molto una novità…»
Non ebbi la possibilità di dire altro, perché Quinn, decisamente sballata dagli ormoni, balzò in piedi e corse ad abbracciarmi per poi riprendere a piangere sulla mia spalla, mormorando quando fosse fiera di me per averla finalmente data vinta a Brittany.
«Ma loro lo sapevano già?» chiesi alla mia bionda, che aveva assunto la sua tipica espressione da finta tonta.
«No, certo che no…»
«Britt» sbuffai «Dovevamo sorprenderli.»
«Allora ci fingeremo sorpresi» intervenne Noah, continuando a cullare la figlia e assumendo un’espressione di finta meraviglia.
«Grazie del supporto, Puck» gli rispose mia moglie, dedicandogli un sorriso.
Io, invece, feci una smorfia. «Se lo sapete già tutti, non vedo perché me ne sto qui a pensare ad un discorso» mi lamentai, incrociando le braccia e tornando a sedermi stizzita.
«San, non prendertela» cercò di consolarmi Finn «Io volevo sentirtelo dire, dai.»
«Ok, Hudson, ma solo perché sei tu. Abbiamo intenzione di diventare mamme, sempre ammesso che troviamo il giusto candidato.»
«Non siete andate in una clinica apposta?» domandò la Fabray.
«Sì, ma non avevano quello che stavamo cercando» risposi facendo spallucce.
«La verità è che San ha avanzato richieste un tantino fuori dall’ordinario e ha concluso che lo deve scegliere di persona il padre di nostro figlio» espose mia moglie, spiegando quanto io avevo taciuto.
«Dettagli…» commentai con noncuranza.
«E quali sarebbero i parametri del tuo uomo ideale, bella latina? Perché se ti accontenti ci sono sempre io e posso fare le cose “alla vecchia maniera”» ironizzò Noah.
Quinn ed io lo fulminammo con lo sguardo.
«Spiacente, Puckzilla, ma i tuoi servigi non saranno richiesti» intervenne la mia bionda «I parametri sono dettati dalle tre “S”: Sano, Spagnolo e Sexy. Direi che te la cavi solo con la prima S... E ho comunque i miei dubbi.»
«State cercando un uomo con queste caratteristiche?» ci chiese Finn «Perché io avrei un collega che potrebbe fare proprio il caso vostro… Ma dovreste indagare bene sui suoi problemi di stomaco.»
«Perché?» domandai incuriosita.
«Quando parla tira sempre fuori qualcosa sul duende… Non è mica una parte dell’intestino?»
Scossi la testa rassegnata, mentre tutti gli altri scoppiavano a ridere.
E fu così che ci mettemmo in contatto con David Martinez. Insegnava spagnolo al McKinley, vista la sua origine latina e la conseguente ottima conoscenza della lingua. Era un uomo molto affascinante, anzi, decisamente caliente. Sarebbe stato degno di essere il padre del nostro pargolo.
Convincerlo a donare il seme fu più facile del previsto, gli bastò chiacchierare dieci minuti con Brittany, durante i quali diventarono pappa e ciccia, e poi dopo appena una settimana di riflessione fu disposto a firmare i vari moduli di consenso.
I primi due tentativi di Britt di restare incinta, purtroppo, non andarono a buon fine. La prima volta non fu eccessivamente traumatica, ci era stato spiegato che le possibilità di successo variavano a seconda di numerosi fattori indipendenti dalla nostra buona volontà. Ma la seconda volta eravamo certe di avercela fatta. Lei aveva detto di sentirsi davvero diversa, “come se fossi stata investita dalla magia di un unicorno”, testuali parole. Ma durante la visita di controllo il ginecologo infranse le nostre speranze come un servizio di cristallo passato sotto uno schiacciasassi. Brittany ne uscì distrutta, si incolpava e non riuscivo neppure a capire di cosa. Temetti che decidesse di rinunciare e non potevo permetterglielo, ormai ero entrata nella mentalità di avere un figlio e lei lo desiderava quanto me, se non di più. Dovevo solo farle trovare la forza di ritentare.
L’aiuto giunse da Kurt, che le fece vedere l’ecografia che ritraeva i futuri gemelli Anderson-Hummel, un maschietto e una femminuccia. Parlarono per ore davanti a quelle macchie informi e lei sembrò ritrovare un po’ di gioia e il coraggio necessario per fare un altro tentativo.
Era da poco cominciata la primavera quando, dopo cinque test e una visita di conferma, potemmo ufficialmente affermare di essere in dolce attesa.
Il cambiamento che investì mia moglie fu rapidissimo: da vitale ed esuberante terremoto si tramutò in una docile chioccia, dedita in tutto e per tutto alla cura del nascituro. L’unica cosa che le faceva staccare gli occhi dai libri e che la faceva uscire era l’idea di rivedere i suoi studenti. Era intenzionata a continuare con le lezioni, senza ricorrere a coreografie esagerate, almeno fino al settimo mese.
L’unica altra occasione in cui si mosse dal divano fu per le cene con le nostre rispettive famiglie per comunicare la lieta novella.
I miei non erano mai stati molto espansivi e non erano una forte presenza nelle nostre vite, ci chiamavano ogni tanto, quando riuscivano a liberarsi dei numerosissimi impegni con cui colmavano le loro giornate, quindi furono felici dell’imminente arrivo del loro primo nipotino, ma non eccedettero con le manifestazioni d’affetto.
I Pierce, invece, erano di tutt’altra pasta.
Ashley, ormai adolescente, in piena fase di ribellione, capitava spesso a casa nostra, armata solo di pigiama e cellulare perché aveva litigato con i genitori. Brittany, ovviamente, amava averla di nuovo vicino, come quando erano più piccole. Dopo i suoi studi a New York non era passato molto tempo prima che decidessimo di vivere insieme, quindi la separazione definitiva dal nucleo famigliare, accentuata dalla dolorosa scomparsa di Lord Tubbington, non era stata facile da gestire. Ash, dunque, era una viva presenza nelle nostre esistenze, così come James e Vivian che, benché passassero a trovarci soltanto un paio di volte al mese, non mancavano mai di farsi sentire per chiedere nostre notizie.
La sera che invitammo tutti e tre i Pierce  nel nostro accogliente nido difficilmente potrò mai dimenticarla.
Ashley bussò alla porta con un’ora di anticipo, dopo aver abbandonato la moto da cross, ereditata dalla sorella, nel nostro garage. Si accomodò sul divano, accanto a Britt, come se nulla fosse e si mise a guardare con lei, per la milionesima volta, “Frozen” che era diventato il manifesto del loro amore fraterno.
Mentre canticchiavo “Let it go” dalla cucina, rigirando il pollo per le tapas, udii suonare il campanello.
Le due sorelle non si mossero, gridandomi di occuparmene.
Borbottai, ma ricordai a me stessa che dovevo farlo per il benestare della mia mogliettina, così mi diressi all’entrata per accogliere gli ospiti.
«Santana!» trillò Vivian abbracciandomi «Quanto tempo, carissima! Saranno almeno tre settimane!» Lasciai che mi riempisse di baci, poi salutai James con la consueta stretta di mano, seguita da un’altra sequela di baci e abbracci. Erano decisamente troppo espansivi per gli standard a cui ero abituata, ma dopo sette anni ne avevo fatto la mia normalità.
«Dov’è quella perdigiorno di Brittany?» mi domandò la donna, scavalcandomi e puntando direttamente al salotto, sbraitando: «Potresti almeno degnarti di alzare il sedere per venire a salutare coloro che ti hanno dato la vita, ingrata di una figlia! Lasci fare tutto a quella povera disgraziata di tua moglie.» Mi precipitai dietro di lei, preoccupata che potesse accadere qualcosa di male.
«Anche per me è un piacere vederti, mamma» rispose Britt, rimanendo calma. Ashley, invece, fremette leggermente, probabilmente lei e la madre avevano di nuovo discusso.
«Davvero non capisco per quale ragione non ci accogli mai! Potrei passarci sopra se fossi impegnata in attività utili o dilettevoli… Ma in quel caso anche Santana sarebbe occupata…»
«Vivian!» la richiamò il marito «Ti sembra il caso?»
Quel siparietto, mi aveva più volte ripetuto Brittany, era un classico, insieme alla minaccia legata alle “scatole dello zio Peter”.
«James, io posso dire quello che voglio. E poi lo sappiamo tutti che queste due ci danno dentro tutte le volte che…»
«Vivian!»
«Va bene, va bene…» capitolò, cambiando poi argomento: «Dove sei stata tutto il pomeriggio, Ash? Mi ha chiamato Amanda e ha detto che non ti sei presentata in biblioteca per preparare l’esame di calcolo.»
La ragazza fece spallucce e si diresse in cucina per prendere le birre che avevo appositamente messo in fresco.
«Ashley Charlotte Pierce, non è questo il modo di fare!» urlarono i genitori all’unisono.
I tre cominciarono a darsi addosso, mentre io portavo in tavola le mie solite prelibatezze, a cui però avevo diminuito notevolmente la quantità di piccante perché non previsto dalla nuova dieta della mia bionda.
Ci accomodammo mentre il litigio proseguiva.
«Dimmi che cosa vai a fare tutti i pomeriggi invece di studiare, immediatamente!» ordinò la signora Pierce in tono perentorio, sovrastando il discorso del marito.
Ash gonfiò le guance, proprio come faceva Brittany prima di esplodere in una serie di improperi, ma si contenne e tirò fuori la risposta che tutti eravamo curiosi di ascoltare: «Sto frequentando lo studio di un pittore. Gli faccio da assistente e in cambio mi lascia dipingere qualche tela. Ha presentato uno dei miei lavori ad un gallerista e probabilmente mi inseriranno come artista emergente ad una mostra tra qualche mese. Volevo tenervi all’oscuro della cosa fino a che non fosse effettiva, ma voi siete sempre delle gran spine nel fianco.»
Fece tutto quel discorso senza prendere fiato, mentre io vedevo, per l’ennesima volta, il mio epico momento di gloria rubato da qualche altro annuncio importante.
«Ma è fantastico Ash!» esclamò Britt «Perché non mi hai detto nulla?»
L’altra non fece in tempo a rispondere, che la madre si intromise: «Oh, tesorino! Finalmente hai trovato la tua strada! Allora puoi saltare tutte le sessioni di studio in biblioteca che vuoi! Voglio assolutamente conoscere questo pittore e vedere il suo atelier. Potresti farci vedere qualche tuo lavoro.»
A quel punto il dialogo della cena girò tutto intorno ad Ashley e al suo promettente futuro. Naturalmente ero entusiasta per quella notizia, ma lanciavo spesso rapide occhiate nervose a mia moglie, alla ricerca della sua approvazione per portare l’attenzione su di noi.
Attesi la fine del pasto, durante il quale a nessuno parve mancare particolarmente la forte nota pepata che aveva caratterizzato le mie pietanze in passato. Raccolsi i piatti e li portai in cucina per abbandonarli nel lavabo, Brittany mi seguì.
«San, penso sia ora.»
«Va bene, tesoro. Vuoi dirlo tu?»
«No, so quanto ti piace stare al centro della scena» replicò, sorridendomi.
Tornammo in sala da pranzo con le vaschette di gelato che dovevano concludere il pasto, le poggiammo sul tavolo, ci mettemmo fianco a fianco e inspirai profondamente. Passai il braccio sinistro attorno alla vita di Britt e sfoderai il mio sorriso migliore.
«Signori Pierce» esordii, per essere subito interrotta.
«Puoi evitare queste formalità, Santana» mi comunicò James, ma fui costretta ad ignorarlo.
«Signori Pierce» ribadii «E Ashely, chiederei la vostra attenzione per un momento. So che altre liete notizie sono giunte alle vostre orecchie nel corso di questa serata, ma noi avremmo un annuncio…»
«Brittany è incinta» disse Vivian, assumendo, per la prima volta da quando l’avevo conosciuta, un’espressione di pura calma.
Il mio primo istinto fu quello di spalancare la bocca per poi prepararmi a strozzare la donna accanto a me, visto che, ancora una volta, non era stata in grado di mantenere il segreto.
«Ti giuro che non le ho detto niente, San!» si difese, prima ancora che avessi tempo di esprimere il mio disappunto.
Osservai allora James e Ash, che in effetti mi sembravano sorpresi.
«Tranquilla, tesorino» mi spiegò la signora Pierce «Non c’è stato bisogno che me lo dicesse, avete lasciato una serie di indizi più che chiari per chi ci è passata due volte.»
Feci per chiederle di cosa si trattasse, ma non ce ne fu bisogno. «Innanzitutto ho notato la pila di libri sulla maternità che avete cercato di nascondere sotto un mucchio di panni sporchi in bagno, poi tu hai decisamente ridotto le dosi di peperoncino, probabilmente perché a Brittany hanno sconsigliato il cibo troppo speziato in queste prime fasi della gravidanza. Come se non bastasse tra i gusti del gelato manca il caffè, che so essere il preferito di mia figlia, ma che deve evitare come la peste, così come la birra, che per la prima volta da quando veniamo qui non ha bevuto per accompagnare le tue tapas.»
«Per la barba di Merlino!» esclamai «Sei meglio di Sherlock Holmes!»
«E per concludere» proseguì, come se fosse Jessica Fletcher ad un passo dallo svelare il metodo usato dall’assassino di turno «Oggi siete entrambe radiose come solo il pieno coronamento del vostro sogno d’amore potrebbe rendervi.»
Quello che seguì mi parve accadere troppo velocemente. Il trio si congratulò con noi e Ash promise di fare visite quotidiane per monitorare il proprio nipotino, a cui avrebbe insegnato i testi di tutte le canzoni Disney mai scritte.
I genitori ci fecero mille complimenti, inoltre Vivian ci diede moltissimi consigli su come comportarci nelle settimane a venire. James, poco prima di congedarsi e tornare a casa propria con moglie e figlia, mi prese da parte. «Preparati a vivere un vero inferno. Se Brittany ha preso anche solo un centesimo del carattere di sua madre, diventerà intrattabile nel giro di un paio mesi. Ti comanderà a bacchetta e dovrai esaudire i desideri più assurdi. Nel caso fossi tentata di soffocarla nel sonno, prima di farlo chiamami, ok?»
Gli assicurai che non avrei cercato di assassinare la sua preziosa primogenita, o almeno prima lo avrei avvisato.
Quando il trio ci lasciò sole, tirammo un sospiro di sollievo. L’incubo delle rivelazioni era concluso.
Misi a posto velocemente i residui della cena, dopodiché mi preparai per andare a letto.
«Dovremmo invitare più spesso la tua famiglia» commentai, rimboccando le coperte alla bionda, che, stanca, aveva già gli occhi chiusi, pronta a scivolare tra le braccia di Morfeo.
«Non potrei sopravvivere alle battute di mamma» borbottò «Quella donna quando parla dovrebbe rivedere le sue priorità.»
«Perché la nostra vita coniugale non dovrebbe essere una sua priorità?» ridacchiai «Vuole solo assicurarsi che tu sia adeguatamente soddisfatta.»
Le lasciai una scia di baci lungo il collo, per poi risalire fino alle labbra.
«No, San. Non stasera.»
Fui tentata di capovolgere quel rifiuto con una buona dose di solletico, che sapevo essere superefficace contro di lei, ma decisi di non insistere.
«Allora fammi spazio» dissi, accoccolandomi al suo fianco «E lascia che ti canti la ninnananna.»
Non feci in tempo a concludere la melodia, che Britt riposava placida, con i capelli biondi sparpagliati sul cuscino. Le scostai una ciocca dal viso, su cui posai un ultimo bacio, poi allungai una mano verso il suo ventre, ancora piatto e tonico, nonostante la vita che vi stava crescendo all’interno.
«Buonanotte anche a te» mormorai, prima di lasciare che il sonno mi vincesse.
 
NdA: Ecco la "Parte 2" della pseudo long, come potete ben capire gli eventi di questa OS seguono quelli di "Beth", come quelli della prossima seguiranno questi. Ma non voglio stare a dilungarmi, per cui passo a ringraziare tutti voi lettori, coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite e persino chi è finito qui solo per sbaglio e cionostante è arrivato a leggere fino a questo punto. Un grazie speciale al quartetto di affezionati, le Tartarughe Ninja di Your Spanish Lullaby, i Pinguini di Madagascar Donostia, i Fantastici 4 delle recensioni, i miei Tre moschettieri ma-tanto-alla-fine-erano-quattro: wislava, MartaDelo, WankyHastings e strapelot, vi adoro gente, dal profondo del cuore.
Direi che adesso posso anche eclissarmi, vi lascio QUI il link della mia pagina Facebook se vi va di farci un salto. Alla prossima.

 

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Capitolo 4
*** V for... ***


THE ECHO OF YOUR SPANISH LULLABY
 
Avvertimento: si consiglia di aver letto prima la fanfiction a cui questa raccolta fa riferimento. QUI il link diretto al primo capitolo.

