La Fenice e l'Angelo Demoniaco

di KikiShadow93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo ***
Capitolo 2: *** 2. Risveglio traumatico e buonanotte imbarazzante. ***
Capitolo 3: *** 3. Una crisi scampata e un nuovo sogno ***
Capitolo 4: *** 4. La prima cotta e un po' di tiro al bersaglio! ***
Capitolo 5: *** 5. Di incubi, rivelazioni dolorose e tanto amore. ***
Capitolo 6: *** 6. Istinto ***
Capitolo 7: *** 7. Incontri spiacevoli e baci rubati. ***
Capitolo 8: *** 8. Un sottile equilibrio spezzato ***
Capitolo 9: *** 9. Sentimenti contrastanti + Special [Nella tela del ragno] ***
Capitolo 10: *** 10. E' ora di aprire le danze: fatti coraggio e balla col diavolo! + Special [Il primo assaggio] ***
Capitolo 11: *** 11. Quando Týr ci mette lo zampino... ***
Capitolo 12: *** 12. L'alcol: un grande rivelatore + Special [Mi sentirai ruggire] ***
Capitolo 13: *** 13. Atropa Belladonna ***
Capitolo 14: *** 14. Non opporre un'inutile resistenza ***
Capitolo 15: *** 15. Controlla le tue passioni, o loro controlleranno te. + Special [Fino all'ultima goccia] ***
Capitolo 16: *** 16. Quante cose possono cambiare in tre settimane... ***
Capitolo 17: *** 17. Benvenuti a Namba ***
Capitolo 18: *** 18. Una notte da leoni ***
Capitolo 19: *** 19. Appuntamento col destino ***
Capitolo 20: *** 20. Il resto può attendere + Special [Scacco alla Regina] ***
Capitolo 21: *** 21. Fuoco alle micce! ***
Capitolo 22: *** 22. Una strana giornata di pioggia + Special [Un re senza corona] ***
Capitolo 23: *** 23. Verità che spaventano ***
Capitolo 24: *** 24. Una temibile avversaria: Freya Lothbrook + Special [Una saggia scelta] ***
Capitolo 25: *** 25. Si avvicina la tempesta + Special [Alleanze impossibili] ***
Capitolo 26: *** 26. Omicidio al chiaro di Luna ***
Capitolo 27: *** 27. Salvataggio in extremis ***
Capitolo 28: *** 28. Tutti i nodi vengono al pettine ***
Capitolo 29: *** 29. Ricordi di sangue + Special [Una nuova arma] ***
Capitolo 30: *** 30. Amarti è stato un suicidio... ***
Capitolo 31: *** 31. Nuovi punti di vista ***
Capitolo 32: *** 32. Come nascondere il Sole in cielo ***
Capitolo 33: *** 33. Ognuno volta pagina a proprio modo + Special [L'Aquila di Sangue] ***
Capitolo 34: *** 34. Come prima, più di prima ***
Capitolo 35: *** 35. Non sempre fare nuove amicizie è piacevole. ***
Capitolo 36: *** 36. Non negarti la bellezza di scoprire + Special [Come un fantasma] ***
Capitolo 37: *** 37. Una giornata piena di sorprese + Special [Tutti alla catena!] ***
Capitolo 38: *** 38. Il vento del cambiamento ***
Capitolo 39: *** 39. Benvenuti ad Helheimr ***
Capitolo 40: *** 40. Certe notti + Special by Yellow Canadair [Non urlare, Silly!] ***
Capitolo 41: *** 41. Helheimr sotto shock! ***
Capitolo 42: *** 42. Orizzonti di gloria ***
Capitolo 43: *** 43. La sottile linea rossa ***
Capitolo 44: *** 44. La caduta degli déi ***
Capitolo 45: *** 45. Piacevolmente ingiusto ***
Capitolo 46: *** 46. In un attimo tutto può cambiare ***
Capitolo 47: *** 47. Epilogo + Special [Sopravvissuto] ***



Capitolo 1
*** 1. Prologo ***


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Sulla Moby Dick l’intero equipaggio freme sporgendosi dal parapetto dell’imbarcazione, impaziente di vedere il naufrago che ha fatto rallentare la nave. Dal proprio seggio Barbabianca torreggia il ponte della nave, osservando divertito l’interesse dei figli che sgomitano per avere una visuale migliore.
Per lui, così come per gli altri, è stata una vera sorpresa quell'avvistamento così insolito. In effetti, non è da tutti i giorni trovare una cesta incatramata in mare aperto, al cui interno piange disperato un bambino.
Da una parte gli uomini più fidati del capitano osservano la scena in silenzio, nascondendo la loro crescente curiosità.
«Che ne pensate?» chiede Ace, senza neanche voltarsi verso i fratelli.
«Non saprei…» risponde vago Vista, lisciandosi uno dei baffi con aria pensosa.
«Non avevamo mai raccolto un naufrago prima.» afferma con tono duro Jaws, lanciando una fugace occhiata al capitano.
Non appena il piccolo cesto viene posato sul ponte della nave, le urla preoccupate e piene di stupore delle infermiere riecheggiano per tutta la nave mentre si guardano commosse.
«Santo cielo...» una di loro, Ran, la più “anziana”, afferra con delicatezza il fagottino avvolto in un telo bianco e lo stringe con delicatezza tra le braccia, osservandolo con amore e compassione.
I vari uomini presenti le fanno spazio per farle raggiungere il capitano, allungando il collo per poter scorgere il viso dell'infante che ha smesso finalmente di piangere.
Barbabianca, spinto dalla curiosità come tutti gli altri, si china leggermente in avanti per poter vedere il piccolo miracolato che ha appena salvato, non riuscendo a scorgere altro che qualche ciocca nera che spunta dal tessuto candido in cui è avvolto.
«Allora?» tuona, impaziente, rimettendosi comodo e aspettando impaziente che l'infermiera glielo mostri.
«Sembrerebbe star bene, capitano. A occhio non ha niente.» risponde quella con tono fermo, sfiorando con la punta delle dita la pelle diafana della creaturina che tanto gelosamente tiene stretta tra le braccia.
Alza poi il viso sull'uomo, sostenendo il suo sguardo, finché non decide di mollare la presa e allunga il piccolo fagotto scalpitante verso di lui.
L'uomo lo prende in una sola mano, portandoselo davanti al viso, impietrendosi di fronte a quei grandi e luminosi occhi color ghiaccio.
Non aveva mai avuto per le mani una cosina così piccola e fragile in vita sua, e l'idea di fare una mossa falsa e romperla gli fa salire un brivido lungo la schiena.
Istintivamente, quindi, si adagia il piccolo fagotto nell'incavo del braccio, proteggendolo anche con l'altra mano, senza mai staccargli gli occhi di dosso.
Il resto dell'equipaggio non riesce a trattenere un'espressione estremamente sorpresa di fronte a quel gesto, nel vederlo così affettuoso e delicato, e la loro curiosità cresce a dismisura.
«Capitano, penso che sia il caso di portar-»
«Si.» l'uomo, seppur a malincuore, allunga di nuovo il piccolo fagotto a Ran, che lo guarda con aria scocciata per essere stata interrotta, ma un forte vagito si leva in aria non appena le mani forti dell'uomo si staccano.
Barbabianca sgrana gli occhi di fronte a quella reazione, e dopo pochi istanti la coperta chiara si apre, rivelando a tutti quanti il prezioso contenuto.
Una bambina dalla pelle bianca come la neve sbraccia convulsamente verso l'enorme uomo che sorride divertito e riallunga il braccio in sua direzione, afferrandola delicatamente e portandosela su una gamba, dove la piccola si mette a sedere e comincia a guardare i vari pirati con aria incuriosita.
I capelli neri e lucenti come le ali di un corvo le ricadono sul visetto magro e pallido, il vestito giallo che indossa è decisamente troppo largo per il suo esile corpo, gli occhi, grandi e vivaci, guizzano da un uomo all'altro velocemente; un sorriso allegro si apre sulle labbra sottili e rosee, mostrando qualche dentino da poco spuntato.
«Quanto pensi che abbia?» domanda Barbabianca all'infermiera, senza però perdere di vista la piccola che continua a guardarsi intorno con aria meravigliata.
«Poco più di un anno. Dubito fortemente che arrivi ai due.» risponde pacata mentre continua ad osservare la creaturina che sorride raggiante all'imponente uomo, come se fosse la cosa più bella che abbia mai visto.
«Babbo, con tutto rispetto, dubito fortemente che una nave pirata sia il posto più adatto ad un bambino piccolo.» afferma Satch con tono dubbioso, continuando ad osservare la piccola che a sua volta ha cominciato a fissarlo.
Di colpo, poi, la piccola tende le braccia verso il pirata, cominciando ad emettere dei piccoli gridolini per attirarne l'attenzione.
«Vuole che la prendiate in braccio.» una delle infermiere, l'ultima ad essere entrata nella ciurma, da una leggera pacca sul braccio del comandante della quarta flotta, per intimargli di farsi avanti e di accettare quell'invito.
Satch, completamente estraneo al mondo dei bambini, si fa avanti incerto, allungando le mani dopo che il capitano gli ha fatto un chiaro gesto di prenderla. Afferra la piccola con decisione, tenendo le braccia belle tese e guardandola sorpreso. Osservandola più da vicino, non riesce a scorgere neanche una briciola di paura nei suoi occhi.
La piccola sorride felice all'uomo, sgambettando con forza e tenendo le braccia tese verso di lui per poterlo toccare, riuscendo finalmente nell'impresa quando questi l'avvicina a sé, stringendola con delicatezza al petto, non riuscendo a trattenere un sorriso commosso.
Lentamente anche gli altri gli si avvicinano per poter vedere meglio e, come colti da un raptus di idiozia collettiva, cominciano a farle dei versetti infantili per attirarne l'attenzione, sventolandole davanti agli occhi oggetti luccicanti e facendole la linguaccia.
Marco, Vista e Jaws sono gli unici ad astenersi, rimanendo a braccia conserte vicino al seggio del capitano, osservando infastiditi la scena. Sono pirati, loro, che diavolo gli salta in mente di comportarsi come un branco di idioti?
Barbabianca, dal canto suo, osserva la scena con un sorriso quasi commosso sulle labbra, gli occhi ricolmi di felicità e uno spasmodico desiderio di tenerla che gli trabocca nel cuore. Ha sempre voluto una famiglia ed è riuscito a crearsela con il suo equipaggio, ma l'idea di poter crescere lui quella bambina, di educarla e viziarla, lo alletta veramente troppo.
«Allora...» i vari pirati si voltano verso di lui, guardandolo incuriositi dal suo cambiamento d'umore così improvviso. Fino a pochi secondi prima, infatti, era sembrato loro pieno di felicità, mentre adesso sta con gli occhi chiusi e la testa bassa, con aria dura.
Per un attimo l'idea che la voglia ributtare in mare li sfiora, ma la accantonano immediatamente. È vero, Barbabianca è il pirata più forte del mondo, ha fatto un sacco di cose assai discutibili nella sua vita, ma mai una volta se l'è presa con un bambino, figuriamoci se ne butterebbe uno fuori dalla nave!
«Come la chiamiamo?»
Urla di gioia si levano in aria con forza, l'entusiasmo di poter avere una figlia li pervade quasi tutti. In fondo erano consapevoli che prendendo il mare si sarebbero per sempre preclusi una famiglia vera, dei figli con il loro sangue nelle vene da educare, quindi questo per loro è un modo per riscattarsi.
«Arisu!» «Mieko» «Chiyo!» «Kin!» «HANA!!» «Momoko!» «Emi»
Tutti si sbizzarriscono urlando i primi nomi che gli vengono in mente, ma nessuno di quelli pare convincere il capitano.
Izo, fin'ora silenzioso e a debita distanza dalla piccola, le si avvicina cauto, strappandola dalle braccia del fratello e poggiandosela su un fianco, osservandola attentamente: la pelle pare quasi risplendere tanto è chiara, gli occhi brillano di una luce propria, come se fossero due gemme preziose incastonate sul suo viso.
«*Akemi.» afferma con tono sicuro, fissando lo sguardo in quello del capitano, che gli sorride e annuisce un poco.
Izo torna poi ad osservare la piccola che adesso gli ha afferrato con decisione un ciuffo di capelli, studiandolo con attenzione e tirandolo un po' più forte del dovuto «Così me lo stacchi!» le afferra una manina e la sposta, per poi restituire la piccola a Satch, come se fosse una bomba pronta ad esplodere.
«Non ti mangia mica eh!» gli urla dietro il fratello, sollevando la piccola in aria mentre urla il suo nome, facendola ridere forte.
«Che ne dite se adesso andiamo a controllarla?!» sbotta Ran strappando la piccola dalle mani del pirata e dirigendosi con passo svelto verso l'infermeria, infastidita dal fatto che non glie l'abbiano permesso subito.
Lentamente sul ponte si ristabilisce la tranquillità e ognuno torna finalmente alle proprie mansioni. Tutti, tranne i cinque comandanti, che adesso stanno riuniti di fronte al capitano.
«Babbo, sei sicuro? Si tratta sempre di una bambina, è pericoloso per lei.» afferma con tono incerto Vista, sistemandosi con noncuranza il cilindro sulla testa.
«Ci siamo noi a proteggerla, no?» afferma un più sicuro Ace, afferrando per le spalle Satch e Marco, strattonandoli un poco, senza mai abbandonare il sorriso.
In fondo, a lui non sarebbe mai dispiaciuta una sorellina minore.
«Siamo pirati, Ace, non abbiamo tempo da perdere dietro ad una mocciosa che non sa neanche stare in piedi!» gli urla contro Marco, togliendosi il braccio dalle spalle e allontanandosi di un passo, guardandolo infastidito.
«Non preoccuparti, Marco.» tuona il capitano, attirando l'attenzione dei figli «La piccola Akemi non ci darà alcun problema.»
Sul volto della Fenice appare un'espressione contrariata, ma alla fine deve rassegnarsi. Quando il capitano si mette qualcosa in testa è quella, e c'è ben poco da fare o da discutere.
«Adesso tornate ai vostri compiti, scansafatiche!»



*Akemi: Bellezza lucente.

Angolo dell'autrice:
Ok, ammetto che sto cominciando a preoccuparmi. Possibile che mi vengano sempre in mente 298376481 nuove storie e che decido pure di provare a scriverle?! No, via... devo darmi una calmata!
Comunque, tornando seri per dieci secondi (?!), che ve ne pare di questo esperimento? Ovviamente questo è solo il prologo per introdurre Akemi, la vera storia inizierà con il prossimo capitolo, ma mi farebbe davvero molto piacere avere un vostro parere a riguardo, anche per capire se è il caso di continuare o meno! :P
Quindi... nulla. Vedrò di aggiornare il prima possibile! Ciao a tutti e tanti auguri per il nuovo anno nel caso non aggiorni prima! :)
Baci!

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Capitolo 2
*** 2. Risveglio traumatico e buonanotte imbarazzante. ***


Piccolo avvertimento: in questo capitolo alcuni personaggi appariranno leggermente OOC, ma nei prossimi (diciamo con il crescere di Akemi), si modereranno e torneranno i soliti (sperando di riuscire a renderli al massimo!)

 

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La Moby Dick si sveglia lentamente, mentre il sole comincia a fare timidamente capolino. Il cielo, ancora leggermente scuro, dona alla nave un aspetto lugubre e al contempo ascetico.
Dei pirati scendono dalle postazioni di guardia notturna, dirigendosi verso le proprie cabine quasi invocando il proprio letto, mentre gli altri lentamente escono sul ponte per una boccata d'aria fresca, ancora intontiti dal sonno.
Edward Newgate fa il suo arrivo sul ponte, stirando le possenti braccia verso l'alto senza riuscire a trattenere un sonoro sbadiglio, mentre i suoi adorati figli gli danno il buon giorno, sbadigliando a loro volta.
È di norma che tutti debbano essere svegli prima di potersi sedere a tavola per gustarsi una buona colazione, quindi, per ammazzare il tempo, i vari comandanti si mettono a sedere da un lato, con il buon proposito di fare della sana conversazione. Proposito che però muore sul nascere, dal momento che tutti quanti sono ancora troppo assonnati per poter partorire un qualsiasi pensiero che non riguardi la fame che li sta torturando.
Ace in particolare sembra soffrire notevolmente in quel momento, tanto da non riuscire a pensare a nient'altro che non sia l'abbondante colazione che da lì a poco -almeno lo spera- consumerà.
Il capitano rimane incantato ad osservare l'orizzonte, impaziente di rivedere il faccino sorridente della bambina che la sera prima li ha tanto divertiti.
Infatti l'intero equipaggio è rimasto tutta la sera ad osservarlo mentre giocava con lei, lanciandola in aria o facendola saltellare sulle ginocchia, scatenandone la cristallina risata.
Sorprendentemente metterla a dormire è stata un'impresa titanica, tanto che alla fine gli uomini hanno rinunciato, lasciando l'arduo compito a Ran e alle sue compagne, più che liete di prendersi cura della piccola.
Ma quell'atmosfera così ferma e calma in cui tutti si trovano viene brutalmente spezzata dall'urlo di una delle infermiere che si leva in aria, tanto forte da far tremare i vetri.
Tutta la ciurma, capitano in primis, scattano sottocoperta diretti verso l'infermeria, dove trovano la donna come pietrificata sulla porta, gli occhi sgranati e le mani a coprirsi la bocca.
«Yuka che succede?!» le domanda con voce tuonante Barbabianca, mettendole una mano sulla spalle e guardandola preoccupato.
La donna, in tutta risposta, allunga un braccio verso l'interno della grande sala straordinariamente invasa dal caos.
«Yuka!» Ran arriva tempestivamente dalla compagna, passandole dolcemente una mano sulla schiena «Cosa è successo, cara?»
«A- Akemi...» Barbabianca scatta immediatamente dentro la stanza, cercando freneticamente con lo sguardo la piccola che sembra essere sparita nel niente.
«Lei-» Yuka non riesce davvero a dirlo tanto è sconcertata, ma alla fine riesce a farsi coraggio «È cresciuta!»
I presenti la guardano senza capire, finché non sento l'appena udibile sussurro del capitano.
«Akemi...»
Le teste dei comandanti fanno capolino dalla porta e subito i loro occhi si puntano nella stessa direzione di quelli del capitano e la sorpresa gli arriva addosso come una secchiata di acqua gelida.
«Ma... come...?» mormora Ace facendo un passo dentro la stanza e affiancando Barbabianca, un'espressione assai stralunata è dipinta sulla faccia di entrambi, così come su quella di tutti i presenti.
Lei se ne sta lì, in piedi, e li guarda con aria incuriosita, la testolina piegata da un lato, i capelli corvini le ricadono sulle spalle, il vestito giallo che il giorno prima le arrivava alle caviglie adesso è a metà polpaccio.
Sulle sue labbra sottili si dipinge un sorriso allegro e, goffamente, si dirige verso di loro a braccia tese, attaccandosi di slancio alla gamba di Jaws, quello più a portata di mano.
«AH!» urla a pieni polmoni alzando la testolina, facendo così bella mostra di una dentatura completa.
«Avevo sentito dire che i figli crescono a vista d'occhio, ma così mi pare esagerato!» esclama Vista, abbassandosi all'altezza della piccola che, senza pensarci due volte, gli afferra con forza i baffi e li tira, per poi lasciarli di scatto e portarsi le mani sul viso, per verificare se pure lei li ha.
«Non ci credo...» mormora Ace, abbassandosi a sua volta per poterla prendere in braccio, guardandola con attenzione «Solo io la ricordo più... piccina
Un “no” collettivo gli fa tirare un sospiro di sollievo dopo aver preso in seria considerazione l'idea di essere impazzito di colpo.
«Cos'ha?» domanda preoccupato il capitano, togliendo la bambina dalle braccia del figlio e stringendola con delicatezza a sé, mentre la paura che una grave malattia gliela possa portare via gli gela il cuore.
«Abbiamo fatto gli esami ieri e risultava sana come un pesce...» dichiara Ran, rileggendo le carte della piccola e notando che tutti i valori, ma proprio tutti, sono perfettamente nella norma.
«L'abbiamo ribaltata come un calzino, non è saltato fuori assolutamente niente!» sbotta con voce isterica, facendo vedere i risultati anche alle altre infermiere con la paura che qualcosa le sia sfuggito malgrado le abbia lette e rilette.
«Mh mmh!» il capitano volta subito lo sguardo sulla piccola che lo guarda con grandi occhi tristi mentre si tiene le mani sulla pancia, e un sorriso bonario gli increspa le labbra.
Non guarda nessuno, non dice niente a nessuno. Semplicemente esce dall'infermeria con la piccola stretta a sé, pronto a darle tutto quello che vuole.
Tutti i suoi figli guardano la bambina con sguardo sorpreso ed allarmato, non capendo come abbia fatto a cambiare così tanto in una sola notte.
«Capitano!» gli urla dietro Ran, cercando di farsi restituire la piccola.
«Portate la roba nella mensa, la visiterete mentre mangia.» ordina con tono duro, senza mollare neanche per un secondo la presa dalla sua bambina.
Perché si, è li da meno di ventiquattro ore, sicuramente ha qualche strana malattia che la porterà ad una morte precoce, ma la ama già con tutto sé stesso e non permetterà a nessuno di portargliela via, e farà tutto quello che è in suo potere e anche di più per sottrarla al freddo abbraccio della morte.

La ciurma mangia in silenzio, lanciando delle fugaci occhiate alla bambina che mangia spensierata accanto al capitano, che a sua volta la guarda con sguardo malinconico.
Le infermiere sono concentrate su di lei, prendendole le misure, facendole prelievi, controllandole occhi e bocca, non riuscendo a trovare niente di anormale.
«Sindrome di Werner?» mormora una delle infermiere all'orecchio di Ran, ricevendo in risposta un negazione col capo.
«Progeria?» prova un'altra, fissando con dispiacere la piccola che sta costruendo chissà che cosa con i cereali.
«Dalle analisi sarebbero sorte anomalie del genere, lo sapete...» controbatte immediatamente Ran, porgendo le fialette alle compagne «Esaminateli di nuovo e fatemi sapere.»
Le donne si dileguano velocemente e, prima di seguirle, Ran si avvicina il più possibile al capitano, facendogli cenno con la mano di abbassarsi, per poi sussurrargli nell'orecchio «Comportatevi normalmente, capitano. È meglio che la piccola non si preoccupi.»
L'uomo annuisce, tornando ad osservare la bambina che adesso lo guarda con gli occhioni spalancati. Gli sorride dolcemente lanciando una fugace occhiata alla sua opera d'arte e facendole un cenno di apprezzamento alzando il pollice verso l'alto, facendola sorridere felice.
Akemi riabbassa lo sguardo, osservando attentamente i vari oggetti che le sono stati messi davanti: una ciotola, un bicchiere, una forchetta, un cucchiaino e un sacchetto con delle monete, che lei si diverte tanto a scuotere.
Alza poi gli occhi sui vari pirati, osservandone i movimenti, per poi alzarsi traballante sulle gambe e zampettando verso uno di loro.
Barbabianca non perde un suo solo movimento, pronto a scattare se la vedesse in difficoltà, cosa che il pirata pare capire. Difatti la solleva con quanta più delicatezza può, mettendola a sedere sul tavolo e cercando di farle un sorriso dolce, venendo però deliberatamente ignorato dalla piccola, che continua a fissare i vari oggetti che ha di fronte.
Alza poi gli occhi sul pirata, che a sua volta la guarda incerto, e gli toglie la forchetta di mano, impegnandosi per impugnarla come gli ha visto fare, riuscendoci malamente, infilzando poi un pezzo di frittella e portandosela alle labbra, sporcandosi di sciroppo il vestito.
Nessuno dei presenti riesce a capire il perché di quel gesto, ma poi tutto diventa chiaro: lo sta copiando, sta imparando.
Ace si alza e le va in contro, prendendola in braccio e mettendosela su un fianco «Hai visto babbo?!» esclama felice, passando una mano tra i capelli della piccola che gli sorride raggiante.
Il capitano scoppia in una fragorosa risata nel vederlo così entusiasta per un gesto così piccolo, e il cuore gli si riempie di gioia nel vederlo andare verso il tavolo dei comandanti con la piccola ancora stretta tra le braccia.
«Vediamo un po' cosa riesci a fare.» borbotta più a sé stesso che alla piccola che adesso siede tra lui e Izo, mettendole di fronte un po' di tutto.
La bambina lo guarda incerta, diventando attenta tutto in un colpo mentre il pirata comincia a spalmare della marmellata su una fetta di pane proprio sotto ai suoi occhi.
Come Pugno di Fuoco aveva pensato, la piccola subito prova a copiare i suoi movimenti, impugnando un coltello e allungandosi verso il barattolo della confettura scura.
«Ehi, no!» urla Izo, afferrando il polso della piccola e provando a rimetterla seduta «Va a finire che ti cavi un occhio!»
«Izo, calmati.» lo riprende Jaws, incuriosito dai movimenti precisi della bambina «Lasciala fare.»
Izo, seppur contrario, lascia il polso della piccola e l'aiuta a rimettersi in piedi sulla panca, tenendole saldamente le mani sui fianchi, osservandola mentre afferra il barattolo e comincia ad impiastrare un tozzo di pane alla meglio, per poi mostrarlo con entusiasmo e fierezza ai vari uomini, che nel frattempo se la ridono divertiti.
«Dai, falle fare qualcos'altro!» afferma allegro Satch, battendo una mano sul tavolo e guardando sorpreso la piccola che allunga la pietanza appena preparata verso di lui.
«Oh, ma grazie signorina!» esclama sorridendole e dando un morso, pulendosi con il dorso della mano la marmellata in eccesso che gli è colata sul mento.
Ace ride come impazzito, cercando di ricomporsi il più velocemente possibile e scegliendo la nuova azione da farle fare: afferra con decisione un coltello abbandonato sul tavolo, stende la mano e pianta la punta acuminata in mezzo alle dita lentamente, uno spazio alla volta.
La piccola lo guarda come rapita, osservando la punta del coltello che passa abilmente tra le sue dita e subito pensa di bene provarci, prendendo un coltello e stendendo la manina sul tavolo, venendo però immediatamente bloccata da Izo «NO!»
«Ma che fai?» brontola Ace, cercando di riprendere il coltello dalle mani del compagno.
«Ace, ma sei tutto scemo?! Rischia di farsi male con questa bravata!» Izo posa l'oggetto lontano dalla portata della bambina che continua ad allungarsi per riprenderlo, imbronciata «No, è pericoloso.»
Akemi lo guarda attenta, cercando di dare un senso alle sue parole, girandosi poi verso Ace che le sorride bonario «Dai retta alla zietta.»
«ACE!» tuona Izo, sbattendo un pugno sul tavolo, pietrificandosi nel sentire la voce stridula della piccola.
«Etta!»
I vari comandanti la guardano con gli occhi sgranati, increduli.
«Cosa hai detto?» le domanda Satch, sporgendosi verso di lei e guardandola dritto negli occhioni allegri.
«Etta!» ripete felice, sbattendo le manine «Etta! Etta! Etta!»
«No, Akemi. Lui non è 'etta'.» la riprende Vista, guardandola con aria seria mentre la piccola s'imbroncia, cominciando subito a pensare a dove stia l'errore e cercando un modo per rimediare «È zietta
Izo sbuffa sonoramente, alzandosi di scatto e mandandoli tutti a quel paese, dirigendosi con passo svelto sul ponte della nave. Non ha niente contro la piccola, sia ben chiaro, ma non ha alcuna intenzione di stare con quei cretini dei suoi fratelli a farsi prendere in giro.
«Riesci a dire il mio nome?» le domanda allegro Ace, passandole una mano tra i capelli «A c e
La bimba lo guarda, ascoltandolo con attenzione mentre ripete per un paio di volte il proprio nome indicandosi e, dopo un attimo di smarrimento, lo ripete a sua volta, stando attenta a scandire bene la parola, scatenando le risate generali, in particolar modo quella del capitano.
C'è solo una persona che non ride tra loro: la Fenice.
Lui continua a guardare la bambina con un certo fastidio, fermamente convinto che non porterà altro che guai e che quello non è assolutamente il suo posto.
Inoltre non riesce a capire come tutti i suoi fratelli e il babbo stesso stravedano tanto per lei. In fondo è solo una bambinetta, perché mai esaltarsi così?! A giudicare dalla sua crescita precoce avvenuta durante la notte, inoltre, non camperà neanche tanto, quindi perché mai affannarsi tanto e darle attenzione?
Si alza a sua volta, dirigendosi con passo lento e strascicato verso il ponte, pronto a svolgere i suoi compiti in silenzio, senza dover avere sotto gli occhi quella mocciosa urlante.
«Ti è passato l'appetito?» gli domanda Izo senza guardarlo, continuando a sistemare delle cime.
«Completamente.» borbotta in risposta, raggiungendolo con passo lento.
Il compagno lo guarda per un breve istante e le sue labbra si tendono in un lieve sorriso «Non ti va molto a genio, mh?»
«A te si?»
Izo alza gli occhi su Marco, guardandolo quasi senza capire «Certo che si, perché mai non dovrebbe?»
«Perché è una mocciosa, Izo! Possibile che non lo capiate?!»
«Oh, andiamo Marco! È carina. A me mette allegria.»
«Allora perché sei scappato?!»
«Perché ero circondato da un branco di idioti che mi chiamavano 'zietta'! Adesso ci vorrà un po' prima che capisca che non mi chiamo così. I bambini sono intelligenti, sai? Imparano tutto osservando quanto li circonda.»
Marco sbuffa sonoramente, afferrando delle cime abbandonate sul ponte e cominciando a sistemarle con poca attenzione, giusto per tenere la mente occupata.
Sente chiaramente le risate dell'intera ciurma provenire da sotto coperta e, dopo una decina di minuti, vede spuntare Satch con in braccio il piccolo mostriciattolo. La guarda, cercando di farsela andare a genio, ma proprio non ci riesce.
'Porterà solo rogne.' abbassa di nuovo lo sguardo, tornando al suo lavoro, finché qualcosa di freddo gli si poggia su un fianco, facendolo sussultare.
Si volta di scatto, trovandosi così faccia a faccia con il suo nuovo nemico numero uno, Akemi.
«Che vuoi?» le ringhia contro, senza però riuscire a smuoverla di un millimetro.
Anzi, la piccola in tutta risposta gli sorride felice, voltandosi poi verso Ace e Satch e urlando a pieni polmoni «CIP CIP!»
Rimane pietrificato, Marco, fissandola con gli occhi sgranati, facendo poi guizzare lo sguardo sui due fratelli che se la ridono a crepapelle, richiamandola a sé e facendola volteggiare per aria.
«Hai ragione, Izo... sono degli idioti!»

Akemi se ne sta seduta placidamente tra le grandi gambe del capitano, scarabocchiando su dei pezzi di carta, cercando di raffigurare in modo completamente suo i vari uomini che popolano la nave.
Barbabianca le lancia qualche occhiata di tanto in tanto per assicurarsi che vada tutto bene, che non abbia qualche malore improvviso e che non si annoi, notando ogni volta un disegno nuovo.
La piccola glieli mostra fieramente quando si accorge che la sta osservando, provando pure ad esprimersi. Gli ha mostrato con fierezza Ace, Izo, Jaws, lui stesso e Marco, ognuno fatto come uno scarabocchio con un qualcosa che lo contraddistingue. Lui, per esempio, è uno scarabocchio enorme con i caratteristici baffi, disegnati in maniera assai storta e confusa; Jaws è una palla completamente annerita; Izo e Ace sono pressoché irriconoscibili, tranne per il fatto che il primo ha una specie di nuvoletta di fumo attorno alla testa -per via della sigaretta che gli ha visto fumare- e il secondo ha quello che dovrebbe essere un cappello con due faccine. Marco, forse più degli altri, è quello che si capisce di più, grazie agli scarabocchi fatti sulla testa che raffigurano piuttosto bene i suoi bizzarri capelli.
Ogni volta Barbabianca ride di gusto, scatenando così l'acuta e cristallina risata della piccola, che torna poi ai suoi disegni con grande dedizione, finché la sua attenzione viene attirata da un euforico Ace.
«ANGIOLETTO!» urla a pieni polmoni, accovacciandosi a terra e aprendole le braccia, facendo brillare i suoi occhi e spingendola così ad alzarsi e a correre verso di lui, instabile sulle gambe fragili e magre.
A metà strada, però, inciampa nei suoi stessi piedi, finendo con la faccia a terra, facendo allarmare i presenti che si precipitano per controllare la gravità dei danni.
Halta la solleva, prendendole il visetto pallido tra le mani e osservandola, non notando neanche un graffio sulla pelle diafana.
«È resistente la mocciosa!» le tira un buffetto sulla guancia, facendola sorridere, per poi poggiarla di nuovo a terra e guardandola mentre si dirige trotterellando verso Ace.
Il ragazzo la solleva in aria, facendola scoppiare a ridere, poggiandola poi con grazia a terra e mettendosi a sedere con le gambe incrociate di fronte a lei «Ti va di giocare?»
«Ace, ma tu sei un pirata o un bambino?!» lo rimbecca prontamente Marco, accigliato.
Pugno di Fuoco non ci bada minimamente, mostrandole una moneta e portando subito dopo le mani dietro la schiena.
La piccola lo guarda incuriosita, rimanendo perplessa quando il ragazzo le mette poco dopo i pugni chiusi davanti agli occhi «Dov'è la moneta?»
Akemi lo guarda perplessa, battendo con decisione su una mano a caso, che si rivela poi vuota.
«Tocca ancora a me!»
Osserva con attenzione il procedimento, registrando ogni informazione, concentrandosi in maniera particolare sugli odori che riesce a percepire: l'odore di Ace, delle persone che la circondando, del mare, del metallo.
Non sa perché lo fa, è come un istinto primordiale che la spinge a compiere questo gesto, che si rivela incredibilmente complesso per lei.
Quando poi le mani le vengono messe di nuovo di fronte, ispira profondamente col naso, tenendo gli occhi chiusi, esaminando le informazioni che il suo olfatto le fa arrivare al cervello, battendo poi con decisione sul pugno sinistro, al cui interno è chiusa la moneta.
«Ma brava! Adesso tocca a te!» Ace le porge la monetina, sorridendole allegro.
La piccola porta subito le mani dietro la schiena, rigirandosi l'oggetto tra le dita e decidendo, dopo un'attenta riflessione, in quale mano nasconderla, mostrando poi i piccoli pugni al ragazzo, che subito trova l'oggetto nella mano che tiene più stretta.
«Tocca a me!» Akemi ritrae subito le mani, portandole dietro la schiena e riportandogli i pugni di fronte agli occhi «Angioletto, toccava a me!» la sgrida senza convinzione Ace, ribattendo di nuovo la mano sul pugno più stretto, trovandolo però vuoto.
Squittisce allegra, Akemi, scattando in piedi e dirigendosi verso il primo pirata che le capita a tiro per riprovare il trucchetto, riuscendo ad ingannarlo, ripetendo il solito processo con altri, sotto lo sguardo sbigottito di Ace.
«Ma l'hai vista?!» urla a Marco, che non li stava neanche degnando di uno sguardo.
«Mh?»
«Ha capito come si gioca! Ha capito che sarei andato a cercare la moneta nella mano più stretta! L'ha capito dopo una sola mossa!»
La risata cavernosa di Edward Newgate li fa voltare di scatto e lo vedono alle prese con una più che entusiasta Akemi, intenta a riproporgli il gioco a cui ovviamente il capitano si presta, facendola evidentemente vincere di proposito.
Marco sbuffa infastidito, non riuscendo ancora a capire il perché di tutto quell'entusiasmo. Ha capito come funziona quello stupido gioco, cosa c'è di fantastico?
«Cip Cip?» abbassa lo sguardo scocciato sulla bambina che stringe i pugni in aria, invitandolo a giocare, e, senza tante cerimonie, le scansa in modo brusco entrambe le braccia, facendocela rimanere male.
«Cip Cip...» la sente pigolare con tono rattristato, decidendo però di non darle peso. Non le darà tutte quelle attenzioni come i cerebrolesi dei suoi fratelli!
«Lascia stare, Akemi...» Satch la solleva da terra, poggiandosela su un fianco e porgendole un biscotto «Prova un po'.»
La piccola studia con attenzione la pietanza, annusandola e tastandola minuziosamente, portandosela dopo un attento esame alla bocca, mordendo con decisione, sorridendo al comandante in segno di approvazione.
«E brava angioletto!» esclama Ace, strappandola dalle braccia del fratello e facendola volteggiare per aria, scatenandone le risate.
«Marco.» la voce dura e profonda del capitano arriva nitida alle orecchie della Fenice, che senza indugi si avvia verso il suo seggio, fino a bloccarsi di fronte alla sua imponenza.
«Non ho intenzione di farmela piacere.» afferma secco, una mano poggiata distrattamente sul fianco e l'espressione seccata.
«Abbi almeno la decenza di trattarla bene.» scuote la testa, Barbabianca, consapevole che con lui ci vorrà più tempo. Non è mai stato un tipo troppo socievole, e sa bene che non ha mai provato una grande attrazione per i bambini.
Annuisce distrattamente Marco, dirigendosi con passo calmo e scanzonato verso la prua, dove si siede scompostamente sul parapetto, osservando l'orizzonte.
«Perché non ti piace?» gli domanda Satch, giunto silenziosamente alle sue spalle.
«Non mi piacciono i bambini in generale.» risponde secco senza neanche pensarci, continuando a fissare la distesa d'acqua che si perde di fronte ai suoi occhi.
Malgrado siano anni che naviga quei mari, non riesce ancora a capacitarsi di quanto ogni volta quella stessa estensione azzurra riesca ad affascinarlo sempre di più.
«Però non ti ha fatto niente di male...»
«Mi chiama Cip Cip!»
«Glielo abbiamo detto noi, andiamo! Pensi che lo faccia con cattiveria?! Quell'esserino è così dolce che potrebbe far venire il diabete!»
Marco sbuffa per l'ennesima volta, passandosi una mano tra i capelli biondi, venendo poi richiamato da qualcuno che gli tira la camicia.
Abbassa lo sguardo su Akemi che lo guarda con occhi dolci, porgendogli timidamente la parte rimanente del suo biscotto.
«Non fare lo scorbutico, su!» lo incita a bassa voce Satch, facendo poi l'occhiolino alla bambina.
La Fenice lancia una fugace occhiata all'amico, truce, per poi tornare a concentrarsi sulla bambina dal viso angelico che continua a fissarlo speranzosa, decidendo infine di afferrare quel piccolo dono bavoso, poggiandolo con noncuranza sulla balaustra su cui è seduto.
«MACCO!» Urla contenta, allungando le braccia sottili per essere presa in braccio anche da lui, l'unico con cui non ha avuto il minimo contatto.
Marco abbassa semplicemente lo sguardo, indifferente, sibilando un appena udibile «Scordatelo.»

Il resto del pomeriggio trascorre tra una risata e l'altro, e l'ora di cena arriva in un batter d'occhio.
I vari comandanti sono seduti al proprio tavolo, parlottando tra loro, mentre Barbabianca se ne sta con Akemi, intenta a lanciare molliche di pane un po' ovunque, come le ha insegnato Ace.
«Mangialo, invece di lanciarlo.» la rimprovera il capitano, senza però usare un tono sufficientemente duro.
Non riesce ad essere duro con lei, malgrado sappia che sia necessario per educare un infante.
«Capitano...» la voce debole e preoccupata di Ran lo fa voltare di scatto, il cuore fa una capriola nel petto.
È stata tutto il giorno ad esaminare i campioni di sangue, e l'idea che abbia trovato qualcosa di anomalo si fa pericolosamente largo nella mente dell'uomo.
Per una frazione di secondo i suoi occhi si posano di nuovo sulla bambina che continua a giocare tranquillamente a quello che pare essere il suo nuovo hobby: provare ad infastidire quel bonaccione di Teach*.
Infatti, durante il pomeriggio, ha provato in tutti i modi a dargli noia, saltando fuori da posti improbabili all'improvviso, mordicchiandolo ai polsi e tirandogli i capelli, ricevendo come unica reazione delle spasmodiche risate.
Adesso, per dispetto, prova a colpirlo con le molliche e per ripicca l'uomo le afferra quasi tutte al volo, facendole di tanto in tanto la linguaccia.
«Cosa avete scoperto?» le domanda con tono duro, togliendole i fogli di mano e osservandoli con attenzione, non capendoci poi molto.
«Gli esami hanno dimostrano una lieve anemia, ma niente di eccessivamente preoccupante. C'è anche una concentrazione leggermente bassa delle vitamine A e B dodici, mentre l'immunoglobulina è più alta del solito. Inoltre pare che abbia un metabolismo molto accelerato, motivo per cui è così magra.» spiega la donna, continuando a fissare la bambina domandandosi incessantemente cosa abbia «Non so davvero spiegarmi il perché di questa crescita repentina, capitano. Oltre a quei valori, non è risultato niente di anomalo. Assolutamente niente.»
«Allora vuol dire che non è niente.» afferma convinto, restituendole il foglio «È stato un caso.»
«Capitano, con tutto il rispetto, queste non sono cose che accadono per caso. Anche se fosse invece non è normale!» controbatte prontamente, vedendolo accigliarsi «Se domani mattina sarà cresciuta ancora? Se dovesse continuare a crescere a questo ritmo? Ieri mostrava meno di due anni, mentre adesso ha l'aspetto di una bambina di circa quattro anni. Se realmente crescesse a questo ritmo? Se realmente aumentasse di due anni a notte, tra un mese mostrerebbe una sessantina d'anni!»
«Ran, falla finita. Tra circa dieci giorni attraccheremo su un'isola e la faremo visitare in un'ospedale meglio attrezzato.» il suo tono è duro e deciso, non ammette repliche di alcun genere.
Continua a fissare la sua bambina che ha raggiunto Vista e che adesso gioca con il suo cilindro ignara di ogni cosa.
Incrocia gli occhi di Ace e di Marco per un breve istante, in cui capisce subito che i due hanno capito che la cosa è grave e che lo sta preoccupando.
«Appena avete finito di cenare portatela a letto.» ordina duro, alzandosi e dirigendosi verso la sua stanza a grandi falcate, non prima però di aver carezzato la testa di Akemi, troppo impegnata nell'azzannare un piatto per prestargli troppe attenzioni.
«E ti pareva che ce la dovevamo sorbire noi...» ringhia Marco non appena l'uomo si è sufficientemente allontanato, guardandola con risentimento «E vedi anche di addormentarti al volo stasera, perché ti soffoco con un cuscino!»
Ignara di essere stata appena minacciata, Akemi scoppia in una fragorosa risata, afferrando un ananas abbandonato sul tavolo e portandoselo sulla testa, scatenando così le risate generali e l'ira della Fenice.

«Su, dormi!» le ordina convinto Ace, tirandola giù per le spalle e mettendole la coperta fin sulla bocca, convintissimo che quel gesto sia sufficiente.
La piccola, in tutta risposta, si rialza a sedere, battendo le manine e sorridendogli allegra, non mostrano nessuno segno di stanchezza.
«No, ho detto dormi!» ritenta, ripetendo il procedimento, alzando le mani in segno di resa quando la piccola si alza in piedi sul letto, saltellando con tutta l'intenzione di rimanere a giocare con loro per tutta la notte.
«Questa non ne vuole proprio sapere eh?» borbotta Vista, lisciandosi i lunghi baffi mentre osserva la piccola dimenarsi sotto la ferrea presa della Fenice, più che intenzionato a metterla a dormire per non doversi più sorbire le sue urla stridule.
«Provate con una favola, ieri sera ha funzionato.» afferma con tono pacato Ran, posando dei vestiti vecchi di alcuni pirati su una sedia per l'indomani, facendo poi un tenero sorriso alla piccola prima di avviarsi verso la porta.
«Perché non ci pensate voi?» le ringhia contro Marco, che ancora tiene inchiodata al materasso la bambina, che per liberarsi ha cominciato a sbavargli sulle mani.
«Perché noi dobbiamo andare a fare dei controlli al capitano. Ora, se voi foste dei bravi medici lascerei a voi il compito e racconterei personalmente la favola alla piccola, ma dal momento che siete un branco di ignoranti in materia, ora vi mettete qui buoni, buoni e le raccontate una favola!» sbotta l'infermiera, infastidita dal tono troppo scontroso del biondo comandante.
«Come si arrabbia facilmente...» borbotta Ace non appena la donna si chiude la porta alle spalle, mettendosi a sedere in fondo al letto con la schiena poggiata contro la parete, facendo tranquillamente accoccolare la bambina sulle sue gambe.
Nella cabina è calato un profondo silenzio, interrotto in tanto in tanto da qualche versetto della piccola, intenta a giocherellare con i lacci del cappelli del ragazzo su cui si è comodamente appollaiata.
«Qualcuno conosce qualche favola?» domanda sospirando Vista, desideroso di andarsene a letto il prima possibile e farsi una sana e rigenerante dormita.
Il gruppo di pirati ci pensa su, arrivando poi alla semplice conclusione che non ne conoscono neanche una.
Tutti, eccetto Satch «Si! Quella della schiava e dei topi!»
I comandanti si voltano verso di lui guardandolo con aria confusa e anche vagamente circospetta, non ricordandosi di aver mai sentito di una storia che parlasse di cose simili.
«E che è?!» domanda Izo con tono scettico, aprendo il piccolo oblò e accendendosi una sigaretta, ignorando le poche lamentele dei suoi fratelli.
«Lasciate fare a me.» afferma convinto Satch, prendendo la sedia e mettendosi di fronte ad Akemi, che a sua volta lo guarda incuriosita.
Prende poi un respiro profondo, preparandosi mentalmente, lasciando la stanza in un silenzio tombale finché non decide di cominciare «C'era una volta una povera ragazza di nome Cenerentola che aveva due sorellastre cesse e che intratteneva una relazione con un topino. Faceva pure la schiava in casa sua e non riceveva neanche un berry in cambio!
Un giorno la megera scoprì la tresca con il topino, e le vietò di andare al ballo, in modo da non rubare quella checca del Principe Azzurro ai due cessi. Cenerentola se ne sbatté altamente e continuò a farsi il topo nel tempo libero.
Però alla lunga si stufò del roditore e pensò bene di chiamare quella vecchia rincoglionita della Fata, che le regalò un brutto vestito, una zucca puzzolente come carrozza e trasformò pure i suoi adorati topi in cavalli, dicendole che a mezzanotte doveva essere a casa, sennò...» di punto in bianco si blocca, assumendo un'espressione improvvisamente confusa «Oddio, gente, non ricordo!»
I vari comandanti, notando che quell'assurdo e alquanto imbarazzante racconto ha suscitato tutto l'interesse della bambina, e notando anche il fatto che si è mezza appisolata sul petto di Ace, decidono di correre in suo aiuto, cercando di terminare la frase che il fratello ha lasciato sospesa.
«Sennò i marines l'avrebbero trucidata e buttata in mare.» afferma convinto Pugno di Fuoco, con voce lugubre e decisamente teatrale.
Satch lo guarda storto per un brevissimo istante, per poi annuire e decidere di continuare con la favola «Ok, può andare. Allora, dov'ero rimasto? Ah si: al suo arrivo alla festa tentò in tutti i modi di attirare l'attenzione del pubblico, riuscendoci solo ubriacandosi di brutto e comportandosi come una sgualdrina, così le guardie si trovarono costretti a buttarla fuori.
Il principe ritrovò una scarpetta di cristallo sullo scalone reale, e poco più in là trovò Cenerentola a fare il bagno nuda nella fontana. Si innamorò così di una volgare gentildonna e decise di sposarla, così, su due piedi. Cenerentola non capiva ovviamente niente perché il sakè si era impadronito del suo cervello già di per sé tarato.
Scattò però la mezzanotte e lei si ritrovò nuda nel mezzo della sala da ballo, che brulicava di marines. Così, dopo averla vista, le saltarono tutti addosso e la uccisero.» conclude convinto, facendo sorridere felice la bambina che non ha capito neanche la metà del racconto.
«Satch, ma che cazzo di insegnamento dovrebbe avere questa storia?!» gli urla contro Marco, già pronto accanto alla porta per andarsene.
«Ovvio: non fidarsi dei marines!» risponde quello con ovvietà, allargando le braccia e sorridendo giocosamente.
I vari comandanti alzano gli occhi al cielo, senza però negare quanto detto dal compagno. Si avviano poi verso la porta dopo aver lanciato un'ultima occhiata verso la piccola che, inspiegabilmente, è crollata addormentata da un momento all'altro.
L'ultimo ad uscire è Ace, intenerito nel vederla così calma e serena, e prima di chiudersi la porta alle spalle si ritrova a mormorare tra sé e sé «Sogno d'oro, Angioletto.»



*Bonaccione, si, perché nei ricordi di Ace si era mostrato un buon compagno, anche se poi ha rivelato di essere feccia, una MERDA al maiuscolo, un rifiuto umano, un ********************* !!! (La smetto ora perché sennò potrei essere bandita dal sito)


Angolo dell'autrice:
Avevo detto che forse non avrei aggiornato prima di Capodanno, ma visto il “successo” del primo capitolo non sono riuscita a trattenermi e ho scritto alla velocità della luce!(Kizaru mi fai una pippa!)
Onestamente adesso ho il terrore di deludere le vostre aspettative e di ricevere delle scarpate in faccia >.<
Mettiamo subito in chiaro una cosa: si, il rapporto tra Marco e Akemi si evolverà in qualcosa di più dell'odio fratello-sorella, ma ci vorrà parecchio tempo. Come avete notato in questo capitolo, inoltre, Akemi ha una crescita sorprendente (in futuro spiegherò perché e cos'è, ma dovrete pazientare), quindi non temete: Marco non s'infatuerà di una bambina di dodici anni, ma di una donna vera e propria. (PS: Marco in questa storia ha 26 anni, e chissenefrega se nella storia è con BB da anni e anni!)
Anche rileggendo il regolamento non ho trovato niente riguardante questa mia folle idea, spero solo di non andare oltre e di fare un pastrocchio >n<
Vabè, nel caso me lo farete presente, ok? :)
Comunque adesso devo davvero ringraziare di cuore Vivi y, Chiaki Tanimura, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, ankoku, Lucyvanplet93, iaele santin e Mistery_Lawliet per le magnifiche recensioni che mi hanno lasciato! Davvero, grazie, grazie, grazie, grazie, GRAZIE! Ogni volta che vedevo che c'era una recensione in più sembrava che camminassi tra le nuvole da quanto ero felice! ^w^
Ringrazio inoltre tutti quelli che l'hanno letta, messa tra preferite/seguite/ricordate. Siete davvero troppo gentili :3

Per concludere spero di avervi strappato almeno un sorriso con questo capitolo un po' demenziale (è voluta la cosa, non temere, tra non molto riavremo i nostri pirati!).
A presto, un bacione e di nuovo auguri!

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Capitolo 3
*** 3. Una crisi scampata e un nuovo sogno ***


Piccolo avvertimento: purtroppo non sono ancora un medico (perché si, diventerò un medico veterinario da qui ad almeno 6/7 anni xD) quindi, purtroppo, non posso scrivere con esattezza come funzionino alcuni procedimenti, né se le motivazioni che ho messo sono valide per le procedure che ho scritto. Insomma, è possibile che abbia fatto delle cazzate colossali malgrado mi sia informata! Chiedo da subito scusa e spero che, in ogni caso, un po' vi possa piacere.
 

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«Vi dico che non le ho fatto niente!» ripete per l'ennesima volta Marco, sbracciando come impazzito e cercando di ignorare gli sguardi feroci che i fratelli gli rivolgono.
«Sta sanguinando, Marco!» gli urla contro Satch, tenendo stretta tra le braccia Akemi, in lacrime «Se tu non l'avessi spinta, adesso non starebbe piangendo!»
«Ma che cazzo hai in testa?!» grida Ace, carezzando la testa della bambina, senza però riuscire a vedere dove si sia fatta male.
Marco lancia un grido frustrato, più che certo di non essere stato lui a farle male.
Infatti circa quindici minuti prima si era svegliato a causa della risatina acuta della bambina, che senza farsi notare si era intrufolata nella sua stanza e stava inginocchiata accanto a lui mentre dormiva. Non l'ha fatto con cattiveria di spingerla di sotto dal letto, non voleva farle male, però non se l'aspettava proprio di vedersela a cinque centimetri dalla faccia. Il suo è stato solo un riflesso involontario!
«Andiamo piccola, calmati e facci vedere dove ti sei fatta male...» le mormora all'orecchio Satch, dandole delle lievi pacche sulla schiena scossa dai singhiozzi.
Marco continua a guardare con aria quasi sconvolta il capitano, che adesso gli tiene una mano appoggiata sulla spalla e lo guarda comprensivo. Almeno lui crede al racconto del ragazzo, consapevole che per quanto possa averla in antipatia non si sognerebbe mai di farle del male.
«Ma che diavolo...?» mormora Satch con voce tremante, attirando tutti gli sguardi su di sé «Forse Marco dice la verità...»
«Certo che dico la verità!»
«Che vuoi dire?» gli parla sopra Ace, sporgendosi oltre la testolina della bambina e notando un dettaglio inquietante, forse anche più della sua crescita repentina: i suoi occhi, sempre brillanti e chiari, sono velati da un lieve strato rossastro, la scia umida delle lacrime sulle sue guance è di un intenso rosso sangue.
Akemi si tiene le mani vicino alle labbra che continua a torturarsi con i denti, spaventata dalle loro espressioni.
Newgate le si avvicina svelto, prendendole il mento tra le mani e trasalendo di fronte a quell'insolito spettacolo.
«Babbo...» pigola con un filo di voce, tendendogli le braccia e nascondendo il visetto nel suo petto non appena viene presa in braccio, singhiozzando ed evitando accuratamente lo sguardo della Fenice.
Quando si era svegliata, una mezz'ora prima, si annoiava troppo per poter restare nella sua stanza ad aspettare l'arrivo delle infermiere, così aveva ben pensato di andare a giocare con uno dei comandanti, trovando la stanza del primo comandante -più vicina delle altre alla sua- ed entrandovi in punta di piedi. Lo ha osservato per un po' mentre dormiva beato, non riuscendo a trattenere delle risate mentre questi russava leggermente, facendolo però svegliare.
Quando poi si è ritrovata con il sedere per terra dopo la poderosa spinta da parte sua, non è proprio riuscita a trattenere le lacrime. Aveva intuito già il giorno precedente un certo astio da parte sua, ma non poteva certo immaginare che l'avrebbe trattata così male, ferendola profondamente.
«Andiamo a pulirci, mh?» le mormora dolcemente il capitano, scrollandola lievemente per farle alzare lo sguardo.
Cammina con passo tranquillo per i corridoi, scortandola fin nella sua stanza e mettendola a sedere sul proprio letto.
La osserva di sottecchi mentre prende una bacinella con dell'acqua e uno straccio, notando i cambiamenti che anche quella notte ha subito: l'altezza è aumentata, così come lo spessore delle ossa; i capelli sono lunghi fino alle scapole, i lineamenti un poco più decisi, la pelle più chiara. La cosa che però attira di più il suo sguardo sono le unghie lunghe e nere, a punta, come degli artigli.
«Come mai sei andata da Marco?» le domanda calmo, mettendosi in ginocchio di fronte a lei e pulendole con delicatezza il volto imbrattato di sangue.
In realtà non gli importa molto della sua spiegazione, è solo curioso di sapere se il suo sviluppo mentale segue quello fisico.
«Volevo giocare...» pigola mortificata, tirando su col naso e beandosi delle cure premurose del suo papà.
Perché per lei Barbabianca è suo padre e lo è sempre stato. Nella sua mente non ci sono altri ricordi dal momento in cui ha aperto gli occhi tra le braccia di Ran.
Barbabianca, intanto, dischiude un poco le labbra per la sorpresa, sconcertato. È vero che aveva ben pensato che oltre che a sviluppare velocemente a livello fisico lo facesse anche cerebralmente, ma sentirla parlare come se lo facesse da tempo, vederla capire con così tanta facilità, un po' lo sgomenta.
«Mi sai dire quante sono queste?» le domanda all'improvviso, mettendole davanti agli occhi tre dita ben separate l'una dall'altra.
Akemi scuote la testa in senso di diniego, facendolo sospirare.
'Impara tutto quello che vede e sente, riuscendo ad elaborarlo, ma non avendo visto nessuno contare non riesce a farlo.' deduce l'uomo, alzandosi in piedi e porgendole una mano «Andiamo a fare colazione piccina.»
«Posso mangiare dopo?» Barbabianca si volta verso di lei, guardandola senza capire il perché di quella richiesta «Io... non voglio stare con lui.» pigola abbassando la testa, strascicando leggermente la esse mentre parla.
«Sei su una nave, Akemi, non puoi evitare di vederlo.» afferma con tono vagamente rattristato il capitano, aprendo la porta e facendole cenno di seguirlo «Inoltre siete fratelli, è bene che proviate ad andare d'accordo.»
«Non gli piaccio.»
Barbabianca aggrotta le sopracciglia nel sentirle dire quelle parole con tanta sicurezza, e subito si blocca, mettendole una grossa mano sull'esile spalla e cercando i suoi occhi «Akemi, Marco è un uomo un po' scontroso il più delle volte, ma ha un cuore d'oro, sul serio. Sono certo che non appena si abituerà comincerà a trattarti bene.»
La bambina lo guarda senza capire del tutto le sue parole, inarcando un sopracciglio e facendo infine spallucce, ricominciando a camminare al fianco dell'imponente uomo. 'Abituerà? Io sono sempre stata qui...'
«E comunque daresti un grande dispiacere ai tuoi fratelli se tu non venissi a mangiare, non credi?»
Akemi alza lo sguardo sull'uomo, sorridendogli felice all'idea di poter di nuovo abbracciare i suoi adorati fratelloni.
«Ti!» grida felice, cominciando a trotterellare allegra verso la sala mensa, da dove provengono le chiacchiere dell'intero equipaggio, intento ad ingozzarsi come se non ci fosse un domani come al solito.
Non appena mette piede nella grande sala, però, viene prontamente afferrata dal capitano per un braccio «Oggi signorina niente giochi, chiaro? Devi imparare a fare delle cose importanti.»
«Cosa babbo?» domanda rattristata la piccola, abbassando il capo e lasciando che i brillanti capelli corvini le ricadano ai lati del viso, illuminandosi però quando sente Ace chiamarla a gran voce.
«Te lo spiegherò più tardi, piccina. Adesso vai dai tuoi fratelli, forza.»
Akemi non se lo fa ripetere due volte e subito schizza in direzione del tavolo dei comandanti, non senza inciampare goffamente nei suoi stessi piedi durante il tragitto, venendo rialzata da Teach.
«Attenta Angioletto.»
Akemi gli sorride sbrigativa, riprendendo con furia la propria corsa e attaccandosi di slancio al collo di Fossa, che l'afferra saldamente per la vita e la mette a sedere tra sé e Halta, con cui la piccola subito comincia a giocare a quello che ormai è diventato una specie di sport per lei: lancia il cibo a chiunque ti è vicino.
Halta ride spensierata, quasi non badando ai nuovi cambiamenti fisici della bambina, passandole dei chicchi d'uva ed indicandole con una certa malvagità le vittime da colpire.
Quando però le indica Marco, intento a mangiare e ad ignorarle, la bambina posa il chicco, abbassando la testa e scuotendola un poco, afferrando poi con vergogna un pezzetto di pane e cominciando a mangiucchiarlo.
«Sei riuscito a terrorizzarla!» ridacchia Fossa, sbattendo una grande mano sul tavolo, attirando così lo sguardo della Fenice.
Lo guarda per un breve istante, Marco, per poi concentrarsi sulla bambina e notando con una punta di dispiacere che sta facendo tutto ciò che può per evitare il suo sguardo, arrivando addirittura a nascondersi dietro la considerevole mole del pirata al suo fianco.
È vero che non le piace, che avrebbe voluto che non fosse mai stata avvistata, ma l'idea di averla spaventata tanto e anche di essere l'unico su quella nave che evita lo rattrista un po'.
«Chiederle scusa?» mormora Satch, sorridendogli con l'aria di chi la sa lunga.
«Per cosa? Per essere entrata nella mia stanza mentre dormivo?» risponde prontamente la Fenice con tono acido, tornando a concentrarsi sul cibo che ha di fronte. Non vuole chiederle scusa, tanto è convinto di non avere colpe.
Le lancia un'ultima fugace occhiata, notando però che non è più al suo posto. Non prova neanche a cercarla nel resto della sala, consapevole che gli occhi dei fratelli sono puntati anche su di lui. Non darà mai loro la soddisfazione di fargli vedere che un poco si preoccupa per lei.
«Vacci piano, Akemi. Se continui a mangiare così va a finire che scoppi!» la riprende ad un certo punto Vista, allungandosi verso di lei e pulendole dolcemente la marmellata che le cola giù per il mento, in un gesto così affettuoso e paterno che lo sconcerta.
Akemi non ci bada più di molto, continuando a strafogarsi con qualsiasi cosa le passi sotto tiro, sotto lo sguardo attento dei suoi fratelli, già psicologicamente pronti a vederla esplodere come un palloncino, nella peggiore delle ipotesi. Nella migliore dovranno tenerle i capelli mentre rigurgita tutto quello che sta tirando giù.
«Vuoi vedere il mare, Akemi?» le propone Ace, sorridente, ricevendo una specie di squittio in risposta.
L'afferra saldamente sotto le braccia e se la carica in spalla, felice come forse non lo era mai stato.
Una felicità che in realtà è collettiva, dal momento che tutti i pirati presenti sulla nave si sentono, oltre che dei fratelli maggiori, anche dei padri nei confronti della piccola strillatrice che saltella sulla spalla di Pugno di Fuoco.
Una volta giunti sul ponte, Ace poggia la piccola su di un barile, tenendola stretta a sé con un braccio intorno alla vita, mostrandole così la bellezza folgorante del mare che risplende sotto i raggi del sole.
In un primo momento guarda quell'enorme distesa d'acqua con meraviglia crescente, Akemi, ma dopo non molto gli occhi cominciano a pizzicarle fastidiosamente, e si trova così costretta a rigirarsi tra le braccia del pirata, nascondendo il visetto nell'incavo del suo collo.
Il ragazzo non fa in tempo a chiederle cosa abbia però, perché il capitano la richiama a sé, già seduto sulla sua enorme poltrona da cui sorveglia tutto il ponte principale.
Akemi gli corre incontro, arrampicandosi goffamente sulle sue gambe, venendo tra l'altro ripresa al volo non appena stava per cadere, e Barbabianca non riesce a trattenere le risate di fronte a tutta quella sua voglia di vivere e di libertà.
«Sei pronta, Angelo?» le domanda sorridendole mansueto, passandole una mano sulla testa, scompigliandole così i capelli improvvisamente secchi.
«Per cosa?»
L'uomo le mette in mano dei fogli, un libro e una penna, ricevendo in risposta uno sguardo confuso «Oggi imparerai a scrivere e leggere, signorina. Non voglio che tu diventi una capra come alcuni dei tuoi fratelli!»

La sua velocità di apprendimento sta sorprendendo tutti quanti, in particolar modo il capitano.
Non gli ci è voluto niente ad insegnarle a scrivere e leggere correttamente, a farle capire il significato delle parole più complicate, a farle imparare qualche riga a memoria.
«Secondo me non è normale...» mormora Izo all'orecchio di Satch, che in tutta risposta scoppia in una fragorosa risata.
«Il fatto che cresca letteralmente a vista d'occhio invece è normale?!»
Ace scoppia a ridere contagiato dall'amico, mentre gli altri comandanti lanciano delle fugaci occhiate incuriosite alla bambina, appollaiata su dei cuscini ai piedi del capitano.
«Sono d'accordo con Izo.» le risate muoiono in pochi secondi dopo l'affermazione della Fenice, e in poco tutti gli occhi sono puntati su di lui «Sembra quasi che lo sapesse già fare e che avesse bisogno solo di una specie di rispolverata.»
«Ora t'interessa?» gli domanda ghignando divertito Satch, guardandolo con aria furba, facendolo sbuffare.
«Parlare di lei è l'unico modo per fare conversazione con voi altri idioti.» risponde piccato, voltandosi dall'altra parte e facendo finta di niente.
Akemi nel frattempo continua a leggere il libro che le ha dato Barbabianca, cercando di concentrarsi per imparare, riuscendoci malamente.
Infatti la testa le fa male e le gira, gli occhi le bruciano come se ci avessero tirato del sale, e le energie la stanno abbandonando velocemente. Pure i suoi sensi si stanno affievolendo, tanto che gli odori non le arrivano più nitidi alle narici e i rumori le sembrano quasi ovattati.
«Babbo...» mormora concentrandosi per riuscire a respirare correttamente, con però degli scarsi risultati.
Volta un poco la testa incontrando così gli occhi preoccupati del capitano, a cui sorride per rassicurarlo, senza però riuscirci.
«Ti senti male?» domanda repentino, abbassandosi alla sua altezza e posandole delicatamente una mano sulla schiena, notando le occhiaie scure intorno agli occhi che prima non aveva.
«Ho... ho male alla testa... e mi bruciano gli occhi...» mormora mortificata, alzandosi in piedi, traballante. Tutto in un colpo sente un forte giramento di testa, ma si impone di non vacillare per non preoccupare ulteriormente il genitore.
Lancia poi una fugace occhiata ai vari uomini presenti sul ponte, notando che tutti la stanno fissano preoccupati.
«Posso andare a dormire?» domanda pacata, cercando di non mostrare il dolore che le fitte alla testa le provocano.
«Certo piccola, ma prima passa da Ran, mi raccomando. Non farmi stare in pensiero.» acconsente l'uomo, dandole un buffetto sulla guancia e facendo un cenno con la testa a Satch affinché l'accompagni.
«Va bene, papi.» Akemi s'incammina sotto coperta al fianco di Satch, ma il dolore che prova le impedisce di concepire un qualsiasi pensiero per far conversazione. L'unico sollievo è l'oscurità che avvolge i lunghi corridoi della nave, che fa tirare un sospiro di sollievo ai suoi occhi brucianti.
«Ran?» tuona il comandante, aprendo poi la porta dell'infermeria e ricevendo uno sguardo scocciato dall'infermiera «Akemi non si sente bene, il babbo ha ordinato che la controlli.»
«Certo.» si alza in piedi di scatto, allungando un braccio verso la bimba e sorridendole dolcemente «Vieni piccina.»
Akemi fa qualche passo in avanti, ma una nuova, insopportabile fitta le fa ribaltare gli occhi e perdere i sensi, facendola crollare con la faccia a terra, immobile.
«CHIAMA LE INFERMIERE!» urla nel panico Ran, afferrando la bambina e sdraiandola subito su un lettino, ascoltando il battito eccessivamente debole del suo cuore con lo stetoscopio; le controlla poi le mucose, notando che sono troppo chiare; la temperatura corporea è calata drasticamente; il respiro è lento e appena percettibile.
«Ran!» le infermiere si precipitano nella stanza, notando la piccola stesa sul lettino, come morta.
«Dobbiamo farle una trasfusione, immediatamente!» afferma dura la donna, dirigendosi subito verso la piccola cella dove custodiscono le scorte di sangue in caso di necessità, e subito prende quelle che si era preparata per lei durante la notte.
Perché Ran era consapevole che sarebbero servite, presto o tardi. Il suo istinto non l'ha mai tradita, e dopo i risultati notevolmente differenti rispetto ai primi, ha capito che la sua anemia sarebbe peggiorata in breve.
Vari pirati sono arrivati come delle furie dentro la stanza, pronti a dar man forte in qualunque modo, venendo però cacciati in malo modo dalle donne che adesso cercano di rianimare la piccola in seguito ad un blocco respiratorio.
«FUORI DI QUI!» gridano in preda al panico, non capendo come possano esserle successe così tante cose in così poco tempo.
In fondo quando è arrivata due giorni prima i valori erano perfettamente nella norma, il giorno prima leggermente sballati, adesso invece è in punto di morte per arresto respiratorio e una quasi completa mancanza di sangue.
«Forza piccina, stringi i denti!» le urla Ran, connettendo il deflussore all’ago cannula, già fissato con un cerotto al braccio della bambina, la cui pelle è fredda come la neve.
Apre il deflussore e regola la velocità di infusione, lasciando scorrere il sangue nelle vene della bambina, tenendole dolcemente una mano e tirando un sospiro di sollievo quando, dopo qualche minuto, vede che riesce a respirare regolarmente da sola.
«Cosa diavolo le è successo?» ansima una delle infermiere, passandosi una mano sul viso stravolto.
«Non ne ho idea...» mormora Ran, facendole un cenno di uscire per informare la ciurma che sicuramente in quei 15 lunghi minuti si sarà mangiata le mani per l'ansia. Lei invece vuole restare con Akemi per tutta la durata della trasfusione, attendendo e pregando che tutto vada per il verso giusto.
Tachi, una delle infermiere più fidate del capitano, esce con sguardo ancora sbigottito, tenendo le dita intrecciate tra loro, la testa china e il respiro che piano si regolarizza. Durante la notte ha parlato a lungo con le sue compagne sullo strano caso della bambina, e non sono riuscite a cavare un ragno dal buco. Hanno consultato libri, fatto ricerche, ma mai sono state riscontrate cose simili.
«TACHI!» urla Ace, andandole in contro a grandi falcate, attirando l'attenzione del resto dei pirati.
«È stabile, starà bene.» si appresta a dire l'infermiera, mettendo le mani avanti e cercando lo sguardo dell'enorme capitano, che a sua volta tira un lieve sospiro di sollievo.
«Voglio vederla.» afferma con tono duro, di quelli che non ammettono repliche.
«Dorme in questo momento...»
«Non m'importa.»
Barbabianca supera tutti quanti, dirigendosi con passo fermo verso l'infermeria, dove trova la sua bambina stesa nel letto, dormiente.
Le si avvicina senza far rumore, guardandola con le lacrime agli occhi, incolpandosi per non essersi reso conto del suo stato di salute.
Passa con leggerezza la grande mano sulla sua testolina, ritraendola di scatto quando la piccola apre lentamente gli occhi.
«Ciao papi...» mormora con un filo di voce, sorridendogli appena. Sorriso che però si spegne immediatamente a causa di una fitta alla testa «Cosa è successo?»
«Non preoccuparti, è passato.» risponde sbrigativo, voltando la testa sorridente quando i suoi figli, ormai troppo impazienti di vedere la loro sorellina, entrano come degli uragani.
«Spero che tu sia contenta, Angelo, ci hai dimezzato la vita con questo tuo scherzetto!» scherza sollevato Satch, prendendo una sedia e mettendosi accanto al letto, baciando dolcemente una mano della bambina.
I vari comandanti si mettono comodi vicino alla piccola, cercando di farla ridere con battute di ogni genere, finché la voce forte e severa di Barbabianca li riporta tutti con i piedi per terra «Mi dispiace dirtelo, signorina, ma devi continuare il lavoro che hai lasciato a metà.»
Akemi sbuffa, roteando gli occhi, per poi lanciargli un'occhiata supplichevole «Ma sto male!»
«Allora ti aiuterà uno di loro.»
Le espressioni dei comandanti cambiano in una frazione di secondo: da allegri e divertiti, a seri e sgomenti.
Il silenzio regna sovrano, interrotto solamente dal rumore del deflussore ancora in funzione, finché la voce pacata di Marco non rompe quell'assordante quiete «Ci penso io.»
Akemi spalanca gli occhi, fissando incredula il primo comandante, che a sua volta la guarda con un sorriso rassicurante ad increspargli gli angoli della bocca.
«Allora è deciso.» tuona il gigante, facendo un cenno col capo affinché tutti escano, cercando di nascondere la felicità che in quel momento lo pervade. Non solo la sua piccola è salva, ma Marco si è offerto volontario di farle da insegnante! Meglio di così, che può volere ora come ora?
In pochi istanti, nella grande sala rimangono solamente la Fenice e Akemi, ognuno con lo sguardo basso, assorto dai propri pensieri.
«Allora...» mormora Marco, passandosi una mano dietro al collo ed alzando finalmente la testa, incrociando così i suoi occhi «...cosa ti stava insegnando il babbo?»
«Mi ha insegnato a scrivere e leggere... voleva che leggessi dei libri sulla navigazione, ma non ci capivo molto.»
«Però.» Marco afferra la sedia su cui era precedentemente seduto Satch, mettendosi seduto e aspettando pazientemente che gli portino i libri della piccola «Ti fa lavorare sodo eh?»
Akemi abbassa lo sguardo, intimidita, facendo scendere un nuovo pesante silenzio, interrotto da un appena udibile «Mi dispiace...»
«Per cosa?» le domanda Marco, inarcando un sopracciglio e guardandola con aria confusa.
«Non dovevo darti fastidio...»
Un lieve sorriso increspa le labbra di Marco «Mi hai solo colto di sorpresa.» afferma, accavallando le gambe e guardandola con una certa allegria «Piuttosto devo chiederti scusa per averti spinta. Non volevo farti male.»
Akemi alza di scatto gli occhi, inchiodandoli nei suoi, e un lieve sorriso le illumina il volto pallido e stanco «Pace?»
«Pace.»
Rimangono di nuovo in silenzio senza guardarsi, pensando ognuno ai fatti suoi, quando all'improvviso entra Satch nella stanza con in mano i libri della bambina «Oh, meno male! Ero convinto che ti avrei trovata in lacrime.» scherza sorridendo ad Akemi, che a sua volta gli fa la linguaccia «Ma che modi! Dovremo insegnarti delle buone maniere, signorina, altro che metodi di navigazione!»
Il primo comandante sghignazza appena, mentre Akemi s'imbroncia e scansa i libri con un gesto brusco, borbottando parole che i due non riescono a sentire nitidamente.
«Si, si, brontola quanto vuoi, ma poi a te ci penso io!» sbraita Satch, senza abbandonare il sorriso neanche per un istante, dileguandosi poi dalla stanza.
«Allora, cos'è che non capivi?» le domanda Marco non appena riesce a ritrovare la serietà, afferrando uno dei libri e cominciando a sfogliarlo svogliatamente, accigliandosi «E ci credo che non li capisci! Questa è tutta roba che va imparata sul campo, non con i libri! Ti assicuro, usare una bussola e un solcometro non è complicato come vogliono farti credere qui.»
«Me lo insegni?» gli occhi della piccola, che stanno riacquistando ad ogni minuto che passa la loro brillantezza e vitalità, s'illuminano a quel pensiero, e Marco non può far altro che annuire di fronte a tutto quell'entusiasmo.
«Solo se prometti d'impegnarti sul serio.» Akemi annuisce con vigore, sorridendogli, e la Fenice scuote un poco la testa, consapevole di essersi invischiato in una situazione da cui si era ripromesso di restare fuori.
«Senti, vado a prenderti altri libri, questi non sono adatti. Urla se ti serve qualcosa.»
Detto questo la Fenice esce dalla stanza, lasciandola sola con i suoi pensieri.
Si guarda intorno, Akemi, soffermando lo sguardo sul marchingegno che continua ad iniettarle del sangue nelle vene. Lo guarda e non prova né paura né angoscia, ma bensì un vago senso di attrazione, mentre dentro di sé sente chiaramente la forza crescere, i muscoli diventare più tonici. I suoi sensi lentamente si svegliano, facendole udire i passi del primo comandante che si dirige verso la stanza, l'odore del sangue contenuto nel sacchetto di plastica, del legno delle pareti, delle coperte sterilizzate appoggiate sul suo corpo.
«Che hai?» volta di scatto la testa verso Marco, appena entrato, notando il suo sguardo circospetto «Avevi una faccia strana.»
'Come te.' pensa velenosa, decidendo bene di non pronunciare quelle parole ad alta voce. In fondo hanno appena fatto pace, non sarebbe conveniente.
«Se vuoi navigare su queste acque, devi sapere a cosa vai in contro, quindi leggi questi. Se non capisci qualcosa, dimmelo.» le poggia i libri sul letto, mettendosi poi seduto sulla sedia e poggiando i piedi sul materasso, le mani intrecciate dietro la testa e socchiudendo gli occhi, più che deciso a riposarsi un po' in santa pace.

Le ore sono passate in un batter d'occhio, e Marco non si è neanche reso conto di essersi addormentato profondamente, così come Akemi. Se n'è reso conto quando qualcuno ha cominciato a scuoterlo e aprendo gli occhi si è trovato la faccia di Ace a pochi centimetri dalla sua con un'espressione di rimprovero.
«Meno male dovevi aiutarla, eh!» sibila tornando a guardare la bambina che dorme beata, con la bocca lievemente schiusa.
«Non rompere...» si passa le mani sul volto, Marco, sbadigliando sonoramente e tirandosi a fatica in piedi. Guarda per un istante l'amico con sguardo truce, infastidito per essere stato svegliato, poi abbassa gli occhi sulla bambina, sorridendo appena. In effetti, così zitta e ferma potrebbe anche piacergli. 'Il problema è che poi si sveglia...'
Nel momento esatto in cui decide di andarsene, però, nota una cosa bizzarra.
Allunga una mano vicino al collo della bambina, ritraendola lentamente, tenendo stretto tra le dita uno dei suoi denti.
«Ace...?» gli mostra l'oggetto incriminato, catturandone completamente l'attenzione «Chiama gli altri e le infermiere.»
Pugno di Fuoco si appresta ad uscire per eseguire il comando, mentre Marco allunga entrambe le mani verso il viso di Akemi, alzandole un labbro per notare diversi buchi nella sua dentatura.
Velocemente nella stanza fanno il loro ingresso alcuni comandati, le infermiere e, più allarmato di tutti, Barbabianca, che si avvicinano al letto per vedere la nuova stranezza della loro piccola.
Una lieve risata si leva in aria quando questa, con uno scatto sorprendentemente veloce e preciso, addenta con forza la mano della Fenice, stringendola in una morsa sin troppo forte, da cui riesce a liberarsi solo facendo diventare la sua mano quasi incandescente.
Si osserva con stupore la parte lesa, sotto lo sguardo strabiliato di tutti i presenti, estraendo con mano decisa i denti ben piantati nella sua carne, facendo poi rimarginare in un batter d'occhio le piccole ferite.
«Prendete un apribocca e un archetto elastico, dobbiamo aprirle la bocca.» le infermiere obbediscono prontamente all'ordine di Ran, ma nessuna di loro osa metterle le mani nella bocca, lasciando così il brutto compito alla donna, che per ben due volte riesce ad evitare per un pelo che la bambina incosciente le addenti le mani.
Alla fine, dopo un'ardua lotta, riesce nell'impresa, notando i vari spazi vuoti tra un dente e l'altro e, dopo aver sfiorato i denti ancora presenti, nota pure che questi traballano notevolmente, ormai sul punto di staccarsi. Li afferra delicatamente con la punta delle dita, facendo una lievissima pressione per toglierli, lasciandola in poco completamente sdentata.
«E ora come dovrebbe mangiare?» domanda infastidito Barbabianca, fulminando con lo sguardo la donna.
«Già! Cos'è, dobbiamo masticare noi per lei e poi facciamo come gli uccellini e glielo sputiamo in bocca?!» tutti si voltano sconcertati verso il comandante della seconda flotta, guardandolo come se avesse detto la più grande di tutte le bestemmie, venendo però ignorati dal diretto interessato, ancora in attesa di una risposta.
«Guardate più attentamente...» sospira alzando gli occhi al cielo, indicando con un dito le gengive della bambina «Le stanno spuntando gli altri, suppongono quelli definitivi. Ci sta che domani mattina avrà una bella dentatura completa, o quasi.»
I vari pirati non si scompongono più di tanto, ormai praticamente abituati ai cambiamenti repentini della bambina. In fondo hanno capito che in lei non c'è una sola cosa normale, quindi tanto vale mantenere la calma e allarmarsi solamente in caso di malore.
«Ho fame...» la vocina squillante e stanca di Akemi fa tirare loro un sospiro di sollievo, e subito l'aiutano a liberarsi dai vari tubi a cui è ancora collegata e la fanno alzare, ignorando deliberatamente le urla di disapprovazione di Ran.
Satch se ne frega più di tutti, afferrandola saldamente e stringendola a sé con fare protettivo, dandole un lieve bacio tra i capelli «Che ne dici di abbuffarci di dolci e andare a dormire?»
Akemi gli sorride felice, stringendogli le braccia al collo con la forza da poco ritrovata «Mi racconti anche una favola?»
«Le favole le ho finite, ma non temere: m'inventerò qualcosa!» risponde convinto, facendo un cenno ai compagni di seguirlo fin dentro la cucina, dove velocemente arraffano tutto quello che la piccola indica.
Pure Marco li aiuta, decidendo però di fare di testa sua e prendendo solo delle verdure, usando come scusa il fatto che poche ore prima ha rischiato di lasciarci la pelle, venendo però ignorato dai compagni.
«Ran ha detto che sta bene!» gli urla contro Ace, tenendo in equilibrio diversi tipi di cioccolata e caramelle «E poi come le mastica? Queste almeno le si sciolgono in bocca!»
Marco sbuffa sonoramente, posando la roba alla rinfusa ed incrociando le braccia al petto, offeso. In fondo voleva solo aiutare, e invece tutti gli danno contro.
Guarda i suoi fratelli mentre si affaccendano per trovare cose buone e che possa mangiare senza difficoltà, litigando come dei bambini tra loro, quando qualcosa gli tira i pantaloni.
Abbassa lo sguardo su Akemi, che lo guarda con occhioni supplichevoli e braccia tese verso l'alto, gesto che lo fa sbuffare di nuovo.
'Perché a me?' pensa scocciato, lanciando un'occhiata verso i fratelli che lo guardano truce, decidendo infine di accontentarla e prendendola in braccio, sorprendendosi nel vederla illuminarsi per una cosa così piccola.
«Non ti ci abituare, mocciosa.» la tiene distrattamente su un fianco, senza guardarla, sentendola ridere forte, come se tutti gli eventi di quella giornata non fossero mai accaduti.
Akemi dal canto suo gli allaccia le braccia al collo e poggia la testa sulla sua spalla, rilassandosi e aspettando che Satch abbia finito di fare le scorte per la notte.
Passa distrattamente la lingua sulle gengive, sentendosi a disagio.
Malgrado non lo dia a vedere, questa cosa la preoccupa, consapevole che non sia del tutto normale. È riuscita a capirlo semplicemente guardando gli uomini che la circondano, sentendo in loro una forte sensazione di sorpresa e di sconcerto. Inoltre ha osservato le mani di tutti loro, notando che nessuno ha delle unghie particolari come le sue. Neanche uno.
«Andiamo a letto, Angioletto?» allunga le braccia verso Satch per farsi prendere in braccio, rimanendo stranamente in silenzio.
Raggiungono in breve la cabina del comandante, e subito la piccola comincia a mangiare con furia, cercando inutilmente di masticare qualche boccone.
Satch la guarda divertito, mangiucchiando distrattamente un pezzo di cioccolata, rimuginando attentamente su cosa racconterà da li a poco per farla dormire, ritrovandosi però a corto di idee.
Poi, però, arriva l'illuminazione «Che ne dici se ti racconto alcune delle nostre avventure?»
Gli occhi di Akemi si illuminano di emozione e subito comincia ad annuire, e lascia che l'uomo le rimbocchi le coperte mentre si sdraia al suo fianco.
Quando poi comincia a raccontare, la sua mente comincia ad immaginarsi quello che le viene narrato, e in poco comincia ad immaginare le sue future avventure, di quando un giorno anche lei navigherà quei mari come pirata e combatterà contro i nemici, contro i marines, fino ad arrivare ad essere una temutissima piratessa conosciuta in tutti i mari.
«Come mai sorridi?» le domanda incuriosito l'uomo, dopo almeno un'ora di racconto, spegnendo la luce e sdraiandosi placidamente al suo fianco.
«Perché anche io diventerò forte come vuoi!» afferma convinta, sbattendo i piedini nel letto, facendolo ridere di gusto «Vedrai, Satch: diventerò la più grande piratessa che c'è!»
«Ohhh, ci scommetto!» le passa affettuosamente una mano sulla testa, osservando il volto leggermente più maturo della bambina che gioca con il suo pizzetto, sfiorandolo con la punta delle dita.
Nella sua testa adesso c'è un solo, doloroso, interrogativo: cosa le è successo?
In cuor suo spera che la nave su cui viaggiava sia stata attaccata e che l'abbiano messa in quella cesta incatramata con la speranza che si potesse così salvare, perché se scoprisse che l'hanno abbandonata di loro spontanea iniziativa lì cercherà anche in capo al mondo, e staccherà loro quel minuscolo cuore ancora pulsante per poi darlo in pasto ai pesci.
Perché non è concepibile, secondo lui, che una persona metta al mondo un bambino per poi abbandonarlo a sé stesso gettandolo in mezzo al mare, condannandolo ad una morte piuttosto lenta e dolorosa.
E adesso la guarda, protetta nel suo letto, mentre parlotta di qualcosa che ormai ha smesso di ascoltare, e sente un forte calore invadergli il corpo, tanto da non riuscire a smettere di sorridere, e una voglia incredibile di abbracciarla lo invade. Gesto che compie da lì a pochi secondi, stringendola con forza al petto, la paura di perderla da un momento all'altro è anestetizzato dal calore che quell'abbraccio gli infonde fino al cuore.
Le carezza delicatamente la testa, guardandola dritto negli occhi e sentendosi fiero di sé stesso per essere la causa del suo sorriso.
«Mettiamoci a dormire adesso, scricciolo.» le bacia dolcemente la testa, alzando le coperte fino a coprirle le spalle, girandosi poi a pancia all'aria e sospirando sollevato, sorpreso dal fatto che Akemi sia così stranamente remissiva, ma decide de non badarvi. Stupidamente.
«Satch?» pigola, mettendosi a sedere di scatto e guardando il volto dell'uomo appena illuminato dalla luce lunare.
«Non avevamo detto che si dormiva?» brontola in risposta, aprendo giusto un occhio per guardarla, senza però riuscire a trattenere un lieve sorriso.
«Una cosa sola, lo giuro!» si affretta a difendersi, poggiandogli le mani sulle spalle e scuotendolo per essere accontentata subito.
«E va bene...» si arrende immediatamente, Satch, puntando un gomito sul materasso e alzandosi per guardarla meglio «Dimmi tutto.»
«Io...» la sua sicurezza vacilla per un istante, ma subito si riprende «Io sono diversa?»
«In che senso?» Satch realmente non capisce cosa voglia dire con quella domanda, e di conseguenza la piccola ottiene la sua completa attenzione.
«Io... non lo so. Gli altri mi guardano in maniera strana... è perché sono diversa?»
«Ma no, che dici? Tu sei perfetta, piccina.» prova a rincuorarla, mentendo, pensando subito alla strigliata che darà ai suoi uomini l'indomani per averla turbata.
«Menti.» afferma sicura, guardandolo storto «Lo sento.» aggiunge subito quando il comandante sta per ribattere, ammutolendolo.
«Per favore, fratellone... dimmi la verità: cos'ho che non va?» si ritrova quasi a supplicarlo, torturandosi le mani con gli artigli scuri e passando involontariamente la lingua sulle gengive lievemente doloranti.
Satch si mette a sedere di scatto e afferra con decisione le mani nella piccola, che spariscono nelle sue «Akemi, tu non hai assolutamente niente che non va, chiaro?»
Akemi abbassa lo sguardo, triste e abbattuta, cosa che fa stringere il cuore del pirata in una fredda e dolorosa morsa.
Si allunga quindi verso di lei, prendendole il mento tra le dita e costringendola a guardarlo «Chiudi gli occhi.» le ordina con tono dolce, ricevendo in risposta uno sguardo circospetto «Ti ho detto di chiuderli.»
Seppur titubante Akemi esegue quanto detto, e subito il comandante continua «Libera la mente adesso. Cancella tutto quello che ti circonda.» fa una pausa, prendendole delicatamente una mano e portandogliela sul petto magro «Cosa senti?»
«Il mio cuore.» afferma con tono incerto, tenendo sempre gli occhi chiusi.
Satch sorride appena, spostando quella piccola mano sul proprio petto «E adesso?»
«Il tuo cuore...» Akemi apre gli occhi, puntandoli in quelli scuri e dolci del pirata, che le sorride dolcemente.
«Visto? Siamo identici.» Akemi si butta di slancio tra le sue braccia, abbracciandolo con forza e ringraziandolo silenziosamente.
«Ti voglio bene fratellone...» mormora, nascondendo il viso nel suo petto muscoloso e lasciandosi cullare tra le sue braccia, addormentandosi cullata dal battito calmo del suo cuore.



Angolo dell'autrice:
Ammetto di aver scritto una marea di STRONZATE, roba che se lo leggessero i miei professori prima che riesca a laurearmi (sono al primo anno, di tempo ce n'è ancora TROPPO), non troverò mai lavoro in un ambulatorio e non avrò neanche la licenza per aprirne uno mio! :/
Vabè, tralasciando questo dettaglino -non proprio trascurabile in realtà-, finalmente abbiamo potuto assistere ad un Marco vagamente più umano e ad un Satch che, onestamente, ho adorato scrivere. È o non è dolcissimo? *w* (SPOSAMI!)

Adesso devo davvero ringraziare di cuore Vivi y, Portuguese D Ice, Okami D Anima, ankoku, iaele santin, Lucyvanplet93, Monkey_D_Alyce, _Takkun_ e Mistery_Lawliet per le magnifiche recensioni che mi hanno lasciato! Davvero, grazie, grazie, grazie, grazie, GRAZIE! <3
Ringrazio inoltre tutti quelli che l'hanno letta, messa tra preferite/seguite/ricordate. Siete davvero troppo gentili :3
Ah, inoltre mi scuso per averci messo più tempo ad aggiornare, ma questa connessione DIMMERDA non ne voleva proprio sapere... -.-”

Stavolta non ho altro da dire :/ quindi... a presto! :) un bacione a tutti quanti :3

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Capitolo 4
*** 4. La prima cotta e un po' di tiro al bersaglio! ***


Piccolo avvertimento: in questo capitolo arriverà una personcina un sacco carina :3 una personcina che ruberà momentaneamente il cuoricino della nostra protagonista :P (PS: so bene che la scusa che ho usato è banale e anche impossibile ma... andiamo, è One Piece! Può succedere di tutto u.u)
Tra non molto arriverà anche un'altra persona a noi conosciuta, e di certo questa non porterà risvolti positivi/divertenti come questa.
Via, vi sto anticipando troppo! Spero che questo capitolo vi possa piacere :) Buona lettura!
PS: è passata una settimana dai precedenti avvenimenti.

 

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Davanti ad Akemi la porta dell’infermeria è stata appena chiusa a tripla mandata, lasciandola in trappola.
'Ma perché?!' sbatte con forza i pugni sul legno della porta, ringhiando sommessamente. Capisce però che nessuno gira per quei corridoi, troppo occupati a stare sul ponte per qualche ragione a lei sconosciuta.
Ran l'ha praticamente segregata dentro l'infermeria sotto l'ordine del tredicesimo comandante, liquidando le sue lamentele con un fermissimo “Resta qui in silenzio”, prima di mollarcela senza ripensamenti.
Si guarda nervosamente attorno, studiando l’arredamento in cerca di qualcosa per riuscire ad aprire quella maledetta porta: fili, aggeggi a lucine inquietanti, flaconi di medicine, disinfettanti e garze, ma niente che la possa aiutare ad uscire da quella prigione.
«Fatemi uscire!» ringhia furiosa, alzando all’improvviso la testa, piantando i lunghi artigli nel legno, lasciandoci dei profondi solchi, senza però ottenere un minimo di attenzione.
Lascia vagare lo sguardo sulla sua figura riflessa in un grande specchio in fondo alla stanza, scrutandosi minuziosamente, notando quanto i capelli sono diventati lunghi, tanto da sfiorarle il fondo schiena, quanto le sue unghie sono lunghe e nere, i denti affilati, di cui sia nell'arcata superiore che in quella inferiore svettano quattro denti più lunghi e appuntiti.
Osserva poi l'esile corpo fasciato da un vestito improvvisato: una maglia violacea, spenta, che le cade larga e le lascia le braccia sottili completamente scoperte e un paio di pantaloncini chiari troppo larghi per le esili gambe.
Si guarda e prova un forte senso di angoscia. Si, angoscia, perché ricorda bene di essersi guardata in quello stesso specchio tre giorni prima e di non essere stata così. Si ricorda che era più bassa, che i suoi capelli erano più corti, e ricorda perfettamente che non aveva i denti così lunghi.
Si volta di scatto, furiosa, dirigendosi verso il letto ed afferrando con decisione il lenzuolo candido, da cui strappa con rabbia un lembo di stoffa, e torna di fronte allo specchio, mettendosi di spalle e provando a farsi una coda alta, notando solo in quel momento qualcosa che era sfuggito sia ai suoi occhi che a quelli dei fratelli e delle infermiere.
La bocca si spalanca di poco, non credendo a quello che sta osservando sulla sua stessa pelle: proprio sotto l'attaccatura dei capelli corvini svetta una specie di lettera, somigliante ad una M con le punte allungate, come se fosse stata incisa nella sua carne.
Lo guarda con paura, ma decide di tenere la bocca chiusa, sciogliendosi velocemente i capelli ora arruffati e tornando a sbattere con i pugni contro la porta, furiosa e spaventata, notando che, colpo dopo colpo, la porta sta cominciando un poco a cedere.

Nel frattempo sul ponte della Moby, tutti i pirati sono in fermento per quello che sta accadendo.
Shanks il Rosso, uno dei quattro imperatori e rivale di lunga data di Barbabianca, si sta velocemente avvicinando con la sua nave dopo aver chiesto il permesso di avere un colloquio con Pugno di Fuoco.
Il capitano, dopo un'attenta riflessione, ha dato il suo consenso affinché il Rosso salisse a bordo della sua nave, in cambio, ovviamente, di un po' di buon sakè.
Le due navi si affiancano veloci, viene lanciata subito un'asse affinché il capitano dai capelli rossi possa passare, e in poco i meno preparati alla sua presenza -o, come li definisce Marco, i novellini- si trovano riversi di faccia con la schiuma alla bocca, crollati di fronte all'impressionante forza dell'imperatore, che cammina spensierato, con in viso un'espressione che avrebbe assunto qualsiasi persona che sta facendo visita ad un caro amico.
I superstiti intanto lo guardando in cagnesco, desiderosi solamente di saltargli addosso e di togliergli quel dannato sorrisetto dalla faccia, Marco in particolar modo. Per un breve, misero istante, si domanda come la piccola rinchiusa in infermeria reagirebbe di fronte alla forza dell'imperatore.
Accanto a lui Ace sorride divertito, impaziente però di poter andare a liberare Akemi per poter ricominciare ad insegnarle ad impugnare una pistola, montarla e smontarla, e magari anche a sparare ad un bersaglio mobile.
In quel momento tutti quanti sulla nave si domandano il perché del suo arrivo, tralasciando il fatto che volesse parlare proprio con Ace, preoccupati che il realtà voglia attaccare il capitano.
Lo guardano attenti, mentre i due imperatori si osservano intensamente, pronti ad intervenire alla prima mossa falsa del Rosso.
Ma la situazione pare alleggerirsi appena quando Barbabianca sfoggia uno dei suoi larghi sorrisi, di quelli beffardi «Sembri stanco, moccioso
«Diciamo che ho fatto le cose di fretta per raggiungervi.» Ridacchia, allargando ancor di più le proprie labbra in un sorriso che aiuta il dissolversi di quell'aria pesante. Molti sospirano sollevati, rilassando i muscoli e lasciando spazio ad una sana curiosità.
Shanks si rilassa notevolmente, arrivando addirittura a slacciare dalla cinta la sciabola, poggiandosela di fianco, sottintendendo così le sue intenzioni amichevoli.
Sul ponte si leva qualche mormorio riguardante la chiara follia del pirata dai brillanti capelli rossi, cosa a cui quest'ultimo non bada minimamente. In fondo, ne è consapevole.
«Sempre il solito arrogante.» tuona Barbabianca guardandolo dritto negli occhi gioviali «Non solo ti presenti senza preavviso, ma hai anche la sfrontatezza di non portare nulla!»
«Non ho avuto molto tempo per i rifornimenti.» la leggerezza con la quale Shanks ha risposto per poco fa crollare a terra Ace dalle risate, che si tiene la pancia con una mano e con l’altra cerca invano di nasconde il viso.
Ammira quel rosso. Non solo ha salvato la vita a suo fratello, rimettendoci un braccio per riuscirci, ma l'ha pure invitato a festeggiare insieme quando era riuscito a scovarlo per ringraziarlo. In quel momento, se possibile, sente di ammirarlo ancora di più per come riesce a tenere testa all'imponente capitano, cosa non da tutti.
«Allora, Rosso, di cosa volevi parlarmi?» con un colpo di reni scende dal parapetto, facendosi strada con passo calmo verso il centro del ponte, guadagnandosi così le occhiate ben più che stranite dei suoi fratelli, che si domandano da dove venga tutta quella confidenza.
«Sono venuto qui per... festeggiare!» esclama quello, contento, sventolando sotto agli occhi del più giovane un avviso di taglia fresco, fresco.
Ace lo afferra con mano ferma, un enorme sorriso si allarga sempre di più sulla sua faccia, illuminandolo «È SALITA ANCORA!!!»*
Il pezzo di carta comincia ad essere sbandierato a destra e a sinistra, le urla piene di gioia di Ace stordiscono i presenti, finché il capitano non lo riporta all'ordine, imponendogli di mostrargli cosa lo esalti tanto, vedendo poi su quel misero manifesto la fotografia di un ragazzetto sorridente.
«Capisco.» gli ripassa il foglio, sorridendo appena nel vederlo così euforico a quella notizia, obbligandosi però a mantenere un certo contegno. Non vuole sbilanciarsi di fronte a Shanks.
«Dai babbo! Dobbiamo festeggiare!!!»

Nello stesso momento in cui Ace urla tutta la sua gioia a squarciagola, Akemi graffia come un gatto la porta che ancora la tiene rinchiusa, lasciando dei profondi solchi nel legno ormai semi distrutto.
Oltre ai graffi, inoltre, sono ben evidenti i segni dei pugni che ci ha tirato fino a pochi minuti prima. Pugni dati con una potenza assai insolita per una bambina.
Vuole uscire, vuole farlo ad ogni costo, ma l'impresa si sta rivelando più ardua del previsto.
'Brutti bastardi...' ringhia sempre più forte, snudando i denti insolitamente lunghi, bianchi come la neve e affilati come lame, facendo qualche passo indietro.
In un raptus di pura rabbia afferra una sedia e la scaglia con estrema violenza contro la porta, riuscendo così a farci dei buchi sufficientemente grandi da farci passare le braccia. Purtroppo anche la sedia ha subito il colpo, ed è ormai inutilizzabile.
Si scaglia di nuovo contro l'ostacolo, come indemoniata, picchiandolo con forza fino a riuscire ad allargare quei buchi, tanto da crearne uno tanto grosso che le permette di uscire in tutta tranquillità.
Un grande sorriso le piega i lati della bocca, e senza esitazioni esce dall'infermeria, più che intenzionata ad andare sul ponte a fare un po' di bizze e poi mettersi a colorare vicino al babbo.
'Gli farò pentire amaramente di avermi chiusa lì dentro!' pensa inviperita, quando di colpo un rumore di passi pesanti le arriva nitido alle orecchie.
Un odore forte, sporco, le impregna le narici, tanto da farle storcere il naso ed emettere un verso di disgusto. Solo una persona su quella nave ha un odore tanto insopportabile per lei: Marshall D. Teach.
Si accovaccia a terra, in un angolo, gli occhi attenti che scrutano l'oscurità del lungo corridoio, il rumore dei passi che si fa sempre più vicino.
La sua mente acuta comincia subito ad escogitare un modo per riuscire a raggirarlo, e la soluzione le balena in testa come un lampo: salta, con quanta forza può mettere nelle esili gambe, attaccandosi con gli artigli delle mani e dei piedi lasciati nudi al soffitto legnoso, raggruppando i capelli sul petto in modo che non si vedano.
Rimane immobile, raggomitolata in quell'alto angolo buio, in completo silenzio, mentre la presenza dell'uomo è ormai a pochi metri da lei.
Ma poi passa.
Passa tranquillo sotto di lei, dirigendosi verso l'infermeria, bloccandosi non appena la trova completamente vuota.
Sente la sua rabbia farsi sempre più nera, cosa che la innervosisce oltre ogni immaginazione. Ed è proprio per colpa di questa rabbia che sente l'irrefrenabile voglia di attaccarlo, di saltargli addosso di soppiatto ed inchiodarlo a terra, di affondare gli artigli nel suo grasso e di lasciarci gli stessi solchi che ha precedentemente lasciato nella porta.
Ma non lo fa, trattenendo pure il ringhio frustrato che le stava lentamente risalendo per la gola. 'Babbo si arrabbierebbe.'
Lo guarda andare via, furioso, e lentamente quella rabbia svanisce, lasciando la sua mente e i suoi sensi liberi di analizzare la situazione.
Sente degli odori nuovi, sente quelli ormai conosciuti del sakè, del vino e della carne, sente delle forti risate e delle urla gioiose.
La curiosità di capire cosa sta succedendo la invade dalla testa ai piedi, e senza pensarci si lascia cadere a terra, atterrando senza rendersene conto sulla punta dei piedi, silenziosa come un fantasma.
Si muove cauta, con passo felpato, come un predatore che si avvicina furtivo alla preda, stando ben vicina alle pareti, pronta a riattaccarsi nuovamente al soffitto in caso di necessità, finché una tenue luce le illumina il visetto pallido.
L'aria fresca le carezza la pelle, scompigliandole i capelli; gli occhi s'illuminano di sorpresa nel vedere i suoi fratelli intenti a festeggiare chissà che cosa, mentre un senso di fastidio le attorciglia le budella. 'Non mi hanno invitata... perché?'
«Capitano, è scappata!» la voce irritante di Teach le arriva nitida alle orecchie, riaccendendo in lei quel senso di rabbia, adesso però lieve e sopportabile.
Non sa neanche lei quand'è stato il momento preciso in cui l'ha preso in antipatia. Forse quando le ha dato della mocciosa e le ha tolto di mano una crostata; forse quando le ha dato di nuovo della mocciosa e l'ha spinta per sbaglio; forse quando le ha semplicemente dato della mocciosa dal niente.
'Questa mocciosa presto o tardi ti staccherà un braccio, ciccione...' ringhia piano, accucciandosi al suolo e osservando con estrema attenzione quanto la circonda, notando pure che il babbo non ha preso molto bene la notizia.
'Dopo mi scuserò...' sguscia velocemente dietro a dei barili, rimanendo poi immobile nell'osservare Ace, Satch e Izo scherzare tranquillamente con dei pirati a lei sconosciuti.
Li osserva incuriosita, stampandosi nella mente la loro immagine e cercando di associarla a qualche avviso di taglia che i suoi fratelli le hanno mostrato. Purtroppo però, non riesce minimamente nell'impresa, trovandosi così costretta a tendere bene le orecchie per poter sentire i loro nomi.
Quello che la piccola non sa, è che quelli sono i pirati di Shanks, saliti sul ponte della Moby Dick sotto l'esplicito consenso del capitano stesso alla domanda postagli dal Rosso. In fondo, qualche festeggiamento di tanto in tanto non guasta di certo.
Dopo qualche minuto passato ad osservare, però, nota da una parte Marco, più scocciato del solito, che guarda con un certo astio una persona in particolare.
'Se non sono io a farlo innervosire così, chi altro può mai essere?' pensa con un ghigno divertito ad incresparle le labbra sottili, cercando di individuare quello che da quel momento in poi considererà il suo alleato numero uno per far impazzire la scontrosa Fenice, pietrificandosi non appena lo vede.
Si tratta di un uomo alto e prestante, dai brillanti capelli scarlatti e con una lieve barba scura, con indosso una camicia bianca sbottonata fino allo stomaco, dei pantaloni scuri, una fascia rossa in vita e dei sandali, e sulle spalle porta un lungo mantello nero. Sul volto è dipinto un grande sorriso, allegro e contagioso, e Akemi inspiegabilmente non riesce a smettere di fissarlo.
«Ehi, Teach! È qui!» qualcuno l'afferra saldamente per la maglia, sollevandola così dal suo sicuro nascondiglio e mettendola in bella mostra agli intrusi.
Rimane immobile, lo sguardo imprigionato dalla figura affascinante del pirata dai capelli rossi, tanto da ignorare pure i richiami del capitano.
«E questa bambinetta?» urla Lucky, addentando il pezzo di carne che tiene ben stretto in mano, attirando così la piena attenzione di tutti quanti, pure quella di Shanks.
Nell'esatto istante in cui gli occhi del rosso capitano incrociano quelli glaciali della piccola, questa si rigira fulminea, graffiando senza riguardo alcuno l'uomo che ancora la teneva sollevata, rimpiattandosi prontamente dietro ai barili, scatenando le risate generali.
«Ehi, Angioletto!» alza di scatto la testa, Akemi, incrociando così gli occhi allegri del quarto comandante, che le allunga una mano per farla uscire dal nascondiglio «Vieni a festeggiare con noi?»
Akemi annuisce poco convinta, afferra con mano tremante quella del fratello ed esce, tenendosi sempre dietro di lui, stando ben attenta a non incrociare gli occhi di nessuno.
Si sente strana in quel momento: il cuore le batte forte, la testa è leggera e sente come qualcosa muoversi dentro la pancia.
Resta ben nascosta dietro a Satch anche quando questi prova a farla andare avanti tra le braccia di Ace, più che convinto a presentarla al rosso capitano. Si aggrappa ai suoi pantaloni, nascondendo il viso e cercando di regolare il respiro.
«Angelo, ma che ti prende?» le domanda preoccupato Ace, allungando un braccio verso di lei e afferrandola saldamente per un polso, tirandola verso di sé, riuscendo miracolosamente a staccarla dal compagno che per poco ci rimette i pantaloni.
Ace la stringe a sé, cercando i suoi occhi, trovandoli puntati in quelli dell'imperatore «Ehi...»
«Ciao...» pigola, imbarazzata a morte, ricevendo in risposta un ampio sorriso che l'abbaglia, facendole battere il cuore ancora più veloce. Se non ci fossero le mani di Ace a sorreggerla, sicuramente cadrebbe a terra come una pera.
«Ciao a te, piccoletta!» la saluta di rimando, spostando poi lo sguardo sul capitano, chiedendo silenziosamente una spiegazione, ricevendo in risposta uno sguardo duro di ammonimento.
Per quanto sia curioso di sapere cosa ci faccia una bambina così piccola su una nave pirata si trattiene dal fare domande, capendo che non è il momento.
«Come ti chiami?» la voce della bimba attira di nuovo la sua attenzione, e senza accorgersene si ritrova a sorriderle nuovamente, trattenendo a stento una sonora risata nel vederla così imbarazzata.
«Lui è Shanks, Angioletto... è uno dei quattro imperatori, come il babbo.» le dice Ace, senza però riuscire a farle staccare gli occhi di dosso dal pirata, cosa che in realtà lo infastidisce parecchio «È venuto qui per portarmi questa, guarda...» le mette sotto agli occhi l'avviso di taglia di Rufy, su cui gli occhi della bambina guizzano per un misero istante, per poi tornare a fissare il pirata.
«Ti chiami Angela?» le domanda ridacchiando, trattenendosi con tutto sé stesso, mentre la bambina nega con la testa «Angel?»
«A- Akemi...» la sua voce è un sussurro, il cuore le batte così forte che potrebbe sfondarle la cassa toracica da un momento all'altro, il respiro è spezzato dall'emozione che prova nel vedere il sorriso dell'uomo.
«Akemi!» la voce tuonante di Barbabianca la fa voltare di scatto, indietreggiando velocemente come se si trovasse vicino al fuoco, e non appena l'uomo le fa cenno di avvicinarsi, esegue senza esitazioni, nascondendosi nei morbidi ed enormi cuscini che le ha messo ai piedi del suo seggio, immergendovisi dentro.
L'uomo la guarda con aria dura, per poi sciogliersi come neve al sole di fronte al suo sorriso birichino, passandole anche una mano sulla testa.
Storce poi le labbra nel vederla sbirciare con troppo interesse i movimenti del Rosso, nascondendo repentinamente il viso tra i cuscini non appena i loro sguardi s'incontrano.
«Che ti prende?» le domanda burbero, geloso della sua bambina.
Geloso, si. Nessuno, soprattutto un moccioso arrogante come Shanks, può avere l'onore di avere le sue attenzioni in quel senso. Sa bene che dovrà farci i conti a breve, dal momento che non è più una lattante come quando l'hanno trovata dieci giorni prima ma bensì una ragazzetta con l'aspetto di una dodicenne, ma finché ne avrà la possibilità le metterà i bastoni tra le ruote. Primo tra tutti con Shanks!
«Io?» si finge sorpresa, Akemi, come ogni volta che viene beccata a fare qualcosa di sconveniente, come la volta in cui si era intrufolata nella cabina di Ace e gli aveva messo una mano in una bacinella di acqua tiepida mentre dormiva, su consiglio di Izo, più che intenzionato a vendicarsi per la questione di “zietta”.
«Si, tu.» i due si guardano a lungo negli occhi, ignorati dai presenti assai presi a bere e mangiare come se non ci fosse un domani, e alla fine Akemi cede, rigirandosi a pancia all'aria e cominciando a giocherellare con la punta dei capelli, con occhi sognanti.
«Non trovi che sia molto bello?»
Barbabianca vorrebbe morire in quel momento. Sul serio, vorrebbe che il suo cuore scoppiasse come un petardo, lasciandolo lì stecchito.
La sua bambina, la sua piccola Akemi, il suo Angioletto, si è presa una cotta per Shanks il Rosso, suo rivale.
«Poi, se è un imperatore, deve essere tanto forte e coraggioso...» continua a rigirare il coltello nella piaga, Akemi, ignorando deliberatamente lo sguardo congelato del capitano, rigirandosi i capelli tra le dita sottili e fantasticando su una possibile storia d'amore tra di loro.
In fondo, anche se è cresciuta in mezzo a dei pirati, è pur sempre una ragazza di circa dodici anni, alle prese con i problemi legati a quell'età.
Nessuno di loro in realtà ci aveva pensato, ma i segnali c'erano stati tutti quanti: i capelli sempre ben pettinati, i vestiti arrangiati alla meglio sempre ben tenuti, la cura per la sua stanza, gli avvisi di taglia appesi alle pareti. Ecco, questo dettaglio avrebbe dovuto accendere in loro un sonoro campanello d'allarme: non ci sono tutti gli avvisi, ma solo quelli dei pirati che si possono considerare più “piacevoli” alla vista.
«No, è troppo vecchio.» le ringhia contro Barbabianca, adirato, attirando involontariamente l'attenzione di Satch.
«Chi è troppo vecchio?» domanda incuriosito, buttandosi a sedere sui cuscini della piccola e cominciando a grattarle distrattamente un fianco, facendole emettere delle specie di fusa. Questo dettaglio lo hanno scoperto qualche giorno prima, quando Izo si era messo a carezzarle la schiena per farla dormire e la piccola aveva cominciato a fare questo verso di apprezzamento, facendoli ridere tutti quanti.
«Nessuno!» scatta in piedi come una molla, Akemi, zittendo così il capitano che stava per rispondere a quella puntigliosa domanda, scappando sotto coperta e chiudendosi a più mandate nella propria stanza.
«Ma che le è preso?» il comandante guarda con aria spersa Barbabianca, aspettando una spiegazione a quello strano cambiamento d'umore.
Non che non ci siano abituati, sia chiaro, ma ogni volta riesce a sorprenderlo. Basta una parola, una qualsiasi detta in un qualsiasi contesto, e nella testa della bambina scatta qualcosa che le fa cambiare umore e, nella maggior parte dei casi, infuriare.
«Si è presa una sbandata per quel moccioso...» ringhia a denti stretti, incenerendo con lo sguardo il capitano dai capelli rossi che ride e scherza con Pugno di Fuoco, desiderando ardentemente di saltargli addosso e farlo in mille pezzettini.
Shanks, sentendosi osservato, si volta verso l'imponente uomo, per poi alzarsi e dirigersi verso di lui cautamente «Posso sapere per quale motivo c'è una bambina sulla tua nave?»
Si guardano in cagnesco per qualche istante, dove nel frattempo Satch si è allontanato, e dopo una manciata di secondi l'uomo decide di vuotare il sacco «L'abbiamo trovata dieci giorni fa in una cesta incatramata lasciata alla deriva.»
«In una cesta? Non è un po' grandicella per non farla affondare?» domanda stupido Shanks, inarcando un sopracciglio e mettendosi seduto al suo fianco, senza mai staccare gli occhi dai suoi.
«La cosa strana è proprio questa: dieci giorni fa non era così.»
«Cosa intendi?»
«Intendo che era una bambinetta di forse un anno.»
Shanks spalanca un poco la bocca, sconcertato «Un frutto del Diavolo?»
«No, sta in acqua tranquillamente. Le piace stare in immersione, in realtà.» risponde a voce bassa il bianco imperatore, guardando i suoi figli che fanno baldoria «Cresce ad una rapidità sorprendente e non sappiamo perché. Domani mattina sbarcheremo su un'isola, la faremo visitare in un ospedale.»
«Spero che non sia niente di grave.» si trova a mormorare Shanks, abbassando il capo e fissando le assi di legno rovinate dal tempo.
I due rimangono in silenzio, finché il Rosso viene richiamato dal suo vice, che gli intima di ripartire. Due ciurme come le loro insieme attirerebbero troppo l'attenzione, meglio non tirare la corda.
«Ti auguro molta fortuna per domani, allora.» si alza in piedi e s'incammina verso l'asse che collega le due navi, salutando con un cenno della mano i vari pirati che cominciano a sgombrare il ponte della Moby. Sorride lievemente ad Ace, gioendo silenziosamente insieme a lui per il successo di Cappello di Paglia.
Non appena mette piede sull'asse, però, sente qualcuno tirargli con forza il mantello, facendolo fermare.
Nel voltarsi si trova così di fronte un'imbarazzatissima Akemi, che lo guarda con gli occhi sgranati e le manine giunte al petto.
«Arrivederci, Angioletto!» la saluta sorridendole, passandole pure una mano tra i capelli corvini, abbassandosi dopo poco quando la bambinetta glielo chiede silenziosamente con un gesto appena accennato della mano.
Quello che succede dopo lascia tutti quanti sconcertati: con una forza che nessuno si aspettava, Akemi ha afferrato Shanks per il bavero della camicia e gli ha mollato un sonoro bacio sulla guancia, scappando poi a gambe levate, squittendo felice.
«Beh, io...» alza gli occhi su Barbabianca, Shanks, vedendolo furioso oltre ogni limite «Io me ne vado!»

Scappa velocemente per i corridoi della Moby Dick, con il cuore che batte all'impazzata e il sapore della pelle del pirata ancora sulle labbra.
'È così bello!' si lancia dentro la sua cabina, buttandosi a peso morto sul letto e giocherellando con i capelli, gli occhi socchiusi e sognanti, mentre la mente viaggia libera verso mille e più fantasie sul bel capitano dai capelli vermigli, ignorando il caos che adesso anima la nave.
Dopo una decina di minuti trascorsi a fantasticare, qualcuno comincia a bussare incessantemente alla porta, in un modo a lei ormai familiare.
«Vieni pure, Ace.» si tira a sedere su letto, sorridendo allegra al suo fratellone, guardandolo con sguardo innocente.
«Cosa diavolo significava quello?!» sbotta, sbracciando come impazzito.
«Quello cosa?»
«QUELLO!» sbraccia verso la porta, facendo delle smorfie schifate e nervose, suscitando le risate della ragazzina «Non c'è assolutamente niente da ridere, Akemi! Quello che hai fatto è sbagliato, e non deve accadere più, intesi?»
Akemi lo guarda sconcertata, gli occhi sgranati e le labbra dischiuse. Non era mai stata sgridata prima, e nessuno le aveva mai negato niente, primo tra tutti Ace, sempre solare e giocherellone nei suoi confronti.
«Come puoi dirmi questo?!» gli urla contro con voce stridula, scattando in piedi e stringendo i pugni lungo i fianchi «Dici sempre che vuoi vedermi felice, e poi mi sgridi così perché ho dato un bacio sulla guancia ad un ragazzo?!»
Ace si sbatte la mano sul viso, sconsolato «Akemi, quello non è un ragazzo, è un uomo di quasi quarant'anni!»
I due rimangono in silenzio per diversi minuti, guardandosi male, riflettendo.
Ace la guarda attentamente, decidendo alla fine di cambiare tattica, provando a buttarla più sullo scherzoso.
«Dai, adesso non fare la scontrosa!» le da un buffetto sulla guancia, vedendola però furente «È troppo grande per te, Akemi... e non fare finta di non saperlo, eh! Sei troppo intelligente.» si butta a sedere sul suo letto, guardandola con aria divertita, sperando vivamente di fare subito pace.
È la sua sorellina, in fondo, e l'ultima cosa che vuole è bisticciare con lei per un suo stupido attacco di gelosia fraterna!
«E tu sei un adulatore!» controbatte prontamente, facendogli la linguaccia e dandogli le spalle, incrociando le braccia al petto con aria offesa.
«Senti li che paroloni...» l'afferra delicatamente per la vita, avvicinandosela e stringendola a sé, poggiando il mento sulla sua spalla «Ascolta, domani mattina attraccheremo a Nefeli**, un'isola molto carina... che ne dici se ti porto a comprare qualcosa di bello, mh?»
«Dov'è il tranello, Ace?» domanda sospettosa, voltando la testa per guardarlo con un sopracciglio inarcato.
«Nessun tranello. Voglio solo vederti felice.» sorprendendo anche sé stesso, ha cambiato quasi completamente idea sulla questione di Shanks. In fondo la vede crescere a vista d'occhio ogni singolo giorno, la sua vita sarà breve, e non vuole che sia piena di rimpianti. Se mai un giorno avrà la possibilità di avere un qualche tipo di incontro con l'imperatore, volterà la testa dall'altra parte e farà finta di niente.
«Mh... non me la racconti giusta.» mormora storcendo la bocca, arrivando poi ad un ovvia e non del tutto errata conclusione «Non sarà mica per il fatto che Shanks è di una ciurma rivale e che probabilmente non lo rivedrò mai più, se non in uno scontro all'ultimo sangue?»
«Beh, si.» mente facendole un sorriso tirato, abbassando per un istante gli occhi. Quando li rialza però, si trova di fronte ad uno sguardo particolarmente determinato e strafottente.
«Allora, mio caro fratellone, mi spiace molto doverti deludere: io lo rivedrò, un giorno non molto lontano... e quel giorno lo bacerò sul serio!»
Ace scoppia in una fragorosa risata, di quelle liberatorie che ti vengono dal cuore, stringendola con più forza a sé e baciandole dolcemente la fronte.
Scioglie poi l'abbraccio, alzandosi in piedi e scompigliandole i capelli con una mano, facendola sorridere allegra «Questo magari non dirlo al babbo, potrebbe venirgli un colpo!»
Anche Akemi scoppia a ridere dopo quell'affermazione, immaginandosi l'espressione assai contrariata e sconcertata del genitore.
«Allora, piccola ruba baci, che ne dici di andare ad allenarci a sparare?» propone già sulla porta, con aria di sfida. Ormai si è autoproclamato il suo allenatore personale e ha tutta l'intenzione di farla diventare una combattente con i contro fiocchi.
«A cosa? Sono stufa di usare i barattoli... in uno scontro i nemici non stanno mica fermi ad aspettare che io prenda la mira!» brontola indispettita, sbattendo un piede a terra e guardandolo con determinazione.
Perché lei vuole di più, ogni volta che apprende qualcosa vuole sapere come farla al meglio, vuole sempre più informazioni, vuole sempre più abilità. La sua è una sete insaziabile di conoscenza, tanto profonda da farla diventare spesso impaziente e nervosa.
«Sei impossibile, sai?» sbotta divertito, abbandonando le braccia lungo i fianchi e pensando ad una soluzione. In un primo momento pensa di lanciare in aria piatti e bicchieri, ma ha deve scartare l'idea per ovvie ragioni.
Ma poi, di colpo, l'illuminazione «Ci sono! Ti faremo sparare a Marco!»

Il sole sta velocemente tramontando, dipingendo con colori dolci e caldi il cielo, facendo risplendere quell'enorme distesa d'acqua su cui navigano. L'aria è tiepida, piacevole, e piena di risate.
La Fenice si muove velocemente in cielo, più che deciso ad evitare quanti più proiettili possibili, furioso per essere stato obbligato addirittura dal capitano a sottoporsi a quell'allenamento.
«Tutto questo mi sembra un'enorme STRONZATA!» urla, incazzato come una bestia, schivando l'ennesimo colpo.
«Non fare il guastafeste e continua a volare, Cip Cip!» gli urla un più che divertito Ace, sottolineando bene il nomignolo e tenendosi la pancia dal ridere, così come tutti i compagni.
Hanno anche deciso di fare un gioco tra di loro, nel frattempo: ad ogni colpo andato a segno, devono bere un boccale di birra intero.
Per loro fortuna -o sfortuna?- diversi colpi sono andati a segno, e quindi molti di loro si trovano piacevolmente ubriachi a guardare quello spettacolo assai singolare. Di certo questa è la conclusione perfetta di una giornata assai piacevole e singolare!
«Presto o tardi me la pagherete... tutti e due!» ringhia a denti stretti, incenerendo con lo sguardo il piccolo mostriciattolo che gli ha appena piantato un proiettile nel ginocchio.
Nella sua mente passa in rassegna tutti i metodi di tortura che conosce, ed è certo che presto o tardi li metterà in atto uno per uno.
«Anche noi ti vogliamo bene, Marco!» urla Akemi, felice e spensierata, guardando con occhi vivaci e brillanti il primo comandante che si muove leggiadro nell'aria, osservandone i movimenti nel dettaglio: i muscoli tesi che scattano prontamente all'occorrenza, le fiamme blu e gialle che sembrano quasi far risaltare i suoi lineamenti, i suoi curiosi capelli biondi che ondeggiano leggeri.
Lo guarda e pensa che il suo sia il potere più bello di tutti.
Lo guarda e pensa che un giorno, quando finalmente ne sarà all'altezza, vorrà essere inserita nella sua flotta.


Nel frattempo, su di un isola non segnata sulle carte, si erge nella zona più a sud un'enorme casa molto antica, avvolta da un leggero strato di nebbia leggere.
Nella salone principale, diverse persone sono ora riunite in completo silenzio, tutte intente a guardare l'uomo che siede scompostamente su di un vistoso trono nero con le imbottiture bordeaux.
Il suo sguardo è freddo, impenetrabile. La sua mente è oscurata da quello spasmodico desiderio che lo sta consumando.
I suoi devoti lo fissano con insistenza, in attesa di nuovi ordini.
Era da anni che non lo vedevano di nuovo così vivo, che non vedevano il suo interesse accendersi in questo modo, e tutto grazie alla nascita di una bambina. Una bambina che non sarebbe mai dovuta venire al mondo, che ha causato grandi perdite e che adesso lui desidera con tutto sé stesso.
«Mio Signore...» un ragazzetto, l'incaricato a conferire le ultime novità al capo, gli si avvicina piano, impaurito e attento ad ogni suo movimento «...non l'abbiamo trovata...»
L'aria si gela all'improvviso, la rabbia dell'uomo diviene palpabile.
La mano scatta veloce, la spada stretta tra le dita taglia con precisione, il sangue imbratta il pavimento, creando in pochi secondi una grossa pozza vermiglia. Nessuno dei presenti si scompone di un millimetro.
«Setacciate ogni isola.» ordina lugubre, tornando nella posizione precedente e guardando con attenzione i due ragazzi che lo osservano accanto alla finestra.
«Le possibilità che si trovi sulla terra ferma sono remote.» afferma uno dei due, piegando un poco la testa da un lato e lisciandosi il mento, sovrappensiero.
«Vero, ma se si trova su una nave dovrà fermarsi in un porto, presto o tardi.» lo riprende l'altro, volgendo lo sguardo sull'esterno, osservando la cortina di nuvole che velocemente va formandosi sopra di loro. Annusa piano l'aria, sentendo odore di tempesta, e un sorriso gli increspa le labbra carnose.
«Trovatela!» ringhia l'uomo, alzando un poco la testa, facendoli scattare sull'attenti «Non accetterò un fallimento da voi.»
Poggia il capo sullo schienale, carezzando con la punta delle dita il grosso corvo al suo fianco, stando ben attento a non ferirlo con gli artigli.
«Andate, ora. Trovatela entro il tempo prestabilito dalla strega.»
I due ragazzi ghignano appena, divertiti, uscendo con passo tranquillo dall'enorme sala, dirigendosi verso la propria piccola imbarcazione, pronti a dirigersi sulla prima isola segnata sulla loro carta nautica: Nefeli.



*Qui Rufy è già un pirata e ha già una taglia. Spero che non vi disturbi, ma mi serviva per il loro incontro! :P
**Ho letto in giro questo nome e ho deciso di usarlo anche se non è un gran che... >.< scusatemi, ma non sono proprio capace a inventare nomi di isole/città o cose simili!


Angolo dell'autrice:
Bah... questo capitolo mi convince poco >.< però sono sotto esami e il tempo per scrivere è davvero ridotto! Spero che almeno un po' vi sia piaciuto!
L'ultima parte è volutamente poco descritta, lasciata quasi completamente all'immaginazione, ma non per questo è poco importante, anzi! Però non ho intenzione di anticipare niente... xD quindi dovrete accontentarvi di questo! ;)
Adesso ci tengo a ringraziare: Vivi y, Yellow Canadair, Okami D Anima, ankoku, Lucyvanplet93, iaele santin, Monkey_D_Alyce e Mistery_Lawliet per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato! Davvero GRAZIE DI CUORE! <3
Ringrazio inoltre tutti quelli che l'hanno letta, messa tra preferite/seguite/ricordate. Siete davvero troppo gentili :3
E ora vi saluto! :) se non dovessi riuscire ad aggiornare durante la settimana, significa che ci risentiremo per il prossimo venerdì!
A presto, baci!

PS: ecco più o meno vagamente come dovrebbe essere adesso Akemi http://tinypic.com/r/2z8ucub/5

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Capitolo 5
*** 5. Di incubi, rivelazioni dolorose e tanto amore. ***


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Buio. Sonno. Fame.
Dove sono? Cosa è successo?
Non vedo niente. Non riesco a respirare.
Le coperte sono così pesanti... mi soffocano.
Devo alzarmi... voglio la luce.
È tutto così buio. Ho paura. Non vedo niente, neanche le mie mani.
Ma le sto muovendo?
Perché queste coperte sono così pesanti?
Dov’è la luce? Non ci vedo...
Voglio respirare. Dov'è la luce? Dov'è l'aria?
Muovo le braccia, le sento spingere contro le coperte. Sono così pesanti che forse me le spezzeranno. Non m'importa. Io devo uscire da qui. Devo uscire da questo buio...
Dove sei? Papà dove sei andato? Dove sono tutti?
LUCE!
Spingere, spingere! Le coperte si muovono, le sento sotto le mie mani.
Aria!
Stelle. Luna. Aria. Nuvole. Alberi. Come si sta bene all’aperto.
Perché sono all’aperto? Dove mi trovo? Dov’è la nave?
Terra umida. Da dove sono uscita? Un fosso. Come ci sono finita in un fosso?
E’ buio, ma io vedo lo stesso.
Vedo la terra, l'erba, le foglie cadute, delle pozzanghere, una strada sottile di ghiaino. Ma la nave dov'è?
Mi alzo in piedi e guardo la fossa da cui sono uscita. Fossa?!
La terra è smossa, il legno del coperchio della bara è a pezzi, una lastra di zinco giace a terra, con su inciso il mio nome e sotto: qui riposa un fiore reciso.
Perché ero li dentro? Sono viva. Guardatemi! Sono viva!!!
Un corvo mi osserva dalla cima di un albero, con aria sinistra. Perché mi guardi così? Guardami, bestia! Sono viva! Non sono la tua cena!
«Da questa parte...»
Il corvo si alza in volo, dirigendosi verso quel sussurro, dentro quel bosco dall’aria cupa. I rami scheletrici si alzano al cielo, come se volessero graffiarlo. Fanno paura.
Voci. Sento tante voci urlare.
Le seguo, addentrandomi sempre di più tra questi rami secchi che mi graffiano la pelle, strappano i vestiti, si intrecciano tra i miei capelli.
Vedo un porto, in lontananza, ma non la Moby Dick.
Papà, dove sei andato?
C'è uno scontro, troppo sangue scorre per terra, le urla squarciano l'aria, strazianti. L'odore di morte aleggia nell'aria, fetido e penetrante.
La lotta si blocca per un breve istante, o forse è così solo nella mia mente.
C'è un uomo davanti a me. È bello. Bello come nessun altro essere umano. Sembra una divinità.
La sua pelle è così bianca... perfetta.
Il suo corpo slanciato è statuario, come scolpito nel marmo.
I capelli sono neri come la pece, e la flebile luce della luna gli dona dei riflessi bluastri.
Il suo viso è cupo, bello come quello di un angelo.
Ma la cosa che ti blocca il respiro, che ti fa svenire, sono i suoi occhi, chiari come il cristallo più lucido. Due pozzi attraenti e seducenti, pieni di forza.
Sono quasi impossibili da guardare, perché ti senti opprimere, affogare dall'oceano limpido che vi trabocca dentro. Nemmeno la mente del più grande artista avrebbe potuto realizzarli lucidamente.
E adesso fissano me.
Chi sei? Cosa vuoi da me?
Una smorfia di dolore deforma quel bellissimo viso. Un palo di metallo gli trafigge il petto.
I suoi occhi si spengono mentre cade in ginocchio. Il sangue scorre denso sul suo petto.
Altri muoiono. Le urla sono sempre più forti. Il dolore è palpabile.
«Eccola là!» «Prendiamola!»
Urlano voltandosi verso di me.
Chi sono questi? Perché mi vogliono? Cosa gli ho fatto?
Correre. Dove vado?
Cado nel fango. Non riesco a muovermi.
Babbo! Babbo dove sei?
Ace? Satch?! Marco, Vista, Jaws, Halta! Dove siete tutti? Ho paura! Mi stanno facendo male!
Un colpo alla gamba. Sento qualcosa di caldo scivolarmi sulla pelle. Sangue?
«Muori, mostro!» Urlano contro di me, lanciandomi maledizioni e insulti, picchiandomi.
Cosa vi ho fatto?
Sento qualcosa mordermi e strapparmi via la pelle. Altri morsi. Le ossa vengono distrutte una per una.
Perché mi fate questo?
Babbo, ti scongiuro, salvami...


Un urlo acuto, straziante, si leva con forza per tutta la nave, svegliando tutti nel cuore della notte.
Vista è il primo a fare irruzione nella stanza di Akemi, trovandola che urla disperata nel sonno, continuando a sobbalzare come in preda a delle violente convulsioni.
La stringe forte per le spalle e comincia a scuoterla, invocando il suo nome a pieni polmoni, senza ottenere risultati.
Akemi non riesce a sentirlo. Il suo cervello è annebbiato dal dolore, dalla paura, dall'angoscia.
Barbabianca li raggiunge rapidamente, seguito dalle infermiere che subito danno un calmante alla bambina, tenendola ferma con il peso dei loro corpi.
«Che diavolo è successo?!» urla Ace, spaventato, mettendosi a sedere sul bordo del letto e cominciando ad accarezzare dolcemente la fronte imperlata di sudore della piccola.
In vita sua ha visto e fatto tante cose orrende, ma mai ha sentito una persona urlare in un modo tanto disumano. Un urlo agghiacciante, innaturale. Neanche le persone contro cui ha combattuto urlavano così prima che le uccidesse.
«Ha avuto un incubo.» afferma Ran con voce assonnata, prima di fare cenno a tutti di uscire «Tornate nelle vostre stanze, è tutto finito.» ordina senza guardarli, dirigendosi con passo stanco verso la porta. Non ha proprio voglia di altre chiacchiere in quel momento, vuole solo dormire.
Barbabianca, troppo apprensivo nei confronti della sua bambina, la prende delicatamente in braccio, e così se ne va verso la propria camera, pronto a difenderla anche dal suo subconscio.
I vari membri dell’equipaggio se ne vanno lentamente da quella stanza con passo strascicato, lasciando così che sia il capitano ad occuparsi di lei. Non che loro non lo avrebbero fatto, ma in un certo senso preferiscono che questi traumi li superi insieme a lui.

Mi muovo lentamente tra dei corridoi illuminati dalla luce lunare che filtra debolmente dalle finestre. I mobili sono come sfocati, cosa che mi impedisce di vedere nitidamente ciò che mi circonda.
Giungo dopo un tempo che mi pare infinito in un ampio salone, in cui vedo dei mobili scuri e raffinati, e delle armi dalla pregiata fattura appese ai muri. Sono così belle e preziose che per qualche istante mi trovo incantata ad ammirarle.
Dove sono?
Dei passi dietro di me mi fanno sobbalzare e l’unica cosa intelligente che riesco a fare è nascondermi dietro ad un grande divano, pregando di non essere trovata.
Alzo leggermente lo sguardo e vedo un'ombra correre per un corridoio, veloce e quasi furtiva.
Non so per quale assurda ragione decido di seguirlo. Anzi, non lo decido neanche io a dire il vero. Il mio corpo fa tutto da solo.
Cammino per questi corridoi scuri con naturalezza, come se lo facessi da sempre, fino a raggiungere un’enorme porta di legno massiccio socchiusa.
La apro lentamente, facendola cigolare, ma nessuno dei presenti si volta verso di me, come se non mi avessero sentita.
Ci sono quattro ombre: c’è qualcuno sdraiato in un enorme letto a baldacchino antico che ansima pesantemente, due sagome sono invece davanti alla finestra, immobili, e poi c’è la prima ombra che ho visto, che se ne sta di fronte ad un camino acceso. Sembra tenere qualcosa tra le braccia.
«E’ fantastica...» Mormora con un filo di voce, come se stesse parlando con sé stesso, dandomi così la conferma che si, ha effettivamente qualcosa in mano.
«Giuratemelo...» Mormora l'ombra nel letto, con voce debole.
Nessuno parla, le ombre muovono piano il capo.
L'ombra si muove, si volta piano, ma prima che io riesca a vedere quello che custodisce gelosamente tra le braccia, un forte vento mi risucchia via e vengo portata in un luogo buio e cupo.
C'è uno strano odore nell'aria, come di marcio.
Dove sono?
Qualcosa mi tira una spinta alle spalle, facendomi cadere a terra e battere la testa.
La paura mi assale completamente quando qualcosa mi afferra dolorosamente una caviglia, trascinandomi indietro.
Non voglio morire! Papà, dove sei?!
Mi alzo, qualcosa mi strappa la carne dalla coscia. Sento il sangue scorrere lento e vischioso sulla gamba, il dolore quasi m'impedisce di continuare ad avanzare, completamente alla cieca.
Le lacrime mi rigano il volto, scendendo incontrollate. Mi manca l'aria, non so dove sto andando.
Un'altra spinta, un'altra ferita al braccio.
Perché mi fate questo?
«Non devi esistere.»
Un morso alla gola, i denti penetrano nella carne come se fosse fatta di burro, il dolore è così atroce che mi paralizza completamente.
Non riesco ad urlare, il sangue esce denso dalle labbra dischiuse.
Papà... dove sei?


Akemi si sveglia di soprassalto, madida di sudore, e sobbalza terrorizzata quando una mano le si poggia sulla schiena.
Voltandosi incrocia gli occhi preoccupati di Barbabianca, e di scatto si lancia tra le sue braccia grandi e protettive, stringendosi con forza a lui.
«Cosa hai sognato piccina?» le sussurra dolce, tenendola stretta a sé come per volerle dire che niente può farle male, che lui c'è e ci sarà sempre per difenderla da ogni male.
«Morte...» sussurra piano, cercando di regolarizzare il battito frenetico del suo cuore e di cacciare dalla testa quelle immagini che tanto l'hanno spaventato.
'Il dolore era così vero...'
«Come mai sono nel tuo letto babbo?» gli domanda dopo qualche istante, cercando di non mostrarsi più preoccupata per evitare di agitarlo ulteriormente.
«Ti sei messa ad urlare durante la notte e non volevo lasciarti sola.»
Akemi alza lo sguardo sull'uomo, sorridendogli grata e arrampicandosi sul suo corpo per potergli allacciare le braccia esili al collo e dargli un dolce bacio sulla guancia.
Barbabianca sorride bonario, convinto che se qualcuno lo vedesse adesso si farebbe delle grasse risate. Lui, l'uomo più forte del mondo, il terrore dei mari, che si lascia coccolare e stringe con tanta dolcezza una bambinetta che ha paura dei mostri sotto al letto!
«Andiamo a mangiare?» gli domanda allegra, sorridendogli in quel modo dolce e allo stesso tempo inquietante che la caratterizza, afferrandolo con decisione per una mano quando annuisce, trascinandolo con forza fino alla sala mensa, dove già bivaccano gli altri.
Mangiano insieme, in silenzio, osservando di tanto in tanto i vari pirati che lentamente si svegliano e diventano i soliti uomini chiassosi, cosa che li fa sorridere.
«Tra un'oretta attraccheremo al porto di Nefeli, sei contenta?» le domanda dopo un po', osservandola mentre mangia con ingordigia qualsiasi cosa dolce sia disponibile. In effetti trova questa sua golosità malsana, ma ormai ha capito che è inutile provare a farle cambiare alimentazione. Tanto, a quanto sembra, pare essere in grado di regolarsi da sola e di decidere quando mangiare cosa in maniera completamente autonoma.
Akemi annuisce vigorosamente, sorridendo e lasciandosi sfuggire un rivolo di sciroppo sul mento, facendolo ridere forte.
'È così buffa.' pensa, afferrando un fazzoletto e passandoglielo sul viso per ripulirla, notando un sorriso commosso increspare le labbra dei pirati che hanno osservato quel gesto così spontaneo e paterno.
«Vai a prepararti, allora. Dopo ti devo portare in un posto.» l'avverte alzandosi, venendo però bloccato dalla bambinetta.
«Ma io devo andare con Ace! Ha promesso di comprarmi un regalo!» strilla contraddetta, facendo saettare lo sguardo dal capitano a Pugno di Fuoco, che adesso la guarda incuriosito sentendosi chiamato in causa.
«Prima vieni con me, dopo puoi andare dove vuoi.» afferma autoritario l'imperatore, uscendo con passo svelto dalla stanza e lasciando che siano i suoi figli a calmare il probabile attacco d'ira della bambina.
Stranamente, invece, Akemi rimane calma, giocherellando con ciò che ha nel piatto con aria assorta, mentre nella sua mente scorrono vivide l'immagini lugubri che ha sognato.
Scuote violentemente la testa, come se provasse a farle uscire, decidendo subito di andare a dare un po' fastidio ai suoi adorati fratelli, che senza esitazioni l'accolgono al loro tavolo.
«Ecco la mia bambolina!» Vista l'afferra saldamente sotto le braccia e se la mette sulle gambe, facendole pure indossare il suo prezioso cilindro «Ti stanno bene i cappelli. Più tardi te ne compro uno, che ne dici?»
«Un cilindro come il tuo?» trilla felice, stringendo tra le dita sottili e affusolate i bordi dell'oggetto e calcandoselo maggiormente sugli occhi.
«E cilindro sia.»
Akemi gli sorride raggiante, afferrando un pezzo di pane abbandonato sul tavolo e riempiendolo di marmellata fino all'inverosimile, pronta a divorarlo in un sol boccone.
«Siediti per bene e mastica, trogolo!» la rimbecca Halta, afferrandola con decisione e trascinandola sulla panca.
«Si, mamma!» sbuffa la minore, facendole un sorriso sghembo prima di addentare la pietanza, facendo colare inevitabilmente la confettura un po' da tutte le parti.
«Solo perché certo di farti comportare come una signorina e non come un animale, non significa necessariamente che voglia farti da madre!» controbatte prontamente, facendola ridacchiare.
«L'unico animale qui è Ace...» borbotta Marco con aria pacata, ancora mezzo intontito dal sonno, ricevendo in risposta un grugnito dal diretto interessato «Visto?»
Tutti gli altri scoppiano a ridere, mentre Akemi sguscia sotto al tavolo senza essere notata e spunta dall'altro lato, in braccio alla scontrosa Fenice che pare non apprezzare minimamente il gesto.
«Che fai?» le ringhia contro, provando a scrollarsela di dosso e scatenando ulteriormente le risate dei fratelli.
«Guarda, eh!» afferra un pezzo di mollica e lo imbratta completamente di marmellata scura, con una precisione che lo fa insospettire. In fondo, ogni volta che si comporta così vuol dire che vuole fare qualche dispetto.
Infatti non ci vogliono che una manciata di secondi che il pezzetto di mollica vola dritto tra i capelli arruffati di Teach, ignaro di quanto appena accaduto.
Tutti ridono per quel gesto colmo di malvagità infantile. Pure Marco, sempre composto e pronto a rimproverarla per qualsiasi cosa, si lascia sfuggire una risata, vedendola illuminarsi tutto in un colpo.
«Allora, andiamo a prepararci?» le domanda allegro Satch, afferrandola con decisione e caricandosela in braccio, come di consuetudine. Infatti, per quanto lo riguarda, lei non ha minimamente bisogno delle gambe, dal momento che non la lascerebbe mai andare per paura che possa sfracellarsi al suolo e farsi seriamente male.
Non appena i due sono usciti dalla sala, Jaws non riesce ad astenersi dal commentare quelle sue eccessive premure «E meno male che sei tu che le fai da madre!»
Halta annuisce distrattamente, un'espressione sconsolata in viso «Non voglio immaginare quando arriveranno tutti i problemi legati all'adolescenza... tra lui e babbo non so chi impazzirà di più!»

Quando per la prima volta in vita tua scendi sulla terra ferma dopo aver vissuto in mare, vorresti solo curiosare in ogni angolo, divertirti e comprare tutto quello che ti capita sotto tiro. Questo però per Akemi è impossibile, dal momento che da almeno due ore è sotto le mani di svariati dottori che la esaminano minuziosamente, facendole domande di cui non comprende il senso e che la fanno innervosire.
Vuole uscire, vuole farsi comprare qualcosa di bello da Ace, vuole spendere i soldi che l'imperatore le ha dato fino all'ultimo centesimo in libri, vuole mangiare qualcosa di zuccheroso e vuole farsi un bagno nelle cristalline acque che bagnano la spiaggia che ha intravisto non appena arrivata.
Se ne sta seduta in silenzio su una seggiola insieme a Kingdew, il comandante dell'undicesima divisione, ad aspettare i risultati, annoiati a morte, finché l'infermiera Tachi fa il suo arrivo, mettendosi a sedere di fianco all'uomo.
«Akemi, se vuoi andare Ace è fuori ad aspettarti. Li prendiamo noi i risultati.» l'avverte con tono gentile, facendola scattare come una molla con un sorriso che le va da un orecchio all'altro.
Non appena sono rimasti soli, Kingdew si mette a fissare insistentemente l'infermiera in attesa di una spiegazione, che non tarda ad arrivare «Abbiamo pensato che è meglio se li leggiamo da soli. Sai, per non preoccuparla.»
«Capisco.» risponde con tono fermo l'uomo, incrociando le possenti braccia e poggiando la testa contro il muro alle sue spalle, incurante delle continue occhiate preoccupate che gli vengono lanciate, smanioso di ricevere quei dannatissimi risultati e andare in una benedetta taverna a bere qualcosa di forte e farsi due risate insieme ai compagni.

Nel frattempo, Akemi girottola per le vie della città mano nella mano con Ace, guardando con occhi pieni di allegria le vetrine, incurante dei passanti che li osservano con curiosità. In fondo non è da tutti i giorni vedere il famigerato Pugno di Fuoco girare con una bambinetta al seguito.
«Vedi qualcosa che ti piace?» le domanda sorridendole allegramente, felice di vederla così meravigliata da tutto quello che la circonda.
«Io voglio i libri!» trilla felice, attaccandosi al suo braccio e facendosi sollevare per aria, ridendo spensierata, attirando ancora di più gli sguardi dei passanti.
«Tu sei strana!» ride a sua volta Ace, afferrandola e mettendola sulle sue spalle, tenendole saldamente le mani «Dai, cerchiamo qualcosa di carino.»
«Un pupazzo!»
«Un pupazzo?»
«Si, un pupazzo enorme!»
«E pupazzo enorme sia!»
Cercano così per tutti i negozi di giocattoli che ci sono, finché, dopo almeno un'ora di estenuante ricerca, arriva Lui, il peluche perfetto: un orso morbido e chiaro, alto almeno un metro, con un grosso fiocco di raso azzurro al collo, meraviglioso agli occhi della bambina.
«Lui! Lui!» trilla felice, saltellando di fronte all'enorme giocattolo, che subito il pirata afferra con decisione, lanciando i soldi al negoziante senza neanche guardarlo, e correndo fuori seguito da un'urlante Akemi, che vuole tenere tra le braccia il suo nuovo tesoro.
«Che state combinando?» la voce di Izo arriva nitidamente alle orecchie dei due, che si bloccano per la sorpresa «E quel coso?»
«Lui è il mio nuovo amico! Si chiama Pippiro!» Akemi si attacca al braccio di Ace, riuscendo a tirare finalmente giù il grande pupazzo e stringendolo con forza tra le braccia esili, immergendoci il viso.
«Che dici, fratello: ci aiuti con i libri?» gli domanda allegro Ace, mettendogli un braccio attorno alle spalle, notando con la coda dell'occhio lo sguardo di Akemi illuminarsi a quelle parole.
Pure Izo se ne accorge, e in maniera quasi impercettibile annuisce, allungando una mano verso la bambina che l'afferra saldamento «Andiamo a spendere un po' di soldi!»

Libri di ogni argomentazione, volumi enormi che Ace non pensava nemmeno che potessero esistere, titoli assurdi che nessuno di loro avrebbe mai preso in considerazione, sono adesso dentro delle enormi buste che vengono trasportate sulla nave.
Il commerciante, non appena si è visto poggiare tutta quella valanga di libri sul bancone, aveva assunto un'aria talmente sorpresa e perplessa che Ace e Izo per poco non gli scoppiavano a ridere in faccia.
L'unico motivo per cui si sono astenuti, in realtà, era per il semplice fatto che non avevano idea di come trasportare tutta quella roba fin sulla nave. Motivo per cui Akemi è corsa lì nei dintorni alla ricerca di altri pirati, reclutandone a sufficienza corrompendoli con un paio di occhi dolci e supplichevoli.
«Non pensi di avere esagerato?» domanda con tono basito Fossa, alzando sei buste per aria contenenti libri di letteratura antica di cui ignorava allegramente l'esistenza.
«No!» trilla felice Akemi, trotterellando verso il porto con Pippiro stretto tra le braccia.
«Non li leggerai mai tutti.» scuote la testa Namyuul, comandante dell'ottava divisione, che è stato quasi trascinato di peso alla libreria.
«Ti sbagli! Io li leggerò tutti quanti e così saprò tutto!»
«Non puoi sapere tutto, Akemi.» si volta verso Marco, guardandolo con aria corrucciata e quasi offesa «È semplicemente impossibile. Puoi sapere molto, ma non tutto.»
«Ti sbagli.» soffia, incamminandosi impettita, ignorando le risatine dei compagni alle sue spalle «Dovessi impiegarci l'eternità, io saprò tutto!»
«E come pensi di poter diventare immortale?» la schernisce Speed Jil, il quattordicesimo comandante, attirando su di sé lo sguardo incredibilmente torvo della bambina.
«Pensi che in tutti quei libri non ci sia scritto il modo, fratello?» gli si avvicina piano, lo sguardo fisso nel suo, determinato come non mai, il pupazzone stretto tra le braccia «Io esigo la conoscenza assoluta, Jil, e dovessi vendere l'anima al diavolo la otterrò.»
I vari pirati si lanciano uno sguardo perplesso, non capendo se sia seria e se si renda realmente conto di quanto dice, osservandola poi mentre trotterella allegra e spensierata verso l'imponente nave, pronta a mostrare il suo nuovo amico inanimato al padre.
«Quella ragazzina non ha tutte le rotelle che girano nel verso giusto.» scuote piano la testa, Marco, incamminandosi a sua volta, pronto a bere qualcosa di incredibilmente gelido per combattere l'afa che lo sta facendo impazzire, anche a costo di beccarsi una terribile congestione.

«Babbo! Babbo!» Akemi schizza sul ponte elettrizzata, sventolando il pupazzo per aria e attirando inevitabilmente lo sguardo dei vari pirati che stanno caricando i rifornimenti.
Teach, come al solito, riesce ad afferrarla in tempo prima che si sfracelli al suolo, inciampata come sempre nei suoi stessi piedi.
La guarda con un sorriso benevolo in volto, cosa che però non riesce ad intenerire per niente Akemi.
«Guarda dove metti i piedi, mocciosetta. Rischi di farti male cadendo in continuazione!» il suo tono è gentile, così come lo è la carezza che le passa sulla testa corvina. Non ha niente contro di lei, anzi le è simpatica, malgrado gli faccia scherzi su scherzi. La chiama mocciosa solo perché la considera tale.
Akemi, in tutta risposta, gira sui tacchi e si rimette a correre a scavezzacollo verso il genitore, che le tende le braccia, sollevandola poi in aria e facendola ridere felice.
«Guarda che bello!» gli mostra con orgoglio il nuovo giocattolo, facendoglielo pure prendere in mano «Si chiama Pippiro! Ti piace?»
«Oh si, è molto carino.» Barbabianca non riesce a capacitarsi ancora dei suoi cambiamenti d'umore e di personalità: un minuto è dolce e infantile, quello dopo è dura e matura, mostrando pure un'intelligenza fuori dal comune per una bambinetta della sua età.
«Me l'ha comprato Ace.» lo informa, sistemandogli meglio il fiocco e cominciando a raccontargli minuziosamente la sua giornata, venendo però interrotta.
«Sei felice con i tuoi fratelli?» le domanda con tono lievemente rattristato, passandole una mano sulla testolina e guardandola con occhi velati di dolore, cosa che non sfugge ad Akemi.
«Certo papà, perché?»
L'uomo le sorride dolcemente, facendo spallucce e rimettendola a terra non appena arrivano gli altri, carichi di buste «È tutta roba tua?»
«Si! Ti avevo detto che avrei speso bene i tuoi soldini!»
Barbabianca scoppia a ridere, sorpreso per l'ennesima volta. Si aspettava di vederla tornare piena di giocattoli, vestiti e cose scintillanti, non di certo buste traboccanti di libri.
«Ora babbo scusami, ma li accompagno nella mia cabina. Non voglio che mettano in disordine!» detto questo scatta via, attaccandosi alla gamba di Namyuul e facendosi così condurre senza alcun spreco di energie fin dentro la sua cabina, dove le mollano senza tante cerimonie le buste in mezzo alla stanza, scappando a gambe levate prima che abbia qualche nuova idea malsana.
Mentre loro scappano, invece, qualcuno entra: Vista.
Osserva con sguardo vagamente sconcertato tutte le buste sparse un po' ovunque, decidendo però di accantonare la cosa e di darle il regalino che tiene ben nascosto dietro la schiena.
«Ehi, piccina!» Akemi gli si attacca alla vita, stritolandolo in un abbraccio affettuoso, dovuto all'eccitazione del momento. Non aveva mai ricevuto regali in vita sua, e adesso si sente la bambina più felice del pianeta.
«Ti ho preso una cosa.» l'avverte il pirata, sventolandole sotto al naso una bustina blu, lucida e rigida, sollevandola subito in aria per non fargliela prendere «Aspetta un secondo, mano lesta: come lo volevi te non l'ho trovato. Cioè, in realtà c'era, ma non ti avrebbe donato per niente. Quindi...»
Le fa un cenno con le dita di chiudere gli occhi, mettendole poi sulla testa quello che pensava fosse il più adatto a lei.
La prende piano per le spalle, conducendola davanti allo specchio nell'angolo della stanza e sussurrandole che finalmente può guardare.
Akemi spalanca gli occhi, un sorriso entusiasta le allarga le labbra, mostrando l'inquietante dentatura, mentre allunga piano le mani per sfiorare con la punta delle dita il bellissimo regalo: un cerchietto nero, con attaccato un piccolo cappello sul lato destro, anch'esso nero, con delle piccole piume e un velo corto che le cade su un occhio.
«Ti piace?» le domanda incerto, venendo nuovamente assalito e stritolato in un abbraccio che quasi gli toglie il respiro.
«Grazie! Grazie! Grazie!» urla a pieni polmoni, facendogli fischiare le orecchie, ma rendendolo incredibilmente felice.
Perché lui, come tutti gli altri, nutre nei suoi confronti un affetto paterno, oltre che fraterno. Vuole vederla felice, appagata, euforica. Vuole viziarla, crescerla, insegnarle quello che sa, lasciare una parte di sé in lei.
«Ti voglio bene, fratellone!» cinguetta, traboccando felicità dai luminosi occhi di ghiaccio, facendo sciogliere il cuore del comandante, che, dopo averle lasciato un delicato bacio tra i capelli, esce dalla sua stanza, con un sorriso fiero in volto.

I rifornimenti sono stati finalmente ultimati, i vari pirati si preparano per salpare di nuovo. In fondo l'unico motivo per cui il capitano aveva voluto attraccare era per andare all'ospedale, quindi ora non ha più motivo di restare.
Akemi ordina i nuovi acquisti nella sua stanza, sistemando con estrema cura e delicatezza l'enorme pupazzo sul letto, guardandolo con ammirazione e amore, decidendo di andare da Ace non appena avrà finito di mettere in ordine e di portargli i biscotti che tanto gli piacciono, quelli che tiene nascosti sotto al letto.
Nel frattempo, nella sala mensa, Ace, Marco, Vista, Izo e Jaws si rilassano seduti ad un tavolo, sorseggiando una bevanda fresca per combattere l'afa.
Sorridono debolmente in direzione di Satch, che va loro in contro con passo strascicato, passandosi una mano dietro al collo.
Lo guardano insospettiti da questo suo strano umore scuro, ma non fanno domande. Conoscendolo dirà da solo cosa lo preoccupa.
«Ho parlato con il babbo poco fa...»
«E...?» domanda Ace, chiedendosi cosa possa incupirlo così.
«E a quanto pare i medici non hanno idea di cosa si tratti. Eccetto una lieve anemia, Akemi non ha assolutamente niente di anomalo.»
Il gruppo rimane in silenzio, analizzando la risposta dell'amico e subito l'angoscia li assale, insieme ad una domanda che nessuno, eccetto Vista, ha il coraggio di fare ad alta voce.
«Quanto le rimane ancora?»
«E chi può dirlo?» mormora sconsolato Satch, passandosi le mani sul volto, con una morsa dolorosa che gli attanaglia il cuore.
Ace si toglie il cappello e lo poggia sul tavolo, rigirandosi distrattamente la cordicella tra le dita «Non voglio immaginare quanto soffrirà il babbo quando-» mormora abbattuto, venendo però interrotto da un alterato Izo.
«Non dirlo, Ace! Non voglio neanche pensarci!»
«Forse era meglio se la lasciavamo in mare...» mormora Marco, con tono triste, cosa a cui nessuno di loro in realtà bada, troppo presi dalla sua affermazione. Perché in realtà a Marco dispiace che sia malata, e ancor più gli dispiace per il dolore che da li a non molto pugnalerà il cuore del capitano.
'Cosa?' fuori dalla sala mensa, Akemi sta origliando la conversazione, ben nascosta dietro la porta. Aveva intenzione di portare i biscotti ad Ace per ringraziarlo, ma quando si è accorta che stavano parlando di lei ha deciso di ascoltare quanto si stavano dicendo senza interromperli, spinta da una malsana curiosità.
Ma quella conversazione sta prendendo una piega inaspettata, che le impedisce di muoversi per andare a chiedere spiegazioni.
«Ma cosa cazzo vai dicendo, Marco?!» tuona Satch, innervosito come forse non lo avevano mai visto.
«Sei un'insensibile del cazzo!» rincara la dose Izo, incenerendolo con lo sguardo.
«Non è questione di essere insensibile o meno, Izo. È questione che le avremmo risparmiato una vita diversa e sicuramente difficile. Perché anche voi lo sapete che per lei sarà difficile stare a questo mondo, doversi adattare ogni singolo giorno ad un nuovo cambiamento del proprio corpo, vivere con la consapevolezza di essere diversa e di avere una vita breve, avere la consapevolezza che non potrà mai avere le cose come gli altri!» si difende prontamente la Fenice, alzando involontariamente la voce e sentendo una strana sensazione riempirgli il cuore. Non è rabbia, non è tristezza, neanche angoscia. È qualcosa che non riesce a catalogare ma che comunque lo sta destabilizzando profondamente.
Gli altri comandanti analizzano la sua risposta, senza però riuscire a dargli ragione. Ace in particolar modo non riesce a credere a quanto ha appena detto, convinto che proprio perché la sua è una situazione difficile loro debbano starle ancora più vicini e aiutarla ad essere felice.
«Forse i genitori lo sapevano e per questo l'hanno buttata in mare...» mormora Satch, distogliendolo dai suoi pensieri e facendogli provare un forte senso di rabbia.
«Se fosse così, erano solo due animali senz'anima che non meritavano minimamente un dono così speciale.» ringhia Jaws, consapevole di come ci si senta ad essere abbandonati dai genitori, addolorato per tutta quella situazione.
Un rumore all'esterno della stanza, seguito da un sonoro brontolio di uno dei loro compagni, attira la loro attenzione e, inspiegabilmente, Ace si alza per andare a controllare.
Non sa perché lo fa, ma la sensazione che sia successo qualcosa di sbagliato lo agita incredibilmente.
Sensazione che si rivela fondata, quando uscendo trova i biscotti di Akemi sparsi a terra e delle gocce scarlatte che lasciano una scia che porta fin sul ponte.
«CAZZO!» urla, scattando in avanti, venendo prontamente seguito dai fratelli, allarmati da questo suo improvviso cambiamento d'umore.
«Ace, che è successo?» gli urla dietro Vista, stringendo le dita attorno ad una sciabola in un gesto automatico ed involontario.
«Akemi! Ha sentito tutto!» urla agitato, saltando agilmente giù dalla nave e atterrando con grazia sulle travi di legno del ponte del porto, cominciando subito a correre verso l'interno dell'isola.
Gli altri lo seguono, imprecando a denti stretti, correndo a loro volta e dando l'allarme, sperando di riuscire a trovarla al più presto.

