I'll Look After You.

di Gens
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A strange meeting. ***
Capitolo 2: *** Blue eyes ***
Capitolo 3: *** Biology ***
Capitolo 4: *** Party ***
Capitolo 5: *** Matt Darling. ***
Capitolo 6: *** Again ***
Capitolo 7: *** I'm back ***
Capitolo 8: *** Inside you ***
Capitolo 9: *** Apnea of lies ***
Capitolo 10: *** The truth ***
Capitolo 11: *** Where's Harry? ***
Capitolo 12: *** Different. ***
Capitolo 13: *** Help. ***
Capitolo 14: *** Dangerous. ***
Capitolo 15: *** Nightmare. ***
Capitolo 16: *** Perplexed. ***
Capitolo 17: *** Shadow. ***



Capitolo 1
*** A strange meeting. ***




A me, perché ho desiderato scrivere questa storia con tutta me stessa.
E a Giorgia, che è una delle persone a cui voglio più bene al mondo.

 

A strange meeting



Harry camminava sulla riva, impegnato a vedere come i villeggianti si godevano gli ultimi giorni di ferie.
Una bambina bionda con un costumino rosa che correva  dove l'acqua era ancora bassa, seguita da un bambino con una pistola che spruzzandola, la faceva urlare; una signora anziana che si sistemava meglio sulla sedia piazzata sotto l'ombrellone; un uomo che accendeva una sigaretta e sua moglie, dopo averlo inchiodato con uno sguardo omicida, che la prendeva e la spegneva, spingendola con forza verso la battigia bagnata.
Harry non prestava mai attenzione ai particolari: non facevano per lui.
Non lo faceva mica apposta, ma appunto erano particolari. Harry viaggiava sul superficiale: come se l'universo fosse un unica macchia nera, e non uno sfondo nero con delle luci piccole, le stelle, e dei pianeti a riempirlo con sprazzi di luce.
Come poteva Harry occuparsi di particolari quando i suoi amici o suo padre non facevano altro che chiedergli questo e poi quello?
Coglieva i particolari solo quando questi potevano servirgli, eppure le occasioni erano proprio poche.
Capitava spesso che se ne pentisse e allora non poteva fare più niente. Non possedeva una macchina del tempo che lo riportava indietro e non aveva neanche qualcosa che gli permettesse di cambiare le cose nella sua vita come più gli pareva e piaceva. Eppure Harry, avrebbe cambiato tante cose della sua vita. Spesso si chiedeva se  avrebbe cambiato se stesso, sempre se avesse avuto la possibilità, ovvio. E rimaneva seduto ore intere, a pensarci, e non riusciva mai a trovare una risposta.
Se le scelte fossero state diverse, adesso dove sarebbe?
Se avesse impiegato più volontà a scuola, adesso dove sarebbe?
Magari come sua sorella, adesso sarebbe a studiare in qualche istituto privato, in chissà quale parte del mondo, cercando di imparare chissà che storia, chissà che lingua. E infondo non gli sarebbe dispiaciuto.
Ma se fosse partito per andare a studiare da qualche parte, avrebbe accontentato ciò che i suoi genitori volevano e avrebbe dovuto mettersi in competizione con sua sorella. E non ne sarebbe stato capace.
Ma la cosa che più di tutte sarebbe cambiata, era che non avrebbe avuto una vita vera. Perciò pensò che stava bene così.
Harry Styles e particolari sono proprio due parole che non possono essere accostate al verbo prestare accompagnato da attenzione.
Per questo non si accorse di un ragazzo che, con lo sguardo basso, gli passava vicinissimo, prendendolo in pieno petto.
“S-scusami” disse subito lui, alzando le mani.
Harry lo guardò in un modo di cui solo lui era capace. Uno sguardo pieno di rabbia, odio, nero... vuoto. Un vuoto che nessuno vorrebbe avere. E come si potrebbe?
Nessuno sceglierebbe una via oscura se l'alternativa è una piena di luce. Solo uno stolto potrebbe.
Ma Harry non era stupido, no. Lui era intelligente e aveva deciso coscientemente di scegliere la via buia, fino alla fine della sua vita. Dove lo avrebbe portato questa scelta non lo sapeva, ma la cosa più strana era che non gli interessava.
Harry guardò il ragazzo che pochi secondi prima gli era finito praticamente addosso e per un po' rimase sorpreso, perché davvero non si sarebbe aspettato di incontrare un ragazzo simile.
Era poco più basso di lui, cosa altamente positiva per lui. La sua altezza gli era sempre stata favorevole. Si sa che quando si vuole fare paura la cosa migliore che si può fare in mancanza di armi è quello di incutere terrore col proprio corpo, dimostrando di essere grande, o quanto meno più forte del tuo avversario.
E questo sembrò fare subito effetto sul ragazzo che gli si era schiantato contro.
Harry continuò a fissarlo e la prima cosa che lo colpì furono i suoi occhi: fu come se ci fosse cascato l'oceano seguito dal cielo dentro. Gli occhi brillavano di un azzurro cristallino, erano puri, quasi quanto il cuore del ragazzo. Risplendevano di una luce propria, come le gemme preziose e Harry pensò che fosse sbagliato metterli in mostra in quel modo. Ma poi mosse la testa, come se fosse assurdo pensare a quelle cose.
Perché infondo non lo era?
Continuò ad osservarlo e notò i capelli: non avevano una precisa direzione, erano 'liberi', quasi come se si muovessero a destra e sinistra proprio come i pensieri di quel ragazzo. Non erano né scuri né chiari ma avevano le punte quasi bionde, per colpa del sole probabilmente.
“Guarda dove cammini” lo rimproverò duramente Harry.
Il ragazzo si spaventò, e si poteva benissimo vedere dal fatto che fece un passo indietro e Harry sorrise, soddisfatto di aver dato la giusta impressione.
Ma il ragazzo non poteva lasciare che uno sconosciuto dai capelli ricci e gli occhi verdi potesse trattarlo così, e allora: “Sei tu quello che se n'è venuto addosso” rispose secco. Ma pensò che forse sarebbe stato meglio se avesse tenuto per sé quelle parole.
Magari poteva dirle mentre, camminando sano e salvo, continuava per il suo cammino; oppure se, raccontando tutto al suo amico, gli fosse passato per la testa di dire quello che pensava.
Perché? Perché vide lo sguardo dell'angelo degli occhi verdi diventare serio e il sorriso sparire, trasformato in una smorfia di rabbia.
Sicuramente quel ragazzo che incuteva terrore col suo corpo non era abituato ad avere qualcuno col coraggio di risponderti.
“Cerchi rogne?” chiese Harry avvicinandosi.
E il ragazzo giurò che ci fosse solo un dito a separare i suoi occhi dai verdi del ragazzo di fronte a lui. Poteva sentire il respiro di Harry, caldo, che investiva il suo volto ad una velocità direttamente proporzionale alla rabbia che si stava scatenando dentro di Harry.
Il ragazzo era paralizzato: andarsene significava essere un vigliacco, ma rimanere... beh, quello significava cacciarsi nei guai forse?
Ma infondo qui, in mezzo a tutte queste persone, che vuoi che mi faccia? pensò il ragazzo con i suoi occhi blu fissati ancora in quelli di Harry.
Il ragazzo allora cercò la via più furba per andare via di lì.
Abbassò la testa e rise. Sì, rise. Sembra una cosa da pazzi, ma al ragazzo in quel momento non venne altro che quello.
Si allontanò da Harry e si passò una mano tra i capelli, per ridare loro un po' di vita.
Dopo di che, camminò in largo a Harry, con la consapevolezza che non l'avrebbe rivisto.
Harry lo guardò andarsene senza fare niente. Rimase sbigottito, perché per una volta le cose non erano andate come di solito andavano.
Nessuno può comportarsi così.








Ho sempre desiderato scrivere una long Larry. Con tutta me stessa.
Ed eccomi qui, a pubblicare il primo capitolo su cui ho lavorato tantissimo.
Di cosa parlerà la storia, esattamente? Ancora non lo so.
Spero solo che accettiate un modesto primo capitolo e che qualcuno mi mostrerà il suo appoggio, in questa impresa impossibilmente difficile.
A presto, davvero. xx
 

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Capitolo 2
*** Blue eyes ***


Blue eyes


Harry pensò che il ritorno a scuola dopo tre mesi di cazzeggio, fosse la cosa peggiore che ti possa mai succedere. È come un brusco risveglio dopo un lungo periodo di sonno: traumatizzante.
Però fece il 'bravo' e si alzò, preparandosi per la prima di una serie di giornate che lo avrebbero soffocato, stancandolo. Non che si impegnasse, ma doveva fare il minimo per passare l'anno, questo era l'accordo con suo padre: lui studiava il necessario e in cambio il padre lo lasciava in pace, dandogli libertà sulla sua vita.
Che cosa contraddittoria vero? Voleva che si impegnasse a scuola, ma poteva fare quel che più gli piaceva della sua vita.
Era come addestrare un cane e poi lasciarlo in mezzo alla strada. Perché infondo Harry non era rimasto in mezzo alla strada, libero di andare dove voleva? L'unica cosa che lo differenziava da un cane, era che lui era libero sulla strada della vita.
Molte volte cercò di capire che senso avesse tutto quello, e lo chiese anche a suo padre, ma da lui non ebbe altro che una risposta muta, il silenzio più totale. Ed Harry non si stupì per niente: era abituato a vedere suo padre come un muro: il muro ascolta, vede, vive, ma rimane lì senza far niente.
Tutti particolari quelli che passavano per la mente di Harry: particolari sulla vita, sul padre, che avevano occupato la sua giornata, fino all'ora di pranzo.
Dire che il cibo della mensa faceva schifo era un eufemismo. Se c'era la pizza e le mele completamente rosse, allora significava che era il giorno in cui la mensa era stata graziata da un qualche miracolo e che si poteva mangiare qualcosa degna di esser chiamata cibo.
Appena entrato Harry si diresse verso il grande bancone della mensa, muovendosi per il ritardo che aveva accumulato per colpa del professore di inglese, perché quello era il giorno in cui il cibo della mensa era mangiabile. I suoi amici, che erano al tavolo e lo aspettavano, lo avevano avvisato per messaggio che oggi era il giorno 'benedetto'.
Arrivato a destinazione, vide alcuni ragazzini del primo anno fare la fila e un ragazzo più grande un po' più avanti. Li superò tutti e, spingendo il ragazzo più grande, prese il suo vassoio dalle mani della signora dietro il bancone giusto in tempo prima che potesse afferrarlo.
Conteneva una pepsi, un pezzo di pizza e una mela. L'ultimo pezzo di pizza. L'ultima mela rossa.
Harry lo faceva spesso, non seguire le file e rubare il pranzo degli altri, e nessuno osava mai contraddirlo.
Ma quel ragazzo non era nessuno.
“Ehi!” esclamò il ragazzo più grande.
Harry, che nel frattempo stava aspettando per pagare alla cassa, si voltò.
La sorpresa che si dipinse sul suo volto, fu ben visibile nel riflesso degli occhi azzurri del ragazzo che Harry guardava.
E tutto fu come un flashback.
Le iridi azzurre di un ragazzo che si era schiantato sul suo petto, i suoi capelli ribelli con le punte più bionde.
Harry continuò a guardarlo fino a quando la signora della cassa non gli disse seccata (come del resto tutte coloro che lavoravano alla mensa) che doveva pagare; allora Harry si voltò, allontanandosi da quegli occhi azzurri così magnetici; lasciò la banconota sul bancone e senza voltarsi indietro, andò al tavolo dove i suoi amici si erano seduti.
Poggiò senza tanta cura il vassoio sul tavolo e si sedette sulla sedia, ancora meditando. A cosa esattamente non lo sapeva neanche lui.
Sentiva il vociare del tavolo dove era seduto e le urla provenienti da tutta la sala, ma l'unica cosa a cui riusciva a pensare era quel ragazzo.
Allora lo cercò.
Guardò ovunque, fino a quando uno strano movimento, un po' impacciato, colse la sua attenzione. E fu proprio lì accanto che lo trovò.
Il ragazzo si dirigeva ad un tavolo, con un nuovo vassoio in mano e un'espressione stizzita impressa sulla faccia.
"
È nuovo quello?” disse Harry.
Colse l'attenzione di solo due delle persone che erano sedute al tavolo.
“Quello chi?” chiese un ragazzo moro, accanto a lui.
“Quello con la maglia azzurra che si sta per sedere al tavolo sulla destra, biondino più o meno, occhi azzurri” sbottò irritato.
“No, non è nuovo” rispose il ragazzo di prima.
È di qualche anno in meno di noi?” chiese allora Harry.
Una curiosità morbosa riempiva la sua mente. Curiosità legata ad un filo di sorpresa: se davvero quel ragazzo non era nuovo, perché non l'aveva mai visto?
“No, Harry” rispose il secondo ragazzo di cui aveva attirato l'attenzione.
“E allora chi cazzo è?” chiese inchiodando gli occhi del primo ragazzo che aveva parlato. Ma Harry aveva fatto la scelta sbagliata.
Riusciva a incutere timore anche ai suoi amici, tutti quanti, dal primo all'ultimo. L'unico che gli resisteva era proprio il moro sulla sua sinistra. E infatti lui mantenne il suo sguardo.
“Louis Tomlinson, nostro stesso anno. Se non sbaglio fate il corso di biologia insieme”.
Questa affermazione fece rimanere Harry anche più meravigliato.
Louis Tomlinson.
Stesso anno.
Stesso corso di biologia.
“Zayn, mi stai prendendo per il culo?” disse allora Harry.
Non era possibile che non avesse mai visto quel ragazzo. Fece mente locale, ma fu certo che la prima volta che lo avesse mai visto, fosse quel giorno in spiaggia.
“Assolutamente no” disse il moro, concentrandosi sul suo telefono. “Chiedi a Liam se non mi credi”
Harry allora si voltò verso il secondo ragazzo che aveva parlato. Inchiodò il suo sguardo, proprio come aveva fatto con Zayn poco prima, ma con Liam riuscì nel suo intento: incutere timore.
“S-si, è vero” affermò infatti Liam, cercando di calmare il tremolio della voce.
“Harry smettila di far paura ai tuoi migliori amici. Sei insopportabile e fottutamente irritante” disse Zayn sospirando, continuando col suo gioco sul telefono.
“Ma fatti un po' di cazzi tuoi” gli rispose, seccato dal fatto che qualcuno potesse dargli degli ordini.
Non lo facevano i suoi genitori, figurati se può permetterselo il suo migliore amico.
Lui faceva quel che gli pareva, era questa la condizione.
Minimo impegno nello studio, libertà sulla vita e di certo Zayn non avrebbe cambiato le cose.
“E tu calmati. Sembri una donna incinta” Liam rise e Harry lo squadrò.
Sguardo che bastò a Liam per smettere di ridere e a Zayn per cominciare, invece. Infatti il moro aveva staccato gli occhi dal telefono proprio per vedere la reazione di Harry.
“Mi avete stancato” disse Harry alzandosi, lasciando il suo vassoio ancora pieno e dirigendosi verso l'uscita della mensa.
“Ma Harry!” controbatté Zayn, alzando un po' la voce.
Lui di tutta risposta gli sollevò un dito medio che fece scoppiare tutti a ridere e continuò per la sua strada.
 
Non aveva biologia neanche nel pomeriggio: peccato, adesso che sapeva chi era quel ragazzo, non vedeva l'ora di scambiare due parole con lui.
E gliela farai pagare, anche ricordò una parte del suo cervello.
Sì, perché nessuno si era mai comportato con Harry in quel modo. Nessuno poteva permetterselo. L'unico, forse, era Zayn.
Zayn non era solo il migliore amico di Harry, assolutamente no. Era anche suo cugino e questo significava molto, perché la famiglia era davvero molto importante.
Era importante a tal punto che se qualcuno avesse toccato suo padre, lo avrebbe picchiato, anche a morte.
Perché per quanto non gli rispondesse, lo ignorasse, lo lasciasse insinuarsi in strade buie senza fine, nonostante fosse il padre peggiore del mondo, suo padre era sempre suo padre e faceva quindi parte della famiglia.
La famiglia era intoccabile, qualcosa di troppo sacro e niente avrebbe mai avuto tanta importanza nella vita di Harry.
E questa 'cosa', come lui soleva definirla, valeva anche con Zayn: non importa cosa fosse successo, lui sarebbe sempre stato parte della sua famiglia e niente sarebbe stato più importante di questo.
Zayn e Harry erano cresciuti insieme, i loro genitori li avevano fatti crescere come se fossero fratelli e se solo si somigliassero di più, tutti li avrebbero scambiati come tali, dato il forte rapporto che li legava.
Era come se i loro cuori, le loro menti, fossero legati da un filo invisibile. Ma non un semplice filo, perché il loro era uno di quelli che non si distruggono né con delle forbici, né col fuoco. Il fuoco è potente, molto potente, e se neanch'esso è capace di distruggere un rapporto simile, cosa potrebbe?
E anche se agli occhi di tutti, col passare degli anni, il loro rapporto sembrava allentarsi un po', non era esattamente così.
Anche se non si tenevano più per mano, anche se non passavano tutta la loro giornata insieme, non significava che il loro rapporto fosse cambiato.
Anzi, il loro rapporto era cambiato, era più maturo, e c'erano l'uno per l'altro in un modo che da bambini non si potrebbe capire.
 
Quando Harry rientrò a casa, la sera tardi, dopo essere stato tutto il giorno fuori, in un luogo non definito, evitò di parlare con chiunque e si gettò sul letto, dove un sonno leggero tormentato di occhi blu, lo accolse.




E rieccomi qui.
Finalmente si scopre che il ragazzo è Louis e da qui posso finalmente dire: CHE LA STORIA ABBIA INIZIOOOOOOO!
(perdonate i miei scleri, colpa del 1D Day)
Spero davvero di riuscire a restare a tempo con l'aggiornamento della fanfiction e spero che continuiate a seguirla, lasciandomi una recensione, mostrandomi il vostro appoggio, mostrandomi tutti gli errori, rimproverandomi ogni volta che riteniate sia giusto.
Non posso fare altro che dire grazie e sperare che questo capitolo vi piaccia.
Alla prossima domenica(spero)! :)

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Capitolo 3
*** Biology ***


Biology


Era buffo il fatto che Harry non avesse biologia per quei pochi giorni della prima settimana scolastica. Ma infondo non ci teneva assolutamente, giusto?
Sbagliato.
In realtà moriva dalla voglia di parlare con Louis, il ragazzo che aveva incontrato in spiaggia, il ragazzo che faceva biologia con lui e che non aveva mai visto, ma sembrava destino che non fosse ancora arrivato il tempo.
Il lunedì dopo la prima settimana, si recò in segreteria per ritirare il nuovo orario e notò che finalmente gli avevano sistemato l'ora di biologia.
Martedí. Mattino. Seconda ora.
Harry pensò che finalmente fosse arrivato il momento che lui e Louis si incontrassero.
Cosí martedì mattina fu più attivo del solito.
Si sentí un completo idiota, anzi, si sentiva una ragazzina di quattordici anni al suo primo appuntamento. 
Quanto poteva essere deficiente?
Arrivò a scuola e in un angolo del cortile, come sempre, c'era il suo gruppo.
Zayn lo vide e alzò le sopracciglia, meravigliato. Liam sollevò un braccio a mo' di saluto e: "Harry! Come mai sei arrivato presto oggi?" disse, dandogli una pacca sulla spalla.
"Non so, Liam. Succede"
"Succede" ripetè Zayn, che lo stava osservando e subito dopo voltandosi per tornare a parlare col resto del gruppo.
Forse Harry era stato troppo entusiasta quando aveva detto a Zayn che avrebbe avuto biologia, quel martedì mattina.

La prima ora l'avrebbe saltata volentieri. Fisica. A cosa diavolo poteva servirgli quella materia nella vita? 
Okay, è vero, Harry non aveva proprio idea di cosa avrebbe fatto in futuro, ma l'unica cosa di cui era certo, era che la fisica non gli sarebbe servita proprio a niente.
Poi, come se non bastasse, il professore non sapeva spiegare. Oppure era semplicemente lui che non riusciva a capire.
Arrivato nell'aula, si sedette e poggiò la testa sui libri, sperando con tutto se stesso che il professore non lo chiamasse, come sempre.
Qualche volta, durante i suoi lunghi e noiosi discorsi, chiamava gli alunni a caso, rivolgeva loro una domanda e poi rispondeva lui stesso.
Harry non avrebbe mai capito se il professore facesse quelle domande per "svegliare" i suoi alunni, oppure per un motivo sconosciuto.
Le sue speranze, comunque, scomparvero quando: "Styles, allora? Mi parli della termodinamica?" chiese il professore.
Harry si guardò intorno disorientato. Non disse niente, perché il professore, senza neanche dargli il tempo per pensare, si diede la risposta da solo e continuò a spiegare, mentre Harry tornava dal suo amico banco.
Quell'ora, così come tutte le altre di quel professore, non finiva mai. Sembrava una tortura senza fine perché quello, di starsene zitto, proprio non ne voleva sapere. Questa cosa irritava Harry: che le persone dovessero parlare, parlare, e ancora parlare, senza mai smettere. Era troppo.
Così, quando finalmente sentì il suono della campanella, saltò sul suo posto e si diresse verso l'uscita, senza avere la forza di passare un altro secondo di più in quell'aula.
Si diresse verso quella di biologia.
Secondo corridoio a destra.
Tutti quelli che passavano per il grande corridoio e lo conoscevano gli davano pacche sulle spalle, lo chiamavano per nome. Lui continuava dritto per la sua strada, sorridendo e rispondendo con un saluto tutti coloro che gli si presentavano di fronte, con la speranza che Louis fosse arrivato prima di lui. Infatti dubitava fortemente che si sarebbe seduto accanto ad Harry, se quest'ultimo fosse arrivato prima.
Appena varcò la soglia della classe, sì guardò intorno.
Il professore di Biologia, Minus, era poggiato sulla cattedra, mentre sfogliava un giornale chiamato: “Le tue cellule da laboratorio!”.
Dietro di lui, un ventilatore d'aria si muoveva da destra verso sinistra, con la speranza di raffreddare quell'ambiente troppo caldo.
Harry posò il suo sguardo dove c'erano i bachi, e proprio lì, in seconda fila, lo vide: due occhi azzurri da far invidia al cielo e i capelli con ancora le punte bionde.
Lo guardò e per un piccolo stupidissimo momento, gli sembrò di essere stato catapultato nel film Twilight.
Lezione di biologia, ventilatore sulla cattedra, professore completamente assorto nella sua materia. Un ragazzo seduto al banco e lui lì, in piedi come uno stupido, ad aspettar chissà cosa. Così si mosse verso il posto vuoto del banco a due in cui era seduto Louis.
Quando Harry poggiò i suoi libri e si sedette sullo sgabello, poté sentire Louis mentre si agitava sul suo.
Harry si voltò e regalandogli il sorriso più bastardo che avesse mai avuto, disse al ragazzo: “Chi non è ancora morto, si rivede”.
Per una frazione di secondo i loro occhi si erano incrociati, prima che Louis distogliesse i suoi, a disagio.
A Harry diede fastidio che, col passare dell'ora, Louis non gli rispondesse.
Ancora una volta si sentì in quello stupidissimo film di vampiri dove la povera e ingenua ragazzina non viene considerata dal vampiro succhiasangue. Mancava solo il compito fatto insieme per l'analizzazione delle fasi delle cellule.
Entrambi continuarono il resto della lezione senza guardarsi, parlarsi o sfiorarsi in ogni modo. Come se non esistessero.
Fino a quando, ovviamente, il professore non diede un compito a coppie.
Come non detto.
“Sai – disse Harry mentre il professore distribuiva i fogli per il compito – non rispondere alle persone è maleducazione. Tua madre non te l'ha insegnato?”
“Di certo ad un approccio come il tuo non avrebbe risposto nessuno, non credi?” rispose Louis seccato, parlando per la prima volta, quel giorno.
Era vero, l'aveva già sentito parlare, ma in quel luogo la sua voce sembrava diversa.
Più distinta rispetto all'altra volta, dove i suoni della spiaggia coprivano tutti gli altri, più... chiara.
E sicuramente, molto più bella.
“E tuo padre non ti ha insegnato che non si risponde ad una domanda con una domanda?” disse Harry, allora.
“L'hai appena fatto” evidenziò il ragazzo.
Harry sorrise.
“Se te la cavi in queste cose, fai tu il compito” disse Harry indicando il foglio sopra il quale dovevano fare la relazione che il professore aveva chiesto e passandogli una penna.
“Lavoro di coppia significa che lavori anche tu” il ragazzo rispose, passandogli la stessa penna.
Harry continuò a guardarlo negli occhi. Per un momento gli sembrò che potessero essere in sintonia, molto in sintonia e che potessero parlare per ore se solo lo volessero.
Però poi si ricordo della spiaggia.
“Scrivi, se vuoi avere ancora tutta la pelle addosso entro stasera”
Era esagerato usare le minacce, usare l'Harry minaccioso per cazzate come i compiti, ma infondo che gli importava? Un bel niente.
Louis allora prese la penna in mano, sbuffando, e iniziò a scrivere. 
La sua scrittura era confusa, piccola, disordinata. Sembrava la scrittura di un medico.
Harry rimase lì, a guardarlo scrivere, concentrato sulle parole che lasciava sul foglio bianco, senza però capirne neanche una.
“Allora, come andiamo?” chiese il professore che si era avvicinato al loro banco.
Harry si spaventò e fu come risvegliarsi da uno stato di trance.
“Bene professore” disse Harry indicando il lavoro.
“Allora, Styles, sei pregato di dirmi qualcosa scritta su quel foglio”
“Perché dovrei?”
“Perché se davvero il lavoro va bene, dovresti sapere che cosa c'è scritto” rispose il professore, incrociando le braccia sul petto.
Harry non disse niente.
“Come pensavo. Hai deciso di far fare tutto il lavoro a Tomlison, questa volta?”
“Forse” sorrise Harry.
Il professore se ne andò, agitando la testa, come se si fosse ormai rassegnato a quello che era Harry Styles.

“Oh ma insomma, che scrittura è mai questa!” commentò Harry quando Louis posò la penna sul tavolo, una volta finita la relazione.
“Quella che io ho usato per fare un compito che a te non andava di fare, nonostante fosse un lavoro di coppia” disse Louis, sbuffando.
“Mi dispiace, Tomlinson, ma devi sapere che non sono tipo di persona che fa compiti. Tua madre non ti ha detto che esistono persone così?”
Il volto di Louis si fece scuro.
“Smettila di nominare mia madre” disse, prima di alzarsi e uscire dalla classe, contemporaneamente al suono della campanella.















Salve! :)
Innanzi tutto chiedo scusa per non aver aggiornato ieri. Voglio solo che sappiate che è stata una cosa particolare e che non ricapiterà mai più.
Il mio giorno di aggiornamento è la domenica, e sempre rimarrà.
Poi volevo chiedere scusa anche perché il capitolo non è chissà cosa, ne sono al corrente. Anch'io mi aspettavo di più da me stessa, ma non riesco a fare di meglio a questo capitolo. Spero che comunque mi lasciate una piccola recensione, sarebbe molto molto importante per me. Infondo, finalmente, i Larry si incontrano!
Per il momento è tutto, solo un'altra cosa!
Sto partecipando al concorso con il Corriere della Sera. Se per caso vi va di lasciare un voto alla lettera che la mia fantastica mamma ha pubblicato, ve ne sarei grata.
Eccola qui!
Vorrei ringraziare le 11 persone che hanno messo la storia tra le preferite, le 4 che l'hanno messa tra le ricordate e le 17 che l'hanno messa tra le seguite. E un grazie ancora più grande a chi recensisce.
Vi ringrazio, dal primo all'ultimo. Significa tanto! 
Ci vediamo domenica prossima! xx
-Angela
 

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Capitolo 4
*** Party ***


Party


Harry pensò che la reazione di Louis fosse stata esagerata. Insomma, era ironia quella di Harry, e Louis invece gli si era rivolto contro in modo esagerato. Non ci pensò seriamente fino a quando il martedì mattina successivo, arrivato in classe e aspettandosi di trovare Louis con il posto accanto al suo vuoto, si sbagliò.
Louis era seduto in un banco differente da quello del martedì precedente e il posto accanto al suo era occupato da un ragazzo con i capelli rossi e le lentiggini che gli spruzzavano le guance. Harry guardò il ragazzo, pensando se cacciarlo o meno e occupare il posto accanto a Louis, ma quando i suoi occhi verdi incontrarono gli azzurri di Louis, fu inondato da uno sguardo freddo, distaccato, seccato.
E Harry che pensava che addirittura potessero essere in sintonia!
Si sedette così al primo posto vuoto che trovò e lasciò scorrere la lezione, senza voltarsi minimamente dalla parte di Louis.
E lo fece anche nelle settimane successive.
 