V for…
 
«Maschio, sono certa che sarà un maschio, un piccolo diablo scalmanato» andavo avanti a ripetere, percorrendo su e giù la sala d’attesa del ginecologo. Britt doveva essere alla quindicesima settimana secondo i nostri calcoli, quindi quello sarebbe stato il momento della verità, il momento in cui avremmo scoperto il sesso del nascituro.
Ashley era con noi, aveva insistito tantissimo per poter essere presente.
«Tesoro, smettila di andare avanti e indietro, non servirà certo a farci passare prima» mi rimproverò Brittany, afferrandomi la mano per cercare di calmarmi.
«Ma io voglio vedere mio figlio! Siamo qui da un’ora!» protestai.
«Siamo qui solo da venti minuti, Santana» mi fece notare Ash.
«È comunque troppo» borbottai, accasciandomi sulla sedia tra le due sorelle «Io voglio vedere il mio giovanotto» continuai, poggiando amorevolmente una mano sulla pancia della mia bionda. Cercavo di stare il più possibile a contatto con il bambino, il poterlo immaginare a pochi centimetri di distanza dalle mie dita rendeva tutto più reale.
«Pierce» annunciò il dottor Stewart, dopo aver lasciato uscire la paziente precedente.
Scattai in piedi e lui, tranquillo, mi afferrò per un braccio e mi trascinò dentro lo studio.
«Ehi, guardi che non sono io quella da sondare!» protestai.
Lui mi squadrò rapido. «In effetti è decisamente troppo in forma… Allora posso sapere chi è lei se non è la signora Pierce?»
«Sono la moglie» replicai, divincolandomi «E la ragazzina con noi è la futura zia.»
«Oh!» esclamò «Mi dispiace per l’errore… Allora faccia pure accomodare sua moglie, io vado a prendere la cartella.»
Dieci minuti dopo tutto era pronto per la grande rivelazione.
«Su, non ci tenga sulle spine» lo incalzai «È maschio o femmina?»
«Sicure di volerlo sapere?» ci punzecchiò.
«Sì!» gridai esasperata.
«Bene, è…»
«È una femmina, vero?» lo anticipò Brittany.
Lui parve sorpreso per essere stato interrotto, poi annuì.
Io mi sentii confusa. Non poteva averlo saputo in anticipo perché non me lo avrebbe tenuto nascosto.
«Ma hai ereditato i superpoteri della mamma!?» Ash mi rubò le parole di bocca «Da cosa lo hai capito?»
«Da niente. Avevo il cinquanta per cento di possibilità di avere ragione, ma, se devo essere onesta, ho sempre sperato che fosse una bambina» rispose con un sorriso.
A quelle parole, i miei occhi si riempirono di lacrime di gioia. In quell’istante l’idea di avere una figlia femmina fu mille volte migliore di quella di avere un maschio, perché Britt voleva così e io volevo solamente ciò che la rendeva felice.
Piantai gli occhi sul monitor e mi beai della visione di quella massa bitorzoluta, che a fatica riuscivo a sovrapporre all’idea di un paffuto bebè. Eppure quella, nel giro di pochi mesi, sarebbe stata la nostra bambina. Le avrei insegnato a parlare, a camminare, a surfare, le avrei raccontato le favole e cantato per lei ad ogni occasione.
«Sei bellissima, San» commentò Brittany, riportandomi con i piedi per terra.
«Come, tesoro?»
«Quando fai quella faccia» mi spiegò «Quando cominci a fare un ragionamento e ti ci perdi, ti rilassi e sorridi in un modo unico. Diventi più bella del solito.»
«Sono d’accordo» si intromise il dottor Stewart.
«Tenga per sé questo genere di commenti» sibilai «Non ha il diritto di guardare le mogli delle sue pazienti. Anzi» continuai «Copriti, Britt. Chissà cosa passa per la testa di questo qui.»
Ashley mi trascinò fuori a viva forza, mentre la mia bionda cercava di recuperare la fiducia del medico, giustificando il mio nervosismo con lo stress dovuto alla gravidanza. In certi momenti sembravo io quella in pieno squilibrio ormonale.
«Devi darti una regolata» mi rimproverò Ash «Non puoi continuare a fare la pazza per altri sei mesi!»
«Ormai dovrebbero essere più cinque che sei… O almeno spero» borbottai.
«Comunque vedi di calmarti» riprese la ragazza. Iniziò a farmi una lunga paternale sul fatto che dovevo essere forte anche per sua sorella e restare lucida perché lei e la bambina avrebbero fatto affidamento su di me. Mi sembrava strano venire redarguita da una diciottenne, ma, ad onor del vero, era una diciottenne molto matura.
Terminati tutti i controlli, tornammo a casa, scaricando Ashley all’atelier in cui ormai trascorreva la maggior parte dei pomeriggi.
«Sai che cosa dobbiamo fare adesso, vero?» mi chiese Brittany non appena fummo comodamente stravaccate sul divano.
Feci una smorfia e mi alzai per recuperare il foglio che avevamo appeso accanto al calendario.
«Addio colonna di destra» annunciai, depennando la lista di nomi maschili «Abbiamo fatto fuori metà delle possibilità.»
«Su» disse la bionda, stringendosi a me «Rileggi quelli rimasti.»
Cominciai a sciorinare la sequela infinita di nomi che, elencati in ordine alfabetico, occupavano il lato sinistro del foglio. Da Ashley, inserito più per rispetto a mia cognata che per altro, a Quinn, perché ovviamente la Fabray pretendeva che lo prendessimo in considerazione, passando per nomi come Hermione, Minerva, Nymphadora e molti altri che Britt aveva insistito per aggiungere alle possibili opzioni.
Dal canto mio, c’era un solo nome che averi voluto dare alla mia bambina e stavo già elaborando il piano che mi avrebbe aiutato a convincere Brittany.
Nei giorni seguenti cercai di tenere mia moglie lontana da casa, organizzandole incontri con Quinn e Rachel, che straordinariamente si era presa una pausa da New York per tornare a Lima. Arrivai ad offrire al trio un pomeriggio di totale relax al centro benessere più costoso della zona, pur di tenere impegnate le signore Puckerman e Hudson mentre schiavizzavo i loro mariti per completare il mio geniale progetto in tutte le sue parti.
Trascorsa una settimana dalla grande rivelazione, decisi di agire. Attesi che Britt si addormentasse sul divano, come suo solito, e appena mi fui assicurata che fosse coperta a dovere e profondamente immersa nel sonno, mi alzai e cominciai ad orchestrare il tutto. Mi precipitai nella futura camera di nostra figlia e controllai che Noah avesse fatto il proprio lavoro a dovere. Aveva fissato ad una parete alcuni resistenti gancetti di metallo a cui avrei assicurato il tocco finale.
Ghignai soddisfatta, poi mi fiondai in garage, dove avevo preparato uno scatolone con tutto l’occorrente. Ovviamente lo avevo etichettato in modo da dissuadere qualsiasi impulso della curiosità di Brittany: la scritta “Scartoffie legali”, sottolineata per assicurarmi che non si presentasse alcun tipo di tentazione, risaltava nel suo rosso brillante sul color ocra del contenitore. Ero stata talmente maniacale da accumulare effettivamente pile di fogli d’ufficio a camuffare quanto realmente celato nella scatola.
Mi liberai in fretta delle pratiche fasulle e trasferii tutto nella stanza della bambina.
Ci impiegai la bellezza di quaranta minuti per capire come collegare tra loro i vari apparecchi che avevo deciso di utilizzare. Il proiettore non ne voleva sapere di collaborare con il mio computer di ultima generazione, il quale si rifiutava di connettersi agli amplificatori. Ero demoralizzata a tal punto che per un momento fui tentata di mandare tutto al diavolo, ma poi mi feci coraggio, pensando che lo stavo facendo per lei.
Dopo un’altra ora di lavoro, tutto fu pronto.
«Amore» mormorai scuotendo dolcemente la bionda «Amore, svegliati, forza.»
«Ancora cinque minuti, San…» borbottò, nascondendo la faccia sotto la coperta che le avevo poggiato sulle spalle.
Scossi la testa, certa che, se le avessi permesso di riaddormentarsi, i “cinque minuti” si sarebbero almeno decuplicati. «Britt, alzati, non farti pregare.»
«Non puoi lasciarmi al mio placido letargo?» si lamentò «Devo dormire per due, ti ricordo.»
«Primo: l’inverno è finito da un pezzo» osservai «Secondo: devi fare l’abitudine alle sveglie improvvise, lo sanno tutti che la prima cosa che viene a mancare con l’arrivo di un neonato è la dose quotidiana di sonno.»
«Appunto» replicò lei «Lasciami riposare, ora che posso.»
«Mi spiace, ma non questa volta» risposi, aiutandola ad alzarsi «C’è un emergenza di cui ci dobbiamo occupare.»
La parola “emergenza” sembrò preoccuparla abbastanza da infonderle un po’ di forza vitale. Tenendola per mano, la condussi su per le scale, fino al luogo che avevo appositamente preparato.
«Per tutti gli Anelli del Potere!» si lasciò sfuggire, notando cosa avessi combinato.
Alla parete di destra avevo appeso pagine riprese dal mio fumetto preferito, “V for Vendetta”, precisamente dal capitolo undici del libro due. Erano le parti che riportavano la commovente storia di un personaggio secondario, una coraggiosa donna che aveva osato, nel proprio piccolo, sollevarsi contro il sistema.
Mentre Brittany continuava a boccheggiare, io feci partire il proiettore, che, con un ronzio, iniziò a far comparire sulla parete opposta alla porta le immagini dell’omonimo film. Avevo già selezionato la scena con Natalie Portman, nei panni di Evey Hammond, e il ritrovamento della lettera, con la voce fuori campo di Natasha Wightman che avrebbe narrato la storia. Il toccante monologo cominciò non appena io premetti Play.
“So che non posso in nessun modo convincerti che questo non è uno dei loro trucchi, ma non mi interessa. Io sono io. Non credo che vivrò ancora a lungo e volevo raccontare a qualcuno la mia vita. Questa è l’unica autobiografia che scriverò e, Dio, mi tocca scriverla sulla carta igienica.”
«Oh, San… Tutto questo è…»
“Sono nata a Nottingham nel 1985. Non ricordo molto dei miei primi anni, ma ricordo la pioggia. Mia nonna aveva una fattoria a Tottle Brook e mi diceva sempre che Dio è nella pioggia.”
Restammo in silenzio a guardare lo spezzone.
“Superai l’esame di terza media ed entrai al liceo femminile. Fu a scuola che incontrai la mia prima ragazza, si chiamava Sarah. Furono i suoi polsi, erano bellissimi. Pensavo che ci saremmo amate per sempre. Ricordo che il nostro insegnante ci disse che era una fase adolescenziale, che sarebbe passata crescendo. Per Sarah fu così. Per me no.”
La mano di Britt si intrecciò salda con la mia.
“Nel 2002 mi innamorai di Christina. Quell’anno confessai la verità ai miei genitori. Non avrei potuto farlo senza Chris che mi teneva la mano. Mio padre ascoltava, ma non mi guardava. Mi disse di andarmene e non tornare mai più. Mia madre non disse niente. Ma io avevo detto solo la verità. Ero stata così egoista? Noi svendiamo la nostra onestà molto facilmente, ma in realtà è l’unica cosa che abbiamo. È il nostro ultimo piccolo spazio, ma all’interno di quel centimetro siamo liberi.”
«“Avevo sempre saputo cosa fare nella vita”» bisbigliai, recitando a memoria le battute.
“E nel 2015 recitai nel mio primo film: ‘Le pianure di sale’. Fu il ruolo più importante della mia vita. Non per la mia carriera, ma perché fu lì che incontrai Ruth. La prima volta che ci baciammo capii che non avrei mai più voluto baciare altre labbra al di fuori delle sue.”
Lasciai la mano di mia moglie per recuperare ciò che avevo nascosto dietro la porta.
“Andammo a vivere insieme in un appartamentino a Londra. Lei coltivava le Scarlet Carson, per me, nel vaso sulla finestra e la nostra casa profumava sempre di rose. Furono gli anni più belli della mia vita.”
Non avevo potuto ricreare la specie citata nella pellicola, in quanto prodotto di fantasia, ma avevo costretto il fioraio dall’altra parte di Lima a procurarmi il più colossale, bellissimo e freschissimo mazzo di rose rosse possibile.
“Ma la guerra in America divorò quasi tutto e alla fine arrivò a Londra. A quel punto non ci furono più rose. Per nessuno.”
Notai le lacrime agli occhi di Britt, non sapevo dire se per la sorpresa o se per la tristezza suscitata dalla scena.
Le immagini si susseguirono in fretta.
“Sembra strano che la mia vita debba finire in un posto così orribile, ma per tre anni ho avuto le rose e non ho chiesto scusa a nessuno.”
Lasciai i fiori tra le braccia di Brittany.
“Morirò qui. Tutto di me finirà. Tutto, tranne quell’ultimo centimetro. Un centimetro. È piccolo ed è fragile, ma è l’unica cosa al mondo che valga la pena di avere. Non dobbiamo perderlo o svenderlo, non dobbiamo permettere che ce lo rubino.”
Andai vicino alla parete con le pagine del fumetto e iniziai a staccarle per rivelare una delle mie personali aggiunte.
“Spero che, chiunque tu sia, almeno tu possa fuggire da questo posto. Spero che il mondo cambi e le cose vadano meglio. Ma quello che spero più di ogni altra cosa è che tu capisca cosa intendo quando dico che, se anche non ti conosco, anche se non ti conoscerò mai, anche se non riderò e non piangerò con te e non ti bacerò mai, io ti amo. Dal più profondo del cuore, io ti amo.”
«“Valerie”» disse la bionda, mentre spegnevo il video e con quel sonoro click si concludeva la storia di Valerie Page.
Sulla parete che avevo liberato era ora visibile la scritta, in caratteri blu come l’oceano, “Per te ci saranno sempre le rose”.
Lasciai che si meravigliasse per un solo istante, poi con un secondo telecomando diedi il via alla “fase due”. Dagli altoparlanti si diffuse una melodia ritmata, la base di una canzone di ormai molti anni prima, ma che io avevo sempre tenuto cara perché a Brittany piaceva ballarla.
Well, sometimes I go out by myself
And I look across the water
And I think of all the things, what you’re doing
And I in my head I paint a picture
‘Cause since I’ve come on home
Well, my body’s been a mess
And I’ve missed your ginger hair
And the way you like to dress
Won’t you come on over?
Stop making a fool out of me
Why don’t you come on over, Valerie?
Valerie, Valerie, Valerie
Andai avanti a cantare sotto il suo sguardo gioioso e la fine della mia performance fu accolta da un caloroso applauso.
«Non dovrebbe esserci bisogno di aggiungere altro» ridacchiai «Ma ho un ultimo tocco da dare a questo posto.»
Britt era stata distratta da tutto il resto e non ci aveva fatto caso, ma vicino ai suoi i piedi c’era il gran finale.
Sollevai la mia vecchia tavola da surf sopra la testa e la assicurai ai piccoli sostegni metallici, facendole occupare la parete di sinistra, fino ad allora rimasta spoglia.
«Stai forse cercando di dirmi qualcosa?» ironizzò la bionda.
«Oh, nulla in particolare» mormorai, tornando vicino a lei e passando amorevolmente una mano sul ventre pronunciato.
La risata cristallina di Brittany riempì lo spazio tra noi due.
«Allora aggiudicato?» domandai esaltata.
«Prima devi vedere la mia sorpresa» rispose enigmatica.
Io strabuzzai gli occhi e balbettai: «Quale sorpresa?»
Scendemmo in garage e da uno scatolone catalogato come “Proprietà di Peter” estrasse una tela arrotolata.
«Ho chiesto ad Ash di farlo il giorno in cui abbiamo saputo che sarebbe stata una femmina» mi spiegò «Volevo fartelo trovare appeso tra qualche giorno.»
Impaziente, spiegai il dipinto. Mi ci volle qualche istante per riconoscere il luogo ritratto: era Donostia, la parte della costa e la Isla de Santa Clara, illuminate dalle luci delle case, e l’oceano, in cui si riflettevano la luna e le stelle, dipinti come li ricordavo dalla cima del Monte Igueldo.
«Non noti nulla di strano?» mi stuzzicò Britt.
Aguzzai la vista.
Nel cielo una costellazione di sette puntini luminosi formava chiaramente una V, ma poteva pur sempre trattarsi di una coincidenza.
Sollevai gli occhi per farle intendere che potevo aver trovato la soluzione.
«Guarda meglio» disse con un sorriso.
Per poco non mi cadde la mandibola.
Nell’angolo in basso a destra la mano ferma di Ashley aveva lasciato scritto, vicino alla propria firma, il titolo del quadro: “V for Valerie”.
Ancora una volta ero stata battuta sul tempo.
«Tu… Tu avevi già deciso?» chiesi, incredula.
«San» rispose «Avevo deciso nell’istante in cui quel primo test è risultato positivo.»
«E tu mi hai comunque fatto stilare quell’infinita lista di nomi facendomi una testa quadra perché ogni volta ne trovavi uno migliore dell’altro!?» sbottai «Odio che mi si prenda in giro così, no me gusta
«Beh, quello era solo per divertirmi in effetti…» ammise «Però ci tornerà utile quando sarà il tuo turno.»
«Questo cosa vorrebbe dire!?» esclamai allarmata «Nessuno ha mai parlato di un secondo figlio e io non ho intenzione di tirare fuori l’argomento ora. Un solo marmocchio è più che sufficiente.»
«Ora la pensi così… Ma ho molte armi nel mio arsenale per farti cambiare idea» sogghignò.
«Oh, no» sibilai «Non oserai…»
«Ho già preso in ostaggio la tua preziosa copia da collezione del “Silmarillion” e ho messo sotto chiave i miei Harry Potter, nel caso ti venisse la malsana idea di un contro-ricatto.»
Con tutta la delicatezza che il mio impeto di passione permise, la strinsi forte a me e la baciai. Quella donna mi conosceva meglio di quanto potessi sperare. Nel bene e nel male… mi dissi, immaginando il mio amato “Silmarillon” chiuso chissà dove senza che io potessi spolverare la sua copertina e sfogliarne amorevolmente le pagine.
«Adesso non pensare di corrompermi con coccole o altre smancerie» mi ammonì quando ci staccammo «Conosco troppo bene i tuoi trucchetti.»
Non potei far altro che capitolare con un piccolo sbuffo.
«E adesso vai a sistemare il caos che hai lasciato in camera di Valerie» continuò «Mentre io me ne torno in letargo.»
Feci spallucce. «Adesso non sistemo proprio niente. Voglio andare in letargo anche io!»
Andai a recuperare la coperta abbandonata sul divano e raggiunsi Britt a letto. Ci stringemmo forte al caldo, come fosse pieno inverno, e mi lasciai coccolare senza proteste.
«Cosa succederebbe se gli altri sapessero quanto sei adorabile quando metti da parte il tuo atteggiamento da dura?» mi domandò.
«Chiederei il divorzio» replicai, facendole la linguaccia «E negli accordi specificherei di avere diritto a tutti i tuoi libri e film.»
«Prenditeli pure» rispose «Ma io e Val ci terremo la cosa più preziosa che hai.»
«Il mio tessssssssoro?» chiesi, pensando alla mia fedele tavola da surf.
«Quello e la ninnananna spagnola.»
«Non separiamoci mai» stabilii per chiudere il discorso «Amo troppo quella melodia.»
 
NdA: E ormai manca solo più una OS alla fine di questa mini parentesi su Valerie e vi prometto che non dovrete aspettare i secoli dei secoli per leggere il finale. Prima di passare alle solite cose, vorrei prendermi un piccolo spazietto per fare eventuale chiarezza sull'ampia parte che ho citato da "V for Vendetta". Su Wiki potete trovare tutte le informazioni che vi servono riguardo al fumetto e al film. Il pezzo a cui faccio riferimento è la storia di Valerie Page che viene trattata, appunto, nel libro secondo parte unidici ed è stata poi interpretata, nella versione cinematografica, da Natasha Wightman. In breve: la co-protagonista Evey Hammond (Natalie Portman) viene ad un certo punto, per varie ragioni che non vi spoilero, incarcerata e nella propria cella trova una lettera scritta sulla carta igienica che altro non è che l'autobiografia di Valerie, probabilmente intrappolata lì prima di lei. Altro non mi sembra necessario dire, se non avete ancora avuto il piacere di leggere/vedere "V for Vendetta" rimediate, perchè a parer mio merita molto. Dopo essermi dilungata oltre ogni umana sopportazione, passo ai ringraziamenti: ai quattro cavalieri recensori dell'Apocalisse wislava, WankyHastings, strapelot e MartaDelo, a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite e un grazie a tutti gli altri lettori affezionati. Prima di sparire, vi lascio QUI il link della mia pagina Facebook se vi va di farci un salto. A presto, non temete.

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Capitolo 5
*** ...Valerie ***


THE ECHO OF YOUR SPANISH LULLABY
 
Avvertimento: si consiglia di aver letto prima la fanfiction a cui questa raccolta fa riferimento. QUI il link diretto al primo capitolo.
 
…Valerie
 
Quell’anno, per la prima volta, la Bella Notte vide aggiungersi al nostro consueto gruppo la piccola Puckerman, che sarebbe a breve stata seguita dai gemelli Anderson-Hummel. Blaine continuava a ripetere che ci sarebbe voluto solamente un altro mese, o anche meno, prima della nascita dei due.
Il 28 Luglio i Klaine lasciarono Lima, diretti a Boston, decisi a passare con Jane qualche giorno, prima del parto. Il 31 dello stesso mese fu il dì fatidico.
Quando ci riunimmo, pochi giorni più tardi, eravamo tutti contenti per l’arrivo di Claire e Benjamin, per cui avevo addirittura comprato delle copertine con le iniziali ricamate. Non potevo sapere che ancora una volta il destino mi avrebbe dato scacco.
«Prima che apriate bocca» ci accolse Kurt, facendo accomodare Britt e me, seguite dai Puckerman, gli Hudson e persino Evans «Dovete sapere che Blaine ne ha combinata un’altra delle sue.»
Preoccupati, cominciammo a subissarlo di domande, temendo che, per un motivo o per l’altro, la ragazza avesse cambiato idea o Anderson avesse combinato qualche pasticcio con le pratiche di adozione.
«Calma, calma amici» ci tranquillizzò il ricciolino, reggendo in braccio due piccoli fagotti «Non vorrete svegliare Harry e Joanne.»
Calò un silenzio profondo.
«Sì» riprese, porgendo i neonati al marito «Abbiamo deciso di chiamarli come il maghetto e la sua creatrice, nati, come molti di voi si ricorderanno, entrambi il 31 Luglio.»
«Abbiamo… Molto plurale» commentò Kurt, cullando i figlioletti.
«Questo è davvero un colpo basso, Pretty Pony» mi lamentai «Io avevo fatto ricamare le iniziali B e C e adesso tu te ne vieni fuori con un improvviso cambio di nome?»
«Ma, San» mi richiamò Britt «Lui lo ha fatto per zia Jo e per il giovane Potter, non puoi rimproverarlo. Qualsiasi potteriano che si rispetti avrebbe fatto altrettanto.»
Fu da quella discussione e dalla malsana idea di Anderson che, alla fine, la ancora non-nata Valerie si ritrovò ad essere Valerie Luna Lopez-Pierce, in onore del personaggio più amato da Brittany, che in fondo, devo ammettere, piaceva molto anche a me.
L’autunno trascorse all’insegna dei preparativi per il grande momento. Dovetti aiutare la mia bionda a trovare un degno sostituto per la scuola di ballo e la scelta ricadde su un suo ex compagno di liceo, tale Michael Chang, che scoprii essere sposato con una mia vecchia conoscenza, l’unica asiatica del Morgenstern, Tina Cohen-Chang. Poi arrivarono i corsi pre-parto, lo shopping sfrenato in compagnia di Ashely e Vivian e, per finire, i bagagli, sempre da rifare, per l’imminente corsa in ospedale.
 
