macchie d'inchiostro

di Gobbigliaverde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Uno ***
Capitolo 3: *** Due ***
Capitolo 4: *** Tre ***
Capitolo 5: *** Quattro ***
Capitolo 6: *** Cinque ***
Capitolo 7: *** Sei ***
Capitolo 8: *** Sette ***
Capitolo 9: *** Otto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


ATTENZIONE: PER TUTTI QUELLI CHE NON HANNO LETTO "IL VIAGGIATORE DEI SOGNI", leggetela per capire questa mia nuova storia, perché un riassunto sarebbe a dir poco impossibile vista la quantità infinita di intrecci presenti nel testo. :) In ogni caso, se c’è qualcosa che non è chiaro, chiedetemi pure per messaggio privato. :)

 

PROLOGO

 

È dura recuperare le tracce di un passato dimenticato, soprattutto se le risposte che si cercano non sono nel mondo che conosciamo. Gemma Jones questo non lo sa. Probabilmente crede di essere una ragazzina normalissima, esattamente identica a tutte le altre sedicenni adolescenti alle prime armi con i sentimenti. Ma nella vita non si può mai dire. Un giorno ti addormenti orfana e il giorno dopo scopri di avere un intero albero genealogico di generazioni che è sulle tue tracce. Non sempre però è facile accettare la realtà. Specialmente se la realtà è magia.
   Questa è la storia di una ragazzina un po’ sopra le righe che in pochi riusciranno a comprendere completamente. La storia di una normalissima vita di una ragazzina un po’ strana che non può fare a meno di gioire tenendo una penna e un quaderno in mano. La storia di chiunque sia un po’ folle come lei. La mia storia. E se volete, anche la vostra.

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Capitolo 2
*** Uno ***


«Duro destino è l’avere un destino.»
Italo Calvino

UNO

 

— Il tuo punto di vista è interessante — sorrise Drake scuotendo la testa.
    — Interessante? — sospirò Gemma con disappunto. — Non credo che interessante sia l’aggettivo giusto per tutta questa storia.
    — Sei diventata razzista nei confronti degli aggettivi? — esclamò il giovane continuando a sorridere.
    Gemma però non ci trovava proprio nulla da ridere, e anche se le fossette sulle guance del ragazzo erano dannatamente stupende, cercava di mantenere uno sguardo serio e impenetrabile. — Definisci meglio quello che intendi — sbottò lei alzando gli occhi al cielo.
    Il ragazzo si passò una mano tra i capelli neri come la pece e sbuffò rumorosamente tornando il solito timido e puntiglioso Drake di sempre. — Intendo dire che mi sembra assurdo che ancora ti preoccupi dei tuoi occhi. L’abbiamo capito, cambiano colore, e allora? Esistono tantissime persone con l’iride cangiante.
    — Sì, ma l’iride degli altri cambia a seconda degli eventi atmosferici, mentre le mie…
    — Le tue no, ora che lo sanno anche i muri, puoi finirla di ripeterlo? Sei una normalissima ragazza di sedici anni con i capelli mori e gli occhi azzurri, che a volte variano — la interruppe lui seccato dal discorso che ormai andava avanti da giorni.
    — Variano dall’azzurro più chiaro fino alle tonalità più scure di nero, non direi proprio normalissima! — gridò Gemma esasperata. — E tanto per la cronaca, da piccola ero bionda!
    — Okay, anche se la tua ipotesi del “variano a seconda delle emozioni” fosse vera, non vedo come potrebbe influire sulla tua vita. Questa conoscenza ti darebbe super poteri? No. Andresti meglio a scuola? No. Qualcuno ti adotterebbe? Tanto meno — ruggì gelido il giovane.
    — Stronzo — sussurrò Gemma allontanandosi a passi svelti. Era il quinto mese che lei e Drake Thompson passavano in quella casa famiglia, e anche se i loro genitori adottivi cercavano di essere gentili e amorevoli, l’atmosfera tesa e terribilmente soffocante era palpabile. Si sapeva che di lì a poco se ne sarebbero andati. E Drake aveva ragione, nessuno l’avrebbe adottata. Era troppo grande, l’avrebbero mandata in un’altra casa famiglia, ma questa volta da sola, perché lui avrebbe raggiunto la maggiore età entro breve. E lei aveva una paura folle di restare sola. Aveva soltanto lui: un ragazzo scontroso, musone e fastidioso che le aveva coperto le spalle per tutta la vita.
    Gemma corse via cercando di dimenticare l’affronto che l’amico le aveva rivolto. Salì le scale ripide del piccolo appartamento di New York e si infilò nel letto in camera sua. Si avvolse nella coperta ispida e rovinata, e dentro di se maledisse il giorno in cui i suoi genitori l’avevano lasciata all’orfanotrofio. Non ricordava nulla di loro, né l’aspetto, né il profumo. Era certa di aver avuto dei genitori solo perché biologicamente parlando era l’unica risposta sensata alla sua esistenza. Ma non si sarebbe mai e poi mai scomodata a cercarli. Se loro l’avevano lasciata sola era perché non volevano aver nulla a che fare con lei. Effettivamente nemmeno lei avrebbe voluto aver a che fare con se stessa, ma non poteva fare a meno di conviverci.
    Si accoccolò con la testa premuta sul cuscino e lo sguardo rivolto alle assi del letto sopra di lei, e sfortunatamente si ricordò che quella non era solo la sua stanza.
    — Gemma, va tutto bene? — domandò la vocina acuta e squillante di Katherine Roberts, che era appena entrata nella camera da letto trascinandosi dietro una valigia enorme.
    — Certo Katie, alla grande — sorrise Gemma ironicamente, osservando la compagna di stanza svuotare gli armadi e lanciare gli abiti sul letto sfatto.
    — Non è per darti fastidio, ma io dovrei sbrigarmi ad andare via, e se tu occupi il letto di sotto io sono costretta a piegare i vestiti su quello di sopra — sibilò la ragazzina arricciando il naso seccata.
    — Okay — disse Gemma alzando le spalle senza spostarsi di un centimetro. Avevano chiamato quella gallina dall’orfanotrofio, perché una coppia di Hollywood aveva visto il suo fascicolo e si era innamorata del suo bel faccino. E diamine, lei invece sarebbe rimasta lì a marcire per chissà quanto tempo ancora. In più, per tutti i cinque mesi di convivenza con la strega biondina, aveva dovuto farle da sguattera perché lei non era nemmeno capace di farsi il letto da sola.
    — Ti vuoi spostare sì o no? — squittì infastidita la ragazza, passandosi il lucida-labbra sulla bocca.
    — Direi di no — grugnì Gemma voltandosi su un lato e dandole le spalle. Chiuse gli occhi, e per qualche istante non la sentì muovere. Poi avvertì dei passi diretti fuori dalla stanza. — Dove vai? — domandò allarmata.
    — Semplice, a dire al tuo amato Drake quanto tu sia completamente cotta di lui — sussurrò con aria di sfida la ragazzina, facendo ondeggiare i boccoli biondi sulle spalle.
    Gemma le si parò davanti bloccandole il passaggio. — Non osare — disse digrignando i denti.
    — Grazie di avermi liberato il letto — sorrise furba Katherine.
    Gemma roteò gli occhi e uscì dalla camera a passi pesanti. Si sedette su una sedia di fronte allo specchio del bagno e iniziò a spazzolarsi i capelli. Ammirava il suo riflesso cercando di coglierne il più piccolo dettaglio che potesse dirle qualcosa delle sue origini, ma l’unica cosa che aveva davanti era una normalissima ragazzina mora con gli occhi maledettamente marroni. Se si avvicinava, poteva vedere i pigmenti muoversi in piccoli turbini dorati creando sfumature in eterno mutamento. Anche se Drake si riteneva troppo intelligente per pensare a qualcosa di un po’ diverso dal normale, lei era certa che si sbagliasse. I suoi occhi non cambiavano a seconda della luce, e avrebbe dato qualsiasi cosa pur di scoprire che cosa le stava accadendo. Si pettinò i capelli alla bell’e meglio, e tornò a scendere le scale alla ricerca dell’amico.
— Se vuoi di nuovo parlarmi del colore dei tuoi occhi, Gemma, non ho tempo per te — sbottò lui ancora prima di sapere ciò di cui voleva parlare, vedendola sulla soglia della porta. Ma lei fece finta di nulla e si sedette a fianco a lui, che in realtà di tempo ne aveva a sufficienza, non avendo nulla da fare in quelle giornate estive.
    — Non dirò nulla, allora — sbuffò lei, spostandosi dietro le orecchie una ciocca di capelli lisci che le dondolava davanti agli occhi. Non si dissero nulla per tutto il resto del pomeriggio, si fecero solo compagnia. Erano tredici anni che non si separavano mai, ma per una cosa o per l’altra prima o poi si sarebbero dovuti abbandonare, anche se era un termine che tutti e due odiavano. Si facevano compagnia anche se in realtà ognuno era da solo nei suoi pensieri, Gemma con i suoi occhi, e Drake… Drake probabilmente con il suo futuro, come al solito.
    — Vuoi saperla una cosa? — sussurrò il giovane appoggiando la schiena ad una poltrona.
    — Dipende — rispose acida lei, aspettandosi ancora delle scuse.
    Il giovane sorrise, e poi continuò imperterrito. — Ho deciso che voglio fare il medico.
    — Questa era una delle cose che non volevo sapere — ghignò Gemma alzandosi in piedi.
    — Non è un problema mio — sbottò Drake facendo lo stesso.
    Regola numero uno del rapporto tra migliori amici: vietato innamorarsi. E lei era riuscita a infrangere questa piccola, stupida e semplicissima regola, ma non glie l’avrebbe mai detto, o avrebbe rovinato tutto. Avrebbe continuato a guardarlo sorridere con quei denti perfetti e meravigliosi, la luce nei suoi occhi neri, i suoi silenzi infiniti, la sua voce, e sì, amava tutto di lui, anche la sua vita votata allo studio e al diventare una persona migliore. Se avesse potuto mettere una firma per passare il resto della sua vita con lui, l’avrebbe fatto lì su due piedi, anche con gli occhi bendati. Ma questo era un segreto che nessuno avrebbe dovuto sapere. Tranne quell’idiota della sua ex compagna di stanza chiaramente, ma quella era un’altra storia.
    Drake avvicinò il volto ad un centimetro dal suo naso. — Domani compirò diciotto anni… Come farò senza di te?
    Gemma si scostò imbarazzata. — Come hai fatto fino ad ora, ero io quella sempre in difficoltà — sorrise arrossendo. Drake sembrò averlo notato, e puntiglioso com’era avrebbe sicuramente chiesto il motivo, se solo il campanello non avesse emesso il suo classico suono distorto, come se le pile di qualche strano oggetto meccanico si fossero scaricate.
    — Non l’hanno ancora aggiustato? — sospirò Drake divertito dal rumore sinistro che ogni giorno da cinque mesi dovevano sopportare.
    — A quanto pare no — rispose Gemma sbirciando dalla finestra, alla ricerca di qualche indizio sul loro ospite.

La signora Bianca scese precipitosamente dalle scale ripide, rischiando di inciampare più di una volta sulla moquette rovinata. Con un gesto veloce spalancò la porta e accolse l’ospite con un grande sorriso dipinto sul volto.
    — Oh, finalmente, la ragazzina non stava più nella pelle, non vedeva l’ora di conoscere la sua nuova famiglia! — esclamò asciugandosi una lacrima di gioia con la mano.
    Drake trascinò Gemma prendendola per il gomito, e osservarono la scena un po’ a testa dalla serratura della porta della sala da pranzo. In salotto era entrato un uomo sulla trentina, con una zazzera di capelli mori arruffati e gli occhi vispi che scrutavano ogni minimo particolare della piccola casa. Era lì per portare Katherine alla sua nuova famiglia. Sembrava un tipo simpatico a differenza di gran parte degli impiegati dell’orfanotrofio St. Thomas. Aveva qualcosa di diverso. Di certo la camicia con colori sgargianti gli donava un’aria completamente differente dai soliti assistenti sociali in giacca e cravatta. Si sedette sul divanetto a molle con aria beata, come se non avesse mai visto divano più comodo di quello.
    La signora Bianca sorrise ancora scossa dal suo arrivo, e, prima che lui potesse dire qualcosa, iniziò a raccontare di quanto bella e perfetta fosse Katherine Roberts.
    Mentre Gemma era intenta a girare per la stanza imitando l’atteggiamento da diva della compagna di stanza, Drake tutto a un tratto diventò serio. Fece cenno all’amica di avvicinarsi e guardare cosa stava succedendo, ma accadde tutto troppo in fretta perché lei potesse comprendere. Riuscì a leggere il labiale dell’uomo perfettamente, ma le parole giunsero alle sue orecchie in ritardo, come se i neuroni del suo cervello fossero rallentati tutti di un colpo.
    — Katherine? Chi è questa Katherine? Io sono qui per Gemma — sorrise lui imbarazzato, mentre la donna sbiancava in volto.
    A Drake andò per storto la saliva, mentre Gemma urlò un sonoro “Che cosa?”, e senza neppure rendersene conto di fronte a loro era comparsa la signora Bianca con gli occhi carichi di rimprovero.
    — Voi due, da quanto siete qua? — sibilò la donna.
    — Ehm… io… — iniziò Gemma titubante, ma non riuscì a concludere la frase, perché l’amico, fumante di rabbia si fiondò verso lo sconosciuto.
    — Chi è lei e che cosa vuole dalla mia amica? — ruggì. Tutte le attenzioni della padrona di casa furono attirate dall’eccessiva reazione di Drake, e fu costretta a pararsi davanti all’ospite per evitare guai.
    — Drake, torna in sala da pranzo, me ne occupo io — lo rimproverò lei, ma il ragazzo sembrava non sentire ragioni.
    L’uomo, preoccupato, scosse la testa e pose una mano sulla spalla della donna. — Sono d’accordo con il ragazzo. È meglio che mi presenti. Sono Henry Mills, il fratello di Gemma.