Corre con tutte le forze che ha, raggiungendo una velocità tale che nessuno riuscirebbe ad eguagliare.
Calde lacrime le rigano il volto pallido, lasciando delle lunghe scie rosse.
'Mi hanno ingannata...' pensa, scappando da tutto e tutti, inoltrandosi nella vegetazione più scura.
'Mi hanno abbandonata... non mi volevano.' una fitta al cuore le fa annebbiare per un attimo la vista, la piccola 'M' dietro al suo collo comincia a bruciare, ma non ci bada. Niente è paragonabile al dolore che sta provando.
'Mi hai mentito, Satch. Io sono diversa, e pure i miei genitori lo sapevano. Mi hanno abbandonata per questo. Non mi volevano neanche loro.'
Sentendo i richiami dei fratelli in lontananza, accelera automaticamente il passo, senza sapere dove sta andando, evitando con cura di dirigersi verso le loro voci. Vuole nascondersi, vuole sparire.
'Sono sbagliata, sono un mostro.' cade a terra, la polvere che si solleva l'acceca per un breve istante. Sente nuovi rumori alle spalle, così si costringe a rialzarsi e ricominciare a correre, facendo battere a mille il cuore infranto.
'Perché continuare a vivere? Non ero voluta neanche quando sono venuta al mondo. Un errore, ecco cosa sono.
Ma perché prendermi? Avrebbero potuto benissimo lasciarmi in mare, in quella cesta, a morire come sarebbe dovuto essere. Se volevano eliminarmi, c'era una ragione.'
La mente è offuscata da quel dolore, dalla consapevolezza che sia stata abbandonata, rifiutata, tradita da coloro che l'hanno messa al mondo.
Si domanda dove siano, chi siano, se pensano a lei, se sono pentiti della loro scelta, capendo che ovviamente non è così. Perché mai abbandonarla sennò?
Prova una nuova fitta al cuore, come una pugnalata, che lacera i tessuti e lascia scorrere il sangue, dolorosamente.
'Perché? Perché sono ancora qui? Perché non mi avete ignorata? Sarebbe stato giusto.'
Ma per quanto il dolore per quella scoperta sia straziante, per quanto sia convinta di essere sbagliata, un mostro, non riesce a non domandarsi perché Barbabianca abbia deciso di tenerla, di salvarla dal freddo abbraccio della morte.
Se lo domanda e non riesce a trovare una risposta, neanche la più semplice, non riuscendo neanche più a pensare che loro le vogliano davvero bene, che la considerino parte della loro grande famiglia, che stiano soffrendo per la sua fuga, che siano in pensiero per lei.
Non ci riesce.
'Vi facevo pena, forse? Non voglio la vostra compassione. Voglio solo quello che hanno tutti, voglio una vita come gli altri.
Lo avete detto anche prima, però, che non sarà così. Io morirò, presto. Pensate forse che non mi sia accorta di niente? Pensate che sia così cieca ed ingenua? Ho visto che i vestiti mi vanno stretti dopo poco, ho visto che cresco troppo velocemente, ho visto che sono diversa da tutti voi. Sono sbagliata, qualcosa di malriuscito che a quanto sembra non doveva avere neanche il diritto di provare a vivere.
Ma perché allora voi me l'avete permesso? Mi avete condannata... e mi avete mentito. Vi siete fatti chiamare fratello e padre, vi siete presi gioco di me.
Dovevate dirmelo, non appena ho cominciato a parlare e capire. Dovevate prendermi e dirmi 'Ehi, Akemi, sei una bastarda venuta dal marÈ. Avrebbe fatto male, ma non come ora.'
I polmoni le bruciano per lo sforzo, il cuore potrebbe sfondarle la cassa toracica da un momento all'altro da quanto batte forte, la testa le gira, le lacrime sgorgano incontrollate.
Continua a farsi domande, continua a cercare risposte che sa di non poter trovare, continua a convincersi di essere un errore, di non meritare la vita.
Ma poi nella sua mente una serie di immagini, di ricordi, prendono forma, nitidi e luminosi. Il sorriso contagioso di Ace quando la vede, gli abbracci dolci e protettivi di Satch, le premure di Vista, gli insegnamenti di Marco, gli sguardi colmi di un amore smisurato di Barbabianca.
Li vede, li sente, e tutto diventa chiaro.
'Loro mi vogliono bene...' rallenta la sua corsa, senza però fermarsi ancora.
Le immagini scorrono, il cuore si riempie di una speranza, il cuore lentamente si scongela, rimargina le ferite, senza però cancellare le cicatrici.
'Anche se sono un errore, se sono fatta male, se sono difettosa? Mi volete bene, incondizionatamente? Pensate davvero che io sia vostra sorella? Pensi davvero, babbo, che io sia come una figlia per te? Non ti stancherai delle mie stranezze? Non arriverai al punto che dirai 'Basta, è troppo complicata, ributtatela in marÈ? Non mi abbandonerai anche tu?'
L'immagine dell'imponente uomo che la tiene sulla sua gamba, che le carezza la schiena e l'aiuta con le sue letture, o che le tiene una mano mentre è stesa sul lettino dell'infermeria con degli aghi nelle vene, le folgora il cervello.
Così capisce, capisce che le vuole bene sul serio, che non la lascerà andare, che le starà vicino finché il suo cuore malato riuscirà a battere, finché non esalerà l'ultimo respiro, tenendole la mano e accompagnandola nella sua strada.
Arresta finalmente la sua corsa, di colpo, rendendosi conto che non ha idea di dove sia finita, che non sente più la presenza degli altri, che è sola.
La paura la confonde, la paralizza. Non sa come tornare indietro, non sa come chiamare aiuto.
'Babbo...'
La speranza che la stiano ancora cercando, che continueranno finché non l'avranno portata sulla nave al sicuro, le riempie il cuore, rassicurandola un poco.
'Meglio se non mi allontano più...' pensa, mettendosi seduta con le spalle poggiate contro un grosso masso, stringendo le gambe al petto e nascondendo il viso tra le ginocchia, respirando piano, sperando di essere trovata.
Rimane immobile per una decina di minuti, accovacciata su sé stessa, con mille pensieri ad affollarle la mente, finché lo scricchiolio di rametti spezzati attira la sua attenzione.
Un odore nuovo, forte e mai sentito prima di allora, le arriva alle narici, accendendo in lei un campanello di allarme che la fa completamente paralizzare.
Non ha idea del perché il suo corpo sia bloccato, non ha idea del perché ha il respiro spezzato e neanche perché il suo cuore è completamente avvolto dalla paura, ma è ben consapevole che qualcosa di brutto sta per accadere, e tutto solo per quell'odore.
Dopo una manciata di secondi, due ragazzi escono dalla vegetazione con passo lento e calcolato, muovendosi in completa sincronia.
Quello più avanti ha una corporatura più massiccia rispetto al primo, la pelle olivastra, i capelli scuri che gli ricadono sul collo e sulla fronte, che mettono in risalto gli occhi dorati, e due vistosi tatuaggi: uno sul braccio destro, un tribale di un blu acceso, il secondo è su tutto il busto, raffigurante una specie di animale, una bestia simile ad un cane, senza coda e molto più mostruoso.
Il secondo invece ha i capelli sfilati di un dolce color rame, e anche lui ha gli occhi di un insolito color oro, anche se al contrario del primo è leggermente più basso e con il fisico slanciato, con la pelle più chiara, e con il tatuaggio posizionato su tutta la schiena. Entrambi indossano solo un paio di pantaloni di pelle nera a vita bassa, così da poter mostrare con fierezza i corpi scolpiti e le cicatrici di guerra che portano con orgoglio.
Il più giovane, quello con i capelli ramati, si avvicina ad Akemi con un paio di falcate, guardandola con una strana luce ad illuminargli gli occhi, come un predatore famelico che ha appena messo in trappola la preda «Ma guarda un po', fratello: l'agnellino si è allontanato dal gregge!» esclama con una certa nota di allegria, voltando un poco il capo verso l'altro, con un ghigno perverso ad increspargli le labbra sottili.
«Ed è finito in mezzo ai lupi...» il secondo è fermo, i muscoli tesi e gli occhi fiammeggianti puntati sul corpo tremante della bambina.
«Chi siete?» mormora con un filo di voce, pentendosi con tutta sé stessa di essersi allontanata così tanto da sola.
«Non ha importanza...» le risponde brusco il castano, facendo sghignazzare il fratello, che ancora studia nel dettaglio Akemi.
«Devo ammettere che la somiglianza è impressionante.» ammette infatti piegando un poco la testa da un lato, guardandola ora con una certa curiosità.
«Non è il momento per perdersi in inutili chiacchiere, fratello. Il nostro Signore la sta aspettando.» lo riprende bruscamente, quasi ringhiando. Ha fretta, vuole chiudere quella faccenda e tornare a casa. Non è più abituato ormai a girare liberamente per le varie isole, si sente quasi perso.
Il minore gli lancia un'occhiata scocciata, desideroso al contrario di divertirsi un po' prima di far rientro, ma velocemente si arrende sbuffando sonoramente, raggiungendo Akemi con pochi passi e afferrandola con una certa delicatezza per il polso.
Ovviamente però la bambina non è dell'idea di farsi mettere le mani addosso dai due estranei, e subito comincia a dimenarsi come un anguilla, tirandogli dei poderosi pugni nel braccio.
«No, lasciami!»
Il ragazzo si ritrova per un attimo costretto a mollare la presa quando Akemi gli artiglia il braccio, squarciandogli la pelle quasi fino all'osso.
«È forzuta la creatura!» ringhia a denti stretti, abbandonando tutta la sua delicatezza e piantandole a propria volta gli artigli neri nella spalla, facendola urlare di dolore.
«Non farle male.» lo riprende con tono annoiato il maggiore, restando con le braccia incrociate al petto e guardando il fratello con aria disinteressata «Non te lo perdonerebbe facilmente.»
«Afferrala tu, allora!» gli ringhia contro, assai innervosito, mentre un ringhio forte e minaccioso gli risale su per la gola «Smettila di graffiarmi, porca puttana!» le urla contro, graffiandole con cattiveria il petto per spaventarla quel tanto che basta per farla paralizzare.
Ma qualcosa non quadra: il taglio che Akemi gli ha precedentemente lasciato sul braccio non guarisce come dovrebbe, le forze lentamente vanno scemando, la testa comincia a fargli male e la vista ad offuscarsi.
Involontariamente lascia la presa su Akemi e si accascia al suolo, respirando affannosamente, lasciandole così il tempo di scappare.
«Merda...» mormora, tenendosi una mano sul braccio ferito e mugolando per l'insopportabile bruciore.
«Geri, che ti succede?» il fratello, preoccupato per la strana reazione, si inginocchia al suo fianco e gli mette una mano al lato del viso per poterlo guardare negli occhi.
«Non lo so... non ho le forze per stare in piedi...» ansima in risposta, mentre una forte nausea gli ribalta lo stomaco «Freki...»
«Resta fermo qui, la prendo e ti porto al sicuro.» lo rassicura il fratello, trascinandolo con delicatezza fin sotto ad un cespuglio per poterlo nascondere, mettendogli in mano una pistola per sicurezza «Tieni questa.»
Detto questo sparisce velocemente dentro la fitta vegetazione, correndo dietro all'inconfondibile odore che la bambina si è lasciata dietro di sé. Un ghigno sadico gli increspa le labbra mentre l'adrenalina dovuta alla caccia gli fa vibrare il cuore.
Akemi continua a correre terrorizzata verso la costa, sperando di incontrare qualche membro della ciurma sulla sua strada. Magari proprio il capitano, colui che sicuramente più degli altri farebbe tremare i suoi aggressori.
«È inutile che scappi...» la voce di Freki le arriva alle orecchie nitidamente, facendole aumentare involontariamente il passo «Non puoi sfuggirmi...»
Corre con quanta più forza può, quasi senza respirare, con il cuore che le batte all'impazzata e la consapevolezza agghiacciante che il nemico è vicino a lei, che la sta braccando, come un predatore che punta la preda indifesa, quando, con sua somma gioia, nota non troppo lontano l'inconfondibile capigliatura del primo comandante.
«MARCO!» urla con tutta l'aria che ha nei polmoni, correndogli incontro fino a finirgli tra le braccia.
Marco l'afferra saldamente per le spalle, staccandosela di dosso e puntando gli occhi nei suoi, furibondo «Che diavolo ti è saltato in mente, si può sapere?! Il babbo è preoccupato a morte!» le urla contro, notando solo in seguito i profondi solchi nella spalla e il graffio sul petto «Chi ti ha fatto questo?» mormora con un filo di voce, permettendole di stringerlo e lasciandola piangere tra le sue braccia, con un misto di preoccupazione e rabbia nera che gli invadono il cuore.
«Uhhh, Marco la Fenice... era da tempo che fremevo dalla voglia di incontrare un pirata degno di nota.» il diretto interessato volta di scatto la testa, trovandosi di fronte ad un ragazzo che lo guarda con un sorriso strafottente sulle labbra, poggiato con disinvoltura alla corteccia di un albero.
«Akemi, è stato lui a farti questo?» ringhia, livido di rabbia, stringendo automaticamente le braccia attorno al corpo tremante della bambina, che nega quasi impercettibilmente con la testa.
«Come l'hai chiamata?» domanda con tono sorpreso Freki, guardandolo per una frazione di secondo con espressione scocciata, per poi ricomporsi e sorridere di nuovo «Non importa. Comunque no, Fenice. Io avrei fatto molto peggio di così, te lo posso garantire.»
«Ti consiglio caldamente di andartene. Ora.» si alza con un movimento fluido e lento, Marco, portandosi la bambina alle spalle e guardando l'avversario con una rabbia che non credeva neanche di poter provare.
«Sennò che mi fai?» Freki freme dalla voglia di attaccarlo, di farlo a pezzi e di riportare il bottino al suo Signore, ma quando nota le fiamme blu ricoprire il braccio del pirata comprende che la situazione è ben più complicata del previsto.
Ma non si arrende, non lo farebbe mai.
Scatta in avanti velocemente, più di quanto Marco potesse prevedere, e con una forza brutale gli artiglia il busto, squarciandolo dalla spalla sinistra fino al fianco destro, atterrandolo.
'Neanche tu puoi niente contro di me!' ghigna vittorioso, avvicinandosi con passo deciso verso Akemi, seduta a terra, tremante «Non fare storie adesso.»
È convinto di aver vinto, di essere superiore a tutto e tutti, ma questa volta la sua superbia gli gioca un brutto tiro, facendogli sorprendentemente sottovalutare l'avversario, che lo ha prontamente calciato indietro prima che potesse mettere le mani sulla bambina.
Il suo addome è orribilmente ustionato, il dolore gli annebbia la vista, e il terrore gli invade la mente.
'Non guarisco, cazzo!' si alza a fatica, venendo però ributtato a terra da un pugno ben assestato in pieno volto.
In tanti anni non aveva mai combattuto senza il sostegno del fratello, e solo in quel momento si rende conto di quanto per lui sia necessario.
'Devo ritirarmi...' con tutte le sue forze artiglia una gamba al pirata con uno scatto fulmineo, recidendogli i tendini dietro al ginocchio, riuscendo così a sgusciare a debita distanza prima che si riprenda.
«Non finisce qui...» mormora furioso, sia con sé stesso che con i due, lanciando a terra una piccola capsula scura, creando così una densa nube di fumo scuro che gli permette la fuga.
«Ci incontreremo di nuovo, Akemi...» l'eco della sua voce arriva nitido alle orecchie dei due, che però tirano un sospiro di sollievo per aver scampato il pericolo.
Marco osserva con attenzione il circondario, pronto ad un eventuale attacco, ma si rende presto conto che sono rimasti soli.
Si gira così verso di lei, guardandola con sguardo triste e preoccupato, avvicinandosi lentamente e piegandosi fino a raggiungere il suo volto imbrattato si sangue.
«Tutto bene?» le passa una mano sulla testa con quanta più delicatezza può, venendo però scansato bruscamente.
«NO! Non va bene per niente!» gli urla contro Akemi, strisciando indietro di scatto e alzandosi in piedi, traballante, guardandolo con gli occhi pieni di lacrime scarlatte «Perché non me lo avete detto subito?!»
Si guardano negli occhi per un tempo che pare infinito per entrambi, e alla fine Marco si trova a sussurrare un semplice «Non lo so...», che fa arrabbiare ancora di più Akemi, che ora non riesce più a trattenere le lacrime.
Purtroppo, però, è vero: neanche Marco sa perché nessuno le ha detto che era stata trovata in mare.
'Siamo stati degli idioti a non pensarci... e a credere che lo sapesse.'
Le si avvicina cautamente, riuscendo in fine ad afferrarla per un braccio e tirarla verso di sé, stringendola in un abbraccio protettivo che riesce a rilassare il corpo tremante della bambina.
Le carezza piano la testa, stringendola e lasciandola piangere, senza accennare neanche per un istante a volerla lasciare andare, comprendendo finalmente l'affetto dei suoi fratelli nei suoi confronti.
«Forza, non piangere...» mormora con tono pacato, alzandole il viso tenendole due dita sotto al mento «Sei molto più carina quando sorridi, sai?»
Akemi lo guarda con sguardo addolorato, perso e spaventato, e in poco si ritrova costretta ad abbassare lo sguardo, incapace di sostenere quello fermo e deciso del pirata «Ho paura, Marco...» pigola con voce spezzata, tirando su col naso «Perché mi volevano portare via?»
«Non lo so...» una fitta di rabbia gli trapassa il cuore, facendogli provare il forte e quasi irresistibile desiderio di lasciarla lì per inseguire quel bastardo, ma nel momento esatto in cui i suoi occhi incrociano quelli cristallini ed impauriti della minore, quel senso di rabbia viene sostituito da uno ancora più forte di protezione «Ma una cosa la so per certa, Akemi: tu non devi avere paura, perché non permetteremo a nessuno di farti del male. Hai capito bene? Non ti faranno mai del male. Mai

Dopo averla consolata ed essersela caricata in braccio, Marco torna con passo calmo fino alla nave, dove trova gli altri comandanti a sbraitare ordini ai loro sottoposti al fine di trovarla.
«Non ce n'è più bisogno.» li avverte con tono pacato, sorridendo appena, tenendo Akemi stretta a sé, passandole delicatamente una mano sulla schiena.
'Finalmente ha smesso di tremare.'
I vari pirati gli corrono incontro e Satch, senza tante storie, gli strappa la bambina dalle braccia, soffocandola in un abbraccio.
«Non farlo mai più, Akemi. Mai.» trattiene a stento delle lacrime di gioia, immergendo il viso nei suoi capelli corvini, non permettendo a nessuno di portargliela via. È sua, la sua sorellina, nessuno ha il permesso di toccarla.
Nessuno, eccetto una persona.
«Akemi.»
La bambina alza piano gli occhi, incrociando quelli tristi del capitano, fermo e statuario di fronte a lei.
Nuove lacrime le rigano le guance ancora sporche, e in un gesto automatico allunga le braccia in sua direzione, chiedendogli silenziosamente scusa per averlo fatto preoccupare, per essere scappata così, stringendosi a lui con tutte le sue forze, piangendo sulla sua spalla, tremando.
Barbabianca la stringe con forza, il cuore oppresso dalla paura di aver perso la sua fiducia, il suo amore.
«Babbo...» nel sentirgli nominare quella semplice ma importante parola stringe ulteriormente la presa, guardando con sollievo i figli, soffermandosi su Marco.
Non sa neanche come ringraziarlo per averla trovata e riportata a lui, sana e salva, ma qualcosa nel suo sguardo gli fa capire che qualcosa è andato storto, motivo per cui più tardi ci parlerà in privato.
«Scusami babbo...» pigola Akemi, riportandolo alla realtà.
Gira un poco la testa per cercare i suoi occhi, trovandoli immediatamente, malinconici come mai li aveva visti.
«Scusami te, piccina. Dovevamo dirti subito la verità...» non molla la presa neanche per un istante, senza staccare gli occhi dai suoi, passandole una mano sulla testa con incredibils dolcezza e delicatezza.
Akemi lo fissa a sua volta, leggendo nitidamente i sentimenti dell'uomo nei suoi occhi, decidendo però di togliersi ogni dubbio «Non mi abbandonerai mai?»
L'imperatore sgrana lievemente gli occhi, sorprendendosi di quella domanda, sciogliendosi in poco e sorridendole dolcemente, lasciandole un vaporoso bacio sulla fronte «Tu sei mia figlia, Akemi. Darei la mia vita per te, e voglio vedere ogni giorno il tuo sorriso, sapere che ti sto dando una vita piena e felice. Voglio solo il meglio per te.»
I vari pirati lo guardano commossi, consapevoli che quei sentimenti così forti valgono anche per loro, ringraziando silenziosamente per aver avuto la grande fortuna di incontrarlo e di poter ricevere il grande dono di una famiglia e di un affetto così incondizionato.
«Io ti voglio veramente bene, Akemi, e spero con tutto me stesso che tu riesca a considerarmi ancora tuo padre.»
Akemi si stringe ulteriormente a lui, immergendo il visetto nel suo petto, con un macigno in meno sul cuore, adesso colmo di gioia e di speranza.
«Ti voglio bene, papà.»
'Forse, tutto sommato, così sbagliata non sono...'


«Il capo ci spaccherà il culo...» borbotta Geri, tenendosi una mano sugli occhi per ripararli dalla luce incredibilmente fastidiosa.
Freki, al suo fianco, continua a spalmarsi un unguento dall'odore forte e penetrante sull'addome ferito, ringhiando a denti stretti per il dolore che quel semplice gesto gli provoca.
«Da quant'è che non venivamo sconfitti?» domanda subito dopo Geri, ridacchiando appena, divertito da quella situazione per loro assurda.
Lentamente il medicinale che gli ha somministrato il fratello fa effetto, attenuando la nausea e le fitte alla testa, donandogli un minimo di sollievo.
«Da quando ci siamo scontrati con la strega.» ringhia in risposta l'altro, pentendosi immediatamente per aver usato un tono così duro con il minore. Dentro non riesce a perdonarsi di non averlo aiutato, anche se non gli viene fatto pesare nulla.
«Ti sbagli, Freki. Noi non abbiamo combattuto con lei, ma con il suo fedele cucciolotto, ricordi? Cazzo, non scorderò mai le botte che ci diede. Forse è addirittura più forte del nostro Signore!»
«Non dire puttanate, Geri. Nessuno è più forte di lui, neanche il capitano dello stronzo che mi ha fatto questo.» borbotta con tono infastidito, indicandosi l'addome sfregiato.
Geri scoppia in una grossa risata, ignorando il dolore che ciò gli provoca un po' ovunque «Un piccione blu ti ha fatto il culo!»
«Sta zitto.»
«Ti prenderanno tutti in giro!»
«Sta zitto!»
«Per il prossimo decennio, quando meno, sei fregato!»
«GERI!» i due si guardano dritti negli occhi per un breve istante, dove il minore non mostra il minimo senso di timore. Sa bene che Freki non gli farebbe mai del male, quindi non ha motivo di preoccuparsi, al contrario di chiunque altro.
Rimangono in silenzio per qualche minuto, pensando ognuno ai fatti propri, finché Geri non rompe quel rilassante silenzio «Comunque, devi ammetterlo: la somiglianza è sorprendente!»
Freki ridacchia appena, sorprendendosi per l'incapacità del fratello di restare serio per più di cinque secondi di fila e passandosi una mano sul volto con aria sconsolata.
«Pensi che manderà qualcun altro, adesso?»
«Non lo so, Geri. Può darsi.» ammette tranquillo, sdraiandosi al suo fianco e chiudendo gli occhi, più che intenzionato a riposarsi prima di ripartire «In ogni caso, presto o tardi, sarà lei a cercare noi.»
«Dici?»
«Ovviamente, fratello; la situazione diverrà così insostenibile per lei che non potrà farne a meno.» un sorrisetto divertito gli si allarga sul viso, tanto inquietante da far rabbrividire «I mostri stanno sempre con i mostri.»




Angolo dell'autrice:
Io mi devo dare una calmata. Assolutamente!
Cioè, sono piena di idee, continuo a scrivere pezzi di capitoli a oltranza (non avete idea delle scene che ho già preparato... MUAHAHAH!), pubblico a raffica, mi gaso come una bestia ad ogni recensione e quindi aumento il ritmo fino a fondermi il cervello! Poi, cavolo, scrivo dei poemi, non dei capitoli! X'D
Ok. Basta. Calmiamoci almeno adesso. Basta figure di merda. (Sè... come se fosse possibile.)
Che ne pensate? Ammetto che ho avuto qualche difficoltà a scriverlo, non riuscendo a rendere a pieno le varie emozioni. Temo anche di aver reso la cosa in modo troppo superficiale, a dire il vero! >.<
Vabè, spero che comunque un po' vi sia piaciuto. C'ho messo un sacco d'impegno!
Come avete ben capito, adesso per Akemi e la ciurma iniziano le rogne. Tra la personalità ambigua della ragazzina, i suoi problemi fisici, gli psicotici che la cercano... insomma, per loro se ne vedranno delle belle. In realtà, per quanto ve ne possa fregare, tra non molto arriverà anche un altro significativo problema per due componenti della ciurma (uno immagino che lo immaginiate già, mentre l'altro... boh! xD).
Ma anche per Akemi i problemi sono solo all'inizio: incubi, malori e pazzi sono solo la punta dell'iceberg! Tra non molto entreranno in gioco i suoi di sentimenti. Sentimenti contrastanti che la faranno dannare e quasi uscire di senno.
Inolte in una recensione (GRAZIE Vivy y!♥) mi è stata fatta notare una cosa: nel secondo capitolo scrissi che Akemi cresce di due anni ogni giorno, ma quella era solo una supposizione delle infermiere. La sua crescita non ha un ritmo definito, ma è comunque legata ad un dettaglio che poi spiegherò in seguito. (In questa storia c'è tanto casino e mistero! YO!)
Ma vi sto rivelando sin troppo... penso sia meglio passare ad una cosa assai più importante di questi sproloqui senza senso: I RINGRAZIAMENTI!
Grazie per le magnifiche recensioni -giuro, le ho adorate!- di Vivi y, Lucyvanplet93, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, ankoku, Yellow Canadair e iaele santin.
Grazie anche a: ankoku, D_ann, Incantatrice_Violeta, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, Portuguese D Ice e Yellow Canadair per averla messa tra le preferite.
Balalaika_, Tanimura, Ikki, Kyuubi10, LallaOrlando, Mistery_Lawliet, Portuguese D Ice, Portuguese D Rogue, Puffetta96, Vivi y, Yellow Canadair, Zefiria BlackIce e _Takkun_ per averla messa tra le seguite.
Portuguese D Ice per averla messa tra le ricordate.
Davvero gente: GRAZIE MILLE DI CUORE! È solo grazie al vostro appoggio che riesco a scrivere questa storia! Senza di voi non riuscirei più a trovare tutta l'ispirazione e forse neanche la voglia. ;P
Beh, anche per questa volta vi saluto! Un bacione a tutti quanti, al prossimo capitolo!♥

PS: i nomi dei due cattivi non sono stati scelti a caso, ma hanno un significato per mirato ;)

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Capitolo 6
*** 6. Istinto ***


Piccolo avvertimento: è passata una settimana dagli ultimi avvertimenti, giusto per essere chiari :)
È vero che vedrò di farlo intuire lo stesso durante il testo, ma sono una sega improponibile, ed essendo questa una storia già abbastanza confusa di per sé, preferisco puntualizzare almeno queste piccole cose.
Ok, dopo questo inutile appunto, vi lascio alla lettura di questo nuovo capitolo... spero che vi piaccia! :)

 

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Non c'è istinto pari a quello del cuore.
Lord Byron


Nel freddo e asettico lettino dell'infermeria, sorvegliata dallo sguardo vigile di Tachi, Akemi dorme, mentre il deflussore è in azione e lascia fluire nuovo sangue nelle sue vene quasi asciutte.
Il suo corpo snello è immobile e freddo.
I capelli lunghissimi e di un nero quasi accecante ricadono morbidi sul materassino, sinuosi.
Il viso pallido è rilassato grazie ai forti sedativi che le sono stati somministrati.
Tachi la guarda, notando quanto quel trattamento le stia facendo visivamente bene: le labbra screpolate sono di nuovo morbide e rosee, la pelle secca e rovinata sta tornando velocemente vellutata e luminosa, i capelli sfibrati sono di nuovo forti e lucenti.
Nella sua mente non riesce a far altro che paragonarla ad un fiore che sta sbocciando in tutto il suo splendore. Un fiore che appassisce velocemente, e che sembra rinascere solo quando viene annaffiato. 'Annaffiato con del caldo e denso liquido scarlatto...'
Lascia poi vagare lo sguardo sui segni neri che le sono apparsi sui polsi durante la settimana: sono linee sovrapposte, morbide e delicate, che danno vita a dei simboli che nessuno di loro ha mai visto.
Oltre a quei due, posti ognuno all'interno di un delicato e pallido polso, ne ha altri quattro sparsi per il corpo: uno sotto al seno sinistro, uno dietro al collo, uno poco sotto l'orecchio sinistro e uno sul piede destro.
La cosa bizzarra, oltre ovviamente al fatto che siano spuntati dall'oggi al domani, è il fatto che sono diventati più nitidi e precisi con il passare dei giorni. Tutti, eccetto quello ancora appena accennato e sbiadito sulle costole.
«Ehi...» Satch, silenziosamente, è entrato nell'infermeria, osservando con una malcelata preoccupazione la sorellina dormiente.
«Comandante Satch!» l'infermeria si alza di scatto dalla sedia, chinando un poco il capo in segno di rispetto, facendolo sorridere lievemente. Non ha ancora capito, Tachi, che lui non è tipo da queste cose.
Si mette seduto sul bordo del letto e giocherella con le punte dei capelli della ragazza, guardandola con attenzione, notando quanto il suo corpo sia cambiato.
Le gambe si sono allungate, diventando affusolate e snelle, lisce come la seta e tanto pallide da farle sembrare fragili; il viso è diventato più maturo, donandole uno sguardo dolce e determinato; il seno ha cominciato a svilupparsi, arrotondandosi, ancora poco però; la vita si è accentuata, sottile e delicata. Il tutto è messo incredibilmente in risalto dalla pelle candida, che le da un aria fragile e dolce, come una graziosa bambola di porcellana.
«È molto bella, non trovate?» domanda con tono quasi imbarazzato l'infermiera, sorridendo timidamente.
«Tanto bella quanto inquietante.» le passa la punta delle dita su uno zigomo, stando ben attento a non disturbare il suo sonno incredibilmente tranquillo «Oltre che inquietante, aggiungerei anche eccentrica, egocentrica e decisamente troppo curiosa!» aggiunge subito dopo, sorridendole «L'altro giorno ha avuto un'accesa discussione con Teach sul sesso. Avresti dovuto vederli! Uno che afferma una cosa e lei che la smonta, vantandosi delle sue grandi conoscenze e prontamente il primo la sfotte, dandole dell'inesperta poppante che conosce tutto solo in modo teorico ma che non ha la più pallida idea di come sia in pratica. È stato esilarante.»
«Immagino quanto ne sia lieto il capitano...» scherza Tachi, nascondendo il sorriso dietro ad una piccola mano dalle unghie ben curate.
«È terrorizzato all'idea di attraccare alla prossima isola!» sbotta il pirata, sorridendole allegro «È convintissimo che andrà a cercarsi un ragazzo a caso per ripicca a Teach!»
«Ne sarebbe pienamente in grado, lo dovresti sapere.» i due si voltano verso la voce profonda e roca di Fossa, che passava per caso di lì e ha per sbaglio origliato la conversazione «Prende troppo sul serio le sfide e le provocazioni.»
«Ahhh, tu la sottovaluti. Non è così stupida da svendersi per dispetto.»
Fossa sbuffa lievemente, non riuscendo ancora a capire da dove arrivi tutta quell'adorazione nei confronti della ragazza stesa nel letto. Si, le vuole bene come se fosse sua sorella di sangue, quasi come se fosse sua figlia, ma di certo non trova ogni singolo pretesto per elogiarla!
Satch torna a concentrarsi sulla ragazza, guardandola con aria spazientita «Quanto manca?»
«Pochi minuti e dovrebbe svegliarsi. Ormai il processo è agli sgoccioli.»
Annuisce distrattamente, domandandosi cosa stia sognando. A giudicare dalle smorfie, sicuramente niente di gradevole, ma fortunatamente neanche di così orribile da farla urlare come un'indemoniata.
Infatti, nell'ultima settimana, i suoi incubi sono andati sempre peggiorando.
Ormai hanno stipulato tra di loro dei turni per andare a svegliarla o a dormire direttamente nella sua stanza.
La sera precedente era toccato proprio a lui, e quando finalmente era riuscito a svegliarla, è quasi rabbrividito nel sentire cosa stesse sognando. Scene di tortura, morte, distruzione. Alla fine di ogni sogno, poi, è sempre lei a morire, in maniere atroci e oltremodo fantasiose.
La cosa bizzarra di questi incubi, poi, è la costante presenza di un uomo. Un uomo che Akemi descrive come incredibilmente bello, affascinante, che muore sempre poco prima di lei.
Di tanto in tanto le parla, sussurrandole parole che però non comprende, facendola rabbrividire.
'Cos'hai nella testa?'
Le passa una mano sulla guancia, sorridendole allegramente quando apre lentamente gli occhi, ancora intontita «Ma ben svegliata, bella addormentata!»
Akemi mugugna qualcosa d'incomprensibile, passandosi stancamente una mano sul viso e staccandosi con una certa furia le flebo attaccate alle sue braccia.
«Detesto farlo...» borbotta, mettendosi lentamente a sedere e tenendosi la testa tra le mani.
Per un verso si sente sempre magnificamente non appena finisce di fare la trasfusione, ma per un altro si sente sempre a pezzi, spossata e soprattutto irritata.
«Immagino.» le afferra di nuovo una ciocca di capelli, rigirandosela tra le dita con attenzione, ignorando il ringhio basso che proviene dalla gola della giovane, che detesta che le vengano toccati «Direi che vanno tagliati, che ne dici?»
«Perché, scusa?»
«Perché sono decisamente troppo lunghi. Insomma, ti sfiorano le ginocchia! Quando ti ritroverai a combattere, saranno d'intralcio e basta.»
Akemi sbuffa, non entusiasta all'idea di dire addio ai suoi adorati capelli, e annuisce piano con la testa, facendosi aiutare ad alzarsi e seguendo un più che esaltato Satch fin dentro la sua cabina.

«Oh mio Dio!» Ace non riesce a trattenere una fragorosa risata alla vista del nuovo taglio della sorellina, cosa che attira su di lei gli sguardi di tutti i presenti.
«Ace, te lo dirò una volta sola: falla finita!» gli ringhia contro, buttandosi a sedere sui suoi cuscini accanto al padre.
«Stai molto bene, Akemi.» volta lo sguardo verso il padre, guardandolo con aria corrucciata da sotto la frangia che le copre le sopracciglia.
«Sembro una bambola!» ringhia offesa, mettendosi le mani sulla testa come per nascondersi, sentendosi incredibilmente nuda senza la lunga chioma a ricoprirle la schiena, adesso corta fino alle scapole.
«Sei un'irriconoscente!» scherza Satch, soddisfatto del risultato.
Akemi lo segue con lo sguardo mentre raggiunge gli altri pirati e si mette al lavoro, giocherellando con il collo alto della sua maglia, che ha personalmente creato usandone alcune vecchie dei compagni.
«Perché non vai ad aiutare tua sorella ad affilare le lame?» le suggerisce Barbabianca, notando chiaramente quanto si stia annoiando a star li a far niente, sicuramente in attesa della nuova sessione di allenamento a cui viene sottoposta ogni giorno.
Lo ha deciso insieme a Marco, dopo che questi gli ha raccontato quanto accaduto a Nefeli, per la sua sicurezza. Ed è proprio Marco l'incaricato, per sua somma gioia.
In quel momento, la Fenice legge le ultime notizie sul giornale con aria assorta, seduto sul parapetto con le gambe ciondoloni e Akemi lo osserva di sottecchi, sorridendo della sua espressione incredibilmente concentrata.
Il loro rapporto non è più glaciale, ma lievemente più tiepido. Di tanto in tanto tra loro c'è anche qualche scambio di battute, il più delle volte pungenti, ma alla fine anche lei si è accorta che la scontrosa Fenice non disprezza più di tanto la sua presenza.
Quando però Marco alza la testa, sentendosi osservato, Akemi schizza sottocoperta ad una velocità sorprendente, non tanto però da non essere vista dal comandante, che ridacchia appena.
La trova strana, anche se meno insopportabile di quando era una bambinetta, e incredibilmente si è trovato ad ammirarne la determinazione, anche se ha ancora un lungo lavoro da fare.
Nel frattempo Akemi ha raggiunto Halta, intenta ad affilare spade e pugnali, non rendendosi neanche conto del suo arrivo.
«Niente commenti.» afferma sorridendo, trattenendo a stento una risata quando la sorella per poco non si affetta una mano.
«Cretina! Non si arriva mai alle spalle di una persona che maneggia delle armi!» la sgrida, senza però riuscire a mantenere la serietà di fronte al suo nuovo look «È opera di Satch, non è vero?»
Akemi annuisce distrattamente, rigirandosi tra le mani un pugnale dal manico elaborato, assorta nei suoi pensieri.
«L'ho sognato di nuovo...» mormora, senza guardarla.
Halta alza lo sguardo sull'amica, dispiaciuta per lei. 'Non riesce a trovare un attimo di pace...'
«Cosa faceva?» le domanda con tono piatto, pronta a consolarla e rassicurarla come ormai fa ogni giorno, e come ha fatto due notti prima.
«È cominciato tutto su una spiaggia. Il sole stava tramontando, il mare era calmo e illuminato da una calda luce rossastra... non tirava una bava di vento.»
«Sembra uno scenario meraviglioso.»
«Già, peccato solo che ci fossero brandelli umani sparsi un po' ovunque...» mormora con un certo disgusto nella voce, cercando di trattenere il timore che prova anche in quel momento al solo ricordare «Io scappavo come sempre dalle ombre, le avevo anche staccate di parecchio... quando d'un tratto eccolo lì, statuario come sempre, di una bellezza così accecante che per un attimo mi ha abbagliata, facendomi fermare.
Le ombre mi hanno ovviamente raggiunta e fatta a pezzi e, prima che esalassi l'ultimo respiro -e Satch mi svegliasse-, ha biascicato qualcosa sul 'lasciarlo andarÈ, o una cosa simile. Poi è stato trafitto al cuore come al solito.»
Halta la guarda rattristata e di slancio le prende una mano tra le sue, cercando i suoi occhi «Sono solo sogni, Akemi. Non devi continuare a pensarci, sennò non smetteranno mai.»
«Forse hai ragione.» ammette, prendendo una spada e cominciando ad affilarne la lama come le è stato insegnato da Vista «Dovrei trovare qualcos'altro a cui pensare prima di andare a dormire.»
«A qualsiasi cosa, basta che non sia quel bastardo di un marine!» ridacchia la comandante, tirando un sospiro di sollievo quando la sente ridacchiare a sua volta.
«È un bell'uomo, altro che!»
«Chi è un bell'uomo?» la testa di Marco fa capolino dalla porta, facendole sobbalzare appena «Ho finito prima, se sei pronta si comincia ora.»
Akemi abbassa prontamente lo sguardo, annuendo con finto disinteresse e raggiungendolo con passo calmo, non riuscendo però ad ingannare Halta.
Per quanto sia mascolina, per quanto non le siano mai interessate quelle cose, resta pur sempre una donna, e ormai ha imparato a conoscere a sufficienza la ragazza per comprendere quando ha qualcosa che non va.
'Penso di aver trovato qualcosa che potrebbe distrarla dalle sue preoccupazioni...'
I due pirati camminano in silenzio, dirigendosi con calma verso la grande sala adoperata come palestra dove ormai passano minimo tre ore al giorno. Stanno fianco a fianco, ma comunque a debita distanza, entrambi con le mani in tasca e lo sguardo fisso di fronte a sé.
«Non hai risposto alla mia domanda, prima.» afferma sovrappensiero Marco, vagamente incuriosito. In fondo ha di quelle uscite troppo divertenti per lasciare un qualsiasi discorso sospeso.
«Se te lo dico mi prendi a calci nei denti.» scherza ridacchiando Akemi, ritrovando a domandarsi perché si senta così a disagio con lui in quegli ultimi due giorni.
Quello strano stato d'animo, in realtà, ha cominciato a farsi sentire quando è entrata nella stanza del comandante e l'ha trovato appena uscito dalla doccia con un asciugamano poggiato in vita. Lui non si è scomposto di un millimetro, completamente indifferente alla cosa, mentre il cuore di Akemi ha cominciato a battere in modo irregolare. Da quel preciso istante, trovarsi vicino a lui la mette incredibilmente a disagio.
«Tanto ti ci prenderò comunque tra poco, almeno avrò una ragione.»
«Ma quanto sei simpatico, sottospecie di ananas mutante!»
Marco si volta verso di lei, fulminandola con lo sguardo, mentre lei gli fa la linguaccia come una bambina.
«Si tratta ancora di Shanks?» alza gli occhi al cielo, Marco, ricordandosi delle parole che Akemi aveva detto ad Ace riguardo ad un futuro stupro che avrebbe compiuto ai danni dell'imperatore o una cosa del genere.
«Shanks è Shanks, niente storie. Ma no, non si tratta di lui.» affretta un poco il passo per sicurezza, voltandosi verso di lui e gli sorride con aria colpevole «Si stava riferendo a...» un improvviso senso di profonda vergogna le annoda la lingua, impedendole di dire quel semplice nome, che la porterà sicuramente a delle prese in giro per un lungo periodo di tempo.
«A...?»
Akemi farfuglia quel nome, incomprensibile alle orecchie del pirata che subito insiste, divertito dal vederla così in imbarazzo. Non ha idea neanche lui del perché lo trovi così divertente, ma proprio non riesce a farne a meno.
«Smoker, ok? Smoker!»
Marco la guarda con sguardo allibito, fermo nel corridoio con le braccia stese lungo i fianchi «Mi stai prendendo in giro...»
«No, sono serissima. Lo trovo un gran bell'uomo.»
«Ma è un marine!» non riesce a trattenere le risate, Marco, domandarsi cosa frulli veramente nella testa di quella ragazzina «La favoletta che ti raccontò Satch quando eri una poppante non ti è servita a niente, a quanto pare.»
«Dici quella della zoofila?» domanda Akemi per sicurezza, ridacchiando appena al ricordo piuttosto nitido di quel racconto che, adesso, le sembra estremamente assurdo.
«Proprio quella.»
Entrano nella palestra, ridacchiando, e per grande allegria della ragazza gli allenamenti hanno inizio quasi immediatamente.
La fa allenare con attrezzi e le insegna l'arte della spada, del combattimento corpo a corpo, cercando tutto insieme di farle mantenere l'equilibrio, cosa che le risulta più difficile di tutto.
Marco suppone che questo suo difetto sia dovuto alla sua crescita troppo repentina, che non le permette di governare un corpo in continua evoluzione e quindi estraneo.
Ma la realtà è un'altra: non ci riesce proprio, non in quel contesto. Deve usare una forte concentrazione per riuscire a muoversi in modo aggraziato e non cadere a terra, e sembra riuscirle in maniera particolare quando prova sensazioni forti e, soprattutto, sgradevoli.
Infatti, dopo un colpo volutamente a vuoto del comandante, Akemi perde l'equilibrio e scivola all'indietro, aggrappandosi prontamente al suo polso, portandoselo così dietro.
Si ritrovano, con suo sommo imbarazzo, sdraiati l'uno sull'altra, ammutoliti.
Dopo un momento di smarrimento, però, Marco ritrova la sua solita arroganza e si alza, schernendola «Sei davvero un'imbranata!»
«Maledetto anatroccolo, è tutta colpa tua!» si rialza a sua volta, spingendolo in malo modo con una mano, bloccandosi poi di colpo con lo sguardo fisso sul piccolo oblò dietro alle spalle del pirata.
«E in che modo sarebbe colpa mia? Sentiamo!» il sorriso strafottente della Fenice sparisce velocemente nel notare lo sguardo smarrito della minore, e in poco lo segue, accorgendosi di un dettaglio bizzarro «Da quando i corvi volano in mare aperto?»
Akemi corre fuori dalla stanza, ignorando deliberatamente i richiami del comandante, dirigendosi di corsa sul ponte della nave, alla ricerca del volatile che adesso le vola sopra la testa.
«Non ci credo...» mormora, allungando un braccio per toccarlo, facendolo però allontanare.
«Che ci fa una cornacchia qui?» domanda Satch, inarcando un sopracciglio.
«È un corvo imperiale...» mormora, continuando a fissarlo con una certa insistenza, incrociando così gli occhi piccoli e neri dell'animale «Ti ho già visto, non è vero?»
«Parli con gli uccelli adesso?» la schernisce senza cattiveria Izo, mettendosi al suo fianco, venendo però interrotto dal forte gracchiare del volatile, che comincia a volare in una decisione ben precisa e in maniera sorprendentemente lenta.
Akemi corre sull'albero di vedetta e sfila il cannocchiale al pirata che stava sorvegliando il circondario, puntandolo nella stessa direzione in cui il corvo vola, vedendo, seppur come una macchiolina minuscola, un'isola.
Salta giù dall'albero velocemente, atterrando in piedi con grazia e correndo verso il genitore, con un forte senso di eccitazione che le aleggia nel cuore.
«Ah, ora diventi agile?» borbotta Marco, giunto anche lui sul ponte della nave per darle una bella lavata di testa per averlo mollato come uno scemo.
«Babbo, dobbiamo seguirlo!» urla, piantandosi di fronte alla sua imponente figura.
«Non rientra nella nostra rotta.» tuona con voce dura, nascondendo così la sua enorme curiosità nel vederla reagire in quella maniera bizzarra.
«Babbo, ti prego. Non te lo chiederei se non fosse davvero importante per me.» lo guarda quasi con disperazione, mentre l'idea di saltare giù dalla nave e raggiungere l'isola a nuoto diventa incredibilmente invitante «Non ne ho la certezza assoluta, ma credo che sia lo stesso corvo che vedo ogni volta nei miei sogni prima dell'apparizione dell'uomo.» ammette infine, guardandolo con occhi supplichevoli.
Barbabianca esita per un attimo, dando poi il comando di fare rotta per quella piccola isola non segnata sulle carte.
«Adesso seguiremo ogni singola bestia che incontriamo perché dice che è nei suoi sogni?» borbotta sorpreso Satch, guardando il capitano con uno sguardo che va dall'incredulo al contraddetto.
L'uomo non risponde neanche, impegnato com'è a guardare l'adorata figlia che continua a fissare con insistenza l'animale, pregando per lei che trovi le risposte che cerca.

Dopo un paio d'ore di navigazione, nelle quali Akemi ha sfiorato i più alti livelli d'impazienza mai raggiunti da essere umano, attraccano finalmente al porto malandato di quella piccola isola.
Immediatamente capiscono che un tempo fosse un'isola privata, considerate le assai ridotte dimensioni, e anche che sia disabitata da diverso tempo, considerato lo stato pessimo delle assi su cui poggiano cautamente i piedi.
I loro sensi sono particolarmente all'erta a causa delle grosse macchie di sangue rappreso e scuro sparse ovunque, fattore che indica che sia avvenuto uno scontro molto violento.
Sulla spiaggia, non molto distante da loro, ci sono centinaia di pire funeree ormai distrutte.
«Che diavolo sarà successo?» mormora Izo, la pistola ben stretta nella mano destra e lo sguardo vigile.
«Non ne ho idea...» gli risponde Jaws, incamminandosi fin dentro la vegetazione.
Su ordine del capitano, infatti, i vari comandanti sono scesi a terra in perlustrazione, mentre Akemi sarebbe dovuta rimanere a bordo. Cosa che, ovviamente, non ha fatto.
Infatti, senza farsi vedere da nessuno, è sgattaiolata fuori dalla nave, calandosi nelle acque fredde che bagnano la costa, nuotando fino a riva e addentrandosi silenziosamente dentro la boscaglia, alla ricerca del corvo che pare essere sparito nel niente.
Fa estrema attenzione a non farsi sentire, non concentrandosi però sui rumori che la circondano, venendo in breve trovata da un più che infastidito Marco.
«Che diavolo ci fai qui?» le ringhia contro, afferrandola per un braccio e tirandola all'indietro, spaventandola.
«Accidenti, Marco! Mi hai fatto venire un colpo!» bisbiglia, provando a liberarsi e cercando contemporaneamente il corvo, che trova appollaiato su di un ramo non troppo distante da lei «Eccolo!»
Marco la tira di nuovo, facendola traballare, guardandola con aria truce «Dovevi restare sulla nave, piccola imbecille! Ti ricordi cos'è successo l'ultima volta che te ne sei andata in giro da sola? O forse ti devo fare un disegno?»
«Non trattarmi come una deficiente, Marco! So badare a me stessa!»
«Questa si che è bella!» ridacchia appena, girando sui tacchi e provando a trascinarla verso la nave, trovandosi però in difficoltà.
Si volta a guardarla, sorpreso, domandandosi da quando ha questa forza, venendo a sua volta strattonato in direzione dell'animale.
«Voglio capire!» ringhia a denti stretti, riuscendo a fare solo un paio di passi in avanti.
La mano di Marco diventa improvvisamente calda, troppo calda per lei, e la sua determinazione velocemente comincia a vacillare.
«Mi fai male!»
«Che succede?» Akemi volta di scatto la testa in direzione di Ace, che li guarda con aria incuriosita «Che ci fai tu qui?»
«Volevi sfidare la fortuna un'altra volta?» Izo fa il suo arrivo, cupo in volto, guardandola con sguardo assai truce.
Entrambi i comandanti, infatti, sono a conoscenza dei fatti accaduti, ed entrambi erano più che d'accordo sul fatto che rimanesse sulla nave.
«Andiamo, non fate le chiocce adesso!» dopo l'ennesimo strattone riesce a liberarsi dalla presa della Fenice, che la guarda con rabbia crescente «Io devo sapere perché ci ha fatti venire qui, quindi o mi accompagnate, o mi lasciate andare per i fatti miei e ve lo fate andar bene!»
I tre si guardano per un breve istante, e solo due di loro decidono di andarle dietro.
«Il babbo ha detto che deve restare sulla nave, porca puttana!» sbotta inferocito, Marco, riafferrandola per un braccio e tirandola indietro.
Il corvo, nel frattempo, vola via, addentrandosi nella vegetazione, suscitando una forte rabbia nel cuore della ragazza.
«Marco, ormai è scesa. Lasciamola andare, dai.» prova a convincerlo Ace, facendogli mollare la presa e guardandolo dritto negli occhi, sperando di riuscire a convincerlo.
«Certo, tanto poi il culo glielo salvo io, no?!»
«Akemi, dove stai andando?!» le urla dietro Izo, non appena si rende conto che la ragazza è partita in quarta, addentrandosi sempre di più all'interno di quella fitta e cupa vegetazione.
Akemi non lo sente neanche, come se avesse perso tutto in un colpo il suo fine udito, e continua a camminare spedita tra la vegetazione, come se sapesse perfettamente dove andare, mentre in realtà non ne ha idea. Non è mai stata su quell'isola, non è neanche segnata sulle carte, ma dentro di sé sente come un richiamo ben preciso in un determinato luogo.
Cammina, seguita a ruota dai tre pirati, fino a raggiungere un grande e ormai in rovina maniero.
Parte di una parete ha ceduto, lasciando così un'entrata in cui i rampicanti si sono intrufolati, prendendo così le pareti interne.
È proprio da quel buco che entra con aria attenta, osservando i mobili distrutti, la polvere alta almeno un dito e le ragnatele negli angoli del soffitto. I quadri sono stati bruciati in mezzo alla stanza, probabilmente per spregio.
Akemi però non si ferma, spinta da un'irrefrenabile curiosità che la costringe a proseguire per un lungo corridoio buio, che porta fino ad un'ampia sala da pranzo.
C'è un lungo tavolo ricoperto di polvere al centro, stranamente intatto, mentre le sedie sono ribaltate a terra, le porcellane anche, completamente frantumate. Le finestre sono state spaccate con dei grossi sassi che adesso giacciono vicino al muro opposto.
«Akemi, alla nave ci aspettano, forza.» Marco prova a prenderla per un braccio per portarla via, ma la ragazza lo spinge via in malo modo, proseguendo il suo cammino fino ad arrivare in un grande salotto, che un tempo doveva essere davvero magnifico.
Alcuni pezzi delle pregiate stoffe dei divani sono sopravvissute, ormai lontane dai mobili che coprivano, e mostrano degli intricati disegno con fili dorati. La mobilia, in gran parte, è stata bruciata, il resto semplicemente distrutta, ma da alcuni piccoli dettagli che sono sopravvissuti riesce a scorgere quanto quel luogo fosse lussuoso.
D'un tratto per lei quell'atmosfera diventa strana, mistica, e davanti ai suoi occhi appare un'ombra nera, come a quelle che infestano i suoi incubi. È alta e slanciata, senza alcun dettaglio, eccezion fatta per il mirabile medaglione dorato con incastonata una piccola pietra rossa che gli vede pendere dal collo.
Cammina svelta, l'ombra, impaziente, dirigendosi al piano superiore. E lei la segue, come ipnotizzata, senza sentire le proteste e i richiami degli uomini alle sue spalle.
Sale veloce e furtiva, senza però prestare attenzione a nessun oggetto che la circonda, giungendo velocemente in una stanza da letto bruciata.
Il grande letto a baldacchino è completamente annerito, ma nella sua mente no: vede chiaramente il legno massiccio, le pesanti coperte blu e oro, le tende bianche e leggere che si muovono con il vento. Qualcuno giace sotto quelle coperte, qualcuno che ansima a fatica, ma non appena allunga un poco la testa, il letto riprende le sue vere sembianze e tutto svanisce.
Si porta una mano alla testa, confusa e disorientata, lasciandosi andare alle mani forti di Ace che la tiene per le spalle.
«Ti senti male?» le domanda preoccupato, cercando i suoi occhi, notando che sta fissando quasi con timore qualcosa.
Segue così il suo sguardo, notando un lieve scintillio provenire da dentro al camino nero.
Akemi si libera dolcemente dalla sua presa salda, barcollando fino all'oggetto che tanto la attrae e prendendolo incerta tra le mani, sbiancando di colpo.
'Il medaglione dell'ombra...' quel pensiero le fa gelare il sangue nelle vene, ma qualcosa dentro di lei le impedisce di lasciarlo andare, ma bensì la obbliga a stringerlo con forza per poi indossarlo, sentendo solo in quel momento uno strano calore nel petto.
'Cosa diavolo è?'
«Tutto bene?» le domanda Izo, apprensivo.
Akemi si limita ad annuire debolmente, incamminandosi verso l'uscita senza smettere di guardare con ossessione il medaglione.

«Ti avevo espressamente ordinato di restare sulla nave!» Barbabianca è furioso oltre ogni limite, e da almeno dieci minuti non fa altro che urlare contro la giovane ed impertinente figlia, che a sua volta tiene la testa china e i pugni stretti lungo i fianchi.
«Sei una sciocca incosciente, Akemi! Non avevamo alcuna idea di cosa potessimo trovare, e tu hai fatto comunque di testa tua! Ti rendi conto della gravità della cosa, almeno?!» urla furioso, mentre la paura va via, via scemando.
Quando uno dei suoi sottoposti gli aveva dato la notizia che la ragazza era scappata, che si trovava a girottolare per quell'isola sconosciuta e sinistra, ha provato una rabbia così intensa da farlo rabbrividire.
«Non è successo niente...» soffia con rabbia la ragazza, tenendo la testa china e fissando il ciondolo che le pende dal collo.
Sente una strana forza dentro, qualcosa che si muove piano nel suo cuore, insinuandosi dentro ogni fibra, avvelenandola.
Le urla del capitano le arrivano ovattate alle orecchie, come se non stesse neanche parlando con lei. Non lo vuole sentire, vuole solo sapere.
Questa sua sete di conoscenza la sta trascinando velocemente in una voragine oscura, qualcosa che neanche lei saprebbe definire. Ogni volta che apprende sente l'esigenza di sapere di più, di andare più affondo, con la dannata consapevolezza che non sta trovando quello che tanto brama.
Ma quel medaglione, quel maledetto medaglione che adesso è appeso al suo collo... quello ha qualcosa. Quel misero oggetto di mirabile fatture ha le risposte, lo sa con certezza, ma non sa come prenderle. Sono lì, a portata di mano, ma incredibilmente lontane.
Senza dire niente, senza guardare nessuno, s'incammina con passo strascicato sottocoperta, ignorando le urla sempre più furiose del capitano, non sentendo le mani dei suoi compagni che provano ad afferrarla per le braccia.
«Ma che le prende?» mormora uno di loro, grattandosi dubbioso la testa.
«Direi, più che altro, cosa ha preso.» lo corregge Teach, che con i suoi piccoli occhi attenti ha notato come la ragazza stesse fissando l'insolito gioiello.
«L'ha trovato in una villa abbandonata.» lo informa Izo, pensieroso «È stato strano...
Lei... lei camminava sicura, come se già sapesse dove stesse andando. Quando ha visto la casa per un attimo si è fermata, ma poi è entrata e ha ricominciato a camminare con incredibile sicurezza, percorrendo le varie sale, arrivando alla camera da letto. Solo in quel momento pare aver riacquistato... la vista, ecco. Solo in quel momento ha ricominciato a vedere con i suoi occhi e ha provato paura. Alla fine ha trovato il medaglione, e le sue mani tremavano quando l'ha preso.
Da quel momento non fa altro che rigirarselo tra le dita, studiandolo nel dettaglio in modo maniacale, senza che però la paura sparisse dai suoi occhi.»
Barbabianca ha ascoltato con attenzione la spiegazione del figlio, guardandolo attentamente e scorgendo, oltre alla curiosità, della preoccupazione nella sua voce.
Dentro di sé si sente incredibilmente combattuto: da una parte vorrebbe andare da Akemi e chiederle spiegazioni, ma dall'altra è fermamente impuntato sull'idea di non rivolgerle la parola finché non si scuserà. È troppo orgoglioso per passarle anche questo.

Ace, dopo averne discusso con attenzione con i compagni, si dirige con l'aria più seria che può trovare alla cabina di Akemi per farle un'intensa ramanzina. Non ha idea di cosa dirle, non dopo che lui stesso aveva detto di lasciarla fare, ma così è stato deciso, quindi dovrà improvvisare.
«Akemi?» bussa piano alla porta, aprendola senza neanche il permesso e facendo entrare giusto la testa.
«Non ricordo di aver detto “avanti”, Ace.» lo fulmina con lo sguardo, scuotendo poi la testa e alzando una mano in segno di scuse, tornando poi a guardarlo con occhi curiosi «Come mai quella faccia?»
«Perché dobbiamo parlare.» risponde lapidario, mettendosi a sedere sul suo letto, guardandola dritto negli occhi, cercando di mantenere il più possibile la serietà di fronte alla sua espressione strafottente e divertita, incorniciata da quel taglio troppo per benino.
«Vediamo se indovino: “Akemi, ti sei comportata da incosciente! Non saresti mai dovuta scendere dalla nave e disobbedire agli ordini del babbo. Dovevi restare segregata nella tua stanza, perché sei una ragazzina incapace di reagire se attaccata.”» nel dirlo prova ad imitare la sua voce, facendolo sbuffare.
«Non parlo così...» la guarda di sottecchi, vedendo nei suoi occhi un certo divertimento «Comunque bene o male il succo del discorso era quello, si.»
«Oh, andiamo!» sbatte le mani sulle gambe, roteando gli occhi «Eravate tutti nelle vicinanze... inoltre, era evidente che su quell'isola non c'era nessuno!»
«Non potevi saperlo, Akemi! Nessuno di noi poteva!» le ringhia contro, alzandosi di scatto e trovando tutto in un colpo la rabbia necessaria «E se ti fosse successo qualcosa? Se nessuno di noi fosse arrivato in tempo?! Non ci hai pensato? No, certo. Perché le uniche due cose a cui riesce a pensare ultimamente sono uomini e te stessa.»
«Vuoi forse biasimarmi, Ace, se voglio scoprire da dove provengo e perché sono stata scaricata come un rifiuto?!»
Ace alza le mani in segno di resa, portandosele poi al volto e respirando profondamente per calmarsi, tornando poi a guardarla, seria e arrabbiata.
«Ok, forse hai ragione te.» ammette, rimettendosi seduto di fronte a lei e prendendo le mani tra le sue «Ma dovevi parlarne col babbo, prima. Se ti succedesse qualcosa, Akemi, non hai idea di quanto soffrirebbe...»
Akemi abbassa lo sguardo, pensandoci attentamente, quando le dita calde di Ace si poggiano sotto al suo mento, facendo una leggera pressione per farle alzare il viso «Quanto tutti noi soffriremmo...»
Si guardano negli occhi per un tempo che per entrambi pare infinito, finché Akemi, di slancio, allaccia le braccia al collo del pirata, stringendolo forte.
«Non volevo che si preoccupasse...»
«Lo so...»
«Volevo solo sapere...»
«So anche questo...» le mani di Ace sono poggiate sui suoi fianchi, e lentamente riesce ad allontanarla, sorridendole allegro «Prova a dirlo al babbo. Usa un tono gentile, magari...»
Akemi gli sorride e annuisce appena, mentre Ace le arruffa i capelli con una mano, ridacchiando.
Escono con passo assai strascicato dalla stanza, dirigendosi in tutta calma verso il ponte.
Non sa davvero cosa dirgli, Akemi, per farsi perdonare. Innanzitutto userà gli occhi da cucciolo, sua grandissima arma contro tutti eccetto il più scontroso della ciurma, poi proverà a fargli due coccole per addolcirlo.
'Si, dovrebbe funzionare!'
È convinta, si sente carica e con al vittoria già stretta in pugno, ma non appena mette piede sul ponte della nave, con gli occhi dei presenti puntati su di lei in modo truce, sicuramente pronti a dar man forte al capitano, tutta la sua sicurezza svanisce, lasciando spazio ad un forte senso di fastidio.
Ace, al suo fianco, le da un leggero pizzicotto sul fianco, fecole cenno col capo di farsi avanti.
«È inutile che ci rimugini sopra, ragazzina.» le mormora all'orecchio, spingendola verso il seggio dell'imperatore «Datti una mossa e sii gentile
Akemi lo incenerisce con lo sguardo, urtandosi ancora di più quando nota il sorrisetto strafottente sulle sue labbra, ma alla fine si convince e si porta, con passo lento e fiero, fin davanti all'imponente uomo, guardandolo con un broncio indispettito.
Barbabianca la fissa a sua volta, con sguardo duro ed impassibile, e in breve il broncio della ragazza si scioglie in un'espressione pentita.
«Babbo, io-»
Un secondo, basta questo.
Un secondo, in cui si è sentito solo un suono sordo, e sull'intera nave cala il silenzio.
Un secondo, gli occhi di Barbabianca si riempiono di terrore.
Un secondo, un dolore acuto al petto, il sangue scorre, il corpo cade a terra.
Un secondo e scoppia il caos.
Due enormi navi della marina avanzano verso di loro, appena emerse dalle acque.
Non se lo aspettavano un attacco simile, erano impreparati, e la loro impreparazione gli è costata caro.
Akemi è con la testa ripiegata all'indietro, gli occhi chiusi, mentre Izo la scuote con forza, invocando il suo nome a pieni polmoni, ignorando le urla dei fratelli, il rumore degli spari, lo scontro che inversa intorno a lui.
Barbabianca non riesce neanche a respirare. Un dolore allucinante gli sta sbrindellando il fragile cuore, tanto che non prova neanche a scansare la palla di cannone che gli sta arrivando addosso, a cui pensa prontamente Jaws.
«All'attacco!»

Nero. Nero assoluto.
Nessun rumore rompe questa quiete surreale.
Nessun odore aleggia in quest'aria.
Vedo il mio corpo, solo questo. Vedo le mie mani, le unghie nere e lunghe, come se non fossero immerse in questo nero.
Vedo i miei vestiti. Vedo il sangue sulla maglia colare giù fino ai pantaloni. Non sento il dolore.
Tocco con timore la ferita, adesso rimarginata.
Non sento caldo. Non sento freddo.
Non sento niente.
E questo fa più male della ferita che mi ha uccisa.
Sono morta, finalmente.
Tutti quei sogni, tutto quel dolore... erano un presagio, forse?
«Apri gli occhi.»
Una voce. L'ho sentita, sono sicura.
«Ti ho detto di aprire gli occhi.»
Una voce dura, ma allo stesso tempo vellutata e rassicurante. Dove sei?
«Svegliati.»
È lui, lo vedo davanti a me. I vestiti sporchi di sangue, gli occhi glaciali che mi bloccano il respiro.
Niente ci circonda, nessuna minaccia.
«Chi sei?»
«Apri gli occhi.»
Si avvicina con movimenti fluidi, calcolati e dannatamente perfetti. È un angelo, forse?
«Lascia che scorra.»
Cosa deve scorrere?
«Lascialo uscire.»
Ma che dice?
Dio, la sua mano sulla mia guancia è così morbida e fredda. Fa paura, da una parte, mentre dall'altra è la cosa più rasserenante del mondo.
È un tocco lieve, dolce. Non riesco a staccare gli occhi dai suoi.
«Sono morta come te?»
«Non è il tuo momento.» ritrae la mano in un movimento lento e pentito, gli occhi diventano freddi ed impenetrabili «Svegliati.»
«Non posso.»
Uno schiaffo, forte e deciso. La mia guancia brucia, il dolore però è assente.
«Ti ho detto di svegliarti!»
Da dove arriva questo gelo?
Aria...


Gli occhi si aprono di scatto, i polmoni si riempiono di ossigeno.
Nessuno l'ha visto, neanche Barbabianca, troppo affranto per potersi concentrare su una qualsiasi cosa.
Akemi si porta lentamente una mano sul petto, tastando in cerca di quel foro che l'ha fatta cadere in quell'oblio oscuro, constatando che non c'è più.
'Cosa è successo?'
Il ricordo dell'uomo dei sogni è vivido nella sua mente, come se lo avesse realmente vissuto.
Si alza piano, frastornata e confusa, trovando i suoi fratelli intenti a combattere con ferocia, i marines che provano a respingere i loro attacchi.
Le fiamme calde e brillanti di Ace squarciano il cielo, non riuscendo a battere in bellezza quelle ipnotiche e fredde della Fenice.
Li guarda combattere con abilità, forza e ferocia, trovandoli incredibilmente fantastici.
Vede Satch brandire la spada con maestria, il sangue colare dalle ferite che infligge.
Si alza a fatica, spinta da una forza interiore che la obbliga a muoversi. Qualcosa di oscuro, qualcosa di cui ignorava l'esistenza. Si muove lento, insinuandosi nella sua mente e nel suo cuore, facendole provare una rabbia così forte e incontrollata che le annebbia completamente la vista, facendola muovere alla cieca.
Sente il sangue scorrerle vischioso sulle mani, le gambe e le braccia dolerle in seguito a degli attacchi che non vede, le urla dei suoi fratelli, sorpresi e spaventati nel vederla di nuovo in piedi, a cui però non riesce a rispondere.
Non riesce neanche a vederli.
«Ritirata!»
«Non lasciarli andare...» quella voce, melliflua e incantevole, la voce dell'uomo dei sogni, le rimbomba nella testa e Akemi non riesce a far altro che eseguire.
Continua a mietere vittime, a stroncare vite come se fosse una cosa di vitale importanza per lei, incurante dei richiami dei fratelli e del capitano, finché due mani roventi le afferrano le spalle. Tocco che, miracolosamente, le restituisce la vista e la ragione.
I cadaveri si ammassano di fronte a lei, il sangue scorre sulle assi di legno e sulle sue mani, di quel rosso così vivo e affascinante che la confonde.
Le navi della marina si allontanano velocemente, ma nessuno esulta per quella vittoria.
Izo le si avvicina incredulo, toccandole con la punta delle dita la guancia pallida e fredda, incerto.
«Sei viva...» mormora con un filo di voce, mentre gli occhi gli si riempiono di lacrime.
Di slancio l'abbraccia, stringendola con forza a sé, ringraziando ogni divinità di cui ha mai sentito parlare in vita sua per avergliela riportata.
Le si avvicinano tutti, increduli, allungando una mano per toccarla, per assicurarsi che sia veramente lì, che sia veramente in piedi, esultando felici, non rendendosi conto di quanto la cosa sia strana.
Se avesse ingerito un frutto del diavolo potrebbero anche considerare la cosa normale. Ma lei non l'ha fatto, e ne hanno la certezza dal momento che nuota tranquillamente.
Barbabianca, con voce tuonante, la richiama a sé, ancora sconvolto e incredulo.
Quando la giovane gli si avvicina, con passo lento ed incerto, quando finalmente può stringerla a sé e sente quella stretta ricambiata, allora si, ci crede, è viva.
Non gli importa come, proprio per niente. L'unica cosa che per lui conta è che è salva, che sta bene, che può continuare ad averla intorno, che le ultime parole che si sono detti non sono state piene di rabbia.
La stringe, trattenendo le lacrime, quando Vista gliela stratta senza tante cerimonie dalle braccia, facendola volteggiare in aria, con un sorriso enorme stampato in faccia.
Sorriso che però si spegne di fronte all'espressione sconvolta di Akemi, che, una volta rimessa a terra, vomita anche l'anima, in preda ad atroci dolori.
C'è del sangue in mezzo alla poltiglia che imbratta il ponte. Del sangue scuro, quasi nero, ma nessuno fa in tempo a dire una parola, a chiederle come stia, che Akemi crolla a terra, afferrata al volo dalle braccia muscolose del primo comandante.
Per un attimo sente la voce del fratello che la richiama con preoccupazione, ma poi tutto diventa incredibilmente buio.

Ok. Adesso sono morta.

Vero?
«Complimenti.»
Questa voce, questa fottutissima voce del cazzo!
Basta, questa storia deve finire, adesso!
Scatto in mezzo all'oscurità in cerca dell'uomo dei sogni, più che intenzionata a farlo fuori con le mie stesse mani. Forse, se lo ammazzo io, non tornerà più.
Finalmente lo trovo, di spalle rispetto a me, con le mani nelle tasche, completamente rilassato. Sembra osservare qualcosa, anche se mi risulta impossibile considerato il nero più assoluto che ci circonda.
Mi avvento su di lui. O, almeno, ci provo...
«Hai accoppato un paio di inetti, e pensi di essere già in grado di sfidare me?» mi tiene sollevata per aria, la mano fredda e vellutata stretta attorno al mio collo che, a mio avviso, presto si spezzerò sotto questa pressione.
«Non ti sopravvalutare mai. Potrebbe essere l'ultimo errore che commetti, sai?» mi posa a terra, mi guarda con aria incuriosita.
Sembra incredibilmente umano, visto così. Niente serietà, niente imperturbabilità... è... vero.
«Chi cazzo sei?» annaspo in cerca di aria, non riuscendo a trovarla.
«Non ti serve respirare qui.» mi avverte, mettendosi a sedere per terra in maniera scomposta e facendomi cenno di fare altrettanto «Questa dimensione è bella proprio per questo: non hai bisogno di niente.»
«Ti ho fatto una domanda.»
«Ahhh, l'ho sentita.» si osserva le unghie corte e curate, come se cercasse anche la più che minima imperfezione «La verità è che non m'importa.»
«TU DEVI RISPONDERMI!»
«Io devo cosa?» ridacchia appena, guardandomi come se fossi una povera scema «Io non devo fare proprio niente, sai? Io rispondo agli ordini di una sola persona, e solo quando ho voglia. E indovina un po'? Quella persona non è qui.»
Sono quasi del tutto certa che in questo momento la mia espressione deve essere realmente spassosa, considerando il fatto che si sta trattenendo con tutte le sue forze dallo scoppiare a ridere.
«Comunque te la sei cavata bene.» ammette con un sorrisetto, sdraiandosi in quello che a mio avviso è il vuoto «Hai ancora parecchio lavoro da fare... così non saresti in grado di difenderti da chi è veramente forte. E con “veramente forte”, non mi riferisco agli uomini con cui stai allegramente trascorrendo il tuo tempo. Intendo forte sul serio, forte al punto da mettere in ginocchio la strega e il suo adorabile bastardo.»
«Ma che blateri?» la mia voce è come un sussurro, ma so che mi ha sentito perfettamente.
Una lieve luce comincia a propagarsi, lenta, e una leggera brezza mi accarezza la pelle.
«A quanto pare il nostro tempo per ora è finito.» si alza in piedi, sorridendomi appena e rigirandosi, andando verso quella luce con passo calmo e scanzonato «Ciao, ciao!»
«ASPETTA!»


«Akemi? Akemi sei sveglia?»
Apre piano gli occhi, incredibilmente infastidita, trovandosi a pochi centimetri il viso lentigginoso di Ace.
Lo spinge via in malo modo, rimettendosi a sedere, ignorando il forte giramento di testa che questo movimento le provoca.
Si porta una mano al collo, sentendo chiaramente un lieve fastidio nel punto esatto in cui le dita affusolate dell'uomo la stringevano nell'oscurità della sua mente.
'Era tutto così dannatamente vero...'
Alza poi lo sguardo sui vari comandanti che circondano il suo letto, leggendo nei loro occhi un forte sollievo.
«Ci hai fatto prendere un bello spavento, sai?» trilla allegra Halta, mettendosi a sedere al suo fianco e circondandole le spalle con un braccio.
«Cosa è successo?» domanda con tono funereo, cercando la risposta nei loro occhi sorpresi.
«Davvero non ricordi niente?» le domanda sorpreso Namyuul, attirando il suo sguardo.
«Evidentemente no, sennò non ve lo starei chiedendo.» ringhia in risposta, sorprendendoli. Mai è stata così fredda con loro, mai ha adottato un tono così scontroso, mai li ha guardati con quell'astio negli occhi.
«Ti hanno sparato.» la voce di Marco le arriva nitidamente alle orecchie, come una secchiata d'acqua gelida, e non appena incrocia i suoi occhi apatici sente lo stomaco aggrovigliarsi, come se fosse una nidiata di serpi «Ti hanno sparato dritto al cuore. Izo ha controllato personalmente, non avevi più battito.
Sei rimasta a terra, morta, per almeno venti minuti. Poi ti sei alzata... ti sei alzata ed è stato come se tu fossi stata cieca e sorda. Non ci ascoltavi, non ci vedevi. Ti scagliavi contro i marines con una violenza di cui non ti credevo capace. Uccidevi qualsiasi uomo ti capitasse sotto tiro, lo facevi letteralmente a pezzi.
Quando hanno annunciato la ritirata, hai ringhiato. Ringhiato davvero, in un modo che faceva quasi paura, e ti sei scagliata contro di loro con ancora più violenza, uccidendone il più possibile.
È dovuto intervenire Ace, che, inspiegabilmente, ti ha come svegliata da uno dei tuoi incubi.»
'Il calore... è quello che mi salva.' pensa sconcertata Akemi, guardando la Fenice con sconcerto. Non vuole credergli, non può davvero aver ucciso delle persone. Ok, l'avevano ammazzata per primi, ma non è un'assassina.
Poi, un dettaglio, le squarcia la mente, folgorandola.
'Ero morta!'
Si porta una mano al petto, cercando anche con gli occhi la ferita, senza però riuscire a trovare assolutamente niente.
«Le infermiere ti hanno visitata, stai bene.» l'avverte sorridendole Speed Jil, passandole una mano sulla testa per poi congedarsi, pronto a riferire al capitano la situazione.
In realtà Barbabianca voleva essere il primo ad esserle vicino al suo risveglio, ma sia le infermiere che i suoi figli glielo hanno impedito. Prima di ogni altra cosa deve farsi curare lui stesso, così gli hanno detto.
'Come può dire che sto bene?' si domanda cercando di rimettersi in piedi, venendo afferrata al volo da Izo prima che le sue gambe la lasciassero andare ad una brutta caduta 'Ero morta e sono tornata in vita, CAZZO!'
«Tutto ok?» le domanda preoccupato il pirata, cercando i suoi occhi.
Akemi gli sorride appena per rincuorarlo e, senza dire una parola, si dirige con passo malfermo verso la propria stanza.
Ha bisogno di stare sola, di togliersi quel sangue secco che non le appartiene di dosso, di pensare... di risposte.

La notte è calata velocemente, la maggior parte dei pirati si è ritirato nelle proprie stanze. Sono tutti stanchi, e l'unica cosa che vogliono è lasciarsi alle spalle quella bizzarra giornata.
Anche Barbabianca si è ritirato, stanco e spossato, con un forte mal di testa a tormentarlo. L'unica nota positiva di quella giornata, per lui, è stato apprendere che la sua bambina è tecnicamente invulnerabile.
Sul ponte di poppa della nave, nel frattempo, tre capitani bevono in santa pace un boccale di birra, osservando il cielo stellato, parlando del più e del meno.
Ace, ovviamente, non riesce a trattenersi più di tanto, e senza rifletterci espone subito la spinosa domanda che hanno evitato tutto il giorno «Cosa ne pensate?»
«Penso semplicemente che sia strana, e che sia assolutamente inutile continuare a farsi domande su di lei.» risponde convinto Marco, alzandosi in piedi, pronto ad andarsene a dormire nel suo comodo letto.
«Ma come pensi che sia inutile? Andiamo, Marco! È tornata dall'aldilà!»
«E con questo? Non è la prima a farlo e non sarà di certo l'ultima.»
«Ma non è vero, andiamo! Tu stai parlando di persone che hanno mangiato il frutto del diavolo e che sono tecnicamente intoccabili. Ma anche loro, in un modo o nell'altro, possono morire, e lo fanno! Quando questo accade, poi, non tornano dal mondo dei morti.» lo riprende con tono allegro Satch, bevendo un lungo sorso dal suo boccale mentre si alza in piedi, più che intenzionato ad andare a far compagnia a chi è di guardia.
Non ha sonno, per niente, quindi tanto vale trovare qualcuno così annoiato da sopportare le sue chiacchiere.
Nel frattempo, sull'albero maestro, Akemi osserva con sguardo malinconico il mare calmo, senza però vederlo davvero. La sua mente è altrove, completamente concentrata sugli avvenimenti accaduti quell'orrendo pomeriggio.
Ha paura, da impazzire.
Non capisce come abbia fatto a tornare dal mondo dei morti, pur essendo consapevole di esserci stata.
'Ero morta...' si passa le mani sul volto, tappandosi gli occhi, rivedendo per un breve istante gli occhi magnetici dell'uomo dei sogni.
Scatta indietro, riaprendo gli occhi e fissando il mare calmo, terrorizzata anche da quella breve visione.
Abbassa poi lo sguardo sulle sue mani, sentendoci ancora scorrere il sangue caldo degli uomini che ha ammazzato. Se ci ripensa, non riesce a credere di essere stata lei a fare un tale massacro, di aver tagliato loro le gole, di averli mutilati a mani nude, ma i racconti dei suoi fratelli erano incredibilmente dettagliati e non ha sentito neanche una punta di menzogna nel loro cuore.
'Cosa ho fatto?'
Sfiora con la punta dell'indice l'interno del polso.
'Sono un mostro!'
Spinge con forza l'artiglio nella carne, lasciando sgorgare denso il sangue, guardando con orrore la ferita che velocemente si rimargina.
Non le era mai successo prima. Neanche le ferite che le aveva inflitto quel pazzo erano guarite così velocemente.
«Che diavolo fai?»
Si volta di scatto, trovandosi faccia a faccia con un più che turbato Satch.
Abbassa di nuovo lo sguardo, fissando il sangue fresco che le imbratta la pelle chiara, tornando poi a guardare il mare «Sono un mostro, Satch...»
«Akemi-»
«Ti prego, uccidimi.»
Satch sgrana gli occhi, sorpreso e spaventato da quella richiesta a dir poco assurda, e senza pensarci due volte l'afferra per una spalla e la sbatte con violenza contro la parete dura dell'albero maestro, mozzandole il respiro.
«Non osare pensare mai più una cosa del genere, sono stato chiaro?» le ringhia a due centimetri dal viso, guardandola con una rabbia tale che la fa rabbrividire «E non provare mai più a fare una cosa del genere!» le afferra il braccio sporco di sangue e lo alza, stringendolo con troppa forza.
«Mi hanno abbandonata perché sono un mostro, Satch...» le lacrime scendono piano dai suoi occhi, lasciando delle lunghe scie scarlatte.
«Può darsi.» ammette con tono fermo, guardandola con aria impassibile.
Akemi trattiene il respiro dopo quell'affermazione, mentre dentro si sente morire di nuovo.
Ma quando il comandante le sorride dolcemente, sente un piccolo calore invaderle il cuore.
«Ma noi non ti consideriamo un mostro. Per niente.» l'afferra piano per le spalle, tirandola piano verso di sé e cingendola con le braccia forti in un abbraccio protettivo «Tu sei la nostra Akemi, nostra sorella. Per quanto una situazione possa sembrarti orrenda, insuperabile... ricordati sempre che noi saremo sempre al tuo fianco, pronti a darti una mano a rialzarti quando cadrai.»
Akemi alza lo sguardo su di lui, sorridendogli dolcemente «Sei il migliore, Satch...»
L'uomo le sorride allegro, allontanandola lievemente da sé, sollevato per essere riuscito a sollevarle l'umore, facendole l'occhiolino «Ecco, vedi non scordarti neanche questo!»


Osserva le piume nere e lucenti del corvo poggiato sulla sua mano, ignorando i passi alle sue spalle.
La Luna risplende alta nel cielo, illuminando il suo volto pallido dai lineamenti delicati, mettendo in risalto la lunga cicatrice che lo attraversa.
Gli occhi glaciali si alzano su quel cielo, in cerca di qualcosa, di una risposta che non arriverà mai.
Un ghigno divertito gli increspa le labbra sottili quando percepisce il chiaro e dolce odore della rabbia dei due intrusi.
«A cosa devo l'onore della vostra presenza?» le sue parole sono dette con forte sarcasmo, cosa che però non sembra toccare i due ragazzi giunti alle sue spalle.
«Sei consapevole che al nostro Signore questo tuo gesto non andrà per niente giù, vero?» il maggiore dei due, quello più temerario e attaccabrighe, ghigna malignamente mentre parla, convinto di riuscire a suscitare nell'uomo almeno un fremito di paura.
«Hai detto bene, Freki: il vostro Signore.» volta un poco la testa, sorridendo in maniera inquietante, fissandoli con aria beffarda «Sta sbagliando procedimento, e lo sa anche lui.»
Si volta di nuovo, allungando le lunghe dita da pianista verso l'animale, senza però toccarlo. Le unghie lunghissime lo farebbero a fette se solo osasse sfiorarlo.
«Non è così che deve andare.» mormora con voce roca, inclinando un poco la testa «Munnin ha avuto la dolce premura di scuotere la sua quiete, aprendole uno spiraglio nell'oscurità che avvolge la sua mente. Adesso starà a lei fare la prossima mossa.»
«Sei un folle, Wulfric, se pensi che questi tuoi giochetti del cazzo funzionino!» sbotta Geri, venendo trattenuto dal fratello.
Per quanto insieme siano forti, Freki è ben consapevole che contro di lui non avrebbero scampo. Solo tre persone possono fermarlo: due sono momentaneamente fuori dai giochi, mentre la terza, il loro Signore, non muoverebbe un dito per fermarlo senza una valida ragione. La provocazione, ovviamente, non rientra tra quelle.
«Non ho assolutamente la pretesa che i miei giochi funzionino, Geri. Non rientra nella mia natura calcolare nel dettaglio queste sciocchezze.»
«Pensi che sia una sciocchezza?!» ringhia il minore, trattenendosi dal saltargli alla gola.
«Certo, giovane principe.» Wulfric è tranquillo, non mostra il minimo segno di incertezza, mentre i suoi occhi vagano sulla distesa d'acqua che si estende di fronte a sé «Un omicidio è importante. Un combattimento, ancora di più. Ma questo... questo è solo un futile passatempo, qualcosa che faccio perché non so come trascorrere la mia dannata vita. Tutto qui.»
Abbassa gli occhi, girandosi lentamente e superando i due ragazzi, dirigendosi verso la porta, pronto a tornare nelle sue stanze dalla compagna «Non temete, oh nobili anime in pena: la creatura verrà da noi, tra non molto, e grazie alle mie mosse sarà preparata.»


Angolo dell'autrice:
Salveee! :D
Non so perché, ma sono particolarmente allegra oggi. Non ne ho realmente motivo, anzi dovrei essere in ansia abbestia per i 3 esami che dovrò dare nel mese di febbraio, ma invece no. Meglio, giusto?
Ok, la smetto con le mie str******. Che ve ne pare? L'ho scritto alla velocità della luce, incredibilmente! :P E so già cosa far succedere nel prossimo, che in parte è già scritto! Oddio, penso che sarà uno di quelli che adorerò di più! Anche perché arriveranno non una, ma ben due persone! Una la conoscete, l'altra no... e, caso strano(!), nessuna delle due porterà grandi gioie :P Sono un m****! ^^”
Comunque perdonatemi infinitamente se i personaggi sono OOC... mi sto impegnando per renderli il meglio possibile, giuro! >.<
E perdonatemi anche per il capitolo incredibilmente lungo! Per il prossimo vedrò di fare un paio di pagine in meno... sennò vi mollo questi papiri infiniti e alla lunga mi tirerete un mattone dritto in faccia!
Ma bando alle ciance, adesso è l'ora dei ringraziamenti, quella per me più importante di tutte:
Grazie per le magnifiche recensioni -giuro, le ho adorate!- di Vivi y, Okami D Anima, Yellow Canadair, Monkey_D_Alyce, Lucyvanplet93, ankoku e iaele santin.
Grazie anche a: ankoku, D_ann, giada1999, Incantatrice_Violeta, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, Portuguese D Ice, SmyleCathy e Yellow Canadair per averla messa tra le preferite.
Balalaika_, Chaki Tanimura, girosolomina, Ikki, Kyuubi10, LallaOrlando, Mistery_Lawliet, Portuguese D Ice, Portuguese D Rogue, Puffetta96, SmyleCathy,
Vivi y, Yellow Canadair, Zefiria BlackIce e _Takkun_ per averla messa tra le seguite.
Portuguese D Ice per averla messa tra le ricordate.
Davvero gente: GRAZIE MILLE DI CUORE! È solo grazie a voi che questa assurda fic sta andando avanti!
Anche per questa volta vi saluto! Un bacione a tutti quanti, al prossimo capitolo!♥

PS: questa è la nostra Akemi in versione adolescente: http://tinypic.com/r/o0pk5j/5 :)

 

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Giusto perché sono una psicopatica malata che si diverte incredibilmente a scrivere questa storia (grazie al vostro sostegno, in realtà), avrei una malsana stupida cretina piccola idea da proporvi: perché non scrivete cosa vorreste che accadesse? :D se sarà una cosa “accessibile”, vedrò di inserirla nella trama!
Non che manchino le idee, anzi, ma mi piacerebbe fare in modo che “le speranze” (?!) di chi mi sta seguendo si realizzino. :)
Beh, nel caso l'idea vi piaccia, aspetto suggerimenti ;)

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Capitolo 7
*** 7. Incontri spiacevoli e baci rubati. ***


Prima di cominciare: Grazie per le magnifiche recensioni -giuro, le ho adorate!- di Lucyvanplet93, Yellow Canadair, ankoku, Okami D Anima, Monkey_D_Alyce e iaele santin.
Grazie anche a: ankoku, Dark_witch3, D_ann, evelinstar31, giada1999, Incantatrice_Violeta, Jollyna, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, Portuguese D Ice, SmyleCathy e Yellow Canadair per averla messa tra le preferite; Azzu___, Balalaika_, Chaki Tanimura, girosolomina, Ikki, Kyuubi10, LallaOrlando, Mistery_Lawliet, Portuguese D Ice, Portuguese D Rogue, Puffetta96, SmyleCathy, Vivi y, Yellow Canadair, Zefiria BlackIce, _ K a r i n 
 e  _Takkun_ per averla messa tra le seguite; Portuguese D Ice per averla messa tra le ricordate.
Davvero gente: GRAZIE MILLE DI CUORE!

 

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«Capo, lasciaci riprovare!» ripete per l'ennesima volta Geri, sbracciando e sgranando gli occhi all'inverosimile.
Il fratello, come sempre al suo fianco, si tiene pronto a frapporsi tra lui e il loro Signore nel caso questi scatti per picchiarlo un'altra volta, più che disposto a prenderne al posto suo.
Ma non fa niente. Rimane immobile di fronte alla finestra, la leggera nebbia che è calata insieme alla notte immerge quell'enorme maniero in cui ormai passa buona parte del suo tempo. Guarda fuori dalla finestra con aria dura e pensierosa, incurante delle urla del suo sottoposto alle sue spalle.
Quando sono tornati a mani vuote, la delusione è stata così accecante da impedirgli di imbrigliare la sua furia e “costringerlo” a picchiarli come mai aveva fatto in tanto tempo, riducendo il giovane Geri in fin di vita.
I due però non demordono, come mai hanno fatto prima, e l'idea di essere stati declassati, che l'altro sia stato mandato al posto loro, semplicemente li manda fuori di testa.
Da un lato, immobile come una statua, con quell'arrogante sorrisetto ad increspargli le labbra sottili, Wulfric guarda la scena con un'incredibile gioia che lo invade dalla testa ai piedi. Non ha mai visto di buon occhio quella coppia di buoni a nulla, e vederli soffrire così per le mancate attenzioni del loro sovrano lo manda semplicemente in estati.
Ma questo suo momento di puro godimento viene infranto quando il grande portone principale si apre e appare lei, la Regina, colei che tutti lì in mezzo temono e rispettano oltre ogni limite.
È stanca, il respiro è affannato e gli occhi sono cerchiati da profonde occhiaie violacee. La pelle generalmente di un colorito abbronzato è di un pallore malsano, i capelli lasciati liberi e spettinati. Le preziose vesti sono sostituite da una lunga tunica bianca, semplice e larga.
«Dov'è?» ansima a corto di fiato, reggendosi a stento allo stipite della porta.
Wulfric le va incontro, afferrandola per le spalle e sorreggendola.
«Torna nelle tue stanze.» mormora con tono insolitamente gentile, cercando di farla uscire senza farle male. Viste le sue precarie condizioni basterebbe una sola mossa falsa per spezzarla definitivamente.
Lui si volta, guardandola con il solo occhio che gli rimane, scrutandola nel profondo, senza scomporsi minimamente «Ho mandato qualcuno a prenderla.» la informa con voce tuonante ed estremamente seria, dandole di nuovo le spalle per osservare i suoi corvi innalzarsi nell'oscurità della notte. Un lieve ringhio gli risale per la gola, facendo indietreggiare automaticamente i due fratelli.
«Non falliremo questa volta.»
Wulfric accompagna la donna fuori dalla sala, scortandola fino alla sua camera, mentre un pensiero per lui sin troppo divertente gli ronza in testa.
'Questo fallimento sarà ancora più pesante, Imperatore.'


Se la prima volta pensavo che tutta questa oscurità fosse terrificante, adesso non riesco a far altro che pensare che sia il posto più bello del mondo. Non c'è niente qui che può farmi male, nessuno che prova ad uccidermi e nessuno che muore sotto ai miei occhi.
L'unica pecca sta nel fatto che l'uomo dei sogni è sempre qui.
Anche adesso è qui, fermo con lo sguardo rivolto verso l'alto, e come sempre mi da le spalle.
Ho provato a capire chi sia, ma ogni volta se ne esce fuori con qualcosa di completamente senza senso. Ho imparato quindi a limitarmi a guardarlo, aspettando che sia lui ad iniziare un qualsiasi tipo di conversazione. Almeno non devo provare paura.
Seguo il suo sguardo verso l'alto, adesso, cercando quel qualcosa di inesistente che attira tanto la sua attenzione. Che gli piaccia così tanto il nero?
«Ti danno la caccia, sai?»
Abbasso lo sguardo su di lui, non trovandolo più.
Mi volto di scatto, cercandolo freneticamente, senza però riuscire più a vederlo.
«Perderai ogni cosa...» sento la sua voce, sono sicura che sia ancora qui, ma non lo vedo più da nessuna parte «...uccideranno chiunque si frapporrà tra te e loro.»
Vedo i suoi occhi, nitidi come dei gioielli preziosi che splendono nell'oscurità.
Vedo il male, la rabbia, la follia.
Non c'è amore in loro, neanche l'ombra.
«Ti strapperanno la libertà!» la sua voce diventa più roca, più rabbiosa «Ti strapperanno le ali e ti costringeranno in una gabbia!»
Indietreggio automaticamente, cercando di fuggire a questi occhi maledetti, con il cuore che batte più forte.
Ma poi un velo di tristezza li copre, e non mi guardano più. Svaniscono lentamente nel buio, lasciandomi sola.
«Non puoi niente contro di lui...»


Un forte gracchiare la sveglia, i deboli raggi lunari illuminano i suoi occhi stanchi.
Il corvo è lì, appollaiato sul suo oblò, che la osserva con attenzione. Non è la prima che lo rivede da quando, tre giorni prima, li ha condotti inspiegabilmente verso la misteriosa isola.
Lo osserva a sua volta, sbuffando sonoramente e rigirandosi dall'altra parte, decidendo giustamente di ignorarlo.
L'animale, disturbato da quel gesto sgarbato, vola via, sparendo nell'oscurità così come era arrivato, lasciandola momentaneamente in pace.
Si gira a pancia in su, Akemi, ormai completamente sveglia, e sovrappensiero si rigira i capelli incredibilmente cresciuti tra le dita affusolate, sentendoli sfibrati e deboli.
Sbuffa di nuovo, infastidita da quei suoi cambiamenti fisici sin troppo frequenti. Per sua fortuna quanto meno la crescita si è rallentata, facendola cambiare di pochissimo ogni giorno. In particolar modo le crescono capelli e unghie, che ormai maschera mettendoci della vernice bianca in cima, facendole sembrare completamente volute e finte.
Alza le gambe per aria, osservando i muscoli lievemente sviluppati e le orribili unghie dei piedi, anch'esse nere e leggermente a punta, fortunatamente non lunghe come quelle delle mani.
'Ma qualcosa di normale in me no, eh?'
Si alza a sedere di scatto, acciuffandosi i capelli in una coda disordinata, alzandosi poi in piedi e girottolando per la cabina, cercando con gli occhi una qualsiasi cosa che possa tenerla occupata e, magari, ridarle il sonno.
Ormai ha imparato che quando si trova in quell'oblio nero si sveglierà nel momento esatto in cui l'uomo dei sogni decide di andarsene.
Per un attimo si trova a ripensare a lui, domandandosi chi sia e perché parli in modo così criptato, assumendo spesso atteggiamenti eccentrici, come quando lo ha trovato intento a fare un solitario con delle carte spuntate da Dio solo sa dove. Si ritrova a sorridere a quel pensiero, ricordandosi di come si arrabbiò e distrusse le carte quando il gioco non gli riusciva.
Dentro non sa se lo preferisce così, con i suoi discorsi insensati e le sue movenze assurde, o quando è dentro ai suoi peggiori incubi e muore trafitto al cuore, con quella tormentante espressione piena d'angoscia.
Scuote con vigore la testa, decidendo di uscire sul ponte per andare a prendere una boccata d'aria fresca ma, non appena si ritrova nel corridoio, quella salutare e più che sensata idea viene sostituita da un'altra ben più folle e leggermente suicida.
Cammina in punta di piedi, stando attenta a non disturbare nessuno, giungendo davanti alla cabina del primo comandante.
Rimane completamente immobile, pensando e ripensando se l'idea di provare ad incrementare la loro amicizia proprio nel cuore della notte sia vagamente buona e fattibile, ma alla fine decide di seguire il suo istinto e di agire semplicemente, infischiandosene delle conseguenze.
Entra piano nella stanza avvolta nella penombra, camminando in punta di piedi e sorridendo appena nel sentirlo mugolare qualcosa di incomprensibile nel sonno. Le sembra assurdo che parli quasi di più mentre dorme che da sveglio!
«Marco...?» pigola piano, rimanendo in piedi al bordo del letto, ricevendo in risposta un grugnito.
Sbuffa piano, passandosi una mano sul volto, decidendo di inginocchiarsi sul letto, proprio al suo fianco, scuotendolo un poco per una spalla.
«Marco?» lo richiama di nuovo, vedendolo passarsi una mano sul volto con aria stanca e scocciata «Sei sveglio?»
«Adesso si...» ringhia in risposta, guardandola di traverso nella penombra della stanza «Che vuoi?»
«Non riesco a dormire.» ammette imbarazzata, consapevole di non avere una scusa decente per essere andata da lui nel cuore della notte. Non può dirgli che voleva solo passare del tempo con lui, ne va della sua dignità.
«Non hai nessun altro da andare a importunare? Babbo? Ace? Un Ammiraglio, magari!» sbotta scocciato, notando pure al buio la sua espressione cambiare. Da imbarazzata ad offesa in una frazione di secondo, e, stranamente, una sensazione sgradevole lo pervade dalla testa ai piedi.
Akemi si rigira, pronta ad andarsene, pentita di aver anche solo pensato di poter migliorare un po' il loro rapporto, ma viene prontamente bloccata per un braccio e trascinata di peso sul letto, ritrovandosi così con la schiena sul morbido materasso e con il corpo del comandante sdraiato in parte sul suo.
«Ho esagerato.» ammette sorridendole Marco, ormai del tutto sveglio, notando però che è ancora offesa «Andiamo, te la sei cercata! Lo sai che non voglio essere disturbato quando dormo.»
«Infatti me ne stavo andando.» prova a scansarlo, venendo però trattenuta per i polsi, con il volto dell'uomo sempre più vicino al suo.
«Ormai mi hai svegliato.» mormora con voce bassa, facendola vacillare.
'Dio... cos'è questa sensazione?'
Sente il cuore battergli più velocemente, Akemi, tanto che ha quasi paura che pure lui se ne possa accorgere. Cosa che, purtroppo per lei, avviene per colpa del contatto tra di loro.
«Ti batte forte il cuore, ragazzina.» la schernisce prontamente, alzandosi lievemente per farla respirare meglio.
«Ne parlerò con le infermiere domani.» per la prima volta ringrazia il cielo di avere tanti problemi di salute, mantenendo un'aria indifferente ed rilassata.
Marco annuisce appena, lasciandole i polsi e sdraiandosi sul suo addome, tenendosi la testa con una mano «Dai, perché sei venuta qui? Un altro incubo?»
Akemi si lascia scappare un lievissimo risolino sconsolato, passandosi una mano sugli occhi «Più o meno...»
«Vedrai che è solo una fase...» risponde sovrappensiero, grattandosi distrattamente il mento «Comunque spero vivamente per te che siano incubi davvero orrendi, perché hai interrotto un sogno interessante.»
Akemi è sempre più sconvolta: non solo la sta toccando in un frangente che non riguarda allenamenti o simili, ma sta pure scherzando con lei!
«Che sognavi?» gli domanda con voce bassa, sorridendogli divertita e sistemandosi i cuscini dietro la testa in modo da stare più comoda, cercando di non pensare al profumo dolce di muschio bianco e salmastro che sente sulla sua pelle. Un odore dolce e maschile al tempo stesso, che la sta facendo impazzire lentamente.
«Come dirtelo in maniera delicata?» pensa Marco, guardandola con aria beffarda «Mettiamola così: era quel tipo di sogno che qualsiasi uomo definirebbe, quanto meno, coinvolgente.»
Akemi lo guarda per un istante con aria persa, riflettendo con attenzione sulle sue parole, arrivando finalmente alla ovvia conclusione, imbarazzandosi immediatamente «Un sogno erotico!»
«Urla più forte Akemi, penso che Roger, dall'aldilà, non ti abbia sentito bene.» la sfotte immediatamente, trattenendo a stento le risate di fronte alla sua espressione assai imbarazzata.
Dentro, in realtà, quello imbarazzato a morte è proprio lui, ma non glielo può far capire. Anche perché se capisse comincerebbe a fare domande, e di conseguenza gli estorcerebbe la scomoda verità che stava sognando di fare una doccia con lei, in atteggiamenti assolutamente poco fraterni.
Se ci ripensa, non riesce a fare a meno di domandarsi come il suo subconscio abbia tirato fuori una perversione del genere. Perché si, oggettivamente sa che è una ragazza carina, ma è ancora una mocciosa, completamente lontana dai suoi canoni di bellezza. Poi è cresciuta in mezzo a loro, l'ha letteralmente vista in fasce!
Scuote un poco la testa, incrociando di nuovo i suoi occhi chiari e leggendovi dentro un enorme imbarazzo, ma allo stesso tempo una forte curiosità.
«Chi sognavi?» butta lì, mordendosi il labbro inferiore.
Marco sgrana gli occhi, conscio del fatto che sente, per una ragione inspiegabile, quando qualcuno le sta mentendo, pensando velocemente ad una via di fuga «Ma che domande sono?!»
«Oh, andiamo!» insiste, tirandogli una pacca sulla spalla «La conosco?»
«Perché t'interessa?» ci gira in torno, Marco, in crisi profonda. Non vuole assolutamente fargli sapere che era lei la ragazza in ginocchio di fronte a lui nella doccia che lo stava mandando in paradiso!
«Sai che sono curiosa.» inclina un poco la testa di lato, Akemi, sorridendogli furbetta «Dimmelo, forza! La conosco?»
«Probabilmente...» prima che Akemi possa aggiungere una qualsiasi altra cosa, le mette senza tanti complimenti una mano sulla bocca, zittendola «Questo è tutto quello che saprai, mocciosa. Un'altra domanda su questo argomento e di mando in orbita a calci nel culo, intesi?»
Akemi scoppia a ridere, mettendosi subito le mani sulla bocca per evitare di svegliare tutti quanti, guardandolo con aria incredibilmente divertita, mentre una strana sensazione fastidiosa le aleggia nel cuore, a cui però non vuole dare peso.
«Non pensavo che avrei mai avuto l'onore di vedere il grande comandante Marco la Fenice esternare tante emozioni e parlare così tanto.» scherza, tornando un poco seria, facendo però accigliare il diretto interessato
«Cosa intendi?»
«Sei sempre serio, è già un miracolo che tu pronunci frasi complete anziché esprimerti a monosillabi.» risponde guardandolo con aria calma «Poi con me sei sempre acido e... si, stronzo.»
«Ma senti questa piccola mocciosa impertinente!» sbotta, senza però nascondere un sorriso.
Fa leva su un braccio per alzarsi, sovrastando il suo esile corpo, puntandole poi le mani al lati della testa e montando a cavalcioni sopra di lei, pietrificandola «Ripetilo un po' adesso!»
Akemi lo guarda con un vago timore per un attimo, ma basta poco perché in lei scatti il lato giocoso e competitivo, tanto da farle accettare quella sciocca sfida «Sei uno stronzo musone.»
Marco le afferra velocemente entrambi i polsi tenendoli stretti in una mano, mentre con l'altra prova a farle il solletico, notando però che non riesce ad ottenere alcun risultato.
Passa allora ad un nuovo attacco, scaldando la punta delle dita al punto da renderle assai fastidiose al tatto, passandole sui suoi fianchi, facendola così dimenare sotto di lui.
«Chiedi scusa!»
«Mai!» si dimena con forza, Akemi, trattenendo le risate e provando in ogni modo a liberarsi, riuscendoci solo con un incredibilmente forte colpo di reni.
Si trova così sdraiata sul corpo di Marco, libera dalle sue malefiche torture, con il viso sin troppo vicino al suo e la sua mano calda poggiata sul suo fianco freddo.
L'imbarazzo in lei è così forte che quasi non riesce a respirare, mentre Marco non trasuda più alcuna emozione. Dentro, in realtà, è imbarazzato quanto lei. In altre circostanze, sicuramente, non gli avrebbe fatto né caldo né freddo, mentre dopo quel sogno maledetto sente un certo senso di imbarazzo e fastidio ad averla spalmata addosso.
La scansa in maniera brusca, rimettendosi a sedere e passandosi una mano tra i capelli.
«Sono stanco, Akemi...» mormora, rimettendosi sdraiato sul fianco destro e sistemandosi il cuscino sotto la testa, cercando così di ignorare la ragazza che gli si sta accoccolando contro la schiena. Tentativo che però fallisce miseramente nel momento esatto in cui gli cinge la vita con un braccio, facendolo sussultare.
«Non mi sembra di aver mai detto che potevi dormire qui.»
«Dai, non fare lo scorbutico.» brontola la minore, stringendosi ulteriormente e provando a prendere velocemente sonno, sperando con tutta sé stessa che la vicinanza di qualcuno possa scacciare i suoi incubi e, soprattutto, quel rompipalle oltremodo insopportabile.
«No, dico sul serio, Akemi: fuori di qui.»
Akemi si mette di scatto in ginocchio, puntando gli occhi sulla sagoma immobile del comandante. Lo guarda con un certo astio, decisa a rimanere in quel letto «Stronzo.»
«Chiamami un'altra volta stronzo e ti ustiono, sei avvertita.»
Stupidamente Marco non si è ancora reso conto che anche se piccola ed insignificante, per Akemi quella è una sfida bella e buona. E Akemi odia perdere le sfide.
Lo afferra con decisione per una spalla, rigirandolo a pancia in su e mettendosi velocemente a cavalcioni sul suo bacino. Lo guarda con aria di sfida dritto negli occhi, le braccia incrociate al petto «Primo: sei uno stronzo. Non si parla così ad una ragazza. Secondo, poi: io voglio dormire qui.»
«E io non ti ci voglio!» si alza facendo leva sulle braccia, provando a raggiungere il più possibile il suo volto, cercando così di intimidirla o comunque di farla allontanare, senza però riuscirci.
Rimane infatti immobile, impassibile, lo sguardo duro e determinato.
«Si può sapere perché diavolo ti è venuto in mente di dormire con me?! Non puoi andare dagli altri? Stai sempre attaccata a sei persone sulla nave, e anche alle infermiere... possibile che devi stare proprio qui?!»
«Le infermiere preferisco evitarle, dal momento che non passo esattamente bei momenti in loro compagnia. Ace e Vista russano come locomotive, e il babbo è anche peggio. Satch scalcia, Izo parla.» risponde prontamente, sperando di essere stata abbastanza esauriente.
«E Halta?»
«Halta tende a stritolare nel sonno, e mi da molto fastidio.»
«Ma se mi stavi abbracciando fino a pochi istanti fa!» le strilla contro, esasperato.
«Perché sei calduccio.» mente spudoratamente Akemi, senza però scomporsi di un millimetro.
«Non mi piace avere qualcuno che mi dorme accanto.»
Akemi assottiglia lo sguardo, mentre un sorriso beffardo le increspa le labbra. Punta un dito sul petto della Fenice, all'altezza del cuore, facendolo accigliare «Puoi anche provare a convincere te stesso, Marco, ma il tuo cuore parla per te.»
Sgrana un poco gli occhi, sorpreso. Non si era neanche reso conto di averle mentito. 'Il mio subconscio è terribilmente schizzato questa sera...'
Nota poi lo sguardo di Akemi farsi più triste, i suoi occhi velarsi di un forte dispiacere «Evidentemente non vuoi me accanto.» si alza velocemente, dirigendosi con passo calmo verso la porta «Penso che andrò a fare compagnia a chi è di vedetta.»
«Akemi...» la richiama Marco, mortificato. Non voleva ferirla, è l'ultima cosa che vorrebbe. In fondo sono compagni, fratelli.
«Buona notte, comandante.» lo liquida così, con voce neutra, chiudendosi la porta alle spalle, lasciandolo solo nell'oscurità della sua stanza.
Cammina con passo svelto fin sulla cima della polena, sedendosi con aria afflitta e fissando l'orizzonte, domandandosi per l'ennesima volta se loro la stanno cercando. Perché malgrado ce l'abbia con loro per averla condannata ad una vita diversa, malgrado l'abbiano lasciata da sola, vorrebbe veramente incontrarli. Anche per pochi secondi, giusto per sapere chi sono e per potersi portare per sempre dietro il ricordo dei loro volti.
«Come mai ancora in piedi, mocciosa?»
Si volta con aria infastidita verso Teach, abbozzando un sorriso giusto per non essere maleducata. Barbabianca si è infatti raccomandato che non si comporti in maniera sgarbata, quindi di tanto in tanto ci prova.
«Ho qualche problema a dormire...» borbotta passandosi le mani sul viso con aria stanca e sconsolata, tornando poi a guardarlo «Posso farti una domanda, Teach?»
L'uomo le sorride allegro, mettendosi seduto al suo fianco e annuendo con la testa, contento di poter finalmente conversare con lei senza che questa sia inspiegabilmente adirata.
«Cosa vuol dire quando senti qualcosa che si muove dentro la pancia davanti a qualcuno? Aspetta, mi spiego un po' meglio: è come se ci fossero dei serpenti che si muovono nelle tue viscere, che si intrecciano tra loro e ti fanno annodare lo stomaco.»
Teach non riesce a trattenere una forte risata dopo quell'insolita domanda, ma si affretta a ricomporsi di fronte al suo sguardo scocciato «Io sapevo che c'erano le farfalle, non le serpi.»
«Oddio, ho delle farfalle nella pancia?!» sgrana gli occhi per lo sgomento, Akemi, facendolo ridere ancora più forte.
«Ma no! Ti sembra forse una cosa possibile?» le passa una mano sulla testa, ridacchiando appena «Vuol dire che quella determinata persona ti piace, tutto qui. Ma dimmi un po': di chi si tratta, stavolta
«Questo non ti riguarda minimamente, Teach.» ringhia a denti stretti, fulminandolo con lo sguardo.
Sentirlo ridere di nuovo, sentirsi presa in giro, le fa provare un forte senso di rabbia, tanto intenso che per un breve istante l'idea di saltargli addosso e di farlo a brandelli diventa decisamente troppo allettante.
Scuote con forza la testa, provando a scacciare quell'idea pericolosa, e senza pensarci due volte s'incammina di nuovo sottocoperta, con l'unico intento di rimpiattarsi nel proprio letto per poter maledire sé stessa, Teach e l'arrogante fenice che le ha fatto venire quell'orrenda malattia.

Come ormai succede ogni tre giorni, Akemi è stesa nel lettino dell'infermeria intenta a farsi una trasfusione, annoiata a morte e piuttosto infastidita per tutto il baccano che sente arrivare da fuori. Neanche il giornale che le è stato portato gentilmente da Fossa riesce a tirarla su di morale. Anzi, ad essere onesti, anche quello la sta infastidendo: manca una pagina! E lei odia le cose incomplete.
Negli ultimi tempi, in effetti, Akemi ha sviluppato un forte senso di intolleranza verso un sacco di cose: le cose incomplete, il disordine, gli ordini, Marshall D. Teach, giusto per citarne qualcuna.
Ogni volta che una di queste si presenta, diventa insopportabilmente irascibile, tanto che la maggior parte dei suoi compagni hanno adottato la tattica “Sei nervosa? Mi dileguo!”, giusto per evitare di vederla esplodere in un attacco isterico per una cavolata a caso.
Butta il giornale a terra, sbuffando e mettendosi a fissare con insistenza l'orologio appeso sopra la porta.
'Ancora sette maledettissimi minuti...'
Sbuffa di nuovo, tamburellando con le unghie lunghe il mobiletto al suo fianco, cercando di capire per quale assurda ragione i suoi compagni stiano ridendo e urlando in modo così forte ed insopportabilmente allegro.
'Possibile che facciano festa solo quando io sono qui dentro?'
«Ran?» la richiama a gran voce, vedendola spuntare da una piccola stanza in cui tengono un sacco di scartoffie, che di tanto in tanto si diverte a sbirciare. È così che ha scoperto della malattia del padre, e adesso si è infatti prefissata di trovare una cura.
«Tutto bene, cara?» le domanda sorridendo gentilmente, avvicinandosi con passo calmo e sicuro, sedendosi poi al suo fianco.
«Sai mica cosa sta succedendo sul ponte?»
«Mi dispiace cara, non so cosa dirti. Sono sempre stata qui.»
Annuisce piano, Akemi, quando l'infermiera controlla l'orologio al polso e le sorride di nuovo «Per oggi hai finito Akemi!» la informa con gioia, togliendole gli aghi dalle braccia e aiutandola ad alzarsi «Forse sarebbe stato meglio se dormivi, sai?»
«Sicuramente, Ran. Tanto sogno sempre brillanti arcobaleni e unicorni alati che mi portano nel mondo dello zucchero filato!»
Ran le tira un lieve colpo sulla nuca, guardandola con un sorriso divertito «Fai meno la sarcastica con me, signorinella!»
«Si, come vuoi. Ora vado a vedere che sta succedendo, ci vediamo più tardi.»
Akemi si affretta ad uscire, mentre dietro di lei Ran le urla di non far bere troppo il capitano.
'Pfh, come se fosse possibile.'
Cammina per i lunghi corridoi della nave, non trovando anima viva, così, sempre più attirata da quel frastuono, aumenta il passo e arriva sul ponte, dove subito la sua attenzione viene catturata da una donna che sta di fronte all'imperatore.
Ha dei lunghi capelli blu-indaco e un'espressione fiduciosa in volto. Indossa un vestito corto a righe, con le maniche larghe e sul capo una bandana a pallini con sopra un cappello bianco e viola da cui spunta una collana, con al centro il suo Jolly Roger.
La guarda con un certo interesse, non riuscendo a capire né chi sia né tanto meno cosa voglia.
Si avvicina quindi ad Halta, seduta sul parapetto ad osservare la scena, più che intenzionata a sapere cosa sta succedendo e ad avere informazioni sugli estranei.
«Ehi, chi è quella?» le sussurra all'orecchio, distogliendo finalmente lo sguardo e concentrandosi sull'amica.
Halta la guarda a sua volta, sorridendole allegra «È Whitey Bay, un'alleata del babbo.»
Akemi aggrotta le sopracciglia, non riuscendo a capire comunque il perché della sua presenza.
Alza per un breve istante gli occhi su di lei, vedendola scherzare allegramente con Ace e Satch, trovando la cosa vagamente fastidiosa. 'Cosa vuole dai miei fratelli?'
«Che è venuta a fare?» la voce è più roca, cosa che non sfugge alla maggiore.
Ormai passa con lei molto tempo, sono diventate veramente sorelle, ed è l'unica in grado di capirla con un solo, misero sguardo. Guardandola ora, infatti, comprende benissimo che la presenza della ciurma estranea, in particolar modo del loro capitano, la sta innervosendo parecchio.
«Ah, non ne ho la più che pallida idea. Di tanto in tanto incontriamo i nostri alleati lungo la rotta, e questi si fermano a far baldoria con noi. Probabilmente è per questo.» la informa, tenendo un tono vago e facendo vagare lo sguardo altrove, pregando che non si sia resa conto di niente e che lasci cadere la cosa. Spera pure che provi a farsela amica, ma sa bene che è una possibilità piuttosto remota.
«Perché ho come la sensazione che non mi stai dicendo tutto?»
Halta volta la testa verso di lei, guardandola con aria colpevole, ma non riesce a fare in tempo a rispondere che Akemi scoppia in una cristallina risata di fronte alla sua espressione, voltandosi verso il capitano per assicurarsi che non stia bevendo in maniera eccessiva.
La piratessa tira un sospiro di sollievo, pensando di essersela scampata, ma quando segue il suo sguardo sente il sangue gelarsi nelle vene. Bay, infatti, è andata ad abbracciare Marco, allacciandogli le braccia al collo e sussurrandogli Dio chissà cosa all'orecchio, facendolo sorridere. Le mani del comandante, nel frattempo, non si sono staccate neanche per un secondo dai fianchi dell'avvenente piratessa.
Si volta quindi verso l'amica, vedendo la sua espressione diventare come vuota.
'C'avevo visto giusto...'
«Akemi...» la richiama a bassa voce, sfiorandole la spalla con la punta delle dita.
«Stanno insieme?» la domanda esce spontanea, con un tono di voce amareggiato, mentre i ricordi della notte appena trascorsa si rifanno vivi nella sua mente.
'Ora capisco...'
«Più o meno... diciamo che quando si vedono scopano come due ricci, ma da quel che ho sentito dire a Marco non importa granché...» ammette dopo qualche istante di silenzio Halta, guardandola con dispiacere «Tutto bene?»
«Certo.» Halta sa benissimo che non va tutto bene, e ne ha la chiara conferma nel momento esatto in cui Akemi scende di scatto dalla balaustra su cui era placidamente seduta e se ne va, correndo incredibilmente veloce fin sulla cima dell'albero maestro, suo luogo preferito quando qualcosa la turba e vuole nascondersi dal mondo.
'Cos'è questa sensazione?' porta le ginocchia al petto, Akemi, stringendo i denti e impedendo alle lacrime di uscire, ricacciandole indietro mentre la rabbia la pervade.
Abbassa per un istante lo sguardo sulla donna, trovandosi a desiderare intensamente che una delle maledette ombre che tanto la spaventano la trafigga dritto al cuore.
È una rabbia nuova per lei, intensa al punto da farle fisicamente male.
Si stringe le braccia attorno al corpo tremante, provando improvvisamente il profondo desiderio di sparire.
'Lei è...'
Aumenta la presa attorno al suo corpo, immergendo la testa tra le ginocchia e rivedendo nella sua mente le forme sinuose della donna, e non riesce a non paragonarsi a lei.
I capelli di quel colore vivace, lunghi e mossi, sono incredibilmente più belli ai suoi occhi rispetto ai propri, di un nero quasi accecante e lisci come l'olio.
Le sue curve sviluppate, messe in risalto dai vestiti attillati, le ricordano dolorosamente quanto il suo corpo sia ancora acerbo.
Tutto di lei le fa capire di non essere all'altezza neanche sotto a quel punto di vista, di non essere desiderabile da un punto di vista fisico, e la cosa le fa incredibilmente male.
L'aria fresca alle sue spalle le scompiglia i capelli, portando con sé un odore nuovo.
Un odore dolce, caldo. Un odore che le è stranamente noto, che riesce a scaldarle il cuore.
Abbassa lo sguardo, completamente catturata da quel profumo dolce e allo stesso tempo virile, accorgendosi di un ragazzo di circa vent'anni che monta sull'imponente nave con sguardo meravigliato, un sorriso allegro ad increspargli le labbra.
Ha dei bizzarri capelli castani, leggermente lunghi che gli ricadono in parte sugli occhi, rasati sulla nuca e con una piccola treccina che gli scende sul collo, un orecchino d'oro all'orecchio sinistro, due brillanti ed espressivi occhi blu, la pelle abbronzata e un fisico allenato e allo stesso tempo snello, nascosto sotto a dei vestiti larghi.
Lo guarda come ipnotizzata, tutta la sua angoscia svanisce come per magia e un'improvvisa voglia di saltare giù la pervade, ma desiste. Prima vuole vedere come reagirà il padre, e solo dopo agirà. Non vuole farlo arrabbiare di nuovo per una sciocchezza dettata dal suo folle istinto.
«E questo moccioso, Bay?» tuona Barbabianca, osservando il ragazzino che monta tranquillo sulla sua nave.
Bay volta la testa verso il suo nuovo acquisto, sorridendo fiera «L'ho incontrato su un'isola, ed è entrato nella ciurma. Ad occhio forse non sembra, ma è molto forte e conosce incredibilmente bene questi mari.» lo informa, senza però avvicinarlo. In effetti, pur essendo con lei da ormai due settimane o poco più, non l'ha mai avvicinato davvero. Giusto qualche parola di tanto in tanto, ma niente di eccezionale. In realtà, nessuno sulla sua nave si è minimamente avvicinato a lui, e neanche ci ha provato.
«Il suo nome è Killian.» afferma dopo qualche istante, senza però riuscire ad attirare l'attenzione del diretto interessato, ora appoggiato al parapetto della nave, concentrato ad intagliare un pezzo di legno con un coltellino «Non è tipo da tante parole, perdonatelo.»
Akemi, dall'alto della sua postazione, nota che il padre non ha fatto una piega, ma che anzi è completamente tranquillo alla presenza del nuovo arrivato, e senza più esitazioni salta giù, atterrando perfettamente in piedi.
Cammina con passo calmo e felpato in direzione del ragazzo che tanto ha attirato la sua attenzione, ma viene bloccata dalla fastidiosa voce della piratessa «E questa signorina?»
«Lei è Akemi, mia figlia.» la informa Barbabianca con tono fiero, guardando la ragazzina con occhi pieni di amore.
«Piacere di conoscerti, Akemi.» le sorride Bay, rimanendo sempre al fianco di Marco, cosa che urta all'inverosimile la giovane, che la incenerisce con lo sguardo.
«Parla per te.» sibila a denti stretti, incamminandosi verso il parapetto, mettendosi però a debita distanza da Killian. Ignora deliberatamente il vociare dei suoi fratelli, che non riescono a spiegarsi il perché di tutto quell'improvviso astio. Sente giusto un commento di Halta rivolto direttamente a lei «Dopo mi sa che dobbiamo parlare, sorellina.»
Ridacchia appena, abbassando un poco la testa e lasciando che i capelli le coprano gli occhi, giusto per non farsi vedere.
Si mette a cavalcioni del parapetto, con le gambe penzoloni e, fingendo di osservare il mare, continua a guardare di sottecchi il nuovo arrivato, convintissima di non essere assolutamente notata.
«Vuoi una foto, ragazzina?» domanda in tono tagliente il diretto interessato, alzando un poco gli occhi su di lei, facendola sobbalzare.
La guarda con sguardo duro, impenetrabile, finché non si lascia andare ad un sorriso divertito «Dai, scherzavo...» con un colpo di reni, poi, si spinge in avanti, andandole incontro e porgendole la mano «Mi chiamo Killian.»
«Akemi...» mormora in risposta, imbarazzata come forse non era mai stata in vita sua, stringendo lievemente la mano del giovane.
Tutti, chi più o meno discretamente, lanciano delle occhiate verso i due giovani che conversano allegri, sorridendosi e guardandosi con occhi sin troppo brillanti per i loro gusti.
In particolare Marco lo guarda, sentendo una strana voglia di andare lì e buttarlo a calci nel culo giù dalla nave. Al contrario dei suoi fratelli, però, non è una questione di gelosia fraterna, ma bensì un forte campanello d'allarme che gli risuona nella testa al solo guardarlo. Ha qualcosa che non lo convince, qualcosa che gli urla che è pericoloso e che non è entrato nella ciurma di Bay per caso.
Ma i suoi pensieri vengono fermati dalla voce allegra della piratessa che ancora gli cinge il fianco con un braccio, riportandolo alla realtà.
«Beh, sono venuta qui per festeggiare il nostro incontro, no?»
I vari pirati portano i vari barili pieni di sakè e di birra sul ponte della nave, cominciando a versare i liquidi in grossi boccali, intonando canzoni allegre, suonando strumenti e ridendo sguainatamene.
Bay si avvicina piano a Marco, attenta a non farsi sentire dagli altri, e con voce seducente gli mormora all'orecchio «Dopo festeggiamo insieme?»
Questa frase, seppur sussurrata, arriva nitidamente alle orecchie di Akemi, che di scatto volta la testa per guardarli. Vederla baciarlo piano, vedere Marco che non la scansa, vederlo così a suo agio tra le sue braccia, le fa incredibilmente male.
'Teach si sbagliava. Non ho le farfalle nella pancia, ma dei veri e propri serpenti velenosi, che lentamente mi stanno avvelenando il sangue, corrodendomi dall'interno.'
Abbassa repentinamente lo sguardo, rigirandosi sul parapetto dando le spalle a tutti e senza pensarci comincia a farsi una treccia laterale per evitare che il vento le scompigli ulteriormente i capelli, cosa che però attira subito lo sguardo del giovane pirata della ciurma della Strega del Ghiaccio.
«Carina la runa, ragazzina.» borbotta sorridendo appena, continuando ad incidere la sua statuina di legno con concentrazione, tentando di creare un volto per lui decente. In realtà non è mai stato bravo in quel genere di cose, però gli piace, quindi non ha intenzione di smettere.
«Come, scusa?» domanda perplessa Akemi, voltandosi verso di lui e toccandosi involontariamente il disegno sotto l'orecchio.
«Quella che hai dietro al collo. È una runa.» afferma tranquillo, alzando solo dopo qualche istante gli occhi su di lei, folgorandola «La trovo molto bella, ti dona. Anche quella sotto l'orecchio.»
«Cos'è una runa?» domanda realmente incuriosita, avvicinandosi nuovamente a lui. Forse anche troppo.
«Fai sul serio? Te ne sei tatuata una e non sai che cos'è?» ridacchia in risposta Killian, poggiando il pezzo di legno ormai rovinato sul parapetto e riponendo il coltellino nella tasca dei pantaloni.
«Beh... in realtà mi è apparsa sulla pelle.» lo informa con vergogna, abbassando lo sguardo e torturandosi le dita.
«Ah si?»
«Già...» alza di nuovo lo sguardo su di lui, perdendosi per un attimo nei suoi vivaci occhi azzurri, cercando velocemente di ricomporsi «A dire la verità, ne ho più di una sul corpo.»
«Capisco.» si passa una mano dietro al collo, Killian, sospirando pensieroso, per poi allungarla fino a sfiorare la piccola 'M' dietro al collo della ragazza con la punta delle dita «Beh, allora vuol dire che ti sono state fatte con un incantesimo. Comunque questa runa si chiama Ehwaz, ha il significato del progresso, nel senso anche di cambiamento. Quando ti è venuta?»
«Ti dispiace abbassare la voce? Non voglio preoccupare i miei fratelli.» gli afferra di scatto la mano e l'abbassa, senza però rendersi conto di non averla lasciata come avrebbe dovuto. Lo fa solo quando lui abbassa gli occhi sulle loro mani ancora unite, scansandola come se si fosse ustionata.
«Certo, come vuoi.» mormora divertito, guardandola con curiosità e una punta di divertimento.
Akemi sostiene il suo sguardo, e una malsana idea le balena in mente. Infatti senza esitazioni lo afferra per un braccio, trascinandolo verso il sottocoperta.
«Vieni!»
«Cosa?» Killian fa un poco di resistenza, senza però riuscire a trattenere una lieve risata.
«Forza, vieni!» si volta sorridente verso di lui, rimanendo ammaliata da quel sorriso sincero, privo di imbarazzo e incredibilmente brillante.
I due corrono sottocoperta, sotto lo sguardo sconcertato dei presenti. Sicuramente il Governo Mondiale si farebbe delle grassissime risate nel vedere l'espressione dell'imperatore, il cui mento tocca praticamente terra e gli occhi sono ancora dentro le orbite semplicemente per una questione di fortuna.
I pirati più legati a lei hanno più o meno la stessa espressione, eccetto tre: Marco si mostra indifferente alla cosa, anche se dentro è tentato di mandare uno dei suoi sottoposti a controllare che il ragazzo non sia pericoloso come pensa, mentre Satch ed Ace hanno un'espressione oltremodo furiosa dipinta in volto.
«Oh, andiamo ragazzi! Cosa sono quelle facce?» domanda sorridendo la piratessa, dando una lieve spallata alla Fenice, che si limita a scuotere semplicemente la testa e bere un lungo sorso di birra fresca.
«Te lo sgozzo il novellino, Bay.» ringhia a denti stretti Ace, prima di addentare un pezzo di carne.
Halta non riesce a trattenere le risate di fronte alle facce così adirate dei fratelli, notando in loro qualcosa che però non le torna molto.
«È una ragazza molto carina, cosa vi aspettavate?» cinguetta allegra Bay, incrociando le braccia al petto, rendendosi però conto di aver semplicemente peggiorato la cosa. Tenta così di fargli pensare a qualcosa che non siano le mani del suo sottoposto sul corpo snello della loro sorellina «Ha già una taglia?»
Vista annuisce vigorosamente, estraendo dalla tasca la pagina di giornale che aveva tolto prima che Fossa lo consegnasse alla ragazza e gliela passa.

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«Perché Angelo Demoniaco?» domanda incuriosita la donna, alzando gli occhi sui vari uomini di fronte a sé.
«Supponiamo Angelo per il suo aspetto, mentre per il Demoniaco... beh, un marine le sparò dritto al cuore, ma dopo una ventina di minuti al massimo si è rialzata e la ferita era completamente rimarginata.» risponde Halta, fiera della sorella.
«E poi ha fatto un vero e proprio massacro a mani nude.» aggiunge Marco, indifferente.
Satch ed Ace, nel frattempo, non hanno cambiato minimamente le loro espressioni, continuando a puntare con insistenza la porta che separa il ponte dal sottocoperta, pronti a scattare al primo grido. Non importa che genere di grido, ovviamente.
«Ragazzi, fatevene una ragione: è abbastanza intelligente da sapere che cosa sta facendo.» li riprende Izo, contento che la sua cara sorellina abbia trovato una persona che non la trovi né strana né altro, ma che bensì la veda esattamente come la vedono loro: una ragazza carina.
«Ma come fatevene una ragione? Quello lì chissà che diavolo sta combinando adesso!» sbraita Satch, nero in volto, facendoli scoppiare inevitabilmente a ridere «Si, si. Quando poi ce la ritroveremo con il cuore spezzato perché quel cane si è solo voluto divertire ne riparliamo!»
Halta guarda i due comandanti con attenzione, scorgendo qualcosa che la fa insospettire. C'è una chiarissima gelosia nei loro sguardi, ma solo negli occhi di uno dei due è fraterna.

Nel frattempo i due sono in silenzio nella cabina della ragazza.
Killian rimane fermo ad osservarla mentre gli da le spalle, divertito dal fatto che lo abbia letteralmente buttato dentro la sua stanza e dal fatto che adesso sia in completa crisi. Infatti Akemi è rimasta di spalle, rimuginando sul fatto che ha realmente trascinato un ragazzo sconosciuto nella sua cabina sotto lo sguardo di tutti i suoi fratelli e, soprattutto, del padre. Si porta d'istinto una mano sul viso, immaginandosi già il terzo grado che le faranno non appena ne avranno la possibilità.
Trae poi un profondo respiro, rigirandosi verso Killian e trovandolo intento ad osservare con vero interesse le montagne di libri sparse un po' per tutta la stanza.
«Adesso spiegami.» ordina cercando di mostrarsi autoritaria e assolutamente non in imbarazzo per quella situazione, non riuscendo però ad attirare del tutto l'attenzione del ragazzo.
«Wow, quanti libri...» mormora infatti quello, leggendo i vari titoli e annotandosi nella mente i titoli di quelli che non ha ancora letto. Sarà anche facile per lui ricordarli, dal momento che sono forse cinque, tutti volontariamente non letti perché considerati noiosi e, alcuni, pure inutili.
«Killian?» lo richiama divertita, incrociando le braccia al petto e guardandolo con aria beffarda non appena si gira verso di lei.
«Mh? Ah, si. Scusa, mi ero distratto. Dicevo? Ah, si: Ehwaz, simboleggia il progresso.» ripete, mettendosi seduto sul suo letto e toccandosi sotto l'orecchio «Quella, invece, simboleggia la forza e, ad essere del tutto onesti, l'aumenta. Non ricordo il nome però.» ammette sorridendole, per poi ricomporsi velocemente e guardarla con crescente curiosità «Ne hai altre?»
Akemi sposta velocemente i vari braccialetti, mettendo così in mostra i due simboli.
«Questa... oddio, non ricordo davvero più i nomi! Dopo semmai controlla su uno dei tuoi libri, vedrai che qualcosa salta fuori.» le sfiora con la punta delle dita la runa del polso sinistro «Ricordo le funzioni, ma i nomi proprio no. Questa ti da precisione...» sfiora allo stesso modo l'altro polso, quasi con la paura di poterle far male «...questa resistenza...»
Abbassando ulteriormente gli occhi, incapace in quel momento di sostenere il suo sguardo, nota quella sul piede destro «Quella, invece, agilità.»
Solo a quel punto alza gli occhi, incrociando quelli brillanti e glaciali di Akemi, rimanendo per un istante imbambolato come mai prima di allora gli era successo.
Si ricompone alla svelta, tossendo un poco e passandosi una mano tra i capelli, fingendo indifferenza per quel contatto sin troppo intimo per lui «Finite?»
Akemi, sorprendendosi di sé stessa e della sua improvvisa assenza di pudore, si alza la maglietta fino al bordo del reggiseno nero, voltando la testa da una parte e aspettando pazientemente una spiegazione.
Killian, dal canto suo, si sente andare a fuoco dall'interno, tanto che deve ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non compiere qualche sciocchezza dettata dal suo folle ed imprevedibile istinto.
Lancia solo una fugace occhiata alla runa sbiadita, per poi tornare a concentrarsi sui libri.
«Quella... diciamo che ti da i ricordi di chi te l'ha fatta.» ammette nascondendo molto bene il forte imbarazzo che sta provando, incrociando di nuovo i suoi occhi.
'Non posso, dannazione!' trattiene per un attimo il respiro, quasi incapace di riuscire a trattenersi 'L'ordine era chiaro...'
«Io non ho ricordi non miei, però.» ammette Akemi, mostrandosi stranamente a suo agio di fronte a lui.
«È ancora troppo chiara, non si è spezzato l'incantesimo principale, ovvero quello che blocca le capacità di ognuna di queste.» per uno strano miracolo divino, Killian sembra aver ritrovato tutta la sua freddezza e la capacità di imbrigliare le emozioni, riuscendo di nuovo a spiegarle le cose con chiarezza e semplicità «Comunque non ti da semplicemente i ricordi del tipo “ricordo il giorno in cui sono andata a fare un picnic” o stronzate del genere, ma la sua conoscenza.»
Ma quando la sente ridacchiare, quando vede i suoi occhi illuminarsi di una luce allegra, tutta quella sicurezza svanisce di nuovo, facendo emergere contro il suo volere il lato che da sempre prova a tenere imbrigliato dentro di sé, quello ribelle e folle, che manda completamente all'aria tutti i suoi buoni propositi.
«Però, ne sai molto di questa roba.» afferma allegra Akemi, tirandosi giù la maglietta e sorridendogli, notando però una strana luce nei suoi occhi. Una luce pericolosa, che però non riesce a metterla in allarme, ma bensì le provoca una strana sensazione in tutto il corpo.
«Più di quanto tu possa immaginare...» si alza dal letto, Killian, con un movimento lento e fluido, e lentamente avanza verso di lei, fissandola dritto negli occhi, non riuscendo a nascondere le sue intenzioni come è stato addestrato a fare.
Le posa con decisione le mani sui fianchi esili, attirandola verso di sé, senza interrompere neanche per un istante il contatto visivo.
«Ehi, che fai?» domanda Akemi, posandogli le mani sul petto e provando ad allontanarlo, inutilmente.
Continua a fissarla, con insistenza, rafforzando la presa e costringendola ad appoggiarsi a lui, mentre lentamente indietreggia.
«Toglimi le mani di dosso!»
Killian sorride divertito nel vederla scaldarsi tanto, tenendo un orecchio teso per essere sicuro di non essere interrotto.
Continua ad indietreggiare, fino a farla trovare con le spalle al muro, bloccata dalla sua presa ferrea.
Poi lo sente, nitido e incantevole: il battito del suo cuore. Un sorriso gli increspa le labbra quando si accorge che non c'è la minima traccia di paura, ma bensì solo un forte imbarazzo.
Guarda con attenzione il suo viso, imprimendosi nella mente ogni dettaglio, lasciando scivolare una mano sul suo pallido e delicato collo, facendo una lieve pressione.
«Non me lo perdoneranno facilmente...» mormora tra sé e sé, continuando ad osservarla rapito, con l'eccitazione che aumenta sempre di più, spiazzandolo «...ma non resisto...»
Si muove veloce, tanto che Akemi non ha il tempo di sottrarsi.
Le sue labbra sono premute con decisione sulle sue, calde e morbide, in un bacio che non lascia scampo.
Sente qualcosa di caldo e morbido scivolarle tra le labbra, e per qualche secondo rimane esterrefatta, incapace di muoversi, tentando a fatica di elaborare quanto sta accadendo: Killian, il ragazzo silenzioso della ciurma di Whitey Bay, lo stesso per cui si è sentita incredibilmente calamitata da quando l'ha visto neanche un ora prima, la sta baciando, ha infilato la lingua nella sua bocca e le sta accarezzando delicatamente un fianco. E lei lo sta lasciando fare.
Di colpo poi si rende conto che non solo lo sta lasciando fare, ma anche che la sua lingua si è animata al tocco di quella calda del ragazzo e sta partecipando attivamente a quella danza a lei sconosciuta.
Lo spinge via con violenza, respirando a fatica e guardandolo con occhi sgranati.
«Ma che diavolo ti è saltato in mente?!» strilla, cercando di mostrarsi molto più furiosa di quanto in realtà è.
Killian la guarda con aria persa. In vita sua ne ha combinate tante, decisamente troppe, ma mai una volta aveva disobbedito in modo così aperto e sfrontato nei confronti del suo Signore. La cosa peggiore, poi, è che non riesce a provare il minimo rimorso.
Akemi continua a fissarlo, mentre una battaglia interiore le confonde terribilmente le idee. Se una parte di lei, quella coscienziosa e prudente, le urla a gran voce di scappare dal padre e lì rimanere finché il ragazzo non sarà buttato fuori dalla nave, l'altra, quella folle ed irrazionale, le impone di avvicinarsi di nuovo a lui e di riprendere quel contatto per lei nuovo.
È una battaglia sanguinaria, che dura svariati minuti, finché l'irrazionalità non prevale con prepotenza sulla prudenza, e in un battito di ciglia si ritrova tra le braccia forti di Killian, a baciarlo con trasporto, lasciando che le sue mani esperte vaghino sul suo corpo.

«Io vado a vedere cosa stanno combinando!» sbotta per l'ennesima volta Satch, venendo nuovamente afferrato le un braccio da Vista.
In quella mezz'ora il quarto comandante è letteralmente impazzito, corroso da quel malato senso di protezione nei confronti della sorellina, dalla gelosia che prova nel sapere che è da sola nella stanza con un ragazzo. Un ragazzo che, a detta di Halta e con l'appoggio di Bay, non è niente male.
«Satch, sul serio: basta!» lo riprende per l'ennesima volta Izo, sbattendosi una mano sul viso con aria frustrata. Gli vuole bene, moltissimo, ma in quel momento lo trova indecentemente insopportabile.
«Sono lì dentro da più di trenta minuti!»
«Se a te ne bastano meno di dieci non vuol dire che questo valga per tutti.» lo sfotte con aria pacata Marco, scatenando le risate generali.
In realtà dentro è ansioso pure lui, mentre l'idea che quel perfetto estraneo possa averle fatto veramente male diventa sempre più nitida nella sua mente. In fondo, l'ultima volta che si è trovata da sola non è andata bene.
«Cosa cazzo dici?!» ringhia Satch, furioso come non lo era mai stato, illuminandosi poi quando vede riemergere i due ragazzi, sorridenti e allegri che scherzano come se si conoscessero da sempre.
Li vede andare in disparte, troppo vicini per i suoi gusti, e ancora di più per quelli di Barbabianca, che fino a quel momento ha provato con tutto sé stesso a concentrarsi sui propri figli.
Vederla lì, con quello sbarbatello, seduti sul parapetto a guardare l'orizzonte, tutti sorridenti, semplicemente lo manda in bestia. E la situazione peggiora quando vede il cane bastardo -come ormai è stato battezzato dal quarto comandante- metterle un braccio intorno alla vita e sussurrarle qualcosa all'orecchio.
'Lo odio. Lo odio profondamente. Lo odio come potrei odiare un Ammiraglio!'
Stringe con forza i pugni, rimuginando con attenzione a quale punizione assegnare questa volta alla figlia e, soprattutto, a quale scusa usare.
«Penso che vogliano uccidermi.» borbotta Killian, trattenendo a stento le risate, facendo ridere di gusto Akemi.
«Non lo escluderei, in effetti.» volta la testa per poterlo guardare negli occhi, ritrovandosi a sorridere imbarazzata «Sono piuttosto protettivi con me.»
«Lo capisco bene.» ammette con disinvoltura, passandosi una mano tra i capelli scompigliati dal vento «Se vedessi andare mia sorella o, ancor peggio, mia figlia in camera da letto con un ragazzo, lo farei a pezzi ancor prima che riesca a metterci piede... poi probabilmente sbatterei come un tappeto anche lei, giusto per farle capire bene la lezione.»
«Beh, allora vuol dire che ho commesso un grave errore.» volta la testa di lato, fingendosi offesa, e incrociando le braccia al petto per dare enfasi alla cosa.
Killian le sorride teneramente, mettendosi velocemente con le gambe penzoloni dal parapetto e tirandosela contro, sentendo il suo corpo irrigidirsi per un breve istante «Spero che tu sbagli ancora con me...»

Come tutte le cose, anche quel pomeriggio è giunto al termine, così come la rimpatriata e i vari pirati sono risaliti sulla nave, tranne due.
Bay continua a salutare e ad abbracciare i vari amici, soffermandosi qualche secondo di più su Marco, per poi allontanarsi insoddisfatta. Non si sarebbe mai aspettata che la ignorasse come ha fatto quel giorno. C'è stata giusto qualche effusione lontana da occhi indiscreti, ma niente di più.
Killian invece è in disparte con Akemi stretta tra le sue braccia, mentre l'idea di obbedire tutto in un colpo agli ordini del sovrano si fa strada nella sua mente. L'accantona velocemente però, deciso a non piegarla al volere di qualcun altro. 'Non voglio che mi odi per questo. Cederà da sola, comunque.'
«Ci rivedremo...» le sussurra all'orecchio, allentando finalmente la presa. Lancia una fugace occhiata all'imbarcazione e ai vari uomini che la popolano, pensando per un breve istante che in effetti gli era mancato andare per mare. 'Chissà, magari un giorno riprenderò quest'attività...'
«È una promessa?» domanda ingenuamente Akemi, sorridendo gioiosa.
Killian la guarda con attenzione, lasciandosi andare a quello che per lui sarà l'ultimo sorriso per molto tempo.
«Certo.» 'Purtroppo per te...'
Le ruba un ultimo bacio, il primo che si sono scambiati da quando sono tornati in mezzo agli altri, dirigendosi poi con passo lento e strascicato fin sull'imbarcazione della piratessa, ignorando deliberatamente gli sguardi scocciati della ciurma.
Si volta giusto un'ultima volta, perdendosi negli occhi chiarissimi di Akemi.
'Ha i suoi stessi colori...' pensa sorridendo amaramente, indossando di nuovo la maschera dura che da sempre si porta dietro.
La nave si allontana velocemente, riprendendo così la propria rotta, diventando in non molto tempo un punto sull'orizzonte.
Sulla Moby Dick tutti hanno ripreso le proprie mansioni, sistemando il caos che hanno creato.
Akemi invece resta ferma a fissare la nave, un senso di freddezza le attanaglia il cuore, come se avesse perso una parte fondamentale di sé. Non vuole pensarci però. 'Dovrò accontentarmi del ricordo...'
Trae un respiro profondo e finalmente si volta, trovando i comandanti e il capitano che la fissano con una certa insistenza. Alcuni di loro hanno un'espressione divertita in volto, mentre gli altri trasudano un certo fastidio, se non proprio rabbia.
Fa saettare lo sguardo su di loro, uno per uno, fino a soffermarsi sul padre, a cui sorride con aria sfrontata.
«Vediamo un po' se indovino...» cammina in avanti con una finta aria pensierosa, tenendosi il mento tra le dita sottili e fissando il cielo, fingendo poi di avere una specie di illuminazione «Sono in punizione!»
Barbabianca le sorride con aria divertita, annuendo con il capo.
«Ma quanto sono intelligente?»
Izo non riesce a trattenere una lieve risata, imitato poi da Jaws e Vista.
«Indovini anche cosa devi fare?» le domanda beffardo Barbabianca, guardandola con curiosità. Era convintissimo che sarebbe andata su tutte le furie, invece la prende incredibilmente a ridere.
«Mh... il ponte l'ho già tirato a lucido ieri per quel piccolo ed innocente scherzo a Fossa...» a cui, senza tante cerimonie, ha fatto lo sgambetto, facendogli sbattere forte la testa «...la cambusa ieri l'altro è stata ripulita fin sul soffitto per la faccenda della forchetta...» che ha piantato con incredibile violenza e cattiveria nella mano di un uomo che aveva pensato di mangiare la sua fetta di torta al cioccolato «Se mi dici di mettere in ordine la mia stanza sei scontato, eh...»
Alcuni pirati, che non hanno potuto fare a meno di ascoltare la conversazione, se la ridono sotto ai baffi, non riuscendo ancora a capacitarsi di tutta quella sfrontatezza nei confronti del loro capitano. In fondo stiamo parlando di Barbabianca, mica del primo scemo che capita!
«Infatti andrai a lucidare e mettere in perfetto ordine l'armeria, poi passerai a pulire la stiva.» ammette quello con noncuranza, fingendosi incredibilmente indifferente alla cosa.
«Ma finirò domani mattina così!» protesta prontamente la ragazza, sbattendo un piede a terra come una bambina.
«Allora ti conviene cominciare subito, mh?»
Akemi sbuffa sonoramente, incamminandosi con aria seccata, venendo però bloccata da Marco.
Lo fulmina con lo sguardo, ancora in collera con lui, ma presto quella collera sparisce, lasciando spazio ad un forte stupore quando il comandante le mette sotto agli occhi il suo avviso di taglia.
Strilla piena di gioia, afferrandolo con entrambe le mani e cominciando a saltellare sul posto, stritolando in un abbraccio vigoroso il primo malcapitato che le capita sotto tiro, tornando poi a fissarla con occhi sognanti.
'Se non fosse per quei capelli ridicoli, sarebbe perfetta!'
Si volta verso il padre, che le sorride bonario e fiero, trotterellando subito dopo verso l'armeria, senza neanche una punta di nervosismo.
'Grazie a Dio la prossima volta che mi vedranno la dovranno cambiare perché non assomiglierò più a questa foto!'
Sul ponte anche i comandanti cominciano a disperdersi e a dare ordini ai propri sottoposti, bloccandosi di nuovo quando la vedono spuntare di nuovo sul ponte, con un sorriso ad incresparle le labbra che non preannuncia niente di buono.
«Per vostra informazione, sottospecie di babbuini, non abbiamo fatto sesso.»
Quelli che fino a pochi istanti prima si stavano mangiando le mani per la gelosia lasciano perdere l'insulto e tirano semplicemente un sospiro di sollievo.
Sollievo che però muore in pochi secondi.
«Giusto qualche palpatina sotto la maglietta.»
Satch sgrana gli occhi, guardandola con il mento che tocca per terra mentre se ne va in tutta serenità.
Lo stesso vale per Ace, furioso oltre ogni limite. In fondo, hanno toccato la sua sorellina.
Barbabianca pensa ad una nuova punizione da darle, anche per una cosa a caso, giusto per farle passare completamente la voglia di avere un qualsiasi tipo di contatto con un uomo che non faccia parte della ciurma e che non abbia la sua più completa approvazione, trovandosi a sorridere per le idee a dir poco geniali che sta partorendo la sua mente.
Halta si tiene le mani davanti alla bocca per evitare di scoppiare a ridere a pieni polmoni, incrociando lo sguardo del primo comandante, che va dal sorpreso al divertito.
«Ehi Satch!» urla questi, attirando l'attenzione del fratello «Sta su col morale. Pensa che quello sta messo peggio di te: trenta minuti solo per toccare un paio di tette pressoché inesistenti!»



Angolo dell'autrice:
Ohhh, finalmente sono riuscita a scrivere un capitolo allegro! Ci voleva, no?
Ed ecco un personaggio che, per qualche assurda ragione, sto arrivando ad adorare.
Lui non scordatevelo, mi raccomando, perché conterà abbastanza in futuro. Come conteranno altri personaggi... ma non posso dirvi altro, purtroppo! :P
E ora lasciamo un piccolissimo spazietto a lui, L'Uomo dei Sogni! Che ne pensate? Perché ha un certo peso pure lui, mi dispiacerebbe sapere che non sopportate le parti in cui appare xD
Ammetto che pure con lui mi sto sbizzarrendo... forse è il caso che mi freni un pochino? XD
Adesso, dal momento che sono i protagonisti, spendiamo due righe per loro: Akemi, in piena adolescenza, sta diventando una piccola bastardella pestifera, con la testa concentrata solo ed esclusivamente su quello che vuole (capire chi è e UOMINI!), scontrosa e di tanto in tanto pure acida. Marco? Beh, lui è un tonno, altro che fenice! Non si è accorto di niente, malgrado fosse abbastanza evidente che il suo estremo malumore fosse dovuto alla presenza della sua trombamica (TI ODIO!... ehm ^^”). Poi l'ha pure sognata (ebbene si, qui Marco avrà qualche particella da maniaco, giusto perché ci sta sempre bene)... cioè, Marcolino: SVEGLIAAA!

Ah, tanto per essere completamente lucidi, ecco a voi il nostro Killian, interpretato dal bel Jim Hawkins! Nella mia mente è leggermente più alto e vagamente più muscoloso, ma questi son dettagli.

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Allora? Se prima potevate provare per lui un certo fastidio, ora che sapete com'è lo avete comunque in antipatia? XP
Ho le immagini per tutti i personaggi che arriveranno anche in seguito (ho anche Freki e Geri xD già trovati e presi!), ma le metterò quando appariranno più in là. Lui l'ho messo perché mi piace troppo!
Ok, ok. Adesso basta sul serio! :P
Alla prossima gente, un bacione!
Kiki

PS: ecco le rune: 
http://tinypic.com/r/5p2xhl/8 
Una appartiene a quelle norrene, le rune di Odino, mentre le altre (visto che quella era l'unica a piacermi e con il significato adatto) sono state prese dal libro/film Shadowhunters.

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Capitolo 8
*** 8. Un sottile equilibrio spezzato ***


Prima di iniziare: gente, devo farvi una domanda importantissima: sto esagerando? Sto mettendo troppa gente? Sto incasinando troppo? Sto scrivendo capitoli troppo lunghi? Insomma, è tutto troppo troppo?!
Fatemi sapere!
Buona lettura :*

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Sulla Moby Dick aleggia un'incredibile calma.
Tutti compiono i propri doveri con aria tranquilla, con il sole tiepido che carezza loro la pelle, parlottando di argomenti leggeri.
Barbabianca si è lasciato andare da almeno mezz'ora alle cure delle infermiere, osservando con sguardo disinteressato i figli. Di tanto in tanto lancia pure delle fugaci occhiate alla figlia, che dorme rilassata sdraiata placidamente sul pennone di velaccino dell'albero di trinchetto. Per un verso ha paura che cada, ma ormai ha adottato la politica che deve imparare dai suoi errori, in questo caso: “cadi e ti fai male? Bene, la prossima volta non salirci”. Tanto le punizioni sembrano inefficaci con lei, basta solo che capisca per i fatti suoi e che non la si faccia innervosire.
«A cosa pensate, capitano?» gli domanda gentilmente Ran, annotando dei nuovi risultati sulla cartella clinica dell'uomo; fortunatamente negli ultimi tempi non ha subito peggioramenti.
«Penso che sia arrivato il momento di inserirla in una flotta.» afferma convinto, pensando a quale dei suoi figli sia il più adatto a farle da comandante.
Scarta velocemente Ace e Marco, per motivi assai validi: col primo scherza troppo, finirebbe sicuramente con il non prendere sul serio quanto gli viene ordinato, mentre col secondo non parla da cinque giorni, quindi non lo ascolterebbe neanche sotto tortura.
«Cosa è successo tra quei due?» domanda dopo qualche istante l'imperatore, preoccupato per la situazione in cui sono coinvolti i due. Infatti ha notato, seppur raramente, un assai vago tentativo da parte della Fenice di parlarle ed un conseguente sguardo omicida da parte di Akemi, che poi si volta istantaneamente dall'altra parte per ignorarlo.
«Non ne ho idea capitano.» ammette con tono serio la donna, lanciando delle fugaci occhiate ai due interessati «Potrebbe provare a chiedere a lui; lei diventa piuttosto irascibile se ci si prova.»
«Che vuoi dire?»
«Voglio dire che, curiosamente, ha mostrato i denti ad Halta quando ha sollevato l'argomento in infermeria un paio di giorni fa. Le assicuro, è stato strano: sembrava un gatto che soffiava ad un avversario. Poi con quella dentatura...»
L'uomo inarca un sopracciglio, pensieroso, domandandosi ancora con più insistenza cosa possa averla turbata così tanto. In fondo, se fosse successo qualcosa di grosso, gli altri -o quanto meno Halta- lo avrebbero sicuramente saputo e lo avrebbero informato.
«Capisco.» afferma semplicemente, tornando ad osservare i figli.
'Non ho il potere sufficiente su di lei per farla parlare...' pensa rammaricato, arrivando alla conclusione di dover momentaneamente lasciar perdere la cosa.
Punta lo sguardo su uno dei comandanti, facendogli poi cenno di avvicinarsi.
Quello, con un sorriso allegro sulle labbra, obbedisce senza esitazioni, avvicinandosi ulteriormente quando l'imperatore si abbassa su di lui. Si avvicina a tal punto da permettergli di sussurrargli delle semplici ma incredibili parole nell'orecchio, tanto sconcertanti da fargli sgranare gli occhi.
«Tienilo per te, lo annunceremo a cena.» ordina subito dopo, passandosi stancamente una mano dietro al collo.
«Sei sicuro, babbo?» gli domanda incerto guardandolo titubante, sospirando poi rumorosamente e facendo semplicemente spallucce quando il capitano annuisce convinto.
Torna così dai suoi compagni, che ovviamente gli domandano cosa gli abbia detto in gran segreto e l'unica cosa che può dirgli è di aspettare la cena.
Halta, per niente incuriosita dal loro vociare, lancia continue occhiate alla sorella che sta cominciando ad agitarsi debolmente nel sonno. Anche se tra loro c'è una grossa distanza, riesce a vedere nitidamente il suo volto contrarsi in smorfie addolorate, ma decide di non svegliarla. Sarebbe sicuramente controproducente non farle terminare quel sogno -o incubo-. In fondo è solo in quei momenti che ha la possibilità di scoprire qualcosa, e questo Halta lo sa bene. Infatti, due sere prima, Akemi le ha raccontato in segreto che adesso le ombre dei suoi incubi hanno per la maggior parte dei medaglioni come quello che ha trovato, e che anzi ce ne sono di due tipi: uno come il suo con la pietra rossa e un altro con una pietra azzurra. Pure le ombre che li indossano sono differenti le une dalle altre: le prime sono grosse, quasi deformi, con una forza fisica devastante, mentre le seconde sono slanciate, meno brutali e più veloci.
'Impegnati sorellina...' pensa distrattamente mentre aggiusta una rete, distogliendo finalmente lo sguardo 'Ricordati chi sei.'

«Halta!» la scuoto ancora, mentre l'angoscia mi divora l'anima «Halta, dannazione!»
La scuoto per le spalle, la sua testa dondola avanti e indietro, i capelli imbrattati di sangue denso si spostano un poco dalla pelle pallidissima della fronte. Gli occhi sono vitrei, spalancati, e dentro ci si legge ancora il terrore che deve aver provato quando qualcosa l'ha ridotta in questo stato.
Mi accascio sul suo corpo, piangendo tutte le mie lacrime, stringendola con forza a me. Il suo cuore non batte più e giace nella polvere non lontano dal noi. 'Gliel'hanno strappato...'
Sento il sangue caldo provenire dal suo addome attaccarsi fastidiosamente a me. 'L'hanno sbudellata...'
Faccio vagare gli occhi intorno a me.
'Dove sono?'
Ci sono solo fiamme che mangiano lentamente ogni cosa. L'aria è pesante, piena di fumo e polvere. Il sangue imbratta le strade, creando dei piccolissimi rigagnoli scarlatti.
'Chi ha potuto fare una cosa simile?'
Da un lato, con la faccia riversa a terra, vedo la sagoma di Satch. Un enorme squarcio sulla schiena sta sgorgando le ultime gocce di sangue, mentre una densa pozza scura si allarga ulteriormente sotto di lui.
Vedo Ace, la testa reclinata all'indietro, gli occhi inespressivi e spenti, leggermente socchiusi, un'inferriata che gli trapassa il petto, il corpo molle, ricoperto di dense scie scarlatte che colano giù fino al suolo.
Tutti quelli che conosco giacciono morti, mutilati, sbudellati, riversi in pozze di sangue denso.
Un lieve ringhio mi fa alzare di scatto la testa.
Una figura nera, nitida stavolta, mi sta fissando mentre resta accovacciata sulla preda. Non riesco a vedere chi tenga tra le braccia lunghe e muscolose, è troppo lontana.
Mi fissa con insistenza, alzandosi lentamente quando io mi alzo per andargli incontro.
Se sono morti loro, voglio morire anche io. Che senso avrebbe continuare a vivere così, senza la mia famiglia?
Ci camminiamo piano in contro, e lentamente riesco a mettere a fuoco la figura che mi guarda con rabbia e odio: ha un corpo slanciato e muscoloso, direi quasi deforme, il volto semi-animalesco con dei lunghi denti aguzzi imbrattati di sangue, degli artigli lunghi e affilati, la pelle nera come la notte, così come la chioma. Indossa degli stracci distrutti e sporchi, mentre i piedi sono lasciati nudi.
Il suo odore è forte, la sua forza è impressionante.
Non appena ci troviamo faccia a faccia, sento che mi sta scrutando sin dentro l'anima con quegli occhi completamente neri. Ad un primo impatto, se ci penso, sembrano quelli di uno squalo: grandi, neri e senza vita.
Rimaniamo completamente immobili a fissarci, finché, spinta da Dio solo sa quale motivo, allungo un braccio nella sua direzione, bloccandomi a metà movimento.
'Perché mi sta copiando?'
Ritraggo il braccio, vedendo che compie lo stesso identico movimento nello stesso istante.
'Mi prende in giro, forse?'
«Non trovi che sia bellissima?» l'uomo dei sogni, silenzioso come solo lui sa essere, spunta da dietro il mostro, guardandomi con aria incredibilmente divertita e direi anche fiera.
Il palo di metallo è piantato fermamente nel suo petto, ma non una singola goccia di sangue cola dalla ferita. 'Com'è possibile?'
«Perfetta.» sposta gli occhi sulla testa del mostro, guardandolo (o -la?) con adorazione «Assolutamente perfetta...» allunga un braccio per cingerle la vita, e il mio cuore si gela.
Sento il contatto freddo del suo braccio lasciato scoperto contro la mia vita, e subito dopo la pressione che esercita per tenermi stretta.
Ma come è possibile? Sta abbracciando il mostro! Come fa, contemporaneamente, a stringere anche me? No, è semplicemente impossibile. Qualcuno, un superstite, mi sta stringendo, vuole proteggermi da questi due!
Volto di scatto la testa e per un attimo mi sento mancare.
I suoi occhi di ghiaccio, freddi ed impenetrabili, mi guardando con una strana luce che li fa risplendere; il suo fiato leggero mi accarezza la pelle; il suo profumo mi invade completamente le narici.
«Hai fatto un ottimo lavoro.»
Volto di nuovo la testa, notando qualcosa che fino a quel momento mi era sfuggito: una cornice dorata, brillante e splendente, circonda la superficie riflettente dello specchio.
Il mio corpo è completamente ricoperto di un sangue non mio, i capelli sono disordinati e sporchi, i miei vestiti sono ridotti a degli stracci.
«Non sono stata io...» mormoro con un filo di voce, sforzandomi incredibilmente per farmi sentire, mentre le lacrime scendono incontrollate.
«Ohhh, si invece.»


Apre di scatto gli occhi, venendo accecata per un breve istante dai brillanti raggi del sole, tirandosi poi a fatica a sedere con le gambe sospese nel vuoto. Impreca a denti stretti, passandosi entrambe le mani sul viso con aria stanca, abbassando poi gli occhi sui vari componenti della ciurma che girano indisturbati sul ponte proprio sotto di lei, giusto per constatare che stiano bene. Quando però rialza lo sguardo in un moto completamente spontaneo, sente come se le si aprisse una voragine tutt'intorno, che la inghiotte e la soffoca.
«Bella giornata, eh?» l'uomo dei sogni è di fronte a lei che le sorride con arroganza, le braccia incrociate al petto e gli occhi di un chiaro inumano.
Lancia un urlo terrorizzato, perdendo inevitabilmente l'equilibrio quando prova ad allontanarlo di scatto, cadendo di schiena sul legno duro della nave.
I compagni l'accorrono velocemente, chi domandandole se si sia fatta male e chi invece intimandole di fare attenzione, e subito l'aiutano a rialzarsi.
Ma Akemi li scansa in modo brusco, tornando a fissare con angoscia lo stesso punto in cui l'aveva visto pochi secondi prima, costatando che non c'è più.
Comincia così a guardarsi attorno freneticamente, sotto lo sguardo incuriosito degli altri.
«Dov'è andato?!» domanda intimorita, afferrando senza pensarci la spada che pende dal fianco di uno dei suoi compagni ed impugnandola saldamente, pronta a recidergli la testa dal collo con tutta la brutalità di cui dispone.
«Chi?» le domanda incerto Ace, cercando pure lui qualcosa di strano, senza però trovare niente.
«C'era un uomo lassù! Possibile che non ve ne siate resi conto?» strilla isterica, gli occhi sgranati e il corpo teso come una corda di violino.
«Akemi, non c'era nessuno.» l'avverte Marco, facendo un mezzo passo in avanti per provare ad avvicinarla, bloccandosi subito quando la vede farne tre indietro pur di stargli alla larga. Lo sguardo colmo di bile che gli ha rivolto, poi, gli ha fatto passare tutta la voglia di poterla aiutare.
'Che mocciosa stronza, irriconoscente ed arrogante!' si volta di scatto, andandosene con passo svelto verso poppa, giusto per allontanarsi il più possibile da lei.
Anche se non lo darà mai a vedere apertamente per una questione di principio, quella muta guerra nei suoi confronti gli sta dando più fastidio di quanto pensasse. Il primo giorno aveva tirato un sospiro di sollievo, visto che non doveva sentire i suoi discorsi astrusi, e aveva pensato che si fosse semplicemente alzata con la luna di traverso, lasciando così correre indisturbato; ma quando il giorno seguente ha notato un comportamento ancora più freddo, la cosa ha cominciato a dargli un lieve fastidio. Poi la cosa è semplicemente degenerata, tanto che ha pure provato ad avvicinarla, inutilmente.
Non capisce cosa le abbia fatto di male per essere detestato così profondamente tanto da aggiudicarsi il titolo di “essere più odioso di tutta la ciurma”, che fino a quel momento Akemi aveva assegnato senza ragione alcuna a Teach. Ci pensa e ci ripensa, ma niente, il vuoto assoluto. Per un istante ha preso in considerazione quella strana notte in cui si era intrufolata nella sua stanza e non ce l'ha lasciata dormire, ma non può credere che sia così permalosa.
«Comandante, tutto bene?» gli domanda con voce incerta uno dei suoi sottoposti, notando lo sguardo incredibilmente assorto del comandante.
«Mh? Certo, perché?»
L'uomo fa semplicemente spallucce, tornando a pulire il ponte di poppa con precisione come gli è stato ordinato, lasciando così la Fenice ai suoi pensieri.
'È semplicemente una pazza isterica. Non le ho fatto niente. Fine della storia!'
Nel frattempo, sul ponte di prua, Akemi si è lasciata andare tra le braccia forti di Ace, facendosi sostenere quando si è sentita mancare tutto in un colpo.
«Vieni, ti accompagno a mangiare qualcosa.» l'afferra con decisione e se la carica in braccio, mentre i compagni, dopo un breve istante di indecisione, tornano ai propri compiti.
Barbabianca non si è perso un solo movimento della giovane e bizzarra figlia e, non appena è sparita dai loro occhi insieme a Pugno di Fuoco, ha ordinato ad alcuni dei suoi uomini di controllare da cima a fondo la nave, giusto per avere una sicurezza in più. Subito dopo si è voltato verso Ran, evidentemente preoccupata per la sanità mentale della ragazza, ordinandole di fare tutto ciò che è in suo potere per aiutarla a ritrovare quell'equilibrio che sta pericolosamente perdendo.
Ace nel frattempo è arrivato fino alla cambusa con Akemi ben stretta tra le braccia, rimanendo in completo silenzio.
L'adagia con incredibile grazia su di un tavolo, andandole a prendere delle zollette di zucchero e un'arancia, tutto unito ad un grosso bicchiere d'acqua. Glieli posa poi di fianco, sedendosi sulla panca e guardandola in silenzio, allarmandosi nel vedere il suo sguardo perso nel vuoto e gli occhi velati di paura.
«Akemi?» la richiama con voce bassa, dandole una lieve pacca sulla spalla per riportarla alla realtà.
«Dimmi che sono solo pazza, ti prego...» mormora quasi con disperazione, voltando la testa verso di lui.
«Co- come?» strabuzza un poco gli occhi per quella richiesta insolita, notando solo qualche secondo dopo il fatto che abbia detto “solo pazza”, capendo che la situazione che sta silenziosamente vivendo è ben più oscura di quello che vuole dare a vedere «Raccontami cosa ti sta succedendo, Akemi. Raccontamelo sul serio, senza tralasciare delle parti come con gli altri. Puoi fidarti di me, lo sai.»
Akemi lo guarda a sua volta, sospirando forte e decidendo di vuotare realmente il sacco «Gli incubi, come penso immaginiate tutti, sono diminuiti. Adesso mi trovo spesso in una specie di limbo, un luogo completamente nero, senza aria, senza odori, senza niente. C'è solo lui. All'inizio, in tutta onestà, non avevo dato peso alla cosa, anzi eri arrivata a considerarla un sollievo, ma adesso mi sto rendendo conto che sta cambiando. Il suo corpo sembra diventare ogni volta più muscoloso, la sua forza diventa sempre più tangibile. Non saprei descrivertelo, in realtà. Non so neanche io come ci riesca, ma sembra quasi che stia... rifiorendo. Infatti quando ho degli incubi, per un po' riesce a difendersi dalle ombre, sbaragliandole con una ferocia che non credevo umanamente possibile... poi però mi vede e muore, di nuovo.
Prima... no, non ce la faccio!» si porta entrambe le mani a coprirsi il viso, respirando forte e cercando con tutta sé stessa di cancellare l'immagine delle sue mani ricoperte del sangue dei suoi fratelli.
«Akemi, continua. Non posso provare ad aiutarti se non mi vieni un po' incontro.» Ace le afferra con decisione le mani, costringendola ad incrociare il suo sguardo e a sostenerlo.
«Vi avevo uccisi. Tutti, uno dopo l'altro. Cioè, quella parte in realtà non l'ho vista, ma eravate tutti ammassati per le strade, ricoperti di sangue, e poi...» deglutisce a vuoto, chiudendo gli occhi, ricordandosi della figura nera e mostruosa che tanto l'ha spaventata «Poi ho visto un mostro dalla pelle nera come la pece che mi fissava, sporco di sangue dalla testa ai piedi. Mi sono avvicinata con l'intenzione di farmi uccidere a mia volta e dopo qualche istante è spuntato lui alle sue spalle... che in realtà erano le mie.» lo guarda angosciata dritto negli occhi, leggendovi dentro una certa nota di preoccupazione «Mi stavo solo guardando in uno specchio, Ace. Il mostro ero io e vi avevo massacrati senza riguardo alcuno.»
Ace rimane serio, ripensando alle sue parole con attenzione, arrivando alla conclusione che era solo un incubo, che non c'è niente di vero in tutta quella storia, e prova così a tirarla su di morale «Beh, pensa che hai allungato a tutti quanti la vita!»
«Ace...» si passa una mano tra i capelli sfibrati, alzando gli occhi al cielo.
Manca un dettaglio, ma ha paura di rivelarglielo. Alla fine, però, decide di essere sincera fino in fondo «Quando mi sono svegliata, dopo essermi assicurata che foste ancora tutti vivi, lui era lì, davanti a me. Mi sorrideva con un'aria così arrogante che in un altro frangente mi avrebbe spinta senza esitazioni a strappargli la faccia a morsi!»
«Akemi, eri solo suggestionata dal sogno, non era davvero lì.» le afferra il viso pallido e magro tra le mani, costringendola a guardarlo di nuovo, sorridendole dolcemente «Se questa faccenda dovesse ripetersi, fammi un fischio, ok? Lo incenerisco in due secondi!»
Akemi sorride di fronte al suo sguardo allegro, reso ancora più dolce dalle lentiggini, e con un certo sforzo scende dal tavolo per sedersi sulle sue gambe, abbracciandolo e nascondendo il viso nell'incavo del suo collo «Lo terrò a mente, Ace.»
«Brava, Angioletto.»
Akemi alza il viso su di lui, osservandolo con la bocca piegata in una smorfia divertita «Era da un pezzo che non mi chiamavate Angioletto.» nota mentre afferra tre zollette di zucchero e se le porta alla bocca, sotto lo sguardo attento del comandante.
«Perché ultimamente sei stata più diavolo che angelo, ragazzina.»
«Gnè gnè!»
Ace ridacchia appena di fronte a questo suo cambiamento d'umore, togliendole con il pollice dei piccoli e chiari rimasugli di zucchero che le sono rimasti ai lati delle labbra, portandoselo poi alla bocca e leccandolo via, in un gesto tutt'altro che malizioso.
Akemi lo guarda incuriosita, inclinando un poco la testa di lato con un sopracciglio inarcato «Sai, vero, che se tu avessi fatto un gesto simile ad una qualsiasi donna questa sarebbe collassata in una frazione di secondo?» gli domanda ridacchiando, alzandosi dalle sue gambe e stiracchiandosi, dirigendosi calma verso la porta, pronta a ripararsi nella sua cabina per cominciare a mettere in atto il suo nuovo piano per “incastrare” l'uomo dei sogni.
«Perché, scusa?» le urla dietro Ace, rimettendo a posto la roba che era rimasta sul tavolo, tenendosi però l'arancia che senza tanti complimenti divora in pochi istanti.
«Lascia stare Ace. Non sia mai che il tuo povero e solitario neurone crepi per lo sforzo!»

