Collina dei Fiori

di Cocconut_N
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo ***
Capitolo 8: *** Ottavo capitolo ***
Capitolo 9: *** Nono capitolo ***
Capitolo 10: *** Decimo capitolo ***
Capitolo 11: *** Undicesimo capitolo ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo capitolo ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo capitolo ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo capitolo ***
Capitolo 15: *** Quindicesimo capitolo ***
Capitolo 16: *** Sedicesimo capitolo ***
Capitolo 17: *** Diciassettesimo capitolo ***
Capitolo 18: *** Diciottesimo capitolo ***
Capitolo 19: *** Diciannovesimo capitolo ***
Capitolo 20: *** Ventesimo capitolo ***
Capitolo 21: *** Ventunesimo capitolo ***
Capitolo 22: *** Ventiduesimo capitolo ***
Capitolo 23: *** Ventitreesimo capitolo ***
Capitolo 24: *** Ventiquattresimo capitolo ***
Capitolo 25: *** Venticinquesimo capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


Parole della traduttrice:
Prima di iniziare, ho qualcosa da dire, innanzitutto questa è una storia tradotta, l'ho tradotta perché mi è piaciuta veramente un sacco il trama e spero che vi piaccia anche a voi, infatti, a tutti coloro che non piacerà i primi capitoli, vi prego di continuare a leggere perché pensate che prima che mi piacesse questa ff, l'ho abbandonata quandi iniziai a leggere i primi capitoli per almeno cinque volte, solo quando ero arrivata al punto in cui appaiono tutti i personaggi, la storia inizia ad essere interessante, infatti, pls, non abbandonatemi ai primi capitolo *^*  Inoltre, quando iniziai a tradurre questa storia era tipo due anni fa, infatti non ero così brava a scrivere in italiano, anche se nemmeno adesso sono assai brava, ma ho iniziato già a modificare i primi capitoli. E lo dico tutte le volte che scrivo, cioè quando vedevo qualche errore grammaticali o altri, non mi dispiace per niente se me lo dite ^^
Infine, Buona lettura a tutti!

 

♦ La collina dei fiori ♦

La continua lotta fino alla morte,
non è per fine della gloria,
ma per continuare la vita su questa terra.

-Vasilij Terkin
 

• Primo capitolo •



Sopra la sua testa ci sono le stelle inchiodati su quel cielo freddo e buio. Di giorno, il sole primaverile riscalda tutta la penisola iberica. E di notte, quelle stelle ritornano nell’alto cielo brillando una fredda luce.
L’acqua del mare, della patria, come un familiare, come delle lacrime, schizzano sul volto del giovane.
Esso fa un passo avanti verso il mare, nella mano sinistra ha un fiammifero da cui può avere un po’ di luce, e la mano destra protegge con cura la piccola fiamma dal vento.
Sente di essere l’ultimo figlio della Spagna, e tutto ciò che ha usato per trascorrere questi 19 anni di vita, adesso sta per bruciarsi nelle sue mani.
Con l’aiuto della fiamma riesce a vedere il volto del ragazzo che si trova davanti a lui, sotto quella fronte pieno di orgoglio, quelle folte sopracciglia sono come le ali di un gabbiano volante. Di un tratto, capisce che le ossa di quel ragazzo sono le scogliere, il sangue è l’acqua del mare. Quel colore così chiara della pelle di certo lui non è uno spagnolo, ma uno nato e vissuto in qualche nazione più a nord dove il sole è molto più gentile. Quel corpo ricoperto da un impermeabile, come anche quella piccola barca ai suoi piedi, sono nascosti nell’ombra dove la luce della fiamma non ci arriva.
“Arthur Kirkland.” Il ragazzo stringe la sua mano con un sottile bozzolo a quello del giovane spagnolo, “Provengo da Liverpool, lottato nella battaglia Jarama, è sono del quindicesimo Brigata mista internazionale.”
Lo spagnolo rispose balbettando per l’eccitazione: “An…Antonio Fernandez Carriedo. Ti… vi ringrazio di tutto quello…quello che avete fatto per la…Spagna…” Spagna, il nome della nazione dove è nato e vissuto per diciannove anni, dove ha avuto degli amici, dove ha imparato a parlare, scrivere e leggere, dove ha preso per la prima volta il fucile in mano, e dove adesso sta per essere abbandonato da lui stesso. Questo nome della nazione che per dopo tempo lascerà, si incastra nella gola come un mite coltello.
“Per la Spagna…eh?” Arthur sussurrò con quella forte tono straniera, “Siamo venuti da tutto il mondo per combattere insieme a voi, e adesso voi,  l’abbandonate così e andate verso il mondo? E se qualcuno ti chiedesse della Spagna, come risponderesti?”
All’istante, strinse fortemente la cinghia del vecchio zaino. E nella stesso momento, una voce profonda proveniente dalle spalle di Arthur sostituisce la sua risposta: “Noi risponderemo che la Spagna ha smesso di sanguinare perché ormai non ci rimane più.”
Solo in quel momento, la luce della fiamma riuscì ad illuminare le facce serie della gente che si trovano sulla ponte della barca. Sono come lui, dei capelli ricci e castani e la pelle abbronzata. Questi compagni spagnoli di nome Fernando, Sergio, José, Juan ecc., sono provenienti da Valencia, Albacete, Malaga, Madrid, Gradana e altre città o villaggi. Loro sono come lui, forse, non metteranno mai più il piede sul terreno della Spagna.
Questa è la notte del 29 marzo 1939. Proprio il giorno prima, l’esercito di Franco era entrata in Valencia e Madrid. Molti anni dopo, i storici diranno: “Quel giorno, la repubblica della Spagna infine ha fallito.” Ma tutti quelli che hanno partecipato alla guerra civile diranno: “La repubblica della Spagna non aveva fallito, ha solamente smesso di sanguinare.”
“Addio, la mia patria!” Antonio salta su questa piccola barca da pesca, le mani stringono con tutta la sua forza la barca. E così, lasciò il tutto alle spalle. Come se non avesse mai dato il benvenuto ai fratelli delle brigate internazionale, mai seppellito i cadaveri dei compagni di battaglia al fiume Jarama, mai dormito con il fucile in mano a Guadalajara, e non ci fosse mai stato quel straziante ritiro al fiume Ebro.
Tutto quello che c’è solo questo mar Mediterraneo, e la immensa solitudine di tutti i naufragi.
All’improvviso, attraverso gli occhi sfocati dal vento del mare, vedono un magro cavallo che calpesta le pesanti onde e corre velocemente verso la barca. Sopra il cavallo c’è un vecchio e magro signore con un’armatura medievale, e brade verso di lui lo scudo e la spada.
“Dove vai,  ragazzo mio?” la lunga barba bianca del vecchio signore muove insieme al vento davanti al suo petto, e ha la faccia pieno di dolore e lacrime, “Ogni mia battaglia è finita con il fallimento, ma tu, ragazzo mio, perché non resti con la patria!”
“Non so se dovessi chiamarti Don Chisciotte o Miguel de Cervantes, ma, perdonami per favore!” Antonio muove leggermente le labbra, “Ho fatto del possibile. Ma adesso, voglio solamente continuare a vivere…”
La spada arrugginita si spezzò, il vecchio alzo le mani verso avanti, come se volesse pulire le fredde lacrime del giovane, ma lui stesso iniziò a piangere: “Spagna! Madre mia, la patria dei miei figlioli!”
All’improvviso, il vecchio e il suo cavallo scomparve tra le onde del mare. Antonio strinse il suo vecchio zaino cucito dalla madre, nella quale c’è un vecchio libro di ‘Don Chisciotte’, quelle parole e frasi invisibili stanno battendo insieme al suo cuore.
“Vuoi un sigaro, ragazzo?” Un uomo di Aragon gli chiese, lui pulisce subito le lacrime rimanenti negli occhi, e alza la sua piccola borsa del tabacco preso dalla tasca della giacca, “No, grazie, ho portato da solo del tabacco.”
L’uomo gli diede un piccolo pezzo di foglio, “Bene, non importa che tipo di dolore hai, fumare un po’ riesce sempre portasela via.”
Con la piccola luce dei sigari, si può vedere meglio questa piccola borsa del tabacco. Questa cosetta l’ha accompagnata per più di due anni, era ancora la primavera del1937, le lettere e oggetti di supporto provenienti da tutto il mondo sono arrivati nelle mani dei repubblicani. Quei tempi era ancora uno studente appena uscito da una scuola di Madrid, per far sembrare più maturo ha imparato a fumare. E non si sa da quale nazione viene mandata questa piccola borsa del tabacco, su una normale stoffa di casa, ci sta cucito queste parole:
“Per l’aquilotto spagnolo: un giovane saluto! La piccola gru bianca.”
Forse era proprio per queste parole che da tutti quegli oggetti il giovane Antonio aveva scelto proprio questo. Poi, ogni volta che gli serviva un po’ di sopporto per le battaglie o le perdite, vedendo questo messaggio mandato da non sa chi, capiva che fuori dalla Spagna c’era questo tipo di gente, i loro cuori dopotutto erano molto vicini.
“Il nostro Tony ha imparato a fumare, non è più un moccioso, ma è diventato un uomo!” Gli aveva detto così il padre prima che fosse sacrificato nella battaglia di Ebro.
“Sì, sono un uomo!” Disse tra se e se a bassa voce ma chiaramente, e mette il sigaro in bocca.
Antonio ha solo diciannove anni, anche se è stato già bagnato per due anni nei ceneri delle guerre, ma ci sono ancora molte cose che non riesce a capire, e non riesce ad immaginare. E in quel momento, non può sapere che dietro alle sue spalle, sulle scogliere della patria ci sta sua madre – una semplicissima donna spagnola, Maria Carriedo.
La madre lo dice con un tono da ordine:
“Oh Dio, fai in modo che la mano della morte non si avvicina al mio figlio!” Il vento del mare soffia il suo ordine verso l’immenso buio, poi, come le rondine, ha le braccia aperte, come se volesse volare oltre al Mediterraneo  insieme al crudele destino nel figlio.
“Oh Dio, ascoltami bene! Mio figlio si chiama Tony, Antonio Fernandez Carriedo! Io, Maria Carriedo, sono sua madre! Mio figlio, il mio tesoro, non ha voluto che vengo qui a salutarlo, non perché è un cattivo ragazzo e non mi vuole bene, ma perché ha paura che si getta tra le mie braccia nell’ultimo momento! Io gli augurò per sempre buon viaggio, mio piccolo aquilotto, spero che il destino non spezzasse mai le sue ali…”

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


• Secondo capitolo •



 “I treni d’Italia sono tale e quale alla sua gente, sembrano usciti da una casa di cura! Su via, un po’ di velocità!” Gilbert batte i tacchetti dello stivale contro il pavimento del treno facendo dei ‘tac tac’, “Se continua a gattonare così, il magnifico me si suiciderà buttando giù dal questo stupido treno!”
Questa è già la sesta volta che Gilbert ‘minaccia’ i treni italiani con la propria vita. Ma non fu ricompensato affatto, il treno sta ancora gironzolando lentamente sulla pianura padana. In questa situazione, non parliamo  del suicidio, sarebbe già abbastanza difficile se saltando giù qualcuno si prende una bella rottura alla gamba, la velocità del treno non vuole proprio aumentare.
Antonio ascolta con pazienza i lamenti del compagno, mentre si siede su un altro bagaglio che non sa di chi, e le braccia le tiene sempre davanti al petto. La busta cerata e sigillata sta nella tasta interna della giacca, lì dentro ci sono i soldi da parte dell’organizzazione della resistenza per le brigate d'assalto “Garibaldi”. Per ottenere questi soldi, Antonio e Gilbert sono andati fino a Milano dal quartier generale che si trova negli Appennini.
Gilbert aveva insistito a prendere il treno, ma questo non è niente, tanto c’è un tizio che falsifica i documenti nella resistenza. La cosa importante è che questo soldato anti-fascista/partigiano, Gilbert Beilshimit è un vero e proprio tedesco. Sfortunatamente, i due sono capitati un vagone sporca, puzzolente e pieno dei soldati nazisti ubriachi, ma Gilbert sventola orgogliosamente i suoi documenti da montatore, e presenta lui e il suo “allievo  spagnolo”. Infatti tutto ciò è troppo normale, troppo da sembrare anormale.
Da quando Antonio ha abbandonato le coste della patria, sono già passati quattro anni. Quattro anni di tempo, è abbastanza lungo che un semplice soldato che non sa mai cosa fare a diventa un bravo partigiano pieno di esperienze. E guarda con un espressione soddisfatta da un latino il vagone chiassosa e sporca. Oltre i soldati nazisti ubriachi, ci sono anche dei mercanti che discutono sulla differenza dei prezzi di pasta e burro di diversi mercati.
Tra cui, c’è una ragazza che attira tanto l’attenzione di due ragazzi. Con la luce proveniente dal finestrino, Antonio vede dei capelli castani che scivolano fuori dalla fascia, e quegli occhi dal colore della giada guarda intorno senza timore. “Sembra una di quelle eroine nelle storie popolane, si vede dagli occhi che è una persona intelligente. Le ragazze belle ci sono parecchie, ma quelle intelligenti, non è che vedi tante in giro.” Gilbert sussurra vicino alle orecchie di Antonio.
Ma Antonio non sta pensando proprio a questo argomento sulle ragazze belle o intelligenti, il calore del treno gli fa venire il sonno. Il ragazzo mezzo addormentato inizia a pensare di come era finito in Italia.
 

Quattro anni fa, dopo aver lasciato i confini della Spagna, era arrivato al sud della Francia, a Nizza, e proprio lì che aveva conosciuto l’astronomo Francis Bonnefoy. Il francese aveva abitato per anni nell’osservatorio che si trovava sui Pirenei, ma per alcuni problemi del corpo aveva dovuto trasferito a sud, vicino al mare. “Frate’, mi mancano le donne belle e buoni vini della terra.” Francis gli aveva detto, “Resterò qui per ancora un po’, e l’estate prossimo andrò a casa, a Parigi, poi ritornerò sui Pirenei, a controllare un attimo il cielo! Anto, ti piacerebbe venire insieme a me?”
Ma se veramente dovesse andare sulla cima dei Pirenei, Antonio aveva pensato che sicuramente sarebbe rotolato giù dal monte, e avrebbe rotto tutte le ossa tra piantagioni dei pomodori sotto la montagna!
Ma proprio qualche giorno prima della loro partenza, il 14 giugno 1940, il radio aveva comunicato una notizia che deve essere maledetta per sempre. “Ma quello è Parigi!” Francis aveva dato un pugno sul tavolo davanti al radio, “Il mio Parigi! Il Parigi di Giovanna D’Arco, il Parigi di Maupassant, il Parigi di Hugo e di Romain Rolland!”
La memoria riguardo il poi c’era “Appello del 18 giugno” del generale de Gaulle, poi “France libre”, La Marseillaise e spari. Durante quelle battaglie, Antonio aveva capito che il vero uomo, non deve avere paura anche non essendo sulla terra degli antenati.
Successivamente, nelle notti dell’estate del 1943, quando i due avevano scavalcato gli alpi, ed dirigevano verso la guerriglia al nord dell’Italia, guardando le stelle che tremano sul cielo, e Francis gli aveva detto: “Vedi, Anto……alla fine degli anni trenta, quando stavo ancora nell’osservatorio dei Pirenei, sentivo spesso gli spari che provengono dalla Spagna, anche le stelle nel telescopio tremavano, un po’ come lo stanno facendo oggi. E solo in questi anni ho capito che un astronomo più amore ne ha per le stalle, più non resiste le sofferenze della terra…”
……I ricordi non continuò, non si sa quando, Antonio come tutte le persone allegre, si addormentò profondamente. All’improvviso, sentì dei rumori strani. La testa viene colpito da qualcosa, il sonno sparisce completamente. Adesso capisce chiaramente che qualcuno gli sta per buttare fuori dal treno. Fuori al treno ci sta un fiume che sta camminando lentamente.
Antonio inizia ad avere paura. Cerca in ogni modo di rimanere nel vagone, ma tanti mani lo afferrano, e lo buttano fuori dalla porta del vagone. La bruma serotina fece un giro nei suoi occhi, e subito dopo diventa l’acqua del fiume che entrò dal naso. Lo spaventoso rumore dell’acqua copre tutto il resto.
Il fiume non è profondo. Quando alza la testa dall’acqua, l’ultimo vagone del treno passa davanti ai suoi occhi, e la ferrovia e le ruote del treno sembrano che stanno deridendo di lui. L’unica cosa che capisce da questa serie di azione è che viene buttato nel fiume da un treno, nell’acqua congelata del fiume nell’autunno del 1943.
Quando Antonio riuscì finalmente ad uscire dall’acqua sente una voce dalle sue spalle. Si gira, e vede Gilbert che alza la testa dall’acqua, e gli sorride come uno stupido.
“Hanno buttato giù anche te?”
“Un giorno il magnifico me vendicherà! Quei bastardi!” Gilbert si sforza ad uscire dal fiume, e si siede accanto a lui, poi afferra all’improvvisamente le sue spalle e lo chiede in modo inqueto: “E… e… i… i…i soldi? Tutto a posto?”
Lo spagnolo mette e mani nella tasca della giacca, e afferra quella cosa che darà il pane a decine di compagni di battaglia, che a merito della carta cerata, le cose che stanno dentro sono sani e salvi.
“Che fortuna che i soldi stanno a posto. Il magnifico me ti sta per dire una buonissima notizia, la nostra borsa col cibo sta ancora sul treno! Fuuuu!!”Gilbert si stende sul prato come un pesce morto, e sospira fortemente verso il cielo.
“Però…io non capisco…che…che cosa è …successo?”
“E per quella ragazza che abbiamo visto prima.” Gilbert si gira la testa da un’altra parte, “Perché…perché quelli le stavano per buttare sulla sedia lunga…e…e io…”
“Non hai mica sparato, no?”
“Non avevo fatto in tempo, quando stavo per tirar fuori la pistola mi hanno iniziato a picchiare.” Gilbert accarezza attentamente la sua pistola, e nasce un piccolo sorriso sul viso, “E tutto per quella stupida ragazza…Il magnifico me si sente così stupito.”
“Oh~ Oh~” Antonio lo dice con un tono prolungato, ma si accorge che non ha altro da dire. Per colpa di un azione di Gilbert, sono tutti e due bagnati dalla testa ai piedi, non hanno niente da mangiare, stanno in un luogo desolato e fa freddo.
“Il magnifico me può aver sbagliato qualcosa, ma fin dei conti, è tutta colpa di quella stupida donna!”
“Se io fossi una stupida donna,” a quel momento, dalle loro spalle proviene una voce, “Allora in quel momento potevate stare seduti ai propri posti! Io sono saltata giù da sola.”
I due si girano la testa come se avessero visti una fantasma o qualcosa del genere. E dal cespuglio più indietro, esce una ragazza, proprio quella che avevano incontrato sul treno, e stava avvicinando sempre di più verso di loro. 

 
Parole dell’autrice:
Ecco il secondo capitolo, spero che vi piaccia. Questo capitolo è molto più difficile del primo, mi sono impegnata un sacco. Ho notato che ho sbagliato un sacco di parti quando l’avevo tradotta in passato, ma sicuramente ancora adesso ci sono tanti errori, sempre la solita frase, ditemi l’errore e li correggerò in un futuro ^^
Nota:
1)      Dopo l’arreso dell’Italia, nell’autunno del 1943, la parte nord viene occupata dalla Germania nazista, a quei territori ci stavano la resistenza, cioè la guerra contro i nazifascisti.
2)      14 giugno 1940, la Germania nazista occupa Parigi.
3)      Dopo la caduta di Parigi, il generale de Gaulle ha pubblicato a Londra “Appello del 18 giugno”
4)      “France libre” è tipo la resistenza italiana, ma è un’organizzazione che sta al sud di Francia.
5)      Le brigate d'assalto "Garibaldi", durante la Resistenza italiana, furono delle brigate partigiane legate prevalentemente al Partito Comunista Italiano, in cui militavano anche esponenti di altri partiti del CLN, specialmente socialisti.

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***


• Terzo capitolo •



Quello che solitamente è il più intelligente e in gamba del gruppo, nei momenti necessari diventa sempre il più stupido. Questa frase almeno nella filosofia di Gilbert è possibile e come. In questo mondo lui è l’unico che crede ancora che Gilbert Beilshimit è il più scaltro della brigate d'assalto “Garibaldi”. Sì, sì certo, ma se lo guardi attentamente, da ogni punto di vista, sembra sempre di più a  un Don Chisciotte. Però Don Chisciotte infine dorme, proprio come Sancho Panza, e invece Gilbert può trasformarsi da un momento all’altro in uno degli antichi cavalieri teutonici. Secondo le leggende popolane della Germania, i cavalieri e i stupidi sono stati per secoli fratelli.
 
Adesso è tutto rovinato in quella stupida donna, stu-pi-da…don-na… Si alza da terra, e vede che i vesti della ragazza è solo sporco di un po’ di erbacce. È molto evidente che questa stupida donna quando aveva saltato giù dal treno, aveva fatto a posto a saltare su qualche cespuglio, mica come loro essere buttati in un fiume. Gilbert vuole gridarle addosso, forse dicendole anche qualche parolacce, ma appena le parole escono dalla bocca diventano così:
“No, no, no, no, no, non si fa…una ragazzina a saltare giù da un treno, ma stai scherzando, vuoi morire!?”
“Io posso fare quello che voglio.” La ragazza dice orgogliosamente, “Pensa che avevo fatto delle cose ancora più pericolose.”
Un imbarazzante silenzio e la luce del tramonto calano su di loro. Dopo qualche minuto, Antonio dice con il suo solito tono da stupido: “E…adesso…cosa dobbiamo fare?”
“Andiamo diritto.” L’ira di Gilbert non sembra per niente calmate, ma la ragazza guarda i due ‘cavalieri’ bagnati fradicia, passa a un tono serio:
“Se fossi in voi, cercherei innanzitutto un modo per asciugarmi, poi forse mangerei qualcosa. Mangiare e dormire sono le cose più importante al momento, e solo dopo aver fatto tutto ciò, inizierei a pensare per quale montagna o collina passare, e poi forse anche con quale gruppo riunirmi.”
E d’un tratto, il senso di allarme cresce di 200%. Antonio fece un passo indietro, prima che Gilbert la minaccia socchiudendo gli occhi.
“Non fare scherzi, donna.” La sua mano destra strinse in un pugno poi lo lasciò, “Questo non ti fa per niente bene.”
“Non mi fa bene? Perché non mi farebbe bene? Adesso mica mi vieni addosso e mi strozzi?” indicò con il dito al proprio collo, “Non lo farai, lo so, avevo già incontrato tanta gente come voi.”
L’intuito, il talento più spaventoso delle donne. Viene tramandata dalle nonne e/o madri insieme ai gioielli. Maggior parte degli uomini non danno nemmeno un’occhiata a questi, ma in verità, non riusciranno mai a capire fine a fondo i segreti di una donna. 
“Anche tu…sei venuta dalle montagne?” Antonio domandò alla ragazza. Gilbert può capire la sensazione di volere subito la risposta dall’amico. Gli spagnoli hanno sempre una fiducia ingenua verso giovane donne, e questo il tedesco sa bene, quello che non sa è che in fondo al suo cuore è apparso un pizzico di gelosia.
“No.” Rispose, “Ma posso vendervi del pane, o sale o anche qualche vestito. A proposito, veramente non volete qualcosa da mangiare? Ah, forse dovreste asciugarvi, non credete?”
Gilbert prese dalla tasca la scatola dei fiammiferi ormai bagnati, e vide Antonio che fece spalluccia verso di lui. In questo modo, hanno lo stomaco vuoto, e sono tormentati dai vestiti bagnati, e la colpevole di tutto ciò è solo quella stupida donna.
“Però ho io dei fiammiferi, e anche della pasta.” La ragazzo alza la sua borsa.
 
Il falò si acese insieme alle stelle sopra di loro, gli occhi dei due sfortunati soldati non fanno altro che vedere la piccola pentola di latta che sta cucinando della pasta, la ragazza chiese all’improvviso: “Perché non vi togliete la maglia che si asciugherebbe meglio?”
“Hmm…”
“Ne avete vergogna?”
 “Ha?! Hahahaha…” La ragazza iniziò a ridere come una pazza alzando la testa verso in alto, “ Senza ombra di dubbio che vi vergognate…ahahahahahahaha…non date la colpa a me, per favore! Ahahahahahaahah, sto morendo dalle risate…”
Questa è semplicemente uno spregio per gli uomini. Dopo un po’, i due stanno già con il petto scoperto per provocazione a mangiare la pasta intorno al falò.
Gilbert, mentre si rimprovera per essersi messo in questa situazione, osserva la zingara vicino a lui che sta tagliando un piccolo pezzo di prosciutto. Lei non è una di quelle bellissime donne che fanno impazzire tutti i cavalieri del Medioevo,  al massimo può definirsi carina, sulla terra sono pieno zeppe di donne più belle di lei. Ma parlando seriamente, come sono belle i suoi occhi, anche quei capelli ondeggianti, sembrano fatti da qualche tessuto di valore. Essere buttato giù dal treno per una ragazza del genere, mica c’è qualcosa da vergognarsi. Così, Gilberti si sentì un po’ meglio di prima.
 
“Hey, tu! Quanto sei chiaro! Sembri essere cresciuto nel latte!” Sentì la voca della ragazza, “Solo che sei troppo magro, dovresti mangiare di più. Guarda un po’ il tuo amico, quella corporatura rende felice la gente solo guardandolo.”
Gilbert d’un tratto diventò tutto rosso, e guardò con gelosia Antonio che ride di nuovo come uno scemo, poi guardò il proprio petto, okay, si deve ammettere che ha poca carne, però un po’ di muscoli ce l’ha, almeno così crede, poi è la pelle chiara che lo fa sembrare più magro. Quella pelle abbronzata degli spagnoli invece lo fanno sembrare ancora più muscoloso.
“Io dico, donna, non è da una signora giudicare così gli uomini!”
“I zingari non se ne fregano di queste cose!”
“Zingari?” Antonio la guardò con un espressione preoccupato, “…ma, perché hai fatto così!? E se ti scoprissero sul treno?”
 “Per avere questi quattro soldi, non sai quante volte sono andata sul treno, eppure non mi hanno scoperto. È tutto per colpa di quei soldati, ahi, ho dimenticato troppo cose sul treno, ahi!”
“E adesso cosa fai? Ritorni a casa?”
“I zingari non hanno casa. Andiamo dove ci porta il vento.”
Gilbert torna dal suo mondo immaginario, si alza da terra, e guarda seriamente la zingara:
“Senti, donna! Vuoi venire con a noi?” la serietà dell’inizio sparisce subito, si mette una mano tra i suoi capelli, “Em…vedo che sei una ragazza dal cuor di leone, e sei abbastanza brava…”
 
I tre riiniziano a camminare verso le colline, il vento porta con sé l’odore del fieno per poi portarlo a tutte le direzioni. Adesso Gilbert sa già che la ragazza si chiama Elizabeta Hedervary,  e ha la borsa della ragazza sulle proprie  spalle, cammina davanti agli altri due. Antonio sta raccontando delle barzellette a Elizabeta, le risate della ragazza sembrava il canto di una allodola.
Sapeva fin dall’inizio che gli spagnoli sanno fare la meglio con le ragazze, invece se stesso, pff, gli basta far vedere ad Antonio la sua stupidità. In futuro, colui che sposerà questa stupida donna, anche se è uno astuto, è finito per lui. Pensando questo, Gilbert giura di nuovo che portare questa ragazza nella brigata non ha nessuna cattiva intenzione. È solo che pensa che diventerà una brava partigiana, e poi, può anche fare compagnia a Natalia.

 

Parole dell’autrice:
Hon hon hon~ Okay, adesso ho coretto anche questo capitolo, non pensavo che correggere questo capitolo ho usato anche più tempo di tradurne una XD Se ci sono errori grammaticali o altro ditemelo pls.