Se c’era una cosa che Harry amava del suo gruppo, erano le feste che organizzavano.
Avete mai partecipato ad una festa? Beh, quella non si avvicina minimamente a quelle organizzate dai suoi amici.
C’era sempre un barista che preparava qualsiasi tipo di cocktail, ma l’alcol era ovunque: sui tavolini nel soggiorno, nell’angolo a destra del caminetto, addirittura sotto il letto o nel mobiletto del bagno. La musica sparata nelle casse enormi che non si fermava mai e che musica! Le feste erano sempre piene, quindi potevi fare tutte le cose illecite possibili: dallo spaccio dell’erba fino alla compravendita degli organi.
Qualunque cosa.
Ovvio che non ci partecipavano tutti… più o meno. Dipendeva dalla disponibilità del posto il più delle volte.
Il gruppo di Harry era composto di persone che a livello economico erano messe abbastanza bene, anzi. Erano tutti figli di persone importanti.
I soliti genitori a cui non importa niente dei figli fino a quando non arrivano all’età in cui devono intraprendere il loro lavoro. Era sempre stato così, e sempre sarebbe stato.
Harry spesso ci pensava: un giorno avrebbe intrapreso il lavoro di suo padre. Il più delle volte, però, si rendeva conto di non sapere esattamente cosa faceva.
Quando vai a scuola da piccolo, ti capita spesso di rispondere alla domanda: “Cosa fanno i tuoi genitori?” e Harry, come gli aveva detto sua madre, rispondeva: “papà lavora in ufficio, mamma resta a casa”.
Quando Harry diventò più grande, scoprì che suo padre si occupava di finanze, ma niente di più. Sapeva che non c’era mai a casa, che vedeva la sua famiglia per pochissimo e che anche nei giorni di pausa, lavorava.
Non che lo entusiasmasse chissà quanto, il lavoro del padre, ma non ci pensava.
Infatti Harry aveva un piano di riserva.
Suo padre gli aveva dato una carta di credito con la quale poteva comprare qualunque cosa volesse. Lui, allora, quando prendeva dei soldi dal bancomat, ne prendeva un po’ di più e li metteva da parte, nascosti.
Si diceva sempre che se un giorno avesse voluto mollare tutto, andarsene di lì, cambiare vita, poteva farlo con quei soldi. Era sicurissimo che suo padre gli avrebbe bloccato la carta, oppure lo avrebbe seguito vedendo i posti in cui la usava. Gli era sembrata un’idea geniale, anzi, ne era sicuro.
Comunque, un sabato sera di ottobre, Zayn organizzò una festa a casa sua per l’inizio dell’anno scolastico.
Harry amava le feste di Zayn, non lo deludevano mai. E poi, era uno di quelli che aveva la casa più grande, quindi sarebbe stata ancora più piena.
Sul tardi, dopo aver messo qualcosa di leggero addosso (sapeva che avrebbe sentito un caldo infernale), si recò verso casa di Zayn, non molto lontana dalla sua.
Avvicinatosi a quella struttura gigantesca, poté già percepire le vibrazioni delle casse. 
Il giardino che circondava la casa era pieno di macchine e quelle che non avevano trovato posto erano parcheggiate accanto al marciapiede che precedeva la casa.
Si avvicinò alla porta e questa si spalancò, lasciando che una biondina un po’ ubriaca ne uscisse, ridendo come una pazza.
Harry si scansò appena in tempo prima che la biondina vomitasse.
Zayn ne avrà di lavoro da fare, pensò. Se la doveva dare a gambe non appena la festa fosse finita, o Zayn lo avrebbe obbligato ad aiutarlo a pulire.
Si spinse all’interno della casa, guardando a destra e sinistra. Erano già tutti troppo ubriachi, per essere ancora le undici.
Ad un certo punto qualcuno gli passo un braccio intorno ad una spalla.
“Ehi, ce l’hai fatta!” disse Zayn, ridendo. Gli passò un bicchiere, gli diede una pacca sulla spalla e se ne andò.
Harry cominciò a bere, spostandosi da una parte della casa all’altra. Nel giro di tre ore, il luogo si era riempito di ragazzi ubriachi e completamente fatti, che ballavano, fumavano e bevevano ovunque.
Harry, dopo essere stato per un po’ seduto a ridere e scherzare con i suoi amici, si alzò.
Vai da quella lì, la brunetta, e baciala. Questo prevedeva il gioco che avevano cominciato.
Così si era mosso, barcollando, verso quella ragazza. Le mise una mano sulla spalla e gli chiese di ballare.
Si mossero a tempo di musica, vicini, e continuarono fino a quando Harry non mise una mano sulla sua guancia e poi la baciò. La ragazza ricambiò il bacio e poi se lo trascinò verso le scale.
Harry si voltò verso Zayn e lo salutò con la mano. Zayn rise mentre lo vedeva salire le scale con la ragazza.
Anche lui si alzò, seguito da Liam, e si buttò nella mischia.
Iniziò a muoversi, ascoltando il ritmo musica. Non che amasse ballare, ma era la sua festa e si meritava tutto il divertimento. Lo scocciava ballare da solo, così si guardò intorno ma non vide nessuno con cui poter ballare. Così prese la mano di Liam e lo avvicinò a sé, iniziando a ballare con lui.
Harry era stato il suo migliore amico da sempre, infondo erano cresciuti insieme. Ma ad un certo punto si era aggiunto anche Liam e aveva subito saputo conquistarlo: lo aveva capito dal primo sguardo, si era subito sentito in sintonia con lui.
Gli prese la mano e lo fece girare mentre ridevano come pazzi, entrambi troppo ubriachi, o troppo fatti, o semplicemente entrambi.
E così continuarono a ballare, per un tempo che sembrò eterno.
 
Il giorno dopo, la domenica mattina, quando Harry si svegliò, sperò con tutto se stesso di trovarsi a casa sua e non in quella di Zayn. Ma quando aprì gli occhi e vide un soffitto arancione, il colore più brutto sulla faccia della terra, si rese conto di essere in una delle stanze degli ospiti.
Si rimise la maglia che era caduta a terra e si diresse verso la porta; magari poteva scappare prima che Zayn si svegliasse e lo costringesse a dover pulire. Ce l’aveva quasi fatta, era davanti al portone principale, ma una voce lo fermò.
“Dove vai, Harry? Sai che devi aiutarmi a pulire. Su, datti una mossa, Liam è già al lavoro”
Non che pulissero tutto loro, attenzione. Si occupavano delle cose più “pericolose”, per così dire. Quelle che ti facevano finire nei guai. Del resto si occupavano le donne delle pulizie.
Quella era la prima festa da Zayn dove non cacciarono persone che erano rimaste nascoste da qualche parte della casa. I tre si erano addormentati e davvero non sapevano a che ora se ne fossero andati tutti.
Terminato la loro parte di lavoro, si sedettero sul divano e sospirarono.
“Colazione?” chiese Zayn.
Harry e Liam annuirono e il moro, dopo aver fatto un salto in cucina, portò loro una tazza di latte coi cereali.
“Accontentatevi” disse solo.
Liam prese un paio di cucchiai e ad un certo punto poggiò la tazza sul tavolo.
Si portò una mano alla pancia e scattò in piedi.
“Terza porta a sinistra. Cerca di non vomitare per tutta casa!” urlò Zayn, mentre Liam correva sulle scale.
Harry e Zayn risero e continuarono con la loro colazione. Loro ci erano abituati, Liam no. Succedeva ogni volta.
“Mi sa che ho bevuto troppo” disse Liam, scendendo le scale,un po' pallido e scosso.
“Ti succede ogni volta – rispose Harry – non capisco perché non ti sei ancora abituato all'alcol.”
“Perché lui è piccolo e tenero” disse Zayn, spettinando i capelli di Liam mentre si sedeva.
Harry rise.
Sia lui che Zayn avevano sempre considerato Liam piccolo e docile, nonostante fosse più grande di loro e avesse un carattere peggiore del loro quando ci si metteva veramente.
Lo avevano conosciuto quando entrambi si iscrissero a calcio. Era solo, mentre il resto della squadra era molto legata. Harry non avrebbe voluto avvicinarsi, era uno “sfigato”, ma Zayn aveva un debole per i casi pietosi. Così, la prima volta in cui fecero calcio, si avvicinarono a Liam e iniziarono a parlargli. All’inizio il ragazzo era sembrato spaventato, poi invece aveva cominciato a parlare e a sorridere.
Harry scoprì che non era male, era solo molto timido. Diventando loro amico, Liam diventò sempre più socievole e di certo non fu etichettato più comelo sfigato.
Harry sarebbe sempre stato grato a Zayn per questo, perché Liam era un amico fantastico. Ti ascoltava sempre e sapeva consigliarti, ma soprattutto faceva i loro compiti, essendo il più bravo dei tre.
Suo padre era un uomo geniale, aveva inventato un particolare oggetto che gli aveva fatto guadagnare tantissimi soldi e Liam stimava molto suo padre per questo.
Forse era uno di quei pochi ragazzi che voleva seguire il lavoro di suo padre perché gli piaceva e non perché era costretto.
Il cellulare di Harry squillò. Evidentemente sua madre lo stava cercando. Quando lesse il nome sullo sfondo, però, scoprì che non era sua madre che lo cercava.
“Ehi Gems” rispose alla chiamata, alzandosi dal divano e dirigendosi nell’ingresso, dove il battibecco di Liam e Zayn non si sentiva.
“Ehi fratellino! Come stai?” rispose la ragazza dall’altra parte del telefono.
Harry sorrise. Adorava sua sorella, o almeno, l’adorava quando stava lontano dai discorsi che sua madre faceva sullla sua vita e sul suo futuro.
Perché non puoi essere un po’ come tua sorella? Era questo quello che gli ripeteva, troppo spesso.
Ma infondo Gemma che colpa ne aveva di questo? Nessuna, esatto. Per questo Harry non la odiava, non ne aveva motivo.
“Ancora ubriaco per la festa di ieri. Tu?”. Un’altra delle cose che amava di sua sorella, era che le diceva tutto senza doversi preoccupare.
“Festa di inizio anno da Zayn?” indovinò. 
“Esatto – sorrise Harry – anche se siamo a Ottobre inoltrato, ormai”
“Già – approvò lei – Senti Harry, volevo solo dirti che tornerò a casa tra qualche settimana”
“Sono contento” disse Harry.
Non sapeva se lo era davvero. Quando sua sorella era a casa, i suoi genitori non facevano altro che sottolineare quanto lui fosse incapace al suo confronto.
Lo tartassavano di parole amare, cosa che non succedeva assolutamente quando lei era via per studiare.
“Beh, tutto qui. Adesso che farai?” chiese Gemma, non sapendo più che dire. Si spostò verso la finestra della sua stanza e vide il paesaggio scuro al di là dei vetri.
“Tua madre non mi ha ancora chiamato per sapere se sono vivo – iniziò Harry – per questo motivo rimango un altro po’ da Zayn e poi torno a casa” fece spallucce Harry, consapevole che la sorella non l’avrebbe visto.
“Ne parli come se non fosse tua madre” evidenziò Gemma.
“Succede quando ti senti messo da parte” rispose Harry.
“Harry, non cominciare-”
“Tranquilla Gemma, ormai mi ci sono abituato. Avvisami quando decidi la data, okay?”
“Va bene fratellino – rispose Gemma un po’ preoccupata – fai il bravo”
Harry rise. “Sì, certo. Ci sentiamo”
E strappando un sorriso a Gemma, che amava sentirlo ridere, chiuse la chiamata.








Salve! 
Come potete vedere ho tenuto fede alla promessa e ho aggiornato di domenica! yay
Se vi aspettavate qualcosa dai Larry, beh, vi sbagliavate.
Avete però Zayn e Liam e una festa! Infondo non è male! lol
C'è un piccolo accenno Ziam, sui quali sto riflettendo molto. Voi che ne pensate?
Ci viene presentata anche la storia di Liam! Non è tanta, ma basta.
Poi compare Gemma che è un personaggio importante, almeno per me. Tenetela d'occhio!
Allora, che pensate dell'andamento della storia? Del capitolo? Di qualunque cosa? Vi prego di lasciarmi tutti i vostri pensieri, se non vi secca troppo. Amo leggere quello che mi scrivete e soprattutto mi aiuta nella scrittura. Quindi aspetto voi!
Vi ringrazio per recensioni e appoggi di ogni genere! 

-Angela

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Capitolo 5
*** Matt Darling. ***


Matt Darling.



Harry era sempre stato cosciente del fatto che il tempo passasse velocemente quando si va a scuola, non tanto le ore passate a seguire le lezioni quanto i giorni. Passano insieme alle settimane, i mesi, in una velocità tale che spaventa un po’, ma che rende felice perché questo significa che la tortura sta passando in fretta.
Lo avevano avvisato che questo sarebbe stato un anno difficile, ma infondo Harry non se ne preoccupava molto, aveva sempre avuto abbastanza per i suoi canoni.
Però quell’anno anche per poco doveva fare tantissimo e questa cosa lo scocciava molto. Poi, sua madre aveva avuto la brillante (si fa per dire) idea di prendergli anche un maestro privato perché voleva a tutti i costi che migliorasse.
“Tua sorella non ha mai preso voti così bassi, devi impegnarti di più.”
 

“Ciao Harry” lo salutò sua madre, mentre Harry mise piede in cucina quel pomeriggio di novembre.
“Ciao mamma” le rispose, prendendo la Coca Cola dal frigo e versandosene un po’ nel bicchiere.
“Senti Harry, devo dirti una cosa” cominciò lei, stringendo le mani intorno alla sua tazza di cioccolata calda.
“Dimmi”. Harry bevve un sorso, curioso di sapere cosa lei gli stesse per dire.
“Io.. Stavo pensando che tu, magari… ehm” si alzò in piedi e andò verso di lui, tirando le maniche del maglione per coprire le mani.
“Io cosa?”
“Magari potresti prendere un aiuto, per studiare intendo, il pomeriggio. Voglio che ti impegni di più a scuola, una media più alta…” disse, continuando a guardare suo figlio, preoccupata della sua reazione.
“Quello che facevo per avere il minimo è sempre bastato, cos’è cambiato adesso?”
“Ma Harry, diventi più grande, hai bisogno di conoscere più cose, pensare al futuro…”
“Mamma non mi va di pensare al futuro, chiaro? Mi avete sempre lasciato libero di fare quello che volevo e le cose non cambieranno adesso.”
“Harry, è davvero importante che tu ci metta più impegno”
“Per cosa? Per essere come mia sorella? No! Non voglio essere come lei, non lo hai ancora capito?” Harry sentiva la rabbia crescere dentro di lui. Come sempre.
“Harry, io non voglio che tu sia come tua sorella, non essere sciocco!”
“Invece sì! Tu e mio padre non fate altro che confrontarmi a lei, che dire quanto lei sia perfetta rispetto a me, quanto lei sia tutto e io un bel niente! E sono stanco di questi paragoni con lei per ogni cosa. IO NON SONO LEI, d’accordo?” stava urlando adesso, lo sapeva benissimo.
Come sapeva che Anne odiava litigare lui e arrivare ad urlare. La faceva stare male, spesso finiva per piangere. Ogni volta che arrivavano a tanto Harry si sentiva sempre in colpa, infondo sapeva che era suo padre quello che le stava col fiato sul collo per queste cose.
Così, quando la vide che si allontanava appena da lui, con gli occhi lucidi e un’espressione triste sul volto, Harry riprese parola, addolcendo la voce. “Mamma, mi dispiace. Non volevo prendermela con te, scusa. So che è mio padre a chiederti queste cose, è sempre stato lui”
Lei si rilassò un po’. “Esatto Harry, però questa volta sono d’accordo. Ti prego, non ti chiedo molto infondo. Ci tengo davvero tanto a questo”
Ci pensò su. Infondo non poteva fargli male, no?
Continuò a guardarla mentre aspettava una sua risposta, ansiosa, con la speranza che fosse positiva.
Harry pensò a tutte le volte in cui aveva preso le sue parti, quando si era opposta a suo padre, quando era stata più dura con lui solo perché era sempre stato suo padre a costringerla, a tutte le volte in cui aveva detto “il mio bambino”.
“E d’accordo, prenderò queste lezioni private se ci tieni tanto” rispose, infine.
Vide aprirsi un grande e meraviglioso sorriso sul suo volto. “Grazie!” quasi urlò e lo abbracciò.
E vederla così contenta, lo fece sentire così bene, così amato, così nel giusto, che non si pentì di quella risposta.

 

Il lunedì pomeriggio successivo, quello in cui questo famoso “maestro” doveva fargli ripetizioni per la prima volta, Harry sedeva al tavolo del soggiorno, con tutti i libri sparsi e la voglia di studiare sotto i piedi.
Sua madre andava a destra e sinistra, sistemando ora questo e ora quello.
Solita fissazione.
Ad un certo punto suonarono il campanello e Anne urlò: “Vado io!”.
Si mosse verso il portone di ingresso sotto gli occhi di suo figlio che la controllava, in ogni momento e movimento.
Aprì la porta e iniziò a parlare con questo signore. Un uomo alto e in forma, giovane, con i capelli castani e due occhi azzurri da far invidia a chiunque.
Harry continuò a guardare quegli occhi che lo portarono a ripensare a Louis Tomlinson, il ragazzo che da quel primo incontro all’ora di Biologia, non lo aveva più calcolato. Ripensò alla sua scrittura indecifrabile, al suo tono infastidito durante la conversazione, al modo in cui aveva reagito la seconda volta che Harry aveva nominato sua madre. Poi ripensò alla sua voce, così dolce, e al fatto che l’avesse apprezzata di più in classe, quando era più udibile, ripensò ai suoi capelli e ai suoi occhi.
Poi una vibrazione nella sua tasca lo risvegliò.
Prese il cellulare mentre sua madre ancora parlava con il tizio all’ingresso e lesse il messaggio.
 
 
Da: Zayn
Alle sei a casa mia?
 

La storia delle ripetizioni Harry non l’aveva detta a nessuno, solo a Zayn e Liam, i suoi migliori amici.
Pensò a quanti pomeriggi di libertà avrebbe perso, ma anche al fatto che lo faceva per sua madre, e per lei soltanto.
 
A Zayn:
Lo sai che non posso
 

Harry non capiva bene se Zayn se ne fosse davvero dimenticato o lo stesse facendo apposta.
Probabilmente più la seconda.
 
Da Zayn:
Oh sì, giusto. Buon divertimento, amico!
 

“Lurido bastardo, questa gliel’avrei fatta pagare” pensò.
“Harry” lo chiamò sua madre, questa volta sull’uscio del soggiorno. Harry lasciò il telefono sul tavolo e si voltò nella loro direzione. “Lui è Matt Darling e ti farà ripetizioni per un po’” sorrise lei.
Harry si alzò dalla sedia, si avvicinò a loro e tese la mano all’uomo, proprio come sua madre gli aveva detto di fare prima che arrivasse.
“Io sono Harry”. Matt gli strinse la mano e sorrise.
Si sedettero al tavolo e iniziarono a fare di tutto: dalla letteratura alla fisica, dall’inglese alla matematica, dalla storia alla geografia. Qualunque cosa.
Ogni tanto Matt si fermava, lasciava a Harry qualche minuto di pausa nella quale gli raccontava qualche aneddoto che riusciva sempre a colpire Harry.
Sembrava che ne avesse passate tante, quell’uomo.
Erano le sette quando finalmente disse: “D’accordo Harry, per oggi basta. Sei stato davvero bravo e ad essere sincero non me lo aspettavo per niente”. Raccolse i suoi, di libri, e li ripose nella borsa di pelle marrone.
“Non è una cosa molto carina da dire” sottolineò Harry mentre raccoglieva tutto ciò che gli apparteneva.
“Io penso che invece dovresti prenderlo come un complimento, vuol dire che oltre l’apparenza hai qualcos’altro” rispose Matt, fissando i suoi occhi blu nei verdi di Harry.
Lui rimase con per un momento come bloccato, fermo al suo posto, mantenuto da quegli occhi blu che lo confondevano.
“Vai via, Matt? Posso offrirti qualcosa?” chiese Anne, appena arrivata in soggiorno con uno strofinaccio tra le mani.
“No, non preoccuparti, va bene così. A presto” le sorrise lui.
“Ti accompagno alla porta” rispose, prima di affrettarsi a seguirlo, mentre Matt già si dirigeva verso il portone. Quando passò accanto a Harry, lo guardò con quello sguardo da “Dovresti andarci tu”, ma Harry non ci fece caso.
Anne salutò Matt e chiuse la porta.
Harry si mosse verso il sottoscala, prese la giacca e poi le chiavi dal tavolino all’ingresso.
Aprì la porta e sua madre, ancora lì vicino gli chiese: “Dove vai?”
“Da Zayn” le rispose, prima di chiudersi il portone alle spalle.










Ciaaaao! Come va?
Oggi è domenica e come vedete ho aggiornato!
E' un capitolo piccolo, lo so,e di passaggio, ma necessario. Matt è importante, lo sarà, o almeno credo e spero.
E soprattutto, voglio tenervi col fiato sospeso coi Larry! (che cattiva che sono, lo so)
Vi prego in ginocchio di lasciarmi qualche pensiero, perché il vostro parere mi serve tanto!
Allo scorso capitolo ho avuto solo 4 recensioni e questa cosa non mi ha resa chissà quanto felice. Sapevo che il capitolo non era chissà cosa, esattamente come questo, ma non faccio altro che chiedervi di aspettare ancora un po', non vi deluderò.
E' probabile che nelle prossime settimane riesca a pubblicare anche più di un capitolo a settimana. YAY!
Per il momento vi saluto e spero davvero in un vostro parere. 
-Angela
 

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Capitolo 6
*** Again ***


Again



Quando Louis aprì gli occhi, quella mattina, si sentì la testa e lo stomaco sotto sopra.
La festa del giorno prima lo aveva completamente messo KO. Perché dava ascolto agli altri e andava sempre a quelle stramaledette feste?

Quando il biondino si era avvicinato chiedendogli se voleva andare con loro, Louis aveva risposto che non gli andava. Si sentiva stanco, molto stanco, e passare una serata in bianco di certo non lo avrebbe aiutato il giorno dopo.
Però tutti avevano insistito, fino a trascinarlo quasi, e allora lui: “Okay, va bene!” aveva annunciato, esasperato.
Pessima idea.
Aveva bevuto tanto e le luci della sala lo avevano frastornato in una maniera terribile. Era uscito da quel posto con la testa che gli girava, la vista doppia e la nausea.
Cosa che non va per niente bene per una persona che non è abituata a quel genere di cose.
Per miracolo era arrivato a casa sano e salvo e si era buttato sul letto senza mettere il pigiama o altro, con le orecchie che gli ronzavano ancora per la musica troppo forte.