Continua a disegnare con estrema concentrazione dal almeno due ore, lontana da tutto e tutti, in completo silenzio. L'unico che le tiene compagnia, contro la sua volontà, è il corvo appollaiato al suo oblò. Ormai, dopo aver provato sia a scacciarlo che ad ucciderlo, ha imparato ad ignorarlo, lasciandolo lì da solo a fissarla.
La sua mano si muove da sola, come se ci fosse qualcuno a guidarla nei suoi movimenti, facendo lasciare alla punta scura della matita delle linee precise, imprimendo nella carta i dettagli perfetti di quel volto che tanto l'assilla.
Definisce gli ultimi dettagli, per poi posare la matita sul tavolino e osservare il ritratto perfetto dell'uomo dei sogni. È unico nei suoi particolari, con gli occhi penetranti in parte nascosti dai capelli scuri, i tre cerchietti dorati all'orecchio destro, le labbra che sembrano pennellate, il naso sottile e lievemente all'insù, morbido come il resto dei lineamenti. Il corpo sottile e allenato, le mani nelle tasche. È semplicemente lui, perfetto come se lo ricorda, ma allo stesso tempo non ce lo vede, decisamente diverso da quello reale. Semplicemente non è lui per il colore degli occhi, adesso sfumati con la punta della matita, impossibili da riprodurre fedelmente.
Continua a fissarlo con insistenza non accorgendosi neanche della porta che viene aperta alle sue spalle da Ace.
«Sono cinque minuti che busso, Akemi. Che stai combinando?» le domanda con tono incuriosito, allungando un poco la testa per poter vedere cosa sta facendo e perché lo stia deliberatamente ignorando, notando così il disegno «Chi è?»
«Non ne ho idea, Ace.» ammette con tono piatto, continuando a fissarlo «Ma lo scoprirò.»
Si alza si scatto, voltandosi verso di lui e guardandolo con sguardo deciso «Devi aiutarmi a fare una cosa.»
«Perché ho la sensazione che al babbo non piacerà?»
«Perché probabilmente è così, ma poco importa.» lo afferra con decisione per un braccio, trascinandolo senza tante cerimonie fuori dalla cabina e dirigendosi a passo di carica verso l'infermeria.
È decisa, ci ha ragionato a fondo e ha capito che l'unica via per le risposte è quella.
Entrano nell'ambulatorio fortunatamente vuoto e, conoscendo ormai ogni centimetro di quella stanza alla perfezione, si dirige sicura verso il mobile dove tengono i sedativi, prendendo quattro fiale da 4mg l'una. Le inserisce con precisione dentro una siringa, per poi dirigersi verso un lettino, stendendosi in fretta e furia e porgendo subito dopo l'oggetto al comandante.
Lui l'afferra titubante, notando subito dopo che mentre era disattento si era legata un laccio emostatico al braccio.
«Iniettamela subito.» ordina categorica, porgendogli il braccio e respirando a fondo, rendendosi conto di quanto la sua idea si stupida e vagamente suicida a causa delle dosi che sta per farsi somministrare.
«Che roba è?»
«Lorazepam.» risponde secca, notando però che continua a guardarla incerto «È un fortissimo ansiolitico ed è comunemente utilizzato per trattare l'ansia e l'insonnia. Se assunto per via orale impiega dai quindici ai sessanta minuti prima di fare effetto, mentre è decisamente più veloce se assunto per via endovenosa, agendo in soli cinque minuti. Tranquillo, è il farmaco appropriato per il trattamento a breve termine dell'insonnia, soprattutto in presenza di forti stati d'ansia e di panico.»
«Tu non soffri di insonnia...» afferma incerto Ace, guardandola di traverso.
«No, ma devo addormentarmi subito.» lo guarda con sguardo determinato, irremovibile.
«Hai preso un sacco di fiale! Una dose così ti ammazza!» sbraita Ace, assolutamente contrario a quella sua assurda decisione, anche se ha la totale consapevolezza che lo farà, con o senza il suo aiuto.
«Primo: abbiamo già appurato che non posso morire. Secondo: di norma vengono prescritte dalle 2 alle 4 dosi al giorno, quindi la dose va bene.» insiste con noncuranza la minore, sistemandosi un cuscino sotto la testa.
«Perché lo vuoi fare? Sei abbastanza sveglia da sapere che è pericoloso.»
«Certo che lo so. Molto probabilmente avrò un arresto respiratorio, ma non m'importa. Devo dormire, capisci? Devo riuscire ad addormentarmi nel modo più sereno e veloce possibile.»
«Perché?» Ace realmente non capisce, e non riesce a far altro che sperare che cambi idea da sola, pur sapendo che le possibilità che ciò avvenga sono assai scarse, per non dire infinitesimali.
«Perché si, Ace!» sbotta Akemi, afferrandolo di scatto per un polso e avvicinandoselo al viso «Senti, se non vuoi farlo lo capisco e faccio da sola, ma mi scoccerebbe abbastanza rimanere con la siringa in vena mentre sono collassata!»
Ace sbuffa sonoramente, passandosi entrambe le mani sul viso, stando attento a non bucarsi lui stesso con quello stramaledetto ago, per poi tornare a fissarla «Ti aiuto solo perché ti voglio bene, ma sappi che me la pagherai molto cara. Intesi?»
«Lo so, ne sono pienamente consapevole e mi dispiace da morire di averti costretto a fare una stronzata del genere, ma avevo bisogno che qualcuno mi aiutasse e di te mi fido ciecamente.» ammette con tono più gentile, distendendosi di nuovo e provando a rilassare i muscoli.
«Il babbo mi staccherà la testa non appena lo saprà...» borbotta innervosito Pugno di Fuoco, prendendo una sedia e trascinandola, sedendosi poi con aria estremamente scocciata. Le afferra un braccio e tira qualche colpetto sulla vena, in modo da renderla più visibile, afferrando poi in fretta e furia un batuffo di cotone imbevuto di disinfettante, che subito passa sulla candida pelle.
«Non lo saprà. Nessuno lo saprà.» Akemi segue i suoi movimenti con attenzione, alzando poi lo sguardo su di lui, incrociandone gli occhi scuri e profondi «Sarà il nostro piccolo segreto, che ne dici?»
«Dico che in famiglia non dovrebbero esserci segreti.» ringhia a denti stretti, stringendole involontariamente la mano.
«Da quando sei diventato un tale moralista?»
«Sta zitta e rilassati...» sibila, avvicinando l'ago alla vena esposta, ritraendo subito la mano «Questa roba non andrebbe inserita in una flebo o robe simili?»
«Dovrebbe, ma non ho tempo. Ora mettimi quella stramaledetta siringa in vena e iniettami lentamente il sedativo. Dopo puoi anche scappare, dirò di aver fatto da sola nel caso qualcuno mi trovi.»
«Non sarebbe meglio andare in una delle nostre stanze? Qui ci beccano sicuramente.»
«Forza, coniglio!» ringhia con agitazione, contraendo il viso in una smorfia di dolore quando il comandante le infila l'ago sotto la pelle con poca delicatezza, completamente estraneo al mondo della medicina.
Inietta piano il contenuto, senza respirare, maledicendosi da solo e maledicendo anche lei, che lentamente sembra perdere i sensi. Estrae poi l'ago, poggiandolo sul mobiletto a loro vicino e afferrando subito dopo la mano di Akemi, ormai quasi completamente narcotizzata.
«Akemi? Ascoltami, concentrati: sono qui al tuo fianco, chiaro? Sono qui!»

Sono un dannatissimo genio!
Ha funzionato immediatamente! Non che dubitassi poi così tanto del mio piano, ma non speravo di catapultarmi immediatamente nel buco nero.
«Dove sei?!» ringhio a denti stretti, cominciando a camminare alla cieca per poterlo trovare.
Se adesso salta fuori che ho praticamente tentato il suicidio a vuoto do fuori di matto! Ammetto che in effetti non avevo preso in considerazione l'idea che potesse non esserci, ma diavolo! Mi perseguita anche nella realtà, deve esserci!
«Non ti facevo così sveglia.» eccolo! AH AH! Guarda li come mi guarda, il bastardo. Non hai più il ghigno arrogante eh? Ti ho fregato! «Come sei arrivata alla conclusione che se ti addormenti velocemente e serenamente vieni qui?»
«Tu mi sottovaluti.» stavolta quella col sorriso arrogante sono io, e la cosa però non sembra toccarlo minimamente. Anzi, con mia grande frustrazione, in poco anche lui riassume la solita aria sfrontata.
«O forse tu ti sopravvaluti.» cammina piano in mezzo a questo nero, giocherellando distrattamente con un anello che porta al mignolo destro «Comunque devo ammettere che hai fegato, ragazzina.»
«Devi dirmi come hai fatto a venire nella mia realtà.»
«Ancora a dare ordini? Maledetti i cacciatori, sei dura, eh?» mi guarda con aria oltremodo scocciata, con i pugni poggiati sui fianchi e un piede che batte fastidiosamente a terra.
«O quello o il tuo nome.» non ho intenzione di farmi intimidire, non stavolta.
Voglio delle informazioni e me le darà, costi quel che costi!
«Giuro che faccio in modo da entrare in coma e non ti mollo neanche un secondo finché non mi dirai qualcosa.»
«Folle al punto giusto...» afferma sorridendo in maniera completamente nuova. Non saprei neanche descriverla a pieno: è un misto tra il diabolico e il malizioso, un tipo di sorriso che non avevo mai visto a nessuno.
«Mi piaci.»
Non riesco a trattenere un lieve ringhio dopo quell'affermazione, facendolo ridere. Ma come si permette di prendermi per il culo così apertamente?! CHI DIAVOLO È?!
«Comunque è difficile da spiegare anche per me, ragazzina. Diciamo semplicemente che sei stata tu a portarmici. Mi desideri così tanto da trascinarmi con te.»
«Ti sbagli. Non ti desidero minimamente.» ringhio a denti stretti, aspettando impazientemente il momento più adatto per provare ad attaccarlo. Se sono riuscita a trascinarlo fuori, vuol dire che è vulnerabile, no? Beh, forse no, ma è uguale. Devo provarci.
«Non intendo sessualmente, piccola perversa.» continua a camminare calmo, completamente a suo agio, senza neanche degnarmi di uno sguardo «Intendo che sei ossessionata dall'idea di avermi, di poter sapere, e quindi sei riuscita inspiegabilmente a trascinarmi fuori dal tuo subconscio.» si blocca di colpo, voltando la testa verso di me e puntandomi contro un dito con aria scocciata «Tanto per inciso, comunque: non farlo più. Non sono ancora pronto.»
«Come sarebbe a dire “ancora pronto”?» la domanda è uscita da sola, e senza volerlo tutta la mia aggressività è come scivolata via, lasciando spazio solo alla curiosità di conoscerlo.
«Ehi, avevamo pattuito che ti dovevo dire o come avevo fatto o il mio nome. Ho risposto alla tua domanda, quindi per adesso dovrai accontentarti.» sparisce in una nuvoletta di fumo, spuntando poi in un punto ben lontano da me. Anche adesso la domanda sorge spontanea: come ha fatto?
«Come se la passa Barbabianca? L'ultima volta che ho sentito qualche voce sul suo conto la sua salute stava andando a rotoli...»
«Non osare nominare il nome di mio padre, pazzo bastardo!» gli urlo contro involontariamente, facendolo ridere di gusto. Ma come si permette di parlare così del babbo? Maledetto!
«Come sei volgare...» si calma un poco, avvicinandosi piano a me, guardandomi con una luce divertita a fargli brillare gli occhi di ghiaccio «Che mi dici invece della Fenice? Ha avuto molta fortuna contro Freki. Se quel pazzoide si mette in testa qualcosa, è assai difficile che fallisca. Anzi, diciamo la verità fino in fondo, per una volta: sei stata tu il suo portafortuna.»
Non riesco a trattenere un'espressione di completo smarrimento, non riuscendo a capire cosa diavolo stia dicendo. Marco non ha alcun bisogno di portafortuna, è una forza della natura per i fatti suoi!
«Ritiro il complimento riguardo la tua acutezza mentale.» commenta con tono fermo, scuotendo un poco la testa «Comunque, se tu non avessi quasi staccato un braccio a Geri con le tue unghiette, la situazione sarebbe stata ben differente.»
«Avrebbero fatto male a Marco?»
«È affetto quello che sento?» i suoi occhi s'illuminano di nuovo, un sorriso ampio e derisorio gli increspa le labbra, facendomi innervosire ulteriormente «Comunque, forse. Tutto dipendeva solamente da te: se non fossi riuscita a scappare, ti avrebbero portata via; se invece tu fossi riuscita a scappare dalle sue grinfie senza però ferirlo così gravemente... beh, in tal caso lo avrebbero fatto letteralmente a pezzi.»
«Ti sbagli. Ha mangiato un frutto del diavolo, ha i poteri della fenice, non possono fargli male!»
«Si, è affetto. Direi anche un forte desiderio, ma preferisco tralasciare questi dettagli ora come ora.» borbotta passandosi una mano sul viso fin sui capelli, che spettina con forza «Fenice o no, ragazzina, loro due insieme sono in grado di fare tutto ciò che vogliono... e annullare gli effetti di un frutto del diavolo è un gioco da ragazzi se sai come fare.»
«Comunque come è possibile che sono riuscita a ferirlo così gravemente solo con un graffio?» domando titubante, abbassando gli occhi sugli artigli neri che sembrano ogni giorno più forti e taglienti.
«Adesso mi sono stufato di questo colloquio non premeditato.» sbotta sparendo dalla mia vita, facendomi oltremodo incazzare. Non può piantarmi in asso così!
«Apri gli occhietti, creaturina.» sfotte ulteriormente, senza però farsi vedere.
«Non ti sbarazzerai di me così velocemente!»
«Scommettiamo?» non faccio in tempo a voltarmi che vedo il suo braccio tendersi verso di me, fulmineo, e in una frazione di secondo sento il sangue scorrere vischioso giù dal collo fin sul petto, mentre un sorriso sadico gli increspa le labbra, mettendo in mostra un dettaglio tutto nuovo che mi terrorizza.
«BUH!»


«AHHH!»
Ace scatta in piedi come una molla, bloccandola contro il lettino tenendola saldamente per le spalle, cercando i suoi occhi iniettati di terrore puro.
«Ehi, ehi! Calmati, sono qui.» la richiama con voce dolce, scuotendola un poco e tirando un sospiro di sollievo quando si accorge che lei lo vede, che ha capito di essere di nuovo nella realtà.
«L'effetto non sarebbe dovuto durare un po' più a lungo?» domanda incerto, sedendosi sul bordo del lettino e passandole una mano tra i capelli, togliendoglieli da davanti agli occhi.
«Il collo...» mormora Akemi, respirando faticosamente e concentrandosi per restare sveglia «Cos'ho al collo?»
Ace allunga incerto una mano verso di lei, sfiorando con la punta delle dita la pelle pallida, soffermandosi su delle lievi strisce, come se fosse stata graffiata.
«Dei lievi segni rossi.» ammette cercando di non mostrarsi preoccupato «Perché?»
Akemi non ha alcuna intenzione di rispondergli, incapace lei stessa di crederci, e senza proferir parola prova ad alzarsi velocemente dal lettino per tornarsene nella sua cabina, non riuscendo però a stare in piedi.
«No, ferma! Non sei in grado di camminare da sola, sei ancora sotto l'effetto di quella bomba.» le porta una mano dietro le ginocchia e la solleva senza sforzo, osservandola mentre i suoi occhi faticano a restare aperti «Ti porto nella tua stanza.»
Cammina con passo deciso, Ace, ignorando deliberatamente chiunque incontri, fingendo anche una certa indifferenza, arrivando velocemente alla cabina della ragazza. Per sua fortuna la porta era stata lasciata aperta, così semplicemente entra, richiudendosela dietro con un calcio ben assestato.
Akemi, in uno stato semi-confusionale, sente le braccia calde del pirata adagiarla nel proprio letto, facendole provare un forte senso di abbandono.
«Resti con me?» gli domanda con voce debole, allungando un braccio verso di lui e afferrandolo per il bordo dei pantaloni, tirandolo lievemente.
Ace sgrana gli occhi di colpo, preso completamente in contropiede «Co- Come?»
La guarda mentre mugola qualcosa, provando ad ignorare il contatto delle dita fresche contro la sua pelle calda, cercando di non pensare che oltre ad aver superato la barriera dei pantaloni, ha oltrepassato pure quella dei boxer, pietrificandolo. Non sta toccando niente, ma per Ace è sufficiente quella scomoda consapevolezza.
Sa bene che non lo ha fatto assolutamente a posta, ma la cosa lo manda incredibilmente su di giri.
'No, fermi tutti. È mia sorella.'
«Si, dai... resta qui con me.» mugola la minore, guardandolo con gli occhi socchiusi ed incredibilmente liquidi.
Mai come in quel momento Ace si era reso conto di quanto realmente sia cresciuta, di quanto sia grande e... bella. Perché lei è bella, Ace lo sa, e la cosa in questo momento non lo aiuta per niente.
«Se proprio devo...» annuisce piano con la testa, passandosi entrambe le mani tra i capelli, e con un'evidente incertezza si stende sul suo letto, stando però ben attento a non toccarla.
Poi però capisce che quello è il momento perfetto, lo stesso momento che tutti speravano di poter avere da quasi una settimana, e un sorriso gli alza gli angoli delle labbra.
«Sai, penso proprio che approfitterò di questo tuo stato semi-comatoso.»
Akemi è più di la che di qua, in realtà, e questa sua strana affermazione la confonde semplicemente.
Volta un poco la testa, cercando i suoi occhi, rotolando poi su un fianco e allacciandogli un braccio attorno alla vita, poggiando il mento sulla sua spalla «Mh?»
Trae un respiro profondo, Ace, mentre spera con tutto sé stesso che i sedativi siano più forti della sua rabbia.
«Perché ce l'hai con Marco?» domanda frettolosamente, abbassando poi gli occhi su quelli leggermente più svegli di Akemi, che emette un lieve ringhio gutturale «Ringhia quanto ti pare, tanto mi devi rispondere.»
«Non mi è simpatico... tutto qui.» borbotta con ovvietà Akemi, cercando di ignorare la flebile luce che le arriva debolmente agli occhi, facendoli bruciare in un modo insopportabile.
«E io sono un Ammiraglio della Marina!» sbotta sarcasticamente il maggiore, mettendosi anche lui su un fianco e poggiando distrattamente una mano sul fianco della ragazza, senza rendersi conto di quanto la sua pelle sia incredibilmente fredda.
«Non è che per caso ti piace, mh?» domanda pungente, guardandola attentamente negli occhi per vederla vacillare, senza però scorgervi assolutamente niente.
«Sei diventato scemo tutto in un colpo, Ace?» borbotta sorridendo in risposta, sfiorando sovrappensiero con la punta delle dita gli addominali scolpiti del pirata, quasi senza accorgersene «Se permetti punto un po' più in alto.»
«Beh, allora la faccenda è davvero curiosa. Sai, prima gli giravi intorno, provavi a parlarci, poi da quando è arrivata Bay non lo guardi neanche più in faccia.»
Le afferra la mano che gli sta provocando tutti quei fastidiosi brividi e la osserva, notando quanto quegli artigli siano lunghi ed inquietanti.
«È per Killian.» mente Akemi. Mente spudoratamente per salvarsi, per non fargli capire assolutamente che in realtà la Fenice le piace più di quanto dovrebbe, che lo evita proprio per sottrarsi ad un ulteriormente dolore, oltre per “punirlo” per i suoi modi sgarbati.
«Ah si, eh? Sarà...» Ace però non ci casca. Non è uno stupido, non lo è mai stato. Forse un po' folle, impulsivo ed imprudente, ma non stupido.
Akemi ignora volutamente quel suo commento, più che decisa a mandarlo fuori strada in tutti i modi, decidendo inoltre di togliersi uno scomodo peso dal petto «Secondo te ho sbagliato?»
«A fare cosa?»
«A baciarlo...» si porta involontariamente una mano sulle labbra, rivivendo nella sua mente il contatto con quelle calde e morbide del bizzarro ragazzo con cui cinque giorni prima si rotolava in quello stesso letto, risentendo improvvisamente il suo profumo caldo e dolce «Sai, di tanto in tanto ci ripenso, e non riesco a provare alcun rimorso per quello che è successo. Tutt'al più sento come una punta di rammarico per non aver... ecco... approfondito la cosa.»
«Akemi, sarò del tutto chiaro» afferma con tono incredibilmente duro Ace, guardandola per la prima volta in vita sua con espressione minacciosa «Se vengo a sapere che ti porti a letto il primo idiota che passa che neanche conosci ti stacco la testa dal collo e la uso come fermacarte.»
Akemi, intontita dai narcotici, non riesce a trattenere una risata divertita di fronte a quella minaccia, battendogli pure una mano sul petto, ignorando deliberatamente il fatto che il suo cuore sia estremamente sincero.
«Ridi quanto ti pare, ma sappi che non scherzo. Fai una stronzata del genere e te ne accorgi.»
«Oh, andiamo! Quante volte ho sentito delle vostre avventure di una notte e via?» controbatte divertita, sforzandosi di tenere insieme i pochi neuroni lucidi, riuscendoci per puro miracolo.
«È diverso. Siamo uomini, non abbiamo di certo una bella reputazione da mantenere. Tu invece sei una donna, e di certo non voglio che la mia sorellina si guadagni la reputazione di puttana.»
«Trovo questo discorso piuttosto maschilista.» borbotta infastidita, rotolando sulla schiena e fissando il soffitto con interesse crescente. Non si era mai accorta che le venature del legno formassero delle immagini quasi precise. Anche se, probabilmente, questo suo delirio è dovuto semplicemente al suo cervello assai fuori uso.
«Può darsi, ma poco importa. Tu non farlo e io ti lascio stare.» Ace imita il suo movimento, calcandosi il cappello arancione sugli occhi, più che propenso a farsi un riposino.
«Che sega...» biascica velenosa, illuminandosi tutto in un colpo «A proposito di questo! Indovina un po' chi ho sentito che si divertiva in solitaria questa mattina?»
Ace si lascia sfuggire una lieve risata, decidendo di accontentarla. Non è mai stato un grande pettegolo e quell'argomento non è certo interessante per lui, ma deve guadagnare tempo per poter tornare all'argomento principale.
«Chi?» soffia con poco interesse, senza neanche voltarsi.
«Teach!» trilla con sin troppo entusiasmo Akemi, scoppiando subito a ridere di gusto.
Ace viene irrimediabilmente contagiato dalla sua risata e in una frazione di secondo si trovano entrambi a ridere sguainatamene, come se tutti gli eventi di quella giornata non fossero mai accaduti.
«Ti giuro, non sapevo se vomitargli davanti alla porta o scoppiare a ridere! Alla fine me ne sono andata e ho deciso che aspetterò il momento adatto per sfotterlo davanti a tutti.»
«Ma poveraccio, lascialo stare!» prova a difenderlo Ace, non riuscendo ancora a capire da dove venga tutto questo suo astio nei confronti di Barbanera. In fondo lui non ha mai fatto niente.
'Beh, neanche Marco, a quanto sembra.' pensa, arrivando alla semplice conclusione che Akemi decide di prendere le persone in antipatica così, senza una logica apparente.
«Che schifo... chissà poi a chi va a pensare!» mormora tra un risolino e l'altro, riportandolo alla realtà «Cristo, che schifezza...»
«Cambiamo argomento, per favore?» supplica, alzandosi in piedi e portandosi le mani sul viso per soffocare le risate.
Cala così un profondo silenzio nella cabina, che infastidisce incredibilmente la minore.
«Si, però parlami di qualcosa, perché sennò mi addormento di nuovo.»
«Non era quello che volevi?» si volta verso di lei, poggiando la schiena contro la parete, osservandola sghignazzando.
«Ho capito che è inutile. Devo trovare un altro modo per farlo parlare.»
«Afferrato.» si gratta distrattamente il mento, Ace, cercando un qualsiasi argomento di conversazione valido, andando alla fine a picchiare contro il solito punto «Davvero non ti piace Marco?»
«Perché mai dovrebbe piacermi Marco?!» sta acquistando sempre più velocemente lucidità, Akemi, fatto che la sorprende assai. È ben consapevole, grazie ai suoi numerosi studi, che l'effetto non dovrebbe durare così poco. Già il fatto che non sia morta stecchita l'ha sorpresa, ma avendo preso in considerazione la sua presunta immortalità ci è passata sopra.
«E che ne so! Anche io non sono ancora riuscito a spiegarmelo, ma ha successo con le donne, più di quanto uno possa immaginare.»
«Buon per lui, che ti devo dire?» sbuffa infastidita, cercando un qualsiasi modo per cambiare argomento o, quanto meno, distoglierlo dalla sua convinzione «Tu invece?»
«Non me ne lamento.» ammette sorridente il comandante, facendole l'occhiolino, gesto che la fa ridacchiare.
Abbassa gli occhi, Ace, ripetendosi che no, non è una ragazza carina con cui provarci e magari passarci qualche ora di fuoco, ma bensì sua sorella, che sicuramente ha pure una cotta per quel fesso del suo migliore amico.
«Il babbo ha detto che a cena vuole parlarci.» le comunica dopo qualche istante di silenzio, attirando la sua attenzione.
«Di cosa?»
«Non ne ho la più pallida idea, sorella. So solo che vuole fare un annuncio.»
«Staremo a vedere...» fa semplicemente spallucce, Akemi, alzandosi a fatica e sempre sotto lo sguardo vigile del compagno, pronto ad intervenire in caso di cedimento, arrancando fino alla scrivania dove è rimasto adagiato il disegno «Se lo mostro in qualche isola dici che saprebbero dirmi chi è?»
«Akemi, sono sicuro che è una specie di entità che ti sei creata da sola nella testa per chissà quale ragione, quindi smettila di pensarci tanto.» si alza e le toglie il foglio di mano, poggiandolo su una pila di libri «Adesso fatti un bagno, vedrai che dopo starai meglio.»
Prima di uscire dalla stanza, le lascia un vaporoso bacio sulla fronte, dirigendosi dai fratelli con il chiaro intento di rivelare loro quanto ha scoperto. Non gli piace fare lo spione, ma quello che ha scoperto è bene che lo sappiano anche loro. Si tratta pur sempre della sua salute mentale!

Nel frattempo, nella cabina del capitano, Marco se ne sta con le braccia incrociate al petto, mentre un forte senso di fastidio lo sta mandando velocemente su di giri, anche se non lo da a vedere, nascondendo tutto dietro la sua maschera apatica.
«Babbo, sul serio: non ho idea di cosa abbia contro di me.» ammette per la sesta volta da quando è entrato, dispiacendosi nel vedere il capitano così afflitto.
'Sapevo che quella mocciosa non avrebbe portato altro che guai! Se non l'avessimo mai trovata il babbo non sarebbe costantemente preoccupato, gli altri non si comporterebbero come dei completi imbecilli che quasi baciano dove cammina e io non mi ritroverei sotto ai riflettori per colpa di un suo attacco di nervosismo!'
«Deve pur essere successo qualcosa. Pensaci.» insiste l'uomo, steso sul letto.
È particolarmente stanco quel giorno, quindi ha deciso di riposare. Infatti è convinto che quella sera gli serviranno molte energie per i festeggiamenti che avverranno. Perché lo sa che è così, in fin dei conti i suoi figli cercano qualsiasi pretesto per far baldoria, perché mai la promozione di grado della loro sorellina non dovrebbe essere festeggiata?
«Ci ho già pensato e non è successo niente.»
«Mi fido di te, figliolo. Ti sarei grato però se provassi ad appianare questa situazione.»
Marco alza di nuovo gli occhi su di lui, senza riuscire ancora a comprendere.
Ok, tutti le vogliono bene. Anche lui, nel profondo, un po' gliene vuole. Ma perché diavolo ossessionarsi così tanto per lei?! Insomma, è una specie di adolescente, è sempre stata strana sotto ogni singolo punto di vista, ha un carattere che definire eccentrico è un eufemismo, è normale che abbia questo genere di comportamenti!
Marco non lo capisce. Ci pensa e ci ripensa ma proprio non riesce a trovare una spiegazione logica a tutto quell'affetto nei suoi confronti.
È anche convinto che abbiano sbagliato enormemente a darle tutte quelle attenzioni che l'hanno resa una ragazzina per lui insopportabilmente viziata e presuntuosa, convinta di poter avere tutto quello che vuole con uno schiocco di dita.
«Perché? Sono l'unico su tutta la nave che ha la fortuna di potersi evitare i suoi discorsi inutili, non capisco perché rinunciare a questo privilegio.» ringhia a denti stretti, sapendo già di partenza che dovrà cedere su richiesta dell'adorato capitano. L'ultima cosa che vuole è dargli un simile dispiacere.
«Perché non sopporto di vedere queste situazioni tese tra i miei figli.» afferma con ovvietà il capitano, guardandolo con aria dispiaciuta «Mi faresti un enorme piacere se almeno provassi a riappacificarti con lei.»
Sbuffa forte, Marco, alzando le mani in segno di resa e avviandosi verso la porta, scocciato «Va bene. Ma solo per te, non per lei.»


L'intero equipaggio è riunito per la tanto adorata cena. Tutti scherzano e ridono, conversando di argomenti allegri, lasciando qualsiasi tipo di preoccupazione fuori dalle loro menti.
Akemi parlotta tranquilla insieme a Satch, mangiando vorace il pezzo di carne completamente cruda che le è stato messo da parte. Infatti, di recente, ha scoperto che le piace molto di più così che quando viene cotta e condita. All'inizio tutti quanti hanno fatto storie per questo capriccio, soprattutto per i danni alla salute che potrebbe portare, ma si sono trovati costretti a lasciarle fare come vuole.
«Rischi di farmi passare l'appetito!» borbotta Ace ancora con la bocca piena, facendola sghignazzare. Un brivido gli corre lungo la spina dorsale nel vedere un rivolo di sangue scendere dall'angolo della sua bocca, che le conferisce un'aria tanto inquietante quanto spettrale. 'Forse non doveva raccontarmi di quell'incubo. No, aspetta: da quando sono così suggestionabile?'
«Ma per piacere!» poggia entrambi i gomiti sul tavolo, Akemi, posando il mento sul dorso delle mani e guardandolo con aria strafottente «Riusciresti a mangiare di gusto anche accanto ad un’operazione a cuore aperto. Sei un pozzo senza fondo.»
«N-on è v-ero.» farfuglia, masticando e bevendo un lungo sorso di birra per annaffiare il boccone quasi intero e deglutirlo.
Akemi lo guarda divertita, sorprendendosi di non averlo ancora visto crollare con la faccia nel piatto. Per un attimo ripensa alla prima volta in cui ha assistito ad un suo attacco di narcolessia e le viene quasi da ridere. Stavano facendo tranquillamente colazione, parlando dell'eventualità di incontrare uno dei tre ammiragli sulla loro strada e di cosa lei avrebbe dovuto fare in quel caso, quando lui è crollato come un cadavere davanti a lei. Ha cominciato ad urlare terrorizzata e a chiamare istericamente chiunque fosse presente, finché Izo le ha tappato la bocca con una mano e le ha detto che è una cosa normale, informandola così che Pugno di Fuoco è narcolettico.
Le botte che Ace prese al suo risveglio da parte sua rimarranno per sempre nella storia.
«Un attimo di attenzione, figlioli.» tuona l'imperatore, sbattendo con forza il proprio boccale sul tavolo, attirando immediatamente l'attenzione dell'intero equipaggio.
Per un paio di minuti regna un completo silenzio, colmo di curiosità ed impazienza, che si spezza dopo un sorriso fiero del capitano «Sono lieto di comunicarvi che vostra sorella Akemi da questo momento fa parte della quarta flotta!»
«Co-?» si strozza con un pezzo di carne, Akemi, strabuzzando gli occhi e facendosi aiutare da chi le è vicino per far scendere -o risalire, è indifferente- il pezzo di carne che le blocca l'esofago, riuscendoci dopo delle vigorose e assai numerose pacche in mezzo alle scapole.
Tossisce in cerca d'aria, guardandosi attorno spaesata, incrociando poi il sorriso a trentadue denti di Satch «Tu lo sapevi?!»
Satch semplicemente annuisce, scoppiando a ridere di fronte alla sua espressione shockata.
«Perché non mi hai detto niente?!»
«Doveva essere una sorpresa!» le allunga senza pensarci un boccale pieno di birra per festeggiare, che Akemi guarda con perplessità, non avendo mai toccato una sola goccia d'alcol in vita sua.
«Non sperare che ti tratterò meglio perché sei la mia adorata sorellina, chiaro Angelo?» l'avverte subito dopo, puntandole contro un dito, senza però abbandonare il sorriso neanche per un'istante.
«E tu non sperare che mi sottometta ai tuoi ordini con tanta facilità.» lo guarda con aria di sfida, ghignando divertita dalla sua espressione interdetta.
I vari comandanti scoppiano a ridere di gusto, mentre velocemente anche il resto dell'equipaggio comincia a far aumentare tutto quel chiasso.
«Uhhh, dovrai domarla, Satch!» urla qualcuno, facendo ridere di gusto il diretto interessato.
Dopo qualche istante, poi, cerca di mettere insieme i neuroni ancora perfettamente lucidi, assumendo un'aria autoritaria «Cominciamo subito con il tuo primo incarico: inizia con turno di guardia, poi ti daranno il cambio.»
Akemi sogghigna abbassando il capo, giocherellando con il bordo del boccale. Dopo poco poi alza gli occhi su di lui, derisori e furbi.
«Agli ordini...» mormora alzandosi lentamente, ancheggiando con passo felpato verso l'uscita. Da una parte vorrebbe restare a festeggiare con loro, ma non può dare a vedere quanto quella notizia l'abbia delusa*.
«Cambia tono, sottoposta!» le urla dietro il comandante, facendo ridere tutti quanti ma venendo bellamente ignorato dalla diretta interessata.
Trae un respiro profondo, Satch, poggiando il mento su una mano e guardandola mentre cammina verso l'uscita «Non so perché, ma ho come l'impressione che sarà una bella gatta da pelare.»
«Forse perché è una psicopatica...» mormora la Fenice, sentendo subito dopo qualcosa sbattere con forza contro la sua testa. Si porta di scatto una mano alla parte lesa, massaggiandola per constatare i danni, e abbassando gli occhi nota i cocci irrimediabilmente distrutti di un piatto, arrivato da chissà dove.
Alza la testa in cerca del colpevole, gli occhi fiammeggianti, pronto a menar le mani per ribadire che posizione occupa su quella nave, accorgendosi che tutti quanti stanno fissando con facce allibite il dolce Angelo, che a sua volta lo guarda negli occhi per una frazione di secondo con un'espressione tanto lugubre che per un attimo pensa che proverà ad ucciderlo sul serio.
«Alla faccia dell'udito fino!» scherza Ace, sbattendo le mani sul tavolo, ridendo di gusto.
Marco, ancora sbalordito, la segue con gli occhi finché non sparisce dal suo campo visivo, sgomentandosi al ricordo delle parole che si è scambiato con il capitano poche ore prima.
'Temo che l'unico che qui ha davvero una gatta da pelare sono io, Satch.'


*Ricordate che Akemi desiderava entrare nella prima flotta? Beh, se non lo ricordavate, ecco il perché della sua delusione x°P

Angolo dell'autrice:
Vi giuro su tutto quello che vi pare che il nome di Satch è stato estratto a caso! Ho preso un foglietto, l'ho fatto a pezzi, ci ho scritto i nomi di ben 5 comandanti (esclusi Marco ed Ace) ed è venuto fuori Satch! Per ben due volte! Alla fine mi son detta “Oh, basta eh! Vuoi farle da comandante? Eccoti accontentato!”
Adesso diamo un piccolo spazietto ad Akemi (come se la trascurassi -.-): forse questo suo nuovo cambio di atteggiamento, queste sue stranezze non indifferenti e così via non vi piacciono molto, ma c'è un perché ben specifico se ha queste tendenze. Vi dico anche che migliorerà con il tempo (diciamo pure che si darà una lieve calmata con l'avvicinarsi di Marco). Anche per il fattore bellezza c'è un perché che poi verrà spiegato.
Vi giuro che mi sto odiando perché sta venendo fuori troppo Mary Sue per i miei gusti, ma il personaggio deve essere così. Con il proseguire della storia scoprirete che poi di speciale ha solo una cosa e che in realtà è assai inferiore a tantissima altra gente. Insomma, una Mary Sue non dovrebbe essere superiore anche alle Divinità e avere tutto su un vassoio d'argento? Beh, lei proprio no. Lei è una caccoletta in confronto a chi deve ancora arrivare e non troverà di certo la pappa pronta! xD
E invece il nostro povero Ace? Via, dal momento che non lo faccio morire penso di poterlo fare un po' impazzire, no? Tranquille, non soffrirà come una bestia! Non è proprio il tipo.
Però gli occhi ce li ha e non potevano certo non notarla. Per lui, mi duole ammetterlo, non ho in mente nessun risvolto amoroso particolare nell'arco della storia, cosa che invece accadrà a qualcun altro... chi indovina di chi parlo? :D
Adesso, prima di lasciarvi in pace per almeno un'altra settimana, un grazie speciale a Yellow Canadair, Vivi Y, Okami D Anima, Monkey_D_Alyce, Lucyvanplet93 e iaele santin per le splendide recensioni.
Grazie anche a: ankoku, Dark_witch3, D_ann, evelinstar31, giada1999, Incantatrice_Violeta, Jollyna, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, Portuguese D Ice, SmyleCathy e Yellow Canadair per averla messa tra le preferite; Azzu___, Balalaika_, Chaki Tanimura, girosolomina, Ikki, Kyuubi10, LallaOrlando, leonedifuoco, Portuguese D Ice, Portuguese D Rogue, Puffetta96, SmyleCathy, Vivi y, Yellow Canadair, Zefiria BlackIce, K a r i n, _Bianconiglio_, _cucciolotta_, _Lawliet e _Takkun_ per averla messa tra le seguite; Portuguese D Ice per averla messa tra le ricordate.
Davvero: GRAZIE INFINITE!
Via, penso che sia il caso di smetterla perché è venuto più lungo questo sproloquio senza logica che il resto del capitolo!
Alla prossima bella gente! Un bacione
Kiki

PS: http://tinypic.com/r/2wq63yf/8 alla faccia della trasformazione da brutto anatroccolo a cig- OPS fenice!
PPS: Già che ci sono, vi dico subito che ho in mente una cosuccia per la nostra giovane protagonista! Diciamo che presto si stancherà del suo stesso riflesso in seguito ad una... come dire... ILLUMINAZIONE. Quindi... beh... preparatevi a dire a dio all'angelo ;)

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Capitolo 9
*** 9. Sentimenti contrastanti + Special [Nella tela del ragno] ***


Piccolo avvertimento: Marco è fottutamente OOC D:
Me ne dispiace infinitamente e mi scuso se la cosa vi darà molto fastidio, ma mi serviva che fosse così se volevo farli riavvicinare un pochino. In fondo uno dei due doveva fare la prima mossa e lui è sicuramente il più intelligente e coscienzioso tra i due, quindi questo sporco compito gli è inevitabilmente caduto addosso.
Inoltre vi volevo dire subito che questo capitolo sarà un tantino differente dagli altri: diciamo che sarà vissuto più che altro dai due punti di vista dei protagonisti. Si comincia con Marco nel primo pezzo (di giorno), si passa ad Akemi nel secondo (notte e un breve pezzo del giorno seguente), si ripassa a Marco (pomeriggio) e si ri-ripassa ad Akemi (seconda notte). C'è un perché anche a questo, che però non vi dico esplicitamente (oddio, l'ho fatto parecchio capire tra le parentesi precedenti, ma vabé! En dettagli! :P)
Vi auguro comunque una buona lettura e spero che il capitolo almeno un po' vi piaccia.

 

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Generalmente quando ci si trova su uno spazio ristretto come una nave non ci si può evitare a lungo. La Moby Dick non è ristretta, ovviamente, ma resta comunque uno spazio delimitato, quindi il problema persiste ugualmente.
La cosa strabiliante risiede nel fatto che Akemi, da ben sei giorni, sta riuscendo perfettamente ad evitare Marco.
Se all'inizio si trattava solo di una muta guerra in cui gli lanciava di tanto in tanto delle occhiate assassine, adesso ha deciso di rincarare la dose, sparendo completamente dalla sua vista.
Nessuno ha idea di come ci riesca, ma pare avere la grandissima capacità di percepire il suo arrivo basandosi su odori o rumori, riuscendo in pochi istanti a sparire.
Nessuno lo da a vedere, ma quella situazione tesa, in cui quasi non si può pronunciare il nome di uno di fronte all'altra, è diventata insostenibile. Barbabianca ha pure riprovato a parlare con Marco, apprendendo che questo peggioramento è avvenuto subito dopo il tentativo di riappacificazione che lui stesso gli aveva chiesto di fare.

«Sarà il caso di chiarire?» le domanda con tono duro, tenendo le braccia incrociate al petto e la schiena poggiata contro la porta della sua cabina. Infatti ha ben pensato che se le intralcia così la strada dovrà per forza parlarci.
Akemi lo guarda per un breve istante con aria scocciata, per poi allungare semplicemente una mano verso la maniglia per poter entrare, venendo però saldamente afferrata dal maggiore.
«Ti sto parlando!» le ringhia a pochi centimetri dal viso, sperando di intimorirla e di riuscire così a scioglierle la lingua, inutilmente.
Akemi chiude per un attimo gli occhi, respirando profondamente per mantenere il controllo, scansando poi con un gesto secco la mano del comandante e facendo un passo indietro. Allunga semplicemente un braccio verso il muro, dove incide senza difficoltà un piccolo ma significativo disegno, raffigurante Marco impiccato.
Gli sorride provocatoria, inclinando la testa di lato, salutandolo in modo derisorio con la mano quando se ne va impettito e furioso, chiudendosi a più mandate nella propria cabina.


In quel momento, coccolato dal getto caldo della doccia che gli carezza la pelle, Marco davvero vorrebbe non pensarci. Vorrebbe staccare il cervello, smettere di domandarsi cosa ha fatto di male, in quale modo l'ha offesa così pesantemente, ma non ci riesce proprio. Si è reso conto, infatti, che di motivi per litigare gliene aveva dati quanti voleva, anche troppi, ma nessuno di quelli è così grave da arrivare ad evitarlo così scrupolosamente.
'C'è troppo silenzio.' se lo ripete da giorni, con l'amara consapevolezza che è proprio lei, la ragazzetta che mal sopporta, la stessa che porta solo guai e preoccupazioni, a dare un certo ritmo alla sua vita.
Non lo credeva lontanamente possibile che potesse arrivare a mancargli.
Gli è sempre stato lontano, non la voleva neanche sulla nave, ma dal giorno in cui l'ha salvata dalle grinfie di quel pazzo a Nefeli se l'è trovata sempre più intorno, sempre più vicina, tanto che si era anche abituato alle sue stranezze, alle sue prese in giro, ai loro battibecchi per ogni piccola cosa, arrivando quasi ad apprezzarli.
Ma adesso è tutto infranto. Lo sa e gli fa male.
'Devo smettere di angosciarmi così tanto. È inutile.' chiude con un gesto seccato il rubinetto e si gode l'aria fredda sulla pelle calda e bagnata non appena esce dal box doccia. Afferra un asciugamano e se lo lega in vita, con gesti meccanici che trasudano un certo nervosismo.
'Sono affari suoi se mi vuole evitare.' si ripete per l'ennesima volta, alzando lo sguardo verso il proprio riflesso allo specchio. Si passa una mano tra i capelli bagnati e per un breve istante gli pare quasi di sentirsi meglio dopo quella conclusione.
Esce dal bagno con calma, costretto a rivestirsi alla svelta per tornare alle sue mansioni, preparandosi mentalmente alla consueta domanda che il capitano gli rivolge ogni singolo giorno, generalmente dalle due alle cinque volte: “Allora, novità?”
Ogni volta gli si stringe il cuore nel dovergli dare l'ennesima delusione, ma adesso può dire con estrema certezza che è tutta colpa di Akemi.
'È così egoista che probabilmente non gli importa neanche di farlo soffrire.'
Si lega la fascia azzurra in vita ed esce, dirigendosi stancamente verso il ponte di prua da dove sente distintamente la forte risata di Satch e quelle più deboli dei compagni.
'Non ci credo che siano già ubriachi di pomeriggio!'
Si dirige verso di loro, studiando l'ambiente circostante e appurando che no, non c'è neanche l'ombra di un solo boccale di birra.
«Cosa avete da ridere tanto?» domanda incuriosito, mettendosi a sedere su di un barile e lasciando che i caldi raggi del sole che tramonta gli asciughino i capelli, facendoli così tornare alla classica e bizzarra capigliatura che lo contraddistingue.
«Fossa ha fatto il culo ad Akemi poco fa!*» sbotta ridendo, Ace, tenendosi entrambe le braccia attorno all'addome, facendo ridere ulteriormente i presenti.
«Perché?» 'È vero, non è esattamente uno zuccherino, anzi è una bisbetica viziata, ma arrivare addirittura a picchiarla mi sembra troppo. Neanche io mi permetterei.'
«Stavano giocando a carte e Akemi perdeva, come al solito-» prova a spiegargli Izo, venendo però interrotto da un più che infervorato Satch, che quasi piange dal ridere.
«Ha una sfiga impressionante al gioco! Speriamo non vada mai a scommettere dei soldi perché rimarrebbe in mutande!»
«Stavo dicendo...» ringhia infastidito il sedicesimo comandante, incenerendolo con lo sguardo per un breve istante, per poi tornare a parlare tranquillamente con la Fenice «Giocavano a carte e all'ennesima sconfitta gli ha chiesto “Mi insegni, per favore, ad usare meglio la spada?”. Lui ha accettato, tranquillo, e insomma hanno cominciato ad allenarsi. Giustamente la sfotteva perché è abbastanza scarsa, dicendole che il massimo che può fare in combattimento è graffiare le persone; lei se l'è presa, come sempre, e ha provato ad attaccarlo direttamente.»
«Non l'avesse mai fatto! L'ha afferrata per una caviglia e l'ha letteralmente sbattuta come un tappeto!» afferma incredibilmente divertito Vista, cercando comunque di darsi un contegno e non ridere come un invasato come i suoi compagni.
«È rimasta per qualche minuto sdraiata a fissare il cielo, poi si è tirata a sedere ed è scoppiata a ridere. È andata via poco fa.» conclude con una certa serietà Izo, provando a scorgere un qualsiasi tipo di reazione nel viso calmo ed indifferente di Marco.
«Senti lì che storia...» afferma piatto, passandosi una mano dietro al collo e fingendo una più che totale indifferenza.
In realtà un po' gli verrebbe da ridere, perché come scena non è per niente male, però appurare alla fine che se ne è andata di nuovo prima del suo arrivo gli dà molto fastidio.
'Colpa sua. Solo ed esclusivamente colpa sua.' si ripete di nuovo, ascoltando distrattamente i discorsi dei compagni che lentamente si calmano, discutendo delle ultime novità.
Alza per un breve istante gli occhi su Barbabianca, vedendolo alle prese con le infermiere che cercando di non farlo bere come vorrebbe e per un breve istante pensa pure di andare a dare loro man forte, venendo però bloccato da una strana affermazione di Halta.
«Credo che ci sia una leggera schiarita da parte sua.»
Si volta ad osservarla, non riuscendo a capire fino in fondo le sue parole.
'Quale schiarita? È scappata prima che arrivassi come sempre!'
«Ieri sera è stata fino a tardi nella mia cabina a parlare e quando le ho chiesto se aveva intenzione di tirarla ancora per le lunghe ha fatto spallucce invece di imbestialirsi.»
Marco rimane realmente indifferente a questa sua spiegazione, arrivando velocemente all'ovvia conclusione che ormai si sia stancata di dare spiegazioni esattamente come lui.
«Potresti riprovare a parlarci...» azzarda la ragazza, guardandolo speranzosa.
«La volete far finita?!» sbotta Vista, ormai oltre il limite «Non ce la faccio più a sentire sempre il solito discorso! Basta! È inutile, entrambi sono cocciuti ed orgogliosi, quindi non cederanno di loro spontanea iniziativa. Dico male, Marco?»
La Fenice lo guarda con aria confusa. È felice di essere finalmente difeso, seppur in modo contorno, ma è anche consapevole della veridicità di quelle parole. 'Non finirà mai...'
«Ci vorrebbe qualcuno di ancor più cocciuto ed orgoglioso...» afferma con un sorriso sinistro Ace, sciogliendo le cime che la sua adorata sorellina ha annodato per formare dei cappi. Quale fosse il fine, poi, non lo sa e non lo vuole sapere, ma preferisce far sparire ogni cosa per sicurezza. 'Non sia mai che poi provi ad impiccare qualcuno.'
«Cosa vuoi dire?» gli domanda incuriosita Halta, sperando che abbia trovato un'idea decente stavolta. Negli ultimi giorni, infatti, le hanno provate un po' tutte: dal legarla al ricattarla, fino al rinchiuderla a più mandate in una stanza pur di farla incontrare con la Fenice, ma ogni volta riusciva inspiegabilmente a svignarsela.
«Non ve lo posso dire.» risponde secco Pugno di Fuoco, calcandosi il capello sulla testa, senza però abbandonare quello strano sorrisetto «Lo scoprirete presto.»


La giornata scorre tranquilla, il Sole cala per lasciar spazio ad una luminosa Luna crescente. Alcuni pirati hanno montato il loro turno di guardia, mentre gli altri se ne sono andati a dormire beati, senza preoccupazioni. Infatti, eccetto il silenzioso conflitto interno, stanno vivendo giorni relativamente tranquilli e la cosa non può far altro che rallegrarli.
Solo una persona non dorme, optando una lunga e complessa lettura piuttosto noiosa.
All'inizio aveva preferito rintanarsi nella cabina di Izo, ma alla fine si è trovata costretta ad andarsene visto che il comandante teneva a stento gli occhi aperti.
Ma anche quel noioso tomo alla lunga finisce ed inevitabilmente viene buttato a terra in un gesto irritato.
Non sa cosa fare, Akemi. Ha esaurito le idee. Nessuno vuole parlare o fare una qualsiasi altra cosa, gli uomini di vedetta sono scorbutici perché vorrebbero dormire, i libri la fanno appisolare.
Si passa le mani sul volto stanco, sospirando. Con questa sera sono ben tre giorni che non chiude occhio, giusto per testare la propria resistenza, e sta cominciando a risentirne seriamente. Il primo giorno era stato semplice, un po' di stanchezza ma niente di più; il secondo giorno i movimenti le risultavano un tantino più difficoltosi e pesanti, ma non gli ha dato peso. Adesso, invece, riesce a malapena a concentrarsi sui gesti che compie, gli occhi le bruciano e in ben due occasione le è sembrato di vedere l'uomo dei sogni davanti a sé.
'Sono solo allucinazioni. Lo fa, è normale. Lui non è qui.'
Gira piano la testa per osservare nel dettaglio la propria stanza, giusto per assicurarsi che niente sia fuori posto e, soprattutto, che non ci sia niente di anomalo, soffermandosi involontariamente sullo specchio nell'angolo della stanza.
Si guarda, stravaccata sulla sedia, le braccia ciondoloni, i capelli arruffati e sfibrati le ricadono sulla schiena, gli occhi sono cerchiati da profonde occhiaie violacee.
Storce le labbra a quella visione, non riuscendo a sostenere a lungo il suo stesso riflesso. Dopo quell'orrendo incubo, in cui si è vista come un mostro raccapricciante, non si riconosce più. C'è sempre qualcosa nel suo riflesso che non va bene, qualcosa che le dice che quella che vede non è veramente lei.
Si passa con noncuranza le dita affusolate sulla runa che spicca sul polso destro, guardandola con curiosità. 'Chi me l'ha fatta?'
Ma poi, tutto in un colpo, non ci vede più qualcosa di mistico e strano, ma qualcosa di bello, quasi ipnotico considerato in magnifico contrasto con la sua pelle bianca e subito nella sua mente si muove qualcosa.
Afferra di scatto una penna nera e un pezzo di carta stropicciato, cominciando a tracciare delle linee precise, cercando allo stesso tempo di cancellare dalla mente l'immagine tanto bella e luminosa da cui ha tratto ispirazione.
'Lontano dagli occhi lontano dal cuore, eh? E meno male!' sbuffa sonoramente, allungando per un breve istante gli occhi sugli avvisi di taglia dei vari comandanti appesi sopra il suo scrittoio 'Ti devo togliere da lì. Devo ricordarmelo.'
In pochi minuti il disegno è ultimato, seppur brutto e con linee imprecise. Non è una grande artista, anzi, a dirla tutta, l'unico disegno che le è riuscito è quello dell'uomo dei sogni, la quale quasi non si rendeva conto di fare.
Si alza di scatto dalla sedia, provocandosi così un forte giramento di testa.
'Dormirò nel pomeriggio quando mi faranno la trasfusione. Ora non ho tempo.' esce traballante dalla stanza, tendendo l'orecchio per captare eventuali presenze, sentendo solo il lieve russare che proviene dalle varie stanze.
Cammina vicino alla parete, giusto per avere la sicurezza di avere qualcosa a cui aggrapparsi in caso di caduta, finché non arriva alla stanza del suo adorato fratellone.
'È l'unico che non si arrabbierebbe troppo... poi ho sentito che è bravo in questo genere di cose.'
Apre piano la porta ed entra in punta di piedi, osservando la figura dormiente del comandante completamente sbracata nel letto. Da solo, infatti, riesce ad occupare entrambe le piazze.
Si avvicina piano, mettendosi in ginocchio sul materasso leggermente duro -troppo per i suoi gusti- e comincia a picchiettargli su una spalla per farlo svegliare, non riuscendo però a smuoverlo di un millimetro.
«Satch?» la scrolla leggermente, determinata come sempre ad andare fino in fondo.
«Satch, svegliati!» gli tira delle lievi pacche sulla guancia, facendolo mugolare sempre più forte.
Sbuffa poi nel vedere che i suoi tentativi sono completamente inutili, passandosi una mano sul viso con aria sconsolata.
«Non mi dai altra scelta...» mormora tra sé, alzando minacciosamente un braccio verso l'alto, osservandolo con aria truce, sperando che si svegli da solo. Dal momento che però il comandante non da alcun segno di vita, abbassa con velocità e forza il braccio, tirandogli un sonoro schiaffo sul fondo schiena, svegliandolo di botto.
«Maledetta testa di cazzo!» ulula a denti stretti, massaggiandosi la parte lesa, cercando di concentrarsi su una cosa qualsiasi per non pensare al bruciore.
«Ho bisogno del tuo aiuto.» afferma laconica Akemi, guardandolo con aria piuttosto indifferente.
«È risaputo, infatti, che se svegli una persona nel cuore della notte con uno schiaffo sul culo questa sarà più che predisposta ad aiutarti!» sbraita alterato, facendola sogghignare «Stai diventando un animale. Poi ti sembra questo il modo di comportarti con il tuo comandante?»
«Se il mio comandante continua ad innervosirmi in questo modo, presto non ne avrò più uno.» afferma con tono lugubre, ghignando in modo perverso.
Satch la guarda sorpreso, non riuscendo realmente a capire se stia scherzando o se sia seria. Da qualche tempo, infatti, è diventata più enigmatica quando parla, usando spesso un ben celato sarcasmo, tanto da non far capire fino in fondo la veridicità delle sue parole.
«Era forse una minaccia?»
Akemi lo guarda con sguardo duro, inflessibile, finché, di fronte all'espressione stranita del maggiore, scoppia in una sonora risata, che gli fa tirare un sospiro di sollievo «Dai, sto scherzando, lo sai.»
Satch le tira una leggera spinta, facendola ridacchiare ancora di più, costringendosi infine a mettersi seduto, passandosi entrambe le mani tra i capelli scompigliati, cercando inutilmente di ricomporsi e, soprattutto, di riprendersi dal sonno.
«Falla finita...» borbotta, innervosito dalla sua risata strafottente «Forza, cosa ti spinge a picchiarmi e svegliarmi nel cuore della notte?»
Akemi si ricompone a sua volta, estraendo dalla tasca dei pantaloni larghi un foglietto stropicciato, che gli porge fulminea.
Satch guarda quello scarabocchio con aria irritata, aggrappandosi al profondo affetto che nutre nei suoi confronti per non spaccarle la testa contro lo spigolo del suo comodino.
«Voglio che me lo tatui. Qui.» afferma decisa Akemi, toccandosi la pelle sul braccio poco sotto la spalla.
«Non potevi chiedermelo domani mattina?!» sbraita adirato Satch, notando che però non la scalfisce minimamente. In quel momento si rende pienamente conto di aver sbagliato a darle sempre tante libertà e di non averla mai sgridata, rendendola una piccola viziata anche piuttosto arrogante.
'Fino a undici giorni fa però non era così...' pensa, arrivando ad un'illuminazione che lo fa sogghignare compiaciuto.
«No. Ora.»
«Va bene.» afferma il comandante, incrociando le braccia al petto «Te lo farò ora.»
Akemi sorride entusiasta, non avendo mai realmente preso in considerazione l'idea di un rifiuto da parte del suo fratellone.
«Ma ad una condizione.» purtroppo, però, non aveva preso in considerazione neanche questa eventualità.
Lo guarda stupefatta, inclinando un poco la testa di lato e fissandolo dritto negli occhi «Che vuoi in cambio?»
Satch, più che deciso a prendersi una piccolissima vendetta per essere stato svegliato in malo modo, le afferra il mento tra le dita, avvicinando il volto al suo e sorridendole con aria maliziosa «Ma come? Tu che sai sempre tutto davvero non t'immagini cosa posso volere in cambio da te?»
Akemi sgrana gli occhi, presa completamente in contropiede, rimanendo pietrificata.
Satch si gode incredibilmente questo momento, in cui finalmente è riuscito a metterla agli angoli, senza però riuscire a trattenersi più di qualche secondo e scoppiare a riderle in faccia.
«Oddio, dovresti vedere la tua espressione!» si tiene le braccia attorno all'addome, piegato in due dalle risate, ignorando deliberatamente lo sguardo omicida che la sorellina gli rivolge «Davvero mi avevi creduto?!»
«E io che ne so cosa ti passa per la testa!» sbraita inviperita, tirandogli uno schiaffo sulla testa, facendolo ridere ancora di più.
«Santo Cielo quanto sei scema!»
«Attento, amico del sole, perché ti faccio riaddormentare tutto in un colpo.» lo minaccia di nuovo, tirandogli un pugno non esattamente fraterno sulla spalla.
«Sei diventata acida e aggressiva in una maniera insopportabile, sai?» si lamenta il maggiore, massaggiandosi distrattamente la parte lesa. 'Certo che ne ha di forza!'
«Attento...» gli ringhia contro, accigliandosi ulteriormente.
«Sono sicuro che dipende dal fatto che non hai più avuto alcun tipo di rapporto con Marco.» di fronte al suo sguardo ancora più inviperito Satch comprende finalmente quale sia il problema di fondo, gongolando come un cretino per essere stato il primo ad arrivarci.
«Stai tirando troppo la corda...»
«Secondo me sei gelosa del fatto che con Bay è gentile mentre con te no.» rincara la dose, guardandola con l'aria di chi la sa lunga, ignorando volutamente il ringhio basso e minaccioso che risale lungo la gola della sorella, nera per la rabbia.
«Satch, falla finita!»
«E va bene, piccola e bellissima arpia...» alza le mani in segno di resa, decidendo furbamente di riprendere quella divertente conversazione quando saranno tutti insieme, in modo tale da non correre rischi.
«Veniamo al nostro scambio, piuttosto.» afferma dopo poco, guardandola con aria furba e strafottente.
«Dalla tua espressione deduco che non mi piacerà.» mormora infastidita Akemi, roteando gli occhi per il nervoso.
Satch annuisce semplicemente, senza abbandonare neanche per un istante il sorriso, per poi parlare con tono allegro ma allo stesso tempo serio «Dovrai chiarirti con Marco.»
«Ho capito, non c'è problema.» Akemi si alza dal suo letto, stiracchiandosi appena le braccia, serena.
«Davvero? Wow, non credevo che ci sarebbe voluto così poco!» esulta Satch, alzandosi di scatto, più che lieto di accontentarla ora che ha raggiunto il suo scopo. 'Babbo ne sarà oltremodo felice!'
Akemi lo guarda con un finta espressione confusa, per poi sorridergli in un modo evidentemente falso «Oh, caro, devi avermi frainteso: non c'è problema, mi farò il tatuaggio da sola.»
L'entusiasmo del comandante crolla in una frazione di secondo e quasi non si accorge del lieve bacio che gli lascia sulla guancia prima di uscire, sempre con quel maledetto ghigno ironico ad incresparle gli angoli della bocca.
«Buona notte, comandante.» cinguetta vittoriosa, richiudendosi la porta alle spalle e lasciandolo di nuovo da solo.
Il pirata si butta a peso morto sul letto, ribollendo dalla rabbia per essersi fatto fregare in quel modo, arrivando alla conclusione che forse Marco all'inizio aveva ragione: una nave pirata non è il luogo più adatto per crescere un infante, se poi questi sono i risultati.
«Piccola bastardella ingannatrice e opportunista...» borbotta contro il cuscino, escogitando qualche piano malefico per fargliela pagare, senza però arrivare a nessuna conclusione a causa del sonno che lo assale prepotentemente, facendogli dimenticare qualsiasi cosa.

'Bastardo ricattatore! Adesso diventerà tutto più dannatamente difficile!'
Trovare quanto le serve non è stato per niente difficile, anzi, ci ha messo meno del previsto. Il problema sorge dal fatto che non sa esattamente come fare! L'idea c'è, l'ha pure visto fare, ma come può, da sola, tatuarsi in quel punto?
'Posso riuscirci, forza e coraggio!'
Solo in quel momento si rende conto che negli ultimi tempi ogni singola idea che le viene in mente è sempre incredibilmente stupida e, spesso e volentieri, pure autolesionista.
'Forse aveva ragione il bastardo dei sogni... sono pazza!'
Guarda il suo riflesso nello specchio, dove sul braccio spiccano i bordi del suo futuro tatuaggio. Si domanda se stia facendo la cosa giusta, se avrà delle ripercussioni significative e se mai un domani se ne pentirà, e in poco la risposta più importante arriva.
'No. Non me ne pentirò mai. Ha un significato profondo per me, inoltre sarà una grossa differenza tra me e il mostro. E giuro che farò tutto quello che è in mio potere per tenerlo lontano da me!'
Aziona la macchinetta e posa l'ago sulla pelle, tracciando lentamente la prima linea.
'È fatta. Fa male, ma non importa... mi fa sentire viva!'
Continua a tracciare i contorni, guardando il risultato finale con sorpresa. Non è perfetto, assolutamente, dovrà sicuramente farlo ritoccare a Satch, ma come inizio è assai accettabile.
'Devo riempirlo, adesso...'
Intinge la punta nell'inchiostro nero e subito ricomincia nella sua opera.
Le ci vuole circa un'ora prima di finirlo e poterlo così ammirare nel riflesso dello specchio, e in poco un sorriso arrogante le increspa gli angoli delle labbra.
Si sente diversa, sente di aver allontanato di un poco quell'immagine che tanto l'ha spaventata e ora è più che determinata a cacciarla completamente, a seppellirla in un angolo remoto di sé, chiusa a chiave nelle tenebre.
Sospira soddisfatta, rimettendosi seduta al suo scrittoio e prendendo in mano un libro di cucina, più che decisa a passare quelle ultime ore di solitudine forzata nel migliore dei modi.
'Dovrò farmi perdonare da Satch, in fondo. Tanto vale trovare qualcosa di sfizioso per comprarlo!'

Il tentativo di comprare il perdono di Satch è andato letteralmente in fumo. Già, perché la giovane piratessa aveva avuto la brillante idea di cucinargli dei biscotti particolari, che su quel dannato libro sembravano semplici da preparare e molto buoni, ma li ha lasciati per troppo tempo nel forno, carbonizzandoli. Neanche Ace, il pozzo senza fondo numero uno sulla Moby Dick, ha avuto il coraggio di mangiarli.
Adesso, stesa sul lettino dell'infermeria, si sta trattenendo con tutta sé stessa dal prendere a pugni le varie infermiere che la stanno sfottendo per la sua totale incapacità nel settore culinario.
«Vi dispiace addormentarmi e farmi questa fottutissima trasfusione?!» sbotta vicinissima ad uno dei suoi pericolosi attacchi d'ira, nella quale tende a distruggere tutto quello che le capita sotto tiro e che viene placato solamente con il contatto con qualcosa di incandescente.
«Hai la coda di paglia, Akemi?» ridacchia Ran, iniettandole il sedativo per farla dormire il più beatamente possibile per un paio d'ore «E comunque dovresti toglierti il giacchetto!» le ripete subito dopo per la quinta volta, spazientita.
«No, lo toglierò più tardi. Ho una sorpresa per il babbo.»
Ran decide bene di non indagare oltre, conscia del fatto che se la ragazza s'impunta su qualcosa, sarà quella anche a costo della vita. 'Cocciuta come lei c'è solo il capitano!'
«Beh, allora sogni d'oro, piccola permalosissima combina guai!»
Akemi le sorride appena, chiudendo finalmente gli occhi, pronta a tornare nel limbo nero dal suo persecutore immaginario, con la possibilità di staccare finalmente la presa e non pensare più all'uomo che con tutte le sue forze sta provando ad evitare.

Dove. Diavolo. Mi. Trovo?!
Possibile che non posso neanche stare nel limbo? Cos'è, il pazzo bastardo mi ha bandita perché si sentiva minacciato?
In una foresta dovevo finire, poi! Non in una bella spiaggia, con un bel sole e l'odore dei fiori di stagione nell'aria. No, in una maledetta foresta buia e fredda!
«Devi restare sveglio, forza...»
La sua voce! La riconoscerei in mezzo a mille e più!
M'incammino velocemente, cercandolo con lo sguardo, vedendo solo alberi e cespugli. Dove diavolo si è cacciato? So che è colpa sua se sono qui, per forza! Ero calma quando mi sono addormentata, quindi questo inconveniente è solo opera sua!
«Fratello, resisti! Non puoi lasciarmi solo...»
È tristezza quella che sento? Bene! Non è altro che bene!
«Sei pallido...» un'altra voce, più roca e flebile mi mette in allerta.
Che non fosse solo già lo avevo capito, ma per una strana ragione la cosa mi mette particolarmente in allarme. Generalmente le voci estranee portano solo dolore e morte...
Eccoli, riesco a vederli. Lui, il bastardo, è chino su qualcuno. I suoi vestiti sono diversi dal solito, sono più... antichi? A terra, accanto a lui, ci sono delle spade e uno scudo.
Quello che ho capito essere suo fratello è steso a terra, una larga pozza scura si allarga sotto di lui. Vedo di sfuggita i suoi lineamenti definiti, senza però riuscire a scorgerne gli occhi, coperti dai capelli scarmigliati di un castano scuro tendente al nero. Lui, esattamente come il mio folle “persecutore”, indossa dei vestiti bizzarri, con la differenza che a coprirgli il torace ha una cappa di maglia pesante lacerata sul fianco, punto da cui sgorga tutto quel sangue.
Mi avvicino con cautela, senza però riuscire ad essere completamente silenziosa a causa dei maledetti stecchini che scricchiolano al mio passaggio. Curiosamente non si accorgono della mia presenza, cosa che un poco mi rassicura.
Anche l'uomo dei sogni sanguina da dietro al collo, da una ferita più piccola ma comunque profonda, a cui però non bada minimamente.
Ammetto che vederlo così distrutto dal dolore mi fa provare un briciolo di pena nei suoi confronti, ma con tutto quello che mi sta facendo patire mi impongo di soffocare tale sentimento. Non se lo merita. Però mi dispiace per l'altro...
«Fatti curare quella ferita...» mormora con un filo di voce il castano, respirando a fatica.
Ora che sono più vicina, riesco a vedere la sua ferita. È strana: il sangue è troppo scuro e ci sono delle strane diramazioni sulla pelle, come se le vene sottostanti fossero avvelenate o una cosa simile.
«Non ti lascio, chiaro?» ringhia a denti stretti, stringendogli con forza una mano. Anche sulla sua ferita ci sono gli stessi strani segni e il sangue che vi sgorga è di un rosso decisamente anomalo, direi tendente al nero.
«Vat-»
«No! Non vado da nessuna parte, sono stato chiaro? Resto con te fino alla fine.» abbassa lo sguardo sul pugnale che pende dal fianco del fratello e in un movimento secco glielo sfila, stringendolo con forza «E dopo ti seguirò nel Valhalla.»
Valhalla? Che diavolo è?
«Non dire idiozie, fratello... tu vivrai, porterai alto il tuo nome. Sei un guerriero, guiderai tu le truppe adesso-» tossisce con tutto il fiato che ha, sputando del sangue scuro e rappreso.
L'uomo dei sogni, disperato oltre ogni limite, sta per controbattere qualcosa, quando il maggiore lo precede «Le Valchirie mi attendono...»
Si guardano negli occhi intensamente e pure io adesso non riesco a non provare tutto il dolore che sta distruggendo l'uomo «...addio, amato fratello...»
Il tempo sembra sospeso, i secondi passano inesorabili, lo sterno dell'uomo smette di muoversi, il suo cuore batte per l'ultima volta.
Non riesco a muovermi, non riesco a respirare. Perché provo tanta pena? Perché mi sta facendo così male tutto questo? Non dovrebbe importarmi, no? Ho già visto delle persone morire e questo neanche lo conosco! Perché allora sento tutta quest'angoscia?
«Ci vediamo dall'altra parte...»
Alzo gli occhi giusto in tempo per vedere la punta del pugnale fermarsi sul suo petto, all'altezza del cuore, e trafiggerlo pochi istanti dopo.
Non sono riuscita ad impedirlo, non sono riuscita ad evitargli l'ennesima morte e in poco sento un incredibile freddo penetrarmi fin dentro le ossa. Tutto si fa sfocato, i colori si spengono, i dettagli spariscono; in breve, tutto diventa nero.
«Molto teatrale, non trovi?»
Mi volto di scatto verso di lui, guardandolo con aria persa. Che diavolo significava tutto quello? Era una specie di gioco perverso per farmi stare male?!
«Era uno scherzo?»
«Mh?» alza gli occhi su di me, guardandomi incuriosito, per poi rivolgermi un sorriso amaro «Per niente. È il mio passato.»
Rimaniamo in silenzio a fissarci, il dolore che lentamente va scemando dai nostri cuori ci permette di indossare nuovamente le solite maschere dure che ci ostentiamo a mostrarci.
«Perché me l'hai fatto vedere?»
«Non è stato volontario. Mi ero ritrovato semplicemente a ripensarci e tu ti sei addormentata in uno stato d'angoscia e dolore, ed inevitabilmente l'hai visto.» cammina tranquillo in questo nulla, fissandosi la punta dei piedi scalzi «Avrei preferito evitarlo.»
«Perché? Ti disturba che gli altri sappiano che in fondo non sei un totale sadico bastardo?»
«Mi da noia che qualcuno veda come è morto mio fratello.» i suoi occhi fiammeggiano per la rabbia, i muscoli si tendono e la sua forza aumenta distintamente «Era il più grande guerriero che il mondo avesse mai visto. Non meritava di crepare in quel modo!»
«Mi dispiace per lui, credimi, ma è inutile che alzi la voce con me. Questo non lo riporterà in vita.» ringhio in risposta mentre la sua rabbia aumenta.
«Ti svegli?! Voglio stare solo!» mi spinge con forza, facendomi inevitabilmente cadere. Che stronzo!
«Allora tagliami la gola come al solito, così posso evitare di vedere la tua faccia da schiaffi.»
Sbuffa infastidito, avvicinandosi a me a grandi falcate con aria irritata, ma prima che mi ammazzi per l'ennesima volta non riesco a trattenermi dal contraddirlo «Comunque mi ero addormentata calma e beata. Anzi! Ero così di buon umore che avrei dovuto sognare bellissimi arcobaleni e tante farfalle con la porporina sulle ali invece che vedere te!»
«Calma e beata? Ma chi pensi di prendere per il culo, eh? Tu non stai più bene da ben undici giorni, ragazzina. Inoltre sappiamo entrambi che il motivo di questa tua confusione emotiva è dovuta a quel pirata che tanto illogicamente ti piace.»
«Ti piacerebbe.»
«Ti dirò che vedo più di buon occhio il tizio che si veste da donna. Almeno ha stile.» mi afferra con violenza per i capelli, tirandoli alla cute quasi fino a strapparli «Fai chiarezza nel tuo cuore prima di contraddire me, mocciosa.»


Apre gli occhi di scatto, il collo che le brucia dopo il micidiale graffio ricevuto nel sogno e una gran confusione in testa.
«Tutto bene, cara?» le domanda Yuka affiancandola e prendendole delicatamente una mano tra le sue.
«Eh? Si, tutto ok.» risponde col fiatone, passandosi una mano sul viso «Quanto manca?»
«Almeno una mezz'ora, cara.» le passa una mano sulla fronte, sorridendole dolcemente «Ti porto qualcosa da leggere per ingannare l'attesa?»
«Grazie...» le sorride di rimando, sentendosi incredibilmente rassicurata dalla sua dolce presenza, che fa quasi da effetto inibitorio alla sua impetuosa impazienza: deve mostrare cosa ha fatto!
'Manca poco... manca poco e glielo mostrerò!' un sorriso fiero le increspa gli angoli della bocca, riempiendole il cuore di felicità 'Vedrai babbo! Sarai orgoglioso di me!'


Legge con sguardo attento il giornale, Marco, per tenersi costantemente informato su quanto accade nel mondo. Da quello che sta leggendo, non solo Cappello di Paglia sta continuano a dare del filo da torcere al Governo Mondiale, ma ci sono pure altri novellini di un certo spessore.
'Questo Capitano Kidd deve essere una vera bestia...' pensa notando la sua taglia esorbitante, ridacchiando appena.
Legge i loro nomi, vede i loro volti, e non riesce a non pensare a come potrebbe essere uno scontro con uno di loro. Forse, tra tutti, è proprio la ragazza che potrebbe creargli qualche problema in più. In fondo se lo facesse diventare un poppante incapace di reggersi in piedi o un vecchio con le cataratte sarebbe in difficoltà.
'Interessanti. Davvero interessanti.'
Alle sue spalle sente un improvviso mormorio che inspiegabilmente lo incuriosisce e senza pensarci volta la testa, pentendosene immediatamente.
Lei è li, che sorride raggiante ai suoi compagni, fresca fresca di trasfusione. Come lo sa? Semplice: è incredibilmente radiosa.
La guarda attentamente, notando i sorprendenti cambiamenti che ha subito in quei sei giorni. Niente di allarmante come una ventina di anni in più, no, solo qualche cambiamento che la rende più matura. Come i lineamenti definiti e allo stesso tempo dolci, i capelli tagliati alle scapole, il fisico snello e slanciato, il seno sodo e, secondo il suo modesto parere, perfetto.
Sgrana un poco gli occhi a quel pensiero, domandandosi da dove gli sia uscito, scuotendo la testa e poggia il giornale da un lato, curioso di capire perché si sia presentata lì quando sapeva benissimo che c'era anche lui.
La risposta non tarda ad arrivare, quando con un sorriso soddisfatto si sfila la giacca dalle spalle mostrando che sul braccio, poco sotto la spalla, svetta il simbolo “alternativo” della ciurma, di un nero che contrasta perfettamente con la sua carnagione.
'Ah, ecco il perché. Doveva pavoneggiarsi della sua nuova bravata. Mi sembrava assurdo che di punto in bianco le fosse passato tutto.'
Sbuffa sonoramente, cercando insistentemente i suoi occhi, sperando che davvero le sia passata, che vada da lui a fargli vedere quanto è stata incosciente nel tatuarsi da sola, ma è una speranza vana. Lei volteggia tra i suoi fratelli, sorridendo felice al capitano che la guarda con orgoglio, piroettando poi tra le braccia di Satch che poi la stringe a sé, ma lui lo ignora deliberatamente.
'Non mi guarda neanche in faccia...' pensa amareggiato, alzandosi e allontanandosi da quell'atmosfera troppo gioiosa per i suoi gusti. Anzi, in realtà gli piacciono quei momenti di gioia e spensieratezza, ma ora proprio non riesce a sopportarlo. Si sente escluso, un estraneo.
'Cosa ti ho fatto? Spiegamelo, avanti! Ti atteggi sempre a super donna, quella che sa tutto e non teme niente, quando in realtà sei solo una ragazzina piena di paure. Paura di cosa, poi? Di qualche incubo, di cose inesistenti. Poi vuoi sempre fare la vittima. Pensi che tutti noi abbiamo avuto un'infanzia semplice? Beh, mia cara, ti sbagli. La stra-maggior parte di noi ha avuto un'infanzia di merda! Molti, me incluso, sono orfani di almeno un genitore!
Tu, invece, hai avuto l'enorme fortuna di essere accolta nella nostra famiglia sin da piccola! Ti abbiamo cresciuta ed amata, ti ho protetto col mio stesso sangue, e questo è il tuo ringraziamento? È vero: non mi sono mai comportato meravigliosamente con te come hanno fatto tutti gli altri, sono il primo ad ammetterlo, ma merito sul serio questo trattamento? Guardati, scherzi pure con Teach! E tu detesti Teach, non negarlo.
Ma poi perché mi logoro tanto per te? Chi sei per me, in realtà? Niente, una compagna di ciurma e basta. Ce ne sono così tanti che quasi fatico a ricordare tutti i loro nomi. Eppure continuo ad accanirmi contro di te.
Suppongo sia una questione di principio, a questo punto. Si, principio: non ti ho fatto assolutamente niente, quindi non merito questo tuo trattamento.'
Si rinchiude nella sua stanza, più che intenzionato a rimanervi sino all'ora di cena, lontano da tutto e tutti. Ma questo suo proposito va a farsi benedire nel momento esatto in cui qualcuno bussa alla sua porta; non fa neanche in tempo a dire che vuole riposare in pace che la testa di Ace fa capolino all'interno della camera, con un'espressione divertita in volto.
«Hai visto che pazza?!» esclama allegro, facendolo sbuffare «Ok, non t'interessa.»
Gli fa un sorriso sarcastico, Marco, chiedendogli silenziosamente di uscire e di lasciarlo da solo, ma il moro ignora deliberatamente questa taciturna richiesta e in tutta tranquillità va a sedersi sul suo letto, guardandolo dritto negli occhi «Ho avuto una trovata geniale, Marco. Ne ho parlato col babbo ed è d'accordo con me.»
«Ace-»
«No, ascoltami. Funzionerà, ne sono sicuro.» afferma il minore con incredibile decisione, sorprendendolo.
Sospira forte, Marco, passandosi entrambe le mani nei capelli.
È arcistufo di tutta quella situazione, non ne può assolutamente più, e se l'idea di Ace può aiutarlo ad uscirne e fargli evitare così ulteriori arrovellamenti di testa ben venga.
«Ti ascolto.»
Il sorriso sghembo che Pugno di Fuoco gli rivolge, però, lo fa pentire immediatamente della sua scelta...


Il sole è tramontato da un pezzo, la notte ha preso il posto del giorno portando una brezza leggera. Akemi è al suo posto di vedetta ad osservare il circondario, annoiata a morte ed incuriosita dalle criptiche parole che il padre gli ha rivolto prima che se ne andasse dalla mensa.
'Perché vuole parlarmi?' si domanda per l'ennesima volta, passandosi una mano affusolata tra i capelli 'Non penso che riguardi Marco... sarebbe sciocco da parte sua.'
Abbassa per un attimo gli occhi, vedendo di sfuggita i contorni scuri del tatuaggio che svetta sulla sua pelle. Ci passa sopra le dita, sfiorandolo appena.
'Marco...' chiude con forza gli occhi, sentendo per l'ennesima volta una fitta al petto 'Perché? Perché?! Pure il pazzo ha detto che questo sentimento è illogico. O forse è completamente logico? In fondo tu mi hai salvata... no, non è per questo. Non riesco a capirlo. Ci ho ragionato a lungo, troppo a lungo, ma non ci arrivo. I sentimenti non sono razionali, questo lo so, ma perché non riesco a spiegarmi perché provo questo per te? Diavolo, non siamo neanche mai andati d'accordo!'
Scuote con forza la testa, sbuffando forte e voltandosi di scatto verso Teach, giunto per darle il cambio, e senza proferir parola si allontana, dirigendosi verso la cabina del genitore.
'Devo farmela passare, non ho altra scelta. Non posso convivere con questo tormento, non ce la posso fare. Magari la cosa sarebbe stata sostenibile in altri frangenti, ma con quel pazzo che mi tortura il cervello proprio non posso.
Ma quale altro modo c'è per sopprimere queste maledette “farfalle”? Forse il vecchio “chiodo schiaccia chiodo”, come ho letto in qualche romanzetto da due soldi. Se solo ritrovassi Killian... con lui forse riuscirei a sopprimerle.'
Sospira forte, rassegnata, per poi bussare piano alla porta ed entrare, guardando il padre con sguardo dolce mentre legge un libro. Vederlo attaccato a tutti quei tubi le fa male, ma non lo da a vedere.
«È tardi?» gli sorride dolcemente, trotterellandogli incontro quando allarga un braccio in un chiaro invito a raggiungerlo. Si sdraia al suo fianco, abbracciandolo e beandosi del calore che sente ogni volta che sta tra le sue enormi braccia. Un calore di cui ha un disperato bisogno e che riesce a scioglierle il cuore tanto da renderla mite come un gattino.
«Come mai oggi sei così docile?» le domanda sorridendole, passandole una mano sulla testa, sentendo un'ondata di fierezza nel vedere il suo simbolo svettare sulla sua pelle bianca. Sa che adesso, almeno da ciò che è tangibile e visibile a tutti, sarà al sicuro: nessuno sano di mente andrebbe ad infastidire uno dei suoi figli.
«Sono solo di buon umore.» ammette Akemi, lasciandosi completamente andare alle sue premure. 'Non esiste un padre migliore al mondo.'
«Volevi parlarmi di qualcosa?» domanda dopo qualche istante, alzando gli occhi su di lui.
«Se te lo ripeto un'altra volta, ti passa il buon umore?» le domanda a sua volta, sperando vivamente che il piano ideato dal figlio funzioni. Quella storia si è protratta sin troppo a lungo per i suoi gusti!
«No, però sarebbe un completo spreco di fiato.» risponde sorridendo con aria furbetta, bloccandosi di colpo, cosa che non sfugge al capitano.
La guarda con attenzione, notando la concentrazione che sta impiegando per captare qualcosa e anche il fatto che per un secondo ha fiutato l'aria con più forza del dovuto. 'Ora vedi!'
«Scusa, mi sono ricordata che devo fare delle cose!»
Barbabianca l'afferra per un braccio prima che riesca a scattare verso la porta, bloccandola e costringendola a voltarsi per guardarlo in faccia, serio e minaccioso «Prova anche per sbaglio a farmi un misero taglietto e ti strappo la spina dorsale, sono stato chiaro?»
Akemi prova a fingersi indifferente, sorridendo arrogantemente e cercando con tutte le sue forze di liberarsi senza dover ricorrere agli artigli.
«Da dove viene questa brutalità gratuita?» domanda ironicamente, arrendendosi all'evidente inferiorità e abbandonandosi a sedere per terra con il braccio ancora dolorosamente stretto nella sua ferrea presa.
«Sono Barbabianca, mocciosa. Posso fare e dire quello che voglio.» le risponde altezzosamente l'uomo, fissando poi lo sguardo sulla porta chiusa «Marco!»
Perché lo sa che stava passando di lì, erano d'accordo. Gli è bastato vedere l'espressione della ragazza per averne la certezza: quei piccoli movimenti appena visibili ne sono un chiaro segno.
Dopo una manciata di secondi, infatti, la porta si spalanca e la Fenice fa capolino nella stanza, guardando i due con aria seria ed arrogante, come suo solito.
«Ma guarda un po' chi si rivede.» afferma con tono quasi disgustato, giusto per ripagarla con la stessa moneta.
«Non puoi immaginare quanto la cosa mi rallegri.» borbotta sarcastica la minore, sbuffando sonoramente e continuando a fissare la parete che ha di fronte al solo scopo di non incrociare neanche per sbaglio il suo sguardo. Solo il sentire il suo profumo le fa male, guardarlo negli occhi sarebbe troppo.
«Fatela finita. Tutti e due.» ordina innervosito l'imperatore, facendo saettare lo sguardo da uno all'altra «Dovete vivere sulla stessa nave, maledizione! Smettetela di comportarvi come due bambini e chiarite le vostre divergenze!»
«Ma-» provano a controbattere all'unisono, venendo però interrotti dalla voce tuonante del capitano.
«È UN ORDINE!» sbraita infatti, facendo alzare di peso Akemi e lanciandola senza tanti riguardi tra le braccia di Marco, che involontariamente l'afferra, guadagnandosi uno sguardo omicida come ringraziamento.
Escono in silenzio dalla camera, tenendosi a debita distanza, finché Marco, arcistufo di tutta quella buffonata, decide bene di rompere il loro silenzio.
«Brava Akemi, complimenti.» di certo questo non è il migliore dei modi in cui poteva farlo, ma sicuramente è un inizio.
«Cosa?» sibila infastidita, sentendosi incredibilmente tradita da tutto e tutti. 'Sarai anche il babbo migliore di tutti, però questa me la paghi.'
«Sei riuscita a farlo andare in bestia, i miei più sentiti complimenti.» la sfotte la Fenice, guardandola truce. 'Forse sto sbagliando...'
«Implodi.» ringhia in risposa, girando sui tacchi e provando ad andarsene, venendo però prontamente bloccata dalla ferrea presa del maggiore. 'Cos'è questo vizio di afferrarmi per le braccia?!'
«Dove credi di andare?!» sbraita a pochi centimetri dal suo viso, mordendosi subito dopo la lingua.
Sa bene che così peggiorerà semplicemente la situazione e deluderà il padre, quindi decide di cambiare approccio, tentando il tutto per tutto «Stammi bene a sentire: non ho idea di cosa ti ho fatto, ma qualsiasi cosa sia ti chiedo scusa, ok? Spero vivamente che tu capisca che questa situazione deve finire e non per me, sia chiaro, ma per il babbo. Soffre ogni volta che vede che tra i suoi figli non scorre buon sangue.»
Il suo tono pacato però non attacca minimamente con Akemi, che prontamente controbatte acidamente «Non può certo pretendere che tutti vadano d'amore e d'accordo.»
«Questo no, ma che quanto meno abbiano la decenza di salutarsi al mattino quando si riuniscono a tavola si.» allenta un poco la presa dal suo braccio, facendo scivolare la mano fino al polso. Non può lasciarla andare, non ora che sta arrivando a qualcosa «Mi spieghi cosa ti ho fatto?»
«Lo so io.» sputa irritata, provando ad andarsene, inutilmente.
«E lo voglio sapere anche io.» la guarda dritto negli occhi, non riuscendo però a decifrare le sue emozioni «Andiamo Akemi...»
«Te lo dissi già quella sera che con me sei sempre scontroso, no? Beh, siccome non ho nessuna intenzione di essere trattata come un'idiota anche da sveglia preferisco evitarti.» il suo tono è duro, il suo sguardo fermo e contratto in un'espressione rabbiosa, ma dentro si sente completamente in subbuglio. Si sorprende parecchio del fatto di non essere già scoppiata a piangere e per non essersi buttata tra le sue braccia per sentire il suo calore, quello che le fa formicolare la pelle e la manda in confusione. Non lo fa semplicemente perché non può permettersi di crollare così, pur essendo consapevole che questa sua tattica di autodifesa non potrà durare a lungo.
Marco sospira abbassando per un attimo la testa, cercando la soluzione adatta a quella storia. Sa bene che è solo una e che per lui non sarà per niente semplice, ma deve farlo.
«Se ti promettessi che da questo momento in avanti comincerò a trattarti bene, cesseresti questa tua assurda guerra nei miei confronti?» le domanda sorridendole appena, facendo un mezzo passo verso di lei, sorprendendosi nel vedere che stavolta non si ritrae. Ne fa così un altro, arrivando al punto di poterla fronteggiare sul serio, poggiandole addirittura una mano sulla spalla per rassicurarla.
«E chi me lo dice che domani non ricomincerai come al solito?»
«Hai la mia parola, Akemi. Puoi fidarti.»
«Di un pirata?» lo sfida ancora, malgrado sia chiaro ad entrambi che ormai ha perso, facendo sorridere in modo estremamente dolce il comandante.
«Di tuo fratello.» puntualizza, facendole provare una fitta insopportabile al cuore che però non da a vedere.
«Andata?» le domanda guardandola dritto negli occhi, sorridendole incerto.
Sospira rassegnata, Akemi, abbassando la testa e poggiando la fronte sul suo petto, sconfitta ma allo stesso tempo felice di poterlo riavere, beandosi della lieve stretta che le sue braccia esercitano sul suo corpo.
«Andiamo a dormire, forza...» scioglie velocemente l'abbraccio, Marco, per poterle mettere un braccio attorno alle spalle, facendola incamminare sottocoperta. Si sente felice, tanto da sorprendendosi. Aveva capito che le voleva bene e che quello scontro gli stava facendo male, ma non credeva possibile di poter provare tanta felicità solo perché adesso si riparlano tranquillamente.
La cabina di Marco è una delle prime, così Akemi si toglie il suo braccio dalle spalle senza tante cerimonie e s'incammina verso la propria, il cuore in subbuglio e la testa che gira, completamente inebriata dal suo profumo che le rimane nelle narici.
Marco la guarda allontanarsi incerto sul da farsi, finché decide, illogicamente, di compiere un gesto sin troppo dolce per i suoi standard: allunga velocemente un braccio verso di lei, afferrandole così una mano e costringendola a rigirarsi.
'Se devo essere gentile, tanto vale rimediare al primo sbaglio...'
«Dove vai?» le domanda con tono duro, lasciandole la mano e poggiandosi con la spalla contro lo stipite della porta.
«Mi sorprende che tu, generalmente tanto brillante, non abbia ancora capito dove si trova la mia cabina.» risponde sorridendogli in modo arrogante, facendolo ridacchiare appena.
«So bene dov'è la tua cabina, ma se non sbaglio l'ultima volta volevi dormire qui.»
Questa sua semplice affermazione basta per far fare al suo piccolo cuore una tripla o anche quadrupla capriola nel torace, farlo smettere di battere e poi ricominciare, mandandola completamente in tilt. 'Mi prende in giro?'
Marco, di fronte alla sua espressione incredibilmente persa, non riesce a trattenere una lieve risata e senza aspettare alcuna risposta da parte sua semplicemente la riprende per un polso e la trascina nella sua cabina, mettendo momentaneamente da parte il suo intoccabile principio.
«Non ci fare l'abitudine, ragazzina. È solo per stanotte.» l'avverte prontamente, togliendosi i vestiti e rimanendo solo con i boxer, inconsapevole di quanto questo suo gesto stia mandando nel panico più assoluto la ragazza.
'No, cazzo! Che faccio? Che dico? Non deve sapere. Nessuno lo sa! Forza, Akemi, comportati come sempre. Sii te stessa. Magari, ecco, sta zitta, però sii te stessa.'
Si butta velocemente nel letto, dandogli le spalle e rimanendo in completo silenzio, pietrificandosi totalmente quando anche l'altro si stende al suo fianco.
«Buona notte, ragazzina.» afferma tranquillo, pronto a godersi una bella dormita, finalmente con la mente sgombra da qualsiasi pensiero.
'Devo dormire.' si ripete Akemi per la centesima volta nell'arco di cinque minuti, rannicchiandosi ulteriormente su sé stessa e tenendo gli occhi sbarrati, provando a trattenere il respiro il più possibile per non sentire il suo profumo.
'Tanto mi considera una sorella, no? È inutile farsi tanti problemi. Non accadrà assolutamente niente tra di noi, né adesso né mai.'
«Segui il tuo fottuto istinto, dannazione!» sgrana gli occhi di colpo dopo aver sentito quella specie di ronzio nelle orecchie, stringendo i denti per la rabbia.
'Zitto! Zitto! Tu non sei reale!'
«Zitta tu, mostriciattolo! E vedi di darmi ascolto per una buona volta!»
'Porca puttana sento le voci...' chiude con forza gli occhi, provando ad ignorare la sua voce melliflua che però pare non avere alcuna intenzione di tacere.
«Vedi di addormentarti velocemente, razza di imbecille sottosviluppata. Mi sento particolarmente in vena di dispensare consigli utili questa notte.» sospira forte, nascondendosi sotto le coperte sin sopra le orecchie, provando inutilmente a concentrarsi sul respiro regolare del pirata assopito al suo fianco.
«Vorrei darti un paio di dritte su come usare a pieno il tuo potenziale da seduttrice.»
'Potenziale da cosa? Santo Cielo, tu sei pazzo sul serio!'
«No, sono solo molto più esperto di te. Puoi darmi retta, per una volta? Ti assicuro che non te ne pentirai.»
Per una ragione che non capisce il suo corpo si fa improvvisamente pesante, così come le palpebre, ed involontariamente si ritrova di nuovo in quel limbo buio in sua presenza.

 

«Pronta ad entrare nel girone dei lussuriosi?»

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*Yellow Canadair guarda un po' chi è che la sbatte come un tappeto? :P All'inizio avevo pensato di metterci o Vista o Kingdew, ma poi mi sono detta “no, quest'uomo ha avuto un'uscita troppo meravigliosa, va onorato!” e così c'è finito lui :)

Angolo dell'autrice:
Buon salve a tutti! :D
Anche stavolta sono inspiegabilmente allegra! Suppongo che sia perché ormai il mio cervello è stato irrimediabilmente fottuto dalla chimica... ^^
Vabè, tralasciando questo... che ve ne pare? :) Onestamente questo capitolo mi ha fatto particolarmente schifo .___. ma almeno questi due imbecilli (<3) hanno fatto pace! Da adesso la situazione comincerà a cambiare per loro... in meglio, finalmente! :)
Ci vorrà ancora un po' prima che il nostro dolce Marcolino apra i suoi dolci e apatici occhietti, ma lo farà... e quando ciò avverrà sarà anche piuttosto dolcino! (Si, sempre dopo un po', ma lo sarà)
Akemi invece dà sempre più fuori di matto. Tatuarsi da sola un braccio... ci vuole un pizzico di follia, no? Però lei ha una motivazione ben precisa per farlo: vuole cambiare, vuole essere diversa dal riflesso che vide in quell'incubo, e giustamente(?) pensa di farlo cambiando il suo aspetto esteriore. Idiota, eh? ;) -l'ho creata io, non poteva essere altrimenti :z-
Ah, c'è un perché per il suo attaccamento a Marco e anche per i suoi sentimenti tanto forti. Vi assicuro che non è una svista mia farle perdere la testa in questo modo da un momento all'altro, ma dovrete attendere per sapere. (strano eh?)
Stavolta in realtà non ho molto da dirvi, solo un'ultima cosa: ho deciso di mettere subito dopo questo discorso senza logica un piccolo special (se non lo leggete non penso che vi cambierà più di tanto, è giusto per essere un pochettino più chiari). Penso che comincerò a farlo più spesso e vi spiego perché: saranno come brevi pezzi di una storia parallela. E di chi sarà mai questa storia se non di quelli che vogliono prendere Akemi? Oddio, in realtà per adesso ci saranno solo pezzi loro, ma presto metterò altri tipi di special, cioè basati su delle canzoni e tratteranno in modo un po' più introspettivo i nostri personaggi (per adesso ne ho pronto uno di Akemi e uno di Satch). So che non vi frega niente, ma ve lo volevo dire :) (Ah, se non vi piacciono li elimino e ciao ^^)
Beh, non ho altro da dire penso... alla brutta me lo tengo per me! ^^
Adesso un grazie infinito a Okami D Anima, Lucyvanplet93, Monkey_D_Alyce, Yellow Canadair e iaele santin per le splendide recensioni; ankoku, Dark_witch3, D_ann, evelinstar31, giada1999, Incantatrice_Violeta, Jollyna, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, Portuguese D Ice, SmyleCathy, Trafalgar Revy e Yellow Canadair per averla messa tra le preferite; Azzu___, Balalaika_, evy88, girosolomina, Ikki, Kyuubi10, LallaOrlando, leonedifuoco, Lucyvanplet93, Portuguese D Ice, Portuguese D Rogue, Puffetta96, Redangel19, rosy03, SmyleCathy, The Green Eyed Girl, valepassion95, Vivi y, Yellow Canadair, Zefiria BlackIce, _K a r i n, _Bianconiglio_, _cucciolotta_, _Lawliet e _Takkun_ per averla messa tra le seguite; Portuguese D Ice per averla messa tra le ricordate.
Davvero gente: GRAZIE INFINITE!
Alla prossima, un bacione
Kiki



 

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Wulfirc è sempre stato un essere assai tollerante. Ha accettato di fare cose riprovevoli senza batter ciglio, di passare la notte in tuguri impensabili e molto altro. Non ha mai avuto da ridire su niente. Ma quel maniero davvero lo manda in bestia.
Non sopporta il chiasso che aleggia sempre per quei maledetti corridoi, tutte quelle anime insopportabilmente appiccicose con chiunque ancora respiri, quell'aria tetra e lugubre.
Ok che il proprietario è un assassino della peggior specie, ha una taglia sulla testa da far impallidire pure il grande Re dei Pirati, ma perché si ostini a restare tra quelle mura lugubri è ancora un mistero. Con tutto quello che possiede, potrebbe avere di meglio. E in realtà ce l'ha pure, solo che ultimamente preferisce stare tra le anime dannate, piuttosto che in un'ariosa stanza con dei mostri normali.
'Ti detesto. Ti detesto sul serio.' pensa Wulfric, senza però esternare le emozioni. Non lo ha mai fatto, in fondo. Solo con tre persone si concede il lusso di mostrarsi vagamente umano.
Entra con passo lento, ma comunque incredibilmente elegante e silenzioso, nella grande sala principale, dove trova il loro Signore immobile sul suo trono.
'Adoro farti incazzare!'
«Si può sapere dove sei stato? Ti avevo espressamente ordinato di non allontanarti da qui!» urla in preda alla rabbia, sbattendo con forza i pugni sui braccioli del suo trono.
Wulfric, calmo come sempre, fa un gesto vago con la mano per sorvolare sulla cosa, avvicinandosi incurante del pericolo. Lo conosce da così tanto tempo che ormai sa bene come poterlo raggirare in caso di esplosione incontrollata.
«Non sono mai stato ai tuoi ordini e non ho intenzione di cominciare adesso.» afferma con noncuranza, poggiando la borsa su di un tavolino, voltandosi poi verso di lui e sorridendogli allegro «In ogni caso, sono dovuto andare in piccola isola della Rotta Maggiore da una vecchia veggente. Dovevo avere delle prove per farti ragionare.»
«Non vorrai dirmi che credi realmente a quelle stronzate?» ringhia sempre più nervoso, trattenendosi con tutto sé stesso dallo staccargli la testa a morsi. Letteralmente.
«Fermamente.» risponde sorridendo Wulfric, estraendo vari fogli dalla borsa e mettendoli in ordine di fronte a sé «Con tutto quello che ci circonda, con le nostre conoscenze... con quello che abbiamo visto e vissuto, realmente pensi che non sia possibile prevedere il futuro e manipolarlo?»
Il sovrano sbuffa spazientito, passandosi una mano sul volto, consapevole di star entrando in una conversazione assai scomoda con quel folle che da troppo tempo gli sta tra i piedi «Il futuro è imprevedibile. Un piccolo gesto può completamente distruggere l'ordine e cambiare le conseguenze del destino.»
«Ne sono pienamente consapevole. Ma sono anche consapevole che sarei in grado, con il tuo aiuto, di arginare quei piccoli gesti e di fare in modo tale che questo futuro si avveri.»
Alza lo sguardo, colto da una vaga curiosità, osservandolo nel dettaglio «Di cosa stai parlando?»
«Di questo.» indica con la mano i vari fogli perfettamente ordinati, contenenti i risultati della sua veloce ma preziosa ricerca «Ti ho portato tutte le notizie raccolte per esaminarle insieme.» lo fissa con attenzione, capendo di aver attirato, seppur minimamente la sua attenzione.
'Devo toccare le corde giuste...'
«Ascoltami: siamo entrambi grandi strateghi militari, possiamo trovare una soluzione migliore al sequestro di persona.» sa bene che questa non è assolutamente la corda giusta, ma sa che deve riuscire ad incastrarlo seguendo un percorso più largo rispetto a quello che userebbe con chiunque altro.
«Da quando t'importa così tanto di fare del bene?»
«Non lo so, onestamente.» ammette sorridente, camminando distrattamente per quella grande e tetra sala «Da quando tu non vuoi vincere nel modo più brillante possibile?» 'Abbocca, forza.'
«Averla qui in questo momento sarebbe una vittoria brillante, Wulfric.» 'Perfetto...'
«Averla dalla nostra parte lo sarebbe. Averla qui e avere contro il suo odio e la sua ira, no. Sarebbe controproducente, e lo sai anche tu.» lo corregge immediatamente, usando un tono più duro e vagamente canzonatorio, e dalla sua espressione capisce di aver fatto breccia «Devi darmi ascolto, per questa volta.»
«Sentiamo queste tue informazioni, allora.» cede, desideroso solo di chiudere la questione e prendersi un paio d'ore di riposo. Tutto lo stress a cui è sottoposto negli ultimi tempi lo sfianca incredibilmente «Se mi convinceranno, potrei studiare con te un metodo alternativo per compiere questo scopo.»
Wulfric è consapevole che sta mentendo, che non lo farà, ma è più che determinato a farglielo fare in qualsiasi modo. Quella faccenda sta andando troppo oltre per i suoi gusti e, soprattutto, non riesce a sopportare che la procedura di quel gioco contorto sia così sbagliata.
Si avvicina sicuro alle carte e porta le prime, quelle necessarie a far si che il piano funzioni, al sovrano, che le scruta con attenzione.
Anche se non gli interessa realmente, è abituato da tutta la vita ad esaminare ogni cosa da tutti i lati.
«La creatura è dormiente, ma non per volontà propria. Questo indica che c'è qualcosa che sta bloccando il processo.» afferma Wulfric, sperando che pure il compagno arrivi alla sua stessa conclusione.
«Una runa.»
Sorride soddisfatto, rendendosi conto che non ha perso il suo vecchio fiuto per gli indizi. 'Non mi deludere, non tu.'
«Le ho chiesto come saranno gli esiti dei futuri tentativi di rapimento e ogni volta il risultato era il fallimento. Per una ragione o per un'altra, pare che la buona sorte l'assista.»
«La buona sorte non c'entra niente. I fratelli Ulykke* erano impreparati, Killian non sa dominare le emozioni. Tutto qui.» afferma scocciato, alzando l'occhio su di lui e ringhiando sommessamente di fronte al suo classico sorriso enigmatico «Cos'altro?»
«A quanto sembra c'è un forte legame di mezzo.»
«Barbabianca e la sua ciurma, che notizia...» sbuffa alzando l'occhio al cielo, passandosi poi una mano tra i capelli spettinati.
«È quello che ho detto io... ma non è così.»
Alza lo sguardo su di lui, non capendo cosa voglia dire. In fondo sa che quel pazzo la sta tenendo d'occhio tramite Munnin, il suo prezioso corvo.
Wulfric, notando la sua incertezza, decide immediatamente di far chiarezza su quello che anche per lui è ancora in parte un mistero «Non è con loro che c'è questo legame. Neanche la vecchia sapeva di che genere fosse, ma c'è, e sembra diventare ogni giorno più potente.»
Allunga lo sguardo sul foglio che ancora il sovrano tiene in mano, sorridendo arrogantemente e indicando una particolare riga con l'unghia lunghissima e nera «Questo dovrebbe interessarti: in seguito alla domanda sugli esiti e sulla sua risposta, le ho chiesto, in caso di “resa” da parte nostra, quanto tempo ci vorrebbe affinché ceda e venga di sua spontanea iniziativa-»
«Non verrà mai! Nessuno sa dell'esistenza di quest'isola, motivo per cui dovrei staccarti la testa per la tua impudenza! Se ti avessero notato, eh? Non ho intenzione di mettere in pericolo la mia gente per tutto questo!» lo interrompe subito, alzandosi di scatto dal trono e costringendolo ad indietreggiare di qualche passo. Si sente troppo preso in giro in quel momento, e lui non sopporta essere preso in giro. Nessuno, in tantissimi anni, ha mai avuto il privilegio di poterlo poi raccontare.
«Vuoi dire che la questione non ti sta a cuore?» risponde a tono Wulfric, puntando i piedi a terra e guardandolo con aria di sfida, abbandonando per un breve istante la sua consueta calma, vedendolo vacillare in seguito alla pungente domanda «Ecco.»
I due si fronteggiano per qualche istante, finché non decidono di mollare e di arrivare al punto della questione.
Sospira forte Wulfric, ricomponendosi e continuando nella sua esposizione «Ti stavo dicendo che verrà. Saremo proprio noi a portarla qua, perché ha predetto il giorno preciso e il luogo dell'incontro.»
Gli indica di nuovo la riga precisa con il giorno prestabilito, facendolo adirare ancora di più.
«Dovrei aspettare tutti questi fottutissimi mesi per prendermi ciò che è mio di diritto?!»
«Non è tecnicamente tuo, ma se ti fa piacere crederlo...» lo sfotte ghignando, allontanandosi di qualche passo per sicurezza. Sa che sta tirando troppo la corda e che se insiste ad essere così arrogante pure i suoi elevati privilegi andranno a farsi benedire.
«WULFRIC!» urla infuriato l'altro, tremando per la rabbia che gli sta corrodendo il fegato. È sempre stato un tipo piuttosto paziente in realtà, ma tutta quella situazione, ancor di più gli eventi antecedenti, stanno mettendo a dura prova il suo autocontrollo.
«Si, il giorno stabilito è quello. Ha detto che ci sarà un pagamento di sangue, ma non ho indagato oltre. Non ci riguarda.» afferma sicuro, avvicinandolo coraggiosamente e mettendogli una mano sulla spalla forte «Devi darmi ascolto, sai che ho ragione: scatenare la sua rabbia può essere pericoloso, non sappiamo di cosa sia capace. Se continuiamo ad agire come adesso non vinceremo in alcun modo; ma se invece ci frapponiamo tra lei e il resto della concorrenza, la lasciamo vivere liberamente come più l'aggrada, allora si.»
«Quale concorrenza?» domanda subito, dubbioso. 'Non posso credere che siano così stupidi!'
«La notizia è trapelata. Non siamo più gli unici interessati, ora si stanno muovendo i cacciatori.» risponde indifferente, nascondendo la somma gioia di essere riuscito a muoverlo a suo piacimento.
«Merda...» ringhia a denti stretti, facendo saettare lo sguardo fuori dalla finestra «Se ci arrivano prima di noi la situazione si complicherà ancora di più.»
«I casi sono due: ti esponi personalmente e provi a convincerla civilmente, rivelando così che tutto quello di cui il mondo è convinto è una menzogna e metti in mezzo questo posto, o facciamo a modo mio.»
Si volta a guardarlo, trattenendosi dal tirargli un pugno in faccia e ordinare seduta stante ad uno dei suoi di partire immediatamente, ragionando sulle sue parole. Abbassa il capo, ormai alle strette e, seppur poco convinto, annuisce distrattamente mentre si dirige verso il portone «So già che me ne pentirò...»
«Allora mi seguirai?» domanda sghignazzante, intrecciando le lunghe dita davanti al volto pallido e sfregiato, osservandolo con aria vittoriosa mentre se ne va.
«Proviamo.» risponde secco, fermandosi sull'uscio e voltandosi sorridendo sadicamente, in quel modo così perverso che metterebbe i brividi anche al diavolo in persona «Mettiamo un po' di paura ai cacciatori nel frattempo. Devono ricordarsi che posizione occupano in questo mondo.»
«Arista, Sakura e Kakashi possono andare?» domanda mentre lo raggiunge, pronto a dare l'ordine. È carico, sicuro di sé e sente che il gioco sta per ripartire nel giusto verso. 'Non perdo mai.'
«Vai a farli preparare, che partano all'alba.» gli da di nuovo le spalle e si allontana, dirigendosi verso l'uscita del maniero per dirigersi verso una stanza speciale «Vado a discuterne con la strega. Alle sette in punto nelle mie stanze, Wulfric... e portami una strategia decente.»
Sorride soddisfatto, inchinandosi in modo teatrale senza mai abbandonare lo strafottente sorriso «Come desideri, Imperatore.»


*Ulykke= disgrazia (tradotto dal norvegese)

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Capitolo 10
*** 10. E' ora di aprire le danze: fatti coraggio e balla col diavolo! + Special [Il primo assaggio] ***


Piccolo avvertimento: questo capitolo sarà diviso tra il comico e il macabro. O meglio, diciamo che proverò a renderlo sia comico (ebbene si, si torna a scrivere in toni un po' più leggeri) che macabro (non so quanto ci posso riuscire però... non sono bravissima! Diciamo che è una sfida personale).
Inoltre, dal momento che lo scorso special è piaciuto, lo metterò anche alla fine di questo capitolo. Stavolta verranno presentati tre nuovi personaggi. Non avranno un grandissimo peso in realtà, forse solo uno, ma in questo special servono per capire un pezzo del capitolo in sé. Ho pensato che fare un po' di chiarezza di tanto in tanto è meglio ;)
Beh, detto questo, non posso far altro che augurarvi buona lettura! :D Ci sentiamo alla fine del capitolo ;)

 

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Ora ha pure il potere di farmi addormentare quando più lo aggrada? Cazzo, sono messa davvero male a questo punto. Davvero può fare di me quello che vuole? Dio... speriamo di no!
In questo momento se ne sta di fronte a me, calmo e sorridente. Dov'è finita la sua arroganza? Dov'è finito il suo dolore di oggi pomeriggio? Possibile che cambi umore così facilmente?!
Il suo abbigliamento è cambiato, sorprendentemente: ora, infatti, indossa una maglietta senza maniche bianca e un paio di pantaloni molto aderenti di cuoio nero. Non mi ero mai accorta, in tutto questo tempo, quanto il suo corpo fosse così... perfetto?
Mi sembra assurdo però: come si può essere così dannatamente belli? È innaturale.
«Un tempo collezionavo farfalle.» sbotta di punto in bianco, inclinando un poco la testa di lato e sorridendomi con aria incredibilmente allegra. Non lo avevo mai visto così.
«Cosa?»
«Si! La cosa che amavo di più era soffocarle e infilare tante spille nei loro corpicini inerti.» insiste, esaltandosi ad ogni parola. Possibile che sia davvero così sadico?
«Oh mio Dio...» mormoro in risposta, guardandolo con aria piuttosto disgustata.
Insomma, come si può essere così felici di una cosa simile? Come può esaltarsi tanto all'idea di infilzare con degli spilli degli esserini tanto indifesi?
«Sapevi che alcune farfalle hanno l'abitudine di passare la notte in gruppi che arrivano fino a quarantamila esemplari?» domanda dopo un brevissimo istante di silenzio, guardandomi stavolta con aria perplessa, non dandomi però il tempo di rispondere «Ecco: perché cazzo lo fanno?»
Non riesco a trattenermi dal sorridergli, divertita da questo suo strano atteggiamento. È piacevole, tutto sommato.
«Tutto questo cosa c'entra?»
«Non ne ho assolutamente idea.» ammette sorridendo di rimando, facendo spallucce «Mi andava semplicemente di fare conversazione.»
«Strano modo di fare conversazione.» mi avvicino cautamente a lui, senza però avere il coraggio -inspiegabilmente- di guardarlo negli occhi «Comunque grazie per avermi fatta addormentare. Stavo impazzendo.»
Non so neanche descrivere a parole quanto la cosa m'imbarazzi. Piegarmi a ringraziarlo per avermi fatta addormentare. Insomma, sono impazzita di colpo? Cioè, mi tratta da schifo continuamente, si prende costantemente gioco di me, e io lo ringrazio?
«Lo so. Credimi, ci sono passato anche io da ragazzetto...» ammette con una certa indifferenza, cominciando a camminare nel vuoto. Non riesco ancora a capire, ma pare quasi che riesca a vedere qualcosa in tutta questa oscurità.
«Quanti anni hai?» domando dopo qualche istante, guardandolo speranzosa, ricevendo in risposta uno sguardo altamente scocciato.
«Dai, ti prego, rispondi a qualche domanda...» lo sto pregando. Oh porca puttana!
Mi guarda per una manciata di secondi con un'espressione indecifrabile, per poi sciogliersi in un sorriso divertito «Quanti me ne dai? Guarda che mi offendo se esageri!»
Sorrido come un'ebete per il semplice fatto che mi sta accontentando e senza esitazioni rispondo «Non arrivi ai trenta.»
«Numero preciso, carina.» mi sorride con aria divertita, senza però avvicinarsi di un millimetro a me. Mi guarda e basta, con un'espressione incredibilmente diversa dal solito. Pare estremamente tranquillo, in pace con tutto.
«Venti... quattro? Cinque?» azzardo, mordicchiandomi il labbro inferiore per paura di irritarlo e riportarlo al solito stato di strafottenza.
«Ne stavo per compiere ventiquattro, in effetti.» sorride soddisfatto, guardandomi con allegria crescente «Brava!» inclina un poco la testa di lato, facendo cambiare la sua espressione da allegra ad una piena curiosità «Ora rispondi tu a una mia domanda: cosa sei disposta a fare per averlo?»
«No, ascolta: non ci provare nemmeno. Non voglio nessuna lezione di seduzione o altro.» ok, non volevo farlo innervosire, ma questo argomento è totalmente da evitare.
«Perché?» domanda semplicemente, realmente sorpreso dalla mia risposta.
«Perché tutti sulla nave, lui incluso, mi vedono solo come una sorella, come è giusto che sia. Devo solo riuscire ad entrare in quest'ottica e sono a posto.»
«Ne sei sicura?» mi guarda con aria scettica, inarcando un sopracciglio e sorridendo con l'aria di chi la sa lunga «Beh, contenta tu...»
Rimaniamo in silenzio per un po', pensando ognuno ai fatti propri, finché poi si rigira verso di me e guardarmi seriamente domanda «Posso chiederti un favore personale?»
«CON CHE CORAGGIO?!» non riesco a trattenermi dall'alzare la voce, facendolo ridere.
Credo che non esista nessuno al mondo in grado di farmi cambiare umore in questo modo.
«Non so se l'hai notato, ragazzina, ma ho la faccia come il culo.» afferma con un'ovvietà disarmante e io non riesco a trattenere una grossa risata, a cui si aggrega anche lui.
Lo devo ammettere: in questo momento un pochettino, in fondo, mi piace.
«Questa risposta non me l'aspettavo!»
«Ho alcuni sbalzi di pura sincerità, di tanto in tanto.» borbotta tra una risata e l'altra, per poi ricomporsi e tornare a guardarmi allegro e vagamente speranzoso «Allora, me lo fai questo favore?»
«Sentiamo.» cedo immediatamente, dandomi ulteriormente dell'idiota. Da quando non riesco a tener testa a qualcuno?
«Puoi vestirti meglio? Ti prego, sembri una stracciona!»
Questa sua richiesta mi spiazza completamente. Come si permette?! Piccolo bastardo schizofrenico!
«Forse non l'hai notato, ma sono su una nave pirata! Non c'è un centro commerciale a bordo, quindi devo adattarmi.» controbatto offesa, incrociando le braccia al petto e voltandomi dall'altra parte, trovandomi così inspiegabilmente a pochi centimetri dal suo viso.
«Adattarti un cazzo!» sbotta sbracciando come impazzito, mettendomi poi le mani sulle spalle per tenermi ferma e costringermi a guardarlo negli occhi «Non so se l'hai notato, ma su dieci piratesse, sette sono delle fighe mozzafiato. Non vorrai mica rientrare tra le tre sfigate di turno?»
«Co-»
«Andiamo, hai un bel faccino e un corpo niente male: valorizzati!» odio quando m'interrompe, sul serio. La cosa più odiosa è che pare goderci proprio nel farlo, quasi amasse il suono della sua stessa voce.
«Convinci il tuo adorato paparino a farti sbarcare anche solo per un giorno su un'isola e comprati della roba decente!» insiste, lasciandomi finalmente andare e ricominciando a camminare senza meta. Il modo il cui ha marcato quelle due semplici parole, però, non mi è piaciuto. Erano cariche di disprezzo e sarcasmo, tanto che per un breve istante ho creduto che mi avrebbe vomitato addosso.
«Come mai ci tieni tanto?» domando dopo qualche secondo di silenzio, massaggiandomi le tempie esasperata.
«Perché sono un'esteta, seppur a modo mio.»
Lo guardo come se avesse appena detto la più grande delle eresie della storia dell'umanità, ma lui pare non badarci minimamente. Suppongo sia abituato...
«E cosa c'entra con me?» domando acidamente, fregandomene tutto in un colpo delle sue possibili reazioni.
«Devo vederti ogni giorno e mi urta moltissimo vederti sempre coperta con degli stracci. Guarda che non lo trovi mica un uomo se continui così!» eccolo che lo riconosco di nuovo: egocentrico, arrogante e maleducato. Mi sembrava troppo bello per poter durare a lungo.
«E chi dice che lo voglio trovare?» domando con il suo stesso tono insolente, guardandolo con aria di superiorità. Superiorità che poi non esiste neanche per sbaglio, ma non voglio che sappia che me ne sono perfettamente resa conto. Voglio assolutamente che creda che io sia convinta di potergli tener testa quanto voglio!
«Ecco un'altra cosa che non sai di me: sono un abile lettore di anime.» afferma con una certa indifferenza, leggendo velocemente nei miei occhi il mio più completo smarrimento. È capace di sostenere una conversazione normale?!
«Non leggo nel pensiero o stronzate simili, tranquilla, però riesco a scovare i desideri più remoti di una persona osservandola attentamente.» si affretta a puntualizzare, sorridendo sornione e avvicinandosi di nuovo a me con passo lento ed incredibilmente silenzioso.
«Allora mi hai osservata male.»
«Proprio no! Guarda come hai reagito con Killian! Lui, esattamente come te e come me, ha un animo lussurioso-»
«Conosci Killian?!» perché mi sorprendo tanto, in realtà? Conosce pure i due bastardi che mi hanno attaccata tempo addietro! Già... ma come fa a conoscerli? Che siano stati loro ad ucciderlo?
«E chi non conosce il Titano?» Titano? Ma che diavolo dice? Da quel che sono riuscita a scoprire non aveva neanche una taglia sulla testa!
Però, a giudicare dal suo sguardo e dal suo tono di voce incredibilmente serio, temo che non stia scherzando. Che fosse realmente così forte da guadagnarsi un simile appellativo?
«Beh, direi che il nostro tempo per adesso è finito.» mi tira un lieve buffetto sul naso, cosa che onestamente mi manda notevolmente in bestia, e subito dopo si allontana di qualche passo, salutandomi con una mano in un gesto profondamente derisorio «Alla prossima, cara rompipalle.» detto questo, batte semplicemente le mani due volte, e tutto sparisce.


Apre di scatto gli occhi, trovandosi in una stanza che non le appartiene avvolta nel buio.
Fatica per qualche istante a capire dove si trovi, ancora vagamente intontita dal sonno, realizzando tutto in un colpo che il vago calore che sente al proprio fianco è quello del corpo di Marco che sta ancora dormendo.
Si alza in piedi di scatto, mettendosi le mani tra i capelli e respirando a fondo.
'È mio fratello. È solo mio fratello.' si ripete all'impazzata, cercando di non guardare il torace nudo dell'uomo, di non notare gli addominali definiti e i fianchi stretti.
'FRA-TEL-LO!'
Stressata dalla strana conversazione precedentemente avuta con l'uomo dei sogni e messa in crisi profonda dalla visione della Fenice, comincia -stupidamente- a tirare delle forti testate contro la parete. Non sa neanche lei perché lo sta facendo; forse per riaddormentarsi -o entrare in coma, non le importa-, forse perché è stupida, o forse la sua è una decisione presa inconsciamente con il preciso scopo di svegliare il comandante.
«Cosa stai facendo?» borbotta infatti Marco aprendo lentamente gli occhi, infastidito dal rumore sordo dei colpi che la ragazza continua ad infliggere alla povera ed innocente parete.
Akemi non si ferma neanche un secondo, adesso ancora più in imbarazzo.
'Devo trovare una risposta plausibile... alla svelta!'
«Voglio aprire un buco in questa parete a testate!» sbotta tra un colpo e l'altro, notando con la coda dell'occhio che Marco si è tirato su a sedere.
«E perché?» biascica intontito dal sonno, passandosi entrambe le mani sul volto.
'Trattieniti, Marco. Sii superiore e trattieniti.'
«Beh, forse per la frustrazione dovuta alla misera futilità della vita, o forse perché desidero una sorta di veranda con vista attraverso la parete!» risponde sempre più agitata Akemi, senza interrompersi. 'Stupida! Cretina! Deficiente!'
«Allora ti dispiace farlo nella tua stanza?»
Si blocca di colpo, voltando un poco la testa e guardandolo con aria spersa «Già, questa è camera tua...» si massaggia la fronte con entrambe le mani, barcollando con passo incerto fino al letto, dove si mette in ginocchio. Dopo una manciata di secondi alza lo sguardo su Marco, trovandolo leggermente confuso. Non riesce a trattenere un sorriso nel vederlo così intontito e poco dopo cinguetta «Buon giorno!»
«Sei allegra oggi...» biascica con tono basso, consapevole che le sue preziosissime ore di sonno se ne sono andate. 'Prima ed ultima volta che dorme con me.'
«Non ho avuto un riposo poi tanto orrendo.» ammette giocherellando con la punta dei propri capelli Akemi, tornando poi ad osservarlo con una certa serietà «Posso farti una domanda?»
«Così appena sveglio?» le domanda a sua volta con un tenue sorriso, cominciando poi ad annuire lievemente «Spara...»
«Secondo te io come sono? Diciamo... spiritualmente.»
Marco rimane in silenzio per qualche istante, guardandola con aria incerta. 'Una pazza psicolabile con dei seri problemi di autocontrollo?'
«Ma ti sembra il caso di farmi domande del genere proprio adesso? Cos'è, cerchi un pretesto per litigare di nuovo?» le domanda divertito, tirandole una pacca leggera sulla spalla, facendola inevitabilmente accigliare.
«La tua risposta ci porterebbe a litigare?» sibila assottigliando gli occhi con aria di sfida.
«Chissà...» afferma vago il maggiore, inarcando un sopracciglio, sostenendo senza problemi il suo sguardo.
«Brutto bastardo!» Akemi scatta in avanti come una molla, afferrandolo per le spalle e sbattendolo sul materasso, mettendosi poi a cavalcioni su di lui. Riesce a bloccargli entrambi i polsi con una mano sola e subito comincia a fargli il solletico, stando più che attenta a non graffiarlo. Da quello che ha capito, in fondo, quelle sono delle vere e proprie armi quasi letali.
«No, ferma! No!» si dimena sotto di lei Marco, riuscendo a ribaltare la posizione e bloccandola a sua volta, torturandola nell'unico modo che ha capito essere fastidioso per lei: scalda la punta delle dita a tal punto da renderle quasi roventi e le passa su ogni centimetro di pelle scoperta che trova.
«Non vale! Stai barando!» ora a dimenarsi è lei, mentre a stento trattiene le risate.
Le era mancato averlo vicino e si sente incredibilmente importante in quel momento. In fondo è l'unica ad avere un'influenza tale su di lui da renderlo così infantile. Con gli altri scherza, è vero, ma con nessun altro l'ha mai visto comportarsi in modo così spontaneo e sciocco.
Marco le blocca i polsi sopra la testa e avvicina il viso al suo, vittorioso «Sono semplicemente superiore!» afferma convinto con un sorriso a distendergli le labbra, divertito di fronte alla sua espressione vagamente accigliata.
«E spostati, uomo superiore! Voglio farmi la doccia.» riesce a togliersi da quella scomoda posizione, Akemi, scattando in piedi velocemente e dirigendosi verso il bagno privato del comandante «Ti dispiace se uso la tua?» domanda ormai già dentro la stanza mentre apre il getto dell'acqua calda, facendo sbuffare la Fenice.
«Prego...» risponde infatti con tono alterato, sdraiandosi di nuovo e sistemandosi i cuscini dietro la testa.
'Se sapevo che andava a finire così non la facevo dormire qui.' pensa scocciato dall'idea di essere stato svegliato prima del solito e anche per quell'eccessiva invasione di spazio.
Ma questo suo stato alterato svanisce in pochi istanti quando nella sua testa rivive gli eventi di pochi minuti prima, in cui si è sentito incredibilmente in pace.
Non sa spiegarsi perché, ma riaverla vicina, sapere che è di nuovo sua amica, sapere che gli vuole bene come agli altri, lo fa star bene, come un senso di completezza interiore.
Durante la notte si era svegliato per bere un sorso d'acqua e si era soffermato per qualche istante ad osservarla mentre dormiva: sembrava così in pace col mondo, tanto da fargli pensare per una frazione di secondo che si stava sentendo sicura e protetta grazie alla sua vicinanza, memore sicuramente da quella brutta esperienza da cui l'ha tirata fuori. Ha cacciato velocemente quel pensiero però, sostituendolo con l'idea che quel suo apparente stato di tranquillità era dovuto solo al sonno. Però, in quel breve istante in cui c'era stata quell'idea, si era sentito potentissimo ed incredibilmente indispensabile per qualcuno.
Preso dai suoi pensieri non si accorge neanche che il getto dell'acqua è stato chiuso e se ne rende conto solo nel momento esatto in cui la ragazza apre la porta del bagno avvolta solo da uno dei suoi asciugamani, con i lunghi capelli corvini sciolti e gocciolanti.
«Tutto bene?» gli domanda Akemi notando la sua espressione pietrificata.
«Mh? Si, certo.» afferma rimanendo impassibile Marco, lanciandole contro la sua camicia in modo sbrigativo. In realtà è in imbarazzo da morire. Già, perché il sogno -o nel suo caso incubo persecutore- in cui sono insieme sotto la doccia si è ripetuto negli ultimi tempi, subendo solo una variazione di tanto in tanto. Quella variazione, purtroppo per lui, è proprio vederla uscire dalla doccia avvolta da un asciugamano. Il seguito, però, è sempre il solito.
'Non credevo di poter raggiungere livelli di perversione così alti, cazzo... è mia sorella!'
Akemi lo guarda poco convinta, voltandosi di spalle e mettendosi l'indumento sopra l'asciugamano, che poi lascia scivolare a terra, non rendendosi conto che stavolta è proprio lei a mandare in tilt Marco.
Perché nessuno lo sa, neanche i suoi amici più stretti, ma vedere una donna che indossa una sua camicia e basta lo ha sempre eccitato sopra ogni cosa.
'Ma un po' di pudore no eh?!'
Si passa le mani sul volto, sospirando forte e cercando di mantenere una certa fermezza. Certo, non alzerebbe mai un dito su di lei, ma vederla così non riesce a lasciarlo indifferente.
«Allora io vado.» afferma tranquilla la ragazza, raccattando i propri vestiti e dirigendosi svogliatamente verso la porta, pronta a tornarsene nella sua cabina, dove sicuramente troverà il simpaticissimo corvo spione «Ci vediamo dopo.»
Marco rimane in silenzio, guardandola con aria scocciata fino all'ultimo istante, sbattendosi subito dopo il cuscino in faccia per la frustrazione.
'Che diavolo mi è saltato in mente?! Darle la mia camicia... ma allora sono stupido!' quasi si soffoca con il morbido guanciale ancora premuto contro il viso, finché una scomoda domanda gli folgora il cervello 'Perché mi fa tutto questo effetto? È solo Akemi!'
Si alza dal letto svogliatamente, pronto a farsi una doccia gelata per riprendersi.
'Dovevo approfittare di Bay finché era qui, lo sapevo!'

Il cielo è coperto da leggere nuvole grigie, l'aria è fresca, il mare comunque calmo. Sulla Moby Dick ognuno svolge i propri compiti chiacchierando del più e del meno.
Barbabianca si ostina a dar contro alle infermiere, rifiutandosi categoricamente di fare quanto gli viene detto. Da pure addosso ai propri figli quando questi provano a dar man forte alle povere donne.
Marco se ne sta al suo fianco tranquillo, non esternando alcun tipo di emozione. Osserva quanto lo circonda con aria calma e basta, ascoltando involontariamente le varie conversazioni disinteressatamente, finché una frase in particolare attira inspiegabilmente la sua attenzione.
«Ma guarda lì che civetta!»
Si volta piano verso Satch, notando la sua espressione accigliata. Izo, al suo fianco, se la ride di gusto. Nessuno eccetto lui pare aver fatto caso a quel commento.
«Sta solo crescendo, è normale.»
'Ancora Akemi? Ma è mai possibile che non abbiano altro di cui parlare?'
Sbuffa infastidito, passandosi una mano dietro al collo e decidendo solo dopo qualche istante di capire il perché Satch sia così infastidito. In fondo cosa può mai aver combinato di male per farlo accigliare così?
Gli ci vogliono giusto un paio di secondi prima di individuarla sulla polena insieme ad Ace, abbracciati, intenti a parlottare di Dio solo sa cosa. Anche a quella distanza nota distintamente il sorrisetto malizioso del fratello, che tante volte gli ha visto quando sbarcavano su qualche isola, e per la prima volta assiste a quello civettuolo della ragazza.
La vede abbassare gli occhi con un più che evidente falso pudore, per poi scivolargli dalle braccia con grazia e camminargli attorno, come un predatore che gira attorno alla preda. Ace la riafferra prontamente per un polso e l'avvicina nuovamente, sorridendole sornione.
«Ho capito che sta crescendo, ma occorre fare la stupida così con suo fratello?» borbotta piccato il quarto comandante, incrociando le braccia al petto e fulminando la sorellina con lo sguardo non appena i loro occhi s'incrociano.
«Sta solo giocando, Satch.» afferma un più che sicuro Izo, roteando gli occhi al cielo «Ultimamente lo fa spesso, lo sai.»
'Mi sono perso un bel po' di cambiamenti a quanto pare.' pensa indifferente Marco, osservandola mentre trotterella allegra e spensierata tra le braccia di Satch, abbracciandolo e facendogli gli occhi dolci per intenerirlo.
«Ma quanto siamo allegre oggi!» afferma avvicinandosi Halta, guardandola con l'aria di chi la sa lunga.
Akemi le fa semplicemente l'occhiolino, senza staccare neanche per un istante le braccia dal collo di Satch.
«Ho dormito bene.» risponde con semplicità, sorridendo con aria innocente.
«Ah si, eh?»
Le due si guardano con aria d'intesa per qualche secondo, per poi scoppiare a ridere di gusto. Nessuno dei presenti capisce il perché, ma alla fine decidono semplicemente di lasciar stare. Tanto è inutile provare a capire una donna, figuriamoci due!
Dopo qualche secondo, però, la cristallina risata di Akemi si ferma di colpo. Un odore dolce ed invitante le è arrivato nitidamente alle narici, attirando completamente la sua attenzione.
Satch, ancora abbracciato a lei, nota il suo sguardo incredibilmente concentrato e non gli sfugge neanche il fatto che stia continuando ad annusare l'aria con insistenza «Che ti prende?»
«Non lo senti?» domanda staccandosi velocemente da lui e guardandosi freneticamente intorno. Per un breve istante incrocia gli occhi incuriositi di Marco e il suo cuore fa una capriola nel petto, ma non vuole badarci, per ben due ragioni: primo deve farsi passare quell'ossessione nei suoi confronti, secondo poi deve individuare il punto esatto da cui arriva l'odore.
«Concentrati...» 'Cazzo, di nuovo, no!' «Di nuovo si!»
Sbuffa esasperata, cercando di non dare a vedere il suo profondo disagio per non destare sospetti, ricominciando a guardarsi intorno.
«Concentrati su quell'odore, solo su quello.»
Chiude gli occhi e inspira profondamente, analizzando tutti gli odori che riesce a catturare: salsedine, l'odore della pioggia che presto arriverà, quello dei suoi compagni, quello di Marco. Per ultimo, poi, riesce ad identificare anche quello, capendo anche da dove arrivi.
Scatta di lato correndo verso il parapetto, scrutando il mare con incredibile attenzione, non vedendo niente di anomalo.
«Usali come si deve quei fottuti occhi, dannazione!» 'Cosa devo fare, scusa?!' «Concentrati solo ed esclusivamente sulla vista. Cancella tutto quello che ti circonda, pensa a quell'odore e identifica la fonte. Coraggio, ce la puoi fare.»
Guarda con più attenzione, non riuscendo però a scorgere assolutamente niente come prima.
'Non ne sono capace...'
«Sai chi pagherà per questa tua negligenza? Il tuo adorato paparino! Proprio così! Perché lo troveranno e gli strapperanno le budella come ad una bestia, non prima di averlo fatto soffrire come un dannato.»
'Smettila...' sente una profonda rabbia invaderle ogni cellula, la mente annebbiarsi e il corpo tremare leggermente. L'idea che qualcuno osi anche per sbaglio fargli del male la manda semplicemente in bestia.
«Oh, si. Credimi. Lo troveranno e lo faranno a pezzi. E lo stesso faranno con i tuoi compagni. Solo dopo passeranno a te, infliggendoti una punizione ben peggiore della morte.»
Un ringhio gutturale le risale per la gola, furioso; l'odore che tanto ha attirato la sua attenzione diventa sempre più dolce ed invitante, e di scatto apre gli occhi. Per un breve istante vede qualcosa, una specie di punto nero all'orizzonte, ma non appena una mano le si poggia sulla spalla tutto sparisce. Volta di scatto la testa, frastornata, incrociando così lo sguardo incerto di Satch.
«Tutto ok?»
«C'è qualcosa laggiù. L'ho visto e lo sento chiaramente.» risponde quasi ringhiando, ancora infuriata con l'uomo dei sogni.
'Se avesse ragione e il babbo fosse realmente in pericolo non me lo perdonerei mai... devo controllare cosa è successo, anche se dovessi andarci a nuoto!'
«BABBO!» urla scattando nella sua direzione, ricevendo in risposta uno sguardo sospettoso «Devo andare laggiù! Ti prego, c'è qualcosa! L'ho visto!»
L'Imperatore la guarda dubbioso, vedendo con estrema chiarezza qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che mai prima di allora ci aveva visto. Una determinazione nuova, una scintilla che non le appartiene. Uno strano e brutto presentimento si fa largo nel suo cuore, facendogli capire velocemente che questa insolita richiesta non è dettata solo dal suo volere.
«Babbo, con il tuo permesso l'accompagno io.» si fa avanti Satch, che come il capitano ha visto quella strana luce nel suo sguardo. Non ne ha la completa certezza, ma l'idea che abbia sviluppato una doppia personalità si fa sempre più reale.
In realtà hanno entrambi ragione: quella scintilla, quel qualcosa di diverso nei suoi occhi di ghiaccio, appartiene a qualcosa che vive dentro di lei, qualcosa che se ne avesse la possibilità si libererebbe violentemente, distruggendo ogni cosa, ma che rimane ancora bloccato in una salda prigione.
«Prendi degli uomini e una scialuppa. Vi do al massimo tre ore.» esordisce il capitano, sorprendendo i più.
'Se questo può aiutarti, figlia mia, te lo concederò. Ho promesso di renderti felice e non infrango mai la mia parola.'

Continuano a remare in silenzio con quanta più forza hanno, dirigendosi sempre più velocemente verso un qualcosa che nessuno di loro ha ancora visto.
Akemi resta di prua, lo sguardo fermo in un determinato punto, la curiosità che le sta corrodendo il fegato, il profumo dolce che diventa ad ogni vogata più forte e nitido.
I vari uomini continuano a fare varie supposizioni su cosa troveranno, talvolta mormorando che la loro sorellina stia cominciando realmente a perdere il lume della ragione, inconsapevoli che lei li sente benissimo.
Satch, al suo fianco, si tiene pronto al peggio, la mano ferma sul manico della spada, i nervi a fior di pelle, gli occhi fissi sulla macchia nera che lentamente s'ingrandisce davanti a loro. Quella macchia, poi, prende lentamente forma, stagliandosi macabramente di fronte ai loro sguardi : una nave dalle dimensioni notevoli è ancorata a diversi metri di distanza, degli uomini sono impiccati ai lati e dai loro corpi sgorga lento il sangue denso, indice che il massacro non è stato compiuto da molto.
Con fatica riescono a salire a bordo, trovandosi così di fronte allo spettacolo più macabro della loro vita: corpi smembrati ovunque, svariate teste impalate su qualsiasi superficie sufficientemente acuminata, il sangue di quei poveri uomini che cola ovunque, rendendo disgustoso il passaggio; ammassati in un angolo della nave, sopra ad uno straccio che già precedentemente doveva essere lurido sono stati adagiati alcuni organi interni, in particolar modo i cuori e i fegati.
Sulla superficie legnosa del ponte imbrattato di rosso si riescono a scorgere delle strane incisioni, alcune ripetute anche sulle pareti. Scritte di sangue, simboli lugubri, disegni di morte.
«Stai dietro di me, intesi?» cammina piano, Satch, attendo a tutto quello che li circonda.
«Tranquillo, qua sono tutti morti.» afferma con tono piatto la minore, guardandosi in giro con curiosità. Osserva il sangue denso che imbratta un po' tutte le superfici, i corpi ammassati, mutilati e irriconoscibili, e lo trova oltremodo affascinante. 'Chiunque sia stato ha una bella fantasia...'
«Non puoi dirlo con sicurezza.» controbatte prontamente il comandante, avvicinandosi con cautela alla porta che conduce sottocoperta. Per quanto lo riguarda eviterebbe assai volentieri, ma sa bene quanto sia profonda la sete di conoscenza e la curiosità della ragazza, quindi si costringe ad andare fino in fondo alla questione, per quanto gli è possibile.
«Si invece. Non sento nessun altro battito cardiaco eccetto il nostro.» lo contraddice Akemi, superandolo e provando ad andare nella sala comandi, venendo però bloccata per un braccio.
«Tu senti cosa?!» le domanda realmente incuriosito il maggiore, lasciando che i propri uomini esplorino in tutta tranquillità. Sanno difendersi, lo sa, quindi non ha motivo per stare col fiato sul collo pure a loro.
«Secondo te come faccio a sapere quando qualcuno mente?» domanda sarcastica Akemi, guardandolo come se fosse scemo. Sospira rassegnata di fronte alla sua espressione confusa, contraria all'idea di dover vuotare del tutto il sacco su quella sua strana dote «Senti, non mi sembra il momento adatto per parlarne.»
«Allora fammi un riassunto veloce e stasera approfondiamo la cosa.» controbatte prontamente Satch, senza mai interrompere il contatto visivo. 'Possibile che tu abbia così tanti segreti?!'
«Non so come faccio, ok? So solo che sento il battito del cuore delle persone e quando mentono ha delle variazioni precise. È un po' come se leggessi un libro: è tutto chiaro, limpido. Tramite quello riesco a capire se una persona è arrabbiata, felice... quello, mischiato all'odore che emana.» spiega leggermente infastidita, liberandosi dalla sua presa e dirigendosi spedita verso la sala comando per provare a capire qualcosa.
«Certe volte mi fai davvero paura.» borbotta seguendola Satch, riponendo la spada nel fodero e guardandosi attorno disgustato. Sui muri, infatti, ci sono diverse scie di sangue ancora colante e degli strani disegni dall'aspetto sinistro. Non ne è sicuro, ma ha la fortissima impressione che appartengano al mistico mondo dell'occulto.
«Io mi faccio paura da sola.» afferma sovrappensiero Akemi, senza però guardarlo.
'Non c'è niente qua dentro...' pensa delusa, vedendo che la cabina è stata completamente distrutta. Se poteva esserci una qualsiasi traccia che potesse indicare chi ha fatto tutto quello, è stata perfettamente cancellata.
«Comandante, non c'è nessuno vivo a bordo.» afferma uno degli uomini, facendo sogghignare la ragazza.
Satch sbuffa sonoramente, infastidito dallo sguardo saccente e strafottente che la sorella gli rivolge, per poi girare sui tacchi e raggiungere gli uomini.
«Allora and-»
«Aspetta!» lo interrompe maleducatamente Akemi, afferrandolo per un braccio e guardandolo con due grandi occhioni da cucciolo «Ti dispiace se do un'occhiata in giro?»
Sospira di nuovo, Satch, esasperato. La detesta profondamente quando usa quella vile tattica, e detesta ancora di più sé stesso perché non riesce a dirle di no!
L'afferra con decisione per un polso e la trascina velocemente verso quella che doveva essere la cabina del comandante «Aspettate qui e state pronti a ripartire, torniamo entro cinque minuti
«Grazie.» mormora sorridendogli Akemi, cominciando ad armeggiare con la serratura della porta, bloccata in modo strano.
«Solo perché sono curioso anche io, non farti illusioni.» controbatte Satch, mentendo. Non può certo ammettere che si fa mettere in ginocchio quando lo guarda in quel modo! Ne va della sua reputazione dopotutto.
«Allora ringrazio la tua curiosità.» ridacchia la minore, guardandolo di sfuggita, riuscendo nella sua impresa e spalancando la porta, trovando l'interno incredibilmente intatto.
«Stammi comunque vicina, non si sa mai.» sbotta Satch, portando involontariamente la mano al manico della spada e affiancandola.

«Ma che diavolo...?» non lo ascolta neanche Akemi, girando per quella stanza ordinata con sguardo attento «Guarda qua!» trilla sempre più sorpresa, mostrandogli un sacco di fotografie scattate di sfuggita abbandonate su di un tavolino.
«Cacciatori di taglie?» gli domanda subito dopo, notando il suo sguardo farsi sempre più sorpreso ed incerto.
«È possibile...» afferma guardando il tutto con attenzione, notando però la mancanza di una cosa fondamentale «C'è solo una cosa che non mi torna: perché non ci sono le nostre taglie?»
I due osservano tutti i fogli sparsi, notando subito dopo che ce ne sono altri appesi sulle pareti.
«La domanda è diversa: perché non ci sono taglie? Neanche una, Satch. Solo foto e qualche strana scritta.» controbatte la minore, avvicinandosi e osservando tutto con attenzione, non riuscendo a trovare nessuna risposta alla sua stessa domanda.
«Non riesci a tradurle?» le domanda incuriosito il maggiore, toccando con la punta delle dita una scritta sotto ad una fotografia di una donna con dei folti e mossi capelli rossi.
«No, non conosco questa lingua...» ammette la corvina, imprimendosi a fuoco nel cervello tutto quello che la circonda, cercando di ignorare il formicolio emanato dalla runa sbiadita che ha sotto al seno.
«Ehi!» sbotta Satch, facendola sobbalzare, indicando con stupore una fotografia «Questo non è Killian?!»
Akemi si avvicina velocemente e, non appena i suoi occhi si posano sull'immagine nitida del ragazzo che ha baciato, sente lo stomaco annodarsi. Sfiora i lineamenti immortalati con la punta delle dita, quasi avesse paura di rovinarlo, mormorando in modo appena udibile «Lo stavano cercando?»
«Sembrerebbe...» afferma l'uomo, facendo vagare lo sguardo intorno a sé, notando qualcosa di incredibile. Si avvicina piano, togliendo con delicatezza la puntina che tiene ferma la fotografia alla parete, guardandola quasi con timore.
«Questo non è il tizio che sogni sempre?» domanda con un filo di voce, vedendo l'estrema somiglianza con il disegno che la sorella ha appeso in camera.
Akemi lo raggiunge al volo, strappandogliela di mano e guardandola quasi con timore.
'Com'è possibile?'
«Direi che adesso sai chi è stato ad eliminarlo.» afferma con voce incerta Satch, provando a cacciare la sua più che evidente preoccupazione.
«Allora perché continuo a sognarlo?»
«Non ne ho idea.» le risponde dispiaciuto, mettendole una mano attorno alle spalle e tornando a guardare le varie fotografie con una certa preoccupazione.
«Magari lo conoscevi in una vita precedente.» afferma subito dopo facendole un sorriso tirato, cercando così di tirarle su il morale.
«O magari l'ho visto prima di essere abbandonata...» mormora distrattamente Akemi, riflettendoci attentamente «Magari stavano provando a difendermi proprio da lui...»
«Non lo escluderei.» alza di nuovo lo sguardo, Satch, notando qualcosa di incredibilmente familiare in una fotografia, prima nascosta da quella che Akemi tiene stretta tra le mani.
«Guarda qui...» la toglie dal muro e gliela porge, puntando il dito su due ragazzi in un angolo «Li conosci?»
Akemi rabbrividisce nel vederli e con mano tremante li indica, fornendogli spiegazioni «Questo è il tizio contro cui si è battuto Marco, mentre l'altro è il fratello...»
«Vi stavano braccando, vedi? Quelli li davanti siete chiaramente te ed Ace.» guarda quella fotografia quasi con astio, notando distintamente lo sguardo duro e minaccioso che l'alto ragazzo con i capelli scuri rivolge ai due compagni.
«Dobbiamo tornare subito alla nave.» afferma con voce dura, afferrandola per un braccio e trascinandola via frettolosamente.
«Perché?!» anche se vorrebbe restare ancora a cercare risposte, non oppone alcuna resistenza. L'unica cosa che vuole davvero fare in quel momento è ripararsi tra le forti braccia del padre e lì rimanere finché l'angoscia che le attanaglia il cuore non sarà svanita.
«Perché evidentemente questa gente è morta per poterti salvare da questi tizi. Se arriveranno alla nave, voglio essere lì per difenderla.» risponde con tono duro Satch, aiutandola a calarsi sulla scialuppa dove già si trovano il resto dei loro compagni.
Si sistemano velocemente, preparandosi per poter tornare indietro il più velocemente possibile, parlottando tra di loro su quanto hanno appena visto.
Satch e Akemi, invece, rimangono in silenzio, contemplando la nave con mille domande per la testa.
«C'è una cosa che non capisco però...» afferma dopo qualche istante la ragazza, voltandosi verso il fratello e guardandolo con aria incerta.
«Cioè?»
«Se quelli ritratti nelle fotografie mi danno la caccia come dici tu, se questi poveri uomini sono morti per difendere me... perché Killian non ha provato a farmi del male?»
«Avrà capito che contro di noi non poteva niente, no?» risponde con ovvietà il maggiore, passandole una mano attorno alle spalle e stringendola a sé per infonderle un po' di sicurezza.
«Hai ragione.» ridacchia in risposta, poggiando la testa sulla sua spalla e lasciandosi coccolare.
«Comandante!» urla uno dei pirati con voce spaventata, tendendo il braccio verso qualcosa che prima sicuramente non c'era.
Tutti si voltano verso quella direzione, vedendo sulla fiancata della nave una scritta di cui non riescono a capire il significato, fatta con del denso sangue ancora colante:“You better run”*.
Satch stringe appena la presa attorno al corpo della minore, indurendo lo sguardo. Prima non c'era, ne è assolutamente sicuro, e questo fatto non può far altro che metterlo in allarme.
«Andiamo via.» ordina semplicemente, nascondendo così la sua più che giustificata preoccupazione. 'Devo portarti al sicuro.'

La Moby Dick è sempre più vicina e Satch fa un gesto vago con la mano ai compagni che si sono affacciati al parapetto per indicargli che è andato tutto bene.
'Come lo spiego al babbo?' continua a domandarsi, passandosi una mano sul volto con aria stanca, rimuginando sui vari dettagli che tanto l'hanno preoccupato.
Questo suo stato angosciato non sfugge allo sguardo attento della sorella, che gli si siede vicino e gli prende una grande mano tra le sue, cercando i suoi occhi.
«A cosa pensi?»
«Quella scritta... le teste impalate...» borbotta, fissando lo sguardo nel suo «È una firma. Chiunque sia stato voleva farsi riconoscere.» afferma sicuro, decidendo di vuotare completamente il sacco e di rivelarle la sua più grande preoccupazione. Certo, non le dirà apertamente che la cosa lo sta turbando incredibilmente e che sta provando anche una non indifferente paura, ma vuole che sia al corrente di tutto e pronta al peggio.
«La cosa veramente strana sta nel fatto che l'ancora è stata calata. Volevano che fosse trovata in quel preciso punto. Penso che sia una specie di avvertimento, ecco. Un modo per dire che sono vicini.»
Akemi ci riflette con attenzione, stringendosi poi a lui.
«La cosa ti preoccupa?» domanda semplicemente, alzando lo sguardo sui vari uomini che stanno attaccando le funi alla scialuppa per issarla di nuovo a bordo. 'Babbo non ne sarà per niente felice...'
«Non lo so, Akemi.» risponde vago il comandante, alzandosi e porgendole una mano per aiutarla a fare altrettanto, pronto a risalire a bordo e a parlare col capitano e gli altri comandanti «Tu sei preoccupata?»
«Non ancora.» ammette con tono piatto, puntando gli occhi nei suoi con fermezza «Ma scoprirò presto se devo esserlo o meno.»

Akemi attende nella cabina di Satch con impazienza, consapevole che in quel momento lui e gli altri stanno parlando di quanto hanno precedentemente scoperto. Per un verso avrebbe voluto assistere alla conversazione e dire anche la sua, ma il suo comandante è stato piuttosto categorico al riguardo.
'Come mai adesso non mi rispondi? So che mi senti. So che senti e vedi tutto, inspiegabilmente.' pensa rivolgendosi all'uomo misterioso, sempre di almeno un centinaio di passi avanti a lei 'Dimmelo adesso, per favore. Cosa voleva dire tutto quello? So che ha un significato.'
«Le risposte arriveranno stanotte. Tu, nel frattempo, fammi quel piccolo favore...»
'Bastardo!!'
«Ehi...»
Alza la testa di scatto, incontrando così lo sguardo perplesso del comandante.
«A che stavi pensando?» le domanda incuriosito, andandosi a sedere al suo fianco sul proprio letto. Era sicuro che l'avrebbe trovata lì, è abbastanza prevedibile su certe cose.
«A niente di speciale...» mente la minore, sorridendogli con finta spensieratezza «Che ha detto il babbo?»
«Che dobbiamo tenere gli occhi aperti e sperare che i giornali rivelino cosa è successo e chi c'è dietro.» le risponde con tono piatto, passandosi le mani tra i capelli «Ha detto che quella metodologia non gli è nuova. A quanto pare tempo fa erano successe le stesse cose in un paio di isole nella Rotta Maggiore e i colpevoli non sono mai stati presi.»
Rimangono in silenzio per qualche interminabile minuto, finché la ragazza, stufa di quell'aria tesa e pesante, prova a fare conversazione, toccando un argomento non troppo delicato «Secondo te c'è vita dopo la morte?»
Satch la guarda con aria perplessa per qualche istante, per poi abbandonarsi ad uno sbuffo divertito «No. Perché se ci fosse vita dopo la morte non la chiameremmo morte, perché continueremmo a vivere. Quindi quello che mi stai chiedendo è se c'è vita dopo la vita. È una domanda veramente stupida...»
«Quindi non lo sai, vero?»
«È ovvio che non lo so, cretinetta! Non sono ancora morto, se non sbaglio. Tu semmai dovresti saperlo, no?!»
Ridacchiano entrambi, accoccolandosi l'uno tra le braccia dell'altra.
«Certo che no! Io sono morta ma sono risorta subito. Sono intoccabile! Quindi per me questa domanda non si pone.»
«Non hai tutti i torti, in fin dei conti.» ammette sospirando Satch, sistemandosi meglio i cuscini dietro la testa e mettendosi comodo «Cambiamo argomento, per favore?»
«Ok.» risponde pacata, trovando subito un argomento che potrebbe divertirlo «Sai che ho un debito di gioco?»
«Non ci credo...» ridacchia incredulo, poggiandosi una mano sugli occhi.
«Te lo giuro! Devo seimila berry a Vista! Mi ha stracciata a poker.» ammette con noncuranza la minore, continuando a puntare l'armadio del maggiore. Si alza subito dopo di scatto, aprendo le ante e rovistando tra le sue cose in tutta tranquillità sotto il suo sguardo attento.
«Quando avevi imparato a giocare a poker, scusa?» le domanda mentre la guarda prendere una sua vecchia camicia di jeans, decisamente troppo grande per il suo esile corpo.
«Mentre giocavo con Vista, ovvio.» risponde con semplicità, poggiandosi l'indumento addosso e arrivando alla conclusione che è proprio quello che fa per lei.
«Ma allora sei veramente una deficiente!» la prende il giro Satch, tirandole un cuscino addosso, facendola ridere divertita.
«Come osi?» scherza, rilanciandogli l'arma improvvisata con forza «Questa è una dichiarazione di guerra!»
Satch afferra al volo l'oggetto e se lo rimette dietro la testa, continuando a prenderla in giro «Ti fai battere pure a cuscinate, non ci si crede...» mormora trattenendo le risate, decidendo di rigirare il coltello nella piaga «Dovrò dire a Marco di andarci molto più pesante con gli allenamenti, sennò in uno scontro vero sei spacciata.»
«Ahhh! Fanculo!» sbotta dirigendosi verso la porta «Me ne vado da qualcuno davvero simpatico adesso, tu mi hai stufata.»
«SCONFITTISSIMA!» le urla dietro quando chiude la porta, sentendo arrivare in risposta degli insulti davvero fantasiosi. 'Crescere in una ciurma pirata non le ha fatto proprio benissimo, in effetti.'

«Dove diavolo sarà finita, quella piccola calamità ambulante?» domanda ancora con la bocca piena Ace, ricevendo in risposta delle scrollate di spalle.
Infatti Akemi non si è ancora presentata a cena, cosa assai insolita. Tanto per cominciare la ragazza ha un appetito non indifferente anche per i loro standard, secondo poi generalmente è sempre dannatamente puntuale per qualsiasi cosa.
«L'ultima volta che l'ho vista stava frugando nella mia stanza.» afferma con tono disinteressato Izo, rigirandosi tra le mani un boccale di birra con aria distratta. In cuor suo spera che nessuno di loro faccia troppe domande per non dover rivelare che le ha insegnato a mettersi il rossetto, abilità non esattamente maschile.
«Se deve essere un tale problema la sua assenza, la vado a cercare eh!» sbotta vagamente infastidita Halta, posando con poca grazia le posate sul tavolo.
Vuole bene ad Akemi, è sua sorella, la sua migliore amica, ma vedere i propri compagni che vanno in tale paranoia solo perché tarda a cena la manda in bestia. 'È in grado di cavarsela da sola, per Dio!'
«Non ce n'è bisogno...» mormora Vista con aria imbambolata, continuando a fissare l'ingresso della mensa.
Tutti i comandanti si voltano, cosa che avviene assai velocemente con tutto il resto dell'equipaggio.
È arrivata, sicura e dannatamente diversa: la maglia larga e rattoppata alla meglio e i pantaloni maschili in cui navigava, sono adesso sostituiti con la camicia di jeans di Satch, che le arriva circa a metà coscia. Ancheggia in modo provocante, le gambe lunghe e snelle, bianche come il latte, lasciate in bella mostra, la vita stretta messa in evidenza da una fascia nera e bianca legata stretta, le varie collane sottili fanno inevitabilmente cadere l'occhio sulla scollatura che mette in evidenza il seno sodo, i capelli lisci come la seta, neri e brillanti come le ali di un corvo, ondeggiano ad ogni movimento.
La guardano tutti quanti, imbambolati come un branco di idioti, non capendo come abbia fatto a cambiare così, come non siano riusciti a rendersi conto di cosa hanno sempre avuto a portata di mano fino a quel momento.
Pure Marco la guarda. La guarda e vede una ragazza sexy come il diavolo con indosso una camicia maschile, con le gambe nude e una la bocca dipinta di un invitante rosso sangue. La guarda e tutti i suoi incubi -perché non possono più essere definiti in altro modo, a questo punto- si fanno di nuovo vivi nella sua mente, facendolo boccheggiare.
La guardano mentre con un'incredibile sicurezza va a sedersi assieme al capitano, sorridendogli raggiante, mettendo in mostra quella dentatura da brividi che la caratterizza.
«Ti ero mancata?» domanda in tono mellifluo, giocherellando distrattamente con un coltello.
«Come ti sei conciata?» ringhia burbero il genitore, assolutamente contrario a farla andare in giro conciata a quel modo. Perché lei è la sua bambina, non può andare in giro mezza nuda! 'Alla prima occasione la sbatto in convento!'
«Diciamo che ho avuto un'illuminazione.» risponde pacata, senza abbandonare quel sorriso beffardo «Devo ammettere in tutta onestà che mi sento incredibilmente a mio agio, adesso...» alza lo sguardo su di lui, incatenando i suoi occhi in quelli duri del padre, fissandolo con aria di sfida.
«Non cedere...»
Quella voce così calda e dannatamente invitante non vuole abbandonarla, presentandosi sempre e solo nei momenti in cui la sua forza e determinazione sembrano vacillare.
Non sa chi sia, cosa voglia, se è solo pazza o se sotto a tutta quella faccenda c'è qualcosa di più profondo, ma ha deciso di lasciarsi guidare dal suo istinto. Lo stesso folle istinto che ogni volta pare quasi ritorcersele contro, ma che tanto la fa sentire viva.
«Vedi di non compiere imprudenze, Akemi. Non ci andrò tanto leggero se verrò a sapere qualcosa di strano... intesi?» ringhia minaccioso l'Imperatore, facendola semplicemente sghignazzare mentre si alza in piedi per dirigersi dai propri fratelli.
«Non temere, padre: l'uomo che riuscirà a togliermi le mutande sarà prima approvato da te.» gli sorride furbetta, divertita dalla sua espressione di puro terrore.
«È esilarante vedere come qualsiasi padre muoia interiormente all'idea della propria bambolina che viene sbattuta da qualcuno, non trovi?» 'Per una volta, mi trovi completamente d'accordo con te.'
«Ti sta bene la mia camicia.» afferma Satch facendole posto, guardandola con aria divertita «Potevi prenderti anche un paio di pantaloni, non mi offendevo mica.»
«Non sarebbe stata la stessa cosa.» afferra con indifferenza dell'uva, mangiucchiandola giusto per bloccarsi lo stomaco.
«Scusa, ma devo dirtelo!» sbotta Speed Jill, sbattendo le mani sul tavolo «Sei uno schianto!»
Akemi gli sorride divertita, portandosi un chicco d'uva alle labbra e facendogli l'occhiolino, beandosi della breve variazione del suo battito cardiaco.
'Che avesse ragione pure su quello?' «Ho sempre ragione.»
«Adesso che è qui, possiamo mangiare tranquilli?!» sbotta Halta, addentando senza tanti complimenti un pezzo di carne.
«Ohhh, mi stavate aspettando? Ma che carini.» sfotte ridacchiando Akemi, ricevendo una lieve spallata da Jaws.
«Sta zitta e mangia, rompipalle.»