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Capitolo 3
*** Due ***


«No! Provare no! Fare, o non fare! Non c'è provare!»
Maestro Yoda, Star Wars - L’impero colpisce ancora 

DUE

 

— Se ne vada. Subito — ordinò la signora Bianca rompendo il silenzio gelido che regnava nella stanza.
    Henry rimase in piedi tra il divano e la donna robusta senza dire una parola, scrutando ogni minimo particolare del volto della ragazzina. Gemma tratteneva il respiro e Drake stringeva i pugni conficcandosi le unghie nei palmi delle mani.
    — Ho detto che deve andarsene — riprese con voce piatta e calma la donna, tenendo sempre lo sguardo puntato negli occhi dell’uomo di fronte a se.
    — Mi faccia solo spiegare — provò a iniziare lui, ma Drake aveva già spalancato la porta di ingresso.
    — Ha sentito cosa le ha chiesto la signora Bianca? Deve andarsene, o chiameremo la polizia — lo affrontò il ragazzo con sguardo serio.
    — Curioso — sorrise l’uomo uscendo. — Ho già avuto a che fare con parecchi sceriffi nella mia infanzia. — Ma quando pronunciò quelle parole, ormai la porta si era già chiusa alle sue spalle con un tonfo sordo. Henry scese alcune rampe di scale e quando pensò di essere abbastanza nascosto si sedette su un gradino. Era una mossa avventata. Avrebbe dovuto informarsi e farsi conoscere, dimostrare che in qualche modo era davvero imparentato con lei e portarla via. Ne avevano bisogno. La Foresta Incantata ne aveva bisogno.
    Un pensiero gli balenò in mente. Forse era solo questione di tempo. Fare mosse avventate era una cosa di famiglia.

— Per quanto riguarda voi due, oggi ve ne andrete a letto senza cena — sbuffò la signora Bianca senza voltarsi verso i ragazzi.
    — Ma non abbiamo fatto nulla! — protestò Gemma inseguendo a passi svelti la donna. Il suo stomaco già brontolava, sebbene mancassero alcune ore alla cena.
    — Oh perdonami, credevo che origliare non fosse “nulla” — rispose sarcastica Bianca, voltandosi verso la ragazza. — Se foste tutti tranquilli come Katherine, non avremmo alcun problema a tenervi qui per sempre — sbottò in fine.
    Gemma rimase pietrificata sulle scale mentre la donna continuò per la sua strada. Che stupida che era stata. Per qualche istante della sua breve vita aveva pensato che esistesse qualcuno a tenerci davvero a lei. Credeva che le bastasse quella piccola famigliola che con molta fatica, in cinque mesi era quasi riuscita ad abbattere quel muro che si era costruita attorno fino da bambina, e in pochi secondi quella donna era riuscita a perdere tutta la sua fiducia. Rabbia e tristezza montarono dentro di lei. Forse aveva davvero bisogno di una famiglia vera, anche se non si era mai posta il problema. Forse sarebbe dovuta andare a cercare quell’uomo e chiedergli spiegazioni.
    Una mano le si posò sulla spalla. Conosceva troppo bene quel calore e quel profumo. Si voltò e Drake le scosse lievemente le spalle. — Stai bene? — chiese.
    — Mai stata meglio — sibilò lei scostandolo e avvicinandosi alla porta d’ingresso.
    Lui rimase interdetto. — Non ci pensare neanche!
    — Oh sì, invece — rispose secca, e prima ancora che lui potesse aggiungere qualcosa chiuse la porta dietro le sue spalle e si trovò sul pianerottolo spoglio, da sola.
    Drake si grattò la nuca cercando di capire il suo atteggiamento. Non l’aveva mai vista così persa prima d’ora. Non era nemmeno mai successo che la signora Bianca reagisse in quel modo. Chi era lei per permettersi di fare così tanto male alla sua migliore amica? Nessuno. E non l’avrebbe permesso. Ora Gemma era la fuori alla ricerca di un fantomatico fratello comparso dal nulla che probabilmente avrebbe potuto convincerla di qualsiasi cosa, e il quel momento di debolezza lei avrebbe creduto anche alle storie di extra terrestri o cose simili. Si sentiva in dovere di proteggerla, ma nello stesso tempo sapeva che se non l’avesse lasciata esplorare il mondo da sola, non avrebbe mai imparato a cavarsela. C’erano modi meno invadenti di scoprire se quell’uomo era davvero suo fratello. Uno di questi era Internet.

Gemma prese fiato e fissò per qualche secondo il soffitto scrostato. Non aveva la minima idea di che cosa avrebbe detto quando avesse incontrato quell’uomo. Voleva delle spiegazioni ma non sapeva esattamente su che cosa. Per ora, doveva solo seguire l’istinto, e lo stomaco le diceva che era la cosa giusta da fare. Non sapeva neppure dove stava andando, quell’uomo poteva essere ovunque… Quando lo vide seduto alcune rampe di scale sotto il suo appartamento le si gelò il sangue nelle vene.
    Lui le sorrise. — Immaginavo che saresti venuta da sola.
    — Come lo sapevi? — domandò lei acida, squadrandolo dall’alto in basso. Anche se non riusciva fidarsi di lui, aveva ancora la stessa aria innocente di quando era entrato nel suo appartamento.
    — Lo sapevo e basta, non c’è sempre una spiegazione alle cose — rispose calmo continuando a sorridere.
    — Il mondo sta in piedi con rapporti di causa ed effetto. C’è sempre una spiegazione — lo bloccò lei. — Sei piombato in casa mia senza avvertire nessuno, se cercavi me, come hai fatto a trovarmi?
    — Diciamo che è una cosa di famiglia… — sussurrò lui, scrutando il modo in cui lo guardava severa.
    — Famiglia? Se è vero che sei mio fratello, dovresti sapere che è una parola che non conosco poi così bene. Anzi, direi che non la conosco affatto — constatò amaramente.
    — Sei come nostra madre. Provi rancore, ma non vuoi vendetta — disse Henry, ancora studiando la ragazzina.
    — E chi mi dice che mia madre è anche tua madre? — chiese lei, ancora diffidente di quell’uomo.
    — Potrei scommettere tutto quello che vuoi sul fatto che hai il suo stesso “super potere”. Dimmi se mento. — Quell’uomo la inquietava parecchio. Come diavolo faceva a sapere queste cose? C’erano solo due possibilità. Numero uno, lui era uno stalker. Numero due, era davvero suo fratello. Lo guardò attentamente. Non smetteva mai di sorridere, era un sorriso sincero, i suoi occhi erano scintillanti e spontanei, e non credeva possibile che una persona così sapesse mentire.
    — Cosa mi dici di nostro padre? — chiese Gemma, sedendosi vicino a lui e lasciandosi scappare un sorriso.
    — Quindi devo dedurne che mi credi? — chiese Henry stupito.
    Lei sospirò. — Questo non l’ho detto, io credo semplicemente che sia giusto darti una possibilità.
    L’uomo alzò le sopracciglia. — Sei proprio come lei. Non potevi darmi risposta migliore.
    — Ora so com’è… Ma non hai ancora risposto alla mia domanda, com’è mio padre? — chiese curiosa. Voleva andare a fondo a tutto questo, il peggio che poteva succederle era aver ascoltato solo una bella storia.
    — Beh, diciamo che tuo padre è uno… dalle scelte discutibili — bofonchiò lui.
    — Tuo? Significa che abbiamo due padri diversi? — osservò interessata. 
    Henry sorrise. — Ogni cosa a suo tempo…
    Gemma rimase un po’ confusa. Se non era venuto lì per raccontarle delle sue origini, cosa cercava da lei quell’uomo?

Henry Mills, nato in prigione a Phoenix. Adottato da Regina Mills. Adozione chiusa. Drake  stava mettendo assieme tutte le informazioni che aveva trovato su quest’uomo. Anche lui sembrava essere stato abbandonato come Gemma, ma a quanto pare lui non aveva mai visto un orfanotrofio, e il ragazzo non si spiegava come una madre avesse potuto decidere una vita in una bella famiglia per un figlio, e una di solitudine per un altro. Questo era un punto a favore per la teoria del “non sono fratelli”. Inoltre l’adozione era chiusa, quindi sarebbe stato impossibile risalire al nome della madre biologica. Non riusciva a trovare alcun nesso tra quell’uomo e la sua amica. Anzi, questa “Regina Mills” sembrava quasi inesistente, tranne per il fatto che la sua firma era sul documento dell’adozione che aveva trovato.
    La porta della sua stanza si spalancò di colpo e Gemma precipitò dentro come un fulmine facendogli quasi cadere il computer dalle ginocchia.
    — Devo parlarti — sussurrò seria guardandosi attorno. — Ehm… posso anche parlarti dopo se vuoi — aggiunse imbarazzata quando notò che era a torso nudo.
    — La parola “bussare” non è nel tuo vocabolario, vero? — la rimproverò lui chiudendo con uno scatto il portatile. Non doveva sapere che stava indagando su quell’uomo.
    Lei ignorò la sua domanda e sorrise maliziosa. — Cosa ci facevi semi nudo davanti al computer?
    Lui sbuffò. — Primo non sono semi nudo, ho solo tolto la maglietta. Secondo, sto studiando, se non ti dispiace.
    Lei scoppiò a ridere. — Certo, come no. Chi non si toglie la maglietta per studiare?
    — È estate, ci sono quaranta gradi all’ombra e fa un caldo da crepare. Non toglieresti tutto anche tu? — domandò infastidito lui.
    Lei scosse la testa. — Io non studierei direttamente.
    Drake sorrise sarcastico e la spinse fuori chiudendo la porta con un giro di chiave. Aveva bisogno di pace e tranquillità, e con lei attorno era impossibile. E in più quel giorno faceva davvero caldo e ragionare era difficile. Riprese il PC e ricominciò le sue ricerche.

Gemma appoggiò le spalle alla porta in legno e scivolò a terra. Restò lì seduta per alcuni minuti. Drake era così terribilmente perfetto… Spalle larghe, fisico atletico… Era il risultato di anni e anni di duri allenamenti in piscina, come lo definiva lui stesso. Quando era piccolo era piuttosto paffutello, ma ora che era cresciuto in altezza, cavolo se faceva invidia a chiunque. E poi quella leggera barbetta sul viso che lo faceva sembrare un po’ più grande di quello che era, la faceva impazzire. Doveva dirgli alcune cose importanti, e invece si era bloccato di fronte a lui come una statua. Era una stupida. Ora lui l’avrebbe odiata per sempre.
    Si alzò in piedi con il cuore che le stava saltando fuor dal petto ed entrò nella sua stanza. Prese una borsetta colorata e ne tirò fuori un quadernetto nero. Sfogliò velocemente le pagine e con una penna scrisse velocemente alcuni appunti, strappò la pagina e lo infilò di nuovo nella borsetta, che nascose sotto il cuscino.

La sveglia suonò alle sette e mezza, come ogni calda e afosa mattina estiva. Drake si allungava sempre di più nel letto, alla ricerca dell’ultimo angolino fresco rimasto. La testa gli pulsava leggermente. Era rimasto sveglio tutta la notte alla ricerca di informazioni su quest’uomo che sembrava non aver avuto mai a che fare con il mondo.
    Un pensiero gli balenò in mente. Quella mattina si era svegliato maggiorenne… Avrebbe potuto fare ricerche più approfondite fuori da quella casa che ormai gli stava troppo stretta.
    Era ancora disteso sul letto, supino, il lenzuolo era rovesciato per terra, come anche la maglia e i pantaloni del suo pigiama, e i padroni di casa stavano già iniziando a bussare alla porta di camera sua. Non aveva voglia di farsi fare gli auguri, figuriamoci di alzarsi. In fretta si rivestì e spalancò la porta fingendo un enorme sorriso, ma il viso della signora Bianca era provato e stanco, senza alcuna ombra di felicità.
    — Se ne è andata — sussurrò porgendogli un foglietto strappato con mano tremante.
    I sui occhi diventarono subito seri, e lesse il biglietto velocemente, più e più volte. Non ci voleva credere.

Se voglio essere felice
devo trovare la mia strada.
A qualunque costo.

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Capitolo 4
*** Tre ***


«Quando ero piccolo i miei genitori hanno cambiato casa una decina di volte. Ma io sono sempre riuscito a trovarli.»
Woody Allen

TRE

 

Erano le tre e mezzo di mattina e come d’accordo era di fronte alla porta del palazzo. Henry era li, con il suo solito sorriso ad aspettarla. Aveva portato via con se solo la borsetta colorata e il suo quadernetto, del resto delle cose non le importava più di tanto. Appoggiò la mano sulla maniglia fredda, esitante. Aveva lasciato la casa mentre tutti dormivano, lasciando solo uno stupido biglietto per Drake. Tra le dita stringeva quel pezzettino di carta che all’ultimo momento aveva deciso di togliere dal messaggio.
    Ti amo.
    Appallottolò la cartaccia e la infilò in tasca. Se andava via lei, avrebbe dovuto portarsi via anche i suoi sentimenti. Ora sperava solo che l’amico la scordasse velocemente, senza alcun problema.
    Gemma spalancò la porta dell’ingresso e una folata di  vento gelido la investì in pieno. Stava giusto smettendo di piovere dopo una serata di temporale estivo.
    — La mattina alle tre fa freddo anche d’estate, vero? — chiese Henry vedendola vestita solo in maniche corte e pantaloncini.
    Lei annuì tremante, ancora immersa nei suoi pensieri. — Ora dove andiamo? — domandò.
    — È una sorpresa… Però vorrei che arrivassi lì viva, non umida e morta assiderata — disse con una risata armoniosa, e le porse una giacca in pelle rossa consumata che lei indossò immediatamente.
    — Dove l’hai presa? — chiese la ragazza, notando che aveva un taglio femminile.
    Lui sembrava immerso nei ricordi e la domanda lo prese alla sprovvista. — È di una persona che a quanto pare abbia fatto bene a prestarmela.
    Gemma capì che non era ancora arrivato il momento di conoscere tutta la storia della sua famiglia, e preferì stare in silenzio mentre lui la accompagnò verso un maggiolino giallo parcheggiato sul ciglio della strada.

Drake non ci poteva credere, o meglio, non ci voleva credere. Stringeva convulsamente il pezzo di carta strappato tra le mani, senza sapere se era più arrabbiato per il suo addio o perché lo aveva fatto solo con uno stupido foglietto. Avrebbero dovuto parlarne. Nessuno dei due sapeva nulla di quell’uomo, ma avrebbe potuto scommettere tutte le poche cose che possedeva, che lei era partita con lui.
    — Drake, abbiamo già avvertito la polizia… — cercò di consolarlo la signora Bianca, preoccupata per il suo sguardo assente.
    Lui scosse la testa. — Vado a cercarla — sentenziò.
    La donna provò a fermarlo senza successo, perché lui non era più sotto la sua tutela. Il ragazzo indossò le prime cose che aveva a portata di mano. Erano le sette e quaranta di mattina, la sveglia era suonata solo dieci minuti prima, ma lui non si era mai sentito tanto lucido come quel giorno. Scese le scale velocemente fino a quando non fu sul marciapiede. Le macchine sfrecciavano sulla strada, le persone passeggiavano tranquille, e il sole già era cocente. Drake diede un calcio ad un sampietrino che rotolò lontano scontrandosi con un lampione.
    Appoggiò una mano sul viso massaggiandosi le tempie. Dove diamine poteva essere andata? Quell’uomo poteva averla portata ovunque. Cercò indizi per diversi minuti, ma non trovò nulla che lo portasse a lei. Proprio quando l’ansia e la rabbia stavano per prendere il sopravvento, qualcosa di insolito comparve sotto il suo sguardo. Probabilmente quella notte era piovuto, perché la strada era ancora umida. Sull’asfalto scuro però, saltava all’occhio una chiazza rettangolare più chiara, asciutta.
    Drake fece appello a tutta la sua memoria per ricordare verso che ora aveva smesso di piovere. Dopo alcuni secondi ricordò che verso le quattro i tuoni sembravano essersi calmati e  la connessione ad internet del suo PC era migliorata.
    — Dove si può arrivare da qui in quattro ore? — si chiese parlando ad alta voce per riordinare i pensieri. Si rese subito conto che in quel lasso di tempo sarebbero potuti andare ovunque.