Il 2 Dicembre fu uno di quei giorni che, col senno di poi, avrei voluto poter rivivere all’infinito.
Aprii gli occhi e seppi subito che qualcosa non andava. Britt non era al mio fianco.
«Tesoro? Tutto bene?» domandai, vedendo la luce accesa nel bagno.
«Non proprio» mi rispose.
Fui terrorizzata da quelle parole e scattai fuori dalle coperte pronta ad agguantare il telefono per chiamare il 911.
«Non c’è bisogno dell’ambulanza» mi anticipò «Ma Puck sta già arrivando con la macchina.»
«Ma cosa sta succedendo?» borbottai esasperata.
«Mi si sono rotte le acque.»
Il mondo mi crollò addosso. Tutto, in un istante, divenne incredibilmente reale, come se fino ad allora mi fossi preparata ad una gravidanza finta. Non riuscii a ricordare tutte le indicazioni che mi erano state date da Noah, che ci era passato poco prima, avevo rimosso ogni nozione letta su libri, riviste e blog. Mi sentii indifesa e spaesata, incapace di gestire la situazione.
Britt mi trovò rannicchiata sul letto mentre cercavo di trovare la forza di prepararmi per accompagnarla in ospedale.
«Amore» cercò di tranquillizzarmi «Va tutto bene, andrà tutto bene. Non c’è nulla di cui avere paura.»
La tensione si sciolse un poco. Lei era la mia ancora di salvezza, il mio antidoto contro la paura che spesso mi aveva portato ad agire da codarda, le sue parole potevano ridarmi la sicurezza di cui avevo bisogno.
Mi abbracciò e continuò a rassicurarmi.
«Dovresti essere tu quella sconvolta ed io la roccia a farti da sostegno» mugolai «Invece adesso sembro una bambina terrorizzata, mentre tu sei così calma, così matura… Così mamma.»
Gli occhi azzurri di Brittany ebbero uno strano guizzo. «San, non dirmi che stai avendo un crisi genitoriale proprio adesso!»
Mi limitai ad abbassare lo sguardo.
Lei mi risollevò il viso e sorrise. «Ne abbiamo già parlato, tante volte. Saremo i migliori genitori mai visti, finchè resteremo unite tutto andrà per il verso giusto.»
Feci un profondo respiro. Potevo percepire il suo cuore, a contatto con il mio petto, battere sempre più rapido. Fu allora che mi ricordai del perché di quel mio crollo.
«Britt» mormorai «Stai entrando in travaglio, vero?»
La bionda sembrò rifletterci un istante, come se dovesse realizzare la cosa, poi annuì.
«Dovremmo prendere le tue valigie e andare, prima di far nascere Val sul tuo maledetto tappetino con le paperelle.»
Riacquistata lucidità, mi vestii in fretta, ma mantenendo un certo stile, non avrei accolto la mia bambina nel mondo conciata male, quello era chiaro. Poi diedi una mano alla mia dolce metà per recuperare le ultime cose, aiutandola molto perché le contrazioni erano ufficialmente iniziate e con loro era arrivato il dolore.
Avrei riconosciuto la sgommata dell’auto di Puck ad un milione di miglia di distanza, così, non appena fui certa che il nostro autista fosse arrivato, uscii sul vialetto e gli ordinai in tono perentorio di aiutarmi a scortare Brittany.
Venti minuti più tardi varcammo tutti e tre la soglia dell’ospedale.
La prima cosa che feci, dopo che mi fui assicurata che la situazione fosse sotto controllo, fu chiamare praticamente l’intera rubrica del mio telefono.
Mio padre, in qualità di medico, iniziò a spiegarmi le diverse fasi del parto, quanto ognuna delle suddette fasi sarebbe durata, contornando il tutto con termini tecnici. L’unica cosa che capii era che avrei dovuto bere molti caffè, magari corretti, per sopravvivere.
Poi fu il turno di Ashley, che, ovviamente, lasciò perdere qualsiasi cosa stesse facendo e si scaraventò dalla sorella. Nel frattempo chiamai i Pierce. Mi rispose Vivian.
«Ciao, tesorino, tutto in regola? Hai bisogno di parlare con un essere umano che non sia quella schizzata di mia figlia?»
«Ciao Vivian» risposi cercando di mantenere la calma «Ti sto chiamando dall’osp…»
Mi attaccò il telefono in faccia. Provai più e più volte a ricontattarla, convinta che fosse semplicemente caduta la linea, ma quando, dieci minuti dopo, me la trovai davanti, trafelata e accompagnata dal marito, mi spiegò di aver capito cosa fosse accaduto e non aveva voluto perdere tempo in chiacchiere.
Fu così che la famiglia Pierce si ritrovò riunita in sala parto, mentre io proseguivo con il giro di telefonate. Quinn doveva affidare Beth ai genitori di Puck, poi ci avrebbe raggiunti, i Klaine dovevano ancora occuparsi dei gemelli, ma sarebbero certamente passati a dare supporto. Finn era impegnato a scuola, ma Rachel aveva promesso che sarebbe andata a prenderlo finite le lezioni e sarebbero arrivati insieme. Sam, invece, comparve in una mezz’ora e si mise a fare compagnia a Noah e me.
L’ora di pranzo giunse in fretta, tra una battuta e l’altra e una sfilza di bicchieroni ricolmi di caffeina, unico elemento che il mio corpo fosse in grado di assorbire. Gli Anderson-Hummel si presentarono verso l’una con i figli, tanti consigli e una grande busta piena di nachos, che, incredibilmente, rifiutai.
Britt era ormai ufficialmente pronta per dare alla luce Valerie, i medici affermavano che era questione di poche ore, ma quelle a me sembrarono ere geologiche. Non potevo fare altro che passeggiare nervosamente, sedermi dicendomi di stare calma per poi riprendere ad agitarmi come un’ossessa.
Alle quattro del pomeriggio, momento in cui arrivarono la Fabray e gli Hudson, Puck mi prese da parte, approfittando della momentanea riunione del resto della “famiglia” attorno alla partoriente.
«Sei pronta» mi disse convinto «Anche io mi sentivo come te, ma ho affrontato la cosa a testa alta. Lopez, non prenderla male, ma: devi fare l’uomo.»
Feci una smorfia, pronta a ricordargli che odiavo quando usava quella frase, ma mi zittì all’istante. «Qui non stiamo parlando di uno dei nostri spassosi scherzi ai danni del bietolone o della nana e neppure di uno dei nostri assurdi piani per convincere le nostre mogli a fare qualcosa. Qui stiamo parlando di tua figlia, della persona che d’ora in avanti ti vedrà come una guida, un esempio vivente. Avrai notato certamente il cambiamento di Britt.»
Annuii.
«Io ancora mi ricordo della ragazza sbadata, spiritosa e fissata con Harry Potter che passava le giornate a parlare col proprio gatto. Ma guardala adesso: è diventata grande. Certo, in fondo è sempre la solita Pierce, ma da ora in avanti sarà un’altra persona.»
Lo stavo a sentire come ipnotizzata. Quando era stato il suo momento, con Beth, io gli avevo fatto un discorso simile, ma lui in quel momento poteva aggiungerci una buona dose di esperienza.
«La prima cosa che voglio vederti fare, quando verrà fuori quel mostriciattolo, è fissare i suoi occhietti ancora ignari e prometterle che per lei ci sarai sempre e non ti lascerai mai e poi mai atterrire dalla paura. Ci sarà Britt, ci sarà la tua famiglia, ci saranno i tuoi amici, ma, anche se dovessimo voltarti tutti le spalle, tu dovrai resistere, per lei. Puoi negarlo a te stessa, però te lo leggo in faccia che sei terrorizzata, probabilmente lo sei stata per tutto questo tempo, ma il tuo cinismo ha mascherato la cosa…»
«Noah.» Non lo chiamavo quasi mai per nome. Di solito per me era “Tenente Spazzolone”, che era molto in voga da quando si era fatto ricrescere un minimo di cresta, “Soldato Scherzo” o Puck.
«Santana» rispose, rinunciando ai classici “Satana”, “Lingua di fuoco” o altro.
«Grazie. Non potevo desiderare un amico migliore di te.»
«Possiamo riparlare dell’eventualità in cui, rimanendo vedovi, ci sposiamo tra di noi?» domandò, spiazzandomi completamente.
«Neppure se ti trasformassi magicamente in Arwen» replicai scuotendo la testa.
«E adesso chi sarebbe questo Irwin?»
«Ah, Sergente Ignorante, e pensare che “Il Signore degli Anelli” te lo avrò fatto vedere almeno duecento volte…» sospirai.
Quando arrivò la sera cominciai ad averne abbastanza di aspettare. La paura era stata sostituita dall’impazienza, ormai avevo accettato il mio destino, a quel punto mi interessava solamente avere tra le braccia la mia piccolina.
Brittany era sempre più stanca e provata. Mi faceva male vederla in quello stato, ma ci tranquillizzava il fatto che tutto fosse a norma. Avevo passato l’intero pomeriggio, dopo la chiacchierata con Noah, da sola con lei, a tenerle la mano e a parlare di tutte le cose che avremmo fatto una volta diventate un trio.
Ma verso le sette, la fame si fece sentire. Raggiunsi il bar al piano terra e ingurgitai quello che mi era stato venduto come pollo, ma aveva il sapore di suola di pantofola. Ero allo stremo delle forze. Dopo quella mangiata, se tale potevo definirla, mi sarei dovuta concedere un po’ di sonno, ma non avevo intenzione di perdermi neppure un singolo istante fino al grande momento.
«Signora, vuole un caffè?» mi domandò un’infermiera.
Doveva avermi notata, lì, fissa sulla sedia proprio fuori dalla stanza di Britt, e doveva aver fatto caso alla stanchezza sul mio volto.
«Non dovrei accettare, perché credo di essere ben fuori dalla dose giornaliera consigliata, ma, la prego, mi porti una tazzina.»
Forse mi sarei dovuta accorgere dello sguardo di intesa che la donna lanciò al resto della truppa radunata vicino a me, ma ero davvero troppo stanca per collegare quelle occhiate all’innocua bevanda che mi venne consegnata. Buttai giù il contenuto in un solo sorso. Poi crollai addormentata.
 
Riaprii gli occhi su un mondo nuovo, in movimento frenetico. Tutto si agitava davanti a me, i suoni erano distorti e i contorni degli oggetti indefiniti.
«Tìxen si! Tìxen si!» urlò Sam scuotendomi. Ero troppo intontita per capire che mi stesse supplicando di svegliarmi.
«San, per l’amore del cielo!» si aggiunse Q. «Sta nascendo!»
Strabuzzai gli occhi. L’enorme orologio nella stanza indicava quasi le unici e l’ultima cosa che io ricordavo erano le lancette che segnavano le sette e mezza.
«Non doveva essere così potente il calmante» commentò Blaine, tirandomi su di peso «Doveva servirti a farti riposare un po’, ma a quanto pare quell’infermiera ha esagerato. Bella Addormentata, forza! Non vorrai perderti questo momento!»
Fui catapultata in sala parto, bardata con camice di carta. Una selva di medici e compagnia cantante mi comparve davanti.
Non so se fu per effetto della specie di droga che mi avevano somministrato o fu semplicemente l’emozione, ma tutto accadde senza che me ne rendessi conto.
Ci furono urla, incoraggiamenti, grida e ancora incoraggiamenti. Io restai imbambolata.
Poi ci fu il silenzio, quel piccolo, improvviso, drammatico silenzio che precedette il primo respiro di Valerie.
Quando quella specie di E.T. spalancò i polmoni, assordandoci, il silenzio scomparve dalla mia vita.
La ripulirono velocemente e la avvolsero in un telo. L’ostetrica fece per consegnarla a Brittany, ma lei, ancora madida di sudore e stravolta, fece cenno di lasciarla a me.
Presi in braccio quello scricciolo come se si trattasse di un preziosissimo vaso della maledetta dinastia Ming.
La osservai per la prima volta: aveva giusto un paio di peli in testa, biondi, come tutti i Pierce, la pelle arrossata, come tutti i neonati, e il pianto forte, ma sano, come quello di una piccola scimmia urlatrice.
Sorrisi involontariamente quando aprì gli occhi.
Blu. Blu oceano. Blu come il mio oceano.
Le poggiai un bacio sulla fronte, poi la affidai alle cure della sua altra mamma, che ancora non l’aveva stretta tra le braccia.
Quando Valerie venne presentata al resto della famiglia, mi sentii in diritto di far presente il mio disappunto: «Denuncerò quella clinica balorda non appena saremo fuori di qui. Guardatela! È la copia sputata di Britt! Dove sono i suoi bei tratti latini, eh? Maldito Martinez! Se avessi saputo che i suoi geni erano difettosi avrei trovato un altro donatore!»
Tutti scoppiarono a ridere, senza rendersi conto che io fossi serissima.
La mezzanotte arrivò molto in fretta. A quel punto ognuno si ritirò a casa propria, persino Ash decise di andare, lasciandomi sola con mia moglie e la mia figlioletta.
«Visto, tesoro? È andato tutto bene» disse la bionda, continuando a cullare la piccola.
«Questo avrei dovuto dirlo io» risposi, sedendomi al bordo del letto.
«Non importa, sai che mi piace trovare piccoli modi per sorprenderti.»
«Beh, a me invece piace seguire la routine» mormorai «Quindi, direi che è ora della tua, o meglio, della vostra ninnananna.»
Quella fu la notte in cui venne ufficialmente al mondo Valerie Luna Lopez-Pierce e fu anche la notte in cui il mio cantare acquistò un nuovo significato: la neonata riconosceva la mia voce, che l’aveva accompagnata prima ancora che nascesse, e che, avevo promesso a lei e a me stessa, avrebbe sempre intonato melodie per lei.
«Sannie» bisbigliò Brittany, con le palpebre pesanti «Mi hai fatto venire voglia di churros
Scoppiai a ridere, rischiando di disturbare Val, poi tornai a cantare, beandomi della visione migliore del mondo: le donne della mia vita addormentate al ritmo della nostra ninnananna spagnola.

NdA: Questo episodio decreta la conclusione della mini-long all'interno della raccolta, ma non disperate, continueranno ad arrivare (una volta ogni tanto, non pretendete aggiornamenti rapidi e regolari) altri spaccati di vita delle nostre Brittany e Santana con il loro scoppiettante seguito. Come ogni volta rinnovo i ringraziamenti ad ognuno di voi lettori, a wislava per il consueto supporto, a WankyHastings, MartaDelo e strapelot per le recensioni. Spero di ritrovarvi (non so quando) la prossima volta, fino ad allora, un sincero saluto.

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Capitolo 6
*** Last Friday night ***


THE ECHO OF YOUR SPANISH LULLABY
 
An hiril vuin,
gi melin nín thêl-dîs

 
Avvertimento: si consiglia di aver letto prima la fanfiction a cui questa raccolta fa riferimento. QUI il link diretto al primo capitolo.