La cena trascorre tranquilla: battute di ogni genere volano nell'aria, scatenando risate a dir poco assordanti; la birra scorre come un fiume in piena e bene o male quasi tutti sono ubriachi o quasi.
«Che ne dite di andare a prendere una boccata d'aria sul ponte a poppa?» biascica Halta alzandosi di scatto, seguita velocemente da Akemi che prova a sorreggerla «Ci riesco, ci riesco...»
Pure Ace, Satch, Vista, Izo e Marco seguono le due ragazze, mentre gli altri, chi per fatica e chi per il troppo alcol ingerito, preferiscono restarsene seduti ai tavoli a ridere, scherzare e giocare a carte o freccette.
Barbabianca, incredibilmente stanco e pure vagamente in pensiero per l'ennesimo colpo di testa dell'imprevedibile e giovane figlia, ha deciso di andarsene a riposare, cercando di ricordare con più precisione gli strani eventi accaduti quasi una cinquantina d'anni prima incredibilmente simili a quelli successi quel pomeriggio. 'Che qualche pazzo fanatico abbia deciso di onorarli copiando il loro metodo di esecuzione?'
Nel frattempo, il gruppetto di pirati si è recato nel giardinetto, ovvero quella parte della nave compresa tra il traverso e la poppa, dove coltivano qualche frutto o verdura.
Si sono sdraiati lì, al fresco e lontani da occhi indiscreti, intonando canti stonati e ridendo come dei babbuini, tutto sotto lo sguardo più che divertito di una sobrissima Akemi. In fondo fa già abbastanza innervosire l'Imperatore a cose normali, non le sembra proprio il caso di mettersi a bere litrate di birra proprio sotto ai suoi occhi.
Dopo qualche minuto, passato ad osservare quell'esilarante scenetta, la ragazza afferra per un braccio il sedicesimo comandante e lo trascina di peso al suo fianco, facendolo ridacchiare.
«Adesso vuoi fare le coccole a me?» biascica scompigliandole i capelli «Non sei geloso, Ace?!» lo prende prontamente in giro, facendolo ridere forte.
«Tanto resto sempre io il suo preferito!» controbatte prontamente, buttandosi a peso morto sul soffice e corto prato «Io sono Pugno di Fuoco... io sono il migliore!»
«L'importante è che tu ne sia convinto.» lo sfotte lisciandosi i baffi Vista, ridacchiando insieme a Marco.
Akemi scuote un poco la testa, sentendo poi un odore a lei adesso familiare ed incredibilmente fastidioso. L'ultima volta che l'ha sentito, infatti, si è ritrovata a nascondersi come una scema sotto al letto del capitano per la paura.
«Tra poco verrà a piovere.» li avverte di punto in bianco, fissando con una certa insistenza la cortina di nubi che va formandosi minacciosamente sopra le loro teste.
«Come puoi esserne così sicura? Magari sono solo nuvole di passaggio.» controbatte Izo, rigirandosi tra le dita le punte dei suoi capelli con nonchalance.
«Sento odore di pioggia...» ammette storcendo il naso «Mi da molto fastidio.»
«Già, hai paura della pioggia.» la sfotte Marco, guardandola con aria derisoria «Povera piccola!»
'Da bravo Marco, tieni gli occhi alti. Non far caso alle sue gambe. Non far caso al fatto che se abbassi di mezzo centimetro lo sguardo le vedi le mutande.' si ripete per l'ennesima volta, portando le mani dietro la testa e ostentando quanta più sicurezza può, nascondendo alla perfezione il disturbo che in realtà sta provando.
«Attento, creatura indefinita, o ti affetto.» lo minaccia scherzosamente la minore, accoccolandosi maggiormente tra le braccia forti del comandante.
«Ti piacerebbe.» 'Occhi su, forza. Concentrati su qualsiasi altra cosa!'
«Vogliamo provare?» lo guarda con uno strano sguardo, Akemi, un modo che Marco non riesce a capire fino in fondo. La scintilla della sfida che spesso le illumina gli occhi è chiara, ma c'è qualcosa che brilla più forte. Un bagliore diverso, più intenso e ammaliante, che però non riesce a catalogare.
«Posso farvi una domanda?» cambia argomento, Akemi, scattando in avanti e sedendosi sui talloni, osservandoli uno per uno mentre annuiscono «Com'è fare sesso?»
I presenti si bloccano completamente, chi trattenendo addirittura il respiro.
«Co- cosa?» riesce a boccheggiare Satch, sgranando gli occhi al massimo e guardandola come se avesse appena tirato la più grande bestemmia del mondo.
«Hai capito: com'è fare sesso?» insiste sicura, lottando con tutte le sue forze per non scoppiare a ridere di fronte alle loro espressioni stralunate.
«Ti prego, ditemi che non l'ha chiesto sul serio...» borbotta sgomento Vista, le cui auto-convinzioni che ormai si è fatta grande e per lei è normale tutto questo sono andate a farsi benedire.
«Mi son dovuta sorbire non so quante volte i vostri discorsi sulle varie scopate di una notte! Voglio sapere cosa si prova!» afferma con tono fermo la minore, enfatizzando il tutto con degli ampli gesti delle braccia.
«E allora fallo.» risponde secco Marco, guardandola con aria di sfida, cosa che lascia tutti quanti di sasso.
«Marco...» lo richiama Ace con tono basso, per poi esplodere come una bomba «Ma che cazzo vai a dire?! È piccola!»
«Ace, dimostra quasi vent'anni. Tanto piccola non è.» afferma con nonchalance la Fenice, grattandosi distrattamente il mento.
«Hai detto bene: dimostra
«Quanto la fai lunga!» sbotta Akemi, alzandosi in piedi di scatto e girando sui tacchi, più che intenzionata ad andare a leggersi un bel libro prima di coricarsi «Se proprio non volete aiutarmi, penso che dovrò trovare le risposte da sola quando sbarcheremo sulla prossima isola...» afferma però per rigirare il coltello nella piaga, guardandoli con aria maliziosa e allo stesso tempo canzonatoria.
«Non ci provare neanche, cretina!» le urla dietro il quarto comandante, mentre l'idea di andare a prenderla a pugni per farle cambiare idea diventa sempre più allettante.
«Tranquillo, Satch: non se la prenderebbe nessuno.» afferma divertito Marco, dimenticandosi nuovamente -e stupidamente- del suo finissimo udito.
«Cosa hai detto?» la testa di Akemi fa di nuovo capolino da dietro la parete e i suoi occhi sono ben fermi sulla figura assai sorpresa del primo comandante «Bene: puoi pure dire addio al tuo adorato materasso.»
«Cosa?! NO!»
Scatta in piedi Marco, correndole dietro a rotta di collo per impedirle di fare una qualsiasi cosa alla sua stanza. Inoltre ci ha messo troppo tempo per trovare un materasso che gli andasse bene e non ha alcuna intenzione di rinunciarvi.
Gli altri comandanti rimangono in silenzio per qualche istante, finché Vista non riesce a trattenersi dal fare un'affermazione assai ovvia «È impressionante come Akemi riesca a far cambiare le persone.»
Vedendo però le espressioni confuse dei compagni decide di spiegare il perché delle sue parole, sorridendo appena, rigirandosi il cilindro tra le mani «Raramente Marco si comporta così con qualcuno al di fuori di noi. Con lei diventa più... infantile, ecco.»
«Questo perché lei è infantile.» osserva con aria divertita Satch, che ha momentaneamente abbandonato la collera per potersi godere quella quiete insieme ai suoi fratelli.
«Sarà pure infantile, ma non riesco più ad immaginare le nostre vite senza le sue stranezze e i suoi colpi di testa.» controbatte Halta, sorridendo dolcemente al ricordo di quando, quasi un mese prima, l'ha presa per la prima volta in braccio. Non aveva mai avuto a che fare con qualcosa di così delicato e fragile, e la sensazione che le ha scaturito dentro al cuore quel semplice contatto l'ha fatta semplicemente andare in estasi.
«Siamo in due...» ammette Ace, sorridendo a sua volta «Ora che si è data una calmata, poi, è di nuovo bello averla in torno. Prima se la prendeva troppo facilmente.»
«Ha sempre “combattuto” per avere l'approvazione di Marco. Non ne capisco il motivo in realtà, ma è così. Ora che ce l'ha si sente completa.» afferma sovrappensiero Izo, guadagnandosi un'occhiata incuriosita da parte dei fratelli, non rendendosi fortunatamente conto di quello più preoccupato di Halta. In fondo è l'unica lì in mezzo a sapere per certo della sua cotta per la bizzarra Fenice.
«Te l'ha detto lei?» gli domanda nascondendo il suo nervosismo, cominciando subito ad escogitare mille scuse per pararle le chiappe. In fondo Akemi è stata categorica a riguardo: nessuno deve sapere niente.
«No, ma lo immagino.» risponde convinto Izo, sorridendole con aria fiera «Chiamiamolo intuito maschile!»
'Il tuo intuito fa schifo...'

Nel frattempo, Akemi ha raggiunto la cabina di Marco, entrandovi dentro come un uragano, ma nel preciso istante in cui ha provato ad attentare all'integrità del soffice e comodo materasso, il proprietario l'ha placcata con quanta più forza poteva, facendola ruzzolare a terra. Inevitabilmente, però, le è andato dietro, ritrovandosi a lottare per terra come un bambino per tenerla ferma.
«Lasciami!» continua a strillare Akemi tra una risata e l'altra, provando senza convinzione a liberarsi dalla salda presa del maggiore.
«E permetterti di distruggere il mio letto? MAI!» le risponde stringendola maggiormente a sé, trattenendo le risate.
'Se quelli del Governo mi vedessero in questo istante, perderei tutta la mia credibilità!'
Rimangono fermi per qualche istante aggrovigliati al suolo, finché la ragazza si calma, abbandonandosi completamente tra le sue braccia, godendosi il calore della pelle nuda del petto del pirata contro la propria schiena, rendendosi però conto di un dettaglino che pensa bene di rigirare contro “l'avversario”.
«Ti rendi conto, vero, che mi stai stringendo una tetta?» il suo tono è strafottente oltre ogni limite e anche adesso deve lottare contro se stessa per non scoppiare a ridere nel sentire l'evidente variazione del battito cardiaco di Marco, imbarazzato a morte.
Se la scrolla infatti di dosso con estrema velocità, scivolando all'indietro e guardandola come se fosse una creatura aliena.
«Non l'ho fatto apposta, giuro!» si difende prontamente, facendola ridere forte.
«Mi vendicherò anche di questo, non temere.» storce un poco le labbra in un'espressione divertita, facendo poi spallucce e dirigendosi con passo calmo verso la porta «Per oggi ti lascerò riposare in pace, te ne ho fatte già troppe. Ma domani subirai la mia vendetta, Fenice!»
Marco la guarda uscire con aria sbigottita, cercando di metabolizzare quanto appena accaduto. Non l'ha fatto di proposito, ovviamente, però le ha comunque toccato un seno... e la cosa non riesce a dispiacergli!
'Oh Cristo... non me ne pento! Perché?! Anzi, la cosa peggiore non è neanche questa, quanto il fatto che in quella breve frazione di secondo in cui me ne sono reso conto ho pure stretto la mano!'
Si passa le mani tra i capelli, imbarazzato come mai in vita sua, ma in poco arriva a classificare la cosa in modo più razionale possibile.
'È successo per sbaglio e qualsiasi uomo avrebbe agito esattamente come me. Non c'è assolutamente niente di strano in quanto accaduto, anche se non dovrà mai più ripetersi. Farò finta di niente, fine. Anche per lei non è stato niente di che alla fine, quindi non c'è nessun problema.'
Si butta a letto, stanco e vagamente confuso, prendendo sonno più velocemente delle altre volte, non riuscendo però a lasciarsi sfuggire un ultimo e assai poco fraterno pensiero prima di cadere nel sonno.
'Avevo ragione... ha davvero delle tette perfette.'


«Avevo ragione, hai visto?»
«Già...» mormoro semplicemente, aggirandomi in quest'oscurità con agitazione.
«Non ti vedono molto come una sorella.» rigira pure il coltello nella piaga, il bastardo?!
Mi guarda con aria di estrema superiorità, ghignando vittorioso.
«Potrai avere ogni cosa...» mormora con tono mellifluo, avvicinandosi a me fino a potermi sfiorare uno zigomo con la punta delle dita «Comincerai a darmi retta?»
Ho altra scelta, in fondo? Ha sempre ragione alla fine. Per quanto mi disgusti ammetterlo, è così.
«Va bene...»
«Perfetto.» sorride soddisfatto, saltellando sul posto come un bambino che ha appena ottenuto un giocattolo che tanto bramava «Senti, so che non ti fidi di me, lo comprendo benissimo e non te ne faccio una colpa, ma devi provarci. Ti sembrerà assurdo, ma voglio aiutarti, anche a difenderti da loro.»
Alzo di scatto lo sguardo su di lui, sperando di potergli estorcere informazioni «Cosa mi faranno?»
«Cose brutte.» grazie, Capitan Ovvio, fin qui ci arrivavo pure io! Non puoi scendere nel dettaglio, eh?
Non provo neanche ad arrabbiarmi a questo punto. Tanto è semplicemente inutile con lui.
«Posso aiutarti anche per quanto riguarda la malattia del vecchio.» afferma con sicurezza, ricominciando a gironzolare senza meta, guardandosi le unghie con attenzione.
«Sul serio?!»
«Si.» risponde secco, tornando a guardarmi con un'aria che non mi piace per niente «Domani dovrai convincerlo a farti sbarcare il giorno seguente, quando sarai al pieno delle tue forse. C'è un'isoletta non molto lontano da qui e con quell'aggeggio con cui si muove Pugno di Fuoco la raggiungeresti in breve.» come fa a sapere dove si trovano le isole? Come fa a sapere dove siamo ora?!
«Non sarà facile convincerlo ad assecondare un altro mio capriccio. Sto esagerando.» rispondo semplicemente, cercando di sopprimere la mia curiosità.
«So anche questo, cosa credi?» mi guarda come se fossi scema, per poi ricomporsi e provando ad esprimersi nel modo più pacato possibile «Allora, ti espongo il mio piano e dovrai ascoltarmi con attenzione, seguendolo poi alla lettera anche se molte cose non ti piaceranno.»
«Ok...» mi arrendo semplicemente, massaggiandomi le tempie. Come sto cadendo in basso...
«Tu domani andrai da lui quando sarà da solo e gli dirai che hai bisogno di vestiti e cose tue, che ci tieni molto, il tutto accompagnato con dei grandi occhi dolci. Dirà di no e tu lo corromperai promettendogli in cambio del sakè di ottima annata, che io so dove trovare. Ti dirà ancora di no, e li interverrò io.» mi mette una mano davanti al viso per interrompere la mia protesta, guardandomi con aria vagamente scocciata «Non temere, non gli farò niente di male, ma dovrai fidarti di me e avrai il via libera.»
Sospiro ancora più rassegnata, ormai disposta un po' a tutto pur di ottenere risposte «Voglio fidarmi...»
Sorride soddisfatto, avvicinandomi «Quando sarai sull'isola con Ace, andrai per negozi e comprerai ogni abito che ti piace. Accessori, scarpe, trucchi, gioielli... ogni cosa. Dovrai apparire come la nobile che sei.»
«Sono nobile?» la domanda è sorta spontanea, senza che riuscissi a trattenermi. Stranamente, però, non sembra infastidito.
«In un certo modo si può dire di si. Ma non troverai così la tua dinastia, a questo penserò in futuro.» ammette in modo frettoloso, enfatizzando la cosa agitando le mani «Ti staccherai da Ace il tempo necessario per comprarti delle cose più provocanti e quella stessa sera proverai a sedurre un uomo.»
«COSA?»
«Ti avevo detto che non ti sarebbe piaciuto. Comunque, durante il pomeriggio, ti guiderò personalmente verso un luogo particolare. Dovrai comprare svariati libri di chimica, biochimica e farmacologia. Grazie a quelli e con una piccola spinta che ti dirò poi, placherai a lungo termine i sintomi del tuo adorato paparino.»
«Non so se sei pazzo o cosa...» affermo dopo qualche istante, guardandolo con incertezza.
«Sto dalla tua parte, non farmi cambiare idea.» risponde sbuffando, passandosi le mani tra i capelli corvini, illuminandosi dopo qualche istante «Ah! Quando sarai nei guai con la marina, o peggio, farò in modo tale di farti entrare in uno stato di trance tale che ti permetta di compiere dei veri e propri massacri senza l'effetto collaterale della perdita la ragione.» sorride soddisfatto, probabilmente trattenendosi dallo scoppiare a ridere di fronte alla mia espressione confusa «Ci stai?» mi porge la mano per sigillare il patto, che però non stringo. Voglio qualcosa in cambio della mia fiducia.
«Dimmi il tuo nome.»
Mi guarda con aria dura, studiandomi con attenzione e arrendendosi ad un sorriso quasi rassegnato, cosa che mi sorprende assai.
«Ti farò un indovinello: se rispondi giusto te lo dirò, sennò proveremo la prossima volta.»
«Ok.»
«Ci sono tre fratelli. A volte sono brutti, mentre altre volte sono belli. Il primo non c'è perché sta uscendo, il secondo non c'è perché sta venendo; c'è solo il terzo che è il più piccolo dei tre, ma quando manca lui nessuno degli altri due c'è. Chi sono?»
Posso farcela, lo so. Non è difficile, no? Allora, i tre fratelli sono una metafora per qualcosa: il primo non c'è, il secondo deve arrivare... il terzo è presente e senza di lui non ci sono gli altri. FACILE! «Passato, Futuro e Presente.»
«Ma brava, complimenti...» sorride in modo enigmatico, per poi farmi un profondo inchino, rialzandosi con aria fiera e composta «Il mio nome è Týr. Non trovi anche tu che sia un nome bellissimo? Era il Dio della guerra di un antico popolo. Alla fine, se ci pensi, fa ridere. È come se dal momento in cui sono venuto al mondo già sapessero chi sarei diventato.»
Vorrei davvero dirgli che è un nome bruttissimo, ma mi astengo. Non sia mai che si arrabbia e torna ad essere indisponente come prima!
«Sei un Dio?» domando semplicemente con una punta di sarcasmo, nascondendo la felicità che provo per aver finalmente scoperto qualcosa che lo riguarda.
«Molti mi consideravano tale.» ammette con indifferenza, facendomi incuriosire.
«Tsk, addirittura?»
«Tu non hai idea di cosa sono capace di fare, ragazzina...» mi guarda più intensamente, ipnotico e magnetico come mai aveva fatto «Più tu diventi forte, più io torno potente. Siamo legati, mia cara rompipalle complessata.» afferma subito dopo, spiazzandomi completamente.
«Tu seguimi e capirai che solo io sono capace di farti brillare.» allarga le braccia in modo teatrale, sogghignando convinto «Non c'è nessuno al mondo che può reggere un confronto con me.»
«Però ti hanno ucciso.» ora si arrabbia, per forza, è troppo permaloso... dovevo stare zitta, dannazione!
«Non ho mai detto di essere il migliore in quanto a forza fisica. Impara a leggere tra le righe, ragazzina. Impara a raggirare gli ostacoli, impara ad essere più subdola. Se seguirai i miei insegnamenti vivrai in serie A, potrai completamente dimenticarti della B.
Capirai che insieme siamo inarrestabili come nessun altro può. Gli Ammiragli? Pfh, delle pulci insignificanti! L'Imperatore? Neanche lui può nulla contro la mia astuzia. Lui è indiscutibilmente il più potente, non l'ho mai messo in dubbio e mai ho osato disobbedirgli... ma ho sempre trovato il modo per raggirare il suo volere e fare come volevo io.
»
«Non riesco a capire.» ammetto guardandolo come ipnotizzata e vagamente intimorita dal suo modo di fare, mentre una parte di me è sempre più inspiegabilmente attratta da lui.
«Ti addestrerò, ragazzina. Farò di te una creatura perfetta... il predatore supremo.»
«E perché dovresti farlo? Per te o davvero per me? Qual è il tuo vero scopo? Cosa vuoi creare?» domando a raffica, vagamente innervosita. Mi sento un oggetto in questo momento, ma c'è sempre quel qualcosa che m'impedisce di reagire come in realtà vorrei.
«Sarò sincero: quello che mai avrei pensato di poter creare l'ho già creato... ora devo solo perfezionarlo.» ammette vago, avvicinandomi fino a fronteggiarmi, serio come poche volte.
«Tu sei al mondo per mietere vite, c'è poco da girarci intorno.» afferma dopo qualche istante di silenzio, afferrandomi il mento tra le dita e costringendomi a sorreggere il suo sguardo «Tu trai piacere nel fare del male, lo so perché anche per me è così.»
«Sono davvero un mostro, allora.» mormoro sconfitta, quasi cadendo tra le sue braccia. Perché mi sento così impotente con lui? Perché sento di dovergli obbedire in qualche modo?
«Chi non lo è?» ridacchia appena, guardandomi con determinazione e anche una punta di divertimento «Tu vivi in mezzo ad assassini e ladri, non negarlo, eppure li vedi come dei santarellini. Dai retta a me, ragazzina, avrai il cuore più leggero. Sarai in pace con il tuo animo e avrai così tante gioie dalla vita che neanche puoi immaginare: fama, soldi, gloria, un potere infinito e uomini come se piovesse. Quelli come te vivono per sedurre, uccidere e arricchirsi, per crearsi un nome, avere gloria eterna.»
«Sono maledetta in realtà.» voglio scappare... e voglio restare. Che mi succede?
«Lo so. Ma è la più bella delle maledizioni.» avvicina il suo volto al mio, tanto che riesco a sentire il suo respiro tiepido sulla pelle «Vuoi darmi ascolto o vuoi continuare a soffrire, a logorarti fino ad impazzire? Vuoi la luce o l'oscurità?»
Rimango in silenzio per qualche istante, provando a ragionare, combattendo con il mio istinto. Ma, come sempre, è lui ad avere la meglio, a comandarmi e a piegarmi come un ramoscello, facendomi provare una sensazione indescrivibile nel cuore. Calore, gelo, rabbia, gioia... vita, morte.
«Brucia la mia anima. Bruciala e dammi la serenità.»




*Essendo il mondo di One Piece ho deciso per esigenze di copione che non conoscono la lingua inglese, quindi non capiscono il significato di quelle parole. Anche qui -ovviamente- c'è un perché se ho deciso di metterlo in inglese, ma lasciamo stare.


Angolo dell'autrice:
Ma buon salve! :D
Allora? Come vi è sembrato questa volta? Un pochino meglio del solito o sto cominciando a cadere nel banale/noioso/schifoso/tiammazzoperchéhairottolepalle? >.<
Comunque, venendo al capitolo: Marco comincia a farsi due domandine. No, non prova ancora un vero e proprio sentimento, però ha aperto un pochettino gli occhi e di sfuggita si è accorto che Akemi non è poi così male. Ovviamente non si è minimamente reso conto che a lei piace -anche troppo- perché è un pollo, ma prima o poi ci arriverà.
La scena della “nave fantasma” come vi è sembrata? Mi ci sono impegnata parecchio >.< devo impegnarmi di più per quel genere di scene, lo so, ma come inizio può andare?
Satch è sempre dolcissimo. Non solo vuole che la sorellina gli stia vicino per paura che le possa accadere qualcosa, ma è più che disposto a rimanerci secco pur di proteggere la nave e l'equipaggio dai pazzi omicidi che hanno compiuto quel massacro. Bellino lui <3
Adesso, poi, voglio spendere un paio di paroline per il nostro bellissimo secondo comandante. Lui gli occhi li ha aperti. Li ha aperti e, al contrario degli altri, sta cominciando ad uscire dall'ottica “è mia sorella non la posso toccare”. Non ne è innamorato, non lo sarà mai, non temete, però diciamo che notevolmente attratto da lei, questo si.
Ultimo, ma non meno importante, l'uomo dei sogni, Týr. C'è un perché se gli ho dato proprio questo nome, anche se forse avrei dovuto aspettare prima di rivelarlo... vabè.
Per caso c'è qualcuno curioso di vederlo? Beh, nel caso verrete accontentati! Oggi ho deciso di farvi vedere una volta per tutte l'aspetto dell'uomo che infesta i sogni della nostra protagonista: http://tinypic.com/r/2hwi9nn/8
Che ve ne pare? ;) ci ho messo parecchio a trovare un'immagine che potesse essere adatta ad interpretarlo e alla fine nessuno era più adatto di lui.
Ora, gli uomini sulla nave lo cercavano, come avete letto... la domanda è sempre la solita: perché? XD Purtroppo per questo dovrete aspettare, così come dovrete aspettare per molte cose (lo so, sono una ROMPICOGLIONI!), però arriverà il capitolo di svolta, non temete.
Anzi, i capitoli di svolta: il primo sarà quello dove questi due imbecilli capiranno che si piacciono (ovviamente), mentre l'altro sarà quello in cui tutto cambierà. Di quello ho già scritto il pagamento di sangue (avevo detto in precedenza che ci sarebbe stato e ci sarà... anche se non so quanto potrà farvi piacere; se volete un piccolo spoiler in privato vi dirò solo il titolo del capitolo, giusto per farvi un'idea) e un pezzo del momento in cui verranno a galla le verità fondamentali.
Ok, dopo aver sparato una marea di stronzate senza un vero e proprio filo logico, passo alla parte più importante di tutte: I RINGRAZIAMENTI! :D
Grazie mille a: Okami D Anima, Yellow Canadair, Lucyvanplet93, Monkey_D_Alyce, ankoku e iaele santin per le splendide recensioni; Aceko_san, ankoku, Dark_witch3, D_ann, erica0501, evelinstar31, giada1999, Incantatrice_Violeta, Jollyna, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, Portuguese D Ice, Scarlet_D_Rose, SmyleCathy, Trafalgar Revy e Yellow Canadair per averla messa tra le preferite; Azzu___, Balalaika_, evy88, girosolomina, Ikki, Kyuubi10, LallaOrlando, leonedifuoco, Lucyvanplet93, nanni 222, Portuguese D Ice, Portuguese D Rogue, Puffetta96, Redangel19, rosy03, SmyleCathy, The Green Eyed Girl, Trafalgar Revy, valepassion95, Vivi y, Yellow Canadair, Zefiria BlackIce, _K a r i n, _Bianconiglio_, _cucciolotta_, _Lawliet e _Takkun_ per averla messa tra le seguite; Hinata Uchiha Arclight e Portuguese D Ice per averla messa tra le ricordate.
Davvero gente: GRAZIE INFINITE! È solo grazie al vostro sostegno che questa storia va avanti! <3
Adesso però devo chiedervi una cosa davvero importante per me (dal momento che mi ci sto arrovellando il cervello!): pensavo di creare una fic a sé, diciamo uno spin-off a base di song-fic sui vari personaggi che incontreremo.
L'ho pensato perché sennò verrebbe troppo confusionario metterlo come special a fine capitolo. Quindi che ve ne pare? Ne ho pronti diversi a dire il vero (vedete l'insonnia a cosa porta? ç.ç)
Beh, vi prego, fatemi sapere se questa idea è buona e può interessarvi o se è meglio se l'accantono! :P
[PS: siccome alla fine diventerà una specie di serie, vi dico già che ho pronto un capitolo che è un mix tra l'hot e lo smielato per il nostro dolce Satch! :3 Anche stavolta, se pensate che sia una pessima idea, la butto nel cesso e continuo con tutta calma (calma? IO!?) la storia originale.]
VI SCONGIURO FATEMI SAPERE! >.<
Beh, adesso vi lascio sotto lo special (se non lo leggete, lo ripeto, non vi cambia la vita). Alla prossima, un bacione
Kiki

 

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Si muovono lentamente per quella stanza avvolta in una densa aria di morte.
«E questi davvero si definivano cacciatori?» una donna alta e snella, con dei corti capelli di un biondo brillante, cammina con passo felpato per il salone principale, calpestando senza riguardo alcuno i cadaveri sanguinolenti che le sbarrano la strada. Si osserva gli artigli sporchi di sangue, ripulendoli con noncuranza. Era convinta che avrebbero dovuto affrontare qualcosa di grosso ed impegnativo dal tono con cui Wulfric le si era rivolto, ma si sbagliava.
'Una quarantina di bambocci... ci crede forse degli inetti?'
«Erano solamente inesperti, Sakura.» un'avvenente donna dai lunghi e mossi capelli vermigli, che contrastano divinamente con la pelle diafana, le si avvicina seducente, ancheggiando in modo procace «Tuo fratello si sta divertendo con il loro leader.»
«Ah si?» rotea gli occhi verso l'alto, Sakura, sbuffando appena. Adora suo fratello, sul serio, ma non è adatto a certi lavori. Troppo impulsivo, sadico, violento e sanguinario.
«Già.» la rossa afferra due corpi da terra, sollevandoli sin sopra la propria testa «Vado a mettere l'avviso.»
«Sempre la solita, vero Arista?» le due si sorridono complici, incredibilmente eccitate da tutto quel sangue.
«Dobbiamo ristabilire l'ordine, no?» è stata proprio lei, Arista, a dare il via a tutto. Erano arrivati quella mattina in quella piccola isola non troppo distante dalla loro, dove sapevano che avrebbero trovato un gruppo di cacciatori. Già al primo impatto avevano capito che ci sarebbe voluto relativamente poco per farli fuori, ma non immaginavano che la faccenda fosse realmente così semplice: un paio di lenti a contatto colorate, un vestito succinto ed ecco fatto che l'avvenente rossa aveva ottenuto l'invito ad entrare nella loro grande abitazione. Sfondare il muro e rompere la barriera, poi, è stato un soffio.
Dopo la situazione si è semplicemente evoluta come doveva: i due fratelli sono entrati ed hanno compiuto il massacro, sbudellando e dissanguando con la loro leggiadra brutalità. Malgrado non combattessero fianco a fianco da molti anni, non hanno perso minimamente la loro affinità mentale, e questo si è rivelato decisamente un ottimo aiuto.
Sakura si dirige lentamente al piano superiore, da dove sente provenire la voce melliflua ed ipnotica del fratello minore.
«I don't know who you think you are, but before the night is through...»
Il cacciatore lo guarda angosciato fin dentro l'anima, non capendo una sola parola* di quello che gli ha appena detto con quel tono così caldo e profondo «Ti prego, ti dirò quello che vuoi!»
Entra nella stanza, Sakura, vedendo il fratellino alle prese con un ragazzo di neanche vent'anni. I capelli color cioccolato sono attaccati alla fronte sudata, il sangue dei suoi compagni gli imbratta i vestiti e le mani. Il terrore è limpido nei suoi occhi castani, tanto da mandarla su di giri.
«Non credi di esagerare?» gli domanda divertita, facendolo voltare di scatto.
È bello suo fratello, lo è sempre stato, con quel volto infantile dai lineamenti delicati, gli occhi chiarissimi ed ingannevoli, i capelli biondi perennemente spettinati, il corpo esile e flessuoso. Quando era a malapena un ragazzino attirava su di sé moltissimi sguardi, fino a giungere a quello che tanto bramava. Se non fosse stato per Lui, infatti, adesso non sarebbero quello che sono e la loro vita non splenderebbe come un diamante. Per questo, solo ed unicamente per questo, sono diventati dei perfetti assassini: glielo devono, come minimo.
Il cacciatore piange disperato, invocando l'aiuto della donna, ricevendo in cambio solo delle sguainate risate.
«Tesoro, sbrigati, per favore.» afferma con tono dolce, osservandolo mentre gli strappa le unghie una ad una.
Perché Kakashi è un torturatore, il migliore forse, con una vena sadica così forte che lo ha reso una delle peggiori piaghe per il Governo Mondiale. In fondo, un ragazzino sin troppo scaltro, con la sua forza e velocità, la sua crudeltà e smania di uccidere, non può essere altro che un enorme guaio, specie se si considera che più di una volta ha messo le sue affusolate e pallide mani sui Draghi Celesti.
«Tesoro?» lo richiama Sakura, sorridente.
Il minore alza gli occhi su di lei, come riportato alla realtà, e non riesce a trattenere uno sbuffo irritato.
Si porta davanti al cacciatore legato su di una sedia, mettendosi a cavalcioni su di lui e guardandolo con un luccichio perverso negli occhi di ghiaccio. Con la punta della lingua gli pulisce il sangue che cola sulla tempia, su fino alla ferita, pietrificandolo.
Gli passa le mani sul torace muscoloso, toccandolo in modo lascivo e terrificante come solo lui sa fare. Ha sempre provato un piacere perverso nel torturare anche così le sue vittime, in effetti. Anche se, in realtà, ha sempre avuto una spiccata preferenza per le donne chiuse nei conventi. Li si che si divertiva.
Si avvicina piano al suo orecchio, carezzandogli l'addome scolpito. Un sorriso sghembo gli increspa le labbra sottili e, con un filo di voce, sussurra «I wanna do bad things with you.»
Basta un secondo, poi: la mano affonda nella sua pancia, afferrandone alcuni organi interni per poterli portare alla luce, e la sua vita si spegne.
«Quanto sei teatrale, tesoro.»
Kakashi volta un poco la testa, un sorriso sbarazzino in volto e gli occhi pieni di allegria «Mi mancava farlo.» ammette alzandosi con movimenti fluidi e veloci «Su quell'isola non mi era permesso divertirmi.»
«Per questo Wulfric ti ha scelto.»
Scendono le scale fianco a fianco, felici di poter passare di nuovo quei momenti di puro divertimento insieme, giungendo velocemente fuori da quella casa adesso pregna dell'odore pungente dell'etanolo, dove trovano Arista intenta a terminare il suo simpatico operato.
«Che ve ne pare?» domanda soddisfatta, impalando la testa decapitata di uno dei due avversari.
«Delle teste impalate, sul serio? Pfh... trovo che la crocifissione a testa in giù sia più di classe.» ammette divertito Kakashi, pulendosi le mani con uno straccio «Ma tu hai sempre firmato così, d'altra parte.»
«Accendi il fuoco, va!» sibila infastidita la rossa, mentre Sakura si accende in tutta tranquillità una sigaretta.
«Zuccherina, mi dai un fiammifero?» la maggiore gli sorride, porgendogli la scatoletta e guardandolo con gioia mentre appicca l'incendio.
I tre, subito dopo, si allontanano tranquilli e completamente indifferenti all'accaduto, dirigendosi verso il porto dove hanno ormeggiato la loro piccola imbarcazione.
«Se dovessimo incontrarli?» domanda di colpo il ragazzo, senza però rivolgere neanche uno sguardo alle due donne.
«Gli ordini sono stati categorici, Kakashi: cacciatori, niente pirati.» lo riprende immediatamente Arista, incenerendolo con lo sguardo. Non l'ha mai sopportato e ora non può far altro che chiedersi perché glielo abbiano affiancato. Lavora decisamente meglio in coppia con Wulfric, o alle brutte con Freki.
«La mia domanda era diversa.» le risponde atono Kakashi, guardandola con arroganza «Se li dovessimo incontrare e la creatura capisse? Da quello che ho avuto modo di origliare non dobbiamo più intralciarla.»
«Ma come, tu che tanto ti diverti a sedurre chiunque respiri non vorresti provarci anche con lei?» le domanda realmente sorpresa la sorella, cingendogli le spalle con un braccio.
«Sai bene che ormai sono un uomo impegnato, zuccherina. La mia dolce metà non mi perdonerebbe facilmente uno sgarro del genere.»
«Certo, tutto questo è molto interessante, ma possiamo ripartire adesso? Se li dovessimo incontrare vedremo di girargli a largo. Altrimenti, se costretti, gli daremo una batosta tale da fargli passare completamente la voglia, ok?» ringhia esasperata Arista, desiderosa solamente di compiere un altro dei suoi massacri. Stare fuori dai giri per tutto quel tempo l'ha fatta semplicemente impazzire!
«Non ti è mai andato a genio Newgate, mh?» domanda ridacchiando il ragazzo, sciogliendo le cime e mettendosi velocemente al timone.
«Ho sempre considerato Roger l'unico vero pirata. Per questo mi dispiacerebbe massacrare la sua ciurma.» risponde distrattamente analizzando le carte nautiche, mentre Sakura, dietro di lei, prepara un piccolo aperitivo per tutti e tre.
«Non trovi che sia buffo che il vecchio si sia preso il figlio del suo rivale a bordo?» scoppia subito a ridere Kakashi, ignorando volutamente lo sguardo colmo di bile della rossa.
«Tutti noi siamo stati accolti come figli da un uomo che considerava mortali nemici tutti gli esseri umani che lo circondavano. Hai forse il coraggio di prendere in giro pure lui?» domanda duramente, incrociando le braccia al petto.
Kakashi si rabbuia immediatamente, abbassando la testa e stringendo i denti per il nervoso. 'Non puoi tirarlo in ballo. Non devi osare!'
«Ragazzi, andiamo, fatela finita. È stata una bella giornata, abbiamo appena avuto un'altra vittoria schiacciante. Lasciamo da parte questi futili argomenti e brindiamo a noi.»
Sakura, sorridendo raggiante, porge ai compagni due calici pieni e subito dopo alza il proprio al cielo, imitata dai due.
«A noi e al primo assaggio del nostro potere!»


*Vale lo stesso discorso di prima. Questa parte è presa dalla meravigliosa sigla di True Blood. Se non la conoscete, vi consiglio vivamente di ascoltarla... è meravigliosa!

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Capitolo 11
*** 11. Quando Týr ci mette lo zampino... ***


Piccolo avvertimento: non sono brava a descrivere scene di combattimento >.< mi sono impegnata moltissimo per questa, ma so già che è venuta una *****! ç.ç Siate clementi con me, vi prego!
 

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Marco non ha mai usato i suoi poteri durante quegli allenamenti. Mai, neanche una volta. Non ha neanche mai avuto bisogno di usare il suo potere rigenerante, data la scarsità della ragazza.
Ma adesso, con suo enorme sconcerto, si è ritrovato costretto a ricorrere a quel “trucco” per rigenerare la pelle lacerata dell'avambraccio, profondamente dilaniato da una delle lame dei pugnali sai che la ragazza ha imparato ad usare.
Si è ritrovato, inoltre, a fare quasi sul serio, a dover parare i potenti colpi che la ragazza prova ad infliggere a parti ben mirate del suo corpo, quali testa o addome, e anche a dover provare a mandare a segno qualche colpo, mancandola sempre all'ultimo secondo.
«Stai migliorando, ragazzina.» ridacchia con aria strafottente, bloccando prontamente un calcio della ragazza, troppo vicino alla testa «Ma sei ancora molto lontana dal potermi battere.»
Akemi sghignazza divertita, accucciandosi velocemente a terra e roteando su sé stessa con una gamba ben tesa, facendogli lo sgambetto. In fondo, dove sta scritto che un pirata deve combattere in modo leale?
Marco finisce con la schiena a terra e, prima che possa avere il tempo di reagire, si ritrova schiacciato al suolo sotto al corpo di Akemi, che ghigna con aria trionfante e sicura.
«Vinco io.» afferma con arroganza, tenendogli i polsi bloccati sopra alla testa.
«Ne sei sicura?» controbatte il maggiore, intrecciando una gamba alla sua e ribaltando la posizione con un forte colpo di reni, tenendola a sua volta inchiodata a terra.
Si guardano per un breve istante con aria spersa, troppo vicini per i gusti di entrambi, e mentre Marco cerca di elaborare la cosa, di archiviarla come un evento qualsiasi, Akemi sotto di lui si rigira prontamente, inchiodandolo di nuovo sul pavimento della palestra, a cavalcioni sul suo ventre.
Avvicina lentamente il viso a quello del comandante, senza abbandonare neanche per un istante quel sorrisetto arrogante che mai prima di allora Marco le aveva visto. Si avvicina tanto da poter sentire il suo respiro caldo sulla pelle e questo non fa altro che animarla ulteriormente.
«Assolutamente.» mormora con un filo di voce, prendendo un poco le distanze, ridacchiando felice per essere riuscita finalmente ad atterrare la leggendaria e sin troppo arrogante Fenice. Gli lascia finalmente andare i polsi, passandosi le mani tra i capelli scompigliati e sospirando rumorosamente, stanca come ogni terzo giorno dalla trasfusione.
Marco fa leva con un braccio per alzarsi un poco col busto, poggiandosi sul gomito, guardandola con aria divertita «Questo non prova niente.»
«Questo prova che sono io l'essere superiore, carino!»
Si alza di scatto, Marco, mettendosi a sedere e bloccandole la vita con un braccio per tenerla ferma e puntandole uno dei suoi stessi pugnali alla gola «Sicura?»
Akemi abbassa gli occhi su di lui, completamente priva di paura, e un ghigno divertito le increspa le labbra rosee «Al mille per cento, comandante.»
Sono vicini adesso, troppo vicini.
Il braccio di Marco pare quasi avere vita propria e si stringe ancora di più attorno alla vita sottile di Akemi, costretta così ad avvicinarsi ulteriormente, tanto da far combaciare i loro busti.
Rimangono immobili, guardandosi dritto negli occhi con aria di sfida, tanto vicini che le punte dei loro nasi si sfiorano. Sono completamente ipnotizzati l'uno dagli occhi dell'altra, tanto da non rendersi neanche più conto di quanto li circonda.
Ma a rompere il loro momento di pura intesa ci pensa il sordo rumore di una palla di cannone. Akemi, grazie al suo finissimo udito, sente che ha mancato la nave per si e no mezzo metro.
Scattano in piedi come due molle, accantonando velocemente quello strano momento che si era venuto a creare e subito corrono verso la porta, pronti a dar man forte.
Marco affretta il passo, staccandola di poco e arrivando per primo sul ponte della nave, dove tutti si preparano all'attacco di una ciurma avversaria.
Per un brevissimo istante gli viene pure da ridere, perché trovare qualcuno così stupido da attaccarli è un po' come sentire una barzelletta, ma torna subito con i piedi per terra e si prepara a difendere la loro preziosa e vulnerabile imbarcazione.
Akemi arriva sul posto qualche secondo dopo e immediatamente prova un forte senso di smarrimento. Non aveva mai partecipato ad uno scontro simile, non sa come si deve muovere, ma sa bene che qualcosa deve fare pure lei. È parte della ciurma tanto quanto gli altri, in fondo.
Ma questa sua rosea convinzione viene immediatamente distrutta dalle parole dure e concise del suo comandante.
«Akemi, resta ferma e guarda come si fa.» afferma infatti Satch, mettendole una mano sulla spalla e spingendola indietro per proteggerla. Sa bene che Marco la sta facendo lavorare sodo e che nel periodo il cui non si parlavano più si allenava un po' con tutti gli altri, ma sa altrettanto bene che non sarebbe in grado di combattere senza l'aiuto di uno di loro. E nessuno può permettersi di buttarsi in uno scontro dovendo pure guardare le spalle a qualcun altro.
«Cosa?! NO!» strilla contraddetta la minore, puntando i piedi a terra e guardandolo con astio.
«È un ordine.» sibila a denti stretti il comandante mentre molti uomini partono al contrattacco.
Barbabianca, dal suo seggio, resta calmo ad osservare la scena. I suoi adorati figli sono perfettamente in grado di difendersi da piratucoli di quart'ordine, non hanno bisogno del suo intervento, quindi è assai meglio per la sua salute se rimane fermo. Odia doverlo ammettere, ma la sua malattia l'ha indebolito parecchio. Certo, in caso di bisogno sarebbe perfettamente in grado di contrastare anche un Ammiraglio, ma è sempre meglio evitare sforzi inutili.
«Satch, forse dovrebbe provare. Mal che vada l'ammazzano!» afferma convinto Ace, sperando di far ragionare il fratello. In effetti, poi, non ha neanche tutti i torti: se non può essere definitivamente uccisa, perché mai impedirle di divertirsi un po'?
«Geniale, Ace.» ringhia in risposta Satch, pronto ad entrare in azione.
«Non puoi pretendere che impari a cavarsela da sola se la tiri su a pane e zucchero!» lo contraddice con un certo fervore Pugno di Fuoco, sbarrandogli la strada.
Akemi lo guarda con occhi pieni di speranza e riconoscenza, ma la risposta di Satch fa crollare ogni sua aspettativa.
«HO DETTO CHE RESTA QUI!»
«Tu non resterai qui...» alza di scatto la testa, Akemi, cercandolo in mezzo al caos che è venuto a crearsi sul ponte, capendo però che, come ormai accade spesso, è solo nella sua testa «Adesso gli facciamo vedere come si gioca.» 'Cosa?'
Il suo corpo si intorpidisce all'improvviso: le gambe si immobilizzano, le braccia si fanno pesanti, così come la testa. Chiude gli occhi, senza riuscire a respirare.
'Che diavolo succede?!'
Il panico l'assale completamente quando si rende conto che il suo cuore smette di battere e dopo un secondo si ritrova reclusa nel limbo nero. In sé è come le altre volte, con l'unica eccezione che riesce a vedere nitidamente cosa sta succedendo fuori.
«Adesso vi faccio vedere come si fa.» mormora con tono divertito Akemi, attirando l'attenzione di alcuni uomini a lei vicini, che le domandano cosa voglia dire.
Quello che però non sanno è che non è stata realmente lei a parlare. Si, la voce è la sua, così come il corpo che si muove lento e sinuoso verso la polena, ma non è lei, bensì Týr, che ha momentaneamente preso in prestito il suo corpo.
Si muove piano, un sorriso sadico e sarcastico in volto, gli occhi illuminati da una luce diversa e pure il colore è differente: più intenso, più acceso.
«Cosa cazzo fai, Akemi?!» gli urla Satch non appena la vede saltare sulla nave avversaria, che nel frattempo sta provando ad affiancarli per salire a bordo.
Akemi, o per meglio dire Týr, non ascolta minimamente, con l'unico fremente desiderio di mietere vite.
Un pirata prova a colpirla, ma Týr è più veloce: scatta in basso, evitando il pugno che probabilmente gli avrebbe rotto la mascella, e poggia i palmi delle mani a terra, alzando di scatto le gambe per colpirlo con inaudita violenza sotto al mento, sbalzandolo all'indietro.
Nel frattempo lo scontro inversa, i pirati si scontrano tra di loro e all'inizio nessuno presta attenzione a quanto la ragazza sta facendo, finché le urla di terrore non diventano insopportabili. Solo a quel punto tutti voltano la testa, guardando con occhi increduli quello che sta facendo: si muove velocemente, troppo per seguirne a pieno i movimenti, scattando da un lato a l'altro, lacerando le gole dei malcapitato con gli artigli affilati, colpendoli con estrema precisione e brutalità in punti vitali come la bocca dello stomaco* o il cranio. La cosa più sorprendente e, soprattutto, spaventosa di tutto quello sta nel fatto che sorride mentre lo fa. Un sorriso carico di sadismo e divertimento.
Týr, dal canto suo, è al settimo cielo: finalmente ha la possibilità di muoversi di nuovo a proprio piacimento, per quanto sia consapevole che la cosa sia controproducente. Ma non riesce a trattenersi: uccidere è la cosa che in assoluto gli è sempre riuscita meglio.
Una spada si conficca fastidiosamente nel fianco di Akemi, affondando nella carne in profondità. Týr semplicemente si gira di tre quarti, guardando con aria profondamente scocciata colui che ha avuto l'ardore di attaccarlo.
«Questo mi da molto fastidio.» afferma semplicemente, afferrandogli con decisione un polso e stringendolo così dolorosamente da costringerlo a lasciare l'arma. Lo guarda fermamente negli occhi, accennando un sorriso divertito. Con un movimento secco e preciso poi gli torce la mano all'indietro, facendo fuoriuscire l'osso spezzato.
L'uomo urla per il dolore e in poco si ritrova in ginocchio, sotto la pressione esercitata dalla ragazza. Aveva sentito qualche voce sul suo conto, ma mai avrebbe pensato che una ragazzetta con una taglia così insignificante avesse una forza del genere.
«Adesso ti restituirò il favore.» sorride, Týr, alzando una gamba e poggiando il piede sulla spalla dell'uomo, costringendolo a sdraiarsi di schiena.
Si abbassa a sua volta, riuscendo a portare il viso a pochi centimetri dal suo, mostrando così una notevole elasticità.
Con un movimento preciso e veloce pianta gli artigli nel fianco dell'uomo, facendolo urlare ulteriormente.
«Quello che sento è il tuo intestino?» domanda poi con un sorrisino divertito stampato in faccia, mentre con i polpastrelli tocca i tessuti dell'organo lasciato volontariamente intatto.
Pochi istanti prima che la vita lo abbandoni, Týr decide di infierire ulteriormente: con un gesto deciso estrae l'organo dal suo corpo, stringendolo fermamente nella mano, mettendolo in bella vita davanti a tutti.
Alza piano gli occhi sugli uomini che ha di fronte, immobilizzati dalla paura «Qualcun altro?»
«Prendete quello che volete... ce ne andiamo...» supplica il capitano, alzando le mani in segno di resa e facendo esultare i pirati che aveva erroneamente pensato di poter battere.
Týr, in tutta tranquillità, si dirige verso la Moby Dick, risalendo a bordo con nonchalance, sempre con la spada conficcata nel fianco, sporco di sangue dalla testa ai piedi. La cosa, in realtà, non gli crea il minimo problema.
'Direi che adesso posso lasciarti.' pensa, ritirandosi di nuovo e ridonando il corpo alla proprietaria, che comincia subito a guardarsi attorno con sguardo perso ed impaurito. Abbassando gli occhi, poi, nota la lama nella sua carne e il panico l'assale completamente.
«Toglietemela...» mormora sul punto di scoppiare a piangere e subito Halta va ad aiutarla, estraendola con uno strattone deciso, tamponando poi con le mani il sangue che scorre vischioso.
Alcuni pirati, nel frattempo, sono montati sulla nave avversaria e la stanno depredando, prendendo tutto quello che possono e portandolo sulla Moby Dick.
Barbabianca guarda la figlia con sguardo oltremodo sbigottito, incapace di credere che praticamente da sola sia riuscita a mettere in fuga una ciurma rivale. Certo, non erano questo granché già ad occhio, ma erano pur sempre arrivati nel Nuovo Mondo! Degli impediti completi non potevano certo essere.
«Come diavolo hai fatto?» le domanda a bassa voce Halta, osservando con sguardo quasi spaventato la ferita che si richiude assai velocemente sotto ai suoi occhi «Guarda che roba...» ci passa piano le dita sopra, sfiorando la pelle perfettamente rigenerata.
I loro occhi s'incrociano per un breve istante e Halta riesce a leggerci dentro uno sgomento infinito, cosa che le fa accendere dentro un campanello d'allarme.
Le viene da vomitare ad Akemi; sente il corpo ancora intorpidito e il cuore avvolto dalla paura più nera. 'Non sono stata in grado di fermarlo... non ho potuto fare niente.'
«Era un gioco, ragazzina. La prossima volta ti lascio fare da sola.»
Si porta una mano alla testa, Akemi, cercando di sopprimere quella voce che la sta mandando al manicomio.
«Marco, devo farti i miei complimenti, sul serio. L'hai fatta diventare una forza della natura!» afferma un più che esaltato Blamenco, battendo le mani per enfatizzare il tutto.
I presenti gli danno man forte, esultando felici per gli assai notevoli risultati della sorellina. Perché si, per quanto macabra sia stata quella scena, per quanto li abbia fatti rabbrividire, si è comunque mostrata in grado di difendersi da sola e di avere la stoffa della piratessa.
«Non è merito mio...» mormora un più che confuso Marco.
L'ha allenata molto e per questo è consapevole che non sarebbe in grado di fare una cosa simile. È vero che l'ultima volta che ha attaccato ha fatto una strage simile, ma quella volta i movimenti erano più confusi, animaleschi, mentre stavolta erano puliti, perfetti. Ogni volta che lacerava una gola sembrava quasi un abilissimo chirurgo che incide con estrema precisione con un bisturi, più che consapevole di quale sia il punto da incidere e quanto a fondo premere.
«Ora non fare il modesto, via!» lo riprende Atmos, mettendogli un braccio attorno alle spalle e scuotendolo un poco, senza però riuscire a svegliarlo dal suo stato di sconcerto.
«No, sul serio.» controbatte Marco, togliendosi il braccio dell'amico di dosso e continuando a guardare con insistenza Akemi «Non le ho insegnato io quella roba.»
I due si guardano per qualche secondo dritto negli occhi, quasi volessero cercare entrambi delle risposte, finché Akemi non abbassa repentinamente lo sguardo, notando gli artigli scuri ancora gocciolanti.
«Penso che andrò a farmi una doccia...» afferma titubante, cercando di allontanare il pensiero che è ricoperta in buona parte dal sangue degli uomini che ha ammazzato. Alzando per un breve istante lo sguardo, poi, incrocia quello oltremodo furioso di Satch e un brivido le corre lungo la spina dorsale. 'Sempre più nella merda... riuscirò ad imboccarne una giusta?!'
Se ne va con la coda tra le gambe mentre tutti esultano per la schiacciante vittoria, felici di aver trovato un nuovo pretesto per far baldoria.
Cammina piano, il corpo che a poco a poco viene scosso da leggeri tremori, i passi che si fanno sempre più instabili, quasi il pavimento diventasse di gelatina sotto ai suoi piedi.
Non riesce a capacitarsi di quanto appena accaduto, del fatto che quel pazzoide si sia preso senza tante cerimonie possesso del suo corpo, che l'abbia costretta a compiere un tale massacro. È vero, è una piratessa ricercata, ma lei non vorrebbe arrivare ad uccidere nessuno. Far del male si, soprattutto per difesa personale o per quella del suoi cari, ma non uccidere.
Entra nella cabina con passo instabile, scossa da tremori sempre più forti e ravvicinati tra loro. Una sensazione di fastidio al petto la soffoca, come se ci fosse sopra un peso, e il respiro diventa sempre più corto, come se stesse asfissiando. Sente il naso e le mani formicolate, mentre il cuore pompa sempre più forte.
Si attacca con le spalle al muro, cercando inutilmente ossigeno, mentre quelle sensazioni si intensificano, facendole salire il panico alle stelle.
Si porta una mano tremante al petto, stringendo convulsamente la maglietta all'altezza del cuore, quasi volesse strapparsela di dosso per avere un ostacolo in meno per respirare, come se fosse quella la causa della sua quasi asfissia.
Sente di sfuggita i passi di qualcuno avvicinarsi pericolosamente alla sua porta ancora aperta e l'idea che qualcuno la veda in quello stato le provoca una forte sensazione di nausea.
Teach, incurante di ciò che sta succedendo all'interno della stanza, allunga un poco la testa per salutarla e farle i complimenti per il suo sorprendente talento, trovandola però in pieno attacco di panico «Ehi, ragazzina!»
Entra velocemente nella stanza, accovacciandosi di fronte a lei e guardandola con timore. Si ricorda vagamente che quando una persona è in questo stato bisogna metterle un sacchetto sul viso per aiutarla a regolarizzare il respiro, ma non ne è tanto convinto in quel momento, quindi pensa bene di andare a chiamare le infermiere «Ehi, ehi! Calmati! Aspettami qui eh!»
Non fa però in tempo ad alzarsi che Akemi lo afferra con forza per un polso, costringendolo a guardarla.
«N- no- non-» annaspa, provando a prendere fiato «re- respi- respir- o.»
«Devi calmarti, ok?» le prende una mano tra le sue, Teach, guardandola dritto negli occhi e sperando di tutto cuore di riuscire a calmarla a parole «Guardami: va tutto bene, ok? Non hai fatto niente di sbagliato, va bene? No, ehi, stammi a sentire, concentrati su di me.» le mette una mano sulla spalla, scuotendola piano, sorridendole nel modo più rassicurante che può «Sei stata bravissima poco fa, intesi? Hai lasciato tutti a bocca aperta. Babbo è fierissimo di te. Anche più tranquillo, a dirla tutta: adesso sa che ti puoi difendere da sola.»
Dopo una manciata di minuti, in cui neanche per un istante le ha lasciato andare la mano, il respiro di Akemi comincia lentamente a regolarizzarsi e il corpo trema sempre meno, permettendole di rilassare in parte i muscoli delle spalle.
«Brava, così, respira.»
«Grazie Teach...»
«Ma ti pare?» le sorride bonario, scompigliandole i capelli «Stai tranquilla, Akemi. Hai fatto un ottimo lavoro.» la rincuora di nuovo, alzandosi in piedi e dirigendosi calmo verso la porta, rigirandosi però prima di chiudersi la porta alle spalle «L'unica cosa, però, è che devi trovare una scusa accettabile con Satch per avergli disobbedito così spudoratamente. È abbastanza incazzato.»
'Perfetto.'
Si trascina con passo traballante fin dentro al bagno e senza esitazioni apre il getto dell'acqua calda, mettendocisi sotto ancora vestita. Poggia la fronte contro la parete fredda, cercando di riordinare i pensieri, sperando quasi di sentire le scuse di Týr per averle fatto una cosa del genere, perdendo la cognizione del tempo.
Riprende coscienza di sé solamente quando Tachi entra nella stanza, ricordandole che deve fare la trasfusione.
«Certo, arrivo subito.» risponde con tono piatto, chiudendo il getto e trascinandosi stancamente fin davanti allo specchio sopra al lavandino. Si guarda attentamente, notando quanto gli occhi siano spenti, circondati da occhiaie profonde, quanto la pelle sia sciupata.
'Perché mi riduco sempre così?' si domanda per l'ennesima volta, legandosi i capelli in una coda alta e disordinata, uscendo poi dal bagno per cambiarsi.
Afferra distrattamente la camicia di Satch che aveva indossato la sera prima e la indossa con movimenti frettolosi, uscendo subito dopo e dirigendosi con passo svelto verso l'infermeria.
'Prima lo faccio, prima finisco.' sbuffa sonoramente, ricordandosi solo in quel momento che dopo dovrà parlare con il padre. Perché Týr avrà pure fatto di testa sua e sicuramente presto si rivelerà un grandissimo bugiardo, ma Akemi non è tipo da infrangere la parola data.


Anche quella dura giornata è finita e tutti si preparano ad andare a dormire.
Barbabianca, dopo aver elogiato di fronte a tutti la figlia per il suo operato, mettendola così in imbarazzo, si è congedato ed è andato nella sua cabina, più che deciso a rilassarsi con una lettura consigliatagli dalla ragazza.
Izo parla animatamente con Marco, cercando di convincerlo a fare il turno di guardia al posto suo. Sa bene che lo farà, non rifiuta mai di fare un favore ad uno di loro, ma sa anche che per principio dovrà fare storie.
«Ehi, avete visto Akemi? Dovrei parlarle.» li interrompe di punto in bianco Halta, guardandoli con sguardo indecifrabile.
I due semplicemente fanno spallucce, tornando subito a discutere di cosa Izo dovrà dare a Marco per fargli fare il suo turno, cosa che però non interessa minimamente alla comandante.
«L'ultima volta che l'ho vista stava andando verso la sala comandi, biascicando qualcosa del tipo che doveva vedere la rotta più breve o qualcosa così.» la informa con tono gentile Vista, cercando di non badare ai due scemi che stanno alzando sempre più la voce.
Halta annuisce sorridendo, girando sui tacchi e dirigendosi velocemente nel luogo suggeritole, più che intenzionata a chiedere spiegazioni alla sorella su quanto accaduto quel pomeriggio.
Il problema nasce dal fatto che Akemi non si trova più lì. Da almeno venti minuti, infatti, se ne sta ferma come una statua di fronte alla cabina del capitano, incerta sul da farsi. In fondo, come può mai convincerlo a farla sbarcare?
'Mi andrà bene se non mi darà un calcio nei denti!'
Bussa piano alla porta, aprendola senza neanche aspettare una risposta e richiudendosela subito dopo alle spalle.
«Babbo, dovrei parlarti.» afferma con tono incerto, passandosi una mano tra i capelli.
«Qualcosa non va?» le domanda prontamente Barbabianca, guardandola con incertezza. Generalmente non va mai a chiedergli qualcosa, non con quella faccia.
«Si. Cioè, no...» si passa stancamente le mani sul viso e gli si avvicina, sedendosi in fondo al letto e guardandolo con aria supplichevole «Devo chiederti un favore. Bello grosso anche...»
«Di che si tratta?» domanda con tono più duro il capitano, cercando comunque di mantenere una certa calma. Non può mica dare in escandescenza senza neanche sapere di cosa si tratta!
«Ho controllato le carte nautiche e a non molta distanza da noi c'è una piccola isola... vorrei sbarcarci. Non pretendo che cambi rotta, tranquillo, mi farei portare da Ace, se accetta.» lo guarda con aria incerta e vagamente mortificata, più che consapevole di aver superato largamente il limite. 'Ora mi pesta come un polpo...'
«E perché mai vorresti sbarcare?» le domanda quasi ringhiando, chiudendo con una certa violenza il libro e fissandola in cagnesco.
«Beh, mi servono delle cose...» borbotta abbassando lo sguardo, fissandosi gli artigli con cui si sta torturando le mani «Ti porto una bottiglia di buon saké in cambio!» afferma subito dopo con convinzione, alzando lo sguardo e sorridendogli nel modo più convincente che può.
«Sei patetica.»
Sgrana un poco gli occhi, Akemi, cercando però di non dar a vedere il fatto che si sta seriamente innervosendo per il fatto di essere stata ignorata deliberatamente tutto il giorno per poi essere insultata di punto in bianco.
'Zitto, stronzo! Non è affatto semplice!'
«Mi dispiace, Akemi, ma non posso lasciarti andare.» le risponde con tono neutro Barbabianca, tornando alla sua lettura con aria indifferente, nascondendo alla perfezione il suo più che giustificato nervosismo. 'Dovevo essere un po' più duro con lei quando era ancora piccola e malleabile.'
«Adesso ti mostro una cosa divertente.»
Sente con chiarezza il corpo intorpidirsi di nuovo esattamente come quel pomeriggio, ma non fa in tempo a fare o dire assolutamente niente che si ritrova nel limbo a guardare la scena come uno spettatore esterno, completamente impotente.
Týr sorride divertito, pronto a prendersi quanto vuole, con la fastidiosa consapevolezza che le conseguenze non saranno certo delle migliori. 'Devo farlo.'
Si alza in piedi lentamente, avvicinandosi con calma al capitano, guardandolo dritto negli occhi «Te lo richiedo: mi lasci sbarcare con Ace?»
Barbabianca è completamente in suo potere, catturato dai suoi occhi ipnotici, e la sua mente non può far altro che piegarsi al volere dell'essere che si è preso il corpo di sua figlia.
«Certo...» mormora con un filo di voce, facendo sogghignare Týr.
«Molto bene.» afferma con tono divertito, senza interrompere neanche per un singolo istante il contatto visivo «Partiremo all'alba e torneremo il giorno dopo, probabilmente.» aggiunge dopo pochi secondi, sorridendo arrogantemente «Vuoi farmi il grande piacere di comunicarglielo di persona?»
«Certo...» mormora di nuovo Barbabianca, alzandosi lentamente in piedi e uscendo dalla propria stanza, completamente sotto il suo controllo. Non se ne rende neanche conto, per lui quella è una decisione presa autonomamente.
Akemi, adesso sola nella spaziosa cabina, riprende finalmente possesso del proprio corpo e, sconvolta, si appoggia con la schiena contro la parete dura della porta, tenendosi la testa tra le mani.
«Visto come sono bravo?» le domanda divertito Týr, facendola infuriare ancora di più.
'Come hai fatto? Oh mio Dio... cosa ti ho permesso di fare?! Sei un mostro!' gli urla nella sua testa, tirandosi i capelli quasi fino a strapparli, furiosa sia con lui che con sé stessa.
«Ma quale mostro e mostro! Sono solo molto più talentuoso di te e so bene come ottenere ciò che voglio.» controbatte con fare offeso, facendola ringhiare forte, cosa che per la prima volta lo zittisce.
'Stammi lontano. Non voglio più sentirti, mostro!' esce velocemente dalla cabina, correndo alla cieca verso la palestra, più che intenzionata di sfogare tutta la rabbia che le sta quasi facendo scoppiare il cuore.
«Come vuoi, cara.»
Akemi svolta velocemente l'angolo, tenendo ancora gli occhi chiusi per trattenere le lacrime che spingono per uscire, andando così a sbattere contro qualcuno.
«Ehi!» Marco l'afferra con decisione per le spalle e se la toglie di dosso, massaggiandosi poi una spalla dopo la testata involontaria che gli ha tirato quando lo ha urtato «Guarda dove vai, ragazzina.»
Akemi, spaventata da sé stessa e da quello che ha dentro come mai in vita sua, prova ad allontanarsi immediatamente dal comandante, scrollandosi di dosso la sua mano e provando inutilmente a superarlo, mormorando delle appena udibili scuse.
Ma Marco non è uno stupido e non gli sfugge questo suo strano atteggiamento. Si, insomma, prova sempre a stargli vicino in qualche modo, e adesso invece prova a scansarlo come un appestato: qualcosa sotto c'è per forza.
«Ehi, ehi.» la afferra con decisione per un braccio, costringendola a bloccarsi, senza però riuscire a farla girare «Che ti prende?»
«Niente, tranquillo.» risponde sbrigativa, passandosi il dorso della mano libera sulla guancia per cancellare la scia rossa della lacrima che le è sfuggita.
A Marco questo gesto non sfugge e subito le lascia il braccio per le afferrarle la mano sporca di sangue, costringendola con le cattive a girarsi verso di lui per guardarlo in faccia «Ah si, eh?» le domanda sarcastico, cercando i suoi occhi, sperando che gli dica cosa è successo di tanto grave da farla piangere.
«Va tutto bene.»
«Una persona non piange quando va tutto bene.» le alza il viso lentamente, tenendole il mento tra le dita con un'incredibile delicatezza, guardandola con attenzione «Mi dici che è successo?»
Akemi scuote con forza la testa, liberandosi dalla sua presa e portandosi entrambe le mani sul viso, respirando profondamente, cercando di calmarsi.
«Preferirei non parlarne...» biascica a denti stretti, sperando con tutta sé stessa che non diventi insistente come probabilmente farebbero Halta o Satch.
«Come preferisci.»
Rimangono in silenzio, immobili, finché dopo qualche minuto a Marco non viene quella che per Akemi potrebbe essere una delle più belle idee possibili.
«Vieni sulla torre di osservazione con me?» le domanda sorridente, rallegrandosi di fronte alla sua espressione più distesa, quasi felice.
«Non è il turno di Izo?» domanda incerta, mentre il cuore comincia a battere più velocemente per l'emozione.
«Quello scansafatiche è riuscito a convincermi a farlo al posto suo.» ammette ridacchiando, voltandosi leggermente per andare sull'albero di trinchetto dove è situata la coffa «Mi tieni compagnia?»
Akemi sorride raggiante, dimenticandosi -seppur momentaneamente- di tutte le sue preoccupazioni.
Camminano fianco a fianco, dirigendosi calmi verso quella che è forse la destinazione più odiosa che possano raggiungere sulla nave, e durante il tragitto incontrano un più che incerto Ace.
«Perché vuoi salpare all'alba?» le domanda guardandola con aria dubbiosa, inclinando un poco la testa di lato e incrociando le braccia muscolose al petto.
«Io, ehm...» si morde con forza un labbro, Akemi, quasi perforandolo con i lunghi canini, cercando di reprimere il forte senso di angoscia che prepotentemente prova ad attanagliarle il cuore «Ho bisogno di alcune cose. Spero che per te non sia un problema...»
«No, certo che no.» le sorride gentilmente, dandole una pacca fraterna sulla spalla «Però potevi avvertirmi prima!»
«Mi era passato di mente.» sorride falsamente Akemi, cercando di mostrarsi tranquilla. La verità, però, è che dentro ha un vero e proprio tornado di emozioni che contrastano l'una con l'altra, tanto da mandarla quasi nel panico.
«Beh, allora vado a dormire. Ti converrebbe non fare tardi anche a te, ti voglio attiva domani!» le sorride ancora, salutandola poi con un gesto sbrigativo della mano e superandoli, anche lui nascondendo una più che giustificata preoccupazione. Non solo dovrà lasciare la nave che secondo molti -lui incluso- è nel mirino di quei pazzi omicidi, ma dovrà pure avere mille occhi nel caso qualcuno provi ad attaccare la sorella come l'ultima volta che sono sbarcati. 'Sarà una giornata stressante...'
«Dov'è che andate domani?» le domanda realmente incuriosito Marco.
«C'è una piccola isola non lontano da qui. Secondo i miei calcoli ci metteremo dalle tre alle quattro ore per arrivare, sempre se alla nostra partenza saremo nel punto che ho previsto.»
«Tu proprio non riesci a stare ferma, eh?» la sfotte divertito, facendole un cenno col capo per farla salire per prima.
«Ma come siamo galanti!» lo sfotte a sua volta Akemi, arrampicandosi velocemente e raggiungendo il posto di osservazione, venendo raggiunta in breve dalla Fenice.
«Come mai la cosa ti sorprende tanto?»
Akemi semplicemente fa spallucce, sorridendogli allegra.
«Perché hai chiesto proprio a me di farti compagnia?» gli domanda a brucia pelo, senza riuscire a nascondere una più che motivata curiosità.
«Mi sembravi giù di morale.» si volta per guardarla in faccia, sorridendogli in modo gentile e rassicurante.
«E stare con te dovrebbe farmi sentire meglio?» domanda con arroganza, sorridendogli ironica.
«Certo. Chiunque sarebbe più che felice di passare del tempo con me!»
«Ma senti questo!» gli tira una lieve pacca sulla spalla, facendolo ridacchiare «Quanto sei arrogante!»
«Disse quella.»
«Io posso permettermelo.» afferma divertita, nascondendo alla perfezione sia l'imbarazzo che l'assoluta mancanza di convinzione delle sue parole.
Dopo quella battuta, a cui anche Marco ha ridacchiato, rimangono in completo silenzio a scrutare il circondario. Capita estremamente di rado accada qualcosa di notte, ma è sempre meglio stare attenti.
Si accende una sigaretta, Marco, con aria pacata, non accorgendosi neanche di aver così attirato di nuovo l'attenzione di Akemi.
«Da quant'è che fumi?» gli domanda inarcando un sopracciglio, assumendo poi un'espressione schifata quando l'odore penetrante del fumo le arriva alle narici.
«Troppo.» ammette distrattamente il maggiore, guardandola a sua volta, allungandole dopo qualche secondo la sigaretta «Vuoi provare?»
Akemi storce il naso, combattuta: è curiosa di sapere com'è il sapore, di sapere qual'è la sensazione del fumo che scende per la gola, giù fino ai polmoni, ma quella puzza la infastidisce incredibilmente.
Alla fine, dopo una lunga riflessione interiore, sporge semplicemente il busto in avanti, afferrando tra le labbra il filtro mordicchiato da Marco e aspirando a fondo, sentendo una fastidiosa sensazione di bruciore in gola.
Tossisce fuori tutto il fumo, facendo una faccia schifata che scatena immediatamente la risata del comandante «Come diavolo farete a sopportare quel saporaccio...»
«È meglio che non ti piaccia. È una dipendenza orrenda che, oltretutto, fa pure male.»
«Allora perché fumi?»
«Perché mi piace.» risponde con ovvietà, tornando a fissare il mare, mentre una ventata fresca gli accarezza la pelle nuda del torace.
Akemi lo guarda con attenzione, seguendo con una certa insistenza i suoi lineamenti e i muscoli definiti.
'Sono nella merda.' pensa sbuffando e sdraiandosi sul sottile parapetto come un gatto, mettendosi a pancia all'aria 'Come posso adattarmi all'idea che sia solo mio fratello? Come farò a mostrare sempre una certa indifferenza nei suoi confronti?'
«Sei stata brava oggi.» afferma di punto in bianco Marco, senza neanche voltarsi a guardarla.
«Ho ammazzato della gente e mi dici che sono stata brava?»
Si volta leggermente verso di lei, guardandola con aria divertita «È parte del pacchetto uccidere, ragazzina.» butta via la sigaretta in mare, poggiandosi con la schiena al duro legno alle sue spalle mentre continua a guardarla «Se hai sonno dormi.»
«Non ho sonno...» mormora passandosi le mani sul viso, trattenendo a stento un sonoro sbadiglio.
«Tu devi sempre negare ogni cosa, vero?» si gratta distrattamente il mento, facendo poi scivolare la mano dietro al collo, sospirando «Tieni, metti questa e dormi. Se cadi ti riprendo al volo.» si sfila velocemente la camicia di dosso e gliela porge, consapevole che non può fargli lo stesso effetto del giorno prima dal momento che adesso è vestita.
Akemi l'afferra con mano incerta, mettendosela addosso a mò di coperta, continuando a guardarlo fino a che le palpebre non si fanno decisamente troppo pesanti.
Marco di tanto in tanto le lancia qualche fugace occhiata, giusto per assicurarsi che non scivoli di sotto e si sfracelli sul ponte, trovandola profondamente addormentata.
Si trova a sorridere tra sé e sé nel vederla così calma e pacifica, e senza rendersene conto le si è avvicinato e le scosta una ciocca di capelli corvini dal viso, ammirandone i lineamenti dolci, pennellati.
La prende in braccio stando ben attento a non svegliarla e agilmente salta giù, atterrando nel modo più silenzioso che può. Abbassa giusto un secondo gli occhi su di lei, trovandola ancora in coma profondo. 'Di che mi preoccupo? Neanche una cannonata la sveglierebbe!'
Si dirige con passo calmo, quasi svogliato, verso la sua cabina, trovandosi in leggera difficoltà quando deve girare la maniglia. Perché magari una cannonata non la sveglierebbe, ma una bella craniata sul pavimento si.
Dopo una lunga ed intensa lotta riesce finalmente ad aprire la porta, esultando silenziosamente nella sua testa per essere riuscito ad avere la meglio contro quel diabolico oggetto inanimato senza doverlo distruggere, e finalmente può adagiare Akemi nel suo letto.
La guarda giusto per qualche secondo mentre si accoccola sul materasso, nascondendo parte del viso sotto le lenzuola nere, per poi decidere di andarsene.
Prima di farlo, però, le regala una lieve carezza sulla guancia, accompagnata da un lieve sorriso.
«Buona notte, ragazzina.»



*Non è uno scherzo. Più di una volta a kickbox il mio allenatore ci ha fatto dei cazziatoni assurdi perché non colpissimo con troppa forza in quel punto, perché se fatto nel “modo giusto” e con una forza eccessiva si rischia di ammazzare l'avversario.


Angolo dell'autrice:
Per la prima volta da non so neanche quanto tempo ho finalmente scritto un capitolo più breve :D Certo, il prossimo verrà sicuramente una roba lunga abbestia, ma tralasciamo questo dettaglio.
Tralasciamo pure il fatto che sono in ritardo mostruoso! (Ho avuto una settimana d'inferno, è già un miracolo che sono riuscita a scriverlo!)
Allooora... che ve ne pare? :/ Vi dirò: sono talmente preoccupata per come potrete reagire con il prossimo che per questo vado quasi tranquilla! XD (Già, perché per il prossimo prevedo botte come se piovesse .__.)
Ah, tanto per la cronaca, questo capitolo serve solo da ponte tra il capitolo precedente e il successivo ;)
Marco e Akemi si stanno avvicinando (sarà anche l'ora?! Gli ci sono voluti undici capitoli!), ma purtroppo la nostra bella Fenice è ancora lontana dall'accettare l'idea “non abbiamo alcun legame di sangue, possiamo anche spassarcela!”.
Anche Akemi, in fondo in fondo, non è ancora del tutto convinta che i suoi compagni non la considerino solo una sorella, ma cambierà idea prima di Marco.
Týr... ehhh, lui acquista sempre più potere e adesso ha la capacità di prendere il controllo del corpo di Akemi. Capacità interessante, mh? Relax, non lo farà praticamente più, solo che questa volta si è sentito “punto nell'orgoglio”. Ricordate, no, che lui non sta agli ordini di nessuno? :P
Però -c'è sempre un però- a quello di Akemi stavolta obbedisce... e c'è un perché. Verrà tutto svelato in seguito, spero solo che abbiate la pazienza di aspettare >.< la parte è già scritta! :D (già, perché sono così idiota da scrivermi già dei pezzi per paura di scordare come li avevo immaginati!)
Tornando a Týr, comunque, ha pure la capacità di ipnotizzare le persone (indizione!) e purtroppo sotto le sue infide grinfie ci è finito il nostro adorato capitano... spero che la cosa non vi abbia disturbato più di tanto >.< è un'esigenza di copione, diciamo.

♥ Adesso ci tengo a ringraziare di cuore Yellow Canadari, Lucyvanplet93, Redangel19, Okami D Anima, Monkey_D_Alyce, ankoku e iaele santin per le bellissime recensioni! Davvero troppo gentili 
Alla prossima, un bacione
Kiki 

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Capitolo 12
*** 12. L'alcol: un grande rivelatore + Special [Mi sentirai ruggire] ***


Piccola avvertenza: spero che questo capitolo vi strappi un sorriso e che non mi tiriate delle scarpate in faccia (anche se a dividerci c'è uno schermo sono sicura che la cosa sarebbe assai fattibile).
Comunque la “prima parte” ad un certo punto sarà divisa tra le cose che fa Akemi e quelle che invece fa Ace, i loro pensieri e tutto il resto. Poi si riuniranno e li il titolo del capitolo prenderà significato. Spero che vi piaccia!

PS: Yellow Canadair, spero tanto che questa mia malsana idea possa piacerti... anche se non sarà una cosa molto romantica e non ho messo il personaggio che "speravi" :P

 

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Dopo tre ore e quarantasette minuti di lunga navigazione, Ace e Akemi sono finalmente sbarcati sull'isola chiamata Dejima*. Un'isola piccola e tranquilla, in cui la marina non va praticamente mai. In realtà ci vanno poco anche i pirati perché non ha molto da offrire, e proprio per questo è considerata l'isola in assoluto più tranquilla di tutto il Nuovo Mondo.
«Non ne avevo mai sentito parlare.» afferma Ace, camminando calmo per il piccolo molo dove hanno ormeggiato lo striker.
«Adesso si.» risponde sorridendogli Akemi, indicando poi l'imbarcazione alle loro spalle «Non potevi scegliere qualcosa di meglio, comunque? Ho la schiena e il sedere a pezzi!» si lamenta facendolo ridere, massaggiandosi distrattamente il fondo schiena. Stare appollaiata in cima alla piccola imbarcazione, in effetti, non è tanto comodo.
«Se continui a lamentarti ti mollo qui!»
«Non oseresti.» sibila fingendosi offesa, incrociando le braccia al petto e superandolo con passo sicuro, tenendo il mento alto e gli occhi semichiusi.
«Vogliamo vedere?» controbatte Ace senza nascondere un certo divertimento, raggiungendola e superandola senza esitazioni, dandole però prima una lieve spallata.
Akemi gli corre subito dietro, saltandogli sulle spalle e stringendogli le braccia attorno al collo «E dopo come faresti senza di me?»
«Un modo lo troverei, non temere.» ridacchia in risposta, mettendole le mani dietro le ginocchia per sorreggerla, continuando a camminare in tutta tranquillità «Che ne dici se ci troviamo una stanza, ci riposiamo un'oretta, mangiamo qualcosa e poi si va a prendere tutta la roba che ti serve?»
Akemi annuisce convinta, poggiando il mento sulla sua spalla, guardandosi attorno con sguardo meravigliato. Le piace quel posto: è curato, calmo, pacifico. Ogni cosa, anche la più insignificante, le trasmette un forte senso di serenità.
Serenità che però va a farsi friggere non appena i suoi dolci occhioni di ghiaccio incrociano la prima vetrina, allestita in maniera impeccabile e assai invitante.
«Guarda che bel vestito!» urla agitandosi sulle sue spalle, puntando il dito verso un lungo vestito bianco con un profondo scollo, impreziosito da piccole pietre che ne seguono il contorno «Dopo lo provo sicuramente!»
«Tu mi hai trascinato fino a qui solo per dei vestiti?» domanda vagamente disturbato Ace, guardandola in cagnesco.
«No.» risponde secca Akemi, incrociando i suoi occhi e sorridendogli con aria furbetta «Anche per scarpe, gioielli, occhiali, sciarpe, cappelli, trucchi-»
«Vaffanculo.» ringhia a denti stretti, notando dopo pochi passi una piccola pensione, verso la quale si dirige immediatamente a grandi falcate. In fondo è in centro e pure vicina a quella che sembra essere una locanda niente male... meglio di così!
Non appena entrano gli sguardi dei presenti saettano immediatamente su di loro, ma giusto per pochi secondi. A Dejima la gente è tranquilla e pacifica, e l'arrivo di un paio di pirati non gli fa né caldo né freddo, anche se fanno parte della più temuta ciurma di tutti i mari e uno dei due ha una taglia di 550.000.000 che gli pende sulla testa.
«Prendiamo una o due stanze?» domanda Ace mettendo la ragazza a terra, dirigendosi verso la direzione in tutta tranquillità, inconsapevole di quanto quella domanda gli si ritorcerà contro.
«Facciamo una. I soldi ci serviranno per le spese e per stasera!» afferma convinta Akemi, sorridendogli raggiante.
«Ma quanto siamo allegre!»
«Perché la cosa sembra sorprenderti?» domanda incerta, inarcando un sopracciglio e osservandolo attentamente.
«Ma, sai... siamo lontani dalla nave, da Marco...» afferma fingendosi sovrappensiero Pugno di Fuoco, non riuscendo a trattenere un sorrisetto.
«E questo dovrebbe influire in qualche modo sul mio umore?» si finge completamente indifferente alla sua affermazione, ma in realtà è assai preoccupata. Non può permettersi di far trapelare qualcosa! È già troppo il fatto che Halta sappia.
«Pensi che sia cieco, ragazzina?» le domanda sarcastico, afferrando la chiave che una vecchietta pressoché sorda gli allunga con la mano che trema per via della vecchiaia, senza staccare neanche per un secondo gli occhi dalla stropicciata rivista che tiene quasi attaccata alla faccia.
«Guarda che ho visto come lo guardi! Poi anche ieri sera eravate soli soletti sulla caffa... no, via. Ti piace!» afferma più che convinto, facendola ridere forte.
«Certo che ne hai di fantasia, zolfanello caro.» lo sfotte cercando di tornare seria, quasi correndo su per le scale per arrivare alla loro stanza e potersi così buttare a peso morto su quello che spera sia un comodo letto.
«Non me la dai a bere, a me!» insiste, correndole dietro «Poi perché mai vai prima di me?! La chiave ce l'ho io!»
Pure lui, esattamente come succede a tutti quelli che ci stanno troppo a stretto contatto, si ritrova a comportarsi in modo più infantile del solito, tanto da mettersi a correre per lo stretto corridoio sventolando la chiave in aria.
Quando finalmente si decide ad aprire la porta, Akemi si fionda dentro la stanza senza tante cerimonie.
È arredata in modo semplice: un divanetto al centro della stanza, davanti alla quale è posto un tavolino basso su cui è poggiato un vaso con dei fiori ormai secchi e, accanto alla porta del bagno, un grande letto matrimoniale con delle lenzuola bianche, affiancato da una piccola cassettiera.
«Non sarà il massimo, ma direi che può andare, mh?» domanda Ace sorridendole allegro mentre butta a terra la sacca che fino a quel momento aveva tenuto in spalla.
«Va benissimo.» Akemi, senza esitazioni, si butta a peso morto sul letto, chiudendo gli occhi e sospirando forte «Il letto è comodo.»
«Morbido?»
Akemi annuisce, girando la testa verso di lui e sorridendogli dolcemente, per poi portarsi le mani al collo e tirando verso l'alto la catenella che fino a quel momento aveva tenuto nascosta, da cui pende il medaglione che trovò tempo addietro.
Ace lo nota e, dopo essersi sdraiato al suo fianco, glielo sfila di mano, guardandolo con attenzione. Ha un'aria antica e stranamente potente, con quella piccola pietra rossa dall'aria pregiata e ipnotica.
«Come mai te lo sei messo?» le domanda realmente incuriosito, cercando i suoi occhi che però continuano a fissare il curioso ciondolo.
«Così, mi andava.» risponde semplicemente, sfilandoglielo di mano prima di alzarsi e stiracchiarsi «Senti, io vado a farmi una doccia. Dopo scendiamo a mangiare qualcosa, ok?»
Ace ha sentito giusto la parola mangiare di tutto quello che ha detto, troppo preso dal fissarla imbambolato mentre si spoglia di fronte a lui, rimanendo in intimo. La osserva in tutti i suoi movimenti, simili a quelli di una pantera. Osserva quel corpo snello e slanciato, le gambe lunghe e muscolose, bianche come il latte. Osserva il suo viso riflesso nello specchio posto di fronte a lei, il viso di un angelo maledetto con gli occhi di ghiaccio.
Dentro sta conducendo una dura lotta: la parte razionale della sua mente gli dice di distogliere lo sguardo, di smettere di eccitarsi per sua sorella, mentre quella irrazionale gli urla di spogliarsi a sua volta e di raggiungerla sotto la doccia, mandando a puttane il loro tenero rapporto di amicizia.
Questa dura lotta, però, non ha vincitori: Akemi infatti si è chiusa a chiave in bagno senza badare a lui neanche per mezzo secondo, lasciandolo così da solo a calmarsi.
'Ok, ragioniamo un secondo: è Akemi, siamo compagni di ciurma, fratelli praticamente... se facessi qualcosa, rovinerei tutto, no?'
In realtà non ne è per niente convinto. Neanche una sola cellula del suo corpo è convinta di quel pensiero, ma anzi è certa che qualcosa si possa fare. Eccome.
In fondo non sarebbe la prima volta che sente di cose simili. Sono tanti i casi in cui due componenti della stessa ciurma se la spassavano insieme senza tanti problemi, e mai nessuno se ne è lamentato. C'è da prendere in considerazione, però, che nessuna di quelle ciurme aveva come capitano Edward Newgate.
'Mi staccherebbe la testa di netto!'
Si passa le mani sul volto, ulteriormente combattuto, giungendo infine ad una semplice e assai ragionevole conclusione.
'Io non farò niente. Assolutamente niente. Se sarà lei a cercare me, bene, sennò va bene così.'

«Si può sapere che ti prende, Ace?»
Il comandante alza gli occhi dal piatto ormai vuoto di fronte a sé, incrociando con aria dubbiosa gli occhi della minore.
«Da quando siamo scesi a mangiare non hai aperto bocca.» constata Akemi, bevendo un piccolo sorso d'acqua fresca per sciacquarsi la bocca «Che è successo?»
«Sono solo un po' stanco.»
«So che non mi stai dicendo tutta la verità, Ace... ma non ho alcuna intenzione di pressarti per farti parlare.»
«Brava.» sorride appena, Ace, lasciando vagare lo sguardo per la piccola mensa della pensione, dove bivaccano una decina di persone, tutte abbastanza in là con l'età.
«Andiamo a fare spese?» domanda speranzosa Akemi, sorridendogli in modo raggiante, incurante degli sguardi colmi di bile che i presenti le lanciano alla vista dei suoi bizzarri denti.
Pure Ace non se ne rende conto, troppo sgomento all'idea di essere trascinato di negozio in negozio per badarci «Andiamo...»
Akemi non se lo fa ripetere due volte e, dopo averlo afferrato saldamente per un polso, scatta in piedi e corre verso l'uscita, più che intenzionata a comprare tutto quello che può. Certo, i fondi non sono molti, ma sono più che sufficienti per farsi un guardaroba decente.
Cammina per le strade della tranquilla cittadina mano nella mano con Ace, guardando con attenzione le vetrine per scegliere quale sarà il primo negozio, optando infine per quello con i vestiti più semplici e, probabilmente, economici.
Entrano dentro tranquilli, venendo cordialmente salutati dalla commessa che sta al bancone, una donna sui quaranta dall'aria amichevole.
«Posso esservi utile?» domanda gentilmente, facendo loro un dolce sorriso.
«Diamo un occhiata in giro, se non è un problema.» risponde con una certa incertezza Akemi, abbozzando un sorriso, mentre Ace prega silenziosamente ogni divinità conosciuta affinché avvenga una catastrofe naturale che lo salvi da quell'ingiusta tortura.
«Certamente! Se avete bisogno di qualcosa non esitate a chiedere.» risponde sempre con la gentilezza la donna, mettendosi seduta su una comoda seggiolina e cominciando a sfogliare distrattamente una rivista di moda.
I due cominciano così a curiosare per i vari scaffali in tutta tranquillità e in pochi minuti Ace si trova le braccia ricoperte dai vari vestiti che la ragazza vuole provarsi.
«Lo sai che ti sto odiando in questo momento, vero?»
Akemi gli fa la linguaccia, togliendogli di dosso un paio di pantaloncini di jeans chiaro e una maglietta corta ed entra nel camerino.

Ace, vicino alla prima crisi isterica della sua vita, si butta a peso morto su una poltroncina, sbuffando più sonoramente che può, giusto per farsi perfettamente sentire dalla cara sorellina che si cambia.
La commessa spunta alle sue spalle, porgendogli cordialmente una piccola tazza di tè, che accetta volentieri.
«Ho visto tanti ragazzi fare quella faccia quando le loro fidanzate si provavano i vestiti!» afferma ridacchiando, girando sui tacchi per tornare il più velocemente possibile alla sua interessantissima rivista.
«Noi non-» Ace non fa in tempo a controbattere, attirato dal fruscio della tenda del camerino che viene spostata «Scherzi, vero?» sibila incupendosi subito di fronte a quella visione: i pantaloncini sono decisamente troppo corti, così come la maglietta grigia che le lascia l'addome e le braccia scoperte. Ok che l'idea di andarci a letto l'ha sfiorato più e più volte, ma si tratta comunque di Akemi!
«No, amore.» lo prende in giro Akemi, facendolo sbuffare di nuovo. Ridacchia appena di fronte alla sua espressione scocciata, per poi cominciare ad ammirarsi allo specchio «Questi vanno bene, mi piaccio.»
«Ma sei nuda!» controbatte subito il maggiore, facendo sogghignare pure la commessa.
«Tu vai in giro solo con dei bermuda, quindi non hai nessuna voce in capitolo.»
«Lo ripeto: ti odio in questo momento.»
«Bada a quello che dici, Ace, o ti lascio!» scherza di nuovo, facendolo quasi ringhiare per la frustrazione. Gli toglie tutti i vestiti di dosso e li ammassa nel camerino, più che decisa a provarseli tutti e di non fargli più vedere niente. Non ha alcuna voglia di venire infastidita in quel momento!
Passano lentamente venti minuti e finalmente Akemi esce da quell'angustio spazio, carica di roba, trovando Ace che se la dorme beato, preda dell'ennesimo attacco di narcolessia.
«Signorina, credo che il suo fidanzato non si senta molto bene...» mormora preoccupata la donna, senza staccare gli occhi dal pirata che da un momento all'altro è crollato con il busto in avanti «Stava bevendo il tè e poi è svenuto!»
«Stia tranquilla signora, va tutto bene.» posa in tutta tranquillità i vestiti sul bancone per poi raggiungere l'amico a cui, senza tante cerimonie, tira un sonoro ceffone in testa, facendolo riprendere di colpo «È solo narcolettico.»
La donna, assai sorpresa, barcolla fino al bancone per imbustare la roba e fare il conto, ascoltando disinteressatamente le urla del ragazzo, innervosito dal brusco risveglio.
«Non potresti essere un po' più delicata, Akemi?!»
«Ma falla finita, Ace. Non ti saresti svegliato in nessun altro modo, non negarlo.» lo zittisce sorridente, sistemandosi la logora maglietta e legandosi i capelli, mettendo poi in bella vista il medaglione che le carezzava fastidiosamente la pelle.
«Quando le devo?» domanda sorridendo allegra, turbandosi di fronte all'espressione quasi impaurita della commessa «Va tutto bene?» domanda titubante, senza muoversi di un millimetro.
La donna balbetta qualche parola sconnessa, imbustando i vari vestiti velocemente e porgendoli poi ai due, sorridendo nervosamente «Va- va bene co- così, grazie!»
I due pirati afferrano con incertezza le buste, uscendo dal negozio velocemente e voltandosi subito dopo quando sentono la serratura scattare.
«Che diavolo le è preso?» domanda Akemi, guardando con aria dubbiosa il compagno.
«Probabilmente ci avrà riconosciuti e si è spaventata.» ipotizza, poco convinto delle proprie parole. Insomma, è stato per quasi mezz'ora con la schiena in bella vista, gli sembra improbabile che solo in quel momento abbia connesso il fatto che fanno parte della ciurma di Barbabianca.
«Ha reagito in quel modo quando ha visto questo...» mormora perplessa, rigirandosi il medaglione tra le mani «Perché?»
«Cosa vuoi che ne sappia io?!»
«Se chiediamo in giro?»
«Se invece non chiediamo niente, prendiamo i tuoi dannatissimi vestiti e ce ne torniamo in camera a riposare?»
Malgrado sia decisamente curiosa di sapere il perché di quella reazione insolita, decide di accontentarlo. Tanto poi dovrà fare delle piccole commissioni da sola, quindi avrà tempo per chiedere.
«Senti un po': tutta questa roba non ci sta sullo striker. Come hai intenzione di portarla alla nave?» le domanda dopo qualche istante Ace, sollevando le varie buste che la sorellina gli ha mollato.
«Semplice: prendiamo una piccola scialuppa, la leghiamo di lato allo striker con delle cime e la copriamo con un telo per evitare che la roba si rovini. Più semplice di così!» risponde con ovvietà Akemi, entrando in un altro negozio, seguita a ruota dal maggiore.
«Sei un'insopportabile saputella a volte, sai?!»

Le ore scorrono veloci, le buste aumentano a dismisura e neanche un berry lascia le loro tasche.
Akemi è oltremodo euforica, tanto da non chiedersi neanche più perché le persone reagiscano in quel modo alla vista del medaglione che le pende dal collo, mentre Ace è sempre più allettato dall'idea di suicidarsi in maniera violenta. Non ne può assolutamente più, tanto da arrivare a pensare che un soggiorno ad Imperial Down sia migliore di quell'infinita tortura che gli sta infliggendo.
'Se quelli del Governo mi vedessero ora mi dimezzerebbero la taglia in un secondo! Io, Ace Pugno di Fuoco, ridotto a porta buste!'
«Se vuoi andare a riposarti vai pure.» afferma di punto in bianco Akemi, sorridendogli in un modo che lo insospettisce.
«Che devi fare?» le domanda scettico, nascondendo una più che giustificata felicità. Finalmente potrà disfarsi di tutte quelle buste e non somigliare più ad un animale da soma!
«Devo andare a comprare delle cose e tu non puoi venire.»
«Perché no?»
«Perché sono cose da donna!»
«Certo, perché perdere una cosa come quarantacinque minuti per scegliere dei tacchi è tipicamente da uomo!» controbatte piccato, assolutamente contrario a lasciarla gironzolare da sola. In fondo l'ultima volta che l'ha fatto non è andata molto bene.
«Dai, voglio farti una sorpresa!» lo supplica facendogli gli occhioni dolci e cingendogli la vita con le braccia, sorridendogli amabilmente «Ti preeego!»
Sbuffa per l'ennesima volta, Ace, rigirandosi corrucciato e dirigendosi a passo di marcia verso l'alloggio, biascicando bestemmie ed insulti a mezza bocca.
Akemi sghignazza felice, trotterellando allegra verso l'ultimo negozio della lista.
'Sei felice, brutto stronzo? Ho preso tutta la roba che volevi!'
Il suo passo rallenta velocemente quando non sente arrivare nessuna risposta. In effetti, è dal giorno prima che non lo sente. Da quando gli ha detto di sparire dopo che ha ipnotizzato il babbo, per essere precisi.
'Týr?' si blocca in mezzo alla strada, aspettando pazientemente una risposta 'Ehi, schizofrenico, parlo con te! Mi avevi fatto una promessa, ricordi? Mi avevi detto che mi avresti condotto in un posto per trovare una cura per il babbo!'
Niente. Non un insulto o uno sbuffo. Assolutamente niente.
La rabbia sale velocemente dentro di lei, tanto da accecarla per un istante.
'Mi hai mentito. Mi hai spudoratamente mentito! Per cosa, poi?! Per farmi prendere dei fottutissimi vestiti?! Sei solo uno stronzo, mi senti?! UNO STRONZO! Ma questa me la paghi, sai? Non appena ti rivedo in quello stramaledetto limbo ti faccio passare completamente la voglia di fare questi giochini inutili!'
Senza riuscire a trattenere un profondo ringhio gutturale, entra nel negozio che già da un po' aveva notato, facendo tremare di paura i commessi, che subito si precipitano ai suoi piedi.
«Co- cosa possiamo fare per lei, signora?» domanda più che intimorito il proprietario del negozio, guardandola con timore e rispetto.
Akemi lo fissa con astio, trattenendosi con tutta sé stessa dallo sfracellargli la testa contro il muro.
'Mi volevi carina e alla moda, imbroglione bastardo? Bene, ora vedrai.' «Voglio tutto.»

Ace cammina da solo per le vie di quella città, le buste che penzolano dalle mani e dalle braccia e la testa per aria. Era convinto che avrebbero trovato qualche problema, che sarebbe successo qualcosa di brutto, invece la giornata procede che è una meraviglia. Certo, il fatto che quel medaglione turbi tanto chiunque lo veda un po' lo insospettisce, ma è una cosa su cui può tranquillamente sorvolare. Può sorvolare un po' meno sul fatto di essere stato schiavizzato in quel modo così umiliante, ma a quello rimedierà in serata. 'Se io ho fatto quello che volevi per una giornata intera, tu stasera farai quello che voglio io! Quindi preparati, sorellina: ti cambierai, sarai gentile ed educata, ti farai tutta carina e mi offrirai da bere finché non scoppierò!'
L'unica cosa che veramente lo infastidisce in quel momento è il fatto di essere lasciato solo e il non avere niente da fare, se non passeggiare. Da solo.
«Ehi...pirata!» Si volta piano Ace verso quella voce roca di donna che l'ha chiamato con tanto disprezzo. Non che la cosa lo sorprenda in realtà, solo che non era mai successo che una persona anziana gli si rivolgesse così.
Vede una vecchia affacciarsi da una porta verde. Butta un occhio sul vecchio edificio, notando che ha un urgente bisogno di manutenzione, per poi tornare ad osservare la donna: è vecchia, piccola, secca e ricurva, con il volto pieno di rughe e gli occhi neri, vivi, i pochi capelli bianchi raccolti in una crocchia arruffata. I vestiti sono vecchi come lei, logorati. Lo guarda con paura, facendo guizzare gli occhi a destra e a sinistra di tanto in tanto, con timore, ed è proprio questo dettaglio a metterlo in un leggero stato di allerta.
'Se non sono io a spaventarla così, cosa può essere?'
«Stai in guardia ragazzo. Fuggi finché puoi.» mormora stringendosi alla porta, come a volersi nascondere.
Solo dopo quel gesto Ace nota che su quel verde consumato spunta un pentacolo di un rosso vivo. La donna continua ad accarezzarlo, mormorando qualcosa per lui incomprensibile, cosa che lo innervosisce ancora di più.
«Di cosa parli?»
«Avete portato la progenie del diavolo!» gli urla contro, spaventata e furiosa, additandolo con rabbia.
Ace scuote appena la testa, sconsolato «Che vuoi da me, vecchia?» domanda con voce seria, con una punta di risentimento.
«La progenie del diavolo, sciocco! Un essere maledetto... Ucciderà tutti noi!» urla quasi in preda ad una specie di delirio «Devi uccidere quel demone. Uccidilo... Uccidilo e sarai benedetto, ragazzo!»
«Non ho tempo per le tue stronzate, vecchia.» fa per andarsene quando la donna, con uno scatto impensabile per una persona di quell'età, lo afferra per un braccio.
«Uccidi il demone.» mormora, mettendogli in mano un vecchio e grosso libro, dalla copertina di pelle sciupata.
Ace lo osserva senza capire perché gli sia stato dato, ma non fa in tempo a chiedere spiegazioni che la donna si è già chiusa a chiave dentro casa.
Prova a bussare, ma sa già che non gli aprirà e non ha nessuna intenzione di piantare una scenata e di sfondare la porta a spallate.
Osserva di nuovo il libro. Sulla copertina c'è scritto in una tonalità sbiadita di oro “Misteri e Leggende”, con caratteri grandi, incisi nella pelle, forse a fuoco e poi ridipinti.
Ci passa piano le dita sopra, osservandolo, con uno strano stato di inquietudine dentro.
Non lo apre, non ancora.
'La gente certo non sa proprio cosa inventarsi per rompere agli altri.'
Si mette il libro sotto braccio e con aria disinvolta si dirige verso il loro alloggio, dove, per ingannare il tempo, darà uno sguardo a quello strano libro.

Stringe con forza i pugni per non pensare al dolore che sta provando alla scapola destra. Da ben settantacinque minuti ormai è sotto le mani esperte di Sarutobi, un vecchio tatuatore che puzza di fumo da far storcere il naso pure ai morti. Però è bravo, ha talento e una mano leggera e ferma, quindi si è dovuta adattare.
«Manca ancora molto?» soffia innervosita, piantandosi a sangue gli artigli nei palmi delle mani.
L'uomo non vi bada, completamente a suo agio anche di fronte al medaglione che Akemi gli ha volutamente sventolato sotto gli occhi, e in tutta calma continua a seguire le linee del disegno che la ragazza ha scelto «Ci vuole tempo per queste cose. Comunque no, mi manca giusto la bestia e ho finito.»
«Bene.»
«Posso chiederti che significato ha?» domanda con poco interesse, sfumando con fare esperto le ali del pennuto.
Akemi volta lievemente la testa, cercando i suoi occhi che però non riesce a trovare «La mia liberazione.»
«Ohhh, capisco. Ti sei ribellata a colui che ti ha creata, vero? Beh, non è la prima volta che mi capita di fare un tatuaggio con questo significato, anche se non comprendo perché voi novellini abbiate così tanto il desiderio di staccarvi dal nido e di fare di testa vostra.»
Akemi ha ascoltato con grande attenzione la sua risposta, soppesando ogni parola, non riuscendo però a coglierne il vero significato. È quasi del tutto certa che si riferisca alla separazione dalla famiglia, ai figli che abbandonano il nido per crearsi una vita propria e indipendente, ma le sue parole gli fanno capire chiaramente che non si riferisce solo a quello. C'è qualcosa di più complesso sotto che le sfugge, qualcosa che non riesce a catalogare, ma non vuole chiedere spiegazioni. La sua curiosità la sta portando sempre troppo oltre il limite e non vuole rischiare di perdersi in quel tunnel di oscurità in cui rischia costantemente di cadere.
«Posso farti un'altra domanda?» azzarda l'uomo, pulendo la pelle dall'inchiostro in eccesso e dalle gocce di sangue che quelle piccole ferite sgorgano.
«L'hai appena fatta.» risponde piatta Akemi, mentre l'idea di farlo fuori diventa sempre più allettante. Non sa perché, e neanche sa perché ha questa macabra voglia dal momento in cui si è separata da Ace, ma lo vuole. Vorrebbe sentire il suo sangue sulle mani, sentire il suo cuore spegnersi, la vita lasciare il suo debole corpo.
'Ma che diavolo mi sta succedendo?'
«Ti hanno già diagnosticato qualcosa?» domanda dopo una breve risata Sarutobi mentre fa gli ultimi ritocchi al disegno che svetta sulla sua scapola.
«Come, scusa?»
«So che solitamente quando voi ragazzetti vi staccate troppo presto avete qualche problema a livello psicologico, generalmente già diagnosticato.»
'Ma chi diavolo è questo? Cosa vuole dire con tutte queste insinuazioni?!'
«Comunque ho finito. Sono stato veloce, no?»
Akemi scatta in piedi come una molla, rivestendosi con altrettanta velocità. Si volta poi verso il tatuatore, guardandolo con aria truce «Ascoltami bene, vecchio: non so di cosa tu stia parlando, cosa tu pensi di me, ma sappi che io non ho proprio niente che non va, chiaro?»
Detto questo semplicemente raccatta le varie buste che aveva abbandonato sul pavimento e se ne va, lasciandolo da solo nel suo negozietto.
L'uomo fa spallucce, abituato pure a quel genere di reazioni: ne ha visti passare così tanti come lei che ormai non ci fa neanche più caso. Basta non mandarli in bestia e poi sono quasi docili.

Ace, dopo essere tornato alla pensione, si è buttato a peso morto sul morbido letto e si è subito messo a leggere lo strano libro che la vecchia pazza gli ha dato.
Ora, dopo quasi due ore e mezzo, continua a domandarsi perché glielo abbia donato. Che c'entrano con lui fate, demoni, magia nera, non-morti?
Continua a leggere tutte quelle stramberie con attenzione, cercando di venirne a capo e cercando anche di tradurre alcune strane scritte. Infatti quello strano libro è diviso in due parti: la prima è scritta in una lingua che non riesce a decifrare, con giusto qualche annotazione ai lati, mentre la seconda è piena di descrizioni di demoni e altri esseri soprannaturali, con tanto di raffigurazioni.
'Avete portato la progenie del diavolo!' Quelle parole gli risuonano in testa senza sosta, facendogli domandare sempre di più cosa volesse dire quella folle vecchia superstiziosa.
Per un istante aveva preso in considerazione l'idea che sapesse di chi è figlio, ma l'ha scartata velocemente. Figuriamoci se una vecchia che vive su un'isola sperduta come questa sa di chi è figlio!
Così, spinto da una disarmante noia, continua a sfogliare quelle pagine ingiallite e consumate, ritrovandosi spesso e volentieri a ridacchiare per le sciocchezze assurde che si ritrova a leggere.
'Quella vecchia pazza poteva anche risparmiarsi quella scenata e dirmi direttamente che era un libro di barzellette!'
La banshee è uno spirito femminile, descritto generalmente come una bella donna dai capelli fluttuanti, con indosso un vestito verde ed una mantella grigia. Può apparire sia come una donna che canta, sia piangente e avvolta da un velo. Altra caratteristica sono gli occhi perennemente arrossati dal pianto. Fa parte del piccolo popolo ed è uno spirito che spesso viene classificato tra quelli maligni, anche se in realtà nelle antiche leggende viene descritto semplicemente come uno spirito femminile che si aggira attorno a paludi e fiumi. Le banshee non si mostrano mai agli esseri umani, con l'eccezione di coloro che sono prossimi alla morte e a cui giunge tale presagio. È probabilmente questa la ragione per cui vengono classificate tra gli esseri malvagi.
Inoltre la banshee viene spesso rappresentata come uno spirito urlante, il cui grido ha la capacità di uccidere all'istante, o altri effetti simili.

'Izo quando urla ti stordisce... è una banshee!' pensa ridacchiando tra sé e sé, sfogliando a caso le pagine e soffermandosi su una nuova creatura, trattenendo a stento le risate.
Un ghoul è il membro di una razza notturna sotterranea. Sono esseri umani che si trasformano in orripilanti umanoidi in seguito all'abitudine di cibarsi di cadaveri umani. Per quanto terrificanti, non sono mostri necessariamente malvagi; non uccidono (si limitano a cibarsi di chi è già morto) e talvolta sostengono conversazioni intelligenti con le persone normali.”
«Quante stronzate riesce a inventarsi la gente! Da non crederci!» borbotta tra sé e sé, afferrando dal piccolo mobiletto al suo fianco uno dei biscotti che Akemi aveva imbustato, quelli che tanto gli piacciono.
Lo mangiucchia con calma, sfogliando distrattamente le pagine alla ricerca di qualcosa di abbastanza interessante e stupido che lo faccia ridere di gusto, finché non trova la raffigurazione di un'incantevole donna pressoché nuda.
Una Succuba è un demone di aspetto femminile che seduce gli uomini per avere rapporti sessuali. Secondo la leggenda assorbono l'energia dell'uomo per alimentarsi, spesso portando alla morte l'indemoniato. Secondo altre versioni del mito, spingono l'uomo al peccato con le loro tentazioni.
Appaiono agli uomini sotto forma di giovani donne di enorme bellezza, capaci di ineguagliabili arti seduttive ed erotiche derivanti dalla loro natura diabolica.

'Cazzo, questa è Akemi!' non riesce a trattenere una sonora risata, tanto forte da dover chiudere il libro per potersi tenere la pancia.
In quel momento Akemi fa il suo ritorno, trovando così il compagno che quasi cade dal letto per il troppo ridere.
«Ehi, che è successo?» gli domanda sorridendo, posando le buste a terra e trotterellando verso di lui, dimenticandosi tutto in un colpo del malumore che provava fino a tre secondi prima.
«Una vecchia prima mi ha dato questo libro... fa morire dalle risate!»
«Allora più tardi gli darò un'occhiata.» si sdraia al suo fianco a pancia in giù, poggiando dopo qualche istante la guancia sul suo torace «A parte leggere che hai fatto oggi?»
«Mi sono annoiato a morte.» borbotta fingendosi offeso. Abbassando lo sguardo, poi, nota una medicazione sulla sua spalla e subito un campanello d'allarme gli martella nel cervello «Che ti è successo?!»
«Mh? Ah, questo?» gli sorride con aria furbetta, Akemi, scattando in ginocchio e togliendosi la maglietta senza tante esitazioni, abbassando poi la spallina del reggiseno «Togli pure.»
Ace, invece di imbestialirsi come sarebbe invece giusto, si appresta a toglierle la grossa fasciatura, sorridendo come un bambino di fronte al nuovo disegno che svetta sulla pelle candida della ragazza. A lui d'altra parte piacciono i tatuaggi, non se la sente proprio di rimproverarla per questo.
«Ti piace?» domanda sorridendo speranzosa, voltando un poco la testa verso di lui.
«Si, dai. Ma come mai proprio un colibrì e una gabbia aperta?» domanda incuriosito, tornando poi sul comodo materasso a sgranocchiare biscotti.
«Rappresenta la nostra vita, se ci pensi. I pirati, in fondo, rappresentano uomini e donne che non hanno voluto piegarsi al volere del Governo e vagano indipendenti per i mari, liberi da ogni catena... da quella gabbia soffocante che è la società.»
«Bastava che dicessi “libertà”, sai?» sghignazza divertito il maggiore, pulendosi dalle briciole, afferrando subito dopo l'ennesimo biscotto «Quando torniamo chiedi a Satch di rifarteli? Se glielo chiedo io mi sputa in un occhio!»
Akemi scoppia in una cristallina risata, di nuovo serena come quella mattina. Non le importa più del fatto che Týr le abbia mentito, che non le parli più, che il giorno prima abbia fatto delle cose orrende. No, assolutamente. Adesso le importa solo di Ace, della sua allegria contagiosa, delle sue battute stupide e del bene che si vogliono.
«Per stasera hai già dei programmi?» domanda prendendo anche lei uno dei biscotti e mangiucchiandolo con calma, gustandoselo a fondo. D'altra parte, vista la velocità con cui Ace li tira giù, non può davvero sperare di poterne mangiare altri.
«Si va a mangiare e poi a far festa, che domande?!» le risponde euforico Ace, facendola ridacchiare.
«Beh, allora penso che dovrò andare a prepararmi!» scatta in piedi velocemente, afferrando molte delle buste abbandonate in giro per la stanza e trascinandole nel microscopico bagno.
«Akemi, capisco che voi donne siete di una lentezza disarmante nel prepararvi per uscire, ma mancano ancora un paio d'ore all'ora di cena!»
Akemi semplicemente si volta verso di lui, guardandolo come se avesse appena detto un'eresia impensabile «Senti, è la prima volta che ho la possibilità di cambiarmi per uscire la sera, quindi voglio fare tutto con estrema calma.»
«E se ho bisogno del bagno?» domanda sarcasticamente il pirata, riprendendo in mano il libro, pronto a farsi altre risate.
Akemi non si perde nemmeno a rispondergli, sbuffando divertita e chiudendosi dentro a chiave, cominciando a frugare nei sacchetti per scegliere il vestito adatto.
Non lo credeva possibile, ma le importa di quelle frivolezze. Non ci aveva mai badato, non ci aveva proprio mai pensato, ma ora le trova vagamente necessarie. Tutte quei gioielli luccicanti, quelle scarpe alte ed eleganti, quei vestiti attillati e corti... sente come una profonda attrazione per quelle cose.
In realtà, anche se non se ne è resa conto, qualcosa dentro di lei sta mutando, maturando, e sta cominciando a rosicchiare le catene che lo tengono prigioniero. Perché quel qualcosa vuole la libertà, vuole correre libero, vuole scatenare tutto il suo potere, ma prima di riuscirci dovrà scavalcare un grosso ostacolo, creato da qualcuno di cui però non ha memoria.
Ace nel frattempo si è rimesso a leggere, soffocando come meglio può le risate.
«La vuoi sentire una stronzata colossale?» urla divertito, ricevendo una risposta positiva dalla ragazza che nel frattempo si è infilata sotto la doccia «Si parla di fantasmi. Sei ferrata sull'argomento?»
«Non m'interessa il soprannaturale.»
«Beh, alla vecchia scema che mi ha dato questo si. Apri bene le orecchie, così estendi la tua già ampia conoscenza!»
Si alza in piedi e si trascina fin davanti alla porta, poggiandosi con la schiena contro il muro e cominciando a leggere le righe sbiadite che circondano l'immagine sfocata dell'essere descritto.
«”Un fantasma è l'anima di una persona che ha perso la vita attraverso una morte violenta e non ha diritto di passare nell'aldilà o che resta sulla Terra per proteggere qualcuno. È una presenza incorporea, spesso caratterizzata da alcuni elementi (avvolta in un sudario oppure senza testa, contornata da una certa luminescenza o che produce un rumore di catene). I più conosciuti e temuti sono i poltergeist, degli spiriti chiassosi, che si manifestano emettendo forti rumori come dei battiti contro il muro o facendo sbattere porte e finestre in modo violento. I poltergeist interagiscono in un determinato ambiente di appartenenza (dove si pensa presumibilmente siano stati legati in vita) spostando oggetti come mobili, soprammobili, rompendo piatti e rovesciando bicchieri e bottiglie. Raramente le loro attività non sono ostili.”
Cioè, ma ti rendi conto cosa va ad inventare la gente?» scoppia a ridere di nuovo, Ace, sentendo che il getto dell'acqua è stato chiuso.
«Non penso sia una cosa così assurda... possono anche mangiare?» domanda divertita, aprendo un poco la porta e sporgendo giusto la testa per poterlo guardare in viso.
«Qui non lo dice... perché? Vuoi offrirgli i biscotti?»
«In realtà ero arrivata a pensare che la nave fosse infestata... sai, sparisce sempre la carne durante la notte.» gli fa l'occhiolino, divertita dalla sua espressione indispettita, per poi richiudersi nel bagno «Torna pure alla tua interessante lettura, poltergeist dalle mani lunghe, che io mi devo preparare!»

La serratura della porta scatta, la maniglia si abbassa lentamente.
Ace, arcistufo di tutta quell'attesa, scatta a sedere sul bordo del letto, guardando la porta che lentamente si apre con ostilità. Ostilità che però sparisce nell'esatto istante in cui i suoi occhi si posano sulla figura della ragazza: un vestito nero, corto, scollato ed aderente, mette in mostra le lunghe gambe e il petto formoso, i tacchi alti slanciano la sua figura; le labbra sono state dipinte di nero, gli occhi truccati con dell'ombretto scuro che li fa risaltare ulteriormente.
«Allora? Come sto?» domanda incerta la ragazza, allargando le braccia e guardandolo con un certo imbarazzo.
«Sei uno schianto...» mormora con un filo di voce, guardandola con occhi completamente diversi dal solito. Certo, si era già largamente reso conto che fosse una gran bella ragazza, ma adesso ai suoi occhi appare come qualcosa di oscenamente bello, tanto che l'idea di portarla fuori lo preoccupa. Non potrebbe sopportare la vista di qualche idiota che prova ad abbordarla!
«Bene!» sorride raggiante, Akemi, afferrandolo con decisione per un polso e trascinandolo verso la porta «Andiamo dai, ho una fame da lupi!»
«Se Marco ti vedesse adesso non farebbe più tanto il prezioso!» scherza, affiancandola velocemente e mettendole un braccio attorno alle spalle, giusto per far capire a chiunque la veda che non la deve avvicinare.
«Ancora con questa storia? Sei noioso.»
«Dico solo la verità, al contrario tuo.»
«Ma infatti ho detto la verità, brutto malfidato.» non può far altro che mentire e fingersi offesa dalle sue insinuazioni, Akemi, pensando alle più disparate vie di fuga.
«Quanto vorrei avere la tua capacità di sentire il battito cardiaco degli altri.» borbotta roteando gli occhi al cielo, Ace, mentre nella sua mente cerca di ricordarsi dov'era la locanda in cui aveva deciso di portarla quel pomeriggio.
«Non percepiresti alcuna variazione.»
«Si, certo.»
Camminano con passo calmo per le strade affollate della cittadina, notando molte più persone di quel pomeriggio, probabilmente arrivate con una nave da viaggio. In pochi prestano loro attenzione, guardandoli di sfuggita e cambiando velocemente strada quando notano i Jolly Roger che adornano la loro pelle.
Ace, che finalmente ha trovato la locanda che voleva, afferra distrattamente Akemi per la mano e la porta dentro, conducendola senza tante storie al primo tavolo vuoto che trova ed Ace subito fa segno all'uomo dietro al bancone perché gli porti da bere.
L'uomo, avendo immediatamente riconosciuto i due, si affretta a portare due enormi boccali pieni di birra al loro tavolo, muovendosi goffamente tra i vari clienti.
«Ace, lo sai che non bevo.» afferma sorridendo Akemi, allungandogli il proprio boccale e voltando lo sguardo verso la band che suona una canzone allegra in fondo alla stanza.
«Questo è inesatto: tu non bevi sulla nave perché hai paura che il babbo ti spacchi il bicchiere in testa, non è che non bevi.» controbatte prontamente Pugno di Fuoco, attirando così la sua attenzione.
«Ti sbagli.»
«Assolutamente no.» le allunga di nuovo la birra, sorridendole con aria furbetta «Ne hai bisogno, sorellina, credimi. Sei sempre tesa, pensierosa. Pure oggi eri spesso con la testa tra le nuvole!»
«È tanto grave pensare?»
«Ovviamente no, ma scervellarsi così su ogni singola cosa può essere dannoso per te. Non riuscirai mai a goderti a pieno la vita se ti soffermi sempre ad arrovellarti su tutto, credimi.»
Akemi abbassa lo sguardo, prendendo il bicchiere e guardandolo con aria incerta.
«Ci stai pensando anche adesso.»
Si lascia sfuggire una lieve risatina, rendendosi conto subito dopo che il proprietario del locale adesso la guarda con timore.
«Come faccio a non scervellarmi su tutto, Ace? La gente continua a fissarmi in modo strano, con paura... non so da dove provengo, sono apparentemente immortale e nessuno sa spiegarmi il perché-»
«Ok, ok, ferma!» la interrompe prontamente Ace, costringendola a prendere saldamente in mano il boccale e spingendolo verso il suo viso «Sai come si dice in questi casi? Giù i pensieri e su i bicchieri, piccola!»
Akemi lo guarda bere con ingordigia, arrendendosi di fronte al suo infondato desiderio di farla bere e quello più giustificabile di farla divertire.
Avvicina il boccale alle labbra, i primi sorsi vanno giù veloci, freschi, deliziosi.
Una birra non è un problema, Akemi lo sa. Il problema sta nel fatto che ne vuole di più, sempre di più, vuole osare sempre di più, e il passo che precede una sbornia colossale è assai breve.
Infatti ci vogliono poche ore che i due si sono girati quasi tutti i locali della cittadina, trangugiando quanto più alcol possono, fregando bottiglie da dietro al bancone, urlando e ridendo. Ballano a ritmo delle canzoni allegre che sentono, si lasciano trascinare dalle persone che li circondano.
Ace si lascia baciare da alcune sconosciute che ai suoi occhi appaiono decisamente belle, ma non può sperare in qualcosa di più. Akemi infatti lo interrompe ogni volta, spuntando dal niente, prendendolo per un braccio e allungandogli altro alcol, incenerendo con lo sguardo qualsiasi donna bramante di sesso.
Dentro di lei si muove qualcosa, velenoso e corrosivo.
Gelosia, rabbia, possessività però sono solo la punta dell'iceberg. C'è di più dentro di lei: voglia di distruggere, di far baldoria, di continuare a martoriare il proprio fegato con smisurate dosi di alcol e, non meno importante, un'incredibile voglia di affondare le dita tra i capelli corvini dell'amico e di baciarlo con la stessa passione bruciante di quelle donne.
Ballano insieme adesso, muovendosi come due cercopitechi epilettici, sbattendo contro qualsiasi oggetto o persona a loro vagamente vicina, scivolando a terra, ridendo come impazziti.
«Andiamo in camera?» gli domanda con un sorriso malizioso Akemi, abbandonandosi tra le sue braccia, completamente incapace di reggersi ulteriormente in piedi su quei trampoli che assurdamente ha deciso di indossare. L'unica nota positiva sta nel fatto che finalmente è alla sua altezza e non si deve più sentire una specie di nanetta.
«Diavolo, si!» risponde un più che euforico Ace, mettendole un braccio attorno alla vita e barcollando con passo malfermo verso l'uscita, non prima però di aver rubato una grossa bottiglia di rum da dietro il banco.
Barcollano a braccetto, stretti l'uno all'altra, ridendo per un niente di fatto, biascicando frasi senza un senso logico e completamente sconnesse tra loro.
Nessun pensiero li sfiora in quel momento, neanche che la marina potrebbe arrivare da un momento all'altro o, ancora peggio, che Barbabianca potrebbe venire a sapere in qualche modo che la sua adorata bambina si è ubriacata pesantemente.
Niente, solo quello di arrivare in fretta al loro alloggio e buttarsi sul letto, a ridere ancora insieme, a far sparire per magia il contenuto invitante della bottiglia che Ace tiene stretta in mano.
Il problema è che nessuno dei due ha preso in considerazione quello che adesso si sta rilevando un enorme ostacolo: le scale.
Infatti le loro capacità motorie sono assai scarse in questo momento, e l'unica soluzione sembra quella di gattonare per riuscire a salire. Ma anche questi semplici movimenti sembrano complicati, considerata anche la scarsa illuminazione che non permette loro di vedere dove mettono mani e ginocchia, così si trovano a strisciare verso la camera, disturbando tutti con le loro risate sguainate.
Ma che gli importa? Fanno parte della ciurma di Barbabianca, nessuno oserebbe toccarli!
«Vedo la nostra stanza.» biascica Akemi, rotolandosi sul pavimento per poi riuscire a mettersi a quattro zampe e gattonare fino alla maniglia, che però non riesce ad aprire. Pure Ace, miracolosamente in piedi, trova qualche difficoltà nell'inserire la chiave nella toppa, riuscendoci solo grazie ad una forte determinazione. Non ha alcuna intenzione di dormire per terra!
«Il mio lettino!» urla Akemi, riuscendo a mettersi in piedi e barcollando sui tacchi alti verso il morbido ed invitante letto, su cui si abbandona senza tante cerimonie.
Ace, poggiato con la schiena contro la porta, non riesce a trattenere le risate nel guardarla mente prova a togliersi i vestiti, che quasi vengono strappati dalla foga.
«Me li togliii?» urla, scoppiando subito dopo in una fragorosa risata, alzando i piedi in aria e muovendo a scatti.
Ace, seppur a fatica, riesce a trascinarsi verso di lei e a sfilarle quei sandali dall'intricata chiusura, buttandoli subito dopo da un lato. Si spoglia a sua volta, rimanendo in boxer, buttandosi a peso morto dalla sua parte del letto e guardandola mentre sbatte a destra e a sinistra in cerca di una maglietta per dormire. Grazie ad un qualche intervento divino riesce a rimanere fermo e zitto quando la vede, seppur dandogli le spalle, togliersi il reggiseno e buttarlo a terra.
Ma quell'intervento fortuito viene velocemente annegato dall'alcol ed Ace non riesce a trattenersi oltre.
«Perché ti metti la maglia? Dormi in mutande come me!» propone con finta innocenza, sorridendole maliziosamente.
Akemi, troppo ubriaca per cogliere il fine di quella richiesta, scoppia semplicemente a ridere e lo raggiunge sul letto, mettendosi sotto le coperte «Sei un coglione!»
Rimangono in silenzio per un po', entrambi impegnati in una lotta interiore per evitare di vomitare anche l'anima, finché Ace ripensa alle sue parole e sente una leggera tristezza avvolgergli il cuore.
«Davvero pensi che sono un coglione?» le domanda rattristato mentre continua a fissare il soffitto, facendola sbuffare.
«Ma certo che no! Perché me lo chiedi?»
«Perché ultimamente mi dai troppo spesso del coglione.» borbotta fingendosi mortalmente offeso, incrociando le braccia al petto e voltando la testa dall'altra parte in modo teatrale «Ora dimmi cosa pensi davvero di me.»
«Perché scusa?» domanda ridacchiando la minore, passandosi la lingua sulle labbra alla ricerca di qualche residuo di alcol, che però non riesce a trovare.
Ace ridacchia a sua volta, senza però abbandonare il cipiglio offeso «Sai com’è, ci tengo a sapere che opinione hai di me.»
«Ma lo sai che opinione ho di te!»
«E sarebbe?» si gira di lato verso di lei, aggrovigliando il lenzuolo tra le gambe.
«Sei un bambinone imprevedibile e anche vagamente rozzo-»
«Ah grazie!» rimette il finto broncio, Ace, trattenendo a stento una risatina.
«Aspetta, non ho finito! Sei affidabile, gentile e affettuoso-»
La interrompe di nuovo, stavolta assumendo un tono assai divertito «In pratica sono un cucciolo di cane! Manca solo che scodinzoli!»
Stavolta anche Akemi scoppia in una leggera risata, non riuscendo però a trattenersi dal continuare a parlare a causa del troppo alcool ingerito «Ho dimenticato permaloso e rompiscatole.»
«Come sei dolce.» grugnisce, offeso, rigirandosi a pancia all'aria e passandosi una mano tra i capelli corvini.
«Ma soprattutto sei adorabile ed è impossibile non volerti bene.»
«Uhm. Stai migliorando, ma puoi fare di meglio per farti perdonare.» sbuffa, afferrando distrattamente una ciocca dei lunghi capelli della ragazza e rigirandosela tra le dita.
«Sei attraente.»
Quest’ultimo aggettivo fa calare tra loro un silenzio improvviso; Ace deglutisce a vuoto, girandosi di nuovo verso di lei.
«Mi prendi in giro?»
«No. E’ vero, sei attraente. Sei sexy. E hai anche una voce sensuale, quando la abbassi di un tono.» Akemi non si rende realmente conto della strana piega che sta prendendo quel discorso e non riesce nemmeno a fermarsi, mandando così il pirata steso al suo fianco in un'incredibile confusione.
Ace sente un brivido di eccitazione scuotergli il corpo, e quasi dimentica con chi sta parlando.
«Direi che sei perdonata...» involontariamente abbassa la voce, sfiorando con la punta delle dita il braccio freddo della minore.
«Ecco, è questa la voce.»
«Uhm. Allora potrei davvero considerare l'idea di abbandonare la pirateria e di passare alle chatline erotiche. Una cosa tipo: ‘Ciao, sono Ace. Dimmi cosa vuoi che ti faccia, sono tutto tuo.’ Che ne pensi? Potrei fare carriera così?»
«Troppo forzato, devi essere spontaneo!» gli consiglia ridendo assai divertita, scostandosi di colpo le coperte di dosso e accavallando le gambe sotto lo sguardo incredibilmente attento del comandante.
«Ok, ce la posso fare. Visto che tanto non abbiamo sonno, ho trovato come passare il tempo: tu fai la cliente che telefona!» le ordina divertito ma deciso, preparandosi psicologicamente e ridacchiando da solo.
«Mi verrà da ridere!» Akemi in realtà sta già ridacchiando, divertita da quella situazione assurda ma del tutto innocente.
«Allora rideremo!» non sa perché sta insistendo così tanto, forse davvero solo per passare il tempo o forse per farsi ripetere che ha una voce sensuale. Fatto sta che ormai ha deciso di farlo, ignorando deliberatamente il fatto che lo sta facendo con la sua sorellina.
«Ciao, sono Ace. Tu chi sei?» si sente un cretino, cercando di non forzare un tono di voce particolare ma di usare quel tono che secondo Akemi è sensuale.
«Akemi.» trattiene a stento le risate, tenendosi una mano sulla bocca e chiudendo gli occhi per concentrarsi, sentendo che anche l'amico è nelle sue stesse condizioni.
«Ciao Akemi, che fai nella vita?» non ne sa nulla di chatline erotiche, quindi si ritrova a chiederle cose stupide come quella, come se non fosse Akemi e non fosse a neanche mezzo metro da lui, stesa al buio nel suo stesso letto.
«Sono una piratessa...» involontariamente si ritrova a dirlo con un tono di voce più basso e caldo, tanto da far vacillare per un istante Ace.
«Le piratesse sono eccitanti...» deve rimanere nel suo ruolo se vuole giocare, ma la vista delle gambe nude della minore quasi gli fa dimenticare che stanno solo giocando.
«Ah si? Beh, lo sono anche i pirati... nella mia ciurma ce n'è uno davvero attraente.»
Ace deglutisce, sforzandosi di non pensare troppo alle sue risposte, trattenendosi dallo sfiorare con le dita le gambe lunghe e incredibilmente invitanti che vede nitidamente nell'oscurità.
«E’ la prima volta che chiami, Akemi?»
«Sì… è stato per scommessa con un mio amico scemo.»
Ace sorride appena, passandosi una mano sul viso «E questa cosa ti imbarazza?»
«Un po’.»
«Non esserlo, stiamo solo scambiando due chiacchiere. Dimmi di te, come sei fisicamente?» Ace ci sta davvero prendendo gusto, anche se la situazione gli pare un po' strana. Fortunatamente per entrambi, però, l'alcool non gli fa provare quel profondissimo senso di imbarazzo che sennò li paralizzerebbe.
«Non sono molto alta, corpo troppo magro secondo alcuni compagni di ciurma, capelli decisamente troppo lisci di un nero abbagliante, gli occhi freddi come il ghiaccio e dei denti da brividi… malgrado questo, i miei fratelli mi chiamano Angioletto, e sul mio avviso di taglia sono chiamata "Angelo Demoniaco".» parla a vanvera quasi, ridacchiando per aver detto pure i suoi soprannomi, così fuori luogo in quel momento.
«Scommetto che sei una bellissima ragazza.» in realtà non deve scommetterlo, lo sa molto bene, ma mai avrebbe pensato che glielo avrebbe detto con quel tono.
«Né bella né brutta. Ordinaria. Ma tu sei gentile…» gli passa leggera le dita sul dorso della mano, sentendo la pelle a contatto con la sua come rovente.
«E tu come sei?» Akemi continua a giocare, attribuendo quelle strane sensazioni che prova al troppo alcol.
«Vuoi la versione vera o quella da contratto?» ridacchia come uno scemo, Ace, senza però riuscire ad ignorare il gesto della ragazza.
«Quella vera.»
«Sono alto, non troppo ma forse per te lo sarei. Sono piuttosto muscoloso, secondo una mia amica quando mangio faccio salire la nausea e... niente. Sono una specie di bambinone rozzo.» ripete la stessa definizione di poco prima, facendola ridacchiare appena.
«Non sembri male, scommetto che sei involontariamente sexy.»
«Così dicono… e tu?» prima che Akemi possa rispondere, però, rincara la dose, facendole una domanda che mai da lucido si sognerebbe di farle «Hai qualche vestitino sexy da sfoggiare?»
Sta diventando sempre meno un gioco e se ne rende perfettamente conto quando si ritrova girato su un fianco a sfiorare con la punta delle dita il fianco scoperto della ragazza, facendola poi scivolare lentamente sotto la maglietta leggera.
«Giusto questo pomeriggio ho comprato dei completini intimi sexy.»
«Ah sì?!» si è distratto un secondo, facendo suonare la sua voce leggermente più alta e sorpresa, non essendo a conoscenza di quel dettaglio. In realtà se lo immaginava, visto che era voluta andare da sola, ma l'idea che dentro a quei sacchetti ci siano dei completi provocanti lo manda su di giri più del dovuto.
«Certo. Anche se sono una piratessa, rimango comunque una donna. Se mi dovessi trovare un uomo attraente nel letto, vorrei fargli perdere la testa...»
Ace rimane a bocca aperta, incapace di proferir parola, mentre la sua mano si è fermata sul suo ventre.
«...e brava Akemi...» un sorrisetto malizioso gli increspa involontariamente le labbra, su cui poi passa lentamente la lingua, gesto che non sfugge agli occhi attenti della più giovane.
«Ti piace la mia voce?» le domanda quasi sovrappensiero, avvicinandosi ulteriormente al suo corpo, intrecciando una gamba tra le sue.
Si guardano negli occhi intensamente, sono troppo vicini. I loro cuori battono all'impazzata, e l'odore dell'alcool è decisamente forte, tanto da confonderli ulteriormente.
«Sì, è eccitante...»
Un brivido li percorre totalmente, facendo trattenere loro il respiro. Un brivido di eccitazione, segnale che dovrebbe porre inequivocabilmente fine a quel gioco.
Segnale che però viene completamente e deliberatamente ignorato.
Ace non saprebbe neanche dire quando si è trascinato fin sul corpo di Akemi, sovrastandola, baciandole il collo in un modo tutt'altro che fraterno.
«Ace…» è come un sottile lamento, un gemito, che gli arriva dritto all’inguine, facendolo vacillare.
«Akemi.» non è più un gioco, lo hanno capito entrambi, e inspiegabilmente la cosa non gli dispiace per niente. Lascia vagare le mani sul suo corpo, beandosi delle carezze leggere che Akemi gli lascia sulla schiena, perdendo velocemente il controllo, facendo scivolare rapida una mano verso il basso, venendo però interrotto dalla voce spezzata della ragazza.
«Saresti bravo, magari hai trovato la tua vocazione... dormiamo ora?»
Rimane imbambolato a guardarla per una manciata di secondi, annuendo poi con poca convinzione e rimettendosi nel suo lato del letto, scosso nel profondo. Non pensava che finisse così.
Akemi chiude con forza gli occhi, cercando inutilmente di riacquistare lucidità. L'alcool ingerito è troppo, l'eccitazione anche.
Senza pensare si alza di scatto a sedere, causandosi un forte giramento di testa a cui però non bada minimamente, rigirandosi per cercare la bottiglia lasciata accanto al letto, bevendo una lunga sorsata per provare a calmare i nervi scossi.
Ace la guarda con attenzione, seguendo le linee del suo corpo delineate dalla luce che debolmente filtra dalle tende e in un moto spontaneo si alza a sua volta, strappandole la bottiglia di mano e bevendo con ingordigia, pensando anche lui che sia l'unica soluzione per distrarsi.
Il problema nasce dal fatto che entrambi vogliono quella maledetta bottiglia, tanto che Akemi si trascina a sedere sulle sue gambe pur di strappargliela di mano.
Beve, beve come se non ci fosse un domani, senza però riuscire ad ignorare l'erezione del ragazzo che preme contro il suo inguine, la sua mano che le stringe con decisione la vita e l'altra che le palpa un seno con forza, la sua lingua che lentamente cattura una goccia del prezioso liquido ambrato che le stava scivolando sul collo.
Accade tutto in un attimo: le loro bocche si sfiorano, cercandosi poi più avidamente, mentre le lingue si scontrano, con il sapore dolce dell'alcool ad inebriarli ulteriormente.
Le mani scorrono sui corpi scossi da brividi, le menti annebbiate dall'alcool, la consapevolezza che stanno facendo qualcosa di sbagliato li abbandona quasi immediatamente.
Non esiste nient'altro quella notte: solo loro e la bottiglia ancora stretta nella mano della ragazza.

I postumi di una sbornia clamorosa come quella sono forse la cosa più odiosa al mondo e Ace lo sta capendo perfettamente in quel momento, con la fastidiosa e pungente luce che gli folgora il cervello dolorante, lo stomaco in subbuglio e la bocca impastata.
Si stropiccia gli occhi con la mano più vicina al volto, rendendosi conto che stava dormendo abbracciato ad una bottiglia vuota di rum.
«Credo di non essermi mai ridotto così male...» mormora intontito, rannicchiandosi lentamente su sé stesso.
«Io non avevo mai bevuto e penso che non lo farò mai più...» biascica Akemi, completamente nascosta sotto le coperte, sveglia ormai da una ventina di minuti «Sei consapevole del fatto che siamo nudi?»
Passano un paio di secondi prima che Ace elabori pienamente la sua domanda e quando finalmente ci riesce, non riesce a trattenersi quasi dall'urlare.
«Cosa?!» si volta di scatto, rischiando seriamente di vomitare anche l'anima, trovandosi così costretto a reggersi la testa con le mani per il dolore.
«Tranquillo, non abbiamo fatto sesso.» lo tranquillizza la minore, spuntando solo con gli occhi da sotto il lenzuolo, guardandolo con aria furbetta «Però tu hai il collo rovinato.»
«Eh?» la guarda senza capire, ricomponendo velocemente gli eventi della sera precedente, arrivando velocemente alla conclusione di aver fatto una colossale scemenza e che, in realtà, non se ne pente minimamente.
«Ti ho riempito di succhiotti...» ridacchia, con un pizzico di imbarazzo.
Rimangono in silenzio per qualche minuto, fissando il vuoto, finché entrambi non scoppiano in una fragorosa risata.
«Siamo due deficienti!» trilla allegra Akemi, facendo emergere finalmente la testa arruffata dalle lenzuola, facendo ridere ancora più forte il pirata.
«Prima ed ultima volta che ti porto a fare spese!»
Akemi gli si accoccola sul petto, fissando fuori dalla finestra e ascoltando il battito calmo del suo cuore «Adesso che succede?»
«In che senso?»
«Cambierà qualcosa tra noi?»
Ace ci pensa su con attenzione, passandole una mano sulla testa e arrivando alla conclusione che no, non permetterà mai ad una “sciocchezza” simile di rovinare il loro rapporto.
«Beh, mi dispiace dirtelo ragazzina ma...» Akemi sente il cuore gelarsi in quel momento e di scatto alza la testa per guardarlo negli occhi, vedendolo sciogliersi in poco in un sorriso divertito «...ma non ti libererai di me tanto facilmente!»
Akemi gli tira un sonoro schiaffo sul petto, facendolo scoppiare a ridere «Maledetto idiota! Pensavo che mi avresti detto una cosa tipo "spero che tu lasci la ciurma perché non potrei sopportare di vederti"!»
«Beh, in effetti mi risulterà difficile guardarti con gli stessi occhi adesso e penso seriamente che un pochino ti farò la corte...» ridacchiano entrambi, rimanendo stretti tra le braccia l'uno dell'altra «...e penso anche che sarò un po' invidioso di Marco quando finalmente aprirà gli occhi e si renderà conto di quanto sei dannatamente fantastica.»
«Da quando sono ''dannatamente fantastica''?»
«AH! Non neghi più ehhh?»
«È inutile provare a convincerti, Ace. Ormai ti sei fissato con l'idea che mi piaccia il polletto, anche se non è così. Tanto vale lasciarti nella tua convinzione assurda.»
Ace la guarda con un sopracciglio inarcato, consapevole di conoscerla troppo a fondo per sbagliarsi «Beh, se vuoi possiamo anche fare una scommessa.»
«Dopo ieri notte non scommetterò mai più con te!» controbatte prontamente Akemi, alzandosi a malincuore dal letto, tenendosi il lenzuolo sul seno e cercando con lo sguardo la maglietta abbandonata sul pavimento.
«Oh, andiamo! Sono stato così pessimo?» scherza fingendosi offeso, lanciandole un cuscino.
Akemi lo guarda con sguardo divertito, sbuffando «Sei stato bravissimo, contento?»
«Mi dovrò accontentare, anche se lo dici con un'estrema sufficienza...» afferra al volo i vestiti che gli lancia, passandosi una mano tra i capelli spettinati, già stanco all'idea di dover prendere il mare per tornare alla nave.
«Muoviti pelandrone, il babbo sarà già in pena perché non ci ha visti rientrare all'alba!» scherza, dirigendosi verso il bagno per farsi una doccia ristoratrice.
«Vuoi compagnia? Magari t'insapono la schiena!» le urla dietro il comandante, mettendosi giusto le mutande per poterla raggiungere, più che divertito da quella strana situazione.
«Da quando sei diventato un tale imbecille?» gli urla Akemi, nascondendo a stento il suo divertimento.
«Da quando ti sei sdraiata nuda sotto di me miagolando come una gattina!»
Akemi gli lancia contro la spazzola, mancandolo per un soffio, facendolo ridere ancora più forte.
«Se invece di comportarci come due idioti, archiviassimo l'accaduto e ci comportassimo da persone mature e vagamente intelligenti?»
Ace la raggiunge in bagno, cingendole la vita e baciandole la testa, sorridente, guardando i suoi occhi nel riflesso dello specchio «Si potrebbe anche fare... ma non voglio.»
«Allora lo spiegherai tu al babbo il fatto che il primo bicchiere me l'hai offerto te, che mi hai convinta a fare quel gioco scemo, che mi hai messo la lingua in bocca e la mano in mezzo alle cosce?» è sicura di averlo fregato, di averlo messo in crisi e di potersi così risparmiare le sue battute più imbecilli del solito, ma, purtroppo per lei, il pirata non è proprio di quell'idea.
«E non solo la mano!»
Akemi lo spinge via con un colpo d'anca, alzando gli occhi al cielo e sbuffando.
«Tranquilla, Angioletto... non dirò una parola e mi comporterò meglio di fronte agli altri. Nessuno saprà di questa nostra scivolata!»

Il resto della giornata è trascorso tranquillamente.
Dopo aver rubato una scialuppa e averla legata allo striker, i due pirati sono ripartiti per tornare alla Moby Dick. Se la sono presa con calma, fermandosi in mezzo al mare per mangiare e rilassarsi, chiacchierando del più e del meno, scherzando sulla folle notte trascorsa insieme. Ace, inoltre, ha più volte rimarcato la sua convezioni riguardante i sentimenti di Akemi per Marco, ricevendo alla fine un sonoro pugno in testa e svariate minacce.
Adesso, finalmente, intravedono da lontano l'enorme nave, illuminata dai caldi raggi del sole che tramonta dietro di essa.
«Secondo te il babbo ci farà la ramanzina perché siamo tornati così tardi?» domanda vagamente preoccupata Akemi, guardandolo con aria colpevole.
«Nah.» risponde semplicemente il maggiore, facendole l'occhiolino «Sarà troppo preso nel mangiarsi le mani vedendoti vestita così.»
«Che hanno di sbagliato i miei vestiti?» domanda innocentemente, abbassando lo sguardo per capire. Indossa una maglia nera con una spallina sola che le lascia l'addome completamente scoperto, un paio di shorts di jeans chiari e dei sandali allacciati fino a metà polpaccio di cuoio nero.
«Semplice: praticamente non ci sono.»
In realtà non gli dispiace per niente ad Ace. In fondo ha avuto la possibilità di guardarla per tutto il giorno senza dover stare attento a non attirare l'attenzione di qualcuno!
«Ma falla finita!» risponde piccata, legandosi distrattamente i capelli in una treccia morbida.
Arrivano velocemente alla nave, dove vengono subito accolti calorosamente dai presenti.
«Te lo dicevo, Izo, che sarebbe tornato per l'ora di cena!» esclama un più che sollevato Satch, fino a quel momento intento a fare battute stupide per distrarsi dal pensiero che la sua adorata ed incosciente sorellina potesse correre qualche rischio.
«Ma quanto sei simpatico!» sbotta Ace, tirandogli una lieve spinta, facendolo ridacchiare «A lei non dici niente?»
Satch si volta, così come tutti gli altri, e un'incredibile voglia di strangolarli lo assale.
«Ace...» sibila, chiudendo gli occhi e respirando affondo nel vano tentativo di calmarsi «Come hai potuto permettere che si comprasse della roba simile?!»
«Anche tu ce l'hai con i miei vestiti?! Halta, difendimi!» strilla un'esasperata Akemi, sbracciando a destra e a manca, puntando poi il dito contro l'amica, che a stento trattiene le risate.
«Mi astengo dal commentare.» si tira subito fuori la piratessa, alzando le mani e sorridendole con aria divertita, andando poi ad abbracciarla.
«Stasera ti devo parlare.» mormora Akemi al suo orecchio, accendendo la sua curiosità.
«Qualche problema?»
«Se per “problema” intendi una possibile crisi a livello mondiale, allora si.» scherza Akemi, facendola ridacchiare.
Alza per un solo istante lo sguardo, Akemi, incrociando lo sguardo pacato del primo comandante, e solo in quel momento si rende conto a pieno che non è suo fratello. Non lo è mai stato. Così come non lo è Ace, come non lo sono gli altri. Ma gli altri sono solo amici per lei. Al massimo nutre una non indifferente attrazione fisica nei confronti di Pugno di Fuoco, ma niente di più.
Ma lui, la bella e fredda Fenice... lui è diverso.
Il suo sguardo duro ed impassibile la confonde; il suo profumo la stordisce, facendola andare su di giri; i muscoli lasciati in bella mostra le fanno semplicemente venire voglia di intrufolarsi per l'ennesima volta nella sua cabina e di provare ciò che non ha osato fare con Ace.
Lo vuole, troppo. 'Ma non posso averlo...'
«Il babbo?» domanda semplicemente voltandosi verso Satch, che continua a battibeccare per Dio solo sa cosa con Ace e Izo.
«Mh? Nella sua stanza, era andato a riposarsi un po'.» le risponde frettolosamente, tornando poi all'accesa discussione.
Akemi, silenziosamente, si avvia verso la sua stanza, decisa a portargli il piccolo regalo che ha nascosto tra i vari sacchetti, ancora abbandonati sul ponte della nave.
«Ma guarda chi si vede!» esclama felice il capitano, sorridendole allegro.
«Ho un regalino!» afferma sorridendo di rimando Akemi, tenendo la bottiglia nascosta dietro la schiena «Ma non dirlo alle infermiere. Sarebbero capaci di iniettarmi dell'aria in vena se lo scoprissero!»
Barbabianca scoppia in una fragorosa risata, così forte da costringere Akemi a coprirsi le sensibili orecchie.
L'uomo poi afferra il regalo e lo nasconde sotto al letto, posandole un dolce bacio sulla testa per ringraziarla del pensiero.
«È successo qualcosa?» le domanda apprensivo prima che se ne vada a sistemare le sue cose, facendola voltare.
«Tutto tranquillo!» mente spudoratamente, giusto per evitare quella che sicuramente sarebbe la più colossale parte di merda mai vista nella storia «Ci vediamo dopo a cena, babbo!» gli lancia un bacio prima di uscire, tirando un sospiro di sollievo per non aver ricevuto alcun tipo di ramanzina sul suo modo di vestire.
'Ormai penso che si sia rassegnato con me.' pensa allegra, tornando dai compagni, tutti curiosamente raggruppati, intenti a fissare qualcosa.
«Che succede?» domanda incuriosita, incrociando gli sguardi allibiti dei fratelli.
Si sofferma poi su Satch, dalla cui mano pende un perizoma di pizzo rosso fuoco, e il suo cuore perde qualche battito. Si sente andare in fiamme dall'interno per la vergogna, incapace di dire una qualsiasi cosa per difendersi. Anche perché, cosa può dire? È già tanto che gli altri abbiano creduto alla balla di Ace per spiegare i succhiotti che ha sul collo, dicendo di aver passato la notte con una ragazza che alloggiava nella loro stessa pensione.
«Per curiosità, sorellina...» mormora Satch, alzandosi in piedi e avvicinandola minacciosamente «Quando avresti intenzione di indossarlo?»
Akemi sostiene il suo sguardo, sciogliendosi poi in un sorriso divertito, fierissima della risposta che è riuscita a trovare.
«Mi pare ovvio, comandante: quando riuscirò a mettere le mani su Shanks.»
Molti dei presenti scoppiano a ridere, mentre Satch cade nello sgomento più totale. 'Sapevo di doverle raccontare cose assurde riguardanti il sesso quando era piccola... dovevo turbarla a tal punto da farglielo temere!'
«Vogliate scusarmi ragazzi, ma devo andare un secondo nell'armeria.» afferma distrattamente la ragazza, incamminandosi sotto coperta «Ricordo di aver visto una magnifica mazza chiodata con cui vi fracasserò il cranio per aver curiosato tra le mie cose!»



*Non avevo idea di come chiamarla così ho usato il nome di un'isola giapponese realmente esistente xD Pardon!

Angolo dell'autrice:

Ebbene si: Ace e Akemi se la spassano!
*schiva qualsiasi oggetto stile ninja* chiedo umilmente perdono se la cosa non vi è piaciuta, ma non ho potuto resistere! Vi dirò, in un primo momento la scena l'avevo pensata con Satch, ma mi ha fatto venire i brividi >.< così ci ho messo Ace! :D *schiva altra roba*
In realtà, un po' come ogni cosa in questa storia, c'è un perché se Akemi ha perso così il controllo e gli è saltata addosso, oltre che per l'alcol. Lo stesso vale anche per Ace! C'è un perché se la trova così irresistibile e se non è riuscito a trattenersi, ma dovrete attendere IL capitolo.
Ecco che riappare anche il medaglione! Ve ne eravate scordati, ehhh? :P L'avevo detto che avrebbe avuto una certa importanza! E ne avrà anche in seguito (momento in cui si scoprirà il suo significato). CAZZOQUANTOSONOMISTERIOSA! X°D
Il vecchio tatuatore sa qualcosa... ma sta zitto! AHAH! Bastardello pure lui, ehhh? :P Non preoccupatevi comunque, diciamo che sto disseminando indizi a destra e a manca per farvi capire, anche se non so quanto questi indizi siano comprensibili o.O in ogni caso, se avete delle teorie e siete curiosi di sapere se ci avete preso, sarò più che lieta di togliervi i dubbi :) (sarebbe alto spoiler, ma vabè!)
Cooomunque! Se a qualcuno di voi può interessare, questo è il tatuaggio che si è fatta Akemi: http://tinypic.com/r/2w6utld/8

In ogni caso, perdonatemi se ho pubblicato con tanto ritardo, ma nel fine settimana ero a lavoro e in questi giorni “preparavo” un esame insuperabile, quindi ho avuto poco tempo >.< spero di riuscire a pubblicare in settimana il prossimo!
Ah, a proposito di questo: vorreste che apparisse qualcuno o succedesse qualcosa in particolare? Le idee ci sono, anche troppe, ma se posso “accontentare” qualche vostra aspettativa o cose simili, lo faccio volentieri :D sarebbe una specie di prova pure per me, in realtà.

In fine, ma non meno importante, un enorme grazie a Okami D Anima, Monkey_D_Alyce, Lucyvanplet93, Redangel19, Yellow Canadair, ankoku e Law_Death per le bellissime recensioni! Davvero, siete troppo gentili! Grazie mille! ♥

Alla prossima, un bacione
Kiki ♥


 

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In quello stesso momento, sotto lo stesso cielo arancione, a grane distanza dall'imponente Moby Dick e il suo equipaggio, Killian osserva il mare dalla cima di una scogliera con sguardo vuoto.
Dopo aver lasciato in fretta e furia la nave di Whitey Bay, è tornato con la coda tra le gambe all'isola Helheim, la sua attuale dimora. È stato deriso da Geri e Freki, convinti che avesse miseramente fallito come loro, sorprendendo tutti quanto quando ha affermato di non averla catturata per scelta, senza ricevere però nessuna ripercussione violenta da parte del suo Signore.
Adesso continua a fissare quell'enorme distesa d'acqua che s'infrange violentemente sugli scogli più bassi, bagnandogli il viso con qualche goccia salmastrosa.
Alle sue spalle Wulfric lo osserva in silenzio, senza esternare alcun tipo di emozione. Lo conosce da sempre, lo ha visto crescere, maturare, diventare il Titano, come lo conoscono tutti, ma mai una sola volta lo aveva visto così abbattuto.
È consapevole che non sia un bel periodo per lui, che tutto stia andando nella maniera più sbagliata possibile, ma non riesce a non essere fiero di lui. In fondo ci vuole un bel coraggio per ribellarsi in maniera così sfrontata a colui che viene paragonato ad un Dio.
Sa anche però che non è per quel fallimento che è così abbattuto, ma che il suo dolore è provocato da un evento precedente, quello per cui non riesce a darsi pace neanche per un istante.
«Non è stata colpa tua» ammette con voce apatica, facendo un paio di passi in avanti per poterlo avvicinare, per poter vedere la frustrazione nei suoi occhi chiari.
Lo sente sbuffare sonoramente, mentre continua a rigirarsi tra le mani un sassolino, senza prestargli la minima attenzione.
Non riesce però ad avvicinarsi quanto vorrebbe, che Killian si rigira di scatto nella sua direzione, incenerendolo con lo sguardo. Balza in piedi fulmineo, lanciando il sassolino tra la vegetazione, guardandolo con aria sconvolta «Ho sbagliato! Per un attimo mi ero illuso che sarei stato all'altezza! E invece...» non riesce a completare la frase, un urlo pieno di rabbia gli squarcia la gola, mentre arriva quasi a strapparsi i capelli per la frustrazione.
Lo guarda per un breve istante negli occhi, sentendo l'ennesima fitta al cuore, dolorosa come lo sono tutte le volte.
«Ho solo...» sospira piano, passandosi una mano sul viso e girandosi dall'altra parte, pronto ad andarsene a leccarsi le ferite «Lasciamo perdere...»
«Un momento, stammi un po' a sentire, Killian.» lo blocca saldamente per una spalla, rigirandolo come se fosse un bambino, puntando gli occhi nei suoi, serio come poche volte in vita sua «Tu hai la stoffa per compiere grandi imprese, ma non potevi farcela quella volta. Non hai colpe per quanto è successo, ti sei battuto come una furia, ma la situazione era ben peggiore di quanto chiunque di noi si aspettasse. Nessuno ti farà mai una colpa per quanto è successo, anzi: tutti ti considerano come una specie di eroe, l'unico che ha la forza per riuscire a battere quello che considerano un Dio.» gli mette una mano affusolata sulla guancia, sentendosi improvvisamente triste di fronte ai suoi occhi da cucciolo ricolmi di lacrime. 'Come ti sei ridotto...'
Di slancio lo stringe a sé, cingendogli le spalle con le braccia forti, lasciando che sfoghi parte del suo dolore sulla propria spalla, prendendosi parte di quel fardello che lo sta distruggendo dall'interno.
«Su coraggio, stai tranquillo ragazzino. È tutto a posto.» sussurra senza riuscire a trattenere un sorriso, dandogli delle pacche sulla schiena «Farai tremare le stelle, vedrai.»
«Grazie Wulfric...» mormora staccandosi, pulendosi velocemente gli occhi con le mani per nascondere le tracce di quel pianto «Pensi che andrà lui stesso?» domanda con certo timore, voltando la testa e tornando a fissare il mare.
«Non temere, l'ho fatto ragionare.» sorride con aria enigmatica, girando sui tacchi e dirigendosi verso il castello dove ormai abita, lasciandolo solo con i suoi pensieri e i suoi dubbi, incontrando per puro caso Freki.
Si fissano in cagnesco per un lungo istante, scrutandosi con attenzione, finché Freki si lascia andare ad un ghigno beffardo.
«Continua a torturarsi, mh?» domanda arrogantemente, incrociando le braccia muscolose al petto e guardandolo dall'alto in basso, vagamente divertito dalla sofferenza di quello che da anni è il suo rivale numero uno.
«Pure io lo trovo bizzarro, ma non per questo gli manco di rispetto.» ringhia in risposta Wulfirc, guardandolo con aria altezzosa e vagamente stizzita.
«Non stavo mancando di rispetto proprio a nessuno.»
«Il tuo tono dice il contrario.»
Ridacchia appena, Freki, passandosi le mani tra i capelli, scompigliandoli «Mi ha sempre sorpreso il tuo attaccamento nei suoi confronti.»
Wulfirc, stufo di quell'indesiderata conversazione, ricomincia a camminare, trattenendosi con tutto sé stesso dal prendere un masso e spaccare il cranio del ragazzo quando lo sente corricchiare per raggiungerlo.
«Quale sarà la prossima mossa?» domanda realmente incuriosito, celando appena il suo desiderio di tornare in azione.
«Non credo che la cosa ti riguardi.» afferma atono, allungando le dita affusolate e pallide per attirare l'attenzione del suo corvo, che subito plana in sua direzione.
«Direi di si, invece. Gira voce che i cacciatori stiano intensificando le loro battute di caccia. Devo quindi sapere come avete intenzione di agire, per non far correre rischi inutili a mio fratello.»
«Il tuo attaccamento nei suoi confronti è nauseante, Freki.» lo sfotte prontamente, mentre un ghigno fa capolino sulle sue labbra, non preannunciando niente di buono «Non hai di che temere, giovane principe. La prossima mossa... sono io

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Capitolo 13
*** 13. Atropa Belladonna ***


Piccola avvertenza: su richiesta di Vivi y, in questo capitolo apparirà qualcuno :D in realtà avevo in mente di far passare Doma a salutare il nuovo acquisto della grande famiglia, ma il suo posto è stato preso da qualcuno molto più... affascinante.
Vivy y, spero tanto di non deludere le tue aspettative per la piccola parte che gli ho scritto >.< purtroppo non potevo spingermi molto oltre con lui, dal momento che non è in rapporti molto amichevoli con l'Imperatore :S Vabé, spero comunque che ti piaccia :)

 

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Che diavolo di posto è? Sembra tutto così incredibilmente antico. Solo le abitazioni, costruite in modo rudimentale, con travi di legno malandate e paglia, sono la cosa più bizzarra che abbia mai visto. Non credevo che esistessero ancora edifici di questo genere, in realtà. Ne ho viste di simili giusto in alcuni libri storici che trattavano di antiche popolazioni ormai trapassate.
Delle donne dagli abiti logori spuntano dalla boscaglia, tenendo tra le mani delle ceste pesanti, parlottando tra loro spensierate.
Degli uomini si esercitano nell'arte della spada, in modo più rude rispetto a come mi è stato insegnato. Non hanno grazia nei movimenti, solo brutalità e una potenza incredibile.
«Hai barato!»
Mi volto di scatto verso quella voce infantile e acuta, che mi ricorda stranamente Týr. Però lui non c'è. Al suo posto c'è un bambino di forse sette anni, piccolo e magro, grazioso, dal viso dolce con i lineamenti pennellati, i capelli lunghi fino alle spalle neri e lucenti e dei vivaci occhioni azzurri.
Sorride felice, trotterellando dietro ad un ragazzo con i capelli castani spettinati, coperto da una pesante pelliccia marrone e bianca, che tiene in spalla un enorme cinghiale.
«Io non baro mai, fratellino.» risponde il maggiore con tono calmo, allungando una mano verso di lui. Lo solleva senza sforzo non appena il piccoletto ci si attacca, issandoselo in spalla come se pesasse due chili scarsi.
Il bimbo ride spensierato, sgambettando allegro e stringendo le esili braccia attorno alla testa del maggiore, di cui non riesco a scorgere bene il viso. Vedo giusto una cicatrice che gli solca una guancia e il naso, ma niente di più.
Improvvisamente sento una forte ventata fredda e tutto attorno a me perde colore e forma, diventando totalmente nero.
Per un brevissimo istante ho creduto di poter finalmente parlare con Týr nel limbo, di poterlo insultare, magari pure picchiare, ma in un battito di ciglia mi trovo catapultata in un nuovo panorama.
Sono ai margini di una radura, tutto è ricoperto da un lieve strato di neve candida, gli alberi sono spogli, il piccolo lago che intravedo da qui è ricoperto da una sottile lastra di ghiaccio.
«Fratello?» questa voce non mi è nuova.
Voltandomi verso destra vedo finalmente quel grandissimo stronzo bugiardo uscire dalla vegetazione. È giovane, forse quindici anni o qualcosa di meno, con i capelli spettinati che gli ricadono morbidi sul collo, una spessa pelliccia bianca sulle spalle e una spada di mirabile fattura che gli pende dal fianco. In mano tiene strette le redini dell'enorme stallone grigio che lo segue mansueto.
«Týr!» niente, non mi sente. Ero sicura che non mi potesse sentire, non questo Týr, ma dovevo provarci. Provo pure ad andargli in contro, ma lo trapasso come se fossi un fantasma. Fantastico.
Per quale assurda ragione mi starà mostrando tutto questo? Per evitarmi? Ma poi, perché evitarmi? Ho fatto quello che voleva in fondo, mentre lui non ha mantenuto fede alla sua promessa! Almeno una spiegazione me la deve!
Il ragazzetto nel frattempo continua a camminare calmo per la radura, bloccandosi poi di punto in bianco. Porta veloce una mano all'impugnatura della spada, tenendo gli occhi chiusi, probabilmente per concentrarsi.
Possibile che sia stata così sciocca da non rendermi conto che qualcuno ci sta raggiungendo? Dall'odore deduco che non è suo fratello.
Si volta di scatto, Týr, brandendo l'arma e puntandola a pochi centimetri dalla faccia di un bambino che per poco non gli va a sbattere addosso.
È piccolo, gracile e vestito di stracci. La pelle è pallidissima, il viso sporco ed incavato, quasi scheletrico. I capelli sono di un insolito grigio chiaro, corti e spettinati. Guarda Týr con due grandi occhi scuri ricolmi di paura e le lacrime non tardano a rigargli le guance.
Poverino... mi fa una tale tenerezza. Se ora lo ammazza giuro che non appena lo vedo glielo faccio rimpiangere amaramente!
«Smettila di frignare, moccioso.» ordina con tono duro, allungando una mano verso la sacca che pende dal fianco del cavallo e cominciando a frugarci dentro «Che ci fai da queste parti?»
Il bimbo non risponde, limitandosi a piagnucolare terrorizzato.
Týr, bastardo fino all'ultimo, si lascia sfuggire una risatina di fronte alla sua paura, compiendo poi un gesto che mi spiazza completamente: si piega alla sua altezza, mettendogli in mano una manciata di monete d'oro e una sacca di pelle con dentro dei pezzi di carne.
«Tieni duro, piagnucolone, e ricordati una cosa...» afferma, passandogli una mano tra i capelli prima di montare agilmente a cavallo «... la vita è troppo breve per soffrire.»
Parte al galoppo, facendo correre veloce il destriero in mezzo a quella distesa innevata, lasciando da solo quell'incerto bambino, che adesso sorride allegro, in un modo che, onestamente, risulta vagamente inquietante.
Altra folata gelida, altro buio e altro paesaggio. Quando finirà tutto questo, dannazione? Non posso sognare come le persone normali? Devo per forza vedere il passato di questo stramaledetto psicopatico?!
Adesso mi ritrovo in una casa arredata con pochi mobili fatti di legno, coperti con delle pellicce. Le pareti sono di pietra, probabile indice che il proprietario di casa non se la passa male economicamente o che comunque ricopre una carica considerevole.
«Sul serio, è un mostro! Dovresti seppellirlo!» mi volto verso Týr, che con aria disgustata continua a fissare quella che comprendo subito essere una culla arrangiata.
Il fratello, di spalle rispetto alla mia postazione, non lo degna neanche di uno sguardo, limitandosi a guardare fuori dalla finestra.
«Mi ascolti?»
«Ti ascolto sempre, fratellino. Ma la maggior parte delle cose che escono dalla tua bocca sono sciocchezze, quindi provo a non badarci.»
«No, dico sul serio: è orrendo.» controbatte convinto, tornando poi a fissare con insistenza il pargolo che trilla allegro allungando le braccia paffute verso l'adorabile zietto «Davvero non dovrei buttarlo nel fuoco?»
«Se trovi una scusa plausibile per spiegarlo al re, non ci sono problemi.» risponde apatico il maggiore, uscendo semplicemente di casa, venendo seguito a ruota dal pazzo sociopatico.
Io mi aggrego velocemente, senza però riuscire a stargli al passo come vorrei. Non so spiegare perché, ma quando mi trovo in questi suoi ricordi non posso muovermi come voglio la maggior parte delle volte. Sono quasi del tutto certa che sia lui a manovrarmi in qualche modo, a frenarmi, ma non posso affermarlo con sicurezza finché non ci parlerò.
«A te non importa proprio niente di quello sgorbio, eh?» domanda divertito saltandogli sulle spalle, ridendo allegro.
È quasi piacevole vederlo così... così... così. Basta. Non ci sono aggettivi positivi per definirlo. Neanche se m'impegno riesco a collegare un qualsiasi pensiero positivo a lui. Basti pensare che voleva buttare un povero neonato tra le fiamme!
«La mia famiglia sei tu, Týr.» risponde con la solita calma innaturale il maggiore, mettendogli le mani sotto le ginocchia per sorreggerlo «Non sei un po' cresciuto per farti portare a cavalluccio?»
«O forse sei invecchiato te e non riesci più a portarmi.» ridacchia in risposta, cingendogli il collo con le braccia e poggiando la guancia sulla sua testa.
Questa scena, per quanto possa sembrare strano visto che coinvolge direttamente lo schizofrenico bugiardo, mi fa annodare lo stomaco.
Quanto deve averlo amato quando era in vita... quanto deve aver sofferto quando l'ha visto morire, quando la cosa a cui era più attaccato gli è stata strappata dalle mani così brutalmente.
Il mio corpo si intorpidisce lentamente e presto tutto viene avvolto da una luce accecante...