Gemma era seduta con la cintura allacciata e fissava fuori dal finestrino. Nella sua mente frullavano mille pensieri e domande senza risposta.
    La voce di Henry ruppe il silenzio. — Sai, ti aspettavo diversa…
    — In che senso? — chiese lei, sorpresa.
    — Nel senso che mi avevano detto che eri bionda con gli occhi azzurri, invece a quanto vedo, la descrizione non combacia per nulla — osservò lui tamburellando le dita sul volante.
    Lei sbuffò. Quante volte aveva parlato dei suoi occhi a Drake, e quante volte lui aveva accantonato il discorso… — Prima lo ero… Poi i capelli si sono scuriti… E gli occhi, è una lunga storia… Perché parli al plurale? Chi ti aveva detto queste cose?
    — Non ha importanza — sorrise lui. — Piuttosto raccontami questa lunga storia, tanto abbiamo tempo…
    Gemma gli spiegò la teoria per la quale il colore variava a seconda delle emozioni, ma lui non sembrava affatto stranito o divertito. Soltanto sorpreso.
    — In realtà non sono del tutto sicura della mia teoria, perché credevo che l’agitazione li rendesse scuri, ma non è sempre così — osservò lei scorgendo i suoi occhi verde brillante dallo specchietto retrovisore.
    Henry si grattò il mento. — E se cambiassi punto di vista? Ad esempio, se il colore dipendesse dalla vicinanza o meno di un pericolo? — chiese interessato.
    Gemma sorrise e scosse le spalle. Era un’ipotesi ancora più assurda a cui lei non aveva pensato. — Stranamente sembra che tu creda davvero a questa follia… — sussurrò.
    Lui arricciò il naso e allungò la mano verso il sedile posteriore. Prese un grosso volume e lo passò alla ragazza. — Quale follia? Io non credo che esistano follie, solo belle storie.

— Diamine! — ruggì il ragazzo battendo i pugni sul tavolo in legno scuro. — Vi ho già ripetuto che non mi aveva avvertito assolutamente della sua fuga!
    Il poliziotto lo squadrava contrariato. Come avrebbe potuto credergli? Era solo un orfano che aveva vissuto in solitudine troppo a lungo. Drake si guardò attorno furente di rabbia.
    — Te lo spiego io com’è andata. Tu oggi avresti compiuto diciotto anni, e saresti stato libero dalla tutela di persone adulte… Ma lei… lei doveva restare ancora nella casa famiglia, e tu l’hai fatta scappare per non separartene. Ora, o ci dici dove si nasconde, oppure ti accusiamo di rapimento. — L’agente appoggiò le mani sul banco con aria arrogante.
    Drake si alzò in piedi arrabbiato e sconfortato, e per poco non rovesciò la sedia. — Voi credete di potermi trattare così perché ho un passato travagliato, eh? Sono un orfano, non un delinquente. E non ho nulla a che fare con questa storia. Mio padre ha ucciso mia madre quando avevo cinque anni davanti ai miei occhi, e ora è in prigione a scontare l’ergastolo. Gemma è l’unica persona che si è sempre presa cura di me. Davvero crede che sarei venuto qua di fronte a lei a denunciare la sua scomparsa e a cercare di aiutare nelle indagini se avessi voluto scappare con lei? Che razza di poliziotto è!
    Un secondo agente comparve dalla porta del piccolo ufficio, e quello seduto alla scrivania con il ragazzo uscì dalla stanza sbuffando.
    — Mi state trattando come se fossi un pazzo omicida. Gemma è fuggita, ve l’ho ripetuto cento volte — sbuffò il Drake annoiato dalla situazione.
    Il giovane agente che aveva appena fatto ingresso cominciò a parlare senza degnarlo di uno sguardo, sfogliando con attenzione un plico di carte. — Detective Sean McCullen, del dipartimento “persone scomparse” — disse sedendosi di fronte al ragazzo.
    Drake sbarrò gli occhi. — Sean? Ma come…
    L’agente alzò di scatto lo sguardo, facendo cadere i fogli sulla scrivania frapposta tra loro. — Drake? Drake Thompson? Sei davvero tu? Non ci credo, erano secoli che non ti vedevo! — esclamò sorpreso.
    Il ragazzo si sentì subito al sicuro, vedendo quello che sembrava essere un amico di vecchia data. — Sean, come diavolo hai fatto a diventare un poliziotto in così poco tempo? Sono passati solo due anni da quando te ne sei andato dall’orfanotrofio!
    Il giovane sorrise, passandosi una mano sul volto stanco. — Tanti sacrifici e tanta forza di volontà. Se ti può consolare ho iniziato con il dirigere il traffico… Tu piuttosto, sembra che ti sia cacciato in un brutto guaio.
    Drake alzò gli occhi. — Io non c’entro nulla, sono venuto qua per dire tutto quello che so sulla scomparsa di Gemma.
    Sean lo scrutò per alcuni lunghi istanti, corrugando la fronte fino a quasi far toccare le sopracciglia bionde, poi schioccò le labbra. — Ti credo. Hai sempre avuto un enorme senso del dovere. Infatti sono qui per dirti che abbiamo una pista, in un autogrill fuori città hanno appena pagato con una carta di credito intestata ad Henry Mills. Andiamo — sorrise appoggiandosi il berretto sopra i riccioli biondi.
    — Intendi dire che prendiamo la Volante? — sussurrò Drake strabuzzando gli occhi e cercando di velare l’espressione fin troppo felice.
    Sean sorrise e gli lanciò un mazzo di chiavi. — Guidi tu, come hai vecchi tempi?
    — Non so quanto sia legale… — tentennò il ragazzo.
    — Non ci siamo mai posti il problema.

— Hai ancora fame? — chiese Henry, preoccupato per lo stomaco brontolante di Gemma.
    Lei sorrise mandando giù l’ultimo boccone della brioche che avevano appena comprato. — No, sto bene così.
    — Ti trovo silenziosa, cosa c’è? Se hai qualche ripensamento possiamo tornare indietro — iniziò Henry, ma lei lo bloccò immediatamente.
    — Voglio una vera famiglia, una di quelle che ti amano davvero, senza persone che parlano a sproposito e ti feriscono senza chiedere neppure scusa — disse secca lei.
    Lui rimase in silenzio per alcuni secondi, poi sospirò. — E il tuo fidanzato?
    Per poco non le andò per storto un boccone di brioche. — Chi? Drake? Lui è solo… solo un amico, niente di più.
    — Un amico molto protettivo da quanto ho potuto vedere — sorrise lui in tono scherzoso.
    Gemma impallidì. — Un uomo che entra in casa tua dicendo di essere il fratello che non hai mai conosciuto è un po’ sospetto, non credi? — lo canzonò.
    Henry rise. — Forse, ma ho visto cose più strane.
    La ragazza lo osservò con attenzione. Forse quell’uomo era davvero suo fratello. Sperava che in qualche modo le ricordasse i lineamenti della madre, ma il suo volto non le diceva nulla. Era in viaggio con un uomo sconosciuto che le ispirava fiducia verso una destinazione sconosciuta. Forse era pazza, ma era stufa di passare da una famiglia all’altra senza mai trovare qualcuno che la amasse. Fissava la striscia bianca infinita che nasceva all’orizzonte sull’asfalto grigio, e tentava di immaginare come sarebbe stata la sua vita se la sua vera famiglia avesse bussato prima alla sua porta. Sempre che quell’uomo la stesse portando dalla vera famiglia.
    La destinazione non sembrava mai arrivare, allora decise di ammazzare il tempo leggendo quel grosso libro pesante che aveva sulle ginocchia. Sfogliò le pagine. Biancaneve, Cenerentola, La Sirenetta, Peter Pan, Pinocchio… C’erano tutte le fiabe che lei già sapeva a memoria. Voltò velocemente quei capitoli senza far nemmeno attenzione alle immagini che correvano sotto i suoi occhi, fino a quando non ne intravide una che attirò la sua attenzione. Una donna bionda e un ragazzino dentro un maggiolino giallo che oltrepassavano un cartello rovinato, la cui scritta citava Storybrooke.
    Gemma aguzzò la vista. — Hey, guarda! Questo bambino nell’immagine ti assomiglia! — disse ridendo.
    La macchina rallentò. — Siamo quasi arrivati — sussurrò Henry fingendo di non aver sentito e tenendo gli occhi puntati sulla strada.
    Lei sbuffò chiudendo il volume con un colpo. — Quindi ora mi puoi dire dove stiamo andando?
    L’auto sfrecciò affianco ad un cartello mangiato dall’edera che lei riconobbe fin troppo bene. — A casa.

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Capitolo 5
*** Quattro ***


«Il primo libro sarebbe meglio non averlo mai scritto. Finché il primo libro non è scritto, si possiede quella libertà di cominciare che si può usare una sola volta nella vita.»
Italo Calvino


QUATTRO


Giorni prima, Foresta Incantata…
    Emma si guardò allo specchio. Sembrava una vera principessa. Se ne stava lì, tutta agghindata di pietre preziose e bei vestiti mentre nella Foresta Incantata la gente moriva di fame. Biancaneve e David avevano lasciato il trono a Regina, lei era l’unica che conosceva davvero il mestiere, e in fondo era cambiata. Ma anche il mondo lo era.
    — Swan, se stai ancora un po’ di fronte a quel pezzo di vetro finirai per invecchiare lì, e io avrei altri programmi per sta notte… — Disse Uncino avvicinandosi e baciandole il collo.
    Lei sbuffò. — Killian, la Foresta Incantata va a rotoli e tu hai “altri programmi”?
    Il pirata fece spallucce. — Non capisco chi ti ha messo in testa che devi essere sempre tu a salvare il mondo…
    — Mah, non so, l’appellativo “Salvatrice” ti dice qualcosa? — Sorrise sarcastica.
    Killian sospirò. — Henry ha quasi ventotto anni, e noi abbiamo avuto altri tre figli, direi che un po’ di vita di coppia non ci farebbe male…
    — Devo confessarti una cosa… — Iniziò Emma preoccupata.
    Lui sbiancò. — Non dirmi che sei di nuovo incinta, perché ho già dato troppe volte con i pannolini sporchi e le notti insonni.
    Lei sorrise. Sapeva che il marito non diceva sul serio. Quel pirata in realtà si divertiva di più a giocare con i suoi figli che con la vita di corte. — No, tranquillizzati, anche se una figlia femmina dopo quattro maschi non mi dispiacerebbe…
    — Attenta a ciò che dici, Swan… Potrei prenderlo come un invito. — Sorrise lui malizioso.
    Lei gli accarezzò il viso. — Killian, è una cosa seria, ascoltami.
    — Sono tutto orecchie…

    Emma tirò fuori dalla scrivania un grosso libro con una copertina pesante e glie lo porse.
    — È il libro di Henry, e allora? — Chiese il marito.
    — E allora guardalo. — Lo spinse lei.
    Uncino iniziò a sfogliare velocemente le pagine, ripercorrendo tutta la storia della loro vita, le guerre e le battaglie vinte assieme, il loro primo bacio, le loro uscite, il matrimonio, la foresta incantata e i loro quattro meravigliosi bambini di cui Henry era il maggiore. Killian guardò la moglie con aria interrogativa.
    — Hai visto cosa c’è alla fine? — Chiese lei.
    Lui aprì il libro all’ultima pagina. — Un foglio bianco. — Rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
    Emma lo guardò con aria seccata. — Un solo foglio bianco. Sai che significa?

    Lui alzò le spalle. — Che il libro è finito?
    La donna alzò gli occhi. — Il libro contiene la nostra storia, se il libro finisce, finisce anche la Foresta Incantata.
    Killian sbarrò gli occhi e diventò pallido. A una conclusione così tragica non avrebbe mai pensato.

Storybrooke, presente…
    Henry stringeva forte il volante dell’auto gialla che sfrecciava sulla strada di asfalto rovinato.
    — Che significa? — Chiese  fredda Gemma, fissando la pagina ingiallita del libro.
    Henry sorrise e non rispose. L’auto percorse il lungo viale attraverso il bosco, e si fermò al centro di una piazza, di fronte ad un’alta torre, il cui orologio rintoccò mezzo giorno.
    — Questo è casa nostra. Il luogo da cui è iniziato tutto! — Sussurrò Henry, quasi emozionato dal ritrovarsi nuovamente in quella magica città.
    — Ho chiesto che cosa significa. — Ribadì la ragazza indicando l’immagine del libro.
    L’uomo scese dall’auto, e si incamminò lungo il marciapiede. — Questo posto è molto più vecchio di come lo ricordavo…
    Gemma saltò giù dal sedile e corse verso di lui, portando con se il pesante volume. Non aveva ricordi di quel luogo, e in più sembrava del tutto abbandonato. Vetri rotti, muri coperti dall’edera selvatica e intonaco cadente, tutto faceva pensare a molti anni senza alcuna manutenzione. Ma passando di fronte alle vetrine dei negozi e le finestre delle case, sotto ad un grosso strato di polvere, non era difficile distinguere oggetti di vita quotidiana. Sembrava quasi che le persone di quella cittadina fossero partite nello stesso istante, lasciando tutto com’era.
    Henry camminava svelto, prendeva piccole stradine e scorciatoie, facendole perdere più volte il senso dell’orientamento. Dopo un tortuoso percorso, arrivarono di fronte ad una porta diversa dalle altre. Sembrava essere stata spolverata da poco, infatti si poteva guardare attraverso i vetri anche senza aguzzare la vista. Henry spalancò l’ingresso, che emise uno strano tintinnio di campanello che risuonò per alcuni secondi nella testa della ragazzina. Era davvero sicura di non conoscere quel luogo? Scosse la testa. Quel suono era fin troppo comune nei negozi, e poi si sarebbe ricordata di essere stata in un paese chiamato Storybrooke.
    — Prima le ragazze. — Disse Henry sorridendo.
    Gemma ricambiò il sorriso e si infilò nel piccolo negozio. C’erano oggetti di tutti i tipi, la metà dei quali non avrebbe saputo dire a cosa servissero e tantomeno dargli una collocazione spazio-temporale. Un vero e proprio negozio di antiquariato. E la cosa che trovò buffa fu che quel negozio era l’unico luogo di quella città a sembrare quasi nuovo. Sorrise all’idea.
    — Adesso puoi dirmi che cosa ci fa questa città in un libro di fiabe? — Chiese distrattamente, osservando alcuni piccoli orologi sopra uno scaffale.

