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Autore: GirlWithChakram    24/08/2014    4 recensioni
Cinque amici, compagni di liceo, alle prese con l'ultima vacanza insieme; un viaggio in Europa nel magico paesaggio della Spagna del nord; lo zampino del destino, che sa sempre come far incontrare le anime destinate a stare insieme.
"... E allora pensai che quella sarebbe rimasta nella mia memoria come la peggior vacanza di sempre."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO II: Gloria
 
Ripercorremmo la strada fino alla nostra auto e ci sentimmo tutti terribilmente in colpa quanto ci sedemmo, fradici dalla testa ai piedi, sui suoi delicati sedili a noleggio. La pioggia seguitava a cadere incessantemente, il che voleva dire che quella sarebbe stata solo una delle numerose volte in cui avremmo annacquato il nostro mezzo di trasporto.
«Allora dobbiamo praticamente fare inversione, attraversare il fiume e poi dovremmo esserci?» chiese Puck girando la chiave nel quadro di accensione.
«Precisamente» confermai cercando di evitare le gomitate di Rachel che si stava sistemando i capelli.   
«Vediamo di sbrigarci» mugugnò la Fabray rabbrividendo «Sento il freddo entrarmi nelle ossa e sono certa che mi prenderò una polmonite nel giro di dieci minuti.»
La nostra Renault si mise in moto con uno sbuffo e il nostro fidato autista inserì la retro per fare manovra. «Per fortuna che avevano un modello con il cambio automatico, non sarei mai stato in grado di gestire le diverse marce. Secondo me queste auto le fanno apposta per noi stranieri» commentò tenendo gli occhi fissi davanti a sè. Stava piovendo talmente forte che a fatica avremmo visto un pedone attraversare la strada.
Ci vollero appena dieci minuti per trovare il parcheggio di cui ci aveva parlato la surfista. Si trovava proprio affianco al Centro del Congresso, un edificio noto appunto come Kursaal, che dava il nome al circondario.
«Come ha fatto quel tonto dei churros a non capire che gli chiedevo del Kursaal? Qui c’è scritto da tutte le parti!» sibilò acida Quinn, una volta abbandonato il veicolo ed usciti di nuovo all’aria aperta «C’è il ristorante, il supermercato, l’hotel... Oh ragazzi, l’hotel!»
Ci voltammo tutti in contemporanea verso il punto da lei indicato: vicino ad un anonimo portone, su una placca dorata, c’erano incise le parole “Kursaal Hotel”. Presa dall’euforia abbandonai la mia valigia in mezzo al marciapiede e mi scagliai a suonare il campanello. Con la coda dell’occhio vidi Puck lanciarmi un paio di insulti a mezza voce, per poi recuperare il mio bagaglio. Gli sorrisi, continuando a tenere il dito premuto sul pulsante del citofono.
«Hey, hey, hey! ¿Estás loco amigo?» mi rimproverò una voce dall’apparecchio «¿Qué deseas
«Ehm... Hola» improvvisai, memore delle lezioni di Schuester «Quiero hablar con Miguel.»
La mia pronuncia doveva essere proprio orribile perchè l’uomo dall’altra parte mi rispose con: «Siete i turisti americani?» Si percepiva il forte accento straniero nel suo inglese, ma per lo meno potevamo comunicare.
«Sì, siamo qui per le chiavi. Sarebbe così gentile da aprirci?»
«Ningún problema, detto fatto.»
Sentii scattare la serratura e il mio istinto mi portò a spingere la porta pur di allontanarmi dall’acqua. Misi piede su un tappeto rosso consunto e rovinato dal tempo, lasciando immediatamente che una chiazza di umido si spandesse ai miei piedi.
«Ehi Britt! Dacci una mano con le valigie!» mi sgridò Finn, lanciandomi praticamente addosso due enormi borsoni. In un lampo mi trovai circondata dai miei amici e dai nostri averi, tutti finalmente contenti di non essere sotto la pioggia battente.
«Muoviamoci, temo che dovremo salire le scale» disse Noah afferrando il proprio bagaglio dopo aver letto il cartello “Fuera de servicio” attaccato alla porta dell’ascensore.