Si alzò dal letto e la testa iniziò a girare troppo velocemente, la vista si fece appannata, poi blu.
Stupido corpo che non sa reagire ai movimenti improvvisi e veloci, pensò.
Si avvicinò alla finestra. Scostò le tende e l’aprì, per prendere un po’ d’aria. Chiuse gli occhi e inspirò quell’aria fresca e pulita.
Quando aprì gli occhi, l’azzurro di cui erano riempiti sembrò brillare alla luce del sole.
Li chiuse velocemente e si voltò, per evitare che il sole lo accecasse.
Non erano tornati tardi la sera precedente. Il giorno dopo c’era scuola e quindi la ritirata era fissata prima del solito, ma questo non aveva impedito che si divertissero come si deve.
Louis aprì l’armadio e ci pescò dei vestiti puliti da indossare dopo la doccia che avrebbe dovuto fare la sera prima.
Odiava dover fare la doccia di inverno: fa così freddo che non riesci neanche a toglierti i vestiti per cambiarti.
Nonostante questo, però, la fece in fretta e furia, si cambiò e cercò di asciugarsi i capelli alla meglio. Era già in ritardo.
Corse fuori di casa senza salutare e si diresse verso scuola, a piedi, mentre si infilava un cappello per non prendere freddo, visto che questi erano ancora bagnati.
Quando arrivò, la campanella era già suonata e si affrettò verso l’aula della lezione di inglese. La professoressa lo fece entrare solo dopo avergli fatto una ramanzina sul suo ritardo.
Come se succedesse tutti i giorni, pensò Louis, seccato.
Quando, finita la lezione, uscì dalla classe, trovò Hazel ad aspettarlo.
“Ciao Hazel” salutò la ragazza che lo aspettava, a braccia conserte, davanti l’uscita. Lo guardava male, era furiosa, ma Louis proprio non riusciva a capire cosa avesse sbagliato.
“Louis, dov’è l’articolo che dovevi consegnarmi tre giorni fa?”
Se n’era dimenticato. Completamente.
“Oh, scusami Hazel, me ne sono completamente dimenticato. Te lo scrivo durante-”
“No Louis, ormai ho rimediato. Ma perché ti sei iscritto a questo giornalino se poi non collabori in nessun modo? Queste cose mi mandano in bestia!” quasi urlò.
Perché si era iscritto? Sua madre gli aveva sempre detto che sapeva scrivere benissimo, dalle poesie o canzoni che le dedicava, ai testi per la scuola e quindi gli aveva sempre messo questa idea in testa: scrivere per il giornalino.
“Potresti fare strada” gli diceva sempre, baciandogli una guancia e spettinandogli i capelli.
E Louis si sentiva così lusingato, si sentiva così bene quando scriveva, che si era appassionato.
Ma dopo era crollato tutto.
“Scusami, non succederà più” disse Louis, addolcendo la voce, facendo gli occhi dolci. Voleva restarci al giornalino, solo per sua madre.
“D’accordo Tomlinson, ma la prossima volta ti caccio. E adesso fila! Sei in ritardo”
Louis prese il telefono dalla tasca, illuminò lo schermo e si accorse di essere davvero in ritardo.
Aumentò il passo mentre si avvicinava all’aula di Biologia.
La giornata era cominciata una merda, di certo non poteva peggiorare.
Questi furono i suoi pensieri fino a quando, entrando nella classe, notò che l’unico posto libero rimasto era quello accanto ad un ragazzo con gli occhi verdi, profondissimi. Harry Styles.
Louis sussurrò un “vaffanculo” mentre il suo sguardo incrociò quello di Harry, che gli sorrise bastardo.
Aveva fatto in modo di non trovarsi mai più accanto a quel ragazzo antipatico e insopportabile, e ci era riuscito, per più di due mesi. Lo evitava in qualunque modo, in qualunque posto: a scuola, per strada, alle feste. Non voleva averci niente a che fare.
“Signor Tomlinson, pensa di restare lì a lungo? Si sieda, per favore, così cominciamo la lezione” disse il professore, guardandolo e con la mano destra indicando il posto vuoto vicino ad Harry.
Louis si mosse mentre alcune persone ridacchiavano del suo comportamento così buffo. Posò i libri sul tavolo e si sedette.
“Hai tentato di evitarmi, ma non ci sei riuscito”.
Louis voltò di scatto la testa e guardò Harry, che gli aveva parlato. Quasi non lo ricordava più, dopo aver passato quel tempo senza avvicinarsi.
I capelli ribelli, gli occhi verdi, le fossette che comparivano sul suo volto solo quando sorrideva.
“È davvero un peccato” gli rispose Louis, sempre freddo e distaccato.
Lo odiava quel ragazzo, non lo sopportava.
“Cosa ti ho fatto di male per essermi meritato questo tuo comportamento?” chiese Harry, fingendosi offeso, mentre prendeva il libro di Biologia e lo apriva, sfogliando le pagine.
“Non sopporto qualunque cosa tu faccia. Solo questo”. Era una risposta senza senso. Infondo Louis non lo conosceva, lo aveva evitato, come faceva a sapere che qualunque cosa Harry facesse, potesse dargli fastidio?
Harry sembrò pensarci su e si zittì, lasciando che il professore iniziasse a spiegare quello che avrebbero fatto quella mattina, spegnendo la luce e mostrando le diapositive proiettate sul muro.
“Sai, non è una bella cosa da dire” sussurrò Harry all’orecchio di Louis, facendolo spaventare e saltare sul suo stesso sgabello.
Louis si raddrizzò mentre Harry rideva, cercando di fare più silenzio possibile.
Il ragazzo con gli occhi azzurri lo guardò male, mentre l’altro era piegato in due dalle troppe risate. Louis si lasciò così andare dalla sua faccia contratta dalle risate e dal suo sorriso con le fossette, che anche lui sorrise.
“Sta’ zitto, deficiente” gli disse.
Harry si voltò e nel buio lo guardò bene. Questa volta sorrise nella sua direzione.
Dopo dieci lunghi minuti di silenzio, con solo la voce del professore a riempire quello spazio scuro e soffocante, si accesero le luci.
“Bene, adesso che vi ho esposto l’argomento, tocca a voi fare un bel lavoro. A coppie. Decidete voi, non voglio le solite lamentele. Fosse per me li eviterei questi lavori così, so come vanno a finire. Ma, faccio come mi viene ordinato dall’alto”.
Dopo quest’affermazione del professore, Louis si guardò intorno.
Voleva qualcuno che facesse coppia con lui, ma sembrava che tutti avessero già un compagno.
Tutti tranne uno.
“Ti va di fare il lavoro con me?” gli chiese Harry, guardandolo con la testa leggermente inclinata.
Louis lo guardò. Harry aveva parlato in un modo più dolce, diverso da quello dell’ultima volta, quella di mesi prima, quando avevano fatto quel lavoro in classe.
A quel ricordo, Louis non riuscì a trattenersi e gli rispose: “E poi facciamo come l’altra volta? Sono io a fare tutto il lavoro?”
Harry lo guardò, ma dopo poco gli disse: “No, scrivo io questa volta. La tua scrittura fa schifo” gli sorrise.
Louis rimase sorpreso, non sicuro se dipendesse dal fatto che Harry si era proposto di fare una parte del lavoro, apparentemente, o per il commento alla sua scrittura.
“Davvero la mia scrittura fa così schifo?” riuscì a rispondere. Non gli venne altro in testa.
“È una cosa quasi impossibile da leggere, sembra la scrittura di un medico” scherzò Harry.
In effetti, ora che ci pensava, glielo avevano detto tutti. Anche i suoi genitori.
Era sempre stato così e molti gli dicevano che la sua scrittura lo rappresentava: un carattere difficile, complicato.
Qualcosa che solo lui riusciva a capire. Forse.
“Okay, d’accordo. Solo se mi prometti di fare una parte del lavoro” decise Louis.
Si pentì quasi subito di quella risposta.
Insomma, aveva evitato il ragazzo dagli occhi verdi per più di due mesi, non lo sopportava, lo odiava, credeva fosse antipatico, insopportabile e cosa aveva fatto? Gli aveva detto di sì per un lavoro, a coppia, che avrebbe occupato molto tempo. Troppo.
Il professore iniziò a segnare i vari nomi, seguendo l’appello, fino a quando non arrivò a Styles.
“Louis” rispose il ragazzo, sorridendo appena.
Il professore alzò gli occhi dal quaderno dove stava appuntando le cose e lo guardò, attraverso le lenti dei suoi occhiali. Però, contrariamente al giorno del compito che avevano fatto in classe, quello in cui Harry e Louis si erano ritrovati vicini, quella che si erano visti davvero per la prima volta, non commentò.
Scrisse Styles, un trattino e Tomlinson e saltò il cognome di quest’ultimo, procedendo con gli altri ragazzi.
“Spero che tu non mi abbia preso per il culo, Styles” disse Louis, sistemando i libri prima che la campanella suonasse.
Harry sorrise. Aveva sempre pensato che Louis fosse uno forte, diverso. Ripensò al fatto che nessuno si comportava in certi modi, con lui.
“Tranquillo Tomlinson, non ti deluderò”.
La campanella suonò ed entrambi si alzarono dallo sgabello, dirigendosi verso l’uscita.
“Dovremmo solo stabilire giorni e orari comodi” disse Harry, accostandosi a Louis, mentre camminavano nel corridoio.
Louis si sentì un po’ strano a camminare con Harry vicino. Sembrava una cosa così strana… era una cosa strana.
“Mi vuoi dire che troverai un problema per ogni cosa che ti proporrò?”
Partivano proprio col piede sbagliato.
“Sto dicendo che dobbiamo accordarci bene per tutto, visto che ho delle cose da fare” disse Harry. E dal modo in cui si irrigidì, Louis poté vedere il volto di Harry quasi cambiato.
Sembrava più duro, più serio, senza neanche l’ombra del sorriso che gli era spuntato nell’ora precedente.
Lunatico, pensò Louis.
“Sì ma calmati, con quel carattere che ti ritrovi non penso che andremo d’accordo”. Louis non riuscì a trattenersi e glielo disse. Prima o poi doveva succedere, lo sapeva benissimo.
Il fatto era che se ne pentì, subito, non appena vide il volto di Harry più severo di prima, con gli occhi fissi nei suoi. Sembrava che stesse per mollargli un ceffone proprio lì, davanti a tutti, per poi prenderlo a botte.
Ne era sicuro.
Ma il ragazzo si sbagliò, però, perché Harry rise. Louis alzò le sopracciglia, sorpreso. Molto sorpreso.
“Hai ragione Tomlinson, devo cercare di calmarmi un po’” disse Harry, facendo spallucce.
A Louis sembrò quasi che quello non fosse Harry.  La sua espressione e i suoi movimenti erano cambiati così velocemente che la testa di Louis sembrò girare quasi quanto quella mattina, quando si era alzato di scatto e la vista gli si era appannata, seguita dalla visione blu di tutto quello che lo circondava.
Sì, è decisamente lunatico.
“Ci si vede, Harry” gli disse, prima di continuare per il corridoio, solo.
 
 











Salve! Chiedo scusa se non ho aggiornato ieri, cioè domenica, ma non ho tardato di tanto.
Questo capitolo è un po' più lungo degli altri e ci sono i Larry. Quindi sono perdonata? 
I Larry si sono incontrati di nuovo, hanno lavorato insieme di nuovo ed ecco il lavoro di coppia, di nuovo.
So che è molto sputtanato o, per usare termini migliori, usato (la storia del compito a coppie) ma era davvero necessario.
Se mi lasciate un parere, ve ne sarei eternamente grata.
Ringrazio tutti, lettori silenziosi e no, grazie davvero.
A presto!
-Angela

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Capitolo 7
*** I'm back ***


I'm back


“Sono tornato”.
Il signor Styles chiuse la porta e poggiò la valigetta per terra, asciugando le scarpe zuppe a causa della pioggia sul tappeto.
Anne abbandonò quello che stava facendo in cucina e con lo strofinaccio tra le mani si diresse all’ingresso dal marito. Lo abbracciò appena e gli lasciò un bacio sulla guancia.
“Harry?” chiese subito lui.
“È da Zayn, suppongo” gli rispose, ritornando in cucina e continuando a pulire il piano di lavoro.
“Bene, perché dobbiamo discutere di una cosa”.
La signora Styles subito interruppe quello che stava facendo e si girò verso il marito, che nel frattempo aveva allontanato una sedia dal tavolo e si era seduto, massaggiandosi le tempie che sembravano andargli a fuoco.
“Di cosa, esattamente?” chiese Anne. Ma la donna sapeva esattamente di cosa avrebbero dovuto parlare.
“Harry è grande ormai, è l’ora che si prenda la sua parte di responsabilità. Un caffè?”
Anne, silenziosamente, mise la cialda nella macchina del caffè e aspettò, senza spiccicare parola.
Una volta pronto, prese la tazza e la posò sul tavolo di fronte a suo marito, insieme alle zollette di zucchero e un cucchiaino.
“Anne, ho rischiato grosso questa volta. – iniziò lui – Se dovesse andare peggio la prossima, non potrei parlare con Harry, e tu non ne saresti in grado” disse lui, mettendo una sola zolletta di zucchero, com’era solito fare, e aspettando che questa si sciogliesse nel caffè.
“Ma non puoi parlargli! Non è ancora maggiorenne, tra poco è anche Natale! Non puoi accollargli un peso del genere adesso! Puoi almeno aspettare che compia gli anni, non manca tanto” disse lei, massaggiandosi le mani, nervosa. Era solo un bambino, era ancora il suo bambino.
“Tu non capisci! Non mi avresti più visto se non fossi stato fortunato! Non posso più aspettare”.
Lo disse in modo duro, convinto.
Anne l’aveva distolto da quel discorso con Harry per tanto, troppo tempo. Era giunto il momento, e questa volta niente l’avrebbe allontanato da questo scopo.
“Ma è ancora un bambino” disse Anne, con la voce rotta, dando voce ai suoi pensieri.
L’uomo sentì il suo cuore distruggersi sotto quella visione.
Sentì la sofferenza della moglie in quelle parole, la paura nella sua intonazione.
Gli dispiaceva così tanto provocarle un dolore così grande.
Avrebbe potuto cedere, da un momento all’altro, solo per lei, per renderla felice e tranquilla.
Ma non poteva.
“Di’ a Harry che devo parlargli” disse prima di alzarsi, prendere la giacca e uscire, nuovamente, sotto la pioggia.
E Anne rimase lì, con le parole soffocate che quasi la strozzavano, le lacrime agli occhi e un dolore immenso nel petto, in direzione del cuore.
 
 
Quando Anne andò da Harry per avvisarlo, lasciò il figlio sorpreso. Molto sorpreso, anche troppo.
Semplicemente un pomeriggio bussò alla sua porta e gli disse: "Tuo padre vuole parlarti venerdì sera". 
Non un sorriso, non uno sguardo. Non aspettò neanche la risposta e andò via, lasciandolo nella stessa situazione in cui l'aveva trovato, solo più confuso.
Il padre non gli parlava mai, più perché passava la maggior parte del suo tempo in giro per lavoro.
Quando era a casa doveva esserci un motivo importante, e quando decideva di parlare al figlio che disprezzava tanto, Harry ci avrebbe giurato su questo, doveva essercene uno anche più serio.
Cercò di fare mente locale di tutto ciò che avrebbe potuto essere la causa di quel discorso mentre un mercoledì pomeriggio si dirigeva verso il bar dove si sarebbe incontrato con Louis, per lavorare al loro lavoro di coppia.
Harry lo aveva proposto e Louis aveva accettato, senza neanche dare una seconda opzione.
Magari entrambi pensavano che fare il lavoro a casa di uno dei due, sarebbe stato imbarazzante. O forse no, ma questo non importava più ormai.
Il bar era vicino casa di Harry, così si diresse a piedi.
L’aria fredda pungeva sul suo viso, raffreddandogli il naso. Mise le mani nelle tasche, per cercare calore, e lo trovò nel suo giubbotto nuovo blu metallizzato.
Avrebbe preferito passare il pomeriggio nel suo magnifico e lussuoso salotto, vicino al fuoco, senza far nulla o magari ascoltando un po’ di musica. O, ancora, pensando a quello che suo padre gli avrebbe detto quel venerdì sera.
Venerdì 17, che casualità. Harry non era per niente superstizioso, però cavolo, a volte sembrava tutto fatto a pennello per andar male.
La sola differenza di quel venerdì da tutti gli altri giorni in cui Harry aveva parlato con suo padre, stava nel fatto che era davvero sicuro di non aver fatto niente: non si era comportato male e le ripetizioni che gli dava Matt il pomeriggio portavano voti alti per la sua solita media.
Si ritrovò davanti alla porta del bar. Guardò attraverso la vetrina del locale, e notò alcune persone sedute ai tavoli, sparse.
Spinse la porta ed entrò.
La cameriera si avvicinò e gli sorrise. Era una bella ragazza: bionda, occhi azzurri, sorriso mozzafiato. La solita ragazza uscita da un film, una di quelle ragazze che si trovano solo a Hollywood o nei libri.
“Ciao, sei solo?” disse lei, sorridendogli.
Harry si guardò intorno, alla ricerca del suo compagno di studi, e trovò Louis seduto ad un tavolo infondo all’angolo, in una zona segnata da separé. Aveva una mano sotto il mento e non faceva altro che guardarsi intorno, seccato.
Harry sollevò la manica del suo giubbotto e guardò l’orario sul suo orologio da tre mila dollari, e si accorse di essere in ritardo di quasi mezz’ora.
Sollevò di nuovo lo sguardo verso Louis, e questo incrociò il suo. Si sollevò un po’ sulla sedia e agitò una mano, per cogliere l’attenzione del nuovo arrivato.
“No, sono con lui” rispose Harry indicando il ragazzo con gli occhi azzurri alla cameriera, che in silenzio aveva aspettato accanto a lui una risposta che arrivò molto tardi rispetto alla domanda.
Harry si diresse verso il tavolo del ragazzo, e continuò a guardarlo.
Si concentrò sui suoi capelli, ribelli proprio come il primo giorno che l’aveva visto in spiaggia; poi sul suo mento, sul modo in cui la mano era tornata sotto di esso, e quando Louis incrociò di nuovo il suo sguardo, cadde completamente nei suoi occhi.
Non sembravano blu come quel giorno in spiaggia, o come i primi giorni in mensa. Erano diventati più scuri, quasi grigi, ed Harry si chiese se il colore cambiasse a seconda del tempo.
“Ciao, scusa per il ritardo” disse Harry accomodandosi sulla sedia di fronte a quella di Louis. Quest’ultimo lo guardò seccato, molto seccato, e gli rispose con un aspro: “Se cominciamo così non andremo per niente d’accordo”.
Harry si guardò intorno e poi il suo sguardo fu catturato dai numerosi fogli sul tavolo, scritti e non, e si rese conto di non aver portato niente, nemmeno un libro.
“Ringrazia il cielo che sono venuto. Se mi conoscessi almeno un po', sapresti che questo è già tanto” gli rispose, sorridendo e sistemandosi meglio sulla sedia, poggiando la schiena sul legno duro dello schienale e scivolando un po’, sembrando quasi steso.
Louis sbuffò. “Non ci tengo a conoscerti, per me questo è già troppo”. Prese un foglio, sfogliò le pagine del libro e iniziò a scarabocchiare qualche parola, mettendo frecce e sottolineandone alcune.
Harry sembrò quasi ferito da quelle parole. Infondo Louis non lo conosceva per niente, come poteva decidere di non conoscerlo sulla base del nulla che aveva? E allora gli rispose con un: “È troppo perché sei un asociale senza amici, o perché sono troppo figo per esserti amico?” sorridendo bastardo a Louis, che sollevò lo sguardo e iniziò a studiarlo.
Ma chi diavolo pensava di essere? Harry non era altro che un ragazzo egocentrico e antipatico, e Louis non capiva come poteva essergli quasi sembrato simpatico.
“Non sono asociale” rispose solamente.
Harry fece mente locale: non gli era sembrato di averlo visto con tante persone a pranzo, né di averlo visto a qualche festa o in un locale.
“Non ti ho mai visto da nessuna parte” rispose prendendo qualche foglio e iniziando ad analizzare quelle parole. Cosa impossibile, ovvio.
“Beh, io sì”
Harry iniziava ad incuriosirsi. “Ad esempio?”
Louis lo studiò, e iniziò a pensare che Harry lo stesse prendendo in giro. Insomma, la sera della festa del suo amico, Zayn, l’aveva visto eccome! Come poteva Harry non ricordarsene?
“Ero alla festa del tuo amico, mi hai anche parlato. Non ti ricordi?”.
Harry sollevò di scatto lo sguardo dai fogli e lo posò su Louis. Socchiuse gli occhi, quasi come se stesse cercando di capire se Louis gli stesse mentendo o lo stesse prendendo in giro, ma il ragazzo non mosse un muscolo e rimase in attesa di un ricordo di Harry che sembrava non arrivare.
“Non mi ricordo” ammise Harry. “Che ho fatto?” chiese ancora.
Louis arrossì e abbassò lo sguardo, prendendo nervosamente i fogli tra le mani e girando le pagine.
“Niente” borbottò ancora indaffarato a girare tra le pagine alla ricerca di informazioni fantasma.
“Uhm.. che ho fatto? Davvero, mi sto preoccupando” Harry rise, perché la reazione di Louis era stata davvero buffa.
Anche quest’ultimo rise, ma la sua era una risata nervosa e forzata, l’opposto di quella di Harry, naturale… vera.
“Niente, davvero! Adesso cominciamo a studiare!”
Harry prese un foglio pulito e sfilò la penna dalle mani di Louis e sussurrò: “Detta!”.
I due ragazzi passarono le due ore successive a cercare informazioni, scriverle e ripeterle.
Controllarono ciò che scrivevano mille volte, solo perché Louis sosteneva che bisognava cambiare adesso una cosa, ora un’altra.
Harry continuava a scrivere, lamentandosi, ma Louis lo zittiva e così continuarono, fino a quando Louis quasi non urlò, rendendosi conto dell’ora che si era fatta.
“Cazzo” sussurrò.
Harry rimase un po’ stravolto, perché Louis non sembrava il tipo di ragazzo che dice parolacce, ma a parte questo, fece finta di niente.
Louis raccolse tutto, sfilando la penna ad Harry e mettendo tutto nella borsa che portava con sé.
“Per oggi abbiamo finito, alla prossima!” sussurrò prima di andare via, lasciandolo solo al tavolo, col conto da pagare.










Salve!
Chiedo umilmente scusa, strisciando quasi, per il ritardo.
Il fatto era che non avevo idee, che tutto quello che scrivevo mi sembrava una vera cacca, così ho deciso di staccare un po' e rifletterci. Eppure non sono per niente contenta di questo capitolo.
Finalmente, dopo il futuro discorso tra Harry e suo padre, inizierete a capirci di più, la storia inizierà davvero e soprattutto quel raiting rosso finalmente avrà un significato.
Per il momento vi lascio, alla prossima! Aspetto le vostre recensioni! :)

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Capitolo 8
*** Inside you ***


Inside you


Da quando quella mattina Harry era arrivato a scuola, Zayn l'aveva visto perso nei suoi pensieri.
Lo aveva osservato, in silenzio, cercando di capire cosa gli passasse per la testa, ma non ci riusciva. Strano.
L'aveva visto entrare nel cortile della scuola con la testa bassa e quando l'aveva salutato, Harry gli aveva risposto solo con un cenno della testa.
Stanco di aspettare una risposta che non sembrava arrivare, glielo chiese: “Harry? - richiamò l'attenzione del ragazzo – Che ti passa per la testa?”
Harry sollevò lo sguardo e i suoi occhi verdi incontrarono quelli marroni di Zayn.
Quest'ultimo li osservò e poté vedere in quegli occhi apparentemente cristallini, tanti pensieri che si affollavano e sovrastavano, uno dopo l'altro.
I loro sguardi rimasero uno fisso nell'altro per un po', fino a quando Zayn non capì che in quegli specchi verdi, c'era soprattutto qualcosa che lo preoccupava.
E Harry sembrò accorgersene. Si rese conto perfettamente che Zayn aveva capito che c'era qualcosa che lo turbava, sapeva “leggerlo” bene.
“Oggi mio padre vuole parlarmi, e non ho idea di cosa” sputò il rospo Harry, continuando a guardare Zayn, attento alla sua espressione.
Questo inarcò le sopracciglia e fece una faccia interrogativa.
“Ti ho detto che non ho idea di cosa voglia dirmi. - rispose Harry alla domanda muta del moro – Semplicemente mia madre è venuta e mi ha detto che mio padre voleva parlarmi, non mi ha detto nient'altro”
Zayn sembrò riflettere. Suo zio non c'era mai a casa, e quando c'era erano occasioni speciali. E quando diceva ad Harry che voleva parlargli, era solo perché si era messo nei guai. Ma Harry non aveva fatto nulla questa volta. Addirittura non stava passando più tanto tempo con loro, uscendo e divertendosi, perché era stanco o impegnato.
“Magari non è una cosa negativa” cercò di rassicurarlo Zayn. Anche se dall modo in cui lo disse, neanche lui era tanto convinto delle sue stesse parole.
Quasi Harry gli stesse leggendo nella mente, sospirò: “Stiamo parlando di mio padre”.
Entrambi rimasero in silenzio a pensare, fino a quando il resto del loro gruppo si avvicinò e cominciò a far chiasso, costringendo entrambi ad abbandonare i loro pensieri e occuparsi dei loro amici.
 

Harry non si era mai abituato al fatto che Zayn sapesse capire ciò che gli passava per la testa solo guardandolo.
Era strano avere qualcuno che riesce a capirti in fretta, che riesce a metterti a nudo completamente, che riesce a leggere i tuoi pensieri più profondi.
Stava pensando troppo in quell'ultimo periodo, così tanto da farsi venire un mal di testa assurdo di prima mattina.
Quando la campanella suonò, fu tentato dal darsela a gambe perché proprio non se la sentiva di passare ore e ore a sentire i professori parlare, o anche solo il chiacchierare dei ragazzi nei corridoi o in mensa.
Poi, infondo al cortile, dei capelli chiari ribelli catturarono la sua attenzione e uno dei pensieri che si affolava nella sua testa si fece strada sugli altri.
Harry si avvicinò a Zayn, che nel frattempo lo aveva superato di molto. “Zayn!” lo chiamò.
L'amico si voltò appena e rallentò il passo, lasciando che Harry lo raggiungesse.
“La sera della festa a casa tua, cosa è successo?”
Zayn inarcò le sopracciglia, di nuovo confuso. “In che senso?”
Harry pensò che forse era meglio non dirgli che i dubbi su quella sera gli erano stati messi da Louis. Infatti pensava che il moro lo credesse abbastanza ossessionato da lui.
“Dico la sera, cosa ho fatto? Non ricordo nulla dopo il terzo cocktail”
Zayn sembrò pensarci un po', sembrava sforzarsi. Quella sera tutti erano ubriachi, era quasi impossibile trovare qualcuno sobrio o ubriaco ma capace di capire quello che stesse succedendo, e soprattutto che potesse ricordare.
“Ti abbiamo detto di andare da una ragazza – cominciò Zayn, dimostrando un impegno grandissimo nel tentare di ricordare quelle cose – vi siete baciati e l'hai portata al piano di sopra. Poi non ricordo più nulla”.
Harry ci rifletté su, non lo ricordava per niente.
Era come se quella parte della serata fosse stata completamente rimossa dalla sua testa.
Anche adesso, che Zayn gli aveva raccontato cosa fosse successo, Harry faceva fatica a crederci, perché non ricordava nulla.
Ma se davvero aveva portato quella ragazza al secondo piano, quando aveva incontrato Louis? Più ci pensava e più di rendeva conto del vuoto che aveva.
Erano quasi arrivati all'aula della loro prima lezione, una di quelle poche che avevano in comune.
“Perché, Harry?” gli chiese Zayn, mentre entravano e si sistemavano ai loro soliti posti.
Harry sembrò combattuto dal rivelargli che quella domanda era nata da un'affermazione di Louis. Non voleva dirglielo, almeno fino a quando Harry non avesse scoperto cosa fosse successo quella sera. 
Decise allora di non guardarlo negli occhi, perché sapeva che se l'avesse fatto, anche solo per un secondo, Zayn avrebbe capito che c'era qualcosa che non andava, e ad Harry mancava solo Zayn con le sue frustranti domande in quella faticosa giornata.
“No, niente... - cercò velocemente una scusa – Non ricordo nulla e.. beh, insomma.. cercavo di ricordare qualcosa. Sì, uhm” iniziò a balbettare.
Non era mai stato bravo con le bugie, non con Zayn almeno.
“Harry, perché mi hai fatto quella domanda?” chiese Zayn con quel tono che ti spinge a guardarlo. Harry ci mise tutta la forza di volontà che aveva per non farlo, ma il moro non sembrava voler cedere.
“Harry?” chiese prendendo il suo mento e girandolo verso di lui.
Harry con un po' di forza si oppose al suo gesto, perché non voleva che Zayn lo leggesse dentro per la seconda volta in quel giorno.
Lo faceva sentire così debole, e Harry non voleva esserlo. Non lo era mai stato.
Così abbassò lo sguardo, ma Zayn rimase fermo, aspettando che Harry alzasse i suoi bellissimi occhi verdi.
E fu così che dopo un po' di resistenza, i suoi occhi marroni incrociarono i verdi di Harry e in un attimo Zayn capì che c'era qualcosa dietro quella domanda, ma vedeva in Harry, perché sì guardando i suoi occhi leggeva il vero Harry, che lui non voleva parlargli, non ancora.
Così lasciò andare il suo mento, sorridendo per rassicurarlo, e si voltò, non facendo più domande.
Harry ne fu grato e ringraziò muto l'amico, perché quel poco per lui sembrava tanto.
 

Harry si stava dirigendo al suo tavolo, dopo aver preso qualcosa per pranzare, quando il suo telefono nella tasca posteriore vibrò.
Posò il vassoio sul tavolo, accanto a quello di Zayn, si sfilò il telefono e superò la panca con un piede, per sedersi.
 
Da: Mamma
“Tuo padre passa a prenderti da scuola”
 
Era davvero troppo per Harry tutto quello.
 