 
LAST FRIDAY NIGHT
 
Venerdì. La conclusione dell’ennesima settimana di lavoro era finalmente arrivata.
Mi chiusi la porta alle spalle con un sospiro e tesi l’orecchio, aspettando di cogliere gli ormai consueti strilli di benvenuto della mia figliola, che veniva infastidita ogni volta dal rumore delle chiavi nella serratura.
«Sono a casa, amore» dissi, lanciando la borsa in un angolo e scagliando i tacchi in direzione della scarpiera.
Drizzai le orecchie: udii chiaramente il suono degli oggetti impattare contro il pavimento.
Nessun lamento di neonata.
Sentii un enorme sorriso farsi largo sul mio viso. Pace, finalmente.
Il senso di colpa mi investì subito dopo. Ero contentissima di avere Valerie, certo, ma da quando lei e Britt erano arrivate a casa dall’ospedale non ero più riuscita ad avere un momento per me stessa. Mi scapicollavo tra l’ufficio, il tribunale, il supermercato e casa, senza mai riposare. Avrei tanto voluto poter tornare alla mia confortevole dimora, sdraiarmi sul divano, accendere la tv e rilassarmi ad occhi chiusi, magari tra le braccia di mia moglie. Ma quello era ormai nient’altro che un sogno. Sogno che non potevo neppure sognare realmente dato che non dormivo praticamente più.
La quiete perdurò.
«Tesoro? Sei a casa?» ritentai, poco convinta.
Avanzai in punta di piedi, guidata dalla forza dell’abitudine che mi imponeva di muovermi silenziosa come una gatta per non disturbare Val.
Arrivai in cucina e trovai ad attendermi, fissato alla porta del frigorifero, uno sgargiante biglietto scritto con i pastelli a cera. Lo staccai con delicatezza e strizzai gli occhi per non essere abbagliata dal tripudio di colori.
Disperse tra improvvisati disegni di unicorni, occhi di Sauron, geroglifici e cicatrici a forma di saetta, riuscii a decifrare alcune parole: “Io e Val siamo dai Klaine a giocare con i gemelli. Goditi la serata di libertà. Ti amo, Brittany”
Risi. Non riuscivo neppure a ricordare quanto fosse passato dall’ultima volta che avevo avuto un venerdì sera solo per me. Solitamente, prima dell’arrivo di Valerie, uscivo a bere con Puck o mi univo alle maratone di film organizzate da Blaine, ma dalla nascita della bambina mi limitavo a buttare giù una birra, di nascosto perché Britt diceva che davo un cattivo esempio, per poi dedicarmi in tutto e per tutto alle due donne della mia vita.
Rilessi il biglietto, per sicurezza, con il timore di scoprire che si trattasse solo di uno scherzo. Ma non potevo sbagliarmi. Ero libera.
Estrassi dal fondo del frigo una bottiglia di Guinness che tenevo da parte per qualche occasione speciale. Mi ci volle un mucchio di tempo per riuscire ad aprirla, mi tremavano le mani dall’agitazione.
«Datti una calmata» mi ordinai «Sono solo poche ore di tranquillità.»
Alla fine vinsi la mia battaglia contro il tappo e potei, finalmente, cominciare a riempirmi di alcol, per quel poco che la singola birra mi avrebbe permesso.
«Potrei attingere all’armadietto dei superalcolici» commentai ad alta voce, osservando il mobile tentatore. Da dietro i vetri blu scuro si intravedevano i profili delle bottiglie, in attesa solo di essere svuotate.
«No, Santana» mi redarguii «Datti un contegno. Non puoi permettere a Britt di trovarti ubriaca marcia abbandonata sul divano.»
Mi zittii e riflettei su quanto stavo facendo: parlare da sola. Quella era una prerogativa di mia moglie, avevo finito per assumere da lei quel bizzarro comportamento. Speravo che Val fosse tanto intelligente da capire di non dover prendere nulla dalle sue mamme, perché entrambe erano classificabili come fuori di testa.
Accesi la televisione, un po’ incuriosita da cosa ci potessi trovare, un po’ per avere qualcun altro che colmasse il silenzio che era calato in casa.
Non c’era nulla di interessante, ma lasciai comunque sintonizzato su un qualche talent show musicale, che mi avrebbe permesso di insultare pesantemente i ragazzini stonati che si credevano novelle promesse della discografia.
Ad un certo punto comparve sul palco una mocciosa di quindici, forse sedici, anni che annunciò di voler eseguire “un classico dei bei tempi andati”. Quando iniziò a cantare “Songbird” mi cadde la mandibola.
«Amore!» urlai senza pensare «Qualcuno si è fottuto la nostra canzone! E la cosa peggiore è che adesso mi sento vecchia!»
Nessuna risposta.
La tentazione di prendere il telefono per chiamarla fu forte, ma qualcosa mi distrasse. Il rumore di un’auto che veniva a parcheggiare nel nostro vialetto. Non potevano essere già di ritorno, era troppo presto.
Provai a ricordare se avessimo qualche visita in programma, ma i tre Puckerman erano a trovare la sorella di Quinn a Chicago, Sam era ancora in California sul set, Finn aveva raggiunto Rachel a New York per uno dei loro week end da matrimonio a distanza, i Klaine con i loro figlioli erano, immaginavo, con Brittany. Non avevo idea di chi potesse fare un’improvvisata un venerdì sera.
«Magari Ashley ha di nuovo litigato con i Pierce…» mormorai, ma era un’ipotesi poco credibile. Ormai la ragazza passava talmente poco tempo a casa da non aver tempo di discutere con i genitori.
Sentii suonare il campanello.
Non potevano essere i miei, che si erano presi una settimana di vacanza dal lavoro per andare a controllare la condizione della casa a Puetro Rico in cui, avevo stabilito, avrei portato la mia famiglia per le vacanze estive. Volevo che Valerie avesse fin da subito un buon rapporto con la mia terra natale e soprattutto con l’oceano, che restava una componente importante del mio essere. Ero diventata un avvocato e mi ero rivelata come nerd, ma in fondo restavo pur sempre una surfista, come mi ricordava ogni giorno la tavola appesa in camera della piccolina.
Un secondo trillo mi invitò ad accelerare per andare ad accogliere l’inaspettato ospite.
«Sorpresa!» esclamò qualcuno da dietro un enorme orso di peluche ornato da un fiocco rosso.
«Vivian?» balbettai sorpresa, vedendo comparire il viso di mia suocera da dietro il pupazzo.
«Ciao Santana, ero certa che fossi tu» mi salutò festosa «Mai una volta che quella scansafatiche di mia figlia venga ad accogliermi… Ma non perdiamoci in convenevoli. Dov’è la mia nipotina preferita?»
Fui sbalzata indietro dall’orso, che fece letteralmente irruzione, insieme alla signora Pierce. «Ash è a dormire fuori città dai nonni di Amanda e James è partito questo pomeriggio per una battuta di pesca con i colleghi, così ho deciso di passare a salutarvi e già che c’ero ho portato questo regalino per Val» disse, lanciandomi addosso il Teddy Bear troppo cresciuto, che come minimo doveva essere sotto steroidi.
«Vivian, lascia che ti dica una cosa…» provai a prendere la parola, ma lei proseguì cocciuta verso la camera della piccola, ignorandomi deliberatamente.
«Oddio!» gridò trovando la stanza vuota «Hanno rapito la mia stellina! Chiamiamo la polizia! Avvisa Poirot, Sherlock Holmes e la Signora in giallo!» mi ordinò cominciando a correre da una parte all’altra della casa «Manca anche Brittany! Ti hanno portato via moglie e figlia da sotto il naso!»
«Vivian, rilassati» borbottai, liberandomi del fastidioso ed ingombrante peluche, che abbandonai sul divano «Non sono scomparse. Sono andate da Kurt e Blaine a giocare con i gemelli» spiegai.
La donna tirò un sospiro di sollievo. «Vuoi dire che ho attraversato la città per niente?»
«Questa volta temo di sì» commentai, sperando che l’assenza di Valerie la scoraggiasse così da farmi tornare alla mia pacifica solitudine.
«Poco male» replicò «Vorrà dire che passeremo un po’ di tempo insieme, solo io e te.»
«Addio venerdì di libertà» mormorai tra me e me, poi però, vedendo Vivian che apriva l’armadietto dei superalcolici, mi convinsi che la serata poteva ancora in qualche modo risultare interessante.
«Posso favorire, vero?» disse versandosi un primo bicchiere.
«Certamente, ma lascia che ti faccia compagnia» ammiccai, servendomi a mia volta.
La conversazione mantenne toni stranamente civili, in un primo momento, ma non appena entrambe fummo abbastanza brille, i nostri veri spiriti cominciarono ad emergere. Vivian non poteva trattenere la propria esuberanza, caratteristica di lei che apprezzavo sopra ogni altra. Ripensandoci non seppi mai da cosa ebbe origine quella discussione, so solo che mi ci ritrovai dentro da capo a piedi quando ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Con i bicchieri ancora mezzi pieni alla mano, ci accomodammo sul divano, accanto a quell’ingombrante orso che poteva essere il figlio di Godzilla e Baloo, mentre mi lamentavo di quanto mi mancasse il poter riposare tranquilla.
«Amo Val come non pensavo avrei mai potuto amare nessuno, ad eccezione di Britt, però lasciami dire una cosa: quando piange sembra la sveglia di Satana. Sono certa che gli strilli di neonato siano una delle torture infernali più sadiche e malvagie.»
«Hai ben poco da lamentarti» bofonchiò mia suocera «Tu almeno non dormi con un trattore. Jim ormai non smette di russare neppure quando tento di soffocarlo col cuscino.»
«Cosa è peggio: tuo marito che russa o mia moglie che parla nel sonno?»
«E tu tienila sveglia, no? Dovresti approfittarne finchè siete giovani e Valerie è ancora troppo piccola per fare irruzione in momenti sconvenienti.»
«Rimarrebbe traumatizzata a vita…» constatai «Come se, dopo averle consegnato la lettera da Hogwarts per i suoi undici anni, le dicessi che Harry Potter non esiste.»
«Oh, non tirare fuori anche tu quel ragazzino pestifero!» si lamentò «Brittany mi ha fatto una testa quadra con lui e le sue avventure… Mi ha persino costretta a vedere tutti i film! Quanti erano? Sei, sette?»
«Otto» la corressi «In ordine: Harry Potter e…» Vivian mi riempì il bicchiere con il chiaro intento di non farmi elencare i titoli. Sgolai in un sol colpo il contenuto rimasto di una bottiglia di sangria, cercando di reprimere i miei istinti di nerd.
«Alcol, sacro nettare di Sauron, mio Oscuro Signore!» esclamai, sentendomi bruciare la gola.
«Non avevamo detto basta con quella roba?»
«Ma Sauron è di tutto un altro mondo» obiettai.
«Ma dai, in Harry Potter c’è un Signore Oscuro… Quel Valdemiro, Vildemart… Voldecoso, insomma» balbettò intontita dal troppo bere.
«Oh, per le mutande di Merlino!» esclamai «Non devi nominare Colui-che-non-deve-essere-nominato!»
«Ma dai, ricordami come si chiama…» mi supplicò «Ormai la mia memoria comincia a fare cilecca.»
«No e poi no» risposi decisa «Porta male.»
«Santana, sai che posso ricorrere ad armi subdole» mi minacciò «Potrei divulgare segreti piccanti ai tuoi amici e so quanto la cosa ti imbarazzi.»
Arrossii in un lampo e balbettai chiedendo spiegazioni.
«Britt parla con me molto più di quanto immagini.»
«Io credo che tu origli molte più conversazioni tra le tue figlie di quanto loro immaginano» commentai «La mia mogliettina non va in giro a sbandierare i fatti nostri ai quattro venti, può averne parlato solo con Ashley.»
«Beccata» ammise senza tanti mezzi termini «Ora mi dici come si chiamava il pelatone senza naso?»
«Non nominerò mai Lord Voldemort con il rischio di attirare la sfortuna su di me» dichiarai, sbracciandomi in un gesto plateale. Ovviamente mi resi conto troppo tardi di aver nominato l’Innominabile e fu troppo tardi che compresi quello che sarebbe accaduto: la mia mano impattò violentemente contro il mobile su cui avevamo appoggiato le bottiglie.
Provai in dolore indescrivibile, non al mio arto ferito e contuso, ma al cuore, quando tutto quel prezioso alcol si schiantò sul pavimento, andando ad impregnare il prezioso tappeto persiano che mi avevano regalato i miei genitori di ritorno da uno dei loro viaggi.
Imprecai contro tutti gli dei che conoscevo e probabilmente ne inventai pure alcuni di nuovi. Quello con cui me la presi di più fu, però, Tom Riddle, che era la causa scatenante di quello scempio.
«Presto, sistemiamo questo caos prima che pure il pavimento diventi sbronzo, non ho intenzione di sorbirmi le lamentele di Britt» biascicai, trattenendo a fatica le lacrime che sentivo sgorgare alla vista dei cocci di vetro.
«Perché hai tirato maledizioni ai Teletubbies?» mi sorprese Vivian mentre raccoglievamo le schegge.
«Teletubbies?»
«Sì» mi rispose con noncuranza «I tizi dai nomi buffi abbinati con i colori.»
Sgranai gli occhi, realizzando cosa avesse frainteso. «Per tutti gli Anelli del Potere!» imprecai «Non parlavo dei Teletubbies! Io ho citato i cinque Istar, i maghi del Signore degli Anelli, e tu li hai scambiati per quei mostriciattoli petulanti!? Oh, santo Radagast… Tolkien si starà rivoltando nella tomba…»
«Invece di darmi contro» mi fermò lei «Perché non ti spieghi meglio?»
Esaltata, dato che era da una vita che non mi capitava un’occasione simile, iniziai a spiegare la storia dell’universo di Arda, dalle origini fino alle mirabolanti avventure della famiglia Baggins. Se avessimo avuto della buona erba-pipa il tutto sarebbe stato ancora più suggestivo.
Ascoltando la storia di Smeagol, sembrò riemergere dai meandri della memoria di Vivian qualche vago ricordo inerente ai film, ma mi scoraggiai al sentirle gracchiare: “Il mio preziosssssso”.
Resistendo all’impulso di strapparmi le orecchie, le ricordai che la frase giusta era con “tesoro” e mi esibii nella miglior imitazione che si fosse udita dai tempi di Andy Serkys, storico interprete e doppiatore del subdolo e mostruoso Gollum.
Quando conclusi le peripezie della Compagnia dell’Anello narrate ne “Il Signore degli Anelli” fui costretta ad un forzato cambio di rotta, per spiegare come Gandalf, una volta distrutto l’Unico Anello, non si fosse ritirato nel Regno Unito per diventare preside di una scuola di magia.
Non mi rendevo quasi più conto di essere ubriaca. Mi sentivo finalmente libera di poter dare sfogo alle mie conoscenze nerd e la cosa più bella era avere qualcuno disposto ad ascoltarmi e sostenermi nei miei folli ragionamenti.
Avevamo lasciato perdere la pulizia e l’odore di liquore aveva ormai impregnato tutto il soggiorno, rendendo la mia testa ancora più pesante. Non sapevo per quanto sarei riuscita a resistere ancora, avevo mesi di sonno arretrato che gravavano su di me.
Mi abbandonai addosso all’orso Yogi dopo aver finito di spiegare la storia di Silente.
«Grazie, Santana» disse mia suocera, lasciandosi cadere vicino a me «Potresti essere quasi riuscita convincermi a leggere uno di questi libri.»
Sorrisi. Per me era una grande vittoria.
«Sai» continuò «Hai davvero la stoffa della racconta storie: hai il potere di incantare con le parole. L’ho notato dalla prima volta che Britt ti ha portato a casa, avresti potuto convincermi che tenevi nascosto un folletto sotto la felpa e io avrei finito col crederti.»
«Tutto ciò è molto lusinghiero» commentai, lasciando che le mie pesanti palpebre si chiudessero.
«In tutta onestà, se non fossi la moglie della mia adorata figliola, su di te farei un pensierino… Ah, se solo non fossi così vecchia!» scoppiò a ridere alla fine.
Io sogghignai e ormai nel dormiveglia mormorai: «Agli occhi dei figli, le mamme sono sempre bellissime.»
 

 
***
 
Blaine, che era passato a prenderci per andare a casa sua, riportò indietro Valerie e me fino alla nostra dimora. Lo salutai con un cenno e percorsi il vialetto tenendo in equilibrio la mia piccolina sul braccio sinistro, mentre la mano destra era impegnata nella ricerca disperata delle chiavi nella borsa, senza notare l’automobile parcheggiata davanti al nostro garage.
I deboli versi di impazienza della bambina si fecero più insistenti. Voleva vedere San, ne ero certa.
Entrai e fui subito investita da un forte odore di alcol.
La prima cosa che feci fu notare lo strano groviglio sul divano, ma ignorai la cosa per poter mettere immediatamente a letto la piccola, poi mi sarei sfogata con mia moglie. Come aveva potuto fare baldoria senza di me?
Ci misi un po’ a riconoscere Santana, sepolta sotto un elefantiaco pupazzo a forma di orso, ma a sorprendermi fu il riconoscere che la sua compagna di bevute era nientemeno che mia madre.
«Questa è bella» dissi tra me e me «Cosa avete combinato?»
Scossi, dapprima delicatamente, poi sempre con più forza, le due belle addormentate.
«No, Gandalf» mugugnò la latina «Sono ancora lontana dal mio cinquantesimo compleanno. Non è il momento per partire all’avventura.»
«Ci vengo io con te, Cinquanta sfumature di Mago» borbottò in risposta mia mamma «A patto che tu mi iscriva ad Hogwarts.»
Strabuzzai gli occhi. Tutto ciò non aveva senso.
Aggirai il divano e mi imbattei nei resti delle bottiglie che dovevano essere state protagoniste della serata, quello serviva a fare un minimo di chiarezza. «Vi siete date alla pazza gioia, eh?»
Entrambe emisero una serie di lamenti. Sarebbe stato più facile avere una conversazione sensata con il peluche.
Notai che mia madre, con estrema fatica, si era alzata e stava cercando di raggiungere la borsa, dove doveva avere le chiavi della macchina. Mi vidi costretta a fermarla. «No, Ma’, non vai da nessuna parte in questo stato e io non posso lasciare Valerie sola con quella spugna di Santana. Per stanotte resti a dormire con noi.»
«Visto, cara?» esclamò rivolta a San «Brittany ci sta a fare una cosa a tre.»
Spalancai la bocca, incredula per quanto avevo appena sentito.
«Vivian!» tuonò mia moglie, scimmiottando in tutto e per tutto suo suocero «Che proposta indecente è mai questa? Dovresti almeno aspettare che la biondina sia ben rincitrullita dal bere.»
Scossi la testa. «Io non appoggio questi vostri giochetti perversi» dichiarai.
«Adesso è restia» bisbigliò l’ispanica con fare cospiratorio «Ma se ti intrufoli nel nostro letto tra dieci minuti vedrai cose che neppure i più arditi Hobbit hanno mai osato immaginare.»
«Meraviglie che vanno al di là delle raffinate armi degli Elfi e ben più preziose dell’oro dei Nani?» ribattè, a sorpresa, Vivian.
In quel momento mi convinsi che dovevo essere anche io sotto l’effetto di qualche sostanza, perché mai mia madre avrebbe potuto pronunciare una frase simile.
Le due andarono avanti a scambiarsi battute mentre io riordinavo, tenendo sempre un orecchio teso per assicurarmi che la discussione non degenerasse.
Alla fine, quando ormai era notte inoltrata, riuscii a mettere a letto mamma nella camera degli ospiti e condussi San al nostro giaciglio, in cui la raggiunsi, dopo aver placato il debole pianto di protesta di Valerie che si era svegliata all’improvviso.
«Oggi niente ninnananna?» le chiesi.
«Ma come? Non la senti?» bofonchiò, lasciando che metà delle parole fossero smorzate dal cuscino.
«No, tesoro» risposi «Non la sento.»
«La stanno cantando tutte le creature magiche e Aslan dirige il coro… Sono bravissimi» concluse con un sospiro, crollando addormentata.
«Ma tu sei senza dubbio più brava» stabilii. Le poggiai un bacio sulla guancia e mi tirai la coperta fin sulle spalle, lasciando che la melodia del leone di Narnia mi accompagnasse nel mondo dei sogni.


NdA: Surprise! (Ma neanche tanto) Rieccomi con una nuova, piuttosto demenziale, OS. Non ho intenzione di dilungarmi, anche perchè non ho molto da dire, quindi passo a ringraziare i fedeli e instancabili recensori, a cui dovrei mandare dei fiori per il coraggio di continuare a sopportare tutto questo, ovvero: wislava, WankyHastings, strapelot e Mars__Twix. Ovviamente estendo la mia gratitudine a tutti gli altri lettori. Attendete e sperate, prima o poi (ma molto probabilmente "poi", visto che non ho più tempo per scrivere) arriveranno nuovi aggiornamenti. Per questa volta è tutto, se qualcuno di voi ha voglia di tradursi la dedica sappia che è in Sindarin (o almeno dovrebbe, non parlo correntemente l'Elfico), alla prossima.

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Capitolo 7
*** Somewhere over the rainbow ***


THE ECHO OF YOUR SPANISH LULLABY
 
Avvertimento: si consiglia di aver letto prima la fanfiction a cui questa raccolta fa riferimento. QUI il link diretto al primo capitolo.
Ulteriore avvertimento: TRISTE, munitevi di attrezzatura anti-lacrime.


 
Somewhere over the rainbow
 
Il momento dell’addio, del congedo dalla vita, è quello che più temiamo, ma, al contempo, quello che più siamo curiosi di scoprire cosa ci riservi.
Una volta, in una ninnananna, ho sentito parlare di una terra bellissima oltre l’arcobaleno. Spero che sia il luogo dove mi dirigerò tra breve, ma prima ho ancora un saluto da fare.
Lei è qui, è sempre stata qui per me. Trema debolmente perché ormai non ha più lacrime da versare. Continua a sfiorarmi lievemente, certa che la carezza che mi sta dedicando sia l’ultima delle numerose che hanno costellato la nostra vita insieme.
«Ti prego» geme «Non lasciarmi.»
Vorrei poter restare, ma il mio tempo è sempre più vicino, è qualcosa che non posso più rinviare.
Sono tutti riuniti attorno a me, come non accadeva da tempo. Mi metterei a fare le fusa, se solo non fossi così stanco…
James e Vivian si stingono l’un l’altra, guardandomi con gli occhi gonfi.
«Tubbs…» mugola Ashley, grattandomi dolcemente il mento, come sa che mi piace «Non hai finito il tuo progetto di conquista del pianeta.»
«Però almeno ha smesso di fumare» le fa eco Brittany, senza smettere di arruffarmi dolcemente il pelo. Sembra aver smesso di singhiozzare, spero per sempre perché non sopporto di vederla triste. Ricordo bene quante volte, la notte, l’ho sentita piangere sotto le coperte e mi sono precipitato… Beh, “precipitato” è un’espressione forte… Diciamo che l’ho raggiunta con passo lento e misurato, per offrirle il mio conforto.
Adesso qualcun altro dovrà assolvere quel compito.
Fisso gli occhi scuri di quella ragazza che è lì accanto e mi osserva impassibile. Non posso dire di averla presa subito in simpatia, anzi. Le prime volte che si è presentata a casa Pierce, ho fatto di tutto per renderle la permanenza un inferno. Non capitava spesso perché la mia amata padrona ormai non viveva più con il resto della famiglia, ma alle volte mi faceva il piacere di tornare, ovviamente per godere della mia compagnia e per controllare che seguissi le tappe della riabilitazione. E lei c’era, quella latina dalla lingua tagliente che trovava sempre il modo di fare qualche battuta su di me. Le sue scarpe hanno pagato per la sua insolenza.
Ad un tratto la sua espressione neutra sembra però lasciar trasparire qualcosa, come un delicatissimo accenno di infelicità nel vedermi ormai morente. Che stia ripensando a quanto, in fondo, ci siamo divertiti ad odiarci a vicenda?
 