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Capitolo 4
*** Quarto capitolo ***


• Quarto capitolo •



Il vento notturno porta le stelle nel cielo, gli Appennini inizia a chiacchierare con i campi ai suoi piedi. Sotto queste stelle che osservano la terra come fosse un amante, l’unici ancora svegli sono gli Appennini e i suoi ammiratori partigiani.
Quando i tre ragazzi di tre etnie diversi arrivano finalmente ai piedi della montagna, il sole sta già per spuntare la testa dall’oriente. Un venticello attraversa la foresta e porta con sé la sonnolenza all’altra parte del mondo.
Gilbert cammina ancora davanti agli altri due, e toglie via i rami e i fogliame dell’abete senza mai girarsi indietro, intanto le gocciole che si trovavano sulle foglie cadono sulle sue spalle bagnandole. Riesce a sentire tanto in tanto il respiro profondo della ragazza facendogli capire che si trova poco più dietro di lui, e poi il caro Don Chisciotte avrebbe sicuramente camminato dietro alla ragazza facendo in modo che lei si trovasse in mezzo ai due, che bravo cavaliere! “Questa stupida donna è proprio in gamba!” Gilbert disse tra sé e sé, “Può saltare giù dal treno, sa lavorare abbastanza bene, e riesce anche a fare molta strada, forse in futuro riuscirà anche ad usare il fucile.”
Attraversano colline e villaggi, ci sono alcuni villaggi che sono composti solo da cinque o sei famiglie. La gente dei villaggi offrono del latte fresca e del pane a due partigiani come fanno sempre e anche a quella ragazza mai visti prima dell’allora. In questo villaggio di nome Victoria, il sessantenne Romo Vargas li dice: “Ieri erano venuti dei soldati fascisti nel villaggio a fare casino, dicevano che stavano cercando partigiani, nonostante avevano rovinato mezzo villaggio non avena trovato nulla! Pff! Se riuscivano veramente a trovare qualcuno, e quello sarebbe un partigiano?!”
“Hey, bella signorina!” Romolo si gira verso Elizabeta, “Ah, se potessi avere quaranta anni in meno, ti chiederei di sposarmi.”
“Guardati nello specchio, caro vecchio!” Gilbert appoggiò la mano sulle spalle del vecchio Romolo, “Ma gli italiani veramente non possono cambiare mai, eh? Con l’idea di ‘belle ragazze = paradiso’ dalla nascita alla morte!”
Il vecchio lasciò stare Elizabeta e si gira verso i due partigiani abbracciandoli come se fosse i suoi nipoti:
“Dico, em… quei piccoli mocciosi… l’altra volta, Francis era passato da qui, e mi aveva detto che Lovino sta bene, molto in salute…quando ritornate della brigata e quando lo rincontrerete, digli che stanno molto bene anche i nonni, ci manca veramente un sacco…” subito dopo aggiunse, “ah, non fa niente, non è mica Feli, non ama alla follia queste frasi dolci.”
 
Dopo un’ora che lasciarono Victoria, i tre arrivano finalmente ai pieni di un’alta montagna.
“Siamo finalmente a casa!” Antonio sorrise e fece un lungo fischio. Subito dopo, da un piccolo sentiero alla salita della montagna, sento un altro fischio segno di risposta. Elizabeta vede degli occhi negli cespugli vicino al sentiero, nello stesso momento sente Gilbert che inizia a fischiare una melodia, una melodia che tutta la penisola appenninica lo conosce, forse anche il resto dell’Europa, ogni posto che c’è un partigiano lo conosce, questa canzone…
 
 “Una mattina, mi son svegliata,
 Oh, bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao!
 Una mattina, mi son svegliata,
 e ho trovato l’invasor…”
 
“Anche tu conosci questa canzone?” Gilbert si girò verso di lei e disse.
Lei si dondola la testa, “Te l’avevo detto che conosco parecchi gente come voi, no?!”
 
“Oh, partigiano, portami via,
 Oh, bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao!
 Oh, partigiano, portami via,
 che mi sento di morir…”
 
 
Il quartier generale della prima brigata “Garibaldi”, si trova proprio su questa montagna. Tutte le sentinelle  che portano sulla montagna sono sempre sorvegliate da dei soldati. E questa sentinella su cui ci camminano i tre giovani sono sorvegliati più duramente, perché è una delle vie principali per la comunicazione della brigata con altri partigiani nascosti tra le colline circostanti.
In un spazio vuoto tra gli alberi di pioppo sopra questa montagna, c’è una grande villa che inizialmente apparteneva a ricco turco. Appena iniziata la guerra, il ricco tornò nella sua patria, e quando dei partigiano scoprirono questo ‘tesoro’, questa villa diventò il loro quartier generale. Adesso che è quasi mezzogiorno, nella villa c’è da per tutto i partigiani appena tornati dalle missioni che stanno dormendo beatamente a terra. Alcuni di loro sono ancora travestiti da contadini, alcuni da mercanti, alcuni da soldati fascisti, alcuni da grandi ricconi. Invece quelli che sono svegli, alcuni cuciono dei vestiti, alcuni giocano alle carte, altri puliscono i propri fucili o chiacchierano a bassa voce.
All’improvviso, la porta viene aperta, e la voce allegra di Antonio rimbalza per tutta la villa:
“RAGAZZI! Son tornato!”
Le persone che inizialmente si trovano sul letto, sopra i tavoli e/o sedie, sul davanzale delle finestra e alcuni persino sulle scale e pavimento si alzano in piedi e circondano gli appena tornati chiedendoli di un po’ tutto. I due partigiani dopo essere usciti finalmente dal cerchio dei saluti salgono al secondo piano aprendo la porta all’estremo del corridoio del piano. Il loro generale, un uomo italiano di nome Giovanni Zavattini, prende da loro quel importante borsa cerata, ascoltando attentamente il rapporto dei fatti successi in questi giorni a Milano.
Solitamente è sempre Gilbert che fa questo lavoro di riferire le notizie. Un tempo era uno studente filosofica dell’Università di Monaco di Baviera, è in grado di riferire tutte le notizie importanti in modo ordinato. Parlò de “Il Comitato Italiano di Liberazione Nazionale”, delle attività dei partigiani nella città di Milano, anche il fatto dei soldati ubriachi nazi-fascisti sul treno e la direzione dove dovrebbero dirigere. Ha detto tutto tranne quello di quando è stato stupito, ha malapena accennato della ragazza affidabile che aveva conosciuto.
“Scrivere spesso il diario ha una grande funzione: dopo tanto tempo, anche se non lo scrivi, la tua mente riesce a ricordare tutto come se fosse scritto su un diario.”
Ahi, purtroppo non è permesso ai partigiani di scrivere il diario sulla carta. Infatti, tutto ciò che Gilbert segna sul suo piccolo quaderno sono delle cose insensate. Ma ha già pensato che quando finirà la guerra, scriverà un libro nel quale parlerà dei partigiani del Nord Italia. Sarà una gara tra il tempo e la sua memoria.
“Milano è un bel posto.” Dice Zavattini ormai quarantenne, “L’attività future, sarò il centro del Nord Italia. A proposito, è l’ora che il piccolo Peter fa un salto a Genova, è da tempo che i due fratelli non si incontrano.”
 
Quando i due scendono nel salotto, tutti quanti iniziano a ridere di loro. E Elizabeta che sta al centro dei partigiani sta dicendo qualcosa. Sicuramente del le loro figure da niente, stupida donna! Persino Natalia, quella ragazza che sembra sempre depressa che non fa un sorriso da l’era dell’arte arcaica, adesso sembra che non riesce più a trattenere il sorriso.
 
Antonio ha sempre chiamato la brigata “Garibaldi” come la brigata internazionale. Questa brigata gli fa sempre ricordare quei tempi emozionanti dal 1936 al 1938, a quelle persone provenienti da tutto il mondo per lottare per la repubblica spagnola nella penisola iberica. Adesso, un’altra tempestosa guerra è iniziata tra le montagne e colline del Nord Italia. Anche qua ci sono italiani, francesi, inglesi, tedeschi, spagnoli, ungheresi, russi e figli di tante altre nazioni. Parlano italiano come base, poi aggiungono degli accenti, grammatica della propria lingua, nonostante ciò riescono a capire bene ognuno di essi.
Un giovane italiano si dirige verso Antonio uscendo dalla folla. I suoi capelli castani coprono tutto il fronte, e negli quegli occhi ribelli nascondono rabbia, ma certe volte sembrano soltanto dei capricci. Il ragazzo ha ventuno o ventidue anni, ma quel impazienza gli fa dimostrare solo diciassette.
 “Allora tu sei appena tornato da Milano, vedo.” L’italiano dice con un tono arrabbiato, “Pff, se ci andava un italiano sarebbe meglio. Se quando voi eravate partiti non stavo con Sandro e gli altri a prendere quella macchina dai nazisti!”
Antonio si appoggia sulle spalle dell’italiano, e gli dice sorridendo:
“Scusa, Lovino, so che vuoi andare a vedere Feliciano… avevi detto che hai un fratello studia a Milano, vero?”
“Non dire cazzate, chi se ne frega di come sta messa quello stupido.” Lovino urla con tutta la faccia rossa, “Vo…voglio solo visitare tutte le grandi città di nord Italia…”
“O~kay…Lovino, vuoi andare a Victoria?”
Lovino inizia a mordere le labbra, invece Antonio lo guarda come se volesse subito sapere la risposta, anche se sa benissimo che Lovino è un ragazzo che sembra indifferente ma in realtà è un pomodoro tanto dolce.
 “Non serve che me lo dici tu, ci vado anche da solo! È solo per andare a vedere la nonna, e non per quel vecchio!”
In quel momento, un ragazzo quattordicenne scende dalle scale velocemente con in mano un cesto, e per sbaglio si butta addosso a qualcuno per la fretta. Tutta la sala inizia a ridere:
“Dove vai, il nostro piccolo grande eroe Peter?”
“Vado a Genova! Vado a trovare Robinson!” il ragazzo dice con orgoglio, ed esce dalla porta senza dimenticare di dare un saluto alla ragazza russa che è appoggiata alla porta.

 
Nota:

1) Quei tempi, il Comitato Italiano di Liberazione Nazionale faceva sempre le riunioni a Milano.
2) La canzone famosa si chiama “Bella ciao”, come sapete. 
Parole dell’autrice:
Ciaoo a tutti, eccomi dopo aver finito di correggere anche questo capitolo, non mi farebbe dispiacere se lasciate qualche recensione *faccia tenera*. Spero che vi sia piaciuto il capitolo ^^ 

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Capitolo 5
*** Quinto capitolo ***


• Quinto capitolo 



Tutti hanno un tempo in cui tutta l’energia delle vita, non sta nel saper fare le cose ma nel credere di saper farli. A quell’età eri un quattordicenne, non eri tanto alto, ma avevi delle ali di un gabbiano e un cuore da leone. Nonostante adesso tutti credono che sei solo un moccioso, ma un giorno diventerai molto più forte di essi. Perché sei nato a Liverpool alle rive del fiume Mersey, la patria di Robinson. Perché la tua famiglia fin dai tempi degli Anglosassoni sono stati dei marinai, quelle ossa di scogliera, quel sangue dall’acqua del mare, quelle sopracciglia larghi come le ali dei gabbiani sono tutti tramandata di generazione in generazione, e tu, Peter Kirkland, l’uomo più giovane della famiglia.
Eh sì, tutto ciò che fece il tuo fratello di dodici anni in più di te, ci riusciresti anche tu! Fin da quando riesci a ricordare, Arthur ti diede una T-shirt rossa, e ti portò ad Anfield, e vi eravate seduti al Main Stand. Quando Arthur urlava di gioia per la squadra di Liverpool, anche tu iniziai a strillare con la tua vocina; quando Arthur faceva dei fischi e lanciava delle “maledizioni” alla squadra d’ospite, e tu misi le due dita nella bocca. Quella volta che Arthur iniziò a picchiarsi con un tifoso di Everton, non potendo fare niente, bucasti le ruote della bicicletta di quel ragazzo. Nelle giornate lunghe e larghe come il mare, ad Anthur piaceva portarti su una di quelle barchetta in profondo della notte, a navigare sulle rive del fiume Mersey, e voi due iniziaste a cantare le canzoni dei tifosi di Liverpool, anche se erano tutte state stonate.
Ma nell’anno 1937, lo studente del secondo anno Arthur se n’era andato in Spagna senza dire niente a nessuno, solo quando arrivò a Madrid mandò a casa quella lettera. Tu che eri ancora un bambino di otto anni leggevi pieno di invidia l’indirizzo da quale proveniva quella lettera, “Brigata Internazionale”, invece tua madre pianse per giorni. Solo quando ritorna dal viaggio il padre le disse:
“Che piangi! Oh cara, devi essere felice! Essendo un uomo, mice deve restare per l’intera vita dentro questa piccola casa?!”
Già allora sapevi che le parole di tuo padre non potevano essere più giusti, nella famiglia Kirkland non c’è un’altra regola. Arthur tornò a casa solo dopo due anni, come tutti gli altri soldati, non disse niente sulla brutalità della guerra. Dopo altri due anni, Anthur un’altra volta se ne andò senza un preavviso, allora tu, nascosto nella cabina dei bagagli della nave, eri andato da casa così con lui. Quando ti scoprì, quello è stato una tragedia, si era infuriato a tal modo di averti rimproverato per ben due ore: “Non so adesso quanto dovrebbe piangere la mamma!”
“Come se non avesse mai pianto per te!”
“Allora avevo venti anni, e tu adesso ne hai soltanto dodici! Stupido!”

E adesso, è passato già due anni da quando ti portò con sé. Non tutti i ragazzi possono avere un adolescenza del genere. Hai anche chiarito con Gilbert che dopo la guerra, quando scriverà il suo libro ‘Storia della Resistenza Italiana’ sarai un vero eroe. Anche se all’inizio aveva detto di darti una descrizione in un paragrafo, dopo tanto fastidio che gli diedi, quel paragrafo divenne un capitolo intero. È una grandissima vittoria!
Però, in realtà, qualunque esperienza della Brigata Garibaldi, può essere più interessante del piccolo Peter. Dopo tutto, non gli facevano né andare a bombardare i magazzini delle armi, né attaccare di sorpresa quei carri pieni di armi, ma solo travestirsi dal ragazzo dei giornali ogni qualche tempo per andare a trovare Robinson, sì, proprio Robinson. Tutti sanno del tizio nominato Robinson, ma quelli che sanno il vero nome di Robinson ci sono solo cinque persone: il general Zavattini, Francis, Gilbert, Antonio e il grande Peter Kirkland. E quelli che sanno dove si trova, sono solo Francis e il fratellino di Robinson, ogni volta che pensa ciò, non può essere più orgoglioso.
Dopo due ore, è già un piccolo venditore in mezzo agli altri bambini delle grandi strade di Genova. Essendo il porto principale del mar Liguria, se la gente parlano con un po’ di accento straniero non è tanto evidente. Ogni volta che passa di qui, Peter pensa sempre orgogliosamente dall’inglese: nessun porto può essere di confronto con quello di Liverpool. Corre per tutta la strada, spesso vendendo dei tabacchi a dei soldati fascista. Diede un’occhiata per l’orologio appesa sui negozi, e inizia a camminare verso la fabbrica delle navi.
Un giovane signore sta passeggiando sotto gli alberi di castagni vicino alla fabbrica. Tutta la Genova sanno che lui è Hans Schmidt, il consulente tecnico delle navi mandata dai soldati tedeschi, e spesso passa il tempo dopo il pranzo con altri soldati. E alle ore quattro del pomeriggio, il signor Schmidt passa di qui per una passeggiata, e a volte compra anche dei tabacchi… ah sì, i freschi tabacchi coltivati dai contadini degli Appennini sono molto migliori di quelli comprati in scatola.
“Tabacco freschissimo, signore, non costa tanto, ne vuole un po’?” il piccolo venditore lo incontra nell’angolo di un sentiero.
Sia il signor Schmidt che il piccolo venditore hanno delle sopracciglia dalle ali del gabbiano, ma il primo è vestito in ordine da gentiluomo, invece quest’ultimo non ha un pezzo di vestito pulito. Nessuno penserebbe che questi due hanno a che fare uno con l’altro, ce ne sono della gente con sopracciglia doppie al mondo.
Il signor Schmidt si abbassa la testa vicino al cesto del ragazzo prendendo con le mani del tabacco e odorandoli, da qualche complimenti e fa incartare un po’ di esso. Il piccolo venditore per dimostrare il suo ringraziamento, sceglie di proposito un foglio bianco doppio per incartarlo.
“Vi ringrazio tantissimo, signore!” Gridò il bambino e saltellò via.
Il signor Schmid continua a passeggiare per le strade, salutando dei soldati fascisti pensa che Liverpool è troppo migliore di questa città. Si avvicinò a un palo dove c’è scritto se qualcuno vede i partigiani deve dirlo subito al sede centrale dei tedeschi, e ci sarà sicuramente tante ricompense.

Quando finalmente torna a casa, chiude a chiavi la porta, e si siede vicino alla scrivania, prende dalla tasca quel pacco di tabacco comprato il pomeriggio. Mette ciò che si trova dentro nella portasigarette, e inizia ad aprire con attenzione il foglio, e da qualche parte lo stracciò tirando fuori un altro bigliettino. Dopo aver letto attentamente lo bruciò con un fiammifero.
Il fuoco lampeggia negli suoi occhi dal color smeraldo. Gli suoi occhi assomigliano a quelli di mamma, in vece quelli del piccolo Peter a quelli di papà. Quel Peter ancora bambino, quando lo incontrò questo pomeriggio, sembra che è cresciuto nella statura. Pensò un sacco di volte di trovare un modo per riportare il fratello a casa. No, anche se riesce a trovare una strada sicura che è già una cosa quasi impossibile, a metà strada il fratellino scapperà sicuramente ritornando in questa vita pieno di difficolta. I ragazzi cresciuti nella famiglia Kirkland hanno tutti lo spirito da marinaio.
Il padre, il vecchio John Kirkland li capisce benissimo, dopotutto anche lui era cresciuto in questo modo. Però povera mamma, ogni ragazza che si innamorerà dei giovani della famiglia Kirkland devono saper aspettare. È una cosa così crudele per le donne, e l’unico modo per risolverlo è trasferirlo su un uomo. Che assurdità!
Il bigliettino sta per essere consumato interamente, e sul frammento mezzo carbonizzato si può ancora vedere benissimo una ‘F’. ogni volta che Francis scrive i bigliettini lo finisce sempre con questa lettera, ma lui stesso, non l’ha mai risposto con la ‘A’ su quei bigliettini messi nella fessura del cesto mentre sceglieva tabacchi. Firma la ‘R’, R di Robinson. Quando Francis incise la ‘F’ e la ‘A’ sulla roccia dei Pirenei, è già una cosa di tanto tanto tempo fa…

 
Nota:
1) Nel libro “The Life and Strange Surprising Adventure of Robinson Crusoe”  dell’autore inglese Daniel Defoe, Robinson era nato in Liverpool.
Angolo della traduttrice:
Ecco a voi il quinto capitolo della Collina dei Fiori appena finito di aggiustare, spero che vi piace e lasciate una bella recensione qui sotto ^^

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Capitolo 6
*** Sesto capitolo ***


• Sesto capitolo •


 
Due persone sanno dove si trova Robinson nella brigata, ma soltanto uno può andare a trovarlo. E quell’unico è tornato in tarda notte da Genova, e adesso sicuramente sta facendo qualche bel sogno davanti al camino. Invece l’altra persona è seduto sul terrazzo sul tetto a chiacchierare con l’amico Antonio. Nella notte spesso, i membri della brigata iniziano a parlare delle cose che nel giorno non li direbbero, quelle frasi che sembrano fatti di ferro prima sono bruciati nel fuoco ma poi raffreddati dall’acqua fredda.
 
“Antonio, ti mancano le Pirenei?”
“Mi manca più Madrid, dopotutto sono nato e cresciuto lì…comunque, questa è già la quinta volta che me lo chiedi stasera!”
“Ma non è vero, al massino una volta!”
“Sono veramente cinque volte, li ho contati. Gli spagnoli non mentono su queste cose.”
In quel momento, proviene il rumore dei passi dalle scale. Una magra ragazza è venuta sul terrazzo e si è seduta in silenzio vicino a loro, e abbraccia le gambe come fosse una bambina.
“Non riesci a dormire, Natalia?”
“No.”
Questa ragazza russa è proprio l’opposto di Elizabeta. Se Elizabeta è l’unione del vento e del fuoco, allora quest’ultima è una statua di marmo. Dall’apparenza è una ragazza diciannovenne, ma la sua espressione seria e quella ruga sulla fronte solenne, è un vero e proprio contrasto con il suo viso. Inoltre ha sempre quella fascia blu sulla sua testa nascondendo tutti i capelli dentro, senza offesa assomiglia proprio una donna vedova di mezza età.
“Natalia, cara sorellina, se tu avessi i capelli sciolti saresti più carina. Va bene anche se fai la treccia.” Antonio ridice il suggerimento alla ragazza, ma come si aspettava, Natalia le risponde con un sorriso scuotendo la testa.
“La nostra cara sorellina sta sicuramente pensando che solo l’amante potrà sciogliere i suoi capelli.” Francis sa cavare meglio con le ragazze rispetto ad Antonio, e ora cerca veramente il modo di far ridere questa ragazza, “Per caso è uno di noi? Per caso io? O Gilbert? Può essere anche Lovino? Oppure il nostro eroico Don Chisciotte?” Francis da un colpo alla spalla di Antonio, e Natalia anche se vuole trattenere la risata, ma comunque non ci riesce, e per un momento il suo viso diventa ancor più attraente:
“No, no, nessuno di voi lo potrà fare…”
“Ah, questo vuol direi che a parte noi, ci sta una persona che può sciogliere i tuoi bellissimi capelli. Nel futuro, più persone incontri e conosci, più pensi che lui sia la persona più importante di tutti…”

La voce di Francis diventa sempre più leggero, non si è nemmeno accorto che Natalia per un secondo tremò. Non si è accorto, perché il suo sguardo ha già attraversato la testa della ragazza, guardando quelle montagne nel lontano, alla direzione di Genova, non sa neppure che sta scrivendo sempre quella stessa lettera con il dito sulla gamba.
‘R’, anche questa volta. Su qualunque bigliettino che porta e porterà indietro Peter non ci sarà un’altra firma. Questa ‘R’ così testarda come la ‘A’, e vuole dirgli che quello che al momento è il Undercover nei nemici è il partigiano Robinson, e non più Arthur di cinque anni fa. Come uno dei tre che hanno diritto di toccare questi bigliettini, Francis ha sempre firmato la ‘F’. Ma era già rimasto sui Pirenei nel 1938, insieme la ‘A’. Quei tempi che sentiva quei spari e bombardamenti provenienti dalla Spagna, come anche d’oggi, quei tempi le stelle immortali erano così indifferenti alla felicità e i dolori della terra, ma un astronomo offre l’intera vita per loro e non per questa terra. Un professore dell’Università disse così a Francis.
In quei giorni passati nell’osservatorio dopo la laurea gli mancava così tanto quel Parigi che fioriva come una rosa. Già dall’autunno del 1938, molta gente attraversarono i Pirenei, dopo essersi riposati un po’ nell’osservatorio, per andare a difendere la Repubblica della Spagna. Poi c’era stato di nuovo stelle indifferenti, venti e la solitudine. Solo nella primavera del 1938, venne da Spagna un certo Arthur Kirkland, un soldato della quindicesima brigata internazionale con un gruppo di gente che erano circondati ai piedi della montagne dall’esercito di Franco, dopo vari battaglie riuscirono a scappare nascondendosi in quest’osservatorio della Francia.
Quelle notti sotto le stelle, Arthur raccontò agli astronomi le avventure accadute a Madrid, e sulle rive del fiume Jarama circondato dai prati fioriti. Gli occhi coraggiosi e energetici di quel ragazzo brillavano come delle stelle. Forse perché Arthur era nato in quella famiglia di marinai di Liverpool, o forse perché era uno studente specializzato sulla costruzione delle navi, Francis per la prima nella vita pensò che le stelle fossero il faro dell’immenso mare.
C’era stato quella volta che Francis passeggiava con il soldato, e all’improvviso lo abbracciò e lo baciò.
“Gli astronomi portano solo sofferenze agli amanti, e vale lo stesso per i marinai!”
“Ma io non posso ancora definirmi astronomo, e da quale punto di vista ti definiresti marinaio?”
Arthur non gli rispose, ma nel giorno successivo, abbandonarono l’osservatorio ritornando in quella rumorosa macchina da guerra. Come se niente fosse successo.
Nulla era successo. C’erano stati soltanto delle stelle, e del vino, delle rose e delle donne che decadono tutto il mondo. È sempre stato così, sia quando studiava a Parigi, che quando stava a Nizza per la malattia corporea. Ma c’era sempre stato quel coraggioso marinaio che si intrufola nei suoi sogni insieme a quel odore del mare e del polvere da sparo.
Era stato così…dopo degli anni, dopo che fece la domanda alla “France Libre”, quando attraversava le Alpi in quelle notti d’estate con Antonio, quei venti che soffiava vicino le sue orecchie gli diceva che durante le guerre negli Appennini avrebbe rincontrato colui che era passato come una stella cadente, e così fu.

“Lovino!” La voce di Antonio lo tirò fuori dai suoi pensieri, “Non riesci a dormire nemmeno tu? Vuoi venire a chiacchierare insieme a noi?”
“No, ho qualcosa di importare da dire. Ma prima di iniziare, Antonio, dammi un sigaro.”
Nonostante si conoscono da solo pochi mesi, Antonio capisce che Lovino fuma solo quando è nervoso.
Guardò l’italiano con preoccupazione, e prese dalla tasca la borsetta del tabacco. Quando accese il fiammifero, vede gli occhi spalancati di Natalia.
“L’ho cucito io, quella borsetta…” Natalia si fermò per qualche secondo, e continua, “Per l’aquilotto spagnolo: un saluto della gioventù! Ho sostituito il mio nome con la piccola bianca gru, perché mi chiamava così la mamma a casa.”
“Sei…sei tu, cara sorellina!? Non ci posso credere! Veramente…ma era nel 1937, dovresti… essere ancora una bambina…”
“Sì, ero io. In quell’anno avevo dodici anni, la scuola aveva organizzato l’evento di scrivere lettere ai soldati che proteggevano la Repubblica della Spagna. Così avevo chiesto ad un insegnante di spagnolo questa frase che poi lo cucì su questa borsetta.”
“Ci potrei scrivere un libro!” Esclamò Francis, “Facciamo che Don Chisciotte incontrò finalmente la sua vera Dulcinea! Hon hon hon! Cara sorellina, forse non sai, Antonio porta sempre con sé questa borsetta, lo tratta come un tesoro! Ci posso scommettere con tutte le stelle di questo nobile cielo!”
Sul viso di Natalia ci fu comunque quel solito sorriso, invece lo spagnolo iniziò a ridere, per un pelo non fece cadere il tabacco per Lovino. “Guarda, Lovino! Non è incredibile, che figata! Tieni, il sigaro…”
“Non lo voglio più.” Lovino si alza in piedi, e dice rigidamente, “In realtà non ero venuto per niente… volevo solo avvisarti che il generale mi mandò a fare una missione, da solo.”
Di un tratto, la risata di Antonio si interruppe, quella preoccupazione riappare negli occhi dello spagnolo. Fece un passo verso Lovino, e prese il polso dell’italiano, sentendo i battiti pieno di ansia del ragazzo.
“Da solo? Vuoi che vado dal generale per andarci insieme a te?”
“Pensi che avessi paura? Hai dimenticato come era mio nonno?!” Lovino tolse le mani di Antonio dal polso, e fece un lungo sbadiglio, “Parto domani pomeriggio, adesso vado a dormire.”
Poi scelse dalle scale, facendo dei ‘tac tac’ con gli stivali.
 