Stanchi ed infreddoliti, ci portammo al primo piano, dove si trovava la reception. Ci accolse un uomo dal bellissimo sorriso e i tratti tipicamente ispanici. Doveva avere circa trent’anni, ma li portava decisamente bene, i capelli neri scompigliati e l’accenno di barba lo rendevano incredibilmente affascinante.
«Io sono Miguel» disse allungando la mano in segno di saluto. Dopo esserci presentati a nostra volta, passò a spiegarci il funzionamento della struttura: «Su questo piano e quello superiore ci sono le camere dell’albergo, al terzo piano c’è il vosto alloggio, è quello sulla destra. Dispone di due camere e un bagno, è munito di angolo cucina e frigorifero, sul tavolo vi ho lasciato un piccolo omaggio di benvenuto. Ricordatevi solo di non lasciare troppo disordine dopo la vostra visita» quelle parole le rivolse chiaramente ai ragazzi «Per il resto fate come vi pare. Questa è la chiave del portone, mentre questa apre l’appartamento. Fate una buona vacanza!»
Non ci diede neppure il tempo di fare domande, semplicemente raccolse il cappotto appeso dietro di lui, poi scomparve lungo la scalinata da cui eravamo arrivati.
«Beh, tutti di corsa questi spagnoli» bisbigliai guardando la sua testa mora scomparire alla vista.
«Direi di lasciar perdere il nostro amico e tornare a concentrarci sulla nostra casa dolce casa per queste due settimane» osservò Rachel.
Quando aprimmo l’uscio ci rendemmo conto di aver fatto un ottimo affare. La porta dava su un ampio spazio con finestra, in mezzo al quale si trovava un tavolo con quattro sedie ed un grosso pacco. L’attrezzatura da cucina si trovava lì vicino e dall’altro capo della sala c’era un divano sgangherato. Un breve corriodio portava alle due camere da letto e al bagno.
«Oh, il mio momento preferito!» esclamò Puck «La disposizione dei posti letto!»
C’erano due letti singoli in una camera e uno a due piazze nell’altra. «Io propongo» continuò «Che tu, Finn, ti prenda un singolo, mentre io faccio compagnia alle signorine nel letto grande.»
Lo schiaffo di Q. fu molto più rapido del mio “Te lo sogni”.
«Ehi!» si lamentò il giovane, massaggiandosi la guancia «Io dicevo per dire... Se mi volevi tutto per te bastava dirlo!»
Un secondo colpo volò in direzione del viso dell’ebreo, ma io fermai la mano della mia amica prima che lo sfigurasse. «Quinn, sai che è uno scemo, lasciagli fare le sue battute.»
Fabray sbuffò infastidita, poi trascinò la sua valigia nella stanza matrimoniale, senza aspettare altre proposte. Io e Rachel la seguimmo, mentre i due ragazzi sghignazzavano alle nostre spalle.
La prima cosa che decidemmo di fare fu quella di toglierci di dosso gli abiti bagnati. Mi sfilai la maglietta, senza farmi tanti problemi, ma all’improvviso la porta, che avevo provveduto a chiudere, venne spalancata da Noah. «Ma siete certe di voler dormire con Brittany? Insomma sappiamo tutti che ha un debole per il gentil sesso. Tanto vale fare spazio anche a me!»
Ancora una volta la mia amica bionda provvide a tentare di scacciarlo, colpendolo in testa con una scarpa.
«Ok, ok, mi ritiro! Vi lascio i vostri spazi... Però potremmo fare a turno: una notte Britt, una notte io!»
Un’altra scarpa saettò, schiantandosi contro il muro bianco e lasciandoci un’antiestetica macchia grigiastra.
«Mi hai proprio mancato stavolta! Devo comprarti un paio di occhiali da abbinare a quel naso plastificato?» la stuzzicò ancora l’ebreo.
«Sei un uomo morto Puckerman!» gridò lei, pronta a balzargli alla gola. Per sua sfortuna, uno dei tubetti di strani intrugli della Berry si mise sulla sua strada, facendola cadere a faccia in giù sul pavimento, scatenando le risa incontrollate di tutti noi altri.
«Ora ho visto abbastanza, vi lascio sul serio in pace... Un’ultima cosa» aggiunse squadrandomi rapido «Sei proprio sicura di giocare per l’altra squadra? Perchè è davvero uno spreco!»