 
Alle quattro di pomeriggio, dopo aver finito le lezioni, Harry stava aspettando sotto il portico della scuola che suo padre arrivasse.
Avrebbe voluto scappare e avrebbe potuto, così avrebbe evitato il discorso. Oppure avrebbe voluto che suo padre fosse stato costretto ad andare via di nuovo, per un impegno improvviso.
Avrebbe voluto non parlargli, ma rimandare di certo non sarebbe servito a niente.
Si sedette sulle scale perché suo padre era in ritardo, come sempre, e prese il cellulare, aprendo social network e usando diverse applicazioni.
Ripensò al tono in cui Zayn gli aveva detto: “Chiamami quando finisci”, come se fosse preoccupato, quasi come se sapesse.
Forse aveva solo immaginato tutto.
“Harry?” lo chiamò una voce acuta, improvvisamente, sulla sua sinistra.
Harry si voltò in direzione della voce e trovò Louis, in piedi con un libro in una mano e lo zaino in un'altra. I capelli scompigliati, gli occhi azzurri splendenti e un'espressione a metà tra il sorpreso e confuso. “Che ci fai ancora qui?” gli chiese, guardandolo seduto per terra.
“Sto... Sto aspettando mio padre” disse Harry, ritornando con lo sguardo basso sul telefono. Chiuse l'applicazione, bloccò lo schermo del cellulare e rimase fermo e in silenzio in quella posizione.
Harry sentì dei passi avvicinarsi a lui e dopo poco vide il profilo di Louis avvicinarsi al suo e sedersi nello spazio che lo separava da una colonna.
“Non devi aspettare con me” sussurrò Harry, che si sentiva a disagio in quella situazione. Molto a disagio.
“Oh no, tranquillo. Aspetto volentieri con te”.
Ad Harry sembrò una cosa molto dolce. Al di là del gesto, anche il tono di voce che Louis aveva usato, quasi a rassicurarlo di non preoccuparsi.
“Grazie” gli rispose Harry, regalandogli uno dei sorrisi più sinceri che avesse mai fatto.
Quando Louis vide dipingersi due meravigliose fossette sul volto di Harry, sorrise involontariamente.
Quel ragazzo all'apparenza cupo, antipatico, sembrava un bambino con quel sorriso da angelo. E Louis avrebbe passato ore a guardarlo, fino a quando non si rese conto che entrambi si stavano fissando da tanto tempo, troppo, e si chiese a cosa Harry stesse pensando.
Entrambi distolsero lo sguardo e fissarono a terra, imbarazzati, e Louis cercò di fare qualcosa, buttando giù la prima domanda che gli passava per la testa.
“Perché aspetti tuo padre?” gli chiese. I suoi occhi azzurri incontrarono i verdi di Harry e questo si rabbuiò, quasi avesse fatto la domanda sbagliata.
Louis era tentato dal fare un passo indietro, dal cambiare discorso, e stava per farlo, ma Harry rispose: “Vuole parlarmi, e non so di cosa”.
Il ragazzo dagli occhi azzurri sembrò riflettere bene prima di rispondere: “E tu sei preoccupato da ciò che vuole dirti perché non hai idea di cosa ti parlerà?”.
Harry, che con lo sguardo basso aveva aspettato una risposta di Louis, non appena udì quelle parole, lo fissò in silenzio.
Come aveva potuto capire così facilmente cosa gli passava per la testa?
Solo Zayn ci riusciva, nessun altro. Neanche il suo migliore amico Liam riusciva a capirlo.
Il fatto che Louis lo capisse così bene, così in fretta, così senza sforzo, lo lasciò palesemente sorpreso, quasi sconvolto.
Louis sembrò accorgersene, e questa volta fece subito un passo indietro, senza aspettare una risposta di Harry: “Scusami, non sono fatti miei. Non volevo...”
“No, affatto – rispose Harry, quasi svegliandosi da una trance e rendendosi conto che il ragazzo gli stava chiedendo scusa per nulla – Non devi scusarti, sono solo rimasto... sorpreso. Non tutti riescono a capire quello che mi passa per la testa”. Continuò a guardare Louis quasi studiandolo, cercando di capire qualcosa in più di lui.
“Forse sono io che sono bravo a leggere le persone” buttò giù Louis, che con gli occhi di Harry che lo guardavano in quel modo, non riusciva a pensare molto lucidamente.
“Forse” ammise Harry.
Il rumore delle ruote di un'auto sul viale d'ingresso costrinsero entrambi ad allontanare gli sguardi e a concentrarsi sulla Lamborghini nero metallizzata che stava facendo un ingresso spettacolare.
“Wow” esclamò Louis, che mai avrebbe pensato di poter vedere una macchina così costosa in un paese come il suo.
Harry sospirò. Aveva sempre odiato il continuo mettersi in mostra del padre.
L'auto si fermò proprio davanti a lui e suo padre gli fece cenno con la mano.
“Bene – annunciò Harry – devo andare” si alzò dalle scale e prese lo zaino che aveva tenuto al suo fianco per tutto questo tempo. “Grazie ancora per aver aspettato con me”, aggiunse.
Louis sorrise e gli rispose con un semplice: “Figurati, quando vuoi”.
Harry ricambiò il sorriso e guardò suo padre, che stava aspettando in auto, con entrambe le mani sul volante. “Vuoi un passaggio?” gli chiese.
“Uhm... No, grazie, vado a piedi. Tu e tuo padre dovete parlare e io non vorrei essere un disturbo e-”
“Ma che disturbo! - quasi urlò Harry, che per rimandare il momento di quel discorso avrebbe fatto di tutto – vieni!” disse prendendo Louis per il polso e avvicinandolo all'auto. Gli aprì la portella e dopo di che si diresse verso la sua, al posto del passeggero sulla parte anteriore, ed entrò.
“Diamo un passaggio al mio amico Louis” disse solamente, e si chiuse la portella alle spalle.
Suo padre lo guardò storto, ma si girò verso il ragazzo e gli sorrise.
“Buonasera” sussurrò Louis a disagio su quel sedile troppo pregiato e costoso per i suoi gusti.
“Ciao Louis - ricambiò il saluto - Dove ti portiamo?”, aggiunse, continuando a sorridergli.
“Subito dopo il pub Blue” gli rispose il ragazzo, guardandolo negli occhi.
Sembrò che l'uomo fosse attraversato da un lampo nero, una nuvola, sembrava che fosse diventato di cattivo umore all'improvviso, quasi come se quel sorriso di prima non fosse mai esistito.
L'uomo annuì e si voltò, accendendo il motore, senza proferire parola. L'unico rumore che si sentiva era quello dei pneumatici sull'asfalto.
“Allora Louis – ruppe il silenzio il padre di Harry, sotto gli occhi attenti di suo figlio – il tuo cognome è Tomlinson?”
Louis rimase sorpreso. Come faceva a conoscere il suo cognome?
“Sì... Sì, signore” gli rispose, ancora timido e sorpreso dal fatto che conoscesse chi fosse.
Stava per fare una nuova domanda, ma suo figlio lo precedette: “Papà, non devi fare il terzo grado a tutti i miei amici, tanto meno a Louis”.
Il padre sorrise e non fece nessun'altra domanda.
“Signore... Come fa a sapere il mio cognome?” chiese un Louis troppo curioso di sapere, dopo pochissimi minuti. Lui non era nessuno, e a meno che il padre di Harry non avesse studiato tutti i ragazzi nella scuola del figlio, cosa che non lo avrebbe stupito per niente, non riusciva proprio a capire come facesse a sapere di lui.
L'uomo sembrò combattuto dal rivelargli o meno la verità, ma alla fine sputò il rospo: “Conoscevo tuo padre” ammise.
A Louis sembrò quasi di ricevere uno schiaffo. Non parlava mai di suo padre.
Non rispose.
Harry si voltò nella sua direzione, e quando vide Louis con il volto rivolto verso il finestrino, si chiese cosa fosse successo.
Un attimo dopo arrivarono di fronte una casa, la sua casa, quasi come se sapesse dove abitasse.
“Grazie mille per il passaggio, signore. Ci si vede, Harry” salutò Louis prima di scendere e incamminarsi, senza voltarsi indietro.












Salve! Sono stata brava e ho aggiornato in tempo!
Innanzi tutto dico che questo capitolo è un po' più lungo degli altri. Sto cercando di allungarli un po', non troppo però. :)
Pooooi, sono stata cattiva e ho deciso di rimandare il discorso padre-figlio tra Harry e suo padre al prossimo capitolo!
Sto cercando di darvi più informazioni su Zayn e... su Louis. AHHHHH quante cose vorrei rivelarvi.
Cosa ne pensate di tutto questo? E di questo capitolo?
Vorrei chiedervi scusa se non rispondo alle vostre recensioni, ma quasi non ho tempo per scrivere e/o pubblicare, ma le leggo tutte e non sapete quanto piacere mi danno!
Ringrazio quindi tutti coloro che continuano a recensire, i lettori silenziosi, coloro che hanno la storia tra preferite, ricordate e seguite. Grazie! :)
Ahhhh, sto pensando che magari, se non volete lasciarmi una recensione, potete scrivermi il vostro parere su Twitter?
Stavo pensando di creare un hastag, non so. Voi che dite?
Fatemi sapere ciò che pensate di tutto questo.
Vi saluto! 
-Angela

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Capitolo 9
*** Apnea of lies ***


Apnea of lies



Tante erano le domande che affollavano la mente di Harry. 
Cosa voleva dirgli suo padre di così importante?
Perché sua madre non aveva voluto anticipargli nulla?
Perché era sembrata così nervosa e seria quando gli aveva riferito che suo padre gli avrebbe parlato quel venerdì sera?
Ma, dopo l’uscita di Louis dall’auto, erano ben altre le domande che si stava ponendo.
Perché suo padre aveva reagito così dopo che Louis si era presentato completamente?
In che modo suo padre aveva conosciuto il padre di Louis?
Come mai conosceva la casa di Louis, nonostante quest’ultimo non gli avesse detto niente?

Una curiosità morbosa lo divorava, dall’interno.
Tanti quesiti, troppi. E nessuna risposta.
Harry avrebbe voluto domandare a suo padre. Avrebbe voluto chiedergli tutte le spiegazioni di cui necessitava, tutte le domande di cui non aveva risposta.
Ma il volto di suo padre si era diventato scuro, era pensieroso, e sembrava nervoso, arrabbiato.
Harry non l’aveva mai capito, mai. Né da bambino, quando il giorno di Natale non apriva i regali perché con una valigetta in mano, usciva di casa mentre lui e sua sorella si fiondavano sui molti pacchi sotto l’albero, né quando da ragazzo non lo vedeva mai a casa e vedeva sua madre stare in ansia, fissando la porta di ingresso, come se potesse spalancarla da un momento all’altro.
Così Harry aveva deciso di non fare domande, non in quel momento.
Scelse allora di concentrare il suo sguardo fuori dal finestrino.
Campi di fragole rosso vivo decoravano il lato destra della strada che la loro auto percorreva con una modesta velocità, rendendo sfuocate quelle piccole figure.
A questi campi, si alternavano quelli di fiori; macchie indistinte di tanti colori: gialli, bianchi, rossi, viola.
 

“Dove mi porti papà?” chiese il piccolo Harry, spostando i ricci dagli occhi e ritornando con le mani sul vetro e la faccia appiccicata ad esso.
Des sorrise alla vista di suo figlio così emozionato per quel “viaggio” fuori dal solito e si affrettò a rispondergli: “Ti porto in un posto, in una pineta precisamente”.
Harry staccò gli occhi dalla strada e si risedette bene sul sedile.  “Una pineta? – chiese dubbioso – Perché?”
Des rise, perché si aspettava una domanda del genere da suo figlio.
“È un posto a cui tengo tanto, e vorrei condividerlo con te”.
Sul volto del bambino si dipinse un sorriso, il sorriso più vero che un bambino ti può mai dedicare. Condividevano così poco.
Entrambi rimasero in silenzio per un tempo che sembrò infinito.
Harry non sapeva che dire, non era uno di quei bambini che parlava molto. Soprattutto con suo padre.
“Perché non abbiamo fatto venire anche Zayn con noi?” chiese il bambino oscillando avanti e indietro le gambe che non riuscivano a toccare terra.
“Perché è un posto segreto. Lo conosceremo solo io e te, me lo prometti, Harry?”. Des staccò gli occhi della strada quel poco che gli permise di guardare nei luccicanti occhi verdi di suo figlio e assicurarsi che lui avesse capito. Harry annuì perché quello sguardo, veloce e profondo, lo aveva lasciato senza parole.
“Promettimelo, Harry” ripeté il signor Styles, per essere certo che il bambino avesse capito.
“Te lo prometto, papà”.
 
 
Harry staccò gli occhi dal finestrino laterale e si concentrò sulla strada davanti a sé.
Era la stessa strada, ne era sicuro. Stessa direzione. Magari stesso posto?
Harry non capiva, perché lo stava portando alla pineta per parlargli? Qualunque posto sarebbe andato bene, no?
E poi, non andavano in quella pineta dalla volta in cui suo padre gliel’aveva mostrata per la prima volta, che se Harry gliel’aveva chiesto più volte, di ritornarci.
Che senso aveva tornarci adesso?
 
 
“Siamo arrivati” esordì il signor Styles, parcheggiando in una stradina vicino la pineta. Scese dall’auto e si diresse verso la portella di suo figlio. Gliel’aprì e lo aiutò a scendere.
Fece scattare la serratura e dopo essersi assicurato che l’auto fosse ben chiusa, prese per mano suo figlio, percorrendo insieme a lui quel poco spazio che mancava alla pineta.
Harry rimase deluso alla vista di questa: si immaginava ampie colline ricoperte di alberi altissimi, un ruscello che percorreva tutto il boschetto, panchine, giochi per bambini colorati, un chioschetto di gelati.
Invece, tutto quello che vide fu un piccolo spazio ricoperto di alberi, nessun ruscello, nessuna panchina, nessun gioco o chioschetto.
“Papà, non mi piace” ammise Harry, quando arrivarono all’entrata di questa pineta. Il marciapiede distrutto, la terra tutta bagnata.
Des sorrise. “È vero, non è bellissima. Ma è speciale” disse, mentre camminavano ancora mano nella mano.
“Come fa una cosa così schifosa a essere speciale?” chiese il piccolino.
“Harry – lo rimproverò suo padre – Una cosa, per essere speciale, non deve essere per forza bella.”
 
 
Il signor Styles parcheggiò esattamente dove aveva lasciato l’auto anni prima.
Spense il motore, scese dall’auto.
Questa volta, però, non si avvicinò ad aiutare suo figlio.
Harry abbandonò il suo sedile e chiuse la portella, sbattendola, e si fermò ad aspettare suo padre. 
Questo fece scattare la serratura e iniziò ad incamminarsi, senza lasciar uscire parola.
E ad Harry non restò altro da fare che seguirlo.
 
 
“Guarda Harry, questo è il mio albero preferito” Des posò la mano sulla corteccia di un vecchio albero e batté la mano su di questo come se fosse un vecchio amico.
“Sembra molto vecchio” disse Harry, girando in tondo.
“Tutti gli alberi della pineta sono molto vecchi, è proprio questo a renderli belli. Hanno vissuto tante cose, hanno visto tante persone, tante storie” gli sorrise, vedendo che aveva catturato la sua attenzione.
“E ha visto anche la tua storia, papà?”.
Il signor Styles sembrò oscurarsi, ma si riprese in un lampo e sorridendo a suo figlio disse: “Sì, Harry. Ha visto anche la mia storia, ma non è questo il punto. Vedi bene dove si trova l’albero e ricordalo, ricordalo per sempre”.
Il piccolo Harry sollevò un sopracciglio. “Perché mai?” rise.
“Perché quando sarai grande e non saprai dove cercare, lo troverai qui”.
Harry non capì.
Perché suo padre pensava a quando sarebbe diventato grande?
Perché avrebbe cercato qualcosa?
Cosa poteva trovare in un albero?
E poi, perché non gli diceva cosa?
“Tranquillo Harry, sei ancora piccolo. Non hai bisogno di capire”
 
 
Arrivati all’entrata della pineta, il signor Styles si rivolse ad Harry e gli chiese: “Ricordi ancora dov’è l’albero, Harry?”.
Il ragazzo alzò le sopracciglia e spostò il suo sguardo all’interno della pineta. Era rimasta la stessa.
Si incamminò. Non era più tornato in quel posto, eppure sapeva ancora dove si trovava l’albero.
Camminò, svoltando ora a destra e ora a sinistra tra gli alberi nuovi che erano cresciuti, fino a quando non si soffermò su uno.
Posò la mano sulla corteccia e proprio come suo padre aveva fatto quelli che sembravano secoli prima, diede dei colpetti, quasi stesse salutando un vecchio amico.
Des gli regalò un sorriso. Harry non lo vedeva sorridere da così tanto tempo.
“Sono contento che tu sappia ancora dove si trova” gli disse, poggiando anche lui una mano sulla corteccia.
“Te l’ho promesso” gli rispose Harry, staccandosi dall’albero e mettendo le mani in tasca.
Abbassò lo sguardo, quel tempo sembrava così lontano.
“Harry, è arrivato il momento che tu sappia un po’ di cose” iniziò il signor Styles, camminando avanti e indietro per la pineta.
“Cosa?”
“Ascoltami Harry, non interrompere. – gli disse duro – Che lavoro faccio secondo te?” ma senza nemmeno aspettare una risposta, continuò: “Bene, sicuramente niente di quello che credi. Faccio parte di un gruppo di persone che non fanno nulla di buono, Harry.
Io mi occupo di traffici illegali, costringo le persone a far rispettare le mie regole, faccio favori e in cambio ne richiedo di enormi”
Harry rimase in silenzio. Lui cosa centrava in tutto quello?
“Faccio del male, uccido se ce n’è bisogno. Ho una storia così lunga e intricata che lo Stato non può fare nulla contro di me.
Ma ho dei nemici, e il fatto di essere vivo adesso, è un miracolo.
Probabilmente ti starai chiedendo perché te lo sto dicendo…”.
Harry annuì, troppo sconvolto da quelle rivelazioni.
Non riusciva a dire nessuna parola, sembrava che gli si fossero bloccate tutte quante in gola. Sentiva il respiro pesante, l’aria che gli mancava.
Si sentiva in apnea.
Un’apnea di bugie.
“Perché tu, Harry, prenderai il mio posto”.













Salve! Siamo giunti finalmente alla rivelazione!
So che vi aspettavate di più, qualche spiegazione o simile, ma la mia aspirazione è pari a 0! Vi chiedo di essere clementi e per il momento di accontentarvi di questo.
Il raiting rosso è riferito all'attività di Des... ma non vi anticipo nulla!
Ringrazio SOPRATTUTTO i recensori, i lettori silenziosi, coloro che hanno messo la storia tra seguite, ricordate e preferite!
Chiedo scusa per eventuali errori, colpa degli ospiti.
Vi dico solo che alla fine ho pensato all'hashtag su Twitter e se vi va potete scrivere qualcosa. E' #ilay.
Vi ringrazio tanto. A presto!
-Angela

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Capitolo 10
*** The truth ***



The truth




Harry non capiva.
Come poteva essere reale tutto quello?
Lo stava prendendo in giro, per forza.
Infondo come poteva appartenere a suo padre quella realtà così cruda e violenta?
Erano solo una famiglia che viveva in un piccolo paesino. Una famiglia che poteva permettersi di mandare la propria figlia nel college più costoso, che possedeva più di quattro macchine, tutte costose, una casa pazzesca e una vita più che agiata.
Una famiglia ricca, in effetti.Troppo ricca per avere un padre che lavora in ufficio. L'unico che lavora in famiglia.
Harry aveva capito che suo padre non scherzava, ma nonostante questo, una parte di lui sperava con tutto il cuore che non fosse così, che fossero un mucchio di balle.
Il signor Styles aspettò in silenzio che suo figlio assimilasse la notizia. Avrebbe aspettato ore, ma era importante che Harry capisse bene quello in cui stava entrando.
Non c'era una via di fuga, purtroppo; come quando una lucertola è rinchiusa in un barattolo: una volta dentro, non potrà venirne più fuori.
Ed Harry non poteva venirne fuori.
Lo guardò mentre fissava a terra con gli occhi sbigottiti, mentre si passava una mano tra i capelli, e sapeva bene che tutto quello dovesse sembrargli irreale.
Gli sembrò di ritornare indietro nel tempo al giorno in cui lo aveva confessato alla sua amata Anne: lei era rimasta sconvolta, e proprio come suo figlio, aveva tenuto la testa bassa, la mano tra i capelli, e un espressione sconcertata sul viso.
Poi lei alzò gli occhi, per cercare quelli di Des, e allo stesso modo fece Harry, con i suoi diamanti verdi lucenti.
“Mi dispiace tanto, Harry” gli disse il signor Styles, che non sembrava davvero dispiaciuto. “Sei mio figlio, e come tale è arrivata l'ora che ti prenda le tue responsabilità”.
Harry le aveva già sentite quelle parole, molte e troppe volte.
Ed era stanco di sentirle.
Lui non poteva prendersi alcuna responsabilità, lui non ce la faceva, non ce l'avrebbe mai fatta.
“Zayn... lui lo sa?” chiese Harry, lasciando completamente perdere le scuse false di suo padre.
Zayn era sempre stato un punto di riferimento, per lui.
La persona a cui chiedere consiglio, quella a cui chiedere di curare le ferite da dover tener nascoste, quello con cui divertirsi, l'unica persona che ci sarebbe stata, sempre.
E se Harry perdeva Zayn, l'unica persona sicura accanto a sé, probabilmente avrebbe perso la sua strada, avrebbe perso se stesso.
Il signor Styles annuì. “Sì Harry, Zayn lo sa da un po'. Sa che te lo avrei detto, prima o poi. E proprio come lui, lo sanno anche tua madre, ovviamente, e Gemma” gli rispose, facendolo sentire completamente stupido.
Tutti sapevano, lui no.
Era giusto tutto questo?
Come poteva aver tenuto suo figlio all'oscuro di una verità così grande, per così tanto tempo?
Come avevano potuto crescerlo sotto il peso di una bugia enorme?
Come avevano potuto guardarlo negli occhi, sapendo ciò che sarebbe stato costretto a diventare?

ciò che sarebbe stato costretto a diventare
 
Harry odiava quella situazione, odiava tutte le persone che gli avevano mentito, odiava tutto.
Da una parte, però, il fatto che Zayn sapesse e non lo avesse abbandonato, lo rincuorava.
Il sempre, con lui, era davvero per sempre.
Harry però voleva urlare, forte, e con tutto se stesso. Era così arrabbiato.
E il peggio doveva ancora arrivare.
“Harry – si avvicinò Des – non abbiamo finito qui. Dobbiamo andare in un posto”
L’uomo fu investito dagli occhi verdi di suo figlio che erano un misto di ansia, paura, rabbia e altre mille emozioni che non sapeva interpretare, e un attimo dopo erano diventati il nulla.
Gli posò una mano sulla spalla, gli diede dei colpetti e poi si voltò, incamminandosi di nuovo verso la sua auto di lusso parcheggiata nella strada.
Harry guardò ancora l'albero, e un'altra domanda sorse nella sua testa.
C'era un motivo preciso che aveva spinto suo padre a recarsi lì di nuovo, dopo tanti anni, e chiedergli proprio di quell'albero?
Non riusciva a darsi una risposta, e sinceramente Harry non avrebbe voluto sapere nient'altro di quello che suo padre gli nascondeva.
Quello che aveva deciso di raccontargli quel giorno era anche troppo.
 
 

In auto il signor Styles accese la radio, per smorzare la tensione, e rimase in silenzio, scandendo il tempo della canzone sul volante.
Harry guardava fuori dal finestrino, e si rese conto che il sole stava tramontando pian piano. Guardò l'orario sul cruscotto, e rimase sorpreso quando si accorse che erano passate ore intere.
Voleva tornare a casa, mettere le cuffie e non pensare a nulla.
Voleva svegliarsi e accorgersi che era tutto un sogno.
Voleva che suo padre gli dicesse: “Ti sto prendendo in giro, Harry. Ma quanto sei stupido?”, che ridesse e lo portasse in una pizzeria per una serata tra uomini, oppure in un pub a prendere una birra e fare una partita a biliardo.
Nessuna di queste cose accadeva, ovviamente, e Harry non sapeva come reagire.
La sua mente pensava troppo e in modo assolutamente veloce e il ragazzo necessitava di una medicina, o presto avrebbe fatto indigestione di pensieri.


Passò molto tempo, troppo, ed Harry era stanco di non sapere, di nuovo.
“Dove stiamo andando?” chiese allora, secco, nervoso, turbato.
“Alla Villa, hai bisogno di allenamento” rispose il signor Styles, svoltando a destra per una stradina di campagna. Accese anche i fari superiori, perché la strada era troppo buia: l'unica fonte di luce erano dei piccoli lampioni che si trovavano sulla strada, messi lì senza un ordine preciso.
“Allenamento?” chiese Harry.
Allenamento di cosa? Ma soprattutto, per cosa?
“Quando arriviamo vedrai, Harry. Rilassati”.
Dire ‘Rilassati’ in una situazione del genere, sembra una gran presa per il culo.
Dopo tutto quello che gli aveva detto, dopo tutto quello che gli aveva sbattuto in faccia con molto poco tatto, gli diceva di rilassarsi?
Probabilmente Harry gli avrebbe fiondato un pugno sul naso e gli avrebbe sputato tutti i suoi pensieri in faccia, se il suo telefono non si fosse messo a vibrare nella sua tasca.
Lo estrasse e notò diverse chiamate perse e diversi messaggi. Lo colpì soprattutto un messaggio di sua madre, che recitava:
 
“Tornate per cena?”
 
Che domanda stupida, certo che sarebbero tornati per cena.
Ma Harry non sapeva. Non poteva neanche immaginare che quella cena avrebbe aspettato molto a lungo.
“Chi è?” chiese suo padre, che si era accorto della luce che il telefono del figlio emanava.
“Non sono affari tuoi” sbottò Harry, che di certo non era abituato agli impicci di suo padre nella sua vita.
“Invece sì. Chi è?” chiese ancora il signor Styles, che non mollava mai, proprio come suo figlio.
“Mamma, chiede se torniamo per cena” rispose Harry sbuffando, perché quella situazione lo infastidiva, tanto e troppo.
“Dille che non torniamo oggi, e neanche nei prossimi giorni” rispose impassibile il signor Styles, tenendo gli occhi fissi sulla strada.
“Cosa?” chiese Harry, che credeva di aver capito male.
Non sarebbero tornati a casa?
“Scrivi Harry. Siamo quasi arrivati”
 
 

Si fermarono di fronte una cancellata enorme, tutta bianca.
Dritto sulla loro strada c'era un'entrata molto grande, per le auto, e una a destra per i pedoni.
Ma chi sarebbe venuto a piedi fin lì infondo?
Il signor Styles prese il telefono e digitò velocemente un numero; “Aprici” disse, e la cancellata più grande si aprì immediatamente, lasciandoli passare.
Il giardino era enorme, così come la struttura.
Un viale d'accesso molto largo si stagliava su un giardino ricoperto di erba ben curata, indicando la strada giusta.
Palme, fontane, panchine decoravano tutto intorno, rendendo il posto molto piacevole.
Il signor Styles lasciò l’auto sul vialetto. Scese e si diresse verso l’ingresso dell’edificio, col figlio alle calcagna.
Harry si guardava intorno, con la bocca spalancata, e spiava la ricchezza dell’ambiente interno.
Salirono le poche scale che portavano alla porta principale, ma il signor Styles si fermò di fronte un uomo tutto vestito di nero che sembrava aspettarli, gli diede le chiavi e sussurrò qualcosa.
Dopo di che aprì la porta ed entrò.
Harry rimase fuori la porta, titubante sul posto.
“Entra Harry” gli disse suo padre, che si era accorto che il ragazzo si era fermato.
Harry entrò e continuando a guardarsi intorno, seguì suo padre per un lungo corridoio.
“Forza, velocità, agilità, addestramento all’uso delle armi. Hai bisogno di allenamento, devi essere preparato sotto tutti questi aspetti. Passerai del tempo qui, fino a quando non riterremo che sarai abbastanza pronto. Allenamento tutto il giorno e tutti i giorni, nessuna pausa”.
Il signor Styles si fermò e si voltò verso suo figlio, cercando una qualche sua reazione, ma Harry non lasciava trasparire più nulla.
“Non siamo solo io e te – ricominciò il signor Styles – ci sono tanti uomini che lavorano per me e che lavoreranno per te. Hai qualche domanda?” gli chiese mentre apriva una porta ed entrava in un salotto molto lussuoso.
Si sedette sul divano e con un gesto indicò la poltrona di fronte a sé.
Harry si sedette e cercò una domanda da fare.
Erano tante e si affollavano nella sua testa. Non sapeva quale scegliere.
“Come faccio con la scuola?”. Quella era la domanda più stupida che potesse fare, ma fu la prima che la sua bocca riuscì a pronunciare.
“Per il periodo che starai qui non farai nulla di scolastico, per così dire. Ma non passerai tutta la tua vita qui e ci ritornerai presto. Probabilmente per il tuo compleanno”
Era un periodo di tempo lunghissimo e Harry doveva passarlo lì alla Villa, come suo padre l’aveva chiamata, da solo.
Per un momento pensò a Louis, al compito che avevano cominciato insieme, e pensò che non lo avrebbero mai terminato.
Pensò a tutti i pomeriggi che potevano avere e ai quali Harry era costretto a rinunciare.
“Non posso uscire?” chiese Harry allora.
“No Harry, mi spiace. Non potrai uscire dalla Villa fino a quando non finisci.
Potrebbe essere un periodo di tempo anche minore se ti impegni” aggiunse infine, notando lo sguardo afflitto  di suo figlio.
“Ma Natale? E Gemma che torna a casa? E la mamma? E Zayn, Liam e tutti i miei amici? Mi stai dicendo che non li rivedrò per un bel po’, che non passerò il Capodanno fuori, che sarò costretto a rimanere rinchiuso come in carcere?!” disse Harry urlando e alzandosi dalla poltrona.
Guardò fisso suo padre e quello sguardo avrebbe potuto accendere un fuoco.
“Devi calmarti, Harry” disse suo padre alzandosi, posando le sue mani sulle spalle del figlio e spingendolo verso la poltrona.
“TU non puoi dirmi cosa fare, chiaro? NON PUOI! Non l’hai mai fatto, nessuno l’ha mai fatto, e di certo questa cosa non cambierà! Non farò parte della tua stupida pagliacciata e della tua fottutissima vita!” urlò dando sfogo a tutti i suoi pensieri.
“Ragazzo!” urlò il signor Styles, dopo aver aspettato che suo figlio si calmasse un po’, inutilmente.
Un ragazzo biondo con gli occhi azzurrissimi entrò nel salotto da una porta posta a destra. Indossava dei pantaloni neri, una maglia bianca e una giacca di pelle nera che non si abbinava per niente al colore dolce e candido dei suoi occhi.
Harry lo osservò bene e quando i suoi occhi incontrarono quelli del ragazzo, gli sembrò di rivedere Louis, con i suoi occhi azzurrissimi.
Oh no, quelli di Louis erano assolutamente meglio, anche se quelli del ragazzo di certo non erano male.
Quando si avvicinò, Harry notò che aveva un bicchiere d’acqua in mano e glielo stava porgendo.
“Harry, dà il tuo telefono per favore”.
Harry rivolse nuovamente il suo sguardo a suo padre. “Perché mai?”
“Fallo e basta, Harry” gli rispose lui, che era stanco del comportamento di suo figlio.
“Non ci penso nemmeno” disse Harry tenendo la mano stretta intorno alla tasca in cui era sistemato il suo cellulare.
Si guardarono in cagnesco, fino a quando non sentirono una voce sussurrare: “Lo metto solo a caricare”.
Harry si voltò verso il ragazzo e  lo vide sorridente che tendeva la mano libera in attesa del cellulare.
Il biondo gli trasmetteva fiducia, per questo motivo prese il cellulare dalla tasca e glielo diede.
“Questa è per te, invece” disse questa volta il biondo, mettendogli il bicchiere d’acqua in mano.
“Cos’è?” chiese Harry. Lui non aveva chiesto niente e gli avevano portato quel liquido trasparente.
“Acqua” rispose suo padre, che impaziente aspettava che quel colloquio finisse.
Harry si voltò verso il ragazzo, in cerca di una conferma, e lui gli assicurò: “Acqua” con un sorriso che convinse Harry a berla.
Le ultime parole che Harry sentì furono quelle di suo padre che dicevano: “Grazie, Niall”.
