 
Angolo della traduttrice:
Finito di aggiustare, ed ecco a voi il sesto capitolo della Collina dei Fiori, spero che vi è piaciuto anche questo capitolo, e lasciate una bella recensione qui sotto, please *^* Alla prossima

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Capitolo 7
*** Settimo capitolo ***


• Settimo capitolo •



“Scusami, Anto! Per questo stupido scherzo!” Francis lo dice con un sorriso come se non volesse scusarsi e sta ancora scherzando, “Se adesso stiamo cinquecento anni fa, Lovino ti sfiderà sicuramente a una lotta a spada: per la bellissima principessa Natalia, scommettiamo sulla dignità e la vita di un cavaliere!”
“Se a Lovino piace veramente Natalia, non glielo toglierò da vicino. Giuro sulla Madonna che Natalia per me è solo come una sorella minore…”
Quando i due stanno ancora parlando sulle donne, come una nuvola, Natalia se ne va silenziosamente. Capisce le parole di questi partigiani, ogni persona scherzano con lei, parlano con lei è solo per non farla sentire troppo sola, ma non è amarla.
Se l’amore è per la felicità, per quale motivo devono cercare una donna sempre triste, niente emozione e sempre seria. Quella ragazza che a sedici anni per l’invasione dei fascisti non può ritornare alla patria e costretta a lavorare in un paese sconosciuta; quella ragazza che a diciassette anni da un schiaffo al capo del lavoro, poi viene picchiata a morte e seppellita sotto terra viva; quella ragazza che a diciotto anni ha già il fucile in mano, e lottare con la prima guerriglia della resistenza. Quella ragazza che canta sempre a bassa voce una canzone che nessuno conosce. Chiunque che osa abbracciarla con il vero amore, deve avere un grande coraggio, al momento che i ricordi passano per il cuore sostiene le sue spalle.
Ma, perché lo devono fare. Antonio e Lovino non lotterebbero per l’amore, non un amore semplice, per proprio per lei. E lo stesso, la fascia sulla testa non cadranno mai vicino a loro piedi. Perché in sei anni, ha capito che cos’è perdere, sa cos’è la gelosia.
A quei tempi aveva ancora dodici anni; a quei tempi la mamma la chiamava ancora “la piccola bianca gru”, a quei tempi le compagne di classe la chiamavano ancora “la matematica Natalia”; a quei tempi stava ancora cucendo la borsa per tabacco per gli aquilotti della spagna; a quei tempi pensa ancora che a diciotto anni andrà nell’Università di Mosca per studiare.
In una notte dell’autunno di quando era diciotto anni, le stelle dei Appennini le guardavano, come se nel mondo non c’era mai stato il dolore.
Questa notte, ogni persona stanno pensando le cose sue. Proprio la stanza sotto i piedi di Natalia, l’ufficiale della brigata Nicola Richie sta facendo tanti giri per sua stanza. Se qualcuno entra, sicuramente non riuscirebbe parlare con l’ufficiale normalmente come fanno sempre.
Ma nessuno entrerà, perché l’ufficiale ha l’abitudine di chiudere la porta a chiave. Tutti i soldati della brigata sanno che lui non vuole nessuno entrasse per vedere i suoi privacy, perché lui è sempre una persona seria e precisa, ed è una delle tre persone che possono leggere le notizie scritte da Robinson. Ma lui non riesce a capire il vero nome di Robinson, chi è veramente e dove si trova. Giovanni Zavattini lo sa, perché è il generale ed era uno dei primi organizzatori della resistenza nel nord Italia; Francis Bonnefoy forse lo sa anche lui, perché è mandato da “France libre” ad aiutare la resistenza del nord Italia. Ma lui stesso, Nicola Richie, anche se ha usato un sacco di tempo e fatica per salire sul trono dell’ufficiale, non sa niente. Nella guerriglia, le persone sanno solo le cose che devono sapere, e non le cose che potrebbero sapere.
È tutta colpa di quel bastardo di quel Claudio. La settimana scorsa gli manda a comprare delle cose ai piedi della montagna, era proprio lì che aveva incontrato Peter Kirkland che va a Genova per trovare Robinson, l’ufficiale gli aveva chiesto di seguire il ragazzo di nascosto, per vedere con chi aveva parlato. Ma il piccolo era già tornato, invece Claudio, non si era visto da nessuna parte. L’olfatto della spia professionale dice a Nicola: quel stupido sicuramente stava o vendendo le notizie che aveva trovato o già stato processato dai partigiani. Se era la prima parte, sicuramente quelli che avevano comprato le notizie vengono scoperti; e se era la seconda risposta, l’ufficiale che viene ammirato da sempre viene scoperto.
Essersi scoperto, questo l’aveva già preveduto prima di entrare in questa brigata a fare la spia. Ma l’importante che trovare il momento giusto per scappare. No, Nicola Richie non pensa che il momento è già arrivato. Dopotutto più che rimane qui dentro, Gestapo gli darà più soldi. Ha anche pensato di interrompere le comunicazioni tra la brigata e l’organizzazione della resistenza di nord Italia.
Ma adesso cosa deve fare, il Gestapo penseranno sicuramente che li ha tradito e adesso sta insieme ai partigiani. Penseranno sicuramente così, lui li conosce fin troppo bene.
Così l’ufficiale inizia a scrivere su un foglio bianco:
“La brigata nel giorno 19 ottobre manderà una squadra a 25km a est della città di Savona sulla pianura, in quale è presente anche i membri più importanti della brigata. Il vostro “quarto”. 
Nicola prende dalla vita la pistola, leva il rivestimento di legno laterale, dentro c’è una piccola macchina fotografica.
E da questa macchina fotografica prende una scatola di ferro a grandezza del ditale, dove si trova la pellicola fotografica. Poi, prende il suo cappello che sta sulla sedia, e mette questa scatoletta all’interno del capello. Questo è un bel cappello, ed è anche molto comodo. Le persone familiari lo riconoscerebbero alla prima vista…
Dopo aver fatto tutto questo, si siede sulla sedia, e accende un sigaro. Tra i fumi appare una figura misteriosa. Il volto e l’espressione di questa figura viene coperta da otto semplici lettere “Robinson”.
“Staremo a vedere.” Dice al compagno dei nemici, “Vediamo chi è più forte ed intelligente.”
Dopo un po’, apre la porta della stanza, e come niente è successo cammina nel corridoio. La notte sta per finire, e il sole sta per ritornare al suo posto di lavoro.
Tutta la mattina, Antonio prova di parlare tranquillamente con Lovino. Ma il ragazzo italiano sembra molto impegnato: per un po’ sta a sentire Eliza che racconta i fatti in Ungheria; per un po’ sta in cucina ad aiutare la signora Iolanda, fine a quando lei non ha il coltello in mano per minacciarlo di uscire dalla sua cucina. Antonio vuole fermarlo a quel momento per parlargli, ma lui come un cobite si infila tra la gente. Invece nel pomeriggio, parte per la sua missione senza accompagnatore.
“Quel ragazzo sicuramente è arrabbiato con me.” Antonio dice tra se e se, “Vedo che gli piace veramente Natalia…”
Quando pensa fine a questo punto, una gelosia inspiegabile sale sul cuore. Ma subito pensa: Lovino sta per partire. Spero che non viene distratto da questo fatto.
Vai, Anto! Adesso vai a parlare con Lovino! Digli che questa borsa di tabacco è solo un segno di amicizia, e digli anche che Natalia per lui è solo una sorella.
Antonio va nel magazzino a trovare Lovino, ma il ragazzo sembra che sta trovando qualcosa.
“Sentimi, Lovino…quello, in verità, io…Natalia…”
“Che momento stiamo capisci, e stai qui a parlare delle ragazze!” Lovino non si gira nemmeno, ed urla, “Dove sta il mio cappello, cazzo! Ieri stavo qui a dormire…”
Antonio è un po’ spaventato dall’urlo del ragazzo, e proprio a quel momento, l’ufficiale Nicola che è passa per caso.
“Cosa? Il capello non c’è più? Non è che viene preso da qualcuno!” L’ufficiale disse, e prende dalla testa il suo cappello e lo da all’altro italiano, “Adesso usa il mio. Se quel dispettoso non te lo vuole ridare, dici alla signora Ersilia di fare un altro.”
Lovino ringrazia l’ufficiale, mette il cappello sulla testa, e senza dare uno sguardo ad Antonio, ed esce dalla stanza.

 

Parola dell’autrice:
c’è un pezzo che veramente non l’ho capito, infatti l’ho tradotto uno schifo. Come sempre spero che vi piaccia.
Note:
1)      Gestapo è l’abbreviazione di Geheime Staatspolizei che tradotta del tedesco la Polizia segreta di Stato. 

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Capitolo 8
*** Ottavo capitolo ***


Ottavo capitolo

 Guardare da quel bosco d’oro, il villaggio Victoria sembra un prato di fiore in mezzo a questi monti. Anche se lui già da quando aveva nove anni non ci abitava più, ma Lovino lo chiama ancora “Viky”, proprio come fosse un amico d’infanzia. Lo conosce come fosse sua tasca, e dentro questa tasca c’è la casetta di nonna e nonno, il melo e il pero che si trova vicino alla casetta adesso sicuramente è pieno di frutti. I due padroni della casa in questa stagione vede sempre sorridendo i figli dei vicini che salgono su questi alberi per mangiare la frutta. Ma i due padroncini di questa casa, sono già allontanati dall’età per salire sui alberi per mangiare la frutta, e sono già allontanati da Viky.
Feliciano sta all’Università di Milano, non è facile a tornare a casa. Invece Lovino sta proprio alla collina accanto, quando scende dal monte per fare delle missioni passa sempre di qui, ma non ci vuole entrare per fare una visitina. Ma è sicuro, lui adesso è solo un partigiano. Anche Gilbert e Antonio sono partigiani, ma sanno passare di qua, bevono qualcosina alla casa dei Vargas, e portano anche le parole a loro nipoti….
No, Lovino non è un ragazzo senza cuore. Non va spesso a trovare la nonna che lavora degli orti? Lui sa quando la nonna va negli orti, sa anche come evitare il nonno, e anche questa volta. E la nonna Ersilia è come sempre, si alza il busto, pulisce le sue mani sporche con il vestito, e abbraccia il suo caro nipotino con tanto affetto.
“Sei ancora arrabbiato con il vecchio?” Gli chiede come una vecchia madre. Ma qui dentro non c’è nessun tono arrabbiato o un tono di rimprovero che a Lovino odia tanto, è per questo motivo che gli piace così tanto la nonna Ersilia.
Quando ricomincia il viaggio, si sente sempre orgoglioso de sua nonna. La nonna Ersilia è la casalinga più forte del villaggio, sa cucinare, sa coltivare, sa cucire… e per questo che quarant’anni fa Romolo al ritorno per visitare i parenti dopo il viaggio per tutto il mondo, viene colpito alla prima vista. Anche se questo ragazza ha conosciuto tante belle ragazze della Grecia, Francia e dell’Egitto, ma lei è l’unica ragazza che ha conosciuto che riesce a risolvere i servizi di casa, fuori e persino Romolo stesso.
Nel mondo ci sono tante donne favorevoli. Loro non sono belle come quelle dei miti, e non sanno fare nemmeno i trucchi che le mettono in mostra. Ma loro sono sempre quelle più amate. ErsiliaVargas è così, anche Elizabeta Héderváry è così. E le altre donne persino non le fanno del male per la gelosia.


Solo con un giorno di tempo, Eliza è già riunito al gruppo. Il suo viso radioso, il comportamento vivace ma non frivolo, e quegli occhi sempre vivaci, sembra un vento fresco tra gli alberi del bosco. Natalia osserva silenziosamente la nuova compagna, e già da quel momento che Gilbert ed Antonio l’ha portato qui, riesce a capire benissimo che quel giovane tedesco ha un sentimento diverso per questa ragazza zingara.
Ogni ragazza ha un suo abilità: riesce a capire il sentimento del ragazzo che prova a una ragazza. Anche se quel sentimento viene nascosto. Quando Gilbert aveva portato Elizabeta danvanti a lei, aveva capito benissimo i suoi sentimenti.
Quel momento, era stata molto gentile con Elizabeta, ma non aveva pensato a Gil. Sì, non lo pensa mai, anche se sa benissimo che anche lui era un partigiano, anche uno di quei più in gamba. Ma sa anche che la sua patria nel giugno di 1941 aveva invaso la sua patria, come un piccolo seme nella tempesta aveva perso tutto.
Tutti pensano che è sleale comportarsi così con Gilbert, ma tutti la capiscono. Persino Gilbert stesso, dice sempre: “Non devo arrabbiarmi con una bambina? Se lei non vuole capire il magnifico me, non dovrei farle capire le cose. Lei ha il suo orgoglio, e anche io c’è lo.”
Ma lui comunque come tutti quanti, cerca sempre di farla vivere meglio nella resistenza. Quando riescono ad avere qualcosina come carta e penna, Glibert le da sempre di più. Anche se “non riesce a vivere” senza scrivere il diario per un giorno, ma lui sa che lei ha un passatempo: fare degli esercizi di matematica per divertire.
Quando la sua vita non viene ancora spezzato dalla guerra, tutti gli studenti della classe B di terza media della trentacinquesima scuola media di Mosca, le chiamavano “uno dei matematici più bravi del mondo”. Sulla sua scafale non aveva solo tanti libri degli esercizi e trofei, ma anche tante storie delle altre matematiche.
Eh sì, se voleva, questo nome di questa semplice studentessa della suola media, ne futuro diventerà un nome famoso. Anche se gli amici e i parenti la chiamano ancora Natasha. Ma ci sarà un giorno che tutti la chiamano “La matematica più in gamba, Natalia Arlovskaya”.
...Perché ancora Natalia Arlovskaya, non è Natalia Braginski? Natasha, cara, visto che avevi già immaginato tutti fino a quel giorno, perché non ci riesci ancora ad aggiungere quel cognome che hai scritto tante volte con le mani sul diario dietro al tuo nome? Cara Hypatia! Cara Sof'ja! La vostra intelligenza anormale, nome così immortale, e invece la vostra vita è così crudele…
Quel momento, Natalia pensava che quello che la crudeltà. Quel momento, Natalia non sapeva che era scoppiato la guerra.
LA matematica le accompagna, solo la matematica le accompagna ancora, in queste montagne dell’altro paese. La mamma sta a Mosca; il trentacinquesima scuola media sta a Mosca; i compagni stanno a Mosca, forse alcuni è già andato nella guerra; Ivan Braginski sta a Mosca, no, Ivan sta sicuramente nella guerra. Perché Ivan è la persona più coraggiosa del mondo, perché la mamma lo chiama sempre “Aquilotto”.
“Natasha!” proprio questo momento, il piccolo Peter è seduto vicino a lei, “Oggi dobbiamo fare la lezione di matematica…”
Ah, è vero, oggi dobbiamo fare lezione di matematica. Natalia ritorna dal mondo dei ricordi, e prende i quaderni pieno di esercizi e lo mette sul tavolino. Anche se Peter era scappato dalla sua scuola, per uscire a scoprire il mondo con Robinson, ma tutti quanti della resistenza credono che è ancora troppo piccolo, e deve continuare gli studi. In base alle specialità di ognuno: quando c’è un po’ di tempo, tutti fanno le lezioni al piccolo Peter, l’ex astronomo Francis gli insegna fisica; ex studente di filosofia Gilbert gli insegna la storia e filosofia; Natalia non è ancora andato al lavoro, e nemmeno l’Università, ma tutti le affidano il compito di insegnare al Peter la matematica.
“Vieni, Peter, fai questo esercizio qua.” Natalia gli dice. Peter le fece una smorfia, poi iniziò a fare gli calcoli.
Lei sa benissimo che a Peter prova qualcosa di diverso per lei. Lui viene sempre a trovarla, le rivolge sempre le parole, e ha persino aumentato le lezioni di matematica. Ma sa benissimo anche che, questo è solo l’ammirazione di un bambino a una più grande, come la sua ammirazione per un fucile…
Quando diventerà grande, si innamorerà un ragazza veramente. È come un aquilotto diventerà un’aquila…Peter sta ancora pensando all’esercizio, ma Natalia inizia a cantare un canzone. La prima volta che aveva sentito aveva undici anni, e Ivan ne aveva sedici.

 

“Орлёнок, орлёнок, взлети выше солнца
И степи с высот огляди.
Навеки умолкли весёлые хлопцы,
В живых я остался один…”

“Aquilotto, aquilotto, voli sopra le nuvole,
guardi dall’alto la pianura.
Quei ragazzi felici sono taciuti per sempre,
e solo io vivo ancora in questo mondo…


“Natasha!” all’improvviso sente Peter che le chiama, “Perché stai piangendo……”



Parola dell’autrice:
La canzone in russo lo tradotto letteralmente, perché non ho trovato la traduzione online, e spero di averla tradotta abbastanza bene. Comunque spero che vi è piaciuto anche questo capitolo.
Nota:
1)      Il nome di nonno Roma proviene dal nome del fondatore di Roma Romolo, Ersilia è il nome di sua moglie.
2)      La materia che Natalia è più brava è matematica, l’autrice originale dice che l’Europa dell’est è un posto dove sono nati più matematici.
3)      Hypatia o nota come Ipazia era una matematica dell’antica Grecia; Invece Sof’ja che si legge Sofia è Sof'ja Vasil'evna Kovalevskaja (In russo: Софья Васильевна Ковалевская) era una metematica russa. 

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Capitolo 9
*** Nono capitolo ***


Nono capitolo

Natasha, per il suo orgoglio e il suo odio per le lacrime, guarda con un’aria maestosa Peter. Così il ragazzo si zittì, negli suoi occhi appare una sensazione di ingiustizia e del timore.
“Tu non sai niente.”  La ragazza sospirò, la mano mise sui capelli biondi e scombinati del ragazzo, “quattordici anni sono troppo pochi.”
Queste parole sono più odiose per il giovane. Orgoglio di Peter gli fa dire, “Come se diciotto anni sono tanti!”
In verità, sono uguali. Davanti alle steppe, alle colline, alle stelle e ai mari, undici, quattordici, sedici o diciotto anni, sono tutti troppo pochi. La vita, a volte appena finita di cantare una canzone, è già passata…
 

“Орлёнок, орлёнок, взлети выше солнца
И степи с высот огляди.
Навеки умолкли весёлые хлопцы,
В живых я остался один…”

 
“Aquilotto, aquilotto, voli sopra le nuvole, guardi dall’alto la pianura.
Quei ragazzi felici sono taciuti per sempre,
e solo io vivo ancora in questo mondo…
 
…le sue braccia sono come le ali di un aquila; gli suoi occhi sono come gli occhi di quel aquila che vola in alto. Gli amici e parenti lo chiamano Ivan, ma la mamma lo chiama sempre aquilotto.
Fino ad adesso si sente la sua voce, quella voce è forte e giovane come lui. Quell’anno, lei ha undici anni, e lui sedici; quel giorno sono andati a vedere l’opera. Le storie raccontate dai libri e i professori, quella notte era davanti a quei giovani visi. Alla fine, Ivan e lei camminavano sul marciapiede. Lui apre le braccia come un aquila, e canta volta dopo volta quella canzone forte me triste:
“…aquilotto, aquilotto, apri le tue ali.
Il giorno diventa notte.
Credimi, non vorrei ancora morire,
ho soltanto sedici anni…”
Nelle orecchie ci sono gli urli del vento, sulla testa ci sono i sussurri delle nuvole e gli alberi. Quante notti ci sono nella vita come queste, come un fiore che fiorisce in silenzio, poi appassisce in silenzio.
Nella notte d’autunno dell’anno 1936  indimenticabile di Mosca, è azzurra e silenziosa come il primo sentimento di una giovane ragazza. Nello stesso momento all’occidente, il sole di color sangue tramonta nelle colline vicino al Madrid. La Spagna – un paese che si trova soltanto sugli libri di geografia, appare nei giornali e nel radio sempre più frequente con le notizie degli spari e morte.
“Sentimi, Natasha!” la voce di Ivan è basso e forte come sempre, “pensa un po’…tutti gli eroi sono andati in Spagna! In questo momento, a Madrid, ci potrebbe essere un ragazzo alla mia età che sta già pulendo il suo primo fucile…”
Negli suoi occhi ancora bambina, una figura giovane, forte e coraggiosa inizia a darsi una forma. Su quel volto come il marmo, gli eroi che proteggono La Repubblica di Spagna, insieme a quei ragazzi delle opere senza paura di niente, e Ivan Braginski che adesso è vicino a lei, sono diventati un corpo solo. Per questo, la primavera dell’anno 1937, quando tutti i suoi compagni inviano regali alla spagna, lei cuce su un telo piccolo una frase del genere: “Per l’aquilotto spagnolo: un giovane saluto! La piccola bianca gru.”
La mamma lo chiamava aquilotto, e a lei la piccola bianca gru…anche se il suo padre si chiama  Valerian Braginski e il padre della ragazza Nikolay Arlovskaya, però hanno la stessa madre: la medica Snezhana Pavlov.
Sua madre era forte ma sola. Natasha da piccola le aveva chiesto perché si era divorziata con lo zio Valerian. Mamma aveva risposto:
“I solori nel mondo non sono solo le lotte tra il bene e il male. A volte anche tra persone buone si fanno soffrire. A volte è per l’amore sbagliato, a volte è per quel mura tra i cuori. Freddezza, timore, credere di essere chi o chi e dei dubbi non necessari, possono rovinare tante cose meravigliose della vita, ricordati per sempre queste parole, la piccola bianca gru, la mia bellissima figlia!”
Ma a quell’ora, una bambina, come poteva capire una donna che ha provato due volte il matrimonio e tutte le difficoltà della vita? Ivan vive con suo padre, lui è un ragazzo sempre felice e pieno di energia, viene sempre a casa sua a vedere la mamma, lo zio Nikolay e la piccola Natasha.
“Mamma, perché fratellone vive allo zio Valerian, e non vive insieme a noi?”
“Ivan è un aquilotto, è deve vivere insieme all’aquila.”
Mamma, mamma, una madre così forse ma sola. Quando papà era morto in un incidente non si era più sposata, e non si era trasferita allo zio Valerian, ma aveva continuato a vivere insiema a Natasha.
“Questo non va bene, la mia piccola gru!” proprio nella primavera del 1937, dopo che Natasha ha inviato il pacchetto alla Spagna, la madre aveva chiamato sua figlia, e guarda con tutta la sua preoccupazione gli occhi della bambina, “questo non è un sentimento che può provere una sorella con il proprio fratello!”
Non si deve mai andare a chiedere a una madre, come ha fatto a capire il cuore della figlia. Perché ciò è solo una delle infinite cose che la madre sa. La bambina si arrossì tutta la guancia, ma senza parole. La madre sospirò, e gli dice:
“Ivan è un ragazzo, forse non ha ancora capito i tuoi sentimenti. Ma tu, Natasha Arlovskaya, devi smettere di provare questo sentimento!”
“Ma, mamma…se riesco a controllarlo, è ancora un sentimento…”
La madre non ha mai criticato la figlia prima di allora, è la prima volta, Natasha si stende sul suo letto, e piange. Questa è la prima volta, le prime vere lacrime per il dolore provata da questa bambina ormai ragazza di dodici anni.
…tutto ciò nello spazio e nel tempo quant’è lontano. Natasha, se nel 1941 non sei stata prima della scuola nella gara di matematica; non saresti allontanata a Mosca, a fare il campo estivo di Giugno a Bielorussia; e non saresti rimasta al punto più pericoloso della guerra; e non saresti diventata serva come tutti gli altri giovani; e non saresti tra gli Appennini con l’odio.
Ivan. Tutti i ricordi riguardanti a lui di Natasha, è rimasta all’estate del 1941. Allora stava ancora studiando nella scuola di volo. Come dice mamma, Ivan stava per volare nel cielo, e diventare un vero e proprio aquilotto.
“aquilotto, aquilotto, senti i tuoni provocati dai fucili,
devi distruggere tutti gli nemici.
Quando i miei compagni mi chiamano ancora aquilotto,
gli nemici mi chiamano invece il fortissimo aquila…”
…”Cresci in fretta, Peter.” Adesso, Natasha dice al ragazzo quattordicenne accano a lei, “Tutto cambierà quando crescerai.”
“Vorresti dire che quando crescerò tutto migliorerà?”
“Non è sicuro, ma quando crescerai. Tu affronterai le cose con più coraggio.”

Nota:

1) “Aquilotto” è una canzone molto famosa nell’Unione Sovietica, è tratta da un’opera del 1936.
Parole dell’autrice:
Scusate se ho aggiornato dopo mezzo anno, avevo avuto un po’ di problemi, ma comunque spero che vi piaccia il nono capitolo, cerco di aggiornare ogni due settimane. ^^

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Capitolo 10
*** Decimo capitolo ***


Decimo capitolo

Nella sala riunioni del secondo piano, tutti i comandanti hanno fatto il consiglio fino a sera tardi. L’ufficiale Nicola da tutte le direttiva, e di volta in volta corregge i discorsi dei comandanti, dando anche dei suggerimenti. Tutto ciò che ha corretto sono tutti ragionevoli, anche necessaria ed opportuna. Ma Francis sembra di trattenersi, infatti non dimostrò la sua ripugnanza per questo ufficiale.
Lui sapeva che Nicola è un uomo diligente e competente. Ma quello che è successo il mese scorso: un brigante di nome Claude, mentre perlustrava si era addormentata nella foresta. Per questo la squadra di Francis hanno incontrato i nemici, e solo dopo una dura lotta riuscirono ad abbandonare la collina. Ma l’ufficiale ha punito tutta la terza brigata innocente insieme a Claude, per il motivo di essere allontanati dal punto di riunione senza permesso. Si arrabbiò in un modo esagerato il generale Zavattini, torse tutti la punizione del ufficiale alla terza brigata. E per Claude, gli tolse soltanto gli armi, e doveva occupare tutti i lavori di pulizia.
L’ufficiale Nicola si scusò dicendo che era soltanto troppo agitato, ma Francis notò il suo fare iniquo. Se i francesi possono tollerare tutti questi modi iniqui, allora le cose successe all’anno 1792, 1848 e nell’anno 1871 non sarebbero mai accadute.
Francis Bonnefoy è un vero uno francese. Come dice Victor Marie Hugo: Nascere non è per trascinare le catene, ma per aprire le ali e volare. Queste persone saranno le prime a sollevare la bandiera, uccisi in battaglia; ma se è necessario, si può ritornare subito nella vita normale, ritornare dei fiori e vini. La nonna di Francis aveva detto una frase del genere: la felicità appartiene a queste persone.
Nicola parlò delle operazioni che si svolgono nel 19 ottobre. Con motivi sufficienti dimostrò l’importanza di quest’azione, ed ha insistito che tutte le forze principali si distaccano dal proprio gruppo e riunirsi alla prima brigata temporaneamente. Quando tutti gli altri erano d’accordo con ciò, Francis era in contrario. “Il nostro Bonnefoy, alla fine è sempre un francese, deve sempre essere l’unico a dire sempre di “no”” Nicola gli rispose. In ogni decisioni ci dovevano essere almeno tre brigate ad essere d’accordo, l’ufficiale era sicuro che il generale stava da parte sua, per tutti coloro che hanno portato tutte le notizie, corrispondevano perfettamente ai suoi suggerimenti.
Il suo obiettivo era realizzato. L’ufficiale operativo rivelò un sorriso da vittoria al vice comandante.
Le proposte dell’ufficiale, ha avuto tutti i voti d’accordo: con le forse principali della brigata avrà un grandissimo successo invadendo l’area Savannah dei soldati tedeschi. Ma soltanto il vice comandante non vuole fare questo rischio, anche se non ha il motivo per convincere i compagni. Mica Francis doveva dire che gli stava antipatico l’ufficiale?
Il motivo per cui Francis non  tollerava l’ufficiale Nicola, non era soltanto Claude, ma è tutta la sua curiosità per Robinson. Sono già due volte, Nicola sembra di arrivare senza accorgersi su questo argomento. Una volta è nella riunione, un’altra in un dialogo quotidiano, ma sembra che anche Francis senza accorgersi inizia a parlare di un altro argomento. Tutte le volte che pensa che tutti i segreti di Robinson, sa soltanto lui e il piccolo Peter, si sente più che orgoglioso.
Negli anni della guerra, i dubi innecessari potrebbero portare veri ferite ai compagni. Anche se l’ufficiale è un vero compagno, il suo iniquo, la sua agitazione e la troppa curiosità, potrebbe portare grandi problemi alla brigata, non riesce a capire questo per caso l’ufficiale Nicola?
“Stanotte, o domani, devo andare da Zavattini di nascosto. Devo dire tutto ciò che mi preoccupo, devo far lasciare almeno una strana di ritorno.” Il vice comandante pensò e si dirige verso la stanza del generale.
La prima persona che incontrò Francis sotto le scale è il piccolo Peter. I due camminano insieme verso il giardino.
“Senti, fratello.” Quando arrivano nella stalla, sicuri che nessuno li stia sentendo, Francis sussurrò vicino alle orecchie di Peter, “d’ora in poi non vai a trovarlo direttamente.”
“Che è successo?”
“Niente, poi ti darò il modo per andare a trovarlo.” Francis continuò, poi all’improvviso con un tono spaventoso, “C’è qualcuno che ti ha chiesto di lui?”
Il ragazzo negò.
“Veramente?”
“Chi è che non è stato bravo?” Il ragazzo domandò, “Perché non posso più a trovare Ar…Robinson?”
“Adesso sei tu che non stai comportando da bravo bambino, e stai cercando di sapere qualcosa dal tuo generale? Ok, in verità non è successo niente, è solo per essere più sicuri.” Francis alla fine ha mentito, per non far preoccupare al ragazzo.
I due uomini, uno piccolo uno un po’ più maturo, escono dalla stalla. E le stelle iniziano brillare nel cielo.
“Hey, Fran, te lo ricordi la lezione di fisica dell’altra volta?” il più piccolo rompe il silenzio, “mi avevi detto  che i segni zodiacali non esistono. Gli antichi osservavano il cielo, e immaginavano delle linee tra le stella formando ogni forma, così c’è stato l’orso maggiore, orso minore e tutti gli altri…”
“Sì, è così.” Il vice ufficiale iniziò a disegnare nell’aria, “Pete, se vuoi disegnare con le stelle delle sopracciglia doppie, lo potresti chiamare il segno Kirkland, è tutto possibile.”
“Il segno Kirkland delle sopracciglia giganti! Sono io, Francis!”
Tutte le stelle sono uno distaccate dall’altra per migliaia di kilometri anche di più, ma la gente della pensano che siano vicini di casa. Perché gli uomini e le stella sono veramente troppo lontane, se non riescono a preoccuparsi della propria solitudine, come fanno a preoccuparsi della solitudine della stella.
Nel mondo non ci sia la cosa più spaventosa della solitudine. Specialmente quando di apre una porta, tutto il buio entra nel corpo, sia nella brigata pieno di confusione, oppure nelle strade di Parma pieno di gente, tutto è digerito dalla solitudine.
Lovino si appoggiò vicino al muro. Quello è l’unica cosa resistente nella solitudine, ed è anche l’unica cosa che lo separa dal mondo vivace e pieno di vita. Anche se il mondo è crudele, ma è sempre vivace e pieno di vita. Quando sta ancora andando avanti, serve sempre qualcuno che gli sta accanto—sia in un esplosione di una bomba, sia sotto un colpo di fucile. Infatti, prima che arriva questo terribile giorno, non capirà cos’è la paura.
Ma questo terribile giorno deve sempre arrivare per Lovino. Nella prima missione che deve compiere da solo, nel mercato di Parma, senza avviso, dei soldati gli saltano addosso, persino il cappello viene preso da loro. Era un cappello per niente male, gli aveva regalata l’ufficiale, adesso è finito nella meni di qualche soldatino.
Non riesce ancora a capire, dove c’è stato l’errore. Se Lovino potrebbe calmarsi adesso, potrebbe pensare così: potrebbe essere che tutti questi soldati sono solo impauriti da tutto ciò che sta accadendo, acchiappa ogni persona che vede—infatti prima che scoprono qualcosa, poteva far finta di non sapere nulla.
In questo momento sente il rumore della porta, c’è qualcuno che gli sta portando da qualche parte. Se qualcuno adesso gli fa compagnia, non avrebbe paura nemmeno se gli stanno per uccidere.
Ma non c’è nessuno, questo è l’inizio di tutta la paura,
“Basta che non muoio.” Lovino parla tra se e se, “basta che non muoio!”
Non si ricorda persino che cosa stia dicendo il Gestapo che si trova di fronte a lui, si ricorda solo che il loro tono sembrano di aver capito qualcosa, e si ricorda anche che sta dicendo soltanto “Non lo so”.
Le cose che seguì, deve solo ricordare che quel giorno la sua vita si era terminata…
Un Gestapo gli fa mettere vicino al muro, e non farlo muovere. Poi “Bang”, quel suono forse, sembra che tutto l’universo sia esploso vicino alle sue orecchie. Sembra di essere passata un secolo, poi capisce che: loro hanno sparato colui che gli stava accanto.
Un’altra intelligentissima invenzione degli uomini di punizione, così che hanno fatto l’esempio a Lovino Vargas: in una stanza interrogatoria, un statua alla forma del corpo umano pieno di buchi di pallottole.