«Ehi, pelandrona!» Halta continua a scuotere Akemi per una spalla con forza, sorridendole a due centimetri dal viso. Si è svegliata incredibilmente di buon umore e l'unica cosa che vuole in questo momento è svegliarla per andare a fare colazione insieme.
Akemi mugugna delle bestemmie incomprensibili, mettendosi il cuscino sulla testa e raggomitolandosi su sé stessa, più che contraria all'idea di alzarsi. In fondo è andata a dormire da circa due ore e mezzo, dopo aver passato metà nottata con la simpatica piratessa che adesso prova in tutti i modi a svegliarla e l'altra metà con Izo, decisa più che mai a scoprire cosa pensa dell'amica. Infatti ormai si è decisa di farne una coppia, anche se Halta non è esattamente della stessa idea. Si, lo trova sempre un gran bel ragazzo, gli vuole bene, ma l'ultima cosa a cui pensa è proprio una storia d'amore, per giunta con un compagno di ciurma.
«È ora di colazione, muoviti! Non vorrai che il tuo dolce amante mangi anche la tua parte, mh?» la sfotte prontamente Halta, provando a trascinarla fuori per un braccio, inutilmente.
Akemi non da alcun segno di vita, rimanendo ben ferma sotto le lenzuola nere, provando a riprendere sonno. Ormai ha capito che è inutile minacciarla se solleva l'argomento “Ace”, visto che in quei cinque giorni non ha fatto altro che sfotterla imperterrita non appena erano sole. Purtroppo per lei Halta non la teme minimamente.
«Ti muovi o vado a chiamare Fossa? Lo sai che lui non si fa tanti problemi a ribaltare il letto per svegliarti.» la minaccia con fare divertito Halta, aprendo le ante del suo armadio per farle trovare subito i vestiti. Non che sia una grande intenditrice di moda, anzi non le sono mai piaciute quelle cose e mai se ne è interessata, ma stando sempre a stretto contatto con Akemi ha imparato qualcosa. Più che altro i suoi gusti, ecco.
Per questo estrae un vestito lungo e nero senza maniche, con degli spacchi laterali che partono dalle ginocchia e con dei ricami sul petto che lasciano intravedere il reggiseno sottostante.
Glielo butta addosso, cruccia compresa, facendola mugolare infastidita.
«Ti vuoi alzare?!» dopo essersi calcata in testa il suo cappello nero, le sfila senza tante cerimonie le lenzuola di dosso, facendola raggomitolare ulteriormente «Sai che se Satch ti vede quel tanga ti spezza le gambe, vero?»
«Halta... sei insopportabile...» mormora aprendo finalmente gli occhi, stiracchiandosi come un gatto.
Con una calma disarmante, poi, si alza finalmente in piedi, ravvivandosi i capelli con le mani e lasciandosi sfuggire un sonoro sbadiglio, mentre Halta si butta a peso morto sul suo letto, osservandola distrattamente mentre si sfila la canottiera nera, rimanendo in mutande davanti a lei, cosa a cui si è velocemente abituata. La prima volta che Akemi lo fece, in realtà, rimase piuttosto scandalizzata, non abituata a questo genere di cose, ma la minore l'ha fatta “ragionare” dicendole che sono entrambe donne e che non ha assolutamente niente che lei non abbia mai visto. Da quel momento in poi Akemi si spoglia di fronte a lei senza il minimo pudore, lasciandola del tutto indifferente.
Akemi nel frattempo è andata in bagno per farsi una doccia veloce, uscendo in pochi minuti avvolta solo da un asciugamano.
«Come mai sei così allegra oggi?» le domanda ancora vagamente assonnata, guardandola mentre sorride sovrappensiero.
«Non ne ho idea, mi ci sono svegliata. A te non capita mai?»
«Io per lo più mi sveglio incazzata come una bestia per colpa di Týr e poi mi do una calmata.» risponde vestendosi velocemente, cercando poi in giro per la cabina un paio di occhiali scuri «Continuo a non vederlo più, sai?»
«Sembra impossibile credere che ti è bastato dirgli di sparire per non averlo più attorno.» mormora realmente sorpresa la comandante, mettendosi a sedere con le gambe incrociate.
«Dillo a me... se lo sapevo non stavo a patire per settimane!»
Una volta trovati gli occhiali desiderati, un paio squadrati adornati con delle borchie, sfila il cappello dalla testa dell'amica e le fa cenno di uscire dalla cabina, camminando con passo calmo, quasi strascicato.
«Ho notato che hai messo pure la taglia di Rufy in camera tua.» afferma sovrappensiero Halta, guardandola subito dopo con un sorrisetto strafottente stampato in faccia «Non è che per caso vuoi allargare i tuoi confini prendendoti anche lui, mh?»
«Sei simpatica come uno spillo nell'occhio stamani, Halta...» borbotta dandole una leggera spallata, giungendo per sua somma gioia nella mensa, dove già bivaccano quasi tutti. Infatti nessuno si premura più di attenderla, lenta com'è a svegliarsi.
Si dirigono con passo calmo verso il tavolo dei comandanti, ma Akemi preferisce fare una deviazione per andare a salutare il capitano, intento a leggere le novità sul giornale.
«Babbo!» trilla allegra, saltandogli in collo e dandogli un sonoro bacio sulla guancia.
Barbabianca la guarda incerto per un breve istante, per poi sorriderle bonario e passarle una mano sulla schiena «Dormito bene?»
«Non mi lamento.» si acciambella tranquillamente sulle sue gambe, salutando con un sorriso cortese le infermiere che le passano di fronte, concentrandosi poi sui vari articoli, addentando un pezzo di ciambella del genitore e bevendo un lungo sorso del suo caffè.
«Devi per forza mangiare la mia roba?» le domanda cercando di fingersi accigliato, anche se in realtà non gli fa altro che piacere avere questo genere di rapporto con lei.
Solo con lui è così calma e dolce, solo con lui c'è un rapporto davvero famigliare. Poi, diciamolo, vederla così pacata e allegra di prima mattina non è cosa da tutti i giorni, quindi vuole godersela al massimo.
«Mi sa fatica andarmela a prendere...» biascica ancora con la bocca piena, bloccandolo prima che possa girare pagina «Ok, ho finito, gira pure.»
Il gigante, dopo un sonoro sbuffo, volta la pagina, tornando a leggere con aria pacata, cercando di ignorare la folle figlia che continua a sottrargli vari bocconi, finché non sente i suoi furbi occhioni puntati addosso. Solo a quel punto abbassa lo sguardo su di lei, notando un'espressione vagamente pensierosa che lo insospettisce. Si è pure tolta gli occhiali da sole, quindi sa per certo che sta pensando a qualcosa che a lui non andrà giù.
«Se mi facessi altri tatuaggi?» domanda innocentemente Akemi, facendogli un sorriso dolce e colpevole, ormai fissata con quell'argomento.
«Se ti spaccassi la testa?» brontola in risposta l'Imperatore, indurendo lo sguardo, inutilmente. Non le negherebbe mai una sciocchezza simile, in fondo il corpo è suo e può farci ciò che vuole, ma gli dispiace parecchio che si rovini in quel modo. Le donne troppo tatuate non gli sono mai piaciute.
«Ti sei alzato con la Luna storta, babbo?» ridacchia scendendo dalle sue gambe per raggiungere i compagni, ricevendo una specie di grugnito in risposta.
Per quanto le piacerebbe dimostrarlo, o anche solo dirlo, non riesce ad esprimere il profondo amore e l'infinita riconoscenza che nutre nei suoi confronti. Lo ama semplicemente, in un modo tanto puro ed incondizionato che forse riuscirebbe a far cambiare il modo di vedere i pirati alle persone.
«Caro!» allaccia le braccia al collo di Satch, sorridendogli nel modo più dolce e adorabile che riesce a trovare. Tentativo abbastanza difficile in realtà, considerata la sua dentatura spaventosa.
«Che vuoi?» la fredda immediatamente il quarto comandante, guardandola con aria dura. In fondo quando fa così la coccolosa è perché vuole qualcosa in particolare.
«Mi fai dei tatuaggi?» domanda speranzosa, facendogli gli occhioni dolci.
«Ne hai già troppi.» se la toglie di dosso con un gesto brusco, cercando di trattenersi dal prenderla in braccio e portarla nella sua cabina per accontentarla. Le è talmente affezionato che non riesce a dirle di no, soprattutto se insiste, ma sa che per il suo bene è meglio che cominci a farlo.
«Non costringermi a farli da sola un'altra volta!»
Satch la guarda di traverso per poi negare con il capo, tornando tranquillamente a mangiare.
«Rognoso...» borbotta Akemi, fingendosi offesa, sedendosi tra Halta e Jaws, mangiucchiando un pezzo di pane con la marmellata di more, senza mai staccare gli occhi dal comandante.
«Che ti vuoi fare?» le domanda sorridendole Ace, smettendo giusto per trenta secondi scarsi di strafogarsi come un animale. “La colazione è il pasto più importante della giornata” ripete ogni volta per giustificarsi del suo smisurato appetito al mattino, arrivando addirittura a convincere gli altri.
«Li vedrai questa sera quando li avrò fatti.»
«Te li vuoi davvero fare da sola?!» sbotta Satch, che nel mentre origliava la conversazione tra i due.
Akemi annuisce sorridendo furbetta, facendolo sbuffare.
«Farai una schifezza come per il braccio...» borbotta a mezza bocca, scoccandole un'occhiataccia «Appena trovo due minuti te li faccio, ma è l'ultimo favore, sia chiaro!» 'Da domani giuro che comincerò a dirle di no.'
Akemi gli sorride, più che felice, per poi fargli l'occhiolino in segno d'intesa.
Satch semplicemente si lascia sfuggire una risatina, riprendendo a mangiare tranquillo. 'È una manipolatrice nata, non c'è che dire... ma come si può resistere a quel faccino? È... ipnotica, ecco.'
Marco, dal suo posto, ha ascoltato disinteressatamente la conversazione, non riuscendo però ad ignorare gli strani sguardi che di tanto in tanto si lanciava con Ace. Cosa che, in realtà, ha notato dal momento che sono tornati da Dejima.
Nessuno pare averci fatto caso e lui non ne ha nemmeno fatto parola, ma sente che è successo qualcosa tra quei due. I loro sguardi sono diversi quando s'incrociano, come più intensi, complici, e questo gli da sorprendentemente fastidio.
Non sa davvero spiegarsi perché, in realtà. In fondo non sono affari suoi se tra quei due è successo qualcosa o meno, ma vedere i loro sorrisetti, vederli mentre si abbracciano più spesso del solito, gli da fastidio. Molto fastidio.
«Ehi, Akemi!» la richiama con troppo entusiasmo Izo, attirando inevitabilmente anche l'attenzione della Fenice «Gli facciamo vedere il giochetto di ieri sera?»
Akemi scoppia a ridere, portandosi una mano affusolata a coprirsi la bocca, alzandosi subito in piedi e montando in ginocchio sul tavolo, sporgendosi verso di lui.
«Che giochetto?» domanda incerto Kingdew, guardando Izo che afferra e chiude con forza un barattolo ormai vuoto di marmellata.
«Stai a vedere.» risponde semplicemente, mettendo una mano sulla nuca della ragazza che gli sta davanti con la bocca ben aperta. Il pirata poi pianta semplicemente i canini appuntiti della ragazza nel tappo di metallo e comincia a girare il barattolo, aprendolo come con un apriscatole.
«Ma che gioco idiota è?!» domanda Halta, fissando i due come se fossero una coppia di imbecilli.
«Che c'è? È divertente!» afferma convinta Akemi, passandosi la lingua sui denti taglienti.
«Affatto. Tuttalpiù è inquietante.» controbatte Speed Jill, attirando su di sé lo sguardo della ragazza, che gli si avvicina gattonando lentamente sul tavolo.
«Mi trovi inquietante?» domanda con un ghigno divertito ad incresparle le labbra colorate di un rosso molto scuro, facendolo immobilizzare per l'imbarazzo.
Scoppia a ridere, Akemi, seguita dagli altri. Ormai, d'altra parte, si sono perfettamente abituati a questi suoi sbalzi di umore e questi suoi strani atteggiamenti, tanto da lasciarla fare senza fiatare. Tanto è inutile dirle di comportarsi bene, come una signorina qual è, si finisce solo con il farla imbestialire. E nessuno dei presenti ha mai voglia di sentirla urlare come un'indemoniata.
«Ehi, pantera, vieni ad aiutarmi a sistemare le vele, forza.» le ordina Curiel, alzandosi dal tavolo e dirigendosi calmo verso l'uscita, facendo ridacchiare i compagni per via del soprannome.
«Pantera?» ripete interdetta la diretta interessata, inclinando un poco la testa di lato con fare pensieroso. 'Che ho fatto?'
«Ti muovi?» le urla il comandante, facendola rinsavire.
Scatta di giù dal tavolo velocemente, seguendolo come un fedele cagnolino, pronta a svolgere il proprio lavoro.
«Quella ragazza non sta per niente bene.» ridacchia un perplesso Vista, scuotendo un poco il capo con fare rassegnato «Direi che è quasi irrecuperabile.»
«Attento, fratello.» lo riprende con tono annoiato Marco, alzandosi a sua volta per andare a svolgere i suoi compiti, con l'entusiasmo di un morto «L'ultima volta che ho fatto un commento simile mi ha tirato un piatto in testa!»
Ora che ci ripensa gli viene quasi da ridere. Non gli ha rivolto la parola per quasi due settimane, evitandolo come un appestato, e adesso invece gli gira attorno tranquillamente, scherzando con lui come se non fosse mai successo niente. 'Vista ha incredibilmente ragione: è una pazza irrecuperabile!'

Akemi dorme acciambellata sui morbidi cuscini posti accanto al seggio del capitano, baciata dai caldi raggi del sole.
Il capitano di tanto in tanto le lancia qualche fugace occhiata per controllare che non abbia qualche incubo violento, ritrovandosi a sorridere di fronte alle sue buffe espressioni o ai suoi movimenti.
'In effetti il soprannome “pantera” non è poi così sbagliato...' pensa amareggiato, notando come si muova in modo felino pure nel sonno, fasciata con quell'abito nero che lascia troppo in mostra per i suoi gusti.
Però, malgrado lo faccia dannare un giorno si e l'altro pure con colpi di testa discutibili, non riesce a non essere fiero di lei: è venuta su intelligente, forte, bella, quando vuole dolce e premurosa. Adesso, inoltre, può addirittura vantare una taglia di 72.000.000!
Se non fosse per il fatto che di tanto in tanto tira di nuovo fuori l'argomento “Shanks”, sarebbe praticamente la figlia perfetta!
Certo, quel dettaglio più quello che dorme in continuazione...
Si riscuote dai suoi pensieri, abbassandosi su di lei e dandole una leggera pacca sulla schiena per riuscire a svegliarla, con scarso successo.
«AKEMI!» tuona, facendola svegliare con una calma disarmante.
«Mh?» mugola stiracchiandosi piano, trattenendo a stento uno sbadiglio.
«Vai ad aiutare a pulire la stiva, forza.» le ordina con fare autoritario, ricevendo in risposta un allegro sorriso che lo fa insospettire «Bada che vengo a controllarti quando meno te lo aspetti! Se ti trovo a non fare niente sono dolori per te, signorina.»
«Non ti preoccupare, babbo. Non sono una fannullona simile.»
«No, eh?» la segue con lo sguardo mentre si allontana ancheggiando sicura, e si trova inevitabilmente a pensare che, tutto sommato, avrebbe assai preferito che venisse su uno sgorbio. Gli avrebbe dato decisamente meno preoccupazioni. 'Ma dimmi te se mi dovevo ritrovare per le mani una mocciosa del genere a settantadue anni!'
Non fa però in tempo a finire quel pensiero che la testolina corvina della discola figlia fa capolino davanti ai suoi occhi, cosa che lo urta all'inverosimile.
«Non ti avevo appena dato un ordine?!» tuona, assai infastidito, notando però con sgomento l'espressione quasi sognante di Akemi.
«Ma...» mormora, portandosi le mani davanti alla bocca per nascondere un più che entusiasta sorriso «È Mihawk!»
I vari pirati guardano in cagnesco la piccola navetta tetra che si avvicina lentamente a loro, senza però scomporsi troppo. Non ci vuole certo un genio per capire che non sta andando da loro con intenzioni ostili. Sarebbe da idioti, per non dire di peggio, e Drakul Mihawk di certo non lo è.
Occhi di Falco avanza senza ostentare alcun tipo di emozione e anche Akemi si rende conto di quanto sia calmo e a suo agio, seppur circondato da nemici.
«Che ci fai da queste parti, Mihawk?» gli domanda con un certo garbo Vista, osservandolo con attenzione. Se per puro caso fosse li per sfidarlo, a lui non parrebbe il vero!
«Sono venuto per constatare se le voci che circolano ultimamente sono vere.» risponde pacato lo spadaccino, alzando lo sguardo fino ad incrociare gli occhi glaciali dell'Angelo Demoniaco «E così tu saresti la ragazzina che sta dando qualche problema al Governo, mh? Beh, mi aspettavo qualcosa di più, in tutta onestà.»
«Ehi!» gli ringhia contro Akemi, saltando giù dalla nave con agilità, atterrando in modo sorprendentemente silenzioso sulla piccola imbarcazione dell'uomo «Com'è che non raggiungo le tue aspettative?!»
'Orgogliosa ed impavida, oltre che stupida.' ecco la prima impressione che lo spadaccino si fa della ragazza. Ma non gli ci vuole molto per ricordarsi delle parole che si è scambiato con Shanks tempo addietro, dove gli diceva che gli ricorda incredibilmente una persona che tenne testa senza grandi problemi al grande Re dei Pirati.
La guarda con più attenzione, riconoscendo in lei la stessa persona che il suo vecchio amico gli ha riportato alla memoria. Una persona altolocata, potente e dai modi raffinati, che si distingueva ovunque andasse per la sua forza e per il suo carisma ammaliante.
Ricorda vagamente di averlo intravisto all'esecuzione del Re, ma non vi badò poi molto al tempo. L'evento, in fondo, era assai più importante e sconvolgente che un incontro con quell'uomo.
«Mi aspettavo una donna in grado di portare morte ovunque andasse.» afferma con tono pacato, mettendosi comodamente seduto, facendole cenno di andarsene, soddisfatto di quanto scoperto «Ma sono sicuro che, con dell'impegno, potrai soddisfare le mie aspettative, ragazzina.»
Una cima viene calata ed Akemi l'afferra distrattamente, senza mai staccare gli occhi dal pirata dagli occhi ambrati che tanto sperava di incontrare, un giorno o l'altro. Non per sfidarlo, sia chiaro: giusto per vedere se le voci che circolavano sul suo fascino assassino fossero veritiere.
'Non male, non c'è che dire. Occhi penetranti, fisico statuario, postura fiera.' lo guarda mentre si allontana, cercando di ignorare il chiacchiericcio che sente provenire dalla nave.
«E così la nostra piccola combina guai è diventata famosa, eh?» afferma Halta, sorridendole con aria orgogliosa.
«Già, tanto da attirare l'attenzione di Mihawk.» aggiunge prontamente Ace, avvicinandola velocemente «Non è che ci ha provato?»
«Tutt'altro.» risponde con una punta di delusione, osservandolo per l'ultima volta mentre si allontana «Ha detto che non raggiungo le sue aspettative e che devo migliorare. Però, è stato strano... mi guardava in modo bizzarro.»
«Con quegli occhi ci credo!» afferma ridendo Ace, sollevato dall'idea che quel cane del Governo non ci abbia provato. Perché è vero che tra loro c'è stato un momento di passione e poi è finita li anche da parte sua, ma rimane comunque geloso per dei possibili spasimanti. L'unico che le può passare senza problemi è Marco, perché si fida di lui e sa che è un uomo dal cuore d'oro che non la farebbe soffrire.
«Non è per quello, Ace. Era come se... come se cercasse di capire qualcosa.»
«Probabilmente voleva capire se un domani saresti potuta diventare una degna avversaria per lui o meno. Sai, si annoia parecchio ultimamente, quindi se qualcuno comincia a fare notizia e mostra una più che discreta forza, può essere interessante per lui.» la informa Vista, dandole una leggera spintarella per le spalle «Ora fila a lavorare, signorinella!»

Passano pigramente due ore, nelle quali Marco non è riuscito a non domandarsi quale sia stato il vero motivo da spingere Occhi di Falco fino a loro. Il come sia riuscito a trovarli non gli importa niente, ma il perché si.
Per un brevissimo istante ha preso in considerazione che la volessero nella Flotta dei Sette, ma l'idea gli è sembrata a dir poco assurda. Nessuno del Governo Mondiale li avvicinerebbe se non per farli fuori!
'Ma allora perché? Ha una taglia decente, ma niente di impressionante come può essere quella del fratello di Ace o degli altri novellini.'
Anche stavolta non ne ha fatto parola con nessuno, rimuginandoci da solo come è solito fare, arrivando alla conclusione che Vista ha avuto di nuovo ragione: Mihawk si annoia terribilmente e doveva trovare un modo per passare il tempo. Sennò la cosa non si spiega.
C'è un dettaglio, però, che continua a ronzargli fastidiosamente in testa, senza sosta.

Mi guardava un modo strano”

Questa semplice frase, detta con una vaga perplessità, gli ha dato fastidio. Certo, è stato subito spiegato il perché, ma gli da comunque fastidio. E ancora di più gli da fastidio il modo in cui lo guardava andare via, quasi con rammarico.
'Ma che diavolo mi prende?!' si passa una mano dietro al collo, sospirando frustrato per tutti quegli sconvolgenti cambiamenti che sta subendo poco a poco, non riuscendo più a gestire quella sensazione sgradevole e sconosciuta che gli opprime il petto.
Ultimamente il loro rapporto è cambiato, si è evoluto, e adesso il comandante della prima flotta si trova a sentire di tanto in tanto la sua mancanza quando gli è lontana, quando da attenzioni agli altri, quando gioca in modo provocatorio con Ace, quando si sussurra chissà quali diavolerie con Halta.
Sa anche che pure per lei è cambiato qualcosa, che nella sua mente contorta e malata è scattato un qualcosa, e adesso non riesce davvero più a tenerla lontana dai suoi sogni più perversi, in cui si trova addirittura capace di cose che nemmeno pensava si potessero fare a letto.
Negli ultimi giorni rimane sul ponte a vegliare su di lei quando si addormenta dopo il pasto serale, le mette la camicia sulle spalle per non farle sentire freddo e, prima che qualcuno arrivi a svegliarla per darle il cambio, la porta nella sua cabina, lottando ogni sera con quella diabolica maniglia.
Svegliandosi quella mattina, però, Marco ha deciso che tenterà di evitare questi contatti troppo ravvicinati, perché non riuscirebbe più a sentirsi sincero e disinteressato come poche settimane prima.
Non potrebbe mai dire ad Akemi certe cose: certo aveva capito da subito che, con le buone o le cattive, sarebbero diventati amici, ma ciò che non aveva messo in conto era che avrebbe iniziato a provare qualcosa che andava oltre l’amicizia per quella ragazzina che, come se non bastasse, è diventata di una bellezza disarmante.
Non aveva messo in conto che quella pulce petulante e viziata avrebbe sviluppato, nel giro di pochissimo tempo, un fisico da mozzare il fiato e che avrebbe iniziato a guardarla con occhi ammaliati.
Non aveva messo in conto che un giorno si sarebbe svegliato, rendendosi conto che non è solo il suo folle sub-conscio a volere il corpo di Akemi, ma che è proprio lui a volerlo.
È cambiato tutto troppo in fretta per Marco e adesso non sa più come gestire la situazione.
'Potrei provare a prendere delle distanze da lei, ma poi se la prenderebbe e ci si ritroverebbe di nuovo da capo come prima che non ci si parlasse... e non voglio neanche questo.'
Un lieve vociare allegro attira l'attenzione del biondo, che si azzarda a lanciare un’occhiata alle sue spalle, dove la trova sorridente a scherzare col babbo.
'Devo ammettere che è molto carina quando è allegra...'
Drizza di colpo la schiena, sgranando gli occhi per la sorpresa.
'Cosa mi salta in mente? Diavolo, quella è mia sorella!'
«Ma guarda un po' chi si rivede!» urla Ace, seduto a gambe incrociate di fronte a lui «Ti sei divertita?»
«Odio pulire la stiva.» si lamenta la ragazza, avvicinandoli con passo aggraziato ed incredibilmente silenzioso, passandosi le mani tra i capelli scompigliati «Poi quando c'è altra gente è anche peggio! Sono tutti scorbutici quando vanno là sotto.»
«La prossima volta vacci da sola.» azzarda Marco, evitando accuratamente di guardarla negli occhi. Ogni volta che lo fa, in fondo, è come se gli scavassero nel profondo dell'anima e la cosa potrebbe rivelarsi pericolosa per lui.
«No, la prossima volta ci trascino uno di voi, così mi diverto un po'.» afferma convinta Akemi, acciambellandosi tra le gambe del secondo comandante, lasciandosi avvolgere dalle sue braccia calde e forti.
Pure questo, a Marco, da fastidio. 'Va in giro mezza nuda! Se ha freddo si copre e fine della faccenda. Occorre starle sempre col fiato sul collo?'
«Se vuoi ti accompagno io.» si propone Ace, sorridendole in un modo che alla Fenice non piace per niente. Troppo complice, divertito, malizioso.
È chiaro come il sole, almeno per lui, che tra i due è successo qualcosa, ma l'idea di indagare oltre e di scoprire che se la sono spassata tutta la notte lo manda in bestia.
«Tu finiresti col poltrire da qualche parte e avrei il doppio del lavoro da fare!» controbatte prontamente la minore, guardandolo con una più che evidente espressione truce «Verrai tu, Izo, vero? In fondo dobbiamo ancora finire un discorso.»
«Che discorso?» domanda Atmos, che passava di lì per puro caso e ha sentito la fine della conversazione. In fondo le discussioni della ragazza si rivelano quasi sempre piuttosto divertenti, quindi tanto vale scoprire il più possibile.
«Non ti deve interessare.» lo liquida sorridendo Akemi, facendolo sbuffare.
A loro si unisce Satch, finalmente libero dai suoi compiti, e si abbassa per raggiungere il suo volto, guardandola con aria furbetta.
«Allora andiamo a rovinarti?» le domanda Satch con un sorriso allegro, facendola illuminare.
I due però non fanno in tempo ad andare sottocoperta perché Akemi si blocca di colpo, attirata da un odore ormai a lei molto familiare.
Scatta verso il parapetto, attaccandocisi con forza e scrutando con attenzione il mare, fino ad intravedere la sagoma di un uomo alla deriva.
«UOMO IN MARE!» urla, scattando verso le scialuppe di salvataggio per andare a soccorrerlo.
«Akemi, che stai facendo?» le domanda in tono duro l'Imperatore, guardandola in cagnesco.
«Non possiamo lasciarlo alla deriva.» risponde secca, cominciando ad armeggiare con le cime. Si è già macchiata le mani di sangue innocente, non vuole avere sulla coscienza pure quel pover'uomo.
«Non è affar nostro.» controbatte con tono duro Teach, afferrandole con forza un polso e tirandola lontano dalla scialuppa.
«Neanche io ero affar vostro, eppure mi avete presa a bordo!» gli strilla contro inviperita, liberandosi con uno strattone dalle sue manacce.
Lo guarda con astio, snudando d'istinto le zanne, ringhiando sommessamente, mettendolo leggermente in soggezione. Perché gli era si chiaro di non esserle troppo simpatico, ma non pensava che gli si potesse addirittura rigirare contro!
Akemi si volta di scatto verso il padre, guardandolo con aria determinata «Che tu lo voglia o no, io andrò a prenderlo. Scegli tu se devo farlo a nuoto o sulla scialuppa.»
'Malgrado abbia degli scatti violenti ingiustificati e sia un'assassina provetta, vuole salvare la vita di quell'uomo... perché? Cosa vuole mostrare? E, soprattutto, a chi? Nessuno su questa nave ha pensato neanche per un istante di salvarlo.' si domanda il capitano, guardandola con aria cupa, finché arriva la risposta, chiara come il sole 'Vuole redimersi. Vuole dare prova, per chissà quale ragione, di non essere il mostro che crede.'
«Curiel, accompagnala.» ordina perentorio il capitano, ricevendo in risposta dalla figlia uno sguardo colmo di gratitudine e amore, espressione che mai si toglierà dalla mente.
'La mia bambina coraggiosa... lo sei sempre stata. Mai una sola volta hai avuto paura di misurarti con ciò che ti si presentava davanti. Non temi la marina, non temi i pirati, non temi coloro che vogliono rapirti per chissà quale ragione... temi solo te stessa. E io spero con tutto il cuore, figlia mia, di riuscire a farti capire non hai niente da temere, perché io, Edward Newgate, ti proteggerò a qualsiasi costo da qualsiasi cosa.'
«È vivo?» domanda Curiel remando con forza per avvicinarsi velocemente alla povera anima che galleggia attaccato ad un pezzo distrutto di una parete, ricevendo in risposta un cenno deciso con la testa.
È un ragazzo biondo, con diversi orecchini all'orecchio destro e una vistosa croce d'argento galleggia vicino al suo viso. È vestito con abiti eleganti, che fasciano perfettamente il fisico allenato ma mal ridotto dallo scontro.
'Pensandoci, in effetti, grazie a questo poveraccio possiamo scoprire se chi l'ha attaccato punta pure a noi...' pensa giustamente Curiel, adesso completamente d'accordo con l'idea della ragazza, che si trattiene con tutta sé stessa dal buttarsi in mare per soccorrerlo.
«Ehi! Mi senti?» gli urla quasi disperata, mentre rema con le braccia per provare a far prima.
Il ragazzo alza debolmente la testa: i capelli biondi gli ricadono scompigliati sul viso abbronzato e stanco, il naso dritto e sottile perde sangue, così come il labbro inferiore. Gli occhi, di un delicato castano chiaro, li scrutano con attenzione e subito nota la ragazza che prova ad allungare un braccio per afferrarlo.
'I tuoi occhi...' pensa, indurendo lo sguardo e lasciando scivolare una mano sott'acqua, gesto che non sfugge al comandante, che subito porta una mano all'impugnatura della sua pistola.
«Forza, non stare lì impalato! Aiutami!» strilla Akemi, preoccupata per la salute del giovane che continua a fissarla con espressione indecifrabile.
Il medaglione ciondola davanti al suo viso e un incredibile gioia lo pervade completamente. 'Sarò io ad ucciderti, mostro! Il mio nome diverrà leggenda!'
Akemi riesce finalmente ad afferrare il braccio del ragazzo e lo trascina con forza verso di sé, decisa a portarlo sulla nave e medicarlo. Chissà, magari potrebbe rivelarsi un ottimo amico e potrebbe piacere ad Halta!
Ma i suoi buoni propositi vanno presto al Diavolo.
Lo sconosciuto, infatti, ha estratto molto velocemente qualcosa dall'acqua e l'ha piantata brutalmente nell'avambraccio destro della ragazza: una siringa, contenente del liquido chiaro, vagamente verdognolo, che subito le inietta.
Akemi rimane completamente shockata da quella bizzarra reazione, ma il suo stupore viene presto sostituito da un acuto dolore che si propaga dal braccio colpito fin sulla spalla, diramandosi poi molto velocemente al resto del corpo.
«Come hai osato?» ringhia un furioso Curiel, puntando senza esitazioni l'arma in faccia all'aggressore della compagna, senza però avere il tempo di premere il grilletto: il ragazzo, infatti, ha fatto da solo, sparandosi dritto alla tempia.
«Curiel...» lo richiama con paura, cercandolo a tentoni «Curiel, non ti vedo...»
L'uomo si butta subito sui remi, urlando che le infermiere si tengano pronte per il suo arrivo e sulla nave scoppia il caos: bestemmie, maledizioni e urla varie si propagano nell'aria in un secondo, gli uomini si muovono freneticamente, e il capitano sente il cuore battergli all'impazzata per la paura di perderla.
Marco, che si è accorto del suo stato, di cui in realtà è preda anche lui, gli si avvicina cauto e gli poggia una mano sulla sua, guardandolo con aria assolutamente sicura «È immortale, babbo. Starà bene, non temere.»
Non ci crede neanche lui, in realtà. Ha una paura fottuta di poterla perdere così, di non poter più scherzare con lei, di non poterla più vedere in preda ad uno dei suoi attacchi di pura stupidità, di non poterla sfottere, di non poter combattere con lei.
Curiel, veloce come mai in vita sua, ha raggiunto l'imponente nave e ha portato sul ponte la ragazza, che però non riesce più a tenere in braccio tanto si dimena, preda di forti spasmi.
Si rotola a terra, artigliando il pavimento per cercare un appiglio, ringhiando ferocemente per il dolore atroce che sta provando ad ogni respiro. Sente il corpo andare in fiamme dall'interno, sgretolarsi lentamente.
Nessuno riesce ad avvicinarla, preda di un violento delirio e per i vaghi tentativi che ha fatto di mordere chiunque le si sia avvicinato di mezzo passo.
Solo Fossa e Blenheim hanno avuto l'ardore di immobilizzarla, bloccandole braccia e gambe con la loro considerevole mole e forza, riuscendoci però a fatica. Quel dolore così forte e allucinante le sta tirando fuori una potenza fisica che nessuno pensava che avesse, tanto da mettere in seria difficoltà i due comandanti.
«STO ANDANDO A FUOCO!» continua a strillare Akemi, snudando le zanne e piantando i lunghi artigli nel pavimento legnoso, incidendolo in profondità.
Ma con il passare dei minuti, fortunatamente per tutti, l'effetto pare placarsi, e Akemi cade velocemente preda di un sonno molto profondo.
Tachi le si avvicina incerta, prendendole delicatamente un polso tra le esili dita per controllare il battito cardiaco, accorgendosi che è quasi assente.
«In infermeria, subito!»
Le varie donne accorgono immediatamente e la portano di peso in infermeria, dove l'adagiano su un lettino e cominciano a controllarla.
Le fanno dei prelievi di sangue per controllare con cosa è stata avvelenata, trovando in tempo record la responsabile di tutti quei danni.
«Dobbiamo somministrarle morfina e idrato di cloralio. Servono degli eccitanti, anche... etere! Inoltre dobbiamo occuparci anche degli eventuali rivulsivi cutanei, quindi preparate una bacinella d'acqua fredda per abbassarle la temperatura corporea e delle pomate per le eventuali escoriazioni. SBRIGATEVI!»
Fuori dalla stanza tutti quanti si stanno dannando per poter sapere in che condizioni riversa la ragazza, alcuni quasi sul punto di piangere. Gli assenti sono rimasti sul ponte a calmare il capitano, scrutando inoltre l'orizzonte per capire la sua provenienza.
«Ran, cosa le è successo?!» urla Ace non appena la vede uscire, furioso oltre ogni limite. È già un miracolo che non abbia dato libero sfogo a questa sua rabbia, incendiando tutto quello che lo circonda.
«Calmatevi, tutti quanti. Se ne stanno occupando le ragazze e presto sarà fuori pericolo, non temete.» afferma con tono duro la donna, mettendo entrambe le mani sulle spalle forti del secondo comandante, sperando di riuscire a calmarlo con questo semplice contatto.
«Le è stata iniettata una massiccia dose di estratto di Belladonna, una pianta molto velenosa.» aggiunge subito dopo, facendo saettare lo sguardo da un pirata all'altro.
«No aspetta: è bastata una fottuta pianta a ridurla in quello stato?!» sbotta Satch, sgomento.
«A meno che il suo corpo non sia intollerante all'acqua, cosa di cui dubito fortemente, si.» risponde con sarcasmo l'infermiera, rigirandosi Ace tra le mani e spingendolo via. Nessuno deve stare loro col fiato sul collo, non in un momento così delicato e quindi tutti loro devono togliere immediatamente le tende.
«Adesso tornate ai vostri compiti, tanto si sveglierà tra almeno due ore.» ordina perentoria quando alcuni di loro provano a superarla, ricevendo in risposta degli sguardi torvi che farebbero svenire dalla paura chiunque. Ma non lei, ormai abituata a stare in mezzo a loro.
Alla fine, seppur riluttanti, i vari pirati si dileguano lentamente con il cuore colmo di paura per la sorte del loro piccolo angelo, lasciando così alle infermiere tutta la quiete di cui hanno bisogno per riuscire a rianimarla.

Non riesco a muovermi. Il mio corpo è completamente paralizzato, schiacciato e fottutamente dolorante. Solo respirare mi provoca dolore, come se respirassi del fuoco.
Intorno a me c'è pace, tanto da mettermi in allerta.
Un freddo raggio lunare colpisce l' assonnato paesaggio notturno, cambiando i colori di ogni cosa. Il cielo sembra abbassarsi, avvolgendo con il suo abbraccio protettivo ogni cosa terrena.
Sono circondata da alte mura di pietra liscia e a poca distanza da me c'è un piccolo falò che scoppietta, mentre le lingue di fuoco danzano tra loro.
Sui muri rocciosi che mi circondano ci sono tante incisioni che non riesco a decifrare. Ma poi mi accorgo di un’incisione, bellissima, dai colori vivi che neanche la luce lunare riesce ad alterare: un motivo floreale blu che s’intreccia in alcune scie scarlatte dai colori brillanti.
Vedo qualcosa avvicinarsi lentamente a me, giunto chissà da dove. Un'ombra, una minaccia.
«Chi diavolo sei?» ansimo spaventata, senza riuscire a scappare come vorrei.
Rimane in silenzio, voltandosi verso il muro dove solo ora riesco a scorgere un’insenatura, da cui esce un’altra macchina nera, più grossa, da cui riesco a scorgere due macchie gialle, che suppongo siano occhi.
«Se opp for jegere.» ma che diavolo dice?
Sento uno strano calore pervadermi il corpo quando mi sfiora, leggera, per poi allontanarsi subito.
«Aspetta...»
Si ferma sul posto, ma non saprei dire se si sta voltando verso di me o meno. È una cosa talmente indefinita che risulta impossibile capire qualcosa, anche solo il sesso. Pure la sua voce suona ovattata e confusa, tanto da rendermi impossibile capire anche un dettaglio così semplice.
«Huske.» mormora prima di sparire, insieme all’altra.
È tutto così confuso... i miei occhi non riescono più a stare aperti.
Dove sei... Týr?


Apre lentamente gli occhi, infastidita dalla luce che la circonda, che per un breve istante l'acceca.
Il corpo è intorpidito e pesante, respirare le risulta faticoso. Non credeva possibile che si potesse soffrire così tanto fisicamente. 'È stato agghiacciante...'
Sente una mano calda poggiarsi sulla sua e lentamente volta la testa, incrociando gli occhi pieni di gioia del quarto comandante, che mai in tutta la sua vita è stato preoccupato come in quelle ore di lunga e straziante attesa.
«Ehi...» mormora con tono dolce, passandole l'altra mano sulla guancia fredda.
«Satch...» pigola Akemi, sorridendogli debolmente, notando alle sue spalle la presenza della sorella «Halta...»
«Ciao sorellina...» mormora commossa, sedendosi sul lettino al suo fianco e prendendole l'altra mano tra le sue, stringendola appena «Come ti senti?»
«Come una che è stata avvelenata.» sorride la minore, cercando di ignorare il forte mal di testa che la sta martellando.
«Per un attimo ho temuto il peggio.» ammette Satch, chinandosi su di lei e depositandole un bacio vaporoso tra i capelli, stringendo appena la presa sulla sua mano.
«Sai che sono dura a morire...» sorride, mentre un'onda di felicità la travolge. Si sente incredibilmente a posto in quel momento... a casa.
«Ehi, ragazzina...»
Akemi volta piano la testa verso la porta, rimanendo di sasso.
«Marco...» mormora sorpresa, cercando di ricomporsi un minimo. Che gli altri la vedano ridotta ad uno straccio le va anche bene, ma lui no.
«Come mai da queste parti?» domanda dopo un istante di incertezza, stendendo le labbra in un lieve sorriso.
«Volevo sapere come stavi.» risponde semplicemente la Fenice, avvicinandosi al trio.
Pure lui ha avuto paura. Tanta. Troppa.
Quando, un'ora prima, le infermiere le hanno dovuto praticare una rianimazione perché aveva avuto un arresto cardiaco e respiratorio, aveva realmente temuto il peggio. In un secondo si è ritrovato a pensare alla sua vita prima di conoscerla, a come sarebbe se morisse sul serio, se non l'avesse più intorno... e non gli è piaciuto. Ha bisogno di lei più di quanto voglia ammettere. Della sua allegria, dei suoi modi infantili e folli, dei suoi discorsi senza senso.
«Sei gentile.» gli sorride di nuovo, senza staccare neanche per un istante gli occhi dai suoi. Vorrebbe liberarsi dalla presa che gli amici hanno sulle sue mani per afferrare una delle sue, stringerla, bearsi del suo calore. Vorrebbe restare da sola con lui in quella stanza, inspirare a pieni polmoni il suo odore, imprimendoselo a fuoco nella mente.
Gli basterebbe stare in silenzio da soli, ognuno con le proprie cose per la testa. Le basterebbe così.
«Come mai non guarisce?» le domanda di punto in bianco Halta, sfiorandole l'avambraccio su cui svettano le diramazioni scure delle vene avvelenate.
«Mh? Ah, non ne ho idea. Si ritirerà, penso.» risponde con noncuranza Akemi, distogliendo finalmente lo sguardo da quello del pirata che tanto la fa dannare.
Satch drizza la schiena di colpo, sorridendole allegro e allungandole una mano, deciso che d'ora in poi le darà qualsiasi cosa senza fiatare. Non potrebbe sopportare l'idea di non averla resa felice per una cavolata e perderla subito dopo. Immortale o meno, questa volta ha rischiato davvero tanto e secondo le infermiere, dopo la ricaduta, non è del tutto fuori pericolo.
«Allora, sorellina, li vogliamo fare o no questi tatuaggi?» le domanda allegro, facendola sorride felice. Ed è proprio di quel sorriso che lui è innamorato, quello di cui non potrebbe fare a meno, quello che lo rende fiero delle proprie azioni. Il sorriso di una persona che ti vuole bene sul serio.
Akemi prova ad alzarsi, trascinandosi a fatica fuori dal letto, riuscendo miracolosamente a mettersi in piedi. Fa un paio di passi in avanti, ma una nuova fitta alla testa le fa perdere l'equilibrio, facendola quasi capitolare a terra. Quasi.
«Aspetta, ti aiuto.» afferma Marco, prendendola giusto in tempo e rimettendola in piedi.
Akemi a sua volta gli avvolge le braccia attorno al collo, lasciandolo fare senza protestare. E lo guarda. Lo guarda come se fosse la prima volta che lo vedesse, ammaliata e rapita.
Marco la guarda a sua volta, messo in difficoltà da quell'estrema vicinanza, e si ritrova a ringraziare ogni divinità esistente quando Satch gliela sfila dalle braccia per portarla nella sua cabina.
«Grazie.» mormora Akemi sorridendogli prima di sparire oltre la porta.
Marco rimane fermo in mezzo alla stanza, completamente solo, e sussurra un appena udibile “non c'è di che”, mentre la sua idea di prendere le distanze da quell'angelo maledetto va allegramente a farsi un giro.

Halta cammina con passo svelto verso la cabina di Akemi, carica di roba da mangiare. Debole com'era, infatti, le hanno impedito di muoversi dalla sua stanza, neanche per andare a cena, e ora la comandante le porta la sua razione, curiosa anche di vedere cosa si è fatta marchiare.
«Akemi?» bussa con un piede, aspettando che venga ad aprirle, cosa che l'altra però non fa «Akemi, sono piena di roba da mangiare, mi apri?»
Dopo qualche interminabile minuto la ragazza è riuscita a trascinarsi fino alla porta per poterla aprire.
«Wow, sei uno straccio.» afferma stupita Halta, guardando il suo volto più pallido del solito e le profonde occhiaie che le circondano gli occhi stanchi.
«Sopravviverò.» risponde semplicemente Akemi, dirigendosi di nuovo verso il comodo letto su cui ormai ha fatto il solco. Si appallottola su sé stessa, lasciando il posto per l'amica proprio accanto a sé.
Halta si siede e le porge le pietanze, sperando vivamente di non doverla pure imboccare, cosa che poi invece deve fare.
'Quanto è debole... possibile che una pianta l'abbia ridotta in questo stato?'
Abbassando lo sguardo nota un piccolo disegno nero svettare sulla sua clavicola sinistra: una piccola ancora con una sagola che s'intreccia.
«Carino.» afferma sorridendole «Gli altri?»
Akemi alza semplicemente le braccia, mostrandole due disegni poco sopra i gomiti: a destra ci sono due frecce incrociate, mentre a sinistra un cuore anatomico.
«Quello lo trovo... non so, inquietante.» mormora sfiorandole il cuore, senza però domandarle il perché abbia deciso proprio un disegno simile. In fondo, si sa, non si dovrebbero mai svelare i significati dei tatuaggi.
«A me piaceva.» risponde sicura la minore, riuscendo finalmente a mettersi seduta, ricominciando subito a mangiare grossi pezzi di carne da sola «Sembra impossibile, ma mangiando mi sento meglio.»
Halta storce un poco la bocca, notando che per il momento ha mangiato solo la carne, evitando tutto il resto. Nota anche che sta riacquistando un poco di colorito e che le occhiaie si stanno attenuando.
«Che dicevano gli altri?» domanda sovrappensiero Akemi, ingozzandosi senza ritegno. Non credeva di poter provare una fame del genere da un momento all'altro! 'Adesso so come si sente Ace.'
«Niente di che, erano solo un po' preoccupati.» le risponde sorridendo, sdraiandosi sul suo letto «Pensavamo di andare un po' nella cabina di Ace a fare due chiacchiere, vieni anche tu?»
Akemi annuisce semplicemente, stiracchiandosi le braccia indolenzite. I segni scuri sono ancora presenti sull'avambraccio, anche se meno rispetto a quel pomeriggio.
«Andiamo?» domanda di nuovo allegra Akemi, scattando in piedi come una molla e afferrandola saldamente per un braccio.
Halta rimane di sasso nel vederla di nuovo piena di energie, pimpante e viva. 'Che diavolo hanno messo in quella carne?!'
Camminano veloci per i corridoi scuri, arrivando finalmente di fronte alla cabina del secondo comandante, da cui sentono provenire le voci dei loro compagni che blaterano di sciocchezze.
Akemi, senza tante cerimonie, spalanca semplicemente la porta ed entra, sorridendo allegra ai presenti. Izo e Satch stanno accanto al piccolo oblò a fumare una sigaretta, Marco ed Ace sono stravaccati sul letto, Namiur e Vista sono seduti vicino alla porta, entrambi con una grossa bottiglia di saké in mano, Jaws e Rakuyo invece se ne stanno in piedi in un angolo .
«No, aspetta.» la blocca Satch, puntandole contro un dito «Questo sarebbe il tuo pigiama?»
Akemi abbassa lo sguardo, guardando la canottiera blu e i pantaloncini neri con sguardo perplesso, per poi rialzare la testa e guardare il fratello con aria beffarda «Qualcosa in contrario?»
«Giusto una cosa o due.» borbotta il comandante, incrociando le braccia al petto e mettendo il muso, borbottando tra sé frasi incomprensibili.
«Lo sai che una delle regole principali dei pirati è quella di tenere sempre le proprie armi pronte?» le domanda Marco, placidamente sdraiato sul letto di Pugno di Fuoco, con gli occhi che studiano minuziosamente il soffitto. 'Non sai quanto sono d'accordo con te, Satch.'
Akemi si siede accanto ad Halta per terra, per poi mostrare le unghie alla Fenice.
«Io non me ne separo mai.» afferma con ovvietà, sorridendo allegra. Non è realmente così sicura di poterle definire “armi”, ma contro Geri funzionarono benissimo e anche quando ha combattuto le gole le squarciavano alla perfezione.
«Contro un Ammiraglio non ci faresti niente, lo sai vero?» controbatte prontamente Izo, mettendosi seduto accanto alle due piratesse, inspirando poi una lunga boccata di fumo.
«Neanche con una pistola o un pugnale, se è per questo.» afferma con indifferenza Akemi, giocherellando distrattamente con una ciocca di capelli, alzandosi poi di scatto per sgranchirsi le gambe «Non temere, Izo. I miei artigli sono più che sufficienti in caso di necessità.»
«Se ne sei convinta...» borbotta il comandante in risposta, sdraiandosi subito con la testa sulle gambe della compagna, che si mostra completamente indifferente a quel contatto non esattamente desiderato.
Sa bene, Halta, che Akemi non ha fatto la spia, non lo farebbe mai, però è convinta che dietro a quel gesto così inusuale per lui ci sia dietro il suo zampino. 'Chissà di cosa hanno parlato ieri sera...'
Akemi nel frattempo è andata a sedersi sulle gambe di Namiur, completamente indifferente alle attenzioni che di tanto in tanto la ragazza gli rivolge. Per quanto si renda conto che sia una bella ragazza, non è proprio il suo tipo, cosa che lo rende “immune” ai suoi bizzarri atteggiamenti e alle sue richieste.
«Ace?» lo richiama la corvina, facendolo voltare «Mi fai dare un'occhiata a quel libro?»
«Che libro?» le domanda incuriosito Vista, bevendo un lungo sorso di saké.
«A Dejima una vecchia mi ha dato questo libro per “uccidere la progenie del diavolo”. È pieno di cazzate incredibili!» lo informa subito Ace, prendendo il libro da sotto al letto e allungandolo alla ragazza, che subito comincia a sfogliarlo «Non dicevi che non t'interessa il soprannaturale?»
«Si tratta sempre di cultura, Ace... anche se sono stronzate.» risponde distrattamente Akemi, osservando quelle strane scritture pressoché incomprensibili «Poi hai detto che c'è una parte che non riesci a tradurre, no? Bene, vediamo se io ci riesco!»
Dopo qualche istante di silenzio, nella quale Akemi si è messa d'impegno per decifrarlo, Satch la richiama, curioso quanto gli altri «Allora?»
«Se mi date tempo...» borbotta Akemi senza staccare gli occhi dalla lettura, passandosi distrattamente le dita sulle labbra «Mh... questo è un esorcismo.»
«Davvero? Che c'è scritto?» domanda davvero incuriosito Izo, voltando la testa verso di lei mentre si gode le vaghe carezze che la compagna ha cominciato a fargli sulla testa.
«E io che ne so? Ci sono appuntate le traduzioni di alcune parole e poi c'è il disegnino. Comunque qualcosa riesco a capirlo...» risponde Akemi, senza però alzare gli occhi dalla pagina, come rapita da quei simboli che lentamente riesce a decifrare «In poche parole è un rito per scacciare una presunta presenza demoniaca da una persona, un animale o un luogo... poco interessante, a mio avviso.»
Abbassa per un breve istante gli occhi sull'angolo della pagina, notando il disegno di un triskel circoscritto in un pentagono di un rosso scuro e di colpo sente il cuore battere più forte e la rabbia chiuderle la gola. Distoglie velocemente lo sguardo, voltando pagina, accantonando velocemente l'accaduto. Nessuno dei presenti, per sua fortuna, si è accorto di quel brevissimo cambiamento di umore.
«Mh, questo m'interessa già di più.» afferma dopo qualche secondo, puntando il dito su un'immagine colorata ma allo stesso tempo vagamente inquietante.
«Cosa?» le domanda Namiur, poggiando il mento sulla sua spalla per poter vedere cosa può aver attirato il suo interesse.
«Come costruire ed usare una bambola voodoo.»
«Una che?» le domanda incerto, ricevendo uno sguardo vagamente derisorio.
«La tua ignoranza mi spiazza.» lo sfotte sorridente, ricevendo una pacca sulla testa in segno di ammonimento.
«È una bambola che rappresenta la persona o la Divinità su cui si concentra il rituale magico. Generalmente viene usata per scopi malvagi, perché tramite il rituale giusto si può infliggere dolore al nemico. Però possono essere usate anche per guarire o far innamorare le persone amate, o anche per invocare la presenza della Divinità desiderata.» lo informa osservando nel dettaglio l'oggetto raffigurato, leggendo poi le scritte che lo circondano. Stranamente tutto diventa lentamente più chiaro per lei, come se la sua mente fosse impostata da sempre in modo da poter tradurre quelle scritte.
«Stronzate.» soffia Ace, poggiando la schiena contro la parete e bevendo un sorso di saké dalla bottiglia che l'ottavo comandante gli ha allungato pochi istanti prima.
«Basil Hawkins ha questo potere, se non sbaglio.» afferma distrattamente Marco, sorprendendo i più. Erano convintissimi che non stesse ascoltando neanche una parola, invece a quanto sembra stava seguendo attentamente tutto il discorso e ci stava pure riflettendo!
«Si, ma quello è un frutto del Diavolo, non un rituale magico del cazzo!» controbatte prontamente Ace, facendolo ridacchiare appena.
«Mettetela come vi pare, ma io sarei curiosa di provare.» afferma con una nota di divertimento Akemi.
«Come si costruisce?» le domanda Halta, vagamente attratta da tutti quei discorsi. In fondo sembrano cose divertenti da provare nel tempo libero.
«Si sistemano a croce due rami e si crea il corpo con dell'erba magica adatta al rito e oggetti appartenenti al bersaglio; il tutto poi viene avvolto in stoffa colorata e decorazioni.»
«Che stronzate che mi tocca sentire...» borbotta Satch, passandosi entrambe le mani sul viso.
«Miscredente.» mormora Akemi, facendo ridacchiare il diretto interessato «Se riuscissimo ad ottenere qualcosa appartenente ai marines di alto rango, si potrebbe fare un po' di pulizia senza correre rischi.»
«E il divertimento dov'è?» le domanda Ace, sorridendole con aria allegra e beffarda.
«Certe volte mi trovo a dubitare seriamente delle tue facoltà mentali.» afferma con sarcasmo Akemi, guardandolo con aria beffarda.
«Fanculizzati.» borbotta in risposta Pugno di Fuoco, facendo ridacchiare i presenti.
I loro battibecchi sono i più divertenti da ascoltare, subito dopo quelli che di tanto in tanto avvengono con la Fenice, che adesso è in piedi e si dirige a grandi falcate verso la porta.
«Ehi, dove vai?» gli domanda Vista, vagamente assonnato.
«A dormire.» risponde secco Marco, chiudendosi velocemente la porta alle spalle e dirigendosi velocemente verso la sua stanza.
Non può rimanere ancora lì dentro, non con quella ragazzina che non riesce a smettere di guardare.
Dopo una decina minuti, durante il quale tutti quanti si sono rimessi a parlottare di argomenti leggeri ed allegri, Akemi si alza di scatto in piedi, attirando di nuovo su di sé la loro attenzione.
«Dove vai?» gli domanda Izo, adesso alle prese con un'impegnativa partita a poker con Halta, che gli sta facendo un culo impressionante.
«A farmi una doccia e poi a dormire.» mente Akemi, sorridendogli in modo gentile.
Da velocemente la buona notte a tutti i presenti, soffermandosi soprattutto su Satch, che si spupazza per un po' per ammorbidirlo. In fondo sembra sempre particolarmente teso e nervoso a causa del suo nuovo stile, e questo non le piace. Vuole vederlo sempre allegro e solare come è abituata, e sa che con due coccole ciò è facilmente ottenibile.
Nel frattempo Marco si è già messo a letto con il preciso intento di smettere di arrovellarsi il cervello per quella mocciosa.
Non riesce proprio a capire perché ci pensi tanto, perché sia diventata un'ossessione simile. Ossessione che tra l'altro si è sviluppata in un lasso di tempo decisamente troppo breve, tanto da scombussolarlo nel profondo.
'Che diavolo mi prende?'
Si ridesta dai suoi pensieri quando sente qualcuno bussare alla porta e il cuore gli fa una capriola nel petto quando vede spuntare la testolina dell'essere che gli sta dando così tanti problemi.
«Ti ero mancata, ammettilo!» afferma sorridendo Akemi, entrando senza permesso nella sua cabina e dirigendosi trotterellando verso il letto, su cui si siede senza tanti problemi con le gambe incrociate. Poggia una scatola di metallo rossa al proprio fianco, tenendola stretta con fare protettivo, ma Marco non riesce a badarci, troppo preso a maledire il suo “pigiama”.
'Non appena sbarchiamo gliene compro uno io. Uno di quelli brutti, larghi e sformati, di un orrendo marrone con dei coniglietti verdi!'
Si passa entrambe le mani sul viso, infastidito oltre ogni modo per quell'invasione di spazio. Fastidio che poi sale ancora di più quando la ragazza si stende al suo fianco, sempre tenendosi vicina quella scatola.
«Si può sapere perché sei venuta qui?» le domanda in modo sgarbato, guardandola di traverso, senza però riuscire a toglierle quel sorrisetto impertinente.
«Mi sembra ovvio: voglio darti fastidio!»
«Ci stai riuscendo benissimo.» sibila la Fenice, sistemandosi i cuscini dietro la testa e mettendosi sotto le coperte, con la vana speranza che capisca che se ne deve andare.
«Quanto sei scorbutico!» borbotta Akemi, fingendosi offesa, aprendo finalmente la scatola e rivelandone il prezioso contenuto «Ho dei biscotti.»
«Non li voglio, grazie.» la guarda per una frazione di secondo, intimandole silenziosamente di prendere i suoi profumatissimi biscotti e andarsene a mangiarli altrove. L'arguta Fenice però non ha preso in considerazione che la ragazza non possiede il dono della telepatia e che quindi non può recepire questo messaggio.
«Non ho mica detto che sono per te. Questi sono i miei biscotti.» afferma seria, cominciando a mangiucchiarlo sotto lo sguardo sempre più alterato del maggiore.
«Allora perché me ne hai parlato?»
«Come avvio di conversazione.»
«Una conversazione non si comincia così!» controbatte subito Marco, facendola ridacchiare.
«Non di meno adesso conversiamo. Scacco matto!»
La guarda dritto negli occhi per un breve istante, per poi abbandonarsi ad un rumoroso sospiro rassegnato.
«A volte mi preoccupi.» mormora girandosi finalmente su un fianco per poterla guardare, arrendendosi all'idea che non se ne andrà facilmente da lì «Allora... come ti va la vita?»
«La mia esistenza è un continuum, quindi sono ogni momento ciò che sono stata in un periodo di tempo sottinteso...»
«Cosa?!» sbotta Marco, non riuscendo a capire il senso di quell'astrusa risposta. 'Ma perché mi stupisco? Dice sempre un sacco di cazzate!'
«Boh.» risponde sinceramente Akemi, facendogli un amplio sorriso.
«Ribadisco: mi preoccupi.»
Ride ancora Akemi, ricomponendosi in pochi secondi e cominciando a fissare con più insistenza e serietà il comandante, sistemandosi meglio il cuscino sotto la testa e abbandonando momentaneamente i biscotti «A te invece come va la vita?»
«Tutto nella norma.» risponde pacato, allungando lentamente una mano verso quegli invitanti dolci, riuscendo addirittura a prenderne uno.
«Non avevi detto di non volerli?» domanda Akemi, soddisfatta per essere riuscita a farlo crollare e comportare come una persona normale. Beh, normale per i suoi standard, s'intende.
«Mi puoi spiegare una cosa?» gli domanda subito dopo, abbassando lo sguardo con un certo imbarazzo.
«Penso di si.»
«Perché adesso mi chiamate “pantera”? Non ero “Angioletto”?»
Marco si lascia sfuggire una lieve risata, cercando sempre di fare attenzione a non far cadere delle briciole sul letto. Non potrebbe sopportarlo.
«Tornerai ad essere “Angioletto” quando tornerai ad indossare i panni dell'angelo.» le risponde tranquillo, allungando di nuovo la mano per prenderne un altro. 'Ora capisco perché Ace li vuole tanto... sono incredibili!'
«Oddio, anche tu no, eh! Si può sapere cos'hanno di sbagliato i miei vestiti?» sbotta infastidita, guardandolo con un certo astio.
«Per quanto mi riguarda stai meglio così.»
Con questa semplice l'astio svanisce completamente, lasciando spazio ad un fortissimo stupore e un vago imbarazzo. Imbarazzo misto a gioia. Gioia mista ad una voglia impressionante di buttare i preziosi biscotti di sotto dal letto e saltargli addosso come un animale.
«Davvero?» si limita a domandare con un filo di voce, in piena crisi spirituale.
«Sentiresti se ti dicessi una cazzata, no?» domanda sarcastico Marco, non riuscendo -per sua fortuna- a capire quando l'abbia messa in crisi.
Rimangono in silenzio per qualche istante, lui preso dai biscotti e lei dalla sua affermazione, finché alla fine non riesce a trattenere un commento “pungente”.
«E così vestita in questo modo ti piaccio.»
Marco la guarda per un breve istante, lasciandosi poi andare ad un vago sorriso «Se la vuoi mettere in questo modo.»
«E mi chiamate “pantera” perché...?» domanda subito dopo Akemi, che ancora non ha trovato la risposta desiderata.
«Per il modo in cui ti muovi, per come guardi le persone... come un predatore.» le risponde pacato Marco, cercando di rimanere sempre un poco sulle sue.
«Poi oggi eri vestita di nero, quindi gli sarà venuto spontaneo affibbiarti quel soprannome.» aggiunge subito dopo con un sorriso.
«Avete decisamente poca fantasia.»
«Probabile.» ammette, tornando a guardarla dritto negli occhi. Questa volta è proprio lui, il grande Marco la Fenice, a non riuscire a trattenere un commento «In ogni caso quel vestito ti stava bene.»
Akemi sgrana gli occhi per la sorpresa, incapace di riuscire a dire qualsiasi cosa eccetto un flebile “grazie” appena udibile.
Il silenzio cala di nuovo, imbarazzante come mai lo era stato tra di loro.
Marco si rende conto che si è lasciato andare troppo, che il filtro pensiero-azione si è allargato più del dovuto, facendogli uscire dalla bocca qualcosa che sarebbe stato meglio non dire.
Alla fine è Akemi ad interrompere quel fastidioso silenzio, alzandosi lentamente dal suo letto e dirigendosi verso la porta, lasciandogli volontariamente la preziosa scatola.
«Si è fatto tardi, è meglio se vado a dormire. Buona notte.» afferma sbrigativa, preda di troppe emozioni contrastanti.
«Buona notte...» mormora Marco un istante prima che la ragazza si chiuda la porta alle spalle, continuando a domandarsi ininterrottamente cosa gli sta succedendo, perché si sente tanto in imbarazzo al suo fianco, perché sente lo spasmodico desiderio di toccarla come nei suoi sogni.
'L'ho vista letteralmente crescere... non è normale provare questa attrazione.' si ripete, rigirandosi nel letto per prendere sonno.
'Passerà velocemente, basta solo avere pazienza.'
Akemi nel frattempo se ne va verso la propria stanza con passo incerto, pensando e ripensando alla loro breve conversazione, a quanto avrebbe voluto sfiorare quegli addominali scolpiti che di tanto in tanto si ritrovava a guardare, a quanto avrebbe voluto rimanere in quel letto con lui, a dormire al suo fianco.
'Basta, devo darmi una calmata.' pensa respirando profondamente, con la mano che stringe con forza la maniglia della porta 'Con un po' d'impegno posso spegnere questo fuoco che mi sta consumando e potrò tornare a guardarlo normalmente.'
Entra nella sua camera vagamente più tranquilla grazie a quella convinzione assurda, venendo accolta da un odore nuovo.
«Buonasera.»
Si volta di scatto, portando in un gesto automatico la mano alla pistola che tiene sul comodino accanto alla porta e la punta immediatamente contro l'intruso.
È un uomo alto, vestito con una lunga tunica grigia con maniche larghe che in parte gli coprono le mani, dove nota delle lunghissime unghie laccate di nero. Ha i capelli grigi estremamente lunghi e una frangia foltissima, premuta da un bizzarro cappello.
È fermo nell'angolo della stanza, avvolto dall'ombra, e la fissa da sotto la frangia con insistenza, senza nascondere un ghigno entusiasta.

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«Chi diavolo sei tu? Che ci fai nella mia stanza?» gli ringhia contro Akemi, pronta a dare l'allarme. L'idea di attaccarlo da sola l'ha sfiorata per un brevissimo istante, ma l'ha subito accantonata. Sente chiaramente la sua forza, così imponente da farla rabbrividire.
'Neanche il babbo ha una forza simile...' si trova a pensare, mentre deglutisce a vuoto.
«Già, ammetto che forse avrei dovuto bussare, attendere una tua risposta e poi entrare, ma le abitudini sono dure a morire, specialmente quelle brutte.» afferma senza abbandonare il sorriso, portandosi di un paio di passi in avanti e porgendole una mano «Comunque sono davvero molto lieto di incontrarti. Il mio nome è Wulfric. Se preferisci puoi chiamarmi Willy-»
«Che diavolo vuoi da me?» fa un passo indietro, intimorita come se si trovasse di fronte ad una delle ombre dei suoi incubi, ritrovandosi sfortunatamente con le spalle al muro.
Vorrebbe urlare, chiamare aiuto, ma ogni volta che ci prova l'urlo le rimane intrappolato in gola.
«Non agitarti, non sono qui per farti del male.» l'avverte subito, ritirando la mano e girottolando pacatamente per la stanza, notando con la coda dell'occhio che la ragazza non ha abbassato né la guardia né tanto meno l'arma. Osserva poi per un breve istante il medaglione abbandonato sul comodino e un nuovo sorriso fa capolino sulle sue labbra sottili. Si volta così verso di lei, guardandola con aria assai divertita «So che non molto tempo fa hai avuto un diverbio con i fratelli Ulykke.»
«Intendi i due psicopatici che hanno provato a rapirmi?» un nuovo brivido le percorre la spina dorsale, mandandola nel panico.
'Come fa a saperlo?'
«Proprio loro. Tu non puoi capire quanto quei due siano odiosi, anche presi separatamente. Rozzi, volgari, chiassosi e senza un minimo senso dello stile. Insopportabili su tutti i fronti, ecco.» parla tranquillamente, come se si trovasse di fronte ad una vecchia amica, confondendola.
«Invece immagino che tu sia una delizia.» soffia, impugnando con più decisione la pistola e provando ad avvicinarsi alla porta, bloccandosi immediatamente quando l'uomo si volta di nuovo verso di lei, sempre con quel dannato sorriso inquietante.
«I più dicono che sono uno stronzo, in realtà, ma si: sono una delizia.» afferma convinto, allargando le braccia.
«Tu sei strano...» mormora Akemi, più confusa che mai.
Sente che è pericoloso, più di qualsiasi altra persona abbia mai incontrato prima, ma per qualche stranissima ed inspiegabile ragione si sente come calamitata verso di lui, tanto da non riuscire a scappare come in realtà vorrebbe.
«Ti dispiace abbassare la pistola? Sai, le armi m'innervosiscono un po', soprattutto quelle da fuoco. Creano un tale trambusto... molto meglio i pugnali. Lavoro pulito, oggetto elegante...»
«Se ti piacciono così tanto, potrei sempre aprirtici il cranio, che ne dici?» ringhia cercando di sembrare minacciosa, scatenandogli però un'inquietante risolino.
«Dico che non ascolti, ragazza. Lavoro pulito, capisci? Ahhh, i giovani. Con tutta la violenza che vi circonda non pensate ad altro che sbudellare, distruggere e creare dei veri e propri scenari dell'orrore.» farfuglia gesticolando animatamente, continuando a camminare silenziosamente per la stanza.
Solo in quel momento Akemi si rende conto che i suoi passi non stanno emettendo il minimo suono, tanto da farle provare un profondo senso di inquietudine.
'Da quanto mi braccava?'
«Ascoltami bene, Wulfric: questa conversazione si è protratta più del dovuto, quindi vattene. Subito.» sibila sperando di riuscire nell'impresa, pregando che abbia paura quanto meno del resto della ciurma. Speranza assai vana, in realtà...
«Non ho alcuna intenzione di andarmene, per ora.» ammette infatti l'uomo, di colpo serio, che punta lo sguardo sull'arma ancora puntata contro la sua figura, alterandosi «Abbassi quella dannata pistola?!»
Akemi ha come l'impressione che la forza che percepisce provenire da lui sia aumentata per un breve istante, per poi tornare come prima.
'Si sta trattenendo?' lo sgomento è così forte che automaticamente abbassa la pistola, appiattendosi di nuovo contro la parete, mentre il cuore le batte sempre più forte.
«Così va meglio, grazie.»
Rimangono in silenzio per qualche minuto, nel quale Wulfric non ha fatto altro che guardare tutto quello che lo circonda con grande interesse, dando così il tempo ad Akemi di regolarizzare il respiro. L'ultima cosa che vuole, infatti, è provocarle un infarto.
«Se non sei qui per farmi del male o cose simili, cosa vuoi?» domanda con un filo di voce Akemi, senza muoversi di un millimetro, attendendo impaziente la sua mossa.
«Sono qui per darti un piccolo aiutino. Sai, sono contrario a quello che è stato deciso per te, sono dell'idea che ognuno deve trovare da solo la propria strada-»
«Allora non dovresti darmi nessun tipo di aiuto.» lo interrompe involontariamente, tremando quando si volta per osservarla con aria incredibilmente seria, tornando a respirare solamente quando l'uomo le sorride divertito.
«In effetti va contro la mia filosofia per un certo verso, ma tu sei un'eccezione.» ammette infatti Wulfric, intrecciando le lunghe dita da pianista tra di loro e inclinando un poco la testa da un lato «Non voglio rivelarti niente, in realtà, solo darti una cosa che ti donerà un po' di sollievo nei momenti in cui sentirai di perdere il controllo.»
Akemi vacilla per un istante e in poco scatta qualcosa nella sua mente. Qualcosa che la costringe ad avvicinarsi di un paio di passi.
'Lui sa!'
«Non so di cosa tu stia parlando.» mente, cercando di incastrarlo e farlo parlare. È abbastanza sveglia da capire che un tipo così non le dirà mai niente direttamente e che quindi occorre usare dei rigiri di parole, un po' come con Týr.
«Oh, si invece.» si avvicina pure lui, tranquillo e divertito, andandole abbastanza vicino da mostrarle i suoi occhi di un brillante color ghiaccio «La rabbia, le cattiverie gratuite, la voglia di fare del male, l'istinto predatorio... ci siamo passati tutti quanti. Solo che noi sapevamo come comportarci, mentre tu no.»
«Allora dimmelo!» soffia Akemi, che di colpo ha ritrovato la sua forza e determinazione.
'I suoi occhi...'
Non riesce a smettere di fissarli, scrutandoli nel dettaglio, accorgendosi di una cosa che stranamente la rincuora incredibilmente.
'Sono uguali ai miei!'
«No. Hai già scordato la mia filosofia?» ridacchia in maniera inquietante, portandosi le mani davanti al viso per nascondere gli insoliti denti, per poi fare qualche passo indietro, muovendosi leggero e silenzioso come un fantasma.
Torna fino all'angolo buio in cui era all'inizio, inclinando di nuovo la testa, lasciando oscillare i lunghi capelli «Sotto al letto troverai una cosa; consideralo un regalo. Devi berne metà al giorno e per forse sei mesi starai bene.»
«Cos'è?» domanda incuriosita, senza però muoversi. Non può dargli le spalle, potrebbe rivelarsi fatale e lo sa bene.
«Una cosa che ti farà bene. Ti consiglio di tenerla lontana dalla luce, sarebbe bene al caldo, e magari anche lontana dagli occhi dei tuoi amici. Non so quanto gradirebbero la cosa.»
«Si tratta di droga?!» domanda quasi scandalizzata Akemi, spaventandosi quando vede il volto dello sconosciuto contrarsi per la rabbia.
«Ho l'aria del drogato, io?!» le ringhia contro, lasciando andare per un altro brevissimo istante la sua energia distruttiva che la spaventa ancora di più «Non dovevo alzare la voce, perdonami. Comunque no. Niente droga, niente alcol, niente di pericoloso o nocivo che crea dipendenza. È solo una cosa che ti farà bene.» si affretta a spiegare, tornando calmo e incrociando di nuovo le dita tra di loro, sorridendole in un modo che solo lui al mondo può considerare confortante «Bada bene, ragazzina: ti farà bene. A te e a nessun altro, capito? Nessuno
Akemi annuisce piano, spiazzata dai suoi modi e dalla sua personalità confusa e altalenante, trovandosi nuovamente a pensare che sia un pazzo estremamente pericoloso che non le sta raccontando altro che balle.
«Adesso mi rincresce ma devo salutarti. Ho delle faccende da sbrigare e di certo i miei compagni non le faranno al posto mio.» un leggera nebbiolina nera avvolge le sue gambe, salendo lenta e sinuosa sul busto «Un giorno, spero non molto lontano, ci rivedremo.»
Akemi non fa in tempo a dire assolutamente niente. La nebbia lo ha completamente avvolto e altrettanto velocemente lo ha fatto dissolvere nel niente, lasciandola sola.
«A presto, oh dolce creatura delle tenebre...»



Angolo dell'autrice:
Eccomi di nuovo qui! :)
Innanzitutto vi ringrazio di cuore per non avermi maledetta per lo scorso capitolo *w* davvero troppo gentili! :)
Poi, il titolo. Comincio col dire che ha senso. So che sembra non averne minimamente, ma invece si. Infatti, come spiegato durante il capitolo, Akemi è stata avvelenata da quel ragazzo con un infuso fatto con quella determinata pianta, che ovviamente non è stata scelta a caso. Certo, le conseguenze di quell'avvelenamento sono state amplificate, ma diciamo che servono per dare un indizio. Ok, non dico altro. Al limite chiedete :)
All'inizio avevo pensato ad una cosa del tipo “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” o, in alternativa, “Atropa belladonna e visite notturne” per delle più che ovvie ragioni, ma nessuno dei due mi convinceva. Così ho deciso di usare l'attuale... da un senso di... non so. So solo che mi piace :)
Poi... MARCO! Povero amore mio... gli piace la piccola schizofrenica ma non lo vuole ammettere neanche a sé stesso! Inoltre è geloso del rapporto che ha con Ace! Sta diventando tenerello :3 peccato solo che lui sarà cocciuto ancora per un po'!
Ora, giustamente, un piccolo spazietto per Wulfirc: ebbene si, questo ambiguo personaggio è interpretato da Undertaker di Kuroshitsuji! Giuro, lo adoravo dal profondo del cuore e, per come l'ho pensato, ci calza a pennello... soprattutto per il sorrisetto inquietante! :D Spero che la mia scelta possa piacervi :)
Infine, un piccolissimo spoiler: nel prossimo capitolo Akemi tirerà finalmente fuori i coglioni! Ma non vi rivelo altri dettagli. >:)

Adesso un grazie di tutto cuore a Portogas D SaRa, Yellow Canadair, Vivi y, Aliaaara, Redangel19, Okami D Anima, Monkey_D_Alyce, Lucyvanplet93, ankoku e Law_Death per le bellissime recensioni! E anche a tutte le persone che leggono i vari capitoli e a coloro che l'hanno messa tra seguite/preferite/ricordate. Siete davvero gentilissimi, grazie sul serio! Se non fosse per voi probabilmente non riuscirei nemmeno ad andare avanti O.O
Beh, direi è giunto il momento di salutarci anche per questa volta. A presto, un bacione
Kiki


PS: se a qualcuno di voi interessa, questi sono i nuovi tatuaggi: http://tinypic.com/r/eqc7c3/8
Io sono una malata di tatuaggi, ne ho diversi sparsi per il corpo, quindi non riesco a trattenermi dal metterli sempre e comunque anche sui miei personaggi >.< sono una frana! :(

PPS: prima che possano sorgere degli equivoci, Akemi ha messo la tagli di Rufy in camera solo per una questione di stima! :P

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Capitolo 14
*** 14. Non opporre un'inutile resistenza ***


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«Mettici più impegno!» la riprende per l'ennesima volta Marco, sferrandole un potente calcio nel fianco, facendola così cadere rovinosamente a terra.
Akemi non si da per vita e subito si rialza, snudando istintivamente le zanne in segno di minaccia.
«Possibile che tu ancora non abbia imparato niente?!» la sgrida con tono eccessivamente duro, mandandola in bestia. 'Perfetto.'
Marco sa bene che l'unico modo per farla battere sul serio, per scatenare il suo talento e la sua forza distruttiva, è farla arrabbiare. Di conseguenza ha preso ad essere il più odioso possibile durante i loro allenamenti, riuscendo così ad innescare in lei quel meccanismo di difesa micidiale di cui inconsciamente dispone.
Scatta in avanti, Akemi, provando ad afferrarlo. Ma Marco è decisamente più allenato di lei, più veloce e forte, quindi i suoi tentativi risultano vani.
C'è anche da dire, però, che Akemi non sta facendo realmente sul serio.
Dalla visita a sorpresa di Wulfric di due settimane prima, per lei è cambiato tutto.
Da quando ha scoperto il suo strano dono, consistente in piccole casse contenti delle bottigliette di vetro scuro, la sua vita ha preso una svolta diversa: la sua forza è aumentata considerevolmente, la sua anemia sparita, il suo aspetto è migliorato.
Detta così potrebbe anche sembrare una specie di cura miracolosa, un qualcosa su cui tutti quanti vorrebbero mettere le mani per migliorare la propria vita, ma non è così. Dopo un solo, piccolo assaggio di quel liquido scuro dall'odore penetrante e dal sapore dolce e allo stesso tempo ferroso, ha sviluppato immediatamente un forte senso di dipendenza, tanto da trovare assai difficoltoso berne solo metà dose al giorno. Infatti, dopo quel primo assaggio, si è scolata senza tanti ripensamenti due bottigliette di quello strano liquido, sentendosi immediatamente invincibile. Invincibile e incredibilmente diversa.
I suoi occhi brillavano di una luce nuova, ammaliante, i suoi capelli erano diventati più lucidi e forti, il suo corpo ancora più tonico e la pelle più liscia.
Ma non è stato solo il suo corpo a subire dei cambiamenti: di colpo si è ritrovata ad essere più aggressiva, soprattutto nelle ore notturne, e a provare il forte desiderio di far del male a diversi componenti della ciurma. È riuscita a trattenersi solo grazie all'amore smisurato che prova per loro, e per l'intervento di Ace quando ha provato a piantare una forchetta nella schiena lardosa di Teach.
Dopo questo evento ha capito che doveva andarci piano con quella roba, bere la dose in diversi momenti della giornata e, soprattutto, fare tutto quello che è in suo potere per rimanere tranquilla. Non si perdonerebbe mai se facesse del male a qualcuno, anche se quel qualcuno fosse Teach.
«Allora, mocciosa, sei già stanca?» la sfotte Marco, riportandola con i piedi per terra, provando a tirarle un pugno, che però viene parato.
Lo afferra con forza per un polso e prova a sferrargli un montante nel mento, senza però riuscirci e venendo a sua volta bloccata.
«Smettila di giocare!» le urla contro, sbattendola a terra con forza e scattando subito all'indietro per evitare il contrattacco «Vuoi che continuino ad ammazzarti in continuazione?!»
Akemi, punta nell'orgoglio, prova a scattare in avanti per tirargli un pugno, ma la Fenice la blocca immediatamente, rigirandosela tra le braccia come una bambola e tenendola ferma.
«Come farai quando ti troverai di fronte ad avversari davvero forti?» le stringe con forza i polsi, tenuti all'altezza del petto, bloccandole i movimenti, resistendo alla sua incredibile forza fisica.
Akemi lotta fino all'ultimo, ma non appena sente il respiro caldo della Fenice sul collo si immobilizza, puntando gli occhi nel grande specchio che ha di fronte, trattenendo il respiro.
Sente le ginocchia cedere, tanto che se Marco non la stesse tenendo crollerebbe a terra, lo stomaco in subbuglio e la bocca secca. Quando poi il pirata alza gli occhi, incrociando i suoi nel riflesso dello specchio, sente il cuore farle una capriola nel petto.
Rimangono fermi così, stretti e in silenzio, per un tempo che pare loro infinito. Il cuore di Marco batte stranamente veloce, i suoi occhi sono fissi in quelli di ghiaccio della ragazza che trema impercettibilmente tra le sue braccia, le sue mani hanno allentato considerevolmente la presa, tanto da scivolare lentamente sulle mani fredde di lei, stringendole appena, e la sua strafottenza è improvvisamente svanita, lasciando spazio ad una forte confusione.
Abbassa gli occhi, guardando il profilo delicato della ragazza come ipnotizzato e in poco Akemi volta la testa per poterlo guardare negli occhi, rapita dal battito frenetico del suo cuore.
I loro occhi sono puntati gli uni in quelli dell'altra, i respiri si fondono, le labbra si sfiorano appena.
«Marco, dove sei?» il richiamo forte di Ace li fa sobbalzare e staccare come se si fossero scottati. Si guardano sotto shock, consapevoli di ciò che sarebbe successo e in pochi istanti il primo comandante esce dalla palestra a passo di carica, lasciandola da sola con i suoi pensieri.
'Cosa diavolo mi è saltato in mente?! È una ragazzina, l'ho vista crescere, l'ho pure tenuta in braccio!' si passa le mani sul volto frastornato, andando in contro al secondo comandante, che lo saluta con un sorriso radioso.
«Va tutto bene?» gli domanda sempre con una certa allegria, mettendogli un braccio attorno alle spalle mentre si dirigono con passo calmo verso la stiva per controllare come sono messi con i rifornimenti.
«Tutto bene, si.» risponde sbrigativo il maggiore, senza lasciar trapelare alcuna emozione.
Anche se non vorrebbe, anche se si concentra per non pensarci, non riesce ad evitare di rivedere nella sua mente lo sguardo quasi ipnotizzato di Akemi che lentamente si avvicinava al suo. Non riesce a non pensare al suo corpo, che in breve tempo si è sviluppato al punto da farla sembrare una giovane donna di circa venticinque anni. Non riesce a non pensare al suo inquietante sorriso pieno di allegria quando scherza con lui o con gli altri, ai suoi modi di fare infantili, al suo impegno quando l'allena, ai gesti dolci che rivolge al suo capitano.
'Non poteva restare una mocciosa rompicoglioni?! No! Doveva crescere e diventare ancora più rompicoglioni di quanto già non fosse!'
Akemi, nel frattempo, si è messa ad allenarsi da sola con i pesi, rimuginando incessantemente su quel bacio mancato. Non capisce come sia potuto accadere, cosa sia successo a quel ragazzo tanto arrogante e freddo per lasciarsi andare così, per avvicinarla tanto. Ci pensa e ci ripensa, senza però riuscire a giungere a nessuna conclusione.
'Io non gli piaccio, non in quel senso. Si, insomma, lui ha Bay... io non sono di certo alla sua altezza, sotto tutti i punti di vista.'
Rimette a posto il bilanciere con un movimento frettoloso e frustrato, mettendosi a sedere e passandosi le mani sul viso imperlato di sudore.
Quando poi vede il proprio riflesso nello specchio, non riesce a non paragonarsi alla piratessa dai capelli turchesi.
Vede il proprio corpo magro, la pelle tesa grazie ai muscoli sviluppati, l'addome su cui s'intravede una lieve tartaruga, la carnagione incredibilmente pallida, gli occhi tanto chiari da sembrare quasi quelli di un cieco. Si vede e non riesce a vedere altro che una ragazza strana, una specie di mostro bizzarro che veste sembianze umane.
'Lei è normale. Lei non crea problemi. Lei è forte, è bella e femminile. Io... io sono strana. Ho i denti aguzzi, gli artigli neri, un carattere intrattabile che non riesco a cambiare, una spiccata aggressività che non si spiega, sono dipendente da quella brodaglia che mi ha rifilato quel pazzo. Io sono semplicemente sbagliata.'
«Ehi!»
Volta la testa verso l'ingresso, sorridendo nel modo più dolce che può al quarto comandante, arrivato a tenerle compagnia.
«Come mai da queste parti?» gli domanda alzandosi da terra e andandogli in contro, mettendosi l'asciugamano sulle spalle e dirigendosi al suo fianco verso la propria cabina per una bella doccia.
«Non posso avere voglia di passare un po' di tempo con la mia adorata sorellina?»
Akemi si blocca in mezzo al corridoio e lo guarda con l'aria di chi la sa lunga, facendolo sbuffare.
«Non ti si può nascondere niente, vero?» si passa una mano dietro al collo con fare nervoso, Satch, sospirando forte. Non voleva rivelarle niente per non farla preoccupare, ma sapeva che sarebbe stato difficile, se non impossibile.
«Babbo non si è sentito molto bene un paio d'ore fa.» ammette con dispiacere, sentendo una stretta allo stomaco di fronte al suo sguardo sgomento «Non preoccuparti, le infermiere si sono già occupate di lui. Vedrai che entro stasera sarà come nuovo.»
Malgrado senta la sua sincerità, Akemi non riesce a credergli. Sa che la salute di suo padre non è delle migliori, che un peggioramento potrebbe essergli anche fatale, quindi non riesce a credere alle parole del pirata.
Una lacrima scarlatta le riga la guancia pallida e Satch di slancio l'abbraccia, stringendola forte al petto.
«Akemi, credimi: va tutto bene, ok? Ran e le altre sanno fare il loro lavoro, è in buone mani, ok? Andrà tutto bene.» prova a rassicurarla, con scarsi risultati «Akemi, guardami.»
La ragazza alza gli occhi sul viso gentile dell'uomo e un timido sorriso le increspa le labbra rosee.
«Ti prometto che andrà tutto bene, ok? Ricordati sempre che in ogni caso ci saremo sempre noi al tuo fianco. Va bene?»
Annuisce piano, passandosi il dorso delle mani sugli occhi per pulirsi, finendo solo con l'impiastricciarsi le guance.
«Vai a lavarti, forza.» le da un'amichevole pacca sul sedere per allontanarla e solo in quel momento si rende definitivamente conto di quanto sia cresciuta.
I ricordi di quando era piccola e spensierata riaffiorano prepotentemente, facendo spuntare sul suo viso un sorriso amaro.
'La vita è stata ingiusta con te in tanti modi, sorellina... ma non devi disperarti. Tutti noi saremo sempre al tuo fianco.'
La guarda sparire in fondo al lungo corridoio e un forte senso di gioia lo pervade, lasciando trasparire dagli occhi l'orgoglio che un padre può provare nei confronti di un figlio. Perché lei praticamente è tutto: amica, compagna, sorella, figlia. Ha trovato in lei tutto quello che gli mancava. Certo, tutto tranne che un amante, ma per questo non si fa problemi. In fondo, ogni volta che sbarcano, gli va assai bene con il gentil sesso.

«Beh, in quanto a provviste siamo messi abbastanza bene. Dovremmo reggere tranquillamente fino alla prossima isola.» afferma sovrappensiero Ace, grattandosi la nuca distrattamente.
Marco, al suo fianco, non ha ascoltato neanche una parola. In parte è preoccupato per Barbabianca dopo essere stato informato dal compagno del suo malore, in parte ha addosso un'ansia incredibile per l'incontro che a breve avrà con Akemi. Perché lui non è stupido come lei e non la eviterà come una lebbrosa per una sciocchezza simile.
Se però ripensa alla sciocchezza in questione, non riesce a non prendere in considerazione l'idea di abbassarsi al suo livello di idiozia e cominciare ad evitarla. Sorgerebbe però il problema che gli altri noterebbero quel il cambiamento e gli farebbero un sacco di domande scomode. Perché a lui è ovvio che le farebbero, perché psicologicamente stabile e non incline ad esplosioni di rabbia incontrollata come Akemi.
Preso dai suoi mille pensieri, Marco non si rende neanche conto di essersi seduto al suo posto a mensa.
'Quando ci sono arrivato?'
Solo in quel momento, inoltre, si rende conto degli sguardi preoccupati dei fratelli, intenti a fissare insistentemente le pagine del giornale che Blamenco tiene stretto tra le mani.
'Che è successo?' allunga la testa pure lui per riuscire a capire cosa abbia suscitato in loro tanto interesse -pure in Ace!- ma l'arrivo delle due piratesse, intente a scherzare tra loro, lo manda nel panico.
'E se Halta sapesse? E se lo venisse a sapere chiunque di loro?! Cazzo!'
Sposta repentinamente gli occhi non appena incrocia quelli chiari di Akemi, non vedendo così l'espressione scocciata della minore.
'Sono un'idiota...' pensa sconsolato, tornando a leggere l'articolo che, poco a poco, lo sta sconvolgendo profondamente, forse più di quel bacio mancato.
'Chi diavolo può aver fatto una cosa simile?'
Halta si siede tranquillamente al suo posto, affiancata immediatamente dall'amica, e le espressioni turbate dei compagni accendono in lei una forte curiosità «Ehi, che sono quei musi lunghi?»
«Non hai letto il giornale?» le domanda Jaws con voce dura, tenendo le braccia incrociate al petto ampio e muscoloso.
La comandante nega con la testa, voltandosi poi verso Akemi, che a sua volta muore dalla curiosità di sapere cosa sia successo di così grave.
«Neanche io.» afferma infatti la corvina, cercando gli occhi di Ace, preoccupata che possa essere successo qualcosa al suo adorato fratello «Qualcosa di grave?»
«Qualcuno ha ammazzato due Draghi Celesti.» mormora Atmos, ancora intento a leggere.
«E occorre essere così tristi? Quei bastardi meritano la morte.» scherza Akemi, tirando un sospiro di sollievo, facendo un ampio sorriso ai compagni. Sorriso che si spegne immediatamente di fronte alle loro espressioni dure.
«Mostraglielo.» ordina Satch a Blamenco, che a sua volta passa il giornale alle due ragazze.
Halta lo afferra con decisione e comincia a leggere a voce bassa, consapevole che la ragazza al suo fianco la può sentire distintamente.
«“Ritrovati questa mattina, nella loro residenza, due Draghi Celesti assassinati. Entrambi sono stati drogati con una forte tossina paralizzante che non avrebbe permesso loro di urlare per chiedere aiuto ed in seguito sono stati spellati vivi. Una sostanza urticante è stata poi ritrovata sui loro corpi. Ancora ignote le identità degli assassini che hanno compiuto il massacro, si sospetta che siano gli stessi che nelle ultime settimane stanno disseminando terrore e morte in giro per varie isole del Nuovo Mondo e, ora, anche nella Rotta Maggiore.”»
«Porco cazzo.» afferma Akemi, lasciando trapelare un certo stupore. In effetti, per quanto non gli dispiaccia per la morte di quegli infidi bastardi, sa bene quanto sia difficile avvicinarli. Ucciderne due nella loro stessa residenza è una cosa da considerare pressoché impossibile!
'Perché mai l'avranno fatto?'
«Gira la pagina, c'è allegata la fotografia e il resto dell'articolo.» consiglia loro Izo, giocherellando distrattamente con il cibo che ha di fronte. Se ne pente immediatamente però, dal momento che dopo averla vista gli è passato completamente l'appetito!
Akemi, senza esitare neanche un secondo, volta la pagina, sgranando gli occhi per il disgusto. È vero che nei suoi incubi ha visto tante cose brutte, tra cui tutta la ciurma fatta a pezzi, lei stessa che veniva mangiata o roba del genere, ma vedere la fotografia di due cadaveri completamente spellati e pieni di vesciche sulla pelle viva le fa una certa impressione. Inoltre, sul muro alle loro spalle, sono ben visibili diversi disegni e una scritta fatti con il sangue che è stato loro tolto e messo in due grossi secchi di metallo.
«Per Dio...» mormora con un filo di voce Halta portandosi una mano alla bocca, cercando con tutta sé stessa di trattenere un conato di vomito «Chi mai sarebbe capace di una cosa simile?»
«Akemi, sai tradurre la scritta dietro di loro?» le domanda con tono duro Marco, guardandola finalmente negli occhi.
Akemi, seppur senta la forte tentazione di saltare dall'altra parte del tavolo e prenderlo a testate per il suo atteggiamento indisponente, riabbassa semplicemente gli occhi sulla macabra fotografia.
“Dødsfall er bare begynnelsen”, legge in silenzio quelle parole con attenzione, cercando di decifrarle, senza però riuscire a cavare un ragno dal buco.
«La morte è solo l'inizio...»
Sgrana gli occhi come se si fosse risvegliata da un brutto sogno, trattenendo il respiro. L'ha sentita, ne è sicura. Dopo venti giorni di assoluto mutismo, in cui l'ha visto solo in ricordi appartenenti ad una vita lontana e quasi irreale, eccolo che torna a farle visita nella sua mente, serio come poche volte in vita sua.
'Tu lo capisci?'
Come era prevedibile, però, dopo essersi lasciato scappare quella traduzione se ne è tornato nel suo angolo oscuro e lontano da lei, lasciandola di nuovo sola con mille e più dubbi.
«La morte è solo l'inizio.» afferma dopo un attimo di silenzio, con voce sicura e ferma.
«Come puoi dirlo con tanta sicurezza?» le domanda Halta, guardandola con aria circospetta. In fondo ogni volta che assume quell'espressione assorta fissando il vuoto, vuol dire che sta parlando con lui.
«Lasciamo perdere.» risponde freddamente Akemi, buttando di lato il giornale e andandosene con passo svelto, più che decisa a prendersi una boccata d'aria per riordinare le idee.
'Perché non mi parli più, brutto mentecatto? Sono curiosa di sapere quale assurda ragione hai trovato per evitarmi. Sapevi benissimo anche prima che ti dicessi di sparire che la tua presenza non era ben gradita, che non avevo assolutamente voglia di sentire tutte le tue stronzate, eppure non mollavi neanche un secondo la presa. Te la sei presa, per caso?'
Quando, dopo quale minuto dalla sua silenziosa domanda, non sente arrivare nessuna risposta dal diretto interessato, un forte senso di angoscia l'assale.
'Non mi vuoi neanche tu... così come non mi volevano loro.'
L'idea di essere stata abbandonata, scaricata come un rifiuto, torna dolorosamente nella sua mente, facendole provare una forte fitta al cuore.
Fissa l'orizzonte con sguardo malinconico, trovandosi per l'ennesima volta a domandarsi che aspetto abbiano, se assomiglia ad uno dei due, quale sia la loro voce.
Si trova di colpo a fantasticare su di loro, a figurarseli nella mente. S'immagina una ragazza dai folti capelli neri e i lineamenti delicati, probabilmente troppo giovane per prendersi cura di un bambino, e un uomo più maturo, dai brillanti occhi azzurri come il cielo d'Agosto.
'Peccato solo che non lo saprò mai...'
Si dirige con passo calmo verso la polena, le mani nelle tasche posteriori dei pantaloncini corti e la testa china. I capelli le ricadono ai lati del viso non appena si toglie gli occhiali da sole dalla testa per riparare i sensibili occhi dalla fastidiosa luce che li fa pizzicare.
Da due settimane, infatti, sembra aver sviluppato una forte fotofobia che le provoca un discreto fastidio ad esporre gli occhi alla luce. Allo stesso tempo, però, ha sviluppato quella che, secondo lei, è l'inutile capacità di vedere chiaramente al buio.
'Si dice che la vita sia come una favola... beh, allora la mia è stata scritta male.'


«Scala reale.» Vista poggia con teatralità le carte sul barile su cui stanno giocando, sorridendo fiero «Siamo dodici a zero. Sicura di voler continuare?»
«Chi arriva prima a quindici?» borbotta Akemi, massaggiandosi le tempie.
Tutti quelli che stanno osservando quell'ardua lotta non riescono a trattenere le risate di fronte all'improponibile sfortuna che la ragazza ha al gioco. Perché non si è mai vista una persona così incapace di vincere a un qualsiasi gioco d'azzardo o simili! Anche a ruba mazzo perde miseramente!
«C'è da riconoscere che non molli.» le sorride allegramente Vista, facendola sbuffare.
'Almeno non punta più i soldi!' pensa sollevato, dal momento che l'idea che qualcuno la ripulisse di qualsiasi cosa non appena messo piede a terra l'aveva sfiorato più volte.
«Riuscirò a vincere almeno una volta, eh!» sbotta determinata mentre mescola le carte con estrema concentrazione, più che decisa di farsi spiegare da Speed Jill come barare non appena saranno lontani da occhi indiscreti.
Barbabianca, dal suo seggio, li osserva distrattamente mentre iniziano la tredicesima partita e l'idea di andare a prendere per un orecchio la discola figlia lo sfiora. È troppo umiliante farsi battere così spudoratamente!
Quando, un paio d'ore prima, l'aveva sentita urlare come una matta perché voleva giocare a scacchi, si era scompisciato dalle risate. Vederla battere i piedi a terra come una bambina, con i pugni stretti lunghi i fianchi, gli ha ricordato incredibilmente quando da piccola voleva mangiare qualcosa fuori dai pasti, o quando voleva assolutamente imparare ad usare una spada o una pistola, o quando voleva stare a tutti i costi al timone.
'Eri così piccola ed ingenua...' pensa sorridendo nostalgico, guardandola mentre pesca l'ennesima carta sbagliata.
'Ora sei una giovane donna piena di talento, una campionessa in erba. Un giorno sono sicuro che farai grandi cose, figlia mia. Il tuo nome sarà conosciuto in tutti i mari. Sarà proprio il dolore che ti porti dentro a farti crescere, a farti raggiungere la vetta. Non temere, quindi: arriverà il tuo momento.'
All'improvviso un forte dolore gli attanaglia il petto, tanto da mozzargli il respiro. Dolore che poi si irradia nel braccio sinistro e lungo il collo.
Trattiene a stento un forte conato di vomito, piegandosi lievemente su sé stesso, mentre un senso di debolezza e affaticamento gli impediscono di respirare regolarmente.
Le infermiere notano questo strano gesto e presto gli si avvicinano.
«State bene, capitano?» gli domanda timidamente Tachi, attirando involontariamente l'attenzione di Akemi, adesso voltata verso il genitore con sguardo incredibilmente attento.
Barbabianca nel frattempo respira sempre più faticosamente, tenendosi una mano sul petto. Non riesce neanche a chiamare l'aiuto di Ran, un po' per orgoglio e un po' per il troppo dolore provato e il poco fiato nei polmoni.
Ma la donna, arrivata in quel momento sul ponte dopo essere stata chiamata da una delle compagne, accorre immediatamente in suo aiuto.
«Aiutatemi a portarlo immediatamente nella sua cabina!» ordina con tono duro e subito Fossa e Blenheim accorrono al suo fianco per accompagnarlo. L'uomo, però, dopo una fitta più acuta delle altre, si lascia cadere in avanti, in arresto cardiaco e respiratorio.
«FATE PRESTO!»
Sul ponte della nave si scatena velocemente il caos: tutti accorrono, le infermiere urlano in preda al panico e alla rabbia, l'adrenalina sale dentro ognuno di loro insieme alla paura.
Non era mai successo prima che si sentisse così male e non erano realmente preparati alla cosa.
Akemi, immobilizzata dal terrore di poterlo perdere, di perdere colui che nella sua vita conta più di chiunque altro, il suo amore, il suo papà, fissa la scena con gli occhi sgranati e le lacrime che silenziosamente le rigano le guance pallide.
Alcuni dei suoi compagni sono immobilizzati al suo fianco di fronte alla cabina dove le donne si sono chiuse con il capitano moribondo, pervasi dalla paura dalla testa ai piedi. Vorrebbero aiutare, darebbero volentieri il loro cuore se questo significasse salvarlo*, ma sanno perfettamente che sono completamente inutili in quel momento.
Akemi li guarda con aria sconvolta, arrivando velocemente ad una conclusione.
'È colpa mia... è solo colpa mia. Dovevo insistere di più con Týr, dovevo entrare in coma e assillarlo fino all'esaurimento nervoso... invece l'ho lasciato stare. L'ho lasciato stare e non ho scoperto il suo segreto, non ho scoperto come poterlo guarire...'
Chiude con forza gli occhi, stringendo i denti per la rabbia che le sta facendo ribollire il sangue.
'Týr!' urla nella sua mente, furiosa come mai lo era stata prima d'ora.
Da parte dell'uomo però non riceve alcuna risposta, cosa che la manda ancora più in bestia.
Un ringhio profondo le squarcia la gola, la furia diventa tangibile.
'Týr, brutto figlio di puttana, lo so che ci sei! Dimmi immediatamente come aiutarlo! Me lo avevi promesso!'
«Parli con me?» finalmente le risponde, il tono strafottente come sempre, una leggera risata derisoria segue quelle semplici parole.
'Si, con te, STRONZO!'
«Quanto sei scurrile...» è divertito oltre ogni limite e ciò non fa altro che alimentare la sua furia.
'Aiutami subito.' ordina perentoria, aprendo finalmente gli occhi, vedendo il caos che regna sulla nave. Tutti urlano preoccupati, la loro angoscia è visibile, il dolore è contagioso.
«Non rispondo certo ai tuoi ordini, mocciosa.»
'Su-bi-to.' sibila minacciosa, stringendo i pugni fino a piantarsi i lunghi artigli nella carne. Il sangue cala denso e lento dalle ferite, ma quel dolore non la sfiora neanche. La preoccupazione per le sorti del suo adorato padre le occupa completamente la mente, insieme alla rabbia cieca contro quel pazzo imbroglione.
«Prova a sconfiggermi, ragazzina. Se ne sarai in grado, ti dirò cosa potrà giovare alla sua precaria salute.»
I suoi occhi fiammeggiano, il suo corpo si muove da solo, animato da una rabbia oscura, profonda, primitiva. La sua mano corre ad afferrare una delle pistole appese ai fianchi del sedicesimo comandante, immobilizzato dalla preoccupazione al suo fianco. L'afferra con decisione e fa due passi indietro; lo sguardo fermo, determinato, folle.
«Akemi?» sussurra Halta con una preoccupazione crescente nella voce, avviso che fa voltare di scatto tutti quelli che la circondano.
Akemi non la degna neanche di uno sguardo, traendo un lungo respiro. Poi semplicemente mette la pistola tra le labbra, la stringe con i denti per farsi forza e preme il grilletto. Il sangue schizza copioso, il corpo cade a terra senza vita.
«NO!» Satch si precipita al suo fianco, sollevandola da terra e scuotendola con forza.
Gli occhi della ragazza rimangono aperti, vuoti.
«NO! AKEMI?! NO!»
Halta si porta al suo fianco, mettendogli una mano sulla sua per calmarlo «Calmati.» ordina perentoria, puntando lo sguardo sulla sorella che giace morta tra le braccia del compagno «Si sta già rimarginando.»
«Perché cazzo lo ha fatto?!» urla Ace, in preda ad una crisi isterica.
«Voleva Týr...» risponde con un filo di voce la piratessa, passandole una mano sul viso pallido e freddo.
«Chi?» domanda senza capire Ace, buttandosi in ginocchio al suo fianco, prendendo involontariamente una mano di Akemi tra le sue.
«L'uomo dei sogni. Si chiama Týr.» risponde semplicemente Halta, chiudendole gli occhi.
«Che cazzo di nome è?» domanda un più che confuso Izo, in piedi di fronte a tutti loro. Non sa cosa fare, chi aiutare e come.
Marco, inginocchiato vicino alle gambe della compagna, le posa con delicatezza una mano sul ginocchio, guardandola con una tristezza struggente «Forza ragazzina...»

Dove sei? Dove sei andato, lurido cane bastardo? Mi volevi, no? Volevi uno scontro con me, giusto? Bene, sono qui adesso. Vieni a prendermi!
«Ingoiare un proiettile per vedermi? È il gesto più folle e teatrale che qualcuno abbia mai compiuto per me.» derisorio come sempre, arrogante come poche volte lo era mai stato. Nei suoi occhi brilla una strana luce, un desiderio fin'ora represso. La sua voglia di sangue, di battaglia, è così forte che forse riuscirei pure a toccarla con mano.
«Allora dimmelo subito, se sei così sorpreso.» so bene che le mie parole sono inutili, che sono un completo spreco di fiato, ma non posso scattare verso di lui così apertamente. La distanza che ci separa sarebbe solo un vantaggio per lui, e so bene che pure lui lo sa. Mi gira in torno, lentamente, come un predatore che ha appena messo alle strette la preda.
«Non mi frega niente di essere sorpreso.» sogghigna divertito, mettendosi in guardia. Il suo corpo è teso, i muscoli pronti a scattare, gli occhi attenti «Vediamo di cosa sei capace, mocciosa.»
Non posso attendere. Dovrei, perché gli sto offrendo un vantaggio notevole, ma c'è di mezzo la vita di mio padre.
Scatto in avanti velocemente, determinata ad affondare gli artigli nella tenera carne del suo collo pallido, venendo però abilmente evitata.
Sa come muoversi, alle spalle deve avere una scia di sangue e morte così lunga che probabilmente dovrebbe farmi rabbrividire, ma non posso permettergli di vincere. Non questa volta.
Scatto di nuovo, riuscendo ad avvicinarlo a sufficienza per potergli tirare un pugno che però viene tranquillamente parato.
Sa come mi muovo, sa qual è il mio stile di combattimento, per cui sono in netto svantaggio.
«Tutto qui?» sfotte prontamente, sogghignando e colpendomi in pieno volto con un destro ben assestato, facendomi cadere a terra. Fa male, il sangue scende lento e caldo dallo zigomo rotto, ma fa più male l'idea che mio padre sta soffrendo, che la sua vita è in parte nelle mie mani.
«Non hai ancora visto niente...» faccio leva sulle braccia per alzarmi, ma lui è decisamente più veloce.
Con una forza di cui non lo credevo capace mi piazza un calcio nello stomaco, piegandomi in due, non permettendomi di rialzarmi.
Si mette a cavalcioni su di me e mi afferra saldamente per i capelli, tirandoli in modo doloroso.
Una sequenza di pugni mi colpiscono dritto al volto, offuscandomi la vista.
«Sei debole!» urla, in preda ad una specie di delirio. La follia è così chiara nei suoi occhi blu che mi spaventa, mi disarma. Come posso competere con una tale potenza? Come ho potuto pensare di riuscirci?
«Non meriti la tua immortalità!»
Cos'è questo calore che sento? La runa... la runa della conoscenza sta bruciando, dolorosa quanto i pugni che mi vengono inferti. Nella mia mente vedo immagini veloci, ricordi non miei, tecniche che non conosco, e il mio corpo risponde da solo a questo nuovo flusso di forza interiore.
Con tutta la potenza di cui dispongo riesco a tirargli una ginocchiata in mezzo alla schiena, facendolo sbilanciare in avanti, tanto da permettermi di sgusciare di lato.
Mi acquatto al suolo, guardandolo mentre fa lo stesso. Mi fissa con astio crescente, le zanne snudate e gli artigli in bella mostra. Pensi di spaventarmi? Beh, sappi che lo stai facendo. Ma sappi anche, Týr, che non sarai tu a fermarmi. Niente e nessuno si frapporrà tra me e la mia famiglia, nessuno me li porterà via, neanche la morte stessa. Tu sai come raggirarla, lo so, e io adesso pretendo la tua infinita conoscenza. E tu me la darai... me la darai a qualsiasi costo.
Stavolta a scattare è lui, furioso e fuori controllo; prova ad artigliarmi al viso, mancandomi per un soffio.
Balzo agilmente all'indietro, cercando di prendere le distanze, cercando di evitare il più a lungo i suoi attacchi, sperando di poter capire la sua strategia di attacco e prevedere le sue mosse.
Purtroppo per me, però, non ha un vero stile: è guidato da un istinto animalesco, furioso e potente.
Ma in questa sua furia, mista ad una determinazione mai vista prima, riesco a scorgere il suo punto debole, così chiaro ma comunque ben celato: la sua stessa furia. È così assetato di sangue, brama così tanto la vittoria che è disposto a tutto pur di ottenerla, lasciandosi guidare esclusivamente dall'istinto.
Ti ho capito. So come reagire.
Paro l'ennesimo colpo, afferrandogli con forza i polsi e riuscendo a calciarlo dritto al petto, sbalzandolo all'indietro. Il bastardo però è duro a cedere e si rialza subito con uno scatto agile.
Non demorderà mai e io non ho il tempo sufficiente per stancarlo e batterlo.
Devo trovare un arma vera, qualcosa che sia in grado di stenderlo.
Mi graffia violentemente all'addome, squarciando la pelle in profondità, costringendomi a cadere in ginocchio.
Perdo troppo sangue e le ferite che mi infligge con gli artigli tardano a rimarginarsi. Aspetta: gli artigli! Sono questi la chiave!
Provo a graffiarlo a mia volta, notando una vaga preoccupazione nei suoi occhi. Si, è questo. Lui teme questo attacco e non credeva che sarei arrivata alla conclusione giusta, non prima di avermi battuta.
Beh, Týr, mi dispiace, ma hai sbagliato i tuoi calcoli: tu sei forte, probabilmente lo sei anche più di mio padre, ma, come mi consigliasti tempo addietro, ho imparato a leggere tra le righe e sto imparando a leggere te.
So che nei tuoi discorsi senza senso, in realtà un senso c'è sempre; so che dietro le tue richieste insensate c'è un disegno ben preciso. So che sei furbo, tanto quanto me.
Siamo simili, adesso me ne rendo finalmente conto, e mai avrei pensato che ne sarei stata felice.
Posso batterti. Posso salvarlo.
«Sei sveglia.» mormora, ghignando divertito «Ma sarai alla mia altezza?»
Non gli lascio il tempo di aggiungere altro, scattando in avanti il più velocemente possibile, riuscendo a raggiungerlo: una gomitata nel mento, un pugno nello stomaco, i suoi colpi che rispondono ai miei, feroci e animaleschi.
Siamo simili, è vero, ma siamo diversi. Perché adesso so come combatti, l'ho capito, ma tu non sai cosa ho visto nella mia mente, non sai cosa posso fare io.
Scatto di lato, riuscendo a raggirarlo, colpendolo con una ginocchiata in mezzo alla spina dorsale. Con la forza che ci ho messo dovrebbe essersi spezzata, ma lui rimane perfettamente in piedi.
«Non male.» ammette, voltandosi verso di me. I suoi occhi sono sempre più freddi, furiosi.
«Non sopravvalutarti mai, ricordi? Potrebbe essere il tuo ultimo errore, ricordi? È stato il tuo primo consiglio.»
Veloce come un fulmine, potente come l'esplosione di un vulcano, me lo ritrovo addosso; mi ha rotto il braccio destro e ha piantato con violenza gli artigli nella spalla sinistra.
Vuole impedirmi che usi le braccia, è ovvio.
Ma non posso lasciarmi sopraffare, non ora che la vittoria è così vicina.
Il mio corpo, però, è messo male. Il viso tumefatto, con il sangue che sgorga sugli occhi gonfi, mi impedisce di vedere come dovrei, di percepire odori e suoni come sempre. Il graffio all'addome e quelli sparsi sulle gambe fanno sempre più male, bruciando in modo insopportabile, e i movimenti sono pesanti e faticosi.
«Te ne stai accorgendo, vero?» ghigna soddisfatto, intensificando la presa sulla mia spalla, che velocemente si intorpidisce «La tossina rilasciata dai miei artigli a contatto con la tua pelle ti sta paralizzando. Presto sarai come una delle farfalle che collezionavo: bellissima, ma inerte.»
«Io non sono una farfalla...» mormoro, mentre la fatica a respirare diventa sempre più opprimente «...io... sono... un Demone!»
Seppur con fatica, sono riuscita a sollevare un braccio, tanto da riuscire ad afferrargli i capelli alla nuca e ad abbassarlo al mio livello. Gli mollo così la più forte testata che mai in vita mia ho tirato, rompendogli il setto nasale.
Si scansa velocemente, bestemmiando sonoramente.
È il mio momento, la mia ultima possibilità...


«Halta...» la voce di Satch è rotta dalla paura, le sue mani tremano.
Halta, dal canto suo non sa cosa rispondergli.
Il corpo della sorella continua ad avere degli spasmi, a riempirsi di graffi e tagli, lividi e sangue denso. L'addome è completamente sfregiato, con delle diramazioni scure che mostrano le vene avvelenate. Lo stesso è accaduto in diversi punti delle gambe, e adesso anche della spalla, con diramazioni salgono sul collo, fino all'occhio, e scendono sul petto, in direzione del cuore.
Ha capito che sta combattendo, ma non sa cosa fare.
Ace aveva pensato di svegliarla bruciandole la pelle con un oggetto incandescente, unico metodo che conoscono per riportarla alla realtà, ma la ragazza gliel'ha impedito.
«Stanno combattendo, l'ha sfidata per una ragione.» pure Marco l'ha capito, pur non conoscendo a fondo la questione. Neanche per un istante ha tolto la mano dal suo ginocchio, sperando di infonderle un minimo di forza e speranza, che i suoi compagni invece sembrano non avere assolutamente.
«Akemi, siamo tutti al tuo fianco!» urla Halta, sperando di infervorarla «FAGLI IL CULO, SORELLA!»

Il suo odiosissimo ghigno non accenna ad andarsene.
I suoi occhi continuano a brillare, adesso di una luce diversa: orgoglio, appagamento, gioia.
«La piccola Akemi...» mormora divertito, alzando a stento un braccio e sfiorandomi lo zigomo tumefatto.
I suoi movimenti sono lenti, forzati. Il veleno che risiede nei miei artigli, conficcati nel suo fianco, sta facendo il suo effetto assai velocemente: il respiro affannato, i movimenti affaticati.
Ci sono riuscita. Ho battuto Týr.
«Capisci cosa ti dicevo, ragazzina? Tu brami tutto questo: tu vuoi uccidere, vuoi sentire la vita dei tuoi avversari nelle tue mani e vuoi troncarla...»
«Ti sbagli, Týr. Non voglio ucciderti, non così, non ora. Voglio solo che tu mi dica quello che voglio sapere.»
Ridacchia appena, svanendo lentamente dalle mie mani.
«NO! CAZZO!»
«La risposta è dentro di te... adesso, in realtà, ti sta colando anche addosso.»


Apre lentamente gli occhi, facendo tirare un sospiro di sollievo ai fratelli ancora inginocchiati al suo fianco.
Le fa male tutto il corpo, quasi non riesce a muoversi. Ma non può attendere oltre. Ha capito a cosa si stesse riferendo quel mentecatto ed è pienamente determinata a portare a termine quel folle tentativo.
Si alza a fatica, trattenendo il respiro per il dolore che quel semplice gesto le causa, e subito Halta la soccorre, provando a trascinarla in infermeria. Ma Akemi non è della stessa idea e con un movimento brusco la scansa, spingendola di lato, e con passo instabile si dirige verso la cabina del capitano, mugolando di dolore ad ogni singolo passo.
'Ce la posso fare...' pensa, respirando a fatica.
I fratelli provano ad avvicinarla per fermarla, convinti a portarla in infermeria per occuparsi delle sue assai precarie condizioni, ma Akemi non ne vuole sapere.
La vista all'occhio sinistro si offusca sempre di più, fino a scomparire. Lentamente anche l'udito all'orecchio sinistro svanisce, facendole salire sempre di più il panico.
'La tossina... sta distruggendo tutti i sensi e intaccando il sistema nervoso!'
Con il respiro sempre più corto giunge finalmente alla porta della cabina, lasciata socchiusa, e ormai quasi priva di energie la spalanca.
«Akemi, vattene immediatamente!» le urla contro Ran, mentre le altre infermiere continuano a dannarsi per combattere quella maledetta malattia.
Akemi non l'ascolta neanche, barcollando con le ultime energie fino al letto del genitore, dove finalmente si blocca.
Con una fatica disumana si porta il braccio destro, quello rotto in più punti e che ancora pare non essere stato raggiunto dalla tossina, fino alla bocca. Morde con violenza l'avambraccio, squarciandosi la pelle e lasciando che il sangue esca copioso.
Solo a quel punto allunga l'arto verso la bocca del padre e lascia che dei rivoli densi e scuri gli colino in gola, cercando nel frattempo di resistere alla presa salda delle infermiere sul suo corpo che provano a trascinarla via.
'Forza... riprenditi...'
Si concentra con tutta sé stessa sull'orecchio destro e, malgrado i suoni le arrivino più ovattati e confusi, riesce lo stesso a distinguere il battito dell'uomo che si regolarizza. Anzi, le sembra quasi che batta con più vigore.
Non appena vede i suoi occhi aprirsi lievemente, come se si stesse svegliando da un sonno profondo e rigenerante, un largo sorriso si apre sul suo viso. È fiera di sé stessa e della sua misteriosa natura.
Questo suo momento di profonda gioia dura poco però: le forze l'abbandonano di colpo, il sangue perso è decisamente troppo, e il suo corpo cede allo sforzo eccessivo, accasciandosi di colpo a terra con un rumore sordo.

Nero.
Nero assoluto.
Come ho fatto a tornare qui? Da quello che ho capito anche l'ultima volta ero morta, anche se per pochi secondi, quindi non può dipendere da questo.
Provo ad alzarmi, pronta ad affrontarlo di nuovo, ma non ci riesco. Il corpo è completamente paralizzato, e per di più ci vedo solo da un occhio. Fantastico. Se ora mi mette le mani addosso sono morta sul serio!
«Non sforzarti.»
Provo a voltare la testa di lato per vederlo, ma è tutto inutile. Merda!
«Non avere paura. Non voglio farti niente.» afferma con tono calmo, avvicinandosi sempre di più.
Finalmente lo vedo al mio fianco, tranquillo e fresco come una rosa.
«Tra poco ti riprenderai, tranquilla.»
Si siede accanto a me in tutta tranquillità, esaminandomi minuziosamente. Non so se essere spaventata o meno.
«Perché hai voluto combattere? Non potevi direttamente dirmi che era il mio sangue la “miracolosa cura”?» domando dopo qualche istante, durante il quale ha cominciato a passare le sue fredde dita sui vari graffi che mi ha fatto, e che sorprendentemente non si stanno rimarginando come dovrebbero.
«No.» risponde secco, per poi rivolgermi un sorriso furbetto «Ricorda: la violenza e la forza bruta risolvono alla grande qualsiasi problema!»
«E io che pensavo che discutere civilmente fosse la chiave per risolvere le dispute...»
«Col cazzo.»
Rimaniamo in silenzio e lui non smette neanche per un istante di toccarmi le ferite.
«Guariranno?» gli domando speranzosa, facendo immediatamente saettare i suoi occhi nei miei. Mi ero quasi dimenticata quanto fossero belli...
«Si, ma ti resteranno le cicatrici sull'addome e sulla spalla. Ho piantato gli artigli troppo in profondità.» risponde con un sorriso colpevole, facendo spallucce «E, tranquilla, riavrai la vista. È un effetto collaterale della tossina.»
«Anche i miei artigli farebbero così?»
«Probabile, anche se gli effetti di tanto in tanto cambiano. Solo una cosa è sempre uguale, cosa che rende i nostri artigli assolutamente letali.»
«Cioè?» in realtà vorrei domandargli “pezzo di stronzo, perché non mi hai mai detto subito queste cose?!”, ma so che è meglio evitare. È troppo permaloso.
«Inibiscono gli effetti di qualsiasi Frutto del Diavolo, tanto da rendere il possessore di un Rogia innocuo come un agnellino.»
Lo guardo sbalordita come mai in vita mia, ammutolita. Che scherza, per caso?
«Se per caso ti stai domandando perché io sto bene, è perché sono già morto.»
«Veramente mi stavo domandando se mi prendevi per il culo o meno...»
Scoppia in un'allegra risata, tanto forte da farlo piegare in due con le braccia attorno all'addome. È strano vederlo così allegro.
Lentamente sento il corpo riacquistare una certa mobilità e pure l'occhio cieco ricomincia a mettere vagamente a fuoco. Giusto l'ombra di Týr, ecco.
«La prossima volta che ripeterai questo processo, ricordati di somministrargli pochissime gocce di sangue. È una fortuna che sia ancora vivo e che non abbia riscontrato effetti collaterali, ma penso che dipenda dalla sua considerevole mole.» si sdraia calmo al mio fianco, prendendomi una ciocca di capelli tra le dita e facendo una treccina stretta.
«Anche il tuo sangue è curativo?» gli domando immediatamente, senza riuscire ad attirare la sua attenzione.
«In piccole dosi si, come per determinati tipo di immortali.»
«Ma tu sei morto!»
«È solo un modo per definirci, tutto qui. I modi per uccidere un immortale si trovano sempre e la Belladonna ne è un chiaro esempio.»
«Perché allora non sono morta?»
«Chissà...» risponde vago, senza nascondere un lieve sorrisetto divertito. Possibile che non riesca mai a dire le cose come stanno? Che debba sempre essere così fottutamente ambiguo ed enigmatico? Però per stavolta forse è meglio se non tiro troppo la corda... in fondo mi ha già rivelato più del solito!
Anche se...
«Týr?» lo richiamo voltando la testa verso di lui, senza riuscire a distogliere i suoi occhi dai miei capelli. Cosa ci trova di tanto interessante non riesco proprio a capirlo.
«Mh?»
«Tu, per caso, sai dirmi chi sono i miei genitori?» domando con una vaga speranza nel cuore. In fondo sembra sempre sapere di tutto e di più, quindi magari sa anche questo.
«Perché me lo chiedi?» domanda inarcando un sopracciglio, senza scomporsi più di tanto. E anche stavolta mi sono sbagliata...
«Perché vorrei sapere qualcosa su di loro... almeno che aspetto hanno.»
«Capisco.» ammette sospirando, alzando finalmente gli occhi su di me «Non è necessariamente una fortuna sapere chi sono i tuoi genitori, sai? Prendi me, per esempio: mia madre non mi diede mai attenzioni e morì che avevo appena quattro anni, mentre mio padre odiava sia me che mio fratello. Provò a farci fuori non so quante volte.»
«Come avete fatto a cavarvela?» domando incuriosita, afferrandogli una mano e osservando l'anello che porta al mignolo. È piccolo, d'oro bianco, con una pietra di madreperla lucente.
«Mio fratello. Era sempre lui a salvarmi il culo.» ammette ridacchiando, osservando le nostre mani con un vago interesse «Nessuno poteva tenergli testa, neanche un intero esercito.»
«Ma ho visto che siete morti entrambi... come è successo?»
«Erano tempi diversi quelli. Noi vivevamo in un piccolo villaggio in mezzo ai ghiacci. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, scoppiò un'epidemia. La gente moriva in preda a sofferenze e deliri, pochi erano ancora incontaminati, tra cui noi due. Io decisi di andare in un villaggio non molto distante dal nostro dove viveva una donna con cui avevo una specie di storia e lui mi seguì per proteggermi. Non mi lasciava mai andare da solo... era più protettivo nei miei confronti che con i suoi figli!» ride un poco, passandosi la mano libera sul viso, per poi riprendere a raccontare «Camminavamo in un bosco, era freddo. Non mancava molto e saremmo arrivati a destinazione, quando abbiamo sentito uno strano rumore alle nostre spalle. Lui prese la spada e mi disse di non muovermi. Si allontanò e io rimasi da solo ad ascoltare lo scontro; il cuore mi batteva all'impazzata, ero terrorizzato. Poi ho sentito un urlo, forte, straziante, ma non ho fatto in tempo a muovermi che qualcosa mi è caduto sul collo e mi ha... ferito. Sono caduto a terra, mi bruciava tutto il corpo, pensavo che mi sarebbe scoppiato il cuore da un momento all'altro, ma non m'importava: dovevo raggiungere mio fratello. Così mi sono trascinato verso di lui, trovandolo riverso a terra mezzo morto. Il resto lo conosci.»
Rimango in silenzio, sorpresa. Sembra una cosa paradossale.
Riesco finalmente a voltarmi su un fianco, seppur a fatica, e pure ad alzarmi col busto sorreggendomi sul gomito. Fortunatamente l'osso del braccio sembra essere come nuovo.
«E dopo?» domando sempre più presa dai suoi assurdi racconti.
«Dopo cosa?» domanda a sua volta, guardandomi incerto.
«So che non è finita così. Ti ho visto morire in un altro modo, su una spiaggia.»
Si lascia sfuggire una risata divertita, portandosi una mano sugli occhi «E io che pensavo di poterti fregare.»
«Allora?» insisto, poggiandogli la testa sul petto in un gesto completamente spontaneo di cui rimaniamo entrambi incredibilmente sorpresi.
«Allora... il resto te lo racconto un'altra volta.» sorride beffardo, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Ma-»
«Niente ma. Te lo racconterò un'altra volta, promesso. Tu però adesso devi svegliarti, i tuoi amici ti aspettano.» schiocca le dita con fare teatrale e lentamente sparisce in una nube grigia, lasciandomi con un sorriso assai divertito «A presto.»


«Akemi!» senza tante cerimonie e con assai poca delicatezza, Halta stringe con forza le spalle della ragazza stesa nel lettino dell'infermeria, trattenendo a stento lacrime di gioia.
È stata fuori gioco per ben tre ore, durante il quale si è mangiata le mani fino ai gomiti per l'impazienza di vederle aprire gli occhi.
«Sei stata coraggiosissima!» le strilla direttamente nell'orecchio, facendola gemere di dolore.
«Halta, mi stai facendo male!» strilla a sua volta, staccandosela finalmente di dosso.
Si guardano con aria sbalordita per qualche secondo, finché entrambe poi scoppiano in un'allegra risata.
«Sei stata una vera tigre!» si congratula di nuovo, sorridendole raggiante e scompigliandole i capelli in un gesto affettuoso.
«Angelo, tigre, pantera... che cazzo di bestia sono?!» scherza sorridendo allegramente la minore, staccandosi in fretta e furia le varie flebo dalle braccia che le stavano reinserendo il sangue perso in corpo.
Alza di scatto lo sguardo sulla sorella, come ridestatasi di colpo, e il suo sguardo si riempie di timore «Babbo?! Come sta?!»
Il sorriso di Halta, se possibile, si allarga ancora di più e quasi in uno squittio esclama «Meravigliosamente!»
Tira un sospiro di sollievo, Akemi, passandosi le mani sul viso e alzandosi subito dopo con uno scatto veloce.
«Le infermiere hanno detto che devi stare ferma!» la riprende immediatamente la comandante, provando a bloccarla per un braccio, venendo però trascinata dalla sorprendente forza della minore.
«Che si fottano!»
Cammina con passo svelto fin dentro la mensa, dove trova tutti i compagni intenti a mangiare e a parlare allegramente.
Il chiacchiericcio muore non appena la vedono entrare, sempre con Halta appesa al suo pallido braccio, e in pochi secondi esplode un boato di gioia e di acclamazioni.
Ma ad Akemi queste attenzioni non importano minimamente: i suoi occhi sono completamente catturati dalla figura imponente del genitore, seduto compostamente al suo posto, che le allarga le braccia in un chiaro invito. Invito che accetta immediatamente, correndogli incontro e saltandogli tra le braccia, non riuscendo a trattenere le lacrime di gioia che adesso imbrattano la possente spalla dell'Imperatore.
«Mi hai salvato la vita, piccola scellerata...» mormora trattenendosi dallo scoppiare a piangere a sua volta, stringendo con possessività e amore il corpo esile e muscoloso della ragazza «I tuoi fratelli mi hanno detto ciò che hai fatto.» aggiunge subito dopo, fingendosi arrabbiato.
Akemi alza gli occhi su di lui, guardandolo con aria spersa «Hai intenzioni di sgridarmi...?»
Barbabianca, dopo un breve istante di assoluto mutismo in cui l'ha guardata con sguardo estremamente duro, scoppia in una fragorosa risata che rimbomba per tutta la nave.
«Forse la prossima volta!» scherza stringendola di nuovo a sé, baciandole affettuosamente la testa.
È raro vederlo lasciarsi andare a gesti simili, ma dopo una giornata carica come quella nessuno se ne sorprende. In fondo la ragazza si è mangiata un proiettile, ha combattuto contro un qualcosa che nessuno di loro può vedere che l'ha ridotta ad uno straccio e si è praticamente dissanguata per salvargli la vita: un po' di affettuosità se la merita tutta!
«Ho avuto paura di perderti...» mormora Akemi, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo e inspirando il suo odore a pieni polmoni, cercando di calmare la tempesta interiore che la destabilizza.
«Non ci pensare.» le tira su il mento con delicatezza, guardandola dritto nei suoi grandi occhi chiari «Grazie a te adesso sono come nuovo! Mi sento sano come quando avevo vent'anni!»
Gli sorride raggiante, Akemi, abbandonando finalmente la salda presa dal suo collo e accomodandosi meglio sulle sue gambe.
«Stasera mangio qui con te!» esclama felice, afferrando un coscio di pollo e mangiandolo direttamente con le mani, proprio come quando era bambina.
L'Imperatore la guarda con fierezza, lasciandola fare e mettendosi a sua volta a mangiare.
Parlano tra di loro, Akemi gli racconta piuttosto nel dettaglio del suo combattimento, sorprendendolo. Gli racconta a grandi linee di Týr, sorvolando su alcuni dettagli scomodi che potrebbero fargli passare completamente il buon umore e che la metterebbero nei casini.
«E così sei riuscita a batterlo, eh?» domanda incredulo, prendendole una mano nella sua per guardarle gli artigli «Beh, direi che ora i marines dovranno stare attenti!» afferma subito dopo scherzosamente, facendola sorridere.
«Babbo, ti dispiace se vado a farmi una doccia e a riposare un paio d'ore? Dopo monto la guardia, non vorrei crollare addormentata!»
«Ti accompagno fuori, tanto ho finito.»
I due salutano i presenti, camminando l'uno al fianco dell'altra, finché Akemi arriva all'imboccatura del corridoio che la porterà nella sua stanza. Solo allora Barbabianca la blocca per un braccio, guardandola con uno smisurato amore negli occhi e una profonda riconoscenza.
«Ti ringrazio per il tuo coraggio, figliola. Sono davvero orgoglioso di te.»
Le posa un lieve bacio tra i capelli corvini e finalmente la lascia andare, dirigendosi a sua volta verso la propria stanza. Ha bisogno di riposarsi e di mettere in ordine le idee. Se ripensa che ha bevuto il sangue di sua figlia gli viene il voltastomaco, ma allo stesso tempo non riesce a non pensare a quanto adesso si senta di nuovo in forma smagliante.
'Nessuno dovrà saperlo, o Akemi potrebbe trovarsi in guai seri
La mia nanetta coraggiosa... e pazza. Come ricompensa accontenterò la sua prossima folle richiesta senza fiatare!
'
Si sdraia nell'ampio letto, fissando il soffitto con sguardo vuoto.
Un sorriso si dipinge lentamente sulle sue labbra, nascosto dai folti baffi.
'Complimenti anche a te, Marco. Sei stato un maestro eccezionale.'


La notte è calata e il buio avvolge completamente l'enorme nave.
Marco, nella sua cabina, si rigira per l'ennesima volta nel letto. Per quanto ci provi, ormai da ore, non riesce proprio a prendere sonno.
Prima, non appena aveva finito di mangiare, era andato nella cabina di Akemi per chiarire quanto successo quella mattina, trovandola però placidamente addormentata.
Vederla stesa nel suo letto, calma e in pace, con un lieve sorriso ad incresparle gli angoli delle labbra, si è sentito sciogliere e non ce l'ha fatta a svegliarla.
Aveva pensato di parlarle il giorno dopo, di mettere in chiaro le cose anche a costo di ferirla, ma proprio non ce la fa a tenersi dentro al cuore questo macigno.
Si alza così dal lette, dopo essersi messo in fretta e furia i pantaloni, si dirige a grandi falcate fino al ponte principale, venendo accolto da una brezza leggera e un dolce canto.
«Imba wimbo - wa upepo - wakati unajiwa na
Imba wimbo - wa upepo - wakati ndoto tamu
Lala mpaka usiku uisheni
Upepo wa usiku - wimbo wanko na
Wimbo wangu inaendelea milele»
È un canto delicato e melodioso, come se fossero le parole più dolci mai dette.
Marco, dal basso della sua postazione, guarda la compagna con sguardo rapito per qualche istante, per poi riprendersi di colpo. Si arrampica velocemente fino a raggiungere la coffa, dove la ragazza è intenta a fissare il circondario.
«Come mai ancora in piedi, comandante Marco?» il suo tono è piatto, freddo, distaccato. Ha faticato molto per tenerlo lontano, per evitare i suoi occhi, e adesso lui è alle sue spalle.
«Come sapevi che ero io?» le domanda incerto il comandante, dandosi subito dopo dell'idiota. 'Questa sa sempre tutto! Era ovvio che mi avrebbe intercettato.'
Akemi si tocca distrattamente la punta del naso, senza staccare gli occhi dall'orizzonte e per un breve istante le pare di scorgere qualcosa in cielo, un animale piccolo e nero che svolazza frenetico, lo stesso che spesso vede fuori dal suo oblò. 'Cosa vuoi da me, bestiaccia?'
Marco rimane in silenzio, lo sguardo fisso a terra, mentre raccoglie tutto il suo coraggio per affrontare quella spinosa conversazione. Il problema più grande, però, sta proprio nell'iniziare.
«Cosa stavi cantando?» le domanda per rompere il ghiaccio, tenendo la testa china e preparandosi menalmente il discorso su cui rimugina da tutto il giorno.
«Non so cosa sia... l'ho sentita in uno dei miei sogni...» ammette con un filo di voce, ripensando a quella calda e rassicurante voce che sussurrava quelle parole melodiche, che però non riesce a capire. La cosa più strana, forse, sta nel fatto che non fosse Týr a cantare e anche il fatto che non sia intervenuto con i suoi soliti commenti.
Marco, ormai sicuro della propria decisione, trae un respiro profondo e le si avvicina di un passo. 'Via il dente, via il dolore.'
«Penso che sia meglio se prendiamo delle distanze.» afferma con tono duro, pentendosene immediatamente. È vero, non vuole assolutamente intraprendere una relazione con lei, ma non vuole neanche perderla.
Quando Akemi finalmente si volta per guardarlo, sente tutta la sua sicurezza svanire in un secondo e il forte desiderio di stringerla di nuovo tra le braccia lo pervade. Ma desiste dal farlo, rimanendo immobile al suo posto, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo indecifrabile.
«E perché?» gli ringhia contro la giovane, senza riuscire a smuoverlo minimamente.
«Lo sai.»
«No invece, non lo so!» si volta completamente verso di lui, sostenendo il suo sguardo e puntando i pugni sui fianchi, furiosa.
«Sai anche te cosa sarebbe successo se non fosse arrivato Ace!» la sua maschera dura e quasi indifferente si sgretola velocemente, lasciando spazio ad un turbinio di emozioni contrastanti.
«Sarebbe stata una cosa così grave?» si fissano con aria truce e bastano pochi secondi affinché Akemi fraintenda il suo silenzio «Ah, capisco. Siccome sono una specie di mostro non vado bene!» gli urla contro, girandosi di scatto per non mostrargli il sottile velo vermiglio che le ricopre gli occhi.
«Come?» realmente non ha capito da dove si sia tirata fuori quell'affermazione, ma ormai c'è troppo dentro e vuole capire fino in fondo.
«Già, sai cosa? Scusa se non sono come Bay, scusa davvero!» gli artigli neri sono piantati violentemente nel parapetto, mentre la runa dietro l'orecchio sinistro comincia a pizzicare fastidiosamente.
«Ma ti ascolti quando parli?!» le urla contro, afferrandola con forza per un braccio e provando a rigirarla per poterla vedere in volto, venendo però allontanato con altrettanta forza «Pensi veramente che sia quello il problema? Beh, nel caso direi che sei più scema di quanto uno potesse immaginare!»
Akemi si volta di scatto, facendolo pentire tutto in un colpo quando nota le righe rosse sulle sue guance.
«Allora qual è il problema?!»
«Tutto è un problema, Akemi! Cazzo, siamo pirati, rischiamo di morire da un momento all'altro!»
«Io rischio già di morire da un momento all'altro!»
«E io non posso permettermi di affezionarmi a te!» Akemi non ha idea di come ribattere, non avendo preso neanche per un istante in considerazione questa eventualità.
Riprende fiato, Marco, abbassando la testa e passandosi le mani sul viso in un movimento esasperato «Non lo potrei sopportare...»
Rimangono in silenzio per svariati minuti, ognuno ripensando a quanto è stato detto, a quanto ormai la situazione tra loro sia cambiata irrimediabilmente, finché Akemi, con tono duro e rabbioso, spezza quel silenzio «Sei un codardo.»
Marco alza gli occhi su di lei, incredulo, ma non ha tempo di controbattere che lei lo precede «È facile nascondersi, vero? È facile dire “lasciamo stare, farà meno male”, vero? Peccato solo che non farà mano male, Marco, anzi, sarà molto peggio, perché vivrai sempre con il pensiero “e se invece lo avessi fatto? Sarebbe stato orrendo come pensavo o forse sarei stato felice?”. Ma sai cosa ti dico? Io non ho alcuna intenzione di star male per te, per la tua codardia e per tutte le stronzate di cui ti sei convinto per poter dire di avere ragione. Forse per te non è ancora chiaro, ma la vita è breve e va vissuta a pieno, giorno per giorno, ora per ora. Ma tu questo non lo capisci. Tu non vedi la vita scorrere rapida come la vedo io.»
Rimane ammutolito, fissandola con sguardo perso mentre la voglia di stringerla a sé e dirle che andrà tutto bene diventa sempre più forte, insopportabile.
«Adesso vattene, per favore. Se dobbiamo prendere delle distanze, è meglio cominciare da subito, così sarà più semplice per te convincerti che tutto questo non sia mai successo.» si volta lentamente, Akemi, decisa ad ignorarlo come lui vuole, fissando la Luna crescente che brilla alta sopra le loro teste, beandosi della sua luce chiara e rassicurante.
Ma la sua decisione va in frantumi nel momento esatto in cui la Fenice l'afferra con forza per una spalla, girandola velocemente, inchiodando i suoi occhi neri nei suoi.
Il respiro le muore in gola, il cuore batte più velocemente, tutto intorno a lei svanisce: rimane solo lui, con i suoi penetranti occhi neri che fiammeggiano nell'oscurità che li avvolge e le sue mani forti che la immobilizzano.
Tutto si muove al rallentatore: i loro volti si avvicinano, i cuori battono all'unisono e le labbra si uniscono in un casto bacio.



*Con questa battuta forse ho esagerato, ma li ho sempre visti attaccati al loro capitano in maniera quasi maniacale. Poi, detta onestamente, io darei qualsiasi cosa per salvare mio papà in caso di necessità, quindi non vedo perché loro debbano essere tanto diversi. Tutti eccetto quella merda in decomposizione di Teach... quel fetente...


Angolo dell'autrice:
Buon salve a tutti quanti! :D

MARCO SI È SVEGLIATO!!!

Dai, andiamo per punti:
Questa volta il titolo ha un doppio significato: il primo è ovvio, ovvero riguarda il fatto che Marco ha ceduto all'attrazione che prova nei suoi confronti, il secondo invece riguarda il fatto che Akemi ha -seppur in parte- accettato la sua natura demoniaca. Non scendo nel dettaglio, non so se si può definire proprio demone, però lei la vede così. (E non le do tutti i torti eh) ...ODDIO HO PAURISSIMA DI DELUDERVI QUANDO SAPRETE TUTTO! >.<
La malattia di Newgate si è fatta sentire (che malattia sia non si sa, ma chissene! Io, per metterci una complicazione seria, ho descritto nel modo migliore che potessi un infarto) e qui finalmente Akemi tira fuori i coglioni e affronta Týr. (Ma sarà riuscita a batterlo perché è davvero forte? .___.)
Anche se ve lo avevo detto, lo ripeto: Týr è permaloso e il fatto che lei abbia “alzato” la voce lo ha fatto chiudere a riccio nel suo mutismo. Ma ora è tornato, contorto come è sempre stato! Ma andrà migliorando, non temete: lentamente i due arriveranno a fortificarsi a vicenda, e non solo da un punto di vista fisico.
Poi arriva la parte che -suppongo- aspettavate: il primo bacio tra questi due imbecilli! :D Non sono scesa nel dettaglio volutamente. Non so perché ma così mi da l'aria di più dolce, meno forzato... boh! Poi questa chiusura servirà per aprire il prossimo capitolo :D in cui, a mio avviso, un po' potrei shockarvi... ma allo stesso tempo avrete modo di capire di più. (Spero non troppo in realtà xS)

Un grazie di cuore adesso va a Vivi Y, Monkey_D_Alyce, Portogas D SaRa, Lucyvanplet93, Okami D Anima, Yellow Canadair, Law_Death, Aliaaara, iaele santin e ankoku per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato lo scorso capitolo! Siete dei tesori! :3
Ringrazio anche tutti coloro che mi seguono e che trovano quanto meno decente questa storia folle che sto portando avanti. :)

Anche per questa volta mi dileguo, augurandovi una buona settimana!
Un bacione a tutti
Kiki

PS: se a qualcuno di voi interessa, ecco com'è adesso -più o meno- la nostra protagonista (immaginatela con i tatuaggi che ha per adesso, più muscolosa e senza il pallino azzurro in mezzo agli occhi xD): http://it.tinypic.com/r/w1co3/8

Anche questa immagine non è stata scelta a caso ;)

PPS:La canzone è presa dalla colonna sonora del film “Mighty Joe Young”.
Questa è la traduzione inglese:
Sing a song
and for a moment
you will be visited by the wind
Sing a song
and for a moment
dream sweetly of the wind

Sleep now until the night is dawn
the wind and the night song, they are there
however the song, my child, will go on forever.

Questa (all'incirca) è quella italiana:
Canta una canzone
e per un momento
sarai visitato dal vento
Canta una canzone
e per un momento
sogna dolcemente del vento
Dormi adesso fino a quando la notte è l'alba
il vento e la canzone notte, ci sono
tuttavia la canzone, il mio bambino, andrà avanti per sempre.
(Prendetevela con Google traduttore per gli errori! ;) )

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Capitolo 15
*** 15. Controlla le tue passioni, o loro controlleranno te. + Special [Fino all'ultima goccia] ***


Piccole avvertenze: vi chiedo già adesso di non uccidermi o maledirmi. Vi prego! >.<
Seconda cosa, poi, questo capitolo sarà impostato in modo diverso dagli altri: all'inizio, dove troviamo Akemi ad osservare il mare all'alba e vedremo a grandi linee cosa è successo durante la giornata (ve lo dico perché non vorrei che venisse scambiato per un sogno o simili. Non vi sto dando degli stupidi, credetemi, solo che so di essere una persona fot********* contorta e voglio provare a rendere chiare almeno un paio di cose xD). Subito dopo inizierà “il vero” capitolo, in cui forse mi sono sbilanciata un po' troppo con gli indizi! XD Ah, ve lo dico subito: Týr farà abbastanza da protagonista, non me ne vogliate. Nei prossimi tornerà più nell'ombra, ma per questo capitolo era necessario che intervenisse e che facesse determinate cose. (Ah, tra l'altro ci sarà una scena di sadismo puro, spero di non disgustarvi troppo)
Lo special sarà un po'... come dire? Crudo? Macabro? Non saprei... beh, semmai ditemi voi qual è l'aggettivo giusto :)
Bene, detto questo, buona lettura a tutti! :D Spero che possa piacervi :3

 
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Il Sole sta lentamente sorgendo, dipingendo il cielo di arancione con sfumature rosa. Tira un leggero venticello fresco e il mare è piatto come una tavola.
Akemi osserva lo scenario seduta sul parapetto del ponte di poppa, in completa solitudine.
Sarebbe tutto assolutamente perfetto, se non fosse per le dolorose parole che le ronzano in testa dalla mattina precedente.

Si prepara frettolosamente per la colazione, elettrizzata all'idea di vederlo.
'Come devo comportarmi ora con lui? Cosa siamo? Ci divertiamo e basta come è successo con Ace o sono... sono la sua ragazza?'
Non riesce a trattenere un sorriso a quell'ultimo pensiero, squittendo allegra ed uscendo come un razzo di camera, andando a sbattere contro il diretto interessato.
«Ehi...» lo saluta con un certo imbarazzo, sorridendogli comunque in modo raggiante.
Marco, invece, rimane completamente serio, guardandola con un'espressione quasi di rimprovero.
«Dimentica tutto.» ordina con tono duro, non esternando assolutamente il dolore che la sua espressione spersa e addolorata gli provoca.
«Co- come?» domanda con un filo di voce, portandosi involontariamente una mano sul petto, sul cuore ora infranto.
«Dimentica tutto. È stato solo un bacio in fondo, non sarà difficile.» detto questo semplicemente se ne va, lasciandola da sola con il suo dolore.


Stringe con forza i pugni, piantandosi gli artigli nei palmi delle mani a sangue, incurante di quel lieve dolore. In realtà durante tutto il pomeriggio, nei momenti in cui era lontana da tutti, provava a farsi del male. Perché il dolore fisico allontanava, seppur per un brevissimo istante, quello che le sta tutt'ora attanagliando il cuore.
Insieme al dolore, però, le sta montando anche una strana sensazione. Non è rabbia, non è odio. È qualcosa di nuovo, qualcosa che non riesce a catalogare neanche se s'impegna.
«Alcuni la definirebbero pazzia.» l'avverte Týr con tono indifferente, venendo però ignorato dalla ragazza «Non ci pensare ragazzina. Non oggi.»
«Perché non oggi...?» mormora con un filo di voce, continuando a fissare l'orizzonte.
Tanto è completamente sola, quindi non può fare la figura della pazza completa se parla da sola.
«Perché ci sono giorni in cui bisogna stare completamente tranquilli. Oggi è quel tipo di giorno, quindi vedi di non stressarti.»
Akemi lo ascolta distrattamente mentre si abbassa gli occhiali da sole sul viso, infastidita da quel brillanti raggi solari che si fanno sempre più intensi.
Si passa le mani tra i capelli, cercando di concentrarsi unicamente sui rumori che ha intorno per non dover pensare a niente, ma non appena sente qualcuno dei suoi compagni salutare il primo comandante, probabilmente appena giunto sul ponte, tutti i suoi buoni propositi vanno allegramente fuori dalla finestra.
Si pianta con violenza gli artigli nelle cosce lasciate scoperte e traccia dei profondi solchi nella carne, lasciando che il sangue fluisca fuori lento e denso.
Non emette alcun suono, rivivendo nella sua mente quella dura giornata che le ha distrutto il cuore.

Lo segue silenziosamente sotto coperta, verso la cambusa, e non appena è sicura che nessuno li stia seguendo lo attacca violentemente al muro.
«Voglio una spiegazione.» ringhia a denti stretti, guardandolo dritto nei suoi apatici occhi scuri.
«Che ti dovrei dire, eh? Che è stato un errore? Che non sarebbe mai dovuto accadere? Bene, è così: è stato un errore e non doveva succedere. La verità è che come uno scemo ho avuto un cedimento di fronte al tuo aspetto, ma fortunatamente sono tornato in me.» sputa velenoso, ferendola ancora di più «Quindi, te lo ripeto: dimentica tutto quanto! Dimentica la nostra conversazione, dimentica quel bacio. Per quanto mi riguarda le cose tra noi sono esattamente come erano prima, se per te è diverso affari tuoi.»
Lo guarda mentre si allontana e subito prova a raggiungerlo, riafferrandolo per un braccio e costringendolo nuovamente a guardarla in faccia «Come puoi pensare che per me le cose saranno esattamente come prima?! Come puoi essere così stupido?!»
«Ascoltami: io ci tengo a te, dico sul serio, ma non posso darti quello che vuoi.» afferma con tono fermo Marco, tenendola saldamente per le spalle e guardandola dritto negli occhi tristi «Non si può ottenere sempre tutto, Akemi. Mi dispiace.»


Si mette le mani sporche di sangue tra i capelli, tirandoli appena.
«Perché mi ha fatto questo...?» piagnucola con un filo di voce, rannicchiandosi su sé stessa, tremando un poco.
«Non te lo so dire. Forse avevi ragione te: è un codardo. Ha paura di affezionarsi troppo a te, di legarsi in un modo più stretto ed intimo... e non gli do poi tutti i torti, in fin dei conti. Con la vita che conducete i rischi sono molto alti e di conseguenza l'idea di legarsi così a qualcuno che potresti perdere da un momento all'altro diventa quasi impensabile.»
«Stai dalla mia parte o dalla sua?!» sbotta infastidita, rendendosi conto di aver alzato troppo la voce. Si guarda attorno con aria circospetta, notando che per sua fortuna non c'è ancora nessuno da quelle parti.
«Diciamo che sono dalla tua. Però capisco anche il suo punto di vista, tutto qui.» risponde pacato, facendola sbuffare.
«La cosa in realtà ti lascia indifferente, vero?» borbotta scendendo dal parapetto e dirigendosi verso la propria cabina per andare finalmente a letto, stando ben attenta a non farsi vedere da nessuno. In quel momento si rende conto che evitare Marco per due settimane le ha insegnato una cosa molto utile: sparire velocemente senza farsi notare.
«Non mi sono mai perso molto dietro alle questioni di cuore, lo ammetto.» risponde sinceramente, facendola sbuffare di nuovo «Comunque dammi retta: oggi non ti esporre, non stare con nessuno, rimani nella tua stanza e prova a dormire tutto il giorno.»
«Mi spieghi perché, porca puttana?!» ringhia, preda di un improvviso attacco di rabbia nera.
Quando riprende fiato, nota che involontariamente ha artigliato con violenza la parete sopra al suo letto, incidendola in profondità.
«Ma che...?»
«Per questo. Ti ho già spiegato che ci sono giorni in cui bisogna stare completamente tranquilli, no?»
«Ma non mi hai spiegato il perché!»
Dall'altra parte, punto nuovamente sul vivo per quell'alzata di voce intollerabile, c'è solo silenzio.
Akemi aspetta qualche minuto sperando con tutta sé stessa che le risponda una volta per tutte, che le spieghi perché sente il bisogno di spaccare tutto quello che ha sotto tiro, di picchiare selvaggiamente le persone che passano di fronte alla sua porta parlando con voce decisamente troppo alta per i suoi gusti, ma comprende che si è chiuso a riccio un'altra volta.
«Stronzo...» soffia, buttandosi a peso morto sul letto e premendosi il cuscino sulla faccia per allontanare la realtà che le va stretta, speranzosa di riuscire a riposare e calmarsi.

Nel frattempo, nella mensa, la ciurma si è riunita per fare colazione in tutta tranquillità, parlando sommessamente del più e del meno. La notizia dell'omicidio dei Draghi Celesti ormai è dimenticata e quindi possono dedicarsi ad argomenti più leggeri, come pianificare cosa faranno quando, tra non molto tempo, scenderanno finalmente a terra su un'isola abitata, non come la schifezza in cui sono dovuti sbarcare per la curiosità dell'eccentrica sorellina quasi due mesi prima.
L'unico a non fare conversazione è Marco, che mangia senza neanche ascoltarli.
Alza per un secondo gli occhi sul posto che di solito occupa Akemi e vederlo vuoto gli fa più male di quanto avrebbe mai immaginato.
Il giorno prima, di fronte ai suoi occhi tristi e la sua espressione delusa, si è sentito una merda come mai in vita sua. Per una frazione di secondo aveva pure pensato di rimangiarsi tutto, di attaccarla contro il muro e di baciarla con tutta la passione di cui è capace, ma è ritornato immediatamente sui suoi passi. Non può permettersi di attaccarsi a lei in quel modo, non riuscirebbe a sopportare di perderla dopo. Già l'idea che possa accadere da un momento all'altro lo fa impazzire, ma se il loro rapporto maturasse ancora, se le cose diventassero serie, sarebbe spacciato e lo sa. Non a caso i pirati non si legano mai a nessuno: troppi rischi.
«Capitano!» l'uomo che stava di vedetta entra nella stanza urlando, attirando così l'attenzione di tutti i presenti «Whitey Bay ci sta raggiungendo, chiedono di poter conferire con te.»
L'Imperatore, oltremodo sorpreso da quella notizia, si alza subito ed esce sul ponte, seguito a ruota da tutti i presenti.
La grossa nave diminuisce la velocità non appena si trova nelle vicinanze dell'imponente Moby Dick e i vari pirati cominciano a darsi da fare per permettere alla piratessa di montare a bordo insieme ad alcuni membri della sua ciurma.
«Finalmente ti sei svegliata.» afferma con tono disinteressato Barbabianca non appena vede arrivare Akemi sul ponte, attirata da tutto quel rumore.
«Io non sono ancora andata a dormire.» risponde con tono stizzito non appena vede chi sta salendo sulla nave.
Quando poi la vede rivolgere un'occhiata assai eloquente alla Fenice la sua rabbia non fa altro che aumentare. Non si tratta solo di gelosia, non questa volta. Dentro di lei si sta muovendo un meccanismo, un qualcosa che se riuscisse ad ingranare come dovrebbe porterebbe solo morte e distruzione.
«Per quale ragione sei venuta fin qui, Bay?» le domanda l'Imperatore non appena la donna gli è di fronte, guardandola con curiosità. Un conto sarebbe se li avesse trovati per caso come l'ultima volta e si fosse fermata per far festa, un altro invece è il fatto che li abbia cercati e che voglia parlare. Di un argomento anche piuttosto scomodo, considerata l'espressione preoccupata e allo stesso tempo incredibilmente seria della donna.
«Dei miei uomini sono stati brutalmente uccisi.» afferma la donna, cercando con tutta sé stessa di ignorare lo sguardo della ragazzina che sente costantemente puntato addosso «Il ragazzo che avevamo preso a bordo, Killian, si è rivelato un traditore. Subito dopo avervi incontrato è scappato, non prima però di aver sbudellato dei miei compagni... e aver piantato un coltello sul vostro avviso di taglia.» continua con tono fermo, guardando l'alleato con crescente preoccupazione.
L'Imperatore trattiene a stento una risata di fronte alla sua preoccupazione nei propri confronti, giusto per il fatto che gli ha comunicato anche che alcuni dei suoi sono stati uccisi.
«Non sarei venuta fin qui se non considerassi la cosa piuttosto grave.» afferma dopo poco, facendo un passo in avanti e guardandolo con preoccupazione crescente «Quel ragazzo era montato sulla mia nave per trovarvi e sicuramente adesso farà in modo tale da potervi ritrovare, con dei rinforzi probabilmente.»
«Le tue premure mi lusingano, Bay, ma non hai di che temere. Siamo perfettamente in grado di difenderci.» tuona sorridendole mestamente il gigante, facendola sbuffare con aria esasperata.
«Quel bastardo uccide con la stessa metodologia malata degli assassini dei Draghi Celesti! Lui, esattamente come loro, ha lasciato una determinata firma e subito dopo se ne è andato! Uno è ancora chiuso in infermeria con una grave infezione, in preda al delirio!» sbotta tutto in un colpo, facendolo accigliare.
Si ricompone alla svelta, respirando profondamente e guardandolo con lo sguardo più supplichevole che riesce a tirare fuori «Promettetemi che farete attenzione, vi prego... se riuscissero a portare a termine i loro piani non me lo perdonerei mai.»
«Non temere, Bay. Andrà tutto bene.» afferma convinto Barbabianca, completamente indifferente alla cosa. In fondo è l'uomo più forte del mondo, perché mai dovrebbe temere uno sbarbatello e la sua banda di squilibrati?
'Se vogliono la mia testa, che provino pure a prenderla!'
Akemi nel frattempo non ha staccato gli occhi dalla piratessa, con il crescente desiderio di sbudellarla come un cane lì dove si trova. Si tratta sempre meno di gelosia e sempre più di un bisogno dettato dal suo folle istinto.
Bay, stufa di sentirsi osservata da quella novellina viziata, si volta con aria di sfida e la guarda a sua volta «Qualche problema, ragazzina?» le ringhia contro a denti stretti, non riuscendo più a sopportare il suo sguardo truce.
Akemi ghigna in modo strano, perverso.
Si avvicina lentamente alla piratessa, senza mai staccarle gli occhi di dosso e senza abbandonare il ghigno. Si muove piano, con movimenti calcolati e silenziosi, tanto che in quel momento i presenti non riescono a reprimere un brivido di fronte a quella visione: un vero predatore, una creatura potente ed instabile, pronta ad esplodere e a scatenare tutta la sua forza distruttiva.
Si fronteggiano ora, ferme e pronte a scattare.
Bay non ha alcuna intenzione di cedere e quindi sostiene con aria fiera e sicura lo sguardo della minore, celato sotto le spesse lenti scure, sperando di riuscire ad intimidirla. Dalla sua parte, in fondo, può contare su anni di esperienza e sull'appoggio dei compagni.
Akemi, sorprendendo tutti quanti, le tira un poderoso pugno dritto al volto, facendola balzare all'indietro. Non le da però il tempo di allontanarsi troppo che la riprende velocemente per un polso e la sbatte a terra, piazzandosi a cavalcioni sul suo addome e bloccandole i polsi sopra la testa.
«AKEMI!» le urla furioso Barbabianca, senza però riuscire ad attirare l'attenzione della ragazza, preda di una rabbia animalesca ed incontrollata.
Bay prova a togliersela di dosso, inutilmente, non badando stupidamente alla sua espressione. Perché se la vedesse, se si rendesse conto di come la sta guardando... beh, allora si metterebbe a gridare per ricevere immediatamente aiuto. Perché lo sa che nessuno interverrà se la situazione non si dovesse mettere male. Neanche lei lo farebbe.
Akemi la guarda con un desiderio crescente, mentre dentro qualcosa serpeggia infido.
Guarda il sangue che le cola dallo zigomo rotto come ammaliata e, senza neanche rendersene conto, si abbassa al suo livello per leccare il rivolo scarlatto che le sta solcando la guancia.
«Jeg liker din blod...» mormora, fuori di sé.
Perché quella non è davvero lei. Ma allo stesso tempo lo è.
Non c'è un modo preciso per definire quanto le sta accadendo e per questo non ci sono soluzioni per fermarla. Almeno, gli altri non ce l'hanno...
«Basta.»
Alza di scatto la testa, Akemi, guardandosi intorno con aria famelica e aggressiva, notando che i propri compagni hanno già impugnato le armi.
«Non è questo il modo.» la riprende di nuovo, persuadendola così ad alzarsi dalla piratessa che subito sguscia all'indietro per prendere le distanze «Brava, così. Adesso concentrati sul tuo paparino, penso che voglia parlarti.»
Guarda i suoi compagni uno alla volta, accorgendosi delle loro espressioni spaventate e ricolme di un certo disprezzo. Lo sguardo le cade poi su Marco che soccorre Bay, aiutandola a rimettersi in piedi, tenendola saldamente tra le sue braccia. È come una secchiata d'acqua gelida per lei, tanto forte da farla riprendere completamente.
Si volta piano, incrociando lo sguardo furibondo del capitano.
«Vattene da qui. Immediatamente!» le urla contro, puntando un dito in direzione del sottocoperta.
Akemi trattiene le lacrime, non riuscendo a ricordare nitidamente cosa sia successo per farlo imbestialire così. Ricorda che si stava guardando male con Bay, che le aveva detto qualcosa, poi nella sua mente c'è un vuoto. Un vuoto doloroso in cui sa perfettamente di aver fatto qualcosa di molto brutto, ma che non riesce a ricordare.
Corre velocemente sottocoperta, entrando nella propria cabina e sbattendo la porta.
Si attacca con le spalle alla parete, tenendosi le mani sul volto.
'Che mi sta succedendo? Perché non riesco a controllarmi?'
In bocca sente un sapore dolce, delizioso per le sue papille gustative, e senza pensarci due volte si butta in ginocchio ai piedi del letto, accucciandosi a terra e togliendo un paio di tavole di legno dal pavimento, sotto le quali è custodito il suo segreto.
Prende due bottigliette con mano ferma e in pochi secondi se le scola, trovando per la prima volta in più di due settimane un forte sollievo nel farlo. Generalmente infatti tende a diventare più aggressiva, mentre stavolta sente i muscoli di tutto il corpo rilassarsi e la mente farsi più leggera.
«Bello spettacolo, non c'è che dire.» afferma con tono divertito Týr, riportandola alla realtà.
Si guarda le mani con timore, notando delle macchie di sangue denso imbrattarle le nocche.
'L'ho colpita... l'ho colpita senza ragione...'
«Che mi sta succedendo...?» domanda con voce tremante, guardandosi attorno con paura crescente. Tutto quello che la circonda in quel momento le sembra una minaccia, tanto da farla rannicchiare in posizione di difesa contro un angolo della stanza, pronta a scattare al primo segno di allarme.
«È normale, non ti spaventare. Imparerai a controllarlo... almeno, penso. In realtà non ne sono sicuro, soprattutto se sprovvista di qualcuno che ti aiuti, ma immagino che sentirti dire “andrà tutto bene” ti tirerà su di morale.»
«Non mi stai aiutando per niente, Týr...» borbotta Akemi, stringendosi le braccia attorno al corpo e nascondendo la testa tra le ginocchia, provando a regolarizzare il respiro.
«Pensa a qualcosa, forza.» le consigli distrattamente l'uomo, preso alla sprovvista forse per una quinta volta in vita sua. Perché Týr sapeva sempre cosa fare, come agire in ogni situazione e come tirarsi fuori dai casini, ma stavolta non sa davvero come rigirarsi.
«Non riesco a pensare a niente di positivo...» mormora Akemi, piantandosi gli artigli nelle spalle sovrappensiero «Vedo le loro facce che mi guardano con paura e disprezzo... vedo l'espressione delusa di mio padre... Marco che l'aiuta...»
«Non è nella mia natura farlo, ma se vuoi posso aiutarti a rimanere ferma e buona.» propone sempre con una certa indifferenza, accendendo in lei una speranza.
«Davvero? Come?»
«Vedo che ti piacciono i tatuaggi.» constata Týr, facendola velocemente ricadere nell'oblio di disperazione e paura in cui sta affogando.
«Non è facendo conversazione che mi aiuti, mi dispiace...»
«Se mi lasci finire, magari!» sbotta infastidito, sorvolando per una volta sul suo atteggiamento indisponente «Posso rifare quel trucchetto in cui prendo momentaneamente in prestito il tuo bel corpicino e posso fartene altri. In questo modo ti mostro il mio smisurato talento artistico e allo stesso tempo ti tengo ferma.» propone subito dopo con tono incredibilmente serio, mettendola nuovamente in allarme.
«Chi mi dice che non è un bluff?» in realtà non lo crede davvero, Akemi. Insomma, se voleva prendere possesso del suo corpo e fare una carneficina poteva farlo tranquillamente senza chiederle il permesso, quindi non vede dove stia la fregatura.
«Il fatto che voglio proteggerti da coloro che stanno disseminando morte a destra e a manca.» risponde sinceramente Týr, spiazzandola completamente. Perché da lui poteva aspettarsi un qualsiasi tipo di risposta, anche la più idiota, ma non certo una cosa simile.
«Sul serio...?» mormora incredula, dimenticandosi per un brevissimo istante tutto quello che le sta succedendo.
«Sul serio. Anche perché sennò ingabbiano anche me e sarebbe assai controproducente.»
Akemi si lascia sfuggire una lieve risata, passandosi stancamente le mani sul volto pallido.
«Ora ti riconosco.»
«Volevo semplicemente fingermi gentile, ma se ti fa schifo evito.» borbotta infastidito Týr, facendola ridacchiare di nuovo.
«No...» sussurra, scostandosi i capelli dal viso e sorridendo dolcemente al niente «Mi piacerebbe passare del tempo in compagnia del “Týr gentile”.»
«Non ci conterei più di tanto, ma posso fare uno sforzo di tanto in tanto.» borbotta preso in contropiede, recuperando in pochi secondi il suo solito tono strafottente «Allora, cominciamo?»
«Sceglierai te i disegni?» gli domanda Akemi, che ha incredibilmente ritrovato il sorriso grazie alle sue parole.
«Si, inventerò sul momento... hai qualche richiesta?»
«Quello.» afferma convinta Akemi, puntando il dito verso il grosso orso di peluche nell'angolo opposto della stanza.
«Quello?» domanda con tono sarcastico e vagamente schifato l'uomo, sperando vivamente che lo stia prendendo in giro come lui fa sempre con lei.
«Si, quello. È il primo regalo che ho mai ricevuto, me l'ha fatto Ace.» afferma convinta, tirando fuori tutto l'occorrente per i tatuaggi che si era presa di nascosto a Dejima e mettendolo sul letto.
«Credevo che avessi perso la testa per Marco.» la pungola con tono divertito Týr, senza però riuscire a farla scomporre.
«Ace era l'unico che non mi guardava con quell'espressione di paura e disprezzo, prima. Mi guardava in modo quasi comprensivo... perché sa come ci si sente a considerarsi un mostro. Non mi giudica... e per questo voglio marchiarmi una parte di lui sulla pelle per sempre.» gli risponde con tono dolce, rivedendo nella mente l'espressione dell'amico, sentendosi improvvisamente calma ed in pace.
«Quanto sei profonda!» la sfotte ridendo l'uomo, cominciando il processo per prendersi il corpo della ragazza «Dai, ora togliti dai coglioni, ho parecchio lavoro da fare!»

