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Autore: Gens    12/07/2014    1 recensioni
"La misura dell'amore è amare senza misura"
Stessa ora, stesso incubo, stessa sensazione.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eileen camminava sul marciapiede che costeggiava il mare godendosi il sole mattutino, lasciando che penetrasse attraverso i suoi capelli biondi e le trasmettesse tutto il suo calore.
Il vestito azzurro che indossava si librava intorno a lei grazie al vento che rinfrescava l'aria e non la rendeva afosa.
Era felice, rideva, e si godeva quella situazione di assoluta tranquillità.
Aprì i suoi occhi azzurri color cielo e questi rimasero accecati per una frazione di secondo dalla forza con cui il sole illuminava il suo viso.
Niente avrebbe potuto rovinare quel momento così bello.
Ad un certo punto, vide un ombra lontana sulla sua strada. Sembrava essere spuntata dal nulla, come se si fosse plasmata dalla polvere che ricopriva la strada lastricata.
Eileen non sapeva riconoscere nessuno in quell’ombra, però dal modo di camminare e dalla costituzione, riconobbe l'ombra come quella di un uomo.
L'ansia nacque e si diffuse in lei, brividi di paura le percorsero la schiena arrivando fino alla nuca dove si rizzarono i capelli, un senso di terrore la costrinse a fermarsi. 
Voleva girarsi, scappare via, ma sembrava che i muscoli avessero smesso di funzionare come lei voleva, e intanto l'ombra si avvicinava sempre di più.
Ormai era vicinissima, solo qualche passo a tenerli a distanza…



E poi Eileen si svegliò.
Si sollevò di scatto dal cuscino, tutta sudata e ancora ansimante.
Si guardò intorno e riconobbe i letti a castello delle sue compagne di stanza, le pareti consumate e con le crepe, le sedie arrugginite e gli armadi ricoperti da scritte e adesivi.
Controllò l'orologio sul comodino accanto al letto: 
04:46

Stessa ora, stesso incubo, stessa sensazione.
Eileen ricadde sul letto e chiuse gli occhi, con la speranza di addormentarsi e riposare ancora un po’, ma soprattutto di non sognare più l'ombra che si avvicinava a lei.

Quando si risvegliò, tentò, come ogni mattina, di allontanare quell'incubo che la teneva sveglia da mesi ormai. Avrebbe voluto parlarne con la sua psicologa perché, come diceva lei, “Qualunque forma di turbamento può essere risolta”, ma la sentiva una cosa troppo personale per parlarne con qualcuno. 
Non riusciva a spiegare quella sensazione: era come se l’ombra non fosse semplicemente qualcuno che le metteva paura, ma come se fosse anche qualcuno che le apparteneva.
Non era riuscita a dormire per molto tempo, quindi si era alzata presto dal letto e prendendo tutto ciò che doveva indossare, si diresse ai bagni comuni del suo corridoio.
L'Istituto in cui viveva da quando era nata accoglieva orfani che avevano perso i genitori in un incidente, oppure che erano stati abbandonati sulla soglia del portone di ingresso, o ancora, quelli che venivano strappati via dai genitori perché questi non crescevano i loro figli in condizioni adatte.
Eileen era stata abbandonata e cresciuta dalle donne che lavoravano in quell'istituto da anni ormai.
Dei suoi genitori non sapeva nulla: avevano lasciato solo un biglietto con su scritto il suo nome, tutto il resto le era sconosciuto. Il biglietto era accompagnato da un braccialetto in oro su cui c'era inciso il suo nome con una scrittura molto elegante ed Eileen lo portava sempre al polso. 
Oltre quello però, nient'altro.
Le era capitato più volte di essere scelta da una famiglia per essere adottata, per via dei suoi capelli biondi e gli occhi azzurri, ma lei si era sempre opposta, aveva sempre trovato un modo per impedire che questo accadesse; e ora che aveva sedici anni, nessuna famiglia la voleva più, era troppo grande.
Quando ebbe finito di prepararsi, si recò a prendere qualcosa per fare colazione.
Non era sua abitudine mangiare la mattina, ma sgattaiolava in cucina e prendeva qualcosa per quando le sarebbe venuta fame nella tarda mattinata.
Assicurandosi di aver infilato in tasca abbastanza cibo, si diresse verso la biblioteca comune e riprese il libro che aveva cominciato da qualche giorno.
Era Cime Tempestose di Emily Brontë. Ne aveva sentito molto parlare e presa da una morbosa curiosità, lo aveva cercato in tutta la biblioteca fino a trovarlo.
Durante la lettura, però, ne era rimasta un po' delusa, perché più le pagine passavano, più odiava il personaggio di Catherine e non riusciva a capire come alcune donne la potessero prendere per esempio: era egoista, dispettosa, arrogante... insomma, odiava completamente il suo personaggio.
Nonostante questo, si sedette sulla sdraio posta nel giardino anteriore e ricominciò a leggere.