La mia maglietta fradicia non mancò il bersaglio, stampandosi sul suo ghigno soddisfatto.
Tornate sole, finimmo di cambiarci. Anche se non pensavo ci sarebbero stati problemi a riguardo, mi sentii in dovere di fare una domanda: «Siete sicure di volermi con voi? In fondo Puck ha ragione. Io posso sempre dormire su quella specie di divano.»
«Britt» mi disse la mora poggiandomi una mano sulla spalla «Ne abbiamo già parlato. Per noi non c’è nessun problema. Abbiamo dormito insieme per tre anni! Non inizierò certo ora a sentirmi in imbarazzo ad averti vicino.» Quinn annuì, condivindendo il suo pensiero.
Sorrisi contenta, sapevo che non ne avrebbero fatto un dramma, da più di un anno avevano imparato a convivere con la mia sessualità e non mi avevano mai giudicato. «Allora voglio il posto centrale, così ne approfitterò per stare schiacciata tra i vostri corpi sexy.»
Venni sbattuta fuori a calci, proprio come avrebbero fatto con Puck.
«Ma dai! Non posso neanche fare un po’ di spirito!»
«Dovrai implorare perdono per essere riammessa nel paradiso delle donne» mi disse Q. dall’altro lato della porta «Oppure prenderemo Finn e ti lasceremo in balia di Noah.»
«E tu vorresti passare le notti accanto ai Finchel, nello stesso letto? Sicura che sia l’idea migliore?» le feci presente.
«Hm... In effetti... Penso tu sia il minore dei mali, ma niente più battute, chiaro?»
«Come desideri, mia signora» risposi, inchinandomi mentre mi veniva riaperta la porta.
Passammo l’ora seguente ad alternarci in bagno per farci la doccia. Come era ovvio aspettarsi, il mohawk, per risparmiare acqua, propose una doccia collettiva, che prevedeva, in particolare, la mia presenza e quella di Quinn.
Dopo il mio turno, con l’aciugamano legato in testa per tenere sollevati i capelli umidi, andai a controllare il regalo lasciatoci da Miguel. Sentii Puck comparire da dietro di me, pronto a riprendere con la sua ironia: «Se ti fai la biondina sotto i miei occhi ti offro la cena per una settimana, se poi mi fai partecipare ti pago l’intera vacanza.»
«Mi spiace, ma non sono il tipo che condivide.»
«Dai! Non fare l’egoista! Non posso certo toccare Rachel.»
«In passato non ti sei mai fatto molti problemi a metterti in mezzo alle coppie per dividerle» sottolineai per ricordargli che tra lui e i nostri tre coinquilini c’erano stati talmente tanti tira e molla che facevo fatica a tenerne il conto.
«Ah, oggi hai il dente avvelenato, Pierce.»
«Nah» gli risposi con un sorriso eloquente «Tu vuoi solo riconquistare la nostra cara Fabray e sei talmente disperato da venire a chiedermi aiuto. Beh, lascia che ti ricordi che tra tutti sono la persona con la vita sentimentale più inconcludente. Fatti venire un’idea migliore.»
«Non voglio riconquistare Quinn» si difese, ma il modo in cui arrossì dimostrò l’esatto contrario delle sue parole «Volevo solo essere spiritoso.»
«Certo Noah, certo» gli dissi scuotendo la testa «Continua a negare. Ma sappi che se davvero la rivuoi indietro devi agire ora o mai più, perchè una volta approdata a Yale sarà circondata da affascinanti cervelloni che le faranno dimenticare Puckzilla in men che non si dica.»
Lui mi fece semplicemente l’occhiolino, come segno d’intesa, poi tornò in camera per prepararsi ad usare il bagno a sua volta.
Io tornai a rivolgere la mia attenzione al pacco che giaceva abbandonato sul tavolo. Lo scartai in fretta. All’interno della scatola trovai una mappa della città ed alcuni depliant di bar e ristoranti, sul fondo giaceva un grosso libro di ricette con un biglietto. Lo lessi curiosa: “Se preferite lo sperimentare all’uscire a cena”. Aprii il volume e mi resi conto che, per nostra sfortuna, era in spagnolo.