«Santana» annunciò Brittany «Questo è Lord Tubbington. Tubbs» si rivolse poi a me «Questa è Santana.»
Io e la nuova arrivata ci scambiammo uno sguardo carico di tensione. Non mi piaceva per niente e il sentimento pareva essere reciproco. Mi scagliai possessivo verso le gambe di Britt e iniziai a strusciarmi per farmi coccolare.
«Vieni qui, ragazzone» disse infatti la mia padrona, sollevandomi, con non poca fatica, e iniziando a lasciarmi qualche bacio sulla testa.
«Mi sembra di essere di troppo» commentò sprezzante l’ospite «Volete che vi lasci soli?»
«San, piantala. Ti avevo avvisata che è Lord T. la mia anima gemella, te lo ricordi?»
«La prima sera che ci siamo conosciute, me lo ricordo» rispose «Ma non pensavo di doverti prendere sul serio.»
«Io ero serissima» replicò la bionda, solleticandomi i baffi.
Solitamente non ero così incline alle coccole, ma volevo mettere in chiaro a chi appartenessero le attenzioni di Brittany. Avevo un raduno del club “I Signori del Male” che mi attendeva, però consolidare la proprietà sulla ragazza era più importante. Se i miei colleghi mi avessero visto così docile e mansueto mi avrebbero preso in giro a vita.
«Britt!» urlò Vivian dalla cucina «Vieni a darmi una mano con la cena!»
La giovane ubbidì, lasciando me e l’ispanica soli a fissarci in cagnesco da un lato all’altro dell’ingresso.
«Tu non mi piaci affatto, sacco di pulci» sussurrò nella mia direzione «Ma per amore di Brittany cercherò di ignorarti. Comunque, vedi di tenerti alla larga da me. Non mi sono mai piaciuti i gatti.»
Non mi sprecai a rivolgerle neppure un miagolio, semplicemente drizzai la coda e trotterellai verso Ashley che era intenta ad apparecchiare tavola.
«Devo apparecchiare anche per te?» mi domandò «Ma non avevi un raduno con il tuo clan?»
Scossi piano la testa, avrebbero fatto a meno di me per quella volta. Balzai agilmente, per modo di dire, sul tavolo e mi sedetti comodamente nel piatto di Santana, sommergendolo completamente con il mio abbondante posteriore.
«Sciagurato ammasso di lardo ambulante! Maldito gato obeso!» imprecò la mora «Levati subito da lì!» mi ordinò.
Ma chi si credeva di essere? Per farle meglio comprendere chi fosse al comando, mi sistemai ancor più confortevolmente, artigliando la tovaglia di modo da non poter essere portato via di peso.
«Ash, fa’ qualcosa» supplicò la latina «Guarda cosa sta combinando!»
«Mi spiace dirtelo, San» le rispose la bambina «Ma a quanto pare a Tubbs non piaci molto. Di solito si comporta così solo con i potenziali terroristi o con i suoi nemici dei giochi online.»
L’altra la guardò stranita, incapace di cogliere se si trattasse di uno scherzo o meno, ma quando vide i miei occhi, ridotti a fessure di puro disprezzo, smise di pensarci.
«A tavola!» gridò Vivian, portando una grossa teglia di lasagne.
A quelle parole, anche James, fino ad allora chiuso nello studio a leggere il giornale in santa pace, scattò verso la sala da pranzo, mentre Britt compariva dalla cucina con le bottiglie d’acqua e una birra per il padre.
I quattro Pierce si accomodarono ai posti consueti, lasciando me e Santana a contenderci quello rimasto.
«Lord Tubbington» disse Brittany, spalancando i suoi begli occhi azzurri «Saresti così gentile da cedere il tuo posto alla nostra ospite? So che non ti va a genio, ma gradirei che almeno provaste a sopportarvi. Voglio molto bene ad entrambi e non sopporto l’idea di dover scegliere tra di voi.»
Mi passai con noncuranza una zampa dietro l’orecchio per grattarmi, volevo farle capire che ero io a prendere le decisioni.
«Per favore, Tubbs» continuò con aria supplice.
«Per favore, gatto» ringhiò l’ispanica, esasperata «Mi farebbe molto piacere potermi godere la prima cena in compagnia della famiglia della mia ragazza, lei sarà molto triste se questa serata andrà male e tu non vuoi che sia triste, vero? Soprattutto per colpa tua.»
Touché. Aveva capito benissimo quale tasti premere.
Mi alzai controvoglia e scesi con un piccolo tonfo. Vivian si affrettò a cambiare il piatto dell’ospite e poi iniziò a servire la cena.
Mi accoccolai ai piedi di Britt, facendo le fusa, in attesa che la mia adorata padrona mi offrisse qualche boccone prelibato, come faceva sempre. Non tardò, infatti, ad arrivare un grosso pezzo di lasagna, con tanto di formaggio filante. Lo spazzolai in pochi secondi. A mio parere Garfield aveva capito tutto della vita: le lasagne, in particolare quelle della mia famiglia, erano la cosa migliore della terra.
Non prestai particolare attenzione ai discorsi che si facevano ai “piani alti”, me ne stavo tranquillo al mio posto, lasciando che Brittany mi facesse di tanto in tanto il solletico con i piedi, dopo che le avevo preso le pantofole per usarle come cuscino.
Al primo seguirono molti altri assaggi, che andarono via via colmando il vuoto del mio stomaco. Ora della fine del pasto ero quasi sazio. Avrei mangiato volentieri un po’ di fonduta, ma nessuno sembrava aver messo a sciogliere del formaggio, così mi rassegnai, leccandomi i baffi ancora sporchi di torta.
Mi lasciai spupazzare da Ashely mentre gli altri sparecchiavano, poi la compagnia rimase ancora un’oretta a chiacchierare, lasciando soprattutto che Santana parlasse di sé e della propria famiglia. Dovevano essere davvero persone poco raccomandabili dato che non avevano un animale domestico, stabilii.
Finiti gli argomenti a disposizione, i signori Pierce, nonostante non fosse molto tardi, insistettero per mettere a letto Ash e poi coricarsi a loro volta, lasciando le due piccioncine da sole, o meglio, sole con me.
«Ci vediamo un film?» propose Brittany, prendendo per mano l’altra e trascinandola verso il divano.
«Non mi pare di avere molta scelta» commentò prima di baciarla.
Sentii un moto di gelosia e piantai con decisione gli artigli della zampa destra nei suoi pantaloni, fino ad arrivare alla pelle.
Santana emise un soffocato grido di dolore e si guardò intorno, cercandomi, consapevole che fossi stato io. «Il tuo gattaccio mi ha ferita!» si lamentò «Guarda!»
Nei jeans era rimasto il segno delle mie unghie.
«Oh, Tubbs» mi rimproverò la bionda con tono dolce «Non fare il gelosone, lo sai che siete entrambi speciali, non  devi trasformare tutto in una competizione per il mio affetto.»
Finsi di darle retta, per nulla intenzionato a sopportare ulteriori smancerie.
Purtroppo l’intrusa sembrava decisa quanto me ad ottenere un po’ di coccole. Si sdraiò sul divano, aspettandosi che Britt si accomodasse con lei, ma io fui più rapido. Lasciai che la forza di gravità agisse, comprimendo il mio corpo sulla pancia della sventurata. Le sentii mancare il fiato.
«Piccolo combina guai» mi redarguì ancora una volta Brittany, prendendomi in braccio «Non vorrai mica uccidere San?»
In effetti era una delle ipotesi che stavo cominciando a considerare.
Scelsero un film che io ero certo di aver visto almeno un milione di volte, uno di una saga con tre ragazzini buffi che scorrazzavano per boschi e castelli senza mai combinare qualcosa di utile.
«Perché proprio “Il prigioniero di Azkaban”?» chiese Santana.
«Lo vedrai» rispose enigmatica Britt.
Decisi di impossessarmi della poltrona, rimasta vuota dato che le due erano comode sul divano, e rimasi in loro compagnia. Ogni tanto una delle due anticipava le battute o faceva un commento che faceva ridere l’altra, capitava anche che cominciassero a condividere un po’ troppa saliva per i miei gusti e a quel punto mi toccava intervenire, emettendo un profondo miagolio di disapprovazione.
«Ho capito» bisbigliò la latina quando, a notte fonda, il film terminò «Ma sappi che il tuo “Grattastinchi” non mi andrà mai a genio e poi io non ho intenzione di essere paragonata a quel tonto di Weasley… E poi guardami! Insomma: ti sembro forse una Grifondoro?»
Brittany ridacchiò, poi calò il silenzio.
«Allora… Vuoi che vada?» domandò Santana.
«I miei hanno detto che puoi fermarti per la notte» disse la bionda «Ma se non vuoi restare…»
«No, no… È solo che, forse non è… “Appropriato”.»
L’altra scoppiò a ridere. «“Non appropriato!”» continuò a ripetere tra le risa «Ma che cosa avevi in mente, Lopez?»
L’ispanica arrossì e balbettò: «Beh, non lascerei mai mia figlia a dormire con la propria ragazza, o ragazzo, sotto il mio tetto. Non che io avessi in mente qualcosa… Questa volta
«Perfetto, allora non c’è motivo per cui tu non possa rimanere.»
Io un motivo lo avevo. Io ero un motivo.
Mentre le due erano intente a prepararsi per la notte, mi arrampicai sulle scale fino ad arrivare alla camera di Britt. Lei dormiva sul lato destro del letto, quindi, con la mia considerevole mole, occupai la parte sinistra.
«Tubbs» mi sgridò per l’ennesima volta la mia padrona «Come pensi che ci stia San se tu occupi tutto lo spazio rimasto?»
Mossi le orecchie con indifferenza.
«Senti, Britt» si intromise l’ispanica «Non fa niente, posso dormire di sotto. È chiaro che non gli piaccio e voglio evitare di trovarmi i vestiti a brandelli domani mattina. Forse è meglio così.»
Gli occhi di Brittany si fecero grandi e lucidi, colmi di delusione.
Odiavo il senso di colpa che quello sguardo era in grado di suscitare in me. Mi trascinai verso il fondo del letto, lasciando che l’ospite avesse la propria parte di materasso.
«Grazie Lord T. So che ti costa molto lasciare che qualcuno, oltre te o Ash, dorma con me. Apprezzo molto il tuo gesto.»
Il suo sorriso mi ripagò di tutto.
Parlarono ancora un po’, poi si fece davvero tardi e la bionda iniziò a sbadigliare con troppa frequenza.
«Direi che è ora della ninnananna» mormorò Santana.
Ero ancora sdraiato ai piedi della mia padrona, ma la mia mente era praticamente già nel mondo dei sogni. Fu quella canzone ad accompagnarmi del tutto. Non avevo compreso le parole, ma evocavano in me immagini felici, di una terra lontana, oltre l’arcobaleno, dove sarei potuto essere felice per sempre insieme alle persone che amavo.
Forse, un giorno, quando avrei raggiunto quel luogo meraviglioso, avrei permesso anche a Santana di farmi compagnia.
 
Sono contento di andarmene oggi, con al mio fianco le persone che amo.
Il veterinario sta tornando e so che lui porta con sé ciò che mi distaccherà per sempre da questo mondo.
L’ultimo saluto è silenzioso. Nessuno sa cosa dire, forse perché non c’è niente da dire.
I miei occhi sono stanchi, voglio chiuderli per riposare, almeno per un po’.
Brittany sembra sul punto di accasciarsi a terra, schiacciata dalla tristezza, ma Santana le tiene la mano, le infonde forza e coraggio, la proteggerà, so che si prenderà cura di lei come ho fatto io.
Mi sembra di risentire quella canzone, come se fosse lì apposta per accompagnarmi nel mio ultimo viaggio.
Quel posto che si trova da qualche parte, al di là dell’arcobaleno, mi aspetta e io là attenderò, paziente, fino a che un giorno non sarò riunito alla mia famiglia e, sì, sono certo che ci sarà anche Santana ed allora canterà ancora per me e per la sua amata.


NdA: Beh, gente, non ho gran che da dirvi, spero solo non sia esageratamente triste come capitolo, ma volevo esplorare, per una volta, un momento forte a livello emozionale da un punto di vista insolito. Spero di essere riuscita nel mio intento. Ormai wislava, strapelot, Mars__Twix e WankyHastings ne avranno abbastanza di ricevere i miei più sentiti ringraziamenti, ma non posso farci niente, mi viene naturale. Grazie anche a tutti gli altri lettori, che spero di ritrovare quando (in un futuro lontano) deciderò di dedicarvi un'altra OS. Fino ad allora, tanti saluti e un anticipo di buone feste.

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Capitolo 8
*** The Untitled Santana Lopez Project ***


THE ECHO OF YOUR SPANISH LULLABY
 
Avvertimento: si consiglia di aver letto prima la fanfiction a cui questa raccolta fa riferimento. QUI il link diretto al primo capitolo.
Ulteriore avvertimento: Questo capitolo potrebbe contenere spoiler della sesta stagione, quindi, se non siete aggiornati, aspettate ancora un po' a leggerlo... Anche se lo spoiler non è vero e proprio, almeno nel testo, la vera parte a rischio sono le note finali. Insomma, fate vobis.

 
The Untitled Santana Lopez Project
 
In vita mia mi ero occupata di organizzare tante cose: un milione di scherzi ai danni dei miei fastidiosi cuginetti messicani, altrettanti tiri mancini agli avversari del Morgenstern nei più svariati sport e decine di piani a prova di bomba atti ad ottenere quello che volevo. In ogni caso, avevo sempre calcolato attentamente le mie mosse e seguito tabelle mentali per far quadrare la tempistica, senza però rinunciare alla buona dose di fantasia che mi caratterizzava.
Quando Noah mi confidò che avrebbe fatto la proposta a Quinn la sera del Ringraziamento, le mie rotelle iniziarono subito ad ingranare: il matrimonio sarebbe stato probabilmente ad inizio estate, questo mi dava modo di “dirottare” la luna di miele dei Quick verso la Spagna. Tutto calzava a pennello. Accompagnandoli, avremmo ricreato la magica estate e io avrei avuto modo di mettere in atto il più spettacolare progetto di sempre.
«Ah, Lopez, non ti smentisci mai» mi disse Puck, dopo che gli ebbi accennato il mio piano «Ogni scusa è buona per metterti in mostra.»
«Ehi, lo faccio per la mia signora» replicai «Solo il meglio per Britt.»
«Per lei» mi fece eco lui «E per il tuo ego.»
«Puede ser…» sussurrai «Mi aiuterai lo stesso?»
«A mettere in piedi la proposta di matrimonio perfetta? Perché no? D’altronde sarà solo grazie a me che tutto filerà liscio.»
«Da quando mi hai ospitato a casa tua e mi hai dato una mano a riconquistare l’amore della mia vita, la bellezza di sei anni fa, ti sei un po’ ringalluzzito. Ricorda chi tra noi due è la vera mente geniale» commentai, pavoneggiandomi.
«Ma non farmi ridere, Dora l’Esploratrice mancata, dov’è il vero genio? Riesci a vederlo?» mi canzonò indicandosi «Oh, sono qui! Adesso puoi proseguire verso il Monte Modestia seguendo il Sentiero dell’Umiltà. Li vedi? Sono indicati sulla mappa nel tuo zainetto!»
«Basta, voi due» ci richiamò Blaine, porgendoci due bottiglie gelate di birra «Avrete tutto il tempo di battibeccare dopo la partita.»
Ci eravamo riuniti nella dimora Anderson-Hummel, dove, oltre i padroni di casa, me e Puck, c’erano Sam e Finn. Kurt era intento a trovare l’ultimo numero di Vogue che avrebbe sfogliato durante il gioco, mentre noi altri saremmo stati presi a sbraitare e ad insultare il giocatore imbranato di turno.
Prima che iniziasse il match, Noah condivise con tutti la notizia che lui e Quinn erano tornati a frequentarsi ormai da qualche mese e aveva già pronto nel cassetto dei calzini il più bell’anello che era riuscito a trovare. I Klaine e Hudson fecero un paio di battute sulla vita coniugale, mentre Evans metteva il muso, lamentandosi di essere l’unico eternamente single.
«Come la prenderesti, Trouty, se ti dicessi che, durante la luna di miele dello Spazzolone, chiederò la mano della mia meravigliosa fidanzata?» scagliai la bomba.
L’enorme bocca di Sam si aprì e si chiuse senza emettere suoni.
«Come hai detto?» chiese Kurt, certo di aver capito male.
«Lady Hummel, le tue orecchie fatate hanno sentito benissimo: Puck non è l’unico a voler fare il grande passo.»
Il silenzio fu rotto da un’assordante musichetta. Ci voltammo tutti verso la gigantesca tv e strabuzzammo gli occhi: non stava per iniziare l’attesissimo scontro tra i Dayton Dragons, squadra per cui facevo il tifo, e i Columbus Clippers, ma un insulso reality show con i soliti adolescenti sboccati e le loro relazioni promiscue.
«Per tutti gli dei, presenti e passati, che sta succedendo!?» sbottò Anderson, lanciandosi sul telecomando «Kurt, cos’hai combinato?»
«Io!?» esclamò il marito «Come ti viene in mente che possa aver trafficato con il tuo prezioso televisore? Non mi lasci mai neppure avvicinare a quel coso!»
«Proprio perché potresti fare danni irreparabili» gli rispose Blaine, cercando di sistemare il problema.
«Ehi, Pretty Pony» lo chiamai «Non dovresti prendertela con il mio amico Hummel, perché qui l’unico ad aver fatto casino sei tu.»
«Come?»
«La partita è domani» spiegai, mostrando al gruppo l’articolo di giornale su cui mi era caduto l’occhio «Noi tutti ci siamo fidati del tuo buonsenso e guarda che hai combinato!»
«Non è solo colpa mia» tentò di difendersi «Anche voi pensavate fosse oggi.»
Borbottammo ognuno qualche frase senza senso, per toglierci dall’imbarazzo di esserci appena rivelati un gruppo di idioti, poi tornammo a concentrarci sul televisore.
«Allora che si fa?» domandò Noah.
«Potremmo tornare a parlare di questa febbre matrimoniale che sembra avervi investito» propose Sam, indicando me e l’ebreo.
«Oppure» intervenne Kurt «Potremmo guardare cosa danno di bello invece del football.» Detto ciò, si impossessò del telecomando e, tenendolo stretto tra le mani come se si trattasse dell’Unico Anello, iniziò a fare zapping.
«Noia. Noia. Noia.» mormorava saltando da un canale all’altro.
«Prova ad andare avanti ancora di un paio di numeri» riprese la parola Trouty Mouth «Dovrebbe esserci la replica della mia ultima puntata.»
La sigla di “On the waves of love” ci colpì i timpani con violenza. Lo show, a parer mio, era alquanto stupido: raccontava la storia di un gruppo di ragazzini, con la passione per il surf, che praticamente facevano a turno ad andare a letto tra di loro o con le diverse comparse. Il nostro amico impersonava il fratello maggiore di uno dei protagonisti ed era spesso sul set perché il pubblico femminile sembrava apprezzarlo particolarmente.
«Adesso vi spiego…» iniziò il biondo, per poi farci il riassunto dei precedenti quaranta episodi, di cui, in tutta onestà, non mi interessava gran che.
Alla fine esplosi: «Basta, Sam! Questa storia è ridicola! Non c’è una vera trama, un filo conduttore, solo tanti giovanotti in bermuda e signorine in bikini che si alternano per sorridere alla telecamera.»
«Ehi, non sono io a dirigere lo show!» mi rispose a tono «E comunque, la storia potrà anche non piacerti, ma almeno qualcuno si è messo d’impegno e l’ha scritta. Se ti fa tanto schifo, perché non ti cimenti con una serie televisiva di tua invenzione, eh?»
Quella era una sfida e, lui lo sapeva, se c’era una cosa a cui non potevo resistere erano quel genere di provocazioni.
«Compagnia» annunciai «So che cosa faremo oggi.»
Spensi lo schermo tv e ordinai a Blaine di recuperare fogli e biro per il brainstorming. Avrei buttato giù l’idea per uno show televisivo, ne andava del mio onore, inoltre, se fossi riuscita a trovare qualche idea davvero originale, avrei ribadito la mia supremazia su Puckerman in fatto di genialità.
Tutti e sei ci mettemmo il più comodi possibile sui divani disponibili e iniziammo a buttare giù la base di quello che avevo nominato, dato che il tutto sarebbe stato a nome mio, come: “Untitled Santana Lopez Project”.
«Ho già in mente tre parole che renderebbero epica qualsiasi trama: alieni-robot-zombie» esordì trionfante Noah «Nulla potrebbe eguagliare una simile combinazione.»
«Perché invece non ci dedichiamo ad una bella soap? Come “Beautiful”, ma senza le resurrezioni» propose Hummel.
«Io eviterei le sitcom a sfondo nerd» si intromise Finn «So che ce ne sono tantissime e il sentirvi fare continuamente citazioni a quello o quell’altro film o libro ogni tanto mi scombussola.»
«Va bene, Perticone» concordai, cancellando due terzi di quello che avevo appena finito di scrivere «Niente che faccia riferimento alle mie più grandi passioni…»
«Perché non prendiamo spunto da ciò che ci è familiare?» suggerì Anderson, che, dovetti ricordare a me stessa, seppur a tempo perso, faceva lo scrittore «Potremmo partire dalla semplicità, dalla quotidianità, da un sogno, magari da un ricordo.»
Mi si accese una lampadina ed ebbi un’epifania.
 