Chiedo scusa per non aver aggiornato la scorsa settimana, periodo pieno di impegni! Però questo è capitolo è lungo, anche se non sembra e quindi potete perdonarmi.
Harry conosce sempre più cose e sente la mancanza di Louis. Quanto sono shippabili da 1 a 10 anche se non stanno insieme fisicamente?
E poi vediamo Niall, per la prima volta dopo 10 capitoli! Nessuno aveva pensato a lui, poverino hahaha.
Mi farebbe piacere sapere che ne pensate, ovviamente.
Vi ringrazio molto per tutto e a domenica prossima! :)
p.s. Chiedo scusa per evenutali errori e risponderò a tutte le recensioni!
-Angela

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Capitolo 11
*** Where's Harry? ***


Where's Harry?



Era passata una settimana da quando Harry non si vedeva più a scuola o in giro.
Nessuno sapeva che fine avesse fatto, ma all'inizio non ci avevano fatto caso. Con il passare dei giorni, però, tutti si domandavano: “Dov'è finito Harry Styles?” e nessuno sapeva dare una risposta. Neanche suo cugino Zayn.
Il moro lo aveva tartassato di messaggi, l'aveva chiamato ma nulla, Harry non gli aveva risposto.
Aveva provato anche a chiedere ai suoi genitori, ma non avevano saputo dirgli qualcosa.
Così, preso da un momento di nervosismo e stanco di starsene a fissare il telefono senza ricevere alcuna risposta, un pomeriggio si diresse a casa dei suoi zii.

Faceva freddo. Il sole era nascosto dietro le nuvole e il vento gelato sembrava affettare tutto ciò che incontrava sulla sua strada.
Zayn si maledisse mentalmente per non aver trovato una qualche forma di passaggio e di aver deciso di andare a piedi.
Quando arrivò a casa Styles, non sentiva più le dita e si sentiva così congelato che se avesse mai ricevuto un colpo, si sarebbe frantumato in una marea di pezzettini di ghiaccio.
Suonò il campanello e si agitò un po' sul posto, per riscaldarsi, perché se faceva freddo camminando, stando fermi era anche peggio.
Anne si avvicinò alla porta e quando vide il viso di suo nipote, passò dalla sorpresa a un sorriso che ti faceva sentire a casa.
“Ciao zia, sono venuto a chiederti di Harry” disse subito Zayn, senza girarci intorno.
Non era mai stato quel genere di persona da perifrasi. Gli piaceva arrivare subito al nocciolo delle cose, arrivare al punto, senza girarci intorno.
“Entra Zayn, stai congelando” gli rispose solo sua zia, che si scostò dall'entrata per lasciar passare Zayn, che non se lo fece ripetere due volte ed entrò, sentendo la porta chiudersi alle sue spalle.
Seguì Anne fino in cucina e la vide sedersi ad una delle sedie intorno al tavolo. Zayn la imitò, prendendo una sedia di fronte, spostandola e facendo un po' di rumore nel contatto tra questa e il pavimento, e si accomodò, guardando Anne negli occhi.
Lei si sentì un po' a disagio, ma nonostante questo gli sorrise.
“Allora – cominciò Zayn – mi vuoi dire che fine ha fatto Harry?”
Anne iniziò a massaggiarsi le mani, senza sosta, molto nervosa.
Glielo avrebbe detto, infondo Zayn lo sapeva, ma suo marito le aveva esplicitamente detto che Harry non doveva aver contatti con nessuno, in quel periodo di formazione. Una qualsiasi forma di distrazione poteva costargli un percorso più lungo.
Il signor Styles le aveva chiaramente detto: “Deve concentrarsi, prepararsi, non dovrà vedere nessuno”.
E Anne soffriva già troppo. Soffriva nel sapere ciò che stava accadendo a suo figlio, il suo bellissimo Harry, il suo piccolino. Il bambino che aveva tenuto tra le braccia quell'ormai lontano primo febbraio mentre piangeva; il bambino che la prima volta, aprendo gli occhi, mostrò di aver due smeraldi verdissimi; il bambino vivace e casinista, che era diventato un ragazzo fantastico.
Gli mancava vederlo a casa steso sul divano a guardare la televisione.
Gli mancava la sua roba dappertutto.
Gli mancava sgridarlo per poi ricevere una risata e un sorriso decorato di fossette, seguito da un bacio.
Gli mancava tutto, gli mancava lui.
Lasciò quei pensieri che riempivano la sua mente da una settimana ormai e si alzò, avvicinandosi alla cucina.
“Ti preparo una cioccolata calda” disse avvicinandosi alla mensola e prendendo l'occorrente.
Zayn, a disagio, disse subito: “No, non preoccuparti, davvero... Non starò molto”.
Anne si voltò e sorridendo gli disse: “Ti prego”.
Zayn capì che non era tanto il preparare la cioccolata, quello che premeva Anne.
Era il potersi prendere cura di qualcuno, di farlo sentire amato, che le mancava.
E come poteva Zayn non capirla? Gemma era andata via all'età di quattordici anni in una scuola privata molto lontana e a sua zia era rimasto solo Harry. Un marito sempre fuori per lavore, e adesso che suo figlio era scomparso, era rimasta sola.
“Va bene zia, grazie”.
Anne si mise ad armeggiare i fornelli e Zayn rimase lì a fissarla, immobile.
Non riusciva a dire una parola, sarebbe voluto tornare a casa e ritornare un altro giorno. Adesso, tutto ciò che sentiva, era il dolore di quella donna, dappertutto. Il dolore che si espandeva per il tavolo fino ad arrivare alle sue mani che erano poggiate su di esso, nell'aria.
Ad un tratto la stanza sembrò nera: macchiata di puro dolore in qualunque angolo.
Zayn sentiva come se gli stesse mancando l'aria, non riusciva a respirare.
Anne posò la tazza proprio di fronte alle sue mani e per Zayn fu come rivegliarsi da un lungo sonno.
All'improvviso la stanza sembrava essere tornata normale, a colori, Anne sorridente, e l'aria sembrava riempire normalmente i polmoni del moro.
“Ci ho messo due marshmallow” disse sua zia, prendendo posto di fronte a lui ancora una volta, questa volta più tranquilla.
A Zayn sembrò di essere tornato bambino, quando tornati da scuola lui e Harry correvano in cucina, si sedevano a quel tavolo, e aspettavano che Anne preparasse loro una cioccolata calda.
Avevano continuato a farlo anche da grandi, e passavano ore lì, a parlare, ridere e scherzare.
Zayn si voltò involontariamente alla sua destra, aspettandosi di ritrovare Harry, proprio come l'ultimo giorno che quello era successo, ma trovò la sedia vuota e correttamente infilata sotto il tavolo.
Si ricordò ciò che l'aveva spinto ad andare lì, e chiese ancora una volta: “Che fine ha fatto Harry?”.
Anne lo guardò da sopra la tazza e quando l'allontanò, sospirò rumorosamente.
“Il momento è arrivato, Zayn” disse lei, guardandolo negli occhi.
Occhi doloranti, occhi che volevano piangere, occhi che chiedevano aiuto, occhi che volevano liberarsi, perché quella sofferenza non volevano più patirla.
E gli occhi di Anne divennero lucidi, lasciando trasparire una parte del carattere che suo figlio non aveva mai ereditato: l'essere debole di fronte agli altri, non era mai appartenuto ad Harry.
“L'ha portato via per l'allenamento?” parole incapaci neanche di nominare la persona che aveva portato tutto quello, parole amare, parole sofferte.
Anne annuì, perché di proferir parola non se ne parlava.
“E quando?” chiese Zayn, che voleva sapere.
Non sapeva quando, dove, ma Harry già gli mancava terribilmente.
“Quel venerdì sera – disse Anne facendosi forza - E' andato a prenderlo da scuola e non è più tornato. Non ho più sue notizie, Des gli ha eliminato qualsiasi forma di contatto con l'esterno, e lui non ci pensa neanche ad avvisarmi. Io...” e Anne iniziò a singhiozzare.
Zayn era imbarazzato, non sapeva che fare. Voleva in qualche modo tranquillizzarla ma non sapeva come comportarsi, aveva paura di sbagliare, come faceva sempre con le persone.
Così avvicinò una mano alla sua e rimase in silenzio, e Anne cercò subito di ricomporsi.
“Gemma è via da tanto, e quando ha saputo di Harry ha deciso di non tornare, non so perché. Des si è portato via Harry e non so niente neanche di loro. Io sono sola, e loro mi mancano terribilmente. Perché non mi sono opposta, perché non ho cercato di impedirlo, io... non volevo” Anne iniziò a dire così tante cose che Zayn non riusciva a seguirne il filo logico.
Poi scoppiò di nuovo, posò le mani sugli occhi e continuò per un tempo che a Zayn sembrò infinito.
E' proprio vero che quando si piange, si piange per tutte le cose brutte della vita, pensò Zayn.
Perché con sua zia in quello stato, Zayn non riusciva a pensare ad altro.
Le posò una mano sul braccio e le sussurrò: “Andrà tutto bene, d'accordo? Harry tornerà, così come Gemma. Dobbiamo solo aspettare, dare tempo al tempo”.
Zayn cercò di incoraggiarla in tutti i modi, non sapeva che dire, era senza parole.
Anne si calmò e lo guardò di nuovo negli occhi, con quello sguardo pieno di un dolore che solo una madre può avere, un dolore che a Zayn faceva venire il mal di testa e lo ringraziò, sussurrando un “Grazie”, che era tanto, che significava tanto in quel momento.
“Sai dove l'hanno portato?” chiese ancora Zayn.
Appena ebbe finito di porre la domanda si diede dello stupido, perché una domanda del genere in quel momento era completamente inadatta.
Anne prese un bel respiro e gli rispose: “E' una delle case che mio marito possiede, non troppo vicino da qui. Non so dove sia precisamente, purtroppo, e nessuno vuole dirmelo. Penso che Des l'abbia fatto proprio perché non voleva che mi impicciassi in qualche modo. Ho cercato tra le sue cose qui per qualche indizio, ma niente”.
Zayn annuì e diede uno sguardo all'orologio a pendolo posto sul muro di fronte a lui.
Si era fatto tardi e il tempo era volato.
“Devi andare?” chiese gentilmente Anne, prendendo le due tazze e sistemandole nella lavastoviglie.
“Sì zia, mi spiace tanto”. Lei annuì e Zayn sorrise, per farle forza.
“Lascia che ti accompagni, fa freddo e ormai si è fatto buio” propose lei, recandosi all'ingresso per prendere le chiavi.
Zayn stava quasi per rifiutare, ma poi ricordò la sensazione che aveva provato mentre camminava per raggiungere la loro casa, così come ricordò il dolore di Anne nell'essere sola, così non si oppose e aspettò che lei si sistemasse.
Qualche minuto dopo la vide scendere dalle scale con un cappotto nero e un cappello, le chiavi in una mano e il cellulare nell'altra. Stupidamente gli sembrò di vedere Harry, i due si assomigliavano per alcuni aspetti, per alcuni modi di fare, il che era plausibile soprattutto perché avevano vissuto la maggior parte del tempo loro due soli.
“Andiamo” disse Anne, aprendo la porta e lasciandolo passare.
Chiuse la porta di casa e sbloccò la macchina.
Sulla strada nessuno di loro disse una parola, si sentiva solo l'aria calda fuoriuscire dalle diverse aperture in tutta l'auto, rendendo il luogo caldo e accogliente.
Arrivarono presto, anche troppo presto per Anne, che si fermò vicino al vialetto di ingresso.
“Vuoi rimanere a cena da noi?” chiese Zayn, poco prima di scendere dall'auto.
Anne non ci pensò due volte e accettò.
Quella fu la prima bella serata da quando Harry era andato via.
 

 
“Gemma devi assolutamente tornare a casa” quasi urlò Zayn mentre si incamminava verso scuola con al fianco Liam.
“Ma Zayn, non puoi obbligarmi” rispose la ragazza dall'altro capo del telefono.
“Non mi importa” rispose brusco Zayn. “Tua madre sta male qui da sola, cosa diavolo non hai capito? Ha bisogno di te, non ha nessuno” le disse ripensando alla sera precedente, a come l'aveva vista debole, a come aveva pensato ad un modo per aiutarla.
“Come siamo sentimentalisti” scherzò Gemma, ridacchiando appena.
“Senti, devi essere qui il prima possibile, avvisami quando e ti vengo a prendere. E non costringermi a richiamarti, ingrata di una cugina che non sei altro”.
La ragazza scosse appena la testa, perché quella dolcezza di Zayn era una delle cose che adorava di quel suo cugino più piccolo. “D'accordo – acconsentì – ci sentiamo presto”. La chiamata si chiuse.
Zayn sospirò, allontanando il cellulare e infilandolo in tasca.
“Mi dispiace un sacco per tua zia, non deve essere facile” cominciò Liam, che era stanco di stare in silenzio.
Zayn annuì, si sentiva stanchissimo. Aveva passato tutta la notte a pensare, e il suo cervello non aveva trovato un momento di pace.
“Dove hai detto che è andato Harry?” chiese Liam, che delle spiegazioni iniziali di Zayn non aveva capito tanto.
“Uhm – cercò di ricordare ciò che aveva detto inizialmente Zayn – in una scuola privata come sua sorella... sì, una cosa così”. Liam annuì, mostrando che aveva capito.
Zayn non voleva mentirgli, voleva rivelargli tutto, ma non poteva.
Sì voltò e lo vide mentre camminava con le mani in tasca, perso in chissà quali pensieri... si sentiva così in colpa.
“Non capisco perché proprio adesso, e poi Harry andava bene a scuola, non capisco-”
“Neanche io – lo interruppe Zayn – mio zio è tutto a modo suo, ecco. Non l'ho mai capito, anzi, non l'ha mai capito nessuno” e in quella frase c'era una verità profonda.
Zayn non aveva mai capito suo zio, non aveva mai avuto alcun tipo di rapporto, e la prima volta che gli aveva parlato seriamente era stato qualche anno fa.


“Prenditi cura di lui, tienilo sotto controllo, assicurati che vada tutto bene, arriverà un momento per lui in cui dovrà dedicarsi ad altro. Zayn, mi fido di te, tu sei molto importante nella sua vita, e sei molto importante per lui” gli disse il signor Styles un pomeriggio.
Zayn sentì la pacca sulla spalla di suo zio, prima che si voltasse e percorrendo il vialetto tornasse alla sua auto.



Era davvero passato così in fretta il tempo?
“Non ho capito un'altra cosa – cominciò Liam quando si trovarono a pochi passi dal cancello – perché non può avere contatti con gli altri?”
Zayn sospirò perché era stanco di inventare cazzate e quelle continue domande di Liam lo infastidivano. Lui in quella situazione non doveva neanche trovarsi e adesso era costretto anche ad inventare cose per coprire i maneggi di suo zio.
“Ma non lo so, sarà una regola del college” buttò giù Zayn, che non sapeva che altro inventarsi.
“E dov'è che si trova questo college?” incalzò ancora Liam.
“Liam non lo so, cazzo! La smetti di fare domande?” urlò Zayn, che non poteva più sopportarlo.
Liam rimase colpito da quella reazione di Zayn e si allontanò di scatto. Non se lo aspettava proprio.
“Scusami, non ti chiedo più niente” disse sollevando le mani in segno di resa.
Zayn prese un bel respiro e si massaggiò le tempie. “No Liam, scusami tu, sono solo stanco. Non volevo urlarti contro, scusami”.
Liam annuì, perché capiva che Zayn era stanco, lo vedeva.
Zayn sorrise e passò un braccio sulle spalle di Liam, ricominciando a camminare in direzione del loro gruppo.
Tra di loro, i ragazzi cominciarono a parlare del più e del meno, e Liam parlò anche di Harry, lasciando Zayn libero da tutte le domande, ma sembrava che le torture quel giorno non fossero finite.
“Zayn – lo chiamò uno del gruppo – c'è qualcuno che ti vuole, mi sa”. Zayn sollevò lo sguardo da terra e fissò il suo amico.
“Mh?” chiese il moro, che non ci stava capendo niente.
Il ragazzo fece cenno verso una direzione, dove un ragazzo dagli occhi azzurrissimi e i capelli castani stava fermo a guardare poggiato ad un auto all'ombra.
Zayn inarcò un sopracciglio, perché lui quel ragazzo non lo conosceva.
Il ragazzo dagli occhi azzurri gli fece cenno e Zayn, con le mani in tasca, si diresse nella sua direzione. Più si avvicinava, più si rendeva conto che si sbagliava: quel ragazzo lo conosceva.
Era Louis Tomlinson, il ragazzo con cui Harry stava lavorando a un progetto, quello su cui suo cugino aveva posto tante domande.
“Qualche problema?” chiese Zayn non appena si avvicinò.
Louis lo guardò fisso negli occhi e poi parlò: “No, scusami – cominciò con una voce che Zayn non poteva proprio immaginarsi – so che sei il cugino di Harry e volevo solo sapere che fine avesse fatto”.
Era una settimana che Louis non vedeva Harry a scuola: non lo vedeva all'entrata, o alla lezione di biologia, e neanche il pomeriggio in cui solitamente si incontravano per lavorare.
Nonostante non l'avesse visto a scuola, nel solito pomeriggio che avevano fissato, si era recato al bar e si era seduto al loro solito tavolo. Aveva aspettato per più di un'ora, e quando si rese conto che lui non sarebbe arrivato, aveva preso tutto ed era tornato a casa.
C'era rimasto male, in realtà. Harry non l'aveva avvisato in nessun modo, semplicemente era sparito e tanti auguri.
Zayn sbuffò, perché era stanco di sentir parlare di Harry, ne aveva davvero troppo. Stava già per infuriarsi e dire a quel ragazzo di farsi gli affari suoi, ma guardando Louis che aveva uno sguardo preoccupato, sentì il suo cuore sciogliersi. Infondo che colpe ne aveva lui?
“E' dovuto andare in un college privato sotto indicazione di suo padre” disse Zayn. “Non può avere nessun contatto con l'esterno, secondo le regole del college” aggiunse, utilizzando la stessa scusa che aveva dato a bere a Liam.
Louis annuì e quando vide Zayn girarsi per andare via, lo chiamò. “Scusami!”, Zayn si rivoltò.
“Mi chiamo Zayn” disse il moro.
“Sì, Zayn, scusa. Posso sapere perché?” chiese Louis, un po' titubante. Infondo non lo riguardava, e non era neanche un amico stretto di Harry.
“Non ne ho idea” rispose Zayn, che di verità ne sapeva anche troppe.
“Oh, capisco. Magari... no, va beh” lasciò andare Louis.
Quando aveva sentito che Harry era dovuto andare via sotto ordine di suo padre, un'idea aveva riempito la sua testa.
“Si?” incalzò Zayn, che era incuriosito da quello che Louis aveva cominciato a dire.
“No, nulla” lasciò perdere Louis.
Zayn fece spallucce e andò via, lasciando Louis solo.











Ciao a tutti! Domenica scorsa volevo aggiornare, ma era il mio compleanno e sono stata molto impegnata. lol
Questo capitolo è un po' più lungo, un po' per farmi perdonare, un po' perché voglio che siano più lunghi.
Mi dite che ne pensate? Magari come regalo di compleanno passato hahahaha.
Vorrei solo ringraziare le 24 persone che hanno messo la storia tra le preferite, le 9 che l'hanno messa tra le ricordate e le 32 che l'hanno messa tra le seguite.
Vorrei anche salutare tutti i nuovi lettori, vi amo già.
Un grazie ancora più grande a coloro che recensiscono e che mi aiutano tantissimo, davvero.
Vi saluto e a domenica prossima!
p.s. Buon carnevale!

-Angela
 

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Capitolo 12
*** Different. ***


Different.




L'uomo era steso a terra, la gola tagliata fin quasi alla decapitazione. Il taglio intaccava le vertebre del collo e il sangue continuava a sgorgare nonostante l'uomo avesse perso anche l'ultimo brandello di anima che lo legava alla vita terrena. Il ragazzo si voltò, gli occhi neri colmi di rabbia, il coltello insanguinato in mano, una pistola nell'altra.
"Ti prego" mormorò il compagno dell'uomo che aveva appena ucciso.
Era steso per terra, intento a baciargli i piedi, nell'ultimo tentativo di salvarsi la vita. "Ho una famiglia, non vorrai privarla del loro padre".
Il ragazzo fece una smorfia, posò la pistola sulla tempia e, sotto un'ultima richiesta di pietà da parte dell'uomo, sparò.




“Ehi Lou, tutto bene?” la piccola Lottie aveva visto suo fratello Louis concentrato e immobile sul libro di biologia, ma piuttosto che studiare sembrava stesse facendo altro.
“Mh?” chiese Louis, sollevando appena gli occhi dal libro e guardando la sorella con aria interrogativa.
“Ti ho chiesto se va tutto bene – ripeté lei – è da tre secoli che stai fermo su quella pagina”.
Louis annuì appena, tornando subito ai suoi pensieri, fissando di nuovo lo sguardo sul libro.
Lottie si avvicinò al divano su cui suo fratello, a gambe incrociate, passava i pomeriggi quando doveva studiare. Si sedette accanto a lui e lo osservò, con le gambe che le penzolavano per la troppa altezza del divano.
“Sei sicuro?” continuò mentre osservava gli stivali che aveva ai piedi che oscillavano avanti e indietro.
Louis sollevò tutto il volto in direzione della piccola e le sorrise. “Sì Lottie, va tutto benissimo. Sto solo pensando ad un po’ di cose che mi distraggono dallo studio” spiegò Louis, accompagnando le parole con dei gesti delle mani.
“Sai che se c’è qualcosa puoi dirmelo, vero? È sempre stato così da quando siamo solo noi due” spiegò Lottie.
Il fratello maggiore restò sorpreso da quello che Lottie gli aveva detto, perché dicendolo, sembrava più grande di quel che era veramente. Osservò i suoi capelli biondissimi ricadere sulle spalle e gli occhi azzurri come i suoi che, attenti, aspettavano una risposta.
“Certo che lo so, Lottie” le sorrise, accarezzandole una guancia.
Louis chiuse i libri e lasciò tutto sul tavolino li vicino. Infilò le scarpe poste vicino al divano, prese il cappotto dall’appendiabiti e uscì di casa, chiudendosi la porta alle spalle.
 
 

 
A Zayn, Harry mancava.
Sentiva la sua assenza la mattina mentre aspettavano il suono della campanella.
Sentiva la sua assenza quando a pranzo non prendeva più il posto per lui.
Sentiva la sua assenza quando non riceveva più montagne di messaggi e chiamate.
Sentiva la sua assenza quando faceva una battuta e non c’era nessuno con cui battere il cinque.
Sentiva la sua assenza e basta.
Prese il telefono e mandò l’ennesimo messaggio.
 
Harry, scrivimi appena puoi.
 
Guardò lo schermo del suo cellulare, mentre il tempo scorreva e i rintocchi dei minuti che passavano erano scanditi dall’orologio vicino.
Niente, neanche questa volta.
Per quanto ancora sarebbe durata?
 
 

 
Era dicembre ormai e nei ragazzi di tutta la scuola era diffusa l’eccitazione dovuta alle vacanze così vicine. Potevano quasi sentire il profumo della libertà dalla finestra semiaperta, dai pomeriggi liberi che finalmente riuscivano a passare.
Potevano sentire la libertà in qualunque posto, in qualunque gesto.
Come sempre Zayn si diresse a scuola con Liam, attraversando le stesse strade di sempre.
Erano coperte di neve: un fitto composto di ghiaccio che ricopriva le strade, rendendo il paesaggio bianco a tal punto che gli edifici del medesimo colore, non si potessero distinguere a lunghe distanze.
Era l’ultima settimana di scuola, e dopo sarebbe stato un susseguirsi di feste e divertimenti per le tre settimane di vacanza. E Zayn davvero non vedeva l’ora, così come Liam e tutti i ragazzi della scuola.
Erano lì, come sempre, e presto tutto sarebbe finito; bisognava superare solo un altro paio di giorni e dopo l'unica parola che avrebbe riempito la mente dei ragazzi sarebbe stata: libertà.
 