«Fabray?» urlai per farmi sentire.
La bionda sbucò dalla camera ancora avvolta nel suo accappatoio «Cosa c’è?»
«Ti è mai venuto in mente che qui avremmo avuto problemi con la lingua?»
«Ehm... Ho pensato che valesse come per il meteo e non ci ho prestato molta attenzione. Insomma, chi non sa l’inglese di questi tempi?»
«A quanto pare tutti gli spagnoli» si intromise la Berry «La guida dice specificatamente di munirsi di dizionari o di amici madrelingua perchè qui si parlano solo ed esclusivamente basco e spagnolo.»
«Siamo rovinati» sentenziai con tono drammatico.
«Puoi sempre rimorchiare una spagnola e portartela dietro per questi quindici giorni» si aggiunse Finn.
Io rimasi paralizzata all’udire quella frase, perchè mi tornò in mente Valerie.
«Hudson, hai fatto male ad aprir bocca» lo rimproverò Q. intuendo cosa quelle parole avessero scatenato in me «Si è già presa una cotta spaventosa per la surfista che ci ha dato le indicazioni prima.»
Io ignorai il resto della conversazione, troppo presa dai miei pensieri e dal sonno che ormai si faceva sentire. Il cambio di fuso orario fino ad allora sembrava non avermi scombussolata più di tanto, ma avevo calcolato male la mia resistenza. Tornai in stanza per sdraiarmi sul letto, ma lo trovai già occupato dalle mie compagne che, come me, avevano deciso di concedersi un po’ di riposo.
«Allora gente» annunciai assicurandomi che tutti mi stessero a sentire «Sono le tre del pomeriggio. Propongo di prenderci almeno cinque o sei ore di tranquillità, poi stasera andremo alla ricerca di cibo e di qualcosa di divertente per imprimerci nella memoria la nostra prima serata spagnola.»
«Alcool!» esultarono i due maschi.
«Ma non abbiamo l’età» ricordai loro.
«Qui ti sbagli, Pierce» mi fece sapere il quarterback «In Spagna l’età per bere è diciotto anni, quindi siamo legalmente autorizzati ad ubriacarci!»
Sentii le sue parole come se venissero da lontano e rimbombassero nella mia testa. Pochi istanti dopo crollai addormentata.
 
Mi svegliò uno strano calore attorno al viso, cominciai a strocere il naso e mi stropicciai gli occhi. Quando li aprii mi trovai praticamente incollate addosso le facce delle mie compagne di stanza.
«Levatevi! Mi state soffocando!» sbottai allontanandole «E, per la cronaca, i vostri aliti non profumano di rose fresche. Come vi viene in mente di tentare di intossicarmi così?»
Non diedero retta al mio sfogo di rabbia, semplicemente Rachel mormorò: «Sapevo che ci teneva nascosto qualcosa. Bella amica...»
«Chissà da quanto va avanti...» commentò Q.
«Potevi almeno accennarcelo» mi rimproverò l’ebrea.
«Cosa?» domandai confusa.
«Oh, andiamo, non fare la finta tonta. Sappiamo bene che parli nel sonno e stavolta ti sei lasciata sfuggire un’informazione di troppo» mi disse la bionda, ammiccando «Dicci, chi è Valerie?»
Io arrossii e tentati di seppellirmi sotto le coperte.
«Beccata!» esultarono all’unisono.
«Racconta, racconta, racconta!» insistette la Fabray, tirandomi fuori dal mio morbido rifugio.
«Ma non c’è proprio niente da raccontare» mi difesi, cercando di chiudere la questione.
«Dove l’hai conosciuta? È delle nostre parti? È una ballerina anche lei?» iniziò ad assillarmi la Berry.
«No, aspetta...» la interruppe l’altra, meditabonda «Valerie... Perchè ho come l’impressione di averlo sentito di recente?»
Io mi chiusi in un ostinato silenzio, ma la mia amica ci arrivò senza il mio aiuto: «La surfista! Era il nome dipinto sulla tavola! Oh, Britt, ma che mi combini?» disse addolcendo lo sguardo «Non puoi davvero esserti presa una cotta per una sconosciuta.»