Era domenica. Una calda, afosa, soffocante domenica di Agosto a Lima. Britt ed io eravamo uscite per cercare refrigerio all’ombra degli alberi del parco. Mi aveva scarrozzato in moto, facendomi fare lo slalom tra le autovetture e per poco non ci avevo rimesso un arto, ma eravamo poi giunte sane e salve al piccolo polmone verde della città.
«Ho voglia di qualcosa di fresco» mi disse.
«Bene, compratelo» risposi sogghignando «Il chiosco non è molto lontano.»
«Non ho con me il portafogli» mentì «Su, non sarà certo un ghiacciolo a mandare in rosso il tuo conto in banca.»
«Puoi sempre ribalzare a bordo di quella trappola mortale a due ruote e andare a recuperare il tuo denaro guadagnato con l’onesto lavoro, lasciando in pace i miei risparmi» replicai ostinata, ma trattenendo a fatica le risa per le smorfie che la bionda stava facendo pur di convincermi a comprarle la merenda. Come se avesse veramente bisogno di impegnarsi per ottenere quello che voleva.
«A quest’ora non posso chiamare di punto in bianco la mia amante Rosita Chiquita Juanita Chihuahua e chiederle di riportarmi il portafogli che ho dimenticato a casa sua dopo la nostra ultima notte di passione, non sarebbe galante.»
«Rosetta Ciancita Comesichiama potrebbe fare la cortesia di restituire quanto di tua proprietà, anche perché ti servirà tutto il contante di cui disponi, ora che vivi sulla strada» conclusi con una risata.
«Non farmi questo! Nel mio cartone  a doppio strato rinforzato non riuscirò a fare posto per tutti i miei libri!» piagnucolò.
«L’appartamento è mio» le ricordai «O meglio, di mamma e papà… E benché non ci vivrò per sempre, non voglio condividerlo con chi si porta a letto la prima che incontra.»
«Oh, ma non è stata la prima» continuò «Ne ho avute molte altre, lei è solo quella del momento.»
La fissai negli occhi e cercai di assumere un’espressione di somma disapprovazione, ma, invece, scoppiai a ridere e Brittany con me.
Non feci in tempo a pensare qualcosa di sagace per riprendere la conversazione, che trovai le labbra della bionda incollate sulle mie.
«Stai cercando di farti perdonare le scappatelle?» sussurrai.
«Sai che non ne ho bisogno» mi rispose strizzando l’occhio «Non c’è nessun’altra, sei l’unica latin lover degna di questo nome nella mia vita… Però questo» proseguì, concedendomi un altro bacio «È per essere riammessa a casa. Mentre questo è per scroccare la merenda» concluse riappropriandosi della mia bocca.
Mi godetti appieno quella scarica inaspettata di passione, poi, mano della mano, ci dirigemmo verso il baracchino dei gelati.
«Decido io per tutte e due?» domandai alla mia compagna.
«Sorprendimi.»
Le chiesi di allontanarsi un momento e osservai la varietà di gusti che mi si parava davanti, ma nulla sembrava convincermi, poi notai qualcosa che era sfuggito ad un mio primo sguardo.
Tornai dal Britt tenendo in mano due enormi bicchieri. «Menta, la tua preferita» dissi, lasciando che si avventasse sulla granita.
«È uguale a quella che abbiamo preso sul Monte Igueldo durante l’originale Bella Notte!» esclamò raggiante «Devi assaggiarla!»
Rubai un assaggio e concordai con quanto detto dalla bionda.
«Tu che cosa hai preso?» chiese, mentre facevo scrocchiare i cristalli di ghiaccio sotto i denti.
«Indovina» la stuzzicai, tendendo il viso verso di lei.
Passò lentamente la lingua sulle mie labbra. Mi aspettavo che a quel punto saremmo ritornate a pomiciare come liceali in piena tempesta ormonale, ma, improvvisamente, Brittany si staccò da me. «Limone…» commentò a mezza voce.
«Sì… Limone. Sai che a me piace, cosa c’è di strano?»
«Non è quello» mi disse «È solo che questo sapore mi ha riportato alla mente tante cose…»
«Forza!» la incalzai «Racconta!»
Ci accomodammo su una panchina e la lasciai parlare. Mi aveva rivelato che, quando andava al McKinley il Glee non era ben visto, ma fino ad allora aveva taciuto le granitate in faccia che lei e gli altri membri avevano ricevuto.
«Di solito erano i giocatori di football a prenderci di mira, nonostante Puck e Finn facessero parte dei Titans. Le granite che più andavano di moda erano quelle ai frutti di bosco o al mirtillo, ma una volta ogni tanto capitava qualche gusto inaspettato, per esempio: ne ho ricevute un paio al vago sentore di fragola» mi spiegò «Ma sono stata l’unica in tutta la storia della scuola ad essere colpita con una granita al limone. Non so per quale ragione mi capitò proprio quel gusto, ma posso dirti che mi ricordo benissimo quella cascata di ghiaccio piombarmi in faccia. È stato come ricevere lo schiaffo di un iceberg.»
«Allora lascia che adesso la tua latina caliente scacci via questi brutti glaciali ricordi» mormorai, prima di posarle un bacio delicato sul collo.
«Ti saresti presa anche tu il tuo buon numero di slushies se avessi frequentato il liceo con me» osservò «Tutti voi del Morgenstern sareste stati presi di mira. Probabilmente avreste fatto parte del Glee. Ci hai mai pensato, San? Cosa sarebbe successo se fossimo andate a scuola insieme? Ci saremmo innamorate comunque? Magari non saremmo state due inguaribili nerd! Pensa! Noi due, senza Harry Potter o Signore degli Anelli! Sarebbe un incubo!»
«Calmati» cercai di riportarla alla realtà «Frena la tua mostruosa fantasia per un istante. Mi sto perdendo…»
«Oh!» gridò, saltandomi in braccio «Non ci sarebbe stata nessuna ninnananna spagnola!»
Scossi la testa, rassegnata.
«Ma dai, in un universo parallelo tutto questo potrebbe essere vero! Non posso credere che tu non ci abbia mai pensato, con quella mente brillante che ti ritrovi.»
«Forse mi è capitato di ragionarci su, un paio di volte» ammisi «Ma dato che viviamo in questa realtà perfetta, che senso ha pensarne una diversa?»
 
«Ho trovato» annunciai «Il mio show parlerà di un gruppo di emarginati al liceo che verranno uniti e indissolubilmente legati dalla musica, un po’ come è stato per noi con il karaoke in Spagna. L’idea me l’ha suggerita Britt: le peripezie dei componenti di un Glee Club, magari quello del McKinley.»
I miei amici mi fissarono, poco convinti, ma volevano sentire altro.
«Rachel e Finn sarebbero la coppia inseparabile, con dapprima un rapporto difficile per via di qualche arpia… Potrei inserirmi io, magari giusto per aggiungere un po’ di pepe, ma ci vedo meglio Quinn… Che nel frattempo potrebbe essere rimasta incinta del nostro baldo Puck! Sì! Funziona! Prendi appunti, Blaine!»
«San, sei sicura di avere la testa a posto? Hai uno sguardo strano» commentò Sam.
«Per la tua mancanza di fede, Trouty, verrai inserito solo nella seconda stagione… Kurt, tu faresti sicuramente parte del nucleo originario, insieme a qualche altro sfigato cosmico… Hm, Anderson… Ovviamente finiresti per incontrare il tuo adorato maritino, ma il tuo personaggio assumerebbe una posizione di rilievo solo nella seconda, magari terza stagione…»
Andai avanti a borbottare, scribacchiando sul mio foglio. Blaine si avvicinò e iniziò a cambiare qua e là qualche appunto, facendomi notare eventuali imprecisioni ed aiutandomi a riempire i vuoti.
«Naturalmente ci saremmo anche Brittany ed io e potremmo essere… Sì, cheerleaders, insieme alla Fabray! Ci chiamerebbero la Unholy Trinity, senza dubbio…»
Passarono ore, durante le quali, scolando le diverse birre preparate per la partita, iniziammo tutti e sei a progettare i colpi di scena più assurdi, inserendo come personaggi vecchi amici e conoscenti che non sentivamo dai tempi della scuola.
«Il direttore del club dovrebbe essere per forza Mr Schue!» intervenne Hudson, quando iniziammo a domandarci quali adulti dovessero avere un ruolo di spicco.
La situazione degenerò sempre più con il nostro diventare brilli.
Erano le due e mezza di notte quando ci staccammo, a fatica, dal frutto del nostro lavoro. Avevo la testa pesante e mi sentivo destabilizzata. Ci eravamo nutriti di alcol e delle patatine che Sam aveva portato come snack per la partita, non eravamo, dunque, carichi di energia.
Fui costretta a chiedere a Kurt di telefonare a Britt per non rischiare di farle capire quanto non fossi in me. La mia bionda venne a recuperarmi in moto e dovetti dare fondo a tutte le mie forze per non cascare per terra durante il tragitto verso casa. Sottobraccio tenevo ben protetto l’ “Untitled Santana Lopez Project”.
«Vi siete dati proprio ai bagordi, eh?» ridacchiò Brittany, aiutandomi a salire le scale fino all’appartamento «Cosa avete combinato? La partita non era domani?»
Non ero in grado di spiegarle tutta la storia, così mi limitai ad allungarle i fogli, biascicandole di leggerli.
Lei li osservò con calma, ridacchiando ogni tanto. «Mi piace essere la bionda un po’ tonta che ancora crede in Babbo Natale. Come ti è venuto in mente?»
«È un’idea di Blaine» articolai con estrema difficoltà «Spero vada bene…»
«Sì, certo! Lo adoro! Ma… Io e te alla fine saremo una coppia anche in questa versione?»
«Certo» risposi «Le anime gemelle devono stare insieme in tutti gli universi… Saremmo sposate anche lì.»
«Sannie» mi ricordò, con una nota dolce nella voce «Noi non siamo sposate, non c’è neppure stata la proposta.»
«Non ancora…» bisbigliai, abbandonandomi tra le sue braccia, vinta dal sonno «Non ancora…»
 
Mi ripresi che ero nel letto, mezza avvolta dalle coperte. Strabuzzai gli occhi e mi tirai su. Accanto a me, Brittany dormiva placidamente, con le mani strette attorno ad un paio di fogli.
«Tesoro…» mormorai «Che cosa è successo?» domandai, notando il resto del mio progetto sparpagliato sul pavimento.
La Pierce mi ignorò, continuando a riposare.
Gettai un occhio all’orologio che tenevo sul comodino, scoprendo che erano già le sei del mattino. Io dovevo pur sempre andare a lavorare entro le nove e dovevo ancora fronteggiare i postumi della bevuta.
«Britt» ritentai «Che hai combinato con il mio show?»
Non ricevendo risposta, le schiusi leggermente le dita e sfilai le preziose pagine dalla sua presa. Non erano state scritte da me.
«Ah, ti sei data allo show business anche tu?» commentai «Vediamo come te la sei cavata…»
Scorsi velocemente i fogli, sembravano una scena già scritta, pronta per essere girata.
Mi spuntò il sorriso sulle labbra. Brittany, davanti a tutti gli altri personaggi radunati nella sala prove del Glee, chiedeva la mano di Santana.
«Eh, no, non è così che dovrebbe andare» dissi, cercando freneticamente una penna nel cassetto del mio comò «Molto meglio così:» continuai scribacchiando «“Brittany S. Pierce, mi vuoi sposare?”»
La bella addormentata al mio fianco sembrò non udire quelle parole, ma le sue dita si allungarono verso di me e subito lasciai che si intrecciassero con le mie.
Guardai la mano di Britt, così delicata, pallida, fragile, sembrava quasi spoglia. All’improvviso mi sembrò che fosse incompleta senza un anello.
Alle sette uscii di casa, dopo aver raccolto e nascosto tutte le pagine del “Project”, e guidai per la città, arrivando al parco in cui feci una breve passeggiata.
«Devo farlo» mi dissi «Non posso perdere tempo.»
Arrivai in ufficio in orario, ma subito dissi al mio stagista che mi sarei dovuta assentare per un po’ e non gli lasciai modo ribattere, fiondandomi fuori dalla porta prima che potesse dissentire.
Non fu difficile trovare una gioielleria, ma fu tutt’altro che facile trovare l’anello giusto: ero incerta sulla misura, sul materiale, sulle eventuali pietre da aggiungere. Alla fine optai per un semplice cerchio in oro bianco con un brillante. L’esasperato commesso del negozio fu raggiante nel vedermi uscire dopo avergli lasciato un assegno con una cifra colossale.
Non riuscii ad aspettare. Tornai a casa, trovandola vuota. Sapevo che Britt sarebbe stata fuori per alcune commissioni, ma non era lei che stavo cercando.
Recuperai l’ “Untitled Santana Lopez Project”, utilizzandolo per nascondere la scatolina scarlatta che avevo appena acquistato.
«Giuro, se mi dice di no spedisco questa roba a qualche network, magari alla Fox, e ci faccio i miliardi. Così rimpiangerà di aver rifiutato la produttrice del più grande successo televisivo di tutti i tempi.»
Come frase, suonò piuttosto ridicola alle mie orecchie. Per quanto potessi essere acida, intrattabile, presuntuosa e, alle volte, davvero insopportabile, Brittany avrebbe sempre visto il meglio di me, perché lei mi rendeva migliore.
Non sapevo se sarei riuscita ad aspettare fino al 10 Luglio, nella lontana, magica, terra spagnola per farle la fatidica domanda, ma ormai avevo cominciato a rimuginare su quell’idea e non potevo tornare indietro.
«Vorrà dire che sarò paziente» mormorai tra me e me, dando un’ultima sistemata alle pagine del mio prezioso “Project” «Tanto noi lo sappiamo, mio alter ego di un altro universo, quelle bionde mozzafiato sono le nostre anime gemelle e il nostro unico destino possibile.»


NdA: Con le grandi, gloriose, magnifiche notizie portate dal promo di settimana scorsa (che in realtà ha solo confermato quanto già sapevo, ma è stato bello avere almeno una certezza nella vita) ecco che la mia mente decide di partorire questa "Gleenception", se così possiamo chiamarla. In tutta onestà avevo altre idee per ulteriori OS da aggiungere al corredo di "Your Spanish Lullaby", ma ho deciso di dedicarmi a questa presa dall'euforia del momento. Se state leggendo qui e siete tra coloro che sono ancora all'oscuro di tutto... Non so che dirvi, complimenti per il coraggio e spero di non avervi spoilerato troppo. Ora mi ritiro nuovamente in trepidante attesa per l'episodio di domani. Alla prossima e ricordate gente: "Brittana is on, bitches!"

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Capitolo 9
*** The nerd and the surfer, who's also a nerd ***


THE ECHO OF YOUR SPANISH LULLABY
 
Avvertimento: si consiglia di aver letto prima la fanfiction a cui questa raccolta fa riferimento. QUI il link diretto al primo capitolo.

The nerd and the surfer, who’s also a nerd
 
[Dal capitolo tredici di “Your Spanish Lullaby”]
«Britt» disse fissandomi con le sue bellissime iridi scure «A volte neppure con il canto sono in grado di esprimere tutto l’amore che provo per te, ma forse non è con le parole che dovrei provare a spiegarmi.»
Si inginocchiò e come ogni volta, nonostante in quel caso avessi capito benissimo cosa aveva intenzione di fare, il mio cuore mancò un battito per la sorpresa.
«Brittany, sei stata tanto coraggiosa da sopportarmi per sette lunghi anni, con alti e bassi, certo, ma non hai mai provato a fuggire. Tu mi infondi coraggio, mi doni speranza e ogni volta che mi permetti di amarti mi sembra di ricevere il più bello dei regali possibili. Perdermi nei tuoi occhi mi fa dimenticare ogni problema e ogni preoccupazione, perché finché ti avrò al mio fianco sono certa che tutto si sistemerà.»
Sentii le lacrime pungermi agli angoli degli occhi.
«Per questi e mille altri motivi non posso più aspettare, per cui riprenderò la formula più classica: Brittany Susan Pierce» continuò porgendomi una scatolina «Vuoi diventare mia moglie?»
Quello fu un altro dei momenti in cui il mio cervello si scollegò completamente. «Sì, Santana, è tutto quello che ho sempre desiderato» urlai, gettandomi su di lei.
Rotolammo a terra e la strinsi forte.
«Britt, per le mutande di Merlino! Mi hai fatto cadere l’anello!» gridò preoccupata.
Passammo i successivi dieci minuti a cercare il sacro gioiello e quando finalmente me lo mise al dito potei riprendere quello che l’allarme aveva interrotto.
La baciai come se fosse ancora la prima volta.
Non potevo credere a quanto fossi fortunata. Lei mi aveva appena chiesto di essere sua per sempre e io non potevo desiderare nulla di più, perché lei era perfetta, migliore di qualsiasi fantasia. Era reale.
Ed era mia, mia soltanto.
 