La ciurma di Bay se ne è andata ormai da diverse ore e la Moby Dick ha ripreso la propria rotta, solcando quel mare calmo, trasportata da un lieve vento fresco che preannuncia l'avvicinarsi della notte.
Alcuni comandanti si sono chiusi nella cabina del capitano, intento a leggere uno dei libri consigliati dalla folle figlia per calmarsi.
Sbraitano da almeno mezz'ora, chiedendosi cosa possa averla spinta a fare una cosa inammissibile come colpire un'alleata, perché da un'ora all'altra sia diventata così aggressiva nei confronti di tutti e, soprattutto, quale provvedimento adottare. Sanno bene che le punizioni con lei non funzionano per quanto dure esse siano, che due ore dopo si è già dimenticata di tutto e che ripete gli stessi errori finché non capisce da sola, quindi diventa tutto più difficile.
Marco pensa di sapere il perché di quell'attacco di ira: è gelosa. Si è fatta sopraffare dalla sua gelosia e l'ha colpita, come se lui le appartenesse.
'Piccola idiota!' pensa sempre più adirato, senza prendere parte alla conversazione 'Io non appartengo né a te né tanto meno a lei! E se anche fosse, non avresti comunque il diritto di fare una cosa del genere.'
È convinto della sua teoria e di conseguenza si prepara mentalmente un bel discorso da farle a riguardo, per farle capire con le buone o con le cattive che non si deve mai più permettere di fare una cosa del genere, senza però sapere che la gelosia altro non era che la punta di un gigantesco iceberg invisibile ai loro occhi.
Se solo sapessero cosa vive in mezzo a loro, quale mostro si sono presi tra le loro schiere, non si sorprenderebbero assolutamente di un comportamento simile. Anzi, si sorprenderebbero del fatto che non ha ancora ucciso nessuno per il puro piacere di farlo!
Halta fa il suo ingresso nella cabina del capitano, attirando su di sé gli sguardi dei compagni.
È abbattuta, in un certo senso si sente pure tradita, ma cela il tutto dietro ad una maschera dura di rabbia e serietà.
«Akemi non risponde.» afferma semplicemente, notando che l'Imperatore ha impercettibilmente indurito la mascella per la rabbia.
Infatti lei era stata incaricata di andare a parlarci, di farla ragionare e di convincerla di andare dal capitano per parlare, in quanto persona a lei più vicina sulla nave. Ma se anche lei ha fallito in quel semplicemente compito, significa che la situazione è ben più grave del previsto.
«Allora?» tuona Barbabianca fingendosi indifferente, senza però riuscire a convincere nessuno dei presenti.
Lo conoscono da troppi anni ormai per farsi ingannare: sanno che dentro soffre per tutto quello che sta succedendo, che è preoccupato, ma sanno anche che non si farà mai piegare da nessuno, tanto meno da una ragazzina con problemi di autocontrollo.
«So che sei preoccupato quanto noi, ma ignorarla non l'aiuterà. E non aiuterà neanche gli altri a stare tranquilli.» afferma sicura di sé Halta, attirando a pieno l'attenzione del gigante con l'ultima frase.
«La temono?» domanda con una punta di tristezza nella voce, facendo rattristare pure la comandante.
«Alcuni diciamo di si...» risponde con un filo di voce abbassando il capo, senza però abbandonare la speranza di poterla aiutare ad uscire da quel tunnel oscuro in cui sta affondando sempre di più.
'Se non fossi stata zitta tutto questo tempo... forse adesso la situazione sarebbe diversa...' pensa per un breve istante, rimangiandoselo immediatamente 'È la mia migliore amica. Mi fido ciecamente di lei, non oserei mai tradirla, così come lei non lo farebbe con me. Non è pericolosa e sono sicura di poterlo dimostrare!'
«Sono convinti che sia posseduta da qualche spirito maligno e che presto o tardi ci sbudellerà nel sonno.» prende la parola Jaws, rimanendo in piedi di fronte al genitore con aria cupa come sempre. Lui è quello meno toccato da ciò che è successo, poiché si aspettava che presto o tardi la sua follia l'avrebbe portata ad uno scatto d'ira del genere. In fondo bastava osservarla mentre combatteva per capirlo.
«Andiamo! Akemi non è posseduta!» si intromette prontamente Satch, sicuro di sé.
In fondo non ha neanche tutti i torti. Perché la sua cara sorellina non è per niente posseduta da una creatura malvagia: lo è direttamente.
«Dillo a loro, non a me.» risponde a tono il terzo comandante con indifferenza, ricevendo in risposta delle bestemmie dette a mezza bocca dall'uomo.
«Parlatele e ditele che dopo deve venire nella mia stanza.» afferma con voce tuonante Barbabianca, interrompendo così il loro battibecco.
«Babbo: lei non risponde a nessuno! Nemmeno a me! Si è chiusa dentro la sua stanza e come provi a forzare la serratura spacca qualcosa dall'interno e ti minaccia.» lo informa Halta, guardandolo con una certa preoccupazione negli occhi.
«Allora che resti da sola a riflettere attentamente sulla stronzata che ha fatto! Quando avrà di nuovo il coraggio di mostrarsi a me, che lo faccia.» tuona sempre più arrabbiato il capitano, guardandoli uno per uno «Fino a quel momento niente favoritismi.»
«Cioè?» domanda Ace, sperando di aver capito male.
«Statele lontani. Non portatele niente.»
«Ma-»
«NIENTE MA!» tuona, facendo tremare pure le pareti «Adesso tornate ai vostri compiti.»
I vari comandanti escono velocemente dalla cabina, pronti ad eseguire quanto gli è stato detto senza fiatare.
Beh, tutti, eccetto uno.
«Io vado a parlarle!» sbotta Satch, dirigendosi senza tante cerimonie verso la camera della sorella, più che intenzionato a farla ragionare in qualche modo. Dovesse pure arrivare a sbatterle la testa nel muro fino a farle perdere i sensi, la farà calmare!
«Satch, babbo ci ha dato un ordine!» lo riprende immediatamente Vista, provando a bloccarlo per un braccio, con scarsi risultati. Neanche un intero battaglione della marina riuscirebbe a fermarlo in quel momento.
«Me ne frego! C'è in ballo la salute mentale di Akemi, mica cazzate!»
Vista, Halta, Marco ed Ace decidono, dopo un'attenta riflessione, di seguire il compagno, mentre gli altri promettono di coprirli. Tutto sommato Satch ha ragione: devono aiutarla, è pur sempre la loro piccola Akemi, la stessa mocciosa che hanno ripescato in mare e che hanno giurato di proteggere. Non possono e non vogliono lasciarla sola in un momento tanto delicato.
Rimangono in silenzio di fronte alla cabina della ragazza, da cui non sentono provenire neanche un sibilo, e con mano incerta il quarto comandante bussa debolmente sulla superficie liscia e chiara.
«Akemi...?» la richiama con un filo di voce, consapevole che può sentirlo benissimo.
La risposta, stranamente, non si fa attendere e niente viene distrutto, come affermato precedentemente da Halta.
«È aperto.»
Il comandante apre subito, trovando la stanza immersa nel caos più totale «Ma che diavolo...?»
Diversi stracci imbrattati di inchiostro nero e sangue giacciono ai piedi del letto, svariati oggetti sono frantumati vicino alla porta, sui muri ci sono i segni dei vari impatti e, appallottolati un po' ovunque, ci sono vari fogli accartocciati.
I vari comandanti alzano lo sguardo sulla ragazza stesa nel letto, coperta solo da della striminzita biancheria intima viola, e subito notano svariati disegni neri sulla sua pelle candida.
«Akemi! Ma che diavolo hai fatto?» le urla contro Satch, andandole in contro, vedendo meglio quei nuovi disegni.
Nell'avambraccio interno sinistro svetta un grosso ed elaborato teschio, con due rose come decorazione, mentre nell'avambraccio destro c'è raffigurato un orsacchiotto col fiocco al collo, come quello che le regalò Ace da piccola; sul bicipite sinistro svetta un tribale a fascia; il polso destro e parte della mano sono decorati con delle strane fantasie attorno ad una rosa, mentre quattro dita della mano sinistra sono state riempite di vari simboli; sull'anca destra svetta un piccolo pipistrello; sopra al ginocchio destro svetta un altro teschio, stavolta di profilo; per ultimi vede i piedi, i quali sono stati entrambi tatuati con arabeschi identici.
«Non mi trovi bella?» domanda Týr senza neanche guardarlo, rigirandosi tra le dita tatuate una ciocca di capelli, fissando il soffitto della stanza con aria assorta.
«Guarda come ti sei conciata...» mormora Vista, passandosi una mano dietro al collo con fare sconsolato «Lo sai che questa roba ti resterà sulla pelle per sempre?»
«Ti sembro stupida, forse? Certo che lo so... e non mi dispiace per niente.» gli risponde ghignando divertito, senza però muoversi di un millimetro. Per un attimo stava per parlare di sé al maschile, ma si è subito ripreso.
«Akemi, dovresti andare a parlare col babbo.» le intima Ace, sedendosi sul letto al suo fianco. Non riesce a staccare gli occhi dall'orso tatuato nel braccio, sentendosi apprezzato come poche volte in vita sua.
«Mh? E perché?» mormora Týr, abbassando gli occhi su Pugno di Fuoco e guardandolo con estrema attenzione. Non riesce a vedere niente di Roger in lui e la cosa non gli dispiace per niente. Era si un grandissimo pirata, ne è più che consapevole e proprio per questo lo ammirava, ma non gli è mai piaciuto esteticamente parlando. 'Sua madre doveva essere una bella donna.'
«Perché hai aggredito senza ragione una nostra alleata.» interviene Marco, guardandola con aria circospetta. Non le sembra lei, così languida e calma, con la mente tanto per aria.
Non lo ammetterà mai, ma l'idea che possa essere realmente posseduta non gli sembra più tanto impossibile.
«Mi ha provocata...» mormora Týr, voltando un poco la testa verso il biondo, non riuscendo a capire come faccia a piacerle tanto.
«In ogni caso non le ho fatto niente.» afferma subito dopo con indifferenza, tornando a fissarsi le punte sottili dei capelli. Ha sempre avuto una fissazione per i capelli, Týr, anche se ha sempre avuto un debole per quelli rossi come il sangue.
«Ti senti bene...?» le domanda Halta, avvicinandola con cautela e guardandola con aria incerta. Perché Halta non è certo una stupida e si è pienamente resa conto che quella non è la sua migliore amica, quella con cui passa buona parte delle sue giornate, con cui scherza e ride. No, quella è un'estranea che indossa la sua stessa pelle e che adesso la guarda con una luce diversa negli occhi.
«Una meraviglia...» risponde sogghignando Týr, alzandosi finalmente in piedi, raccattando da una sedia una vestaglia nera di raso, che prontamente indossa con movimenti lenti e delicati. Anche questo piccolo dettaglio risulta strano agli occhi dei presenti: Akemi è sempre frettolosa nel vestirsi e mai avrebbe provato a risultare seducente nel mettersi una vestaglia da notte.
'Che diavolo le prende?' si domanda Ace, quello che con lei ha sicuramente un rapporto più intimo. Neanche in quella folle notte da ubriachi si era comportata così!
«Asc-» prova a richiamarla Vista, venendo però prontamente interrotto.
«Prima che mi martoriate i coglioni con i vostri inutili sproloqui su quanto sono indisciplinata e aggressiva, mi tolgo di torno. Non vorrei che il mio buon umore svanisse, mi risulterebbe particolarmente ostico sostenere una conversazione civile con il capitano altrimenti.»
Detto questo semplicemente esce a piedi nudi dalla cabina, dirigendosi con estrema tranquillità verso la grande cabina dell'Imperatore.
«Týr, cosa diavolo stai facendo?! Restituiscimi immediatamente il mio corpo!» urla nella sua mente Akemi, come ridestatasi da un brutto sogno. L'ultima volta che Týr ha parlato con suo padre, in fondo, non è andata poi tanto bene...
'No. Tu non saresti in grado di sostenere una simile conversazione e finiresti col metterti ancora di più nella merda. Non lo ipnotizzerò, se è questo che temi.'
Bussa con decisione alla porta, aprendola quando riceve il permesso. Perché, per quanto possa sembrare impossibile, Týr generalmente è molto educato e diversi gesti civili li compie sempre. Come bussare e aspettare di avere il permesso, chiedere per piacere se gli viene passato qualcosa o anche ringraziare. Quest'ultima cosa più di rado, ma comunque di tanto in tanto lo fa.
«Volevi vedermi?» domanda con voce divertita, guardando l'imponente uomo dritto negli occhi. Non lo teme, non lo ha mai fatto. In fondo, non temeva neanche Roger quando era ancora nel fiore degli anni! Perché mai dovrebbe temere un vecchio?
Poi, dettaglio ancor più importante, non può essere direttamente toccato. E sa bene, Týr, che l'Imperatore non alzerebbe mai un dito sulla sua adorata bambina.
«Ti rendi conto di quello che hai fatto?» le domanda con tono duro l'Imperatore, scrutandola dalla testa ai piedi. Nota subito i tatuaggi sui piedi, sulla gamba e sulle mani, ma non è proprio il momento adatto per dirle che è una cretina incosciente.
«Ho tirato un pugno a Whitey Bay, si. E con questo?» risponde con arroganza Týr, cercando subito dopo di entrare alla perfezione nella parte della ragazza pentita e poterla così passare liscia «Prima che tu risponda, ti espongo la mia motivazione, così risparmiamo tempo e fiato: lei non mi piace, non mi è simpatica e dopo la sua provocazione non sono riuscita a trattenermi. So bene che... che non si fa, gli alleati non vanno colpiti, perché comunque sono parte della famiglia, però... non sono proprio riuscita a trattenermi. Ma non temere, non lo farò mai più, promesso. Se mai la rincontreremo le starò a debita distanza.»
Barbabianca rimane di sasso di fronte al suo sorriso sincero, completamente in contrasto con la pura falsità che ha negli occhi. Occhi più scuri, più vivaci e più... vissuti. Non saprebbe come altro definirli.
«Posso andare, adesso? O per caso vuoi discutere anche di questi?» domanda con un sorrisino Týr, alzando le mani per mostrargli i vari disegni che adornano la pelle candida della ragazza.
Barbabianca, stranito da quel suo strano atteggiamento, alza semplicemente una mano come se stesse scacciando una mosca e Týr, con un inchino pieno di sarcasmo, si ritira dalla sua vista.
«Buon riposo, capitano.» mormora divertito, ignorando deliberatamente le urla nella sua testa.
'Il primo passo è fatto... adesso devo solo convincere i tuoi sciocchi compagni che non sei una minaccia per loro.'
Si dirige tranquillo verso la propria stanza, incrociando i vari membri dell'equipaggio che lo guardano con sospetto. In tutta onesta a Týr non importa assolutamente niente. È più che abituato a stare sotto ai riflettori, ad essere guardato in determinati modi, quindi che lo facciano anche adesso non gli fa né caldo né freddo. Giusto qualche commento appena sussurrato lo fa ridacchiare, ma non ci vuole badare più di tanto.
Non appena incrocia i comandanti che avevano fatto “irruzione” nella stanza di Akemi, gli sorride con fare rassicurante, avvicinandosi con passo lento e seducente a Satch.
Gli poggia le mani sul petto e lo guarda con un ghigno divertito in volto, facendolo pietrificare. Perché è vero che Akemi di tanto in tanto assume questi atteggiamenti da femme fatale, ma mai una volta si è comportata così con lui!
«Tutto risolto col capitano.» mormora sorridendogli, per poi lasciarlo e dirigendosi verso la porta della cabina «Adesso vorrei riposare, quindi non aspettatemi per cena. Gradirei molto non essere disturbata.»
Detto questo si chiude semplicemente a chiave nella propria stanza, rimettendo un po' in ordine per ammazzare il tempo. Perché oltre che indecentemente permaloso, Týr è pure un maniaco dell'ordine e non riuscirebbe a stare ancora in quel caos.
Dopo una mezz'ora di pulizie, finalmente si sdraia a letto, iniettandosi in vena un forte sedativo che aveva trovato in uno dei cassetti della ragazza, ben nascosto sotto le sue magliette.
Si addormenta velocemente, più che deciso a mettere in atto l'ultima parte del suo diabolico piano.

Finalmente lo vedo in faccia, questo folle schizofrenico!
Anche se, se devo essere onesta almeno con me stessa, l'unica folle schizofrenica qui sono proprio io. Lui non aveva mai detto che non avrebbe fatto altro oltre a tatuarmi. L'unica cosa che aveva promesso era quella di tenermi ferma, in sintesi.
No, aspetta, frena tutto. Lo sto realmente difendendo?! Questo si che è il colmo.
Lui semplicemente cammina per questo maledetto niente in cui sono stata segregata tutto il dannato giorno come se niente fosse, ignorandomi come se non ci fossi. Pensa per i fatti suoi, magari -cosa di cui in realtà dubito- cercando un modo per scusarsi.
Lo avvicino di volata, afferrandolo per un braccio e costringendolo a guardarmi dritto negli occhi. Se non riesco a sentire la verità dal suo battito del cuore ormai morto, non posso far altro che affidarmi ai suoi occhi. Mi rendo conto che è una mossa completamente idiota, ma è l'ultima carta che mi resta da giocare.
«Ti rendi conto di quello che hai fatto?!» gli ringhio a due centimetri dal viso, facendolo semplicemente sorridere. Cosa c'è di buffo, adesso?!
«Ah, io? Sei tu quella che non sa tenere a freno le mani, se non sbaglio.» risponde sarcasticamente, facendomi alterare ancora di più. Non che durante la mia simpatica permanenza in questo maledetto limbo sia diminuita, anzi, però lui ha la sorprendente capacità di riuscire a mandarmi in bestia ancora di più!
«Mi hai messo contro tutta la ciurma!» sibilo sempre più furiosa, stringendogli il polso a tal punto che adesso dovrebbe essere rotto. Possibile che sia così maledettamente resistente?!
«Gli passerà, non temere...» afferma indifferente, sventolandomi una mano davanti al viso come se fosse un insetto fastidioso.
Svanisce in un secondo in una nube di fumo denso, materializzandosi dopo pochi secondi dietro di me «Ho sentito alcuni di loro mormorare che “sei in quel periodo del mese”, quindi ci stanno già passando sopra.» aggiunge sorridendo allegro, come se ci fosse qualcosa da ridere. Non ci vorrà niente prima che le infermiere smentiscano questa loro stupida teoria, visto che sono le uniche -insieme ad Halta- a sapere che non mi è ancora mai venuto il ciclo.
«Menti.» sibilo sempre più furiosa, snudando d'istinto le zanne e avvicinandomi lentamente.
«Io non mento mai.» risponde improvvisamente serio, indurendo lo sguardo e fissandomi con gli stessi occhi da psicopatico violento con cui mi guardò durante il nostro scontro.
«Voglio svegliarmi. Adesso!» urlo in preda ad una crisi isterica, agitando convulsamente le braccia ed urlando a pieni polmoni non appena il bastardo si smaterializza di nuovo.
Comincio a colpirmi ripetutamente al viso e all'addome con l'intento di svegliarmi, ma ben presto il bastardo riappare, bloccandomi saldamente i polsi e guardandomi intensamente negli occhi.
«Aspetta solo un secondo.» ordina inflessibile, indurendo lo sguardo tanto da mettermi in agitazione.
«Che vuoi?» ringhio a due centimetri dal suo viso, provando così ad intimorirlo, ovviamente senza successo. Ho come la netta sensazione che non tema assolutamente niente, indice di una più che profonda pazzia.
«Voglio che ti addormenti.» ordina con tono suadente, continuando a fissarmi.
Improvvisamente sento la testa leggera e il corpo intorpidito, tanto che le gambe non riescono più a reggermi.
Mi poggi a terra piano, tenendomi la testa, per poi sussurrare ancora una volta «Dormi.»
Dopo, tutto intorno a me, svanisce...


Passano le ore e finalmente Týr apre gli occhi, alzandosi a fatica dal materasso della ragazza.
Ipnotizzarla e obbligarla ad addormentarsi era l'unico modo che aveva per riuscire ad ingabbiare la sua furia omicida, ma sa bene che non le andrà giù non appena riprenderà i sensi.
«Anche troppo facile.» mormora inginocchiandosi di fianco al letto, ripetendo i movimenti di Akemi e bevendo ben tre bottigliette di quel liquido a lui sin troppo conosciuto. Liquido che gli lascia un profondo amaro in bocca, tanto da fargli venire voglia di buttare tutto giù dalla nave. Non lo fa per il semplice fatto che sennò tutti i suoi attuali sforzi andrebbero allegramente all'aria, e lui non è certo il tipo che fa qualcosa inutilmente.
'Speriamo che l'effetto duri abbastanza.'
Esce silenzioso come un fantasma dalla stanza e si dirige verso l'armeria, stando ben attento a non incontrare nessuno sul suo cammino.
Passando di fianco alle varie cabine sente distintamente il russare dei vari pirati, assopiti ormai da ore, e non riesce a trattenere un'espressione nostalgica.
'Anche lui russava...'
Scaccia velocemente il pensiero non appena mette piede nell'armeria, più che deciso a finire ciò che ha iniziato.
'Quel coglione di un piccione turchese doveva scegliere proprio un momento così delicato per scaricarla? Maledetto idiota! Se mi ritroverò prigioniero per colpa sua giuro su quanto è vero che mi sto muovendo grazie a questo maledetto corpo che lo ucciderò con le mie stesse mani.'
Osserva i vari oggetti con attenzione, cercando quelli che fanno per lui. Il luogo in cui compiere il suo gesto estremo l'ha già in mente, ma ha bisogno dei materiali perfetti se vuole riuscire nella sua folle idea.
Passa le dita affusolate su degli spessi paletti di metallo con la punta acuminata e dopo un attimo di indecisione, nella quale si è seriamente chiesto cosa ci facciano sulla nave con oggetti simili, li afferra con decisione, convinto che vadano più che bene.
Afferra anche un grosso martello e una catena e li mette in un sacco, pronto ad attuare il suo piano di incatenamento.
Cammina furtivo per la nave, stando ben attento a non farsi vedere da nessuno. Per sua fortuna la maggior parte degli uomini si è già ritirata nella propria stanza, quindi non deve sforzarsi poi molto.
Arriva con passo svelto ed incredibilmente silenzioso fino alla stiva, dove pensa bene di rifugiarsi. Nessuno ci va mai se non per dei controlli che sono già stati fatti, quindi non corre rischi. Inoltre è a conoscenza del fatto che vicino c'è la sala motori che produce un rumore d'inferno lì sotto, quindi è anche coperto.
Va a ripararsi dietro a dei barili e subito si mette all'opera. Ha poco tempo e lo sa, quindi non può pensare di fare un lavoro come si deve.
Pianta un paletto nel muro in modo tale che regga alla perfezione la catena che si è legato in modo molto stretto al collo e poi passa alla seconda fase, quella decisamente più dolorosa e dannatamente folle.
Prende tre paletti e se li mette vicino, sospirando rumorosamente.
'Non pensavo di poter mai arrivare a tanto... per degli esseri umani, poi!'
Ne afferra uno e posa la punta sul collo del piede destro. Alza il martello con calma e si prepara al dolore lancinante che proverà da lì a pochissimi secondi, e poi lo abbassa con violenza, trafiggendo il piede da parte a parte.
Trattiene a stento un urlo di dolore, mordendosi a sangue il labbro inferiore e chiudendo gli occhi.
'Un altro colpo... ancora uno...'
Tira un'altra martellata sull'estremità del paletto e lo pianta così nell'asse di legno sottostante, bloccando definitivamente il movimento della gamba, ripetendo poi il dolorosissimo meccanismo anche sull'altro piede.
Si asciuga la fronte dal sudore con il dorso della mano sporca di sangue, respirando a fatica per il troppo dolore.
Il sangue sgorga lento e denso dai piedi, imbrattando tutto il pavimento.
'Adesso l'ultima parte...'
Poggia il dorso della mano sull'ultimo paletto poggiato al contrario sul pavimento e subito si tira una martellata sull'arto in modo da farlo trapassare dal freddo metallo.
Anche questa volta trattenere un urlo per il dolore lancinante che sta provando è difficile, ma il suo autocontrollo è più forte. Non può permettere che qualcuno lo scopra, che vedano che la loro cara sorellina si sta inchiodando al pavimento: la farebbero rinchiudere in un istituto psichiatrico e sarebbe ancora più in pericolo.
Gira la mano ferita e l'appoggia sul pavimento, riuscendo finalmente a piantare la punta di metallo nel pavimento.
Liberarsi per lei sarà incredibilmente difficile e doloroso, ma a quello penserà più tardi.
«Adesso... direi che... che posso dormire...» annaspa in cerca d'aria, poggiando le spalle contro la parete alle sue spalle e chiudendo gli occhi, esausto. Non credeva che prendere possesso del suo corpo per un tempo così prolungato gli avrebbe sottratto tante energie.

Apre lentamente gli occhi, Akemi, riscossa da un forte dolore ai piedi e alla mano, nonché alla sensazione di asfissia che la stava profondamente disturbando nel suo profondo sonno.
Si rende immediatamente conto di non trovarsi nella sua stanza e, abbassando gli occhi, vede gli arti feriti e sanguinanti, dolorosamente inchiodati a terra
«Cosa...?» mormora spaesata, ricordandosi di colpo del momento in cui ha perso i sensi nel limbo per colpa dell'uomo.
«Týr! Cosa diavolo mi hai fatto?» urla, cominciando ad armeggiare con la catena. Presa dal panico com'è, però, non riesce a trovare le energie sufficienti per spezzarla, finendo così con lo stringerla ancora di più.
«Calmati adesso, respira.» l'ammonisce subito Týr, serio come poche volte in vita sua.
«Vaffanculo!» urla furiosa, ringhiando come un animale messo alle strette e pronto a tutto pur di liberarsi.
«Non urlare, sta calma.» le ordina con una punta di nervosismo nella voce «Ascoltami per una buona volta, dannazione! Se ti liberi adesso potresti fare cose davvero orrende, ok? Resta dove sei.»
«Fa male...» mugola Akemi, ormai incapace di trattenere le lacrime.
«Lo so, non volevo arrivare a tanto, ma avresti perso il controllo.» afferma con tono vagamente dispiaciuto Týr, per poi proseguire con voce più dura «Prova a pensare a qualcos'altro, forza. Concentrati sui bei ricordi, solo su quelli. Pensa al bene che ti vogliono i tuoi fratelli e a quello che hanno fatto per te fin'ora. Pensa all'amore paterno che quell'uomo nutre nei tuoi confronti. Aggrappati a quei pensieri e basta.»
Nel frattempo Akemi ha provato a togliersi il paletto dalla mano, ma il dolore e la paura sono così forti da non permetterle neanche di muoversi come sempre o di usare tutta la sua forza.
Si sente stanca, le ossa le fanno male in tutto il corpo, il cuore batte all'impazzata.
La rabbia cresce dentro di lei, distruttiva, tanto da farle sfuggire un urlo carico di odio e rancore. Per sua fortuna è vicina alla sala macchine, quindi le urla vengono coperte da quel rumore.
«Non ci riesco!» urla un'altra volta, provando a tirare via la catena dal muro, senza successo.
«Devi farlo! Ucciderai qualcuno se riesci a liberarti, lo capisci?!» le urla contro Týr, realmente preoccupato per la sorte di entrambi. Non vuole che lo catturino, che lo ingabbino più di quanto già non sia, e di conseguenza non vuole che accada neanche a lei.
«Non voglio...» mormora Akemi, annaspando in cerca di ossigeno.
«È nella tua natura farlo, vedi di capirlo una volta per tutte. Per te uccidere è la cosa più naturale del mondo, solo che non riesci ad accettarlo.» afferma con tono duro, facendola trasalire «Per adesso ti aiuterò a reprimere questo tuo istinto, ma presto o tardi dovrai farci i conti.»
«Posso raggirare l'ostacolo come mi hai detto te...»
«Questo ostacolo non si può raggirare. Ti troverà sempre e ti piegherà finché non ti arrenderai a lui.»
«Perché...?» le lacrime sgorgano copiose, imbrattandole il volto pallido di quel magnifico rosso vivo, conferendole un'aria più inquietante di quanto già non abbia a cose normali.
«L'hai detto tu stessa, ragazzina: sei un Demone... e i Demoni uccidono.» le risponde pacato Týr, sospirando di sollievo nell'essere riuscito a calmarla «Non ti logorare, tra poche ore finirà tutto e tornerai normale come sempre.»
«Me lo prometti?» mormora Akemi, decidendo di fidarsi per l'ennesima volta di quel pazzo, poggiando le spalle alla parete e chiudendo gli occhi, abbandonandosi al dolore e provando a reprimerlo con i ricordi più belli che ha.
Týr, dalla sua dimensione oscura, si gode questa nuova vittoria, sorridendo trionfante. È riuscito ad imbrigliare la bestia, cosa pressoché impossibile.
«Te lo prometto.» afferma con un filo di voce, mettendosi a vegliare sul suo sonno, mostrandole nuovi ricordi, mostrandole uno spazzo di luce.
'La luce che accecherà la bestia...'



Angolo dell'autrice:
Eccoci di nuovo qui! :D
Ebbene si: il nostro caro Marcolino ci ha messo ben 14 capitoli per baciarla e poi fa marcia indietro! X°D (Non temete, tempo qualche capitolo e la situazione cambierà radicalmente... non so se ci intendiamo ;p)
Come se questo non fosse sufficiente, poi, torna pure quella zoccoletta di Bay (domando scusa ai fan della piratessa, ma mi serviva una trombamica per Marco e lei calzava a pennello!) e la nostra Akemi da in escandescenza. La cosa bizzarra sta nel fatto che Týr -si, proprio lui!- ha fatto in modo tale da riuscire a calmarla! Strano, no? Lui che all'inizio le diceva di “lasciarsi andare”...
Poi, proprio per farla stare più tranquilla e tenerla lontana dai guai seri, si prende il suo corpo (stavolta con il suo permesso almeno) la bombarda di tatuaggi (che, tra l'altro, sono questi: 
http://it.tinypic.com/r/6p279i/8 ) ed infine la inchioda nel vero senso della parola per tenerla ferma! Ma quanto sarà dolcino, seppur a modo suo?
Comunque c'è un perché se ho continuato a farla tatuare: non voglio una protagonista bella, per benino, dal visetto dolce e il corpo di una fatina. No. Lei è muscolosa, ha gli addominali quasi scolpiti, ha una vena sadica che reprime a fatica, è piuttosto lunatica ed è piena di inchiostro nero sulla pelle... è una bad girl! (Lo so, sono stupida, ma che ci vogliamo fare? Preferisco quelle più “da strada” che le dolci bamboline :3)
Marco è giustamente combattuto: da un lato la vuole, è pure geloso del rapporto che ha con Ace, ma dall'altro non vuole affezionarsi a nessuno in quel modo perché sa quanto sia rischioso. Non so se considerarlo stupido o semplicemente prudente! Voi che dite?
Barbabianca s'incazza per l'ennesima volta, poverino :( ci credo che poi gli vengono gli infarti! Però non è capace di punire seriamente la sua bambina. Non fece niente neanche per riprendere Teach se ricordate, figuriamoci se sarebbe in grado di fare del male -che sia fisicamente o psicologicamente è indifferente- alla sua piccola trovatella! So che non lo sto descrivendo nel modo giusto, che a voi non piacerà questa sua versione di papà permissivo, ma non so per quale assurda ragione ce lo vedo troppo :( non odiatemi!
Il titolo! :D La vera frase sarebbe “La rabbia è una follia momentanea, quindi controlla questa passione o essa controllerà te.” di Omero, e si riferisce -non penso di doverlo neanche dire, ma vabé- al fatto che Akemi non è riuscita ad ingabbiare la sua ira, stranamente amplificata.
Beh, direi che non ho altro da dire questa volta... o.o
Ci tengo molto a ringraziare di tutto cuore ankoku, Law_Death, Yellow Canadair, Okami D Anima, Monkey_D_Alyce, Lucyvanplet93, Aliaaara, iaele santin, Portogas D SaRa e Redangel19 per le magnifiche recensioni! :3 Siete dei tesori!
Adesso vi lascio con un nuovo special! Spero che vi possa piacere (oggi sadismo abbomba!)
A presto, un bacione
Kiki



 
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Se ne sta seduto da solo al lungo tavolo di legno scuro, cupo in volto, con un calice di mirabile fattura pieno di un liquido denso e scarlatto.
Pensa ai recenti avvenimenti che hanno irrimediabilmente sconvolto la sua esistenza, pensa alla sua vita, pensa a tutto quello che sta facendo per vincere. Pensa e si domanda se sta facendo la cosa giusta, se la strada scelta è quella più adatta a lui. Pensa a quanto ha perso, a quanto dovrà ancora faticare per riuscire ad ottenere ciò che gli spetta di diritto.
«Che ci fai qui?» domanda con tono piatto, senza staccare gli occhi dal calice che tiene stretto in mano.
La donna appena entrata nell'ampia sala da pranzo, tetra come il resto dell'edificio, gli rivolge un sorriso sbarazzino per poi trascinarsi lentamente fino alla sedia al suo fianco, dove si siede in modo composto.
«Non posso neanche tenerti compagnia?» domanda ironicamente, guardandolo attentamente. È stanco, probabilmente non dorme da giorni, ma questo non intacca minimamente il suo fascino assassino.
«Sei debole. Devi riposare.» risponde duramente, posando il calice sul tavolo e alzandosi di scatto con aria nervosa, aggirandosi per la stanza come un predatore rabbioso.
«Passo almeno venti ore al giorno a letto a dormire. Con il tuo permesso, per quelle quattro misere ore che passo sveglia, vorrei avere la possibilità di fare ciò che più mi aggrada.»
«Un passo falso e il filo sottile che ti tiene in vita si spezzerà definitivamente, lo sai.»
«È per questo che viviamo dentro questo posto? Così, nel caso che il freddo abbraccio della morte mi strappi la mia ipotetica anima, avrai sempre una parte di me al tuo fianco? Nel caso, sei più sentimentale di quanto immaginassi.» lei è l'unico essere al mondo capace di tenergli testa a quel modo, l'unica che si può rivolgere a lui con quel tono strafottente, l'unica che può prenderlo apertamente in giro senza dover temere alcuna ripercussione. Dire che ne approfitta è un eufemismo.
«Smettila di dire stronzate, Strega.» le ringhia contro l'uomo, senza suscitare in lei alcuna reazione negativa come sperava. Anzi, la donna gli sorride, rigirandosi tra le dita affusolate il calice ancora pieno, osservandone il contenuto con sguardo rapito.
«Il tuo ospite non mi sembra tipo di molte parole.» afferma dopo qualche istante, facendo saettare gli occhi chiari sull'uomo seduto a capo tavola, completamente dissanguato.
Sorride divertita, portandosi il calice alle labbra e gustandosi quel liquido ormai freddo fino all'ultimo «Mhhh... trentacinque anni: annata perfetta.»
«Sapevo che sarebbe stato di tuo gradimento.» ammette con tono più tranquillo l'uomo, avvicinandosi a grandi falcate al cadavere accasciato in parte sul tavolo «Ne vuoi un pezzo?»
«Volentieri.» risponde sorridendo la donna, mettendosi un tovagliolo sulle gambe.
L'uomo, in un gesto completamente naturale, strappa di netto un braccio alla vittima e lo poggia su un vassoio d'oro bianco, che poi poggia con grazia di fronte alla donna.
La osserva per un breve istante, vedendo quanto i suoi capelli chiari siano sfibrati, quanto la pelle sia sciupata. Attorno agli occhi chiari ha delle profonde occhiaie violacee, le labbra sono screpolate e, anche se ben celato sotto alla veste larga, si accorge che è notevolmente dimagrita.
«Questo dovrebbe darti un po' di forza.»
«La mia forza tornerà solo quando me la porterai.» controbatte prontamente la donna, tagliando con educazione un pezzo di carne dall'arto e portandoselo alle labbra, masticando voracemente «Con la sua energia vitale tornerò al mio antico splendore.»
«Ci stiamo lavorando.» la informa distrattamente, andando verso la finestra per controllare il circondario come è abituato a fare da sempre.
«Dovevi farla prendere con la forza e trascinarla qui come mi avevi promesso.»
«Mi è stato fatto notare che sarebbe controproducente.»
«Cazzate.» sibila innervosita la donna, guardandolo truce «Ne ho bisogno, lo sai.»
Detto questo semplicemente si alza dalla sedia, facendola stridere sul pavimento, e si dirige con passo malfermo verso la porta.
«Dove vai?» le domanda prontamente l'uomo, guardandola con attenzione.
«Sulla scogliera.» risponde piccata, ritrovandosi, suo malgrado, faccia a faccia con una persona a lei incredibilmente sgradita.
«Vuoi suicidarti?» le domanda la ragazza, sorridendole in modo arrogante.
«Freya, mia cara, non mi aspettavo di vederti tornare così presto.» afferma sarcastica, sorridendole con aria di superiorità. Non l'ha mai sopportata, come tutti praticamente, ma non è mai arrivata ad uno scontro diretto. Le bastano due frecciatine per zittirla generalmente, quindi se lo fa bastare. Il suo Signore non gradirebbe, in fondo.
«Uccidere un paio di Draghi Celesti è una bazzecola. Le loro difese non sono alla nostra altezza.» risponde con aria annoiata la ragazza, scostandosi una ciocca di morbidi capelli biondi dietro l'orecchio.
«In ogni caso avete fatto un ottimo lavoro.» afferma sorridendo al ragazzo alle sue spalle, facendolo arrossire.
«Troppo gentile, Regina mia.» afferma questi chinando un poco la testa. Lui, al contrario di molti altri, si trova incredibilmente bene con Freya e nutre un profondissimo rispetto per la Regina, che ora gli accarezza delicatamente uno zigomo con fare materno.
«Vi consiglio di dare un assaggino al nostro ospite: lo troverete delizioso.» afferma la Regina indicando con una mano il cadavere smembrato, per poi riprendere il suo cammino con aria pacata «Con il vostro permesso adesso vado. C'è una magnifica Luna questa notte e mi dispiacerebbe molto perdermela.»
«Genma, accompagnala.» ordina l'uomo, facendo scattare sull'attenti il ragazzo.
Prima che possa correrle dietro però, Freya lo blocca per un braccio, facendogli un sorriso tirato «Te ne lascio un pezzo.»
La bionda va a sedersi accanto al morto, cominciando a tagliare pezzi di carne direttamente dal suo avambraccio. Un sorriso allegro le increspa le labbra dipinte di rosso per la fierezza che prova dopo la loro vittoria schiacciante. Allunga lo sguardo sull'uomo fermo davanti alla finestra e non riesce a trattenersi dal distrarlo dai suoi pensieri «Allora, cugino, come procede?»
L'uomo, come era prevedibile, non le risponde nemmeno, continuando a fissare fuori. Sa che i cacciatori si stanno mobilitando in massa, troppo stupidi per riuscire a distinguere una causa persa anche quando ce l'hanno davanti, e la cosa lo urta oltre ogni limite.
Se non si trattasse di una sua consanguinea le avrebbe già tagliato la testa per quanto la trova fastidiosa, ma si astine. In passato promise di non farle del male senza una più che meritata ragione, e lui non è tipo da rimangiarsi la parola.
«Hai qualche nuova missione per noi?» tenta di nuovo Freya, facendolo finalmente voltare. Un brivido di paura le corre lungo la spina dorsale di fronte al suo sguardo gelido. È consapevole di cosa sia capace di fare se gli prendono i cinque minuti di follia omicida e ogni volta che si trova da sola insieme a lui non riesce a non provare una più che giustificata paura. Specie se da due mesi ormai è perennemente incazzato come una belva.
«Si.» risponde secco, tornando a sedersi scompostamente al suo posto e versandosi un altro calice di dolce linfa vitale «Voglio che raggiungiate il trio e che li aiutiate a fare pulizia. Scegliete due strateghi e portateli con voi.»
La ragazza annuisce con vigore, alzandosi di scatto e dirigendosi verso la porta, fermandosi nel momento esatto in cui sente di nuovo la sua voce, roca e profonda, incantevole.
«Voglio il loro sangue... fino all'ultima goccia.»


*Il nome del nostro caro antagonista verrà rivelato più avanti, non temete. Non lo dico per il semplice fatto che è troppo legato ad una determinata creatura (no, non è Dracula! XD) e per farlo rimanere avvolto nel mistero non lo dico! :D
Anche questa volta se avete delle teorie (un po' su tutto) sarei ben lieta di sentirle :D È giusto per vedere se sto riuscendo nel mio intento di mantenere le cose nell'ombra come vorrei... non vi dirò né se avete ragione né se avete torto, comunque! ;D

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Capitolo 16
*** 16. Quante cose possono cambiare in tre settimane... ***


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Il Sole sta pigramente sparendo dietro l'orizzonte per far posto alla sera.
Durante quella tranquilla giornata, in cui hanno dovuto subire un caldo torrido e a dir poco insopportabile, si sono resi conto di una cosa che li ha a dir poco sconcertati: la loro Kenbun-shoku no Haki non funziona con Akemi.
Infatti la ragazza pare essere magicamente sparita durante la notte, riuscendo ad eludere pure quel piccolo ma potente trucco.
Barbabianca, frustrato per tutta quell'assurda situazione, si alza dal suo seggio sotto lo sguardo attento dei suoi figli e si dirige verso la propria stanza, non prima però di aver dato l'ordine di portarla da lui non appena la troveranno.
È da quella mattina in fondo che vuole parlarle, che vuole chiarire meglio l'increscioso incidente del giorno prima, che vuole sapere perché abbia compiuto un gesto simile. Perché sa che quella che ieri si era presentata a lui non era sua figlia, che non era lei a parlargli. Lei non avrebbe ceduto così facilmente, non si sarebbe mai mostrata così arrogante ed irrispettosa.
'Cosa ti sta succedendo, figlia mia?' non fa altro che domandarselo dal giorno prima, non riuscendo a trovare una risposta. Questo forse è quello che gli dà più fastidio: non sapere come aiutarla.
Entra nella stanza con aria stanca e subito si siede sul letto, tenendosi la testa tra le grandi mani, sobbalzando appena quando sente un lieve tonfo davanti a sé.
Alzando gli occhi, sente il cuore fargli una capriola nel petto.
«Akemi...» mormora incredulo, alzando un secondo gli occhi verso il soffitto, notando dei piccoli fori nel legno lasciati dai suoi artigli.
'Si era appesa lassù?'
«Babbo...» piagnucola Akemi, crollando in ginocchio e scoppiando a piangere «Scusami!»
Quando all'alba aveva ripreso i sensi si era ritrovata a doversi sfilare i paletti dalla mano e dai piedi, sopportando in silenzio un dolore lancinante. Era rimasta per almeno un'ora nella stiva ad aspettare che le ferite fossero perfettamente rimarginate, poi ha cancellato le tracce come le aveva suggerito Týr ed infine è stata tutto il giorno nascosta nell'ombra, alla larga da tutti, a leccarsi le ferite.
Ha pensato tanto, soffrendo immensamente, allontanando pure l'eccentrico uomo che l'aveva intrappolata con l'inganno, arrivando poi ad una conclusione dolorosa che adesso deve dire assolutamente al padre.
«Non ti saresti mai dovuta permettere di colpire una nostra alleata.» afferma con tono duro Barbabianca, trattenendosi con tutte le sue forze dall'andare a consolarla. Tutta la sua rabbia è sparita non appena si è accasciata al suolo, lasciandolo in balia di una forte angoscia.
Perché per quanto sia strana, incomprensibile e indisciplinata, rimane pur sempre la sua trovatella. Sua figlia.
«Non so cosa mi sia successo... è diventato tutto nero. Io non sapevo più niente, non vedevo più niente... era come se fossi addormentata... ma quando ho aperto gli occhi, nessuno mi sorrideva per rassicurarmi.» mormora la ragazza, stringendosi le braccia attorno all'addome mentre prova a non tremare come una foglia «Sono un mostro...»
«Akemi-»
«Non dire di no! Io sono un mostro! Mi hanno abbandonata per questo! Sono pericolosa! Non hai idea di cosa ho dovuto fare per controllarmi! NON LO SAI!» sbotta tutto in un colpo, preda della rabbia che prova nei confronti del mondo e dalla delusione nei propri confronti.
«Abbassa il tono.» ringhia accigliato l'Imperatore, notando come la sua espressione cambi da un secondo all'altro: se prima leggeva nei suoi occhi una furia animalesca, ora vede solo tanto sgomento e smarrimento.
«Sta succedendo di nuovo...» si porta le mani alla testa, Akemi, rannicchiandosi sempre più su sé stessa «Io mi arrabbio, la vista si appanna...» alza un poco lo sguardo sul padre, guardandolo con espressione supplichevole «Non posso andare avanti così, babbo. Non posso...»
«Se stai provando a chiedermi ciò che penso, sappi che non ti accontenterò mai.» in realtà è tentatissimo dal tirarle un sonoro schiaffo in faccia, tanto forte da appiccicarla al muro come un poster, ma si trattiene. Non servirebbe certo ad aiutarla in quel momento, visto che gli ha implicitamente chiesto di ucciderla o, nella migliore delle ipotesi, di abbandonarla.
«Io ci sto provando... te lo giuro! Giuro che mi sto impegnando ad essere normale, a comportarmi come tutti gli altri. Ma non ci riesco! Sento sempre il forte impulso di attaccare, la voglia di fare male... la voglia di sangue. Non voglio rischiare di fare male a qualcun altro...» le fa male dovergli rivelare cose simili, doversi mettere così a nudo, ma non ha altra scelta. C'è in ballo la sua famiglia, le persone a cui vuole bene e per cui sarebbe disposta a morire in maniera definitiva.
«Non lo farai.» afferma convinto l'Imperatore, guardandola con fermezza.
«Si invece!»
«No.» si alza dal sul letto e si abbassa al suo livello, poggiandole una mano sulla spalla, perdendosi nei suoi tristi occhi di ghiaccio «Tu cerchi risposte, no? Bene. Ti concedo un periodo per trovarle.»
«Cosa...?» mormora Akemi sempre più smarrita, mentre dentro di lei si accende una fioca luce di speranza.
«Nella nave sono custodite delle piccole imbarcazioni con motore e pale motrici, chiamate dai membri della ciurma “Mini Moby”. Ne prenderai una e per al massimo di tre settimane potrai andare in cerca di risposte.» era questo che voleva dirle da quella mattina, la scelta più dura della sua vita. In realtà non la sta allontanando solo per cercare delle risposte, ma proprio per trovare sé stessa e riuscire in qualche modo a calmare la tempesta che ha nel cuore.
«Ma-»
«Visto che sei così pericolosa come dici, non avrai problemi. O sbaglio?» le sorride con strafottenza, passandole una mano tra i capelli.
Estrae subito dopo un biglietto stropicciato dai pantaloni con su scritto il numero del loro lumacofono e glielo porge «Quando sarai pronta ci chiamerai e ti daremo le nostre coordinate.»
«Grazie babbo...» mormora Akemi, incredula. Non ha capito a fondo il perché della sua decisione, ma gliene è comunque grata.
«Vai a fare i dovuti saluti e prepara la tua roba, io darò l'ordine di prepararti la barca. Parti tra mezz'ora.» le ordina con tono fermo, alzandosi e mettendosi a letto senza guardarla. Gli è costato molto solo dirgli una cosa simile, vederla andare via sarebbe troppo.
Akemi esce con passo incerto dalla stanza del genitore e si dirige, rimanendo sempre nell'ombra, verso la sua cabina.
'Non vuole che stia qui... non finché non riuscirò a calmarmi. Probabilmente è disgustato da quello che sono diventata, dalla mia violenza...'
Mette dei vestiti a caso in una grossa sacca, aggiungendoci anche le bottigliette ben nascoste sotto al letto e altre cose con cui potrà passare il tempo.
'Non ti deluderò un'altra volta babbo... te lo prometto sul mio stesso sangue!'

Sul ponte i vari comandanti se ne stanno affacciati al parapetto, incuriositi dal fatto che la loro imponente nave sia stata affiancata da una di quelle in miniatura. Non succede mai infatti che vengano tirate fuori, a meno che qualcuno non debba occuparsi di una qualche faccenda abbastanza importante.
«Perché avete tirato fuori una Mini Moby?» domanda con curiosità Marco all'uomo appena rimontato sulla nave. Uno dei suoi sottoposti tra l'altro, che ora lo guarda con un certo imbarazzo.
'È su questa nave da mesi e ancora si comporta così... ahhh, i novellini.'
«Ordini del babbo.» risponde quello, dileguandosi velocemente, lasciando così i vari comandanti alla loro più che giustificata curiosità.
Si mettono subito a discuterne tra di loro, a domandarsi chi è il folle che vuole lasciare la nave madre per andare in contro così al triplo dei problemi che può incontrare con loro, non riuscendo ad arrivare a nessuna conclusione.
«Ehi...» li richiama debolmente Akemi, appena giunta sul ponte. Le mancano cinque minuti prima di dover salpare come le è stato ordinato e di colpo tutta la sua determinazione pare svanita, sostituita da una forte malinconia. Non è mai stata senza di loro e l'idea di dover affrontare delle settimane in completa solitudine un po' la spaventa, oltre che rattristarla.
«Eccoti, finalmente!» Satch le va in contro con un ampio sorriso, aprendo le braccia pronto a stringerla. Subito dopo probabilmente le tirerà un pugno su quella bella testolina vuota che si ritrova, ma questo è un altro paio di maniche.
«Perché quella sacca?» domanda dopo qualche istante, notando finalmente quell'insolito dettaglio, mentre l'idea che sia lei la pazza che prenderà da sola il mare lo assale.
«Babbo non vi ha detto niente?» domanda con voce piatta Akemi, guardandoli uno per uno. Nei loro sguardi riesce ancora a leggere una punta di circospezione e la consapevolezza di aver perso parte della loro fiducia la butta completamente a terra.
«Starò via qualche settimana per... questioni personali.» continua poco dopo, prendendo la sacca ed issandosela in spalla
«Stai scherzando.» afferma sicuro il quarto comandante sorridendole allegramente. Il suo sorriso sparisce in pochi istanti però, lasciando spazio alla rabbia e ad un forte impulso omicida nei suoi confronti.
«Stai scherzando, vero?» ringhia a denti stretti, avvicinandola a grandi falcate fino a ritrovarsi faccia a faccia.
«Ho la faccia di una che sta scherzando?» risponde con tono piatto Akemi, nascondendo così il turbinio di emozioni che vorrebbe farla scoppiare a piangere tra le braccia forti e protettive dell'adorato fratello.
«Akemi, dannazione, è pericoloso là fuori. Tu non sai com'è il mondo esterno!» le urla contraddetto, sbracciando per dare enfasi alle proprie parole.
Akemi continua semplicemente a guadarlo dritto negli occhi, per poi abbracciarlo di slancio, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo.
«Per questo voglio farlo.» mormora stringendolo forte, sentendo il suo cuore che batte forte quanto il suo «Tranquillo fratellone: andrà tutto bene. Ricordi la promessa che ti feci? Io diventerò la più grande piratessa di tutti i mari... se non imparo a stare al mondo, come faccio?»
Satch, ormai consapevole di non essere in grado di far cambiare idea né alla ragazza né tanto meno al capitano, stringe le braccia attorno al corpo forte e snello della sorellina, decidendo che per una volta può anche lasciarsi andare ai sentimentalismi «Mi mancherai... tanto.»
«Anche tu...» si separa a malincuore da quella stretta calda e rassicurante, spostando lo sguardo sugli altri comandanti che, ovviamente, hanno ascoltato con attenzione tutta la conversazione.
«Vedi di non compiere imprudenze. Al primo segno di pericolo torni indietro, ok?» afferma con tono deciso Ace, puntandole un dito contro in segno di avvertimento.
Akemi si lascia andare ad un sorriso dolce, stringendolo come aveva fatto con Satch.
«Ti voglio bene, Ace.» mormora al suo orecchio, sentendo un'insopportabile fitta al cuore quando le braccia del pirata la stringono con più forza, come se volessero impedirle di andarsene.
«Anche io, screanzata che non sei altro.» risponde con un filo di voce Pugno di Fuoco, decidendo di mollare la presa per dare la possibilità ai fratelli di poterla salutare a loro volta.
Akemi incrocia finalmente gli occhi chiari di Halta, leggendoci dentro un profondo dolore dovuto alla loro momentanea separazione.
«Ehi...» le prende delicatamente una mano, sorridendole nel modo più dolce che può, senza però riuscir a far sciogliere la piratessa.
«Ti sto odiando. Sul serio.» afferma con il visetto imbronciato Halta, distogliendo finalmente lo sguardo dal suo.
Akemi le sorride di nuovo, stringendola con forza a sé e lasciandole un vaporoso bacio tra i capelli castani.
«Vedi di non mandare a puttane tutti i miei sforzi.» mormora poi al suo orecchio, riuscendo a far mutare l'espressione dell'amica da seccata ad incuriosita.
«Mh?»
Akemi semplicemente le fa l'occhiolino, sorridendole con aria furbetta, per poi piazzarsi di fronte al burbero terzo comandante, tenendo le braccia incrociate al petto e guardandolo con aria scherzosa.
«Tu sei troppo duro per salutarmi?» gli domanda sorridendogli, rimanendo completamente spiazzata quando l'imponente uomo sbuffa sonoramente e la stringe a sé con un solo braccio, dimostrandole così, per la prima volta, di essere affezionato a lei come lo sono gli altri. Gli stringe le braccia attorno alla vita più che può, sorridendo felice «Mi mancherai, Jaws.»
L'uomo risponde con una specie di grugnito, staccandosela di dosso e spingendola tra le braccia di Rakuyo che, dopo averla abbracciata, le urla dritto nell'orecchio «Spacca tutto, sorellina!»
A turno la salutano tutti, tra abbracci e raccomandazioni. Tutti, eccetto uno.
Marco la guarda in disparte, con le braccia incrociate al petto e un'espressione infastidita in volto. Questo fastidio non è dovuto al fatto che ha picchiato Bay per gelosia, durante la notte ci ha riflettuto e si è sentito stranamente lusingato, arrivando pure a spiaccicarsi una mano sulla fronte e a darsi da solo del bamboccio. No. Il malessere è dovuto non solo al fatto che sta per prendere e andare da sola per mare, come una perfetta imbecille, ma soprattutto per il fatto che in tutto quel tempo in cui ha abbracciato tutti, si è lasciata stringere, baciare e sussurrare cazzate all'orecchio, lui non lo ha degnato neanche di uno sguardo!
Quando poi ha finito con tutti loro ed è semplicemente saltata giù dalla nave, atterrando con precisione sul ponte della piccola imbarcazioni, quel fastidio si è trasformato in rabbia pura.
'Piccola bastarda spocchiosa!' si allontana da tutti loro, dirigendosi verso la cabina del capitano per capire quale ragione ci sia dietro ad una scelta del genere.
Quando poi gli viene spiegato, sente per la prima volta l'impulso di picchiare pure lui, il suo adorato padre.
'Fanculo a tutti quanti!' si dirige verso la propria stanza, più che intenzionato a sbollire da solo tutta quella rabbia 'Ma è mai possibile che abbia preso una decisione simile senza dirci niente? Ma poi, neanche a tutti noi, quello alla fine non lo pretendo neanche, ma dirlo almeno al suo comandante! No! Si è tenuto tutto dentro per poi farcelo venire a dire da lei!
Io capisco che la cosa lo fa soffrire, e me ne dispiace da morire, ma doveva dircelo. Doveva avvertirci!
'
Mentre è intento a pensare a tutte quelle cose, ritrovandosi pure a ripensare a quel bacio maledetto, con la coda dell'occhio vede entrare di punto in bianco Pugno di Fuoco.
Prova ad ignorarlo, soprattutto per il fatto che ha notato la sua strana espressione che non preannuncia assolutamente niente di buono, ma nel momento esatto in cui l'altro si siede sul suo letto capisce che è tutto inutile.
Si trova così a guardarlo dritto nei suoi occhi vispi, infastidito come mai prima d'ora dal suo sorrisetto furbo.
«Per cosa avete litigato?» domanda a bruciapelo Ace, facendolo pietrificare di colpo.
«Cosa?» domanda fingendosi indifferente alla cosa, notando che però questo suo trucchetto di autodifesa non funziona minimamente.
«Non vi siete nemmeno salutati... per cosa avete litigato?» insite il minore, giocherellando distrattamente col cappello da cowboy «Perché ha tirato un pugno a Bay?» prova subito dopo, guardandolo dritto nei suoi occhi apatici.
«No. Diciamo mi sono comportato male con lei e se l'è presa.» risponde atono la Fenice, guardandolo con una fastidiosa sensazione che gli monta nel petto di fronte alla sua espressione divertita e vagamente maliziosa.
«E togliti quel sorriso idiota dalla faccia!» gli urla contro, sbuffando sonoramente quando il comandante scoppia in una fragorosa risata mentre si allontana.
Si sistema i cuscini dietro la testa, puntando lo sguardo sul cielo sempre più scuro che vede dall'oblò, con l'evidente intento di evitare altri discorsi o probabili frecciatine da parte del fratello.
Ace, con un sorriso rassegnato, esce semplicemente dalla sua stanza, dirigendosi verso la sala mensa con un unico pensiero a frullargli per la testa.
'Sono due completi imbecilli.'

La notte non è mai stata così terrificante per Akemi.
Guarda la distesa d'acqua calma che si stende di fronte a sé avvolta nell'oscurità, la guardia alta e i nervi a fior di pelle.
Tutto quel silenzio per lei è semplicemente anormale e mostruoso. È abituata alla presenza rumorosa dei suoi fratelli, a passare buona parte delle sue notti nelle loro stanze a chiacchierare di sciocchezze, ai loro odori familiari che le scaldano il cuore. È abituata a dare la buona notte a sua padre, a sorridergli prima di vederlo sparire nella sua stanza. Ma tutto questo adesso non c'è più.
Sospira rassegnata, rannicchiandosi su sé stessa con le ginocchia strette al petto e un lieve gracchiare le fa alzare gli occhi al cielo stellato, dove leggiadro vola il corvo nero che l'accompagna ormai da tempo.
Si poggia in tutta tranquillità sul ponte della piccola imbarcazione e li comincia a zampettare in giro, come se stesse prendendo nota di ciò che lo circonda per poterlo riferire.
«Ehi...» mormora dolcemente, allungando una mano nella sua direzione. In fondo è sola e la compagnia di un corvo è sempre meglio di niente.
L'animale la guarda con sospetto per qualche istante, memore dei vari tentati omicidi che ha subito da parte sua, ma alla fine decide di fidarsi e vola fino a potersi appoggiare sul suo polso, delicato e regale.
Akemi passa con delicatezza le dita sul petto piumato del magnifico esemplare, sorridendogli grata.
Di colpo poi le viene in mente che lei, in realtà, non è mai sola, e decide così di sfruttare la presenza dell'arrogante coinquilino per passare il tempo e superare quella prima notte di solitudine.
«Ehi, schizzato, mi tieni compagnia?» domanda con voce dolce, sorridendo quando l'animale si poggia sulla sua spalla per poter recuperare le energie, vigilando insieme a lei sul circondario.
«Prova a chiamarmi schizzato un'altra volta e ti stacco la testa dal collo non appena ti addormenti.» risponde piccato Týr, facendola ridacchiare appena.
I loro momenti insieme non sono mai dei migliori, ne è pienamente consapevole, ma in quel momento non riesce a non essergli grata per avergli risposto.
Si passa una mano tra i capelli scompigliati, dispiaciuta di non poterlo vedere in viso, di non poterlo avere vicino e provare quell'insolito calore che sente provenire dalla sua pelle gelida. Perché tutto sommato, anche se non lo ammetterà mai con nessuno, Halta inclusa, si è affezionata a lui e la sua compagnia, per quanto stressante e assai bizzarra, comincia a diventare quasi indispensabile per lei.
«Cosa devo aspettarmi?» gli domanda con tono tranquillo, sperando che almeno per una volta sia completamente chiaro. Sa però che non lo sarà, non è nella sua natura dire le cose chiaro e tondo, ma è arrivata ad abituarsi pure a questo, trovandolo di tanto in tanto pure divertente.
«Mah... gente che ti vuole ammazzare, rapire... quei soldati imbecilli che pensano di poterti rinchiudere! Solite cose, via.» risponde vago l'uomo, esattamente come Akemi si aspettava.
«E come posso ottenere quello che voglio?» domanda con più decisione, consapevole che stavolta non risponderà onestamente. C'è sempre qualcosa che non vuole dirle, lo sa, ma sa anche che non può costringerlo. È stato capace di abbandonarla a sé stessa per due settimane e per una sciocchezza. Metterlo alle strette e provare a costringerlo lo farebbe scappare e basta.
«Non penso che tu possa. O, almeno, io non so come fartelo trovare.»
Se lo aspettava. Perché è consapevole che lui sa molto più di quanto non voglia dare a vedere, ormai capace di leggere abbastanza tra le sue righe. Il problema nasce che in quel sotto testo ci sono troppe frasi confuse e sbiadite, tanto da renderla, ai suoi occhi, la lettura più affascinante del creato.
«Dovrai affinare le tue tecniche di combattimento. Credimi, ti serviranno.» l'avverte con tono indifferente, facendola sbuffare abbattuta.
«Quanto potrò mai migliorare in tre settimane?» domanda sconsolata, ritrovando il sorriso quando il corvo appollaiato sulla sua spalla le tira i capelli per attirarne l'attenzione e reclamare qualche carezza, come da troppo tempo è abituato a fare.
«Guarda i progressi che hai fatto in meno di due mesi.» le risponde pacato Týr, accendendo in lei una lieve speranza «Tu impari più velocemente delle persone normali e lo sai. Certo, rimani comunque una deficiente di prima categoria, ma in un certo senso sei migliore degli altri.»
«Un essere che è venuto al mondo per stroncare vite può essere migliore delle persone civili?» domanda con sarcasmo la ragazza, non sorprendendosi della risata assai divertita dell'uomo.
«Ovviamente.» afferma infatti quello, non appena riesce a calmarsi «Tu segui i miei consigli, non te ne pentirai.»
«Dici?» è combattuta, Akemi: da una parte vuole fidarsi di lui, sente di poterlo fare ad occhi chiusi, ma dall'altra parte ha troppa paura pure di sé stessa. Non potrebbe sopportare che accadesse qualcosa anche a lui per colpa sua. Perché è vero che tra loro non scorre proprio buon sangue, ma si è resa conto, dopo attenta riflessione, che la sua vita non sarebbe la stessa senza di lui e che ha bisogno della sua saggezza, mista a quella follia e a quei discorsi enigmatici. Ha bisogno di vederlo mentre le sorride con arroganza, delle sue frecciatine, delle sue movenze strane. Ha semplicemente bisogno di lui.
«Senza quella gente intorno posso provare a farti controllare la tua rabbia, ad incatenarla nel profondo del tuo cuore e lì farla rimanere il più a lungo possibile.» afferma con più allegria Týr, lieto di sapere che tra loro due si sta formando un legame così nuovo per lui... così umano.
Una parte di lui, in fondo, ma molto in fondo, vorrebbe potersi materializzare di fronte a lei per infonderle un po' della sua forza, del suo coraggio, un po' della sua follia capace di spiazzare i nemici. Ma sa che non può farlo, quindi si limita solo a starle vicino in questo modo, a confortarla a parole e proverà -e non sarà semplice per lui, proprio no- ad essere gentile quando tornerà nella sua dimensione, magari mostrandole ricordi felici. Con la vita che ha trascorso, in fondo, ha solo l'imbarazzo della scelta.
«Sono tutta tua!» esclama con un sorriso Akemi, poggiandosi delicatamente il corvo addormentato sulle gambe e coccolandolo delicatamente sulla testa, sorprendendosi di quanto quel piumaggio sia morbido e liscio.
«Dai retta a me, ragazzina: ti sistemo io.»
*Tre settimane dopo*

Quando, il primo giorno, gli uomini dell'equipaggio si sono svegliati e si sono resi conto della mancanza dell'eccentrica sorellina, hanno tirato tutti un sospiro di sollievo. Avevano bisogno di una pausa dalla sua follia, dai suoi colpi di testa. Inoltre alcuni erano ancora della convinzione che fosse posseduta, quindi un po' di tempo per tranquillizzarsi gli ci voleva proprio.
Ma con il passare dei giorni le cose sono cambiate in modo sorprendente.
Barbabianca, primo tra tutti, passava le sue giornate a leggere i suoi libri, a riguardare i suoi disegni di quando era piccola, a ripensare ai tanti momenti di dolcezza che hanno passato insieme, alle poche volte in cui la piccola Akemi si rifugiava nella sua cabina per dormire, rinunciandovi a causa del suo forte russare. Le manca la sua bambina... anzi, no! Le manca la sua giovane donna, quella dal fascino assassino, quella senza regole e senza paure, quella che non si fa problemi a mettersi in prima linea per la sicurezza dei suoi cari, quella che si è fatta massacrare e per poco muore dissanguata per lui. Le manca la sua Akemi, quella matta che tanto lo fa sentire di nuovo giovane ed invincibile, quella che gli fa sentire ogni giorno di aver fatto la scelta più giusta della sua vita. Gli manca, fine.
Ma lui, quanto meno, si dà un contegno, mentre buona parte degli altri sono arrivati a cercare un qualcosa di lei in qualsiasi cosa.
Vista gioca spesso a carte con i novellini, sperando ogni singola volta di vederli dare in escandescenze o scoppiare in una fragorosa risata quando perdono, ma nessuno di loro riesce a farlo ridere come faceva lei. Perché lei aveva quel modo di fare diverso dagli altri, in quanto completamente diversa da chiunque. Gli manca quando a cena gli sfilava il cilindro dalla testa e faceva la sua imitazione mettendosi i lunghi capelli sopra al labbro per copiargli i baffi.
Ad Izo mancano incredibilmente le loro chiacchiere notturne, momenti nei quali gli ha fatto aprire gli occhi. Perché prima del suo arrivo, prima della sua follia travolgente, prima delle loro nottate passate a mangiare biscotti e parlare, non si era mai reso conto che Halta è una ragazza davvero carina. L'ha elogiata così tanto, parlando del suo coraggio, della sua celata dolcezza, dei suoi sorrisini da bimba, che non è riuscito a non badarci. Da quel momento, poi, anche per lui la situazione è cambiata parecchio. Non vede più una semplice compagna di ciurma, no: vede una giovane donna, combattiva e fiera, dal viso da bambina e il sorriso sempre sulle labbra, piccola e affettuosa... piccola e carina. 'Sorellina, ti prego torna presto! Ho bisogno di una nostra consulenza notturna!'
Satch passa buona parte del suo tempo nei pressi del piccolo lumacofono bianco in attesa di ricevere la tanto agognata chiamata dalla sorellina. Gli manca da impazzire, forse quanto al babbo.
Gli manca vederla frugare tra le sue cose per alla ricerca di Dio solo sa cosa.
Gli manca quando, nel cuore della notte, arrivava di soppiatto nella sua stanza e si accoccolava contro la sua schiena per dormire.
Gli manca tutto di lei: il suo caos, la sua imprevidibilità, i suoi attacchi improvvisi di coccole, i suoi abbracci soffocanti, i suoi assalti alle spalle per farsi portare a cavalluccio.
Halta, per darsi un contegno e non passare come una donnetta piagnucolona, continua imperterrita a svolgere i suoi compiti, osservando senza farsi vedere l'orizzonte, in attesa di vederla tornare con il suo radioso sorriso sulle labbra. Sa già cosa farà quando accadrà: l'abbraccerà con tutte le sue forze, aspetterà che saluti gli altri e poi la trascinerà nella sua cabina per dirle le ultime notizie. Tipo che Izo le si è avvicinato, un paio di sere prima e le ha detto che, se ne avesse avuto voglia, non appena sbarcheranno potrebbero andare a bere qualcosa insieme.
Sa bene Halta che sotto c'è lo zampino di Akemi e che è stata lei, in qualche modo, a fargli aprire gli occhi, e non potrebbe esserne più felice. Allo stesso tempo, però, ne è oltremodo furiosa: lei, Halta, la comandante della dodicesima flotta, che si comporta come una normale ragazzina alle prese con una cotta e che rivela subito i vari dettagli all'amica del cuore.
'La sua capacità di cambiare le persone è disarmante!'
Ace, quello più tranquillo di tutti, semplicemente si trova spesso a riportare alla memoria i loro momenti passati insieme: da quando l'ha presa in braccio la prima volta, a quando le ha insegnato a sparare, fino alla loro notte di fuoco in quella ormai lontana stanza d'albergo. Le manca la sua vivacità, in realtà. Gli manca fare gli scherzi a destra e a manca con lei, vedere gli altri andare in bestia e poi risolvere tutto con una bevuta in gruppo.
Tutto sommato, lui sta bene. Gli manca, si, ma sta bene. Quello che ha patito di più la mancanza dell'eccentrica ragazza, è stato nientepopodimeno che il primo comandante Marco la Fenice!
All'inizio, come gli altri, sentiva semplicemente il vuoto da lei lasciato, la calma che era tornata a regnare fastidiosamente sull'imponente nave, ma poi, dopo circa cinque giorni, la cosa è degenerata, tanto da arrivare a togliergli il sonno. C'è anche una causa ben specifica per ciò e questa causa ha pure un nome: Portogas D. Ace!
Già, perché il secondo comandante ha avuto la brillante idea di esporre a tutti quanti un dubbio che a quanto pare lo assillava sin da quando la ragazza aveva preso il mare.
«E se incontrasse il Rosso?»
A quelle semplici parole tutti hanno cominciato a fare le più svariate supposizioni, da quella più improbabile che comprendeva un tentato omicidio, a quella assai più plausibile che si sarebbe imbarcata sulla sua nave, anche solo per una notte.
Dopo che Fossa, con il tatto di un bufalo, ha detto che sicuramente si sarebbe infilata nel suo letto ancor prima di essere riconosciuta, per Marco sono cominciati i problemi.
All'inizio era un semplice fastidio, accompagnato da una lieve rabbia che però mascherava alla perfezione e a cui riusciva pure a non dare troppo peso. Poi, però, la situazione è peggiorata a tal punto da rovinargli pure il sonno. Già, perché da fare sogni poco casti che lo vedono come protagonista attivo, è arrivato a diventare un osservatore passivo, incapace di distogliere lo sguardo dai fantasiosi amplessi tra la sua compagna e il rosso imperatore.
Se possibile, poi, andavano pure peggiorando, dal momento che sognava che Akemi entrava ufficialmente nella sua ciurma, che si faceva cancellare il tatuaggio col simbolo di Barbabianca dal braccio per sostituirlo con il Jolly Roger di Shanks. Li vedeva in atteggiamenti dolci, con scambi di baci a fior di labbra mentre si stringevano in un tenero abbraccio. Insomma, è stato semplicemente insopportabile per lui.
La gelosia che poi non riusciva a spiegarsi -e che non si spiega tutt'ora- lo ha divorato lentamente, tanto da ridurlo ad un fascio di nervi e a fargli desiderare con tutto sé stesso di vederla tornare prima del tempo con la coda tra le gambe.
Ma questo non è mai successo.
È stata via tre settimane belle piene e solo nel pomeriggio ha chiamato per sapere con esattezza le coordinate per raggiungerli, parlando tra l'altro con un tono scocciato che gli ha dato il definitivo colpo di grazia.

Passano lente le ore, il sole comincia a tramontare pigramente e i vari componenti della ciurma non stanno più nella pelle all'idea di rivedere la loro piccola e bizzarra sorella.
Se quando era partita la guardavano con un certo sospetto, pensando erroneamente che fosse posseduta da un qualche spirito maligno, adesso non vedono l'ora di riaverla tra loro, di dover affrontare qualche suo colpo di testa giornaliero o qualche suo assurdo capriccio. Perché lei non è solo loro compagna di ciurma o una sorella adottiva, no: lei rappresenta per ognuno di loro -o quasi- quel figlio che non hanno mai potuto avere a causa dello stile di vita che hanno scelto e che tanto amano.
Quelle piccole lotte quotidiane con la sua follia sono diventate la norma per loro e la mancanza che provano nei suoi confronti un poco li spiazza. E li spiazza ancor di più la paura che in quelle lunghe ed inesorabili ore possa esserle successo qualcosa di brutto.
Quando poi la vedono che avanza su quell'infinita distesa d'acqua cristallina e ondeggiante tirano un sospiro di sollievo, cominciando a far baccano per attirarne l'attenzione.
La Mini Moby avanza lenta verso la nave madre, sospinta dal lieve vento a suo favore e con i motori spenti, e Akemi continua in tutta tranquillità ad affilare una lunga nodachi seduta su di un barile.
Halta, presa dall'emozione, si butta in mare senza neanche pensarci e nuota con forza e velocità verso l'imbarcazione, sotto lo sguardo più che sorpreso dei fratelli.
«Va bene che le era mancata, ma questo mi pare eccessivo...» afferma un più che incerto Ace, guardando con attenzione la compagna che si avvicina sempre di più alla Mini Moby, ricevendo una gomitata nel fianco dal quarto comandante.
«Ma stai zitto, che se potevi nuotare ti lanciavi anche te!» lo rimbecca prontamente, ridacchiando raggiante.
«Tu perché non ti tuffi?» gli domanda poggiandosi con i gomiti al parapetto, consapevole che anche Satch sta morendo dalla voglia di riabbracciare la sua adorata sorella.
«Non voglio che si monti la testa.» risponde con indifferenza il comandante, incrociando le forti braccia al petto e sghignazzando allegro.
Halta, nel frattempo, è riuscita a raggiungere l'imbarcazione e, seppur con una certa difficoltà, è riuscita ad arrampicarcisi, trovandosi così di fronte ad una donna che le sembra sua sorella ma allo stesso tempo le pare un'estranea.
I lisci capelli corvini, il viso a cuore, gli occhi di ghiaccio e i lineamenti delicati le dicono che è lei, ma i muscoli più sviluppati e i vestiti che coprono tutto il suo corpo eccetto le braccia le fanno pensare per un attimo che sia un'impostora. La cosa che glielo fa pensare di più, in realtà, è il fatto che non si sia mossa di un millimetro, continuando in tutta tranquillità ad affilare la lama nera della sua nuova arma, presa chissà dove.
«Tu sei fuori di testa, lo sai?» afferma atona Akemi, senza nemmeno voltare lo sguardo sulla piratessa che si sta strizzando le maniche della maglia.
«Stronza, io mi tuffo per venirti in contro e tu mi tratti così. Fossi in te mi vergognerei!» controbatte realmente offesa la comandante, puntando di colpo lo sguardo sul ponte della nave.
«Come un verme, guarda...»
«Akemi?» la richiama con voce incerta, attirandone finalmente lo sguardo «Ma cosa hai combinato?»
«Non capisco a cosa ti riferisci.» risponde vaga la ragazza, riponendo l'arma nel fodero e guardandola come se veramente non sapesse a cosa si stia riferendo, malgrado sia oltremodo ovvio.
«Perché il pavimento è rosso e appiccicoso?» le domanda con tono schifato Halta, tornando a guardarla con aria incerta.
«Non mi ero accorta che fosse rosso e appiccicoso.»
«Su cosa sono in piedi?» prova a cambiare domanda, pur essendo già consapevole di quale sia la risposta. Zampetta da una parte all'altra per evitare di toccare quello schifo, fino a mettersi a sedere a sua volta su un barile di fronte all'amica.
«Se ti dicessi marmellata alla fragola?» prova Akemi, completamente indifferente alla cosa.
«Non ti crederei, per niente.»
«Lacrime di Dio.»
«Dimmi la verità!» sbotta Halta, pulendosi con uno straccio le suole delle scarpe.
Non che in vita sua non abbia mai camminato su del sangue, ma non avere neanche una minima idea di come possa essere finito ad imbrattare ogni centimetro quadrato del ponte di quella piccola imbarcazione un tempo completamente tirata a lucido un poco la disgusta.
«E va bene: ho incontrato qualche intoppo in questi giorni. Diciamo pure che volevano tagliarmi la testa, cosa che mi ha un po' innervosita... così li ho fatti a pezzi. Non avevo voglia di pulire però, così adesso stai camminando su quel poco che resta di quei pezzenti, sempre ammesso che i pezzi che ho disseminato per il mare non siano ancora stati mangiati.» risponde con nonchalance, osservandosi distrattamente gli artigli neri. Si rende conto solo in quel momento che quel movimento lo ha visto fare spesso e volentieri pure a Týr e la cosa la spiazza un poco.
'Possibile che passare tanto tempo a stretto contatto con lui mi abbia condizionata così tanto?'
Pensa anche che Týr, al contrario suo, ha delle unghie perfettamente chiare ed incredibilmente curate, e che anche nei momenti in cui sfodera gli artigli questi sono perfettamente chiari. Le sue sono più animalesche, ecco.
«Ogni volta che apri bocca mi preoccupi sempre di più.» afferma Halta guardandola con aria divertita, più che ansiosa di passare almeno un paio d'ore da sola con lei per raccontarle tutte le novità e per farsi a sua volta raccontare di quel breve ma intenso viaggio.
Akemi la guarda con aria truce, facendola vacillare per qualche istante, per poi abbandonarsi ad un luminoso sorriso «Mi sei mancata!»
Halta le sorride a sua volta, allungando semplicemente un braccio verso di lei e afferrando la sua mano «Anche tu, sorellina.»
Non fanno di più, rimanendo a guardarsi dritto negli occhi per trasmettersi tutto l'affetto che in quei giorni di distanza hanno maturato ancora di più, sorridendosi complici, finché, dopo neanche quindici minuti, raggiungono finalmente la Moby.
Un uomo salta agilmente sulla piccola imbarcazione per poterla riportare al suo posto, scivolando malamente su tutto lo schifo sparso un po' ovunque, scatenando una lieve risata nelle due piratesse, che subito dopo si arrampicano su una cima che è stata loro calata.
Solo una volta montata a bordo Akemi si apre il giacchetto di pelle senza maniche, rivelando a tutti quanti gli addominali pressoché scolpiti che è riuscita a sviluppare.
Tutti corrono a salutarla entusiasti, domandandole com'è andato il viaggio, se ha incontrato difficoltà, facendola sorridere.
Marco invece rimane al fianco del seggio del capitano, guardandola con attenzione. Nota i muscoli sviluppati, tanto da averle in parte tolto quell'aria incredibilmente femminile che aveva prima di partire, e nota pure dei nuovi disegni ad adornarle la pelle candida: sulle dita della mano destra nota dei piccoli disegni, mentre sulla clavicola destra , in parte nascosto sotto al giacchetto, intravede il disegno di un angelo piangente.
'Vuole proprio rovinarsi...' pensa scuotendo un poco la testa, non riuscendo però a non pensare che, tatuata o meno, muscolosa o no, l'idea di averla nel suo letto non lo schifa per niente.
Si sorprende di questo suo pensiero, scuotendo con forza la testa per cancellare quell'immagine poco casta dal cervello, rialzando gli occhi quando se la vede passare di fianco, diretta verso il capitano.
Si guardano per un breve istante negli occhi, freddi come solo loro due sanno essere, e Marco sente le budella attorcigliarsi. Per un attimo avrebbe realmente voluto abbracciarla, stringerla a sé e dirle che gli era mancata, ma non lo fa. La guarda e basta, ammirandone i movimenti in disparte, felice di vedere di nuovo il sorriso sulle labbra del genitore.
«Ehi, babbo!» cinguetta la ragazza, saltandogli al collo e stringendolo con forza «Mi sei mancato.»
«Anche tu, calamità ambulante che non sei altro.» le risponde bonario l'uomo, stringendola a sua volta.
«Hai trovato quello che cercavi?» le domanda subito dopo con voce speranzosa.
«Un buco nell'acqua... però è stato istruttivo.» risponde vagamente sconsolata Akemi «Una tizia mi ha pestato. Picchiava davvero duro...»
Barbabianca la guarda con la rabbia che gli cresce nel petto, ma prima che possa farle qualche domanda e scoprire di chi si tratti per cancellarla dalla faccia del pianeta, Akemi lo interrompe.
«Non ci pensare neanche, babbo. Quella tipa era strana... non ho mai visto nessuno muoversi in quel modo. Tieni conto che mi ha risparmiata e malgrado io abbia usato tutta la mia forza per stenderla, era ancora in perfetta forma.» si passa distrattamente le dita sulla piccola cicatrice che svetta sull'anca sinistra, ricordando il dolore che ha provato quando gli artigli neri della ragazza le hanno lacerato la carne «Questo è il simpatico regalino che mi ha lasciato prima di sparire nel niente.»
L'Imperatore si trattiene dallo sfoderare tutto il suo potere distruttivo, ingabbiando la rabbia in un angolino remoto del suo cuore impetuoso, limitandosi a sospirare. La guarda con sguardo incerto, leggendo nei suoi occhi chiari una nuova forza e determinazione.
«Sei riuscita nel tuo intento, almeno?» le domanda con tono duro, ricevendo in risposta un sorriso strafottente.
«Diciamo che sono in grado di controllarmi un po'...» afferma distrattamente la ragazza, caricandosi la sacca in spalla e dirigendosi sotto coperta «Scusa babbo, ma sono davvero a pezzi. Domani mattina giuro che ti racconto tutto!»
I due si guardano per un breve istante dritto negli occhi, per poi abbandonarsi ad un sorriso affettuoso.
«Ci conto!» esclama contento di riaverla a bordo, di nuovo al sicuro sotto la sua ala protettrice.
La ragazza s'incammina verso il sottocoperta, salutando con un sorriso felice i vari pirati e facendo un cenno ad Halta di raggiungerla. In fondo deve essere aggiornata su tutte le novità e vuole farlo assolutamente prima di andare a dormire.
Le erano mancati tantissimo, tutti quanti.
Le era mancato il sorriso contagioso di Ace, i suoi abbracci soffocanti e il suo calore.
Le era mancata la voce rassicurante di Satch, il suo profumo dolce e virile che più volte l'ha cullata.
Le erano mancate le battute stupide di Rakuyo, le pacche sulla schiena di Fossa.
Le era mancata da impazzire la sua migliore amica e i suoi sorrisi sinceri, i suoi racconti, e ora non riesce a non essere euforica per la notizia che Izo, il suo tenebroso compagno di consulenze notturne, le ha chiesto -più o meno- di uscire.
Le era mancato suo padre e i suoi abbracci, i suoi sguardi incerti di fronte alle sue risposte date a metà, i suoi sorrisi dolci e lo sguardo pieno di orgoglio.
Le era mancato Marco, il suo essere composto e glaciale, il suo osservarla senza dare nell'occhio. Durante quelle tre settimane, inoltre, è riuscita a sorvolare sulla questione del bacio e tutto il resto, troppo impegnata nella ricerca di risposte e a tener testa a qualsiasi nemico le si parasse davanti. Le piace sempre, ovviamente, anche troppo per i suoi gusti, ma è riuscita finalmente ad entrare nell'ottica che tra loro non ci sarà mai altro oltre al quel casto bacio.
«Per caso hai incontrato Shanks?» le domanda incuriosita Halta, passandole l'asciugamano.
«Purtroppo no.» risponde distrattamente la minore, legandosi i capelli in una coda disordinata, per poi dirigersi a grandi falcate verso il borsone lasciato in mezzo alla stanza.
Ci si inginocchia di fianco e comincia a frugarci dentro, riuscendo a trovare dopo qualche momento il piccolo pentacolo d'argento che aveva avvolto in un pezzo di stoffa rosso.
Lo lancia all'amica, che subito lo prende al volo. Lo guarda con incertezza, non riuscendo a capire il perché le abbia regalato una simile stramberia.
«Vorrei che tu lo portassi sempre al collo.» afferma abbassando la testa, passandosi le dita sulla sottile cicatrice poco sotto al ginocchio destro. Ricorda ancora bene il bruciore insopportabile che ha provato quando l'uomo a cui ha preso il ciondolo le ha scoccato quella strana freccia, tanto acuto da farle credere di avere degli spilli nel cervello. Subito dopo ha fatto una vera e propria carneficina, incapace di contenere la rabbia disumana che le aveva invaso ogni cellula del corpo.
La cosa bizzarra di tutta quella faccenda, in realtà, sta nel fatto che non riusciva ad attaccare direttamente chi indossava quello strano ciondolo, tanto da costringerla a cercare sistematicamente il modo di rompere la catenella da cui pendeva con qualsiasi mezzo.
«Perché?» le domanda Halta, rigirandosi l'oggetto tra le dita sottili.
Akemi rimane in silenzio per qualche istante, decidendo infine di rivelarle parte di quel segreto che è riuscita a svelare sulla sua natura.
«Perché non riesco a sopportarlo.» alza lo sguardo sull'amica, seria come non era mai stata con lei «Ti proteggerà dai mostri come me.»
«Non ti capisco...» mormora la comandante, sedendosi sul letto e lasciando che la ragazza che tolga l'oggetto di mano, tenendolo avvolto nel pezzo di stoffa.
Appoggia poi una delle punte sulla pelle, tracciando una linea dritta sull'avambraccio, facendovi rimanere il segno di una bruciatura.
«Perché non guarisce?» le domanda con una certa preoccupazione Halta, togliendole l'oggetto di mano con fare sbrigativo e riponendolo nella tasca dei pantaloni.
«Non ne ho idea. So solamente che mi urta molto averlo davanti agli occhi e riesce a farmi desistere dall'attaccare. Per questo voglio che lo tieni te: ti proteggerà.»
Si alza finalmente in piedi, Akemi, sfilandosi di dosso l'asciugamano e infilandosi con fare sbrigativo degli slip neri e una canottiera grigia, buttandosi subito dopo a peso morto sul letto.
«Ti dispiace se adesso dormo un po'? Se mi dovessi svegliare presto vengo da te, promesso.»
Halta le sorride dolcemente, carezzandole il braccio appena ferito prima di alzarsi da quel comodo letto che in più di un occasione hanno condiviso, dirigendosi verso la porta. Sicuramente il capitano le chiederà cosa si sono dette, quindi deve prepararsi mentalmente un discorso che non riveli troppi dettagli scomodi. Se poi Akemi vorrà parlargliene lo farà, ma lei di certo non tradirà la sua fiducia.

Tutti hanno cenato decisamente più tranquillamente ora che Akemi è tornata tra di loro, rimanendo però indifferenti alla sua assenza a cena. In fondo sapevano che era stanca e che sarebbe rimasta a dormire, quindi era inutile preoccuparsi. Inoltre il giorno dopo, a regola nel tardo pomeriggio, attraccheranno finalmente al porto di un'isola con la fama di essere una delle mete preferiti dai pirati del Nuovo Mondo che vogliono divertirsi sul serio, Namba.
Adesso Ace, Vista, Namiur e Satch si fanno una bella partita a carte, bevendo boccali su boccali di birra fresca, sotto gli sguardi attenti di Fossa, Curiel e Marco, più che pronti a sfottere il perdente fino a farlo frignare come un bambinetto. In realtà la vera sfida è tra Vista e Satch, visto che gli altri due sembrano avere una iella infinita al gioco.
Halta ed Izo stanno di vedetta, parlottando tra loro del più e del meno, senza l'imbarazzo che provavano i primi giorni dopo che il sedicesimo comandante le aveva chiesto quella specie di appuntamento. Di tanto in tanto abbassano gli occhi sui compagni, lasciandosi andare a delle forti risate quando sentono le colorite imprecazioni di Namiur o vedono delle piccole fiamme spuntare sulla schiena di un più che adirato Ace.
«Ma vaffanculo!» urla l'ottavo comandante dopo aver pescato l'ennesima carta sfortunata. In quel momento rimpiange amaramente l'assenza della sorellina, con la quale non rischierebbe mai di perdere considerata la sua sfiga.
Marco si lascia andare ad una lieve risata di fronte allo sguardo corrucciato dell'uomo pesce, decidendo infine di andarsene a letto.
«A domani, fratello!» lo saluta un più che allegro Satch, che ormai ha la vittoria in pugno.
Marco li saluta tutti quanti con un gesto vago della mano, camminando con passo lento, quasi strascicato, verso la propria stanza.
Quando però imbocca il lungo corridoio avvolto nell'ombra, sente l'improvviso desiderio di andare a parlare con il piccolo demone dormiente.
Stranamente si lascia guidare da questo malsano desiderio, pur avendo la consapevolezza che l'ultima volta che lo ha fatto la situazione gli si è rigirata contro. Non riesce a trattenersi però, arrivando addirittura ad affrettare il passo per raggiungere quella porta.
Rimane imbambolato per qualche minuto, finché non si decide a girare la maniglia ed entrare, pentendosene immediatamente.
Le coperte sono attorcigliate attorno ad una gamba e il resto del corpo è illuminato dalla debole luce lunare che entra dall'oblò, mettendone in risalto le forme che mandano incredibilmente in tilt il freddo comandante.
Guarda le gambe lunghe e toniche, notando il disegno di una pantera nera che si arrampica sopra la coscia sinistra, arrivando poi al sedere mal celato da un paio di slip neri; sale lentamente sulla schiena flessuosa, sulla vita sottile, sul collo pallido e delicato.
Vorrebbe toccarla, mordere quella pelle diafana, ma non fa in tempo ad allungare una mano che gli occhi della ragazza si aprono di scatto e la sua mano scatta fulminea a bloccare il polso del comandante.
«Questa scena mi ricorda qualcosa.» afferma sorridendogli con aria furbetta, ricordandosi della volta che da piccola era entrata nella sua cabina e lo aveva svegliato mentre dormiva, venendo violentemente spinta di sotto dal letto.
Marco sorride appena, sedendosi sul bordo del letto, non guardandola più.
«Qualcosa ti turba?» gli domanda la ragazza mettendosi a sedere a sua volta con le gambe incrociate e la schiena appoggiata contro la parete, ravvivandosi distrattamente i capelli.
Marco alza finalmente gli occhi su di lei, rendendosi conto di quanto realmente gli piaccia. Si odia per questo, profondamente, ma non riesce più a negarlo a sé stesso.
«Mi eri mancata.» risponde semplicemente la Fenice, senza mai interrompere il contatto visivo.
Akemi invece lo interrompe, abbassando gli occhi sulle mani tatuate, fissandosi intensamente gli artigli.
«Pensavo che saresti stato felice di liberarti di me.» afferma con un filo di voce, rialzando lo sguardo quando l'uomo le afferra una mano.
«Non pensarlo neanche.» controbatte con voce ferma «Ci tengo sul serio a te...»
Si avvicina un poco a lei, bloccandosi di colpo quando la vede ritrarsi, sgranando appena gli occhi quando ritrae malamente la mano dalla sua.
«Non farlo.» ordina secca, guardandolo con aria dura. Ha lottato tanto con sé stessa per farsela passare, riuscendo solo ad archiviare l'accaduto e a convincersi che non succederà altro; non può fare marcia indietro, non quando l'uomo che ha di fronte è tanto indeciso.
Marco la guarda sorpreso, ritraendo velocemente la mano. Era convinto che sarebbe stata felice di vederlo, che l'avrebbe perdonato per il suo comportamento e che avrebbe potuto sfogare tutto quel desiderio che nutre nei suoi confronti, invece è incredibilmente fredda nei suoi confronti.
Si alza in piedi con aria confusa, passandosi una mano dietro al collo.
'Ho fatto l'ennesima cazzata...'
«Ti lascio riposare.» afferma uscendo velocemente da quella stanza che gli pare quasi soffocarlo, lasciandola di nuovo sola con il suo tormento.
'Stupido bastardo!' digrigna i denti per la rabbia, passandosi le mani tra i capelli 'Come può aver anche solo pensato che sarei passata sopra al suo comportamento da stronzo?! Povero imbecille. Pensa forse che sia una puttana con cui spassarsela così? Dovrà faticare prima di essere perdonato, sempre ammesso che tenga davvero a me.'
«Alcuni tuoi comportamenti sono stati un po' da puttana, se ci pensi.»
Si lascia andare ad un profondo ringhio gutturale, Akemi, immergendosi sotto le coperte e nascondendo il viso nel cuscino, provando con tutta sé stessa ad ignorare i pungenti commenti del suo simpaticissimo amico.
«Con Pugno di Fuoco non ti sei fatta tanti problemi... e neanche con Killian!» insiste Týr, mandandola sempre più in bestia, cosa che in realtà lo diverte assai «Come mai con quel pirata dovrebbe essere diverso? Tu vuoi farci sesso, non negarlo. Cosa ti trattiene?»
Sospira rumorosamente, Akemi, spostando lo sguardo verso l'oblò su cui si è appena appollaiato il corvo che l'ha accompagnata per tutto il viaggio.
Si alza svogliatamente dal letto per raggiungerlo, carezzandogli delicatamente il lucente piumaggio.
Pensa alla domanda che gli ha posto Týr e alla risposta da dargli, consapevole di non potergli mentire. In realtà non vuole proprio farlo, trovandola una cosa stupida e completamente inutile.
«Perché per lui provo qualcosa... sul serio


Angolo dell'autrice:
Salve a tutti! :) Innanzitutto scusatemi infinitamente per il ritardo >.< ma tra mio fratello che si è laureato, il lavoro al mare e internet che non ne voleva sapere di andare non ho potuto pubblicare :(
Ma Vabbe', a voi questo non interessa... passiamo al capitolo (incredibilmente brutto per giunta)!
Barbabianca ha capito che la sua adorata figlia ha bisogno di una specie di break per riordinare le idee e così la fa partire con una Mini Moby (deliberatamente inspirata alla Mini Merry 2 di Rufy).
Akemi, come ho lasciato intendere, ha combattuto più volte durante quel periodo ed è stata pure duramente sconfitta e risparmiata da una ragazza. Qualcuno immagina chi è?(Avevo detto che in realtà Akemi non è superiore a quelli come lei, no? Infatti le fanno il culo a strisce senza tante difficoltà!)
Marco... Marco sta cambiando di nuovo idea! Anche perché, si sa, i sentimenti e la ragione non vanno d'accordo. Se la ragione ti dice che tutto sarebbe più semplice prendendo una determinata strada, i sentimenti fanno in modo tale da fartene prendere un'altra! E questo è quello che sta succedendo alla bella Fenice, che tra l'altro è geloso solo a pensare che qualcuno possa toccarla.
Qui mi viene da dire: POVERA AKEMI! Era riuscita ad “archiviare” la cosa e lui invece si comporta così! Ma tranquilli, nel prossimo non avrà modo di pensare a quanto le piace il comandante... >:)
Se vi può interessare, tempo 2 capitoli e ci sarà una svolta “interessante”, mentre tempo 3 (al massimo 4, dipende da come lo suddivido) i due finalmente riusciranno a stare insieme! So che ci sto mettendo davvero tanto tempo, ma preferisco fare le cose con calma, fargli sviluppare un rapporto che può sembrare “reale” invece che farli guardare per un secondo e subito amore e tanti cuoricini! :P
Poi ormai è chiaro: a me piacciono le cose complicate! Spero che a voi non faccia schifo >n<
Un piccolo chiarimento: il pentacolo viene usato per scacciare gli spiriti malvagi, mentre l'argento per uccidere (o quanto meno indebolire) tutti i demoni, perché ritenuto un materiale purificante, diciamo. Per questo Akemi non riesce a sopportare neanche di toccarlo. (Comincio a svelare qualcosa, non siete un sacco happy? :P)
Adesso la parte più importante di tutte: i ringraziamenti!
Un grazie speciale a Yellow Canadair, Okami D Anima, Aliaaara, Monkey_D_Alyce, Redangel19, Lucyvanplet93 e Law_Death per le bellissime recensioni! Siete dei tesori! ♥
Un grazie anche a AceDPortogas, Aliaaara, Azzu___, Balalaika_, Breith, evy88, girosolomina, Ikki, LallaOrlando, leonedifuoco, Lucyvanplet93, Lunaix, Portuguese D Ice, Puffetta96, Redangel19, rosy03, SmyleCathy, The Green Eyed Girl, TheLadyVampire97, Trafalgar Revy, valepassion95, Vidalita, Vivi y, Yellow Canadair, Zefiria BlackIce, _K a r i n, _Bianconiglio_, _cucciolotta_ e _Lawliet  per aver messo la storia tra le seguite; a Hinata Uchiha Arclight, Law_Death e Portuguese D Ice per averla messa tra le ricordate; a Aceko_san, ankoku, Asiietta, Carmen988, Dark_witch3, D_ann, erica0501, evelinstar31, FemPhoe, giada1999, Incantatrice_Violeta, Jollyna, Law_Death, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, Portuguese D Ice, Scarlet_D_Rose, SmyleCathy, Trafalgar Revy, Yellow Canadair e ___Ace per averla messa tra le preferite.
Grazie anche a tutti coloro che leggono i capitoli e non mi mandano al diavolo per le stranezze che riesco a tirar fuori di volta in volta ;)
Beh, per questa volta posso anche andare. Il prossimo capitolo è già in parte pronto, quindi ci metterò poco ad aggiornare.
A presto, un bacione
Kiki ♥

PS: questi sono i nuovi tatuaggi (e penso anche gli ultimi): http://it.tinypic.com/r/2ep583l/8
PPS: cambio di età per Marco: invece che 26 anni ne ha 31. Sono poco credibili anche 31, lo so, ma sempre meglio di 26! Facciamolo un po' più maturo! Anche se lo sto facendo passare per un bambinetto >.< Ma, fidatevi, un uomo di 45 anni può essere più infantile di un ragazzo di 18... e parlo per “esperienza”. Che sia per questo che mi viene così naturale di scrivere di Marco in questo modo? O.o

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Capitolo 17
*** 17. Benvenuti a Namba ***


Piccolo avvertimento: la prima parte sarà allegra -finalmente!- e per buona parte ci sarà quasi solo il punto di vista di Marco. Ma verso la fine si va più nella suspance... poi mi direte come sono andata! :D Soprattutto per una determinata descrizione ci terrei molto al vostro parere.
Quindi... nulla! Buona lettura a tutti quanti! Ci sentiamo più tardi :3

 
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«Mi lasci in pace?!» sbotta per l'ennesima volta Namiur, provando inutilmente a scrollarsi di dosso Akemi, che imperterrita continua a saltargli addosso a tradimento.
La spinge malamente a terra, facendola scoppiare a ridere, non riuscendo a trattenere l'ennesimo sbuffo scocciato. Le vuole bene, sia chiaro, ma non ha proprio voglia di giocare ad acchiappino come un moccioso.
Akemi, purtroppo per lui, non è dello stesso parere e ostinatamente continua a saltargli al collo provando ad atterrarlo, senza successo.
È stata svegliata da un aggraziatissimo Fossa che, senza tante cerimonie, l'ha ribaltata dal letto, materasso compreso. In fondo la chiamavano da almeno un'ora e il capitano era stufo di attendere: doveva sapere delle tre settimane trascorse!
Dopo un'abbondante colazione composta dagli avanzi degli altri, si è acciambellata sulle gambe dell'adorato genitore e gli ha raccontato abbastanza nel dettaglio delle sue avventure, facendolo talvolta ridere a crepapelle. Quando però scendeva troppo nel dettaglio, raccontandogli degli efferati omicidi compiuti, riusciva a scorgere nei suoi occhi sottili una chiara nota di preoccupazione.
Dopodiché è passata ad assillare il povero ottavo comandante, facendogli sfiorare una crisi di nervi in più occasioni. All'inizio, in realtà, aveva preso di mira Teach, provando a fargli perdere la pazienza lanciandogli contro svariati oggetti, incluso il suo paio di occhiali, ma ha perso l'interesse quando si è resa conto che l'uomo non le dava corda, al contrario di Namiur. In fondo che gusto c'è ad infastidire qualcuno quando questo qualcuno non s'infastidisce, ma anzi ride dei tuoi scherzi?
«Guarda lì come si diverte!» esclama contento l'Imperatore, facendo sorridere Satch ed Ace al suo fianco.
La guarda mentre fa gli agguati accucciandosi dietro ad alcuni uomini, saltando agilmente al collo del comandante e stringendolo forte, facendolo ringhiare esasperato. Scoppia poi in una risata cavernosa quando l'uomo l'afferra per un braccio e la scaraventa in mezzo al ponte, tornando in tutta calma alle proprie mansioni.
«Non si arrende, eh?» domanda sarcasticamente il quarto comandante, guardandola divertito.
Ace annuisce distrattamente, ridendo forte quando la vede saltare addosso a Atmos, che per sua disgrazia passava proprio durante un agguato, ignaro del suo momento di pura idiozia. Quando poi la ragazza viene scaraventata davanti ai loro piedi come un sacco di patate, scoppia del tutto e si piega in due per il troppo ridere, tenendosi le braccia attorno all'addome.
Marco, dall'alto del pennone di velaccino dell'albero di trinchetto, osserva quelle scene con distacco. La guarda accucciarsi dietro a qualsiasi oggetto animato o meno, scattare verso il bersaglio e cadere a terra ridendo, non riuscendo a trattenere delle smorfie divertite.
'Per quanto voglia fare la dura, mostrarsi matura e gelida, dentro rimane sempre una bambinetta fuori di testa alla continua ricerca di attenzioni e giochi.'
Per un breve istante gli viene addirittura voglia di scendere dalla sia postazione e di darle un po' di attenzioni, di farla divertire, così da poter riallacciare un po' i rapporti, ma accantona velocemente l'idea. In fondo lei lo ha rifiutato, non lo vuole intorno, e di certo non vuole costringerla.
'Le darò i suoi spazi... è la cosa migliore.'
Alza lo sguardo sul mare calmo, beandosi del raggi caldi del sole che gli baciano la pelle e dell'arietta fresca che lo accarezza delicatamente, vedendo in lontananza la sagoma dell'isola su cui attraccheranno da lì a un'oretta e uno strano brivido gli risale lungo la spina dorsale.
Namba è l'isola del divertimento per eccellenza nel Nuovo Mondo, meta in cui qualsiasi pirata o civile vuole andare almeno una volta nella vita, attirato dalle voci che girano sui locali presenti o dei distruttivi rave party, dove gli alcolici scorrono a fiumi e tutto è permesso.
Tutto l'equipaggio è elettrizzato all'idea di andarci, alcuni infervorati dai racconti di compagni più anziani che già ci sono stati. Ma Marco è meno convinto: c'è troppo caos, troppe persone... potrebbero portarla via. In tutti i sensi.
Dopo qualche minuto passato in contemplazione della lontana isola, riabbassa gli occhi attirato dalle urla di Fossa, nuovo bersaglio delle torture della folle compagna.
«Piccola psicopatica!» urla il quindicesimo comandante, adirato per la perdita del suo adorato sigaro, afferrando di scatto la ragazza per la collottola e gettandola in mare.
«Fossa?» lo richiama con tono divertito il capitano, trattenendo a stento le risate nel sentire quelle sguainate dei figli che hanno assistito alla scena e le minacce di morte provenienti dalla ragazza che sbraccia in acqua per riuscire a risalire.
«Ha cominciato lei babbo.» risponde pacatamente l'uomo, estraendo dalla tasca un nuovo sigaro ed accendendolo immediatamente, godendosi quel sapore intenso che tanto gli piace.
Akemi, nel frattempo, si arrampica sulla fiancata della nave aiutandosi con gli artigli, riuscendo finalmente a salire sul parapetto. Il volto è contratto in una smorfia infastidita, resa indecentemente comica dal trucco colato sulle guance che la fa somigliare ad un panda rinsecchito.
«Ma quanto sei carina!» la prende in giro Ace, piegato in due dalle risate. In quel momento più che mai si rende conto di quanto la sua presenza sia determinante per trascorrere allegramente le giornate. Chi altro su quella nave si comporta in maniera tanto scellerata? Chi ha il coraggio di saltare a tradimento sugli altri? Chi riesce a far ridere così tanto il suo adorato padre?
La ragazza lo fulmina con lo sguardo, cominciando poi a scuotere la testa per togliersi un po' d'acqua di dosso. Questo movimento completamente dettato dall'istinto incrementa semplicemente le risate della ciurma, che comincia a chiamarla a gran voce “cagnolina da salotto”.
«Siete degli imbecilli.» sibila infastidita, scendendo agilmente dal parapetto per rifugiarsi sui comodi cuscini ai piedi del padre.
Barbabianca la guarda incredibilmente divertito da quello spettacolino, decidendo infine di infierire ulteriormente con una presa in giro bella e buona.
Afferra infatti il giornale poggiato sul bracciolo del suo seggio e lo accartoccia in modo da fargli avere l'aspetto di una pallina e la lancia sul ponte.
«Forza, vai a prenderla!» la prende in giro, scoppiando subito in una cavernosa risata, a cui seguono ovviamente quelle dei presenti. Pure Marco, dall'alto della sua postazione, se la ride di gusto, soprattutto quando riesce a scorgere l'espressione scioccata della ragazza.
«Mi puoi spiegare questo improvviso attacco di stupidità?» sibila inviperita al genitore, ricevendo in risposta una carezza sulla testa.
Si alza in piedi sbuffando e va a cercare riparo sulla polena della nave, sdraiandosi a pancia in giù sotto ai raggi del Sole per asciugarsi, venendo in breve raggiunta da Halta.
«Com'è l'acqua?» la sfotte sedendosi al suo fianco, facendola sorridere appena quando le mette davanti agli occhi la pallina improvvisata «Se te la lancio io la prendi?»
Akemi in tutta risposta le strappa l'oggetto di mano e lo lancia via, colpendo un più che esasperato Namiur dritto in testa.
Rimane completamente pietrificata, fissandolo con gli occhi sgranati all'inverosimile mentre si volta lentamente verso di lei, guardandola truce.
«Giuro che stavolta non l'ho fatto a posta!» si difende prontamente quando l'uomo pesce le va in contro minacciosamente, scattando in piedi come un razzo prima che possa afferrarla con le sue delicate manine.
Scappa sul ponte, scorrazzando da una parte all'altra come un grillo impazzito, venendo però placcata a tradimento dal secondo comandante, che la stringe in una ferrea morsa.
«Traditore balordo!» gli urla contro, dimenandosi come un'anguilla, inutilmente. A meno che non provi un'intensa rabbia, o comunque una forte emozione, non riesce ad usare tutta la sua forza distruttiva e di conseguenza non ha possibilità contro i membri dell'equipaggio, decisamente più esperti e forti di lei. Basti pensare che è stata scaraventata giù dalla nave in un secondo!
«Così mi offendi.» le mormora all'orecchio Ace, stringendola ulteriormente «Dovrai farti perdonare.»
Akemi volta la testa verso di lui, sbuffando divertita di fronte al suo sorrisetto malizioso.
«Non ci sperare proprio.» risponde ridacchiando, venendo finalmente liberata. Per sua fortuna Namiur si è subito stancato di quello stupido inseguimento e si è ritirato sottocoperta, diretto verso la cambusa con la precisa intenzione di bersi una bella bevanda ghiacciata per combattere il caldo.
Ace le trotterella dietro fin sulla cima della polena, sdraiandosi al suo fianco, godendosi i raggi del Sole che baciano la pelle tirata dai muscoli sviluppati.
Cominciano a parlare del più e del meno ed Ace non riesce a non dirle che, secondo il suo modesto parere, era mancata molto al primo comandante. In fondo perché mai non dirglielo? Non vuole una relazione con lei, non l'ha mai voluta e sono abbastanza intimi da potersi dire qualsiasi cosa. Inoltre Ace sa che quei due giocano alla calamita, ed è più che intenzionato a vederli felici, insieme.
Marco, adesso in mezzo ai suoi compagni, non riesce a non notare i loro sguardi complici, il sorriso malizioso che si scambiano, il fatto che Ace cerchi un po' troppo spesso il contatto fisico.
'Ora capisco perché mi ha rifiutato...'
Di colpo sente l'improvvisa voglia di andare dal quello che praticamente è il suo migliore amico e tirargli un pugno in faccia come lei ha fatto con Bay, ma si trattiene per tre ragioni: primo, e più importante, non oserebbe mai picchiare suo fratello, secondo con Akemi non c'è niente, quindi se vuole spassarsela con Ace non può farci niente e terzo non vuole smascherarsi da solo con un comportamento così infantile. Perché dopo quel pugno seguirebbero un sacco di domande e alla lunga salterebbe fuori la scomoda verità che vorrebbe portarsi a letto la piccola psicopatica che adesso sta seduta sul bacino del pirata e lo picchia scherzosamente.
No, proprio non può permetterselo. Dopo chi lo sente il babbo? Perché anche se per qualche strano caso lo perdonasse e si lasciasse andare, dopo il caro comandante lo dovrebbe affrontare. Dovrebbe prenderlo in disparte e dirgli che ci è andato a letto, magari più volte, probabilmente sulla sua stessa nave. Per quanto lo nasconda bene, Marco sa benissimo che Newgate è molto geloso della sua bambina e l'idea di essere decapitato con un pugno ben assestato non lo alletta per niente.
'Non posso farmi scoprire, proprio no.'
Dopo qualche minuto passato ad osservare i due ragazzi comincia a provare la fastidiosissima sensazione di essere osservato e voltandosi incrocia gli occhi di Izo fissi sulla sua figura, intenti ad esaminarlo attentamente.
'Merda!'
Distoglie velocemente lo sguardo, incamminandosi con passo calmo e sicuro verso il padre per tenergli compagnia e parlare delle ultime novità come fa sempre, sperando con tutto sé stesso che per una volta in vita sua Izo non si sia accorto di niente. Perché Izo è furbo, ha l'occhio lungo e si accorge sempre se qualcuno nasconde qualcosa, anche una sciocchezza. Certo, poi si tiene tutto per sé e non ci pensa neanche a fare la spia, con nessuno, ma l'idea che lo scopra lo infastidisce parecchio.
In realtà lo infastidisce ancora di più l'idea che Akemi possa avergli detto del loro bacio, in quanto a conoscenza delle loro simpatiche chiacchierate notturne, ma subito caccia via quella fastidiosa idea e si concentra sulle parole che l'Imperatore gli rivolge.
A quanto pare gli omicidi non sono cessati, anzi. Sempre più persone muoiono in maniere atroci, il più delle volte dopo aver subito delle assai fantasiose torture, e tutte sembrano collegate tra loro. Infatti sono stati rinvenuti sui cadaveri degli oggetti tutti uguali tra loro: una collana, con un ciondolo raffigurante degli artigli neri che reggono una perla bianca.
Dopo qualche ricerca Barbabianca è riuscito a scoprire che quel simbolo appartiene ai membri dell'Ordine del Dragone. Ma, purtroppo, oltre al nome dell'organizzazione -o setta, che dir si voglia- non è riuscito a scoprire altro.
Ma malgrado questo dettaglio non proprio trascurabile, è felice di riavere la sua bambina sotto tiro, protetta dalla sua imparagonabile potenza e da quella dei suoi adorati figli.
Marco se ne accorge guardandolo attentamente e ne gioisce profondamente. Vederlo di nuovo allegro lo rende felice e sentirgli dire che magari l'indomani farà un salto in spiaggia con loro -per tenere sotto controllo Akemi, più che altro- lo riempie di gioia. Quando sbarcano tendenzialmente non si muove più di tanto, sempre indebolito dalla malattia, e soprattutto non è tipo da trascinarsi in spiaggia a rilassarsi sotto un'ombrellone mentre alcuni fanno il bagno, quindi questa novità non può far altro che renderlo felice.
'Per quanto mi secchi ammetterlo, quella mocciosa sta portando meno problemi di quanto pensassi. Beh, agli altri, quanto meno.'
Alza lo sguardo sul volto sereno del padre, sorridendo quando lo vede scoppiare a ridere per la seconda caduta in mare di Akemi. Ace, infatti, ha compiuto un movimento più brusco del dovuto e l'ha praticamente disarcionata, costringendola così ad un nuovo e più che rinfrescante bagno.
'Sembra ringiovanito da quando l'ha trovata. In effetti mi dispiace che sia rimasta piccola per così poco tempo... sarebbe stato ancora meglio per lui.'
«Babbo, vacci piano con il sakè. È vero che stai meglio, ma non devi esagerare.» si azzarda a dire Marco, ricevendo in risposta un'occhiataccia assai loquace che lo fa sbuffare sonoramente. È inutile mettersi a discutere con lui: quando vuole fare una cosa, quella è e fine della discussione.
Si azzarda a riallungare lo sguardo sull'eccentrica compagna, pentendosene immediatamente. Infatti la ragazza ha ben pensato di sfilarsi di dosso la maglietta fradicia, rimanendo così con un paio di shots di jeans sin troppo corti e il reggiseno azzurro.
Segue con un certo interesse le forme sviluppate del suo corpo, imprimendosi nella mente ogni dettaglio: dalle piccole cicatrici che ha sulla gamba, l'anca e l'addome, ai 23 tatuaggi sparsi un po' ovunque, le piccole rune che le apparirono sulla pelle tempo addietro, i muscoli sviluppati, la vita sottile... il seno abbondante, compresso sotto quel sottile pezzo di stoffa.
La guarda e vorrebbe toccarla, stringerla, strapparle quegli inutili indumenti di dosso e farla sua, anche così sulla polena.
Solo quando i loro sguardi s'incrociano per un breve secondo si rende conto di quanto la sua mente abbia galoppato con quella perversa fantasia, trovandosi con il fiato vagamente affannoso.
'No, così non si può andare avanti.'
Si volta di scatto e s'incammina senza dire una parola verso il giardinetto a poppa, più che intenzionato a scappare da quella visione irresistibile per la propria sanità mentale.
'Le cose tra noi sono come sono e questo posso accettarlo. Ma non posso assolutamente accettare che mi piaccia, non al punto da costringermi a togliermi dai piedi quando si denuda! Perché tanto lo farà altre volte, è ovvio.'
Alcuni compagni lo intercettano durante il tragitto e cominciano a parlare vivacemente su quanto sono emozionati all'idea di sbarcare, strappandogli un sorriso tirato.
'Se sapessero che mi voglio scopare la loro dolce sorellina? Forse non farebbero niente, non loro... Ma Ace? Satch? Vista? IL BABBO?! Cazzo, no... lui mi tira il collo immediatamente. Se ripenso a come guardava quel moccioso psicopatico con cui ha pomiciato... non lo schiacciò come un insetto solo perché faceva parte della ciurma di Bay.'
Rabbrividisce al solo pensarci, provando a cacciare l'immagine sin troppo nitida dell'Imperatore che scopre il suo perverso desiderio.
Però Marco sa, nel profondo, che non potrà nascondersi ancora per molto. Perché durante quelle tre settimane di separazione si è reso conto che lei è quel qualcosa che nella sua vita è sempre mancato e che, a conti fatti, dovrò mancare ancora per molto tempo. Ad essere completamente sinceri, ha sempre rifiutato categoricamente questo genere di legami troppo stretti, ed ora invece ci si ritrova involontariamente invischiato, senza avere la più che pallida idea di come rigirarsi.
'Poco fa ero geloso di Ace...'
Si passa le mani tra i capelli a quel pensiero, non riuscendo a metabolizzare del tutto la cosa.
'A volte mi chiedo perché sono io a capo della prima flotta: non so neppure capire i miei sentimenti, come posso guidare centinaia di uomini?! Sarei tentato di chiedere aiuto, magari a Satch, ma il mio orgoglio me lo impedisce. Ed è anche per questo che so che è meglio mollare questo osso troppo duro, battere la ritirata, tornare il Marco di sempre.'
Alza gli occhi per osservare i compagni che corrono sul ponte principale per prepararsi allo sbarco, non riuscendo a gioire come loro.
Si lascia semplicemente trascinare per un braccio da un più che entusiasta Rakuyo, ascoltando i suoi programmi per la giornata. Annuisce anche quando gli domanda se si unirà ad una bella bevuta di gruppo, ma in realtà non gli interessa.
L'unica cosa a cui riesce a pensare è quell'assurda piega che ha preso la situazione.
'Andrà tutto bene.'
Si ripete come un disco incantato, guardandola mentre abbraccia amorevolmente Satch, felice di poter esplorare quell'isola con loro.
'Passerà. Tutto passa, no? Anche questa confusione interiore, questo dolore e questa attrazione non possono far eccezione. Basta portare un po' di pazienza.'
I loro occhi s'incrociano per un breve istante e Marco non può far altro che distogliere lo sguardo, puntandolo sul porto che diventa sempre più nitido.
'Portare pazienza... tzk, è una parola!'


«Wow! Questo posto è una figata!» esclama Kingdew, guardandosi attorno con un enorme sorriso stampato in faccia.
È pieno di insegne colorate, bancarelle, la musica allegra aleggia nell'aria, diversa quasi per ogni vicolo in cui entrano. Le vetrine sono brillanti ed invitanti, ma non tanto vistose e stimolanti come le donne che girano loro attorno, pavoneggiandosi e ancheggiando seducentemente, attaccando bottone in ogni modo possibile. Alcuni dei comandanti sono già riusciti ad ottenere degli appuntamenti, altri invece vogliono aspettare una preda migliore.
Davanti a loro, insieme ai compagni che hanno affittato le stanze per tutti loro come era stato precedentemente deciso, Teach tenta l'abbordaggio con una ragazza dai folti capelli rossi ed un corpo da capogiro, venendo però liquidato in tempo zero. I compagni sghignazzano, Barbanera semplicemente fa spallucce. Troverà qualcun'altra con cui divertirsi, magari a pagamento.
I gruppi si separano: c'è chi va a mangiare qualcosa, chi già si occupa dei vari rifornimenti, chi si gode la compagnia delle allegre donzelle che popolano le strade.
I vari comandanti invece restano in gruppo, girando tranquillamente per le vie principali dell'isola, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata all'eccentrica sorellina, rimasta indietro di qualche passo.
Akemi alza gli occhi al cielo di fronte al loro eccessivo entusiasmo alle lusinghe che ricevono da donne che considera delle sgualdrine senza carattere e per un breve istante si pente di non essere rimasta sulla nave col padre. Per un istante solo però, perché poi viene attirata da una vetrina scintillante, dove si ferma immediatamente ad ammirare i gioielli esposti. In particolare osserva un sottile collier di diamanti, tanto splendente da accecarla, e per un attimo pensa di entrare a prenderselo, ma si blocca immediatamente.
'Dopo gli altri direbbero che ho il collare come un cane!'
Sbuffa sonoramente, passandosi una mano tra i capelli spettinati. Non ha voglia delle loro prese in giro, non da quando ha scoperto di cosa è capace e non con la confusione che ha dentro. Finché si tratta di giocare va bene, ma se dovessero diventare insistenti con quel discorso potrebbe alterarsi troppo.
«Hai visto qualcosa, Angioletto?» Satch le cinge la vita con un braccio, tirandosela addosso e lasciandole un vaporoso bacio sulla tempia.
«Niente di che.» sorride allegra, notando con la coda dell'occhio una coppia di anziani che li guarda con aria dolce e mormora qualcosa.
«Sai cosa hanno appena detto?» gli domanda sorridendogli allegra, rigirandosi tra le sue braccia muscolose e protettive.
Satch semplicemente nega col capo, mordendosi il labbro inferiore per trattenersi dal ridere prima del dovuto.
«Che siamo una bella coppia e che è molto dolce che una coppia scelga insieme le fedi nuziali.»
«Dimmi che scherzi!» adesso scoppia, reclinando la testa all'indietro e portandosi una mano sulla fronte, facendo ridere anche la ragazza.
«Non vorresti essere fidanzato con me?» scherza Akemi, tirandogli un lieve colpo d'anca.
«Ohhh, è il mio sogno!» la prende per mano e, dopo aver salutato allegramente i due vecchietti quasi commossi dai loro comportamenti, raggiunge il gruppo di comandanti che sta entrando in una locanda a caso. Tanto è inutile ammattire per cercarne una adesso: avranno tutto il tempo necessario per girarle tutte, o quasi, e ubriacarsi in ognuna di esse.
È grande e affollata, dietro al bancone sono esposte tante di quelle bottiglie piene di liquore che è praticamente impossibile contarle. Nell'aria aleggia un dolce e penetrante profumo di menta, misto a quello emanato dai vari drink colorati appoggiati su ogni tavolo.
Nessuno bada più di tanto a loro, giusto il proprietario del locale che indica loro un tavolo in fondo all'ampio salone, e per loro questo è solo un bene.
Si siedono e ordinano, venendo serviti in tempo record da una ragazza bionda dal sorriso ammiccante e subito cominciano a bere e parlare allegramente tra loro, raccontandosi storie allegre, barzellette di dubbio gusto, dette però con un tono così divertente da risultare addirittura simpatiche.
Sono completamente rilassati, come non lo erano da un pezzo. La consapevolezza di essere approdati su un'isola completamente priva di marines li rallegra incredibilmente. Beh, forse un po' di movimento ci starebbe anche bene, ma con Akemi intorno sono sicuri che qualcosa accadrà.
I nostri cari pirati, però, con questa supposizione ci hanno preso solo per metà: non sarà Akemi a portare grane, ma la giovane ragazza con i capelli tinti di un rosa chiaro che è appena entrata.
Nessuno di loro l'ha notata, presi come sono dalle loro chiacchiere, dai boccali pieni e dalle provocanti cameriere, tranne un paio di occhi di ghiaccio attenti che adesso scrutano la giovane e bizzarra estranea.
I capelli rosa le ricadono sulla schiena fin sotto il bacino, raccolti in un grossa treccia adornata di fiori; la pelle è lucente e diafana, pura; il viso è quello di una dolce ragazza di forse diciotto anni, con un simpatico nasino all'insù e delle rosee labbra sottili, il tutto completato da grandi occhi color ghiaccio, circondati da lunghe e folte ciglia nere. Sta voltata di tre quarti verso di loro, osservandoli con un sorrisetto divertito, e Akemi dalla sua posizione riesce a scorgere delle farfalle tatuate sulla clavicola e sul collo, e l'ombra blu di un bacio sotto l'orecchio destro.
Reclina un poco il capo di lato, Akemi, studiandola attentamente e capendo che lei ha a che fare con il pazzo vestito di grigio che si intrufolò nella sua stanza tempo addietro. 'Hanno un odore incredibilmente simile.'
Malgrado questo, però, non riesce a sentirsi minacciata. Anzi, stranamente vorrebbe parlarle, ma dagli sguardi assai eloquenti che lancia la giovane sconosciuta capisce che le sue intenzioni sono ben altre.
«Ehm...» si schiarisce la voce, Akemi, attirando così l'attenzione degli amici «C'è qualcuno che vuole conoscerti.» afferma con sicurezza guardando Satch dritto negli occhi, non sorprendendosi minimamente quando nota con la coda dell'occhio la ragazza sorridere entusiasta.
Satch, incuriosito, si volta per capire a chi si stia riferendo, rimanendo immediatamente folgorato dal sorriso sfavillante della ragazza.
«Non è un po' giovane?» mormora incerto, alzandosi lentamente e senza mai interrompere il contatto visivo con la ragazza che lo guarda quasi incantata.
«Naaah, vai tranquillo.» lo rassicura la sorellina, sorridendogli allegra.
L'uomo, seppur sempre con una certa incertezza, si dirige con aria sicura e fiera al bancone, dove prende posto su uno degli sgangherati sgabelli al suo fianco.
«Posso offrirti da bere?» le domanda con tono gentile, sorridendole allegro e, seppur a modo suo, seducente. In realtà non ha alcun bisogno di giocare nessuno dei trucchetti che usa di solito per rimorchiare visto che la giovane e pittoresca ragazza ha le idee già ben chiare nella testa.
«Doppia vodka, liscia.» afferma allegra e sicura di sé, allungando subito dopo una mano piccola e affusolata verso di lui, che a sua volta la stringe con forza «Mimì.»
«Satch.»
«Lo so chi sei. Ho sentito parlare di te.» afferma con noncuranza la ragazza, accendendosi senza tante cerimonie una sigaretta, ignorando deliberatamente il cartello grosso come la sua testa dove è scritto con colori appariscenti che è vietato.
«Signorina?» la richiama infatti il barista, seppur con un certo timore. Insomma, sarà anche una ragazzetta, ma è comunque in compagnia del quarto comandante della flotta di Barbabianca! È risaputo che non bisogna infastidire i suoi adorati figli se non si cerca rogna, e di certo quel pover'uomo non ha idea se il suo intervento possa creare o meno problemi al pirata.
«Io fumo dove e quando voglio, chiaro?» i suoi occhi diventano improvvisamente freddi, glaciali, tanto che l'uomo per un attimo si sente venir meno «Dicevo...?»
«Che la mia fama mi precede.» le sorride allegro Satch, colpito da quello strano cambiamento di umore che gli ricorda incredibilmente la sorella.
'Che siano parenti? In fondo gli occhi sono simili.'
«Scusa se te lo chiedo, Mimì, ma per caso conosci quella ragazza laggiù?» le indica furtivamente la ragazza seduta in mezzo a Izo ed Ace, e subito Mimì annuisce convinta.
«Certo, l'Angelo Demoniaco! È stata una sorpresa apprendere che una ragazza tanto giovane e con una taglia così bassa fosse entrata nella più imponente ciurma di pirati che naviga per questi mari.» lo guarda sorridente, ricordandogli incredibilmente una bambina che vede tante caramelle dietro ad una vetrina scintillante «Mi ha aperto il cuore alla speranza. Forse un giorno ce la farò anche io!»
Bevono i loro drink rimanendo in silenzio, ma negli occhi della ragazza Satch vi legge nitidamente, quasi stessero urlando per lei, che quella conversazione deve finire immediatamente e che vuole passare a qualcosa di meglio.
Poggia il bicchiere sulla superficie di legno usurato e sporco e si alza in piedi, facendole un mezzo inchino e sorridendole malizioso «Le va di fare una passeggiata, signorina?»
«Ma allora sono di fronte ad un pirata gentiluomo!» esclama contenta, alzandosi a sua volta e porgendogli teatralmente la mano «Ne sarei onorata, comandante Satch.»
I vari comandanti guardano la scena con sguardo divertito, contenti per il loro compagno che passerà sicuramente delle ore interessanti e piene di fuoco.
Una cameriera dal dolce visetto lentigginoso arriva al loro tavolo per servirgli un nuovo giro di birra, alzando solo un secondo gli occhi color prato sulla ragazza seduta in mezzo al sedicesimo e al secondo comandante della ciurma più temuta di tutti i mari, guardandola con un certo timore. Di creature come lei ne ha viste un sacco da quelle parti, ma sente chiaramente che in lei c'è qualcosa... che è lei la creatura di cui ha vagamente sentito parlare da alcuni cacciatori di passaggio.
«Voi non siete mai venuti qui, vero?» domanda timidamente, mettendo sul vassoio bagnato alcuni boccali ormai vuoti, attirando così su di sé l'attenzione di tutti loro.
«Non tutti.» afferma tranquillo Curiel, facendole un debole sorriso. Una parte di lui, infatti, non vede l'ora di buttarsi a letto per godersi una bella dormita, mentre l'altra vorrebbe solo far festa e bere fino a sentirsi male. Bel dilemma, eh?
«Beh, mi sembra giusto mettervi in guardia dalla zona fantasma.» mormora la cameriera, ormai con le guance in fiamme. Il suo colorito diventa di un bordeaux preoccupante quando incrocia gli occhi color pece di Pugno di Fuoco, ma nessuno di loro ci bada più di tanto.
«Come?» le domanda incuriosita Akemi, attirando così il suo timido sguardo.
La ragazza prende fiato, sedendosi compostamente sulla sedia che Rakuyo le ha messo vicino.
«La parte ovest dell'isola è stata evacuata tantissimi anni fa per dei problemi, e ora da quelle parti gira solo brutta gente. È molto pericoloso. Per quanto ne so, nessuno è mai tornato indietro.» spiega tutto in un fiato, non sorprendendosi degli sguardi divertiti dei vari pirati. Di tutti, eccetto uno.
«Cosa ci sarebbe?» domanda con interesse crescente Akemi, sporgendosi un poco in avanti col busto.
«Beh, ci sono molte case abbandonate, una fabbrica e un vecchio luna park. Il luogo che però viene definito il peggiore di tutti è anche quello più vicino alla città: il vecchio manicomio dell'Eco.» risponde cercando di rimanere tranquilla e di regolarizzare il respiro di fronte al sorriso divertito ed incredulo del secondo comandante. Abbassa lo sguardo, riprendendo fiato e ricominciando a spiegare «Tanti anni fa, quando ancora era aperto, si verificavano tanti “incidenti” in quella struttura. Sparivano persone, venivano trovate morte, uccise in strani modi. La leggenda dice che si sente ancora l'eco delle loro urla nei corridoi, ma io non ho mai avuto il coraggio di entrarci.»
Akemi sghignazza divertita, per poi lanciarsi uno sguardo con Ace. Legge chiaramente nei suoi occhi la malsana voglia di visitare quel posto, e subito i suoi occhi si gelano.
«Beh, temo che noi non verificheremo questa diceria. Dico bene?»
Ace sbuffa sonoramente, arrendendosi di fronte agli occhi incredibilmente glaciali della minore. È talmente di buon umore quel giorno che proprio non potrebbe sopportare di vederla esplodere in un attacco d'ira per una sua sciocchezza.
«Andata...» mormora bevendo un lungo sorso di birra ghiacciata «Però stasera mi offri da bere!»
La cameriera se ne va sorridendo imbarazzata, ricominciando come se niente fosse il proprio turno. Ha avuto spesso a che fare con i pirati e, malgrado quello che pensa il resto del mondo, non li trova tanto orribili. Anche il Re dei Pirati, considerato da tutti una specie di demonio, per lei altro non era che un uomo dall'infinita forza e l'invidiabile fierezza e determinazione. Anche di immortali ne ha incontrati, seppur in numero assai inferiore rispetto a quello dei pirati, ma ha presto capito che basta girargli a largo e non attirarne troppo l'attenzione per stare tranquilli.
Il gruppo di pirati riprede le proprie chiacchiere, facendo pure spuntare un mazzo di carte che subito fa sbuffare di irritazione Akemi.
Si ritira immediatamente, rifiutandosi categoricamente di mettersi in ridicolo davanti a tutti, e gli altri se lo fanno andare bene, cominciando la prima partita di poker.
S'impegnano tutti quanti, decidendo che il perdente pagherà da bere a tutti quanti, Akemi esclusa. “Non vuoi giocare? Non bevi!”
A lei in realtà va bene così. Tanto se avesse giocato si sarebbe dovuta pagare da bere da sola comunque e avrebbe dovuto sborsare un sacco anche per loro, quindi tanto vale stare a guardarli e bere con loro al momento opportuno, sfottendo fino all'esaurimento lo sconfitto.
La cosa però comincia ad andare per le lunghe e la ragazza comincia a non poterne più delle occhiate furtive che le lancia Marco. In realtà non sopporta il fatto che lui la veda mentre fa lo stesso!
«Io vado a farmi un giro. Ci rivediamo all'ostello per cena.» afferma di punto in bianco Akemi, alzandosi velocemente dalla sedia e dirigendosi con passo calmo e silenzioso verso l'uscita della locanda, ascoltando distrattamente le raccomandazioni dei fratelli.
Cammina per le strade affollate della città con passo calmo, osservando le vetrine e i passanti, che a loro volta le lanciano qualche occhiata preoccupata. Soprattutto i commercianti, in realtà: loro la guardano con timore misto a rispetto, chinando il capo al suo passaggio e indietreggiando quando ne incrociano lo sguardo.
Akemi non gli dà molto peso, consapevole che quegli strani atteggiamenti sono dovuti al medaglione che porta al collo, e spensieratamente si incammina verso una zona più tranquilla, dove potrà arrampicarsi da qualche parte ed osservare il circondario.
All'improvviso però il suo corpo s'intorpidisce e davanti a sé, in mezzo a tutta quella folla, nota distintamente la figura slanciata di Týr, vestito elegantemente con dei pantaloni scuri, una camicia bianca e una giacca tenuta appoggiata su un braccio.
'Ma che diavolo...?'
Lo segue velocemente, sgomitando per farsi largo tra la calca, arrivando a correre quando lo vede fare altrettanto, diretto dentro la vegetazione.
Dentro di lei aleggia un brutto presentimento, un campanello d'allarme le risuona in testa implorandola di cambiare direzione, ma non riesce a dargli ascolto. Continua a seguirlo a rotta di collo, arrivando fino ad uno spiazzo nella vegetazione, in mezzo alla foresta.
Un grosso complesso abbandonato si erge davanti a lei, circondato da un muretto ricoperto di rampicanti ed in parte crollato.
Si guarda intorno con aria circospetta, osservando più nel dettaglio l'edificio dalle inferiate del cancello chiuso con una grossa catena: l'intonaco è in buona parte crollato, le finestre rotte a sassate e scardinate, la porta dalla pittura scrostata e rovinata dal tempo è socchiusa, il giardino è anch'esso abbandonato a sé stesso e, vicino ad un grosso albero, giace incustodita da chissà quanti anni una sedia a rotelle arrugginita.
Si avvicina cautamente al campanello rotto e scopre che si tratta di un ospedale psichiatrico, evidentemente abbandonato da moltissimi anni.
'Il manicomio dell'Eco...'
Vede di nuovo Týr camminarle davanti, proprio sul vialetto di ghiaino che conduce alla porta semi-scardinata e senza riflettere scavalca semplicemente il muretto e gli corre dietro, trovandosi così all'interno di quell'agghiacciante luogo, custode di atrocità e sofferenze.
Vari mobili, tra cui sedie a rotelle e panchine di legno distrutte, giacciono in mezzo ai corridoi sporchi; i muri sono imbrattati da varie scritte più o meno comprensibili, vittime anche di infiltrazioni d'acqua che hanno dato la possibilità alla muffa di imbrattarli ulteriormente. Le porte sono quasi tutte spalancate, semi-distrutte, così come le finestre. Malgrado questo tra quei corridoi aleggia una puzza insopportabile, tanto fetida da costringerla a tapparsi il naso e la bocca con la mano.
'La tipa si sbagliava: qui non vola una mosca.'
Continua a seguire Týr, intento a camminare per quei corridoi come se fosse casa sua, infilandosi addirittura un camice bianco e prendendo in mano una cartella clinica.
'Dimmi che stai scherzando, ti prego...'
Lo segue silenziosamente, non concentrandosi come dovrebbe. Qualcuno, infatti, la segue dal momento in cui ha varcato quella soglia, silenzioso come uno spettro.
'Dimmi che non è un tuo ricordo.'
Lo guarda mentre entra nella stanza di un paziente, che subito di lancia con violenza nell'angolo della parete nel vano tentativo di scappare.
«Ti fai male così.» lo avverte derisorio Týr, infilandosi in modo molto teatrale dei candidi guanti di lattice «Se ti piace il dolore, posso aiutarti. Sono un medico oggi.»
Akemi lo guarda disgustata mentre lo avvicina con una siringa in mano, che in una frazione di secondo gli pianta con forza nel collo.
«Shhh, adesso passa.» sussurra Týr con divertimento crescente «Questo ti impedirà di urlare.»
Akemi guarda impotente mentre tortura quel poveretto, tagliuzzandolo lentamente e leccando i rivoli di sangue scarlatto che lenti cadono sul pavimento sporco. Passa poi a spezzargli le ossa, una per una, prendendo alla fine un orbitoclasto e praticandogli una lobotomia transorbitale che ne causa la morte.
Rimane con una mano appoggiata alla parete, Akemi, fissando disgustata il lettino ribaltato a terra e squarciato, ricoperto in più punti da macchie scure, finché un colpetto di tosse alle sue spalle la fa sobbalzare e voltare di scatto.
Si trova così di fronte ad un ragazzo dai folti e brillanti capelli biondi spettinati, la pelle bianca come il latte e gli occhi di un penetrante color ghiaccio, tanto belli quanto pericolosi. È vestito con una camicia bianca perfettamente stirata e pantaloni attillati di jeans.
Ad un primo impatto potrebbe sembrare innocuo, quasi dolce, ma Akemi non è una stupida ed ora che ha ritrovato la concentrazione riesce a sentire nitidamente la sua mostruosa forza. Týr ha definito questa sua capacità un dono prezioso, arrivando pure a dire che la invidia per questo.
«Non hai letto il cartello al cancello? È vietato entrare.» la voce del ragazzo è vellutata, un vero balsamo per le orecchie.
Akemi però non si lascia ingannare e si tiene pronta ad attaccare e, nel caso si rivelasse un osso troppo duro, a correre fuori da quel luogo infernale.
«Pure tu sei entrato.» gli risponde a tono, cercando una veloce via di fuga non appena il ragazzo fa un passo in avanti.
«Mi piacciono questi posti, li trovo divertenti.» afferma con un sorriso smagliante il ragazzo, facendola innervosire.
«È morta della gente qui dentro, porta un po' di rispetto.» gli ringhia contro, snudando d'istinto le zanne candide.
«Sono irrispettoso per natura, non posso farci niente.» afferma con disinvoltura, osservandosi le unghie laccate di un intenso blu elettrico «Però non sono mai stato maleducato, quindi... lascia che mi presenti.»
Le si avvicina sorridendo mellifluo, allungando una mano affusolata verso di lei, guardandola in modo perverso e fatale «Io sono Kakashi.»

 

Nessuno dei due pirati, quella sera, si presentò a cena...


 
Angolo dell'autrice:
Salve a tutti! :D Stavolta sono in orario :3
Chi di voi è preoccupato per le sorti dei due pirati che si sono incautamente allontanati dalla ciurma?
Ah, tra l'altro ho il piacere di presentarvi il nuovo personaggio, Mimì: http://it.tinypic.com/r/eg37rp/8
Ebbene si, altri non è che una versione più punk e pazza di Rapunzel X°D scusate, ma non ho saputo resistere! XP
Il manicomio abbandonato... come l'ho descritto? >.< ci tengo molto a quella parte, perché sono posti che trovo... non so, affascinanti. Spero che non sia stato descritto in modo troppo superficiale.
Cooomunque... MARCO! Eheh, è cotto. È cotto a puntino e se ne è pure reso conto (se Dio vuole!) Ditemi un po': questa sua “nuova versione” vi piace? >.< Ho pensato così tanto al prossimo capitolo (già in parte scritto) che ho paura che questo sia venuto peggio del solito .___.
Vabbe', via. Lasciamo stare. Sono distrutta dal mare (ci lavoro, non pensiate che vado a cazzeggiare xD), non sono in grado di affrontare ulteriori conversazioni X°D finirei solo con lo sparare più cazzate del solito.
Un grazie di cuore va a Yellow Canadair, ankoku, Law_Death, Lucyvanplet93, Okami D Anima, Aliaaara, Monkey_D_Alyce e iaele santin per le bellissime recensioni! Vi adoro!

Alla prossima bella gente! Un bacione
Kiki

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Capitolo 18
*** 18. Una notte da leoni ***


Piccola avvertenza: ve lo dico subito, così siete già preparati: questo capitolo sarà oscenamente lungo! In un primo momento avevo pensato di dividerlo in due, ma sarebbe venuto fuori una schifezza.
Vi consiglio quindi di leggerlo in un momento in cui avete tempo e di fare tutta una tirata! ;)
Beh, detto questo, vi lascio al capitolo! Ci risentiamo alla fine :*

 
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I corpi si muovono al tempo della musica sparata a tutto volume dalle voluminose casse sparse per tutto il locale, i drink colorati passano di mano in mano come offerte di pace in chiesa, le menti viaggiano lontane prede di trip distruttivi.
Akemi non si è mai sentita così viva, così euforica e così leggera. Continua a muoversi a tempo, a ballare come impazzita tra le braccia di quel pazzo di Kakashi, senza accorgersi del tempo che passa.
Quando lo aveva incontrato in quel vecchio manicomio abbandonato si era sentita profondamente minacciata, ma al ragazzo non ci è voluto molto per guadagnarsi un minimo di fiducia. Gli è bastato cominciare a parlare, a raccontarle le cose che sa su quel posto, farla camminare e scherzare, portarla a bere qualcosa. Poi tutto è filato liscio come l'olio, e adesso ballano come impazziti dentro al Neon, quello che viene considerato il locale più distruttivo di tutta Namba, unico locale in cui la marina non ha mai e poi mai messo piede. Pure gli appartenenti all'Ordine del Drago lo evitano, in quanto si troverebbero in netto svantaggio.
Kakashi, invece, è sempre stato un assiduo frequentatore di quel luogo così caotico e dispersivo, dove spesso e volentieri si è svegliato all'alba, preda di devastanti amnesie dovute all'eccesso di alcool e droghe. Anche adesso ci da giù pesante, fumando erba come se non ci fosse un domani, sniffando cocaina non appena ne ha l'occasione, tirando giù drink su drink, sballandosi come solo lui è in grado di fare.
I suoi capelli chiari ondeggiano in mezzo alla folla, risplendendo come raggi di sole in quella mischia. Le mani dei presenti provano ad afferrarlo, desiderosi di poter sfiorare quel corpo magnifico, senza però illudersi di poter baciare quelle labbra delicate.
«I adore you!» le urla facendola volteggiare, stringendola poi in una morsa d'acciaio.
Akemi scoppia a ridere, fuori controllo, e si lascia trascinare di nuovo verso il bar.
I baristi sudano, preparano da bere freneticamente, impegnandosi per riuscire a sentire le richieste dei clienti che provano a sovrastare la musica assordante.
A Kakashi non frega niente di quella gente e semplicemente scavalca il bancone e prende due grosse bottiglie contenenti un liquido verdastro, anche se difficile da vedere a causa delle luci psichedeliche che cambiano ogni colore.
Scavalca di nuovo il banco e afferra la ragazza per un polso, trascinandola verso dei divanetti appartati. Quando si prendono sbornie come quella è bene stare in disparte se non si vogliono fare danni seri. Come una strage, per esempio.
«Assenzio superiore, settanta gradi.» afferma sorridendole con aria furbetta, stappando la propria bottiglia e urtandola con quanta più delicatezza può contro quella della nuova amica.
Akemi, che è già vicina al coma etilico, scoppia a ridere di gusto e stappa a sua volta la bottiglia, cominciando subito a bere con ingordigia.
Le papille gustative di entrambi vanno completamente a fuoco, così come le gole e gli stomaci. La testa gira ancora di più tutto in un colpo, la vista si offusca ulteriormente.
Si sentono male, ma a nessuno dei due importa minimamente. Vogliono solo divertirsi, spaccare tutto quello che li circonda, trasgredire ad ogni legge o etica morale. Vogliono vivere.
«Questo posto ha rotto il cazzo!» sbotta Kakashi, saltando in piedi sul divanetto di velluto viola e ribaltandosi inevitabilmente dall'altra parte, scoppiando a ridere a crepapelle «Mi sa che sono caduto!»
Akemi ride ancora più forte, incapace di ragionare, e a fatica si alza a sua volta e lo aiuta a rimettersi in piedi, barcollando poi a braccetto verso l'uscita.
Fuori fa freddo, ma a loro non importa neanche di quello. Non gli importa neanche che le persone, alle cinque e un venti del mattino, dormano beate nei loro letti e quindi urlano a squarciagola, intonando canzoni a caso, ridendo per ogni cosa.
Si trascinano per le strade, bevendo e bevendo ancora, distruggendosi il fegato quasi fino alla decomposizione.
Raggiungono, con una fatica disumana, il lussuoso albergo in cui alloggia lo strano ragazzo e, sempre facendo un casino infernale, entrano e cominciano ad importunare i poveri lavoratori costretti a fare il turno notturno, che in tutti i modi li pregano di fare piano e di andare nella loro stanza.
«Io faccio come voglio!» urla Kakashi, prendendo di peso un divano e scagliandolo contro il muro «Non farmi incazzare!»
L'uomo, terrorizzato dal giovane con gli occhi di ghiaccio che più volte ha visto in quell'albergo e di cui conosce la fama, si scusa con le lacrime agli occhi, scatenando le risate dei due folli ubriachi, che senza dire altro s'incamminano verso l'ascensore.
«Stava piangendo!» strilla Akemi, preda di un attacco di ridarella degna del babbuino più stupido del creato.
Kakashi, più stupido di lei, si accascia contro la parete, ridendo come un ossesso, tanto da doversi tenere gli addominali «Che cazzone!»
Arrivano finalmente all'attico e Kakashi la conduce, strisciando per terra come un verme, fino alla propria stanza, che si rivela essere la cosa più lussuosa mai vista da Akemi.
«Ti piace lo champagne?» le domanda trascinandosi verso il piccolo bar privato nell'angolo della stanza, facendo cadere a terra diversi bicchieri di cristallo nel voltarsi.
Akemi scoppia di nuovo a ridere, ormai quasi incapace di intendere e di volere, e semplicemente si butta a sedere sul divano e si sfila gli stivali di dosso, accomodandosi come se fosse a casa sua.
Kakashi la raggiunge velocemente con due calici pieni e ghiacciati, e con fare galante le porge il suo.
«A cosa brindiamo?» gli domanda Akemi, mentre le palpebre diventano improvvisamente pesanti. In fondo, si sa, quando si è ubriachi non è bene fermarsi.
«Alla nostra libertà emotiva e ad una vita magnifica!» esclama il biondo, alzando il bicchiere e facendolo tintinnare con quello della ragazza.
Bevono guardandosi dritto negli occhi e, proprio mentre quel dolce liquido freddo scende per le loro gole, scoppia la ridarella idiota. A lui va completamente di traverso, mentre lei riesce a liberarsi di tutto sputandoglielo sulla spalla, incapace di trattenere le risate. Risate che aumentano di volume non appena Kakashi, tra un colpo di tosse e l'altro, si lascia scappare un sonoro rutto.
Ridono ancora di più, Akemi zampetta e saltella per la stanza come uno stambecco epilettico, mentre Kakashi si trova costretto ad alzarsi e correre verso il bagno, ormai incapace di trattenere il vomito che gli sta risalendo per la gola.
Vomita praticamente per tutto il tragitto, tappezzando tutto, e Akemi non si premura neanche di aiutarlo, troppo presa dalle risate sguainate di cui è preda.
Kakashi, piegato in due sul lavandino, riesce finalmente a riprendere fiato e, con tono scherzoso, esclama «Mamma mia, faccio schifo!»
Akemi lo raggiunge, cercando di evitare le macchie di vomito disseminate di qua e di là, ridendo delle sue pietose condizioni.
«Mi è andato di traverso... esplosione di bollicine!» urla in preda alle risate, decidendo di colpo di pulire tutto lo schifo che ha disseminato per il candido bagno. Decide però di farlo nel modo più sbagliato possibile: prende il tubo della doccia, situata praticamente in un altro locale, e spruzza l'acqua per terra, allagando la stanza.
«Che odore infernale!» commenta semplicemente Akemi, poggiata con le spalle al muro, il viso solcato da scie scarlatte «Kakashi, raccogli quella roba lì...? Oddio, anche là, tutto vomitato! Il lavandino...» farfuglia subito dopo, piegandosi in due per le risate.
Kakashi ride a sua volta, buttando degli asciugamani per terra «Il vomitatore pazzo!»
«Oddio, ma che è? Pezzi di roba mai vista!»
«Si e che sono, Alien?!» sbotta il biondo, chiudendo la porta e trascinando l'amica verso la camera da letto.
Si buttano sul morbido materasso come due pesi morti, respirando a fatica.
«Ti adoro, sei il mio nuovo idolo...» farfuglia Kakashi, prendendo il cuscino e sistemandoselo meglio sotto la testa mentre la voglia di dormire si fa sempre più forte.
«E perché?» domanda Akemi, sistemandosi a sua volta, ormai prossima a crollare.
«Erano anni che non incontravo qualcuno in grado di reggere le mie serate!»
Detto questo si scambiano un fugace bacio a stampo, giusto per concludere al meglio quella folle serata all'insegna dell'alcol e della stupidità, crollando in pochi minuti in un sonno profondo.

Il Sole è sorto ormai da qualche ora, la città si è completamente rianimata.
In una piccola ma lussuosa stanza d'albergo, Satch se ne sta stravaccato su un grande letto a baldacchino, intento a fissare le curve di Mimì, che sta chiamando il servizio in camera.
La ragazza si rende conto, dopo diversi minuti, dello sguardo malizioso dell'uomo steso nel suo letto e, con assai falso pudore, si copre il seno scoperto e gli rivolge un'occhiataccia.
«Smettila, Satch!» esclama sorridendogli raggiante, voltandosi dall'altra parte per potersi legare i capelli e, in tutta onestà, per fargli un dispetto.
«Mi ecciti quando fingi di essere pudica.» ridacchia il pirata, facendola voltare con un sorriso furbetto ad incresparle le labbra sottili.
Lo raggiunge con passo svelto e si sdraia al suo fianco, poggiandogli la testa sul torace muscoloso e segnato da più cicatrici. Tocca il simbolo della ciurma tatuato sul pettorale sinistro con la punta delle dita, alzando finalmente gli occhi sul suo viso allegro.
«Ti mancherò più io o più loro?» domanda con voce divertita non appena l'uomo fa scivolare, per l'ennesima volta, una mano sul suo seno.
«Mi mancherà tutto di te.» ammette con tono dolce, per poi farle un sorriso strafottente «Anche il fatto che russi!»
«Ma io non russo!» controbatte prontamente dandogli una leggera pacca sul petto, per poi sorridergli maliziosamente e montargli a cavalcioni sul ventre «E comunque non mi pare che tu mi abbia dato tanto la possibilità di dormire nelle ultime quindici ore.»
«Si, però almeno due ore abbiamo dormito. Quindi ho la prova che russi.»
Si sorridono divertiti, intrecciando le dita e guardandosi dritto negli occhi. C'è intesa tra loro, molta, tanto da far provare loro un senso di angoscia all'idea di separarsi. Il che è paradossale, dal momento che si conoscono da meno di un giorno.
Si baciano dolcemente, stringendosi con infinita delicatezza l'uno tra le braccia dell'altra, finché qualcuno non bussa alla porta, costringendo la ragazza ad alzarsi.
Si mette al volo la camicia per lei enorme del comandante e va ad aprire, scoppiando in un gridolino eccitato, che ovviamente attira l'attenzione del compagno.
«HIDAN!» Mimì si attacca con forza al collo del fratello, stritolandolo come fa sempre.
«Quello del servizio in camera aveva paura di bussare, così ha mollato la roba a me.» afferma con tono stanco il maggiore, sistemandosi i capelli castani dietro le orecchie «Di chi è questa camicia?»
Mimì, euforica, lo afferra per il braccio di metallo e lo trascina dentro la stanza, costringendo così Satch a coprirsi le nudità in fretta e furia con il lenzuolo bianco in cui si sono rotolati per ore ed ore.
«Satch, questo è mio fratello Hidan. Hidan, Satch.» li presenta in tutta tranquillità, non scatenando una reazione di alcun tipo nel fratello e facendo diventare di un insolito rosso-bordeaux il comandante.
«Ehm... piacere?» allunga incerto una mano verso di lui, sicuro che adesso gliela staccherà di netto. In fondo lui farebbe così se trovasse un uomo nel letto di sua sorella. Nel caso fosse una donna deve ancora pensarci, ma sicuramente non reagirebbe bene. Si tratta pur sempre di sesso.
«Questo furetto pazzo ti sta facendo dannare?» gli sorride allegro il maggiore, stringendogli la mano e voltandosi di spalle per non metterlo ulteriormente in imbarazzo.
Per quel poco che è riuscito ad osservarlo, Satch non è riuscito a riscontrare grandi somiglianze tra i due. Lei ha i capelli rosa -non saprebbe mai dire quale sia quello naturale-, i lineamenti dolci, delicati, tanto da conferirle un aspetto infantile, mentre lui ha i tratti decisi, i capelli di un castano scuro, è molto più alto e muscoloso. Caratterialmente, così a primo impatto, può dire senza ombra di dubbio che sono completamente differenti. Mentre lei è pazza ed impulsiva, lui appare più calmo e rispettoso.
«Senti, Mimì, ti aspetto giù. Quando avete finito con la colazione si va, ok?»
La ragazza annuisce distrattamente, guardandolo di sfuggita mentre se ne va dalla stanza, per poi tornare come un razzo tra le braccia del bel pirata.
«Ti sembra questo il modo di presentarmi tuo fratello?!» la rimprovera con un sorriso divertito, scompigliandole i capelli.
«E io che ne sapevo che sarebbe passato!» risponde piccata la minore, prendendo i vari vassoi e mettendoglieli davanti.
«Tu non mangi?» le domanda confuso, notando che ha preso roba solo per lui.
«Io non faccio mai colazione.» risponde con fare vago, alzandosi dal letto per cercare i vestiti dispersi «Quando hai finito vestiti, i tuoi compagni si staranno chiedendo che fine hai fatto.»
Veloce come un razzo, Satch spazzola tutto in meno di dieci minuti. In fondo non mangia dal giorno prima, troppo preso con le loro dure sessioni di sesso intensivo, in cui per un attimo ha seriamente pensato che sarebbe morto per il troppo sforzo.
Mimì, che con la coda dell'occhio nota che si è già ributtato tranquillamente sul letto, gli tirai la camicia in faccia «Vestiti! Non te lo dirò una terza volta. Sarà questione di qualche ora, poi torniamo qui a soddisfare la tua smania infinita. Lo sai che potresti davvero avere un serio problema? C’è gente che si fa curare in una clinica per questo continuo desiderio sessuale.»
S'infila la maglietta dandogli le spalle, ma vedendo comunque la sua espressione riflessa nello specchio.
«Oh oh! Ha parlato la santa! Mezz’ora fa mi hai intimato che non dovevo azzardarmi a fermarmi o rallentare, altrimenti mi avresti ucciso.» controbatte prontamente il comandante mentre la raggiunge, rischiando pure di ammazzarsi nel rimettersi i pantaloni, cingendole la vita sottile con le braccia forti «E poi io devo passare mesi in mare senza neanche l'ombra di una donna. È ovvio che quando metto piede a terra do il meglio di me, no?» continua baciandole piano il collo, preso da un'altra ondata di eccitazione. Fosse per lui non lascerebbe mai più quel letto.
«Non ci provare, brutta bestia in calore.» lo blocca subito, senza però riuscire a trattenere le risate «Devo andare a lavorare.»
«A che ora finisci?» le domandai con sofferenza, trascinandosi fino al letto per rimettersi le scarpe. Vuole passare più tempo possibile con lei e l'idea di separarsene per il suo lavoro, che ancora non sa in cosa consista, lo deprime parecchio.
«Finirò stasera.» risponde con voce triste la ragazza, andandogli in contro e prendendogli il viso tra le mani delicate e fredde, baciandolo delicatamente prima di doversene separare «Dopo sono tutta tua.»

Un mugolio sofferto si leva nell'aria, i corpi intorpiditi si muovono faticosamente sotto le lenzuola candide, gli occhi chiari e penetranti si aprono lentamente, infastiditi dai brillanti raggi del Sole che filtrano dalle tende.
Kakashi si passa le mani tra i capelli biondi, pettinandoli con le dita alla meglio, per poi mettersi a sedere sul materasso, guardandosi attorno con sguardo perso. Un fetido odore di vomito gli arriva alle sensibili narici, facendogli tornare in mente quella sottospecie di eruzione causata dallo champagne.
«Oh, cazzo...» borbotta passandosi le mani sul viso pallido, ributtandosi subito dopo con la schiena sul materasso.
Volta piano la testa per poter vedere in che condizioni è la nuova amica, trovandola stesa a pancia in su con le mani a coprirsi gli occhi sensibili.
«Sto a pezzi...» biascica Akemi, rannicchiandosi su sé stessa e sentendo l'ennesima sensazione di fastidio al seno sinistro «Poi mi fa male una tetta...» aggiunge subito dopo, spostando finalmente gli occhi su Kakashi, che le sorride con aria divertita.
«A me la lingua... Che ho?» caccia fuori la lingua, mostrandole uno scintillante brillante in mezzo al muscolo roseo.
Akemi sgrana gli occhi a quella visione, assalita da un orribile dubbio. Scatta immediatamente a sedere, scostandosi la canottiera nera dal petto e sgranando indecentemente gli occhi alla visione della sottile barra di metallo che le trapassa il capezzolo.
«Porca merda...» mormora semplicemente, passandosi una mano tra i capelli arruffati con fare sconcertato.
«Che?» domanda subito Kakashi, allungando la testa fino a poter vedere a sua volta il piccolo gioiello «Eccitante!» commenta immediatamente, facendole un sorrisetto malizioso mentre le sfiora la gamba scherzosamente.
Akemi ridacchia appena, sdraiandosi placidamente sul letto, osservando Kakashi mentre si alza e si sfila di dosso la camicia, mettendo in mostra un fisico asciutto e slanciato.
«Potevamo fare peggio.» afferma sovrappensiero il biondo mentre rovista tra i propri vestiti in cerca di qualcosa di decente. Certo, con i suoi gusti discutibili la parola “decente” ha un significato completamente controverso, ma questo è un altro paio di maniche.
«Concordo in pieno...» borbotta stancamente Akemi, rigirandosi a pancia in giù e guardandolo con aria incerta «Sai che alcune parti di ieri sera non le ricordo proprio?»
«Siamo in due.» risponde pacatamente, abituato ai vuoti di memoria in seguito a serate devastanti come quella «Senti, che ne dici di andare a fare due passi? Magari troviamo mia sorella.» propone subito dopo, sorridendole allegramente.
In realtà Kakashi non è mai stato un tipo eccessivamente socievole, anzi. Ha sempre avuto un doppio fine ben specifico se avvicinava qualcuno, come rapinarlo o ucciderlo, ma con Akemi è diverso. Poco c'entra in realtà l'ordine di non torcerle un capello, perché a quel punto avrebbe semplicemente potuto evitarla. No, è qualcosa di diverso. Come direbbe lui è una “connessione spirituale”, cosa che va a vantaggio della corvina.
Se Kakashi dice di avere una “connessione spirituale” con qualcuno, quel qualcuno sarà completamente intoccabile finché si trova nei paraggi. Nessuno tocca quello che è suo.
«Ci sto.» risponde sorridendo Akemi, alzandosi a fatica in piedi. Gli occhi le bruciano terribilmente a causa della luce e subito prova a coprirseli con una mano, mugolando infastidita.
«Hai degli occhiali da prestarmi? La luce mi crea qualche problema.» domanda allo strano amico, che le è apparso sorprendentemente alle spalle.
Akemi lo guarda incerta, non essendosi neanche resa conto di quel veloce spostamento, cercando di vedere i suoi occhi furbi sotto le spesse lenti nere.
«Anche a me.» le sorride Kakashi, porgendole un paio di grossi occhiali da sole.
Akemi li afferra con mano incerta, cercando di reprimere il vago senso di inquietudine che alcuni suoi atteggiamenti le infondono.
Si è convinta che non sia cattivo, e in fondo non si sbaglia neanche più di tanto, ma è consapevole che abbia qualcosa di strano, qualcosa di mistico come lei.
«Ti do un consiglio, ragazzina: non chiedere.»
Segue Kakashi in silenzio verso l'ascensore, sperando che Týr le dia una spiegazione da solo. In fondo hanno stipulato un patto secondo il quale non avrebbe più dovuto fare domande, e non vuole venir meno alla sua parola.
«Non ti stai sbagliando. Lui ha delle caratteristiche in comune con te, ma se non te ne parlerà di sua spontanea iniziativa ti conviene stare zitta. Se si sentono smascherati o comunque minacciati tendono ad innervosirsi e tu non sei ancora in grado di difenderti da uno della sua portata.»
«Hai fame?» le domanda sorridendo allegro Kakashi, riportandola con i piedi per terra.
Akemi annuisce semplicemente, guardandolo mentre cammina con passo tranquillo e sicuro tra la gente, fino a bloccarsi di colpo. Vede i muscoli contrarsi in una frazione di secondo e subito un campanello d'allarme le suona in testa, mettendola in guardia. Guardia che però si frantuma quando vede il ragazzo rilassarsi e sorridere con aria colpevole e divertita ad una giovane donna che sta camminando a passo di carica verso di loro.
«Dov'eri finito?!» gli urla contro senza neanche calcolarla, puntando i pugni sui fianchi e battendo nervosamente un piede per terra.
Kakashi si limita a sorriderle, cingendole le spalle con le braccia e dandole poi un affettuoso bacio sulla punta del naso.
Akemi li guarda e nota una lieve somiglianza, più che altro per il colore dei capelli e per alcuni tratti del viso, come il naso e la bocca. La sconosciuta però è leggermente più alta di lui, con un fisico piuttosto snello e slanciato, il viso dolce e gentile, più maturo di quello di Kakashi, ed emana una forte calma e pace interiore, al contrario del biondino che è dinamite pura.
«Ho fatto amicizia, non sei contenta?» cinguetta allegro il biondino, prendendole una mano e portandola di fronte ad Akemi, ancora intenta a studiarla.
«Immagino che ti abbia fatta dannare.» afferma sorridendo cordialmente la ragazza, porgendole una mano «Sakura.»
«Akemi.» stringe la sua mano con decisione, sorridendole a sua volta. Se all'inizio era scettica nei confronti di Kakashi e lo aveva considerato una potenziale minaccia, con lei questa sensazione non si presenta, tutt'altro.
«La stavo accompagnando al suo alloggio per cambiarsi e mangiare, vieni?» domanda allegro il biondino, mettendo le braccia attorno alle spalle delle due ragazze e trascinandole senza neanche aspettare una risposta. Tanto a lui cosa importa? Quando prende una decisione è quella, e poco importa se ciò implica di far fare qualcosa alla sorella contro la sua volontà.
«Sai che fa parte dei pirati di Newgate?!» esclama tutto emozionato Kakashi, facendo sobbalzare appena la sorella. In fondo le ha urlato direttamente in un orecchio e considerato il suo finissimo udito è più che comprensibile.
«Immagino che per colpa tua adesso saranno preoccupati per lei.» risponde pacatamente, arruffandogli dolcemente i capelli.
«Per qualche ora di assenza, via...»
Akemi li guarda divertita, sorridendo dolcemente. La loro complicità, il loro legame evidentemente profondo, il loro amore espresso in ogni gesto, le riempiono il cuore di allegria e dolcezza. È raro vedere due persone volersi bene come evidentemente se ne vogliono loro, ed è più che sicura che il loro è un rapporto così stretto che neanche la morte stessa potrebbe spezzarlo.
'Mi ricorda vagamente quello che avevi con tuo fratello.' pensa allegramente, sperando di attirare l'attenzione del folle torturatore, cosa che effettivamente avviene.
«Un cazzo. Nessuno avrà mai un rapporto come quello che avevamo io e lui, scordatelo. Più forte della morte stessa, più malato della mente di un sociopatico e più profondo degli abissi.»
Si porta una mano a coprirsi la bocca, trattenendo a stento una sonora risata. Di tanto in tanto Týr ha delle uscire assurde, tanto da farle dubitare sempre di più sulla sua effettiva sanità mentale.
'Quanto sei poetico!'
«Vaffanculo.»
E con quel dolce insulto si chiude definitivamente la loro conversazione, cosa che in realtà non le dispiace per niente. Vuole godersi la compagnia dei due il più possibile e, soprattutto, vuole ingraziarseli più che può e avere il loro aiuto nell'assai probabile caso che i suoi adorabili fratelli provino a tirarle il collo per essere sparita tutta la notte senza dire niente a nessuno.
I due nel frattempo parlottano tra loro di una certa Arista e sui programmi che avevano per il pomeriggio, ma che Kakashi rifiuta categoricamente perché vuole accompagnare in spiaggia la nuova amica.
«Hai fatto un miracolo, sai?» le sorride dolcemente Sakura, incuriosendola «Non fa mai amicizia con nessuno. Non così velocemente, almeno.»
«Neanche io tendenzialmente do tanta fiducia agli sconosciuti.» afferma Akemi, sorridendo allegramente al ragazzo che le sorride di rimando «Ma tra noi c'è... aspetta, come l'hai definita? Ah, si: connessione spirituale!»
«Povera te! Non ti mollerà più!» scherza la bionda, scansando il fratello e prendendola a braccetto «Se ti dà qualche problema comunque non esitare a dirmelo. Sa essere piuttosto invadente a volte.»
Kakashi le fa la linguaccia, superandole con passo svelto e andando a curiosare tra le varie vetrine, soffermandosi soprattutto sulle gioiellerie. Ha sempre avuto un debole per gli anelli e ha tutta l'intenzione di prendersene uno nuovo da aggiungere alla collezione.
Le due ragazze lo raggiungono e lo trascinando via da tutto quello scintillio, ridendo di tutto cuore quando si mette a fare le bizze come un bambino.
'Si, sono decisamente due tipi interessanti.'