«No...» si lamentò Rachel «Io non l’ho vista! Era carina?»
«Direi di sì» le rispose Quinn «Ma non sono certo la maggior esperta in materia. Di sicuro alla nostra ballerina qui è piaciuta molto se ha finito per sognarla.»
In effetti avevo ancora impresso il ricordo della chioma color ebano che contornava il viso ambrato e i profondissimi occhi scuri che avevo potuto fissare solo per qualche istante.
«Su alzati» mi dissero «Adesso usciamo e vedrai che te la scorderai in men che non si dica.»
Presi il cellulare, sorridendo al salvaschermo, il mio gatto Lord Tubbington, e lessi l’ora: le 23:31.
«Oddio ma è tradissimo!» esclamai balzando in piedi.
«Non preoccuparti» mi rassicurò la mora «La guida dice che qui la gente vive di notte, i locali stanno aperti praticamente dalle 21 alle 5 del mattino.»
Quando fummo tutti pronti, dopo un’ulteriore mezz’ora, uscimmo sotto la fitta pioggia che non aveva smesso di cadere. Decidemmo di non prendere la macchina, il centro si trovava a pochi minuti, appena riattraversato il ponte. Rachel aveva stilato una lista dei possibili locali in cui avremmo potuto assaggiare la specialità del posto, i cosiddetti pintxos, una variante delle note tapas spagnole.
Contrariamente a quanto ci aspettavamo, la città brulicava di vita. Ci passarono accanto diversi gruppi di giovani spagnoli e anche alcuni di turisti più o meno della nostra età. Le vie lastricate che conducevano al porto e su cui si affacciavano i bar erano quasi impraticabili per via della folla.
«Non troveremo mai un posto per mangiare tranquilli. C’è troppo caos» constatai.
«Se vi accontentate di bere ho sulla mia lista un posto che non sembra essere molto frequentato dagli autoctoni» annunciò l’ebrea.
Decidemmo di seguirla e, zigzagando tra la gente, giungemmo in un piccolo locale: “La oca loca”. Spingemmo la porta ed fummo subito attirati dalla musica che si propagava nell’ambiente, erano basi per il karaoke e il palco vicino al bancone dava conferma delle nostre intuizioni.
«Non puoi proprio resistere a questo genere di cose, vero?» le domandò il fidanzato «Dovevi per forza trovare un pubblico per cui esibirti.»
«Non siamo obbligati a cantare» si difese «Voglio solo sentire come se la cavano gli altri.»
Aspettammo una decina di minuti, quando finalmente si liberò un tavolo. Io mi sedetti dando le spalle al palco, per poter guardare fuori dalla finestra. Di fronte a me si accomodarono i Finchel, alla mia destra si mise Quinn e Puck, di conseguenza, prese posto alla mia sinistra.
Una cameriera sorridente ci portò la lista delle diverse bevande e noi ordinammo praticamente ogni cocktail che vi fosse segnato.
«Voglio provare tutto» aveva stabilito Noah battendosi il petto, un comportamento normale quando voleva fare lo sbruffone.
Il tavolino venne sommerso di bicchieri, che andarono a poco a poco svuotandosi, mentre i nostri animi si allegerivano sempre più, liberandosi dalla stanchezza del viaggio e caricandosi di nuova energia.
Non prestavo molta attenzione alle canzoni che si sussegivano, dato che la maggior parte erano in spagnolo. Se capitava qualche brano a me noto mi limitavo a fischiettarne il motivo.
All’una di notte eravamo ormai tutti decisamente alticci e fu allora che Rachel andò all’attacco. «Dai Finn, andiamo a fare un bel duetto. Dimostriamo a questi latini cosa vuol dire cantare!»
Il ragazzo fece una smorfia, riluttante.
«Su amore, per favore...» lo supplicò.
«No, Rach. Non mi va proprio. Se vuoi cantare puoi farlo da sola.»
«Quinn, vuoi farmi tu da supporto?»
«No, ho bevuto troppo. Non sono neppure certa di riuscire a stare in piedi» rispose la Fabray.
«Britt?» tentò allora con occhi supplicanti.
Io mi limitai a scuotere la testa con convinzione.