 
Parole dell’autrice:
Okay, sono tornata, come sempre spero che mi piaccia, ho notato che questo capitolo è veramente difficile e lungo e.e 

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Capitolo 11
*** Undicesimo capitolo ***


Undicesimo capitolo

Dopo quel momento, il mondo sfonda nel silenzio. Le bocche dei soldati aprono e chiudono velocemente, come se stessero recitando una pantomima davanti a Lovino. Ma i loro sorrisi pieno di disprezzo ammettono tutto ciò che stanno discutendo: “Allora è questo un partigiano…un povero vagabondo italiano! Un barbone!  E pensa di essere quale Enea…”
Enea. Questo nome sconvolgente fu come un fulmine improvvisa, penetra immediatamente i timpani di Lovino, e illumina quei ricordi della infanzia che erano affondati fino al fondo della mente con il passare del lungo tempo. Sì, adesso sì che il ragazzo di ricorda: sotto al vecchio melo di Victoria, la prima storia raccontata dal vecchio, non era stato Tizio o Caio con addosso il simbolo 卐, ma era proprio Enea.
Improvvisamente, tutta la paura di prima viene sfondata da questa vanità inopportuno ma estremamente difficile da trattenere. Alza le mani verso avanti involontariamente, come se dovesse offrire un sacrificio ad un Dio davanti all’altare sacrificale.
“Parla…parla…parla…”
Il pantomima finisce di un tratto. E la parola più ripetuta dagli interrogatori fin dall’epoca dei Sumeri ricomincia a suonare intorno a lui. Così parlò con fretta, tutte le parole pronunciate sembrano i fulmini del grande Giove:  i fulmini di Giove potevano distruggere tutte le cose della terra, e anche questo gliel’aveva detto il suo vecchio.
“Em…il vecchio mi diceva che i miei antenati erano i guerrieri di Giulio Cesare e Ottaviano; il nonno del vecchio aveva seguito Giuseppe Garibaldi; il vecchio da giovane aveva viaggiato da solo per Grecia, Egitto e anche tutto il resto della penisola balcanica; sapeva giocare al calcio, em…ah, sapeva anche cantare e disegnava molto bene…”
“Siamo seri! Parla di cose importanti! Moccioso!”
“Queste sono le cose più importanti che so!” Lovino gli risponde con un tono confuso ma nello stesso momento arrabbiato, “Il vecchio mi disse solo queste! Non mi disse altro!”
…Dopo ciò, la stanza cade di nuovo in un profondo silenzio. Solo quando alla fine sta per essere portato fuori, sente:
“Questo moccioso o è pazzo o è sordo!”
“Mandalo a Milano. Lì sì che avrà una bella lezione, i nostri interrogatori professionisti sapranno sicuramente il modo per farlo parlare.”
In questo momento, qualche partigiano ritornato da Parma ha già portato questa brutta notizia tra le montagne. “Claudio è già uscito da parecchio, non torna nemmeno oggi?” Francis guardò con sollecitudine l’amico che si trova accanto a lui, e prova a dire con un tono rilassato, “Ma dai, Lovino è un ragazzo furbo, può essere che è già sfuggito.”
“Oppure no.” Una risposta breve ma pesante.
“Il nostro Don Chisciotte non diceva mai cose del genere.” Francis sospira, “Era sempre stato il più ottimista di tutti.”
Antonio si siede sulla scalina sotto al sole, e non dice un parola.
“L’ottimismo non è ridacchiare e fare lo scemo, anche se a volte ridere un po’ non è male. Frate’, ottimismo significa la forza di non aver mai paura e non essere mai abbattuto. Ma proprio così che è strano: le persone più ottimisti sono di solito, quando si sfonda nella depressione è più difficili da ritirar su. Se causa qualche problemi nella guerra per la tua depressione, scusa ma il fratellone ti punirà.”
Anche se il vice generale parla sembra con il tono scherzosa, ma più è un amico, e più si capisce che nonostante ha un comportamento noncurante e trascurato nei riguardi di tutto, non è per niente meno determinante di Robespierre e Napoleone. Antonio si appoggia le braccia sulle ginocchia, e lo sguardo supera le colline, come se riuscisse a vedere il lontano nebbioso, a vedere che tipo di sfortuna sta per accadere all’amico.
Se è veramente una sfortuna, allora Don Chisciotte non starebbe in piedi a vedere solo. Allora gli dovrebbe crescere le ali dalla schiena, e volare fino a quel posto pieno di dolore.
“Però io non ho le ali di un aquila!” dice a se stesso con un profondo senso di impotenza, “Anche se Natalia scrisse sulla borsa per il tabacco ‘aquilotto’, e mamma mi chiamava sempre ‘aquilotto’…” All’improvviso, guardò l’amico con uno sguardo ansioso: “Mica viene picchiato, Fran?”
“Non trovo il motivo per cui i fascisti l’hanno catturato, e con quale prova? Ha fatto qualcosa di fuori posto?” Francis aggrottò la fronte, “Più o meno sì, potrebbe pure subire selle torture. Se non riesce a sopportarli, ci potrebbe tradire…”
“E se riesce a resistere?” Domandò Antonio, “E per quanto tempo lo dovrà fare?”
“Vediamo un po’, perché stiamo parlando sempre delle peggiori situazioni? Dovresti essere come dico io, su via con il morale, essere più ottimista. Lovino può essere anche sfuggito…”
“Però…”
“Niente però e niente ma, frate’! se veramente ti importa si lui, devi essere per forza più ottimista, se no sara il tuo cuore che non riuscirà a resistere… Non dimenticare che domani è 19 Ottobre, durante le missioni non devi pensare ad altro…”
Fuori alla finestra della cucina, ci sono della legna da ardere messi a righe, Elizabeta è seduta lì sopra a selezionare gli ortaggi. Con le sue dite abili, toglie a strati le foglie del cavolo, e spezzarli in pezzettini. E quando alcuni pezzi cadono a terra, si alza lo sguardo per assicurarsi che non c’è nessuno d’intorno, li butta tra la legna di nascosto.
Le notizie brutte hanno sempre le gambe più lunghe di quelle buone. La notizia che Lovino Vargas viene catturato, è già arrivato nelle sue orecchie. Una ragazza come lei, è sempre piaciuta dalla gente, e a lei piace la gente, infatti ha fatto già un sacco di amicizie nella brigata.
“Dovrei fare una predizione per lui? Provo a farlo nel verso la fortuna.” Elizabeta pensa. Così prende le foglie ancora intere dal cesto e li mise a terra in formazione dei tarocchi.
Però non sembra uscito per niente qualcosa di buono, così, scambio qualche foglia di nascosto in modo che risulta il miglior modo possibile, è molto contenta di questa predizione, si meraviglia di se stesso.
“Sei esperta ad imbrogliare, piccola zingara! Non andare a fare qualche esame universitaria è un peccato!”
Sentita questa provocazione, la ragazza saltò d’ira come un gatto che viene calpestato la coda, vide la faccia ‘vittoriosa’ di Gilbert Beilshimit. Non riesce a non pensare la propria faccia quando vide il ragazzo tutto bagnato che fa delle figure non proprio belle. Okay, adesso stanno a pari.
“Università, questo lo so, ma non ci sono mai andata.” Elizabeta contrattacca eloquentemente, “persino un cane qualsiasi sanno che gli universitari sono i più antipatici e odiosi.”
Gilbert si socchiuse leggermente gli occhi: “Domani il magnifico me va a compiere una missione, è un evento importante.” Il suo tono sembra proprio un prepotente pavone, pensa la ragazza.
“Ma che bravo, e allora? Mi fanno andare anche me?”
“Solo i migliori partigiani lo possono fare, infatti, fanciulla, resta tranquilla nella montagna e cucinare e lavare i vestiti.”
“Allora che sei venuto a fare! A vantarti?”
“Sono solo venuto a dire a una stupida che se il magnifico me si ferisce, non piangere come un incapace.” Gilbert rispose, sa che in un’atmosfera come questa non riuscirà a dirle dell’altro. Si trattenne l’ira, e prese dal cesto una foglia, e lo mise dolcemente nelle basette della ragazza come se fosse un fiore.

 

Angolo della scrittrice:
Ah~ Da quanto tempo, spero che vi sia piaciuto, se ci fosse qualche errore grammaticali o lessicale o qualsiasi altro, non aspettate altro a dirmi, così, se ho tempo li correggerò, in un futuro molto sconosciuta. ^^

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Capitolo 12
*** Dodicesimo capitolo ***


Dodicesimo capitolo

Non esiste e non esisterà una predizione con più spirito nobile di quella di Elizabeta, le sue carte portano un mucchio di fortuna alla gente. Per questo, quando Elizabeta era ancora una piccola mocciosa, la nonna Yesenia che le insegnava le predicazioni le sgridava sempre, “Se per la buona fortuna degli altri, imbrogli le carte, un giorno tutta quella sfortuna cadrà sulla tua testolina, Liza!”
Però, Elizabeta continua ad imbrogliare, come una studentessa sfacciata, non ha ne vergogna che paura. All’inizio usava le sue vecchie carte di poker, poi la sua zanna malvagia passa verso tutto ciò che può spargerli a terra, tipo le foglie. Non importare del fango sulle foglie, che cosa che fin dalla preistoria che può manipolare il destino di un uomo non è sporcato dal fango?
“Ragazza con le corna, sei proprio una ragazza con le corna!” le aveva detto Francis Bonnefoy quando era appena arrivata, “Sembri sia Carmen che Esmeralda! Se tu fossi stata nel cinquecento anni fa, sicuramente venivi giustiziata!” Quando la ragazza aveva sentito queste parole, non poteva essere più contenta, può essere una delle frasi più ‘sagge’ che ha mai sentito nella vita.
Fino da quando il tedesco se ne va via con tutta l’ira, la zingara toglie la foglia dai capelli, come se fosse un ventaglio la sventola di qua e di la. Pian piano, iniziò anche lei a scuotere la testa, e deride di nascosto le parole dette da Gilbert: come aveva detto, gli universitari dicono solo cazzate! È impossibile che Elizabeta Héderváry piangesse, poi lei mica è una di quelle donne delle legende popolane che ogni lacrima che cade a terra crescono dei fiori, ma per favore!
Si siede di nuovo sulla sediolina per continuare a pulire gli ortaggi, e senza accorgersi, iniziò a cantarellare quella canzone assai popolare dei partigiani:
“E le genti che passeranno,
oh bella, ciao! Bella, ciao! Bella, ciao, ciao, ciao!
E le genti che passeranno,
ti diranno ‘Che bel fior!’

Gli italiani amano le leggende. Non importa quanti anni passerà, i vecchi abitanti di Milano, continueranno battere le mani, come hanno raccontato la storia di Enea, Spartaco e Giuseppe Garibaldi, racconteranno l’avventura di un ragazzo anonimo, di un ragazzo che nell’ottobre di 1943 viene scortato a Milano, con il passare del tempo non rimane più tanti dettagli, visto che tutti coloro che raccontano le storie di etnia latina aggiungono sempre la loro fantasia e specificazioni, tipo quando dici un tuo segreto ad un amico, e tra persone e persone, chi sa che cosa diventerà alla fine. Alcuni dicono che il giovane partigiano riuscì improvvisamente a prendere il fucile dal soldato, e dopo aver sparato a caso, scappò; altri dicono che il giovane scappò quando dei ladri fanno casino alla stazione, e per quel attimo, il soldato che lo sorvegliava perse l’attenzione su di lui scappò; e ci sono anche altri che dicono che quel soldato in realtà era una spia da parte dei partigiani che lo liberò di nascosto.
Ma tutte le versioni hanno una cosa in comune, cioè quel soldato che portava il ragazzo non è sicuramente tedesco: “Non ha potuto nemmeno sorvegliare un moccioso, non importa se l’ha fatto intenzionalmente o no, sicuramente è un italiano come tutti noi.” Dicono la gente.
Insomma, alla sera di quella giornata autunnale di 1943, i soldati fecero una confusione totale tra le vie di Milano. Si dice che l’hanno visto nell’Università di Milano, ma dopo tanti interrogazioni, capiscono finalmente che quel ragazzo è soltanto uno studente dell’artistico che assomiglia molto al condannato, lo studente ha appena finito le lezioni all’Università. I professori e altri studenti che stanno d’intorno possono essere la prova.
Quando vede che tutti i soldati sono andati via dalla scuola, l’innocente studente corre subito verso il suo dormitorio singolo con il cuore che batte ancora fortemente. Quando sta per aprire la porta della camera, vede un ombra all’angolo del corridoio. Così tutti i suoi dubbi sono risolti.
“Sei tu, Lovino?” Chiede all’ombra attentamente.
l’uomo nell’angolo si alzò di un tratto e dette “affettuoso” abbraccio all’universitario.

Lovino appena entrato nella camera, si stende sul letto singolo dell’altro ragazzo, e subito dopo non gli interessa più niente altro del mondo. Invece il “proprietario” della camera, un ragazzo che frequenta ancora l’Università artistico di Milano, Feliciano Vargas guarda con preoccupazione il corridoio, poi chiuse a chiavi la porta, prese una sedia e si sedette vicino al letto, e guarda affettuosamente il volto del ragazzo dormiente.
Vedendoli, i due fratelli della famiglia Vargas si assomigliano veramente parecchio. Sono come due fiori nati nello stesso vaso, ma cresciuto in due ambienti completamente diverso.
Quella con la pelle più chiara è il fratello minore, il suo volto soffice e sereno, sembra proprio un’opera d’arte sotto i pennelli di Raffaello. Invece il fratello maggiore ha la pelle più abbronzato, anche se sta dormendo così beatamente che non è una cosa facile da vedere, si nota comunque la stanchezza dovuta dal lunghi viaggi e missioni.
……il profumo della pasta pronta, sembra una mano di un bimbo tanto giocherello che tocca continuamente il naso di Lovino. Lui apre gli occhi, e vede il fratello che sta mettendo la pasta appena cucinata nei piatti. Si alza dal letto, ma invece di correre al tavolo come farebbe normalmente, si strinse le braccia, e inizia a tremare come una malato di malaria. Feliciano fece un sospiro, porta il piatto di pasta davanti al fratello, e guarda silenziosamente il fratello che mangia.
“Em… Tutto bene, Lovino?” Solo quando nota che il fratello posa la forchetta, e pulisce privo di riguardi la bocca con la mano, Feliciano lo chiese poggiando una mano sulle spalle del fratello. Ma quegli occhi castani gettò uno sguardo minaccioso su di lui, il ragazzo più piccolo si abbassò la testa aspettando la perdita della calma del fratello. Non ci sta una relazione molto stretta tra essi, ma riescono a capire benissimo ciò che pensa l’altro.
Ma questa volta, Lovino strinse solo fortemente la mano che ha sulle spalle e non parlò affatto.
“E Victoria? Come stanno i nonni?”
“La nonna sta bene.” Lovino rispose, “E anche il vecchio sia ancora vivo.” Senza nessun dubbio, vide il fratello che si aggrottò la fronte: “Non dire così sul nonno, Lovino, non è giusto…”
“Certamente, questo non è giusto, l’altro non è giusto. Il vecchio fin da quando ero piccolo ed ancora oggi continuò a ripetere questa stessa frase a me.” Lovino disse ridicolmente, “Ma mica è colpa sua. Devi per forza piacergli di più, sai dire dolci parole, sai cantare, disegnare e giochi anche abbastanza bene a calcio, sei tale e quale a quel vecchio da giovane.”
Un sorriso timido appare sul viso di Feliciano.
“Ma anche tu sai giocare a calcio! Ti ricordi quando stavamo a Victoria? Il nonno ci insegnava…” Si emozionò, e subito quel sorriso infantile appare sul suo raggiante volto.   “Ti devo portare a San Siro, non sai quanto è forte Boffi! Viene nominato il miglior goleador della stagione 1941-42, aveva fatto ben 22 goal. Ahi, peccato che Giuseppe Meazza l’anno scorso era andato nella Juventus, se no, noi Milan…”
“Che me ne frega di voi Milan! Io tifo Napoli!” Lovino alzò gli occhi verso il fratello, e gli disse come se fosse quale personaggio sapiente, “Non ci sei mai stato a Sud giusto, Feli? Un giorno il Dio starà dalla parte di Napoli, e schiaccerà tutti gli altri come se fossero degli insetti!”
“Anche il Dio gioca a calcio?” Feliciano cerca di trattenere la risata, “Okay, e quando starà dalla parte di Napoli?”
“Dieci anni, venti anni, trenta anni, quaranta anni…em… Al massimo tra cinquant’anni! Ne sono sicuro!” Lovino si stende di nuovo sul letto e si soddisfa veramente tanto di sé stesso, “A quel momento, ve lo faccio pagare!”
Proprio quando il luminoso destino di Napoli sta apparendo davanta agli occhi di Lovino, il fratello minore disse una frase inopportuno: “Però adesso da noi c’è ancora la guerra.”
Lo silenzio sfonda la camera dove si trova i due fratelli Vargas. Come se fosse un calcio tirato sulla faccia, il crudele mondo di fuori entra nella stanza, penetra il loro corpo e strinse i loro cuori.

 
Angolo della traduttrice:
Yahoo~ Ciao gente, come state? Bene, questa è il dodicesimo capitolo, spero che vi sia piaciuto, sempre la solita frase, se ci sono errori grammaticali o logici ditemelo please. E se vi sia piaciuto, lasciate una bella recensione, grazzzzzzzieeeeeeee ^^
Al prossimo capitolo all’ora che non so nemmeno io quando lo farò, credo che sto usando un po’ troppo tempo a tradurre, giusto? Giusto!
Grazie ancora perché vi sia piaciuto ^^ 

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Capitolo 13
*** Tredicesimo capitolo ***


Tredicesimo capitolo

Napoli… Napoli… Se considerassimo Victoria come l’infanzia di Lovino Vargas, allora questa città bagnata dal Mar Tirreno di Sud Italia sarebbe come l’adolescenza del ragazzo. Infatti, anche se gli antenati appartengono a Victoria, il Dio è da parte di Napoli. Il Dio potrebbe non essere altissimo di statura, potrebbe avere anche un brutto carattere, forse, forse al momento non è nemmeno nato; però tutte le cose che coloro fanno con una palla da calcio, lui potrebbe farlo soltanto con una semplice arancia. Mentre i due fratelli Vargas stanno chiacchierando, questo Dio di Napoli fece un piccolo salto del tempo di circa quaranta anni, si riposò un secondo in questo piccolo dormitorio, e ritornò subito sul campo da calcio degli anni 80.
Nella stanza rimane solo un profondo silenzio. Questo silenzio è talmente forte, che Lovino riesce a sentire questo silenzio, “Però adesso da noi c’è ancora la guerra.”
“Stupido!” Lovino stese sul letto, “Hai perso un’ottima occasione per stare zitto, Feli!”
“Pensavo che non hai più paura delle battaglie, fratellone. Dopotutto sei stato lì fuori per così tanto tempo…”
Secondo il carattere di Lovino, Feliciano si sarebbe aspettato un’altra bella sgridata, ma sentì soltanto una risposta rauca: “…lo pensavo anche io. Avevo pensato persino di essere Enea…”
“Allora adesso…”
“Prima c’era sempre qualcuno insieme a me, ma solo adesso capisco quanto è inquietante la solitudine.”
La tristezza e misericordia riappare sul volto di Feliciano. Scosse leggermente la testa, e consolò il fratello maggiore con un piccolo sorriso: “Questa è una cosa buona, Lovino. Sapere la paura, è una cosa buona.”
Questo non è come gli insegnamenti di nonno Romolo. Molti anni fa, sotto il vecchio melo di Victoria, quel vecchio che aveva visitato mezzo mondo raccontava gli episodi eroici di Enea ai due; ma la nonna Ersilia che non è mai stato fuori di un centimetro dal villaggio li diceva sempre che tutti dobbiamo avere qualcosa per cui ci fa paura. Quando un professore di filosofia parlò con Feliciano, aveva commentato: “La tua nonna è una donna saggia, ma il tuo nonno non ha sbagliato per niente. Gli essere umani devono essere coraggiosi, ma devono avere anche il timore reverenziale.”
Anche se Feliciano è un ragazzo intelligente, ma non per una sola volta fraintende queste parole, facendo scusa per i proprio o anche degli altri timori.
“Eh sì, se c’è qualcuno insieme a te è sempre meglio.” Feliciano vede che il fratello non rispose, e continuò, “Perché tu stai giocando la tua vita tutti i giorni. Per qualsiasi cosa che fai, avere un fedele amico accanto che bada a te…”
“Sono un uomo che bada gli altri e non un vigliacco che deve essere preso in cura dagli altri!” Ma Feliciano continuò ignorando il proprio fratello maggiore: “Avere un amico del genere è la cosa più bella del mondo, quando sei in difficoltà, lui non ti abbandonerà mica…”
“L’ultima volta è stato accanto a me il Dio della Morte. Sta sopra la mia testa, vicino alla mia cola, affianco alla mia vita ed attaccato ai miei piedi. Riesci ad immaginarlo? Bastardo!”
“…ma Lovino, nella vita ci sono molte cose più belle di fare la guerra, come il calcio…”
“Come se non volessi una vita tranquilla…”
“Allora perché…”
“Perché lì ci sono i miei compagni…”
“Ahi, allora vivi più a lungo per favore, voglio ancora vedere Milan che vince il campionato…”
“Via! Napoli è il numero uno!”

Il secondo giorno, Lovino andò via da Milano. Anche se Feliciano voleva che il fratello rimanesse per qualche altro giorno, nell’Università le persone che vogliono tanto bene ai partigiani non mancano mica, ma quando ha vista gli occhi del fratello non riusciva a dire altre parole. Portò Lovino nel teatro della scuola, e dopo mezz’ora, Lovino sembra un semplice universitario.
Italiani sono così: coloro che raccontano le storie esagerano un sacco, e quelli che li ascoltano esagerano altri tre sacchi. Quando Feliciano ha descritto il proprio fratello maggiore ai compagni di classe, tutti gli altri universitari hanno avuto subito un rispetto timoroso verso il partigiano. Prima di allora, non erano mai stati in contatto con gli esploratori, i soldati, gli assassino e i partigiani, persino un loro capello hanno più esperienza di tutti quei studenti.
“Hai esagerato, stupido Feliciano.” Lovino disse tra se e se, mentre ascolta tutte le strane domande dagli universitari. E come risposta, lo prese dalle storie di avventura che aveva visto in passato sulle vecchie rivista. Era stato così verosimile che per un attimo persino lui ci avrebbe creduto.
… “Devi già andare? Torni nelle colline?” Dopo che Lovino riesce ad uscire dalla città di Milano in mezzo a tutti gli universitari, Felicino gli chiese.
“Non posso andare da nessuna parte a parte!” Pensandoci bene, Lovino sta fuori già da una settimana intera, adesso che torna accadrà sicuramente tante cose per niente carine. Quei tre comandanti sicuramente parleranno assai sul suo comportamento, non è che adesso tutti pensano che sia una spia? Anche se viene detto innocente, quel Gilbert deriderà sicuramente di lui per questo fatto. Pff, ma Gil sta sicuramente ancora dietro a quella zingara. Forse anche Antonio con Natalia, Lovino riesce anche ad immaginarlo: quelle squallide storie di avventura, il cavaliere che viaggia per il mondo portando sempre con se la borsetta cucinata dall’amata. Ma per la maggior parte della gente, questa non è per niente squallida, anzi, diventerebbe una romantica legenda. Per esempio Francis, “Lo giuro per tutte le stelle del cielo!”
“Che cazzo me ne frega a me!?” All’improvviso gridò.
“Stai bene, fratellone?” Feliciano lo guardò strano, “Ah, saluta il nonno Romolo e la nonna Ersilia da parte mia……a proposito, ti volevo sempre chiedere, non sei mai venuto da me a Milano, giusto? Come hai fatto a sapere dove abito?”
“Sono stato e come a Milano, e avevo visto anche te, ma in quel momento per quale motivo te lo dovevo dire? Bastardo!”
Quando i campi sotto i suoi piedi si dirigono agli Appennini, Lovino si accorge che probabilmente questa è la strada, ricorda ancora come, una settimana fa, Antonio e Gilbert sono andati nella collina da Milano.

Per coloro che conosce bene i monti, i Pirenei sono Pirenei, le Alpi sono Alpi, gli Appennini sono Appennini, come se fossero tre buoni amici. Ma se una persona è dalla nascita figlio dei mari, basta una goccia di acqua del mare nella bocca, riescono a capire se è il mare d’Irlanda, il Golfo di Biscaglia, il Mar Mediterraneo o il Mar Ligure. “In Inghilterra ci sta un fiume di nome Mersey, e vicino al fiume Mersey ci sta una città di nome Liverpool, e a Liverpool ci vive un grande uomo di nome Robinson.” Quando la gente iniziano a raccontare la storia del “Figlio dei Mari”, iniziano sempre così.
In Inghilterra ci sta un fiume di nome Mersey, e vicino al fiume Mersey ci sta una città di nome Liverpool, e a Liverpool ci vive un certo Arthur Kirkland. Liverpool è il padre e il fiume Mersey è la madre, i ragazzi iniziano il viaggio da Mersey, senza dire ai genitori se ritornano o no.
“Il mar Ligure non può essere di confronto al Mare d’Irlanda, come Genova non può essere di confronto a Liverpool.” Arthur Kirkland pensa così tutte le volte che passeggia vicino al mare, anche se adesso è sotto forma del signor Schmidt, il consulente tecnico di un cantiere navale tedesco di Genova; anche se adesso dovrebbe essere preoccupato per Peter che non sta venendo da giorni a trovarlo.
In quei giorni, aveva ricevuto un invito dal comune per una festa alla notte del 19 Ottobre, per il benvenuto del generale Von Fersen.
“Ci vado.” Disse a se stesso, “Però se saprò qualcosa a chi lo dovrei dire?”

Angolo della traduttrice:
Salve a tutti, ecco a voi il tredicesimo capitolo. Spero che vi piace, e come al solito grazie per la lettura. 