Rimirai l’anello alla luce della luna, era davvero bellissimo. «Da quanto me lo tenevi nascosto?» domandai, senza smettere di fissare il brillante.
«Meno di quanto pensi» rispose evasiva.
«Sannie…» mormorai «Da quanto?»
«Da un po’» ammise tenendo lo sguardo basso.
«E hai organizzato tutto questo nei minimi dettagli per me?» chiesi.
«Sai che non rinuncerei mai alla possibilità di mettere in atto un macchinoso progetto» gongolò, prendendomi la mano.
Restammo ad osservare l’orizzonte per diversi minuti, poi, come in un deja vu, udii una melodia familiare risuonare vicino. «Eh, no, non ancora» commentai «Me l’avete già cantata prima!» Ma il resto della compagnia non mi diede ascolto, intonando “Bella Notte”.
Nonostante gli anni passati, mi sembrava di essere ancora la stessa ragazza ingenua che si era presa una cotta per la misteriosa surfista incontrata per caso in un giorno di pioggia. Guardai Santana mentre la canzone proseguiva e sorrisi. Quell’affascinante e sfuggente latina che il destino aveva spinto tra le mie braccia era la mia anima gemella, lo avevo sempre saputo.
«Allora, è fatta?» vollero sapere i nostri amici.
«Le ho detto di no» annunciai, sconvolgendoli «Ritengo che non si sia impegnata abbastanza per guadagnarsi il privilegio di dividere con me il resto della sua esistenza.»
«Sei sempre stata una pessima bugiarda» mi smascherò immediatamente Quinn «Hai l’anello al dito.»
«Oh, questo?» dissi con noncuranza «È solo una patacca comprata al negozio di souvenir vicino al vecchio “La oca loca”.»
«Bada a come parli» mi rimproverò San «Quella “patacca” vale quasi quanto l’affitto annuo del nostro appartamento.»
«Allora sarebbe ora di trovare un posto migliore in cui vivere» ironizzai.
«Aspetta di tornare negli States» ribattè misteriosa.
Sgranai gli occhi e balbettai: «Hai già pensato ad acquistare casa?»
«Lo avrei fatto, se tu avessi accettato la mia proposta.»
«Beh, stando così le cose…» sogghignai «Forse posso riconsiderare la mia risposta» conclusi, prima di baciare ancora una volta la mia futura moglie.
«Adesso basta» ci separò a forza Puckerman «Mi sembra di vedervi sempre e solo a succhiarvi la faccia a vicenda. Siete peggio di quei cosi incappucciati di Harry Potter.»
«Dissennatori, Puck, si chiamano Dissennatori» lo informò Sam.
«Sul serio? Non erano Nazfal o qualcosa di simile?» continuò Noah, ben sapendo quanto tutti noi ci arrabbiassimo quando mischiava diversi libri e film, storpiando i nomi.
Dovetti fermare Santana dal saltargli al collo perché era la ventesima volta che doveva spiegargli la differenza tra i guardiani di Azkaban e i Nazgul, tratti invece dal Signore degli Anelli.
«Tesoro, non istigare questo branco di nerd» intervenne Q. «Ricorda che sono più di noi e se ti mordono durante una notte di luna piena ti trasformeranno in uno di loro.»
«Ah ah ah» risi in modo sarcastico «Siete simpatici come la Umbridge.»
«Chi, scusa?» domandò Rachel.
«La futura versione di te stessa, nana» tagliò corto la Lopez.
«Una maniaca del controllo, con la fissa del rosa e dei gattini» le spiegò brevemente Kurt.
«Come!?» urlò la Berry «Santana, come osi!?»
«Calma, Rach, calma» si mise in mezzo Finn «Conta fino a cento o canticchiati in testa qualche canzone della Streisand. Sono certo che San lo abbia detto solo per fare dell’umorismo, vero?»
La mia fidanzata fece finta di niente fino a che io non le tirai una gomitata, allora si decise a bofonchiare: «Certo, era solo per fare una battuta.»
«Visto? Avresti cominciato una faida per un po’ di humour» riprese Hudson «Dovresti rilassarti di più, cara.»
«Non credere che prendere le mie parti in una discussione basti a sistemare i nostri problemi» replicò l’ebrea «Sono ancora arrabbiata con te, anche se non ricordo bene per quale motivo.»
«Ragazzi» si fece sentire Blaine «Non è il caso di rovinare questo momento speciale con i vostri battibecchi. Questa è la notte di Britt e Santana.»
Concordammo tutti, risolvendo ogni possibile controversia con un abbraccio di gruppo.
«Adesso dobbiamo assolutamente fare una foto tutti insieme, proprio come durante l’originale Bella Notte!» esclamai.
«Non ricordo di nessuna fotografia» osservò Hummel «Ah, aspetta» sembrò rammentare all’improvviso «Quella fatta dopo i tappeti elastici! Giusto!»
«Precisamente.» Avevo chiesto ad un passante di farci uno scatto appena eravamo scesi dall’attrazione. Eravamo tutti con i vestiti stropicciati e i capelli in disordine, ma avevamo i visi distesi e gioiosi, era una delle foto a cui tenevo di più, anche perché era una delle poche in cui eravamo tutti insieme.
Fermammo un passante e gli chiedemmo di realizzare lo scatto. «Sette anni » dicemmo tutti in coro, invece del classico “cheese”.
«E adesso manca solo la nostra sacra usanza e anche per quest’anno la Bella Notte sarà stata onorata» commentò Noah «Dove troviamo dell’alcol in questo posto?»
«Proviamo al chiosco delle granite, magari hanno una bottiglia di qualcosa» suggerì Sam.
In effetti il proprietario aveva un pacco da sei lattine di birra nascosto dietro il bancone, ma a livello teorico non gli era concesso vendercele. Per tale ragione San, con il suo fluente spagnolo, lo convinse a venderci un enorme bicchiere pieno di ghiaccio tritato, ma invece degli aromi fruttati, alla miscela fece segretamente aggiungere il contenuto di una delle lattine.
«Non è il solito drink» ci spiegò «Ma almeno è decisamente originale.»
Con un sorso a testa, la granita speciale finì in pochissimo tempo, poi ci fermammo ancora un’oretta ad osservare Donostia dall’alto, ricordando i bei momenti che avevamo trascorso e le decine di cose che ancora volevamo fare nei tre giorni che ci restavano prima del rientro a Lima.
Tornammo in hotel quando le nuvole si radunarono coprendo la luna e minacciando nuovamente pioggia.
Più tardi quella notte, mi ritrovai a fissare il soffitto della camera ad occhi spalancati nel buio. La mia fidanzata riposava tranquilla al mio fianco, abbracciando la coperta che mi aveva impunemente rubato.
Non riuscivo a smettere di pensare a quando, tanto tempo addietro, in un letto simile, avevo comunicato a Quinn l’idea di propormi a Santana con un anello acquistato dopo un’interminabile contrattazione con un gioielliere spagnolo. Certo, all’epoca stavo scherzando, presa dall’euforia di averle rubato un bacio dopo l’esilarante emergenza, per la quale dovevo ringraziare Rachel.
«Perché non dovrei farlo? Dove c’è scritto che debba essere solo una di noi due a fare la proposta?» dissi a me stessa «Non è giusto... Basta, è deciso: le farò anche io la fatidica domanda.»
«Britt» si lamentò la latina «Stai di nuovo parlando nel sonno? Ho lasciato i tappi a casa, ti prego, taci.»
Le diedi un bacio sulla guancia e mi ridistesi, cercando di prendere sonno. «Non hai sentito nulla di quello che ho detto, vero?» chiesi dopo un po’.
«Non ho ancora giurato di restare con te per tutta la vita» rispose, ignorando la mia domanda «Quindi se non la smetti di blaterare esco da quella porta e non mi rivedrai mai più. Voglio dormire.»
«Antipatica, ne saresti davvero capace» sbuffai, mettendo il muso.
«So che stai facendo quell’adorabile smorfia di quando ti arrabbi» mormorò «Forza, vieni qui.»
Lasciò che prendessi un lembo di lenzuolo e sgusciai al caldo, appiccicandomi a lei.
«Hai i piedi freddi» si lagnò.
«Me lo dici tutte le volte, non è colpa mia se ho una cattiva circolazione… Ma tanto c’è il tuo caliente corpo latino a scaldarmi.»
Potei scorgere il suo sorriso nell’oscurità. «Dai, amore, dormiamo. Blaine e Sam hanno organizzato un giro non so più dove per domani e dobbiamo assolutamente essere riposate.»
«Tecnicamente è già domani, dato che sono le due passate» replicai.
«Questa battuta era di Lady Hummel» disse San «L’aveva pronunciata la prima sera dopo il karaoke.»
«In realtà era stato poco prima di “spin the bottle”» le feci presente «Quello sì che era stato un modo adulto e divertente per fare conoscenza.»
«Devo ammettere che mi aveva un po’ ingelosita vederti baciare la Fabray» mi confidò «Invece quando sei toccata a Kurt ho trattenuto a stento le risate.»
«Tu quella volta ne eri uscita con le labbra intoccate, la bottiglia doveva proprio odiarti.»
«Poco importa, almeno mi ha permesso di comprendere le dinamiche all’interno del vostro gruppo… E mi ha aiutato a farmi un’idea della bella bionda con gli occhi di cielo che tanto mi interessava.»
«La solita adulatrice» replicai.
«Tanto lo so che adori essere riempita di complimenti» sogghignò.
«Vero.»
«E quelli che ti faccio io sono sempre i migliori» continuò.
«Ancora vero.»
Passò un momento di silenzio, poi pronunciò una frase che non mi aspettavo: «Tu mi ami. Vero o falso?»
«Ti sembra il momento di citare “Hunger Games”?»
«Vero o falso?» ribadì.
«Vero.»
Non avevamo più altro da dirci e ci abbandonammo al sonno l’una nelle braccia dell’altra.
Il mattino seguente decisi di dirottare i piani degli ex-alunni del Morgenstern per poter realizzare il mio personale progetto. Avevano organizzato un viaggio fino a Pamplona, ma suggerii loro, in alternativa, di tornare a surfare, cosa che ormai Kurt e Santana non facevano da tempo. Ricordai loro della bella spiaggia in cui eravamo stati qualche giorno dopo la Bella Notte e alla fine i tre surfisti decisero di concedersi un tuffo nel passato. Presero una delle automobili che avevamo noleggiato, passarono in un negozio per affittare mute e tavole e partirono all’avventura, accompagnati da Blaine.
«E così restarono solo i ragazzi del McKinley» commentò Finn.
«Proprio come volevo» ghignai «Così potrete venire con me per l’acquisto più importante della mia vita.»
L’unica a comprendere le mie intenzioni fu Quinn, che mi chiese prontamente: «Hai un dizionario o un traduttore?»
«Dah» risposi, sfoderando un tascabile «Forza, andiamo.»
La scena si svolse esattamente come l’avevo immaginata: entrai trionfante, con tutta la classe che i miei abiti informali e le infradito mi permettevano, in una gioielleria di classe, suscitando stupore tra i dipendenti.
«Se non ricordo male un anello di fidanzamento dovrebbe venire a costare quanto due settimane di stipendio… O forse erano due mesi?» cercò di aiutarmi Hudson, non facendo altro che confondermi.
«Visto quanto guadagni da insegnante è già tanto che tu non mi abbia regalato un anello preso da un sacchetto di patatine» si lamentò sua moglie «Non avresti mai potuto permetterti uno di questi affari lussuosi.»
Mi si avvicinò Puck, mentre i Finchel ripiombavano nell’ennesima discussione, tenuti a bada da Quinn.
«Pierce, sei proprio sicura di essere pronta? Le uniche parole che la vita ti concederà di pronunciare da questo punto in avanti saranno “Sì, cara” oppure “Come vuoi tu, cara”.»
Ridacchiai. «Solo perché Q. ti ha ridotto alla stregua di un cagnolino non vuol dire che a me andrà allo stesso modo. Mi basta fare gli occhi dolci per vincere qualsiasi discussione con San.»
«Allora questo discorso dovrei farlo a lei, povera donna. Come l’è venuto in mente di impegnarsi sulla lunga distanza? Di solito con la crisi del settimo anno la gente si lascia, non si sposa.»
«Invece di tentare di dissuadermi, Noah» lo riportai con i piedi per terra «Perché non mi dai una mano a scegliere?»
«Fammi vedere cosa ti ha preso la latina.»
Mi sfilai l’anello e glielo porsi. Lo osservò con attenzione, se lo rigirò tra le dita a lungo, fece persino finta di addentarlo per verificare l’autenticità dell’oro. «Il classico pegno di fidanzamento: oro bianco, un bel diamante. Roba da almeno tremila dollari.»
Spalancai la bocca, non riuscendo a contenere lo shock. «Sul serio? Così tanto?» balbettai.
«Che ti aspettavi da Santana? Fa l’avvocato, ha uno stipendio che io, addestrando reclute, me lo sogno, per non parlare del gruzzolo messo da parte negli anni del surf e del patrimonio dei suoi genitori. Praticamente stai per giurare eterno amore alla Banca di Spagna.»
«Lei è mezza messicana e mezza portoricana…» puntualizzai.
«E cosa cambia? Se ti fa piacere allora stai per sposare l’ereditiera di un tesoro azteco. Suona meglio?» ironizzò.
«È un caso che tu abbia scelto proprio il popolo sterminato da Cortés e i suoi Conquistadores?»
«Ma perché stiamo a discutere di queste cretinate?» cambiò argomento l’ebreo «Forza, tira fuori il dizionario e chiedi a uno di quei tizi che ci guardano male di mostrarti i loro gioielli migliori.»
«Posso aiutarvi signori?» domandò una giovane donna, avvicinandosi a me e Puck.
«Parla inglese? Che fortuna» sospirai, ributtando il tascabile dentro la borsa, intenzionata a lasciarlo lì a marcire per il resto dei miei giorni.
«Il signore sta cercando un anello per la bella fanciulla?»
Mi sentii lusingata, ma scossi la testa e Noah mostrò la fede all’anulare. «Già incastrato» commentò.
«Sono qui perché devo propormi alla mia ragazza» esposi.
La commessa allungò il collo per osservare Quinn che, alle mie spalle, ancora cercava di placare i coniugi Hudson.
«Non è la bionda» chiarii.
«Quella è mia moglie» si intromise Puck, gonfiando il petto.
«E non è neppure la brunetta, che è sposata con l’uomo con cui sta litigando. La mia promessa sposa non è con noi, ma ci siamo conosciute qui a Donostia» finii di spiegare.
«Vuole dire che sta per proporsi a qualcuno che ha appena incontrato?» domandò confusa.
«No, no» mi affrettai ad aggiungere «Ci siamo conosciute qui, ma sette anni fa.»
«Ah, allora è tutto chiaro» replicò la povera impiegata, probabilmente più farci piacere che per altro «Quindi come posso esservi utile?»
«Dia un’occhiata a questo e mi dica con cosa sarebbe appropriato fare una “controproposta”» dissi, porgendole il mio anello.
Lei mi fissò sconcertata.
«Teoricamente la mia bella mi ha già chiesto di sposarla, ma voglio avere anche io la possibilità di farle la domanda» esplicai prima di sospirare. Non avevo idea che il mio giro in gioielleria si sarebbe rivelato tanto sfiancante.
La ragazza annuì, chiaramente intenzionata a non indagare oltre. Esaminò il gioiello e confermò quanto stimato da Puckerman.
«E io dove li trovo tutti quei soldi?» borbottai tra me e me «Non mi posso permettere uno di questi aggeggi…»
«Banca di Spagna, tesoro azteco» mi fece eco Noah «Non dovrai più preoccuparti dei soldi, dai. Per una volta fai una spesa pazza.»
Strinsi la carta di credito che tenevo in tasca e digrignai i denti. Avevo sempre insistito per pagare la mia parte di spese, pur essendo a conoscenza dell’ampia disponibilità economica della mia compagna. Quel colpo avrebbe potuto mandare definitivamente in rosso il mio conto.
«Rosso…» sussurrai. Mi piaceva come colore e si addiceva all’animo di San. All’improvviso mi ricordai che Valerie, la preziosa tavola, poteva essere uno spunto d’ispirazione: bianco luminoso con decorazioni scarlatte. «Avete qualcosa in oro bianco con un rubino?»
«Un rubino!?» esclamarono tutti.
«Non è la scelta più consueta» mi informò uno degli altri gioiellieri, che doveva sapere qualche parola d’inglese «Di solito si preferiscono i diamanti.»
«Io invece voglio un rubino» ribattei «Il più bello che avete.»
Mi fu presentato un gioiello bellissimo: la montatura era intrecciata, ma sottile, sormontata da una lucida pietra rossa circolare.
«Quanto verrebbe a costare?» ebbi timore a domandare.
«Duemila cinquecento euro» mi rispose la commessa. Era meno di quanto temessi.
«Venduto.»
Quinn e Rachel strabuzzarono gli occhi, mentre Puck e Finn cercavano di farmi riflettere. C’erano altri anelli molto belli a prezzi più ragionevoli, ma io ormai avevo messo gli occhi su quello.
«Non voglio perdere altro tempo» stabilii «Accettate carte straniere?»
Uscii con l’animo e il portafoglio più leggeri.
«Tu non ci stai con la testa» commentò la Fabray «Ho sempre saputo che eri un po’ fuori, ma questo è davvero la decisione più assurda che ti ho mai visto prendere.»
«Q, sapevi che dovevo farlo. Erano sette anni che lo sognavo!» mi difesi.
«Mi ricordo bene di quella notte… Ancora non mi sembra vero che la tua fantasia si sia effettivamente avverata.»
«Ma non del tutto, non ho fatto la proposta» le rammentai «Ieri Sannie ha dato il meglio di sé, ma io non intendo essere da meno.»
«Che cosa frulla in quella tua disorganizzata testolina bionda?» domandò Noah, sorridendomi.
«Lo scoprirai.»
 
Il quartetto del Morgenstern rientrò a San Sebastian nel tardo pomeriggio, come mi aspettavo. Lasciai che ci raccontassero di come era stato bello tornare a surfare insieme dopo tanto tempo. Blaine aveva fatto alcune fotografie. Il soggetto della maggior parte, come ci si poteva aspettare, era Kurt, ma aveva anche reso giustizia alla mia ispanica che sembrava essere tornata la diciannovenne che si dedicava anima e corpo alla tavola. Naturalmente non mancavo scatti di Evans, che, ormai abituato alle telecamere, appariva come un modello pronto per una pubblicità.
Restammo in albergo fino a sera tardi, quando, di comune accordo, riproponemmo una gita al punto panoramico che tanto ci stava a cuore. Santana, probabilmente, iniziò a sospettare qualcosa, ma non lo diede troppo a vedere. Ero certa che l’avrei sorpresa come non mai.
Dopo il tratto in auto, ripercorremmo il tragitto della sera prima. Il cielo era limpido, stranamente, ma mi piaceva poter godere della luce lunare invece che essere immersa nella solita oscurità.
San, per quanto possibile, non mi staccava gli occhi di dosso. Aveva intuito che stavo architettando qualcosa, era chiaro, ma avrei comunque trovato il modo di sorprenderla.
Dovette restare molto delusa quando discendemmo dal promontorio senza che fosse accaduto nulla di spettacolare e, come lei, anche il resto del gruppo, che ben sapeva che intenzioni avessi.
«Che ti aspettavi?» dissi con noncuranza «Volevo godermi di nuovo la vista di Donostia con il cielo stellato.»
«Certo…» replicò poco convinta.
«Su, la notte è ancora giovane. Potremmo fare una passeggiata sul lungomare!» proposi, subito supportata da tutti.
Abbandonammo i veicoli a lato della lingua di sabbia e ci lanciammo a piedi nudi verso l’oceano. Dopo aver lasciato qualche impronta là dove si spingevano le onde più forti, proseguimmo per un breve tratto costeggiando la distesa d’acqua.
Era tutto come allora: i Finchel, incredibilmente in pace, e i Klaine si tenevano per mano, dandoci le spalle. Sam era vicino a me e alla latina, seguito da Puckerman e signora.
Mi fermai dopo qualche minuto e mi lasciai cadere in ginocchio.
«Ah, controproposta!» esclamò subito Santana, credendo di avermi colta sul fatto.
«Come, scusa?» domandai, rialzandomi «Mi era caduta una moneta dalla tasca» continuai mostrandole un euro.
Lei rimase sconcertata, era certa di avermi beccata.
«Se avessi dovuto organizzare qualcosa, lo avrei fatto in modo molto più spettacolare, non trovi?» la stuzzicai.
Continuò a restare interdetta.
«Forza, torniamo alle macchine o finiremo per addormentarci sulla sabbia» stabilii dopo un altro tratto di strada.
Per la seconda volta i miei amici si chiesero come mai non avessi colto quell’occasione per fare la domanda, ma io sapevo che non era ancora il momento giusto.
Li trascinai, una volta raggiunto il centro della città, al vecchio “La oca loca”.
«Ah!» esultò l’ispanica «Mi sembra giusto andare nel luogo dove ci siamo ufficialmente conosciute per…»
«Sei fuori strada» sogghignai.
Entrammo nel locale e i miei otto amici rimasero decisamente sconvolti. Avevo speso quasi tutto il credito sul mio telefono e avevo dovuto fare una ricerca di diverse ore per rintracciarlo, ma alla fine ci ero riuscita: Miguel Muñoz, l’ex proprietario del Kursaal Hotel, ci salutò con il suo affascinante sorriso.
«Mi siete mancati, chicos» cominciò «Di gruppi simpatici come il vostro se ne vedevano pochi, sono davvero felice di ritrovarvi qui.»
Rimanemmo a parlare per un’oretta, raccontandogli quanto avevamo fatto in quegli anni e lui ci spiegò, con un’espressione amara, di come aveva chiuso la propria attività. Per scacciare il velo di tristezza, gli riproponemmo di cantare con noi, dato che la prima volta aveva declinato.
«Sarebbe un piacere.»
Fu divertente e mi sentii orgogliosa per aver reso felice non solo il gruppo di miei compari, ma anche un uomo che aveva così riscoperto un po’ di gioia e vitalità.
Restammo ancora a parlare fino a che non fu notte fonda, poi rientrammo al nostro albergo, facendoci promettere da Miguel che sarebbe venuto, per par condicio, a trovarci almeno una volta a Lima.
Nella pacifica intimità della nostra camera d’hotel, Santana mi espresse il proprio disappunto: «Per essere la sorella di Ashley, la miglior amica di Puck e la mia fidanzata, mi aspettavo da te qualcosa di esaltante, tipo una controproposta.»
«Ti ho delusa?» chiesi, mentre finivo di svestirmi.
«No, non ho detto questo… Ma mi immaginavo che avresti, non so… Organizzato uno spettacolo di fuochi d’artificio, o magari una scritta nel cielo, un delfino parlante…»
Ridacchiai. «Io direi che hai bisogno di dormire, tesoro, stai iniziando a delirare, peggio della sottoscritta.»
«Non posso darti torto» concordò, piantando il volto nel cuscino.
«San» la richiamai «Non stai per caso scordando qualcosa?»
Si risollevò e scosse la testa. «Giusto, la ninnananna.»
La ascoltai con la solita adorazione ed osservai il suo viso stanco distendersi mentre intonava la nostra melodia.
«Sannie» la interruppi poco prima della fine «So che avresti voluto qualcosa di unico, inimitabile e spettacolare, ma per me non c’è nulla che risponda a tali caratteristiche più della donna che amo e della canzone che lei ha composto per me.»
«Lo sapevo…» bisbigliò, mentre una lacrima le scivolava lentamente lungo la guancia sinistra.
«Quindi è qui, in questo anonimo angolo di mondo, che voglio farti la mia domanda, perché l’importante è che ci sia tu. Santana Lopez, vuoi cantarmi questa ninnananna per tutte le notti che la vita ci permetterà di trascorrere insieme?»
Tirai fuori l’anello da sotto il cuscino e glielo mostrai.
Mi fissò con gli occhi pieni di lacrime di gioia. In fondo, anche se non lo avrebbe mai ammesso, non aspettava altro che fossi io a chiederle di sposarla.
Attesi con impazienza il suo “sì”, che sembrò arrivare dopo un’infinità, poi le misi al dito il gioiello, bisbigliando: «Goditelo finchè puoi, perché appena rientriamo a Lima vado ad impegnarlo altrimenti non mi restano i soldi per l’affitto.»
«Non ti dovrai più preoccupare di simili inezie» mi rispose «Te l’ho detto, ho provveduto in altro modo. Non vedo l’ora di farti vedere la nostra bella villetta, arredata con l’aiuto delle Sannie’s Angels.»
«Q, Rach e…?»
«Lady Hummel, ovviamente! Che, tra l’altro, si è proposto per fare anche da wedding planner» continuò.
«Avevi già in mente una data?»
«Anche subito» replicò «Ma mettiti qualcosa addosso, non vorrei mai che Spazzolone, Trouty o Perticone vedessero più del necessario.»
Ignorai il suo umorismo e tornai seria per un momento: «Non ho fatto altro che sognare di essere tua moglie per i passati sette anni, direi che prima lo facciamo, meglio è. Quanto pensi che ci vorrebbe per mettere in piedi una cerimonia accettabile?»
«Mh, non saprei… Un mese? Sei settimane?»
«Sei settimane vanno più che bene» stabilii.
«Io scherzavo» commentò la latina.
«Sulla data o sul volermi sopportare per il resto della vita?» la punzecchiai.
«Molto spiritosa… Ma, sul serio, non credo che Hummel gradirà così poco preavviso.»
Sbuffai, prima di ricorrere ai miei infallibili “occhioni supplichevoli”.
«Ti odio, lo sai?» brontolò Santana.
«E tra sei settimane potrai giurarlo davanti al mondo intero» conclusi, abbandonandomi su di lei.
«Oh, Britt, come farei senza di te?» mormorò tra un bacio e l’altro.
«Ti prometto che non dovrai mai dare risposta a questa domanda. Io resterò con te, per sempre.»
 