Intanto, a New York…
    — Drake, per piacere, guida più piano! — Gridò Sean afferrando il volante e schivando un’automobile parcheggiata sul ciglio della strada. — Finiremo per schiantarci, lo so già… —Sussurrò tra se alzando gli occhi al cielo.
    — Il solito fifone. Da quand’è che non ti fidi del mio giudizio? — Lo canzonò il ragazzo moro seduto al posto del guidatore.
    Il poliziotto sbuffò. — Da quando stiamo cercando la tua ragazza.
    L’auto inchiodò, e Drake si voltò verso l’amico con aria omicida. — Lei non è la mia ragazza.
    — Ma ti piacerebbe che lo fosse. — Sghignazzò Sean.
    Drake gli lanciò un’occhiataccia. Era solo un’amica, niente di più che un’amica.
    — Se ti sei fermato per farmi scendere e continuare da solo, sappi che è nel mio intento continuare a darti fastidio. — Continuò ad importunarlo l’agente.
    — Siamo arrivati, idiota. — Grugnì il ragazzo, spalancando la portiera senza degnarsi di spostare l’auto dal centro della carreggiata.
    Il ragazzo si spettinò i capelli biondi con la mano. — Mai usare due parole quando una è sufficiente, eh? Sei sempre stato così…
    — Regola numero uno. — Sorrise Derek, avvicinandosi ad un cartello rovinato spostando con una mano la pianta d’edera che cresceva sopra. — Storybrooke. È qui che erano diretti.
    — O almeno è quello che ha detto il cameriere all’Autogrill… — Aggiunse Sean, scrutando attentamente l’asfalto con lo sguardo. — E infatti ci sono delle impronte di pneumatico… Seguiamole e arriveremo alla tua ragazza.
    Derek si incamminò per la strada senza salire in macchina. Non avrebbe fatto un metro in più seduto vicino a quel deficiente del suo amico. Ma d’altronde era sempre stato così, e non sarebbe mai cambiato.

 

Foresta Incantata, giorni prima…
    — Vado io. — Sussurrò Henry mentre il caos regnava attorno al tavolo rotondo, ma nessuno sembrava starlo a sentire. Tutti i presenti erano troppo occupati ad urlarsi contro a vicenda per starlo a sentire. — Vado io! — Ripeté alzando la voce, ma senza alcun risultato. Emma e Regina dopo tanto tempo stavano per giungere di nuovo alle maniere forti, per fortuna che c’erano Killian e David pronti a fermarle. Biancaneve invece era intenta a discutere animatamente con Brontolo, e tutti gli altri, beh, tutti gli altri erano troppo occupati a preoccuparsi di ciò che stava accadendo per accorgersi della sua affermazione.
    L’unico che sembrava dargli corda era Robin, seduto al suo fianco con aria annoiata. — Sono sempre così le riunioni di famiglia? — Chiese sarcastico abbassandosi per schivare un calamaio che qualcuno aveva lanciato.
    — Dovresti essere tu a preoccuparti di mia madre, non David… — Disse Henry infastidito, digrignando i denti. Robin gli lanciò un’occhiataccia, e lui capì al volo. — Avete litigato di nuovo? — Chiese sbuffando.
    Il ladro si grattò la nuca voltandosi dall’altra parte, fingendo di non aver mai avuto una conversazione con lui. Henry strinse i pugni e si alzò in piedi, stufo.
    — Ho detto che vado io! — Gridò. Tutti i presenti si voltarono verso di lui, in silenzio.
    — Ragazzino, tu non vai da… — Iniziò Emma, ma lui la interruppe.
    — Mamma, basta con questa storia del ragazzino, ho ventotto anni. E ho già trovato una Salvatrice una volta. Non sarà difficile trovare la seconda, vero? — Sorrise lui.
    Emma rimase in silenzio per alcuni istanti, cercando l’appoggio nello sguardo di Regina. Ma la risposta non fu quella che si aspettava.
    — Perfetto, vai tu. Ma fai attenzione, Tremotino ha spiegato che lei non si ricorderà assolutamente di nessuno di noi… — Iniziò lei.

    — Nemmeno noi sapevamo della sua esistenza… — Concluse Emma.
    Regina la fulminò con lo sguardo. — Swan, non fartene una colpa se hai sempre avuto la brutta abitudine di dimenticarti dei tuoi figli. — Sbottò.

    — Sono convinto che le ragioni che il Coccodrillo ci ha dato sono più che accettabili. — Rispose Killian prendendo una sberla in pieno volto nel tentativo di frapporsi tra le due donne.

    — Certo, un sortilegio lanciato da un pazzo con la sabbiolina dorata da cui siamo usciti tutti vivi senza il minimo ricordo, grazie a Emma Swan che ci ha riportati indietro nel tempo è considerabile una ragione accettabile. — Sorrise sarcastica Regina alzando gli occhi al cielo.
    Emma sbuffò. — Devo ricordarti che vieni dal mondo delle fiabe?
    — E quindi? Una figlia che tu credevi di aver cancellato assieme al tuo passato sarebbe la nostra unica speranza? Swan, se ti assomiglia solo un po, siamo spacciati. — Sbottò la mora, battendo i pugni sul tavolo.
    Killian aggrottò la fronte. — Non deve necessariamente assomigliare a lei… Magari è bella come il padre! — Scherzò, ma l’unica cosa che ricevette in cambio furono due sguardi assassini.
    Henry sospirò. — Non c’è nulla da discutere, smettetela! A quanto pare, da quello che dice Tremotino è l’unica in grado di scrivere il futuro della Foresta Incantata, io la devo solamente trovare e portare qua, non le devo fare il test del DNA!
    Tutti si voltarono nuovamente verso di lui. Gli sembrava quasi di essere invisibile. Da quando erano arrivati nel mondo delle fiabe e avevano lasciato Storybrooke, lui si sentiva inutile. Forse aveva sbagliato a non restare lì. Lui era un’uomo di città, forse le spade e i cavalli non facevano per lui. Eppure una volta ne era affascinato… Avrebbe voluto tornare un ragazzino per quei pochi secondi che bastavano per ritornare ad amare la magia. Ma era impossibile.
    Regina si avvicinò ad Henry. — Non puoi andare da solo… — Disse preoccupata.
    Lui la squadrò dall’alto in basso. — E che cosa ti fa pensare che non ce la farei?
    Questa volta fu Robin a bloccarlo. — Ragazzino, pensaci bene. Tra un mese ti sposi, e se ti succede qualcosa nessuno fermerà Merida dal piantarci una freccia dritta nel cervello, e io di frecce me ne intendo. — Sorrise l’uomo.
    Sorrise. Forse lei era l’unica cosa che lo teneva ancora fermo lì, nella Foresta Incantata. — E va bene, qualcuno verrà con me, ma solo a patto che non mi chiamiate più ragazzino.
    — Bene, è deciso. Io partirò con lui. — Esclamò Robin, sotto gli sguardi stupiti di tutti.
    — Non osare… — Sibilò acida Regina puntandogli un dito contro.
    Lui sorrise scaltro. — Oh, invece sì. Così avrai la prova di quanto posso essere bravo a occuparmi di tuo figlio. E stare lontani per un po’ non ci farà male.
    Dopo le classiche raccomandazioni, Henry e Robin uscirono dalla sala e prepararono le loro cose. Il ragazzo non poteva fare a meno di sorridere. — Quindi è per questo che tu e mia madre litigate sempre… Tu vuoi un figlio e lei no?
    — Fai ancora questa domanda e ti faccio mangiare da uno di quei cosi con le ruote del tuo mondo. — Sbottò l’uomo, particolarmente adirato.
    Henry rise. — Quei cosi, si chiamano autobus.

Orfanotrofio St. Thomas, sei anni prima…
    Gemma sedeva a gambe incrociate sul pavimento con un quadernetto nero sulle ginocchia. Era una ragazzina di dodici anni fin troppo sveglia per restare in uno stupido orfanotrofio. La penna scorreva veloce sulle pagine bianche e la sua storia piano piano prendeva forma. Tutti i suoi racconti parlavano di una famiglia meravigliosa che non faceva altro che amare il prossimo e sconfiggere l’odio altrui. Avrebbe davvero voluto che il suo mondo fosse come quello dei suoi racconti.
    Un ragazzino paffutello le si sedette a fianco. — Che fai?
    — Drake, non è il momento. — Squittì lei chiudendo di scatto il piccolo libretto.
    — Non è mai il momento, quando stai scrivendo… — La canzonò.
    Lei lo fulminò con uno sguardo e gli diede le spalle continuando a scarabocchiare imperterrita.
    Il ragazzino allungò il collo e iniziò a leggere ad alta voce. — Il mago si alzò in piedi e prese il bambino per un braccio… Non sapevo che nella tua storia ci fosse anche un mago. — Rise.
    — E io non sapevo che sul tuo naso ci fosse un livido. — Sbottò acida lei, chiudendo nuovamente il quadernetto.
    Lui la guardò interrogativo. — Infatti non c’è…
    — Oh, non ti preoccupare, se non la pianti rimedio subito io. — Rispose annoiata.

Storybrooke, presente…
    — Non capisco, mi hai portato qua, mi hai dato questo strano libro e non vuoi rispondere ad una stupida domanda. Perché? — Chiese diffidente Gemma, guardando l’uomo che si era seduto su uno sgabello dietro al bancone del negozio.
    Henry la guardò dritta negli occhi, serio. — Ragazzina, tu credi nella magia? — Chiese.
    — No, perché? — Sussurrò lei indietreggiando di qualche passo.
    Lui fece spallucce, e sorrise. — Invece dovresti… — Disse mentre il suo volto si trasfigurava. Ora di fronte a lei aveva un’uomo di mezza età, con i capelli fino alle spalle ed un bastone nero tra le mani. Come aveva fatto a fidarsi, senza nemmeno conoscerlo? La ragazza era scattò verso la maniglia della porta, ma quando l’afferrò, sembrava impossibile da aprire. Qualunque sforzo sembrava essere vano. Era in trappola, e nessuno sarebbe mai venuto a cercarla in un paesino abbandonato nel nulla. Semmai qualcuno fosse passato di li, avrebbe notato soltanto l’insegna dondolante del negozio di un certo Sig. Gold.

 

 

Angolo della Gobbiglia :)

 

Tadaaaa, colpo di scena xD
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, e non linciatemi se continuerò ad infittire sempre di più la trama... Diventerà complessa come 2+3i… Ok, perdonate la battuta pessima, mi faccio schifo da sola xD

Recensite, mi raccomando, voglio sapere cosa ne pensate :)

Buona serata,
Gobbigliaverde :)

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Capitolo 6
*** Cinque ***


«Il mondo è un libro, e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina.»
Sant’Agostino

CINQUE

Giorni prima, Foresta Incantata…
    — Henry, tu avrai anche ventotto anni e non sarai più un ragazzino, ma il tempo è passato anche per me… Rallenta un po’ il passo… — Disse Robin con un filo di voce, riuscendo a mala pena a respirare per il fiato grosso. — E, se mi è dato chiedere, si può sapere dove stiamo andando?
    Il ragazzo scalò con una rincorsa il versante di una piccola collinetta, trovandosi sulla cima, in piedi di fronte ad uno spettacolo mozzafiato. Un’enorme distesa verde punteggiata di fiorellini colorati si estendeva a perdita d’occhio, ma non era quello il panorama che gli aveva procurato quell’enorme sorriso stampato sul volto. Scese dall’altra parte con la stessa velocità con cui era salito, correndo a perdifiato verso una ragazza bellissima che camminava verso di lui, leggiadra come una libellula. Il vestito leggero volteggiava tra le sue gambe affusolate, e i piedi scalzi sembravano quasi non toccare terra. Henry la prese per i fianchi e la sollevò con una giravolta, poi la abbracciò immergendo il viso nei suoi morbidi e folti capelli rossi.
    — Come mai sei tornato così presto? — Chiese con una risata cristallina.
    Lui sorrise e la baciò con passione senza rispondere alla sua domanda. Non voleva dirle che sarebbe partito. Voleva stringerla così, tra le braccia, per l’eternità, voleva poter sentire il suo profumo ogni volta che ne aveva voglia, voleva poterla sposare subito, li, in quell’istante, perché sapeva quanto fosse pericolosa la missione a cui stava andando in contro, e aveva bisogno di lei più che di qualsiasi altra persona al mondo.
    — Hey, che hai? Non sarà mica una lacrima questa… — Lo canzonò la ragazza accarezzandogli il volto con la punta dell’indice.
    Henry rise di cuore. — Lacrime di gioia…
    — Ma tranquillo Henry, io ti aspetto qui, in cima a questa collinetta. Seduto. Da solo. Tranquillo, mettici pure tutto il tempo che vuoi, tanto dobbiamo solo salvare il mondo… — Bofonchiò tra se Robin riprendendo fiato mentre assisteva alla scena dalla sua postazione.
    — Robin Hood… Brutta la gelosia, eh? — Sghignazzò una voce alle sue spalle.
    Robin conosceva fin troppo bene quella risata. Si voltò lentamente. — Cosa vuoi, Tremotino? — Sospirò.

    Lui rise ancora. La sua pelle squamosa brillava alla luce del sole, e i suoi occhi luccicavano al solo pensiero della parola che stava per pronunciare. — Un accordo.