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Capitolo 14
*** Quattordicesimo capitolo ***


Quattordicesimo Capitolo

Il fiume Trebbia sembra una nobile donna che danza nella sala tra i generali e comandanti. Forse all’originale signor Schmidt piacerebbe questo genere di feste, ma il sostituto non sopporta per niente la musica classica. Riesce a comportarsi come un gentiluomo di classe nobile, ma sotto la pelliccia da galantuomo nasconde un cuore da zotico.
I fischi del porto non fermano mai, e questo è la sua ninna nanna; i fischi e urla di Anfield non fermano mai, e la canzoncina di Liverpool è la sua prima canzone imparata. Crescendo, studiando, non importa come cambia i suoi comportamenti, ma non smarrisce mai il suo spirito da marinaio.
Come tutti i ragazzi cresciuti nelle famiglie dei marinai, Arthur è un ragazzo intelligente e coraggioso. Da piccolo, sia per la vita quotidiana che per il mondo molto più alto e lontano, si è comportato sempre con l’entusiasmo e perseveranza da un eccellente navigatore.
Allora, gli piaceva assai andare dal vicino che era un tecnico delle navali tedesco ad  ascoltare quelle storie assurde, e intanto imparò il tedesco con un accento perfetto. Allora gli piaceva anche il centrocampista Steven della squadra di Liverpool, ogni volta che tornava da scuola, andava in un piccolo campo vicino casa, e imparò il tipo da distanza. Allora gli piaceva immaginare il proprio futuro: da giovane voleva giocare per Liverpool, e poi fare il tecnico di una nave. Ma purtroppo, il suo controllo sulla palla faceva veramente schifo, che il club lo buttò fuori dal campo mandandolo a scuola. In tanto alla prima fila della Main Stand di Anfield ci sta sempre un grande tifoso di nome Arthur Kirkland.
La sua vita sembra che sta andando sulla via giusta da un tecnico delle navi, e per niente sorprendente, dopo la diploma, scelse facoltà delle costruzioni delle navi. Un giorno però, sentì la notizia delle battaglie in Spagna dal radio.
Arthur non aveva mai odiato così tanto se stesso, ha passato ben venti anni della vita come un semplice cittadino, era una cosa imperdonabile. Tutti quei marinai che stimava tanto, non solo non fermano mai ai porti, quando partono, a volte non portano nemmeno la cartina. Solo i luoghi lontani e insicuri sono il posto ideale per loro. In seguito, tutti i parenti della famiglia Kirkland pensano che è stato solo un incidente che Arthur sia partito per la Spagna a fare la guerra. Ma solo il vecchio Kirkland e il piccolo Peter sanno che non c’è niente di fuori posto.
I fatti fuori posto appartengono solo fino al primo giorno in cui si realizzano i sogni. Ma già dal secondo giorno, tutte le cose belle o brutte della nuova vita diventa normale e quotidiana come la vita precedente. Quando Arthur fece il primo sparo sul campo di battaglia nella Spagna, era un po’ in disagio, ma dopo essere abituato non era più niente.
Tutto si può essere abituato. Come uccidere le persone, e come un bacio da parte di un uomo. Le stelle sopra Mersey sembrano le luci di Liverpool che ti danno il calore; invece sopra i Pirenei, le stelle evidenzia solo la solitudine. Aveva baciato Daisy, Rose e Lily al ballo della scuola, le loro labbra profumavano come i loro nomi. Ma il bacio dell’astronomo Francis aveva l’odore del tabacco, come i ricordi di quel giorno che pensava di aver dimenticato, quel giorno il padre aveva in mano il romanzo di Daniel Defoe, e raccontava la storia di Robinson al suo giovane figlio.
Però non c’era bisogno di abituarsi a un bacio del genere, perché non ci sarebbe stato più la seconda volta. Arthur afferma che a Francis era venuto solo un tilt nel cervello, era solo per sentirsi, hmm… boh, un po’ come un bambino con il primo fucile? Ma se il vice generale sta facendo sul serio, Arthur l’avrebbe comunque rifiutato. Perché sia l’astronomo che marinaio porta solo sofferenze al proprio amante, perché loro donano più amore alle altre cose, per esempio il cielo e il mare.
“Però non sono ancora un astronomo, e da quale punto di vista ti definisci marinaio?”
“lo spirito del marinaio non deve essere per forza nel corpo di un marinaio.” Ogni volta che Francis gli diceva quella frase, Arthur gli rispondeva così.
Arthur continuava a definirsi un marinaio, e anche i compagni capiscono il suo orgoglio, l’arroganza, l’attenzione e la calma. Perciò, quando i partigiani riuscirono a catturare il signor Schmidt che stava sulla strada per Genova come consulente tecnico dei tedeschi, non avevano dato il lavoro di sostituzione al tedesco Gilbert, ma al professionista delle navi, Arthur Kirkland. Per fortuna quando era piccolo era stato tanto tempo dal vicino, infatti solo dopo una giornata intera col trattamento speciale di Gilbert, riuscì perfettamente ad assumere questo lavoro.
Così, iniziò la vita da gentiluomo del signor Schmidt e anche la solitudine di Robinson. Quando andava a vedere la partita tra Andrea Doria e Sampierdarenese, non solo una volta si arrabbiò per i modi di giocare delle due squadre, per un attimo voleva anche buttare bottiglie nel campo facendoli cambiare la strategia. Ma a quel momento doveva sempre ricordare che è un consulente tecnico dei militare, inoltre non sta sulla Main Stand di Anfield. Dall’apparenza più sembra tranquillo, più è nervoso all’interno.
 
“Un’altra bottiglia! Signor consulente! Un’altr…altra bottiglia!”
Il signor Schmidt rifiutò il vino dall’aiutante di campo del generale Von Fersen, anche se volesse bere come tutti gli altri. Ma sa che non è per niente bravo a bere, se si ubriaca, non solo lui stesso, ma tutta la brigata sarebbe nei guai.
“Angelica! Porta un po’ di acqua.” chiamò una delle cameriere.
La cameriera che venne vicino a lui forse non era Angelica, dopotutto era il primo nome che gli viene in mente. Ma di sicura non lavora qui da tanto, quando portò dell’acqua, fece cadere tutta la bottiglia bagnando anche le scarpe del signor Schmidt.
“Mi dispiace, signore!” la ragazza iniziò a pulire la sua scarpa. Finito, si alza, e disse: “Signore… ecco… credo che dovreste trovare un calzolaio…perché c’è una fessura sulla sua scarpa. Al sud della Piazza De Ferrari c’è un calzolaio abbastanza buono…”
Arthur diede un’occhiata alla scarpa intatta, e fece un cenno alla ragazza dai capelli castani. Subito dopo, un’altra bottiglia d’acqua viene portato a tavola. L’aiutante di campo che si era seduto vicino a lui mise una mano sulla spalla di Arthur e disse ubriaco:
“Dude…guarda, guarda, che bella ragazza… bella ragazza! Bella vita! Vita…oggi ne abbiamo fatto una buona! Indovina cosa, caro signor consulente…”
Arthur quando vuole versa l’acqua nella bocca dell’aiutante di campo, ma il secondo sventolò le mani e continuò a parlare:
“Prima che inizia la festa…abbi…abbiamo ricevuto un telegrafo…ahahahha…proprio questo pomeriggio, i part… i partigiani stanno a Savona…li abbiamo attaccati…e sicuramente nessuno ha potuto scappare…”
Di un tratto, il viso della cameriera diventò bianca.  Invece le parole dell’aiutante di campo inizia a unirsi alle risate e parlare degli altri invitati.


Angolo della traduttrice:
Ecco, visto che non aggiornavo da tanto tempo, e inoltre forse non aggiornerò nemmeno per un sacco di tempo, e visto che oggi ho tempo e pazienza, questo è il secondo capitolo della giornata, spero che vi piace ^^
Ah, inoltre, il fiume Trebbia dell’inizio del capitolo nella lingua originale era il fiume Danubio, ma visto che non capivo che centrava Danubio con Genova l’ho cambiata considerando un errore dell’autrice originale, se qualcuno riesce a capire il significato recensite, così lo cambio di nuovo ^^ 

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Capitolo 15
*** Quindicesimo capitolo ***


Quindicesimo capitolo


Alla fine della festa, il signor consulente dice di aver bevuto troppo causando mal di testa. Così, l’organizzatore della festa vuole mandare un servo per accompagnarlo a casa, ma lui si è ossessionato con “Angelica”, non dando nemmeno un sbirciatina agli altri che gli stanno accanto. Appare un sorriso capente sui altri principali invitati, e c’è persino un tizio che disse, “Vi auguro una dolce notte, signore!”
Dolce notte. Quanti uomini e donne al mondo sono incollati uno all’altro in questa dolce notte, l’umanità li deve ringraziare che non si è ancora estinta. Invece Arthur, cammina su una delle stradicciole di Genova in braccio la ragazza, ma infondo al cuore, è assai nervoso. Ma l’educazione che gli fa essere un gentiluomo davanti alle donne gli toglie anche  il diritto di arrabbiarsi. Invece lei, per non far dubitare dai soldati che sorvegliano la città, appoggia la testa sulla spalla di Arthur. Ma le spalle che tremano leggermente della ragazza esprime di essere nervosa.
“Tra un po’ stiamo a casa.” Arthur disse per consolare “Angelica”, o per consolare se stesso.
Appena entrato a casa, chiuse a chiave la porta, e la ragazza si allontana subito da lui, appoggiandosi vicino al muro, e mette le braccia davanti al petto.
“Bene.” Chiese Arthur, “Dimmi almeno di dove sei, no?”
La ragazza toglie il fiocco che si trova sulla testa in silenzio, e prese un piccolo foglietto dalla fessura e lo diede ad Arthur che lo lesse attentamente…
“Allora, sei dalla nostra parte.” Disse, ma subito dopo, aggrappa la spalla della ragazza, “Cosa è successo? Quanti e chi sono stati intrappolati? Sono morti qualcuno? E gli altri che fine hanno fatto? Imprigionati? O giustiziati…”
“Hey! Hey! Hey! Mi stavi interrogando come se fossi una spia, e mi fai solo queste stupide domande.” Le guance della ragazza si arrossiscono all’improvviso, e toglie le mani di Arthur dalle proprie spalle, “E questo sarebbe il grande Robinson? Queste cose dovrei chiedere io a te, no? Non dovresti essere tu a chiedere a quei “super” generali che hanno fatto?”
Arthur non trova parole per risponderle. Si stende sul divano, e mette le mani tra i suoi capelli biondi. La ragazza non ha detto niente di sbagliato, e da tanto che perde nel parlare. No, è meglio dire che è da un sacco di tempo che non fa domande sbagliate a persone sbagliate, è stato proprio uno stupido.
“Non fai spesso questo genere di errore, giusto?” sentì parlare la ragazza, “Mi hai portato fino qui, non è per…”
“Per quei barboni delle colline!”
“Okay, okay, adesso vado. Riposati, grandissimo Robinson! Non dimenticare di andare ad aggiustare la scarpa alla Piazza De Ferrari…”
Arthur si alzò dal divano, e mette con fatica la maschera da gentiluomo:
“No, dormi nella mia stanza, invece io mi arrangio una notte sul divano. Sei una ragazza, e non dovresti stare fuori a tarda notte…inoltre dovresti recitare meglio davanti agli altri, Angelica…”
“Chiara, non Angelica.” Sorrise la ragazza, “Chiara Vargas.”
Questa volta, colei che infrange il regolamento è stata lei.
 
Durante le guerre, gli uomini provano spesso un speciale sentimento verso le proprie compagne di guerra. Ma questo sentimento non è amore, ma misericordia, misericordia per loro che devono subire un destino che nemmeno gli uomini riescono a sopportare, specialmente quando sono ancora nella loro età fiorile. Inoltre pensano che il lavoro delle donne sia aspettare, aspettare quel giorno nella quale le arriva una lettera che le fa alzare in piedi davanti alla culla o davanti al forno.
Un’anziana dottoressa dei partigiani sta facendo un operazione chirurgica a un soldato gravemente ferito della quinta brigata, il tavolo operatorio è una tavola lunga della salone della villa. La sta aiutando Elizabeta e Natalia.
Lavorare insieme a una dottoressa, fa sentire più sicura a Natalia, anche se nelle loro mani ci sono le vite e le morti dei malati. Le fa sempre pensare a sua madre, la dottoressa Snezhana Arlovskaya, che molto probabilmente al momento sta in qualche sala operatoria di Mosca. La madre conosce e capisce la morte e la vita, perciò per Natalia lei è immortale.
Elizabeta è una ragazza in gamba, e su questo Natalia lo deve ammettere.
“Bel lavoro!” dopo l’operazione, Natalia disse a Elizabeta, “Sembra che non ci sia qualcosa che non sai fare.”
“La nonna Yesenia è la vera tuttofare.”Elizabeta disse, “Ho solo imparato qualcosina da lei, per esempio cucire,  predizione…”
“Riesci a prevedere le vite degli altri, Elizabeta?” Le interruppe Natalia, “Per esempio qualcuno che si trova molto lontano a te, riesci a vedere le loro vite?”
Elizabeta prese un mazzo di carte, e li mette a terra: “Un giorno solo per due persone, dici pure i loro nomi!”
“Ivan, Ivan Braginski, come sta adesso?”
“Ivan, è un nome da maschio? No, oggi è giovedì, giovedì è solo per le donne.”
“È mio fratello… allora, dimmi come sta Snezhana Arlovskaya.” Natalia si dispiace per non averla pensata subito, infatti completò la frase a bassa voce, “Mia mamma.”
Elizabeta iniziò subito a mischiare le carte a terra, mentre dice delle formule strane, forse di qualche lingua sconosciuta. Infine, batte le mani, e disse: “Tua madre sta bene, sta sul suo posto di lavoro. Natalia, ti rimane l’ultima chance, a chi lo vuoi dare?”
“Anya… in verità si chiama Anne Sokolov.”
“Anya? La compagna di classe? Ah, ok… questa Anya sta ancora a scuola, in futuro si sposerà con colui che ama. Avranno tre figli, due maschietti e una femminuccia…la tua Anya sarà una donna felice! È una cosa buona, Natalia, esserne felice per lei…”
Natalia è felice per Anya, come Anya sarà felice per Natalia. Come tutti i compagni della classe B del nono anno del trentacinquesima scuola media di Mosca che credono che Natalia diventerà una matematica.
Be’ sì…tutto i compagni di classe lo sapevano che Natalia Arlovskaya ed Anne Sokolov sono migliore amiche. Infatti, nell’anno in cui avevano sedici anni, la primavera del 1941, Anya disse all’amica: “Mi sono innamorata di lui…”
“Oh, Anne Sokolov, perché proprio lui?”
“Hmm…ma guardalo, tra tutti quei bei ragazzi, lui è sicuramente migliore…ha degli ali da aquila…” le guance di Anya si arrossiscono, “Non ho ancora pensato a come dirglielo…”
“Anya…”
“Non so che fare.” Anya sorrise, e inizia a rotolare i suoi capelli intorno al dito, “Mi sento meglio dopo avertelo detto, sentivo bisogno di dirlo a qualcuno, ho detto solo a te…”
Perché sei triste? Perché c’è quella gelosia? Natalia dovresti essere orgogliosa, è il primo amore, che segreto dolce, ed Anya l’ha detto solo a te. Ma quel ragazzo perché non è un altro ragazzo, perché proprio lui, perché proprio Ivan, Ivan…
 
“Elizabeta, hai mai predetto il tuo futuro?”
“No, e non ho il coraggio di farlo.”
“Perché”
“Perché sono troppo generosa per i destini degli altri…”
 
Note:
  1. Il nome di Chiara Vargas sarebbe NyoRomano, in seguito rivelerò il suo rapporto con Lovino.
  2. Anya invece è NyoRussia, ma qui non c’entra niente con Ivan, infatti ho cambiato il cognome per non confonderla, e in questo caso, è solo la migliore amica di Natalia quando era nelle medie.
 Angolo della traduttrice:
Ciaoooooooo a tutti, sono Cocco, sono di nuovi qui, be’ sì, è stato un miracolo che sto aggiornando così tanto in questi giorni, non ci credo nemmeno io di poter tradurre con mezzo tempo di prima, e ho così tanto tempo di tradurla. Spero che vi sia piaciuto il capitolo, e se vi è piaciuta recensite tanto =D Alla prossima ^^

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Capitolo 16
*** Sedicesimo capitolo ***


Sedicesimo Capitolo

La profeta più generosa della storia, Elizabeta Hedervary. Come i contadini che seminano i semi nella primavera, lei semina la felicità nei cuori della gente. Ma la felicità dell’umanità non è per niente più grande di una torta, se gli altri riesco avere una fetta grande, a se stesso rimane solo quella piccola. E questo glielo disse anche la vecchia Yesenia, la nonna Yesenia ha sempre ragione. Anche se adesso rimane solo dei ceneri nella profondità della terra, Elizabeta si abbassa comunque le guance vicino al terreno, dicendo:
“Questo non è niente…io do un bel destino agli altri, e ci sarà comunque qualcuno che si occupano del mio. Prima o poi ci sarà una persona che lo farà…”
La terra le risponde con un silenzio. Come una bambina che capisce di aver sbagliato e poi di essere perdonato, Elizabeta sorrise, e sospirò, “E quando ci sarà una persona del genere, e chi sarà?”
Elizabeta alza la testa, e vede gli occhi seri di Natalia.
“Beilshimit?”
“Che te ne frega a te?” la zingara scosse la testa imbarazzata, e fece una smorfia alla russa. La studentessa Anya faceva la stessa faccia quando discuteva con gli altri.
“Senti, Anya…Liza! È un tedesco!”
“I tedeschi hanno le corna, o hanno il terzo occhio?”
“Non fare la stupida, Liza. I tedeschi non hanno le corna, e nemmeno un terzo occhio.” Il tono di Natalia inizia a passare da dispregio all’odio, “Ma hanno un cuore di diavolo.”
“Hmm…non riesco nemmeno a vedere cosa c’è dentro alla pancia della gente. E poi anche se hanno un cuore di diavolo, che centra con Beilshimit?!”
“Non hanno a che fare, perché non riesci a capire. Una nazione deve sempre pagare per quello che hanno fatto, come una persona deve occuparsi della propria nazione. A parte la matematica, la materia che vado meglio è la storia, la storia è sempre così.”
“Lo sapevo che la scuola non è una cosa buona, insegnano un sacco di cose così. Io uso i miei occhi e l’orecchio per conoscere le persone, per conoscere Gilbert. Gli occhi e le orecchie di care zingare non mentono mai.”
“Zingari! Zingari!” Natalia strinse la benda, e abbassa i suoi occhi dal colore del mare, “…Estranei per la passione, estranei per la sofferenza, eternamente freddo ed eternamente libero, voi vagate: non avete una patria, non c’è un esilio per voi.”
 
Nuvole celesti, eterni vagabondi! Sorgete dalle poesie di Lermontov, attraversate gli altopiani bavaresi, volate insieme al sole sul Parigi che fiorisce come una rosa, e fino a quando non incontrate i tristi venti di Liverpool, diventando delle fredde piogge continue. Ma ci sarà un giorno, sopra i campi di pomodori e gli alberi di limone, appare di nuovo il vostro corpo. Dalla notte al giorno, vi manda i Pirenei e le Alpi con un saluto agli loro fratelli Appennini. Quanto sono orgogliosi gli Appennini! Come sono belli gli Appennini! Quando si spezzò la spada di Spartaco ai piedi dei monti, gli Appennini sono già degli anziani. Dopo mille anni, Giuseppe Garibaldi con le camicie rosse, guardano con affetto le colline dei fiori: “Ditemi, cari Appennini, perché siete sempre così pieno di vita ed energia con i tuoi giovani fiori?”
La nebbia si estende per tutta la pianura, le luci azzurre annunciano l’arrivo del giorno. Quella cima della montagna è come un’isola sperduta, sta sola sopra le bianche nuvole. Ciò è tutto che riflettono negli occhi scarlatti di Gilbert, sembra che al lontano non ci sono più i compagni che stanno dalla sua parte, non ci sono più i sede centrali, ma solo l’infinita solitudine.
No, c’è anche un Antonio Fernandez svenuto accanto a lui. Gilbert lo nascose tra la paglia che si trova sul carro, invece lui è seduto davanti al carro, osservando il cocchiere col suo cavallo. Altri ventuno membri della prima brigata, compreso l’ammirevole generale Giovanni Zavattini, in questa giornata di merda, dormiranno per sempre su questi campi della periferia di Savona.
E lui, Gilbert Beilshimit, ora è l’unico annunciatore della loro morte. La prima brigata era in trappola, come aveva fatto ad uscire da lì insieme ad Antonio che era gravemente ferito; come aveva fatto nella grotta a scappare dai ricercamenti; come aveva fatto a trovare nel villaggio d’intorno un cocchiere che fidava…tutto ciò, solo grazie alla sua crudele memoria può raccontarlo ai compagni che erano rimasti sulla collina. Ricorda ancora gli occhi cerulei del vice general Francis di quel giorno prima della partenza per la missione, quegli occhi pieno di preoccupazione, quegli occhi pieno di ansia. Gilbert non riuscì più a continuare a ragionare.
Antonio inizia a balbettare qualcosa con una lingua che lui non capisce, Gilbert pensa che sia lo spagnolo. Non importa quanti libri una persona ha letto, e quante terra ha visitato, le uniche cose che riusciva a ricordare quando iniziava a parlare sono solo mamma, papà, pane, acqua, casa, sole e fiore. Solo poi imparò altre parole più eleganti, più sonori e anche più freddi, della propria nazione o anche quei stranieri, per esempio l’identità, le galassie, il teorema di Pitagora, l’invasione e la vendetta.
 
“Non vi muovete!”
Quella notte, quando erano in trappola, Gilbert aveva sentito questa frase. Questa frase è corta e insensibile, ma era la sua madrelingua; è stata come un assassino travestita da sua madre. Sentiva gli ordini del nemico, i gemiti e i lamenti, riusciva a distinguere chi era del Dublino, chi del Dortmund, chi della sua patria Monaco.
“E quando sentii parlare in tedesco,
mi sentii strano;
non pensai ad altro, se non che il cuore
mi stesse per sanguinare.”
Oh, l’immortale Heinrich Heine! Chi ti ha detto di scrivere le poesie in questo modo? Stai per strappare la mia vita.
“Questo non è niente.” Gilbert disse tra se e se, “Quando Heine scrisse ciò, era da tredici anni che non tornava in Germania. Invece io solo da mezzo anno.”
“Gil…noi…”
Sentì Antonio parlare in italiano, la lingua comune tra i tutti i partigiani, Gilbert si gira verso di lui, e vede la spalla e il petto avvolto da un pezzo di tessuto era ormai diventato rosso, perciò copre lo spagnolo con il proprio giubbino.
“Senti, Antonio. Della prima brigata siamo rimasti solo io e te. Adesso ti sto riportando in montagna, andiamo dalla dottoressa Carlotta.” Gilbert disse velocemente, perché sente bruciare la sua gola e il cuore. Capisce benissimo, che dovrebbe dire qualcosa di conforto per il ferito, ma in questo momento non è una cosa che Gilbert riesce a fare. “Se questo spagnolo piange o sospira, lo rimprovererò visto che non lo posso picchiare…” Pensa disperato.
Ma Antonio non pianse, e non si lamentò nemmeno, vicino alle sue labbra bianca appare delle rughe.
“E… e Lovino?”
“Vedo che ci tieni tanto a lui, dovrebbe stare nelle celle del Gestapo, spero che non è un vigliacco!” Gilbert rispose, “Come mai siamo intrappolati? Chi ha rivelato ai fascisti i nostri movimenti?”
Antonio strinse il veste di Gilbert.
“Non…non è possibile…lui non ci tradirà mai…”Antonio cerca di giustificare Lovino, mentre aspira fortemente, “Lui è un…un bravo ragazzo,  poi…poi non è possibile che…che sa i movimenti dei…dei superiori…”
“Okay, okay, parla di meno, rimani un po’ di aria per quando lo rincontreremo.” Gilbert si pente di aver detto quello parole.
“Lo…lo rincontreremo…sicuramente…”
Gilbert ascolta l’autoconsolazione dello spagnolo fino a quando Antonio si addormenta.
“Se un giorno, quella stupida donna facesse una cosa del genere, mi disprezzo da solo, disprezzo anche il mio amore.”

 
Note:

1) Nelle parole di Natalia “Estranei per la passione, estranei per la sofferenza, eternamente freddo ed eternamente libero, voi vagate: non avete una patria, non c’è un esilio per voi” e  “Nuvole celesti, eterni vagabondi!” sono presi dalla poesia di nome “To the Clounds” di Lermontov, non ho trovato la traduzione italiana di questa poesia infatti l’ho tradotta come mi veniva, se qualcuno lo conosce o riesce a trovarlo mi farebbe piacere che me lo dite, grazie.
2) Invece la poesia detta da Gilbert “E quando sentii parlare in tedesco, mi sentii strano; non pensai ad altro, se non che il cuore mi stesse per sanguinare.” Appartiene alla poesia di nome “Germania, una fiaba d’inverno” di Heine, e come potete capire già nel testo, questa poesia è scritta quando l’autore era fuori da Germania da ben 13 anni.
Angolo della traduttrice:
Ciao a tutti, ecco a voi il sedicesimo capitolo de “La Collina dei Fiori” spero che vi piaccia, ho pensato di cambiare il titolo visto non sembra cosi attraente, però poi ho pensato visto che parla dei partigiani italiani è meglio rimanere così, giusto? Grazie per la lettura. ^^

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Capitolo 17
*** Diciassettesimo capitolo ***


Diciassettesimo Capitolo

I raggi del sole di questa mattina, sembra uno scout astuto ed audace della brigata, alza la testa dalle lontane colline, e guarda con orgoglio i campi coltivati dal popolo. Ma subito dopo, i raggi di color porpora occupa i piedi delle colline come quei gruppi venuti dalle montagne. La nebbia che inizialmente era bianca latte inizia a diventare trasparente, e abbraccia tutte le terre d’intorno.
Dall’altra parte dei campi appare l’ombra di un ragazzo, era solo, come uno di quei uccelli che vogliono raggiungere i compagni che erano già partiti per sud in autunno. Già da lontano, Gilbert non fa altro che notare i vesti da studente di quel ragazzo. Sorrise tristemente, pensando a quei familiari ma passati giorni di Università; quei giorni pieno di riflessioni e discussioni.
Subito dopo, salta giù dal carro, e alza il fucile contro la testa del ragazzo.
“Non muoverti!”
Guarda indifferentemente Lovino Vargas chesi è arrabbiato per tutto ciò che accade senza capire il motivo. Più i vesti di questo moccioso sono puliti e ordinati, più fa arrabbiare Gilbert per il proprio giubbino strappato per la battaglia, che in questo momento si trova su Antonio che sta ancora sul carro.
“Chi è che ti ha vestito così bene? Per caso i cari signori gendarmi?”
“Sì certo, con undici proiettili.” Lovino rispose, “Spero che un giorno, anche tu cadi in quella prigione di Parma, e non dimenticare di vedere quel muro della sala interrogatoria, è un mio vecchio amico.”
“Io non ho tempo di visitare tutti i tuoi parenti ed amici, chi sa con che gente sei stato in questi giorni? Se hai fatti la Giuda, sarò io a mandarti in paradiso.” Si avvicina l’indice al grilletto, “In quel momento, devi inginocchiarti per chiedere scusa a tutti ventuno fratelli, e il generale che si sono sacrificati!”
Gilbert sente tutte le parole che pronunciò bruciarsi nella sua gola, e guarda minacciosa il viso pallido di Lovino.
“Vieni qua! Dammi una mano! Porta questo stupido pomodoro spagnolo sulla collina, dobbiamo fare subito l’operazione dalla dottoressa Carlotta! Poi ci sarà Bonnefoy e Richie a interrogarti!”
Ma Lovino ignorò le parole di Gilbert, e anche la museruola del suo fucile. Cammina a grandi passi verso il carro, e mette lentamente la sua mano abbronzata sulla fronte del ferito.
In questi giorni, tutti e due sono più magri e pallidi. In quella lontana infanzia, la Spagna e l’Italia li diede quel viso d’oro, e la pelle abbronzata e forte che il tedesco Gilbert ha sempre invidiato. Ma il tempo cambiò tutto, solo quei capelli castani rimasero scombinati come prima, come quando i due entrarono in questo mondo crudele dalle due teneri case.
“Così prenderai la sua vita.” Lovino disse a bassa voce, rimanendo lo sguardo sulla fronte di Antonio, “Il carro non si può salire fino sopra, lo vuoi prendere in braccio?”
“Che come dovrei fare?!”
“Portalo in qualche villaggio, la gente di là lo cureranno…Victoria! Portiamolo a Victoria! Victoria!”
“Vic-to-ri-a-?” Gilbert allunga di proposito il tono, fischiando anche alla fine della parola, “Sei proprio un tiranno locale! Non dirmi che ci andrai anche tu…”
“Lui non può andare da nessun altro posto, posso stare io vicino a lui.”
“Le parole sono belle, anche più del colore dei funghi avvelenati. Per quale motivo dovrei darlo nelle tue mani? Spiegami, chi sei veramente?”
Lovino si butta su Gilbert prendendo il collare della sua camicia.
“Un frase in più parlo con una bestia come te, più tempo perdo per curarlo! Sei una donna? Così insicuro! Allora portalo tu a Victoria! Io vado su a chiarire con loro, se veramente ho fatto qualcosa contro la coscienza, puoi bruciare tutti i nomi della famiglia dei Vargas! In modo che sarò maledetta da tutto il mondo insieme ai nonni e Victoria!”
Gilbert prese in mano la caviglia di Lovino in silenzio, e lo butta a terra.
“Portalo tu, per quando devi tornare nelle colline, sono affari tuoi. Io torno da solo nel quartier generale, senza ostacolo di voi incapaci, riesco pure a correre più velocemente. Fare la relazione, nessuno riesce a fare meglio di me. Poi porterò la dottoressa Carlotta per fare l’operazione, hmm…porterò anche le ragazze per badarlo…”
“Non servono le ragazze! Mia nonna ed io lo baderemo bene…”
Gilbert non gli risponde, ma urlò al ferito sul farro:
“Alla prossima, sorprendente eroe Don Chisciotte! Quella strada da Milano con te, e questa per portarti fuori dal mondo dei morti…valgono!”
 