«Non vuoi che sia io il tuo compagno di canto?» si intromise Puck.
«Non pensavo che fossi interessato...»
«Infatti» ridacchiò il mohawk «Volevo solo vedere la luce dell’ultima speranza spegnersi nei tuoi occhi.»
«Ignorerò questa tua cattiveria associandola all’alcool» disse, visibilmente offesa.
Io lasciai vagare il mio sguardo, per distrarmi. Le mie orecchie captarono qualcosa di curioso, qualcosa di familiare, portandomi a voltarmi verso sinistra ad osservare il tavolo alle spalle di Noah.
«... E ribadisco che non ho ancora digerito il fatto che ci troviamo in una città che porta il nome del tuo ex.» Inglese, ecco cosa avevo sentito. C’era un gruppo di turisti, anche loro americani, stabilii dall’accento. A parlare era stato un ragazzo che poteva avere più o meno la mia età, aveva il viso leggermente abbronzato e i capelli castani schiariti dal sole e dall’acqua salata. Dalla mia posizione potevo vederlo chiaramente, mentre meno visibili mi erano i suoi due compagni. Uno, seduto alla sua sinistra, era alto e biondo, abbronzato come solo un surfista poteva esserlo, ma la cosa che mi colpì fu la sua enorme bocca, con tanto di labbra fuori misura che avrei tranquillamente scambiato per un canotto di salvataggio.
«Kurt, quante volte ti devo ripetere che Sebastian non è il mio ex?» La risposta era venuta dal terzo membro, seduto di fronte a quello che doveva chiamarsi Kurt. Gli vedevo solo la schiena e la perfetta chioma scura tenuta a bada da una quantità incalcolabile di gel.
Il volume della musica fu alzato e una ragazza salì a cantare, impedendomi di seguire il discorso, riuscì a capire che la lite tra i due stava proseguendo, mentre l’altro cercava di riportare la pace.
Quando il brano finì potei tornare ad origliare.
«... Sarà ancora ad incipriarsi il naso. Ma ora non è di lei che ci dobbiamo occupare, piuttosto» disse il biondo «Adesso fate la pace, da bravi fidanzati.»
Gli altri due si lanciarono un’ultima occhiata di astio, poi si sorrisero e, sollevandosi leggermente dalle sedie, si avvicinarono quel tanto che bastò per scambiarsi un bacio a fior di labbra.
«Allora Sam, cos’altro vuoi che facciamo?» domandò Kurt all’amico seduto vicino.
«Adesso dovete dimostrarmi che non è tutto una farsa! Andate a duettare, su.»
Il moro si alzò e prese il fidanzato per mano. La curiosità mi portò a voltarmi per osservarli. Parlarono con il gestore e in pochi istanti partì la base di una canzone a me nota.
Made a wrong turn,
Once or twice
Dug my way out
Blood and fire
Iniziò Kurt seguendo la melodia. Proseguì a cantare e notai con piacere che aveva un timbro molto delicato, decisamente armonico. Quanto giunse il ritornello si unì a lui l’altro ragazzo che poi lo accompagnò per il resto della canzone. Le loro voci intonate si completavano alla perfezione, donando ancora più anima al testo.
Quando conclusero il pezzo e scesero dal palco io mi sentii in diritto di applaudire, ma fui bloccata da Rachel che mi afferrò i polsi decisa. «Non ti permetto di adulare la concorrenza! Adesso salgo su quel palco e faccio vedere io cosa vuol dire avere talento.»
Si allontanò per andare a discutere anche lei con il gestore, che era già impegnato in un’altra conversazione. Ne approfittai per sollevare con me la sedia e mi avvicinai al tavolo del trio.
I giovani mi fissarono basiti, ma il mio sorriso sembrò scioglierli un po’.
«Volevo fare i complimenti a voi due per il duetto, siete stati davvero meravigliosi.»
Kurt arrossì, mentre il suo fidanzato scoppiò in una risata cristallina.
«Sono Brittany, comunque» mi presentai.
«Piacere Brittany, io sono Sam» disse il ragazzo dalle labbra inconcepibilmente grandi «E questi sono Kurt e Blaine.»