Nel frattempo, poco distante dal trio, i vari comandanti siedono ad un tavolo nell'ostello dove hanno passato la notte, uno più nervoso dell'altro per la sparizione della ragazza.
Non ne hanno ancora fatto parola con nessuno, soprattutto col capitano, per il semplice fatto che non volevano creare scompiglio e che una parte di loro pensava -o meglio sperava- che avesse trovato Satch e fosse rimasta con lui a far festa. Quando però il quarto comandante li ha raggiunti e ha saputo della cosa, hanno capito di essersi completamente sbagliati. Satch, dal canto suo, è diventato viola per la rabbia e c'è mancato poco che ribaltasse il tavolo e uccidesse il primo malcapitato che gli passava sotto tiro. In fondo si era raccomandato fino alla nausea di non allontanarsi e di non fare stronzate!
Solo l'intervento di Vista ed Ace lo hanno fatto ragionare. I due infatti hanno ipotizzato che sia semplicemente andata a divertirsi in qualche locale e abbia incontrato qualche gruppo di ragazzetti con cui passare il tempo, cosa in realtà vera.
Marco si è mostrato piuttosto indifferente alla cosa, mangiando pacatamente come al solito e limitandosi a qualche commento di tanto in tanto, nascondendo così alla perfezione il profondo disagio di cui è preda. Una parte di lui è terribilmente preoccupata per le sorti della ragazza, mentre un'altra è preda di una gelosia ingiustificata.
Dopo che Ace se ne è uscito con “avrò incontrato qualcuno con cui divertirsi” si è sentito andare a fuoco per la rabbia, mentre nella sua mente prendevano vita filmini di vario genere, uno dei quali comprendeva pure un'orgia con un gruppo di completi sconosciuti, motivo per cui se ne è stato zitto e muto per una buona mezz'ora.
«Ehi, eccola!» esclama all'improvviso Halta, facendo voltare le teste di tutti i presenti.
«E quelli chi sono?!» domanda un più che nervoso Satch, che se ne avesse il potere avrebbe già incenerito il biondino che tiene un braccio intorno alla vita della sua scapestrata sorellina.
Il trio nel frattempo si è diretto senza tante storie al piccolo bar presente nella sala, ignorando quasi completamente il gruppo che li guarda in cagnesco.
«Prendiamo qualcosa da bere?» domanda Kakashi sorridendo allegro, tamburellando con le dita sottili e affusolate sul vecchio legno del bancone.
«Kakashi, sono le undici di mattina!» lo riprende inutilmente la sorella, sperando di riuscire ad impedirgli di bere senza una particolare ragione. Perché gli può passare tranquillamente le sbornie disumane che prende alle feste, ma vederlo bere superalcolici di prima mattina così proprio no.
«Infatti, è già tardi.» afferma indifferente il ragazzo, voltandosi con un raggiante sorriso in volto verso il barista «Tre Bloody Mary.»
«Scoprirai che è inutile discuterci...» mormora esasperata Sakura alla corvina, facendola sorridere. Si volta poi verso il barista che sta già prendendo l'occorrente per l'ordinazione appena ricevuta, guardandolo con indifferenza «Ne faccia due.»
L'uomo annuisce e si affretta ad eseguire quanto richiesto dal giovane, ma, purtroppo per lui, non è abbastanza svelto per i suoi standard.
«Cazzo come sei lento!» sbotta infatti Kakashi, facendolo sobbalzare «Basta, faccio da solo.» afferma subito dopo, saltando agilmente il bandone e spingendolo via con un gesto brusco, cominciando a preparare velocemente la bevuta.
«Io vado un secondo dai miei compagni, prima che mi inceneriscano.» afferma sbrigativa Akemi, ricevendo un lieve segno di assenso dai due.
Si dirige velocemente dai fratelli, sorridendo con aria colpevole di fronte alle loro espressioni oltremodo indispettite.
«Dove sei stata?» le ringhia contro Satch, tenendo le braccia incrociate al petto e guardandola come se volesse polverizzarla con la sola forza del pensiero.
Akemi si gratta nervosamente la testa, sorridendo imbarazzata «Kakashi mi ha portata ad una festa, poi sono rimasta a dormire da lui.»
Marco rabbrividisce a quella risposta, mentre un forte desiderio omicida gli pervade ogni cellula del corpo. Se non fossero presenti tutti gli altri sarebbe già andato dal biondo alcolista che urla contro l'altra sconosciuta per zittirla e gli staccherebbe la testa dal collo.
«Tutto a posto?» le domanda prontamente Izo, facendo saettare lo sguardo dalla compagna al biondino che sta già bevendo, seduto sul bancone del bar.
«Tranquillo.» risponde Akemi, sorridendogli allegra, cercando di capire dal suo sguardo se è già uscito con la sua migliore amica o meno. Dal momento che però l'espressione del sedicesimo comandante è completamente indecifrabile, decide semplicemente di andarsene, richiamata anche dalla voce allegra del nuovo ed eccentrico amico.
«Adesso, con il vostro permesso, noi saliamo in camera mia. Devo assolutamente togliermi questi vestiti di dosso. Puzzano di fumo, sudore e vomito.»
Blamenco avvicina il viso ai suoi vestiti e prova a sentire il fetido odore da lei descritto, ma non ci riesce proprio. Cioè, forse un po' per il fumo, ma per il resto proprio no.
«Io non sento niente.» afferma confuso, guardandola come se fosse impazzita tutto in un colpo.
«Tu non hai il mio olfatto.» gli risponde sorridendo allegra, dandogli pure un fugace bacio sulla guancia per tranquillizzarlo. Tra loro in realtà non c'è mai stato un grandissimo rapporto, ma è comunque suo fratello ed era preoccupato per lei, quindi un po' di attenzioni se le merita.
Raggiunge velocemente gli amici sotto il loro sguardo attento e, prima di sparire su per le scale, urla semplicemente «A dopo!»

Dopo circa mezz'ora di chiacchiere, durante il quale i due drink sono stati bevuti fino all'ultima goccia, il trio se ne sta stravaccato sull'ampio letto della ragazza, parlando di tutto e niente, finché Akemi non si alza a sedere di scatto, sgranando gli occhi impaurita.
«Oddio, sta succedendo di nuovo!» esclama, portandosi le mani alla testa, in preda ad una quasi crisi isterica.
«Cosa?» le domanda prontamente Sakura, avvicinandola e mettendole una mano sulla spalla per calmarla.
«Comincia con un fremito alla bocca dello stomaco, ma poi sgorga nell'apparato digerente e si deposita in gola. Arriva al cervello attraverso le narici, oppure sfruttando gli occhi, poi tutto si fa buio e vedo Demoni selvaggi brillare agli angoli della stanza!» risponde tutto in un fiato la corvina, gesticolando come impazzita.
«Demoni?» domanda stranita la bionda, lanciando un'occhiataccia al fratello comodamente sdraiato sul materasso. Un brutto presentimento l'assale, ma prima di lanciare accuse decide di ascoltare quello che la corvina ha ancora da dire.
«Gli occhi mi si appannano, la lingua si secca e poi si appiccica tutta al palato!»
«Questa potrebbe essere... la paura!» afferma con una certa indifferenza Kakashi, attirando così lo sguardo delle due ragazze.
«La paura?»
«Si. Per caso si apre un pozzo senza fondo dove brucia un fuoco torrido nel mezzo della stanza?» le domanda guardandola seriamente per la prima volta, mettendosi finalmente a sedere con le spalle appoggiate al muro.
«Si...»
«La paura! A quel punto vedi conigli giganti che spuntano da sotto il tappeto che tengono una rivista di giardinaggio fai da te in una mano e una grossa falce nell'altra?» insiste, mentre la sorella assottiglia lo sguardo, trattenendosi con tutta sé stessa dal saltargli alla gola e ridurlo in poltiglia a suon di pugni.
«Oddio, si! Allora anche a te viene la paura!» esclama Akemi, quasi urlando.
«Si.» risponde semplicemente il ragazzo, decidendo di vuotare completamente il sacco «Può dipendere da un calo di zuccheri, stress... o dall'LSD che abbiamo preso prima.»
«LSD? Quale LSD?!» sbotta Sakura, mentre Akemi assume un'espressione a dir poco sconcertata. Si era promessa di non assumere mai droghe o robaccia simile, e invece l'ha fatto in pieno, seppur involontariamente.
«L'ho messo nel Bloody Mary.» risponde un più che pacato Kakashi, trattenendosi dallo scoppiare a ridere di fronte all'espressione sempre più stralunata della nuova amica.
«Per quale cazzo di motivo l'avresti fatto?!» gli urla contro la sorella, scattando in piedi come una molla e cominciando a camminare nervosamente per la stanza. Le mancavano solamente una coppia di immortali instabili e allucinati!
«Così, per movimentare un po' la giornata.» risponde onestamente il biondo, sorridendole con quell'aria furbetta che solo lui può avere.
«E ora che faccio?!» strilla Akemi, portandosi le mani tra i capelli.
«Ti godi lo sballo?» domanda sarcasticamente Kakashi, completamente a suo agio e ben lontano dall'essere pentito per averle dato un allucinogeno.
«Io mi tolgo di torno.» ringhia a denti stretti la maggiore, uscendo dalla stanza sbattendo con forza la porta.
Non aveva però preso in considerazione la possibilità di trovare il gruppo di pirati ancora al tavolo, e ancor meno aveva preso in considerazione la possibilità che volessero parlarle.
Quando però queste due possibilità si realizzano e le domande cominciano a diventare spinose, come per puro esempio come mai se ne è andata e cosa stanno facendo i due ragazzi da soli in camera, decide semplicemente di mostrarglielo, non sapendo quanto la situazione sia degenerata in quindici minuti scarsi.

«Shh! Ascolta!» esclama Kakashi, ben nascosto dietro alla barricata improvvisata che hanno fatto per nascondersi.
«Cosa?» mormora Akemi, nascondendosi ancora di più dietro al tavolo che hanno ribaltato e sistemandosi la pianta sulla testa che ha deciso di usare come elmo, stringendo saldamente in mano la lampada usata come arma.
«Si sta avvicinando...» mormora Kakashi, assottigliando lo sguardo e guardando con attenzione la stanza completamente messa sotto sopra. Quando le donne delle pulizie entreranno a sistemare probabilmente bestemmieranno in qualsiasi lingua conosciuta e ne inventeranno pure di nuove, ma questa è un'altra storia.
«Chi?!» domanda Akemi, cercando di ricordare per quale ragione si sono nascosti e chiedendosi pure come mai il ragazzo ha sulla testa un suo reggiseno, capendo velocemente che è bene non farsi domande del genere se non si vuole incappare in un doloroso mal di testa.
«Charlie...» bisbiglia in risposta Kakashi, lanciando un vaso dall'altra parte della stanza nella ferrea convinzione che sia una granata.
«Charlie il criceto?»
«Si... quel piccolo bastardo con la sua armata di lumache mutanti! Sono ormai ad un chilometro da qui.»
«Ho capito...» Akemi comincia a guardarsi intorno con aria circospetta, non riuscendo a capire dove veda i tanto temuti nemici, decidendo infine di farselo spiegare «Dimmi un po', come fai a saperlo? Io non vedo nessuno!»
«È il peggior nemico sulla faccia della terra: quello che non si vede.» risponde con ovvietà il biondo, facendola annuire con convinzione.
«Vero...»
«Dimmi esattamente dov'è che non vedi nessuno.» ordina con tono autoritario, mentre lancia l'ennesimo oggetto per respingere dei nemici che solo lui vede.
«Allora: non vedo nessuno là... non vedo nessuno là... e, a meno che non mi sbagli di grosso, non vedo nessuno neanche là!» risponde la ragazza, indicando ogni angolo della stanza.
«Sai cosa significa?» le domanda con un certo timore Kakashi, nascondendosi dietro alla barricata.
«Cosa?»
«Che siamo circondati!» quasi urla, prendendo i cuscini squarciati e lanciandoli in ogni direzione, colpendo involontariamente il secondo comandante in faccia.
I due drogati infatti non si sono neanche resi conto della presenza degli uomini alla porta e hanno continuato imperterriti a difendersi contro le allucinazioni di Kakashi.
Sakura volta semplicemente la testa verso il primo comandante, immobile al suo fianco.
«Vi avevo detto che era tutto sotto controllo.» afferma con indifferenza, provando a farli uscire. Non le piace molto la compagnia del fratello quando è sotto l'effetto di qualche sostanza stupefacente, per il semplice fatto che diventa troppo imprevedibile e decisamente incontrollabile, soprattutto con lei. Con Arista meno, dal momento che la rossa non si fa alcun problema a picchiarlo al punto di ridurlo in fin di vita.
«Questo per te è sotto controllo?!» le urla contro Marco, scrollandosi le sue mani di dosso in un gesto brusco e sgarbato.
«Normale routine.» risponde pacata la bionda, realmente dispiaciuta per l'accaduto «Resteranno sicuramente qui dentro, ma se volete stare più tranquilli posso chiamare un'amica che li tenga sotto controllo.»
«Ci penso io.» afferma con tono duro -per non dire proprio incazzato- Fossa, provando ad entrare nella stanza.
Sakura lo blocca al volo, afferrandolo per un braccio e tirandolo all'indietro come se fosse un bambino, dando involontariamente mostra della sua incredibile forza fisica.
«No.» afferma con tono duro, guardandolo dritto negli occhi «Quando Kakashi è in questo stato è bene che abbia intorno persone che conosce, sennò diventa aggressivo.»
Li spinge tutti fuori dalla stanza ed estrae un piccolo lumacofono dalla borsa, facendo loro segno di allontanarsi. Dentro è furiosa con il fratello per i suoi atteggiamenti irresponsabili, ed è più che decisa a fargli un bel discorsetto quando si riprenderà dal trip. Sarà completamente inutile e ne è consapevole, ma forse riuscirà a farlo ragionare quel tanto che basta da convincerlo a non mettere a repentaglio la vita di altre persone senza ragione.
«Forza, chiamo la mia amica. Andate al ristorante in fondo alla strada, vi offro il pranzo.» afferma con tono gentile ai vari pirati, decisa a farsi perdonare in qualche modo.
I vari uomini annuiscono poco convinti, continuando a guardarla in modo truce, per poi dirigersi tutti insieme verso il ristorante, discutendo animatamente tra loro su quale sarà la tortura più adatta da infliggere a quella piccola deficiente che hanno cresciuto.

Il Sole risplende alto nel cielo.
Nell'aria aleggia un dolce profumo di fiori, frutta e carne alla griglia.
Sulla spiaggia le persone prendono il sole o giocano a pallone, ridendo, scherzando e ballando al ritmo della musica allegra che i vari chioschi fanno risuonare per tutta la zona.
Barbabianca se ne sta all'ombra di un grosso ombrellone, affiancato dalle infermiere e dai figli che hanno ingerito un Frutto del Diavolo. Gli altri giocano in mare, tuffandosi e provando ad affogarsi a vicenda, inscenando una furiosa battaglia fatta di schizzi e alleanze improbabili. Akemi, per esempio, si è alleata con Namiur, mentre Vista e Satch hanno stretto un'alleanza micidiale con l'eccentrico biondino.
Quando poche ore prima li hanno visti spuntare nel ristorante in cui Sakura li aveva portati a mangiare, erano rimasti a dir poco shockati nel vederli perfettamente lucidi, come se non si fossero calati neanche due ore prima un acido a testa. Sakura ha spiegato loro, in un modo molto vago e assai poco esauriente, che quel genere di cose non hanno effetti prolungati su di loro e che per questo non si dovevano preoccupare.
Ovviamente nessuno di loro ha osato dire al capitano cosa aveva combinato quella schizzata di Akemi, evitandole così delle botte sicure ed evitando pure che l'adorato genitore si rovinasse la breve ma rilassante vacanza.
«Satch, blocca Namiur! Io e Vista pensiamo ad Akemi!»
Barbabianca scoppia in una cavernosa risata nel sentire le urla sguainate del ragazzino che adesso è stato sbalzato all'indietro dall'ottavo comandante, e ride ancora di più quando lo vede riemergere ridendo come un indemoniato.
«ANCORA! ANCORA!»
Tutti osservano con un certo stupore quel gracile ragazzino che corre in acqua e si fa lanciare di nuovo in aria dall'uomo pesce, completamente privo di paura o di imbarazzo nel trovarsi di fronte a uomini di quel calibro.
Quando, un'oretta prima, si era trovato faccia a faccia con nientepopodimeno che Barbabianca in persona, li aveva stupiti tutti quanti, uscendosene con un “ma le scarpe te le fanno su misura?”.
Inutile dire che pure il grande capitano è rimasto piuttosto sorpreso da quell'uscita ed è poi scoppiato a ridere di gusto di fronte all'espressione allegra e curiosa del nuovo amico della sua adorata figlia, dandogli semplicemente una pacca sulla spalla.
Marco, seduto al suo fianco, non ha staccato neanche per un secondo gli occhi da quel moccioso irrispettoso, e nella sua mente passa a rassegna ogni singolo metodo di tortura che conosce, profondamente indeciso su quale sia il più adatto da mettere in atto su di lui.
Già il fatto che abbiano dormito insieme dopo essersi sballati in discoteca l'ha mandato in bestia oltre ogni immaginazione, ma vederli adesso che si abbracciano e giocano come due bambini proprio sotto al suo naso... beh, non c'è un termine preciso per poter definire quello che prova. C'è gelosia, tanta, rabbia, ancora di più, ma anche dell'altro, come una specie di senso di inferiorità di fronte all'immagine tanto ammaliante di quel moccioso.
Quando, prima di buttarsi in acqua, si era sfilato la maglietta di dosso e aveva rivelato il fisico snello con i muscoli delineati, messi in risalto dalla carnagione pallidissima e delicata, si è sentito per un istante sminuito. Non ci ha badato molto, finché Akemi, fasciata in un bikini striminzito blu scuro con delle fantasie nere, gli si è avvicinata e gli ha fatto vedere chiaramente quanto quei due siano indecentemente belli. Si, indecentemente, perché c'è modo e modo di essere belli, ma loro sembrano calamitare su di sé pure i caldi raggi del Sole.
Vederli adesso mentre scherzano tra di loro, mentre si guardano con intesa e si completano le frasi a vicenda, beh... è semplicemente troppo per lui.
Nota però con estremo dispiacere che il capitano è completamente indifferente alla cosa, ma che anzi continua a ridere di tutte le sciocchezze che il moccioso spara in continuazione, dei vani tentativi di Akemi di atterrarlo per riempirlo di sabbia, finché di colpo il biondo di blocca e punta lo sguardo da un lato, sorridendo raggiante ad un'avvenente rossa che ancheggia nella loro direzione.
«Arista!» strilla con allegria, lasciando per terra la nuova amica per correre in contro alla ragazza, che lo blocca con una mano prima che possa stritolarla in un soffocante abbraccio.
Sia chiaro, è molto felice di vederlo di nuovo allegro e non più in lutto, visto e considerato che era uno strazio vederlo aggirarsi ovunque come un spettro, coperto fin sulla testa con una coperta con degli orsetti ricamati, ma non ha alcuna intenzione di farsi abbracciare. È felice? Benissimo, però alla larga comunque.
«Per oggi passi, ma stasera dai il cambio a tua sorella e a Mimì.» afferma duramente la rossa, stando ben attenta a non farsi sentire neanche dall'udito assai sensibile di Akemi, che sbuffa innervosita dal fatto di non riuscire a capire cosa si stiano dicendo.
«Devo proprio?» si lamenta prontamente il biondo, sfoggiando due tenerissimi occhioni da cucciolo.
«Si.» risponde secca Arista, sorridendogli malignamente «Il Mietitore è venuto a controllare come stanno andando le cose. Vuole fare pulizia il prima possibile. Adesso sta dando man forte a tua sorella e agli altri due, mentre Freya perlustra la zona e Genma si occupa delle navi che attraccano. Sei libero fino a stasera, durante il quale mi è stato ordinato di tenerti sott'occhio, poi dovrai dare il cambio.»
«Hidan chi lo sostituisce?» domanda incuriosito, grattandosi distrattamente il mento liscio e vellutato.
«Nessuno, lui resta. Sai bene che da quando ha perso il braccio è diventato molto più aggressivo e tende a rimanere sul campo finché ce n'è ancora uno in grado di respirare.» risponde pacatamente la rossa, salutandolo sbrigativamente con un cenno della mano mentre si allontana, chiudendo così quella che per lei è stata un assai fastidiosa conversazione. Per lei Kakashi è troppo esuberante e decisamente troppo sopra le righe per poterlo sopportare, quindi tenta sempre di evitare di passare del tempo con lui, a meno che questo non sia strettamente necessario.
Il biondo, nel frattempo, è tornato con passo svelto verso il numeroso gruppo, ascoltando in silenzio le loro chiacchiere e ridendo alle loro battute, giocherellando nel frattempo con una ciocca di capelli di Akemi.
Si è accorto degli sguardi decisamente poco amichevoli che gli rivolgere il primo comandante e non riesce a non trattenere dei sorrisi derisori e, tanto meno, non riesce a trattenersi dall'abbracciare Akemi e mormorarle sciocchezze nelle orecchie. L'odore della rabbia e della gelosia gli è sempre piaciuto da impazzire, tanto quanto quello del sesso, ma non tanto come quello della paura. Ecco, quello lo manda davvero in orbita.
«Senti cara, perché non andiamo a fare spese?» le domanda di punto in bianco, stendendosi al suo fianco a pancia all'aria, prendendo una mano tra le sue e intrecciando le loro dita molto lentamente, sotto lo sguardo sempre più alterato del comandante.
'Quanto è divertente far incazzare la gente!' pensa entusiasta, facendo nuovamente la faccia da cucciolo quando nota che la nuova amica è indecisa sul da farsi, convincendola così in pochi secondi. In fondo nessuno sarebbe mai capace di resistere di fronte al suo visetto triste da cucciolo abbandonato. Era con questo trucchetto che, da ragazzino, commetteva i suoi primi e assai fruttuosi furti ed omicidi.
«Va bene, ma smettila di guardarmi così!» esclama ridendo, puntando subito dopo un dito contro Halta «Tu vieni con noi!»
«Non ci sperare.» si sistema meglio sul proprio asciugamano, godendosi i raggi del Sole che le baciano dolcemente la pelle, mentre, senza farsi vedere da nessuno, Izo giocherella con la punta delle sue dita da sotto la sabbia.
«Ohhh, tu vieni eccome! Dobbiamo parlare di una certa questione, ricordi? Non vorrai mica che mi sieda qui, con un bel cocomero fresco e cominci a farti domande?» la minaccia prontamente Akemi, sorridendole con aria arrogante e decisamente bastarda.
Sa che ad Halta questo genere di cose non piacciono per niente, ma almeno una volta vorrebbe andare a far spese con la sua migliore amica. Le scoccia dirlo davanti a tutti, e Halta lo sa bene, quindi ricorre a questi subdoli ricatti da quattro soldi.
La comandante sbuffa sonoramente e si alza di scatto, legandosi un lungo pareo verde dietro al collo per coprirsi completamente e si mette le infradito ai piedi, venendo imitata velocemente anche dall'insistente sorella.
«Questa me la paghi.» le ringhia contro mentre si allontanano dal gruppo, facendola ridacchiare.
«Dopo che mi avrai raccontato di ieri sera!» risponde elettrizzata la corvina, venendo raggiunta velocemente da Kakashi.
«Appuntamento galante?» domanda incuriosito, facendo sporgere la testa oltre la spalla della ragazza.
Halta, seppur con un certo imbarazzo, annuisce appena con la testa, facendolo sorridere raggiante.
«Allora i dettagli li voglio anche io, soprattutto se sono particolarmente sconci.» afferma convinto, ricevendo in risposta degli sguardi assai contraddetti dalle due «Che c'è? Sono in astinenza da più di un mese, così mi rifaccio con i racconti degli altri.»
Halta non riesce a trattenere una forte risata, così come Akemi, e, dopo quella bizzarra risposta, decide di accontentarlo «Mi dispiace deluderti, carino, ma c'è stato solo un bacio a stampo.»
Kakashi si blocca in mezzo alla strada, scuro in volto.
«Cosa?» ringhia a denti stretti, facendole ridere di gusto «Non c'è niente da ridere! Il sesso è forse la cosa più bella che si può fare e voi non la fate! Mavvia, eh! Tu hai il bel moretto, tu invece il... il coso biondo!»
«Coso?» domanda Akemi, trattenendo l'ennesima risata.
Pure Halta, in quelle poche ore in cui è stata in sua compagnia, si è resa pienamente conto che con quel pazzo è impossibile non divertirsi.
«Si, non mi piace. Meglio il ragazzo di fuoco. O anche quello con la cicatrice e i capelli strani!»
Akemi gli mette un dito sulla bocca per zittirlo e lo afferra subito dopo per un polso, trascinandolo senza sforzo dentro al primo negozio di abbigliamento che le capita sotto tiro.
«Bene, volevi fare spese? Accomodati!» esclama, dandogli una lieve spinta, non rendendosi conto di quanto questo suo gesto le si rivolterà contro.
«Cosa? Scelgo io per voi? Cazzo, quanto ti adoro!»
Akemi e Halta si guardano per qualche secondo dritto negli occhi, per poi abbandonarsi ad una fragorosa risata di fronte alla vista dell'eccentrico biondo che impartisce ordini a destra e a sinistra.
Si mettono poi comodamente sedute su due poltrone di velluto rosso e in pochi minuti vengono serviti loro due calici pieni di champagne, ovviamente ordinato dal biondo.
«Potrei abituarmici...» mormora Halta, osservandolo mentre fa volare in aria vestiti su vestiti, ne abbina altri, prende degli accessori e li accosta con cura «Sicura che non sia gay?»
«Bisessuale.» risponde con un filo di voce Akemi, bloccando qualsiasi commento da parte dell'amica con un'alzata di mano «Non abbiamo fatto proprio un bel niente, ok? Stai tranquilla.»
Kakashi nel frattempo ha trovato il vestito che considera più adatto per Halta: un abito corto al ginocchio di un verde acceso, che lascia la schiena in parte coperta.
Dopo averla osservata un po' ha capito che questo è il massimo che riuscirà a farle indossare, quindi si accontenta e afferra un paio di sandali marroni, con delle piccole borchie sui lacci che s'intrecciano alle caviglie.
«Tieni, provati questo.» ordina convinto, passandole gli oggetti e spingendola di peso verso il camerino, ignorando deliberatamente le sue lamentele e gli insulti assai fantasiosi che gli rivolge.
Akemi se la ride di gusto, quasi piegata in due di fronte a quella scenetta, ma si ricompone di colpo quando una giovane donna dai foltissimi capelli rosso sangue l'avvicina, sedendosi sulla poltroncina che prima occupava l'amica.
Si ammutolisce di fronte al suo sguardo freddo ed inespressivo, quasi folgorata dagli occhi di ghiaccio, glaciali e profondi.
«Sei molto bella, sai?» afferma la rossa, continuando a scrutarla con attenzione, imprimendosi nella mente ogni dettaglio. Arriccia un poco il naso quando nota i troppi tatuaggi che adornano la sua pelle candida, contraria a quel genere di cose.
Lei ne ha uno in mezzo alle scapole, è vero, ma l'ha fatto per una ragione ben precisa: per il suo Sire.
«Ti conosco?» mormora incerta Akemi, arretrando involontariamente con il busto, come se il suo subconscio le stesse suggerendo di scappare a gambe levate da quell'avvenente e alquanto gelida donna. Quando poi si accorge delle due daghe incrociate dietro la schiena, sente un brivido lungo la spina dorsale.
'Che anche lei voglia provare ad uccidermi?'
«Mi chiamo Arista.» si presenta la rossa, senza cambiare minimamente espressione. Allunga semplicemente un braccio verso di lei e le porge un sottile braccialetto d'oro bianco, su cui è incisa la lettera 'G'.
«Dallo a Kakashi e digli di starci più attento.» detto questo si alza con grazia ed esce dal negozio, silenziosa come era entrata.
Akemi la guarda ancheggiare per la strada come ipnotizzata, seguendone attentamente ogni movimento, finché Kakashi non spunta alle sue spalle, facendola sobbalzare come un gatto.
«Che voleva?» le domanda incuriosito, sorridendo come un bambino quando la ragazza gli porge il gioiello «Lo perdo in continuazione!» esclama con un finto imbarazzo, indossando velocemente il braccialetto a cui è tanto legato.
«È normale che mi guardasse come se volesse sbranarmi?» domanda incerta Akemi, inarcando un sopracciglio.
«Si, Arista è fatta così. Non temere, ti stava solo osservando. Ha sempre avuto un debole per le corvine.» spiega sovrappensiero, notando un certo smarrimento nello sguardo dell'amica. Sorride divertito, prendendole il mento tra le dita pallide e affusolate, portandola così a pochi centimetri dal proprio «Le piacciono le donne, si. Ma non preoccuparti, non ti toccherà. È fidanzata da più di una vita... si limita solo a qualche commento di tanto in tanto, ma niente di più. Adesso scusami, ma devo trovare dei vestiti per te.»
«No, caro: sono già piena di vestiti!» lo blocca immediatamente Akemi, afferrandolo per un polso e costringendolo a girarsi.
«Allora perché hai accettato di venire a fare spese?» le domanda confuso il biondo, aggrottando le sopracciglia.
«Così, per fare un giro.» risponde onestamente, alzandosi finalmente in piedi e camminando per l'ampio negozio con sguardo attento «Però un paio di scarpe le compro volentieri.»
«Allora le scelgo io! A guardarti sembri una che si veste sempre di nero.» afferma convinto Kakashi, cominciando a curiosare tra i vari modelli alla ricerca di un paio che attiri abbastanza la sua attenzione. Non deve essere troppo vistoso, ma deve avere comunque un colore acceso, e non devono essere basse, ma neanche tanto alte da risultare fastidiose o difficili da portare.
«Mi piace il nero. Qualcosa in contrario?»
«Proprio no. È un colore che non passerà mai e che dona sempre. Però le scarpe sono fondamentali e ci si può giocare quanto si vuole.» le risponde distrattamente, trovando finalmente il paio adatto a lei: tacco sedici piuttosto sottile, plateau abbastanza alto in modo che non crei nessun disagio, di un bel blu acceso.
«Mh, possono andare.» sorride allegramente all'amico e subito si dirige verso la commessa per farsi dare il numero, che le viene dato pochi minuti dopo.
Quando anche Halta è uscita dal camerino, biascicando a mezza bocca che vanno bene, Kakashi le sorprende di nuovo pagando per tutte e due.
«Ma sei matto?!» gli urlano contro le due, facendolo sorridere divertito.
«Con il lavoro che faccio posso permettermi quello che voglio.» risponde semplicemente, suscitando in entrambe una forte curiosità.
«Che lavoro fai?» gli domanda Halta, notando un cambio di espressione repentino: se prima era allegro e solare, adesso è freddo e serio, tanto da metterla leggermente in allarme. Nota anche che si ricompone in pochi secondi, come se avesse paura di essere smascherato, e rabbrividisce di fronte al suo sorriso evidentemente falso.
«Spacciatore.» afferma con voce sicura, mentendo spudoratamente. La cosa strana sta nel fatto che Akemi non senta alcuna variazione nel suo battito cardiaco, e la cosa in realtà la insospettisce un po': anche quando correva o riemergeva dall'acqua il suo battito era perfettamente regolare.
«Sentite, io adesso andrei a farmi una dormita sennò stasera sono a pezzi. Vieni a prendermi alle undici?» le domanda sorridendo allegro, facendola riprendere dai suoi pensieri.
«Certo, va bene.» 'Sono troppo paranoica. Kakashi è ok, non devo essere così sospettosa. Poi, cazzo, sono una piratessa e sulle mie mani scorrono litri di sangue, come posso giudicare il suo lavoro?'
Le due ragazze tornano all'ostello, dove Akemi riceve una sconcertante notizia: la sua stanza è stata cambiata e tutte le sue cose sono state spostate.
Per un attimo l'idea di uccidere la donna che adesso le sta porgendo la nuova chiave diventa incredibilmente allettante, ma poi si ricorda del macello in cui era immersa la stanza quando è uscita e decide di lasciar perdere.
La nuova camera è più piccola delle precedente, con un arredamento essenziale e discutibile. Ma non è questo ad infastidire pesantemente Akemi, no. Quello che veramente la urta è il fatto che le sue cose siano sparse a destra e a sinistra. Per sua fortuna lo zaino è stato appoggiato sul divano e le preziose bottiglie al suo interno sembrano intatte. Anche perché se così non fosse, primo farebbe una strage, secondo poi il divano sarebbe imbrattato di rosso, quindi può escludere che sia successo qualcosa di male.
Lo afferra con mano ferma e, stando ben attenta a non far urtare gli oggetti al suo interno, lo nasconde sotto al letto matrimoniale, mentre Halta l'aiuta a mettere un po' di ordine. In fondo la comandante è a conoscenza delle sue manie, tra cui quella di dover avere tutto sempre in ordine.
«Cosa ne pensi di Kakashi?» le domanda di punto in bianco Akemi, notando con un certo dispiacere l'espressione stranita della maggiore.
«Che è strano?» butta lì, sperando che come risposta possa bastare. Ma quando si accorge dell'espressione della corvina, che silenziosamente le chiede una risposta più accurata, decide di vuotare del tutto il sacco e di rivelarle le sue preoccupazioni «Non so, Akemi. Sento che non ci ha detto tutto, che sta nascondendo qualcosa di grosso
«Ho avuto anche io questa impressione...» si blocca un attimo, passandosi una mano tra i capelli, per poi sganciare il nodo del pareo e rimanere così in costume. Alza poi gli occhi sull'amica, mettendola in guardia così come ha fatto l'omino nella sua testa «Týr si è raccomandato di non fargli sorgere dei sospetti perché diventerebbe violento. Quindi, per favore, comportati in modo naturale con lui e basta. Resta con gli altri e vedrai che andrà tutto bene.»
«Tu ti fidi di lui, vero?» le domanda a bruciapelo Halta, sperando in una risposta negativa. In fondo come potrebbe fidarsi di una persona di cui ha dei sospetti? Nella sua breve ma intensa vita ha già avuto più volte la prova che non deve fidarsi degli sconosciuti, soprattutto se questi ti sembrano poco raccomandabili.
«All'inizio no. Pensavo che volesse uccidermi. Ma poi... non so. Ci parlo bene, mi diverto con lui... non mi guarda come se fossi un mostro come invece fa il resto della gente che incontro.» risponde con tono pensieroso Akemi, abbassando lo sguardo con un certo imbarazzo. Neanche lei riesce a spiegarsi perché sente questo strano attaccamento all'eccentrico ragazzo, pur rendendosi conto da sola che è dannoso.
Halta sospira rumorosamente, accettando a malincuore la faccenda. In fondo non deve essere facile sentirsi costantemente un mostro, un errore. Quando le capitò di assistere ad una specie di crisi esistenziale di Ace ci pensò un po', ma non aveva mai realmente affrontato la cosa come da quando Akemi è entrata nella sua vita.
«Basta che stai attenta, ok?» si raccomanda continuando a piegare i vestiti, senza neanche guardarla. Non vuole che capisca che è dispiaciuta per lei, che prova un po' di compassione nei suoi confronti. Sa bene quanto questo la innervosisca.
«Puoi giurarci sorellona.» risponde sorridendo allegramente la corvina, buttando sul divano un giacchetto di jeans e stiracchiandosi la schiena e le braccia «Senti, quasi quasi dormire anche io un paio d'ore. Dici tu ai ragazzi che alle undici dobbiamo trovarci tutti insieme al Neon?»
«Proverò a convincerli, ma non ti prometto niente.» le risponde con indifferenza la comandante, prendendo le sue buste e dirigendosi verso la porta, venendo però prontamente bloccata dall'amica.
«Ohhh, andiamo! È il locale più figo di tutta Namba! Tu non ci sei stata, non sai come ci si diverte! Tu buttagliela giù pesante, usa ogni trucco che ti viene in mente, ma portaceli!»
«Va bene! Va bene!» urla, alzando le mani in alto in segno di resa. Si trova pure a sorridere di fronte all'espressione eccitata della ragazza, come se stesse morendo dalla voglia di tornarci per mostrare qualcosa. In effetti un po' la cosa la insospettisce, quindi pensa bene di indagare un pochetto «Che ti metterai?»
«Un vestito corto nero, leggermente scollato e i tacchi che mi ha comprato Kakashi.» risponde sorridendo trionfante la minore, facendo una piroetta su sé stessa.
«Non esagerare, eh!» scherza facendole l'occhiolino la maggiore, scompigliandole i capelli e uscendo con passo calmo dalla stanza, pronta ad andare nella propria per farsi una lunga doccia per togliersi il salmastro di dosso «A dopo sorellina!»

Finalmente è giunta la tanto attesa sera.
I vari comandanti sono già usciti per andare al locale, uno più svogliato dell'altro, mentre Akemi quasi corre verso l'albergo di Kakashi.
Si è preparata in fretta e furia, lavandosi alla velocità della luce e truccandosi praticamente per strada. I capelli si sono asciugati da soli, prendendo così una piega selvaggia.
Avrebbe voluto prepararsi al meglio, farsi un trucco sofisticato ed elegante, ma era rimasta addormentata. Inutili sono stati i richiami dei compagni, tanto il suo sonno era profondo.
Ora si trova quasi in ritardo per l'appuntamento, con gli occhi cerchiati da una pesante linea nera e le labbra dipinte di un intenso rosso sangue.
Nella sua mente non pensa più che si è sicuramente bruciata la possibilità di far colpo su Marco, ma pensa solamente al fatto che adesso Kakashi le farà sicuramente delle storie. Perché lui è decisamente maniacale per questo genere di cose e non rimarrà in silenzio di fronte al suo aspetto quasi anonimo.
In realtà la nostra Akemi ci ha preso solo per metà: perché è vero che il biondo modaiolo non rimarrà zitto di fronte al suo abbigliamento, ma non starà a fare una vera e propria ramanzina.
Una volta entrata nell'hotel, dove si rende conto di essere fissata con una punta di nervosismo dagli addetti ai lavori, corre dentro l'ascensore e quasi rompe il pulsante che la porterà all'ultimo piano per la forza che impiega nel premerlo.
Si accascia contro la parete per riprendere fiato, osservandosi poi nello specchio al suo lato.
'Sembro una tossica.' pensa con una punta di rammarico, sistemandosi alla meglio il vestito e i capelli, notando che tutto sommato come stile non le dispiace. In fondo è piena di tatuaggi, un trucco pesante come quello che ha adesso non è del tutto sbagliato.
Una volta che l'ascensore giunge al piano desiderato, bussa con forza alla porta dell'amico, aspettando impazientemente che le apra. In cuor suo prega che sia già pronto, perché non riesce proprio a sopportare l'idea di arrivare troppo in ritardo.
Kakashi spalanca di colpo la porta in modo molto teatrale, con un sorriso furbetto che va da un orecchio all'altro, cosa che non le piace per niente.
«Cambio di programma!» urla a pieni polmoni, facendole vibrare i timpani. Per un breve istante si domanda dove trovi tutta questa energia, come diavolo faccia ad essere sempre così dinamico ed incredibilmente attivo, ma poi il suo cervello elabora la sua affermazione e il sangue le si gela nelle vene.
«Cosa?!» urla di rimando, entrando come una furia nella sua camera e sbattendo violentemente la porta.
«Si! Arriveremo un pochino in ritardo, perché devi cambiarti i vestiti!» risponde sempre con quel maledetto sorriso Kakashi, afferrando una busta nera con appeso un piccolo fiocco rosa cipria e porgendogliela da vero gentiluomo come si considera. In realtà di gentiluomo ha davvero poco, ma lui vede tutto in modo molto relativo, quindi c'è poco da discutere.
«Scherzi, vero?»
«Ho la faccia di uno che scherza?» risponde indicandosi il viso con l'indice, sfoggiando così un anello d'oro bianco e piccoli diamanti incastonati «No, oggi mentre tornavo in albergo ho visto un paio di cose e te le ho comprate. Vai a metterteli, il bagno sai dov'è.»
Akemi lo guarda incerta per qualche secondo, per poi fargli un sorriso emozionato e strappandogli velocemente la busta di mano. Stacca il fiocchetto velocemente, curiosa di vedere cosa le ha comprato, rimanendo di sasso quando apre e si rende conto di qual è il contenuto.
«Stai scherzando...» mormora sconcertata, alzando di scatto gli occhi su di lui.
«Dai, non rompere! Ho un piano!» le sorride emozionato Kakashi, prendendole la busta di mano e sventolandola per aria «Il coso biondo è geloso del nostro rapporto, se tu non te fossi resa conto. Se ti vede arrivare vestita così andrà fuori di testa già di suo, ma quando vedrà che arriverai in ritardo vestita così con me... beh: BOM
«Si, ti picchieranno in massa.» afferma con tono esasperato, massaggiandosi le tempie.
In effetti la tentazione di fare come dice lui e di mettersi quegli assurdi “vestiti” l'attira parecchio, ma la consapevolezza che i suoi fratelli non la prenderanno esattamente bene la confonde.
«So difendermi a dovere.» risponde con tono stizzito Kakashi, mettendole il pacchetto in mano con un gesto brusco e dirigendosi verso l'ampio e sfarzoso divano, su cui si butta a peso morto «Dai, mettilo. Sarà divertente!»
Quando, alzando lo sguardo, la vede ancora titubante sbuffa sonoramente, non abituato a tanti tentennamenti, e scherzosamente le lancia addosso una caramella che prima giaceva in un piccolo vassoio d'argento poggiato sul tavolo che ha di fronte.
«Se non riesci a conquistarlo ti offro da bere tutta la sera! Poi, se tu fossi un po' più sveglia, faresti un po' di sano sesso con Pugno di Fuoco!» afferma più che divertito, sfoggiando un sorrisetto malizioso e al contempo scherzoso.
«Senti, se li metto, la fai finita di dire cazzate?» cede infine Akemi, passandosi nuovamente una mano tra i capelli. Ormai si è convinta che se continuerà a ripetere tanto spesso questo gesto alla lunga diventerà calva, ma ormai è diventato un vizio.
«Si!» risponde in uno squittio il biondo, scattando in piedi come una molla e guardandola con aria trionfante.
«Bene, faccio in due secondi che siamo già in ritardo mostruoso!»

Camminano a braccetto per le strade affollate di Namba, diretti con passo svelto e fiero vero il Neon.
Sono in molti quelli che si voltano verso di loro per ammirarli, sperando inutilmente di avere quella marcia in più sufficiente per attirare la loro attenzione. Perché loro due, soprattutto insieme, sembrano due creature celestiali, di una bellezza così pura e ammaliante che ti lascia senza fiato.
Kakashi è consapevole di ciò e la cosa non fa altro che montarlo sempre di più, tanto da fargli credere ingenuamente di essere una specie di Dio, o quanto meno un bellissimo angelo caduto dal cielo perché troppo bello per essere accettato. Questo è sempre stato un suo grande difetto: è borioso, superbo ed è convinto che niente sia superiore a lui. In tanti hanno provato a farlo ragionare, a fargli capire che non è sufficientemente forte o esperto per poter solo pensare una cosa simile, ma nessuno è mai riuscito nell'intento. Perché lui è figlio del Re delle Tenebre, il più grande di tutti loro e, di conseguenza, può fare ciò che vuole.
Akemi lo guarda di sfuggita di tanto in tanto, notando la sua espressione incredibilmente fiera e arrogante, non riuscendo a capire dove trovi questa sorprendente grinta. Lei si sente fortemente a disagio, non riesce a non mordersi in continuazione il labbro inferiore, mostrando così a tutti i passanti i suoi acuminati canini.
«Cos'è, hai perso tutta la tua sicurezza?» la sfotte prontamente Kakashi, che ha percepito il suo particolare odore: disagio, vergogna, senso di inferiorità. La cosa lo urta anche parecchio, perché nessun immortale dovrebbe mai sentirsi inferiore a nessun altro, soprattutto se si parla dell'aspetto fisico, ma non può certo spiaccicarle la testa contro il muro per una sciocchezza simile. Dopo chi lo sente l'Imperatore?
«I miei fratelli sono tutti lì dentro...» mormora con un filo di voce la corvina, abbassando lo sguardo e piantando saldamente i piedi a terra quando si trovano di fronte alla discoteca. Fissa insistentemente il pavimento, soffermandosi su ogni dettaglio, arrivando addirittura a pensare che magari potrebbe anche rimanere lì fuori e fissarlo tutta la notte.
«Tesoro, così mi perdi punti.» borbotta il biondo, passandosi una mano tra i capelli scompigliati, brillanti come i raggi del Sole «Tira fuori le palle cucciola: fagli vedere quanto splendi!» afferma subito dopo, piazzandosi dietro le sue spalle e mettendole qualcosa attorno al collo.
Akemi prova a vedere di cosa di tratti, inutilmente, così Kakashi estrae un pugnale dalla pelliccia chiara e le mostra il riflesso, lasciandola di sasso.
«Oh mio Dio...» mormora incredula con un filo di voce, passando le dita sul magnifico collier d'oro bianco e diamanti che il giorno prima aveva visto in gioielleria.
«Ma sei impazzito?!» urla sempre più sconcertata voltandosi verso di lui per guardarlo in faccia, rimanendo completamente spiazzata di fronte al suo sorriso allegro.
«Cara, con il lavoro che faccio guadagno molto bene. Inoltre molte persone mi devono alcuni favori. Quindi... non farti problemi.» le risponde prendendola di nuovo sotto braccio, quasi trascinandola di peso verso l'ingresso. Tanto, alla fine, tutti fanno sempre quello che vuole lui, volenti o meno.
Nel frattempo i vari comandanti se ne stanno seduti sui divanetti comodi del Neon, circondati da ragazzi e ragazze di tutte le età, quasi tutti ubriachi o strafatti e vestiti per la maggioranza solo con dei costumi da bagno o biancheria intima.
Il ritmo frenetico della musica non è ancora stato alzato al massimo, quindi riescono ancora a parlare senza dover urlare come degli indemoniati per farsi sentire.
Per loro estrema fortuna, inoltre, non c'è ancora una calca disumana al bar, quindi le loro ordinazioni sono state portate praticamente subito. Sul tavolino di fronte a loro, infatti, ci sono un sorprendente numero di bottiglie di super alcolici, bicchieri sia vuoti che pieni e diverso drink colorati che mai prima di allora avevano assaggiato e che si stanno rivelando oscenamente buoni.
Speed Jil ha scherzosamente detto che si trasferirà lì dentro e che diventerà un'alcolista nel giro di neanche tre giorni, e subito Fossa e Kingdew gli hanno dato man forte, bevendo tutto in un fiato le proprie ordinazioni e chiamando subito una delle cameriere per avere un altro giro. Fossa, inoltre, è al settimo cielo perché può fumare tutti i sigari che gli pare e piace senza che nessuno gli dica assolutamente niente. Il massimo che gli ha detto una cameriera era se per caso gli faceva fare un tiro!
«Akemi?» domanda Ace, riempiendosi la bocca di stuzzichini e sventolando allo stesso tempo una mano per aria per farsene portare altri. Sicuramente pagherà per l'ottimo servizio, forse per la prima volta in vita sua. 'Adesso capisco perché sono tutti così gentili con i clienti!'
«Si era raccomandata di essere puntuali e poi non si presenta neanche.» commenta Satch, sbuffando sonoramente. Sperava di incontrare Mimì durante la giornata, o quanto meno di intravederla da qualche parte, ma di lei non c'è stata assolutamente traccia da nessuna parte e la cosa lo ha sorprendentemente amareggiato.
«Prima andava a prendere il suo amico.» afferma Halta, bevendo tranquillamente il suo cocktail alla frutta, andandoci decisamente più piano rispetto agli amici. In fondo, almeno uno di loro dovrà pur restare vagamente lucido, no?
«Quella non è la rossa che oggi è venuta in spiaggia?» domanda Speed Jil con un sorriso entusiasta che va da un orecchio all'altro mentre se la mangia con gli occhi. Per sua sfortuna, però, la ragazza non se li fila neanche per sbaglio, troppo concentrata a scrutare con attenzione tra la folla danzante per scegliere chi avrà l'onore di accompagnarla a cena più tardi.
«Mh? Ah, si. Si chiama Arista.» gli risponde disinteressatamente Halta, continuando a lanciare delle veloci occhiate all'entrata nella chiara speranza di vederla arrivare. Il fatto che sia andata da sola da Kakashi non le è andato del tutto giù in realtà, anzi l'ha un po' preoccupata. Perché sa che c'è qualcosa di sbagliato in lui, che nasconde un segreto e che probabilmente non ha fatto altro che raccontare balle su balle per avvicinarli senza problemi. Sennò perché attaccarsi così tanto proprio a lei?
«È una bomba.» commenta Ace, seguendone le forme esaltate da un attillatissimo vestito nero e bordeaux.
«Ed è lesbica.» lo informa Halta, lasciandosi scappare un risolino di fronte alla sua espressione assai delusa.
«Porca di quella puttana...» mormora Namiur, portandosi le mani al viso e sospirando assai rumorosamente, attirando lo sguardo del secondo comandante su di sé.
«Dai, è una bella ragazza, ma così esageri!» lo prende in giro Pugno di Fuoco, scoppiando in un'allegra risata. Risata che però si spezza nel momento esatto in cui l'ottavo comandante gli afferra il mento con una mano e gli volta la testa, facendogli capire il perché di quell'affermazione.
«Porca di quella puttana!» urla Ace alzandosi in piedi di scatto, facendo così saettare lo sguardo di tutti nella sua stessa direzione.
Lei è arrivata, mano nella mano con quell'eccentrico ragazzo che sfoggia una pelliccia chiara senza maniche che lascia scoperto l'addome e un paio di pantaloni di pelle nera attillatissimi. Ma non è il suo abbigliamento a lasciarli di sasso, quanto quello di Akemi: un paio di tacchi chilometrici di un blu acceso, calze nere con dei motivi floreali, un costume da bagno intero nero con le spalline calate e un'elegante e assai abbagliante collier di diamanti attorno al collo.
Che avesse una certa avversione per i vestiti lunghi e coprenti lo avevano capito già da un po', ma questo gli pare veramente esagerato.
«Se la vedesse il babbo, andrebbe fuori di testa per la rabbia!» commenta Satch, desideroso di andare da quei due scostumati e di fracassargli il cranio l'uno contro l'altra, inconsapevole di quanto il primo comandante condivida questo suo desiderio.
Akemi li guarda per un breve istante, salutandoli appena con la mano, a disagio come poche volte in vita sua. In genere si veste poco, è vero, ma è consapevole di aver superato un altro limite e ciò la mette notevolmente in imbarazzo.
«Mi stanno guardando...» afferma passandosi una mano tra i capelli, pentendosi per non essersi tenuta i vestiti con cui era andata a prenderlo. 'Ho bisogno di bere. Subito!'
«Mi sorprenderebbe il contrario.» risponde Kakashi, sorridendole dolcemente e portandosi una sua mano alle labbra, baciandola piano «Forza, andiamo a bere qualcosa, così mollo anche la pelliccia ad Arista.»
Il gruppo li segue con lo sguardo, uno più sbalordito dell'altro.
Satch scuote la testa rassegnato, passandosi una mano sul volto mentre allunga l'altra verso il proprio bicchiere, deciso ad affogare quelle spiacevoli sensazioni che gli stringono lo stomaco nell'alcol. Non fa però in tempo a portarselo alle labbra che qualcuno glielo strappa di mano, poggiandosi sulla sua spalla con una mano piccola e fredda.
Volta di scatto la testa, ritrovandosi a sorridere inebetito di fronte agli occhioni allegri di Mimì, che senza tanti problemi si sta scolando tutta la sua bevuta.
«Hai finito?» le domanda speranzoso, già pronto a mollare i compagni per tornare in camera con lei, ricevendo però in risposta una negazione col capo «Sei in pausa?» ritenta, pregando con tutto sé stesso di ricevere una risposta affermativa e di poter avere il tempo sufficiente quanto meno per trascinarla in uno dei bagni. Si dà del pervertito da solo, ma di fronte al suo visetto angelico e a quegli occhi ipnotici non riesce proprio a resistere.
«Solo cinque minuti, giusto per ricaricarmi.» risponde la ragazza appena finisce di bere, poggiando il bicchiere sul tavolo e tornando subito dopo a guardarlo in viso, notando l'espressione speranzosa e allo stesso tempo maliziosa «Non guardarmi così, ho detto ricaricarmi.»
Satch si lascia andare ad una risata divertita, per poi afferrarla per un polso e trascinarsela in braccio, catturando subito dopo le sue labbra sottili in un bacio che non lascia scampo, intrecciando le dita tra i suoi capelli sottili.
Gli altri distolgono lo sguardo, vagamente imbarazzati, finché non notano con la coda dell'occhio che si sono finalmente separati. Solo a quel punto Ace prende la parola, sorridendole allegro mentre la studia attentamente.
«E così sei tu che ce l'hai tenuto lontano per tutta la notte.» afferma con tono malizioso, sperando di riuscire a metterli un po' in imbarazzo.
Il tentativo però fallisce miseramente. Il caro Pugno di Fuoco infatti non ha neanche la più vaga idea di chi si trova di fronte, di quali discorsi sia capace la pittoresca ragazza che siede sulle gambe del quarto comandante, ed è completamente ignaro del fatto che quel genere di argomentazioni la divertono in maniera particolare.
«Grazie a me avrà perso almeno due chili!» risponde prontamente Mimì, facendoli ridere di gusto. Si volta poi verso Satch, guardandolo con curiosità «Come mai siete venuti in questo locale?»
«Perché la cosa ti sorprende tanto?» le domanda a sua volta l'uomo, mentre l'idea che si trovi lì per vedersi con un altro uomo prende velocemente forma nella sua testa, urtandolo all'inverosimile. Non si capacita neanche lui di questo forte fastidio che prova dal momento che la “conosce” da poco più di ventiquattr'ore, ma non riesce proprio a reprimerlo.
«Non mi sembrate tipi da posti simili.» risponde semplicemente Mimì, allacciandogli le esili, ma micidiali, braccia al collo, sistemandosi meglio sulle sue gambe.
«Akemi ha insistito per farci venire qui.» borbotta il quarto comandante, cercando di capire cosa sta guardando con tanta insistenza. Quando poi si rende conto che si tratta solo del fratello tira un sospiro di sollievo, facendogli un cenno col capo quando il ragazzo col braccio di metallo lo saluta.
«Io vado un secondo a parlare con Hidan di una faccenda, torno tra poco.» afferma sorridendo allegra la ragazza, alzandosi agilmente dalle sue gambe e trotterellando verso il ragazzo seduto al bancone del bar, cominciando subito a parlarci animatamente di una faccenda piuttosto delicata.
«Satch!» urla Rakuyo, facendo sobbalzare il diretto interessato «È meravigliosa!» aggiunge subito dopo, dandogli una sonora pacca sulla spalla.
«A quando le nozze?» lo sfotte prontamente Marco, a cui non è sfuggito assolutamente il suo atteggiamento possessivo nei suoi confronti.
«Ah-ah-ah, quanto sei simpatico!» risponde sarcasticamente l'uomo, rubandogli la bottiglia di mano e riempiendosi il bicchiere, bevendo tutto in un fiato il liquore dorato che tanto gli piace, giusto in tempo prima del ritorno dell'eccentrica e misteriosa ragazza dai capelli rosa.
«Beh, mio caro, io devo andarmene subito. Quel bastardello a quanto pare ha già trovato le informazioni che voleva quindi dobbiamo ricominciare.» lo informa la ragazza, abbassandosi al suo livello per baciarlo, stavolta in modo più delicato e dolce.
«Tra quanto finisci?» le domanda immediatamente Satch, scattando indietro col busto per sfuggire dalle sue labbra e poter parlare tranquillamente.
«Quattro ore.» risponde sbuffando la ragazza, giocherellando con il suo foulard.
«Perfetto. Tra quattro ore esatte in camera tua. Fatti trovare nuda possibilmente.»
I due si guardando dritto negli occhi per qualche istante, sorridendosi maliziosamente, finché Mimì non lo tira per il foulard e lo bacia con quanta più passione può, facendolo sciogliere come un cubetto di ghiaccio al sole.
«Sei insaziabile.» mormora contro le sue labbra prima d'incamminarsi verso l'uscita, salutando con un sorriso smagliante tutti gli altri, che hanno assistito alla scenetta con un certo stupore. In fondo non è da tutti i giorni trovarsi una ragazza che sia bella ed incredibilmente ben disposta come lei. Ancora meno è trovarne una con quelle caratteristiche e che accetti pure di sentirsi dire quel genere di cose di fronte a dei completi sconosciuti!
«Amico: sposala!» afferma ridendo Curiel, facendo scoppiare a ridere tutti quanti.
Satch sbuffa esasperato, bevendo e cercando di concentrarsi sulla musica per non sentire i continui commenti idioti dei suoi fratelli, finché non vede la sua cara sorellina ballare in pista con quel ragazzetto, in un modo tutt'altro che innocente.
'Akemi, sei la mia salvezza!' pensa sorridendo compiaciuto, decidendo di cogliere la palla al balzo e di far concentrare l'attenzione di tutti loro su di lei.
«Guardate lì come ballano quei due!» esclama convinto, accavallando le gambe e poggiando la schiena sul comodo schienale imbottito, godendosi le facce sbalordite dei suoi compagni.
Halta se la ride di gusto, cercando di ignorare le dita fresche di Izo che le carezzano la pelle nuda della schiena, lasciandosi sfuggire un commento delicato «Scommetto che Shanks darebbe anche l'altro braccio per potersela portare a letto!»
Marco s'irrigidisce di colpo nel sentirle pronunciare quella frase, stringendo dolorosamente la mascella. Vorrebbe urlare che se solo si azzarderà ad avvicinarla o anche solo a guardarla in modo strano glielo strapperà lui il braccio, ma si deve astenere dal farlo.
Gli altri tornano a ridere e scherzare tranquillamente, alcuni addirittura si alzano e si buttano in pista, trascinati da delle ragazze vistosamente ubriache che di certo non andranno a stressarli il giorno dopo e che gli offriranno una notte di sesso facile.
Solo uno non scherza, rimanendo serio a fissarla, il bicchiere pieno di rum ancora stretto nella mano davanti alla bocca.
La guarda e pensa che le mani troppo pallide di quel ragazzino stonino incredibilmente su di lei, che dovrebbe essere lui a tenerle le mani sui fianchi, quello con cui ballare e su cui strusciarsi così lentamente. La guarda e non riesce più a pensare di poterla evitare, di poterle lasciare i suoi spazi.
I loro occhi s'incrociano per qualche secondo e Marco sa che è una sfida ad alzarsi, a raggiungerla in mezzo a quella gente, a ballare con lei, forse pure a mettere in atto tutte quelle cose oscene che il suo subconscio gli ha fatto sognare in più occasioni.
Beve tutto d'un fiato il contenuto del suo bicchiere, stringendo con forza gli occhi nel tentativo di cancellare quei pensieri sporchi, di cancellare la sua immagine così dannatamente sexy.
Ma quando li riapre, vedendola ancheggiare sorridente verso il loro tavolo, quei pensieri si fanno più forti, insostenibili.
«Che sono queste facce?» domanda innocentemente, mettendosi a sedere sulle gambe di Ace, che di colpo smette di ridere, guardandola con una strana luce negli occhi e le sussurra qualcosa all'orecchio.
A Marco questo gesto non sfugge e la malsana curiosità di sapere cosa le ha sussurrato con aria così complice lo pervade, insieme ad una ingiustificata gelosia.
I loro occhi s'incrociano di nuovo, un brivido gli risale lungo la spina dorsale.
'È mia sorella, dannazione...' afferra di scatto un bicchiere lasciato incustodito al suo fianco, bevendo d'un fiato il contenuto che gli brucia la gola.
'Avevo deciso di metterci una pietra sopra!' vede le mani di Ace scivolare sui suoi fianchi e lì rimanere. Le vede e sente la forte urgenza di picchiarlo a sangue, trattenendosi con sua grande sorpresa.
'Cazzo...' si passa una mano sul viso, fermandola sugli occhi per evitare di continuare a torturarsi da solo, sentendo improvvisamente una presenza al suo fianco.
Sospira pesantemente, voltando un poco la testa e incrociando per l'ennesima volta gli occhi glaciali di Akemi, che gli sorride in modo provocante, tanto da fargli mancare un battito.
'Perché mi guardi così?'
«Tutto bene, comandante?» poggia una mano sullo schienale del divanetto, Akemi, sorreggendo così il suo peso e mettendosi in modo tale da esaltare i fianchi fasciati dal tessuto nero, notando con gioia quanto il pirata provi a non guardarla.
«Certo.» mormora in risposta, afferrando un altro bicchiere e trangugiandone il contenuto, lasciandosi però sfuggire una goccia sul mento. Goccia che viene prontamente recuperata da un freddo e affusolato dito della ragazza, che finisce poi tra le sue labbra per poter assaporare il sapore forte dell'alcolico.
Marco la guarda, eccitato come non pensava di poter essere per colpa della mocciosa che ha visto crescere, distogliendo velocemente lo sguardo e fissando con estrema attenzione il bicchiere vuoto che stringe convulsamente in mano.
Akemi lo guarda e sogghigna. L'alcol precedentemente ingerito ha già fatto il suo effetto e il suo autocontrollo vacilla pericolosamente. Se non ci fosse Týr ad urlarle furiosamente di darsi una calmata, di riflettere prima di agire, probabilmente sarebbe già sdraiata sopra alla Fenice, baciandolo con tutta la passione che le sta distruggendo e mordendolo sul collo muscoloso e abbronzato che tanto l'attira.
Volta lentamente la testa verso gli altri compagni, sorridendo enigmatica di fronte ai loro sguardi stupiti. Perché mai l'hanno vista muoversi così, mai l'hanno vista atteggiarsi in quel modo così bizzarro. Giusto la volta che perse completamente il controllo di sé aveva avuto per poco l'atteggiamento da femme fatale, ma, appunto, aveva perso il controllo.
«Tutto bene?» le domanda Curiel al suo fianco, dandole una pacca sulla spalla per attirarne l'attenzione.
Akemi non guarda più nessuno di loro, adesso.
Guarda la pista da ballo come se fosse un predatore famelico pronto a scagliarsi contro la preda indifesa, per divorarla e dilaniarla.
Sente il cuore batterle più forte, la gola farsi improvvisamente secca, le mani fremere dalla voglia di affondare nelle viscere di qualcuno e di sentire così la piacevole sensazione del sangue caldo che le cola sulla pelle.
Ma quando Curiel le tira un altro colpo, più forte rispetto al precedente, volta finalmente la testa, guardandolo con un ghigno inquietante ad incresparle le labbra vermiglie.
Gli poggia una mano sulla spalla e avvicina il viso al suo, in modo lento e calcolato.
«Qualche problema, fratello?» mormora al suo orecchio, facendogli irrigidire tutti i muscoli per il fastidio. Perché Curiel le vuole bene, sopporta senza fiatare tanti suoi atteggiamenti, ma questo gli sembra troppo. I vestiti, il comportamento da pazza, il rivolgersi a lui in quel modo. No, decisamente non va, ma non vuole rovinare la serata a tutti. Resterà in silenzio e il giorno dopo, se si ricorderà di qualcosa, le parlerà.
«No.» risponde secco, guardandola con aria di sfida.
«Bene.» piega un poco la testa di lato, Akemi, senza abbandonare quel fastidioso e macabro sorriso, finché l'odore dolce e penetrante di Kakashi le arriva nitidamente alle narici sensibili, facendole alzare di scatto lo sguardo. Ora è a lui che sorride, in modo più provocante e perverso, come se fossero in combutta per qualcosa.
«Vieni a ballare, tesoro?» le domanda lascivo, camminandole attorno con passo felpato e lento, sensuale come solo un immortale può essere. Perché loro sono questo: forza, passione, rabbia, sesso, peccato.
Akemi gli sorride e allunga un braccio verso di lui, facendosi prendere per mano e venendo così trascinata in mezzo alla mischia di corpi sudati ed eccitati, inebriandosi di quell'odore dolce e travolgente che la manda su di giri, spinta oltre ogni suo limite dal folle amico.
Con la coda dell'occhio nota che la strana ragazza dai capelli di fuoco li sta fissando, sempre con quello sguardo duro e glaciale di quel pomeriggio, e senza pensarci si ritrova a sorridere come per volerla sfidare, come se volesse invitarla ad entrare nel loro mondo di sangue e ormoni alle stelle.
«Il coso ci sta guardando.»
Kakashi è affascinante, la sua voce è morbida ed eccitante, le sue mani forti e fredde le scivolano sulla schiena lentamente. Sa come fare, ha inscenato tante volte quei giochetti infantili per infastidire qualcuno, per attirarne l'attenzione, per catturarlo.
Akemi volta la testa verso Marco, sorridendogli maliziosa, gioendo nel vederlo bere ancora per il forte fastidio che quella loro danza troppo intima gli provoca.
«È tuo.» le soffia all'orecchio Kakashi, facendola ghignare ancora di più.
Ma per lui tutto quello non è sufficiente. Il gioco non è abbastanza eccitante, il suo umore si sta abbassando. Vuole sempre di più, vuole infrangere ogni etica morale, ogni dannatissima legge mortale. Vuole uccidere e vuole farlo adesso.
Guarda la ragazza al loro fianco, sorridendole con aria enigmatica, facendosela scivolare tra le braccia. Le sussurra che è bellissima, che sarà suo. E lei ci crede. Ci crede e ride, facendosi trascinare lontano da tutti, andando in contro alla propria morte dentro uno squallido sgabuzzino buio.
Al Neon nessuno vede e nessuno vedrà mai. I loro occhi saranno sempre chiusi per quel genere di omicidi compiuti nel buio, gli assassini non verranno mai accusati di niente. Perché loro sono dei dannati immortali e nessuno sarebbe in grado di distruggerli se non chi dalla nascita viene addestrato a farlo.
Al Neon nessuno vede e nessuno vedrà mai. Quella vita va bene, la loro sete di sangue e smania di uccidere sono accettate. Che vengano avanti, che caccino liberamente. Sono i soldi a far girare il mondo e loro ne hanno da buttare.
Akemi continua a ballare, avvolta da quelle luci psichedeliche che la confondono, sfiorata da quelle mani desiderose di poterla stringere, spintonata da quella massa di corpi lussuriosi che vorrebbe solo possederla.
Un ragazzo dal viso allampanato le passa davanti e le sorride, mettendo in mostra la bizzarra dentatura, così simile alla sua da farla sbiancare. È quando però che si accorge che il suo cuore è fermo, che di fronte a lei è appena passato un morto vivente, che si spaventa sul serio.
Vorrebbe gridare, vorrebbe scappare, ma non riesce a far altro che guardare quella giovane ed ubriaca ragazza che esce mano nella mano con lui. Vorrebbe fermarla, dirle di mettersi al sicuro, di scappare dalla morte, ma Týr la ferma.
«Le cose non si cambiano.» afferma sicuro, facendola vacillare. Tutta la sua sicurezza svanisce, l'euforia dettata dall'alcol è scomparsa «Un immortale fa quello che vuole. Un immortale può peccare fino a consumarsi, fino a disintegrarsi. Può uccidere chiunque voglia eccetto un compagno. Un immortale è superiore. Un immortale è un Dio.»
Non riesce a sopportarlo e scappa fuori.
Scappa da quella cerchia di persone che la opprimono, lontana da quegli occhi che la fissano, da quei sorrisi falsi in cui si era beata.
Scappa ma qualcuno la raggiunge, bloccandola per un polso e rigirandosela tra braccia come se fosse ancora una bambina piccola, come se non fosse capace di uccidere a mani nude in pochi secondi.
«Non devi avere paura.» gli occhi glaciali di Arista le scavano nel profondo dell'anima, facendola perdere in un oblio tiepido e rassicurante «Non li temere, non ti sfioreranno mai. Tu sei una di loro, avrai il loro timore e rispetto se rimarrai.»
Si lascia cullare dalle sue parole come se fossero una melodia e la voce di Týr le sembra improvvisamente lontana. Forse sta urlando di smettere, di non ascoltare, ma non riesce a capirlo. La voce di Arista è così bella, così rassicurante e calda.
«Torna dentro e goditi la tua immortalità, tenebrosa creatura della notte.»
Tutto svanisce. Arista non c'è più, lei è dentro al Neon, seduta ad un tavolino insieme a Kakashi.
Si guarda attorno spaesata, vedendo alcuni dei suoi compagni ballare spensierati in mezzo a quella calca di persone, mentre la musica diventa sempre più assordante.
Non ricorda niente. Non sa come è finita al tavolino. Credeva di essere uscita, di aver visto un morto vivente sfilarle davanti, ma non ne è sicura. È tutto così semplice, così calmo.
«Che ore sono?» domanda incerta, interrompendo così il flusso di parole dell'amico, che la guarda come se fosse impazzita di colpo.
«Saranno all'incirca le tre. Perché?»
'Le tre? Non era mezzanotte? Ero sicura che fosse mezzanotte...'
«Niente.» mente e Kakashi lo sa bene. Ma non le dice niente. Perché mai dirgli che sa che gli sta dicendo delle bugie? Perché mai infrangere le sue poche sicurezze sul mondo che la circonda?
«Mi dispiace cara, ma adesso devo proprio andare. Avevo promesso ad alcuni amici che sarei andato a cena con loro.» beve l'ultimo sorso di vodka, Kakashi, passandosi lentamente la lingua sulle labbra piegate in un sorriso malizioso, mentre con gli occhi continua a fissare insistentemente qualcosa dietro le spalle di Akemi «Divertiti anche per me questa notte.»
«Se manca la materia prima ne dubito.» afferma divertita, bevendo a sua volta.
«Ahhh, dubito che ti mancherà piccola.» detto questo le fa l'occhiolino e se ne va con passo tranquillo.
Akemi per qualche istante lo segue con lo sguardo, finché non sente nitidamente la presenza di qualcuno al suo fianco.
Si volta di scatto, incrociando lo sguardo divertito del primo comandante, evidentemente alticcio.
«Ti ha dato palo, ragazzina?» biascica sorridendole, afferrando con mano decisa il suo bicchiere e bevendo un lungo sorso di quel liquido trasparente.
«Può darsi che si, può darsi che no.» gli sorride in modo enigmatico, fingendosi completamente indifferente alla sua vicinanza. Dentro, però, si sta distruggendo per la voglia che avrebbe di allacciargli le braccia al collo e dare libero sfogo a tutte le fantasie che affollano la sua mente perversa.
'No. Sarà lui a cadere ai miei piedi. Non mi abbasserò a tanto!'
Si allontana con passo calmo, consapevole di avere i suoi occhi puntati addosso.
Ancheggia lentamente, soppesando ogni movimento, riuscendo a percepire i movimenti dell'uomo anche in mezzo a quella marmaglia di gente.
È a metà della sala, spintonata dai corpi dei presenti che la fissano desiderosi solo di toglierle i pochi indumenti che indossa, quando un paio di mani forti e calde le afferrano con decisione i fianchi, costringendola a fermarsi.
Sente il calore del torace della Fenice contro la propria schiena, le sue mani farsi incredibilmente audaci tanto da vagare sul suo addome, mentre lentamente i loro bacini si sfiorano, ballando lentamente sulle note di quel ritmo frenetico.
Si muove piano, Akemi, strusciandosi contro di lui, sorridendo quando sente le sue labbra sfiorarle la spalla nuda, reclinando la testa all'indietro in un chiaro invito.
Marco però non se ne accorge immediatamente, intontito dall'esagerata dose di alcol ingerito, e si limita a stringerla a sé, a farla continuare a muoversi e a mordicchiarle l'incavo del collo, incurante degli sguardi sorpresi dei fratelli, che mai l'hanno visto comportarsi così. Per fortuna della Fenice, però, vedono solamente che ballano insieme e non tutte le sue attenzioni decisamente poco fraterne che le sta rivolgendo.
L'unica che però lo intuisce è Halta, che afferra di peso Izo e lo trascina in mezzo alla folla. Deve avvertire l'amica che sono sotto tiro e che nessuno di loro terrà la bocca chiusa, non con l'alcol che hanno bevuto.
Il sedicesimo comandante si lascia trascinare in mezzo a quella marmaglia di corpi sudati, ridendo di gusto quando un ragazzo crolla a terra stordito da chissà quale mix di alcol e acido.
Halta, davanti a lui, sgomita per farsi spazio, fino a raggiungere i due, ancora intenti a strusciarsi l'uno sull'altra.
Quando Akemi la vede non fa niente, limitandosi a sorriderle con aria soddisfatta, ma quando si accorge della presenza dell'altro comandante si scosta di scatto, facendo vacillare Marco, che era completamente appoggiato a lei.
«Vi stanno guardando, contenetevi!» strilla Halta vicino all'orecchio della corvina, facendo un lieve cenno col capo in direzione dei compagni che li osservano ridendo come impazziti.
Akemi annuisci convinta e prova ad allontanarsi, respirando affannosamente, venendo però raggiunta in breve da Marco, che è riuscito a recuperare da qualcuno che gli ballava vicino una bottiglia di vodka ancora ghiacciata.
Lo guarda sorpresa, indietreggiando fino a ritrovarsi con le spalle al muro, sentendosi andare in fiamme quando l'uomo le poggia con decisione una mano sul fianco per avvicinarla.
Gli poggia poi le mani sulle spalle per trovare un appiglio quando le bacia piano il collo, sperando di essere abbastanza nascosta dalla vista degli altri. Per sua fortuna la colonna contro cui si è appoggiata li ripara completamente, ma non riesce comunque a stare tranquilla.
Se lo stacca di dosso con un movimento brusco, guardandolo con lo sguardo più serio che il suo stato alterato le permette.
«Direi che è meglio se te ne vai a dormire.» afferma decisa, rabbrividendo di fronte al suo sorriso malizioso, sorprendendosi nel vederlo tornare all'attacco.
La stringe Marco, non permettendole di scappare, non lasciando a nessuno la possibilità di avvicinarla e di strappargliela dalle mani.
«Mi rimbocchi le coperte?» le mormora all'orecchio con tono seducente, mordendole poi il lobo.
Akemi sorride vittoriosa e la sua mente escogita in pochi secondi la vendetta perfetta per il torto subito e, senza neanche dirgli una parola, lo prende per mano e lo conduce fuori dal locale.
Non ha preso neanche per un istante in considerazione il fatto che il suo sia un piano pericoloso, che le si possa ritorcere contro con la stessa velocità con cui è stato concepito. L'idea di vendicarsi, di ripagarlo con quella che considera la stessa moneta, è davvero troppo allettante.
Camminano per le strade ancora piuttosto popolate della città, sorreggendosi l'un l'altro.
Un ragazzo, diretto insieme a degli amici verso il Neon, gli offre una bevuta dalla sua bottiglia di gin, e subito Marco accetta, bevendone una dose assai generosa. Akemi invece rifiuta per il semplice fatto che deve rimanere il più lucida possibile per poter riuscire nella propria impresa.
Riprendono a camminare verso l'ostello, incrociando pure qualche membro della ciurma in dolce compagnia, non venendo neanche calcolati più di tanto. Qualcuno di loro semplicemente si raccomanda con la ragazza di far tornare il comandante sano e salvo in camera, per poi tornare a farsi gli affari propri. Non sospettano niente, per sua fortuna.
Arrivati finalmente a destinazione, Akemi si toglie velocemente le altissime scarpe ed imbocca immediatamente la rampa di scale, mettendosi un braccio del comandante attorno alle spalle e costringendolo a salire, cercando di evitare che si schianti al suolo e si rovini il bel faccino che tanto la manda su di giri.
«Sei ridicolo!» ride forte, sorreggendolo come meglio può. La cosa risulta però piuttosto difficile, visto che l'uomo sembra essere completamente calamitato dal pavimento.
Marco volta la testa verso di lei, sorridendole inebetito dal troppo alcol e senza rifletterci allunga la testa verso di lei, nascondendo il viso tra i suoi capelli profumati, provando a mordicchiarle il lobo.
«Marco...» la sua voce è come una supplica a smettere, mentre la tentazione di buttarsi a terra per dar sfogo a tutto il desiderio che con un solo tocco riesce a sprigionarle dentro diventa quasi insopportabile.
Il comandante, in tutta risposta, stringe semplicemente la presa del braccio attorno al suo collo e se la tira addosso, afferrandole il fianco per non permetterle di scansarsi.
Si guardano dritto negli occhi ora, senza nascondere l'innegabile attrazione che provano l'uno per l'altra.
Ma Akemi di colpo abbassa lo sguardo, impedendogli di avvicinarsi ulteriormente. Non lo ha ancora del tutto perdonato malgrado i mille discorsi di Kakashi sul lasciarsi andare. Vuole che le dimostri sul serio che la vuole e farlo da ubriaco non le basta. Inoltre deve portare a termine la sua dolce vendetta, e cedere adesso rovinerebbe tutto quanto.
«Ti porto a dormire, forza.»
Lo afferra per un polso e lo trascina, facendolo sbuffare forte.
La sua stanza è sempre più vicina, ancora una rampa di scale e potrà scaricarlo sul suo letto a smaltire in solitaria la sbornia, ma Marco non è decisamente d'accordo.
Infatti l'ubriaca Fenice si scaglia con forza contro la porta della nuova camera della ragazza, puntando i piedi come un bambino. La guarda con lo sguardo più deciso che può trovare nel suo stato, facendole capire anche senza dover proferir parola che non si muoverà da lì.
Akemi ringhia esasperata, pentita per non essere rimasta a festeggiare fino all'alba, pregando di veder sbucare dal fondo del corridoio l'eccentrico amico pronto a salvarla e a portarla ad un altro rave. Ma questo non accade, quindi si vede costretta a spintonarlo per aprire la porta, guardandolo con aria esasperata mentre si addentra e comincia ad urtare ogni singolo oggetto presente. Fa pure cadere un vaso a terra, distruggendolo irrimediabilmente. Non che fosse un bel vaso, ansi faceva piuttosto schifo, ma comunque le dispiace. In meno di ventiquattro ore ha già causato la distruzione di troppi oggetti!
Si affretta ad afferrare Marco quando si avvicina troppo al piccolo balcone, tirandolo via per la camicia. Ok che con il suo potere può volare, ma in quello stato non è sicura che ne sia in grado.
Lo trascina di peso fino al grande letto matrimoniale, dove lo getta senza tanti complimenti, facendolo scoppiare a ridere.
«Senti, tu stai fermo e buono, ok? Io mi cambio e torno.» mentre lo dice sta già affrettando un paio di slip più consoni alla situazione e la prima canottiera che le capita sotto tiro, non rendendosi conto che è di un tessuto decisamente chiaro e vagamente trasparente. È troppo impegnata ad impedire all'ubriaca Fenice di raggiungerla per poterci badare.
«Dai, ti do una mano...» biascica Marco, provando a prenderla per un polso, senza successo. In compenso, però, si prende una porta in piena faccia.
«Cazzo...» brontola a mezza voce, massaggiandosi il viso. Subito dopo pensa bene di curiosare tra i vari sacchetti sparsi per la stanza, che ha urtato non appena entrato. Uno in particolare attira la sua attenzione, visto che ha involontariamente rivelato il prezioso contenuto.
Quando Akemi esce, vorrebbe veramente essere inghiottita in una voragine: Marco la guarda con aria decisamente troppo maliziosa per i suoi gusti, tenendo in mano un completo intimo di pizzo, composto da un bustino nero e un perizoma tanto sottile che si può definire inutile.
«Perché non metti questo?» le domanda avvicinandola, sventolandole sotto gli occhi il micro-indumento che gli viene prontamente strappato di mano.
«Ti sembra forse di meritartelo?» gli tira una spinta e lo butta sul letto, per poi rimettere tutto in perfetto ordine. Va bene che Satch è impegnatissimo in sessioni di sesso intenso e non perderà neanche un secondo a controllarla, ma non si sa mai.
«Se ti dicessi che non ho mai visto una donna più sexy di te?» le domanda Marco, faticando per riuscire a mettersi a sedere sul materasso. In vita sua ne ha prese davvero tante di sbornie, probabilmente anche troppe, ma questa si sta rivelando una delle più devastanti di tutte.
«Ti direi che sei ubriaco.» controbatte piccata la ragazza, cercando una coperta nell'armadio per poter andare a dormire -o quanto meno a sdraiarsi- sul divano.
«E che quando mi sei vicina ho dei brividi?» ritenta, alzandosi a stento in piedi e traballando per la stanza, deciso più che mai a raggiungerla e stringerla a sé.
«Ti direi che sei ubriaco e che probabilmente ti disgusto.» risponde mostrandosi il più fredda possibile, trovando finalmente la tanto desiderata coperta, non riuscendo però ad evitare che il pirata l'afferri con forza per i fianchi e si appoggi completamente a lei.
«Ti sembra forse che mi disgusti?» le sussurra all'orecchio, spingendo il bacino contro il suo per farle arrivare chiaramente il messaggio.
Passa poi a baciarle languidamente il collo, facendo scivolare le mani sotto la sua maglietta e sfiorandole con la punta delle dita l'addome piatto e muscoloso, facendo salire quelle dolci carezze sempre più in alto.
«Marco... per favore...» vorrebbe davvero voltarsi e tirargli uno schiaffo così forte da farlo volare giù dalla finestra, ma non riesce a trovare la forza necessaria per farlo. Non riesce neanche ad urlargli in faccia che si sta comportando di nuovo come uno stronzo, troppo presa da quella dolce tortura, ma quando Marco apre bocca le torna di colpo la grinta necessaria.
«Lo vuoi tanto quanto me, non negarlo. Prima mi scopavi con lo sguardo...»
«Quello eri tu.» gli ringhia contro, togliendosi le sue mani di dosso e scansandosi di scatto, guardandolo con occhi fiammeggianti.
«Allora che ne dici di scoparci sul serio?» propone Marco, non rendendosi neanche lontanamente conto di quanto il suo atteggiamento rischi di allontanarla definitivamente. Se fosse stato lucido le avrebbe parlato con calma, avrebbe sicuramente affrontato tutta la questione con razionalità e si sarebbe imposto a forza dei freni inibitori, ma con tutto quello che ha bevuto proprio non riesce a stare zitto, a controllare il proprio corpo.
«Quanto sei volgare!» gli urla contro sempre più inviperita, tirandogli un forte schiaffo sulla mano quando prova a toccarla di nuovo «No, fermo.»
«Dai, qual è il problema?» le domanda in un lamento Marco, portandosi le mani tra i capelli. È ubriaco, vuole divertirsi e proprio non riesce a capire dove stia l'intoppo. In fondo sa di piacerle, di essere desiderato tanto quanto lui desidera lei.
'Che sia Kakashi la causa?' questo è, senza ombra di dubbio, il pensiero più logico che è riuscito a partorire nelle ultime ore, ed è anche quello più fastidioso.
«Che sei ubriaco, Marco. Ecco qual è il problema.» gli risponde secca, raccattando una minigonna da terra ed infilandosela velocemente. Passa poi alla ricerca di un paio di scarpe, ripiegando alla fine per i tacchi abbandonati vicino al letto.
«Se domani mi dirai le stesse cose, se mostrerai di volermi anche quando sei lucido, che sei geloso delle attenzioni maschili che ricevo anche in quel frangente, beh... allora ne riparleremo.» afferma convinta, sorprendendosi di sé stessa. Perché aveva si pianificato di illuderlo e poi piantarlo in asso, ma non credeva né di esserne capace né tanto meno di poter fare discorsi simili dopo aver bevuto.
Marco si butta di peso sul letto, tenendosi le mani sul viso e trattenendo dei forti conati di vomito. Quando però sente il ticchettio delle scarpe sul pavimento, alza il più possibile la testa, vedendola camminare a grandi falcate verso la porta.
«Dove vai?» le domanda con tono scocciato, sentendo montare nel petto una forte rabbia. Perché dentro sa dove sta andando e la cosa lo manda oltremodo in bestia.
«A cercare Kakashi... o uno di loro, comunque. Non ce la faccio a stare qui.» risponde malinconicamente Akemi, afferrando un giacchetto di jeans che aveva lasciato sul divano ed infilandoselo in fretta e furia.
Prima che riesca ad uscire di camera però, Marco le lancia l'ultima frecciatina, con un tono così piatto e sufficiente che la urta oltre ogni limite.
«Carino il piercing al capezzolo, comunque.»

Cammina con passo lento e calmo su uno dei pontili presenti sulla spiaggia, quello più lontano dal porto e dagli occhi delle guardie presenti sulla Moby, stringendosi il giacchetto addosso per non sentire il vento freddo.
Le persone le passano accanto ridendo e festeggiando, divertendosi come avrebbe voluto fare lei, senza neanche calcolarla.
Era uscita alla ricerca di Kakashi, ma non ha trovato neanche una traccia. Si era anche addentrata un poco nella zona fantasma, ma quando ha sentito uno strano verso animale e il fortissimo odore di sangue è tornata indietro, non incline ad uno scontro.
«Ehi!»
Alza di scatto la testa, rendendosi improvvisamente conto di essere arrivata in cima dove è situato il bar e un palco con una band che suona della musica allegra e rilassante, vedendo seduta ad un tavolino da sola la sorella di Kakashi.
«Ciao Sakura.» la saluta con un sorriso tirato, avvicinandosi quando la bionda la invita a sedersi con lei.
«Tutto bene?» le domanda con tono dolce, notando il suo umore nero.
«Preferirei non parlarne.» risponde passandosi le mani sul viso, trattenendo a stento le lacrime che spingono per uscire.
Ma Sakura non è una ragazza stupida, proprio per niente. Pur essendo una grande assassina, ha un cuore d'oro e un animo dolce, tanto da essere sempre la prima ad accorgersi quando qualcosa non va in qualcuno, da essere sempre pronta ad ascoltare e consolare.
Anche adesso vorrebbe consolarla, ma non saprebbe neanche come fare. Loro in fondo non sono amiche, non la conosce abbastanza da poterla consigliare su cosa fare, ma può provare comunque a distrarla «Sai... anche io in questi ultimi tempi soffro abbastanza per amore.»
Akemi si volta a guardarla stupita, senza però riuscire a ribattere. Non vuole essere il tipo di donna che va in giro a frignare perché ha dei problemi di cuore, consapevole di quante cose peggiori ci sono al mondo, ma si dice che per una volta può fare anche uno strappo alla regola, può lasciarsi andare con la semi-sconosciuta tanto gentile che adesso le sorride tristemente, pensando ai propri problemi e al proprio dolore.
«Deve essere un idiota per farti soffrire e rischiare di perderti...» si trova a mormorare, facendo cenno al cameriere di portarle lo stesso drink che sta bevendo la bionda.
«La situazione è complicata. Entrambi siamo assenti per lavoro e quindi abbiamo poco tempo da dedicarci... e fa un male del cazzo.» afferma Sakura, accendendosi una sigaretta e aspirando una profonda boccata di fumo, come se quel semplice gesto fosse in grado di portare via un po' delle sue preoccupazioni.
«Siamo due donne belle ed indipendenti... perché ci logoriamo tanto per gli uomini?» domanda improvvisamente nervosa la corvina, incidendo il proprio nome sul tavolino di legno. Tanto è così pieno di scritte che nessuno ci farà caso.
«Perché sono utili.» le risponde convinta la maggiore, rigirandosi in una mano il bicchiere pieno di alcol, facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio.
«E a cosa?»
«Sesso?»
«Non l'ho ancora fatto... e anche nel caso, sono sicura che sarei benissimo capace di darmi piacere da sola.» controbatte convinta Akemi, facendola ridere di gusto.
«Ti assicuro che non sarebbe la stessa cosa. E non sto parlando da romantica, credimi. Parlo proprio come una a cui piace veramente tanto fare sesso e che prima di fidanzarsi lo faceva con qualsiasi bell'uomo che avesse un buon conto in banca.» afferma senza imbarazzo Sakura, facendola ridere «Si, ero piuttosto troia.» aggiunge subito dopo, ridendo a sua volta.
«Eri un genio, altroché.» scherza Akemi, sorridendo cordialmente al cameriere che le ha portato da bere.
«Beh, propongo un brindisi: alle donne indipendenti, belle ed irrimediabilmente imbecilli!» afferma spiritosamente Sakura, alzando il bicchiere e facendolo scontrare delicatamente con quello della nuova amica.
«Alla nostra, sorella...»


Angolo dell'autrice:
Eccoci finalmente alla fine di questo capitolo chilometrico! Ben 30 pagine gente! Mi sono superata questa volta x.x
Lo so, preferite i capitoli più corti come il precedente, ma questa volta ero incredibilmente ispirata! XP
Cooomunque... che ve ne pare? Forse ho esagerato un pochetto, si. >.<
Chi di voi si era preoccupato per le sorti di Satch e Akemi? E quanti di voi hanno gioito quando hanno letto che stavano più che bene? XD Beh, ora Satch patirà il doloroso morso dell'amore -povero cucciolo!- ma Vabbe'! Almeno a lui andrà vagamente bene! :D
Marco è geloso. Geloso marcio! X°D BENE! AHAHAH! Come dice sempre mia madre, gli uomini innamorati fanno schiantare dalle risate! Ahhh, quella donna ha sempre ragione! ♥
I nuovi personaggi invece come vi sembrano? Che siano uno più bizzarro dell'altro è ovvio, ma è ancora più ovvio che appartengono tutti alla stessa specie. La domanda è: quale? :P
Akemi che si sballa e fa cazzate... ahhh, quanto mi mancano i tempi delle sbornie con gli amici! X°D Tra l'altro il piercing al capezzolo non fa assolutamente male (almeno secondo la mia esperienza), ma si sa: sono cose soggettive.
Ah, piccolo appunto: so bene (stavolta non per esperienza personale ma perché mi sono informata) che l'effetto dell'LSD dura mooolto più di un paio d'ore, ma loro due non sono normali, quindi gli effetti durano assai meno rispetto a chiunque altro e non hanno effetti collaterali. Quindi, esatto: Kakashi è così di suo!
Halta e Izo... HALTA E IZO!♥ Non so neanche io da dove mi sono usciti, perché, quando... ma boh! Volevo che si formassero tre coppie sulla Moby e così sarà! Un triangolo MarcoxOcxAce sarebbe stato scontato, quindi via, la coppia di partenza -e centrale- era MarcoxOc e quella rimane. Izo e Halta invece sono un po' una novità e, per quanto diversi, mi piacciono :3 Poi ora ci sono Satch e Mimì... voi non avete idea di cosa gli combinerà quella nanetta dagli occhi di ghiaccio! ♥
Beh, detto questo, direi che probabilmente è il caso di chiuderla qui anche questa volta.
Un grazie di cuore a Yellow Canadair, ankoku, Okami D Anima, Law_Death, Monkey_D_Alyce, Lucyvanplet93, Aliaaara, e Portogas D SaRa che hanno recensito il precedente capitolo! Io vi farò un monumento, presto o tardi! Se non fosse per il vostro appoggio, dubito che riuscirei ad avere tante idee e tanto meno riuscire a trovare la voglia e il tempo di scrivere sempre più capitoli. (← in sintesi vi siete fregate da sole!)
A presto, un bacione
Kiki ♥


PS: ecco i personaggi apparsi in questo capitolo: http://it.tinypic.com/r/9gg66g/8
       e, già che ci sono, i vestiti delle due: http://it.tinypic.com/r/rsdco6/8

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Capitolo 19
*** 19. Appuntamento col destino ***


Piccola avvertenza: Mi dispiace immensamente, ma Marco risulterà sicuramente molto OOC. Perdonatemi, ma ho pensato che anche lui abbia un lato romantico rintanato da qualche parte, così ho deciso di farglielo tirare fuori. Spero che non vi faccia troppo schifo >.<
Buona lettura! Ci sentiamo alla fine ;)

 
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Il mal di testa dovuto ad un dopo sbornia è forse una delle cose più fastidiose che si possano provare, e questo Marco lo sa bene. Aprendo gli occhi, infatti, ha avuto come la sensazione che un picchio gli stesse beccando il cervello, mentre la luce forte per poco non lo accecava.
Si porta velocemente una mano sugli occhi per proteggerli, domandandosi quando ha aperto la finestra e, soprattutto, quando e perché è andato a dormire in bagno. Infatti si trova con un braccio attorno alla tazza del water e la testa appoggiata sulla tavoletta fortunatamente chiusa.
Si mette a fatica in piedi, guardandosi attorno con aria spaesata, cercando faticosamente di ricostruire gli eventi della sera precedente.
Si ricorda di essere andato al Neon, di aver conosciuto la donna di Satch, di aver visto Akemi mezza nuda ballare con quel biondino psicotico. Poi le cose diventano sempre più confuse. Nella sua mente scorrono immagini di lui che balla con la corvina, che camminano per strada e vanno insieme in albergo.
Poi, di colpo, ricorda nitidamente la loro discussione, ricorda di averla fatta scappare, di essere rimasto da solo nel suo letto a fissare il soffitto per buona parte della notte, finché il bisogno di vomitare è diventato troppo forte ed è corso in bagno. Da quel preciso istante, in cui si è piegato in due sul gabinetto, tutto diventa totalmente buio.
Si trascina lentamente verso la porta chiusa, accorgendosi che qualcuno ha messo la sua camicia per terra per tappare il piccolo spiraglio d'aria che passa sotto alla porta.
Si passa stancamente le mani sul viso, cercando di ricordare per quale ragione è rimasto chiuso lì dentro. In fondo, dopo aver vomitato anche un rene a causa dell'alcol, perché non tornarsene in quel comodo letto a riprendersi?
Il cigolio della porta è come una martellata dritta nel cervello per lui, ma non si azzarda ad emettere nessun suono. Già il fatto che barcolli in quel modo imbarazzante e che qualcuno lo abbia visto in quelle condizioni oltremodo ridicole è troppo per il suo orgoglio.
Quando poi si rende conto chi è stato a vederlo in quello stato, il dolore sembra addirittura aumentare.
«Buon giorno...» mormora a denti stretti, guardando con una lieve vergogna Akemi che si stringe tra le coperte bianche e sottili.
Riceve in risposta una specie di grugnito, al quale non riesce a trattenere un sorriso. È sempre intrattabile la mattina appena sveglia. Ricorda solo una volta in cui fu allegra, e quella volta era con lui.
«Quando sei rientrata?» le domanda sedendosi sul bordo del letto, guardandola attentamente mentre si attorciglia sempre di più tra le lenzuola e nasconde la testa sotto al cuscino sporco di trucco.
«Circa due ore fa...» mugola in risposta Akemi, sospirando forte. È stanca, ha lo stomaco in subbuglio per il troppo alcol ingerito insieme a Sakura ed è sul punto di vomitare a causa dell'insopportabile tanfo che arriva dal bagno.
«E non potevi rimettermi a letto?» le domanda con tono più duro, puntando i gomiti sulle ginocchia e tenendosi la testa tra le mani.
«Eri così carino abbracciato al cesso che proprio non me la sono sentita.» risponde sarcastica la corvina, senza però muoversi di mezzo millimetro. Si sente sicura sotto le lenzuola, sotto a quel cuscino. Può evitare il suo sguardo, evitare i suoi occhi che la confondono e anche mascherare un poco quel profumo che sente provenire dalla sua pelle.
Marco rimane in assoluto silenzio per qualche minuto, pensando e ripensando a come affrontare quello spinoso discorso. Perché si ricorda perfettamente ciò che accaduto la sera precedente, ricorda come si è comportato con lei e sa che deve chiarire la questione una volta per tutte, che deve troncare quel rapporto o provare a consolidarlo.
«Mi dispiace per ieri sera...» mormora di punto in bianco, senza però voltare la testa verso di lei.
«Penso che sia il caso di parlarne.» aggiunge dopo qualche istante, poiché non ha ricevuto alcuna risposta da parte sua.
«E di cosa? Del fatto che sei uno stronzo quando ti ubriachi? Beh, questo già lo so.» ringhia a denti stretti la corvina, squarciando in profondità il cuscino sotto il quale è ancora nascosta. È arrabbiata, le viene da piangere, vorrebbe scappare. Sa bene però che deve affrontare quella discussione per poter andare avanti serenamente con la sua vita. Non importa se con lui al suo fianco o meno.
«Ti ho già detto che mi dispiace! Cos'altro devo dire?!» le urla contro Marco, pentendosene immediatamente.
Akemi infatti scatta a sedere di scatto, guardandolo con aria omicida, gli artigli ben piantati nel materasso e un lieve ringhio che le risale per la gola.
«Wow, come sei carina di prima mattina.» la sfotte Marco, ghignando divertito di fronte al trucco colato attorno ai suoi occhi e alla matassa di capelli scompigliati che la fa assomigliare tanto ad un chihuahua a pelo lungo incazzato.
«Ascoltami bene, creatura di razza non meglio identificata: se devi insultarmi, puoi anche prendere il culo e andartene in camera tua, chiaro? Mi girano già abbastanza i coglioni per il macello che hai fatto in bagno e per l'odore infernale del tuo fottuto vomito che mi tocca sopportare malgrado abbia sbarrato quella stanza maledetta!» gli strilla contro tutto in un fiato, snudando le zanne e scattando in piedi come una molla, camminando per la stanza come una furia alla disperata ricerca di un elastico per capelli.
«Ehi, ehi! Vedi di darti una calmata, chiaro?!» le ringhia contro Marco, alzandosi a sua volta, cercando con tutto sé stesso di non piegarsi in due per il mal di testa che questo movimento brusco gli provoca «Ti ho detto che mi dispiace! Sono stato uno stronzo, ho fatto una cazzata! Cos'altro devo dirti, eh?!»
«Non lo so. La verità, forse?!» soffia Akemi, puntando i pugni sui fianchi e guardandolo con aria torva.
«Quale verità?!»
«Che ti piaccio, Marco! Perché la verità è questa, ed è inutile che continui a negarlo!» gli urla contro Akemi, fregandosene altamente se qualcuno dei suoi compagni la sente. È troppo fuori di sé per poter badare a questo genere di cose.
«Sei solo un codardo del cazzo! E io invece sono una deficiente perché continuo a torturarmi per te malgrado tu mi abbia già dato la prova di quanto sei stronzo!» aggiunge dopo un breve silenzio, trattenendo a stento un profondo ringhio gutturale.
«Calmati.» sibila il comandante, assottigliando lo sguardo.
«Non provare più a ripeterlo perché ti stacco la lingua e me la mangio per colazione, intesi?» lo minaccia prontamente la corvina, afferrando al volo la stessa giacca della sera precedente per coprirsi un po' «Adesso vattene.» ordina subito dopo, distogliendo lo sguardo e trattenendo a stento le lacrime.
'È finito tutto...'
«Hai vinto.» afferma con tono duro Marco, rimanendo però immobile al suo posto, con le braccia stese lungo i fianchi e gli occhi fissi sulla figura quasi tremante di fronte a sé «Sono stato un codardo e uno stronzo. Ti ho allontanata da me perché ero convinto che sarebbe stato più semplice, ma non è così.»
Fa un passo in avanti, uno solo, bloccandosi subito dopo quando la vede irrigidirsi e alzare finalmente lo sguardo. Trae un respiro profondo, passandosi una mano tra i capelli.
«Quando ti guardavo ballare con quel deficiente alcolizzato, avrei voluto davvero staccargli la testa dal collo a cazzotti.» ammette con una certa difficoltà, provando inutilmente a calmare il battito impazzito del suo cuore «Non riesco a sopportare l'idea di te con un altro uomo all'infuori di me. Non riesco a sopportare neanche che tu abbracci Ace. Ho provato ad andare avanti, a cancellarti dalla mia testa, dico sul serio... ma non ci riesco.»
Involontariamente le si è avvicinato, tanto da arrivare ad un passo da lei.
La guarda dritto negli occhi, leggendoci dentro un profondo smarrimento, e per un momento vorrebbe solo eliminare definitivamente quella fastidiosa distanza tra loro. Si trattiene dal farlo solo perché sa che rovinerebbe tutto e che tutta quella fatica andrebbe sprecata.
«Quindi... scusa se a volte ti rispondo male. Scusa se quando mi girano per i fatti miei, me la prendo anche con te. Scusa se ti ho baciato e poi ho fatto marcia indietro. Scusa se mi piace guardarti per ore. Scusa se mi sono comportato come uno stronzo e ti ho ferita.»
Akemi lo guarda con gli occhi ricolmi di lacrime, incredula. Il cuore le scoppia dalla gioia, nella sua testa Týr le dice di calarsi allegramente le mutande e di farci sesso fino allo sfinimento. Non riesce a credere alle parole della Fenice, ma sente una totale sincerità provenire dal suo cuore.
Una lacrima solitaria le riga la guancia pallida e Marco gliela pulisce con il pollice in un gesto completamente spontaneo.
«Ti ci voleva così tanto?» mormora Akemi, lasciandosi scappare un sorriso.
Marco ridacchia appena, abbassando la testa e azzardando un gesto che, per quanto ne sa, potrebbe costargli molto caro: le poggia infatti entrambe le mani sui fianchi e l'avvicina ancora, tanto da ridurre la distanza dei loro volti a pochi centimetri.
«Non hai idea della fatica che ho fatto...» ammette sorridendole, mentre un brivido di eccitazione gli sale lungo la schiena quando Akemi gli poggia i palmi delle mani sul petto scoperto.
«Direi che puoi essere perdonato.» gli sorride di rimando, Akemi, beandosi del battito ritmico del suo cuore. Le sembra la più bella melodia mai sentita prima, dolce e travolgente.
Marco le prende il mento tra le dita e la costringe a guardarlo, sorridendole in modo diverso. Non c'è più la felicità per essersi tolto quel macigno dal petto, no; c'è desiderio, passione.
«Ah si?»
Le si avvicina lentamente, troppo lentamente, tanto da farle girare la testa, e dopo momenti che le sembravano interminabili, finalmente cattura le sue labbra in un tenero bacio. Le sente fresche e morbide contro le sue, perfette, e in quel momento sente un'ondata di felicità investirlo completamente, travolgendolo come un uragano.
Non vorrebbe staccarsi mai, non vorrebbe abbandonare quelle labbra dolci ed invitati che lentamente si schiudono con le sue, non vorrebbe mai smettere di carezzare la sua lingua con la propria, non vorrebbe mai togliere le mani da quel corpo esile e muscoloso, da quei fianchi snelli che adesso stringe possessivamente e che lentamente avvicina a sé, costringendola ad addossarsi al suo corpo.
Non vorrebbe, davvero, ma è costretto a farlo quando qualcuno comincia a bussare insistentemente alla porta.
«Akemi? Marco è con te?»
In quel preciso istante Marco vorrebbe aprire la porta e spaccare la testa di Halta contro la parete, ma così si smaschererebbe subito.
«Cazzo...» mormora a denti stretti, allontanandosi da Akemi come se fosse una specie di ordigno pronto ad esplodere.
«Tranquillo.» lo rassicura la minore, inarcando un sopracciglio con aria strafottente.
Marco la guarda per qualche istante, ignorando il fatto che Halta è proprio dietro quella porta e che probabilmente sta ascoltando tutto quanto.
«Qualcosa mi dice che sa più di quanto vorrei, vero?» le domanda con espressione corrucciata, facendola sorridere beffarda.
«Ma quanto sei arguto, Fenice!» lo prende in giro, passandogli di fianco e scompigliandogli i capelli, facendolo soffiare esasperato. Era consapevole che avvicinandola in quel modo si sarebbe cacciato in una situazione assai fastidiosa, ma non immaginava proprio che i guai sarebbero iniziati immediatamente.
«Scusate se interrompo la vostra brillante conversazione, ma siamo tutti giù a fare colazione. Vi converrebbe muovervi se non volete essere beccati.» li avverte Halta, tamburellando con la punta delle dita sulla porta, cercando di trattenere la felicità che prova per la sorella. Finalmente è riuscita ad ottenere ciò che ha tanto desiderato, e adesso la comandante non vede l'ora di scoprire tutti i dettagli di quel risvolto così interessante. 'Stare con Akemi mi fa male: sono diventata una specie di pettegola!'
Marco si volta verso Akemi, che nel frattempo ha cominciato a vestirsi, e la guarda con un misto di curiosità e desiderio.
«È un'impressione mia o Halta ci sta coprendo?» le domanda con una nota di sorpresa nella voce. Perché sa quanto le due sono amiche, pure loro due sono amici, ma era convinto che una notizia come quella avrebbe scandalizzato pure lei.
«Santo Cielo...» mormora Akemi, voltandosi verso di lui e guardandolo con espressione assai meravigliata «Ma tu sei davvero un genio!» aggiunge subito dopo con strafottenza.
Marco si lascia sfuggire un lieve sorriso, per poi scattare verso di lei per poterla afferrare per la vita, ignorando deliberatamente il forte mal di testa che gli sta perforando il cervello.
«No, lasciami!» strilla Akemi, cercando inutilmente di liberarsi dalla sua presa, finendo col cadere si schiena sul materasso con il comandante steso addosso.
Ridono divertiti, felici per la ritrovata pace, per l'enorme passo avanti che sono riusciti a fare, e finalmente sono di nuovo capaci di giocare come due bambinetti come un tempo, torturandosi con il solletico e cercando di prevalere l'uno sull'altra.
«Implora pietà!» le urla Marco, ridendo forte. Il suo mal di testa sembra svanire lentamente di fronte al suo sorriso raggiante, di fronte alla sua allegria contagiosa, con i loro copri così a stretto contatto.
Lentamente smette di torturarla con il solletico, poggiandole una mano sull'addome scoperto e tenendosi con il busto un poco sollevato facendo leva sul gomito poggiato accanto alla sua testa.
Si guardano per qualche secondo, finché Marco si abbassa di slancio e la bacia di nuovo, piano, assaporando quella bocca che tanto l'ha fatto dannare. La bacia e le sfiora piano l'addome.
Si separa da lei solo per poterla guardare nei suoi grandi occhi chiari, adesso ricolmi di un'infinita tenerezza.
«Mi era mancato...» mormora sorridendole, scostando una ciocca di capelli scuri dal suo viso. Perché per lui quei lineamenti sono troppo perfetti per essere messi in ombra anche solo da una ciocca di capelli ribelli.
«Cosa, ustionarmi la pelle?» controbatte sarcasticamente Akemi, carezzandogli distrattamente un braccio muscoloso.
«Mi era mancato questo.» ammette il comandante, tornando solo per un secondo a sfiorare la sua pelle nuda con la punta delle dita incandescenti, facendola guizzare come un pesce sotto di lui come sempre.
Scoppia a ridere, Akemi, tirandogli una pacca sulla spalla, felice come mai prima di allora.
Gli sfiora lentamente uno zigomo, sorridendogli più dolcemente, dimenticandosi di colpo di tutto quello che c'era stato tra loro, dei loro battibecchi, del dolore che aveva provato a causa sua. Dimentica tutto, beandosi completamente delle dolci attenzioni che sta ricevendo.
«Beh, allora abituati, perché da adesso diventerà la quotidianità per te.»
«Sembra quasi una minaccia.» afferma con un certo divertimento Marco, facendola ridacchiare.
«Più o meno...» ammette con un sorriso furbetto, scrollandoselo di colpo di dosso e alzandosi di scatto, raccattando velocemente dei vestiti sparsi sul pavimento, tutto sotto lo sguardo sorpreso del biondo.
«Vado a farmi la doccia in camera tua, così ti porto dei vestiti.» afferma sorridendogli allegramente, già diretta verso la porta.
«Perché non la fai qui?» le domanda realmente confuso Marco, alzandosi a sua volta dal letto e indicando con un cenno del capo la porta del bagno alle sue spalle.
«Perché hai vomitato da tutte le parti e mi fa schifo.» risponde con ovvietà Akemi, facendogli l'occhiolino prima di sparire dalla sua visuale.
'Si, mi sono messo in un bel casino...'

Marco scende lentamente le scale dopo essersi lavato, cambiato e aver provveduto a pulire lo schifo che c'era nel bagno di Akemi, come gli era stato minacciosamente ordinato.
In realtà l'ha fatto non perché è stata lei ad imporglielo, ma per una semplice questione di rispetto nei confronti delle cameriere che dovranno mettere in ordine. Non gli sembrava giusto fargli pulire un tale schifo dal momento che il giorno prima hanno dovuto pulire per un intero pomeriggio una camera pressoché distrutta.
«Ma allora sei vivo!» urla un più che allegro Ace, sputazzando a destra e a sinistra pezzetti di cibo. Un pezzetto finisce pure sul braccio di Jaws, che è così costretto a fare appello a tutto il suo autocontrollo per non fargli ingoiare anche il piatto per educarlo.
«A quanto sembra.» borbotta Marco, prendendo posto tra Speed Jill e Teach, che ha deciso di fare colazione con loro assieme ad altri membri dell'equipaggio.
Sorride cordiale ad entrambi, lasciandoli di stucco. Tutti sono abituati a vederlo sempre con un'espressione apatica stampata in volto, al massimo vagamente corrucciato di prima mattina, e vederlo sorridere così senza ragione li lascia completamente di sasso.
«Avreste dovuto vedere come si è ridotto ieri sera!» afferma ridendo Curiel dopo aver finito la propria spremuta di pompelmo.
«Ero così penoso?» domanda distrattamente Marco, afferrando del pane tostato e della marmellata dal centro del tavolo, ringraziando con un cenno del capo Teach che gli allunga del caffè.
«Puoi dirlo forte.» gli risponde senza neanche guardarlo Akemi, seduta tra il nono ed il tredicesimo comandante, alzando poi di scatto lo sguardo sulla porta d'ingresso, da cui sente provenire, seppur lievemente, l'odore del suo adorato fratellone.
Dopo qualche secondo, infatti, Satch entra spalancando di colpo la porta, sorridendo euforico ai fratelli che gli sorridono tutti con la bocca piena, accompagnato da una più tranquilla Mimì.
«Ehi!» li saluta allegramente, prendendo una sedia e trascinandola verso il tavolo dove siedono i fratelli, più che intenzionato a fare una più che abbondante colazione. Ha estremo bisogno di recuperare tutte le energie spese durante la notte.
«Satch, sei dimagrito?» gli domanda sorpresa Akemi, ridacchiando divertita quando lui si alza la maglia per mostrare il ventre sempre più asciutto e muscoloso, gesto che provoca un certo imbarazzo nella cameriera che gli stava portando un piatto e le posate.
«Buon giorno!» trilla allegra Mimì, prendendo posto sulle gambe del compagno, che subito le avvolge la vita con le braccia muscolose «Akemi? Kakashi e Sakura ti mandano i loro saluti.» afferma subito dopo, guadagnandosi uno sguardo dubbioso da parte della corvina.
«Sono dovuti partire in fretta e furia insieme ad Arista e mio fratello. Io li raggiungerò in serata.» spiega con tono calmo, rifiutando con un cenno del capo il frutto che Satch le porge gentilmente, cosa che lo lascia realmente di stucco. In tutto il tempo che sono stati insieme mai una sola volta l'ha vista mangiare. L'ha vista bere soltanto in suo bicchiere pieno di rum la sera precedente, ma niente di più.
«E perché sono partiti?» domanda con tono diffidente Akemi, sentendo l'improvvisa ed ingiustificata voglia di saltarle alla gola.
«Avevano una questione piuttosto urgente di cui occuparsi. Dicono che gli dispiace di non averti potuta salutare di persona e che la prossima volta che vi incontrerete si faranno perdonare.» risponde sorridendole cordialmente la ragazza, consapevole dell'astio provato dalla corvina. Perché Mimì può sembrare stupida, ma non lo è per niente. A suo favore ci sono anni di esperienza e di studi accurati, quindi è pressoché impossibile riuscire ad ingannarla.
I vari pirati mangiano in silenzio, ignari delle continue occhiate che le due donne si lanciano di tanto in tanto. Non si accorgono proprio dei loro occhi di ghiaccio che si sfidano in silenzio, dei denti affilati che si allungano nella bocca dell'eccentrica e misteriosa ragazza. Non si rendono conto che alla prima mossa falsa di una, l'altra scatterà violentemente.
«Gente: che facciamo oggi?» domanda di punto in bianco Ace, attirando su di sé lo sguardo dei compagni «È l'ultimo giorno di permanenza, al tramonto si parte.»
«Di già?» domanda dispiaciuta Akemi, lasciando momentaneamente da parte la sua silenziosa guerra con la compagna di suo fratello.
«Propongo la spiaggia. Ci rilassiamo un po'.» propone distrattamente Kingdew, memore di tutte le belle donne che il giorno prima sfilavano davanti a lui coperte da striminziti bikini.
«Appoggio la tua idea!» afferma subito dopo Blamenco, dandogli una sonora pacca sulla spalla, facendo così ridacchiare i presenti per il suo troppo entusiasmo.
«E spiaggia sia!» concorda Ace, sbattendo con forza un pugno sul tavolo per rimarcare la scelta «Dopo lo dico al babbo, così conoscerà anche lui la fidanzatina di Satch.»


Festeggiare il compleanno a Namba è la decisione in assoluto migliore che una persona possa prendere. Certo, è sicuramente molto costosa come festa, ma ne vale decisamente la pena.
Tutti sono invitati, tutti portano qualcosa, la musica risuona a tutto volume per l'intera isola, gli alcolici scorrono come fiumi in piena. Non ci sono regole, puoi fare tutto quello che vuoi.
Sulla spiaggia ora c'è odore di pelle, di alcol, di ubriachi e di sudore. Rumore di musica che rimbalza nel petto, che rompe i timpani. Occhi che si chiudono, si aprono, si abituano al caos, agli effetti devastanti degli allucinogeni.
È impossibile riuscire a scorgere i visi nei corpi che vorticano danzanti sulla spiaggia candida. Ballano, si strusciano. Il sesso è palpabile nell'aria.
I drink colorati passano di mano in mano. Qualcuno ci aggiunge delle pasticche per aumentare lo sballo.
Lo sguardo stupito di Barbabianca nuota tra la folla impazzita in cerca dei figli che si sono lanciati in quel vortice di peccatori. Ne vede alcuni, presi d'assalto da ragazze in topless in cerca di sesso. Sorride sotto ai grandi baffi, è felice per loro.
Al suo fianco alcuni sono rimasti. Teach, per esempio, è stato rifiutato anche dalla donna più ubriaca, e ha preferito ritirarsi con la coda tra le gambe a fianco di suo padre.
Una ragazza dai brillanti capelli dorati e una balconata alla Hancock avvicina l'imponente uomo, sorridendo maliziosa, piena di acido fino al midollo osseo.
«Che belli i tuoi baffi, posso toccarli?»
L'uomo non fa neanche in tempo a dirle di no che la ragazza viene trascinata per i fianchi da un'amica, trasportata in quella folla impazzita. È sparita, persa per sempre.
Barbabianca si gira, Teach lo guarda. È inutile arrabbiarsi, tanto non la vedrà mai più.
Izo si fa strada per quella folla danzante, la cerca come un disperato. Ha bevuto, forse nel suo bicchiere c'era qualcosa di più, e adesso vuole assolutamente trovare Halta.
Anche Marco cerca qualcuno. La cerca ovunque e non riesce a trovarla. E come potrebbe? Tutta la città si è riunita su quella spiaggia bianca per festeggiare chissà chi. Solo in pochi sanno che il festeggiato fa la stessa, identica festa da più di una vita, sempre e solo a Namba. E solo loro gli portano dei regali, che consistono in giovani e avvenenti ragazzi somiglianti ad innocenti angeli.
Satch balla con Mimì. Il sudore gli cola lungo la schiena, scendendo copioso lungo la spina dorsale, mentre appoggia le labbra sul suo collo. Morde forte, le arrossa la pelle.
«Ti voglio da morire...» mormora contro il suo orecchio, stringendole forte le natiche.
Mimì sorride, gli poggia le mani sulle spalle e salta, allacciandogli le gambe attorno al bacino e mettendogli la lingua in bocca.
Hanno un sottofondo selvaggio offerto dai deejay, nessuno li guarda mentre Satch si cala un poco i pantaloni, mentre le scosta le mutande e la fa sua in mezzo alla folla, facendola urlare di piacere a pieni polmoni.
Ace li vede e ride, buttandosi sulla sabbia e lasciando che una bella rossa gli si sdrai addosso, che gli lecchi gli addominali e che qualcuno gli metta un pezzo di cocomero in bocca.
Marco adesso è davanti a Barbabianca, guarda i fratelli distruggersi il fegato e il cervello in mezzo a quel caos e non riesce a non domandarsi dove sia finita lei. L'idea che qualche idiota possa averle messo le mani addosso lo manda completamente fuori di testa.
Si addentra di nuovo tra quei corpi sudati, soffrendo per il caldo e per la polvere che gli secca la gola.
Una ragazza gli si spalma addosso, gli mette una mano in mezzo alle gambe e prova a baciarlo. È fuori di testa, non sa neanche su chi si sta strusciando, ma non le importa assolutamente.
Marco prova a togliersela di dosso senza farle del male quando un ringhio potente e animalesco gli arriva nitidamente alle orecchie, sovrastando pure tutto quel caos.
«Giù le mani.»
La ragazza si ritrova in ginocchio, con un polso piegato all'indietro e delle candide zanne a pochi centimetri dal volto.
«È roba mia.»
Akemi la lascia andare, ghignando divertita mentre la vede inciampare tra i suoi stessi piedi. Le piace quando qualcuno trema così di fronte a lei e se adesso Marco non le stesse appoggiando le mani sui fianchi probabilmente la seguirebbe per ucciderla. Non lo farebbe per quello che ha fatto, assolutamente. Lo farebbe perché nel profondo le manca la sensazione della vita che si spezza nelle sue mani, dell'improvviso silenzio del cuore prima imbizzarrito.
«E così sarei tuo?» le sussurra Marco all'orecchio, stando comunque attento a non farsi vedere da nessuno dei suoi compagni. In fondo tra la sua capigliatura e la bellezza inumana della ragazza sono facilmente riconoscibili.
Akemi si volta verso di lui, guardandolo con un ghigno divertito ad incresparle le labbra.
«Cercatene pure un'altra, non ti ferma nessuno.» lo sfida, allontanandosi dalle sue mani lentamente, muovendosi tra la folla come un predatore.
Marco la segue, notevolmente sorpreso dalla sua sorprendente capacità di mimetizzazione.
Akemi riesce a seminarlo, provando così a calmare il mostro che le ruggisce nel cuore. Perché sta succedendo di nuovo, come la sera precedente. Dentro di lei si muove qualcosa. Vuole il sangue, la disperazione e il caos.
«Quando si fa una dichiarazione del genere è una cosa molto seria.» la voce di Týr le risuona in testa nitidamente e questo sembra placare l'istinto feroce della bestia.
Si passa le mani tra i capelli, Akemi, notando tra la calca di corpi mezzi nudi Halta ballare insieme ad Izo. Sorride, è felice per loro, e subito si allontana, dirigendosi con passo svelto e sicuro verso il padre.
'Spiegati.' ordina dura, sedendosi di fianco al genitore mentre continua ad osservare le persone che la circondano. Nota pure l'espressione scocciata di Marco mentre li raggiunge e non riesce a trattenere un sorriso divertito.
«Quando un immortale dichiara che un essere umano è di sua proprietà, soprattutto di fronte ad altri immortali, deve essere pronto ad uno scontro all'ultimo sangue per poter mantenere tale diritto.» le spiega pazientemente Týr, stranamente serio, quasi duro. Perché lui, al contrario di Akemi, sa bene a quali problemi si va in contro quando si dicono certe cose, quali responsabilità bisogna addossarsi se si ha la lingua troppo sciolta e per questo vuole metterla un poco in guardia. In fondo non si diventa dei perfetti immortali da un giorno all'altro.
'Se non sbaglio ultimamente non mi faccio molti problemi ad uccidere, no?' risponde strafottente, mangiando una fragola e godendosi i brividi che le dita di Marco le provocano.
Si volta per guardarlo, notando come si finga a sua agio e completamente tranquillo, come riesca a non farsi vedere da nessuno e si rende conto tutto in un colpo di quanto dovrà faticare per riuscire a tenere quella “relazione” nascosta.
«Stai ricominciando a montarti la testa.» afferma Týr, stavolta realmente infastidito «Ti conviene tenere sempre la guardia alta, soprattutto qui. Questo posto brulica di immortali.» aggiunge subito dopo, per poi abbandonarla. Perché per lui deve imparare a stare al mondo da sola, a valutare le situazioni e cacciarsi da sé fuori dai guai. Certo, le darà una mano nei momenti di necessità, ma niente più di questo. Per i suoi standard è già troppo.
Barbabianca guarda di sottecchi la figlia che osserva con sguardo fiero e glaciale la folla impazzita, e non riesce a non pensare a quanto sia cresciuta, a quanto sia diventata forte. Pensa anche che quando saranno sulla nave, lontano da occhi e orecchie indiscrete, dovrà dirle ciò che ha scoperto sull'Ordine del Drago, rovinandole così la bella giornata. Perché durante la permanenza a Namba, Edward Newgate non è stato di certo a poltrire come un vecchio bacucco: si è informato, ha fatto ricerche, ed è saltato fuori, grazie ad una vecchia mezza rincoglionita dell'isola, che quelli sono delle specie di fanatici religiosi e che danno la caccia a tutti coloro che appartengono alla schiera degli immortali, proprio come lei, e che conoscono perfettamente il modo per eliminarli tutti quanti. Poi la vecchia è disgraziatamente morta d'infarto a causa dell'imprevisto incontro con la ciurma più temibile di tutti i mari e quindi non ha potuto sapere di più, ma gli va bene così. È sicuro, infatti, che la mente acuta della ragazza sarà capace di scavare più a fondo e scoprire tutto ciò che potrà servirle per eliminare quella minaccia.
E lui, Edward Newgate, l'essere umano più forte del mondo, farà tutto ciò che è in suo potere per aiutarla a fare pulizia di quella feccia.


Il porto è praticamente deserto, visto che tutti sono ancora troppo impegnati con i festeggiamenti, adesso spostati nelle vari vie della città.
La luce del tramonto si riflette sul mare, dipingendolo di un rosso vivo. Le onde s'infrangono debolmente contro la possente Moby Dick, bagnandola con la sua schiuma bianca. Là, in lontananza, fin dove si perde l'occhio, il mare e il cielo si fondono, creando un unico sfondo. Il Sole tinge il cielo di varie sfumature rosa, rosso e arancio, creando così un quadro perfetto.
Mentre tutti gli uomini sono già sulla nave a sistemare le provviste o semplicemente a rilassarsi, Satch resta sul ponte del molo, stretto tra le braccia di Mimì.
«Mi mancherai tanto...» gli mormora dolcemente la ragazza, nascondendo il viso nel suo ampio petto «Lo so, è assurdo, ti conosco appena... eppure... so che mi mancherai tantissimo.»
Trattiene a stento le lacrime, Mimì, per una questione d'orgoglio. Ha pianto troppo negli ultimi tempi, ha intaccato la sua pessima reputazione mostrandosi debole e sentimentale, e non può certo permettersi un altro scivolone simile. Inoltre, se solo osasse versare una sola lacrima e qualcuno la vedesse, Satch sarebbe seriamente in pericolo.
«Spero di poterti rincontrare...» le mormora affettuosamente il quarto comandante, stringendo involontariamente le braccia attorno al suo esile corpo, fregandosene del fatto che i suoi compagni lo stiano fissando dall'alto della nave.
«Speravo che tu lo dicessi.» afferma la ragazza, alzando di scatto il viso e guardandolo dritto negli occhi, sorridendogli dolcemente.
«Mh?»
«Zitto e baciami.» lo afferra per il foulard giallo e lo tira a sé, baciandolo con tutta la passione che ha in corpo, beandosi nella sua stretta protettiva e possessiva.
'Non permetterò che ti accada niente, lo giuro...'
«Quanto sono smielati.» commenta Ace, calcandosi il cappello da cowboy in testa e distogliendo finalmente lo sguardo dalla diabetica coppia che continua a scambiarsi effusioni sotto ai loro occhi.
«Taci, che se fossi stato al suo posto ti saresti messo a fare le bizze come un bambino!» lo prende in giro Namiur, dandogli una sonora pacca sulla spalla.
«Non è vero!» controbatte offeso Ace, gonfiando le guance e assumendo così un'espressione davvero buffa che fa scoppiare a ridere tutti i presenti.
«Lasciatemi stare Ace!» trilla Akemi, trottando verso l'amico e cingendogli il collo con le braccia tatuate «Povero il mio dolce zolfanello.»
«Gurararara!» tuona il capitano, facendoli voltare tutti quanti, incuriositi «Siete proprio un bel quadretto, voi due.» commenta subito dopo, facendoli impallidire. Se sapesse quello che hanno combinato tempo addietro da ubriachi, forse non lo direbbe più con tanta leggerezza. Perché è vero che spera che la sua adorata bambina scelga uno di quegli uomini di cui si fida ciecamente e che ama con tutto il cuore, ma probabilmente sapere che gli ha fatto un pompino quasi per gioco lo farebbe incazzare parecchio.
Marco, al suo fianco, irrigidisce la mascella e stringe i pugni, ricorrendo a tutto il suo autocontrollo per non scoppiare in un attacco di rabbia per un semplice giudizio.
'Babbo, per quanto io ti rispetti e ti voglia bene, di' un'altra volta una cosa del genere e riuscirò nella vecchia impresa di Ace.' si ritrova a pensare, facendo poi saettare lo sguardo su Teach, adesso accanto a Pugno di Fuoco, con un sorriso sulle labbra che semplicemente gli dà il vomito.
«A quando le nozze, comandante?» domanda sarcasticamente Barbanera, venendo fulminato immediatamente dallo sguardo del dolce Angelo Demoniaco.
«Ma vai a fare l'hula hoop con una sega circolare, va'!» gli ringhia contro, staccandosi dall'abbraccio di Ace e dirigendosi impettita verso la propria stanza, infastidita solo dalla sua vicinanza.
Un sorriso divertito increspa le labbra carnose del primo comandante, che piega un poco la testa e tira un mentale sospiro di sollievo.
'Brava così.'

Dopo circa un'ora, durante il quale ha aiutato i compagni a sistemare le scorte precedentemente fatte, Marco si è ritirato nella sua stanza per farsi una doccia al volo. Ha detto di essere stanco e di volersi riposare un po' prima di cena, ma in realtà il suo piano  era quello di darsi una sciacquata veloce e poi intrufolarsi nella cabina di Akemi.
Quando lo fa, però, si rende conto che la ragazza è sotto la doccia e sbuffa assai infastidito nel trovare la porta chiusa a chiave.
'Che sapesse che sarei venuto?' si domanda sospettoso, aprendo l'oblò e accendendosi in tutta calma una sigaretta, gioendo silenziosamente quando sente il getto dell'acqua chiudersi, indice che tra pochi minuti uscirà nuda e bagnata da quella piccola stanza.
Quando lo fa, le sue speranze si frantumano.
«Pensavi che sarei stata nuda, vero?» gli domanda sorridendo con aria furbetta, stringendosi teatralmente nell'accappatoio di cotone nero che le arriva fino a metà polpaccio.
Marco sbuffa una nuvoletta di fumo denso, scuotendo un poco la testa per non farle capire il profondo senso di turbamento che sta provando. 'Che legga anche nel pensiero?!'
«Che avevi prima?» gli domanda dopo qualche istante, dirigendosi a piedi nudi verso il cassettone che contiene la sua biancheria, mostrandosi completamente a suo agio di fronte a lui. Dentro in realtà è in imbarazzo da morire. In fondo non è proprio chiara la natura del loro rapporto e non sa esattamente come comportarsi.
«Niente, perché?» si dà da solo dello stupido per aver mentito, consapevole della bizzarra capacità della ragazza.
«Sembrava che volessi incenerire tutti quanti solo con lo sguardo.» insiste, poggiandosi con le spalle contro la parete e storcendo il naso di fronte alla sigaretta che si consuma tra le labbra di Marco. Dovrà togliergli quel vizio o, quanto meno, costringerlo a non fumare quando sono insieme.
«Mi davano fastidio i loro commenti.» ammette dopo qualche istante, tenendo la testa china per la vergogna. Per un istante l'idea di mandare tutto a monte e di allontanarla di nuovo lo sfiora, ma decide che è bene per entrambi accantonarla subito.
«Sei geloso di Ace?» gli domanda sorridendo sorpresa Akemi, avvicinandosi velocemente. Gli poggia poi le mani sulle spalle, cercando insistentemente i suoi occhi scuri colmi di vergogna e nervosismo.
«Ti avevo già detto questa mattina che mi dava noia. Ma non voglio che il vostro rapporto cambi, me lo farò andar bene. In fondo lui ti è stato molto più vicino di quanto non abbia fatto io.» borbotta con una certa convinzione la Fenice, intrecciando distrattamente le dita delle loro mani, guardando quei movimento come se andassero al rallentatore. Si sente un completo idiota quando pensa che siano perfette unite così: le proprie, forti e segnate dai duri lavori giornalieri di un pirata, e le sue, delicate e affusolate, senza imperfezioni. Certo, perfette se non si considerano i troppi tatuaggi, ovviamente.
Rimangono in silenzio per qualche minuto, la sigaretta viene finalmente spenta, e Marco può finalmente stringere a sé quel corpo che tanto brama lontano da occhi indiscreti.
«Come la mettiamo con tutti gli altri? Preferisci dirlo o...?» gli domanda titubante Akemi, tenendo lo sguardo basso.
«No, per carità!» sbotta Marco, rendendosi subito conto che la cosa potrebbe urtarla. Ormai la conosce abbastanza da poter dire con certezza che le parole vanno ben pensate prima di essere dette ad alta voce con lei, cosa che risulta un po' difficile in certi momenti.
«Non fraintendere eh, però non voglio che si sappia. Non mi piace che i fatti miei vengano sbandierati ai quattro venti.» si corregge subito dopo, prendendole in mento tra le mani e costringendola così a guardarlo negli occhi.
Gli sorride beffarda Akemi, inarcando un sopracciglio e fissandolo dritto negli occhi, come se gli stesse scrutando nel profondo dell'anima.
«E hai paura che il babbo ti faccia a fette.» esclama subito dopo convinta.
«Anche.» ammette ridacchiando il comandante, notando che la ragazza sta lentamente allentando il nodo che tiene chiuso l'accappatoio.
«Vieni qui...» mormora afferrandola saldamente per i fianchi e sollevandola da terra, facendola ridere di gusto.
La butta poi sul letto, afferrandola per le caviglie in modo che non possa scappare come sicuramente tenterebbe di fare per dispetto, e in pochi secondi si avventa sulle sue labbra.
La bacia con foga, facendo scivolare subito la lingua nella sua bocca, le mani scorrono sulla pelle della pancia e sui seni.
Akemi, completamente presa da quell'improvviso attacco di passione, gli sfila velocemente la camicia e subito comincia a passargli le mani sul petto muscoloso, eccitandosi ancora di più. Gli addominali scolpiti sono perfetti al tatto, i bicipiti muscolosi la mandano fuori di testa, i pettorali sviluppati le danno semplicemente il colpo di grazia. 'È perfetto...'
Marco abbandona, seppur a malincuore, le labbra dalla compagna e scende con la bocca lungo il petto della ragazza fino a ritrovarsi sui seni scoperti, che prende subito a baciare e leccare con avidità, facendola ansimare sempre più forte.
Di colpo però Akemi lo scansa con un gesto brusco e scatta a sedere sul materasso, ignorando lo sguardo perso del compagno.
«È ora di andare a cena.» afferma convinta dopo aver annusato attentamente l'aria.
«Come lo sai?» le domanda incerto, ancora mezzo sdraiato sul letto e con una voglia quasi imbarazzante di strapparle il perizoma che si era messa prima per farla sua lì, contro la cassettiera.
«A TAVOLAAA!!!» l'urlo di Ace lo riporta però con i piedi per terra e si trova quindi costretto ad alzarsi da quel comodo letto.
«Il tuo fiuto è eccezionale.» ammette sorridendole, afferrandole un polso e tirandosela addosso per poterle dare un ultimo bacio.
«Puoi dirlo forte.» gli fa l'occhiolino Akemi, afferrando uno scuro vestito largo ed infilandoselo velocemente, uscendo poi ancheggiando dalla stanza, ancora a piedi nudi, consapevole che l'uomo la sta seguendo con lo sguardo.
Si volta giusto per un ultimo istante e, notando che nessuno li sta guardando, gli fa segno di guardare nella tasca dei suoi pantaloni.
Marco, seppur incerto, esegue l'ordine e scopre, con un certo stupore, che è riuscita ad infilargli il perizoma che prima indossava nella tasca.
Scuote sconsolato la testa, passandosi una mano tra i capelli.
«Ehhh, si: sarà un bel casino.»

Dopo una giornata impegnativa come quella, in cui tutti hanno dato il peggio di sé a quella distruttiva festa sulla spiaggia, non si può certo pretendere che a cena siano tutti pimpanti e giocherelloni.
Infatti praticamente nessuno fa grandi battute o scherzetti, troppo presi dal mangiare velocemente ciò che hanno davanti per poi potersene andare a dormire.
Pure Ace, generalmente sempre attivo e scherzoso, mangia in religioso silenzio, cadendo con la faccia nel piatto più spesso del solito.
Marco, al suo fianco, lo afferra sempre per la collana di perle rosse per tirarlo fuori dalle pietanze ed evitandogli così di morire soffocato.
Di tanto in tanto lancia qualche fugace occhiata ad Akemi, intenta a parlottare fitta, fitta con Halta, entrambe completamente estraniate dal resto delle conversazioni.
Parlano di tutte le novità che hanno vissuto in quei giorni, delle preoccupazioni che tutti quei cambiamenti comportano. Si rassicurano, promettendosi di esserci in ogni caso.
Alcuni discutono animatamente delle novità che hanno letto sul giornale. A quanto sembra, infatti, la scia di omicidi non pare essersi arrestata, anzi, è peggiorata. Sempre più persone spariscono, sempre più cadaveri vengono ritrovati completamente dissanguati o maciullati.
Akemi, che per sbaglio ha ascoltato un pezzo di conversazione, chiede gentilmente se le possono mostrare la fotografia che era in allegato con l'ultimo articolo e, non appena le viene passata, rimane di stucco.
«Stanno coprendo qualcosa...» mormora disgustata, attirando l'attenzione di chi le è più vicino.
«Che vuoi dire?» le domanda Fossa. Anche lui sa che stanno cercando di minimizzare la faccenda, che sotto c'è qualcosa di ben peggiore di quanto non vogliano far credere, ma non riesce proprio a capire cosa.
«Qui dicono che sono degli uomini a compiere i massacri, ma non è possibile.» gli risponde con tono fermo, osservando con più attenzione le immagini «Data la tipologia dei morsi sottocutanei, si può di sicuro escludere un colpevole a due zampe.» aggiunge subito dopo, leggendo distrattamente l'articolo «Però quello che c'è scritto qui è giusto: “Secondo gli esperti, sembra che gli assassini volessero che la vittima guardasse”.»
«E perché sarebbe giusto?» le domanda Ace, ripresosi da poco da uno dei suoi attacchi di narcolessia. La guarda con qualche chicco di riso sparso sul viso e del sugo di carne che gli cola lungo il mento, cosa che però non la diverte per niente. È troppo presa da quelle immagini, da quella metodologia così familiare, per potervi badare.
«La paura è inebriante per i superpredatori.» afferma distrattamente, poggiando l'inserto sul tavolo e alzandosi in piedi, decisa ad andarsene a dormire «Non è insolito che sbudellino le loro prede e... mangino il grasso tra gli organi vitali, per tenerle in vita il più a lungo possibile durante il processo.» aggiunge subito dopo, alzando gli occhi su di loro e facendoli guizzare da un viso all'altro.
Tutti sono convinti che sappia quelle cose perché semplicemente ha letto molti libri, perché è colta, ma la verità è ben peggiore e più agghiacciante: anche lei lo ha fatto. Ha ucciso, ha provato piacere nel sentire gli occhi terrorizzati della vittima mentre la faceva a pezzi e ha fatto tutto quello che poteva per mantenerla in vita il più a lungo possibile.
Týr le ha spiegato che è semplicemente il suo istinto a farle fare cose simile e che quindi non deve né badarci né andargli contro. Deve accettarlo, ed è quello che ha fatto.
L'idea che ci sia qualcun altro che lo fa, però, la mette in agitazione.
«Io vado a riposare.» afferma sorridendo, fingendosi serena, ricevendo in risposta un cenno di consenso dai fratelli.
Marco la guarda con attenzione mentre se ne va ancheggiando verso l'uscita, mentre l'idea di intrufolarsi più tardi nella sua stanza per riprendere da dove hanno dovuto interrompersi prima diventa sempre più allettante.
Barbabianca si alza a sua volta, pronto ad affrontare quella spiacevole conversazione, venendo salutato calorosamente dai suoi adorati figli.
C'è un clima allegro, tutti sono sereni e rilassati, felici di aver finalmente passato qualche giorno sulla terraferma, ora pronti a riprendere il mare, elettrizzati dalle avventure che vivranno di giorno in giorno.
Questa gioia collettiva però si spezza all'improvviso quando odono il rumore sordo di uno sparo.
Akemi si blocca all'improvviso, guardando con sorpresa l'uomo che ha di fronte.
Ha i capelli di un biondo scuro che gli ricadono sulla fronte, gli occhi minacciosi ridotti a due fessure. Il viso dai lineamenti spigolosi è contratto in un'espressione d'odio puro. Il corpo è teso, il braccio allungato verso di lei, la pistola a pochi centimetri dal suo petto.
«Giustizia è fatta.» afferma sogghignando, mentre i vari pirati rimangono immobili, sotto shock.
Non riescono a capire come abbia fatto quell'uomo a montare sulla nave senza essere visto, inconsapevoli che si era nascosto all'interno di uno dei barili che avevano caricato nella stiva per fuggire dalle grinfie della ragazza che tanto hanno preso in simpatia, Mimì.
Akemi sente un profondo dolore irradiarsi in tutto il corpo. Dei rivoli di sangue nero scorrono lentamente dalle sue labbra, la vista si annebbia di colpo.
Delle fiamme si levano in aria, surriscaldando l'aria, e l'aggressore non fa in tempo a spostarsi che viene completamente avvolto dal fuoco del secondo comandante, fuori di sé dalla rabbia.
Altri scattano, le armi strette in mano in poco trafiggono l'uomo fino a ridurlo ad una poltiglia rossastra sparsa un po' ovunque.
L'Imperatore è riuscito ad afferrare al volo il corpo della figlia prima che si schiantasse a terra, tenendola stretta in un abbraccio disperato.
«Akemi!» la richiama a pieni polmoni, sentendo la sua pelle diventare sempre più fredda e il suo sguardo farsi vuoto.
Marco corre al suo fianco, passandole una mano sul volto incredibilmente pallido, cadaverico. Non gli importa che qualcuno adesso veda quel gesto, che si rendano conto che ormai non prova più un semplice affetto fraterno nei suoi confronti. Che vedano, che capiscano. Lei sta morendo, il suo corpo sta reagendo in modo completamente differente dalle altre volte: la ferita non si rimargina, delle venature scure si diramano velocemente per tutto il corpo, gli occhi si chiudono piano.
La trasportano velocemente in infermeria e le varie donne urlano per far uscire tutti quanti, che si appostano fuori dalla grande sala operatoria, pregando che quella brutta sensazione che provano sia solo un abbaglio.
«Dovete estrarre il proiettile!»
Sentono gli ordini impartiti da Ran e lo sgomento li assale completamente.
Si sentono degli sciocchi per non essersi accorti di niente, per non aver controllato che sulla nave non ci fosse niente di anomalo, non sapendo che i cacciatori come quello che hanno ucciso vengono addestrati sin dalla più tenera età a rendersi pressoché invisibili al mondo. Sono persone senza vita, senza affetti reali, con l'unico maniacale scopo di uccidere tutti coloro che appartengono al regno degli immortali. Una setta esistente da millenni, ecco cosa sono. Il Governo è a conoscenza della loro esistenza, ma mai una volta ha provato ad intromettersi per sapere di più, cosa che ha reso possibile il farli lavorare completamente nell'ombra.
«Non c'è, Ran!» urla un'infermiera, facendo battere ancora più velocemente i cuori dei vari pirati.
«Come sarebbe a dire che non c'è?! Non c'è nessun foro di uscita!» e come potrebbe esserci? I cacciatori non usano armi convenzionali, completamente inutili contro i loro spietati avversari. Sono arrivati a dover inventare armi apposite alla loro distruzione, migliorandole sempre di più.
Trovare un proiettile come quello usato dall'uomo è semplicemente impossibile per due ragioni: esplode a contatto con la vittima, rilasciando così i liquidi a cui loro sono mortalmente intolleranti, e i resti si corrodono a contatto con i loro organi, impedendone la rigenerazione.
Non troveranno niente dentro al petto di Akemi, se non qualche rimasuglio di un liquido argentato ancora non penetrato nei tessuti.
Non possono fare niente per lei, ormai.



Angolo dell'autrice:
Eccomi di nuovo qui! *schiva una sedia*
Dai, non odiatemi! Il capitolo è breve, si sono chiariti e si sono addirittura baciati! Ok, l'ho fatta morire alla fine, ma... dai! C'è stato un enorme progresso stavolta!
Vi dico subito che il prossimo capitolo sarà quasi completamente incentrato su questa morte (perché, se non si fosse capito, la situazione è ben diversa dalle altre e ben più grave), ma non vi anticipo altro. Per metà è già scritto :)
Comunque stiamo entrando sul serio nel vivo gente! Adesso darò un po' di spazio -ma non troppo- alla loro relazione e poi... IL CAPITOLO!
Ebbene si. Tra un massimo di 11 capitoli (vi consiglio di prepararvi perché sarà una fic mooolto lunga) ci sarà il primo colpo di scena (ed ho seriamente paura della vostra reazione...), mentre in quello successivo ci sarà il colpo di grazia, in cui FINALMENTE la natura di Akemi verrà rivelata :D Non siete un sacco happy adesso che lo sapete? :D
Certo, da quel momento le cose si complicheranno in maniera bestiale e vi dico subito che ci sarà un rapimento -non so ancora chi far soffrire però... suggerimenti?-.
Ok, basta. Sto facendo TROPPO spoiler.
Ringrazio di cuore ankoku, Lucyvanplet93, Yellow Canadair, Monkey_D_Alyce, Law_Death, Okami D Anima, Art_4ever, Aliaaara e Portgas D SaRa per le magnifiche recensioni che mi avete lasciato nello scorso capitolo! Davvero, siete dei tesori ♥♥♥
Ringrazio inoltre tutti coloro che hanno messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate :3 Troppo gentili!♥

Beh, direi che posso anche andarmene nel mio angolo oscuro a progettare altri capitoli >:3
A presto, un bacione
Kiki♥

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Capitolo 20
*** 20. Il resto può attendere + Special [Scacco alla Regina] ***


Piccolo avvertimento: Questo capitolo sarà impostato in maniera differente. Ci saranno i pensieri di Akemi nel limbo, alternati con ciò che avviene all'esterno di quel “mondo parallelo”, vissuti di volta in volta da un comandante. I primi due pezzi “esterni” avvengono uno dopo la sua morte e l'altro il giorno dopo, mentre gli altri verranno specificati.
So che lo avreste capito anche da soli, ma, come già detto in precedenza, questa storia è già troppo contorta di suo, quindi preferisco puntualizzare queste piccole cose :)

 
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È tutto così ingiusto...
C'ero riuscita. Avevo ottenuto quello per cui avevo lottato. Avevo pensato che sarei potuta essere felice, che avrei condotto una vita pseudo-normale. Invece tutto mi viene strappato via così...
Non è giusto.
«Ragazzina! Tieni gli occhi aperti! Ascoltami! Aggrappati alla mia voce, forza! Non puoi mollare!»
La voce di Týr è così lontana, eppure è qui vicino a me.
Lo vedo in tutta quest'oscurità, in tutto questo niente. È una presenza rassicurante in effetti. Almeno non muoio da sola.
«Forza ragazzina, tieni duro! Stringi i denti e combatti, forza!»
Stai piangendo, Týr? Sono lacrime quelle scie rosse che ti solcano le guance? Stai davvero piangendo per me? Dov'è finita la tua strafottenza? Dov'è la tua ironia? Dov'è la tua sicurezza? Ne ho bisogno, Týr. Ti prego, non versare lacrime per me. Non farmi questo, non ora. Ho bisogno della tua forza...
«Andrà tutto bene, ok? Forza, ascoltami, ok? Sono qui, sono al tuo fianco!»
Perché la tua voce è così debole? Perché sussurri? Týr, parlami, ti prego...
Mi fa male il petto... mi fa male tutto. I miei organi stanno cedendo uno dopo l'altro, lo sento. Sento le emorragie interne, sento le forze lasciarmi. Sento freddo, Týr. Perché sento freddo? Qui non dovrei sentire niente.
Týr, ho paura... perché non guarisco?
Týr, salvami, ti prego...
«Non ti azzardare a lasciarmi solo, chiaro?! Non puoi lasciarmi solo! Non puoi! Ho bisogno di te, lo capisci?! Forza! RESISTI!»
Lo sapevo che non eri di pietra come volevi farmi credere. Hai un cuore, vedi? Provi sentimenti. Ti sei affezionato a me, vero? Anche io mi sono affezionata a te. E non puoi neanche capire quanto mi faccia male l'idea di lasciarti qui da solo...
Non voglio andarmene. Non voglio lasciare tutto quello che ho faticosamente ottenuto.
Voglio diventare una grande piratessa come ho detto a Satch.
Voglio assicurarmi che il babbo stia bene.
Voglio sapere come procederà la relazione tra Halta e Izo.
Voglio mantenere la parola data a Marco. Voglio che quei giochi stupidi ed infantili diventino davvero la quotidianità per lui.
E voglio stare con te, Týr. Voglio tenerti compagnia in questo limbo maledetto, illuminare la tua oscurità e darti un minimo di sollievo.
«Non chiudere gli occhi! RESTA CON ME!»


L'ha pulita, tamponandola con una spugna imbevuta in acqua tiepida come piace a lei, usando il suo bagnoschiuma alle mandorle.
L'ha cambiata, togliendole quei vestiti intrisi di sangue e mettendole addosso un vestito leggero, con dei motivi floreali molto colorati così, quando aprirà gli occhi, si farà quattro risate perché odia i vestiti troppo dipinti.
L'ha truccata, provando così a nascondere le profonde occhiaie violacee e le labbra screpolate e con una lieve ombra bluastra.
Le ha spazzolato i capelli, come l'ha vista fare spesso prima di andare a dormire e li ha poi legati in una morbida treccia laterale.
Le ha messo lo smalto bianco sugli artigli, perché sa che le piace e che è così che li nasconde.
Le ha fatto tutto questo da quando le infermiere l'hanno lasciata sola, dichiarandola morta, e adesso veglia su di lei.
Veglia sul suo riposo troppo tranquillo, continuando a guardare quella ferita che non si rimargina, che continua a sgorgare lentamente sangue denso e nero. Prova pure a tamponarlo con degli stracci puliti, ma ci vogliono pochi minuti prima che siano da gettare.
Veglia sul suo corpo affinché nessuno si avvicini e osi disturbarla. Perché nessuno le farà del male, nessuno la sposterà da li. Dovranno prima passare sul suo di cadavere per riuscirci.
Le infermiere hanno detto che, sicuramente, questa volta non ci sarà nessun miracolo a farle riaprire gli occhi, che gli organi interni sono troppo mal messi, come corrosi, e che sarebbe meglio per tutti quanti cremare il corpo il prima possibile, per poter così prevenire eventuali epidemie dovute alla vicinanza di un cadavere.
Tutti hanno pianto. Tutti si sono disperati per la perdita della loro sorellina. Pure il grande capitano, Edward Newgate, non è riuscito a trattenere qualche lacrima colma di angoscia di fronte ai suoi sottoposti. Certo, non si è fatto vedere, è rimasto statuario, ma quelle lacrime ci sono state.
Halta non ha pianto. Non subito, almeno.
Lei si è messa ad urlare. Ha urlato con tutta l'aria che aveva nei polmoni, ha cominciato a distruggere tutto quello che le capitava sotto tiro, imprecando contro la sorella che, a suo dire, si sta rimangiando le loro promesse, e subito dopo si è barricata dentro all'infermeria con il suo cadavere.
È quasi un giorno, adesso, che veglia su di lei, che continua a tenerle la mano e a piangere.
Aspetta che si svegli, che sbatta lentamente le palpebre e tiri una sonora bestemmia contro l'uomo che l'ha uccisa. Ma questo non accade, mentre i minuti continuano a scorrere inesorabili.
«Ti ricordi...» una lacrima le cola sulla guancia, infrangendosi sul suo ginocchio «Quando... quando mi avevi chiesto se saremmo rimaste amiche per sempre ed io ho detto si?»
Aspetta una risposta, tenendole saldamente la mano. Ma Akemi non risponde, non si muove di un solo millimetro. La sua cassa toracica rimane immobile, i suoi organi non funzionano più. Pure le sue palpebre rimangono ferme, indice che non sta neanche sognando, che è morta sul serio.
«Io dicevo davvero...» mormora la comandante, passandosi una mano sul viso sudato e bagnato dalle troppe lacrime versare. Non credeva neanche di poter piangere così tanto.
«Sei mia sorella Akemi...» le parole rantolano appena udibili dalla sua bocca, le lacrime non accennano a fermarsi.
Qualcuno bussa alla porta, le voci dei suoi compagni le intimano di lasciarli entrare, che non la disturberanno. Dicono che le daranno da mangiare, che se vuole le daranno il cambio e le promettono che nessuno ha intenzione di torcere un solo capello ad Akemi.
Ma lei non si muove, rimane immobile a fissare la compagna morta stesa su quel lettino scomodo e sterile.
Vorrebbe almeno il Babbo in quel triste momento. Vorrebbe piangere sulla sua spalla, stringersi a lui con tutte le sue forze, ma non vuole fargli provare un simile dolore, non ora.
«Sei la mia migliore amica...» sussurra,passando una mano sul suo braccio. La pelle è sempre più fredda, i muscoli sempre più duri.
«Apri gli occhi sorellina...» la supplica, rannicchiandosi su sé stessa, tremando.
'Vorrei una clessidra, piena di fine sabbia dorata, che mi permetta di tornare indietro nel tempo... che mi permetta di non farti alzare da quel tavolo, di andare in contro alla morte...'
«Ho bisogno di te, Akemi. Ho bisogno che mi dici “va tutto bene, sorella. Tutto passa, ma noi restiamo”.» afferma con voce più convinta, alzando di nuovo lo sguardo su di lei «Quindi muoviti ad aprire gli occhi! Dobbiamo ancora parlare delle novità, ricordi? Dobbiamo dirci un sacco di cose!» è una supplica la sua. Supplica che però non viene udita.
«Halta?» sentire la voce di Izo la fa sobbalzare come un gatto sulla sedia.
Si domanda come abbia fatto ad entrare, perché non abbia rispettato il suo volere, ma poi comprende: ha combattuto per lei, per la sua causa, e vuole aiutarla in quel triste momento.
Halta si volta di scatto per nascondere il viso stravolto dalle lacrime ed Izo le si avvicina piano. Gli altri rimangono fuori dalla porta, d'accordo con lui per riuscire ad allontanare con calma la comandante da lì per darle il cambio.
«Stai piangendo?» le domanda stupidamente il filibustiere, andandole alle spalle e poggiandole una mano sulla spalla tremolante.
«No, sto imitando una fontana.» borbotta in risposta la ragazza, tenendo gli occhi fissi sul volto dell'amica. Spera di veder spuntare un sorriso sulle sue labbra, ma questo non avviene.
«Halta, per favore: siamo tutti in pena per te. Vieni con me, forza.»
La comandante, preda di un attacco di cieca rabbia, lo spintona via con forza e lo spinge verso la porta. Lo butta fuori, serrando di nuovo la stanza in modo da non essere più disturbata.
«Non me la porterete via... non anche voi...»

Týr? Týr, ti prego, non voglio un tuo ricordo. Voglio averti al mio fianco. Ti scongiuro, prendimi la mano e tienimi vicina a te. Ho bisogno di te più che mai.
Fa tutto così male... è tutto così angosciante.
Mi viene da piangere e non posso trattenere le lacrime. Sto morendo. Forse già lo sono.
Anzi, sono sicura di esserlo.
E so anche che questa è la mia condanna. Sono condannata a ripercorrere i miei errori all'infinito, a piangere e torturarmi l'anima per le vite che ho troncato.
Come inizio direi che non c'era niente di più azzeccato della casa abbandonata in cui andai da piccola, la prima volta che sono morta. Quando è iniziato tutto.
Divertente, davvero.
Condannata per l'eternità alla solitudine e a dover costantemente vedere tutto questo.
Non riesco neanche a muovermi. Il dolore è troppo forte anche solo per riuscire a respirare.
So di non essere sola, alle mie spalle c'è qualcuno.
Morirò dentro la morte stessa. Morirò all'infinito come pagamento per quelle vite innocenti che ho spezzato, per averli privati di una degna sepoltura, per aver impedito loro di poter tornare alle loro famiglie...
«Imba wimbo - wa upepo - wakati unajiwa na...»
Questa voce... è della stessa donna che più volte ho sentito cantare nei miei sogni!
«Imba wimbo - wa upepo - wakati ndoto tamu...»
Ti prego, continua a cantare per me. La tua voce è come un balsamo per le mie orecchie.
Mi fai stare bene, ti prego, canta...
«Lala mpaka usiku uisheni
Upepo wa usiku - wimbo wanko na...
»
Non piangere, ti prego. Donna dalla voce di miele, ti prego, non piangere. Non versare più lacrime. Non intensificare questa mia agonia. Però canta. Voglio sentire la tua voce che mi scalda il cuore. Il cuore che non batte più. Il cuore fermo e gelido che era stato appena mandato in fiamme da quella discussione con Marco.
«Wimbo wangu inaendelea milele...»
Marco... ti dedico questa canzone. Non so cosa significhi, ma te la dedico lo stesso. Sembra bella... magari sarebbe potuta diventare la nostra canzone. Che ne dici, Marco? È la nostra canzone?
Quando mi mancate...
Mi manca vivere...
Voglio tornare in vita!


Edward Newgate, dopo un momento di cedimento dovuto al troppo dolore per la perdita, ha deciso di appoggiare la decisione di Halta e di tenere il corpo della figlia fino al momento del suo risveglio.
Ha sfondato la porta all'alba, stufo di dover sottostare alle bizze della sua adorata figlia. L'ha presa in braccio, aiutato dai figli che le tenevano ferme le gambe e le impedivano di dimenarsi come un'ossessa, e l'ha portata nella sua stanza. Ha ordinato ad Izo, colui che in quel momento aveva il viso più sconvolto alla visione della ragazza ridotta ad una specie di indemoniata, di tenerla sotto osservazione e di andare a chiamarlo nel caso la situazione gli sfuggisse di mano.
Ha poi ordinato alle infermiere di lavare il corpo gelido di Akemi, di renderla presentabile e poi si è messo ad attendere il suo risveglio al suo fianco.
Ora le legge uno dei suoi noiosissimi tomi di storia antica, tenendo sempre l'orecchio teso per sentire l'eventuale arrivo di qualcuno. Perché per quanto la situazione sia drammatica, per quanto tutti se lo aspettino, non vuole farsi vedere così distrutto come in realtà è. Non vuole che stiano peggio di quanto non stanno, non vuole che soffrano a causa sua e del suo sconfinato amore per la ragazza morta a pochi metri da lui.
Sta leggendo un libro che tratta di un'antica popolazione di guerrieri nordici, che di solito compivano le loro scorrerie a bordo di navi incredibilmente avanzate per quell'epoca. Gliele descrive nel dettaglio, dicendole che se per caso le piacessero, potrebbe fargliene costruire una.
Le legge poi della loro bizzarra religione. Le dice che veneravano molti dei e dee e che i tre principali erano Odino, Thor e Freyr. Le dice che avevano forma umana e possedevano sia pregi che difetti, come gli uomini che tanto li ammiravano. Le dice scherzosamente che forse lei è figlia del capo degli dei, perché lui aveva due corvi che raccoglievano informazioni per suo conto. Le dice che magari Odino la sta tenendo d'occhio con quello strano corvo, che adesso la sta fissando dall'oblò, e che probabilmente a breve interverrà per farla svegliare.
Ridacchia appena, Barbabianca, nel leggere il nome sotto una rappresentazione.
«Sai che l'uomo che tanto di assilla ha il nome di uno di questi dei? Già, era il dio della guerra e patrono della giustizia.» afferma leggendo attentamente le righe sbiadite del libro, fermandosi poi per qualche istante. Spera di sentire un suo commento sarcastico sull'uomo che ingombra la sua mente, o almeno di vederle un'espressione ironica
in volto, ma ciò non accade. Lei rimane immobile, fredda e silenziosa.
«La mia bambina...» le passa una mano sulla testa, trattenendo le lacrime che vorrebbero uscire.
Ha già pianto quella notte in gran segreto. Dopo essersi lasciato sfuggire delle lacrime davanti agli altri, ha preferito ritirarsi nella sua stanza e lì sfogare il suo dolore.
Adesso che le lacrime sembrano essere finalmente domate, non vuole lasciarsi andare ad altri sentimentalismi simili.
«Era un Dio coraggioso, sai? La leggenda narra che mise una mano in bocca ad un grosso lupo infernale, Fenrir, così da poterlo incatenare e sventare la minaccia che rappresentava.» aggiunge subito dopo, tirando su col naso e sfogliando una pagina, voltandosi di scatto quando sente qualcuno avvicinarsi.
«Hai bisogno di qualcosa, babbo?» Ace sta sulla porta con sguardo triste, il cappello lasciato penzoloni sulla schiena in segno di rispetto. Non si azzarda neanche a guardare il corpo della sorella, non lo sopporterebbe.
Il capitano si alza dalla sua sedia e lo raggiunge, permettendogli così di farsi abbracciare. Perché sa quanto i due fossero legati, sa che nei loro frequenti abbracci c'era una muta richiesta di salvataggio dal mondo sporco che li circonda. Sa quanto Ace stia soffrendo per aver perso un'altra sorella, per non essere riuscito ad impedire la tragedia, e la cosa gli dilania il cuore.
«Andrà tutto bene.» afferma con tono duro, separandosi dal ragazzo. Lo guarda nei suoi profondi occhi neri e lucidi, cercando di trasmettergli la forza per non lasciarsi travolgere dal dolore. Perché Edward Newgate è sicuro che sua figlia si riprenderà, che aprirà di nuovo gli occhi e ricomincerà a portare il caos per la nave.
Poco importa se le infermiere dicono il contrario, lui ne è sicuro. E lui, si sa, è Barbabianca. Ciò che dice è praticamente legge, quindi non può sbagliare.
'Non appena aprirai gli occhi, figlia mia, ti accompagnerò personalmente alla ricerca di quei cani maledetti. Li elimineremo uno per uno, e tu sarai al sicuro. Perché io, Edward Newgate, ho promesso di proteggerti e così farò! Quindi apri gli occhi piccola mia. Apri i tuoi occhi glaciali e prendi la mia mano.'

«Non lasciarmi, piccola...»
Týr... sei qui, con me. Ho sentito di nuovo quel canto, sai? Quello che tu prendevi in giro.
«Ti supplico, non lasciarmi...»
Non ti lascio, no. Sono qui, al tuo fianco. Non mi vedi, Týr? Sono qui, stesa al tuo fianco. Ti sento vicino a me. Perché non mi senti vicina a te? Sono qui.
«Non voglio perderti...»
Týr, guardami. Sono qui.
No... aspetta: perché vedo il mio corpo steso accanto al tuo? Perché vi vedo e ti sento ma non posso toccarti? Perché non ti accorgi di me, Týr?! Ti prego, guardami negli occhi e dimmi che andrà tutto bene!
«Non posso perdere anche te...»
Sei dolce Týr. Mi hai coperto con la tua maglietta per non farmi sentire freddo. Però, anche tu ci sei andato giù pesante con i tatuaggi. Forse rideresti se sapessi che ho un piercing come i tuoi.
Dimmi che potrò vederti ridere di questo. Ti prego.
Dimmi che potrò vedere ancora il tuo magnifico sorriso strafottente, che potrò ancora sentire i vari insulti che mi rivolgi, che continuerai a raccontarmi del tuo passato.
«Ti prego...»
Sono io a pregarti, Týr.
Non piangere, non tu. Tu sei diventato la mia roccia, colui su cui faccio affidamento, colui a cui confido ogni cosa. Tu mi comprendi, non mi giudichi mai. Tu mi prendi in giro dicendo che non sono pronta, dicendo che un giorno splenderò. È per questo che piangi? Perché ti sei sbagliato?
Ti prego, Týr. Non piangere.
Se puoi, se ne hai il potere, torna nella mia realtà e di' ai miei compagni che va tutto bene, che sono morta senza soffrire. Di' a mio padre che gli ho voluto bene come a nessun altro al mondo. Di' ai miei fratelli che sono stati eccezionali e che mi dispiace per tutte le preoccupazioni che gli ho fatto prendere. Di' a Marco che non potrò mantenere la mia promessa... e digli anche che non ce l'avrò con lui quando troverà qualcun altro. Digli anche che spero il meglio per lui, che voglio solo la sua felicità.
Di' semplicemente loro che va bene così, che questo era il mio destino. E ringraziali per tutto quello che mi hanno dato.