Non ha mai riferire le notizie ai superiori più dolorosamente di questa volta, e non ha mai alzato la testa per guardare gli occhi del vice generale e dell’ufficiale. Il primo professore di filosofia gli aveva detto che, la forza e il potere non porta solo l’orgoglio e felicità, un giorno porterà anche dolori.
“La gloria apparterrà per sempre al nostro generale, Giovanni Zavattini!” Nicola sembra disperato dal suo tono,  “Il gruppo di comando dei tre siamo rimasti solo noi due, Francis, dobbiamo subito parlare dei progetti futur…”
Francis alza una mano, dicendo all’ufficiale di parlarne poi, e trascina i pesanti passi verso il terrazzo sul tetto, si stende a terra, non avendo più voglia di rialzarsi. Un dolore mai provato prima gli sta stracciando il cuore.
Oh, grandissimi Robespierre e Marat, perdonate il vostro discendente! Infine non ha potuto prevedere prima di quel maledetto diciannove ottobre, che questo eroico impresa sarebbe stata una tragedia. Se non ci fosse l’accordo dei tre del gruppo di comando, l’operazione sarebbe nullo, ma infine ha usato solo quella maledetta firma e lo sguardo a portare via la prima brigata, ripensandoci sembra di aver portato Robespierre sulla ghigliottina. General Zavattini, che sei tanto astuto e coraggioso come Robespierre, il tuo vice ti ricorderà per sempre…
“I Giacobini sono sempre quelli che usano la vendetta più crudele contro i traditori e spie. D’ora in poi, io sarò Robespierre, io sarò Marat.” Francis alza la testa verso il cielo, e pensa, “Però io vivrò più a lungo di loro, vivrò per altri cent’anni…e ritornerò al glorioso Parigi.”
Quest’anno è già un trentenne. I capelli biondi lunghi fino alle spalle e gli occhi cerulei, gli fanno sembrare il cavalier Roland dei poemi epici.
Un piagnucolare che gli fa sottofondo interrompo i suoi pensieri. Francis si gira la testa, e vede una piccola e magra figura all’angolo del terrazzo a pulirsi le lacrime.
“Tutto è permesso sul questo terrazzo, vedere le stelle, dire stronzate, innamorarsi e compreso anche piangere.” Il vice generale sospira, “Ma se scendi giù, non puoi più piagnucolare così!”
“Vieni qua, caro.” Francis invita il ragazzo inglese, Peter Kirkland a sedersi vicino a lui. Quegli occhi sono a tal punto rossi da non far notare Francis. 
“Perché Zavattini si è sacrificato? Lui era il generale…”
“Migliaia di gente si stanno sacrificando, lui non è il primo, e non sarà l’ultimo. Devi capire bene questo, caro, poi sarai più tranquillo. A proposito, anche Arthur piagnucola come te?”
“Lui non ha un cuore. L’ultima volta che l’ho visto piangere era nove anni fa, quando Liverpool aveva perso otto a uno contro Arsenal, era stato una partita di merda, persino io avevo pianto.” Peter afferra improvvisamente il braccio di Francis, “Perché non mi fate più andare a trovarlo? Mi potete dare anche un altro lavoro!”
“Devi crescere un altro po’…”
“Mi state disprezzando, vero? Ma io non ho paura di niente! Non mi interessa niente!”
“Ma Arthur interessa di te.”
“Pff, se non se ne frega nemmeno di se stesso.”
“Ma c’è qualcun’altro che se ne frega di lui.”
 
Note:

1)Maximilien de Robespierre e Jean Paul Marat erano due rivoluzionari francesi che si sacrificarono uno a 36 anni e l’altro a 50 anni.
2)Arsenal fu il campionato del 1934-35, il primo settembre del 1934, Arsenal vinse 8:1 contro Liverpool.
Angolo della traduzione:
Ecco a voi anche il diciassettesimo capitolo, se vi sia piaciuto lasciate una bella recensione, anche per il conforto visto che sto aggiornando così spesso, non sono una bambina così brava? 

 

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Capitolo 18
*** Diciottesimo capitolo ***


Diciottesimo capitolo

Parlare con un ragazzino di quattordici anni il significato di “essere preoccupato per qualcuno”, non è una cosa così intelligente. Alla età di Peter, invece di riflettere come continuare a vivere, preferisce più immaginare come morirà: visto che ognuno può morire solo una volta, questa sola volta è l’unico vero punto della vita, perciò dovrebbe essere più importante della vita stessa. E questa guerra gli fa il mezzo. Questi mesi passati nella brigata, ha immaginato infinite volte sé stesso a compiere un’impresa gloriosa, e poi raccontarle alle ragazze di tutte le età incantandole. Però nessuna di loro si sposerà con lui, perché sarà sicuramente sacrificato sempre gloriosamente. Ha immaginato come avrebbe lanciato l’ultima granata della guerra; come avrebbe subito gli interrogatori dai nemici sottoponendolo nelle torture, anche se perde un braccio o una gamba, non direbbe comunque le informazioni top secret che nemmeno lui sa. Quando canta, a Peter piace assai queste due strofe, si commuove solo pensandolo:

“E seppellire, lassù in montagna,
o bella ciao, bella ciao,
bella ciao, ciao, ciao,
e seppellire, lassù in montagna,
sotto l’ombra di un bel fior.”

“E le genti, che passeranno,
o bella ciao, bella ciao,
bella ciao, ciao, ciao,
e le genti, che passeranno,
mi diranno o che bel fior.”

Però i superiori gli assegnano solo il lavoro di andare a trovare ‘Robinson’. La prima volta che riceve questo lavoro, era talmente al settimo cielo che scivolò dal secondo piano sulla maniglia delle scale. Quando stava per arrivare al primo piano, qualche chiodo si incastrò al piede del pantalone, e cadde a terra davanti a tutti gli altri membri della brigata.
Adesso persino questa missione è stata data agli altri. Ciò significa che non danno a Peter nemmeno il diritto di sacrificarsi gloriosamente. Anche lui è triste per i compagni morti, ma non riesce a non immaginare se fosse andato anche lui con la prima brigata, forse non ci sarebbero tutti quei morti, forse tutta la brigata sarebbe tornato sano e salvo. Si deve solo sentire fortunato in futuro che la sua immaginazione non è arrivato al punto di andare da solo a Dublino, e far ricordare a tutto il mondo il giovane eroe che uccise Hitler!
Invece il suo fratello maggiore, sta veramente facendo un lavoro pericoloso ma importantissimo. I pensieri di Peter iniziano a viaggiare, ricorda ancora quel giorno pieno di umiliazione di nove anni fa, anche se Arsenal aveva già fatto ben otto goal, ma i ragazzi di Liverpool nell’ultimo minuto avevano comunque fatto un goal. “Allora ero sulla stand, e deridevo di coloro che stavano giocando.”

.

“Prendi un asciugamano caldo per lui.” Antonio sente la voce di una donna che ordina qualcosa. Vorrebbe rifiutare, gli asciugamani caldi sono per le donne e malati, a lui non serve e ne piace questa roba. Per esercitare il fisico e lo spirito, fin da piccolo faceva solo docce fredde, sia in estate che in inverno. Se la gente non ci credono, vanno pure a chiedere a suo padre.
Apre gli occhi, e vede suo padre che è seduto vicino al suo letto, ancora quella barba, e ancora quell’odore del tabaccho della Castiglia. Padre ha uno sguardo serio come sempre, e mentre lo guarda, pulisce con le mani il terreno sporco di sangue sulla spalla sinistra. Solo adesso Antonio ricorda che nell’inverno del 1938, alla prima linea del valle del fiume Ebro, quando padre si era sacrificato, è caduto a sinistra.
“Papà, quell’ora non dovevi sacrificarti, hai fatto triste mamma.” Antonio lo rimprovera a bassa voce.
“Figlio, poi non dovevi abbandonare la patria, hai fatto triste mia moglie.” Il padre lo risponde con lo stesso tono. Dopo questa frase, improvvisamente, il padre inizia a dimagrire, fino a quando diventò un vecchio dalla barba bianca e privo di capelli. Tira fuori le sue mani, e afferra le spalle del figlio, ignorando completamente le ferite del figlio.
“Alzati! Alzati adesso!” Il vecchio iniziò a urlare, dietro all’uniforme militare bucato dai proiettili c’è una di quelle vecchie armature medievali ormai arrugginito, “Perché sei steso qui come un morto! Figlio della Spagna!”
Antonio si vergognò, vorrebbe avere una fessura sotto di lui per nascondersi dentro. Ma in questo momento, qualcuno aggiustò la coperta che si trova sopra di lui, e il padre/Don Chisciotte sparì senza dire più niente.
“A quanto sta?”
“Quarantuno e sette gradi.”
Vorrebbe capire il significato di questa frase, ma sentì l’odore dell’anestetico, e si è fatta notte.
 
Al secondo giorno. Quei campi che sognò così tante volte appare davanti a lui. I campi spagnoli sono come le ragazze della Spagna, usano mille colori per decorarsi. Il campo di grano è dorato, le piantagioni di pomodori sono rossi, l’ombra sotto gli alberi di limone sembrano le sopracciglia, e quel terreno abbronzata dai raggi del sole invece è il braccio fuori dalla manica di millefiori.
Un magro cavallo sta trasportando due cesti di pomodori, e sventola leggermente le due orecchie. Lui conosce questo cavallo, Don Chisciotte lo chiamò Ronzinante; sa anche per dove dirigerà, per il lontano Madrid, dove la gente mettono gli abbondanti raccolti su La Plaza de Cibeles.
“Il mio Madrid! L’avete visto?”
Nessuno gli rispose, questo significa che solo lui sta vedendo. Quest’autunno del 1943 all’estero, gli alberi di limoni e le piantagioni di pomodori crescono nel suo cuore. Fece due passi avanti, e copre all’improvviso terrorizzato gli occhi con le mani: “No, questa non è la Spagna.”
Questa non è la Spagna, la Spagna dovrebbe essere pieni di olive, grani, pomodori e limoni, ma davanti agli occhi c’è solo il terreno bombardato e bruciato, e i resti di fucili e cadaveri. Ma questa è la Spagna. Negli ultimi due anni che Antonio passò nella patria, lei era proprio così.
Sul campo devastato c’è un uomo a terra, e vicino a lui dei soldati fascisti, lo stanno calciando, lo stanno picchiando e lo stanno sgridando. Antonio non riesce a vedere il volto dell’uomo, ma non può essere altro che uno dalla sua parte, un repubblicano spagnolo o qualche fratello delle brigate internazionali. Si fa avanti, volendo salvare la vittima dalle mani dei fascisti, ma infinite proiettili si infilzano nel corpo di quel uomo che cade infine sul terreno della patria.
Però, all’ultimo momento, riesce a vedere che quell’uomo si alza da terra, e trascina il passo verso di lui, mettendo una mano sulla fronte di Antonio e l’altro stringe la sua mano, “Visto che sei stato tu ad accompagnarmi fino alla fine…il mio caro parente! Fammi vedere bene il tuo volto…”
 
Apre con fatica gli occhi, entra nella sua visione Lovino Vargas e sembra tutto il mondo fosse appena recuperato. All’inizio pensava che fosse un’altra illusione, ma riesce a toccare le sue calde mani, e nel palmo c’è anche un leggero bozzolo. Solo avendo come amico le armi da lungo tempo può avere delle mani del genere.
Lovino non si è ancora accorto del suo risveglio, ha la schiena leggermente ingobbita seduto vicino al suo letto. All’improvviso, Antonio si ricorda del sogno, perciò si gira verso l’italiano, osservando attentamente il volto di Lovino, per sapere se è rimasto qualche segno di tortura o qualcosa del genere. Non trovò niente, ma non può far a meno di notare che su quel volto dimagrito, c’è qualche caratteristiche diverso, quel Lovino Vargas che aveva davanti a lui, sembra un’altra persona.
Ogni ragazzo ha questi cambiamenti, alcuni prima e altri dopo, dopo un certo istante danno addio all’adolescenza. Come tutte le allegre ragazze, un giorno noteranno la femminilità dentro di sé. La dura vita da partigiano, in questi pochi giorni che non stanno insieme, che tipo di insegnamento ha dato a questi ragazzi.
Antonio continua a fissare Lovino, e il giovane italiano solo dopo qualche minuto riuscì a notare lo sguarda da quei occhi verdi olive, e si abbassa vicino al ferito…
“Lovino! Oh caro…”
Antonio alza le braccia, vorrebbe vedere meglio il viso di Lovino spostandolo un po’ più lontano. Ma non riuscì a vedere niente, perché l’italiano si girò la faccia mettendo la propria guancia sul fronte dello spagnolo.

 
Angolo della traduttrice:
Prima di tutto, devo ringraziare ai due che mi hanno recensito, grazieeeeeee, vi lovvo troppo XD Comunque spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo e alla prossima ^^

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Capitolo 19
*** Diciannovesimo capitolo ***


Diciannovesimo capitolo

Nei seguenti giorni, il tempo passano lente come le nuvole del cielo. Quelle nuvole che non hanno una patria e non sono mai inseguiti, ogni volta che Antonio guarda il cielo, le nuvole stanno sempre percorrendo la loro solita via verso ovest, gli fa sempre pensare che dirigono per la Spagna, visto che non li vede mai andare né ad est, né a sud né a nord.
È seduto in questa semplice cascina che è una dei tanti fiori di Victoria, che è una bambina ben decorata da tutti quei bei fiori che abbraccia la madre Appennini. Gli appennini è comunque una giovane orgogliosa fanciulla che abbraccia tutti quei piccoli villaggi, nonostante i suoi cari figli ormai sono sparsi per questo mondo.
I figli degli Appennini sono spesso chiassosi, nonostante i loro pochi capelli sono ormai bianchi. Per esempio il padrone di questa cascina Romolo Vargas, che può definirsi il più bello tra tutti vecchietti. Un ragazzo del genere li puoi vedere ovunque, ma essere rimasto in questo stato fino a settant’anni, non è una cosa tanto facile.
Il vecchio giurò di non far annoiare Antonio in questi giorni di riposo, così si siede spesso vicino al letto di Antonio osteggiando le avventure fatte da giovane, quelle dalla Francia alla Grecia e poi all’Egitto. Con tutta l’onestà, è veramente una bella, anzi bellissima ed interessantissima storiai, però, tutto c’è un però, anche se è una storia più bella ed interessante di questa raccontandolo ben cinque volte in solo tre giorni diventa noiosa. Ma sembra maleducazione a dirglielo, so… niente da fare. Al quarto giorno, probabilmente persino il vecchio si è annoiato di raccontare sempre le stesse cose, così vuole passare l’argomento da sé stesso a tutta la famiglia Vargas. Ormai Antonio ha capito come funziona il meccanismo, così prova a tirare il vecchio a parlare della donne. E così il vecchio inizia a parlare di tutte le donna innamorate di origine egiziane e greche, di conseguenza entra nella stanza la nonna Ersilia, e finisce che lo butta fuori con la scopa. Fine della storia: il mondo per adesso è in pace.
La nonna Ersilia, né dal viso che dal corpo è rimasto della sua bellezza giovanile. Il vecchio prende la foto di matrimonio che è appesa al muro per farla vedere ad Antonio, nella foto il giovane e bello Romolo e la normalissima Ersilia lo guardano sorridendo. Nonostante il vecchio aveva avuto così tante storie romantiche con tutte quelle belle ragazze straniere, si fermò infine fuori alla finestra di questa semplice ragazza campagnola. La Ersilia con le sue mani ruvida ed abbronzate mette sul comodino vicino al letto di Antonio il latte, un pezzo di pane, e una mela sbucciata. Il latte è bianca, il pezzo di pane è bianco, come lo è anche quella mela sbucciata, tutto tranne le mani di nonna Ersilia. Anche la donna spagnola Maria Carriedo usava delle mani del genere a fare il pane. Il piccolo Antonio le aveva sempre chiesto:
“Mamma, perché il pane è bianco bianco, invece le tue mani sono così abbronzate?”
“Se avessi delle mani bianche, allora non ci sarebbe il pane.”
Oltre alla foto del matrimonio, il vecchio mostra tutte le altre foto della casa ad Antonio. Anche se quando lui passava di qui quelle foto erano comunque appese sul muro, ma distrattamente, li ignorò tutti. In alcune foto ci sono le belle ragazze egiziane e greche le quali per anni la nonna Ersilia li voleva buttare nel cestino; in una c’è il ricordo di Romolo con i primi membri di AC Milan; altri ci sono i loro figli e nipoti. “Guarda!” indicò il vecchio ad un foto di gruppo, “Questa con la coda si chiama Chiara, invece questa con due treccine è sua cugina Alice. Qui vicino ci sono i due fratelli, i due gemelli, riesci a riconoscere Lovino?”
Quegli occhi ribelli entrano per primo nella vista di Antonio, invece l’altro bambino accanto ha degli occhi più dolce e sembra proprio un bambino ben educato. Anche se nella foto avevano soltanto quattro o cinque anni, i volti simili dei due gemelli è dotato di due spiriti completamenti diversi, come se il più grande è nato proprio per essere libero. Allora non sapeva cosa ci potrebbe essere in futuro, ma lo guardò solo con arroganza e testarda proprio come un cucciolo del lupo.
Antonio conobbe Lovino in quest’inizio estate, era il primo giorno che arrivò nella Brigata d’assalto Garibaldi. Nella brigata ci sono così tanti compagni allegri e competenti, ma solo il tale Lovino che non sta mai calmo gli è così familiare. Quei capelli castani mai soddisfatti, quelle labbra pieno di orgoglio, persino quel atteggiamento impulsivo è pieno di quel spirito dell’adolescente, quello spirito che Antonio lo perse da poco. Gli manca quello spirito, gli manca quell’età delicato ma forte.
I due furono messi nello stesso gruppo. In quei momenti più pericolosi, Antonio girò leggermente il viso verso l’altro ragazzo, guardandolo sempre pieno misericordia, come se fosse sé stesso di tanti anni fa quando per la prima volta tiene in mano il fucile. In quei momenti, stringe le mani tremanti di Lovino:
“Hai paura? Caro?”
“Tu hai paura?”
“Io no.”
“Se nemmeno tu hai paura, allora perché lo dovrei averla io?”
Ci sono stati così tanti dialoghi del genere, sembrano il suono dei proiettili che trapasso le cime dei capelli, sono come le scintille fuoruscenti dal falò. E poi c’è il fatto che Lovino per la prima volta andò in missione senza di lui, e ancora poi è sembrato di essere passato chi sa quanto tempo. Fino a quando si risvegliò di nuovo in questo mondo, appoggiò la fronte vicino agli occhi di Lovino, toccando con le labbra le guance magre del ragazzo, riesce ancora a sentire quel odore del passerotto e dell’erba fresca dai quei capelli castani.
In quel istante, sembra che non si divideranno mai più, ma subito dopo Lovino si alza in piedi, ed esce dalla stanza non dicendo una parola. Nei seguenti giorni, il padroncino della cascina viene solo qualche volta vicino a lui, chiacchierando con lui per qualche minuto ed esce dalla stanza in silenzio come in silenzio era entrato.
Una mattina, non fa che osservare le braccia di Lovino, mentre indovina cosa ci sarebbe sotto quelle maniche:
“Ti hanno cambiato?”
Lovino si fermò per un secondo le azioni, e continua: “No, ma lo preferirei.”
 “Allora…”
“Falsi colpi, mi hanno fatto stare vicino al muro. Bum! Bum! Bum! Bum! Bum! Bum! Bum! Bum! Bum! Bum! Bum! Ogni colpo era vicino alla pelle, si deve solo dire che sono proprio dei tiratori scelti!”
 
La prossima volta che ha avuto la possibilità di parlargli era già notte tardi, Antonio viene svegliato dal sonno il rumore della porta che si apre. Vede Lovino che mise una lampada a cherosene sul comodino, e Antonio pensando la conversazione interrotta della mattina, chiede:
“Allora…avevi paura?”
“Se ci fosse qualcuno con me, anche se fossero colpi veri, non avrei avuto paura.” Lovino evitò il suo sguardo, fissando per lungo le linee del pavimento, “Non è mai…non è mai successo qualcosa del genere! Chi lo poteva immaginare…”
Lovino si rigirò la faccia, e dà la piccola borsa del tabacco ad Antonio. Gli auguri della piccola gru russa ritornò dall’aquilotto spagnolo, solo che il pezzo è un pochino bagnato dal sudore di Lovino visto che lo tenne in mano a lungo.
“L’avevi sporcato di sangue…la nonna ha pensato che ci tieni molto a questo coso, così ha impiegato un sacco di tempo a lavarlo.” Disse il giovane italiano, “Può essere questo che ti tiene ancora in vita…”
“Dopotutto è il primo regalato ricevuto in prima linea.” Antonio mette il cuscino vicino al capezzale, e alzò il busto guardando la piccola borsetta, questa fu l’ultimo ricordo dell’adolescenza e il primo testimonianza di essere adulto, “In quel momento come si poteva pensare che potrei incontrare colei che cucì questa piccola borsetta?”
“Sarebbe una leggenda romantica, una ragazza, potrebbero innamorarsi un paio di volte nella vita, ma cucire una borsetta del genere forse sarà l’unica. Che fortuna, proprio un pomodoro spagnolo come tu lo potrebbe incontrare…”
Il viso girato nascose l’espressione di Lovino. Antonio inizia ad accarezzare i capelli castani del ragazzo.
“Perché sono così morbidi? Con un carattere del genere i capelli dovrebbero essere doppi e duri…” Si fermò per qualche seconda e continua, “No, ragazzo, Natalia cucirà molti più borsette per te, forse anche il fiore dell’abito da sposo.” Lo dice con un sorriso, ma le sue parole stringono sempre di più il suo cuore, “Devi solo aspettare, in quel momento tutti noi saremo i tuoi testimoni…”
“Che stronzate stai dicendo, bastardo! Non dovrebbe cucirlo per te?”
“Non mi devi considerare rivale, caro! È una buona ragazza, è come se fosse una delle mie compagne di scuola, per me, lei non è differente da loro…”
Lovino mise le mani davanti gli occhi.
“No, no, anche se tu l’ami, non mi devi considerare rivale, veramente non serve…tanto non mi sono mai innamorato di lei! Mai…”

Angolo della traduttrice:
Okay, ho fatto un casino, la mia faccia quando sto traducendo → D-:  Che cosa sto facendo D-: …
Ringrazio ancora Beatrice di avermi recensito, sei una persona dolcissima (anche se non ti conosco), ti voglio un mondo bene (anche se non ti conosco XD). Spero che più o meno riuscite a capire questo capitolo che ho tradotto uno schifo, ma in futuro, in un futuro molto prossimo mi autocorreggerò =D
Come sempre spero comunque che vi sia piaciuto il capitolo, e alla prossima ^^

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Capitolo 20
*** Ventesimo capitolo ***


Ventesimo capitolo

Il nonno si è addormentato, la nonna si è addormentata, e anche Victoria si è addormentata. Quel cielo stellato ha sognato il mare calmo,come quel mare calmo ha sognato il ciel stellato. E gli Appennini appare nei sogni dei Pirenei, come l’ultimi appaiono nei sogni dei primi.
Gli unici ancora svegli sono Antonio, Lovino, e questa piccola lampada a cherosene sul comodino della camera di Antonio che per tutta la notte osserva altri due con i suoi caldi luminosi occhi ascoltando attentamente la loro conversazione.

 “…si era arresa anche Madrid, era stato proprio come lasciare la propria madre…” Antonio appoggia la sua mano pieno di bozzoli su quella di Lovino,  facendo in modo che avesse il coraggio di ripensare a quei tempi passati, “A Madrid c’erano molti muri, bianchi come il pane e il latte. Quando ci eravamo ritirati, molte persone avevano scritto con i pezzi carbone su quei muri, per dire alle persone care dove andrebbero…”
“Tu a chi l’avevi scritto?” Lovino strinse le mani di Antonio, e chiese a bassa voce.
“A mamma, quel giorno papà si era già sacrificato alle valle del fiume Ebro.” Su quegli occhi di verde oliva appare uno strato di malinconia, “Non avevo il coraggio di dirle in faccia l’addio, così avevo scritto: ‘Arrivederci, mamma! Benedicimi!’ Come vorrei sapere se l’ha visto o no…”
“Alla valle del fiume Ebro… Ah, vero, quei tempi al fiume Ebro era pieno di tensione,” Lo sguardo di Lovino si dirige all’immenso cielo fuori dalla finestra, “Ma avevamo ricevuto l’ordine che le brigate internazionali avevano dovuto ritirarsi dalla Spagna… Avevamo detto l’addio alla vostra gente a Barcellona. Ricordo bene, era alla fine del Ottobre di 1938, tutta la Barcellona piangeva…”
Antonio alzò il busto all’improvviso, stringendo fortemente le spalle di Lovino. Anche se quest’azione portò di nuovo il dolore sulle proprie ferite, non se ne importò così tanto:
“Tu…tu hai partecipato alle brigate internazionali? Oh caro…veramente sei stato in Spagna?”
“Perché ti dovrei dire… Pff, perché ti dovrei dire? Stavo nella dodicesima…dodicesima brigata internazionale… Battaglione Garibaldi! Combattei nei pressi della Città Universitaria di Madrid… anche a Guadalajara… Pff, perché ti dovrei dire?”
Pff, perché dovrebbe dirlo ad Antonio? In questi mesi che hanno sempre combattuto insieme, Antonio non gli aveva mai chiesto il suo passato! Anche se rispetto a questo mondo, quei tempi erano stati veramente molto brevi, ma nel suo cuore rimarrà sempre uno dei più lunghi, difficili e indimenticabili momenti della sua vita …
All’età di nove anni, Lovino per la prima volta capisce che questo mondo è immenso. In quel anno, i due fratelli presero per la prima volta il treno insieme ai loro genitori, trasferendo dal piccolo villaggio Victoria alla grande città Torino. Quanto era stato lungo il viaggio in treno, quanto tempo il naso di Lovino era stato attaccata ai finestrini. L’infanzia non si stanca mai, non si annoia mai. Solo quando il treno arrivò alla stazione, dovette ritornare nella vita normale dal lontano immaginazione, quei soliti libri, soliti disegni, solite partite di calcio con i soliti compagni, e tutto ciò Feliciano era più bravo di lui. Non aveva mai provato di sforzarsi per diventare bravo come il fratello in queste cose perché aveva sempre pensato che era tutti doni del Dio per il fratello, ma il suo orgoglio infantile gli rendeva sempre così triste. All’età di quattordici anni, scrisse i suoi problemi alla nonna. E molto presto ricevette la risposta da Victoria, quella calligrafia elegante, si vedeva che era usciti dalle mani del nonno. E solo allora si ricordò che la nonna non sa né scrivere che leggere.
Tutto oggi Lovino ricorda di quella odiosa lettera. Il vecchio scrisse ben cinque pagine, le prime quattro parlando di quando era stato bravo lui da giovane in letteratura, a disegnare, a giocare a calcio ecc., e nell’ultima scrisse di sperare che Lovino imparasse qualcosa dal fratello, per diventare un giorno eccellente come il nonno.
Dannazione. Lovino strappò la lettera, e poi lasciò un bigliettino sul tavolo della cucina per avvisare i genitori e comprò un biglietto del treno per il Sud. Novara, Milano, Piacenza, Bologna, Firenze, Roma… Bighellonò per tutte le città, era stato come un apprendista dello chef, del calzolaio, proiezionista e tanti altri lavori faticosi ma divertenti. In quella mattina serena, Lovino arrivò a Napoli. Lasciò dietro le spalle senza pensare nemmeno la seconda volta il ricco ed elegante Nord; abbracciando il luminoso, chiassoso e spensierato Sud che ha sempre le sue braccia abbronzate aperte. Ogni volta che pensa ciò non fa che rendergli orgoglioso.
L’unico regalo del compleanno per Lovino era stata quella grande vittoria di Napoli. Quel giorno pianse insieme agli altri tifosi del Napoli, ne la Juventus che AC Milan gli rendeva così emozionato. L’amore tra un uomo e una squadra rispetto all’amore tra due persone avviene molto prima, molto più profonda e molto più duratura.
La bellissima Napoli! Che il Dio e il Diavolo ti benedicano, che benedicano per sempre le tue pizze, pomodori e fichi, che benedicano per sempre ogni tua partita! Purtroppo la vita non volle che rimane a Napoli, quella notte dell’autunno del 1936, avendo bevuto troppo, arrivò vicino al mare mezzo ubriaco, trovò un posto nascosto su una nave e si addormentò. Quando si svegliò spaventato vide che intorno c’era soltanto il mare, un tizio vicino gli disse: su questa nave sono tutti soldati volontari per la Spagna. Quel momento Lovino aveva pianto per lo spavento, e le persone lo consolavano dicendogli che quando sarebbero giunti alla destinazione troverebbero il modo per portarlo indietro. Però quando la nave arrivò al porto di Valencia, si ricordò delle storie di Enea, Spartaco e Giuseppe Garibaldi che il nonno gli aveva raccontato in passato.
Sempre quel stupido orgoglio non gli permise di ritornare a casa, così Lovino insieme agli altri italiani andarono ad Albacete, e lì vene inserito nella dodicesima brigata internazionale. Visto che non era grande d’età, gli fecero fare il messaggero tra brigate…
…Chi ci crederebbe che sette anni sono volati così! Dopo sette anni ha comunque soltanto ventidue anni… la gioventù di questa generazione può valere alla vita intera di tutte le altre generazione del futuro che quelli del passato.
“… Avevi paura, caro?” Antonio dopo aver ascoltato in silenzio tutta la storia, chiese, “In quel momento avevi solo quindici anni.”
“Avevi paura? In quel momento avevi soltanto sedici anni, no?”
“Io per niente, dopotutto dietro alle spalle c’era Madrid.”
“Pff, se tu non avessi avuto paura, perché lo dovrei averla io…” Come tutte le precedenti conversazioni del genere, Lovino rispose con un po’ di rabbia e guardò storto Antonio. All’improvviso, lasciò e ristrinse le mani del ferito e sorrise:
“Senti! Dopo le guerre, vieni a Napoli insieme a me, è un posto meraviglioso! È molto più divertente del Nord…”
 