 


Harry varcò il cancello come se non avesse mai smesso di farlo in quei mesi.
Un’aura nera lo circondava tutto. Sembrava che con il suo arrivo anche il sole avesse smesso di brillare come prima.
Continuò dritto per la sua strada, con gli occhi fissi su un punto lontano, per nessuno in particolare.
Era Gennaio, le vacanze natalizie erano finite, tutti erano tornati a scuola. Anche Harry.
Zayn ricevette una gomitata da Liam e quando si voltò per vedere a cosa il ragazzo si riferiva, quasi urlò.
Si diresse subito verso suo cugino. Stentava a crederci che fosse lì, di nuovo, dopo tanto tempo.
“Harry!” lo chiamò, parandosi di fronte a lui.
Lo abbracciò, stringendolo appena. Ma Harry non ricambiò.
Zayn sentì qualcosa di diverso in lui. Harry aveva sviluppato i muscoli ed era cresciuto tanto. I suoi capelli non erano più ricci e lunghi: erano stati tagliati e portati verso l’alto.
Un paio di lenti scure coprivano i suoi occhi e Zayn ci avrebbe giurato: se mai Harry avesse tolto quegli occhiali, anche i suoi occhi verdi smeraldo sarebbero stati diversi.
Zayn si staccò, imbarazzato soprattutto dal fatto che Harry non avesse ricambiato.
Tossì rumorosamente e gli chiese: “Dove sei stato?”.
Harry, che non aveva staccato il suo sguardo dal punto fisso, spostò il volto in direzione di Zayn, continuando a guardarlo attraverso le lenti scurissime.
Ma Harry non si soffermò tanto e scansando Zayn, continuò il suo cammino verso la scuola. Il moro rimase allibito, immobile. Non riusciva a capire che diavolo stesse succedendo.
Aveva forse sbagliato persona?
“Che diavolo è successo ad Harry?” chiese Liam, che l’aveva raggiunto non appena suo cugino l’aveva lasciato solo senza nessuna risposta.
Anche lui aveva cercato di salutarlo, ma Harry non l'aveva degnato di uno sguardo.
“Non lo so, Liam, però dobbiamo scoprirlo”.
Liam si voltò e guardò Zayn negli occhi, che non erano altro che uno specchio di emozioni:  incredulità, imbarazzo, confusione, ansia e… paura. Zayn aveva paura.
Cosa era successo ad Harry?
 


 
La scuola era ricominciata da poco e Louis non ne poteva già più.
Il martedì mattina arrivò in ritardo, un ritardo che lo portò a ritardare tutto in quella giornata.
Si diresse in fretta e furia nell’aula di biologia e appena mise piede nell’aula, quasi gli venne un colpo.
Harry Styles era seduto nel posto che lui stesso aveva occupato la prima volta che erano stati compagni di banco.
Harry Styles, il ragazzo che Louis non vedeva da mesi, era seduto lì.
“Signor Tomlinson, pensa di restare lì a lungo ad aspettare il Creatore?” chiese il professor Minus, che guardava l’alunno fermo sulla porta.
A Louis sembrò di ritornare indietro nel tempo a quel giorno di tanti mesi fa.

“Signor Tomlinson, pensa di restare lì a lungo? Si sieda, per favore, così cominciamo la lezione” disse il professore, guardandolo e con la mano destra indicando il posto vuoto vicino ad Harry.
Louis si mosse mentre alcune persone ridacchiavano del suo comportamento così buffo. Posò i libri sul tavolo e si sedette.

“Hai tentato di evitarmi, ma non ci sei riuscito”.

Una sola frase bastò a catturare l’attenzione di Harry, che sollevò lo sguardo dai suoi fogli e, con ancora gli occhiali da sole, fissò Louis.
Harry tolse gli occhiali e Louis si aspettava di rivedere gli occhi verdi luminosi di sempre, ma tutto quello che vide furono degli occhi verdi scuro, annebbiati, ombrosi, e in qualche modo violenti.
Harry distolse lo sguardo.
Louis annuì e si andò a sedere, con il pensiero rivolto ancora a quegli occhi così diversi, occhi che non poteva aspettarsi.
Attese che Harry gli dicesse qualcosa, qualsiasi cosa. Insomma, non si erano parlati per mesi e nonostante non fossero amici, erano per lo meno conoscenti e due parole scambiate non avrebbero ucciso nessuno.
Ma Harry non sembrava interessato a Louis, non più da quando Louis aveva varcato la soglia dell’aula.
Così Louis prese l’iniziativa. “Chi non è ancora morto, si rivede”











Non ci sono parole per chiedere scusa, e non mi aspetto che mi scusiate.
Mi sento orribile, sono quattro mesi, se non erro, che non aggiorno. Non mi aspetto che qualcuno stia ancora seguendo la storia, eppure ci spero tanto.
Non so com'è questo capitolo, secondo me fa schifo, ma ho bisogno di tempo per rientrare in questa realtà che tanto mi piace e di cui vi parlerò di nuovo, ve lo prometto.
Come potete vedere non è domenica, ma non importa. Spero sul serio che leggerete il capitolo, che vi piacerà anche un minimo, che mi lascerete un parere.
Io, nel frattempo, vi dico che ho anche cominciato una nuova fanfiction che si chiama 04:46, che non è una storia Larry, ma se volete leggerla e magari dirmi che fa schifo (potrebbe anche far schifo, chissà), vi ringrazierei comunque.
Mi scuso ancora, ancora e ancora.
Ci rivediamo presto, spero. :)

 

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Capitolo 13
*** Help. ***


Help.




“Il corpo è stato ritrovato fuori dalla vecchia distilleria della città e presentava numerosi tagli lungo le braccia e ferite da arma da fuoco.
Si sta cercando di risalire al colpevole dell’omicidio ma per il momento non c’è alcuna pista da seguire.
Questo è tutto, linea allo studio”


Louis sollevò la testa dalla tazza piena di latte e cereali che stava mangiando per colazione, attratto dall’ennesima notizia di morte raccontata al telegiornale.
Gli faceva pena quell’uomo, anche prima di morire aveva subito del dolore fisico.
Si alzò spostando la sedia e prendendo lo zaino che aveva lasciato per terra vicino all'ingresso della cucina, trascinandosi verso la porta solo come uno studente può fare quando sta per andare a scuola.
Harry l’altro giorno non gli aveva parlato, e questo a Louis dava fastidio.
 
“Chi non è ancora morto, si rivede” disse Louis.
Harry rimase fermo, continuando a fisare un punto infinito di fronte a sé.
Si voltò appena, guardando Louis attraverso le lenti scure dei suoi occhiali, per poi tornare a concentrarsi su quel punto infinito.
Louis si sentiva in imbarazzo, perché nonostante si fosse rivolto ad Harry gentilmente, lui non l’aveva considerato per niente.
È vero, magari non erano amici, ma perché non salutare?! Assurdo.
 
Perso nei suoi pensieri, arrivò al viale che conduceva alla scuola e sul lato destro del cancello, fuori l’entrata di quello principale, gli sembrò d riconoscere una testa riccioluta.
Harry, con gli occhiali da sole del giorno precedente, era in piedi con una mano poggiata sulla spalla di un ragazzo biondo, alto quasi quanto lui, che non aveva gli occhiali e lasciava in mostra due occhi azzurri che somigliavano a quelli di Louis.
Si fermò, osservando la scena, cercando di capire di cosa parlassero, per quanto fosse possibile da quella distanza.
Da quando Harry era tornato a scuola, se ne stava per la maggior parte del tempo da solo, in disparte, e non sembrava gli dispiacesse.
Louis si chiese se quel ragazzo biondo veniva alla loro scuola, e magari non l’aveva mai visto, ma osservandolo meglio sembrava più grande di loro, anche se non di tanto.
Ad un certo punto, il biondo si voltò verso di lui. Fece un segno nella sua direzione ad Harry, che subito si voltò. La sua mascella si irrigidì, e continuò a tenere lo sguardo fisso su Louis.
Poteva sentirlo quello sguardo, anche se dietro le lenti quegli occhi verdi sembravano bruciare, pareva che lo stessero riducendo in pezzi, analizzandolo fino alle budella.
Il biondo si avvicinò ad Harry e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, e questo annuì, sempre con la mascella tesa, lo sguardo fisso su di lui.
Louis distolse finalmente lo sguardo, troppo imbarazzato dell’essere stato ritrovato a fissarli.
Si sentì avvampare e stava considerando l’opzione di tornare indietro, a casa, dove sarebbe stato tranquillo e al sicuro dallo sguardo di Harry che continuava a fissarlo a volte, per pochi secondi appena, anche se Louis, il suo sguardo, l’aveva distolto da tempo da Harry e di certo non l’avrebbe più fissato sui due.
Non se la sentiva di perdere le lezioni, così si diresse verso il cancello principale per entrare a scuola, il più lontano possibile dai due ragazzi.
Ad un certo punto il biondo si allontanò da Harry e venne nella sua direzione, e per un solo momento Louis pensò che l’avrebbe fermato per parlare, o magari per chiedergli perché li stava fissando.
Invece non fu così.
Il ragazzo biondo gli passò accanto, continuando per la sua strada, e l’unica cosa che fece su sorridergli. Gli sorrise come se lo conoscesse, come se fossero vecchi amici che non si parlano più.
Louis si voltò indietro continuando a camminare, per fissare ancora quel ragazzo.
Quando questo fu troppo lontano, Louis si voltò per guardare dritto davanti a sé e andò addosso a qualcuno. Rischiò di cadere a causa dei piedi in cui era inciampato, ma una mano forte lo trattene e gli restituì l’equilibrio che gli serviva.
Louis si sistemò, aggiustandosi i capelli e sussurrò un “Grazie”, ma la persona che vide di fronte a sé fu l’ultima che avrebbe desiderato incontrare in quel momento.
“Non sapevo che le tue preferenze sessuali andassero per persone del tuo stesso sesso” disse Harry, che con gli occhiali sulla nuca, fissava Louis dalla testa ai piedi divertito.
Louis lo fissò spalancando gli occhi e sussurrò: “C-cosa?”.
Harry rise. “Sì, insomma, il ragazzo che era con me. Non hai fatto altro che guardarlo da quando sei arrivato in questo vialetto” fece notare a Louis.
Lui avvampò ancora, sentendosi rosso in viso, troppo.
“Non è vero. – rispose Louis mettendosi sulla difensiva. - È lui che mi ha sorriso, ma io non ho idea di chi sia” gli disse fissandolo.
Harry continuava a guardarlo con un ghigno sul volto, chiaramente divertito.
“Oh sì, d’accordo, però la prossima volta cerca di non andare a sbattere con le persone solo peché sei intento a fissare qualcun’altro” gli sorrise, Harry.
Louis sbuffò. “Oh Gesù – sussurrò sollevando le mani al cielo – io…”
“Non lo stavi fissando, ho capito, non c’è bisogno che ti arrabbi” continuò Harry che ridendo fece dietrofront e si diresse verso l’ingresso principale di scuola.
Louis rimase lì, confuso, e poi sorridendo, si diresse anche lui verso l’ingresso.
 
 



“Quindi non hai ancora parlato con Harry?” chiese Liam a Zayn che fissava il cancello principale.
Da quando Harry era tornato, Zayn era perennemente nervoso e turbato. Il cugino non gli aveva parlato, anche se Zayn gli aveva scritto e si era addirittura presentato a casa sua.
Era tutto completamente inutile.
Harry di Zayn, come di lui e del resto della compagnia infondo, non gli importava nulla, era come se non li vedesse.
“Cosa non capisci di ‘mi evita’? Cavolo Liam, te l’ho detto almeno cento volte da ieri pomeriggio” gli rispose Zayn, prima di sbuffare ma non distogliendo gli occhi dal punto che fissava da cinque minuti ormai.
“Sì, scusa, è solo che non capisco” disse Liam, passandosi una mano sul mento decorato da un pò di barba.
Davvero non capiva il perché del comportamento di Harry. Da quando era stato via per alcuni mesi si era completamente allontanato dagli altri, anche se infondo quello che non si era fatto sentire era stato lui. Gli altri gli avevano scritto, l’avevano chiamato, si erano presentati a casa sua chiedendo notizie alla madre, e lui non aveva fatto niente. Neanche mandare gli auguri di Natale.
“Non penso che qualcuno ci capisca qualcosa” disse Zayn.
Liam annuì, completamente d’accordo col suo amico.
“Ma cosa stai fissando?” gli chiese poi, continuando a vedere il suo sguardo fisso. Si voltò in quella direzione e vide ciò che Zayn stava fissando, strizzando gli occhi.
Un ragazzo biondo si stava allontanando sul vialetto che conduceva alla scuola e Harry era all’ingresso, intento a parlare con qualcuno.
“Ma quello non è Tomlinson? Louis Tomlinson?” chiese Liam, facendo un cenno nella loro direzione.
“Mh-mh” disse Zayn, passandosi una mano tra i capelli per ravvivarli un po’.
“E perché sta parlando con Harry? È la prima persona della scuola con cui lo vedo parlare” aggiunse Liam, dando vita ai pensieri che riempivano la mente di Zayn in quel momento.
Zayn lo guardò, incrociando il suo sguardo con quello di Liam per un solo istante, prima di rispondergli: “Era quello che mi stavo chiedendo anche io”.
Liam annuì. “E scommetto che andrai lì e glielo chiederai” provò ad indovinare Liam.
Zayn sorrise e gli diede una pacca sulla spalla. “È per questo che sei il mio migliore amico” gli disse.
 
 



Louis aveva appena varcato l’ingresso di scuola quando entrambe le sue braccia furono bloccate da due mani. Non possenti come lo erano state quelle di Harry, ma abbastanza forti da trascinarlo in un lato del corridoio mentre tutti gli altri alunni continuavano il loro percorso verso le classi.
Quando Louis si ritrovò Zayn e Liam davanti che lo guardavano, sollevò le sopracciglia sorpreso.
“Cosa cavolo..?” disse, e vide Zayn alzare gli occhi al cielo.
“Stai tranquillo, non voglio rubarti i soldi per il pranzo” si difese Zayn, facendo ridere Liam.
Louis sbuffò. “Ma tutte a me oggi eh…” notò, riferendosi al fatto che prima Harry e dopo Zayn lo avevano preso in giro.
“Dai Zayn, non perdere tempo in chiacchiere, la prima ora sta per cominciare” disse Liam, incitandolo a parlare.
Zayn annuì. “Senti, volevo solo chiederti cosa vi eravate detti tu e Harry stamattina”.
Louis, ancora sorpreso, gli rispose seccato. “Che ti importa? Non stavamo parlando di te se è questo che ti interessa”. Incrociò le braccia al petto per il fastidio, e socchiuse gli occhi per studiare meglio Zayn.
“Mi importa – sottolineò Zayn stringendogli il braccio – perché sei la prima persona con cui l’abbia visto parlare o avere una qualche forma di interazione. E non capisco perché proprio tu” affermò, quasi fosse un insulto che Louis fosse se stesso.
“Cosa stai dicendo…” cercò di controbattere Louis, ma prima che potesse in qualche modo rispondere a Zayn, fu interrotto da Liam.
“Zayn ha ragione” disse semplicemente. “E la cosa gli importa molto soprattutto perché Harry non l’ha degnato nemmeno di uno sguardo da quando è tornato. E Zayn è suo cugino, insomma. La cosa gli provoca molto fastidio” aggiunse come se fosse la cosa più scontata di questo mondo.
Zayn lo fulminò, non amava che i suoi sentimenti, le sue emozioni, fossero divulgate a chiunque, soprattutto ad una persona come Louis, che non conosceva per niente.
“Scusa” sussurrò l’amico, ma Zayn continuò a guardarlo male.
“Sentite – disse Louis mettendo fine a quelli sguardi che sembravano infuocare l’aria intorno a loro – non so perché Harry abbia deciso di parlare proprio con me, okay? E mi ha parlato del ragazzo con cui stava, il biondino, non so se l’avete visto” terminò, spostando lo sguardo da uno all’altro.
Zayn schiuse la bocca per parlare, ma Louis lo interruppe. “Anche io mi sono accorto della sua diversità da quando è tornato, ma non posso aiutarvi in nessun modo. Noi non siamo amici” concluse.
“Oh no, ci aiuterai” disse Zayn sorridendo e lasciandolo andare, seguito a ruota da Liam, e insieme si incamminarono verso la loro classe.











Okay, salve! Questo è il capitolo e ammetto di averci messo un po', scusate tanto!
Non sono di molte parole oggi quindi vi dico solo che spero che vi piaccia, che mi lascerete una recensione e magari anche un biscotto perché sonno affamata.
Bene, arrivederci al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 14
*** Dangerous. ***


Questa volta voglio fare tutto diverso e metto il mio spazio all'inizio lol.
Innanzi tutto voglio ringraziare gli Union J per avermi aiutata a finire presto il capitolo :') infatti come vedete ho aggiornato prestissimo, dopo solo tre giorni, anche perché essendo oggi il mio onomastico volevo farvi un regalo, anche se voi dovreste farlo a me al massimo hahaha
Comunque, questo capitolo è lungo il doppio rispetto agli altri e quindi vi auguro buona lettura, spero che non sia pesante e niente, spero che mi lasciate una recensione.
Grazie in anticipo :) x




Dangerous.



“Quelle ragazze non fanno altro che guardare nella tua direzione e sghignazzare come delle galline” fece notare Emily, la trentacinquenne che lavorava con Louis in quel bar e che l’aveva praticamente cresciuto.
Louis si voltò nella direzione indicata dalla donna e trovò tre ragazzine che lo fissavano; quando si accorsero di lui che le squadrava, si misero a ridere e iniziarono a sussurrarsi qualcosa posando una mano vicino alla bocca per non permettere che altri capissero.
“E inoltre ordinano biscotti da più di un’ora e chiedono esplicitamente che sia tu a portarli” aggiunse Emily ridendo. Anche Louis rise, divertito da quella situazione.
“Non è che qualcuna di loro ti piace?” continuò ancora la donna, consegnandoli l’ennesimo piatto da portare a quel tavolo. Louis sbuffò, Emily cercava in tutti i modi di trovargli una ragazza, anche se secondo lui lo faceva solo per permettergli di pensare a qualcosa di diverso dalla scuola o dal lavoro.
“Smettila di rifilarmi qualunque ragazza si presenti al locale” le rispose Louis, alzando gli occhi al cielo, e dirigendosi al tavolo delle tre ragazze.
Posò il piatto sorridendo, senza proferire parola, per poi tornare dietro al bancone.
“Oh, insomma Louis!” sbuffò la donna, e il ragazzo sorrise.
Cominciò a sparecchiare i tavoli ormai vuoti, a pulire il bancone, e fare tutto ciò che andava fatto.
“Vai sul retro, sistema gli scatoloni e poi hai finito” gli disse Emily, quando lui tornò con un vassoio pieno di tazze e piatti sporchi. Annuì, posò il vassoio e si recò sul retro.
Odiava quella parte del bar. Era poco illuminata e molto fredda, soprattutto di inverno, e con il tipo di inverno che stava colpendo la nazione, di certo la situazione non diventava più accettabile.
Prese una giacca dall’appendiabiti e si recò verso gli scatoloni, cominciando a svuotarli e a smistare le cose sistemandole nel luogo a cui appartenevano.
Gli sembravano passate ore e ore quando si passò la manica della felpa sulla faccia, dopo aver finalmente finito il suo lavoro. Ripose la giacca dove l’aveva trovata e tornò all’interno del bar.
“Ho fatto, ti serve altro?” chiese Louis a Emily, che stava sistemando le tazze nell’attesa che i pochi clienti ancora rimasti andassero via.
“No no, puoi andare. Ti ho trattenuto anche più del solito” fece notare lei, con un cenno all’orologio alla parete.
Erano le undici e mezza, era davvero tardi.
Louis annuì e lasciò il grembiule sotto il bancone. Prese il cappotto dall’armadio dietro alla porta e con un ultimo saluto ad Emily, uscì dal locale, chiudendosi la porta alle spalle.
Tirò fuori le cuffie dalla tasca e dopo averle collegate al telefono, fece partire la riproduzione casuale, posando tutto nella stessa tasca in cui erano stati conservati precedentemente.
“Sarà meglio che prendo la scorciatoia” sussurrò, sfregandosi le mani nel tentativo di riscaldarle.
Iniziò ad incamminarsi sulla strada principale, per poi prenderne una più piccola sulla destra.
Solitamente non la prendeva mai, poiché era una strada poco illuminata e spesso era anche casa di cani randagi pronti a morderti, ma quella sera faceva molto freddo ed era in ritardo: l’unica cosa che voleva era arrivare a casa in fretta e mettersi a dormire.
Louis continuava a percorrere quella strada, quando inciampò in qualcosa. “Cosa diamine…?”
Si sfilò le cuffie dalle orecchie e le tenne in mano. Voltò appena il capo, cercando di mettere a fuoco ciò che aveva preso con il piede e restò di sasso.
Era una pistola.
La gola gli si fece secca, si sentiva terrorizzato, aveva paura di continuare a camminare.
Si guardò intorno.
Poteva tornare indietro, ma la distanza che lo separava da casa sua era davvero minima e davanti a lui non vedeva nessuno.
Non sapeva cosa fare.
Ad un certo punto qualcuno lo prese dalle spalle e lo sbatté al muro, facendolo sussultare. Gli puntò la canna della pistola alla testa e Louis chiuse gli occhi, credendo che di lì a poco sarebbe morto.
“Louis?” disse una voce che conosceva bene.
Aprì gli occhi, e i suoi azzurri si incastrarono nei verdi che stavano di fronte a lui.
“Harry?” disse Louis con voce incrinata. Si era un po’ tranquillizzato, ma la pistola puntata alla tempia gli metteva ancora ansia. La guardò con la coda dell’occhio.
Harry seguì il suo sguardo e notò la pistola. “Oh, giusto” disse sorridendo e abbassandola.
Louis prese un profondo respiro.
“Che diavolo ci fai qui?” dissero all’unisono. “E con una pistola!” aggiunse Louis, urlando un po’.
“Zitto, idiota!” gli rispose Harry, tappandogli la bocca con una mano. Gli prese il braccio e lo trascinò in un vicolo vicino, sbattendolo contro il muro e incitandolo a stare in silenzio. Spostò la mano.
“Senti…” iniziò Louis, ma Harry gli tappò di nuovo la bocca.
“Stai zitto!” gli disse Harry, tendendo l’orecchio.
Passi affrettati, voci, colpi.
Louis strabuzzò gli occhi.
“Di qui!” urlò una voce e Harry imprecò. Spinse Louis più contro il muro e gli si appiattì sopra, sperando che l’oscurità del vicolo li nascondesse abbastanza.
E funzionò.
Non vedendo niente, un gruppo di quattro persone armate continuò per la scorciatoia che Louis aveva preso per tornare a casa.
Harry si staccò poco da Louis e gli sussurrò: “Che diavolo stavi facendo in quella strada?” gli chiese.
Louis cercò di parlare, ma la mano di Harry era ancora sulla sua bocca.
“Oh sì, scusami” aggiunse Harry, allontanando finalmente la mano.
“Per Dio, Harry! Dovrei essere io a chiederti che stavi facendo in quella strada con una pistola!” gli disse Louis, ancora spaventato a morte.
“Se non mi dici che stavi facendo ti lascio qui e non mi importerà se ti uccidano” lo minacciò Harry.
Louis sollevò gli occhi al cielo.
“Dimmelo e basta, maledizione!” disse Harry spingendolo un po’ verso il muro.
“Stavo tornando a casa da lavoro e siccome era tardi ho preso la scorciatoia! Non potevo di certo immaginare che dei pazzi serial killer si nascondessero per le strade” esclamò lui.
Harry sospirò. “Dove abiti?” gli chiese.
“Sulla diciassettesima, proprio qui all’angolo” disse Louis, indicando la strada.
Harry annuì. “D’accordo, ti accompagno. Però devi starmi vicino, è pericoloso” disse.
Harry era spaventato, perché non doveva pensare a difendere solo la sua vita, ma anche quella di Louis. E se avesse potuto, si sarebbe scollato quell’obbligo.
“Mi hai capito?” chiese a Louis, che annuì.
Harry si sporse sulla strada, vedendo se fosse libera. Una volta che se ne accertò fece segno a Louis ed entrambi cominciarono a correre per la strada.
Louis sentì un rumore e si fermò. “Hai sentito?” chiese ad Harry che lo guardava con aria interrogativa.
“Lì!” urlò un uomo sporgendosi da uno dei vicoli della strada.
“Ora sì. Corri!” urlò Harry, prendendo Louis per mano e trascinandoselo dietro.
Sentivano i proiettili sfiorare le loro teste, le loro braccia.
Harry prese una strada a destra, poi una a sinistra, continuando a cambiare, tanto che Louis perse il conto delle volte in cui erano andati a destra o a sinistra.
“Harry” sussurrò Louis, fermandosi. Posò le mani sulle ginocchia e cominciò a respirare pesantemente.
“Dai Louis, ce l’abbiamo fatta, ho solo cambiato le strade per evitare che ci seguissero. Siamo quasi arrivati” disse prendendogli il braccio e incamminandosi di nuovo.
“Harry” disse ancora Louis, sollevando lo sguardo. “Non ce la faccio – disse deglutendo – mi sento male, sul serio” disse ancora, mettendo le ginocchia per terra e tenendosi lo stomaco.
Harry ricordò che lui era stato allenato per correre tanto, mentre Louis no. Il ragazzo aveva resistito fin quando aveva potuto, ma non poteva spingere lo sforzo fisico ad un livello così alto come Harry.
Il riccio si accovacciò vicino a Louis e massaggiandogli la schiena con una mano, per tranquillizzarlo, gli sussurrò: “Scusami. Prendi un po’ di fiato e poi andiamo”.
Louis annuì, con gli occhi chiusi, e a quella poca luce Harry capì che si stava sforzando di non vomitare.
Estrasse la pistola dalla fibbia dove l’aveva precedentemente riposta e si guardò intorno, attento anche al più piccolo movimento o al suono più sottile.
Quando gli sembrò passato abbastanza tempo si avvicinò di nuovo a Louis, che adesso era steso su un fianco, con le mani serrate ancora sullo stomaco.
“Louis, dobbiamo andare” lui annuì e si mise in piedi a fatica, ed Harry fu costretto a sorreggerlo.
Con una mano stretta intorno al polso, Harry si incamminò, con la pistola nell’altra mano pronta a sparare se ce ne fosse stato bisogno.
Louis si sentiva davvero male. La corsa lo aveva messo K.O., respirava ancora a fatica.
All’inizio, quando si era fermato, credeva che avrebbe perso i sensi proprio lì, in quel vicolo. Non vedeva più niente e sembrava che qualcuno gli stesse stringendo il torace così forte da impedire ai polmoni di compiere il proprio lavoro.
All’inizio si era seduto semplicemente, non voleva mostrarsi debole.
Cercò di costringersi a riprendere fiato al più presto, ma per il forte malessere alla fine si era completamente steso, abbandonandosi sul quel terreno liscio e freddo.
Adesso guardava Harry che lo trascinava per le strade e quasi stentava a riconoscerlo. Non era lo stesso ragazzo che non gli aveva risposto in classe, o quello che si era preso gioco di lui fuori dalla scuola.
Non sembrava neanche Harry, sembrava… un uomo.
Un uomo che fa qualcosa di importante, che conosce il rischio e che è pronto a tutto.
E aveva visto la preoccupazione nei suoi occhi, quando si erano incamminati la prima volta per sfuggire a quegli uomini; aveva visto la sua paura quando quelli li avevano trovati; e aveva visto ancora preoccupazione, quando lui si era accasciato a terra, troppo stanco per la corsa affrontata.
E quando si voltava a vedere che Louis ci fosse ancora, vedeva nei suoi occhi la determinazione e la temperanza di un uomo adulto, che si stava preoccupando di portarlo in salvo, un uomo pronto a sparare pur di salvare la sua vita.
Louis non si era mai sentito così.
Non aveva mai provato la sensazione che qualcuno lo stesse proteggendo, che si stese prendendo cura di lui, che fosse pronto a tutto.
Era sempre stato lui quello a prendersi cura di sua sorella, a provare quei sentimenti, ma mai per lui qualcuno si era rivolto in quel modo.
“Adesso? ” chiese Harry.
Senza che Louis se ne accorgesse, avevano raggiunto la strada di casa sua sani e salvi, e da lontano riusciva a vedere la casa, che aveva tutte le luci spente.
Tutte le case lì intorno avevano le luci spente, tutti ignari di ciò che stava accadendo fuori dai loro portoni, fuori dalle loro finestre.
“È quella lì, non ricordi?” chiese Louis, indicando la casa con la mano che Harry non teneva.
Harry voltò lo sguardo e lo posizionò sulla casa indicata da Louis.
Il ragazzo si chiese se Harry davvero non ricordasse quella casa, quando lui e suo padre gli avevano dato il passaggio. È vero, c’era stato una volta sola, però Louis non aveva dimenticato quel giorno, quell’incontro, era stato troppo strano. Però magari lo era solo per lui.
 