Mi chiesero per quale ragione mi trovassi a Donostia e io indicai i miei amici al tavolo. In pochi istanti i miei nuovi conoscenti invitarono anche loro a prendere posto.
«Quel posto è libero?» chiese Q. notando una quarta sedia al loro tavolo, che era però rimasta vuota.
«Oh, in realtà no... Ma penso che San troverà un altro posto dove stare, siediti pure.»
«Chi è San?» bisbigliai, ma le mie parole furono soffocate dalla musica che era tornata nuovamente a rimbombare tra le mura del locale.
«Signore e signori» disse il proprietario sforzandosi di camuffare l’accento spagnolo «Eccoci alla sfida della serata, che quest’oggi sarà tutta americana! Sul palco abbiamo due belle señoritas e un giovanotto. Prego, salite.»
Rachel prese posto in centro e dopo pochi istanti il microfono al suo fianco venne preso da un fanciullo dai capelli scuri, tirati su come se si fosse trattato di un supersayan. Per ultima comparve una ragazza che lanciò subito un’occhiata nella mia direzione.
«Oh, eccola là» sentii dire Blaine.
Pensai di perdere la mandibola dato il modo in cui spalancai la bocca per la sorpresa. Non mi ci volle più di mezzo secondo per identificare Valerie. Avrei voluto chiedere di lei, anche solo capire quale fosse il suo vero nome, ma ogni mia intenzione fu spazzata via quando iniziò a cantare.
Gloria,
You’re always on the run now
Runnin’ after somebody
You’ve gotta get him somehow
Non feci caso a quando si unirono a lei gli altri due. Per me quella voce celestiale era tutto quello che esisteva in quel momento. Cercai inutilmente di riconnettere il cervello al resto del corpo, ogni mia cellula era volta alla totale devozione di quella dea latina.
Quando la musica terminò ci fu uno scroscio di applausi. Non eravamo più in molti nel locale, ma comunque quello che si levò fu un vero e proprio boato di apprezzamento.
«Perfecto!» riprese la parola il gestore «Allora, chi abbiamo avuto l’onore di ascoltare?»
La mia amica non si fece problemi a rispondere per prima: «Rachel Barbra Berry.»
Noi fischiammo, da veri supporters.
«Elliott Gilbert, in arte Starchild» si presentò il ragazzo. Uno dei tavoli dall’altro lato della sala ripetè quello che avevamo fatto noi, dovevano essere i suoi amici.
Il mio cuore mancò un battito quando sentì l’ultima performer schiarirsi la voce prima di parlare nel microfono.
«Santana Lopez» disse semplicemente. A quelle parole Kurt e gli altri due si alzarono improvvisando una ola.
«Molto bene pubblico! È il momento di decidere: chi è il nostro campeón
Ognuno inziò ad urlare il nome del proprio beniamino. Io mi imposi di almeno mormorare “Rachel” ma la mia lingua sembrava essersi annodata.
«Muy bien, direi che i presenti hanno apprezzato tutti gli artisti, quindi siete tutti vincitori!»
Potei chiaramente leggere la furia negli occhi di Rachel, se c’era una cosa che odiava più di perdere era dover condividere la vittoria con qualcuno che lei non reputasse degno.
I minuti che seguirono mi parvero interminabili. La Berry lasciò la scena, avvicinandosi a noi per conoscere le nuove aggiunte, dietro di lei vidi muoversi un’ombra. Avevanzava fiera nei suoi jeans stretti, abbinati ad una semplice t-shirt azzurra decorata con il disegno di una tavola da surf.
Dovevo proprio avere un’espressione ebete, perchè Quinn mi tirò un paio di gomitate per riportarmi alla realtà, poi mi sussurrò all’orecchio: «Il caso non esiste, vai e conquista.»
L’ebrea e la latina, ancora incerte sul perchè di quella strana alleanza, si unirono al cerchio di sedie. Noah fece ondeggiare la testa, chiaramente ubriaco, mugugnando qualcosa di incomprensibile.
«Ci dispiace dover andare via così» intervenne Finn dopo che si furono rifatte le presentazioni «Ma è il nostro primo giorno e non siamo ancora abituati.»
Seppure controvoglia, annuii d’accordo.
«Non c’è problema» ci rispose Santana «Forza, andiamo a casa, ne approfitterò per conoscervi un po’ meglio.»
