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Autore: GirlWithChakram    17/08/2014    2 recensioni
Cinque amici, compagni di liceo, alle prese con l'ultima vacanza insieme; un viaggio in Europa nel magico paesaggio della Spagna del nord; lo zampino del destino, che sa sempre come far incontrare le anime destinate a stare insieme.
"... E allora pensai che quella sarebbe rimasta nella mia memoria come la peggior vacanza di sempre."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO I: The rain in Spain
 
Spagna, perché mai avevo detto Spagna? C’erano tanti altri bei posti da visitare in Europa: la Grecia, l’Italia, la Francia, i Paesi scandinavi. Saremmo potuti andare al villaggio di Babbo Natale! Ma no, io dovevo proprio dire “Spagna” e Puck doveva proprio dire “tori” e Finn doveva proprio sapere che lo spettacolo tra le strade di Pamplona si svolgeva, casualmente, nel periodo delle nostre vacanze.
Pensavo che Rachel avrebbe obiettato, in fondo, con tutta la storia del “vegetarianesimo”, chi più di lei poteva contestare la corrida in quanto spettacolo macabro e immorale? Invece rimase in silenzio, forse per non contraddire il suo ragazzo. Quinn, dal canto suo, parve persino più esaltata dei due amici, era entusiasta a tal punto che, per i primi di Giugno, avevamo già pronto il “piano-vacanza” con prenotazioni e simili.
Non ci saremmo mai persi la festa del 4 Luglio, quindi partimmo il giorno seguente dall’aeroporto di Dayton, diretti a Barcellona. Dormii per tutta la durata del volo e per quasi tutto il percorso in auto che ci portò fin nei Paesi Baschi.
Dato l’elevatissimo costo di soggiorno a Pamplona durante la “Semana de toros”, la nostra planner Q. aveva deciso di farci alloggiare in una città che distava appena un’ottantina di chilometri, un centro chiamato Donostia in lingua basca, ma noto ai più con il nome di San Sebastian.
Nei pochi tratti in cui fui cosciente ricordo Rachel, seduta tra me e Quinn, che sfogliava la guida per informarsi sui luoghi da visitare e su tutti i ristoranti vegetariani in zona, mentre Puck e Finn, l’uno alla guida e l’altro al suo fianco con la cartina, cantavano a squarciagola, a ripetizione, “The rain in Spain”.
Quasi a farlo apposta, giungemmo alla meta sotto uno scrosciante diluvio e allora pensai che quella sarebbe rimasta nella mia memoria come la peggior vacanza di sempre. Ci eravamo tutti e cinque appena diplomati, quelle erano le ultime settimane prima della forzata ed inevitabile separazione: Rachel ed io saremmo andate a stare a New York, Quinn era stata presa Yale, mentre i due ragazzi avevano optato per un’università in Ohio, vicina alla nostra città natale, Lima.
“Complimenti Brittany, sei un vero genio, hai trovato il modo di rovinare la tua ultima estate di libertà. Ti toccherà stare rinchiusa per quindici giorni in un microscopico appartamento a sopportare quei pazzoidi dei tuoi amici mentre fuori piovono altro che cani e gatti!”
Mi ripetei quel discorsetto a lungo, nel dormiveglia alla ricerca di qualcosa di positivo che mi facesse sentire un po’ meno in colpa per aver praticamente buttato alle ortiche quella così promettente esperienza.
Tra il canticchiare e gli sproloqui di Rach, alla fine entrammo in città. Non ci restava che trovare l’agenzia che ci avrebbe dato le chiave del nostro piccolo alloggio. «Ma come lo trovo io un parcheggio sotto questo diluvio?» sbottò all’improvviso Noah, mentre continuava a girovagare tra le vie in cerca di un posto auto «Se mi avessero avvisato per tempo avrei costruito un’arca!»
Ci lasciammo andare alle risate, più per nascondere la crescente tensione che non per pura ilarità.
«Non avevi pianificato tutto?» domandò ad un tratto Finn, rivolto alla bionda seduta dietro di lui.
«Beh… sì, ma pensavo che in fondo le previsioni meteo non fossero da prendere tanto seriamente. Lo avete appena cantato che la pioggia in Spagna cade in campagna, qui siamo sulla costa!» tentò di difendersi.
«La pioggia in Spagna cade principalmente in campagna» puntualizzò l’autista.