Mercoledì 21 Agosto 2019, una data da segnare sul calendario.
Come era ovvio aspettarsi, Kurt fu decisamente scocciato dall’avere a disposizione solo una quarantina giorni per organizzare il tutto.
«Devo trovare la giusta location, spedire gli inviti, scegliere il menu per il rinfresco… I vestiti, i fiori, la musica…» Questa fu la litania che si ripetè durante tutto il viaggio di ritorno negli Stati Uniti e che continuai a sentire anche per tutto il mese successivo.
I miei futuri suoceri si occuparono di affittare un salone per cerimonie poco fuori città e ingaggiarono il più costoso servizio di catering dello stato. «Solo il meglio per la mia Santana» tuonò Iñigo Lopez quando fu informato delle nostre imminenti nozze «Visto che come consorte ha già scelto il meglio, io posso fornire il resto.»
Non avevo un profondo legame con i signori Lopez, ma mi avvicinai molto a loro durante quel breve periodo. Cosa più importante, Maribel e mia madre, che fino ad allora si erano viste praticamente solo a qualche cena o pranzo per le festività, iniziarono a frequentarsi come fossero amiche da una vita, mentre i nostri padri, scopertisi entrambi tifosi di football, cominciarono ad andare alle partite insieme.
Ero contenta che le nostre famiglie avessero un così buon rapporto, ma io ancora dovevo essere ufficialmente presentata alla parte del ramo propriamente “Lopez”. Durante una delle estati passate avevo accompagnato San a Puerto Rico ed avevo conosciuto il ramo materno, ma i parenti messicani, capitanati dalla famosa abuela, erano per me un mistero.
«Non ti perdi niente. Ci sono una quindicina di cugini rompiballe, qualche zio bigotto e la regina dei conservatori e probabilmente capo di qualche banda criminale, meglio nota come abuela Alma Lopez» mi spiegò Santana «Non so neppure se si degneranno di rispondere all’invito.»
Tolti i vari parenti, a presenziare alla cerimonia ci sarebbero stati, naturalmente, i nostri amici, qualche vecchio compagno del liceo e dell’università e pochi colleghi di San. Tutte le partecipazioni furono confermate in brevissimo tempo, così il wedding planner potè mettersi subito all’opera per soddisfare la leggera smania di controllo che si era manifestata in previsione della cerimonia.
Fu sempre Kurt ad accompagnarmi a scegliere l’abito, ma volli presenti anche gli altri ragazzi, che dovevano solo confermare quanto fossi bella e desiderabile in abito bianco. Quinn e Rachel, scelti i loro completi da damigelle, agirono da fedeli “Angels” trascinando Santana da una boutique all’altra per trovare qualcosa che non fosse “troppo”, ma neppure “troppo poco”. Sapevo quanto potesse essere incontentabile la mia amata, per cui le mie amiche ebbero tutta la mia più sincera compassione.
Mi divertii moltissimo, in seguito, ad aiutare i maschi nella ricerca dei loro abiti da cerimonia. Hummel vietò loro di rindossare i completi utilizzati per le nozze passate, provocando una folle corsa dell’ultimo minuto per trovare qualche abito di occasione, anche a noleggio, che fosse accettabile per un matrimonio.
Ashley sarebbe stata la damigella d’onore, come aveva sempre segretamente sperato, designare il secondo testimone fu più difficile. La scelta più ovvia ricadeva su Finn, Puck, Blaine o Sam. Il biondo e l’ex quarterback si tirarono indietro, con la scusa di non essere in grado di preparare un discorso decente per il brindisi.
Io avrei volentieri concesso ad Anderson l’onore di essere il nostro “best man”, ma, con una punta di nostalgia, mi tornò in mente quando Noah aveva improvvisato il piano di duplice conquista durante la magica estate e, allo scoprire che anche l’ispanica abitava a Lima, aveva esclamato: «Mi hai decisamente sconvolto! Posso fare da testimone di nozze?» Come potevo non realizzare il desiderio del Puck di allora?
Il matrimonio in sé fu piuttosto semplice. Ci furono le promesse che avevamo scritto personalmente e che strapparono ben più di lacrima e, senza praticamente comprendere esattamente cosa fosse accaduto, mi ritrovai a stringere la mano a decine di persone che si congratulavano.
«Mogliettina» mi sorprese San dopo che ebbimo ricevuto gli auguri da mio zio Peter, venuto dal Nevada, che si era portato dietro, manco a farlo apposta, uno scatolone di oggetti da lasciare ai miei genitori.
«Cosa c’è, cara?»
«Vorrei presentarti una persona speciale.»
Mano nella mano, ci avvicinammo ad una figura di spalle. Non mi sembrava di averla vista durante la cerimonia e non mi veniva in mente qualcuno sulla lista degli invitati che ancora non avessi conosciuto.
«Brittany, questa è Valerie» disse in tono solenne.
La sconosciuta si voltò e ci sorrise. Capii perché San, da ragazzina, si fosse presa una cotta per lei. Aveva il sorriso più luminoso che avessi mai visto, certo, dopo quello della mia sposa. I capelli castani erano lunghi e ben curati, il viso dall’espressione cordiale con due occhi chiari, simili ai miei. Doveva essere sulla quarantina, ma tutto di lei ispirava giovinezza e vitalità.
«Non ho fatto in tempo ad arrivare per le nozze vere e proprie, ma, come ti avevo promesso, eccomi qui» spiegò Valerie, abbracciando Santana.
«Sono davvero felice di rivederti» replicò la latina «Sono passati troppi anni.»
«Non importa, piccolina» rispose la donna, poggiandole amorevolmente la mano sulla spalla «Ma, piuttosto» continuò squadrandomi rapidamente «Questa è la famosa Brittany! Lasciami dire che sei molto più bella dal vivo che in fotografia.»
Detto ciò mi gettò le braccia al collo come se ci conoscessimo da una vita. Io, un po’ imbarazzata, risposi all’abbraccio, ma subito volli indagare un po’: «Potrei sapere come faceva a conoscermi già?»
«Tesoro, dalle del “tu”» si intromise la Lopez.
«Sì, Brittany, non farmi sentire più vecchia di quello che già sono» ridacchiò «Ho visto alcune tue foto, inviatemi dalla qui presente Santana.»
Dal modo in cui mia moglie arrossì e dalla mia espressione sorpresa, la donna capì che io ero all’oscuro di tutto. «Uh! Ma allora non sa di tutte le cose carine che mi hai detto di lei!» esclamò rivolta all’ispanica «Tanto per cominciare, mi ha sempre spedito gli auguri per le feste e non ha mancato mai di farmi sapere che era felice perché le poteva passare con te» mi confidò, facendo arrossire ancor più San «E poi c’è stata la fotografia. Quella della sua ultima competizione.»
La ricordavo bene. Eravamo state in California per dieci giorni e San, come al solito, aveva sbaragliato la concorrenza, guadagnandosi il primo posto.
«Mi è arrivata la foto di questa bella biondina con un’enorme coppa e la scritta “il mio trofeo più caro e prezioso, insieme all’ultimo premio di surf”, l’ho trovato il commento più carino di tutti i tempi.»
«Sannie!» squittii «Non me lo avevi mai detto! Sei più adorabile di quanto avessi mai sospettato!»
«E ancora non ti ho detto della lista di tue qualità che mi ha fatto per convincermi che eri una ragazza da sposare!» riprese Valerie.
«Adesso basta, per favore» borbottò l’ispanica, rossa come un peperone.
«Ma come!? I matrimoni sono fatti per imbarazzare gli sposi» ghignò la mentore, per poi fare la linguaccia all’alunna.
Mi piaceva quella donna, probabilmente sarebbe stata in grado di rivelarmi più cose su Santana di quante non ne sapessero tutti gli altri presenti.
«Andresti d’accordo con Vivian, senza dubbio. Avreste un milione di battutine da fare» commentò la mia mora, facendo vagare lo sguardo alla ricerca di mia madre.
«Presentamela!»
«Ma’!» la chiamai anche se non riuscivo a vederla, sperando che mi sentisse.
«Cosa vuoi?» domandò, spuntando alle mie spalle senza preavviso, facendomi prendere un colpo.
«Questa è l’insegnate di surf di San» le spiegai «Valerie, Vivian Pierce» feci le presentazioni «Potrebbe sedere con voi per il rinfresco? Non penso conosca qualcun altro.»
«Lieta di conoscerla e di poter mangiare con lei» sorrise la donna, tendendo la mano verso mia mamma.
«Dammi del “tu”, per favore, non farmi sentire più vecchia di quello che già sono» replicò mia madre.
«Visto? Che vi dicevo?» intervenne Santana «D’amore e d’accordo.»
«A proposito di amore… Si dice che da sposati sia meglio… Mi farete avere la vostra opinione, vero?» domandò, con il suo consueto tatto, mia mamma.
«Vivian!» risuonò una voce e poco dopo comparve mio padre «Non avrai sul serio fatto quella battuta? L’ho sentita dall’altro lato della sala!»
«James, caro, certe volte sembra che abbia sposato un prete cattolico» ribattè scuotendo la testa «Non si può fare neppure un’insinuazione piccola piccola… E poi non è che, standomene zitta, queste due…»
«Ti prego, non dire altro!» tentai di farla tacere.
«Smetteranno di…» continuò Valerie sull’onda di quanto cominciato dalla nuova amica.
«Val!» esclamò la latina.
Mi portai una mano alla testa. Mi sembrava di essere finita dentro una delirante commediola.
I miei e la nuova ospite ci lasciarono, dopo che fu riportato l’ordine, e così potemmo prendere posto al tavolo centrale, sotto gli occhi di tutti gli altri invitati.
Quando fu calato il silenzio generale, Puck, che era seduto accanto a Santana, si alzò per il proprio discorso.
«Non sono mai stato noto per la mia abilità con le parole» esordì «A meno che non si trattasse di dire una cretinata al momento giusto.»
Dall’angolo dei nostri amici del McKinley si levò qualche risata.
«Però oggi ho deciso di impegnarmi, per le due belle signorine qui presenti, in nome dell’affetto che ci lega» riprese «Di solito, dal testimone ci si aspetta qualcosa di carino sull’amore e altre baggianate simili riguardanti gli sposi. Ebbene: cosa dovete sapere di Brittany e Santana?»
Mia moglie ed io lo guardammo male, preoccupate per cosa potesse inventarsi.
«Tanto per cominciare, sono schifosamente innamorate. Insomma, guardatele! Potrebbero passare le giornate a fissarsi negli occhi senza stancarsi. Una noia mortale… Ma cosa si cela dietro questa facciata monotona? La risposta è semplice: una nerd» disse indicandomi «E una surfista» proseguì, puntando San «Che, però, è in realtà una nerd anche lei. Ancora mi chiedo per quale ragione non abbiano voluto una cerimonia in elfico o non abbiano scritto le promesse in Na’vi… Dunque, che sia questo il segreto del vero amore? Passare le sere, invece che a divertirsi, a guardare per la trentasettesima volta “Harry Potter e il miracolo dello scampare alla morte un altro anno”? A quanto pare sì.» Ci rivolse uno sguardo dolce. «Perché nei sette anni che ho vissuto osservando l’evolversi del loro rapporto non ho dubitato neppure per un istante che quello fosse vero amore. Forse ci stanno tenendo nascosto qualcosa: un rito voodoo che praticano mentre non le guardiamo, o forse hanno trovato una formula magica… Non lo sapremo mai. Ma, d’altronde, è giusto così, ogni coppia ha il proprio segreto per resistere alle avversità della vita.»
Fece una breve pausa, durante la quale tutti gli occhi furono puntati su di noi. Ognuno stava cercando, a modo proprio, di capire cosa legasse tanto me e l’ispanica. Non avrebbero mai saputo che era una semplice ninnananna.
«E quindi, con l’augurio che ogni sfida venga superata e ogni ostacolo abbattuto, vi chiedo di levare i calici. A Brittany e Santana: la nerd e la surfista, che è anche una nerd!»
«A Brittany e Santana!» rispose la platea.
«E adesso servite il vino e portate gli antipasti!» esultò l’ebreo, dando il via al pranzo.
Nonostante il mio proverbiale appetito, non riuscii a mangiare molto. Ero stata travolta da troppe emozioni in brevissimo tempo, inoltre non potevo permettermi di riempire troppo lo stomaco perché avrei squarciato il vestito.
Nel mezzo del pasto Quinn annunciò la propria gravidanza, calamitando l’attenzione di tutti e permettendo così al mio mal di testa incalzante di farsi meno oppressivo. Fummo tutti molto contenti di quella notizia, che rese ancora più speciale un giorno di per sé unico.
Ci alzammo da tavola dopo un tempo che mi parve interminabile, solo per sederci un’altra volta ad aprire i diversi regali. Non sarei sopravvissuta se non avessi avuto San al mio fianco, che faceva di tutto per non farmi pesare la stanchezza.
Non feci in tempo a riprendermi dallo scarto dei doni che fu l’ora di cenare. Per allora buona parte degli invitati si era ritirata, facendo sì che quelle ore scorressero in un clima più rilassato e famigliare.
A mezzanotte, incredibilmente, Santana ed io varcammo, per la prima volta da sposate, la soglia della nostra nuova casa. Puckerman aveva proposto di accompagnarci insieme agli altri uomini per poi invitare un gruppo di spogliarelliste, ma non appena l’idea era giunta alle orecchie della Fabray, il piano dell’ebreo era andato in fumo.
«Sono contenta che ci abbiano lasciate in pace» confessai, muovendo i primi passi nella nostra nuova dimora «Ce lo vedi un branco di spogliarelliste in questo intonso santuario? Avrebbero demolito casa prima ancora di averci fatto entrare.»
«Però ammetto che sarebbe stato uno spettacolo quantomeno interessante» commentò Santana, litigando con le proprie scarpe, che non volevano saperne di essere levate «Dopotutto sarebbe stato il nostro addio al nubilato mancato.»
«Se vuoi andare a caccia di donnette facili, fai pure» dissi, con il mio tono da offesa «Io salgo in camera da letto. Se mia moglie è intenzionata a seguirmi lo faccia ora o se ne vada per sempre.»
Sentii la latina ghignare alle mie spalle mentre salivo le scale.
«Vedo che alla fine hai fatto la tua scelta» osservai, mentre mi dava una mano a liberarmi dei diversi nastri e laccini che componevano il mio abito.
«Sei l’unica donna che voglio, lo sai» mi sussurrò all’orecchio, prima di posarci un bacio «E poi devo pur dare una risposta a Vivian…»
«Oh, no, non cominciare!» sbottai «Ogni volta che quella pazza apre bocca vorrei seppellirmi.»
«Su, Britt, la sua è solo legittima curiosità… E non è colpa di nessuno se è portata per fare battute atte a metterti in imbarazzo. Se vuoi posso farlo anche io.»
«Non ci pensare! Non ho acconsentito a sposare mia madre!»
«Ma se lo diceva anche quello psicologo, quel Freud: alla fine tutti vogliamo solo portarci a letto la mamma» enunciò, come se si trattasse di una legge dell’universo.
«Sono piuttosto sicura che non abbia usato queste esatte parole» criticai.
«Come sei puntigliosa stasera…» brontolò la latina, abbandonandosi sul materasso per finire di svestirsi.
«Sannie» mormorai «Scusa, è che sono un po’ stressata. E pensare che non siamo sposate neppure da ventiquattro ore!»
Mia moglie rimase in silenzio, aspettando che fossi pronta per raggiungerla, poi, non appena mi avvicinai a lei, cominciò a cantare la ninnananna.
«Pensavo che i tuoi piani fossero altri…»
«Mi sembrava giusto prima “consacrare” questo luogo con la nostra canzone speciale» mi spiegò.
«È stato molto bello quello che ha detto Noah» commentai «Riguardo il nostro segreto della felicità. Quando ti sento cantare per me, non riesco ad immaginare un mondo migliore, perché tutto è così meraviglioso di per sè.»
«Vivere la vita con te è una delle poche cose, forse l’unica, tanto fantastica nella mia immaginazione quanto nella realtà» rispose, cogliendomi di sorpresa.
Le dedicai uno sguardo dolce e lei non potè fare a meno di sorridere. «Davvero» continuò «Mi rendi incredibilmente felice.»
«E ti assicuro che non ho intenzione di smettere mai» replicai «Sarò al tuo fianco, ovunque. E ti amerò, fino all’infinito.»
«E oltre» aggiunse, portandosi sopra di me.
«“Toy Story”? Sul serio?» ridacchiai incredula.
«Non ho potuto resistere… Lo ha detto anche Puck: sotto sotto sono un’inguaribile nerd anche io.»
«Ti amerò fino all’infinito, Santana Lopez» ripetei. Mi piaceva il suono di quelle parole e le avrei potute pronunciare fino alla fine dei tempi.
«E ti amerò fino all’infinito anch’io, Britt» concluse, prima di dedicarmi un altro bacio.
Lasciai che posasse piano le labbra sulle mie e mi abbandonai a lei, nella nostra perfetta unione fisica e spirituale. Avevo trovato il mio angolo di Paradiso, che, in quel momento, era caldo come il corpo di Santana premuto contro il mio, odorava di fresco come le lenzuola che ci avvolgevano e risuonava delle note della nostra ninnananna spagnola.

NdA: Con questo posso dire di aver ufficialmente esaurito la scarica di emozioni causata dall'episodio di settimana scorsa, spero che il risultato sia stato di vostro gradimento. Non ho nulla da aggiungere se non i ringraziamenti a tutti i lettori e i recensori, quindi concludo qui.

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