Storybrooke, presente…
    La via portava in un bosco. Un bosco infinito, lugubre, e soprattutto, benché fosse estate, freddo. Drake e Sean camminarono a lungo, in silenzio, seguendo le tracce di quell’auto fantasma che sembrava essere sparita del tutto.
    — Drake, ci siamo persi. Guarda, siamo di nuovo vicino a questo stramaledetto cartello.» —Borbottò Sean per l’ennesima volta.
    Il moro si voltò. C’era un cartello, sembrava identico, ma erano circondati da alberi e la loro auto non c’era più. Che diavolo stava succedendo? Sbuffò rumorosamente e riprese a camminare dritto davanti a se, prendendo a calci dei sassolini solitari sull’asfalto rovinato dalle radici degli alberi.
    — Cavolo. — Sbottò, lanciandone uno lontano.
    Sean si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. — Forse questa impresa è più grande di noi… Dobbiamo chiedere aiuto… — Sussurrò.
    Drake scrollò le spalle. — A chi? Al tuo amico che mi ha preso per un rapitore? No grazie.
    — Un’altra delle regole fondamentali di Drake Thompson. Fidati solo di te stesso. Qual’è? La dieci? La venti? Che ne so, ormai ho perso il conto! Drake, sono anni che segui questa assurda morale che ti sei imposto, è ora di cambiare, di fidarsi di chi ti sta intorno. — Il tono accusatorio dell’amico aveva colpito nel segno.
    — Fidarmi? Vai a dirlo a tutti quei ragazzini che se ne stanno rinchiusi in un orfanotrofio a marcire, senza un briciolo di amore. Non te lo ricordi più, forse? — Gridò lui, in preda allo sconforto.
    Sean tacque. Forse non era il momento migliore per cercare di scalfire il muro di ghiaccio che quel ragazzo si era costruito attorno. Continuarono a camminare cercando punti di riferimento per capire come avanzare senza tornare al punto di partenza, ma non appena credevano di aver fatto qualche passo avanti, ecco che il cartello si ripresentava davanti a loro.
    In uno scatto di rabbia, Drake raccolse uno dei sassolini da terra, e lo tirò contro la tavola in legno marcia. Questo rimbalzò, e finì dall’altro lato della strada, cadendo tra gli alberi.
    — Drake, hai visto? — Sussurrò l’amico, stupito. Il ragazzo alzò lo sguardo, e Sean continuò. — Il sassolino è appena scomparso sotto i nostri occhi.

Dieci anni prima, Orfanotrofio St. Thomas…
    — Drake, guarda! Un aquilone! — Una bambina di sei anni, con le treccine more e gli occhi azzurri scrutava il cielo con il nasino all’in su.
    — Ma non dirmi… — Sussurrò distrattamente il ragazzino paffutello seduto vicino a lei, intento a leggere un grosso volume.
    Lei si voltò con aria nervosa. — Drake, non l’hai nemmeno guardato.
    Lui alzò gli occhi e la guardò con aria di sfida. — E allora? Sto leggendo.
    Gemma si arricciò tra le dita un ciuffo di capelli che era rimasto libero dall’acconciatura, e si sedette a fianco a lui sotto il grande albero che gli stava facendo dono della sua ombra. Rovesciò la testa per riuscire a leggere il nome del libro che stava impegnando così tanto l’amico.
    — L’origine delle Specie. Charles Darwin. — Lesse ad alta voce, scandendo bene le parole. — Cos’è? Una storia con le figure? — Chiese sorridente.
    Il ragazzino sbuffò. — Ho otto anni, le storie con le figure sono per bambini piccoli. — Sibilò dandole le spalle.
    Lei sghignazzò. — E allora perché c’è un disegno sulla pagina che stai leggendo? — Disse prendendogli il volume dalle mani.
    — Ridammelo. — Piagnucolò lui, ma lei aveva già scoperto il suo trucco.
    Gemma sfilò la sovracoperta dalla copertina. — Quindi il vero nome di questo libro è Le Fiabe dei Fratelli Grimm?
    Lui arrossì. — Regola numero cinque…
    La bambina gli ritornò il libro, sorridente. — Fammi indovinare… Nulla è mai come sembra? — Rispose felice.
    Il ragazzino annuì soddisfatto. — Hai imparato bene.
    Lei appoggiò la schiena contro la corteccia umida. — Non ho ancora capito chi te le ha insegnate tutte queste regole… Non è noioso dopo un po’ seguirle tutte quante?
    Drake diventò serio. — Le regole sono fatte per essere seguite, regola numero otto. — Disse grattandosi la nuca.
    — Aggiungi questa allora. A volte è meglio non seguirle. — Lo canzonò lei.
    Lui sorrise dolcemente. — Queste regole sono di mia madre… Il giorno prima della sua morte mi diede un biglietto, è l’ultimo ricordo che ho di lei… — Sussurrò.
    Gemma annuì tristemente. — Almeno lei ti ha lasciato qualcosa…

 

Storybrooke, oggi…
    — Regola numero cinque… — Sussurrò tra se Drake, sotto lo sguardo inquisitorio dell’amico. Il ragazzo raccolse un altro sassolino, e lo tirò nella stessa direzione. Anche quello scomparve. Provò a tirarne altri in altre direzioni, ma li vide rimbalzare sul terreno normalmente, secondo i principi della fisica.
    — Vuoi vedere che… — Incominciò Sean, ma l’amico si stava già incamminando verso il punto in cui erano sparite le due pietre.
    Drake allungò una mano lentamente verso quello che sembrava uno strano campo di forza. In un istante vide il suo braccio sparire come ingoiato dal bosco.
    — Non può essere… — Disse Sean, bianco in volto.
    Drake sorrise. — Abbiamo trovato la strada giusta.

Foresta Incantata, qualche giorno prima…
    — Io non faccio accordi con un assassino. — Sbottò Robin secco.
    Tremotino rise ancora. — Io non sono l’assassino, sei tu, l’assassino. — Sghignazzò.
    Robin lo guardò dritto negli occhi, cercando di scorgere quell’ultimo pezzetto di umanità che gli era rimasto nell’anima. Ma lui l’anima non ce l’aveva più da troppo tempo ormai.
    — Se non avessi ucciso io Marian, lo avrebbe fatto il tuo incantesimo. — Disse Robin digrignando i denti per mantenere la calma.
    Tremotino gli posò una mano sulla spalla. — Che dolce, affrettare la malattia di tua moglie. Sai bene che hai perso tuo figlio per questo. — Lo provocò lui.
    Robin gli afferrò il polso. — Che accordo proponi, Signore Oscuro? — Ringhiò.
    L’uomo sospirò, cercando di allungare il più possibile l’attesa, ma la presa di Robin sul suo polso stava diventando sempre più forte. — Ti farò ritrovare Roland se mi farete venire con voi.
    Robin si passò una mano sul viso stanco, pensieroso. Infine prese una decisione. erano quasi quattordici anni che non vedeva suo figlio. — Convincilo tu il ragazzino, però. — Asserì freddo lanciando un’occhiata a Henry, ancora preso dallo scambiarsi effusioni con la principessa Merida.

Storybrooke, presente…
    — Come diavolo ci siamo finiti qui? — Domandò Robin massaggiandosi la nuca. — Mi sento a pezzi, come se mi fosse passata sopra una carrozza con tanto di cavalli e passeggeri…
    Henri si alzò in piedi a fatica. Erano in uno scantinato, la luce filtrava da una finestra che dava sul bordo della strada. Si avvicinò zoppicante, sbirciando all’esterno.
    — Non so dirti come ci siamo arrivati, ma almeno so dove siamo… — Disse a denti stretti, tastando i muri a fianco della finestra alla ricerca di una via di fuga. — Siamo tornati a Storybrooke.
    Robin si sollevò mugugnando. — Qual’è l’ultima cosa che ricordi? — Chiese scorbutico.
    — Ero con Merida, cena romantica e poi… Insomma, non credo che tu sia interessato ai dettagli. Tu? — Disse Henry evitando il suo sguardo.
    — Litigavo con tua madre. — Bofonchiò.
    — Quale delle tante volte? — Lo canzonò il giovane.
    L’uomo lo fulminò con lo sguardo. — Non so come ci siamo arrivati, e cosa ci facciamo a Storybrooke, ma una cosa è certa. Ci siamo persi la riunione di famiglia che Emma aveva indetto per una cosa urgente. — Borbottò, aiutando Henry a cercare un’uscita.
    Henry sorrise guardando fuori dalla piccola finestra. — Guarda, c’è gente… Possiamo chiedere aiuto!
    Robin si avvicinò e aguzzò lo sguardo. Per qualche istante gli parve di poter svenire. — Roland… — Sussurrò.

    I due ragazzi si trovarono di fronte ad una piazza con un’alta torre dell’orologio che segnava quasi le quattro del pomeriggio.
    — Come diavolo ci siamo finiti qui? — Domandò Drake guardandosi alle spalle. Il fitto bosco era sparito, e ora l’unica cosa che appariva ai suoi occhi era una cittadina abbandonata. Tutto aveva un’aria familiare, ma scacciò il pensiero dalla mente. Era certo di non esserci mai stato.
    Fece qualche passo avanti a se, scrutando ogni piccolo dettaglio che lo potesse portare a trovare l’amica, ma nulla, oltre all’auto gialla parcheggiata lì di fronte. Senza auto non avrebbero lasciato impronte di pneumatico da seguire.
    Drake si stropicciò gli occhi. Un pensiero gli attraversò la mente. E se non l’avesse rivista mai più? Sean però lo chiamò, dissolvendolo come nebbia.
    — Che c’è? Hai trovato qualcosa? — Chiese il giovane speranzoso.
    — Non proprio… Ho trovato qualcuno. Guarda là… Sembra che quei due uomini stiano chiedendo il nostro aiuto… — Disse l’amico, indicando una finestra rasente al suolo.
    Drake fece un passo in dietro spaventato. Quel volto era fin troppo familiare… — Papà…

 

 

L’angolo della gobbiglia :)

Non so voi, ma ogni volta che finisco un capitolo con un colpo di scena mi viene da canticchiare la sigla finale di Once Upon A Time :’). E siccome i colpi di scena non finiscono mai, sta diventando una di quelle canzoncine tortura che non ti si tolgono dalla mente… xD

Oltre alle mie pillole di stupidità, spero che il capitolo sia di vostro gradimento :)

alla prossima,
Gobbigliaverde :)

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Capitolo 7
*** Sei ***


«La sua voce magica mutava le parole in velluto, in seta pura, in carne e ossa»
Cuore d’inchiostro, Cornelia Funke

 

SEI

 

Storybrooke, presente.
    — Che cosa vuoi da me? — Gridò Gemma.
    L’uomo rise, girando il bastone tra le sue mani rugose. — Solo un accordo. Tu leggerai quel libro, e io ti lascerò libera.
    La ragazza era visibilmente perplessa. Quell’uomo non le ispirava nemmeno un briciolo di fiducia, ma leggere un libro non le sarebbe costato nulla. Lo aprì e iniziò a sfogliare velocemente le pagine, seguendo con gli occhi le fitte righe nere alternate a disegni incantevoli.
    Lui le strappò il volume dalle mani, infastidito. — Non così. Devi leggerlo ad alta voce, per me. — Ridacchiò nuovamente. Era una risata penetrante e spaventosa, che avrebbe terribilmente voluto dimenticare al più presto.
    Lei sbuffò, e riprese a leggere dalla pagina che lui aveva aperto. — Era notte fonda, ma Belle aveva una terribile voglia di scoprire cosa ci fosse al di la di quella porta. Perché lui le aveva proibito di entrare? Quali segreti nascondeva, ancora? Era terribilmente nervosa, e il cigolio metallico della maniglia rimbombò forse più nella sua testa che nella stanza, ma sussultò comunque. — Gemma alzò gli occhi, guardandosi attorno preoccupata. Le pareva quasi di aver percepito quel cigolio.
    L’uomo la scrutò con sguardo torvo. — Va avanti. La parte che amo di più arriva dopo.
    — Non aveva paura della Bestia, anzi, tutto il contrario. Era terrorizzata dal fatto che qualche sua stupida azione potesse nuocere alla sua salute. Se c’era una cosa che Belle aveva capito, era quanto gli facesse male l’oscurità. La ragazza scacciò il pensiero dalla mente, spingendo la porta che si aprì questa volta senza fare alcun rumore. La vista la lasciò senza fiato. Su un tavolino rotondo al centro della stanza, sotto una piccola campana di vetro, una rosa rossa come il sangue risplendeva dei raggi della luna che filtravano dalla finestra. Belle si avvicinò, attirata da quei petali che sembravano così morbidi e setosi, in totale contrasto con le lunghe spine verdi che spuntavano dallo stelo nodoso. Le sue dita si avvicinavano sempre di più al freddo cristallo, e…
    — Basta così. — La interruppe bruscamente l’uomo.
    La ragazza si riscosse, e lo osservò con lo stesso sguardo perplesso di prima. In tutto questo continuava a non capire il motivo della lettura. Le bastarono pochi istanti in più per comprendere tutta la faccenda. Ai piedi dell’uomo era comparsa quella stessa rosa che poco prima aveva descritto e immaginato nella sua mente. Sentì lo stesso forte desiderio di toccarla, ma riuscì a reprimerlo, un po’ per sua volontà, e un po’ perché paralizzata dalla paura.
    L’uomo ora se la rigirava tra le dita, con sguardo perso, come se fosse l’oggetto che stava cercando da troppo tempo.
    — Come hai fatto? — Domandò Gemma incuriosita.
    — Come hai fatto, tu, vorrai dire. — Mormorò l’uomo. — Sapevo che eri una Lingua di Fata.
    — Una che?
    Lui ridacchiò. — Devi leggere più libri, cara. Se l’avessi fatto sapresti a che storia appartieni. — La canzonò.
    — A che storia appartengo? Ma che diavolo stai dicendo? — Ringhiò, cercando di afferrare il cuore che lui continuava a fissare.
    — Sei libera, cosa stai aspettando? — Ringhiò l’uomo.
    Lei si voltò per qualche istante verso la posta che si stava aprendo con un sinistro cigolio, ma quando tornò a cercare l’uomo, i suoi occhi caddero nel vuoto. Era sparito.