«Ragazzi» intervenni con tono autoritario «Non è certo il momento di bisticciare. Vediamo di trovare qualcuno in grado di darci indicazioni oppure resteremo a girare in tondo per tutto il resto della vacanza.»
«Agli ordini capitano Pierce!» esclamarono tutti in coro, per poi scoppiare nuovamente a ridere.
Ci avvicinammo sempre più alla parte vecchia della città, quella che dava direttamente sull’oceano. Era uno spettacolo unico. Le lingue infinite di sabbia che correvano da un capo all’altro della baia erano praticamente deserte, solo i surfisti più accaniti si azzardavano a stare in mare con un simile tempaccio.
Il nostro contatto ci aveva detto che lo avremmo incontrato in uno degli alberghi che affacciavano proprio sulla spiaggia, una volta oltrepassato il fiume che divideva in due l’abitato. Quando passammo un maestoso ponte capimmo di essere ormai vicini.
«Lì Puck!» esclamò ad un tratto Quinn, facendoci sobbalzare tutti «C’è un posto vuoto!»
Non sapevamo quanto fossimo lontani dalla nostra meta, ma vista l’impossibilità di trovare parcheggio, quella era un’occasione d’oro.
«Cosa facciamo con i bagagli?» domandò Finn, non appena l’amico ebbe concluso la manovra.
«Propongo» dissi «Di lasciarli qui per ora. Prima troviamo il nostro amico… Come hai detto che si chiama Q?»
«Miguel.»
«Sì, Miguel… Che nome originale… Ad ogni modo, prima lo troviamo e ci facciamo dare le chiavi dell’appartamento e poi veniamo a prendere i bagagli, nella speranza che intanto smetta di piovere.»
Iniziammo ad avanzare sotto gli scrosci con solo due ombrelli a disposizione. Noah, da vero cavaliere, fece spallucce e si mise a camminare sotto l’acqua, dicendo che così si sarebbe risparmiato una doccia. I “Finchel” ovviamente decisero di condividere un ombrello, io e l’altra bionda prendemmo quello rimasto.
Camminammo per diversi minuti, fino a ritrovare la spiaggia che ci eravamo lasciati alle spalle poco prima.
«Guardate a destra» ci disse Rach indicando in alto «Quella è la statua di Gesù benedicente che protegge il porto e la Isla de santa Clara, mentre di là» disse puntando il dito verso il promontorio a sinistra, dall’altro lato della baia, «C’è il punto panoramico più bello di tutta la regione, sulla sommità del Monte Igueldo» concluse con un sorriso.
«Siamo molto contenti, Berry, che ti piaccia tanto fare da guida turistica» la apostrofò Puck «Ma nel caso non lo avessi notato questo non è il momento per uno dei tuoi monologhi.»
Lei mise subito il broncio che il suo ragazzo provvide a scacciare con un lieve bacio.
«Prendetevi una stanza» li canzonò Q.
«Se ci muovessimo ne troveremmo una tutti quanti» commentai a denti stretti.
«Eddai, Brittany» mi rimproverò la mia compagna di ombrello «Se cominci a roderti il fegato in questa maniera non riuscirai mai a goderti la vacanza!»
«Naso finto ha ragione» confermò Noah facendole l’occhiolino «Lasciati andare! Mi sembra di essere in compagnia di quel guastafeste di Schuester.»
«Non tirare in ballo Mr. Schue!» scattò allora il quarterback per difendere il suo insegnante preferito «Potrà anche essere esasperante a volte e un pelino soporifero, ma è pur sempre…»
«Il professore migliore mai avuto al McKinley» concludemmo noi altri, ben conoscendo il suo discorso.
«Ecco…» sbuffò «Precisamente.»
«Forza, basta cincischiare» ripresi io «Vediamo di trovare Miguel alla svelta.»
Per mezz’ora restammo a girovagare, spersi e bagnati fradici. Il maledetto Kursaal Hotel sembrava essersi volatilizzato.
«Vedrete che comparirà come la Camera delle Necessità» avevo assicurato, ma pareva mi fossi sbagliata in pieno.
«Non c’è neppure un cane a cui chiedere!» osservò l’ebrea, ormai visibilmente scocciata dalla situazione.
«Proviamo a scendere in spiaggia, ho visto qualcuno di tanto coraggioso da stare fuori con questa specie di monsone» disse Finn facendoci cenno di guardare sulla sinistra. In effetti c’era un chiosco aperto con un uomo seduto dietro una vetrina piena di churros.