… Quella piccola lampada a cherosene dopo aver sentito per tutta la notte la loro conversazione, all’alba chiuse finalmente i suoi luminosi occhi. Lovino si alza in piedi, e dice sicuro: “Voglio ritornare al quartier generale.”
“Vai, vai pure, salutali anche da parte mia.” Antonio alzò il braccio, e lo appoggia intorno al collo di Lovino, baciando i capelli castani ancora pieno dell’odore del passero e dell’erba.
Lovino sale su una piccola salita davanti al villaggio e vede il nonno, Romolo Vargas che è seduto un una pietra osservando inizialmente il villaggio poi vedendo l’arrivo del nipote guarda gli occhi di Lovino.
“Che fai qui di prima mattina.” Chiese impaziente Lovino, “Fai lavorare da sola la nonna?”
“Sto qua tutti le mattine, tanto tu non puoi ma sapere.” Invece il vecchio lo rispose calmo, “Non mi stanco mai di guardarla.”
Nonostante rimane ancora sul corpo e sul viso di nonno la sua gioventù e la sua bellezza, ma la giovinezza è ormai già lontano da lui. In quei occhi ancora pieno di allegria e potenza rimane ancora quel spirito che Lovino non sa spiegare.
Lovino si siede vicino al nonno, sull’erba intorno alla pietra.
“Quanto è bella Victoria.” Nonno inizia a parlare, “Ed è ancora più bella quelle ragazze greche ed egiziane. Ecco perché noi vecchi, in realtà non solo noi vecchi, anche il vecchio cane sta insieme a noi qui a vederla tutti i giorni, solo vedendola mi fa ricordare della mia gioventù. Tua nonna sa solo lavorare e faticarsi, non vuole venire qua con me, stupida vecchia!”
Lovino rimane in silenzio, e il nonno non si ferma per attendere la sua risposta: “All’inizia venivo qua con Gennaro, ma l’anno scorso quel vecchio chiuse gli occhi e non se ne importò più di nessuno. Che strano, vedendo ciò non chiuderò gli occhi nemmeno per altri cent’anni, e lui… in questi due anni sto sempre con il vecchio Luigi, e ieri era andato a trovare parenti, e portò anche il vecchio cane…”
“Ascoltami, nonno!” Lovino interrompe il discordo del vecchio, “Hai sempre preferito Feliciano, no?”
Il nonno si girò verso di lui, dopo qualche secondo risponde:
“Sa studiare bene, sa disegnare bene, sa anche a giocare bene a calcio, è proprio come io da giovane. Ah, gioventù, gioventù… da giovane avevo sempre deriso di quei vecchi che vogliono ritornare giovani, adesso veramente non posso più…”
“Vedendo Feli ti fa sembrare di ridiventare giovane, nonno.” Le parole di Lovino sono composti da 50% di gelosia e altri 50 di misericordia, “Feli è proprio un bravo ragazzo!”
“Lui è un ragazzo educato, ma non è un bravo ragazzo. i bravi ragazzi non devono trascorrere la vita nella totale tranquillità, i bravi ragazzi, che adesso sono ancora giovani, devono avventurarsi, devono scoprire il mondo. Io ero così…”
Lovino che non era mai stato così vicino al nonno, abbracciò il vecchio, appoggiando il viso sulle spalle del nonno.
“Nei capelli c’è un odore del passerotto.” Il nonno sussurrò, “Da piccolo arrampicavi sempre quelle meli per acchiappare qualche passerotto…”
Victoria, Victoria. Lovino di tre anni pensava che Victoria fosse il mondo intero; Lovino di nove anni scoprì l’immenso mondo fuori da Victoria; Lovino di adesso finalmente capisce che il mondo può essere immenso quanto vuole, ma deve comunque iniziare da Victoria.

 
Note:
1.Nell’autunno del 1938, anche se le battaglie alle valle del fiume Ebro stavano procedendo, ma la Repubblica di Spagna per vari motivi decise di ritirare tutte le truppe straniere. E alla fine dell’Ottobre, ci fu il doloroso addio delle Brigate Internazionali a Barcellona.
2.Nell’autunno del 1936, i volontari internazionali che arrivarono in Spagna spesso vengono inseriti nelle Brigate Internazionali ad Albacete. La dodicesima brigata è composta dagli italiani, tedeschi e franco-belgi; quella italiani inizialmente viene chiamato Battaglione Garibaldi, e solo nel 30 Aprile del 1937, fu inserita insieme alla Battaglione Thalmann (tedesco) e André Marty (Franco-belga) nella dodicesima Brigata Internazionale.
Angolo della traduttrice:
Ciaooo a tutti, ecco a voi il ventesimo capitolo della Collina dei Fiori, nonostante volevo aggiornarla già negli Weekend, ero un po’ occupata dai studi L, grazie come sempre Beatrice che recensisce sempre ‘Love U’ e mi fa tanto piacere che le piace la storia.
E come sempre, spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo e alla prossima ^^

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Capitolo 21
*** Ventunesimo capitolo ***


Ventunesimo capitolo

La prima brigata d’assalto ha ricominciato a lavorare come prima nonostante non c’è più il caro generale e il primo gruppo composto dai più esperti della brigata. Come disse anche il vice generale Francis: sul terrazzo del tetto puoi guardare le stelle, dire stronzate, innamorarsi e piangere; ma una volta scesi da lì, non è più permesso le lacrime. Quel giorno, dopo che il vice generale scese dalle scale, si fermò nel salone immersa dai dolori dei membri rimanenti, disse con la sua voce profonda:
“Adesso, mi occupo io della prima brigata d’assalto!”
Questa frase discende dagli antenati della famiglia Bonnefoy. Tra quelle lontane vie della patria Parigi, ci si può ancora oggi senti l’eco di questa frase. Nel 1789, la gente dissero: “Mi occupo io della Bastille!” Nel 1848, la gente dissero: “Mi occupo io della barricata!” Nel 1871, la gente dissero: “Mi occupo io della Monmartre!”
 
La brigata ha scelto dal terzo, quarto e quinto gruppo degli uomini, formando un nuovo primo gruppo dei più esperti, e sono sotto guida diretta insieme al secondo gruppo del vice generale. Si deve anche mandare qualcuno al gruppo comando, per capire un po’ la situazione delle perdite e ascoltare altri consigli per le prossime missioni. E tutto ciò è stata occupata in persona da Francis Bonnefoy. La prima cosa che riuscì a completare, è interrogare il compagno che credeva di averlo già perso, Lovino è tornato nel quartier generale, subito dopo che portò il ferito Antonio alla casa Vargas. “È stato incredibile.” Così commenta all’avventura di Lovino, e riceve come risposta: “Hai ragione, persino io penso che non è vero.”
Il vice generale guarda a lungo gli occhi di Lovino, e infine sospira: “Non andare da nessuna parte, torna a Victoria per qualche giorno. Parti adesso, forse quando arriverai a casa, la nostra cara dottoressa Carla avrà appena finito di fargli l’operazione.”
“Ma secondo le regole, dovrebbe essere isolato per la revisione.” L’ufficiale sembra per niente contento, può essere che è ancora arrabbiato per il suo bel cappello che già prima Lovino si era scusato.
“Infatti per adesso deve andare dal quartier generale, non mi importa di che persona sia.” Il vice generale vide la stima che appare per un solo secondo negli occhi di Lovino, “Adesso, mi occupo io della prima brigata d’assalto.”
Solitamente questa frase indica la solitudine.
In questi giorni difficoltosi, il vice generale vorrebbe veramente trovare un amico sincero, per dirgli di tutti i sentimenti che vorrebbero fuoriuscire dal suo cuore. Ma veramente non riesce a trovarne uno. Antonio sta riposando a Victoria; Gilbert non è proprio adatto a essere uno con cui vorresti confessare; Peter è ancora troppo piccolo. E le ragazze, hmm… già è abbastanza che sono coinvolti in questa guerra brutale che nemmeno un uomo può sopportare, è meglio che non le causo ancor più problemi.
Ragazze…prima della guerra c’era una ragazza di nome Marguerite, prima c’era una Jeanne, anche prima c’era una Louise, forse c’era anche qualcun’altra. Adesso ha già dimenticato come erano le loro labbra, ma pensa spesso quali difficoltà avrebbero trovato durante questa guerra. Poi si ricorda che quelle ragazze erano così belle, così dolci, così fragili.
Invece il nome di Arthur Kirkland è come un vento proveniente dal Nord-Ovest, dopo attraversato quel mare turbolente, diventa quei sussurri che non si fermano mai tra le montagne dei Pirenei. In quella rigida notte della primavera di 1938, degli astronomi credono che quelle stelle nei telescopi stessero tremando per quel forte vento provenienti da Nord-Ovest e quei spari da Sud-Ovest.
 Se ci fosse Arthur ad ascoltare queste frasi che nascondono tutta sua solitudine, come sarebbe bello. Ma Arthur non vorrebbe ascoltarlo. Peraltro Arthur non è più Arthur, ma Robinson. La ‘F’ e la ‘A’ incisa su quella grande pietra dei Pirenei, nonostante la firma di Arthur è ‘R’ e non più ‘A’, Francis gli risponderà sempre con la ‘F’.
Da piccolo, Francis misurava le distanze delle stelle con il suo pollice e indice della mano destra, quell’ora pensava ancora che erano degli amici che stanno sempre insieme. Dopo qualche anno, capisce dai libri di testo che le stelle distano miliardi e miliardi di kilometri. Ma, dopo che un uomo percorre la propria lunga strada, può capire che la distanza tra un uomo e l’altro è spesso molto più lontano di quello tra stelle.
La vita di un essere umano è troppo lunga e sola, per sentirsi meglio si deve saper consumare questa lunga solitudine e non essere consumata ovviamente dalla solitudine. Ogni sera, quando il signor Schmidt torna nella sua abitazione, Chiara gli porta sempre una bella tazza di caffè, intanto lui inizia a dirle quei suoi sentimenti nascosti nelle profondità del cuore, quei sentimenti che prova in questi mesi che sta in mezzo ai nemici che non può parlare con nessuno. Solo parlando di questo punto, Chiara Vargas è proprio la ragazza più dolce e carina di questo mondo.
Non solo i normali abitanti di Genova, e quei soldati e generali, quasi tutta la città credono che questa cameriera di quel ristorante di prima classe che si chiama Angelica sia la sua amante. Nei weekend, si può spesso vedere lei sotto le braccia del signor consulente tecnico; e dopo il lavoro, ben vestita, si dirige all’abitazione del signor Schmidt per passare la notte. E lui, dopo aver offerto la camera da letto con il letto matrimoniale, si prende delle coperte e lenzuola, li stende sul pavimento del studio per passare la notte.
La mattina dopo il loro primo incontro, come ha suggerito Chiara, andò dal calzolaio della Piazza De Ferrari. Il calzolaio è un cinquantenne italiano, e gli disse gli ordini del superiore e altre informazioni di Genova, inoltre gli disse anche di mandare Chiara nelle prossime volte dal calzolaio, se non è proprio qualcosa di così importante, è meglio che non passa da lui. Però quello che interessava di più, cioè quello che era successo alla brigata nel diciannove ottobre, il calzolaio non gli disse niente.
Così Robinson ha avuto l’ansia per ben tre giorni, anche se deve fingere di essere come sempre davanti agli altri, e ogni sera che torna alla sua abitazione, le parole smettono di uscire dalla sua bocca. Ed è stato così fino la sera del quarto giorno, quando Chiara gli porta una ‘lettera’ dove gli riferisce la situazioni dei feriti e morti, aggiungendo di appositamente: “Peter sta bene.” E come sempre la firma alla fine ‘F’.
Quella sera, Robinson per la prima volta inizia lui un discorso con Chiara. Parla molto velocemente, come se non potesse più aspettare qualcosa. Quando le raccontò della barca della sua famiglia che si chiama ‘Rosa’, la ragazza lo interruppe:
“Perché si chiama Rosa? È il nome di tua moglie? O della fidanzata?”
“È mia mamma, adesso non ho nemmeno una ragazza.”
“Un uomo di ventisei anni, e nemmeno una ragazza?!”
“Quando andavo a scuola ce l’avevo!” Robinson alza leggermente il mento, “Una che si chiama Lily, poi una Daisy, e forse anche una che si chiama Rose. Adesso che sto qua, dove lo trovo il tempo per innamorarmi!”

 
Angolo della tradutrice:
Ciao a tutti, ed ecco a voi il nuovo capitolo della Collina dei Fiori, ammetto che questo capitolo è un po' cortino, ma mica è colpa mia giusto? giusto. Comunque sono così contenta che i visualizzazioni riiniziano ad aumentare, grazie come sempre per la lettura e alla prossima ^^

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Capitolo 22
*** Ventiduesimo capitolo ***


Ventiduesimo capitolo

Nei giorni seguenti, Gilbert continua ad evitare la zingara Elizabeta. Quando si trova davanti a lei, come capita spesso, le fa un piccolo cenno con la testa avendo sempre i denti che mordono le labbra.
Perché prova troppa angoscia per la morte dei fratelli del primo gruppo; perché al momento è troppo impegnato a riorganizzare il nuovo primo gruppo; perché non ha tempo; insomma, queste sono solo scusa che Gilbert cerca per chiarire con sé stesso il vero motivo per cui in questi giorni sta sempre evitando Elizabeta. Be’, non può certamente ammettere per il suo orgoglio, per la sua autostima e per tutto l’amore che ha per sé che il vero motivo sia quel imbarazzo, quel imbarazzo di essere vantato così tanto davanti la ragazza prima di partito dicendo che avrebbe fatto grandi cose, quel imbarazzo di essere tornato infine perdendo quasi tutto il primo gruppo, quel imbarazzo che non può sopportare.
–Bene, bene, veramente molto bene, caro Gilbert mio, facciamola allontanare così– pensa –ma sì, continuiamo  così, Gilbert, prima o poi verrà un altro bel pavone a portarla via. Forse è pure meglio, almeno in questo modo il mio caro orgoglio, la mia cara autostima non ferirebbe di nuovo; se non verrebbe veramente nessuno a portarla via, dove nascondo la mia faccia, ma solo io posso innamorarmi, anzi no, innamorarmi? io? di lei? ma no, sono solo un po’ interessata di lei. –
Quando cosa un kilo di orgoglio? E un kilo di autostima? Ogni volta che il ragazzo passa vicino ad essa, il suo sguardo può sempre catturare quel secondo in cui Elizabeta scambia lo sguardo alzando leggermente il mento; è sempre così sicura di sé, sempre così diretta, sempre così cosciente del suo valore unica ed insostituibile. Anche se non si può definirla bella quanto una di quelle dame o principesse che riescono ad essere corteggiata da tutti quei cavalieri delle epoche, ma i suoi occhi puri come l’acqua di un lago tra quelle lontane montagne sono sempre così attraenti.
Dopo aver pensato e ripensato, Gilbert decide comunque di andarci incontro, dopotutto non si può continuare così, facendo così è sempre meglio di perdere orgoglio da vigliacco.
 
Era sul calar del sole, come al solito Elizabeta dopo aver finito i lavori nella cucina, esce dalla stanza e si riposa un po’ sedendo su della legna da ardere posti vicino al muro della cucina. Avvolge le sue mani ormai ruvide dovute inizialmente ai lunghi viaggi da zingara poi dai lavori svolti in questi giorni nella brigata, nella gonna sporga di suga ed altro, ed alza leggermente il capo, guardando silenziosamente quelle lontane colline e montagne che si immergono lentamente nel crepuscolo.
“Che fai?” Chiese Gilbert che è stato a lungo accanto ad essa, “Sai che sei quasi diventata un statua di marmo? Non è da te sedere silenziosamente a guardare il vuoto.”
“Non sto guardando il vuoto, c’è tutto quel paesaggio davanti a me, non vedi? Comunque sto riflettendo un po’”
Se questa conversazione era stata fatta qualche giorni fa, almeno prima che partisse, Gilbert le avrebbe sicuramente risposto, -Pff! Riflettere? Tu? Davanti a me? che son un studente specializzato nella filosofia dell’Università di Monaco?- Però adesso sa che non è proprio il momento di ridere e scherzare, infatti continua:
“E allora? Su che cosa stai riflettendo?
“Il general Giovanni Zavattini e tutti gli altri del primo gruppo d’assalto.”
Gilbert è un po’ sconvolto dalla risposta: “Se non li conosci da tanto…”
“E perciò.” Sospirò la ragazza, “E perciò devo riflettere bene di loro, potrei essere l’ultima persona che avevano conosciuto nella loro vita, ma comunque non è la tristezza e l’angoscia quello che al momento provo…”
“Fino a poco fa, non faccio altro che pensare al loro sacrificio, al perché si sono sacrificati, perché non sono riuscito a salvarli eccetera eccetera,” Gilbert passa ad un tono più allegro, “Insomma, tutte queste cose che nemmeno io posso spiegare, anche se potesse non cambierebbe. Adesso il magnifico pensa più a quello che avevano fatto quando erano ancora in vita, i momenti che abbiamo passato insieme, le missioni compiuti, e tutto resto di fatti sia buoni che cattivi che aveva fatto.”
“Nonna Yesenia.”
“?”
“Le tue parole mi fanno ripensare a quelle dette dalla nonna Yesenia. In quel momento aveva cent’anni, o probabilmente anche di meno, ma mi piace definirla una donna di cent’anni, la fa sembrare ancora più saggia. Comunque, in quel momento era stesa in quella carovana, era sempre così affascinante, almeno per me lo era, e io le chiedevo se stesse per morire, lei mi rispose con il solito sorriso dicendo – Liza, oh mia cara piccola Liza! Sì, sto per morire!– poi mi ricordo che l’avevano seppellito, su di lei crebbe ben presto tante erbe anche dei fiori, quando il vento trapassava tra di essi, riuscivo a sentire il suo bisbiglio. Così era, libera e mai trattenuta da niente… ma in fin dei conti, non ci posso ancora credere, come potrebbe morire una donna del genere? dovrebbe essere una di quelle vecchie saggie immortali!”
“Che vecchia sorprendente. Se potessi, vorrei proprio andare a visitare la sua tomba. Nonostante era uno studente specializzato proprio su filosofia, noi studenti non spieghiamo mai con filosofia la vita e la morte, sai, non è assai di rispetto, anzi, non c’è un minimo rispetto.”
“Be’, non vedo nemmeno io da tempo la sua tomba, ma dovrebbe essere da qualche parte di Ungheria credo, non me lo ricordo più, quando era morta ero ancora una bambina, e poi poco dopo la sua morte, eravamo ripartiti, visto che i zingari stanno sempre in viaggio…”La ragazza si girò all’improvviso verso di lui, “Guarda, in fin dei conti la nonna Yesenia ne ha una tomba, ma tu hai lasciato i tuoi compagni in quel campo…ci sarà qualcuno che li seppelliranno?”
Evitò lo sguardo.
 “I contadini lo faranno. Anche se non ci fossero i contadini, il campo pian piano li seppelliranno.”
Elizabeta si alza in piedi, e si avvicina al ragazzo, alzando leggermente il capo, e guarda Gilbert pieno di curiosità.
“Ma tu, no, sei proprio una persona strana, ma sei veramente cresciuto in città, o in realtà sei un ragazzone della campagna?”
“Cittadino dall’epoca del trisnonno del mio trisnonno. Perché”
 “Come pensavo, guarda la tua pelle, è così chiara che sembra appena lavata dal latte! Però a volte parli tutto perfettino, e altre volte sembri cresciuto nella campagna. Per esempio i contadini o campi che avevi detto, sembra che li conosci molto bene…”
“Il magnifico me fino agli inizi di questa primavera, parlavo da assai perfettino.” Gilbert evitò di nuovo lo sguardo di Elizabeta, intanto stringe con la mano destra la propria camicia, “Poi capii che la cultura è solo la lingua, non importa quanto bene riesce a dire, una volta che i denti la mordono, la lingua inizia a sanguinare.”
Il volto di Gilbert, immerso nel crepuscolo sembra ancora più chiara, e i suoi occhi rossi sembrano quell’ultima luce e calore che continua a bruciarsi quando il camino sta per spegnersi.
“Sei triste?” Gli chiede a bassa voce.
Lei guarda lui, lui guarda i monti, i monti guardano i campi, e i campi guardano le prima stella che appare nel cielo notturno. L’autunno sta per passare.
Nella stessa notte, prima che andassero tutti a dormire, Elizabeta si avvicinò a Natalia e si siede accanto a lei silenziosamente, e improvvisamente la abbraccia come se fossero delle sorelle. “Ah, stavo per pungermi con l’ago, stupida Liza!” La ragazza russa rimprovera l’altra, non fermando il lavoro che sta svolgendo, sotto la luce della piccola lampada a cherosene, un piccolo ago riflette una luce di color bronzo, come un vecchio asino, trascinando quel filo va e viene su questo giubbino che non si sa di quale membro della brigata appartiene.
“Natalia, credo, che qualcosa in me sta per sparire definitivamente…” Elizabeta nonostante il rimprovero della russa continua ad abbracciala, e parla a bassa voce, “Ma nello stesso momento qualcosa di nuovo, sta crescendo velocemente come una piantina… ma nel mio cuore non c’è uno spazio così grande da premettere essenza di un albero.”
Poi fece un piccolo sorriso, abbassò la testa appoggiandolo sui vesti dell’altra ragazza. I capelli lunghi e ondati della zingara coprono le schiene di tutti e due ragazze.
“Quanto anni hai, Liza?”
“Venti, non lo sapevi già?”
“Io ne ho diciotto, ma penso sempre di essere più grande di te. Ogni volta che ti guardo, sembri una di quelle mie compagne di classe spensierate prima della guerra…Liza! In un’epoca del genere, in un posto del genere, come hai fatto a continuare ad essere così?”
“Perché? Come dovrebbe essere la gioventù? O mio santo cielo, Natalia, mia cara sorellina, guardati nello specchi. Sei così bella, così giovane, perché dovresti nascondere i tuoi capelli nella fascia. Qualcuno prova a capirmi, sei come mia sorella, e  finora non so nemmeno se sei bionda o castana!”
“Sei tu che ti sei innamorata… mica io!” Natalia si ricorda di quando era una sedicenne, aveva detto le stesse parole alla sua cara amica Anya Sokolov.
In questo momento, l’ago punse il suo dito, le gocce di sangue iniziano a fuoruscire dalla pelle del dito, infatti, Natalia mette da parte l’ago e il filo, e appoggia il volto in mezzo al giubbino che ha ancora in mano. Verso il tramonto, un partigiano le aveva chiesto il favore di aiutarlo a ricucire questo giubbino. Questo giubbino ha ancora l’odore del tabacco, ah, ecco perché, è tutto per colpa di questo odore del tabacco che riesce sempre a far lacrimare le persone.

 
Angolo della traduttrice:
Ciaoooo a tutti, ecco il nuovo capitolo della Collina dei Fiori.
Allora, come avete letto, sta finalmente per iniziare la storia tra Gilbert ed Elizabeta, senza fare tanti spoiler, vi assicuro che sono una bellissima coppia.
Alla prossima ^^

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Capitolo 23
*** Ventitreesimo capitolo ***


Ventitreesimo capitolo

Tutto torna al percorso originale. Mandare gente per le città cercando di ottenere qualche informazioni dalle brigate di posto; preparare la scorta per passare l’inverno; assalire qualche soldato fascista d’intorno rubando da essi qualche fucile, e tante altre. Ma ogni volta che le persone pronunciano quel nome per prestare il fuoco, si accorgono nuovamente che ormai lui c’è più.
Ma ci sono altre persone che riescono a strangolare il Dio della morte, per poi ritornare alla vita di sempre che non si può essere fermo per un secondo. In una notte verso metà di Novembre, Antonio Fernandez Carriedo riesce finalmente a ritornare al suo posto di ‘lavoro’.
“No, frate’, non sei veramente cambiato per niente.” Questo gli dice Francis dopo averlo osservato a lungo nonostante adesso il suo viso è molto più magro e angolato.
“E invece tu sei diventato veramente un barbuto. Per quattro anni, quando decidi di raderti?”
“Ma è perché sono troppo affascinante, mi capisci? Cioè, se mi rado la barba, già riesco ad immaginare cosa diranno gli altri membri della brigata vedendomi: ‘Guardate, guardate, che gigolò è il nostro caro vice!’” Francis si alza in piedi, e inizia a fare dei gesti ed espressioni strani accompagnati da un tono alquanto strano, “Oppure anche qualcosa tipo ‘Oh nostro caro vice, non sei proprio adatto a fare questo lavoro, sai, la guerra non è qualcosa fatto per te…forse faresti meglio a recitare in qualche teatro, o in qualche piazza, ad attrarre qualche donna qua e là…’”
 “Ahahahaha! No, No! Credimi, nemmeno tu sei cambiato per niente! Lo giuro sul nome di Cid, Vega, Cervantes, Don Chisciotte o chi vuoi tu, ma tu sei tale e quale a prima…” Antonio lanciò una piccola mela al vice generale, “Tieni! Ho lasciato di proposito il più piccolo per te! Il vecchio Vargas mi fece portare un cesto di mele, ma quelli grandi l’hanno preso tutti di qua giù.”
“Il più grande è per Lovino, eh?” Francis dice lentamente, “Quel bellissimo vecchio Romolo, ah vorrei essere pure io bello quanto lui quando sarò vecchio, comunque lui è un uomo imparziale, perciò penso che sia la tua idea no?”
“Ma stupidaggini dici! Io…”
“Sii più onesto, frate’, comi mi dissi pure tu, gli spagnoli non mentono su queste cose.”
 