Pensai di aver capito male, per fortuna gli altri sembrarono spiazzati quanto me.
«Mi hai chiesto del Kursaal Hotel, no?» disse rivolta a Q. «Anche noi alloggiamo lì. Abbiamo un appartamento al terzo piano.»
Qualche sinapsi della mia materia grigia decise di sbloccarsi, ricordandomi che il nostro probabilmente non era l’unico alloggio che veniva messo a disposizione dei vacanzieri.
«Ma che coincidenza!» esclamò Puck, riprendendosi «Anche noi stiamo al terzo piano! Spostiamo la festa a casa!»
Esultammo contenti, sbrigandoci a pagare per le consumazioni. Uscimmo e finalmente, dopo interi minuti, mi parve di respirare. Lasciai che l’aria umida, fredda e impregnata di salsedine mi invadesse i polmoni, risvegliandomi in parte dalla confusione alcolica e distraendomi dalla bellissima ragazza che avanzava al mio fianco.
«Piaciuto il numero?» mi chiese Rachel, comparendo dal nulla con Finn a braccetto.
«Sì, sei stata brava come sempre» trovai la forza di rispondere, avrei voluto aggiungere “Ma Santana è stata semplicemente perfetta” ma mi parve inopportuno e il mio malandato cervello ebbe la coscienza di impedirmi di fare una simile figura.
Il percorso verso il Kursaal mi sembrò molto più rapido che all’andata, forse perchè le strade erano finalmente vuote. Mi resi conto solo dopo cinque minuti buoni di camminata che aveva anche smesso di piovere. Il cielo era ancora coperto, ma si poteva notare qualche squarcio di sereno, speravo che il giorno seguente riuscissi almeno ad intravedere il sole.
Seguii distrattamente le diverse conversazioni che andavano avanti all’interno del gruppo, senza prendere parte a nessuna. Volevo poter raccogliere le mie idee, cercando di fare chiarezza tra i fumi dell’alcool.
Quando arrivammo a destinazione affrontammo tutti le scale con estrema fatica. Giunti al terzo piano pensai che fosse ora di salutarci, ma Puck, Finn e Sam, che sembravano aver legato molto in fretta, ci spinsero tutti dentro il nostro alloggio scandendo la parola “Fiesta” come se si trattasse di un inno sacro.
Vidi Kurt e Blaine sgattaiolare nell’altro appartamento, solo per recuperare del cibo e altre bevande.
Noi cinque assaltammo le provviste senza neppure chiedere il permesso, ma nessuno ebbe da ridire. Dopotutto l’ultima cosa che ricordavo di aver mangiato era stato un panino all’aereoporto di Barcellona, quasi ventiquattro ore prima.
«Dai, mettiamoci comodi e vediamo di fare un po’ di conoscenza» propose Quinn, invitandoci a sedere sul pavimento.
Così, disposti in cerchio, ci prendemmo un momento per studiarci di nuovo, mentre un silenzio imbarazzante prendeva il controllo della stanza.
«Allora, chi comincia?» domandò Rachel, accompagnando le parole con uno sbadiglio.
«Beh, visto che è stata lei a farci incontrare...» cominciò Blaine. Io fissai le sue labbra mentre articolavano la frase: “Propongo che inizi Brittany”.
Feci un profondo respiro, sperando che la mia anima di unicorno mi infondesse coraggio. Per via del terrore, ancora non ero riuscita a guardare in faccia la latina, ma decisi che se proprio dovevo cominciare io quella follia volevo farlo dopo essermi persa nelle sue iridi. Sollevai il viso con fierezza e piantai i miei occhi nei suoi.
Allora, con rinnovata forza, diedi inizio allo strano circolo di confidenze, promettendo a me stessa che, prima della fine della vacanza, avrei esplorato l’immensità dentro quegli oceani scuri.


Nota dell'autore: ed ecco, come annunciato, il secondo capitolo. Spero che si stato all'altezza delle vostre aspettative e vi sia piaciuto. Un breve spazio per ringraziare wislava e HeYa Shipper per le recensioni, grazie a chi ha aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite. Aggiornamento a settimana prossima, un saluto.
   
 
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