Foresta incantata, giorni prima.
    — L’autore non serve più a nulla. Quel libro ha soltanto una pagina, e qualunque altro volume bianco che abbiamo trovato in casa sua, sembra rifiutarsi di voler essere scritto. — Gridò brontolo, all’ennesima proposta di far sistemare le cose all’autore.
    — Il libro assorbe l’inchiostro, come il diario di Tom Riddle. Solo che non c’è nessuno a scrivere qualcos’altro dall’altra parte. — Confermò Henry.
    Killian lo squadrò perplesso. — Il diario di chi?
    — Non importa… — Sbuffò Henry. Ogni tanto si dimenticava che molti di loro non sapevano neppure come funzionasse un bianchetto a striscia.
    — E cosa consiglieresti di fare? — Ringhiò Regina all’osservazione di Brontolo.
    Emma prese parola. — C’è un libro,
    — No grazie. Se la soluzione ad un libro che sta per distruggerci tutti facendo implodere il nostro mondo è un altro libro, no grazie. — Commentò Regina.
    Emma alzò gli occhi. — Non è un libro magico. È solo un libro che ho letto da ragazzina. Solo che la storia potrebbe essere vera come le nostre. E credo che potrebbe esserci utile.
    Ricordava perfettamente ogni singola parola di quelle pagine ingiallite. E ora i tasselli si stavano mettendo assieme. Cuore d’inchiostro. Chi meglio degli abitanti delle fiabe aveva un cuore d’inchiostro? E la magia di quel libro li avrebbe salvati. E nella sua testa lei sapeva perfettamente chi faceva parte di quella storia, sperava solo che non fosse vero.
    — Dobbiamo trovare mia figlia… — Mormorò, sperando ancora che nessuno la sentisse.
    Il suono arrivò alle orecchie degli altri prima di quanto sperasse.
    — Tua che cosa? — Gridò Killian, stupito.
    Lei sospirò. — È una lunga storia…
    — E scommetto che adesso troverai il tempo di raccontarmela. Almeno dimmi con chi me la devo prendere. Su cinque figli due non sono miei!
    — Su sei figli, e comunque resta sempre uno solo. — Disse lei, cercando di evitare il suo sguardo.
    Lui strabuzzò gli occhi. — Mi sarei ricordato di aver avuto un figlio con te. E poi perché sei? Questa bambina, Henry, Graham, August, Liam e?
    — Non lo avresti mai ricordato, non è colpa mia se Sandman ha lanciato una specie di sortilegio che…
    — Ho chiesto chi è il sesto figlio… — Replicò molto preoccupato.
    — Avevi detto che non ti dovevo dire che ero incinta e non te l’ho detto…
    Lui fece per aggiungere qualcosa, ma Regina scosse la testa in segno di dissenso. — Della vostra vita matrimoniale non ci interessa. Ora spiegatemi perché dovrebbe essere tanto speciale questa ragazzina.
    Emma la fulminò con lo sguardo. — Lei è una Lingua di Fata. Leggendo a voce alta può far uscire i personaggi dai libri.
    — E un portale fa lo stesso.
    — Con la leggera differenza che un portale ci mantiene comunque legati alla nostra storia, e verremmo distrutti assieme al nostro mondo comunque. — Commentò.
    — Come sai che lei è nata con questo dono?
    — Perché l’ha fatto quando era piccola. Stava imparando a leggere e mi sono trovata uno dei fratelli del brutto anatroccolo che starnazzava in casa. Poi non è più successo. È stato Come se per un istante il blocco che non permette alla magia di esistere al di fuori dei confini di Storybrooke si fosse spezzato.
    Regina ci pensò alcuni lunghi istanti, poi annuì. — Questo è un chiaro segno che tutto il mondo magico sta cedendo. Ci vuole qualcuno che andrà a cercarla.
    Poi si scatenò l’inferno.

Storybrooke, presente.
    
— Chiama la polizia. — Sussurrò il ragazzo, con gli occhi sgranati e il fiato corto per l’agitazione.
    Sean sbuffò infastidito. — Sono io, la polizia.
    — Allora prendilo e mettilo in carcere, ha ucciso mia madre di fronte ai miei occhi! — Ringhiò stringendo i pugni.
    — Drake, non posso. Non posso arrestarlo in base a qualcosa che ricordi da quando eri molto piccolo. E poi non saprei come portarlo via da qui, non so neppure come ci siamo arrivati! — Brontolò.
    — Ero piccolo, ma non stupido. — Tentò di dire, ma l’amico si era già incamminato a passi svelti verso l’abitazione in cui erano rinchiusi i due uomini. Drake lo seguì fino ad un certo punto, seppur molto riluttante. Poi si fermò ad una ventina di passi dall’abitazione. Non aveva intenzione di avvicinarsi più di così a quell’uomo.

    — Grazie a Dio, a furia di battere ancora contro questo vetro credo che l’avremmo sfondato. — Commentò Henry.
    Robin non aggiunse nulla. Niente battutine, niente risata sarcastica, neppure un commento per fargli capire quanto la sua presenza lo infastidisse. Quel suo atteggiamento sempre sulla difensiva che manteneva da tre anni a quella parte con tutti quanti, sembrava svanito nel nulla, fagocitato dall’inespressività del suo viso e dai movimenti impercettibili del suo petto affaticato dal respiro affannoso. Solo gli occhi si astenevano dall’immobilità del suo corpo: uno sguardo che comprendeva gioia e tristezza, rancore e rimorso, amore e odio. le dita delle ani tremavano leggermente mentre gli mancava persino la forza di stringere i pugni. Si odiava per aver lasciato suo figlio in quella terra senza eroi, ma ora che lo vedeva di fronte a se, così cresciuto, così cambiato eppure sempre lo stesso, rimpiangeva ancor di più il giorno in cui era stato costretto a lasciarlo.
    — Roland… — Sussurrò a fior di labbra, sperando che quel filo di voce riuscisse a passare attraverso lo spesso vetro sporco.
    Sentì una mano calda posarsi sulla sua spalla, ma non ci fece caso. Il suo cuore aveva fatto un tuffo di troppi metri per riuscire a riscuotersi in così poco tempo. Solo il rumore metallico di un chiavistello lo fece voltare per qualche istante, per poi ritornare a guardare il ragazzo dalla finestra.
    — Oh, finalmente! Iniziava a scarseggiare l’ossigeno qua dentro! — Disse Henry sventolando una mano per respirare.
    Sean sorrise beffardo. — Non così in fretta. A quanto ho capito tu sei quello che ha rapito la ragazzina.
    Il ragazzo rimase senza parole. Non aveva idea di cosa stesse parlando il poliziotto. — Credo che ci sia un equivoco. Anzi, ne sono sicuro. Io e il mio amico siamo stati rapiti, non potevamo essere altrove, solo qui.
    Robin li scostò come un fantasma, come se non avesse sentito nulla di quello che era stato detto. Trascinava i piedi come se non avesse abbastanza forza per sollevare, inciampava ad ogni passo, si appoggiò di peso sul corrimano riuscendo per miracolo a fare le scale per lasciare la cantina umida, seguito da Henry e Sean che lo guardavano sconcertati. Sembrava in preda al sonnambulismo.
    Uscì dalla porta con la stessa calma con cui aveva salito i gradini, uno per uno, quasi per assaporare lentamente il momento in cui si sarebbe ricongiunto a suo figlio.
    — Roland… — Disse nuovamente, questa volta la sua voce risuonò nella piazza con un eco martellante.
    Il ragazzo fece un passo indietro. — Sta lontano da me. — Sibilò.
    L’uomo però sembrava non sentir ragioni, e andava avanti come stregato dall’immagine di Drake. Ormai era a pochi metri. Troppo pochi.
    — Ho detto sta lontano da me! — Gridò.
    Robin venne scaraventato a terra da quella che sembrava una sfera invisibile tutto attorno al ragazzo. Drake fece un salto indietro, stupito dall’accaduto, mentre Henry e Sean rimasero impietriti sull’uscio.
    — Che diavolo è successo? — Ringhiò Henry correndo verso l’amico.
    Drake scosse la testa e si guardò attorno preoccupato. Poi udì una voce che non si aspettava di sentire più.

    — Drake? Drake! Come sei arrivato qua? Dobbiamo andarcene subito, qui succedono cose strane, troppo strane!
    Gemma correva a perdifiato verso di lui, con il viso di chi aveva appena visto un miraggio. Drake aveva il viso imperlato di sudore, le mani gli tremavano, e qualunque cosa fosse successa era pericolosa.
    — Sta indietro! — Le gridò, tendendo le mani avanti.
    Lei rallentò la corsa forsennata, avvicinandosi lentamente. — Ho visto cos’è successo. Non mi farai nulla, vedrai. — Disse con un filo di preoccupazione forse troppo accentuato.
    — Ti prego. Non mi perdonerei mai se ti facessi del male. — Sussurrò, chiudendo gli occhi.
    Gemma fece lo stesso. Serrò le palpebre cercando di non pensare a quello che stava facendo. Lei credeva nella magia, e aveva avuto più di una prova della sua esistenza. E quello scudo magico che l’amico aveva evocato era pericoloso e potente. Metteva un piede dietro l’altro, lentamente, ascoltando il rumore dei suoi passi sull’asfalto. Senza volerlo tratteneva il respiro, come se anche solo uno spiffero di vento potesse cambiare i fragili equilibri.
    E dopo un tempo che pareva infinito sentì il suo respiro affannoso, spaventato, così vicino che avrebbe potuto sfiorare con le dita l’umidità proveniente dalla sua bocca. Aprì gli occhi e gli si gettò tra le braccia.
    — È tutto finito ora. Puoi guardare. — Gli sussurrò all’orecchio, mentre sentiva le sue braccia stringerla fino a quasi stritolarla.
    — Non ho idea di che diavolo sia successo, ma non sono mai stato così contento di vederti. — Mormorò Drake.
    — Scommetto che la Salvatrice è quella lì. — Concluse Henry, aiutando Robin ad alzarsi.
    — Cosa te lo fa pensare? — Domandò con una voce carica di amara ironia.
    Gemma si voltò verso i due uomini che parlottavano tra loro. — Immagino che tu debba essere il mio vero fratello. — Disse, rivolgendo un sorriso a Henry.
    — Immagino di si… — Rispose lui, paonazzo. — E ho una lunga storia da raccontarti.
    — E immagino anche che c’entri questo, la magia, e una terra lontana da salvare. — Rispose prontamente lei, mostrandogli il libro.
    Lui rimase interdetto. Non immaginava che sarebbe stato così semplice. Si voltò verso il poliziotto che in tutto l’accaduto era rimasto immobile come un soldatino di piombo, tutto agghindato, confezionato nella sua divisa impeccabile come una torta di nozze. — A quanto pare non c’è nessun problema se noi andiamo. — Squittì Henry, lanciando a terra un fagiolo magico, che creò una voragine nell’asfalto. — Forza, saltate, non c’è molto tempo! — Gridò, ma Sean si riscosse e si parò di fonte al buco che si ingrandiva sempre di più.
    — Non andrete da nessuna parte. — Ringhiò a denti stretti, estraendo la pistola.
    — Che strano. È quello che avrei detto anche io. — Ridacchiò una voce stridula comparsa alle loro spalle.
    Robin trasalì. — Gold. A quanto pare era stato davvero troppo facile.

 

 

L’angolo della Gobbiglia :)

Chiaramente non c’è modo per farsi perdonare questa lunga, anzi, lunghissima attesa. Chiedo umilmente perdono, ma l’ispirazione scarseggiava un po’ più del solito, poi un giorno mi sono svegliata ricordandomi di un vecchio libro impolverato che non apro ormai da anni, ma che al tempo mi aveva preso talmente tanto che avevo masticato le sue quattrocento pagine in un giorno. Non so quanti di voi abbiano letto Cuore d’inchiostro di Cornelia Funke e i suoi sequel, ma per il potere di Gemma mi sono ispirata a quello. Insomma, le calzava a pennello :)
Chiedo umilmente scusa, e ancora scusa a tutti quelli che aspettavano da tempo mie notizie, ma non avevo la testa per scrivere qualcosa di decente.

Baci,
Gobbigliaverde :)

(Non ho idea di quando farò il prossimo aggiornamento, spero di avere tempo al più presto.)

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Capitolo 8
*** Sette ***


«Per la morte non c’è spazio, ma le vite volano e si aggiungono alle stelle nell’alto cielo.»
Publio Virgilio Marone

SETTE

 

Presente, Foresta Incantata.
    — È via da troppo tempo… — Sussurrò la ragazza, spettinandosi i capelli già ribelli di loro.
    — Almeno non metterà le mani su mia figlia per un po’… — Tossì Fergus, beccandosi una gomitata nelle costole dalla moglie.
    Merida non lo ascoltava. Era quasi un mese che rimaneva alla finestra, a fissare l’orizzonte, aspettando di vederlo arrivare in groppa a quel cavallo così bianco da poter essere solo di un principe. Il suo principe. Ma non arrivava. «Mamma, e se è morto?» Aveva sussurrato una sera a Elinor, sull’orlo delle lacrime. Lei le aveva preso il viso tra le mani, come faceva quando era piccola, e l’aveva stretta a se. Ma neppure il calore di sua madre riusciva a cancellare quella brutta sensazione che le bruciava lo stomaco. I suoi capelli rossi come le fiamme dei draghi sembravano di boccioli di rose appassite, e il pallore principesco della sua pelle si era trasformato in un biancore malaticcio. I suoi occhi non brillavano più, erano spenti, spenti come le fiamme che non bruciavano più nella sua chioma, e nel suo cuore.
    — Sta morendo… Fergus, sta morendo… — Disse con voce rotta Elinor, prendendo la mano del marito.
    Ma a lei le parole non arrivavano. I genitori erano troppo distanti, dall’altro capo dell’enorme stanza, come della mente di Merida.
    — È morto, lo so. Io non valgo nulla, senza di lui. — Sussurrò ancora la ragazza. Parlava con il vento da giorni, ormai, nella speranza che questi le portasse notizie del suo amato. Ma nessuno sapeva nulla da dopo la sua partenza.
    Fergus studiò a lungo la moglie. Quel pallore della morte che la figlia portava addosso si stava specchiando lentamente sul volto della madre. E presto si sarebbe impadronito completamente di lei. Doveva fare qualcosa, o sarebbero morte entrambe.
    — Harris! Hubert! Hamish! Badate a vostra sorella. Io vado a cercare Henry. — Che ironia, la sorte. Il nome del futuro marito di sua figlia calzava a pennello con quelli dei suoi figli.
    Si fiondò fuori dalla stanza sotto gli occhi stupiti dei tre gemelli identici, sempre assieme, persino ora che avevano diciotto anni.

Presente, Storybrooke.
    Sean non sapeva dove puntare la pistola. Se verso Henry o verso il vecchio con un bastone che era comparso alle loro spalle.
    — Posa l’arma. — Disse pacatamente senza dedicargli troppe attenzioni.
    — Gold, lasciaci andare. Scomparirai anche tu, se non riusciamo a raggiungere gli altri! — Ringhiò Henry tenendo gli occhi puntati sul ragazzo con la pistola, con lo sguardo carico di diffidenza.
    Ma Tremotino non si mosse. — Certo che vi lascerò andare, ma prima, un accordo.
    Il portale già dava segno di cedimento, e la voragine si restringeva sempre di più. — Cosa vuoi in cambio? — Gridò Gemma, avvicinandosi al fratello, sebbene Drake tentasse di trascinarla più lontano possibile.
    — Voglio che tu legga per me, quando saremo dall’altra parte. Almeno una volta, almeno un tentativo. — Ridacchiò con quella sua vocina fastidiosa, notando che al portale mancavano non più di una manciata di secondi.
    Lo sguardo ansioso di Henry diceva tutto, ma che altra possibilità avevano? — Abbiamo un accordo. — Disse lei, annuendo, prima di tuffarsi senza il minimo indugio in quel vortice di luce verdognola che si restringeva sempre più.