“Buonasera” sussurrò Louis a disagio su quel sedile troppo pregiato e costoso per i suoi gusti.
“Ciao Louis - ricambiò il saluto - Dove ti portiamo?”, aggiunse, continuando a sorridergli.
“Subito dopo il pub Blue” gli rispose il ragazzo, guardandolo negli occhi.
Sembrò che l'uomo fosse attraversato da un lampo nero, una nuvola, sembrava che fosse diventato di cattivo umore all'improvviso, quasi come se quel sorriso di prima non fosse mai esistito.
L'uomo annuì e si voltò, accendendo il motore, senza proferire parola. L'unico rumore che si sentiva era quello dei pneumatici sull'asfalto.
“Allora Louis – ruppe il silenzio il padre di Harry, sotto gli occhi attenti di suo figlio – il tuo cognome è Tomlinson?”
Louis rimase sorpreso. Come faceva a conoscere il suo cognome?
“Sì... Sì, signore” gli rispose, ancora timido e sorpreso dal fatto che sapesse chi fosse.
Stava per fare una nuova domanda, ma suo figlio lo precedette: “Papà, non devi fare il terzo grado a tutti i miei amici, tanto meno a Louis”.
Il padre sorrise e non fece nessun'altra domanda.
“Signore... Come fa a sapere il mio cognome?” chiese un Louis troppo curioso di sapere, dopo pochissimi minuti. Lui non era nessuno, e a meno che il padre di Harry non avesse studiato tutti i ragazzi nella scuola del figlio, cosa che non lo avrebbe stupito per niente, non riusciva proprio a capire come facesse a sapere di lui.
L'uomo sembrò combattuto dal rivelargli o meno la verità, ma alla fine sputò il rospo: “Conoscevo tuo padre” ammise.
A Louis sembrò quasi di ricevere uno schiaffo. Non parlava mai di suo padre.
Non rispose.
Harry si voltò nella sua direzione, e quando vide Louis con il volto rivolto verso il finestrino, si chiese cosa fosse successo.
Un attimo dopo arrivarono di fronte una casa, la sua casa, quasi come se sapesse dove abitasse.
“Grazie mille per il passaggio, signore. Ci si vede, Harry” salutò Louis prima di scendere e incamminarsi, senza voltarsi indietro.
 
Harry lo scortò – perché sì, un ragazzo che ti tiene il braccio con mano salda, che impugna la pistola con l’altra e che si guarda intorno sempre pronto e attento a qualunque movimento, ti sta scortando – fino all’inizio del vialetto di casa.
“Mi devi delle spiegazioni, Harry” disse lui, continuando a sentire la tensione di entrambi.
Harry lo guardò sollevando le sopracciglia. “Assolutamente no, non ti devo proprio niente. Al massimo sei tu che mi devi la vita” aggiunse, con fare ovvio.
“Se non fosse stato per te – Louis lo indicò – nessuno mi avrebbe sparato addosso!” disse, esasperato.
Harry lo fissò, sapeva che aveva ragione. Era colpa sua, solo colpa sua.
Ed era proprio quella la ragione per cui doveva evitare chiunque, per non permettere che si facessero del male standogli vicino.
Annuì e si voltò di spalle, lasciando un Louis sorpreso infondo al vialetto.
 

Harry doveva ritornare nella strada dove Niall lo stava aspettando in macchina.
Ora che aveva visto che gli uomini armati erano quattro e dopo aver capito che sarebbe stato un suicidio affrontarli da solo, decise di fare il giro lungo, evitando la strada che aveva precedente percorso.
Era stata una serata completamente sprecata.
Guardò l’orologio al polso e si accorse di quanto si era fatto tardi, doveva impiegarci la metà del tempo che era passato.
Si mise a correre, doveva arrivare al più presto.
Quando vide l'automobile nera coi finestrini oscurati tirò un sospiro di sollievo. Era troppo per una sera, voleva solo tornare a casa.
Bussò al finestrino e la portella si spalancò, lasciando che Harry vi entrasse.
“Cavolo amico, credevo fossi morto!” sospirò Niall, guardandolo dalla testa ai piedi, per accertarsi che stesse bene.
“Ci mancava poco” sospirò Harry, lasciando la pistola sul cruscotto e stendendosi meglio sul sedile, voltando il capo verso il tetto dell’auto.
“Cosa è successo?” chiese Niall, vedendo Harry più stanco e teso del solito.
Nell’ultimo periodo era capitato spesso di fare uscite di quel genere, ed Harry non si era mai presentato come in quel momento.
Harry si voltò verso il biondo, decidendo o meno se dirgli di Louis, di tutto quello che era successo.
Vide negli occhi di Niall la preoccupazione, si stava davvero interessando a cosa gli era successo, a ciò che aveva provato.
Guardò ancora il tettuccio dell’auto e chiuse gli occhi. Prese un bel respiro e sospirò: “Louis”.
Niall spalancò gli occhi, di certo non poteva aspettarsi una risposta del genere. “Louis?” chiese incerto, magari aveva capito male.
“Già” rispose Harry, facendo spallucce.
“Che significa Louis?” chiese Niall, che di un nome come risposta non se ne faceva niente.
Harry sospirò. “Significa che mentre correvo per le strade con una pistola in mano pronto a uccidere chiunque, ho incontrato Louis, ed è stato un miracolo se non gli ho sparato da lontano” affermò, storcendo le labbra in segno di disapprovazione.
 
Harry si trovava in uno dei vicoli laterali alla strada e spiava da lontano il gruppo di quattro uomini armati che lo stavano cercando. Li vide camminare per poi prendere una strada laterale che portava chissà dove. Si mosse dalla sua posizione per seguirli, ma vide l’ombra di un ragazzo e ritornò nel posto che stava occupando prima. Non sembrava un membro di quel gruppo, né il tipo di persona che impugna una pistola, e decise di raggiungerlo alle spalle. Lo prese e lo sbatté al muro, sentendolo sussultare. Puntò la canna della pistola alla tempia e il ragazzo chiuse gli occhi. Lo guardò bene e lo riconobbe, l’avrebbe riconosciuto ovunque.
“Louis?”
 
Niall annuì, anche se Harry non poteva vederlo. “E dopo?” chiese, capendo che non era finita lì la storia.
Harry si prese un lungo periodo di pausa, pensando a tutto quello che era successo.
“E dopo di certo non lo potevo lasciar andare via con quattro uomini armati che mi cercavano e stavano per uccidermi, così l’ho accompagnato a casa, perché era lì che stava andando. E ci hanno anche trovati. Abbiamo corso come dei pazzi fino a quando lui quasi non mi moriva davanti agli occhi perché non aveva più aria nei polmoni” disse Harry ridacchiando, anche se non c’era proprio niente da ridere.
Si era spaventato a morte quando aveva visto Louis in quello stato, e la cosa peggiore era che non sapeva che fare, non sapeva come aiutarlo.
“Di certo non poteva stare al tuo passo” commentò Niall, evidenziando l’ovvio.
Vedendo che Harry non parlava, Niall pose un’altra domanda: “e poi?”
Harry si raddrizzò sul sedile e guardò Niall. “E poi siamo arrivati a casa sua sani e salvi. Ha chiesto spiegazioni, ma di certo non posso dargliele. E ho dovuto fare un giro lunghissimo per raggiungerti, ecco perché ho fatto tanto ritardo” spiegò Harry, e Niall annuì.
Il biondo non aveva più niente da chiedere, e vide che Harry non aveva altro da aggiungere, così si girò verso il volante per mettere in moto.
Ma sorprendendolo, Harry parlò di nuovo: “Niall” lo chiamò, e il biondo si girò, sentendo l’urgenza della sua voce.
“Sì, Harry?” chiese lui, guardandolo negli occhi.
Harry cominciò a giocare con le sue mani, completamente nervoso, e prima di parlare prese un bel respiro.
“Niall, io… io l’ho messo in pericolo stanotte. Sai cosa mi ha detto?” gli chiese.
Niall fece segno di no con la testa.
“‘Se non fosse stato per te, nessuno mi avrebbe sparato addosso!’ e aveva ragione. Adesso potrebbero prenderlo di mira, l’hanno visto bene, l'hanno visto con me. Sono un pericolo per chiunque mi stia intorno. E io mi ero sforzato tanto, mi sono allontanato da tutti, e dopo? Niall io…” Harry parlava velocemente, e Niall doveva prestare il massimo dell’attenzione per capire ciò che diceva.
Il riccio abbassò la testa, scuotendola avanti e dietro, prendendosela tra le mani.
“Ehi Harry – disse Niall poggiandogli una mano sulla spalla – stai tranquillo. Sai cosa penso?” disse Niall.
Harry scosse la testa, tenendola ancora bassa.
“Io penso che non puoi decidere tu per gli altri, mi spiego” aggiunse, quando vide lo sguardo confuso di Harry. “Non puoi decidere per gli altri se è sicuro o meno per loro. Non puoi impedire loro di volerti bene, credo che abbiano tutti il diritto di scegliere. Se una volta saputa la verità decideranno di allontanarsi è okay, ma se invece sceglieranno di starti vicino, nonostante tutti i rischi, nonostante tutto, non puoi dire loro di no. Perché se ti vogliono bene, troveranno sempre un modo per starti vicino, per ritornare con te” concluse, guardando Harry negli occhi.
Le parole di Niall erano state belle, ma Harry non ne era ancora convinto. E il biondo lo capì.
“Oh, insomma Harry! Pensa a tuo cugino Zayn! Cosa sta facendo dal momento in cui sei tornato?” disse, sollevando le braccia al cielo per disperazione.
Harry pensò a Zayn, a quante volte gli si era avvicinato a scuola, a quante volte si era presentato a casa sua, alle sue chiamate e ai messaggi.
“Hai ragione Niall” disse alla fine e lui sorrise. “Ma tu capisci che non posso permettere che si facciano del male?” continuò.
Niall sollevò gli occhi al cielo e dopo un urlo pieno di impazienza, fece partire il motore, guidando verso casa.
 
Harry si chiuse la porta alle spalle, attento a non fare troppo rumore.
Non appena mise piede in cucina, le luci si accesero e rivelarono suo padre che lo aspettava su una delle sedie in cucina. “Allora?” chiese.
Harry si diresse verso il frigo, prendendo una lattina di Coca Cola, aprendola e bevendone un po’.
“Missione fallita, ho avuto un intoppo ed erano in quattro” riassunse Harry, sedendosi su una sedia poco distante da quella di suo padre.
Il signor Styles annuì: “Non importa” disse, sollevando le spalle e prendendo la lattina dalle mani di Harry.
Il ragazzo mugolò in segno di protesta, ma il padre, sorridendo, continuò a bere.
“Senti…” cominciò Harry, catturando la sua attenzione. “Posso parlarne con Zayn, proporgli di… si insomma” disse, gesticolando.
Il padre lo fissò per pochi minuti che sembrarono ore e disse: “Okay, mi raccomando” gli rispose.
Si diresse verso le scale e le salì, senza aggiungere altro.
Harry rimase seduto, terminò la sua Coca Cola e sussurrò: “Ho bisogno di tempo, però”

 

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Capitolo 15
*** Nightmare. ***



Nightmare.




Louis correva, senza fermarsi, alla ricerca della salvezza.
Svoltava tra le diverse vie, non sapendo esattamente dove stava andando, ma essendo solo cosciente del fatto che qualcuno lo stava inseguendo, che volevano fargli del male.
Correva, fino a quando una delle strade che prese si rivelò un vicolo cieco.
Si girò e vide delle ombre avvicinarsi, le pistole puntate alla sua testa e al suo cuore.
Non aveva via di scampo.
Sarebbe finito tutto in pochi secondi, e Louis ne era terrorizzato.
 
Si svegliò, ansimando.
Tentare di chiudere occhio era stato impossibile. Si sentiva le gambe incredibilmente doloranti e poteva ancora provare quell’ansia mista alla paura, per quello che era successo quella sera.
Ogni volta che chiudeva gli occhi, vedeva lui e Harry scappare per sfuggire a quei quattro uomini, sentiva ancora il respiro pesante, il terrore, l’adrenalina riempirgli le vene.
Voleva solo non pensare, allontanare tutto e dormire. Era tutto questo possibile?
 
 

 
Harry, in un altro lato della città, di certo non se la passava meglio.
Era rimasto in cucina seduto al tavolo a riflettere su cosa fosse giusto fare, e il fatto di non saperlo ancora lo irritava terribilmente.
Si prese la testa tra le mani, cercando di ordinare i pensieri che si affollavano nella sua testa.
Quella sera aveva rischiato grosso, ed era arrabbiato con Louis. Era arrabbiato perché non doveva essere lì in quel momento, perché per poco entrambi non ci rimettevano la pelle.
Tutta la situazione si era rivelata assurdamente pericolosa, e anche Harry, nonostante la preparazione, aveva avuto paura, non si sentiva sicuro.
Si tirò i capelli per la frustrazione, stringendo gli occhi come per allontanare tutte le osservazioni che riempivano la sua testa.
Poteva semplicemente non pensare?
 
 

 
La mattina dopo, Louis aveva due occhiaie da far invidia agli zombie. Si preparò in fretta perché era già in ritardo e si incamminò verso scuola, senza voglia, cercando di non inciampare nei suoi piedi per la stanchezza.
Si voltò appena per aggiustare la cinghia dello zaino e vide un’auto che lo seguiva in lontananza.
Ebbe paura. E se fossero gli uomini della sera precedente?
Le immagini gli tornarono alla mente, e con esse tutte le emozioni che aveva provato.
Basta.
Si guardò intorno, cercando altre strade, ma non vide nulla. Imprecò sottovoce ed estrasse il cellulare dalla tasca. Non sapeva chi avrebbe chiamato ma tenerlo in mano lo rassicurava un po’.
L’auto gli si affiancò e Louis si voltò appena, vedendo il finestrino abbassarsi.
Sentì il sangue nelle vene gelarsi, le gambe molli, il cuore che batteva forte e che minacciava di uscire dalla gabbia toracica al più presto, se non si fosse calmato.
Stava per mettersi a correre quando riconobbe i ragazzi che c’erano dentro.
“Cavolo – iniziò Zayn – non devi aver dormito molto stanotte” disse squadrandolo da capo a piedi.
Louis alzò gli occhi al cielo e si infilò di nuovo in tasca il cellulare, adesso più tranquillo.
Aveva davvero creduto che quell’auto appartenesse agli uomini della sera prima e che fossero tornati a prenderlo?
Magari sì, per un momento l’aveva pensato.
“Sali, io e Liam ti diamo un passaggio” disse ancora, indicando col pollice il posto dietro di lui.
“No grazie, non voglio un passaggio da te” rispose Louis, accelerando un po’ il passo.
“Tecnicamente è Liam che ti offre un passaggio” Zayn sorrise divertito, poggiando il braccio sul vetro e lasciandolo penzolare un po’.
“Non voglio un passaggio da voi” si corresse Louis, continuando a camminare.
Zayn sbuffò. “Liam non ha sempre la possibilità di dare un passaggio, potrebbe non ricapitarti più. Ed è anche tardi” aggiunse, quando vide che Louis stava per rispondergli che non gliene importava nulla di Liam e della sua stupida auto che non aveva mai.
Louis allora salì, senza tante cerimonie, solo per farlo stare zitto e perché era davvero tardi.
“Sul serio Louis, non vogliamo mica ucciderti, stiamo facendo amicizia” gli parlò ancora Zayn, girandosi verso di lui dal sedile anteriore.
Vedendo che non gli rispondeva, Zayn continuò a parlare: “Vorrei davvero capire perché ci ignori. Sei uguale a Harry per quanto riguarda questo, magari è proprio questo a mettervi d’accordo” disse, sospirando.
Ma Louis di rispondere non ne voleva sapere proprio.
“Cosa ti ha tenuto sveglio stanotte?” chiese Zayn alzando le sopracciglia. “Ti ha reso anche parecchio irritante” disse con fare ovvio.
“Zayn, stai davvero parlando troppo e dando fastidio a Louis, lascialo un po’ in pace” dichiarò Liam, continuando a tenere gli occhi fissi sulla strada.
Zayn lo guardò alzando un sopracciglio.
“Sono d’accordo con Liam” disse Louis, sorridendo nella sua direzione.
“Oh ma insomma! Vi coalizzate tutti contro di me” disse Zayn, prima di girarsi e osservare la strada come Liam. “Potreste creare il team anti-Zayn, Harry ne sarebbe il capo assoluto” disse a bassa voce, anche se tutti nell’abitacolo lo sentirono.
Il resto del tragitto fino a scuola fu silenzioso, riempito solo dal rumore che le dita di Zayn facevano sul cruscotto per la sua impazienza.
Una volta che Liam parcheggiò l’auto, tutti e tre scesero.
“Comunque ero serio – disse Zayn avvicinandosi a Louis – stiamo cercando di fare amicizia” sollevò le spalle.
“E perché?” gli chiese di rimando Louis.
“Mmmmh” mormorò Zayn, facendo ridere Liam.
“Zayn non è così male come sembra” disse Liam poggiando una mano sulla spalla di Louis e spingendolo verso l’entrata dell’istituto scolastico.
Il parcheggio si trovava nella parte posteriore e loro dovevano raggiungere quella anteriore, prima di varcare l’ingresso di scuola.
“Tranne nelle volte in cui diventa insopportabile” continuò, sollevando le spalle con un sorriso.
Louis lo guardò, sorridendo. Liam gli stava simpatico, sembrava completamente diverso da Zayn.
“Ehi!” si lamentò Zayn, affiancando dall’altro lato Louis. “Non è vero, io non sono quasi mai insopportabile” raccontò, agitando una mano in aria.
“Strano, perché da quando ti ho conosciuto non hai fatto altro che essere insopportabile” gli rispose Louis, e Liam scoppiò a ridere. Zayn, dopo averlo fissato per un po’ di tempo, rise anche lui.
“Te la concedo” disse, dandogli una pacca sulla spalla.
Ad un certo punto, qualcuno si fermò davanti a loro.
Louis sollevò lo sguardo, ma la vista gli si offuscò a causa del sole che batteva su di lui.
Strizzò gli occhi e nella figura riconobbe Harry.
“Che diavolo state facendo voi insieme?” disse, agitando una mano verso i tre ragazzi.
“È bello che le prime due parole che mi hai rivolto da quando sei tornato siano ‘che diavolo’ e non ‘mi mancavi’ oppure ‘scusami se sono sparito’ ” disse Zayn, fissandolo storto.
“ ‘Scusami se sono sparito’ sono quattro parole” sottolineò Liam, facendo ridere Louis.
Harry li guardò e sollevò le sopracciglia.
“Non è ora per i sentimentalismi, Zayn” gli rispose Harry.
Quando vide Zayn schiudere le labbra per rispondere qualcosa, aggiunse: “E neanche per fare il cugino ferito e arrabbiato”.
“Senti…” cominciò Zayn, sollevando una mano per poggiarla sulla spalla di Harry.
“No, senti tu” lo interruppe Harry, afferrandogli il braccio e strattonandolo un po’ lontano dagli altri. “Non so quello che stai cercando di fare, ma non ti servirà a nulla”.
Non sembrava più Harry della sera precedente. Sembrava essere tornato quello di qualche giorno fa, quello un po’ distante, che sta sempre sulle sue, come se non gli importasse del mondo intorno a lui, e neanche delle persone che lo popolano.
“Possiamo parlare?” gli chiese Louis, diventando il centro dell’attenzione di tutti.
“No” rispose secco Harry, che lasciò il braccio di Zayn e si girò, cominciando a camminare.
Non gli importava di sapere di più su cosa Louis ci facesse con Zayn e Liam, non voleva che il ragazzo potesse porgli domande sulla sera precedente, su ciò che era successo, su perché fosse successo.
Louis lo seguì, affiancandolo. “Harry, davvero, dobbiamo parlare di ieri sera, mi devi una spiegazione, ieri te ne sei andato e basta” gli disse, ma Harry non sembrava nemmeno considerarlo.
“Harry” lo chiamò, ma questo accelerò. “Harry” disse ancora.
Ma niente.
“Porca puttana Harry” disse afferrandogli il braccio e girandolo appena verso di lui. “Questa non è una cazzata come la scopata di una ragazza e il tentativo disperato di sapere il suo nome, oppure la richiesta di una droga senza di cui non si può vivere. Ti sto chiedendo una spiegazione perché ieri siamo quasi morti e io – Louis prese un bel respiro, prima di far uscire l’emozione che lo tormentava più di tutte – ho paura” disse infine.
Harry lo fissò, non trovando parole da pronunciare.
“Oggi mentre camminavo una macchina mi ha affiancato e ho subito avuto paura” iniziò a raccontare Louis. Non riusciva a trattenere i suoi pensieri e ciò che provava, e sapeva che l’unico con cui poteva parlarne era lui.
Harry spalancò gli occhi, ma Louis si affrettò ad aggiungere: “Era Zayn” e Harry, che improvvisamente era diventato teso, si rilassò un po’. “Ma io ho avuto paura, perché non facevo che pensare a tutto quello che è successo, pensavo che magari quelli erano tornati per prendermi, per farmi del male. E tu non vuoi spiegarmi niente” sottolineò l’ultima parola, facendola pesare tonnellate.
Il riccio lo guardò, e finalmente rispose: “Mi dispiace che tu sia entrato in qualcosa più grande di te e soprattutto in qualcosa che non ti riguarda per niente. Mi dispiace davvero” aggiunse alla vista dello sguardo arrabbiato di Louis perché ancora una volta non stava avendo una spiegazione.
“Risolverò la situazione al più presto” gli disse, prima di muoversi verso scuola al suono della campanella.
Louis lo fermò ancora, poggiandogli una mano sul braccio: “Questo non mi fa stare più tranquillo” disse sincero.
Harry mise una mano nella tasca della giacca di Louis ed estrasse il suo cellulare.
Louis spalancò la bocca per la sorpresa, ma Harry, dopo aver digitato alcune cose spiegò: “Se hai qualche problema, fammelo sapere. È l’unica cosa che posso fare” disse tendendo il telefono e aspettando che Louis lo prendesse.
Harry ricominciò a camminare, ma Louis lo chiamò ancora. “Non mi spiegherai mai niente, vero?” disse.
Harry si voltò e gli sorrise, prima di fare il pezzo che lo separava dall’ingresso di scuola, senza che Louis lo chiamasse più.
Il ragazzo abbassò lo sguardo sul suo cellulare, per trovare un nuovo contatto nella sua rubrica:

Harry
 
 


 
“Ma che sta succedendo tra quei due?” chiese Liam, facendo un cenno nella direzione di Harry e Louis.
Zayn continuò a guardarli, cercando di capire ciò che stava succedendo, ciò che si stavano dicendo. Da quello che sembrava, Louis voleva parlare di qualcosa, ma Harry non ne voleva sapere.
“Non lo so” disse Zayn, che non ci capiva davvero niente.
“Sai cosa sembra?” domandò Liam, voltando un po’ lo sguardo in direzione di Zayn, che scosse la testa non sapendo a cosa Liam stesse pensando.
“Sembra che condividano qualcosa, come un segreto. È chiaro che lui non ne vuole parlare, sta cercando di evitarlo, ma Louis insiste. E poi, da quando Harry ha conosciuto Louis, è diverso. E adesso lo è ancora di più, come se Louis lo influenzasse completamente, come se lo…” Liam cercò la parola giusta.
“Cambiasse?” propose Zayn.
“Sì, ha un’potere strano su di lui” cercò di spiegare Liam.
Zayn si voltò verso il suo amico per un istante, e Liam ricambiò il suo sguardo.
“Come fai a capire certe cose?” chiese Zayn, concentrandosi di nuovo sui due un po’ lontani da loro.
“Non lo so, lo sento e basta. Capisco cose dai loro movimenti, anche se sinceramente credo che anche tu ti sia reso conto che se c’è Louis, Harry è strano” osservò Liam.
Zayn annuì. “Hai visto prima come ha reagito?” gli chiese, riferendosi al momento in cui Harry gli aveva stretto il braccio. “Quando mi ha detto che non aveva idea di ciò che stessi facendo, intendeva Louis”.
“Per non parlare di quando ci ha chiesto di cosa facessimo insieme a lui” ricordò Liam, passandosi una mano tra i capelli.
“Come se avessimo ucciso qualcuno” scherzò Zayn.
Entrambi videro Louis poggiare un braccio su quello di Harry.
“O come se Louis avesse fatto qualcosa di sbagliato” ipotizzò Liam.
Zayn non ci aveva pensato. Magari tutta quella situazione riguardava davvero solo Louis.
Gli tornarono in mente le prime domande su di Louis, quel ragazzo strano e misterioso che Harry non aveva mai visto; ricordava i martedì mattina e una conversazione con Harry mesi prima, che adesso sembravano anni.
 
“Hai qualcosa da mangiare? Sono affamato” chiese Zayn sedendosi sul divano e poggiando i piedi sul tavolino.
“Vedo ciò che riesco a trovare” rise Harry, e Zayn lo vide scomparire dietro la porta della cucina.
Prese il telecomando poco distante da lui e accese la tv, sintonizzandosi sul canale in cui trasmettevano la partita.
Dopo poco Harry arrivò, lanciandogli un pacco di patatine e continuando a mangiare dal suo di popcorn, che era già aperto.
Entrambi rimasero in silenzio a mangiare, continuando a vedere la partita, quando Zayn parlò: “Liam ha chiesto se dopo vogliamo andare da lui, per farsi perdonare per l’assenza di oggi pomeriggio o qualcosa del genere” disse, prendendo un po’ di patatine e infilandosele in bocca.
“Non capisco perché quel ragazzo si sente sempre in colpa” disse Harry, senza staccare gli occhi dal televisore.
“È fatto così” disse semplicemente Zayn, facendo spallucce. “Ma non mi hai risposto, ci vieni?” chiese ancora.
“Non posso” disse Harry, porgendo il pacco di popcorn e lasciando che Zayn ne prendesse un po’, visto che da tanto cercava di sottrargliene qualcuno.
“Perché non puoi?” domandò allora Zayn.
“Studio con Louis” sorrise Harry.
“Sei serio?” chiese il moro spalancando la bocca. “Per una volta puoi mancare, tanto che ti importa”.
“Mi importa, invece” lo contraddisse Harry.
“Ti importa dello studio, del lavoro o di Louis?” chiese Zayn, ridacchiando appena.
“Non so, studiare con lui è… bello” gli rispose, sollevando le spalle.
“Tu sei tutto strano, Harry” gli disse Zayn, prima di concentrarsi di nuovo sulla partita.
 
Zayn si risvegliò dal suo ricordo quando vide una mano di Harry infilarsi nella tasca della giacca di Louis per estrarne qualcosa.
Il suo cellulare.
Louis spalancò gli occhi, si poteva vedere la sua sorpresa, ma Harry continuò tranquillo a digitare qualcosa, e dopo glielo tese.
Zayn e Liam si scambiarono uno sguardo, per poi vedere Harry allontanarsi da Louis, dopo avergli donato un sorriso da sopra la spalla mentre si allontanava.
“Stai per caso pensando a quello che sto pensando io, Zayn?” chiese Liam.
Zayn lo guardò, prima di entrare a scuola per la prima ora.
 