«Cosa stiamo aspettando allora?» ci incalzò Quinn, praticamente trascinandomi con sé giù per la scalinata che conduceva al mare.
«Mi scusi» iniziò lei facendogli segno da lontano.
Il tizio alzò la testa e ci guardò con sospetto. Quando arrivammo sotto la tendina del chiosco la mia amica riprese a parlare: «Avremmo bisogno di un’informazione.»
«No lo entiendo, señorita.»
«Saprebbe dirmi dove trovare il Kursaal Hotel?» insistette, scandendo il più possibile le parole.
«Lo siento, pero yo no hablo Inglès» rispose con una faccia dispiaciuta, gesticolando per aiutarci a capire.
«“Kursaal Hotel”» tentò ancora Quinn, senza scoraggiarsi.
«Por favor, sólo hablo Español» continuò il negoziante.
«¿Que està pasando aquì?» si inserì una nuova voce.
Quinn ed io ci voltammo per veder avanzare una giovane donna. Aveva la pelle ambrata, fluenti capelli neri che le si erano appiccicati sul viso, non sapevo se per via della pioggia o dell’acqua salata. Indossava una muta nera molto attilata che faceva risaltare alla perfezione il suo corpo atletico, seppure abbastanza minuto. Portava sottobraccio una lunga tavola da surf bianca decorata in rosso, con scritto qualcosa che la pioggia battente mi impedì, in un primo momento, di decifrare.
«Las chicas me hablan en Inglès, pero yo no entiendo» parve spiegarsi lui.
«Tranquilo» gli rispose, poi si rivolse a noi: «Cosa vi serve?»
«Oh, grazie al cielo!» esclamò Q. «Siamo turiste...»
«Questo era decisamente ovvio» commentò la surfista con un sorriso sprezzante.
La bionda parve prendersela un po’ per il suo tono, ma lasciò correre. «Stiamo cercando il Kursaal Hotel.»
La latina riflettè per un istante, poi si illuminò: «Siete dal lato sbagliato del fiume. Dovete risalire sulla strada, attraversare il centro, passare il ponte e fermarvi sull’altra spiaggia, la Zurriola. Potete lasciare l’auto nel parcheggio sotterraneo, se l’avete. Il Kursaal è proprio lì a due passi» si voltò e fece per andarsene, ma si bloccò ancora un istante «Ah, un’ultima cosa: procuratevi un dizionario. Qui nessuno parla inglese.»
Con quelle parole corse via sotto il diluvio, verso due figure che, come lei armate di tavola, la attendevano sul bagnasciuga.
«Grazie...» riuscii a mormorare solo quando fu ormai lontana.
«Ehi Britt? Ti sei incantata?» mi domandò Rachel, comparsa alle nostre spalle con i due ragazzi.
«Allora? Avete risolto?» chise Noah levandosi la conotta e strizzandola inutilmente.
Io ero ancora imbambolata e Quinn mi salvò prendendo la parola: «Sì, dobbiamo tornare dall’altra parte del fiume, restando sempre vicino alla spiaggia. C’è un parcheggio sotterraneo, l’hotel è lì vicino.»
«Perfetto, sarà meglio muoversi» affermò la Berry, scattando di nuovo verso le scale che portavano alla strada.
«Britt...» mi scosse la bionda «Terra chiama Britt! Dobbiamo muoverci! Ne ho abbastanza di stare qui sotto l’acqua, finirà per crescermi il muschio nelle scarpe!»
Mi ripresi a fatica, capace di articolare un unico pensiero: il nome magistalmente dipinto in rosso brillante su quella bianca tavola. Il nome che mi avrebbe tormentata a lungo: Valerie.
 

Nota dell'autore: Se siete arrivati fin qui vuol dire che avete letto questo breve primo capitolo della mia prima ff di Glee e ve ne sono grata, spero ne sia valsa la pena. Non mi dilungo oltre, dicendovi semplicemente che aggiornerò a distanza di una settimana, salvo imprevisti. I luoghi che verranno descritti sono verosimili in quanto realmente esistenti, ma rielaborati dalla mia mente contorta. Credo di aver sprecato abbastanza spazio con i miei deliri, quindi vi saluto nella speranza di trovarvi al prossimo aggiornamento. Ancora grazie.
   
 
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