Le sembrarono passati pochi minuti quando una ragazzina minuta, un anno più piccola di lei, occhi scuri e capelli ricci dello stesso colore degli occhi, di nome Anita, le si avvicinò e le chiese: “Vieni a mare con noi?” 
Eileen sorrise e, cortese come sempre, disse: “No, grazie”.
L'istituto in cui passavano tutto l'anno si trovava in un paese sul mare e d'estate le animatrici che aiutavano nella gestione dell'istituto decidevano di portare i ragazzi al mare e di far passare loro il tempo in modo diverso.
Eileen rifiutava sempre perché lei odiava il mare, ma nonostante questo, lo faceva anche perché si sentiva estranea al resto del gruppo: non che non avessero provato a stringere amicizia con lei, anzi, ma Eileen preferiva stare da sola, discostarsi dagli altri. Infatti non aveva amici, solo conoscenti, il che non è normale visto che vivi tutti i giorni della tua vita con le stesse persone per tutte le ore.
Anita annuì e si allontanò da lei, avvicinandosi al resto del gruppo.
Gli occhi azzurri di Eileen la seguirono mentre riferiva che non sarebbe andata con loro, sollevando le spalle come se fosse la cosa più normale del mondo, e vide gli altri non farci troppo caso, ormai erano tutti abituati a lei e ai suoi comportamenti.
“Sai – disse una voce dietro di lei – potresti anche andare a mare ogni tanto”. Eileen si girò e trovò la signorina Collins con le braccia conserte e uno sguardo contrario alla sua decisione.
Quella donna era ciò di più simile ad una madre che Eileen possedeva, ed era stata contenta nell’avere il suo cognome perché se anche un giorno avesse deciso di andare via per sempre, avrebbe tenuto sempre con sé una parte di quella ragazza a cui doveva così tanto.
Magda Collins era forse l'unica amica che Eileen aveva, ma considerare la sua amicizia, era come considerare l'amicizia di una madre per chiunque altro.
“Sai che non mi piace” rispose Eileen con un'alzata di spalle.
“Ma potrebbe aiutarti a socializzare, a farti degli amici, magari a trovare un ragazzo” disse Magda con voce maliziosa.
Eileen alzò gli occhi al cielo.
Certo, desiderava anche lei la sua storia da favola, l'amore perfetto ed eterno dei libri, ma in realtà credeva che non esistesse, non può esistere niente di cosi unico e perfetto nel mondo reale.
“Lyn davvero – disse Magda avvicinandosi e poggiandole un braccio sulle spalle. Aveva usato il suo soprannome con voce molto dolce, proprio come si fa quando si parla ad un bambino. – Hai diciassette anni quasi, tra un anno andrai via di qui e ho paura che rimarrai sola. Ma la cosa che più mi spaventa, è che guardandoti indietro ti accorgerai di non aver vissuto a pieno la tua vita” terminò Magda, con voce preoccupata.
“Ma sono ancora un’adolescente! L’unica cosa di cui potrei pentirmi è la mia adolescenza, non la mia vita” cercò di scherzare Eileen.
Magda la guardò con sguardo severo. “Sai cosa intendo”.
Certo che sapeva cosa intendeva. Era vero, magari Eileen stava perdendo solo quella che era la sua adolescenza, ma certe cose ti segnano per sempre. Per questo Magda aveva usato la parola vita.
Eileen la guardò negli occhi e si sentì molto in colpa per il fatto che la faceva preoccupare così tanto. Voleva davvero accontentarla, ma non ci riusciva, era più forte di lei.
“Io ci provo, Magda, ma...”
“Non ci provi abbastanza. Non ci provi per niente, Eileen” le parole che disse potevano essere intese come un rimprovero, come una critica sul suo modo di essere, ma il tono della voce con cui la signorina Collins le pronunciò, fece trasparire tutt'altro che questi sentimenti.
Eileen si morse il labbro inferiore, non sapendo come rispondere e fermando l'impulso di scappare via ed evitare quella conversazion.
“Ti prego Eileen, promettimi che cercherai di fare amicizia, di essere felice” riprese Magda, dopo aver atteso una risposta che non arrivava.
“Ma io sono felice” fece notare Eileen.
Lei non si sentiva triste, o depressa, o sola. Non le mancava niente.
Stava benissimo, era in pace con se stessa, non sentiva la necessità di trovare amici o compagnia.
Sarà perché quando sei abituato a vivere con niente, non senti la necessità di qualcosa.
“Voglio che tu sia felice con gli altri” rispose Magda. Dopo di che le diede un bacio sulla fronte, si alzò e si diresse verso l'ingresso dell'istituto.
Eileen la seguì con lo sguardo e ad un certo punto la vide fermarsi.
“Aaaah – esclamò Magda, avvicinandosi un po' a lei – domani arriva un nuovo ragazzo in trasferimento. Potresti cominciare a fare amicizia con lui” sorrise.
Eileen alzò gli occhi al cielo.
La signorina Collins le si avvicinò del tutto e si piegò sulle ginocchia per avere il suo volto all'altezza del viso della ragazza.
“Ti prego Lyn – sussurrò – promettimi che ci proverai. Se non vuoi farlo per te, fallo per me”.
Eileen voleva dirle che non ce l'avrebbe fatta, che lei non aveva la stoffa dell'amica, né era il tipo di persona capace di stringere amicizia, ma vedendo gli occhi della donna che l'aveva cresciuta, notando la sua sofferenza, non fece altro che rispondere: “Okay, ci proverò. Per te.”
E Magda le sorrise.
  
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