Anni prima, Foresta Incantata.
    
— È morta. — Sussurrò il cerusico, avvicinandosi lentamente all’uomo che aspettava seduto su un tronco caduto.
    — Cosa? — Disse con voce rotta, stringendo a se una bambina di meno di quattro anni come per poterla proteggere da qualunque cosa. Ma sapeva bene che dalla morte non si scappa.
    — La mamma è andata in cielo? — Chiese con voce angelica, quasi ignara di ciò che era accaduto. Nel suo tono si poteva cogliere persino una piccola traccia di leggerezza.
    — Sì, Belle è andata in cielo… — Sussurrò lui, stringendola più forte a se. Era tutto quello che gli rimaneva di lei.
    — Papino, non ti preoccupare, — Iniziò, asciugando una lacrima dal viso di Tremotino con quelle sue manine piccine. — la mamma starà rimboccando le coperte a Bae ora.
    — Sì, sarà con Baelfire… — Continuò lui, fissando il vuoto e accarezzando i folti capelli mori della bambina. Mori come quelli di sua madre, la donna che lui amava di più al mondo. E una stupida malattia l’aveva portata via.
    — Papino, tu puoi riportarli qui con la tua magia? — Domandò la bambina, interrompendo per l’ennesima volta i pensieri del padre.
    Lui la prese sulle sue ginocchia, mentre lei continuava imperterrita a giocare con le ciocche dei suoi capelli. — Mia cara… — Apostrofò lui, cercando nello sguardo luminoso della piccola quella scintilla che c’era negli occhi di sua madre. — Neppure la magia più potente può strappare le anime alle Figlie della Morte.
    Per un attimo credette di essere riuscito finalmente ad attirare la sua attenzione. — I fantasmi intendi? Le Dame Bianche? — Chiese con aria spaventata.
    Lui annuì con forza. — Si, proprio loro. Le hai viste, no? Arrivano quando chi sta morendo ha ancora voglia di restare, di lottare. Sono loro a chiamarlo, a persuaderlo a seguirle nella morte. Gli accarezzano il cuore fino a fargli credere che non esista posto migliore del loro mondo, se si può definire tale.
    — Ma alla mamma piaceva stare con noi… — Piagnucolò lei, incrociando le braccia al petto.
    — Non è colpa sua. Loro arrivano per togliere il dolore là dove non c’è più speranza… — Concluse, dandole un piccolo buffetto sul naso. Ma forse si sbagliava. Una speranza c’era ancora. Si ricordava di una storia che parlava di un mangiafuoco che aveva fatto un patto con loro. La sua anima, per quella del figlio morto. E forse avrebbe funzionato, doveva solo trovare un esca e il modo di evocare quegli spiriti così sfuggevoli.

Presente, Foresta Incantata
    Erano passati sette giorni e sette notti da quando si erano lasciati portare via dal mondo che Drake si ostinava a chiamare Reale. Eppure a Gemma anche questo sembrava altrettanto reale. Così reale da poter amarne i colori, i sapori, i profumi, e perché no, anche gli abitanti. Il ragazzo invece, si ostinava a rimanere in coda al gruppo, più distante possibile da tutti, osservando con aria diffidente gli immensi alberi che sembravano toccare il cielo.
    — Dici che ci seguirà? — Sussurrò Robin all’orecchio di Henry.
    — Chi, Tremotino? No, è già troppo lontano. Ma ci terrà d’occhio. — La sua voce sembrava preoccupata, ma Gemma non ci fece caso. Era più occupata a tenersi alla larga dalle grosse ragnatele che legavano gli alberi. — Piuttosto, perché tu, tuo figlio e il poliziotto non andate a cercare un po’ di legna? Io e Gemma prepariamo i giacigli per la nostra ultima notte di viaggio. — Esclamò il giovane, dando una forte pacca sulla spalla a Sean, che gemette. Si era slogato qualcosa, cadendo dal portale. E pareva che a Henry facesse parecchio piacere. La chiamava “una piccola vendetta per avermi puntato una pistola”.
    Gemma si sedette su un tronco tagliato, gli occhi azzurri come il cielo puntati in quelli del fratello. Si, erano un po’ di giorni che erano azzurri. E Henry se n’era accorto prima di Drake, quell’idiota. — Quindi? — Chiese la ragazza.
    Negli ultimi tre giorni di cammino, Henry aveva tentato in tutte le maniere di rimanere da soli, ma c’era riuscito solo ora. — Mi sembri tranquilla. Non ti preoccupa quello che ti voglio dire?
    Gemma scosse la testa. — Come lo sai?
    — I tuoi occhi, sono lo specchio delle tue emozioni, non te n’eri mai accorta? — Henry sghignazzò. Ma quella risata non aveva alcunché di divertente. La ragazza lo guardava frastornata, e le sue iridi passarono dall’azzurro al verde dorato. — Ah, ecco. Adesso va meglio. — Disse Henry, ritornando completamente serio.
    — Vai subito al punto. — Grugnì Gemma. Probabilmente il nero era il colore della rabbia, e piano piano, i suoi occhi ci stavano arrivando.
    Henry ridacchiò di nuovo. — Se speri di trovare una famiglia, oltre questa foresta, ti sbagli di grosso. E in questo libro — strappò il libro delle fiabe dalle mani di Gemma, scuotendolo in aria come se avesse potuto stritolarlo tra le dita — neppure. Nostra madre e tuo padre sono troppo occupati con gli altri figli, piuttosto che badare a quelli che hanno abbandonato ignoro per il mondo. — Sputò fuori.
    Gemma rabbrividì. Quando lui le aveva tolto il libro dalle mani, aveva avvertito qualcosa che non andava. Lo riprese tra le dita con delicatezza, come un cimelio antico. — Hai ventotto anni e sei geloso di alcuni marmocchi? — Lo canzonò, con aria talmente ingenua che per qualche istante persino Henry rimase scottato.
    — Non capisci. — Continuò, riscuotendosi. — Emma cerca in tutti i modi di riempire il vuoto che ha lasciato in se stessa quando si è resa conto di non avermi visto crescere amando gli altri suoi figli. È bloccata in un limbo. Ama fino a che loro non compiono l’undicesimo anno d’età. Dopo di che è tutta una finzione.
    Gemma annuì con aria confusa. La sua mente le diceva che lui era sincero, fin troppo sincero. Ma il suo cuore stentava a crederci. E il suo superpoteri aveva già dato la dimostrazione di non funzionare bene, quando aveva seguito Gold credendolo suo fratello.

    — Tu! Meschino ingrato! Te ne vai a zonzo per la Foresta Incantata con una bella fanciulla quando mia figlia è in bilico tra la vita e la morte? — Una voce, per fortuna, aveva interrotto quella conversazione senza sbocco.
    Henry scattò in piedi, visibilmente preoccupato. — Fergus? Io non… Che hai detto? Tua figlia? — Esclamò. La paura stava lentamente prendendo possesso del suo corpo.
    — Vieni con me. Faremo i conti dopo che l’avrai salvata. — L’uomo robusto che era comparso tra le frasche trascinò via Henry per un braccio come un pupazzo di pezza, mentre lui gli arrancava dietro come un cagnolino.
    “Evviva.” pensò Gemma. “Ora dovrò farmi tutta la strada con il padre di Drake, da cui, a quanto pare, ha ereditato il silenzio.” La ragazza fece qualche passo avanti tra le fronde scricchiolanti, spostando le foglie e trovandosi di fronte allo spettacolo mozzafiato di un castello abbarbicato su uno scoglio. Sembrava quasi che fosse sul piede di fare un bel tuffo in mare, con tanto di torri torrioni e mura merlate.

Pochi mesi prima, Arendelle
    — I figli somigliano ai genitori troppo spesso… — Sussurrò Anna accarezzando il broncio di Kristoff con un dito. L’uomo teneva lo sguardo puntato all’orizzonte, con la fronte corrucciata e gli occhi furenti.
    — Possibile che Kim non riesca a rimanere a palazzo per più di cinque minuti? Ormai ha quindici anni, e non riesce a pensare a null’altro che al ghiaccio. — Grugnì l’uomo, lasciandosi scivolare con la schiena sulla neve.
    Anna ridacchiò. — Non è vero… Pensa anche a quella ragazzina rompiscatole e iperattiva di cui si è innamorato. Non so perché ma mi ricorda vagamente qualcuno. — Lo punzecchiò, ma lui non sorrise.
    — Immagina come reagirà Irene quando lui le dirà che dobbiamo trasferirci per un periodo nella foresta incantata per salvare il mondo e i suoi abitanti.
    Anna ridacchiò stampandogli un bacio sulle labbra. — Gli eroi lo fanno per mestiere a quanto pare. E poi sarà felice di sapere che avrà un fratellino. Giusto? — Domandò, mentre lui le prendeva le mani.
    — Giusto.

Presente, Foresta Incantata
    La sala del trono era molto più ampia di quanto la sua immaginazione avesse potuto pensare. Il tappeto bianco era cosparso di petali di rose rosse come il sangue, grandi tavolate di cristallo azzurro pallido erano adorni di cesti di frutta, tra cui Gemma riconobbe quasi subito delle tonde e perfette mele rosse quanto i petali che scintillavano alla luce dei candelabri e dei lampadari luminosi. E poi c’erano i fiori. Tanti di quei fiori che nemmeno il fioraio più fornito d’America aveva mai visto in tutta la sua carriera. E molte specie probabilmente, nel mondo da cui veniva, non erano ancora state scoperte.
    C’erano alcune domestiche che agghindavano la sala e sistemavano le tende, spalancandole e facendo entrare più luce di quanta già non facessero quelle mille candele disposte in fila sulle tavolate. I finestroni enormi ad arco gotico - come aveva studiato mal volentieri in storia dell’arte - si slanciavano verso l’alto, come d’altronde tutti gli elementi architettonici in quella stanza. La facevano sentire così piccola e fragile che avrebbe tanto voluto nascondersi dietro una di quelle colonne bianche candide che arrivavano così in alto che lei non si sarebbe stupita se avessero toccato le nuvole.
    Al suo fianco, anche Drake e Sean sembravano incantati e intimoriti da tutto quello splendore. Robin era sparito, non aveva più detto nulla a Drake, dopo quel fatto a Storybrooke. Ma lei ci aveva ripensato parecchio. Se lei poteva far uscire le cose dai libri, forse Drake poteva creare strani campi di forza. In quel mondo alla rovescia non sembrava poi un ipotesi tanto campata in aria. E in più era felice di essere stata l’unica in grado di aiutarlo, anche se ora non emetteva neppure un suono.
    Uno scalpiccio di passi frettolosi la strappò dai suoi sogni romantici e la riportò alla realtà. Sempre che un mondo fatto di castelli, orchi e magia lo fosse. Un uomo si era fermato ad una decina di metri da loro, squadrandoli con aria grave. Tra i quaranta e i quarantacinque anni, capelli neri, occhi chiari, e un abito di pelle che, se non fosse stato per la corona che portava in testa, l’avrebbe fatta pensare ad un pirata, piuttosto che ad un principe.
    — Gemma… — Sapeva anche il suo nome. Che novità. In quel mondo sembravano conoscerla tutti. “Tutti a parte me stessa…” pensò amareggiata.
    — La sala è pronta per il gran ballo di questa sera, maestà. — aveva squittito una delle domestiche in direzione dell’uomo. Ma lui non le diede retta.
    — Sei identica a tua madre… — Sussurrò lui, con una lacrima che gli scendeva lungo la guancia.
    E per un lunghissimo istante mi sentii come ci si dovrebbe sentire in una famiglia. Amati. — Papà… — Balbettò facendo un passo avanti. Ma subito dopo sopraggiunse la rabbia.

 

 

L’angolo della Gobbiglia :)
Ok, speravo di riuscire a scrivere qualcosa di meglio dopo tutto questo tempo, ma nulla, la mia testa non funziona e non vuole funzionare… Questo è un capitolo di passaggio, mi serviva per scrivere cose interessanti che verranno dopo, quindi l’unica cosa che mi consola è che c’era bisogno di questa schifezza per arrivare al resto :)
Esattamente come per lo scorso capitolo, vale lo stesso principio, non so quando riaggiornerò, perciò non fatevi falsi illusioni :) Fino a che non dirò a me stessa che prendere troppi impegni è male, la vita andrà così. :)
Buona notte,
Gobbigliaverde :)

Ps: Fatemi sapere cosa ne pensate, la vostra opinione è importantissima :) E perdonate gli errori di ortografia delle undici e mezza di sera :)

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Capitolo 9
*** Otto ***


«Quando la mano di un uomo tocca la mano di una donna, entrambi toccano il cuore dell'eternità.»
Khalil Gibran

OTTO

 

 

    Foresta Incantata, oggi.
Il ricevimento. Le gambe le tremavano al solo pensiero. Erano tre giorni che stava a palazzo, e tutti non facevano altro che parlare di questo ricevimento, dove lei avrebbe finalmente conosciuto la ragione per cui si trovava in quel mondo pazzesco e stravagante. Erano anche tre giorni che non vedeva Drake, né Henry, né suo padre Killian, né nessun altro essere umano, a parte Anna e un paio di governanti che l’avevano aiutata ad ambientarsi.
    Aveva passato tre giorni nella sua camera, rifiutandosi di cambiare i suoi jeans e la sua giacca di pelle rossa con quegli abiti di seta morbida che tutte le ragazze indossavano. Solo per il ricevimento, una delle due governanti, una donna bionda con lo sguardo buono, le aveva portato un abito rosso che le aveva fatto provare appuntando un paio di spilli dove le stava troppo largo.
    — Tua madre ha indossato questo, il suo primo ballo — sorrise la donna scrutando Gemma come se potesse trovare il riflesso della madre. Peccato che non l’avesse neppure incontrata. Forse Henry aveva ragione, a quella donna, chiunque fosse, non importava nulla di lei.
    — Grazie — sussurrò la ragazza con un sorriso tirato, mentre la governante usciva dalla porta lasciando una donna rossa di capelli a sistemarle i capelli e l’abito.