 

 
Le prime ore erano passate troppo lentamente, e Harry non faceva altro che battere il piede a terra per il nervosismo. Voleva andare da Niall, mettersi a lavoro, non starsene lì con le mani in mano.
Il turbamento di Louis l’aveva dispiaciuto parecchio, gli spiaceva davvero per ciò che era successo a quel ragazzo che non era altro che innocente.
E poi c’era Zayn. Non capiva cosa ci facesse con Louis e poi l’aveva visto mentre insieme a Liam li guardavano da lontano.
Era l’ora di matematica, ora che Harry odiava, e se ne stava seduto al suo banco, attendendo con ansia che passasse presto, visto che dopo ci sarebbe stata la pausa pranzo e avrebbe avuto abbastanza tempo per telefonare a Niall, dicendogli di iniziare a cercare qualcosa.
Quello che si era dimenticato, era che Zayn faceva quell’ora insieme a lui, e che il banco accanto a Harry non era occupato.
Così, quando Zayn camminò spedito verso il posto vuoto, Harry sollevò gli occhi al cielo.
Ci mancava solo lui.
“Ciao Harry” salutò, poggiando lo zaino a terra, sotto il suo banco.
Harry sbuffò, tanto per far capire che l’aveva sentito. Posò il mento sulla mano e aspettò che la lezione cominciasse, sperando che il tempo passasse in fretta.
“Harry – lo chiamò Zayn – dobbiamo parlare” disse, e Harry si voltò.
“Che vuoi?” gli rispose seccato, sperando che la smettesse presto.
“Ho capito cosa ti sta succedendo, e cosa ti è successo. E va bene. Non capisco perché tu abbia deciso di evitare tutti e tutto per questo. Non ti cambia, non cambia ciò che sei… beh, più o meno” disse Zayn, sorridendogli.
A Harry tornarono in mente le parole di Niall, quelle che gli avevano fatto capire che nonostante tutto i suoi amici lo avrebbero accettato, anche se la sua vita era pericolosa, solo perché gli volevano bene davvero.
Vedendo che Harry non diceva nulla, Zayn continuò: “Non devi tenerti tutto dentro, devi parlarne con me e Liam. Siamo i tuoi migliori amici, Harry, e tu sei mio cugino”.
Harry lo guardò, prima di rispondergli: “Non potevo parlarne come se non fosse nulla”.
“Lo so, Harry, ma stare zitto non ti aiuta. Lo avremmo scoperto lo stesso, non è meglio se sia tu a parlarcene?” gli chiese Zayn, e Harry si trovò d’accordo.
Era meglio che fosse stato lui a spiegare loro come stava davvero la situazione, piuttosto che scoprirla perché si erano cacciati in un guaio, come era successo con Louis.
Anche se con Louis, Harry non ne avrebbe mai parlato.
Harry si arrese, aveva già deciso di parlarne con Zayn. “Hai ragione, mi dispiace di non averne parlato, e di avervi evitati, ma credevo fosse la cosa giusta da fare, per il vostro bene” disse Harry, fissando negli occhi suo cugino.
“Harry, a me non importa, non ho paura degli altri, a me interessi solo tu” gli disse, e Harry gli sorrise.
“Ne ho parlato anche con Liam e” continuò Zayn, ma fu interrotto da Harry.
“Ne hai parlato con Liam?” quasi urlò.
“Styles” lo richiamò il professore, che da poco aveva cominciato la lezione.
“Scusi” disse Harry, sperando che lo lasciasse in pace.
“Sì – riprese Zayn, quando il professore ricominciò a spiegare – ma a lui non importa, ti ho detto” gli disse.
“Ma non puoi dirglielo e basta. Almeno potevi lasciare che lo facessi io!” esclamò Harry, mettendosi una mano nei capelli.
“Ormai è fatta. Ma credimi se ti dico che l’ha presa bene” disse Zayn, e Harry si tranquillizzò un po’.
“Quello che vogliamo che tu capisca è che l’unica cosa che desideriamo è che tu sia felice” continuò.
“Felice?” chiese Harry.
Zayn annuì. “E in pace con te stesso”
“In pace con me stesso?” chiese Harry.
“Insomma, che tu stia bene così” riassunse Zayn.
“Che io stia bene così?” domandò Harry, che era sempre più confuso.
“Devi ripetere tutto quello che dico?” chiese Zayn, sollevando un sopracciglio.
“Zayn, non capisco di cosa tu stia parlando in questo momento” disse sincero Harry.
“Sei serio?” gli chiese Zayn, e Harry annuì.
“Sto parlando di quello di cui stavamo parlando all’inizio” gli spiegò, girando intorno all’argomento ma non arrivando al punto.
“Okay, ma questo che c’entra con l’essere felice e lo stare bene, in pace con me stesso?” domandò Harry, che non stava capendo proprio niente.
“Harry, non serve che tu faccia il finto tonto ormai” disse Zayn.
“Malik” richiamò il professore, e Zayn annuì, facendo intendere che aveva capito.
“Zayn, forse non hai capito…” cominciò Harry, ma fu interrotto.
“Harry, basta. Basta. Lo so io, lo sa Liam, è okay, va bene?” si assicurò di chiudere Zayn.
“Okay” disse guardandolo strano, prima di concentrarsi sulla lezione.
“Anche se lo ammetto, non pensavo che tu fossi gay” disse Zayn in silenzio.
“COSA?” urlò Harry, prima che il professore sbattesse il libro sul banco e urlasse: “Voi due, fuori!”












Bene bene bene! Devo ammettere che mi sono divertita tanto a scrivere la parte finale del capitolo, che adoro aw.
Questo capitolo non ha niente di tanto importante, tranne che per l'evidente avvicinamento dei Larry che si devono dare da fare, su su!
E' più lungo dei primi, proprio come l'ultimo, a voi va bene questa lunghezza? Lo vorreste più lungo o più corto o vi va bene così? 
Una recensione sarebbe una cosa bellissima, se vi va hahaha
Adesso vi saluto e ci vedremo presto, molto presto. Ciaaaao!

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Capitolo 16
*** Perplexed. ***


Harry e Zayn presero i libri e si avviarono verso l’uscita dell’aula.
Harry stava davanti e camminava spedito, rosso in faccia per la rabbia, mentre Zayn lo seguiva a testa bassa, un po’ annoiato.
Di certo non si aspettava che Harry reagisse in quel modo. Dopo che aveva pronunciato la frase ‘Anche se lo ammetto, non pensavo che tu fossi gay’ Harry aveva strabuzzato gli occhi e aveva urlato, cosa che li aveva spediti all’istante fuori dalla classe.
Insomma, dopo tutte le rassicurazioni che gli aveva dato non aveva motivo di reagire così.
Adesso Harry lo aspettava con gli occhi stretti a due fessure e la mascella contratta.
Era arrabbiato, chiunque l’avrebbe capito.
Zayn camminò fino a fermarsi davanti a lui, e aspettò che parlasse. Non attese neanche molto perché Harry iniziò subito a urlargli contro: “Come puoi pensarlo?”.
Zayn, trattenendo le risate, gli rispose: “Vedi che ho capito che tra te e Louis c’è qualcosa in ballo”.
Harry si sbatté una mano sulla fronte prima di rispondergli: “Certo che c’è qualcosa in ballo!” cominciò.
“Visto? Allora perché neghi?” lo interruppe Zayn, sollevando le mani sconfitto.
“Se la smetti di interrompermi posso spiegarti!” esclamò Harry. “Certo che c’è qualcosa in ballo, e c’è la vita. Io e Louis quasi non venivamo uccisi ieri sera, ecco di cosa parliamo!” gli spiegò, esasperato.
Zayn rimase di sasso a sentire quelle parole e spalancò la bocca. “Hai… hai cominciato a…” tentava di trovare le parole, ma era come se il suo dizionario fosse stato sostituito dal nulla in quel momento.
“Sì, Zayn, ho cominciato. Sapevi dov’ero, non avresti dovuto metterci tanto a fare due più due” gli rispose serio, incrociando le braccia al petto con il libro stretto ancora nella mano.
Zayn abbassò la testa e si passò una mano tra i capelli.
Era stato così stupido.
Sembrava che nessuno volesse più parlare, e il silenzio creatosi sembrava pesare tonnellate, così Zayn decise di romperlo: “E l’hai detto a Louis?” gli chiese.
Harry lo guardò come se fosse stupido. “Ovvio che no, come potrei?” gli rispose con fare accusatorio.
Zayn scosse la testa deciso. “Quindi, cosa vi è successo?” fece la domanda che Harry si aspettava, la domanda che gli avrebbe permesso di spiegarli tutto.
Infatti non perse tempo, e dopo essersi guardato intorno ed essersi allontanato un po’ dalle aule più vicine, cominciò a raccontare tutto, da quel venerdì in cui suo padre venne a prenderlo da scuola.
Tralasciò solo una cosa, l’albero.
 
 
 
 
“Quindi non è gay” disse Liam per la millesima volta, camminando con Zayn verso la mensa.
Zayn sbuffò, era davvero stanco di sentirsi ripetere quella domanda che sapeva più di affermazione.
“Sì Liam, non è gay” gli rispose, mettendosi le mani in tasca e continuando a camminare.
“Ma ha proprio detto che non lo è?” chiese ancora Liam.
Zayn si stava davvero stancando di mantenere quell’argomento, ma Harry gli aveva detto di non parlarne con Liam e gli aveva assicurato che un giorno o l’altro l’avrebbe fatto lui, ma fino a quel momento dalla bocca di Zayn non doveva uscirne neanche mezza parola.
Almeno adesso aveva cambiato domanda.
“In realtà non abbiamo parlato di quello” disse Zayn, piegando la testa da un lato e riflettendoci su per la prima volta. “Però mi ha spiegato cosa stava succedendo tra lui e Louis” continuò, pensando che la realtà spiegava il perché il discorso avesse cambiato fin da subito la piega dell’argomento.
“E cosa stava succedendo tra lui e Louis?” gli chiese Liam, che lo lasciò passare avanti per la fila per il pranzo.
“Niente, te lo spiegherà lui, un giorno” disse Zayn, facendo piccoli passi che lo avvicinavano al banco col cibo.
“Mi escludete sempre” sospirò stizzito Liam, fingendosi offeso.
Zayn sollevò gli occhi al cielo, non aveva più la forza di parlare.
Entrambi presero un vassoio e lo riempirono, pagarono alla cassa e si diressero al loro solito tavolo.
Da quando Harry si era allontanato per quei mesi, il loro gruppo si era un po’ sciolto: era come se Harry fosse la colla che teneva uniti i pezzi. Continuavano a vedersi alle feste, a uscire insieme, però tutti gli altri sembravano più distanti.
Dopo alcuni minuti che passarono in silenzio a mangiare, Liam diede una gomitata a Zayn.
Lui lo guardò male, producendo un leggero: “Ahi!” prima di capire che Liam l’aveva fatto per dirgli che Harry stava camminano verso di loro.
“Ciao” salutò, prima di poggiare il vassoio sul tavolo e sedersi vicino a Zayn.
Gli altri ragazzi seduti non prestarono attenzione a quell’azione che non vedevano da molto tempo, ma piuttosto fu come se si allontanassero un po’, senza azzardarsi però ad andarsene.
Derek, un ragazzo bruno dagli occhi scuri, sollevò la testa e guardò Harry. “Da quanto tempo!” disse, ricevendo un saluto con la mano di Harry che aveva la bocca piena.
Liam sorrise, perché Harry a quel tavolo era mancato.
“Ciao!” salutò un ragazzo, prima di poggiare il vassoio sul tavolo e allontanare la sedia per sedersi. Louis si passò una mano tra i capelli per sistemarseli meglio e dopo prese le posate dalla bustina di plastica in cui erano contenute.
Harry guardò Zayn ed entrambi si scambiarono uno sguardo confuso. “Louis? Che ci fai qua?” chiese Harry, sollevando un sopracciglio.
Louis sollevò lo sguardo dal suo piatto e guardò Harry, prima di rispondere: “Mangio” con la bocca un po’ piena e la forchetta vicino le labbra.
“Ma perché al nostro tavolo?” domandò Zayn, e il modo in cui lo disse sembrava cattivo.
Louis lo guardò, e sembrava completamente in imbarazzo.
“Lascia perdere Zayn, non è giornata. È stato sbattuto fuori dalla classe per colpa di Harry ed è nervoso con tutti” lo salvò Liam, che stando seduto vicino a Louis aveva capito che si era sentito fuori posto.
“Io sto benissimo, Liam” rispose acido Zayn, prima di concentrarsi sul suo cibo.
“Se volete che me ne vada” disse Louis una volta che aveva finito di masticare “me ne andrò. Pensavo stessimo diventando amici” sfidò Zayn, sorridendogli divertito.
Si alzò e prese il vassoio con una mano.
Ma Harry si allungò sul tavolo e gli afferrò un polso. “No, resta”.
Louis sorrise ad Harry, prima di rimettersi a sedere.
E Liam, Liam lo capiva che c’era qualcosa tra quei due, qualcosa di grande, che era solo all’inizio.
 
 
 
 
Era stata una giornata lunga e faticosa, e ad Harry ancora aspettava il peggio. Durante l’ora di pranzo si era completamente dimenticato di chiamare Niall e non appena arrivò al parcheggio di scuola, prese le chiavi dell’auto e si diresse velocemente alla Villa, per parlargli e iniziare a lavorare.
C’era un chiodo fisso nella sua testa da quella mattina, dopo il pranzo. Il modo in cui Louis gli aveva sorriso quando gli aveva chiesto di restare, l’aveva fatto sentire strano.  Aveva sentito dentro di se come se stesse cambiando qualcosa, come se si stesse agitando tutto.
Era così concentrato nei suoi pensieri che fece appena in tempo a frenare, rischiando di mettere sotto Niall. Il ragazzo, che gli aveva fatto segno da tempo, quando si era accorto che Harry non l’aveva visto, era sbiancato; ma ora rideva, e aveva ripreso un colorito rosso scuro per le risate.
“Cavolo, mi sono visto morto e steso sull’asfalto” scherzò Niall, quando Harry scese dall’auto e chiuse lo sportello dietro di lui.
“Stai bene?” gli chiese, avvicinandosi.
“Sì, non preoccuparti” lo rassicurò Niall, prima di girarsi e dirigersi verso l’ingresso seguito da Harry. “ma dove avevi la testa?” gli chiese, sollevando lo sguardo basso e piegando la testa da un lato per osservarlo.
Harry sbuffò, prima di dare le chiavi all’uomo fuori dalla porta ed entrare, senza più guardarsi indietro.
-
“Quindi non hai trovato niente, ancora?” chiese Harry per la milionesima volta, lanciando la piccola pallina da tennis per riprenderla subito dopo. Era teso sul divano da più di due ore, in attesa di qualche risposta di Niall.
“Se tu mi aiutassi al posto di stare steso a non far nulla, magari avrei trovato qualcosa” disse, digitando i piccoli tasti del computer e cercando notizie sulle cartelle dell’archivio.
Harry sbuffò. “Ma se quando mi sono avvicinato mi hai sgridato dicendomi di non toccare niente!” si lamentò.
Niall roteò gli occhi al cielo e continuò la sua ricerca.
“Niall, è davvero importante, dobbiamo trovare qualcosa al più presto” disse Harry tirandosi a sedere.
Niall allontanò la sedia dalla scrivania e si diresse verso i cassetti, alla ricerca di documenti.
Harry si avvicinò al computer, ma quando fissò lo sguardo sullo schermo non capì nulla di quello che c’era lì sopra, così si avvicinò a Niall, che continuava ad uscire cartelline e le sfogliava, invano.
“Harry, ci stiamo lavorando già da un po’, prima o poi troveremo qualcosa, ma di certo senza avere indizi non possiamo arrivare subito al punto” disse il biondo sospirando pesantemente, prima di passare la mano nel ciuffo e rimettere la scheda che aveva in mano al suo posto.
“Dio, ma solo io sono capace di immischiarmi in queste cose” si lamentò Harry, prima di lasciarsi andare nuovamente sul divano.
Dopo qualche minuto passato a lanciare la palla da tennis ancora e ancora, il suo telefono prese a vibrare senza sosta.
Lo prese e quando vide lampeggiare sullo sfondo un numero sconosciuto aggrottò le sopracciglia, prima di rispondere: “Pronto?” con voce un po’ incerta.
“Harry?” una voce conosciuta lo chiamò dall’altro capo del telefono.
“Louis? Che succede?” Harry subito allontanò le gambe dal divano e le poggiò per terra, pronto a scattare. Aveva sicuramente catturato l’attenzione di Niall, che aveva smesso di girare le pagine e ora aveva gli occhi fissi su di lui.
“No, niente. Non succede niente” disse tranquillo Louis, ed Harry sospirò, prima di rilassare le spalle.
“E allora perché diavolo mi hai chiamato?” disse un po’ arrabbiato, lasciando che Niall distogliesse la sua attenzione da lui e la riconcentrasse sui mille altri documenti che ancora dovevano essere controllati.
“Scusa, non pensavo di disturbarti…” Louis si trovò un po’ a disagio e passò una mano dietro il collo.
Si osservò nel riflesso della porta di ingresso e vedeva le guance un po’ arrossate: in effetti la reazione di Harry l’aveva lasciato un po’ stupito.
“Sto vedendo alcune cose, quindi se non hai niente da dirmi…” gli occhi di Harry indugiarono su Niall, che aveva chiuso tutto e si era fiondato nuovamente sul computer.
“No. Io… nulla. Tutto okay. Scusami” e Louis chiuse la chiamata, lasciando Harry con un sopracciglio alzato e tanta confusione in volto.
“Uhm, okay” disse a se stesso, visto che la chiamata era terminata.
“Che voleva?” chiese Niall, senza staccare gli occhi dallo schermo.
Harry fece spallucce. “Almeno ora ho il suo numero di cellulare se succede qualcosa. Gli avevo dato il mio ma non mi ero preso il suo” spiegò, ritornando steso sul divano.
Niall annuii, e dopo non parlarono più.










Wow. Ho aggiornato. Mi sembra un miracolo dato tutto il tempo che è passato.
Mi dispiace. Mi dispiace davvero. E non sto nemmeno qui a cercare scuse che possono anche solo spiegare il perché non ho più pubblicato.
Semplicemente non sentivo più la storia vicino a me, non la sentivo più "cara" come all'inizio. Però l'altro giorno ho ritrovato questo capitolo, scritto a metà, e ho pensato che non sarebbe stato giusto lasciare la storia incompleta. Soprattutto non sarebbe stato giusto lasciare le idee che la riguardavano solo nella mia testa.
Così eccomi qui. Prometto che la riprenderò, ce la posso fare.
Nel frattempo, però, ho scritto altre storie (altro motivo per cui non ho aggiornato questa).
Una si chiama Twinge, è principalmente su Ashton dei 5sos ma ci sono tutti, quindi se magari la band vi piace, o avete semplicemente voglia di leggere qualcos'altro, mi farebbe piacere che passaste a lasciare un parere.
Per ora vi ringrazio, e ci vediamo presto. Presto per davvero. :)

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Capitolo 17
*** Shadow. ***


"Chi è?" urlò Harry, prima di sbattere il corpo dell'uomo che aveva davanti, sul muro alle sue spalle. 
L'uomo sussultò: il forte contatto col muro duro e freddo l'aveva lasciato senza fiato. 
Aveva il viso arrossato e le gocce di sudore gli scendevano dai lati del volto, percorrendo la poca barba che gli ricopriva il mento.

"N-non lo so" cercò di dire, e Harry si lasciò andare ad un urlo scocciato ed esasperato. Sbatté di nuovo il corpo dell'uomo contro il muro. 
Quello smise di respirare per un attimo, prima di boccheggiare in cerca d'aria dopo che era rimasto per la seconda volta senza fiato.

"Dimmelo, porca puttana. Lo so che lo sai!" urlò, e Niall, lì accanto a lui e poggiato al muro difronte, lasciò scivolare la scarpa fino a terra e gli si avvicinò. Appoggiò la sua mano sulla spalla di Harry e la strinse forte, costringendo il ragazzo riccio a girarsi, col colletto della giacca dell'uomo ancora stretto nella mano sinistra. 
"Cosa?" domandò, gli occhi verdi che saettavano dalla figura quasi irreale di Niall a quella dell'uomo davanti a lui. 
"Calmati. Abbiamo tutto il tempo del mondo per stare a parlare con questo signore" disse facendo un sorrisetto furbo verso quell'uomo, "e tutto andar male sappiamo cosa fare" concluse, toccandosi distrattamente la tasca destra. 
Harry annuì, e l'uomo ingoiò la bile che gli si era creata in bocca. 
Era un continuo guardarsi, le risposte giuste rimanevano ancora impronunciate.

"Io non so nulla" ripeté, e Harry prese un gran respiro per non mettersi a prenderlo a pugni proprio in quel momento. 
"Allora facciamo così" disse il riccio. Infilò una mano al di sotto della giacca ed estrasse una pistola nera metallizzata da dietro le spalle. La caricò e posò la canna di questa sulla tempia dell'uomo. "O mi dici tutto quello che sai, o io sparo senza pensarci due volte. E lo faccio subito, senza neanche il tempo di lasciarti pregare Dio per un aldilà migliore" chiarì, spingendo ancora di più la pistola contro la testa. 
L'uomo guardò prima Harry e poi Niall, e quest'ultimo fece spallucce, come a dire 'è così, non posso farci niente'
Così l'uomo chiuse gli occhi, prese un gran respiro e: "non so esattamente chi sia, io non lavoro per lui. Sono stato ingaggiato da uno dei suoi uomini, o da uomini che sottostanno ai suoi uomini, non lo so esattamente. Paga bene, questo è l'importante, e il lavoro è piuttosto semplice e leggero" sputò fuori. 
Ma per Harry non era abbastanza: "che altro?" domandò, e il suo sguardo da completo folle doveva aver convinto l'uomo a dire qualunque cosa che gli passasse per la mente. 
Infatti, "non è giovanissimo, ma neanche tanto vecchio. Lo chiamano Ombra, a meno che tu non gli sia molto stretto non lo conoscerai mai. Non lavora mai direttamente, sono pochi gli affari che tratta in prima persona" aggiunse, e Harry annuì. 
"Okay. Ora, io ti lascerei anche andare, ma tu sai che ovviamente questa cosa che è successa stasera" disse indicando loro due con la canna della pistola "potrebbe provocarmi molti problemi. Quindi, siccome non mi va di ucciderti, come ci accordiamo?" domandò. 
Niall rise, perché il tono di Harry era minaccioso e allo stesso tempo ironico. 
Era rimasto sorpreso da come il ragazzo avesse preso tutta la situazione, quasi alla leggera.
"Io non parlerò" promise l'uomo. E Harry ci avrebbe anche creduto, se fossero duecento anni indietro, dove la parola di un uomo significava tanto. 
Così scosse la testa: "No. Darai tutti i dati che il mio amico ti chiede e se succede qualcosa di cui ti riterrò responsabile ti verrò a cercare. E vedi di ricordartela, questa pistola" disse posando nuovamente la canna di questa sulla sua tempia. "Ché la prossima volta questa sarà l'ultima cosa che sentirai" terminò, per poi lasciar andare l'uomo e avviarsi per il sentiero che l'avrebbe condotto alla strada dove lui e Niall avevano lasciato la macchina. 
"Questa cosa è stato un buco nell'acqua" disse Harry entrando nell'abitacolo e passandosi la mano destra nei capelli. 
"Oh, non proprio" Niall accese il motore dell'auto che ruggì, prima che partisse. "Almeno abbiamo qualcosa su cui lavorare" spiegò, non staccando gli occhi dalla strada. 
Harry annuì, eppure a lui sembrava che non avessero fatto neanche un passo in avanti, forse solo mezzo. 
"Sii fiducioso, Harry" aggiunse Niall, quando vide il ragazzo affianco a lui per niente convinto. 
---
"Come è possibile che non ci sia nulla nei documenti? Niall, mi stai facendo impazzire per questa cazzo di storia" si lamentò Harry che sentì Niall, dall'altro capo del telefono, sbuffare. 
"Lo so, Harry. Pensi che io non stia impazzendo? Semplicemente non c'è nulla, ho visto ovunque" disse, e Harry riuscì a sentire i tasti del computer che ancora venivano digitati in sottofondo. 
Harry si morse il labbro inferiore, frustrato, guardandosi intorno nel corridoio. 
Era al corso di storia, quando Niall 'Chiamami' gli aveva scritto. 
"La cosa strana è che sembra che ci sia qualcosa ma che manchi un minimo di qualcos'altro per arrivare alla sezione di documenti giusta. Dio, non ci capisco più niente" si lamentò il biondo, poggiando la schiena allo schienale della sedia girevole. 
"E se chiedessimo a mio padre?" chiese Harry, e Niall cominciò subito a replicare. "Non esiste. Se sa che ti sei messo in certi guai se la prende prima con te e poi con me. E poi, abbiamo già tante cose e problemi a cui pensare e da risolvere, questo sarebbe un altro peso in più. E comunque..." Niall cominciò, ma lasciò la frase in sospeso. 
Harry lo sapeva ciò che Niall stesse per dire ma comunque "Cosa, Niall?" domandò. 
Niall esitò un po', lasciando la chiamata in un minuto di silenzio, prima che Harry lo rompesse: "a mio padre non importerebbe nulla di... Louis!" il ragazzo dagli occhi azzurri andava verso Harry, un sorriso imbarazzato sul volto, una mano in tasca e l'altra dietro il collo. 
Harry si voltò appena e: "è qui, parliamo dopo. Fammi sapere se ci sono novità" aggiunse al telefono in silenzio, prima di chiudere la chiamata e ficcare il cellulare in tasca, senza lasciare a Niall il tempo di dire anche solo una parola.
"Harry" lo salutò Louis con un cenno, che Harry ricambiò. "Che ci fai fuori dalla classe?" chiese poi, evidentemente non sapendo che altro dire. 
"Ho risposto a una chiamata" disse Harry facendo spallucce. "Tu?" domandò poi. 
Louis passò la mano su e giù per il collo, prima di: "mi hanno chiamato dalla segreteria" spiegare. 
"È successo qualcosa?" chiese subito Harry, facendo un passo avanti. 
"Cosa?" Louis sembrava spaesato. "No... No, è tutto okay. Solo mia sorella, nulla di che" dal mondo in cui distolse lo sguardo Harry capì che ci fosse qualcosa in più.  
"Sta bene?" chiese allora, ma presto capì di aver superato il limite, perché quando si parlava di famiglia, Louis era il primo a tirarsi indietro. 
Era come se ogni volta che Harry nominava un parente, per Louis era come mettere un piede sui carboni ardenti.
Ci provava, a camminare, ma veniva subito scottato e il dolore era così forte che si tirava indietro velocemente, senza pensarci due volte.
"Io... devo tornare in classe" disse Harry, quando anche lui iniziò a sentire una forma di disagio crescergli dentro. 
Così si girò di spalle e si avviò per il corridoio, ma una voce lo chiamò: "Harry, aspetta".










Ciao!
Capitolo schifoso, possiamo dire di passaggio.
Vi racconto la storia legata a questo capitolo: l'avevo scritto, ma poi il mio cellulare si è rotto. Per fortuna l'avevo salvato nella mail e nulla, ora l'ho pubblicato. Nel frattempo, però, ne ho scritto un altro, e non mi ricordo perché l'avevo fatto finire in questo modo, questo HAHAHAHA
No okay, una mezza idea ce l'ho, ma dubito che sia esattamente quella giusta, mmmh.
Niente, tornerò presto lalala e per favore, se vi piacciono i 5sos e vi va di leggere una storia, ho scritto Twinge, che è principalmente su Ashton e boh, mi farebbe troppo piacere che la leggeste.
vvb, ora vado.
A presto! :)

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