Dopo altre due chiacchiere, Antonio decide di andare dagli altri, e così,  rimane di nuovo solo lui nella stanza. Francis inizia a mangiare la piccola mela, domandandosi se Antonio fosse veramente andato da Lovino come aveva previsto; e Gilbert si sta sicuramente corteggiando davanti ad Elizabeta.
Come spesso accade, più profondo si trova una persona nella solitudine, più riesce a capire i veri sentimenti degli altri che forse nemmeno questi altri sanno.
E nella stanza affianco, c’è un’altra persona sola, l’ufficiale Nicola Richie. Esso si appoggia sulla porta chiusa a chiave, giocando in continuazione la mela portata da Antonio.
In teoria il suo piano è svolto molto bene: l’intero primo gruppo dei più esperti sono stati quasi annientati tutti quanti, e hanno portato via anche il generale. Ma visto che lui è uno che cerca sempre la perfezione, quel ‘quasi tutti’ non può essere la cosa più fastidiosa. E guarda un po’, doveva far ritornare proprio quel crucco di patate e quel pomodoro.
Purtroppo la guerra non è prevedibile, nessuno poteva sapere quante persone sarebbero tornati in un gruppo. Si lamenta un po’ di sé stesso per non aver aspettato il ritorno di Claudio, e di aver mandato così quel Lovino a fare il capro espiatorio, e chi poteva sapere che quel capro sarebbe ritornato sano e salvo? Che cavolo aveva combinato nel centro di detenzione, o forse quando lo stavano portando dall’altra parte?  “Quando uscirò da questo schifoso posto, e quando ritornerò in città, punirò severamente quegli idioti!” Nicola promise a sé stesso. E parlando di quella sensazione che aveva provato quando Lovino era venuto da lui per scusarsi come uno stupido, per la perdita del cappello lungo in viaggio, bah, cosa può essere peggio?
Ma per fortuna che il vice generale non chiese niente sul fatto del cappello. No, meglio non abbassare la guardia, l’esperienza gli dice che questo ancora vivo è molto più difficile da affrontare rispetto a quello ormai morto. Con quel suo sorriso ‘spensierato’ che sembra non importare niente, Francis Bonnefoy per non poche volte aveva rifiutato in continuazione le sue proposte. E questo non si può più essere motivato per quel dannato carattere che rifiuta sempre dei francesi. Specialmente quando gli chiede un po’ più informazione su Robinson, il vice aveva immediatamente cambiato il contatto di quest’ultimo, ma che furbizia.
I venti provenienti da nord non per la prima volta bussano le finestre, il freddo e rigido inverno sta per arrivare.
L’ufficiale da un grande morso alla mela, intanto il piano finale si sta prendendo forma nella sua mente. Una delle cose che deve assolutamente fare prima che tutto ciò finisca, e acchiappare la coda di quel misterioso Robinson.
Robinson.
L’ufficiale non potrebbe mai sapere che proprio per la sua curiosità eccessiva su Robinson, aveva perso la fiducia del vice generale per lui. E invece altri della brigata fidano come sempre di lui, visto che pensano solo che è un po’ chiacchierone.
Anche se è una persona che non importa molto delle parole altrui altri, a volte diventano molto sensibili a certe cose che dicono, e molto spesso ciò è legato alla sicurezza di un’altra persona. Solitamente lo chiamano amore. E quanto riguarda se quest’amore viene corrisposta o no, non importa più di tanto.
Quel giorno, il vice entra nella stanza dell’ufficiale, per discutere un po’ delle informazioni portate indietro da alcuni soldati. A un certo punto, Antonio entra all’improvviso nella stanza dicendo all’ufficiale di scendere nel salotto per vedere il nuovo modello del fucile appena trovato da alcuni compagni.
“Vai pure, ti aspetto qui.” Francis sbadigliò.
L’ufficiale ritornò solo dopo mezz’ora, e quando diede un sguardo alla stanza, che nonostante sembra quasi uguale a quando era uscito, l’angolo del letto che prima era scoperto adesso sta ben coperto dal lenzuolo; il segnalibro che dovrebbe trovarsi nel Decameron che stava leggendo adesso si trova a terra. Nell’angolo della stanza, dove c’è molto polvere, è rimasto mezzo segno del piede, e per rimanere solo mezzo, è probabile che qualcuno era stato lì alzando sulle punte del piede per vedere se qualcosa fosse nascosto sopra la libreria.
E il vice generale sta seduto tranquillamente sulla sedia fumando un sigaro…da come nota, non ha perso quest’occasione per cercare qualche indizio nella stanza dell’ufficiale. E come uno spia professionale, non lasciò nulla nella sua stanza, nulla.
–Si è finalmente dubitato di me? Allora giocherò fino alla fine. – L’ufficiale pensò –Tanto questo gioco non continuerà più molto, finirà molto presto… –
Pensando ciò, l’ufficiale si sente molto più leggero. Si siede su una sedia, e ricomincia il discorso con il vice che era stato interrotto.
 

–Dovrebbe sicuramente sapere che avevo cercato qualcosa nella sua stanza. – Dopo la fine della conversazione, il vice generale torna nella sua stanza, si siede sulla poltrona e si lasciò portare via dai suoi pensieri, – Ho fatto a posto a buttare il segnalibri a terra, e ho mosso un po’ anche le lenzuola e l’armadio, una persona attenta quanto lui, non dovrebbe non accorgersi di questo, eppure fa finta di non essere successo niente! Pensa che è uno che ogni volta esce da quella stanza chiude la porta a chiave, non è arrabbiato… e non mi ha nemmeno domandato qualcosa! –
– E quel cappello, perché l’ha prestato a Lovino? Solitamente è uno arrogante… ah, può essere che Nicola Richie è uno che sembra di non interessare affatto negli altri membri ma in realtà non lo è? È mica una persona con le mani fredde ma col cuore caldo? –
E così Francis inizia a fare delle ipotesi: e se Nicola non ha veramente notato i piccoli cambiamenti della stanza, o si scoccia proprio di arrabbiarsi? Questi pensieri causano un gran mal di testa per Francis, perciò prima di trovare qualche prova certa, ogni sospetto è ingiusto. È pure vero che non sopporta l’eccesso curiosità dell’ufficiale verso Robinson, ma che cosa è meno insopportabile e odiosa dell’ingiustizia? Lui è il figlio della famiglia Bonnefoy, quello che ha vissuto il 1789, 1848 e 1871.
Francis si ricorda quello che disse il nonno, il vecchio soldato Paul Bonnefoy del comune di Parigi: “Essere giusto verso i nemici è la più grande ingiustizia verso te stesso. Molti dei tuoi bis o anche tris nonni si erano sacrificati in questo modo…”
Fece un lungo sospiro, la mano destra su cui ha appoggiato il mento inizia a sentire dolore a causa dellla sua barba corta. Riesce a sentire le gride degli animali da fuori della finestra, dovrebbe essere qualcuno tipo Claudio o anche altri che sta svolgendo il suo dovere, quello di andare in città o villaggi a comprare farina o altre cose necessarie per la sopravvivenza della Brigata. I soldi che ci diede l’organizzazione della resistenza di Milano sono quasi finiti, e adesso quello che ci aspetta difronte è l’inverno.

 
Angolo della traduttrice:
Buona Pasqua a tutti, cioè quasi Pasqua, comunque come di solito, questo è il nuovo capitolo della Collina dei Fiori e spero che vi sia piaciuto. E come sempre ringrazio infinitamente Beatrice per la recensione ^^
Alla prossima ^^

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Capitolo 24
*** Ventiquattresimo capitolo ***


• Ventiquattresimo capitolo •



Ogni errore compiuto durante una guerra, deve essere ripagata con il sangue: o quello del nemico o quello proprio.
All’alba del secondo giorno, il vice generale si svegliò dal sonno, ha sensazione della testa pesante, come se fosse appena svegliato da qualche incubo. Ripensando la notte del giorno precedente, dopo aver appoggiato la testa per un secondo sulla scrivania, si addormentò, prima di cadersi profondamente nel sonno, aveva sentito un soldato che era uscito dalla base centrale per andare a comprare qualcosa…
No, aspetta un secondo, se non fosse veramente per un’emergenza, perché quel soldato che aveva solo il compito di acquistare alimenti era stato permesso di allontanarsi dalla base centrale a quell’ora della notte? Non basiamo solo sulla prima brigata d’assalto, in tutte le brigate di nord Italia, quando mai è successo una cosa del genere?
– Dannazione – pensò Francis maledicendo questi preziosi momenti di sonno durante la guerra, e scende in fretta le scale, dirigendosi verso il magazzino del cibo, dove vede Gilbert che è la guardia notturna del giorno che sta chiacchierando con il custode del magazzino.
“Chi si era allontanato dalla base ieri notte?”
“Claudio.”
“Di chi è l’ordine?”
“Ma chi poteva essere, ovviamente del nostro amato ufficiale.” Gilbert sbadigliò, “Dice che a Grosergi sono arrivati del cibo per noi da parte dell’organizzazione di resistenza di Milano mi pare, e così era andato a prenderlo…”
“Ordina subito qualcuno a riportarlo indietro! Subito!”
Così il custode corse subito nella villa come ordinò il vice per chiamare qualcuno, invece Gilbert dice: “Non ce la farai con il tempo! Era andato ieri notte, molto probabilmente ritornerà anche fra po…”
Il sonno di Gilbert all’improvviso sparisce completamente, vedendo gli occhi pieno di preoccupazione e rimpianto del vice, capisce che qualcosa di molto grave è successo, e sta per avvenire la sua conseguenza.
E proprio in questo momento, un forte rumore che proviene dal lontano inizia a diventare sempre più forte, e i due corrono subito nel giardino, dove ci sono tutti gli altri partigiani svegliati dal custode. Alzarono la testa preoccupati verso il cielo appena illuminato dai primi raggi del sole, e vedono qualcosa che assomiglia a degli uccelli neri si avvicinano sempre di più ad essi, e questo qualcosa inizia a diventare sempre più grande…
“Separate! Veloci! Tutti a terra! Su! Veloci!”
BOOM
All’improvviso un fortissimo suono dell’esplosione copre completamente la voce del vice generale.
 
Prima che caddero le prime bombe dal cielo, Peter si trovava insieme all’ufficiale nella cantina sotterranea avente l’ingresso ad un angolo nascosto della stalla. Questo è sicuramente il nascondiglio perfetto, nessuno saprà questo posto, perciò Peter vorrebbe veramente ringraziare l’ufficiale per aver scelto proprio questo posto per parlare con lui.
Tutto si inizia a parlare da prima che sorgesse il sole, in una delle ultime ore della notte, quando l’ufficiale lo svegliò dal sonno dicendogli che aveva qualcosa per discutere con lui. Così lo porto qui, dove i due si sederono sugli scalini all’ingresso della cantina. L’ufficiale dice al piccolo Peter varie informazione sulla prima linea ed altre brigate di nord Italia, il piccolo quattordicenne si sente al settimo cielo, poiché nessuno lo tratta come un adulto nella brigata tranne l’ufficiale, ed è solo lui che non lo tratta quanto un bambino discutendo queste cose importanti della guerra.
 “Sei proprio un ragazzo bravo, intelligente e coraggioso, peccato che in questi giorni non ci sono molti lavori per te.” L’ufficiale lo rincoraggia, “Secondo me dovresti allenarti più…dovrei farti riiniziare i contatti con Robinson, in modo che in futuro farai altri missioni più importanti.”
Sentito questa frase, all’improvviso gioia, gratitudine e orgoglio annientano il cuore di Peter come un acquazzone.
“Posso avere anche un fucile?”
“Al momento te lo posso prestarne una. Ma in futuro, quando strapperai uno dalle mani di un nemico, quello sarà veramente il tuo primo fucile.”
Questo sì che è una frase che piace a Peter. Ma proprio in quel momento, iniziarono i bombardamenti, nonostante si trovano beati nella cantina sotterranea, Peter ha veramente paura però nello stesso momento è molto eccitato.
“Riesci a sentirmi? Ragazzo…” Tra un bombardamento all’altro, Peter sente l’ufficiale che parla vicino le sue orecchie, “Bah! Proprio qua devono bombardare…dobbiamo spostarci! Avvisa subito Robinson. Se no, avrà seri problemi…”
“Andrò a dirlo al vice!” Il ragazzo rispose urlando.
“Non serve che ci vai tu.” La voce dell’ufficiale è seria e profonda, “Una cosa così importante, devo parlargli di persona. Adesso mi serve l’indirizzo di Robinson…”
Ogni persona nella vita fanno molti errori che possono essere sia gravi o di piccola importanza, ma tu, Peter Kirkland, hai detto così confusamente all’ufficiale, dove può trovare il misterioso Robinson, dove può trovare il tuo caro fratello maggiore. Non potrai sapere, che le mani di questo spia accanto a te si è già infilato negli stivali, prendendo in mano il coltello… ma, secondo il destino, questa volta tu non lo devi ripagare con il tuo sangue! Non ha fatto in tempo di ucciderti, perché prima che lo facesse, tu sei già saltato fuori dalla cantina, e quando il spia era uscito anche lui dalla cantina sotterranea, tu lo guardavi ancora pieno di rispetto di gratitudine.
 
Più la chance è importante per arrivare alla vittoria, più non la si può perdere. Quando questi chance sono così fuggevoli, dovresti lasciare tutto il resto che stavi facendo, ed acchiappare la sua coda. E Nicola Richie sa bene, e lo fa alla perfezione.
Un bravo spia deve avere la capacità di pensare due o più cose contemporaneamente. Mentre parlava con Peter, osservava anche quello che stava succedendo fuori dalla cantina. Appena i bombardamenti sono finiti, le persone alzano subito in piedi a mettere le cose a posto; questo fumo tra non tantissimo si spargerà, in modo che il mondo diventa di nuovo chiaro da vedere, niente da fare, non può più ucciderlo, vai, scappa subito!
Lasciando dietro alle spalle il base centrale della prima brigata d’assalto, Nicola corre velocemente verso i piedi della montagna. No, non può ancora prendere tutto alla leggera. Nonostante tutto è risolto alla perfezione come aveva programmato: innanzitutto Claudio aveva portato alla base dei nazisti la posizione precisa della base centrale e i precisi movimenti; e la base nazista inviò i bombardieri, tutto alla perfezione, ha fatto in modo di sapere dal piccolo messaggero la vera identità di Robinson, e ha anche distrutto l’abitazione di tutti questi partigiane, adesso questi uomini passeranno l’inverno senza un tetto, anzi, non vedranno nemmeno l’inverso. I soldati tedeschi, secondo le sue indicazioni circonderanno tutta questa zona.
Questa impresa è abbastanza da fargli avere un ruolo importante. Perciò deve lasciare questo posto sano e salvo, bah, pensava di poter scappare facilmente quando vuole, però, prima che iniziassero i bombardamenti, vide dall’entrata della cantina il vice generale che riunì tutti i partigiani in mezzo al giardino! Capisce che deve scappare in fretta da qui.
“Non aver eliminato Bonnefoy nel passato, è stato una pessima mossa.” Nicola lamentò di sé stesso. Ma si ricordò di quando aveva giocato a scacchi con qualcuno, aveva perso soldati, cavalli, e persino la regina, ma infine uccise comunque il re dell’avversario.
Abeti e cedri passarono vicino a lui, quelle foglie gli danno veramente tanto fastidio. Corri, corri ancora più veloce!
 
Il sangue inizia a vibrare nelle orecchie di Francis, ha sentito qualcosa, o meglio dire percepisce che qualcuno è passato velocemente. In quest’ora subito dopo i bombardamenti, chi è quello che si è alzato in piedi per primo? Nonostante Francis Bonnefoy non è il primo, non lo può essere nemmeno l’ultimo. Sia nel 1789 che 1848 o 1871, i francesi sono stati sempre davanti a tutti.
 “Dobbiamo spostarci subito!” Francis salta su una delle poco davanzali che rimangono della rovina, come Robespierre aveva detto ai suoi compagni, grida verso il primo e il secondo gruppo della brigata, “Andiamo nel villaggi di Grosergi! Ci riuniamo con il terzo, quarto e il quinto gruppo, e poi ci sposteremo su una montagna più lontana! Dobbiamo diminuire al massimo le perdite visto che siamo scoperti…”
Dopo che i pensieri del vice generale possa staccarsi da tutti i lavori su organizzazione, inizia a chiedere dove è finito l’ufficiale.
“Nicola Richie! Dove è andato l’ufficiale?!” Domandò con una voce spaventosa, quegli occhi blu che sembrano del fuoco fatuo iniziano a cercare tra persone. Proprio in questo momento, sentì la voce spaventata di Peter:
“È andato a trovare Robinson… per dirgli che ci sposteremo…”
Subito dopo, Francis si fece trovare davanti al ragazzo, e stringe fortemente le spalle dell’ultimo. Ma non serve più che gli chiede qualcos’altro, e non serve più nemmeno la risposta.
 
Note:
Arrivati a questo punto, credo perché crede anche la scrittrice originale che serve che vi dico gli anni di nascita dei personaggi in modo che potete capire meglio, e prima di iniziare dobbiamo precisare che in questo momento della storia siamo arrivati alla fine dell’autunno del 1943, e come potete notare dal testo, è quasi l’inverso dello stesso anno.
Francis: 1913
Arthur: 1917
Gilbert: 1920
Antonio: 1920
Ivan: 1920
Chiara: 1921
Lovino: 1921
Feliciano: 1921
Elizabeta: 1923
Natalia: 1925
Peter: 1929
Angolo della traduttrice:
Ecco a voi il ventiquattresimo capitolo della Collina dei Fiori, come al solito, spero che vi piaccia il nuovo capitolo, e se vi piace, lasciate una bella recensione, e se non vi piace, lasciatela comunque XD Alla prossima ^^

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Capitolo 25
*** Venticinquesimo capitolo ***


•Venticinquesimo capitolo•


 
“Adesso, ci occupiamo noi di noi stessi!”
Un tempo quelli che guidava la prima brigata d’assalto erano il gruppo di comando formati da ben tre persone: la prima si è sacrificata; la seconda è una spia; e proprio un secondo fa, la terza persona ha appena lasciato il suo posto di comando, cercando di recuperare tutto.
Adesso tutti colori che restano ancora sulla cima di questa collina, calcolano l’amicizia in base al metodo partigiano, decidendo così con chi potrebbero formare un gruppo durante le missioni. Davanti ad una situazione a tale difficoltà, c’è sempre quella voca roca e stanca ma forte e sicura che dice: “Adesso, ci occupiamo noi di noi stessi!”
Decidono di eseguire gli ordini del vice, i due cadaveri vengono sepolti frettolosamente, i due gravemente feriti vengono portati sul carro e invece i tre leggermente feriti dopo aver avvolto le ferite con una benda per poi iniziare a camminare insieme agli altri. Quando tutti stanno facendo dei preparativi per lo spostamento, Gilbert Beilschmidt si trova sulle rovine della villa accovacciato con un piccone in mano.
 “Cosa vuoi ancora trovare?” Sente provenire dalle spalle una voce indifferente, “La tua nazione aveva già finito la sua ricerca di tu sai cosa per tutta l’Europa.”
Ormai solo Natalia Arlovskaya lo tratta come se fosse un nemico come i suoi compaesani, il tedesco prese in mano alcuni libro mazzi rovinati che si trovavano su dei mattoni accanto ad esso, facendo finta di non aver sentito la sua provocazione:
“L’ex proprietario della villa aveva una biblioteca, te lo ricordi? Non possiamo lasciare tutti questi libri qua… Wow, guarda qua cosa ho trovato! Un libro su Peano!” Fece all’improvviso un lungo fischio, prendendo un’opera di matematica che si trovava in mezzo a quelli di Dante, Petrarca e Machiavelli, “Peccato che è una versione italiana! Non fa niente o no, La nostra intelligentissima matematica!”
Gilbert infila il libro nelle mani di Natalia, e riprese in mano il piccone. L’espressione del tedesco che sta scavando è solenne e decisa. Questi libri nella quale è seppellito tutti i mondi del passato, sembrano che stessero riprendendo la libertà grazie le mani di Gilbert.
 

Addio, cara collina! Benedica ancora una volta la tua gente, questi che erano stati nelle tue braccia per tutti questi mesi, questi che stanno per lasciarti, per rifugiarsi in una montagna più lontana. Non sarai più quella che riesce a sapere al più presto le notizie di questa tua cara gente, perciò non potrai sapere così presto chi di questi riusciranno ancora a vedere le margherite che fioriranno in primavera dell’anno prossimo. In quest’inverno che porterà la fine dell’anno 1943, sei destinata ad essere al posto delle madri e mogli che attendono a lungo il ritorno del proprio figlio o marito, che guardano a lungo le lontane montagne aspettando qualche notizia da parte dei venti, che lacrimano davanti i davanzali, quelle lacrime che vengono puliti con un pezzo di fazzoletto per poi ritornare vicino ai fornelli e le culle.
Solo al tramonto,  quando il colore della notte inizia a tingere sull’immenso cielo, i partigiani possono finalmente riposarsi vicino al falò. Gli abeti e i cedri nascondono le luci del falò con le loro braccia ancora pieni di foglie.
 “Tra poco ci sposteremo.” Qualcuno dice, “Se non è successo qualcosa, penso che quel maledetto è già arrivato nella città di Genova, e mi sa che ormai sa tutto, dannazione…”
“Perciò abbiamo mandato Sandro a riferire agli altri tre gruppi del nostro arrivo, quando arriveremo al villaggio di Grosergi, possiamo subito spostarci per un’altra parte.” Gli risponde un vecchio da una cinquantina di anni, “Che guaio, spero che il vice riuscirà a raggiungere Nicola.”
“Se riuscirà a raggiungerlo è un fatto, e se riesce a raggiungerlo e poi sbarazzarci di lui è già un altro fatto.” Le parole di Gilbert sembrano un’ascia che cade su delle legna, “Calcolando un po’ le probabilità con la matematica, serve solo che Tiche sia dalla nostra parte. Ma comunque se non riuscisse, sarebbe ancora Francis!? Dovete sapere che per i francesi, nulla è poi così stravagante.”
 

Ci sono sempre queste persone che sono nati per far diventare realtà le fantasie. E chi ha mai detto che solo gli adulti sono in grado di farlo? E chi ha mai detto che i quattordicenni possono solo compiere errori impossibili da mettere a posto?  Se non ci fosse stato quel qualcuno che l’ha fermato, ordinandolo di spostare insieme al gruppo, Peter sarebbe sicuramente corso giù dalla collina insieme al vice generale per acchiappare la spia.
Però adesso, non può fare altro che stare davanti il falò con gli occhi socchiusi, sentendo lo strato di calore e luce sulla ciglia. Tanti anni fa, quando era su una barca in mezzo al fiume Mersey insieme ad Arthur, in quella giornata di pioggia – I ragazzi inglesi non hanno mai paura della pioggia – quelle luci delle case della città che vedeva, erano dello stesso color di quello che  adesso è difronte a lui.
Peter Kirkland, il fratello minore di quel bastardo di Arthur Kirkland, per la prima volta nella sua vita, gli manca così tanto Liverpool. Proprio così, seduto in silenzio, con gli occhi socchiusi, davanti al fuoco, poi mamma verrà vicino a lui abbracciando le sue spalle chiedendogli: “Cos’è successo, mio caro?” E solitamente con una faccia triste rispondeva: “È andato una schifezza il compito di matematica.” “Non fa niente, quando tornerà Arthur, chiedigli gli argomenti che non capisci ancora.” La mamma lo perdonava sempre, quale suo sbaglio non può essere perdonato dalla mamma…
“Cos’è successo, caro?” Qualcuno si è seduto accanto a lui, abbracciandolo le spalle, calciando via la sua spensierata infanzia, alzò il viso, cercando di trattenere le lacrime che cercano di fuoriuscire dalle palpebre. Pulisce con forza gli occhi con la mano, e vede il viso della zingara. Nessuno potrebbe arrabbiarsi difronte ad un viso del genere.
“Era una domanda retorica? Comunque se non lo fosse ho fatto un casino.”
“Ah…” Fece un lungo sospiro dispiaciuta, “È per Robinson giusto? Anche se non so chi sia… lo vuoi veramente molto bene no?”
Per un attimo Peter le stava per dire che era il primo figlio della sua stessa madre che è stato appena tradito dal suo fratello minore non facendolo ovviamente di proposito. Sente la mano della ragazza che carezza con gentilezza i suoi capelli, un tempo la mamma faceva lo stesso gesto per dimostrare il suo affetto per il figlio più piccolo. Ah, cara mamma, per quale grave motivo Dio avrebbe dovuto punirti in questo modo, facendoti diventare la padrona della famiglia Kirkland.
 
Dall’altra parte del falò ci sono Antonio e Lovino, uno seduto accanto all’altro. La mano sinistra dello spagnolo e la mano destra dell’italiano si stringono fortemente sopra il terreno in mezzo ad essi: come se volessero giurare sopra a questo terreno che non si separeranno mai.
“Adesso capisco…quello stronzo di… bah!” Lovino dice, “Ecco perché ero stato catturato nella piazza di Parma…e ho anche perso il capello, quel cappello che mi aveva regalato. Bah!”
Antonio appoggia dispiaciuto una mano sul ginocchio dell’italiano, ma l’ultimo continuò a parlare: “Deve pregare davanti al Dio per non cadere nelle mie mani!”
“Non serve che ti vendichi, caro.” Antonio sospirò, “Francis lo raggiungerà, non ti preoccupare.”
“Quel stupido gallo francese? È andato così a testa calda, si deve solo sperare che tutto vada bene, dannazione!”
“…Hey, caro, parliamo qualcosa di più allegro dai! Basta con Nicola Richie.”
“Perché?”
“Mi fa ricordare di quel momento…quel momento, pensavo che ti avrei perso per sempre…”
L’italiano girò all’improvviso il viso, e vede la faccia triste di Antonio, e gli viene in mente un idea stupida.
“Dimmi!” La sua punta del naso si è quasi attaccato a quella dell’altro, “Dimmi cosa sto pensando! Se lo indovini non ti do più fastidio con questo fatto!”
“Stai pensando a Victoria, al vecchio e la nonna.” Antonio sorrise, e mette il pollice sul naso di Lovino.
“Che cretinata stai dicendo.”
“No, tu che cretinata stai dicendo. Stai sicuramente pensando, perché per spostarci da qui dobbiamo per forza fare una sola strada? Perché non potremmo fare la strada un po’ più lunga per Victoria? Andare a salutare un attimo i parenti…”Antonio non continuò , si stese a terra, appoggiando la testa sulle mani, però appena le spalle toccano il terreno, sentì l’ordine di andare.
Antonio sospirò a lungo, ma non si alzò comunque, e in questo momento, Lovino inizia a stringere con le mani le sue orecchie, facendolo alzare da terra.
“Senti!” Lovino bisbigliò vicino le sue orecchie, “Posso dire addio a chiunque…ma non serve che tu mi dici quest’addio, e ovviamente non serve nemmeno a me di dirtelo! Non ci separeremo mai…”
 

Quel giorno, non passarono per Victoria, ed è questo il motivo per cui Lovino solo molto in poi saprà che la sua cara Victoria è stata distrutta durante i bombardamenti dell’alba.
In quel momento, il nonno Romolo era seduto insieme altri vecchi amici un po’ fuori dal villaggio come sempre a chiacchierare dei pettegolezzi. Quando le bombe iniziarono a cadere dal cielo, si era persino alzato in piedi urlando delle maledizioni verso il cielo. Quando i vecchi tornarono nel villaggio ormai completamente distrutto, gli dissero che c’era una bomba caduta proprio sul mulino all’est del villaggio dove c’era in quel momento la nonna Ersilia… Al posto del mulino è rimasto un grande buco nero, e di Ersilia, non ne è rimasto nemmeno un suo capello.
“Stupida vecchia!” Dopo aver sentito le parole dei vicino, Romolo si mise a ridere, “Giocare ancora a nascondino a quest’età? Ma per favore!”
Appena finito la frase, svenne. Quando si risveglia capisce finalmente che quella che ha perso è lei! Non ha perso una di quelle bellissime donne greche ed egiziane, ma Ersilia! Quella fanciulla di campagna che poi gli aveva donato ben quarant’anni della sua vita, ormai non c’è più. Proprio quella fanciulla poi gli aveva concesso tre figli maschi che gli portarono a casa altri quattro nipoti…
Quelli del villaggio ancora vivi piangono, seppellendo i cadaveri mezzi mancanti in quelle tombe fatti al momento con dei chiodi e dei pezzi di legno, e cercando tra le rovine un po’ di ricchezza ancora rimasta. Solo Romolo è seduto in silenzio senza fare niente davanti al fornello di casa sua che ormai è l’unica cosa rimasta della sua piccola cascina, guarda con dubbio i vicini che seppelliscono i familiari, si calmò. “L’hanno messo nelle tombe. Quello è del figlio più piccolo di Luigi, e quello è della sorella di Andrea…ah, giusto, giusto, sono stati seppelliti, perché sono morti. Ma Ersilia? Ersilia…io non l’ho seppellito! Chi era quello che mi aveva detto che era morta?”
Molti dei vicini decidono di trasferirsi in altri villaggi dai lontani parenti.
“Romolo, mio vecchio amico.” Il vecchio Luigi venne da lui, “È meglio che prepari un po’ e vai a trovare i tuoi figli.”
“Sono troppo lontani, non ci vado.”
“Allora vieni a Nocenza con me, dal mio figlio! Non è proprio una buona idea passare l’inverno in questo posto…”
“Ma che cazzo dici! Non ci vado!” Romolo si arrabbiò.
“Che testardo, e va bene, se vuoi veramente restare qui, vieni a casa mia.” Luigi indico l’unica casa ancora intera del villaggio, “E quando hai rinfrescato la tua mente, puoi venire quando vuoi a trovarmi.”
 
È rimasto solo lui a Victoria, si siede fuori al villaggio, come un aquila ormai invecchiato, guarda dall’alto il villaggio completamente distrutto. Ed al tramonto, come al solito, inizia a tornare a casa. Quando vede il fornello che ormai non ci sarà più l’odore dei pasti della cascina in mezzo alle rovino, capisce completamente tutto ciò che era successo.
Si appoggia vicino al fornello, piangendo per la prima volta ad alta voce da quando inizia la sua memoria:
“Ersilia! Ersilia! Mi hai rovinato la vita!”
 
Angolo della traduttrice:
Ciaoo a tutti, e buona festa della mamma! Comunque, questo è il venticinquesimo capitolo della Collina dei Fiori, che spero che vi sia piaciuto il capitolo. Sono così contenta che a Luglio inizia la nuova serie di Hetalia ^^ ma prima di ciò, mi aspetta un mese infernale di Maggio, perciò alla prossima che sarà molto probabilmente dopo la fine della scuola!

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