— Mi chiamo Gemma Jones, ho sedici anni, non sono troppo alta, ho i capelli mori e gli occhi azzurri, il più delle volte — sussurrò tra se la ragazza. Lo ripeté un paio di volte prima di sembrare convinta del tutto. — Mi chiamo Gemma Jones, e i miei genitori biologici sono Emma Swan e Killian Jones, vivono nella foresta incantata, hanno organizzato un ballo in mio onore, e hanno incaricato Anna di Arendelle di procurarmi un abito e prepararmi. — Ecco, questa era la parte che no riusciva a digerire, assieme al fatto che suo padre fosse Capitan Uncino, che Peter Pan, il suo eroe dell’infanzia fosse un cattivo, e che Drake fosse il figlio di Robin Hood, sì, proprio quello della canzoncina che non riusciva a togliersi dalla mente da quella mattina. Stava diventando matta.
    Anna allacciò l’ultimo bottone del corsetto e le porse uno specchio, in cui lei si rifiutò di guardare, partendo dal presupposto che quello non era niente meno che il castello della Regina Cattiva.
    — Come vuoi. — le disse gentilmente la donna, ritraendo la mano e posando lo specchio in un cassetto. — Ma ora dobbiamo proprio andare, o farai tardi al ricevimento.
    Gemma annuì debolmente, e la donna decise di lasciarla sola. Saggia scelta.
    La ragazza si sgranchì la schiena. Era stata troppo tempo immobile a farsi allacciare il corpetto dell’abito rosso. Vicino a lei, c’erano due scarpine di cristallo che non stentava a credere fossero di Cenerentola in persona. D’altronde, aveva sedici anni e il 35 di piede, già tanto che avessero trovato delle scarpe adatte a lei.
    Infilò la punta di un piede in una scarpetta, godendosi per qualche istante il contatto del freddo cristallo con la pelle. Indossò entrambe le scarpe, e tentò di camminare con un po’ di grazia. Percorse il perimetro della stanza circolare inciampando ogni tre passi sulla moquette blu notte, non tanto per i tacchi che non aveva mai indossato, quanto per l’abito rosso che le scendeva fino ai piedi.
    Imprecò tra se più volte prima di riuscire a fare una decina di passi senza mai perdere l’equilibrio. Dopo di che si arrese, e scappò via dalla sala. Aveva bisogno di vedere dei volti noti.

    Foresta Incantata, mesi prima.
— Il ragazzo ha in se una potente magia. Va eliminato, se volete riportare indietro la vostra Belle.
    L’uomo che parlava sedeva di spalle, con il cappuccio scuro calato sul volto. Tremotino non riusciva a vederlo in faccia, e questo lo turbava parecchio. — So che non posso portarla indietro, senza la seconda salvatrice. Non ho mai sentito parlare di nessun ragazzo.
    L’uomo riprese a parlare con voce rauca e profonda, mentre tutto attorno a lui il bosco fremeva assopito nella notte. — Si tratta di Roland, il figlio di Robin Hood. Qualcosa ha svegliato in lui un potere che può essere pericoloso, se messo in cattive mani.
    — E voi volete che io uccida Roland? Questo è il prezzo da pagare per la magia? — ringhiò Tremotino, tentando di riconoscere quella voce così lugubre. — Solo un folle mi chiederebbe una cosa simile, io ho smesso di fare del male.
    — Voi siete il Signore Oscuro, non smetterete mai di fare del male.
    Quelle parole arrivarono pesanti come un macigno, e la lingua di Tremotino non fu in grado di staccarsi dal palato per negare ogni parola. Tutt’altro. Se ne stette in silenzio, senza neppure un pensiero per la testa, come se quella verità avesse sgonfiato il suo tentativo di essere una persona migliore in pochi secondi.

    Foresta Incantata, oggi.
Drake aveva le gambe molli, e di certo non era causa di tutta quella gente vestita in modo strano che lo circondava, in quei tre giorni ci aveva fatto l’abitudine. Si era subito annoiato a rimanere chiuso nelle sue stanze, e aveva iniziato a girovagare per il castello alla ricerca di qualcosa da fare. O meglio, cercando di evitare suo padre.
    Aveva la bocca asciutta e le mani sudate, quello che capita ad una persona particolarmente agitata. Torturava il lembo del mantello blu che indossava sulle spalle, mimetizzandosi tra la folla. Osservava la scalinata battendo ritmicamente un piede sul pavimento, aspettando con ansia di vederla.
    Erano almeno due ore che aspettava Gemma, c’erano cose che doveva dirle, che non potevano aspettare.
    La vide scendere da quella scala con una grazia che non le apparteneva, con quell’abito rosso che la faceva sembrare una principessa, i capelli raccolti e gli occhi scuri che vagavano sperduti alla ricerca di qualcosa. O qualcuno. Sperava vivamente che quel qualcuno fosse lui.
    Se ne stava affianco ad un tavolo colmo di frutta, aspettando che lei lo trovasse tra la folla di gente che chiacchierava, ballava e si divertiva, cosa che non stava facendo lui, che invece sperava solamente di poter sparire da tutto ciò più in fretta possibile.
    Teneva gli occhi puntati sulla scalinata, mentre Gemma scendeva un gradino dopo l’altro con lo sguardo perso, incantato dalla magia della sala. Era il suo primo ballo, anche perché, nel Maine, di balli così non ce n’erano mai stati. Era affascinata dai colori dalla musica dei violini e dalla gente che ballava, esattamente come lo era stato lui, non appena era entrato nella sala. Ma ora, l’unica cosa che lo affascinava era quella ragazza sulla scalinata, troppo simile a quella con cui era cresciuto, eppure così diversa.
    Drake afferrò un frutto qualunque dal tavolo vicino a cui si trovava, e si avviò a passo lento verso di lei. Si stupì di quanto il rosso dell’abito di Gemma fosse simile a quello della mela che si girava tra le mani. Sarebbe stato un buon argomento di conversazione una volta che sarebbe stato di fronte a lei.
    Ma questo non accadde. Gemma scivolò su un gradino, dannata la sua goffaggine. Drake era troppo lontano per prenderla al volo, cosa che fece Sean al posto suo. La vide sorridergli in un modo che gli fece rodere lo stomaco. Poi la vide scomparire tra la folla, trascinata da Sean e dalla sua voglia di ballare.
    — Voi non ballate? — domandò una voce alle sue spalle, che lo fece trasalire.
    Lui si voltò di scatto, squadrando una ragazza mora, con un abito turchese e i capelli raccolti in una treccia che lo osservava con aria gentile. — Io? — biascicò.
    Lei annuì.
    — Non credo di saperlo fare. Voi? — Rispose Drake cortesemente, e si rese conto di quanto facile gli risultasse comportarsi da gentiluomo.
    Lei alzò le spalle. — Non in molti desiderano ballare con la figlia del Signore Oscuro. E, oltretutto, non ho un cavaliere.
    Il ragazzo si passò una mano tra i capelli mori sentendo il viso avvampare, e sperando che lei non lo notasse. — Beh, qui attorno non vedo vostro padre, quindi immagino di potervi chiedere di ballare senza temere nulla — sorrise, porgendole una mano. Non sapeva perché lo stava facendo, ma sentiva che era la cosa giusta.
    Lei sorrise, e accettò l’invito del giovane. — Come vi chiamate? — chiese, mentre Drake scopriva lentamente di saper mettere assieme persino qualche passo di danza.
    — D… Roland, immagino. Non lo so nemmeno io con certezza — Confessò facendola sorridere di nuovo. — E voi?
    — Kara, e non mi pare che voi siate così male, nel ballo — ridacchiò dopo una piroetta.
    Drake sorrise. — No, affatto, a quanto pare.

    Storybrooke, anni prima.
— Robin, Zelena va eliminata. Non possiamo permettere che faccia del male a qualcun altro — Ringhiò Regina, stringendo tra le mani il pugnale del Signore Oscuro. — Gold l’ha dato a noi perché lo facessimo, è l’unica cosa che può infrangere la magia che c’è sul cuore di mia sorella. Abbiamo Tremotino dalla nostra parte.
    Robin scosse la testa innervosito. — Aspetta un figlio, mio figlio. Non posso ucciderla.
    — Ha ucciso Marion a sangue freddo, quanto vuoi aspettare prima che faccia lo stesso con Roland? — Ruggì Regina, mettendogli il pugnale in mano. — Scegli, o Zelena e il suo bambino, o quelli che ami.
    — Sai che è una scelta dura. Non costringermi a farlo — singhiozzò l’uomo, accarezzando l’elsa con le dita callose.
    — Non sono io che ti costringo a farlo. Sei tu che devi costringerti a salvare Roland. — Le parole della donna suonarono come il rombo di un tuono nella sua mente, e si convinse con tutte le forze che lei avesse ragione.
    Si voltò verso la branda dell’infermeria su cui giaceva Zelena, addormentata sotto il volto di Clarion. Robin serrò gli occhi, provando ad immaginare il vero volto della strega, quello verde d’invidia.
    E piantò il pugnale dritto nel suo cuore.
    — Papà… — sentì gridare alle sue spalle. Roland aveva visto tutto. — Hai ucciso la mamma…

    Oggi, Foresta Incantata.
— Chi è quella ragazza? — domandò Gemma, aggrappandosi alla spalla di Sean per non finire a terra, inciampando per l’ennesima volta.
    — Quale ragazza? — chiese lui, cercando di recuperare l’attenzione di Gemma, ma i suoi occhi vagavano altrove.
    Due coppie più in là, una fanciulla che aveva più o meno la sua stessa età con un abito turchese che la faceva sembrare stupenda, sembrava in perfetta sintonia con Drake. Il suo Drake. Gemma fece una smorfia, e Sean parve cogliere al volo i suoi pensieri.
    — Voi non state assieme, lui è libero di ballare con chi vuole, come lo sei tu — sorrise il ragazzo.
    — No, cioè si, credo — disse, diventando paonazza.
    La musica cambiò, i violini e le cetre cominciarono a suonare una canzone che sembrava provenire direttamente dalle fiabe, e le coppie si disposero in cerchio. Proprio quello che non ci voleva. Ogni otto tempi, le donne cambiavano partner. E lei non voleva assolutamente ballare con Drake.
    Sean le lasciò la mano e prese quella della ragazza a fianco, e lei si trovò costretta a ballare con un uomo sulla trentina agghindato come un principe, cosa che probabilmente era, vista l’elevata della gente presente al ricevimento.
    Altri otto tempi, e si trovò a fare un piccolo inchino prima di ballare con un altro principe.
    Ora mancavano solo otto tempi prima di Drake. Sette.
    Gemma trattenne il respiro, tentando di trovare nella sua mente una qualsiasi cosa da dire quando si fosse trovata faccia a faccia con lui.
    I rimanenti sei tempi passarono troppo velocemente.
    I loro visi non si erano mai trovati così vicini, e i secondi parvero congelarsi. Gli occhi bruni, terrorizzati di lei, piantati in quelli seri e tranquilli di lui, le mani di Gemma, una posata delicatamente sulla sua spalla, e l’altra in quella calda e morbida di Drake.
    Il tempo si scongelò nell’istante in cui il ragazzo posò l’altra mano sulla vita di Gemma. La sua schiena fu scossa da un brivido, e il desiderio di scappare era forte, ma decise di resistere. Solo otto tempi.
    Otto tempi che non passavano più.
    — Perché stavi ballando con quella ragazza? — azzardò, mordendosi il labbro inferiore e immaginando che la distanza tra i loro corpi fosse infinita, e non annullata da quel maledetto ballo.
    Lui sorrise sarcastico. — Perché stavi ballando con Sean? — grugnì.
    — È arrivato per primo. — Fu la prima cosa che le passò per la testa, e anche la più stupida.
    — È arrivata per prima. — Ogni parola che usciva dalla bocca del ragazzo, era una maledetta provocazione alla sua pazienza.
    Gemma sbuffò. — Non ripetere tutto quello che dico.
    — Non sto ripetendo tutto quello che dici — disse, con una nota di amarezza nella voce.
    — Appunto. Cosa vuoi? Io stavo cercando di divertirmi, una volta nella vita. — Perché diavolo questi otto tempi non finivano più?
    — Beh, anche io.
    Gemma lo spinse indietro, stringendo tra le mani la stoffa dell’abito rosso e sollevandolo un po’ da terra per non inciampare, corse via prendendo la scalinata e sparendo dalla sala.

    Storybrooke, anni prima.
Robin si torturava le pellicine delle dita, mentre Regina visitava suo figlio, steso sul lettino, immerso in un sonno profondo.
    — La sua memoria è protetta da un incantesimo inviolabile, non posso fare nulla per cancellarla. — La donna aveva un’aria disperata, ma mai quanto il padre del bambino.
    Robin si asciugò una lacrima. — Quindi ricorderà per sempre che ho ucciso sua madre di fronte ai suoi occhi? — singhiozzò.
    Regina gli accarezzò il viso. — Che hai ucciso Zelena, non sua madre.
    — Ma aveva l’aspetto di Marion, ed è quello che ricorderà lui.
    La donna annuì distrattamente. — Questo trauma ha risvegliato in lui un antico potere, un potere pericoloso. La cosa migliore da fare è farlo crescere in un mondo senza magia, e tu lo sai bene.
    Robin sorrise amaramente. — Senza magia e senza di me. Ai suoi occhi sono un mostro, questo è il prezzo che devo pagare per aver ucciso Zelena.

    Foresta Incantata, oggi.
Questa volta non aveva lasciato che Sean lo precedesse. Aveva seguito Gemma fino alla buia torre in cui si era rintanata a singhiozzare. Se ne stava raggomitolata vicino ad un’ampia finestra, l’unica nella stanza spoglia della torre di pietra.
    — È un cliché, non credi? — disse Drake, porgendole una scarpetta che aveva perso correndo su per una delle svariate rampe di scale in cui lui l’aveva seguita. Il cristallo rifletteva un sottile raggio di luna che filtrava dalla finestra, e gli illuminava il viso.
    Lei sorrise amaramente, asciugandosi il viso da una lacrima. — Immagino di si. — Spostava gli occhi da Drake alla scarpetta, cercando di capire cosa le sembrasse più strano, se lui che la seguiva, o indossare scarpette di cristallo. — Immagino di si — ripeté con più convinzione, alzandosi in piedi e spolverando l’abito con le mani.
    Lui si chinò a terra avvicinando la scarpetta al suo piede e glie la infilò delicatamente, poi si alzò in piedi e le prese le mani. Aveva sempre le mani calde, diverse da quelle di chiunque. Quelle erano le sue mani, le uniche in cui si sentiva al sicuro, le uniche che potevano scaldarle il cuore.
    E poi c’erano i suoi occhi, scuri e profondi come pozzi, in cui ci si sarebbe potuta perdere per giorni e giorni, ma quell’espressione seria che aveva stampata sul volto non preannunciava nulla di buono.
    — Devo partire, per via della mia magia, e probabilmente non ci vedremo mai più.

 

 

    L’angolo della Gobbiglia :)
Chi non muore si rivede, credo che si dica (non sono troppo brava con i detti). Come le ultime volte, chiedo perdono per l’infinita attesa, e vi lascio questo capitolo che spero di aver scritto decentemente, visto il poco tempo che ho.
    Buonanotte :)

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