Per una volta Fossa non fuma il suo amato sigaro. Ha pensato che fosse irrispettoso nei confronti della sorella che da sette giorni giace su quel lettino d'infermeria.
La osserva seduto scompostamente dall'angolo della stanza, ormai privo di argomenti che possano far rilassare un po' il quarto comandante, seduto al fianco della salma. Li ha tentati tutti, anche i più stupidi ed improbabili, ma non c'è stato verso di smuoverlo da quella sedia.
Sono infatti due giorni che Satch si è accampato accanto a quel lettino, che tampona i rivoli di sangue nero che colano ancora dalla ferita aperta, che le sistema cuscini e lenzuolo, che chiama le infermiere perché è convinto che si stia riprendendo. Non dorme, non mangia. Semplicemente veglia e s'immagina che avvenga il miracolo, in cui tutti veramente sperano.
Durante quelle dure giornate, tutti sono andati a visitare il corpo esanime di Akemi, parlandole del più e del meno, scoppiando poi in lacrime quando non ricevevano risposta.
Namiur le ha promesso che quando si riprenderà la farà giocare quanto vuole, che non le dirà più niente di cattivo se proverà a saltargli al collo.
Ace le ha detto scherzosamente che gliela farà pagare cara e che dovrà avere una buona scusa per quanto lo sta facendo soffrire. Subito dopo, lontano da occhi indiscreti, si è lasciato andare ad un pianto disperato, chiedendo a qualsiasi divinità in ascolto di riportargliela.
Halta continua a prendersi cura di lei, muovendosi per quella stanza come un fantasma. Nessuno credeva che qualcosa potesse ridurla in uno stato simile. Perché Halta è sempre stata forte, indistruttibile. Ora invece sembra uno spettro, che si aggira per la nave solo per inerzia.
Barbabianca si mostra forte di fronte ai suoi figli per non aggravare la loro situazione, ma dentro si sente letteralmente morire di ora in ora. Si era ripromesso che mai niente le avrebbe fatto del male, che non le sarebbe mai successo niente di male, e invece sta distesa morta da poco più di una settimana.
Però è speranzoso: i suoi organi sembrano essersi come rigenerati dove danneggiati, dalla sua pelle non proviene nessun cattivo odore dovuto alla putrefazione, la ferita è leggermente più piccola rispetto all'inizio e il sangue non scorre più come all'inizio, anzi, di tanto in tanto si ferma.
Marco le fa visita meno spesso degli altri e non si ferma mai quanto loro. Non è che non vuole starle vicino, è solo che non ce la fa. Il vederla stesa lì, fredda ed immobile, è come una coltellata dritta al cuore.
Adesso, a far compagnia ai due comandanti, è arrivato anche Teach. Le ha portato da mangiare una delle sue adorate crostate nel caso si svegli proprio in quel momento, e la lascerà lì fino a quel momento. O magari convincerà Satch a mangiarne almeno un pezzo e poi gliene porterà un'altra.
«Ancora niente?» sussurra all'orecchio del quindicesimo comandante, senza però staccare gli occhi dall'uomo che fissa con sguardo assente la corvina.
«Sarà mezz'ora che la punta così.» gli risponde con tono sconsolato, scrollando le ampie spalle.
Barbanera sospira rassegnato, avvicinandosi cautamente al cadavere e a quello che a breve ci diventerà se non si decide ad uscire dal suo stato vegetativo.
«Satch, forza.» gli mette la crostata sotto al naso e prova a smuoverlo scrollandolo per una spalla, non ottenendo alcun risultato «Devi mangiare qualcosa...»
«I pirati ballano sul ponte delle navi...» mormora con un filo di voce il quarto comandante, senza staccare neanche per un istante gli occhi dal volto rilassato dell'adorata sorella.
«Cosa?» gli domanda Teach, mentre Fossa scatta in piedi e gli va in contro. È la prima volta che lo sente parlare da più di un giorno, in fondo.
«E le casse scassano... se perdono le chiavi...» continua con quella cantilena appena udibile, stringendo convulsamente la mano fredda e dura della ragazza.
I due pirati si guardano negli occhi per secondi che sembrano durare secoli, riconoscendo quella canzoncina stupida come quella che il compagno le cantava quando era piccola per farla divertire.
«Dopo la vittoria, in alto la bandiera... sul pennone sventola... quella bianca e nera.»
Si guardano un'altra volta, poi abbassano lo sguardo sui due. Li osservano per qualche istante e si riguardano, entrambi folgorati dalla stessa e assai imbarazzante idea.
«Se una nave avvistano, sono pronti all'arrembaggio. Che mestiere facile è fare il brigantaggio!» cantano in coro, rossi per la vergogna.
Satch sembra riprendersi tutto in un colpo, facendo saettare la testa da un lato all'altro per poter vedere i volti dei compagni. Gli occhi gli si inumidiscono involontariamente e un lieve sorriso gli increspa le labbra, facendo tirare loro un mentale sospiro di sollievo.
«Gira, gira per il mar, corri e non fermarti mai. Sempre all'erta notte e dì: Pirata sei così!» conclude con più voce, passando una mano sul volto della sorella.
Le sue labbra sono violacee, gli occhi cerchiati dalle occhiaie.
Non ce la fa davvero più a vederla così e, solo grazie all'intervento dei due compagni, riesce a trovare la forza per alzarsi per andare a cercare Halta. In fondo, se vuole passare altro tempo lì dentro, ha bisogno che la ragazza mascheri alla meglio quell'aspetto cadaverico.

Sono morta.
I miei organi sono morti, il sangue non scorre più. La ferita sul petto non si rimargina.
Sono morta.
Sono morta e sono costretta a vagare per questo niente per l'eternità.
Dov'è la donna che canta? Voglio la sua voce.
Ti prego, mia Musa, continua a deliziarmi col tuo dolce e straziante canto, continua a starmi vicina.
Sento voci ovattate, parole che non riesco a comprendere del tutto. Solo le tue sono chiare e nitide alle mie orecchie, e mi calamitano verso di te. Quindi continua a cantare in quella strana lingua, continua a sussurrare parole dolci al fagotto che tieni tra le braccia.
È tuo figlio, quello? Devi averlo amato molto.
Perché non ti mostri a me? A quanto pare avremo molto tempo da trascorrere insieme. Sono morta, sai? Sono morta e probabilmente lo sei anche tu.
«La mia bambina...»
Ah, quindi è una bambina. Come l'hai chiamata? Deliziami con la tua voce melodica, raccontami di come il mondo ti ha ingiustamente condannata a questa sofferenza infinita. Raccontami e canta, ti prego.
«Il mondo ti darà la caccia per un crimine che non hai commesso, piccola mia. Il mondo non ti vuole, ma la tua mamma è qui. Sarò sempre con te, mio dolce Angelo...»
Avrei voluto che anche con me avessero fatto così. Avrei voluto ricevere tutto questo amore da mia madre, ricevere le sue lacrime, ma no, io non le meritavo. È per questo odio che mi porto dentro che sono confinata qui? Che colpa ho se non sono stata amata alla mia nascita?
«Dovrai andartene da me, piccola mia... e noi non ci vedremo più...»
Abbassati il mantello, brava. Voglio vedere se il tuo volto è bello come la tua voce. Voglio sapere se trasmette la stessa serenità delle tue melodiche parole.
Che bei capelli che hai. Sono così chiari che contrasteranno perfettamente con l'oscurità accecante in cui ci troveremo a breve, sai? Ti farò da guida come Týr ha fatto con me. Però dovrai cantare per questo. Perché il tuo canto allevia il mio dolore. Mi scioglie il cuore la tua voce, mi culla la mente e non mi fa pensare a quanto la vita sia ingiusta.
Ma cosa tieni tra le mani? Cosa nascondi così gelosamente? Fammela vedere. Fammi vedere la tua preziosa bambina.
Guarda come la tieni tra le braccia... quanto la ami? Immensamente, direi. Perché io non sono stata amata? Perché io ero solo immondizia? Perché devo provare tutto questo odio in questo infinito dolore? Perché la morte si prende gioco di me così apertamente?!
«Prima di lasciarti andare, mia piccola gemma, voglio augurarti di saperti sempre ravvedere da chi ha il male nel cuore. Voglio augurarti una vita piena di amore. Un uomo degno e dal cuore d'oro ti salverà dal male che ti circonda e che ti proteggerà. Perché tu non hai colpe, mio dolce diamante nero. Tu non hai fatto niente di sbagliato. Se ci sono dei colpevoli, siamo noi.»
Cosa dici, donna melodica? Canta per noi. Cantale quella ninna nanna. Cullala con la tua voce e poi vieni da me. Vieni a darmi questo dannato amore materno che mi è stato negato!
E tu, piccola infante fortunata, smettila di squittire da dentro quella cesta. Rovini le parole di tua madre. Guarda, ti bacia pure. Ti invidio, sai? Anche io avrei voluto essere baciata da mia madre, sentire le sue fredde lacrime cadermi addosso mentre mi doveva dire addio per proteggermi.
Aspetta...
«Fai buon viaggio, amore mio...»
Quella cesta... quel vestito... SONO MIEI!
Tu, donna che canta! Spiegami questa stramberia, subito! Cantami come è possibile che io, una donna morta condannata al supplizio eterno, posso vedere il momento in cui vengo abbandonata con tanta sofferenza da parte della mia presunta madre!
Non mi fiderò più di te e del tuo canto, infida strega. Non ti ascolterò più! Mi hai ingannata!
Non è vero...?


Il Sole sta pigramente tramontando, per dare così spazio ad una magnifica Luna crescente.
I componenti della ciurma si stanno preparando all'abbondante cena che a breve sarà servita. Tutti sono più o meno silenziosi e cercano di tirar su come possono il morale più che basso del capitano, silenzioso da giorni.
Tutti loro sanno quanto sta soffrendo, consapevoli dell'attaccamento alla ragazza. Non c'è bisogno che lui lo dica apertamente, loro già lo sanno. Ne hanno avuto una più che ampia dimostrazione quando, con un solo colpo, ha distrutto un'intera nave avversaria. Il colpo, tra l'altro, era stato lanciato quasi alla rinfusa, dimostrazione più che plateale del suo dolore accecante.
Marco, riunito assieme ad alcuni compagni, ascolta silenzioso i loro discorsi più o meno leggeri. Tutti cercano di evitare come meglio possono l'argomento, ma per Marco questo semplice accorgimento non è sufficiente.
Nel pomeriggio è andato a far visita ad Halta, portandole da mangiare e lasciandole sfogare tutta la rabbia che porta dentro contro la sua spalla. L'ha ascoltata, l'ha consolata, le ha promesso che andrà tutto bene.
Il problema è che neanche lui ci crede, non molto ormai. Per i primi giorni continuava a ripetersi che si sarebbe svegliata da un momento all'altro, che avrebbe tirato una colossale bestemmia e si sarebbe lamentata per ore, ma ciò non è mai successo. Ha cominciato a pensare che era entrata in coma, così ha assistito di tanto in tanto le infermiere e le ha esposto vagamente la sua teoria, prontamente smentita.
Non c'è battito, non c'è attività celebrale. È definitivamente morta.
Queste sono state le loro parole, dette con una nota di dolore così forte che quasi faceva stridere le loro voci, tanto forte da dilaniargli il cuore.
Non ha voluto crederci, si è chiuso nell'idea che sbagliassero e che si sarebbe svegliata a breve, ma dopo dieci giorni non ne è più così sicuro. L'unica cosa che ancora alita lievemente sulla fiamma della sua speranza è il fatto che non c'è traccia di decomposizione nel suo organismo.
Le infermiere hanno azzardato che ciò è dovuto alla sua misteriosa natura, ma lui le ha silenziosamente contraddette.
Si è detto che non si sta decomponendo semplicemente perché non è davvero morta, ed è proprio per questo che ora, dopo tutti quei giorni, ha deciso di andare lui stesso a vegliare sulla sua salma, dando così il cambio a Curiel.
Quando arriva davanti alla porta dell'infermeria, dopo essere così passato sotto lo sguardo vagamente sorpreso di tutti i compagni, sente le parole che il decimo comandante le rivolge.
Le dice che le ha preparato una pistola, che gliela regalerà non appena aprirà gli occhi. Le dice che ha un mirino precisissimo che, unito alla sua straordinaria vista, la renderà un cecchino infallibile.
Sorride nel sentirlo parlare così animatamente, come se lei fosse cosciente, e solo dopo una manciata di secondi decide di palesare la sua presenza picchiettando sullo stipite della porta, dicendogli che gli dà il cambio e che può andare a riposarsi.
Curiel annuisce, dandogli una pacca sulla spalla quando gli passa vicino, e Marco finalmente può disfarsi del falso sorriso che aveva messo su quando era entrato.
Si avvicina alla sedia precedentemente occupata dal compagno con passo malfermo, guardandola per davvero per la prima volta.
Era stato diverse volte dentro quella stanza insieme ai compagni, ma non si era mai davvero soffermato a guardarla. Gli faceva troppo male, ma adesso proprio non riesce a non guardarla.
'Fa caldo, ma io ho freddo. Sto gelando dentro di fronte alla tua morte.'
Si siede e si mette comodo, senza mai staccarle gli occhi di dosso.
È così immobile, così innaturale. È abituato a vederla sempre in giro, abituato alla sua vitalità e alla sua follia, e vederla stesa lì, così morta, lo uccide dentro. Perché non ti uccide solo una malattia, un incidente, la droga o l'alcol; anche un lutto può ucciderti, anche vedere una persona che per te conta immensamente giacere morta di fronte a te può ucciderti.
Si passa le mani sul volto stanco, senza però sentire il bisogno di versare neanche una lacrima. Perché mai farlo, ora? Anzi, la domanda esatta è come farlo, visto che ormai le ha esaurite tutte quante?
Perché anche Marco ha pianto, seppur in modo silenzioso, sotto la doccia. Ha pianto e sfogato così il dolore che ha provato nel provare ad accettare la sua perdita.
'Se scegli di vivere, scegli anche di morire. Sono queste le regole del gioco. Ma queste regole per te non hanno mai avuto significato... perché adesso le segui? Perché non ti ribelli a loro?'
Continua a domandarsi, guardandola così rilassata e fredda.
Le prende una mano tra le sue, portandola alle labbra e baciandola piano.
«Ho mentito. Ho mentito a tutti, incluso me stesso.» mormora, chinando la testa e chiudendo con forza gli occhi «Non sono fuori dal nostro rapporto. Ci sono dentro, tanto che sono qui a supplicarti.» continua, rialzando il capo e guardando i suoi lineamenti delicati, il suo volto pallido e cadaverico «Ti supplico di riaprire gli occhi e di tornare da me, Akemi. Perché mi sono messo in gioco per te, ho messo da parte il mio orgoglio e le mie paure per te... e ora non puoi farmi questo. Non puoi tirarti indietro.»
Pensa ad Akemi, sente le sue braccia che lo cingono, vede la curva delle sue labbra che gli sorridono, il dolce languido frullio delle sue lunghe ciglia.
Per parecchi giorni non si era davvero reso conto di quanto la desiderasse, di quanto gli piacesse parlarle e stare con lei. Ma adesso che ce l'ha di fronte e non sente nessuna risposta alla sua dichiarazione, se ne accorge tutto in un colpo. Si accorge di quanto la sua vita possa essere dannatamente grigia e non vuole accettarlo.
«Se proprio non mi vuoi ascoltare, lo chiedo a te... Týr. Sono sicuro che tu, nascosto per chissà quale ragione nella sua testa, mi puoi sentire.» afferma con tono duro, stringendo maggiormente la presa sulla mano della defunta compagna «Riportamela indietro. Fai in modo che ritrovi la via, che riapra gli occhi, perché qui abbiamo bisogno di lei... io ho bisogno di lei.»

Era lei? Non era lei? Forse lo era davvero...
Forse quella donna melodica era davvero mia madre. Forse non voleva separarsi da me. Forse voleva proteggermi. Ma da cosa? Cosa c'è di così pericoloso là fuori? Ormai più niente, direi. Sono morta.
«Ragazzina!»
Týr... è bello vedere il tuo sorriso. Sorridi sempre con me, da ora in poi. Non riesco a vederti piangere, mi fa male.
«Sei sveglia...»
Le tue mani mi sfiorano appena. Hai paura di farmi male? Beh, sono morta. Dubito che tu possa peggiorare la situazione.
«Hai sconfitto la morte, piccola mia...»
Le tue carezze sono dolcissime. Mi fanno sentire protetta. Non smettere, ti prego...
«Mi rimangio ciò che ho detto in passato, ragazzina: tu meriti la tua immortalità.»
Sembri fiero, Týr. Perché? Chissà, magari è così che si muore. Finisci in un limbo, ci muori definitivamente dentro e, se ne sei all'altezza, ci rimani, sennò sei costretto a vagare in infiniti corridoi di sofferenza e morte. Può essere, si. In fondo, chi mai è tornato indietro per poter dire il contrario?
«Sai, per quanto mi piacerebbe restare parlare con te, dirti quanto mi hai fatto dannare in tutto questo tempo, quanto ti detesto profondamente per quello che mi hai fatto... penso proprio che dovrò rimandare. C'è qualcuno, là fuori, che non aspetta altro che tu ti svegli.»
Non posso andarci, Týr. Sono morta, come te. Ricordi?
«Adesso apri gli occhi, dolce creatura baciata dalla fortuna. Apri gli occhi e goditi l'aria fredda sulla pelle, goditi la vista delle stelle che brillano nel cielo. Goditi l'amore dei tuoi compagni, nutritene fino a scoppiare. E continua a sognare, ragazzina. Sogna di quei canti assurdi che tanto di piacciono... e ricorda chi sei.»


Gli occhi si aprono di scatto, fissando il soffitto chiaro della stanza.
Tutto le sembra sospeso, come se si trovasse ancora in uno di quei sogni assurdi, come se fosse ancora morta. Ma il suo cuore batte, lo sente. Sente il sangue scorrerle di nuovo nelle vene, i muscoli fremere dalla voglia di scattare, le gambe pregarla di farle muovere e correre fino allo stremo delle forze.
Ma sente anche un altro cuore batterle vicino. Un cuore che batte calmo, un respiro regolare e lento, e un profumo di muschio bianco e salmastro le arriva dolcemente alle narici.
Volta lievemente la testa, analizzando la figura dormiente che ha di fianco. Per un istante non riesce neanche a riconoscerlo, non vede niente di familiare in lui, ma poi la sua mente si accende, i ricordi scorrono come un fiume in piena davanti ai suoi occhi.
«Marco...»
Le sembra così calmo, piegato sul suo letto a dormire beato, incurante di ciò che sta succedendo.
Vorrebbe toccarlo, ma non lo fa. Rimane semplicemente immobile a fissarlo, ad imprimersi nella mente ogni dettaglio, dai ciuffi biondi che gli ricadono sugli occhi al volto rilassato, dalle braccia muscolose a sostenerlo alla cassa toracica che si contrae ad ogni respiro.
Lo guarda e lo trova incantevole, come se fosse una specie di allucinazione, uno spruzzo di luce nel suo tormento infernale.
Si alza senza far rumore, distogliendo finalmente lo sguardo dal pirata ancora dormiente e fissandolo nello specchio nell'angolo della stanza: la sua pelle è chiara e levigata, gli occhi come quelli di un morto, i capelli lucenti e lunghi fino al ginocchio, legati in una treccia ordinata.
Si domanda se è viva o se è un'illusione, se il suo cuore stia realmente battendo o se è solo l'ennesima tortura che il suo personale Inferno le sta infliggendo.
Cammina lentamente fino a raggiungere un mobiletto su cui sono appoggiati degli strumenti chirurgici. Sente il freddo sotto ai piedi nudi, ma come prova non le basta.
Afferra un bisturi sterile e poggia la lama affilata sulla pelle delicata del polso, facendo una lieve pressione per poterla aprire. Il sangue scorre piano, scuro e denso, e il dolore, per sua enorme gioia, è reale. Così come è reale la pelle che si rimargina in pochi istanti. Così come è reale la cicatrice rosea che vede sul petto, all'altezza del cuore.
Torna a fissare il suo riflesso nello specchio, non riconoscendosi.
Si domanda cosa sia, quale maledizione graviti attorno a lei. Si domanda se mai troverà le risposte che cerca, se mai la sua agonia avrà fine.
Una mano si allunga lentamente verso un paio di grosse forbici d'acciaio e, senza neanche pensarci, come se non fosse lei a guidare quel semplice movimento, recide con decisione la treccia, che s'infrange sul pavimento asettico dell'infermeria.
Taglia ancora, taglia sempre di più. Taglia finché i suoi capelli non diventano simili a quelli dell'Angelo Maledetto che piangeva sulla sua carcassa, finché il suo riflesso non le ricorda Týr. Non sa neanche lei perché, ma quel gesto vuole quasi simboleggiare la sua rinascita, la morte di una creatura e la rinascita di un'altra.
Non si cura di far piano quando poggia le forbici sul mobiletto, non badando minimamente al fastidioso rumore metallico che esse producono.
Ma Marco se ne accorge e, ridestatosi dal suo profondo e confortante sonno, si accorge con sconcerto che la ragazza non è più al suo fianco. Si domanda con angoscia se per caso l'hanno portata via mentre non era cosciente, stufi di dover aspettare quel tanto impossibile risveglio dalle tenebre. Ma quando finalmente alza gli occhi, pronto a dare l'allarme, lei è lì, perfettamente candida e levigata, come scolpita nell'avorio, e il suo viso appare esanime come una statua, ad eccezione di quegli occhi di ghiaccio, ardenti come una fiamma in un teschio. Ed è proprio grazie a quegli occhi che si rende conto che è viva, che il miracolo è avvenuto ed è di nuovo al suo fianco.
«Akemi...»
Si alza lentamente, barcollando come un ubriaco nella sua direzione, fissandola come se fosse il più luminoso dei miraggi.
È come se non si riconoscessero, come se fossero due estranei a confronto, finché, dopo istanti interminabili, le loro mani si toccano. Si toccano a mezz'aria, provocandosi una nitida scossa elettrica lungo la spina dorsale. Scossa che li ridesta del tutto, che fa aprire loro gli occhi come se fossero appena venuti al mondo. Ed è con questa rinascita che Marco scatta sul serio, stringendola tra le sue braccia con forza, timoroso di vederla sparire proprio sotto ai propri occhi.
«Sei viva...» mormora con un filo di voce, incredulo.
Akemi rimane immobile a bearsi di quel profumo così dannatamente delizioso, con la gola secca e un fastidioso prurito alle mani che vorrebbero semplicemente dilaniare quella carne calda e tenera. Ma si trattiene dal farlo, le costringe a star ferme, costringe il Demone che si porta dentro a trattenersi, a farle godere di quel calore così tanto agonizzato.
«Marco...» mormora a sua volta, stringendo finalmente le braccia attorno alle sue spalle, immergendo il viso nell'incavo del suo collo, inspirando a pieni polmoni la sua dolce essenza.
Rimangono immobili, stretti l'uno tra le braccia dell'altra, senza dire una parola. Non ce n'è alcun bisogno, in fondo. Akemi può sentire la sua felicità grazie ai battiti impazziti del suo cuore e Marco può sentirlo dal modo in cui si aggrappa a lui, dalle calde lacrime che versa sulla sua spalla, imbrattandogli la camicia.
«Non mi sembra vero...» mormora il comandante, baciandole la testa. In quel momento non gli importa neanche che qualcuno possa entrare e li veda così, che lo vedano così stretto a lei, che vedano i loro baci passionali. Non gli importa di niente, solo di continuare a stringerla a sé, di continuare a lambire quelle labbra rosee e fresche, così dannatamente perfette a contatto con le sue.
Akemi però interrompe quel contatto, guardandolo con gioia crescente negli occhi. Lo guarda e nuove lacrime le rigano le guance quando i ricordi le tornano alla mente.
«Ho visto la mia mamma.» mormora con un filo di voce, mentre il ricordo di quegli splendenti capelli biondi e di quei dolci canti le riempiono di nuovo la mente, mentre la sensazione di quell'ultimo bacio sulla fronte diventa viva su di lei.
«L'ho vista, Marco, mentre mi metteva nella cesta. Lei... lei era dispiaciuta. Non voleva separarsi da me.»
Marco rimane interdetto di fronte a quella dichiarazione e subito arriva alla conclusione che se lo sia solo immaginato, che sia stata come un'autodifesa per proteggersi dalle tenebre che l'avvolgevano. Non glielo dice però. Si limita a sorriderle dolcemente, pulendole le lacrime scarlatte dal viso d'avorio, baciandola a fior di labbra.
«Sono davvero felice per te, piccola...» sussurra, poggiando la fronte sulla sua.
I suoi capelli, ora così incredibilmente corti e quasi maschili, gli solleticano la pelle, ma non ha certo intenzione di perdere tempo per chiederle cosa l'abbia spinta a farlo. Gli piacevano da impazzire i suoi capelli lunghi, è vero, ma adesso non hanno importanza.
«Quanto sono stata fuori gioco?» gli domanda con un certo disorientamento, facendo scivolare le braccia attorno alle sue spalle larghe e forti, senza mai interrompere il contatto visivo.
Le erano mancati i suoi occhi, da impazzire. Le era mancato il suo modo di guardare le cose, così calmo e distaccato. Le era mancato il suo modo di guardarla, così famelico e passionale.
«Dieci giorni...» le risponde con amarezza, sfiorando con i polpastrelli la sua schiena da sotto la maglietta leggera «Ho avuto veramente paura di averti persa... tutto quanti l'abbiamo avuta.»
Akemi gli sorride per rassicurarlo e lo bacia di nuovo. Lo bacia e lo stringe a sé, beandosi della sua stretta forte, possessiva e protettiva. Perché sente che lui la proteggerà da adesso in poi, che sarà al suo fianco per sorreggerla e sa, con incredibile certezza, che riuscirà a strapparla sempre dalle braccia della morte.
«Forse è il caso che vada a dirgli che sto bene...» mormora a corto di fiato, separandosi a malincuore dalle sue labbra e provando a sciogliere quell'incantevole abbraccio, venendo però bloccata dalla sua salda presa.
«No. Tu adesso resti con me.» ordina con voce scherzosa il comandante, prendendole timidamente le mani e incrociando le dita alle sue «Il resto può attendere.» aggiunge subito dopo, dandole un altro bacio a fior di labbra, sorridendo con lei.
E restano così, tenendosi le mani, ad annegarsi negli occhi.



Angolo dell'autrice:
Salve pulcini miei! (?! O.o)
Capitolo breve, è vero, ma penso che sia stato abbastanza intenso. È vero che sono cose smielate scritte male, ma almeno un po' di intensità ci dovrebbe essere >.<
Tuuuutti disperati! Teach dolcioso. Satch e Halta in zombie style. Babbo che non vuol farli preoccupare. Marco che alla fine le salta addosso. Ma perché la mia mente è così deviata? Ci sarà un motivo. Uno solo! Non ne sto chiedendo molti! >.<
Adesso però dovete prepararvi, perché presto dovremo affrontare un trio di uomini innamorati che non hanno idea di dove metter mano, completamente impreparati ad una situazione simile!
Poi, ovviamente, ci saranno altri scazzi mentali di Akemi, sempre più violenti a dire il vero.
Nel prossimo, giustamente, ci sarà più che altro l'approfondimento del rapporto tra loro due, ma presto tornerà l'azione! Ci saranno scontri, arriverà un alleato... insomma, ne ho in mente di cosucce prima del capitolo! Ovviamente non mancheranno le zozzerie tra i due :P (Certo, nei limiti che il raiting impone D”: )

Ringrazio di cuore Lucyvanplet93, Okami D Anima, ankoku, Keyra Hanako D Hono, Aliaaara, Monkey_D_Alyce, Law_Death, Art_4ever, Yellow Canadair, rosy03, nemesis_inframe92 e Portgas D SaRa per le magnifiche recensioni che mi avete lasciato nel precedente capitolo! Siete i miei angeli *w* ♥
Beh, anche per questa volta vi saluto! :D Spero davvero tanto di non deludervi mai con questa storia :///
Adesso vi lascio con un nuovo speciale! (Mi odierete, si.) ← Già che ci sono, vi dico un paio di cose ancora: dopo aver pubblicato il prossimo capitolo, verrà finalmente pubblicata la OneShot su Satch, e tra 2 capitoli ci sarà un altro special, dove verrà introdotto meglio il salvatore-villian... chi lo sa cos'è? :)
Ok, basta. Dico sempre troppo, non trovate? ;)
A presto, un bacione
Kiki ♥

 
 
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Il sangue cola lento dalle profonde ferite all'addome, picchiettando fastidiosamente a terra.
I polsi bruciano grazie alle catene d'argento a cui è stato appeso.
Il corpo vacilla lento ad ogni frustata che gli viene inferta.
Ma non cede. Kakashi non cederà mai.
«Ammetto che sai come giocare...» mormora quasi a corto di fiato, senza mai staccare gli occhi dall'uomo mascherato che ha di fronte.
«Però, diciamocelo: una maschera da Oni rosso sangue? Patetica.» si prende gioco di lui per guadagnare tempo, maledicendosi per aver avuto la stupida idea di volerlo affrontare da solo. Il realtà non era neanche sicuro che la voce fosse vera e probabilmente è stato proprio questo ad infervorarlo particolarmente. Doveva accertarsene subito, doveva sapere se quel bastardo era ancora vivo. E lo è, eccome se lo è.
«Tra l'altro hai pure sbagliato, sai? Gli Oni usano una mazza ferrata, non un gatto a nove code.» insiste, sperando con tutto sé stesso che arrivi la sorella a dargli man forte. Ma sa, nel profondo del suo cuore nero, che non accadrà. Non è così stupido da poter pensare che quel bastardo non si sia creato una cerchia di fanatici come difesa.
Lo guarda con attenzione mentre gli gira attorno, mugolando appena quando un nuovo colpo gli viene inferto sulle costole. La pelle viene strappata via, il sangue cola denso e scuro sulla pelle candida.
«Proprio non capisco perché ti chiamano “Flagello”...» ansima, riuscendo finalmente a scorgere i suoi occhi neri come la notte dai fori della maschera. 'Non si sta neanche trasformando, dannazione.'
«La tua voce mi dà molto fastidio.» afferma atono, reclinando appena la testa di lato «Penso che te la taglierò.»
Kakashi indurisce lo sguardo, snudando le zanne, pronto a staccargli almeno un dito quando proverà a toccarlo. Perché è consapevole che morirà, ma è più che intenzionato a portarsi via almeno un pezzettino come ripicca.
L'uomo mascherato volta piano la testa verso la grande entrata del magazzino in cui ha teso l'agguato al gruppo di cacciatori che tanto lo sta infastidendo, sorridendo beffardo da sotto la maschera rossa.
«L'inutilità di un Dragone contro degli avversari ben nutriti è sconcertante.» afferma tra sé e sé, lasciandosi sfuggire un risolino divertito «La lingua te la staccherò in un altro momento, Torturatore.»
«Te ne vai già? Che peccato.» pensa e ripensa a qualcosa di cattivo da dirgli in modo da costringerlo a trattenersi, ma proprio non trova niente. In realtà non c'è mai stato niente che gli desse veramente fastidio, anzi, sembrava non ascoltare mai nessuno. Qualsiasi insulto gli venisse rivolto, anche il più pesante, lo lasciava completamente indifferente.
Ma Kakashi sa qual è il suo punto debole, cosa può mandarlo in bestia sul serio.
«La creatura non si unirà mai ad un esiliato.» lo sottolinea bene, ghignando divertito. Perché non c'è affronto peggiore per un immortale della sua specie oltre ad essere esiliato, cacciato dal branco e costretto a viaggiare da solo, condannato così ad una fine lenta e dolorosa. Perché nessuno di loro può vivere da solo, è contro natura anche per dei dannati come loro.
L'uomo però non fa una piega. Continua a camminare calmo verso l'uscita, incurante dei rinforzi del ragazzo che si stanno velocemente avvicinando, decimando così il suo corpo di guardia.
Prima di varcare quella soglia, però, volta un poco la testa verso il biondo, sorridendo da sotto quell'inquietante maschera «La creatura mi appartiene, Kakashi. E me la prenderò.»
Si finge divertito, Kakashi, ridendo appena e rabbrividendo quando lo vede sparire in una nube di fumo. È sconcertante per lui rendersi conto quanto sia riuscito ad apprendere dalla Strega, quanto il suo potere sia infinito, come riesca ogni volta a sottrarsi al freddo abbraccio della morte.
Sente in lontananza il richiamo della sorella, in ringhio profondo e animalesco di Freya, l'odore fresco di fiori di Mimì, e non appena scorge la chioma rossa di Arista i suoi occhi si chiudono e i sensi lo abbandonano completamente.


«Che ci fate qui?» l'Imperatore non tollera che i suoi ordini vengano infranti, neanche quando è uno dei suoi preziosi figli a farlo. Alla fine li perdona sempre, ma mai una volta evita di punirli severamente.
Quando però vede lo sguardo sconvolto di Sakura, il terrore negli occhi di Freya, le ferite sul corpo immobile di Kakashi, qualcosa dentro di lui si muove e un brutto presentimento gli aleggia nel cuore.
«Cacciatori?» si avvicina velocemente al gruppo, ma non fa in tempo a raggiungere il corpo martoriato del biondino ancora privo di conoscenza che Geri lo precede, stringendo quel corpo insanguinato tra le braccia calde e muscolose, sollevandolo dalla sua barella e trasportandolo velocemente in infermeria, invocando il suo nome a pieni polmoni.
Quando i due gli passano vicino, però, si trova costretto a bloccare il ragazzo per un braccio. Avvicina il viso all'addome torturato del biondo, inspirando a pieni polmoni quell'odore a lui tanto familiare, pietrificandosi di colpo.
Volta di scatto la testa verso le donne esauste e spaventate alle sue spalle, leggendo nei loro occhi la risposta alla sua muta domanda.
Si volta verso la Regina, guardandola con aria spersa.
Si era sbarazzato di lui, lo aveva esiliato per la sua condotta, per i suoi atroci crimini. Doveva essere morto da tempo, doveva essere già polvere. Invece il suo odore è ancora forte sul corpo del giovane immortale che giace tra le braccia del suo protetto, i colpi che dilaniano la sua pelle candida sono simili a quelli che infliggeva durante gli interrogatori.
«Non è possibile...» mormora la donna, guardandolo con preoccupazione crescente.
La sua forza vitale sta lentamente tornando, il suo corpo acquista vigore, la sua mente torna lucida. Manca ancora molto prima che possa tornare sul campo, prima che possa fare qualcosa di concreto come un tempo, prima che possa mettere i suoi poteri al servizio dell'Imperatore, ma questa sua ripresa è più che sufficiente per tutti. Quanto meno è fuori pericolo, ora.
L'Imperatore si volta di scatto e s'incammina verso la propria stanza, ignorando tutti quelli che lo circondano, ignorando volutamente anche i passi della donna che lo sta seguendo per parlargli. Non vuole crederci, non può essere vero.
«Devi intervenire.» ordina secca la donna, afferrandolo con forza per un braccio e costringendolo a guardarla negli occhi. Sa bene quanto la cosa lo stia facendo ribollire per la rabbia, quanto gli stia facendo male, ma non possono permettersi che un soggetto come lui giri indisturbato in un momento come quello.
«Lasciami solo, Astrid.» ordina duro, stringendo così forte i pugni da lacerarsi i palmi delle mani con gli artigli neri e affilati.
La donna non si dà per vinta e continua a seguirlo, facendo un cenno col capo a chiunque incontrino di dileguarsi immediatamente.
Arrivano velocemente alla camera privata dell'Imperatore, una lussuosa e assai enorme stanza arredata con gusto in stile moderno ma allo stesso tempo accogliente.
Lo guarda mentre va alla finestra e poggia i gomiti contro il muro, respirando profondamente per trattenere tutta la rabbia che sta provando. Sa anche, però, che non è solo la rabbia che gli sta facendo perdere il lume della ragione.
«Fa male anche a me...» mormora, avvicinandolo piano «E posso solo immaginare cosa significhi per te sapere che è ancora vivo-»
«NO!» le ringhia contro, snudando le zanne minacciosamente come non aveva mai fatto con lei «Non hai idea di cosa sto provando!»
Sbatte un pugno contro un tavolo di legno massiccio, sfondandolo e facendo cadere in frantumi tutto ciò che vi era appoggiato.
«Non hai idea di cosa si provi quando devi condannare all'esilio il tuo figlio prediletto. Non sai cosa significa convivere con la consapevolezza di aver sbagliato perché doveva essere eliminato. Non sai cosa significa scoprire che quello stesso figlio che credevi morto da anni è ancora vivo e brama vendetta!» le urla contro, sempre più furioso.
Astrid lo guarda con la testa leggermente china, intimorita da lui per la prima volta da quando lo conosce.
Quando alza gli occhi e incrocia quello dell'Imperatore, un brivido le corre lungo la spina dorsale.
«Che vuoi?» ringhia a denti stretti per mantenere alto il suo rango, per non essere completamente ridotta ad una delle tante. Perché lei è la Regina dei Dannati, la Strega. Non può mostrarsi così spaventata, soprattutto di fronte a lui.
L'imperatore inarca un sopracciglio «Credevo lo sapessi.»
Astrid non ce l'ha con lui, non ora. È fuori di sé, la notizia è stata troppo sconcertante, sta ancora affrontando un doloroso lutto e sta combattendo per una causa che non lo riguarda del tutto, quindi è comprensibile che si comporti da stronzo.
«Quello non lo puoi avere.» scatta lei, facendo un passo indietro «Quindi penso che sia meglio se mi ritiro nelle mie stanze. Avrai tutto il tempo per riflettere senza la mia ingombrante presenza.» tenta di allontanarsi, ma i movimenti dell'Imperatore sono decisamente troppo veloci per lei. Le arriva alle spalle e le copre le mani con le sue, immobilizzandola. Il suo calore la infiamma dall'incavo delle ginocchia fino alla nuca.
«La tua non è una presenza ingombrante.» le alita sul collo, facendola rabbrividire.
«Possiamo fare tutto con lentezza.» le dice, sfiorandole il collo candido con i canini affilati «Puoi imparare di nuovo a stare con me, scoprire come sono cambiato. Io posso passare tranquillamente sopra a quello che è successo.»
«È troppo presto.» prova, ma sa che è inutile. Non è lui quello che le sta parlando, ma la bestia. È la bestia maledetta che ogni tanto riesce a prendere il controllo della sua mente, del suo cuore. È la bestia che un tempo amava, dalla quale lo stesso Imperatore l'ha allontanata.
«Oppure...» le mani scattano, la afferrano e la chiudono tra le braccia, la tengono stretta «Possiamo farlo rapido e violento.»
La bocca cala sulla sua e la lingua le dischiude le labbra. Lei lo spinge indietro, ma lui la prende per i capelli e se la schiaccia contro.
Riesce a liberarsi solo provando a tirargli una ginocchiata all'inguine, che però viene facilmente evitata.
«Se pensi di potermi avere così, di poter far di me la tua puttana... beh, mio caro, ti sbagli di grosso.» ringhia a denti stretti, fissandolo nel suo occhio vermiglio assetato di sangue «Occupati delle tue faccende, Imperatore. Io vado ad occuparmi del ragazzo.»
Non fa però in tempo a raggiungere la porta, che la voce calda e roca dell'Imperatore le giunge alle orecchie, dolce come una melodia «Non mi arrenderò. Ti aspetterò. Ti aspetterò perché sei destinata ad essere mia... e perché per te ne vale la pena.»
Lo guarda per un breve istante, sentendo di nuovo quell'ondata di dolore travolgerle il petto.
Il suo cuore è diviso in due, sanguina copiosamente e sa che il momento di prendere una decisione, quella che sarà definitiva per l'eternità, è sempre più vicina.
Mentre cammina con passo svelto verso la stanza dalla quale sente provenire l'odore di Kakashi, volta per un secondo lo sguardo verso l'esterno. Due uomini stanno giocando a scacchi e il suo cuore si ferma quando uno dei due, alzando involontariamente lo sguardo, afferma sorridendo.
«Scacco alla Regina.»




 
PS: se a qualcuno potesse interessare, questa è la raccolta di Songfic della storia, “Ti dedico una canzone”: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2472835&i=1

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Capitolo 21
*** 21. Fuoco alle micce! ***


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Quando Barbabianca e il resto della ciurma hanno visto Akemi ad aspettarli a colazione, per poco non collassavano a terra per l'emozione. Ma è stato solo un attimo, uno smarrimento momentaneo. Non appena hanno realizzato che lei era lì per davvero, a mangiare in compagnia del primo comandante, per tutta la nave è risuonato un urlo colmo di gioia, così forte che è stato sentito in ogni angolo del mondo.
L'hanno accerchiata in pochi istanti, abbracciandola e baciandola, stringendola in una morsa ferrea per la paura di poterla perdere di nuovo da un momento all'altro, sommergendola di domande, raccomandandosi di non giocargli mai più un tiro simile.
Barbabianca l'ha sollevata da terra, stringendola a sé con tutta la forza di cui dispone, quasi spezzandole le ossa. La ragazza non si è però lamentata di quell'effusione, provando a stringerlo a sua volta e cercando di non pensare alle ossa della cassa toracica che si comprimevano pericolosamente.
Ace l'ha avvicinata e l'ha stretta a sé, deciso più che mai a non mollarla a nessun altro, sussurrandole all'orecchio che gliela farà pagare cara, con un tono così malizioso che per poco non fa arrossire la corvina.
È poi intervenuto Satch, staccando con una spinta decisa il secondo comandante, stritolandola in una morsa d'acciaio, dicendole che gli ha dimezzato la vita con il suo simpatico scherzetto e che, da quel momento in avanti, non le permetterà mai più di alzarsi da tavola prima di lui e che non la perderà più di vista. Minaccia importante, in effetti, peccato per lui che Akemi è diventata sin troppo abile nel nascondersi.
È stata però Halta a commuovere la giovane immortale, che le ha regalato uno sguardo così meravigliato ed incredibilmente felice che le ha fatto sfuggire una lacrima. Si sono abbracciate forte, si sono tenute strette per istanti che parevano infiniti. L'ha insultata, Halta, dicendole che se mai riproverà a fare una cosa simile, a prendersi un periodo di riposo così lungo e straziante per loro, sarà meglio per lei che non riapra più gli occhi.
E Akemi era felice. Felice come credeva di non poter più essere, così tanto che credeva che il cuore le sarebbe scoppiato come un petardo.
Marco, in mezzo ai compagni, non ha battuto ciglio di fronte a tutte quelle dimostrazioni di affetto. Neanche quando Ace l'ha stretta con tanto trasporto. Certo, la cosa non gli ha fatto poi molto piacere, ma non si è sentito così infastidito come invece lo era le altre volte.
Durante quella chiassosissima colazione, poi, c'è stato pure qualcun altro che ha voluto festeggiare quella resurrezione inaspettata: il corvo che tanto segue Akemi è entrato senza tanti complimenti nella sala mensa, svolazzando gioioso sulla testa della corvina.
La ragazza ha semplicemente teso un braccio verso di lui, permettendogli in seguito di zampettare in santa pace sul tavolo dove stavano banchettando e dandogli pure da mangiare. Anche gli altri pirati sembravano felici di quella strana visita, cercando di attirare l'attenzione dell'animale così affezionato alla sorella.


Adesso, a distanza di un giorno dal lieto evento, l'equilibrio si è ripristinato sulla nave. Certo, né il capitano né il quarto comandante la perdono di vista per un solo istante durante il giorno, ma questo succedeva in parte anche prima, quindi Akemi non ci bada più di molto.
In realtà è diventata incredibilmente tranquilla e docile.
Passa infatti il tempo appollaiata sui cuscini accanto al seggio del genitore a sonnecchiare, ascoltando le prediche di Týr, decisamente insofferente di fronte al suo comportamento scanzonato. Prova a metterla costantemente in guardia, così come ha fatto Barbabianca, senza però scatenare in lei alcun tipo di reazione.
Perché non le importa di niente ad Akemi. L'odio che si portava dentro contro i genitori è svanito nel momento esatto in cui ha aperto gli occhi e adesso niente può infastidirla.
Certo, il fatto di dover stare alla larga da Marco durante il giorno la innervosisce assai, e ancora di più il fatto che lui la ignori deliberatamente, ma può sorvolare anche su questo. In fondo la sera precedente, lontani da occhi indiscreti, si sono ripresi piuttosto bene, scambiandosi baci bollenti, toccandosi e sfilandosi sempre più vestiti di dosso.
Non ci ha ancora fatto sesso, però. Lo vorrebbe, con tutta sé stessa, ma non può. La creatura che ha dentro non vuole solo quel contatto con il pirata: vuole di più, vuole affondare le zanne nella sua carne, vuole dilaniare il suo corpo, vuole assaggiare il suo sangue e ridurlo ad una carcassa esanime. E questo Akemi non può permetterlo.
Sa che Marco la vuole, gliel'ha detto chiaro e tondo mentre provava a sfilarle le mutande, ma non vuole rischiare di perdere il lume della ragione e finire col sbranarlo senza riguardi.

«Sei una cacasotto!» quasi lo preferivo mentre piangeva, devo ammetterlo. Non so neanche più da quanto sta urlando, da quanto sbraccia come un indemoniato e mi dice di chiudere Marco nella prima stanza disponibile e di strappargli a morsi i vestiti di dosso.
«Non ero un'incosciente?» adesso sembra sul punto di esplodere. Sul serio, poco ci manca che gli fumino le orecchie! Mi sorprende giusto il fatto che non sia rosso come un pomodoro in volto... che dipenda dal fatto che è morto stecchito?
«Sei anche quello. E sei pure bruttina, adesso.» dolce e adorabile come sempre. No, lo preferisco così che piangente. È più lui.
«Bruttina?»
«Con quel taglio? Cazzo, sembri un pulcino spennacchiato.» afferma convinto, sfiorando con la punta delle dita la zazzera che mi ricade sugli occhi.
«Vorrei farti notare che il mio taglio è uguale al tuo.» controbatto prontamente, sorridendogli nel modo più strafottente che riesco a trovare.
«Con la differenza che a me sta bene.» afferma piccato, passandosi una mano tra i capelli corvini e lucenti. È impressionante quanto siano... non so, splendenti, ecco. Malgrado ci troviamo nel buio più totale, sembrano quasi risplendere. Tutto in lui risplende.
«Perché mi guardi così?» domanda incerto, assottigliando lo sguardo.
«Via la maglia.» ordino sicura, incrociando le braccia al petto e alzando il mento.
Non so per quale ragione, ma con lui riesco ad essere completamente serena e... si, me stessa. Sento di non dovermi trattenere, di poter dire e fare tutto quello che voglio.
«Prego?» domanda incerto, sgranando appena gli occhi.
È adorabile preso così in contropiede!
«Fammi vedere i tuoi tatuaggi, forza!»
«Che rompicoglioni...» sbuffa infastidito, sfilandosi la canottiera nera, mettendo così in mostra il corpo statuario. Sembra una meravigliosa statua scolpita nell'avorio. Avorio dipinto in più punti, a dire il vero.
«Contenta?» domanda sarcastico, aprendo le braccia.
Ha un enorme polpo semi-tribale sul costato destro, un cuore anatomico pugnalato in mezzo al torace e uno strano disegno sul bassoventre, raffigurante il contorno di un pipistrello con dentro uno strano disegno, metà teschio e metà cuore. Inoltre ha entrambi i capezzoli forati, adornati con delle sottili sbarrette di acciaio chirurgico.
«Alla faccia! Ci hai dato giù pesante, eh?» esclamo realmente colpita, facendolo ridere di gusto.
«Ora spiegami di nuovo perché non vuoi scoparti quell'uomo che, inspiegabilmente, trovi tanto attraente.» afferma subito dopo, incrociando le braccia al petto e guardandomi a sua volta con aria strafottente.
«Perché inspiegabilmente?»
«Ma l'hai guardato in faccia per un secondo? È strano...» borbotta, camminando senza meta con lo sguardo perso nel niente «Trovo decisamente più interessante quello che si veste da donna. Ha dei lineamenti indiscutibilmente notevoli.»
«Sei gay?» domando seria, inarcando un sopracciglio.
«Proprio no. Ho solo occhio per le belle cose.» risponde pacatamente, fissando poi gli occhi nei miei «Comunque non hai risposto alla mia domanda.»
«Tu non rispondi mai alle mie.»
«Vuoi per forza farmi incazzare?»
«Mi perdoni, oh tenebroso Angelo della Morte.» sfotto sorridendo beffarda, facendolo sbuffare.
«Quanto sei idiota.»
Mi siedo con in questo niente, abbassando lo sguardo per non dover sostenere la sua espressione sicuramente derisoria «Non voglio ucciderlo, comunque. Te l'ho già detto.»
«Non lo ucciderai, te l'ho già detto. Non è che hai paura di non essere all'altezza di un uomo che ha già avuto dozzine di donne per le mani?» ecco che rigira il coltello nella piaga. Pezzo di merda!
«Potrei fargli male, lo sai. L'hai detto tu stesso che il veleno nei miei artigli annullerebbe i poteri anche di un frutto Rogia e che potrebbe risultare fatale.» soffio piccata, trattenendomi dal dargli un pugno dritto su quel bel nasino che si ritrova.
«Basta che ti metti a novanta gradi, piccola. Vedrai che così non lo graffi.» scherza realmente divertito, facendomi ridere. So che mi sta prendendo in giro, so che dovrei rispondergli a tono e cambiare argomento, ma non riesco proprio a trattenere una risata divertita di fronte ai suoi occhioni da cucciolo.
«Mi mancava la tua risata.» ammette con un sorriso, scostandomi il ciuffo dagli occhi.
«Quanto sei dolcino!» lo prendo prontamente in giro, facendolo sbuffare.
«Attenta.» soffia con aria insofferente, passandosi una mano tra i capelli «Comunque tieni gli occhi aperti. I cacciatori adesso ti crederanno sicuramente morta, ma vorranno assicurarsene. Vedi di non compiere imprudenze: muoviti nell'ombra.»
È sorprendente quanto si preoccupi per me. Tutto sommato, mi piace stare con lui. Penso proprio che non potrei sopportare l'idea di stargli lontana troppo a lungo...

Marco, dal canto suo, finge di non patire per i mancati rapporti in cui tanto spera, ma dentro sta impazzendo. Anche solo vederla adesso in shorts e reggiseno del costume lo manda su di giri, costringendolo a pensare alle cose più macabre che ha mai fatto pur di non figurarsela nuda mentre si dibatte sotto di lui.
«Ehi, amico, che ti prende?» lo riprende Satch, notando con stupore lo sguardo quasi sofferente del biondo.
«Mh? No, niente.» borbotta in risposta, passandosi una mano tra i capelli e puntando subito dopo lo sguardo sul mare calmo che si perde di fronte a sé.
Ascolta distrattamente Satch mentre gli parla di sciocchezze, tornando con i piedi per terra solamente quando sente il forte gracchiare del corvo imperiale che ormai ha preso a viaggiare ufficialmente con loro. Hanno infatti preso a nutrirlo e a chiamarlo Marcolino.
La cosa ha a dir poco urtato la Fenice, ma quando ha sentito le risate spensierate del padre e di Akemi, ha deciso di sorvolare sulla cosa, accettando la bestia malefica che riceve molte più attenzioni di lui da parte della ragazza e fingendo di non sentire quando gli altri lo richiamano a gran voce.
Adesso lo guarda con la coda dell'occhio mentre si poggia con le zampe sul fianco della compagna, mentre la becca piano per svegliarla e mastica una bestemmia a mezza bocca quando la ragazza gli carezza dolcemente la testa, ridestandosi dal suo pisolino.
«Che cos'hai, piccolo mio?» mormora dolcemente lAkemi, carezzando delicatamente il piumaggio nero dell'animale, che starnazza Dio solo sa cosa in risposta. Apre anche le ali, mostrandosi in tutta la sua eleganza, beandosi delle attenzioni che riceve.
Halta si butta a peso morto sui cuscini assieme all'amica e all'educato animale, che le becca piano una mano per evitare che le attenzioni della corvina gli vengano sottratte.
«Non ti molla più, eh?» domanda divertita la comandante, facendo la linguaccia al corvo che continua ad aprire le ali per scacciarla.
«Si direbbe di no.» risponde sovrappensiero Akemi. Le parole che si è scambiata con Týr le risuonano ancora nella testa, tanto da indurla ad alzare lo sguardo sull'uomo che sta parlando in tutta tranquillità con Ace e Namiur. Lo guarda e pensa che si, forse potrebbe fare un tentativo, che forse ha l'autocontrollo sufficiente per potersi trattenere.
I suoi pensieri vengono però interrotti dal chiaro odore di fumo che sente provenire da lontano.
Alza subito lo sguardo e nota una colonna scura e densa che si innalza vero il cielo.
«Babbo?» lo richiama tenendo sempre lo sguardo puntato sul fumo denso, cosa che in breve fa anche il genitore.
«Vorresti controllare?» le domanda con tono duro, domandandosi se si tratta di uno di quei folli fanatici o semplicemente di un mercantile assalito da qualche ciurma avversaria. In entrambi i casi, però, si ritroverebbero a combattere.
Akemi annuisce convinta, alzandosi in piedi e scattando velocemente sul parapetto, dove si apposta accucciata su sé stessa.
Il corvo le vola sulla spalla, osservando con interesse quello scenario. Perché nessuno di loro può immaginare a quanti spettacoli simili abbia assistito quell'arguta bestia, quante volte abbia volteggiato sopra ai campi di battaglia e quante volte abbia banchettato, assieme al fratello, con i cadaveri dei nemici sconfitti.
Barbabianca, notando con un certo interesse la posizione strana assunta dalla figlia ed intravedendo il suo sguardo fermo e determinato, dà l'ordine di dirigersi a vele spiegate verso quella colonna di fumo e di prepararsi ad un eventuale attacco.
I suoi ordini vengono eseguiti con sorprendente velocità e subito tutti sono con le armi pronte in mano.
Satch si è portato al fianco della bizzarra sorella, la mano ferma sulla spada. Non si guardano, non ne hanno bisogno. Solo quella vicinanza li rassicura e infonde loro la grinta necessaria per quella nuova sfida.

Ci vogliono circa venti minuti prima che giungano di fronte al veliero. I tre alberi sono stati dati alle fiamme e adesso bruciano contro il cielo, disegnando delle lingue incandescenti di fiamme e scintille.
«C'è qualcuno ancora in vita?» domanda il quarto comandante alla corvina, che piano nega con il capo.
Guardano tutti il macabro spettacolo che si staglia di fronte ai propri occhi, inorriditi da quei corpi sanguinolenti e completamente mutilati. Come avevano già visto su un'altra nave Satch e Akemi, alcuni organi interni sono stati ammucchiati su dei cenci luridi, ma, al contrario di quella volta, non c'è nessuna testa impalata. Ci sono dei corpi spellati ed impiccati agli alberi ormai in fiamme, in compenso.
Akemi balza fuori dalla Moby Dick prima che qualcuno di loro glielo possa impedire e cammina attenta sulla nave depredata. Il sangue le bagna i piedi lasciati nudi, l'odore di fumo le fa arricciare il naso.
«Ace, puoi spegnere queste fiamme?» urla senza neanche voltarsi, sentendo in breve la temperatura calare. Adora il potere del fratello, così distruttivo ed incredibilmente ipnotico.
Marco plana agilmente al suo fianco, incenerendola con lo sguardo.
«Non dovevi allontanarti.» le ringhia contro a bassa voce, mentre altri membri dell'equipaggio prendono d'assalto la nave per cercare degli eventuali tesori dimenticati.
«Siete tutti al mio fianco, no?» risponde senza neanche guardarlo Akemi, cercando di concentrarsi unicamente sui mille odori che il suo fine olfatto riesce a percepire.
«Anche l'ultima volta eravamo tutti al tuo fianco.» controbatte piccato, allontanandosi per non dare nell'occhio, seguendo sottocoperta alcuni dei suoi uomini.
«Akemi.» la richiama con tono duro l'Imperatore, facendola finalmente voltare. La guarda con rabbia crescente, furioso per quel gesto avventato e sciocco, ma alla fine non le dice niente. Si erano già messi d'accordo sul fatto di trovarli ed eliminarli tutti quanti, per trovare delle tracce per stanarli, e adesso non può rimangiarsi la parola.
«Trovato niente?» le domanda poggiandosi con una mano al parapetto, venendo affiancato velocemente da Fossa e Blamenco.
La ragazza gli sorride lievemente, afferrando con decisione uno dei corpi maciullati che ha vicino e portandolo fino al cospetto del capitano, per mostrargli così che la sua teoria riguardo ad fatto che stiano insabbiando i recenti massacri sia fondata.
L'uomo storce appena la bocca di fronte a quella carcassa sanguinolenta, senza però scomporsi. Gli fa schifo, certo, ma in fondo ha visto cose peggiori.
«Vedi questi?» gli domanda Akemi con una certa eccitazione nella voce, passando le dita affusolate e pallide sull'addome dilaniato dell'uomo, immergendole leggermente nella carne aperta, dove un tempo era situato lo stomaco «Sono segni di morsi. Chiunque sia stato, non è un uomo.» afferma decisa, facendo saettare gli occhi dei tre uomini dal cadavere a sé.
«Inoltre manca completamente il grasso che c'è di solito in mezzo agli organi, mossa tipica di un superpredatore.» si passa distrattamente la mano sporca di sangue sulle labbra, reclinando un poco la testa di lato, affascinata da quel corpo «Però è strano: non ci sono impronte appartenenti a nessun animale sul ponte. Solo umane.»
«Qualcuno che ha mangiato un Frutto del Diavolo, probabilmente.» afferma con una certa sicurezza Blamenco, dando una veloce occhiata ai compagni che tornano sul ponte della Moby, bianchi come cenci in volto. Perché Blamenco non lo sa, ma all'interno di quella nave ci sono ancora più corpi, c'è la pelle che è stata strappata a quegli uomini, ci sono gli occhi che gli sono stati strappati appesi a dei fili e calici sporchi di sangue.
«Che motivo avrebbe un uomo per compiere una cosa simile?» domanda Fossa, guardando il corpulento compagno con cipiglio incerto.
«Ragazzi, vi dico che chiunque sia stato a fare una cosa simile, non è un uomo.» afferma sicura la corvina, afferrando il cadavere e portandoselo vicino al volto. Osserva la gola squarciata e riconosce in quei segni qualcosa di simile in quelli che lasciava pure lei. Solo che questi sembrano essere stati lasciati da denti ben più grossi. Inoltre le ossa sono state spezzate con la sola forza della mascella, qualcosa che lei non è in grado di fare.
Annusa poi la pelle insanguinata con attenzione, sentendo una traccia a lei familiare. Troppo familiare.
«Non è possibile...» mormora lasciandolo finalmente andare e cadere in mare.
«Cosa?» le domanda Satch avvicinandola e notando nei suoi occhi un profondo smarrimento.
«Akemi, che hai sentito?» insiste Halta, dandole una pacca sul braccio per farla tornare con i piedi per terra.
«Killian...» mormora con un filo di voce, puntando gli occhi in quelli azzurri dell'amica «È stato Killian.»
«Complimenti, ragazzina! Il tuo primo ed unico ragazzo è uno psicopatico!» la prende in giro Teach, scatenando le risate generali. Fortunatamente nessuno bada alla risata nervosa di Ace, eccetto Akemi, che lo guarda e gli fa l'occhiolino.
«Almeno io posso dire di aver avuto un ragazzo, Teach.» risponde a tono la corvina, incrociando le braccia al petto e guardandolo con aria trionfante, facendolo scoppiare in una risata cavernosa. Perché, tutto sommato, Teach le vuole bene, si è affezionato a lei. Pensa anche che se mai un domani avesse una ciurma tutta sua, la vorrebbe come sua sottoposta.
«Ohhh, che t'ha detto!» rincara la dose Halta, mettendo un braccio attorno alle spalle forti dell'amica e ridendo con lei.
Le due si guardano complici, per poi allontanarsi impettite verso la polena. Perché loro sono forti, sono le uniche due donne della ciurma, sono donne temute in tutti i mari, donne che intimoriscono pure alcuni membri della marina e ne vanno dannatamente fiere.
«Forse il soprannome “Titano” è sbagliato... io lo avrei chiamato, tipo, “Apocalisse”!» commenta divertito Týr, venendo però ignorato dalla diretta interessata «Visto che macelli che riesce a fare? È bestiale!»
'Già, bestiale...' commenta in silenzio la corvina, ripensando a tutti gli “indizi” raccolti. Sa però che c'è sempre qualcosa che le sfugge, un dettaglio importantissimo che però non riesce a vedere.
«A che pensi?» le domanda con tono spensierato la maggiore, sdraiandosi a pancia in su per godersi i raggi del Sole che le baciano la pelle.
«Oltre che ho rischiato la pelle quando mi sono chiusa in cabina con quella specie di animale?» risponde sarcasticamente Akemi, sorridendogli con aria divertita «Niente di speciale.»
«Non me la dai a bere.» borbotta in risposta la comandante, aprendo giusto un occhio per vedere la sua espressione farsi dubbiosa ed imbarazzata «Forza, sputa il rospo.»
«Io...» si morde forte il labbro inferiore, sentendosi in imbarazzo con lei per la prima volta in vita sua.
«Tu...?» incalza la comandante, rigirandosi a pancia in giù e tenendosi il visetto pallido tra le mani, ormai stufa del Sole. A lei in realtà piace la pioggia, la tempesta, ma non lo dice a nessuno. Quale pirata sano di mente potrebbe preferire una pericolosa e distruttiva tempesta al caldo e rassicurante Sole?
«Ok, ma non ridere: ho una voglia impressionante di-» non riesce a dirlo, scoppiando in una ridarella nervosa mentre si tiene il viso tra le mani.
Halta ride a sua volta, avendo compreso il problema.
«Di saltare addosso a Marco.» sussurra con un sorrisino divertito ad incresparle le labbra, stando ben attenta a non farsi sentire da nessuno «Sai, ti capisco. Non nel senso che voglio strappare i vestiti a Marco, sia chiaro... ma... diciamo solo che se non ci fosse stato il piccolo intoppo da te creato, a quest'ora non eravamo qui a chiacchierare!»
«Ah si? E, sentiamo un po', quale lieto evento avrei impedito?» domanda ridacchiando la minore, mettendosi comodamente seduta e guardandola con fare divertito da dietro le spesse lenti scure che le proteggono i sensibili occhi.
«Notti di sesso intenso con un bel pirata dai lunghi capelli neri e con un gran bel culo.» risponde convinta Halta, scoppiando subito dopo in una forte risata di fronte allo sguardo quasi sconcertato dell'amica.
«Che porca!» urla un po' troppo forte, attirando su di loro qualche sguardo incuriosito «Cazzo...»
Rimangono in religioso silenzio finché non notano che tutti quanti sono tornati ai propri compiti e che il capitano ha ripreso a parlare in tutta tranquillità con alcuni sottoposti.
«Comunque, secondo me, il culo più bello non è il suo. E neanche quello di Marco.» afferma dopo qualche istante Akemi, facendo così ridacchiare sommessamente la comandante.
«Hai la tua personale lista?» le domanda vagamente sconcertata. Perché si, di cose strane Akemi ne fa e ne dice tante, anche troppe, ma questa proprio non se l'aspettava.
«Più o meno...» risponde con un sorriso colpevole, scoppiando subito dopo a ridere di fronte alla strana espressione della ragazza, che è un misto tra lo sbigottito e il divertito.
«Sei un animale! Un animale perverso!!!» le urla contro, attirando definitivamente l'attenzione di un compagno in particolare.
«Ma che avete tanto da urlare, si può sapere?» domanda loro Satch, avvicinandole con aria circospetta. In fondo, qualche discorso stupido gli ci vuole proprio in quel momento. Perché è vero che adesso è sollevato per la resurrezione dell'adorata sorella, ma dentro sente che gli manca qualcosa. Anzi, per dirla meglio, gli manca qualcuno. Qualcuno con dei bizzarri capelli rosa e dei brillanti occhi color ghiaccio, con la battuta sempre pronta, dolce e affettuosa in pubblico, e vero e proprio animale sotto le coperte.
Non sa spiegarsi il perché, ma è così. Gli manca tutto di lei, anche le sfumature più impensabili che aveva notato di sfuggita, anche il suo essere così enigmatica e sfuggente.
«Niente. Akemi mi stava dicendo di avere una personale classifica di “posteriori degni di nota”.» risponde sogghignando Halta, pensando erroneamente di mettere in imbarazzo la giovane e bizzarra sorella.
Akemi invece le sorride beffarda, sistemandosi con nonchalance gli occhiali sul naso e aggiungendo, con tono estremamente calmo «Alcuni anche di applauso.»
Satch scoppia in un'allegra risata, di quelle che ti schiariscono la mente e ti sollevano il cuore da tutte le preoccupazioni. Si siede compostamente accanto alle due e punta un dito contro la corvina, senza mai abbandonare il sorriso.
«Ora me la dici, sono curioso!» ordina, sperando di rientrare nella sua personale classifica. Non sa perché, ma l'idea di poter vincere quella sfida lo rende euforico! Di certo gioverebbe parecchio alla sua già troppo alta autostima.
«Mi spiace, amore mio, ma sei secondo.» lo informa sorridendo furbetta Akemi, trattenendo una risata di fronte alla sua espressione quasi sgomenta.
«Cosa?! E chi sarebbe il primo?!» strilla infervorato il comandante, scattando in piedi come una molla e guardando la sorella con occhi fiammeggianti.
«Ma è ovvio: Ace!»
Satch rimane immobile ad assimilare la notizia per qualche istante, per poi girare sui tacchi e allontanarsi con fare sconsolato, mormorando a mezza bocca un poco udibile «Non è giusto...»
Quando poi Pugno di Fuoco gli passa di fianco, completamente ignaro di quell'assurda discussione, Satch esplode in una specie di attacco di gelosia e gli punta contro un dito, urlando a pieni polmoni un sonorosissimo «Stronzo!»
Portgas rimane assai perplesso di fronte a quell'insulto gratuito e, prima di cominciare a scervellarsi su quale sia la possibile causa, si volta verso le due ragazze che se la ridono di gusto in cima alla polena e le avvicina velocemente, deciso a scoprire per quale assurda ragione si sia guadagnato il simpatico commento dall'amico.
«Che ho fatto?» domanda confuso, guardandole a turno dritto negli occhi allegri.
«Per Akemi hai il culo più bello del suo.» risponde tra una risata e l'altra Halta, facendo così ridere anche il secondo comandante, decisamente meno attaccato a questo genere di sciocchezze come invece è il quarto. Certo, per questo motivo e perché ha vinto, ovviamente.
«Avete finito di parlare di culi?!» li interrompe bruscamente Marco, ricevendo uno sbuffo in risposta da tutti e tre.
«Imploriamo il vostro perdono, primo comandante illustrissimo.» lo sfotte prontamente Akemi, alzandosi e fronteggiandolo senza il minimo rispetto, sghignazzandogli dritto in faccia. Si erano accordati di limitarsi a brevi chiacchiere o discussioni più accese di fronte agli altri, in fondo, e Marco adesso gliela sta offrendo su un vassoio d'argento.
«Impiccati.» soffia il comandante, tornando in tutta tranquillità ai propri compiti. Avrà modo e modo per vendicarsi di quell'affronto, ma lo farà in privato. Se prima le torture che escogitava a suo danno prevedevano come minimo lo squartamento, adesso prevedono mezzi assai più divertenti, dove neanche una goccia di sangue andrà sprecata.
«Sei arrabbiato perché non sei sul podio?» Akemi gli trotta dietro, divertita da quel battibecco. Se solo sapesse quante vendette sta escogitando il compagno contro di lei, probabilmente terrebbe la bocca ben chiusa.
Dal suo seggio, Barbabianca ha assistito a tutto quel simpatico teatrino, senza però riuscire a capire quale sia il centro della conversazione. Sa che c'è una classifica, ma non riesce a capire di che genere. Pensa così di chiederlo a Satch, che si è seduto al suo fianco col muso lungo.
«Di che classifica parlano?»
«È meglio che tu non lo sappia, babbo. Sul serio, è meglio.» biascica questi in risposta, tenendosi il mento con una mano, osservando distrattamente i due pirati bisticciare come ai vecchi tempi.
«Attenta mocciosa, perché ti spedisco di nuovo all'altro mondo.» la minaccia infatti Marco, senza però degnarla di uno sguardo.
È Akemi a costringerlo a guardarla negli occhi, piantandosi di fronte a lui e sfilandosi momentaneamente gli occhiali da sole, incrociando poi le braccia al petto con fare arrogante.
«Vorrei proprio vedere come fai dopo senza di me.» afferma con tono sicuro, sogghignando divertita.
Si guardano a lungo dritto negli occhi, sfidandosi silenziosamente, divertiti da quella finta guerra. Li diverte un po' meno il fatto che dovranno metterla in atto ogni giorno per non farsi scoprire, ma sono più che decisi a rimanere nell'ombra. Marco, infatti, non vuole assolutamente sbandierare ai quattro venti i fatti propri, oltre ad avere un certo timore per la reazione del genitore, mentre Akemi si è ripromessa di non dargli rogne, di provare a renderlo felice, qualsiasi cosa questo comporti.
«Ehi, Angelo!» la richiama Vista, sorridendole gentile.
Quando la ragazza si volta a guardarlo, l'uomo le fa un cenno con la testa di seguirlo sottocoperta. Durante il loro battibecco, infatti, ha ricevuto l'ordine di allenarla un po' nell'uso della spada, cosa che l'ha reso veramente felice. Era da molto che non passavano del tempo insieme, e l'idea di essere il suo istruttore, di lasciare una traccia di sé in lei, lo elettrizza.
«Dove andiamo?» gli domanda la corvina trottandogli vicino, contagiata dalla sua allegria.
«Devi imparare ad usare una spada vera, signorina. I tuoi pugnali non sono sufficienti.» le risponde garbatamente, aprendo la porta della palestra e facendola entrare per prima, da vero galantuomo qual è.
«Con i pugnali me la cavo piuttosto bene. Perché non sarebbe sufficiente?» afferra la prima spada che le capita sotto tiro, osservandola distrattamente. Non le piacciono, non può farci niente. Lei vuole il contatto fisico, la sensazione del sangue caldo dell'avversario che le cola sugli avambracci, i muscoli sotto sforzo.
«Perché il babbo ne è convinto.» risponde semplicemente il pirata, mettendosi in guardia «Ora vediamo di cosa sei capace...»

Dopo una giornata passata ad allenarsi con uno dei più grandi spadaccini in circolazione, Akemi è decisamente distrutta, tanto da rifiutarsi di mangiare e tenere la fronte appoggiata sul tavolo. Questo gesto allarma un po' tutti, dal momento che di solito pare avere una specie di buco nero al posto dello stomaco, ma si tranquillizzano quando la vedono lanciare mollichine di pane a Namiur, indice che sta più che bene.
Dall'altra parte del tavolo, Marco osserva distrattamente i fratelli discutere tra loro su quale tra i supernovellini sia il più forte. Da una parte c'è Ace che urla come un indemoniato che senza ombra di dubbio è suo fratello, dall'altra ci sono svariati comandanti che buttano nomi a caso solo per farlo imbestialire.
Poggia il mento sulla mano, strofinandoselo appena con il palmo, avvertendo lo strato di ruvida barbetta che lo ricopre, provando così a concentrarsi su qualcosa che non sia l'abbigliamento della sua compagna. Quando si sofferma su questo dettaglio, poi, sente sempre un brivido risalirgli lungo la spina dorsale: lui, Marco la Fenice, primo comandante e braccio destro dell'uomo più forte del mondo, che si accompagna con una ragazzetta strana e fuori di testa! Se ci pensa proprio non riesce a crederci.
Quando poi vede la ragazza scattare dall'altra parte del tavolo come una molla per appropriarsi dell'ultima fetta di torta al cioccolato di Izo, si rende pienamente conto di quanto il suo adorato capitano adotti sempre qualunque individuo che gli ispiri una minima simpatia, sorvolando così su tutte le stranezze e i difetti che si porta dietro, cosa che poi si riscuote su tutti gli altri. In questo caso specifico, su di lui.
Ridacchia appena quando il sedicesimo comandante si mette pure a lottare e a correre per l'enorme sala mensa pur di difendere il tanto desiderato dolce, cosa che placa pure la spinosa discussione che era in corso e che stava rischiando di farlo rimanere sordo da un orecchio.
Se però da un lato quell'abbassamento di voci improvviso giova al suo povero ed innocente timpano, lo scatto improvviso di Ace, resosi conto di cosa c'è in ballo, sporca irrimediabilmente i suoi vestiti e la sua pelle di dolce sakè, gesto che lo fa alterare non poco. Perché, diciamocelo, può passare il fatto di essere stato praticamente annaffiato per un pezzo di torta, ma non che quella bevanda vada sprecata così!
«ACE!» gli urla contro scattando in piedi a sua volta, provando ad ignorare le risate dei fratelli e quella più cavernosa del capitano.
Il trio si blocca di colpo, voltandosi lentamente verso la più che incazzata Fenice, abbandonando per un solo, fatale istante la fetta di torta, che viene fregata senza tante cerimonie da Teach. Certo, la torta al cioccolato non è buona come quella alle ciliegie per lui, ma può comunque farsela andar bene, sopratutto se come ricompensa finale c'è lo sguardo allibito dei tre contendenti.
Barbabianca scoppia a ridere di gusto quando vede l'uomo ingollare il boccone praticamente intero, piegandosi addirittura in due e battendo una mano sul tavolo. Gli mancavano moltissimo quei momenti di gioia e spensieratezza, dove i suoi figli si comportano come mocciosi dispettosi pronti a dar spettacolo di sé senza neanche rendersene conto.
«Io vado a lavarmi.» sbotta Marco, senza però attirare l'attenzione degli alticci fratelli, più che presi dalle sguaiate risate per quella scenata.
Lancia giusto un'ultima occhiata ad Akemi prima di andarsene, sorridendo nel vederla attaccata al collo di Teach assieme ad Ace. Vederli lottare così furiosamente, vedere il fratello mettere una mano nella bocca sdentata del compagno per provare a recuperare il dolce ormai perso, è una cosa divertente pure per lui.
Teach, dal canto suo, si alza di scatto non appena riesce a liberarsi della presa dei due ragazzi e scappa a destra e a sinistra pur di seminarli, non riuscendo a trattenere le risate. Anche a lui, tutto sommato, mancavano quei momenti.
Satch, piegato in due dalle risate, si accorge a malincuore che è arrivato il momento di andare sulla caffa a fare il primo turno di guardia.
Lancia giusto uno sguardo quasi supplichevole ad Halta prima di alzarsi, chiedendole silenziosamente di prendere il suo posto, trovandosi costretto a dirigersi verso l'esterno dopo un più che esplicito gesto della sua mano.
Quando l'aria fresca lo travolge, facendogli provare un brevissimo brivido di freddo, si accorge che ad attenderlo c'è già qualcuno là in cima: Marcolino!
Si arrampica sorridendo allegro e senza pensarci carezza la testa dell'animale, che non fa una piega al gesto.
«Mi tieni compagnia?» gli domanda sorridendo, ricevendo il risposta un sonoro gracchiare dal curioso animale, che ancora tiene gli occhi puntati sull'orizzonte.
Nel frattempo, dentro la grande sala mensa, la situazione si è calmata: Ace ha preso un altro dolce, Izo si è accontentato del vino e Akemi si è messa a parlottare in tutta tranquillità con il capitano. Gli domanda se si sente bene, se ha bisogno ancora del suo sangue, e l'uomo le dice che può stare tranquilla, che si sente divinamente. Entrambi non sanno che ciò è dovuto alla generosa quantità di sangue precedentemente ingerito e Týr, ben a conoscenza della cosa, preferisce tenerselo per sé. In fondo trova divertente vederla brancolare nel buio e non nutre una grande simpatia nei confronti dell'Imperatore.
Quando poi Barbabianca si alza dal suo posto per andarsene a dormire, finalmente con il cuore alleggerito e pieno di una nuova speranza, Akemi decide di seguirlo, salutando allegramente i compagni.
Era convinta che non li avrebbe più rivisti, che avrebbe dovuto rinunciare alla loro compagnia per colpa di un folle fanatico, e invece ha ancora la possibilità di vedere i loro sorrisi, di bearsi dei loro battiti cardiaci pieni di allegria e vitalità. Non potrebbe chiedere di più. Beh, in realtà una cosa si, ma a questo può rimediare facilmente.
Una volta salutato il capitano, abbracciandolo di slancio e lasciandolo così di sasso, si dirige con passo calmo verso il lungo corridoio dove sono situate le camere da letto e lì si blocca.
Trae un respiro profondo e s'incammina lentamente, con passo tremante, avvicinandosi sempre di più al suo obiettivo, rimanendo nell'ombra come è solita fare.
Il cuore le batte a mille nel petto, la sua naturale insicurezza è così forte che riesce a sopprimere pure il ringhiare forte e prepotente della bestia.
Continua a domandarsi se sta facendo la cosa giusta, se sarà all'altezza delle sue aspettative, se perderà o no il controllo di sé stessa. Nel caso, dovrà pensare molto attentamente a come togliersi definitivamente la vita, incapace di poter sopportare un fardello così pesante.
Apre lentamente la porta, stando ben attenta a non farsi né vedere né sentire, e timidamente fa entrare giusto la testa, notando l'assenza del comandante e sentendo immediatamente lo scrosciare dell'acqua.
'Devi sempre complicarmi tutto, vero?!' pensa innervosita, sospirando frustrata e addentrandosi con passo incerto nella cabina.
«Marco?» lo richiama con voce tremante, mentre una parte di lei spera vivamente che le dica di andare via, che ha da fare. Ma, ovviamente, questo non accade.
«Sono sotto la doccia.» le risponde semplicemente il comandante. Una frase ambigua, piena di significati: sono sotto la doccia, torna più tardi. Sono sotto la doccia, aspettami che arrivo. Sono sotto la doccia, vieni a tenermi compagnia.
Non sa quale interpretazione dargli, Akemi. Tutte quante le sembrano giuste ed invitanti, e i suoi piedi sono saldamente piantati a terra. Ha bisogno di una spinta, una sola, e allora deciderà il da farsi.
Certo, Akemi non si aspettava proprio che quella spinta arrivasse con la voce melliflua di Týr che le suggerisce di lasciarsi andare, di godersi quei piccoli piaceri della vita e Akemi si decide.
Cammina con passo più deciso, respirando a pieni polmoni per farsi coraggio, si dirige verso la porta e la apre lentamente. Il cuore le esplode nel petto quando si trova di fronte a Marco. Nudo. Sotto la doccia. Nudo. Bagnato. Nudo!
«Allora... sono sul podio o no?» la sfotte dandole ancora le spalle, ridacchiando sommessamente. Non che la cosa gli interessi veramente, ma l'idea di averla messa in crisi stando semplicemente nudo è decisamente troppo divertente.
Akemi segue con sguardo stralunato le forme toniche dei suoi muscoli, le gambe lunghe e muscolose, lisce e abbronzate, i dorsali sviluppati, le spalle larghe e la vita stretta, e... e... il posteriore. Il suo posteriore la sta mandando davvero in orbita. 'Devo rivedere la classifica.'
Malgrado si senta andare completamente a fuoco, preferisce mostrarsi calma e completamente a suo agio, sopratutto quando l'uomo si volta e le sorride con aria maliziosa.
«Vieni a tenermi compagnia?» le domanda sorridendo lascivo, facendola vacillare.
Lo guarda con aria di sfida, fingendosi forte come sempre. In realtà dentro si sta sgretolando per la paura e per l'emozione di vederlo così, per la paura di non essere abbastanza.
«Mai visto un immortale così fifone!»
'Ti dispiace lasciarmi sola?!' mentre lo pensa, trattiene con tutte le sue forze un ringhio profondo che per poco non le squarcia la gola. Dopo come lo avrebbe potuto spiegare? Già lo sguardo semi-confuso che le sta rivolgendo Marco non la rassicura per niente, figuriamoci se doveva pure spiegargli che Týr la prende in giro!
Si sfila velocemente gli shorts di dosso, rimanendo in intimo sotto lo sguardo attento del comandante.
Fa poi un passo verso di lui, sentendosi incredibilmente stupida.
«Tu di solito la doccia la fai così?» la sfotte Marco, nascondendo così alla perfezione l'eccitazione che lo sta completamente travolgendo.
Akemi semplicemente ghigna strafottente, sciogliendo con un movimento fluido e lento il fiocco del costume. Il suo sorriso si allarga ulteriormente di fronte all'espressione eccitata del compagno e un poco di sicurezza le dà la forza di sfilarsi di dosso anche l'ultimo pezzo.
Lo raggiunge con passo calmo, infilandosi sotto al getto caldo dell'acqua, dandogli volutamente le spalle.
Si passa le mani tra i capelli corti per tirarli indietro, ostentando una falsa sicurezza. Questa autodifesa però crolla nel momento esatto in cui il comandante le poggia le mani sui fianchi e la tira a sé, baciandole piano la pelle candida e levigata del collo.
La stringe, lascia vagare le mani su quel corpo che tanto desidera, beandosi dei sommersi mugolii che riceve in risposta.
Un sorriso divertito gli dipinge la labbra di fronte alla sua evidente inesperienza. La cosa, curiosamente, sembra eccitarlo ancora di più, tanto da non riuscire più a controllarsi, tanto da rigirarsela tra le braccia come se fosse una bambola e sbatterla poi alla fredda parete del box doccia.
Si baciano con furia e ogni volta che si allontanano per respirare, entrambi vengono colti da una sete bruciante.
Akemi, ormai sull'orlo del baratro grazie ai suoi tocchi esperti, grazie al chiaro odore di sesso che emana la sua pelle, lascia vagare le mani verso il basso, lambendogli nel frattempo il collo, strusciandosi su di lui.
«Così giochi con il fuoco...» le mormora all'orecchio il comandante, afferrandola saldamente per le natiche e stringendola ancora di più a sé, ormai quasi incapace di ragionare lucidamente.
«Avevo in mente di bruciarmi, ma se preferisci...» prova ad allontanarlo, Akemi, sorridendo trionfante quando l'uomo la riprende per un polso e la costringe a rimanere immobile nella sua posizione.
«Non provare a scappare...» afferma con voce roca il comandante, perdendosi nei suoi occhi. Sono così diversi dal solito, così liquidi, caldi, colmi di un'eccitazione crescente. Nota pure delle screziature dorate nella sue iride di ghiaccio, ma non è certo il momento adatto per scervellarsi sul perché sia così.
Il respiro di entrambi è diventato più pesante, i loro cuori battono come impazziti.
Vuole farle tutto e subito, Marco. Vuole consumarla, assaggiarla, morderla, vederla perdersi per lui.
Akemi gli avvolge fulminea il collo con un braccio e lo tira a sé, baciandolo appassionatamente.
Le mani scorrono febbrili sui corpi nudi e bagnati, scoprendosi in ogni centimetro, e la voglia di aversi diventa così forte che potrebbe essere toccata con mano.
La corvina si stacca dalle sue labbra e si abbassa sul suo torace, baciando piano il vessillo che pure lei ha marchiato sul braccio, sfiorando con la punta delle dita la sua erezione.
Scende sempre di più, arrivando al basso ventre. Lì sofferma i suoi baci, facendogli perdere completamente il lume della ragione.
È come il primo sogno erotico che ha fatto su di lei. Solo che adesso è vero, lei sta realmente inginocchiata tra le sue gambe, lui sente davvero che potrebbe toccare il paradiso da un momento all'altro. Ma proprio per questo Marco interrompe di scatto quella tortura così sublime, afferrandola saldamente per i capelli sulla nuca e tirandola su, schiacciandola con vigore alla parete, afferrandola immediatamente per la vita e costringendola ad allacciargli le gambe attorno alla vita.
Akemi si ritrova a trattenere il respiro quando lo sente dentro di sé, costretta a concentrarsi non sulle sensazioni che quel contatto le dà ma sulla bestia che sta provando a liberarsi.
Si concentra, stringe i denti e nasconde il viso nell'incavo del collo del compagno, provando a focalizzare l'attenzione sui suoi gemiti rochi, sui baci bollenti che le lascia sul collo, sull'acqua adesso più fresca a contatto con i loro corpi.
«Ti faccio male?» le sussurra Marco, rallentando il ritmo. Non ci aveva pensato, era troppo oltre il limite per soffermarsi su quel dettaglio, ma notando la sua espressione contratta c'è arrivato di colpo. L'idea di farle male, di averla magari costretta a fare qualcosa che non voleva, è semplicemente distruttiva per lui.
«No...» mormora Akemi, alzando finalmente lo sguardo, godendosi l'espressione contratta dal piacere del compagno.
Chiude le gambe attorno al suo bacino e si muove ancora, incitandolo a non smettere, venendo immediatamente accontentata.
Il tempo per loro pare essersi fermato. Quel momento di pura passione potrebbe andare avanti da minuti o ore per quanto ne sanno, ma a nessuno dei due interessa. Sono così presi da quella situazione, così logorati da quel piacere bruciante, che non pensano neanche per un istante che potrebbero essere beccati, che qualcuno potrebbe entrare e vederli, o anche solo sentirli.
Ed è in mezzo a questo vortice di emozioni che Marco viene travolto dall'orgasmo, gemendo con voce roca contro l’orecchio della compagna. Si abbandona con il corpo su quello di lei, schiacciandola contro la fredda parete del box doccia alle sue spalle, respirando affannosamente.
Akemi, sull'orlo di un oscuro ed incredibilmente invitante baratro, si stacca frettolosamente dal compagno ed esce dalla doccia, intenzionata a scappare nella propria cabina per riprendere fiato e placare la violenta tempesta che ha dentro.
«Devo andare.» afferma semplicemente mentre Marco prova a fermarla, prendendola con decisione per un polso e provando a girarla per poterla guardare.
«Ho fatto qualcosa di male?» le domanda titubante, sentendosi un perfetto idiota. Quando mai lui si è preoccupato di queste cose? Quando mai ha dato tante attenzioni ad una donna?
Non è solo per questo, poi, che si sente un idiota, ma anche per il fatto che si sente ferito da questo tentativo di allontanamento. Ha sempre cercato donne con cui farsi delle sane scopate e poi ognuno per i fatti propri, ma adesso gli sembra assurdo, come se fosse stato usato.
'Se gli altri lo sapessero, mi darebbero della donnetta da qui alla fine dei miei giorni!'
«No, io... devo solo andare in camera mia.» risponde con tono piatto Akemi, rimettendosi frettolosamente l'intimo. Quando però prova ad afferrare gli shorts ancora abbandonati sul fretto pavimento, viene bloccata dal comandante che, più veloce di lei, glieli sfila dalle mani e la costringe a voltarsi.
«Akemi, guardami.» ordina perentorio, mettendole una mano sulla nuca per costringerla «Che ti prende?» le domanda subito dopo, mentre la rabbia gli cresce nel cuore quando la ragazza sposta gli occhi di lato per non guardarlo in faccia.
Perché lui non lo sa, ma Akemi sta realmente dando fuori di matto. Sente un lieve ma fastidiosissimo dolore ai denti, il cuore battere così velocemente da farle temere un infarto, la gola in fiamme e un occhio pizzicare. Nella sua testa, poi, ci sono continui flash di lei che gli salta addosso e lo riduce in brandelli, riducendolo ad un ammasso di carne sanguinolenta sparsa su ogni superficie della stanza.
«Marco, sul serio... non è per te, te lo giuro. Devo solo andare in camera e... calmarmi, ecco.» afferma scuotendo forte la testa per cacciare via quelle immagini, decidendosi finalmente ad alzare lo sguardo su di lui per rassicurarlo. Nota però un certo smarrimento nel suo sguardo e silenziosamente chiede spiegazioni.
Marco le carezza delicatamente uno zigomo, continuando a fissarla intensamente «Il tuo occhio...» mormora con incertezza, facendola allarmare.
«Che ha?»
Marco le fa un cenno col capo di guardarsi allo specchio dietro di loro e lei subito esegue. Si copre con un asciugamano bianco, legandolo attorno alla vita, e subito dopo la raggiunge, mettendole una mano sulla spalla, come per rassicurarla.
«Ma che diavolo...?» mormora la corvina, continuando a fissare con paura l'occhio sinistro. Non è più color ghiaccio, freddo come quello di un morto: in quel gelo ci sono degli screzi dorati, caldi ed incredibilmente brillanti.
Si sfiora con la punta delle dita la pelle vicina all'occhio, senza distogliere neanche per un istante l'attenzione da quella novità, finché Marco, con voce tremante, la riporta con i piedi per terra.
Si volta per guardarlo in faccia, spaventandosi di fronte alla sua espressione sconvolta.
«Le tue gambe...»
La ragazza abbassa con timore gli occhi sulle proprie gambe, notando con orrore delle scie nere colarle dall'interno coscia. Sapeva che probabilmente avrebbe perso sangue, ma non immaginava che sarebbe stato così tanto, né tanto meno avrebbe immaginato che quel sangue sarebbe stato nero.
«Devo andare.» dichiara con voce dura, togliendogli gli shorts di mano e correndo verso la propria cabina, fregandosene altamente della possibilità di incrociare qualcuno. Per sua enorme fortuna ciò non accade, cosa che le dà la possibilità di muoversi in santa pace fino alla propria cabina.
Ci si chiude dentro, sbattendo con forza la porta e chiudendola a più mandate, buttandosi poi a sedere per terra.
Si stringe le ginocchia al petto, respirando affannosamente, mentre batte nervosamente un piede a terra.
'Týr, che mi sta succedendo?!' urla nella propria testa, mentre delle lacrime di paura le solcano le guance pallide.
Era momentaneamente riuscita ad accantonare l'idea di essere un mostro, di essere solo speciale, ma questi nuovi cambiamenti la fanno tornare velocemente alla convinzione principale.
«È abbastanza normale sanguinare dopo il primo rapporto sessuale.» risponde vago l'uomo, facendola ringhiare per il nervoso. Sa bene Týr che non è una stupida e che non riuscirà ad aggirarla ancora per molto, ma continuerà finché ne avrà la possibilità. Ne va della sua salute mentale, in fondo.
'E perché il mio sangue è nero?!'
«Ah boh.» insiste, usando sempre quel tono vago e quasi derisorio, sentendosi morire dentro quando gli arriva nitidamente la supplica della ragazza.
Non è mai stato un uomo dolce e particolarmente attento all'umore degli altri, non gli è mai fregato assolutamente niente di ferire qualcuno, ma adesso... adesso qualcosa è cambiato dentro di lui, nel suo cuore immobile e congelato. Qualcosa serpeggia anche dentro di lui, confondendolo e mutandolo.
«Bevi quella brodaglia, forza. Ti farà calmare.» le ordina con tono duro, felice di vederla obbedire senza far storie. Perché, se lo vuole, può vedere tutto, può sentire tutto. Basta solo che si concentri un secondo per riuscire a vedere attraverso gli occhi della ragazza, per sentire le sue stesse emozioni. All'inizio filtrarle e dividerle dalle proprie non era stato semplice, ma con un poco d'impegno è riuscito anche in questo. In fondo lui è Týr, non il primo deficiente preso a caso.
«Bevilo tutto, è meglio. Anche un'altra bottiglia non ti farebbe male.»
Akemi esegue, fregandosene altamente di ciò che le disse tempo addietro Wulfric, l'eccentrico uomo dai capelli grigi apparso come per magia nella sta stanza.
Beve con ingordigia, sentendo velocemente il corpo rilassarsi, i denti smettere di farle male e quelle orrende visioni sparire completamente.
Sospira sollevata, passandosi una mano tra i corti capelli, scompigliandoli, decidendo poi di tornare all'attacco con altre domande. È vero, sta andando contro al loro patto, ma adesso deve sapere.
«I miei occhi?» domanda con voce moderata, aspettando pazientemente una risposta. Risposta che però sembra non arrivare più, tanto da spazientirla «Týr?»
«È il mostro che dici di avere dentro...» risponde a malincuore Týr, decidendo stranamente di vuotare in parte il sacco. In fondo, ha diritto di sapere qualcosa.
«Ogni ventotto giorni raggiunge il suo picco, ma stavolta non ha potuto far niente per provare a liberarsi. Adesso è come se fosse un concentrato di pura energia e, se così vogliamo definirlo, male, che non aspetta altro che uscire e scatenarsi. Io posso tenerlo ingabbiato fino ad un certo limite, ma non è salutare per te.»
«Non m'importa se non è salutare! Devi tenerlo fermo!» urla in preda alla paura e alla rabbia, scattando in piedi come una molla e sobbalzando come un gatto non appena sente qualcuno bussare con forza alla sua porta.
«Akemi?»
La voce preoccupata di Marco le risulta incredibilmente dolce e quasi melodica in quel momento.
Il suo cuore, fino a quel momento preda dell'angoscia più nera, le sfarfalla nel petto, ricolmo ora di una nuova gioia, dovuta al semplice fatto che il primo comandante si stia preoccupando per lei. Per loro.
«Brava! Ora ti prenderanno per pazza e ti chiuderanno in manicomio.» la riprende Týr, più che infastidito dalla cosa. In fondo si era raccomandato più volte di non farsi beccare a parlare da sola!
'Parli per esperienza?' lo sfotte prontamente, trattenendo a stento una risata quando s'immagina la sua espressione indispettita per quel commento.
«Simpatica.» soffia prima di dileguarsi di nuovo, fiero di sé per essere riuscito ad essere d'aiuto senza dover muovere un dito.
«Akemi, va tutto bene?» la richiama nuovamente Marco, realmente preoccupato per la sua strana reazione.
Ha davvero paura di aver sbagliato qualcosa, di averle fatto un qualsiasi tipo di pressione, di essere stato troppo rude, o una qualsiasi sciocchezza che possa aver rovinato di nuovo il loro già instabile rapporto.
Quando però Akemi gli apre la porta, sorridente e visibilmente più tranquilla, tira un mentale sospiro di sollievo.
«Scusa...» mormora con voce mortificata Akemi, chinando un poco la testa e facendogli spazio per entrare.
Marco sorride sollevato, entrando con passo calmo nella stanza ordinata della compagna, osservando con un certo sgomento le pile di tomi ammassate in un angolo della stanza. Si domanda quando abbia trovato il tempo di leggerli tutti, come faccia a ricordarli, come possa trovarli tutti interessanti. Ma alla fine, ricordandosi chi è la proprietaria di tutti quei libri, decide di lasciar perdere. Stranezza più, stranezza meno, tanto!
«Come mai sei venuto qui?» gli domanda sorridendogli dolcemente la corvina, raggiungendolo per poterlo stringere di nuovo tra le braccia.
«Ero convinto che tu ce l'avessi con me per qualcosa.»
In un altro contesto avrebbe mentito, Marco. Avrebbe trovato una scusa decente per salvare la faccia, ma sa bene quanto questo lo renderebbe ridicolo ora.
«Assolutamente no.» gli sorride dolcemente, Akemi, avvicinandolo subito dopo per poterlo baciare.
Una gocciolina d'acqua le cade sul naso, scappata dalla strana chioma bionda del pirata, e una lieve risata riempie quella stanza. Risata che viene presto sostituita dallo schioccare dei baci, da altre dolci risate, parole appena sussurrate e poi da ansimi leggeri.

«Brava così, ragazzina. Goditi i piccoli piaceri della vita, sempre.»


Nel frattempo, in cima alla postazione di vedetta, Satch osserva il dolce ondeggiare delle onde illuminare dalla chiara luce lunare, con la sola compagnia del taciturno Marcolino.
Ha provato a rivolgergli qualche domanda stupida per vedere se starnazzava e si agitava anche per lui, ma l'animale è rimasto immobile e in perfetto silenzio a fissare il mare.
Dopo qualche minuto passato ad osservarlo, Satch si è lasciato sfuggire un lieve “grazie”, che l'animale pare aver apprezzato, dal momento che ha piegato la testa in sua direzione.
Non l'ha ringraziato per il suo silenzio, non l'ha ringraziato per la sua dubbia compagnia, no. L'ha ringraziato perché sta facendo da vedetta al posto suo, dandogli così la possibilità di pensare ai fatti propri, di staccare finalmente la presa.
Pensa a quanto gli era mancato vedere il sorriso sulle labbra del babbo, a quanto gli era mancato vedere Akemi girottolare per la nave e sparare sciocchezze una dietro l'altra, a quanto gli era mancata quella pace e quella serenità collettiva.
Poi pensa a Lei. Non vorrebbe, sul serio, ha evitato quel pensiero il più possibile, ma non ci riesce più.
'È proprio vero: hai bisogno della luce solo quando sei al buio, ti manca il Sole quando inizia a nevicare, ti rendi conto di quanto sei arrivato in alto solo quando ti senti giù, odi la strada solo quando ti manca casa, ti rendi conto di tenerci solo dopo che l'hai lasciata andare... e io ti ho lasciata andare.'
Si passa le mani tra i capelli, chiudendo gli occhi.
La vede di fronte a sé, con i lunghi capelli tinti di quel pallido rosa che un po' stona con la carnagione lattea. Vede i suoi occhi allegri e luminosi, le sue labbra piegate in un sorriso dolce. La vede mentre balla di fronte a lui, saltellando da una parte all'altra e muovendo sinuosamente le braccia, al ritmo di qualche melodia che solo lei riesce a sentire.
Sente il suo profumo dolce, come di fiori. Sente il contatto fresco con la sua pelle. Sente la sua voce, così angelica da farlo sciogliere. Gli sussurra parole dolci, gli dice che gli manca e che vuole vederlo di nuovo, che vuole che sia suo.
«Sono tuo...» mormora con un filo di voce, riaprendo di nuovo gli occhi, con l'amara consapevolezza che era solo nella sua mente e quella più angosciante che quel pensiero non lo abbandonerà tanto facilmente.
Perché non lo ammetterà con gli altri, fingerà sempre di star bene, ma dentro muore dalla voglia di poterla rivedere, di sapere che sta bene, che quel pazzo assassino non è arrivato anche a lei.
Rimpiange il fatto di non aver chiesto al padre di invitarla a far parte della ciurma, ma poi si ricorda che lei stessa gli disse che non poteva lasciare certi affari nelle mani del fratello, che devono stare insieme.
'Sei un ragazzo fortunato, Hidan. Tu puoi starle vicino.' pensa sorridendo amaramente 'La proteggerai anche da parte mia, vero?'
«Ehi, Satch!»
Il comandante abbassa lo sguardo, sorridendo allegramente a Teach che lo saluta con mano tesa.
«Ti do il cambio, vai pure a riposare!» gli urla con una certa allegria, facendo gioire interiormente il comandante. Perché non solo gli manca inspiegabilmente quella ragazzina dai vivaci oggi di ghiaccio e i bizzarri capelli tinti, ma è pure indecentemente stanco. In fondo non ha ancora recuperato le ore di sonno perse di quelle faticose e dolorose settimane, quindi l'idea di farsi dare il cambio un'ora prima del dovuto lo rallegra oltre ogni limite.
Scende con un balzo agile, atterrando silenziosamente e, senza abbandonare neanche un istante il suo contagioso e infantile sorriso, dà una pacca sulla spalla al corpulento pirata che si appresta a salire sulla torre di osservazione.
«Grazie amico!»
Detto questo si allontana velocemente verso la propria cabina, già con l'immagine nitida del suo adoratissimo letto impressa a fuoco nel cervello. Non vede l'ora di strapparsi i vestiti di dosso e di buttarsi a peso morto sul materasso per godersi una più che meritata dormita.
Sente degli strani cigolii quando passa davanti alla cabina di Akemi, ma non vi bada minimamente. È consapevole, infatti, che spesso si agiti nel sollo a causa dei suoi assurdi sogni e, finché non la sentirà urlare come un'indemoniata, non ha alcuna intenzione di intervenire.
Non c'è neanche da dire che questo suo momentaneo menefreghismo va a grande vantaggio della coppia clandestina che in quel momento ci sta dando giù pesante sotto le lenzuola. Perché se per caso Satch fosse entrato, attirato da quel cigolio, e avesse visto l'assai poco fraterna posizione assunta dal primo comandante e la giovane piratessa, nessuno avrebbe certo chiuso occhio quella notte.
Ma fortunatamente Satch vuole semplicemente dormire e quindi continua a camminare a grandi falcate verso la propria stanza.
Apre di scatto la porta, inspirando a pieno polmoni e con grande soddisfazione l'odore di casa, guardando con amore crescente il letto su cui tra pochi secondi si stenderà.
C'è un dettaglio, però, che lo fa bloccare sulla soglia: lui non aveva lasciato l'oblò aperto!
«Buona sera, comandante Satch.»



Angolo dell'autrice:
Buon salve salvino miei dolci riccetti! ← si, mi calmo, è meglio.
Marco e Akemi cominciano subito in quarta, eh? XD Ma come darle torto? Io avrei fatto di peggio con il bel comandante :x Però -c'è sempre un però- Akemi ha rischiato seriamente di perdere il controllo e di fare a pezzi il povero Marco! O.O Povero cucciolo...
Dai, dai! È andato tutto bene! L'importante è questo!
Satch che soffre per la mancanza della sua Mimì? Dolcino lui ♥ Lo voglio anche io un Satch!
Killian versione spietato assassino... dolce anche lui! Tutti dolci! :D Simpatico anche Teach che la sfotte... Dio, come vorrei ammazzarti, ciccione! ← ?!
Sono felice di annunciarvi che tra poco (al massimo domani) pubblicherò la OneShot su Mimì e Satch, che sarà intitolata Dirrty (titolo ispirato alla canzone della Aguilera che, personalmente, adoro). Spero che possa piacervi :)
Adesso ci tengo a ringraziare di cuore Lucyvanplet93, Aliaaara, rosy03, Yellow Canadair, Okami D Anima, Law_Death, Monkey_D_Alyce, Keyra Hanako D Hono, nemesis_inframe92, ankoku e Portgas D SaRa per le loro magnifiche recensioni! ♥ Siete degli Angeli!!! ♥
Ringrazio inoltre Chie_Haruka per tutte le belle recensioni che mi sta lasciando agli scorsi capitoli! Sei un tesoro! :D

A presto, un bacione
Kiki ♥


PS: questi sono i tatuaggi di Týr: http://it.tinypic.com/r/j0h3t0/8

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Capitolo 22
*** 22. Una strana giornata di pioggia + Special [Un re senza corona] ***


Piccola avvertenza: per chi non lo sapesse, tra il precedente capitolo e questo c'è di mezzo un piccolo spin-off intitolato Dirrty, dove viene spiegato chi è entrato nella cabina di Satch e cosa è successo. Detto questo, vi auguro una buona lettura :D
 
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Se c'è una cosa che tutti quanti sull'imponente Moby Dick non sopportano minimamente, sono le giornate di pioggia. Non di tempesta, dove devi sgobbare come un dannato per evitare che la nave subisca danni o peggio, no. Proprio pioggia fitta e mare insopportabilmente calmo. Non una bava di vento, nulla. Solo fitta e fastidiosissima pioggia.
Perché non lo sopportano? Semplice: perché non c'è assolutamente niente da fare, se non chiudersi sottocoperta a giocare a carte, parlare di sciocchezze e mangiare per ammazzare il tempo. Finché queste azioni vengono compiute nei momenti di riposo va più che bene, è proprio piacevole, ma adesso... è solo straziante.
Molti pirati si sono riuniti nella grande sala mensa, ammazzando il tempo in tutti i modi che riescono a trovare. Altri, invece, hanno preferito sudare un po' in palestra, lanciando spesso e volentieri varie imprecazioni contro il tempo ostile che li sta torturando con quelle goccioline fredde ed incredibilmente fastidiose.
Barbabianca si è chiuso nella sua cabina a leggere, appisolandosi di tanto in tanto, completamente rilassato. Certo, quella brutta giornata lo infastidisce parecchio, ma la consapevolezza che i suoi adorati figli siano tutti quanti al sicuro da quasi una settimana e che Akemi si sia data inspiegabilmente una calmata, lo rincuora notevolmente e gli permette di sorvolare su quel fastidioso inconveniente.
Quando però l'ha vista uscire dall'infermeria, ricevendo non so quante raccomandazioni da parte delle infermiere, si è sentito un po' infastidito. Ha provato a chiedere a Ran cosa sia successo, se si tratta di una cosa grave, se deve preoccuparsi sul serio, e in tutta risposta la donna gli ha sorriso con aria beffarda, parandosi il culo con la scusa del segreto professionale, cioè un modo molto carino e poco offensivo per dire “tua figlia non vuole che tu sappia qualcosa, quindi fatti i cazzi tuoi”.
Si è dunque arreso, chiudendosi nella sua grande camera a leggere e sonnecchiare. Quando però era cosciente e si è ritrovato per le mani un incantevole romanzo d'amore drammatico, suggeritogli ovviamente da Akemi, si è ritrovato a fantasticare come un ragazzino su una possibile storia d'amore tra la sua amabile trovatella e il suo adorato secondo comandante. In fondo li vede sempre giocare assieme, abbracciarsi, parlare di Dio solo sa cosa, e i filmini mentali alla fine gli sono partiti da soli. In fondo, non gli dispiacerebbe per niente diventare nonno e gli farebbe oltre modo piacere sapere che il suo adorato figlio dall'animo tormentato ha trovato quello che sicuramente è il tesoro più grande del creato: l'amore.
Proprio mentre l'imponente capitano dall'animo sognatore pensa e ripensa, cadendo poi in un tranquillo riposo, qualcuno ha trovato dei modi ben più piacevoli di passare quelle interminabili ore di tortura. Usando la scusa che dovevano controllare che le provviste fossero sufficienti fino alla prossima isola, si sono chiusi nella stiva, lontani da occhi indiscreti. Che poi i vestiti siano volati via nell'arco di cinque minuti scarsi è semplicemente una coincidenza.
Un'altra coincidenza è avvenuta quando, dopo circa quindici minuti da quando erano riemersi dalla stiva, hanno dovuto controllare pure che la cambusa fosse ben rifornita per quando dovranno preparare la cena. Che poi la porta sia stata chiusa a chiave a più mandate non è importato a nessuno. In fondo che tra quei due determinati pirati non circoli proprio buon sangue è risaputo, e l'idea che l'abbiano fatto per provare ad eliminarsi senza interruzioni non li sorprende per niente.
Come è una coincidenza che adesso, dopo tutto questo duro lavoro, i due pirati siano andati a farsi una doccia, non dopo aver battibeccato sotto lo sguardo indifferente di tutti i presenti. Guarda un po', poi, una delle due docce pare essersi guastata all'insaputa di tutti, e i due pirati si sono trovati casualmente a fare la doccia insieme.
Ci sono altri due pirati poi che hanno trovato qualcosa di più interessante da fare. Certo, uno dei due adesso dorme nudo come un verme, avvolto tra le lenzuola candide della compagna, ma questo è poco importante.
Cioè, in realtà è importante, almeno per Halta, che adesso non ha assolutamente niente da fare tranne fissare il compagno mentre russa beato, scendendo lentamente con gli occhi sulla schiena liscia e piena di segni rossi. L'idea che qualcuno li possa scoprire, che vedano il sedicesimo comandante che dorme con i capelli sparsi sul suo cuscino e le lenzuola che lo avvolgono come un involtino dalla vita in giù, non le importa proprio niente. Le dispiace solo che Akemi non sia lì per vedere Izo in quelle condizioni, ma è più che consapevole che anche l'amica non stia perdendo tempo a girarsi i pollici.
Solo una persona sta fuori sotto la pioggia battente, a fissare il vuoto con una bottiglia quasi vuota di rum stretta in mano: Satch.
Da una settimana a questa parte, infatti, pare essere cambiato. Certo, i cambiamenti sono così sottili che quasi nessuno se ne è reso conto, ma ci sono. È meno allegro, meno reattivo, a tratti pure scorbutico.
Nessuno sa il perché e nemmeno hanno provato a chiedere. Sono convinti che sia solamente un periodo così, che gli passerà velocemente, inconsapevoli di quanto in realtà il temuto comandante stia soffrendo per la mancanza dell'eccentrica ragazza che una settimana prima si era presentata nella sua stanza e con cui aveva fatto l'amore per buona parte della nottata.
Era felice in quel momento, Satch, ma quando poi la mattina dopo si è svegliato da solo, si è sentito come ferito. È stata un po' come una pugnalata in mezzo alla schiena, dolorosa e lacerante. Aveva infatti sperato di potersi svegliare con Mimì al suo fianco, di poterle dare un ultimo bacio prima di vederla sparire così come era arrivata, ma ciò non è successo. Di lei non c'era nessuna traccia, neanche uno straccio di biglietto in cui gli diceva che sarebbe tornata o che era finita lì.
Beve un altro sorso, deciso ad affogare quel dispiacere che ancora lo sta lacerando nel dolce e forte alcolico, continuando ad imprecare nella sua mente, a lanciarle maledizioni su maledizioni per averlo infettato in quel modo, per averlo piegato inspiegabilmente a quel sentimento che ha tanto evitato, per averlo reso schiavo di quella dipendenza.
«Satch!»
Il quarto comandante si volta lentamente al richiamo di Ace. Lo guarda con sguardo assente, cercando di riprendersi dai propri pensieri, cercando con tutto sé stesso di non vedere il sorriso smagliante di quella maledetta e misteriosa ragazza che gli ha fatto perdere completamente la testa.
«Vieni dentro, sennò ti ammali.» Ace gli sorride gentilmente, facendogli cenno con la testa di seguirlo «Akemi dice che vuole fare un gioco!» aggiunge subito dopo, voltando il capo giusto per assicurarsi che il compagno lo stia effettivamente seguendo.
«Che si è inventata, stavolta?» domanda svogliatamente il maggiore, provando con tutto sé stesso a comportarsi come al solito, a mostrarsi allegro e spensierato, anche se il risultato è incredibilmente scarso.
Si è svegliato male quel giorno, dopo aver sognato di vederla tornare, di vedere di nuovo quel sorriso furbetto che tanto lo manda su di giri, di sentire di nuovo il suo profumo di fiori freschi, e il maltempo non fa altro che peggiorare il suo umore.
«Ah, non ne ho proprio idea.» risponde Pugno di Fuoco, dirigendosi tranquillamente verso la camera di Rakuyo, dove hanno deciso di riunirsi alcuni di loro.
Quando entrano, trovano anche Fossa, Marco e Namiur, intenti a chiacchierare del più e del meno.
Al moro non sfugge l'aria particolarmente stanca della Fenice, e non riesce proprio a trattenere un sorrisetto malizioso.
«Dormito poco, Marco?» gli domanda con finta innocenza, buttandosi a peso morto sul letto del settimo comandante, intento a fumarsi una sigaretta vicino all'oblò.
Marco si limita semplicemente a voltarsi verso di lui e guardarlo senza capire realmente il senso di quella domanda, soprattutto di fronte a quella strana espressione tanto insolita su di lui.
Alla fine fa solo spallucce, tornando a chiacchierare in santa pace degli ultimi avvenimenti e dei nuovi omicidi, che comprendono un nuovo assassinio di un Drago Celeste. La tipologia questa volta sembra essere diversa dalle altre: la vittima è stata annegata in una vasca da bagno e dopo il decesso gli sono stati tagliati polsi. Nessuna scritta, nessun avvertimento o indizio. Solo una rosa nera poggiata sul petto freddo e pallido della vittima.
Dopo qualche minuto fanno il loro ingresso pure Halta ed Izo, entrambi con qualcosa da mangiare in mano. Per loro fortuna, nessuno dei due porta addosso i segni della stanchezza dovuti all'amplesso avvenuto neanche venti minuti prima, al contrario invece del primo comandante.
Certo, c'è anche da dire che i due comandanti non hanno a che fare con un'immortale piena di energie e con un appetito sessuale da far paura. Di questo, però, Marco non si lamenta per niente, anzi.
I minuti trascorrono tranquilli. I vari comandanti parlano con leggerezza, completamente ignari di ciò che accadrà da lì a pochi minuti. E come potrebbero? Come potrebbero sapere cosa si è comprata la loro bizzarra sorella su quella devastante isola? Come potrebbero sapere che vuole scoprire se le dicerie che girano su quell'oggetto sono vere o meno?
«Vi ero mancata?»
Akemi entra nella cabina come un uragano, reggendo tra le mani una curiosa scatola intagliata nel legno e una sacca che straripa di oggetti vari.
«Da morire.» commenta sarcasticamente Fossa, beccandosi in risposta una linguaccia.
È strano il rapporto che li lega: si vogliono bene, moltissimo, ma proprio non riescono a non punzecchiarsi, a lanciarsi frecciatine affilate, a provare a prevalere l'uno sull'altra. Certo, per Fossa questo non è mai stato un problema, ma ultimamente la ragazzetta pare aver sviluppato una forza sin troppo considerevole e, a suo dire, incontrollabile.
Akemi si butta a sedere in mezzo alla stanza, attenta a non inciampare nei vari oggetti abbandonati sul pavimento, lanciando poi con malagrazia una bottiglia vuota contro la parete, mandandola in frantumi.
«Ehi! E se poi la pesto e mi taglio un piede?» le domanda scherzosamente Rakyuo, senza riuscire a trattenere un sorriso. Le vuole davvero bene, si è affezionato alle sue stranezze e anche ai suoi nuovi modi di fare. È diventata così schiva, forte, con quello sguardo glaciale in grado di scioglierti. Al contrario del fratello, poi, lui si diverte proprio a giocare con lei, aiutandola più volte ad escogitare scherzi di ogni genere.
«Così impari a tenere in ordine la tua stanza.» borbotta in risposta Akemi, aprendo finalmente la scatola e posizionando una superficie piatta e chiara al centro della stanza, sulla quale sono disegnate tutte le lettere dell'alfabeto, i numeri dallo 0 al 9, le parole “YES” e “NO” alle estremità, e tanti altri simboli, tra cui un grosso pentacolo ribaltato in mezzo alla superficie chiara. Accanto alla scritta “YES” è stato inciso un teschio sorridente, mentre accanto al “NO” una testa a cui sono stati cuciti occhi e labbra.
«Cos'è quell'affare?» domanda Fossa, guardandola con aria torva. Perché lui sa bene quanto la ragazza sia imprevedibile, quanto sia diventata strana in quella settimana, quanto dentro di lei qualcosa sia cambiato. Non ne ha parlato con nessuno, neanche col capitano, giusto per non allarmarli, per non lanciare un possibile falso allarme.
Tutto sommato però ha il presentimento che anche gli altri si siano accorti di quegli strani cambiamenti. Per esempio, è sicuro che si siano accorti del fatto che si diverta a cacciare i pochi roditori che si nascondono sulla nave, di come attenda come un perfetto predatore che abbassino la guardia per poi attaccarli e sbranarli, di come si diverta ad ucciderli. O sennò, per fare un altro esempio, di come si diverta ad uccidere in generale, come quando hanno assaltato una nave nemica e abbia fatto una vera e propria strage, attaccandosi pure alla gola di un uomo fino a soffocarlo, usando la sola forza della mandibola.
Se ne accorge anche adesso, Fossa, mentre la osserva mentre sfiora con la punta delle dita quella strana tavola, ammirandola quasi come se fosse una preziosa reliquia.
«È una tavola Ouija. Carina, eh? L'ho presa a Namba. Secondo Kakashi è un gioco divertente.» risponde distrattamente Akemi, sistemando la bizzarra tavola al centro della stanza «Dovete mettervi in cerchio adesso.» aggiunge subito dopo, afferrando la borsa che aveva precedentemente adagiato al proprio fianco e cominciando a rovistarci dentro.
«Cosa stiamo facendo per l'esattezza?» le domanda Rakuyo incuriosito, mettendosi a sedere con le gambe incrociate al fianco della ragazza. Osserva ciò che ha davanti con interesse, incuriosendosi ancora di più quando la sorellina posiziona in cerchio dei piccoli cerini.
«Un gioco.» risponde secca la corvina, accendendo velocemente tutte le piccole candele, ammirandone come ipnotizzata le piccole fiammelle danzanti.
«A me sembra più una seduta spiritica.» osserva Izo con tono incerto, facendo saettare gli occhi dalla tavola alla ragazza, che gli sorride con una più che evidente finta aria colpevole.
«Più o meno...»
«Stai scherzando? Non c'è da giocare con queste cose!» sbotta Ace, scattando a sedere sul bordo del letto e guardandola come se fosse impazzita tutto in un colpo.
«Credevo che tu le reputassi tutte sciocchezze.» afferma con tono canzonatorio Akemi, sorridendogli con aria derisoria.
«Si, però... non so, su quel libro sembra tutto così vero.» ammette a malincuore Pugno di Fuoco, passandosi una mano dietro al collo per l'imbarazzo. Perché, in fondo, ammettere di aver seriamente letto quel libro ed essere arrivati a pensare che ci sia del vero tra quelle pagine piene di strani simboli, è imbarazzante.
«Ti sei lasciato condizionare, Ace.» gli sorride in modo cordiale Akemi, come a volerlo tranquillizzare. In realtà è solo intenzionata a provare quel bizzarro gioco, a comunicare con i morti, e di tranquillizzarlo non le importa proprio un bel niente.
«Non ha mai fatto male a nessuno giocare un po'.» aggiunge subito dopo, sistemando la piccola lancetta sulla superficie liscia, la plachette.
«A cosa serve?» le domanda con un vago interesse Izo, sedendosi di fronte a lei. In fondo non ha nient'altro da fare, non può neanche starsene da solo con Halta senza dare nell'occhio, quindi tanto vale provare quell'assurdo giochetto da bambini e farsi due risate.
«A regola per porre domande alle anime dei morti o demoni.» risponde con un ampio sorriso Akemi, contenta che almeno uno tra loro sia dalla sua parte. Sapeva già di partenza che sarebbero stati restii a farlo, quindi vedere che almeno il suo ormai ex consulente notturno le dà corda la rallegra parecchio.
«Che cosa divertente!» afferma con un marcato sarcasmo la Fenice, facendola accigliare.
Non lo ammetterà mai, Marco, ma vederla con quell'espressione corrucciata da bambina a cui sono state appena negate delle caramelle gli piace da impazzire. Gli piace di più quando per dispetto si rifiuta di baciarla o di darle attenzioni, ma anche il quel frangente gli va bene.
«Abbiamo altro da fare?» soffia la corvina, assottigliando lo sguardo.
«Ok...» si arrende dopo qualche istante Namiur, mettendosi a sedere di fianco alla compagna con aria sconsolata.
Si passa le mani sul volto e sbuffa sonoramente, praticamente copiato da tutti i compagni che velocemente seguono il suo esempio, consapevoli che o lo fanno o dovranno sorbirsi lunghi giorni di broncio e dispetti improponibili.
Akemi, tutta ringalluzzita, si sistema meglio sul cuscino su cui è seduta e passa poi ad esporre agli altri partecipanti come funziona il gioco «Dobbiamo mettere la mano sulla planchette e fare una domanda, se c'è lo spirito questa si muoverà sulle varie lettere per comporre la risposta.»
«Non ci credo che sto per fare una stronzata del genere.» sbotta Fossa, passandosi una mano dietro al collo con aria infastidita. Non è certo tipo da quelle cose lui, non lo è mai stato. Vorrebbe davvero evitare di partecipare, però non vuole neanche rovinare la festa a tutti, che improvvisamente sembrano essere tanto interessati alla cosa.
Quello che Fossa non sa, però, è che tutti sono interessati perché vogliono semplicemente prendere in giro la ragazza.
«Metti la mano, miscredente!» lo rimbecca Akemi, facendogli storcere la bocca. Anche questa volta non le risponde e non prova a spiaccicarla contro la parete con un pugno solo per non essere il guastafeste di turno.
«Cosa chiediamo?» domanda il sedicesimo comandante, seduto tra Ace e Marco.
I due comandanti gli lanciano un'occhiata scettica, domandandogli silenziosamente se ha perso il senno tutto in un colpo o se vuole prenderla in giro come tutti gli altri. Si guardano poi tra di loro, scuotendo la testa sconsolati quando si rendono conto dell'espressione seria dell'amico, alleandosi allo stesso tempo per distruggere pure lui.
«Intanto se c'è qualcuno ad ascoltarci, direi.» propone Halta, lanciando una fugace occhiata alla sorella, che sorride entusiasta.
'Possibile che tu non ti renda conto che ti stanno prendendo in giro?'
Nella stanza cala un profondo silenzio e, dopo un cenno col capo della corvina, tutti poggiano la punta delle dita sulla plachette, trattenendo con loro grande sorpresa le risate.
«Spirito, se sei con noi, io ti invoco.» afferma con convinzione Akemi, tenendo gli occhi chiusi e ricorrendo a tutta la sua concentrazione.
Si sorprende di non sentire la voce di Týr che la prende in giro, essendo sicura che la reputerebbe una sciocchezza, inconsapevole di quanto l'uomo ci abbia giocato in vita e quante volte abbia rischiato la pelle nel prendersi gioco degli antichi spiriti che avevano pazientemente risposto alla sua chiamata.
«C'è qualcuno con noi?» domanda dopo qualche istante di silenzio Akemi, aprendo gli occhi e guardandosi attorno per la stanza con una punta di delusione.
«Se sei donna fatti avanti, se sei maschio alla larga!» scherza prontamente Satch, facendo ridere tutti i presenti.
«Non burlarti così degli spiriti, perché li stiamo già disturbando e non ti ringrazierebbero.» gli ringhia contro la giovane immortale, incenerendolo con lo sguardo. Perché lei è profondamente convinta che ci sia qualcosa dopo la morte, che ci siano altre creature strane come lei, che gli spiriti possano realmente mettersi in contatto con i vivi se lo vogliono, e non riesce proprio a digerire il fatto che il suo adorato fratellone se ne prenda gioco così apertamente.
«Ok, ok, ma stai calma!» si scusa prontamente il maggiore, alzando le mani in segno di resa e mettendosi subito in disparte. In fondo se ha reagito così per una stupida battuta, non vuole immaginarsi quanto se la prenderà non appena gli altri metteranno in atto il loro innocente scherzo.
La ragazza sospira forte per calmarsi, tornando poi a fissare intensamente la tavola al centro del cerchio e riprovando subito a mettersi in contatto con qualcuno.
«Non abbiamo cattive intenzioni. C'è qualcuno?»
Sorprendentemente la plachette si muove verso il cerchietto dentro cui è scritto “YES” e Akemi si illumina, emozionata come poche altre volte.
La sua emozione però muore quando i compagni scoppiano in una fragorosa risata e tolgono le mani, sfottendola e dandogli della credulona.
«Siete degli stronzi!» strilla in preda alla collera, scattando in piedi come una molla e snudando d'istinto le zanne, sentendosi profondamente offesa.
Gli altri però non ci badano più di tanto, troppo presi dalle risate che quasi li piegano in due.
Solo Izo non ride, troppo concentrato a fissare con sguardo stralunato la piccola plachette che lentamente prende a muoversi da sola.
«Ragazzi...» li richiama con voce incerta, indicando l'oggetto che continua a muoversi sulle varie lettere fino a comporre la parola “VANTRO”.
Cala un gelido silenzio tra di loro, profondamente turbati da ciò che hanno appena visto. In fondo nessuno stava giocando, quindi è impossibile che uno di loro lo abbia fatto per spaventarli.
«Porca puttana...» mormora Ace, rimettendosi seduto in modo composto e fissando intensamente la tavola che ha di fronte. Prova un vago senso di inquietudine aleggiargli nel cuore, mentre la voglia di alzarsi in piedi ed urlare a tutti quanti che aveva ragione e che aveva provato ad avvertirli diventa quasi insostenibile.
Akemi si rimette a sedere lentamente, senza staccare gli occhi dalla plachette ancora ferma sulla O.
«C- chi sei?» domanda incerta, sussultando quando la lancetta si muove di nuovo senza essere sfiorata da nessuno, andandosi a posizionare lentamente sulle lettere, fino a formare la parola “GUD”.
Tutti rimangono in silenzio, non badando neanche alle piccole fiammelle dei cerini che si muovono appena, come mosse dal vento.
«Hai cattive intenzioni?» domanda Akemi, animata da una malsana curiosità.
La lancetta scatta veloce e si blocca su “YES”, scatenando lo stupore generale.
Non riescono a crederci, proprio no. Sarebbe ammissibile se qualcuno di loro avesse un potere tale che gli permetta di muovere gli oggetti con il pensiero, ma visto che tutti ne sono sprovvisti è semplicemente assurdo.
«Cosa vuoi fare?» domanda con un filo di voce Akemi, mentre la curiosità sparisce lentamente, lasciando spazio ad una più che giustificata inquietudine.
La plachette si muove velocemente, troppo perché loro riescano ad appuntarsi ciò che viene scritto, ma non abbastanza per sfuggire alla vista acuta della corvina.
Jeg er ikke døg” ripete nella sua mente, cercando di capirne il significato, provando a memorizzare immediatamente la frase successiva “Jeg finner deg”.
Non ha nemmeno il tempo di metabolizzarla, di provare a tradurla, che subito la plachette comincia a muoversi ancora più velocemente, scrivendo a ripetizione la parola “MIN”.
La scrive e la riscrive, fino all'esaurimento, facendo trattenere loro il respiro, finché la tavola schizza in aria di scatto, come se fosse stata scaraventata da qualcuno.
«Ace, bruciala...» mormora Akemi dopo lunghi minuti di assoluto silenzio, alzandosi in piedi e dirigendosi a grandi falcate verso il piccolo oblò per prendere una boccata d'aria e schiarirsi le idee.
«Dite che abbiamo davvero chiamato uno spirito?» domanda Halta con tono incerto, osservando distrattamente Ace mentre dà fuoco a quel bizzarro oggetto e poi estingue le fiamme quando ormai non ne è rimasto altro che cenere.
«Qualche chiaroveggente deve avervi intercettati e ha giocato con voi. Non avete niente da temere.» afferma con sicurezza Týr, facendo tirare un sospiro di sollievo alla ragazza.
Sorride appena, nascondendo il volto dietro ai capelli, trattenendosi con tutta sé stessa dall'insultarlo pesantemente per non essersi palesato prima e per non averla messa in guardia. Perché non lo fa? Semplice: se la prenderebbe troppo e non le parlerebbe più, idea ormai diventata insopportabile per Akemi.
«No, è stato un caso.» afferma con una falsa sicurezza l'immortale, voltandosi verso i compagni e sorridendo nel modo più rassicurante che riesce a trovare.
I presenti annuiscono distrattamente, lanciandosi delle fugaci occhiate. Non credono del tutto alle sue parole, non quando riescono a vedere chiaramente il turbamento nel suoi occhi.
Marco la guarda con attenzione mentre torna a fissare fuori dall'oblò con sguardo attento, arrivando velocemente alla conclusione che sta parlando con quella strana entità che vive nel suo subconscio. Perché ne hanno parlato, qualche notte prima, mentre riprendevano fiato. Ne hanno parlato e a Marco è sembrata una cosa assurda, ma allo stesso tempo decisamente probabile. In fondo è così strana che tutto con lei diventa possibile, anche la presenza di un essere tangibile e reale in una specie di realtà parallela.
Guardandola adesso, si rende anche conto che c'è qualcosa che non va, qualcosa che però non è collegato a quel gioco idiota di cui adesso gli altri stanno animatamente discutendo.
Si alza da terra e la raggiunge, venendo fortunatamente ignorato da tutti quanti, troppo presi dal fatto che Satch, l'uomo forse più giocherellone e amichevole dell'intera ciurma, abbia appena annunciato di voler uscire per stare un po' da solo.
«Tutto bene?» le domanda con un filo di voce, sfiorandole con la punta delle dita il dorso della mano abbandonata lungo il fianco.
«Si.» risponde secca, tenendo gli occhi fissi sul cielo plumbeo e la pioggia battente «Tutto bene.»
Non le crede, Marco, per niente. Sa bene che c'è qualcosa che la sta turbando nel profondo, qualcosa che ancora non è riuscito a capire.
Da quando è risorta si comporta in quella maniera bizzarra: si chiude in un profondo mutismo anche per qualche ora, mangia poco, dorme poco. Alcuni dicono che si trasforma in una specie di zombie, ed in fondo non hanno neanche tutti i torti.
«Ne vuoi parlare?» le domanda con tono gentile, realmente preoccupato per quello che le sta succedendo. Ha fatto tante cose strane da quando la conosce, è vero, ma mai una volta ha avuto degli atteggiamenti simili.
«Vado a riposare.» risponde freddamente la corvina, uscendo dalla cabina velocemente così come ci era entrata. Non saluta nessuno, non guarda nessuno. Si muove e basta, silenziosa come un fantasma, con gli occhi di ghiaccio fissi nel vuoto.
«Dico sul serio, ragazzina: non pensarci.» insiste Týr, più che deciso a rassicurarla.
'Come posso non pensarci? Un qualche chiaroveggente è riuscito ad intercettarci... potrebbe scoprire la nostra rotta!'
Entra nella propria stanza e si butta sul letto, rannicchiandosi nell'angolo con le spalle contro il muro.
«Ti dico che puoi stare tranquilla, fidati.» insiste, sbuffando sonoramente. Se ne stava tanto bene in solitudine, a pensare ai fatti propri, e ora invece si ritrova a dover discutere con una poppante per una cosa che non lo riguarda «Ci ho giocato una marea di volte, non è mai successo niente di eccezionale... certo, una volta abbiamo invocato un demone e la situazione ci sfuggì un po' di mano, ma vabè.»
Demone?” il suo interesse si accende di colpo e di scatto alza la testa, sorridendo serenamente. Adora parlare con Týr, le piace sentire la sua voce, ascoltare i suoi racconti. Non riesce a farne a meno, non osa neanche pensare di allontanarlo da sé. Lo vuole al suo fianco, lo sente suo e sa che la cosa è reciproca.
Certo, questo a Marco non l'ha detto. E come potrebbe? Si frequentano da poco più di una settimana! Con che faccia può andare da lui e dirgli “Ehy, sai che amo parlare con quel pazzo e che non riesco a sopportare l'idea di separarmene e che non vedo l'ora di addormentarmi pur di rivederlo?” ? Sarebbe di cattivo gusto.
«Vuoi che te ne parli un po'?» si arrende di fronte all'evidenza il maggiore, sbuffando sonoramente. Non ne ha voglia in realtà, anche perché nutre un certo astio verso quelle creature, ma se questo può aiutare a distrarla dalla realtà può anche starci.
'Decisamente si!'
«Allora, i Demoni, come spero tu giù sappia, sono immortali: una “stagione” non è altro che qualche migliaio di anni per loro. Sono creature che devono essere sempre approcciate con estrema onestà e rispetto, sennò vanno fuori di testa e distruggono ogni cosa.» inizia così, con tono calmo, rassicurante ed ammaliante, tanto da ipnotizzarla e farla pendere completamente dalle sue labbra «Ci sono dei modi ben specifici per evocarli: innanzitutto, devi conoscere il Demone che vuoi evocare, è importante avere uno scopo specifico ed è appropriato offrire qualcosa in cambio. Ricordati di non concordare MAI qualcosa che sai non poter fare. Il Demone non la prenderebbe per niente bene. Poi... mhhh... che altro devi sapere? Ah, si. I Demoni parlano attraverso i nostri pensieri. All'inizio non capisci un cazzo di niente, ma con l'esperienza diventa facile.»
Akemi non si perde una sola parola, troppo ammaliata dal suono della sua voce, troppo concentrata su ciò che ha da dirle. Non si accorge neanche del grande via vai davanti alla sua porta, del fatto che abbia smesso di piovere.
«Poi... ah, si! Devi stare in un posto tranquillo e devi usare dell'incenso di buona qualità. Poi servono candele nere o blu, o, ancor meglio, del colore dello specifico Demone. Poi ti serve il foglio con il Sigillo del Demone.» finisce parlando tutto in un fiato, facendola ridacchiare.
'Con l'invocazione ho chiuso, giuro!' afferma sicura, come se fosse una bambina piccola che è stata appena beccata dalla mamma con le mani nel vaso della marmellata.
Tra i due cala un breve silenzio, finché ad Akemi viene assalita da un atroce dubbio.
'Se dovessi vederne uno... mi aiuteresti, vero?' gli domanda titubante, preoccupata di essersi spinta troppo oltre considerata la mancata risposta da parte dell'altro.
Quando poi questa arriva, la spiazza completamente.
«Certo, scricciolo.»

Nel frattempo, nella cabina di Rakuyou, tutti continuano a bighellonare, prendendosi in giro e raccontando barzellette.
Dopo un po', stufo di quei discorsi senza logica, pure Marco se ne va e, senza neanche pensarci, si dirige velocemente verso la cabina della compagna. È più forte di lui, malgrado sappia perfettamente che potrebbero vederlo e farsi dei sospetti. Marco però è troppo furbo per farsi mettere nel sacco così, e si è già preparato una scusa più che credibile: le voleva semplicemente tenere compagnia perché sa che ha paura della pioggia. Certo, ormai ha smesso, ma dirà che si trovava lì già da prima e che alla fine si sono messi semplicemente a parlare.
Bussa piano alla porta ed entra non appena gli viene dato l'accesso, trovandola rannicchiata sul letto a fissarsi con insistenza il braccio tatuato. Sorride involontariamente mentre la guarda, imprimendosi nella mente ogni dettaglio: i muscoli sviluppati delle gambe, la carnagione nivea, i capelli neri e lucenti come il piumaggio del suo corvo che le scendono sulle spalle forti, i lineamenti delicati del viso e poi i suoi occhi, quei magnifici occhi di ghiaccio che lo fanno ardere.
«Ti sei già stufata di averli?» le domanda con tono divertito mentre l'avvicina, mettendosi a sedere sul bordo del letto.
Non la tocca neanche con un dito, poiché consapevole del suo turbamento emotivo. Non ha bisogno che lei glielo dica, gli basta guardarla. Gli è bastato vedere i suoi occhi dopo quella seduta spiritica quando la tavola è saltata in aria.
Ora non le farà pressioni di alcun tipo. Sa bene che non gradisce quando si invadono troppo i suoi spazi, cosa che condivide in pieno. Se gliene vorrà parlare, lo farà di sua spontanea iniziativa.
«No.» risponde secca la giovane, alzando finalmente gli occhi sul comandante «Ne voglio ancora.» aggiunge subito dopo, sorridendo appena.
«Ancora?! Guarda che se insisti a riempirti in questo modo cambieranno il tuo soprannome da ricercata in “Scarabocchio”. È questo che vuoi?» la sfotte prontamente Marco, sedendosi comodamente sul suo morbido materasso, lasciandosi andare ad un sorriso.
Si sente strano in quei momenti. Lui non sorride mai, non mostra mai così apertamente le proprie emozioni, non lo ha mai fatto. Con lei, invece, non riesce a trattenersi, non come vorrebbe. Si lascia andare sempre alla passione bruciante che lo divora non appena la sfiora, gli batte il cuore all'impazzata di fronte ai suoi sorrisi, si sente in paradiso quando raggiunge l'apice del piacere e si accascia sul suo corpo, quando sente il suo cuore battere forte come il suo.
«Tu non puoi capire...» sussurra in risposta Akemi, abbassando lo sguardo e compiendo un gesto che spiazza completamente il compagno: all'inizio semplicemente si sfiora un polso con la punta delle dita, per poi affondare gli artigli nella tenera carne, lasciando sgorgare copiosamente il sangue troppo scuro e denso.
«Cazzo!» sbotta Marco, afferrando una maglia della ragazza poggiata sul letto e scattando in avanti per bloccarle l'emorragia.
«Ma che ti salta in mente, razza di idiota?!» le ringhia contro imbestialito, stringendole con forza il polso, la cui carne è ormai rimarginata.
Akemi alza semplicemente gli occhi su di lui, seria come poche altre volte in vita sua, provando un profondo senso di angoscia nel vedere il turbinio di emozioni negli occhi del compagno. Non vuole farlo soffrire, causargli preoccupazioni, ma proprio non riesce a fare a meno di quello strano vizio.
«Tu non puoi capire, Marco...» mormora con tono dispiaciuto, sollevata però nel vedere i muscoli delle spalle dell'uomo distendersi, così come il suo sguardo «Il dolore fisico, il sangue che lento cola sulla mia pelle... mi fa sentire... viva.» spiega con tono serio, sfiorando con la punta delle dita la pelle calda di Marco, disegnando dei ghirigori immaginari, beandosi del suo profumo.
Trae un respiro profondo, decidendo di vuotare il sacco. Sa bene che lui si è accorto di qualcosa, è troppo sveglio per non essersene reso conto, quindi pensa bene di mettere in chiaro le cose per il suo bene.
«Sono morta più volte nella mia breve vita, Marco, ma l'ultima volta sembrava quella definitiva. Non sai cosa si prova a sentire il proprio organismo che lentamente muore, la forza vitale che esce dal tuo corpo lentamente, lasciandoti immobile e agonizzante. Non sai cosa si prova a dover rimanere chiuso in un limbo, a vedere cose che appartengono ad un passato che non riesci a ricordare, ad una vita precedente che non puoi più avere.» afferma con tono lento e pacato, sostenendo il suo sguardo «È per questo che lo faccio ogni giorno. È per questo che mi taglio sempre più in profondità, che lascio che il sangue sgorghi, che cerco ogni modo per sentire dolore: è solo grazie a quella momentanea sofferenza che sento di appartenere ancora al mondo dei vivi, che la mia forza vitale ancora risiede dentro al mio corpo.»
Marco abbassa lo sguardo, sentendosi incredibilmente impotente. Era convinto di essere capace di renderla felice, di riuscire a non farle pensare a tutte le cose orrende che le sono successe, ma a questo punto è convinto di essersi sbagliato.
«Non pretendo che tu lo accetti, neanche che tu lo capisca, solo... non provare più a fermarmi. Voltati dall'altra parte se ti dà così noia, se ti risulta impossibile sopportarlo. Io non posso rinunciarci.» mormora dopo qualche straziante minuto di silenzio Akemi, ritraendo la mano a malincuore e voltando la testa dall'altra parte.
Marco la fissa intensamente, prendendole poi il mento tra le dita e baciandola a fior di labbra, come a volerla tranquillizzare con quel semplice e casto gesto.
«Promettimi solo che non farai delle idiozie.» il suo è più un ordine che una richiesta, ma in ogni caso riesce a strappare un sorriso alla corvina.
Non si dicono mai cose dolci, non sono una coppia smielata, non ci riuscirebbero. Però, tra un momento di bruciante passione e l'altro, accade che si scambino questi gesti affettuosi, di cui Akemi non riuscirebbe più a fare a meno.
Perché anche se non lo ha mai detto a parole, anche se non vuole realmente ammetterlo con sé stessa, lei è innamorata di Marco. Darebbe la sua vita per lui, camminerebbe nel fuoco più torrido se lo rendesse felice.
«Cos'è, non riusciresti più a stare senza di me?» lo sfotte sorridendo a pochi centimetri dalle sue labbra, giusto per non lasciarsi andare a troppi sentimentalismi. Ha pur sempre una certa reputazione da mantenere. Inoltre Týr non le darebbe pace se si mostrasse troppo dolce.
«Ti piacerebbe.» risponde a tono il biondo, facendole l'occhiolino e alzandosi subito dopo dal letto, dirigendosi verso la porta per andare a controllare come stanno le cose sul ponte «Pulisci questo schifo, forza.» ordina distrattamente, riferendosi alle macchie di sangue che imbrattano il pavimento nell'angolo.
«Non sei tu il mio comandante.» controbatte prontamente la corvina, incrociando le braccia al petto con fare indispettito.
«A proposito di questo...» Marco si blocca di colpo, passandosi una mano dietro al collo e voltandosi verso di lei «Ti dispiace andare a parlarci? Lo vedo giù di tono ultimamente.»
«Non c'è problema.» risponde con un sorriso allegro la minore, alzandosi a sua volta e superandolo senza degnarlo di uno sguardo, ricevendo come punizione per questa mancanza di attenzione una sonora pacca sul sedere.

Il crepuscolo sta calando sulle immense vele ammainate, e ormai l'equipaggio si affretta per terminare velocemente i lavoretti che avrebbero dovuto fare nel pomeriggio.
Le infermiere continuano imperterrite ad esaminare i campioni che hanno prelevato ad Akemi, cercando di trovare una qualsiasi cosa positiva. Una sola, ne sarebbero più che entusiaste. Il problema nasce dal momento che di positivo non c'è assolutamente niente in quelle analisi, se non il fatto che la sua anemia sembri sparita.
Barbabianca, dal suo seggio, osserva sorridente i figli mentre si godono l'aria fresca, correndo da una parte all'altra come dei bambini.
Marco gli si ferma di fianco, e il capitano non riesce a non sorridere di fronte alla sua espressione serena. Non sa per quale ragione sia così raggiante negli ultimi tempi, e di certo non andrà a ficcare il naso in affari che non lo riguardano, ma ne è decisamente felice.
Era da tanto tempo che non lo vedeva così, che non vedeva quella luce nei suoi occhi, che non lo vedeva così felice. È curioso da impazzire di sapere cosa gli passi per la testa, cosa lo renda tanto attivo, e anche perché si ritrova con delle profonde occhiaie, ma decide di tenere la bocca chiusa. Quando gliene vorrà parlare, lo farà lui.
Dall'altra parte della nave, proprio nel giardinetto, Satch osserva distrattamente il cielo che si schiarisce con sguardo malinconico.
Una leggera brezza di vento gli scompiglia i capelli e per un istante, un breve, brevissimo istante, gli è sembrato di percepire l'alito tiepido della sua Mimì contro la tempia, uno di quei respiri prolungati, di quelli che precedono un bacio. Non un bacio forte, passionale. Un bacio dolce, delicato come un petalo di rosa, e straziante per il cuore come se venisse avvolto dalle spine del magnifico fiore.
Ci pensa e ci ripensa, non riuscendo a capire cosa gli sia successo, come possa essersi ridotto in quello stato, quale incantesimo gli ha fatto per ridurlo così.
«Ehi, vecchia volpe...» dice tra sé, massaggiandosi una spalla con un sorriso sghembo in faccia «Mi sa davvero che ti stai innamorando...»
«Innamorando di chi, fratellone?»
Il comandante della quarta flotta quasi vola in alto per tre metri nel sentire una voce proprio alle sue spalle, tenendosi una mano sul cuore nel tentativo di calmarlo.
Dietro di lui Akemi lo guarda tranquilla, come se non lo avesse appena spaventato con il suo simpatico scherzetto.
«Angioletto...» le passa una mano tra i capelli corvini, afferrandola poi per la vita e trascinandosela in grembo «Non dovresti spuntare così all'improvviso, te l'ho detto mille volte.» la rimprovera subito dopo, sorridendo di fronte alla sua espressione contrariata.
«Di chi stavi parlando?» cambia repentinamente argomento la corvina, lasciandolo perplesso e con una domanda scomoda alla quale rispondere.
Perché lei sa che il suo caro Satch sta nascondendo qualcosa. Come lo sa? Semplice: una settimana fa nella sua stanza c'era un odore particolare, nuovo e allo stesso tempo familiare, di fiori freschi, di primavera e, allo stesso tempo, di morte. Quell'odore era poi addosso al suo adorato fratello, e ciò non ha fatto altro che animare la sua curiosità.
«Non ti deve interessare, mostriciattola!» la spinge a terra con un sorriso divertito, felice di poter alleviare quel dolore che tanto lo sta facendo impazzire con la compagnia dell'eccentrica sorella.
Akemi non si scomoda neanche a rispondergli o a saltargli addosso per vendetta, troppo incuriosita da un lieve vociare che sente provenire dall'altra parte dell'enorme nave.
«Sembra che sia successo qualcosa di buffo.» afferma sovrappensiero, alzandosi in piedi e porgendo una mano al fratello «Andiamo a sfottere?»
L'uomo accetta di buon grado l'invito, afferrando saldamente la mano fresca e vellutata della ragazza, pronto a tirar fuori tutto il suo repertorio.
Ma quando si trova di fronte la scena, è seriamente indeciso se stramazzare al suolo, piegandosi in due dalle risate, o scappare urlando per tutta la nave per far accorrere tutti quanti.
In un misero secondo di lucidità, poi, si domanda perché non si sia rimediato uno di quegli aggeggi del governo chiamato macchina fotografica. Adesso darebbe qualsiasi cosa per averne una sotto mano. A parte Mimì, eh.
«Come...?» cerca con tutto sé stesso di non scoppiare a ridere, di mantenersi serio ed autoritario come ci si aspetta da un comandante «Come ha fatto a...?»
«È caduto dalla vedetta.» risponde tranquillamente uno dei suoi sottoposti, anche lui provando con tutte le proprie energie a non ridere per la figuretta che sta facendo Ace.
Satch lo guarda allibito, non capendo bene come il fratello sia riuscito a finire in quell'assurda posizione cadendo solamente dalla vedetta.
«E...?»
«Ho cercato di afferrarlo al volo...» bofonchia l'uomo, abbassando la testa man mano che parla «Ma l'ho mancato, spingendolo per sbaglio verso quelle corde.» aggiunge subito dopo, allungando un dito tremante verso una delle corde tese che collegano la vela di supporto all'albero maestro.
'Non ci posso credere.' pensano all'unisono Satch e Akemi, osservando allibiti l'assurda posizione assunta dal compagno.
«È rimbalzato...»
E come possono crederci? Una cosa del genere accade una volta su un miliardo!
«... e si è attorcigliato con quelle corde.» termina il pirata, con la voce ormai ridotta ad un filo di voce.
Sopra le loro teste, Ace ancora ronfa alla grande, con il cappello arancione che, appeso alla giugulare grazie alla cordicella attaccata, subisce il suo stesso dondolamento provocato dalla posizione tutt'altro che naturale.
È praticamente in bilico su due corde che, attorcigliandosi un po' attorno alle gambe e un po' ai gomiti, lo avevano bloccato a testa in giù, lasciando in lui ben poco di quella dignità che si porta dietro ogni giorno.
Quando poi Satch e Akemi lo sentono pure russare come un cinghiale, non riescono proprio più a trattenersi e scoppiano a ridere come due scimmie ubriache, piegandosi in due e rotolandosi sul pavimento fortunatamente pulito della nave.
«Non c'è niente da ridere! Non possiamo tirarlo giù da soli!» protesta il pirata, provando inutilmente ad attirare l'attenzione dei due temibili pirati che ancora se la ridono, confabulando tra di loro su un probabile scherzo da mettere in atto da lì a pochi minuti.
«Satch, tiralo giù senza svegliarlo, io torno subito!» ordina convinta la ragazza, scattando sottocoperta come un razzo.
Durante il breve tragitto molti compagni provano a chiederle cosa sia successo, perché stia sorridendo in modo così inquietante e perché stia mettendo sotto sopra il bagno di Marco, ma Akemi ogni volta si limita a risponde: “Non ci sono, provate più tardi!”
Quando poi trova l'oggetto tanto desiderato, il suo sorriso si allarga ancora di più. Sembra una specie di tossicodipendente a cui è appena stata regalata una generosa dose di eroina, in effetti.
«Akemi?» la richiama Marco, attirato da tutto il trambusto fatto dai fratelli «Ho notato che Ace è appeso all'albero maestro... e che sta dormendo profondamente. Non è che vuoi tirargli qualche brutto tiro?» le domanda subito dopo, osservandola attentamente mentre gli si avvicina piano.
Akemi gli poggia una mano sul petto nudo, senza mai abbandonare quel sorriso inquietante che però non suscita nell'uomo alcun tipo di disagio.
«Qualcosa in contrario?» gli domanda con tono basso, avvicinando pericolosamente il viso al suo.
La porta alle loro spalle è aperta, chiunque potrebbe vederli e lo sanno benissimo, ma Marco non può negarsi un ultimo bacio prima di quelle interminabili ore che li vedranno costretti a litigare come bimbetti o ignorarsi, ed è per questo che l'afferra saldamente per i fianchi e se la tira addosso, baciandola con quanta più passione può.
Si separa pochi istanti dopo, soddisfatto dall'espressione quasi persa della compagna e, sorridendole, risponde alla domanda che gli è stata posta pochi istanti prima.
«Divertiti.»

Sull'imponente ponte principale della Moby Dick, l'equipaggio si gode in tutta tranquillità gli ultimi raggi di Sole, ammirando le mille sfumature che ha assunto il cielo.
Barbabianca guarda i suoi figli uno per uno, provando un profondo orgoglio. Sono tutti forti, dei veri lupi di mare, ma soprattutto sono protettivi nei confronti l'uno dell'altra, fedeli, e si vogliono bene come se fossero davvero fratelli di sangue.
Sono la famiglia che ha sempre desiderato, quella piccola ma grande gioia che ogni giorno lo spinge ad alzarsi, che gli dà la forza di continuare il suo viaggio, di non mollare mai.
Sofferma per un breve istante lo sguardo su Satch e Akemi, intenti a sghignazzare tra di loro e a confabulare un probabile scherzo ai danni di uno dei compagni o semplicemente a raccontarsi dei loro segretucci, e un dolce sorriso gli increspa le labbra sotto ai grandi baffi bianchi. Ogni volta che li vede così affiatati, che nota gli sguardi amorevoli che si lanciano e i sorrisi sinceri e pieni di sentimento, si sente il cuore scoppiare dalla gioia. Perché è grazie alle sue scelte se ora quei due sono così felici, se hanno trovato quel piccolo appiglio a cui aggrapparsi nei momenti più duri, e lui ne è pienamente consapevole.
È tutto perfetto in quel momento per Edward Newgate. Anche troppo.
C'è calma, nessuno urla alla coppia scalmanata per eccellenza di smetterla di fare casino, e questo lo mette in allarme.
«Dov'è Ace?» tuona di punto in bianco, attirando l'attenzione di tutti i presenti, non accorgendosi subito del sorrisetto complice che il quarto comandante e la sua sottoposta si scambiano. Quando però se ne rende conto, è ormai troppo tardi: un urlo pieno di rabbia squarcia l'aria, facendolo trasalire.
Fa giusto in tempo a voltarsi che Ace giunge sul ponte come una furia, viola per la rabbia e il cappello ben calcato sulla testa.
«Chi cazzo è stato?!» sbraita Pugno di Fuoco, facendo calare un silenzio di tomba.
Pure il grande capitano lo fissa senza capire, ma gli basta aguzzare un poco la vista per arrivare all'ovvia conclusione, e di conseguenza non riesce a soffocare una risata divertita.
Un'improvvisa folata di vento fa calare di colpo il cappello arancione sulle spalle muscolose del secondo comandante, mettendo così in mostra la testa rasata.
Inevitabilmente tutti scoppiano a ridere di gusto, prendendolo in giro a gran voce, facendo aumentare così la sua rabbia a livelli mai toccati prima. Pure il corvo, appollaiato su uno dei braccioli del seggio del capitano, pare prenderlo in giro, sbattendo con forza le ali e gracchiando con tutta la voce che ha.
Quando Ace, incazzato come una biscia, nota con la coda dell'occhio i due compagni darsi il cinque e provare a soffocare le risate, delle fiamme cominciano a ricoprirgli involontariamente le braccia.
«Siete morti.»



Angolo dell'autrice:
Ok, non uccidetemi! *schiva vari oggetti*
È uno scherzo troppo bello da fare ad un amico in stato semi comatoso! XD Provare per credere! Noi gli si fece mezza testa proprio a pelo e il giorno dopo aveva delle interrogazioni. :P
Cooomunque... che ve ne pare? Sedute spiritiche, coppie che scopano come conigli ogni volta che ne hanno la possibilità, Akemi sempre più disturbata...
Si, direi che ci stiamo avvicinando sempre di più alla parte che tutti attendete! Mi spiace soltanto che quando arriverà, la nostra dolce coppietta sarà costretta a separarsi. Penso anche che mi odierete per un'altra ragione ben peggiore di questa, ma poi mi rifarò! MUAHAHAH!
Non ho altro da dire questa volta... strano, eh? >.<
Un grazie di tutto cuore a Chie_Haryka, Lucyvanplet93, Porgas D SaRa, rosy03, Monkey_D_Alyce, ankoku, Okami D Anima, Yellow Canadair, Keyra Hanako D Hono, Aliaaara, nemesis_inframe92 e Law_Death per le magnifiche recensioni che mi avete lasciato!
Subito dopo pubblicherò uno special nella raccolta “Ti dedico una canzone”, dove vedremo i pensieri di Marco! :D Vi anticipo già che seguiranno Mimì, Satch e Izo (Questi due potrebbero essere invertiti).
Beh, detto questo, un bacione a tutte quante! Siete dei tesori!
A presto, un bacione
Kiki

 
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Peter Bàthory non è mai stato un ragazzo come gli altri. Non ha avuto un'infanzia felice e spensierata, non ha conosciuto l'amore materno o paterno, non ha avuto fratelli o sorelle con cui sfogare il suo dolore. Non ha neanche mai avuto qualche amico con cui piangere. Gli altri ragazzi -quelli normali- lo odiavano, disprezzavano la sua presenza e gli tiravano le pietre. Perché lui era un bastardo nato da una puttana, non meritava neanche di vivere.
Peter Bàthory non è mai stato un ragazzo come gli altri. A lui non piacevano i giocattoli. Non gli piaceva giocare in generale. Preferiva torturare piccoli mammiferi, sventrarli, farli morire per dissanguamento o affogarli nel fiume che scorreva vicino casa sua. Gli piaceva anche costruirsi piccoli mobili con le loro ossa.
Peter Bàthory non è mai stato un ragazzo come gli altri. Ha sempre avuto una salute cagionevole, aggravata dalla mal nutrizione e dall'ambiente che lo circondava. Era gracile e pallido, tossiva sempre e spesso aveva la febbre. Vestiva con stracci sottili che non lo potevano riparare dal freddo pungente della sua terra.
Peter Bàthory poi è diventato un ragazzo superiore agli altri. È stato graziato, ha ricevuto l'immortalità. Ha avuto un padre protettivo che lo ha amato e lo protetto, un fratello su cui poter contare, a cui poteva raccontare ogni cosa. La sua salute diventò di ferro, la sua forza aumentò tanto da farlo diventare il prescelto. Sarebbe sicuramente diventato il capo, sarebbe stato lui il nuovo Imperatore, ogni immortale avrebbe risposto a lui e sarebbe dovuto sottostare alla sua volontà.
Peter Bàthory si divertiva ancora ad uccidere. Lo considerava rilassante, piacevole. Gli piaceva così tanto che presto imparò ogni trucco per potersi sbarazzare di altri immortali, anche di quelli che gli erano vicini. Nessuno sospettava di lui. Perché avrebbero mai dovuto farlo? Lui era il forte e fedele Peter Bàthory, quello che difendeva e serviva fedelmente il suo Signore, quello che sorrideva sempre e aiutava la Regina quando preparava qualche pozione. Ma lui uccideva. Ne uccise così tanti che perse pure il conto, banchettando con i loro cadaveri e brindando con il loro sangue.
Peter Bàthory si fidava ciecamente del suo migliore amico. Era come il fratello che non aveva mai avuto e lo amava alla follia. Fece tante stragi per lui, lo allenò tanto da farlo diventare uno dei più forti mai esistiti. Nessuno poteva contrastarli, solo l'Imperatore. Si fidava così tanto che un giorno gli mostrò cosa faceva quando diceva che andava a divertirsi. Gli mostrò il cadavere ormai in avanzato stato di putrefazione di una ragazza che da poco aveva abbracciato l'immortalità, una compagna d'armi simpatica e solare. Glielo mostrò e gli offrì il suo cuore per cena, dicendogli che sarebbe dovuto stare zitto, che doveva mantenere il segreto. Era suo fratello, perché mai dubitare di lui?
Peter Bàthory è stato ripudiato e condannato all'esilio. Riuscì a scappare, nascondendosi nelle fetide fogne per nascondere il suo odore e la sua esistenza a tutti coloro che lo volevano uccidere.
Peter Bàthory è dovuto vivere nell'ombra per anni. Non aveva più niente. Tutti i suoi beni e i suoi privilegi erano andati perduti, per colpa del suo migliore amico, di suo fratello. Lui aveva fatto la spia, non aveva saputo tenere la bocca chiusa. Ricorda ancora i suoi occhi pieni di paura l'ultima volta che l'ha visto. Perché quello sporco traditore sapeva già allora che si sarebbe vendicato, che avrebbe trovato il modo per tornare a splendere. Sapeva che avrebbe colpito duramente. Non solo lui, ma tutti coloro a cui teneva.
Peter Bàthory ha saputo dello scandalo che ha scosso nel profondo ogni immortale. Ha saputo della creatura venuta al mondo e si è mobilitato per trovarla. Ha ucciso ancora, ma non aveva calcolato un dettaglio che per poco non gli è risultato fatale.
Peter Bàthory ha inscenato la sua morte ed è rinato a Foosha. Era un posto tranquillo e sconosciuto in cui potersi rifocillare, in cui non avrebbe dato nell'occhio. Perché aveva bisogno di quello per poter escogitare la vendetta perfetta, per poter trovare il modo più violento e doloroso con cui spodestare l'Imperatore.
Peter Bàthory adesso ha degli alleati ed è l'unico ad essere mai riuscito a stipulare questo genere di coalizione. In fondo quelli dell'Ordine del Drago li hanno sempre odiati e cacciati, uccisi in massa. Lui invece li ha persuasi, li ha portati dalla sua parte e ora viene considerato il loro più prezioso alleato. Non gli negano niente, come invece faceva l'Imperatore.
Peter Bàthory adesso ha il potere. Un potere che aspetta solo di essere scatenato, una vendetta che non aspetta altro che essere messa in atto. Perché sa bene che il padre che lo ha rinnegato ed esiliato vuole mettere le sue mani sporche di sangue sulla creatura, che la vuole per sé per qualche motivo che ancora non riesce a comprendere. Ma non glielo permetterà, proprio no. La prenderà lui, userà ogni trucco che conosce per portarla dalla propria parte.
Peter Bàthory vuole il sangue di coloro che l'hanno tradito e cacciato. Vuole le loro vite e se le prenderà.


*Anche se penso che non apparirà praticamente più se non verso la fine, vi spiego comunque da dove viene il suo nome -perché si, è una cosa su cui ho riflettuto abbastanza-:
-Peter è preso da Peter Nirsch, un serial killer che uccise più di 520 persone dal 1575 al 1581, che fu giustiziato con la pena di morte tramite squartamento.
-Bàthory -non penso neanche che serva dirlo- dalla famosissima Erzébet Bàthory, conosciuta anche come la “Contessa Dracula” o “Contessa Sanguinaria”. Se non ne avete mai sentito parlare vi consiglio vivamente di andare a leggere la sua biografia. Penso che sia stata una delle poche cose ad avermi lasciata così: o.o

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Capitolo 23
*** 23. Verità che spaventano ***


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«Akemi...» rantolata il suo nome tra gli ansimi, mentre una scossa di piacere gli sale lungo la spina dorsale, su fino al cervello.
Abbassa un poco gli occhi, incrociando quelli chiari velati di eccitazione della ragazza inginocchiata tra le sue gambe, e ancora una volta si rende conto di quanto quella situazione sia sbagliata, di come dovrebbe fermarla e di come non ci riesca.
In realtà, è consapevole che non avrebbe dovuto mai cominciare quella relazione.
Gli andava vagamente bene quando credeva che sarebbero semplicemente finiti a fare del buon sesso, ma le cose sono velocemente cambiate, si sono evolute senza che lui potesse fare nulla per fermarle e di punto in bianco si è trovato ad essere schiavo dei sentimenti che prova per lei, a pensare a lei quasi per tutto il giorno e a desiderare, senza alcuna logica, di poter gridare al mondo della loro relazione.
In realtà, nel profondo, sa bene cosa sta succedendo: lui, Marco la Fenice, il primo comandante dei pirati di Barbabianca, capace di far tremare chiunque con un solo sguardo, si sta innamorando dell'Angelo Demoniaco.
Non lo crede possibile. Non vuole che sia possibile.
'È solo una questione fisica. Posso smettere quando voglio!' continua a ripeterselo da circa due settimane, dal loro primo rapporto, senza però riuscirci.
Vorrebbe, eccome se lo vorrebbe, ma ogni volta che incrocia i suoi vivaci occhi di ghiaccio sente lo stomaco attorcigliarsi e il cuore battere più forte. Ogni volta che quel piccolo angelo lussurioso lo sfiora e lo guarda con malizia, sente l'irrefrenabile voglia di sbatterla contro la prima superficie disponibile e strapparle i vestiti di dosso. Ogni volta che s'intrufola nel suo letto nel cuore della notte, spera sempre di trovarla ancora lì al suo risveglio.
Sta succedendo anche adesso, mentre si lascia toccare avvolto da un piacere bollente.
«Akemi…» mormora più di una volta fra gli ansimi, con brividi di piacere che gli attraversavano tutto il corpo, mentre lei continua a lambire il suo membro, regalandogli infine un orgasmo così travolgente che quasi lo butta a terra.
Rimane con le spalle appoggiate contro la parete della propria stanza a corto di fiato, mentre la giovane immortale si alza lentamente e gli regala un ultimo bacio a fior di labbra prima di uscire per tornare dagli altri sul ponte.
Marco invece rimane ancora un po' da solo, a pensare.
Pensa che sia tutto dannatamente sbagliato e malato, che il loro sia un rapporto dannoso per entrambi, che dovrebbe chiudere definitivamente quella storia, allontanarla e smettere di pensarla, ma non riesce a trovare il coraggio di prenderla da parte e farlo sul serio. In realtà, solo l'idea di dirglielo lo fa star male. Solo l'idea che possa accettare la cosa di buon grado e sostituirlo, che possa dare tutte quelle emozioni e attenzioni a qualcuno al di fuori di lui, semplicemente lo butta a terra e lo distrugge interiormente.
Ed è proprio questo a dargli la prova di quanto il loro rapporto sia diventata malato. Perché in poco più di due settimane di relazione si è trovato schiavo di questo sentimento che con tanto impegno ha evitato per tutta la vita, da questa relazione così incredibilmente passionale.
Si passa stancamente le mani sul volto, sconvolto da tutti quei cambiamenti che lo fanno diventare matto e, solo quando è sicuro che i segni di quel travolgente orgasmo sono ormai passati, si decide ad uscire dalla stanza per raggiungere i compagni.
Come al solito trova quell'insopportabile corvo a farsi coccolare dalla sua compagna, a gracchiare e sbattere quelle maledette ali. Non lo sopporta proprio, Marco. È diventato una presenza troppo costante, una specie di ombra che la segue in tutti i suoi movimenti. Per un breve istante aveva pure preso in considerazione l'idea che fosse una specie di spia e che stesse raccattando informazioni su di loro per qualcuno, ma poi ha accantonato l'idea. In fondo, per quanto quell'animale dimostri di essere intelligente, non è proprio possibile che riesca a fare una cosa del genere.
Ma, in realtà, non è neanche questo ad infastidirlo tanto in questo momento, quanto il fatto che Akemi stia giocando a scacchi con Ace.
Ci sta provando in tutti i modi a digerire la loro amicizia, a capire che si vogliono bene e che non vogliono stare separati, ma ogni loro singolo abbraccio giocoso, ogni sguardo complice, qualsiasi cosa che li coinvolga direttamente, lo fa star quasi male.
Si avvicina calmo, le mani nelle tasche dei pantaloni e un'espressione completamente indifferente stampata in faccia.
Vuole sapere cosa si dicono, perché Akemi ride così tanto e perché Ace continua a farle la linguaccia. Anzi, non è neanche che vuole saperlo: lui deve saperlo.
'Sono un dannato masochista.'
Si siede su di un barile vicino a loro, guardandoli di sottecchi. I due non badano minimamente alla sua presenza, troppo presi da quella vivacissima partita.
Akemi è felice di farlo, in realtà. È un gioco che richiede astuzia ed intelligenza, non fortuna, e quindi ha buone probabilità di vincere.
Ace invece non è felice. Per niente. A lui piacciono i dadi e le scommesse, che gli danno i brividi lungo la schiena. Gli scacchi, invece, sono semplicemente irritanti per lui.
«Ace, tocca a te muovere.» lo richiama la corvina, passandosi una mano tra i capelli nuovamente lunghi. Pure i capelli di Ace sono un po' ricresciuti, ma Pugno di Fuoco è ben consapevole che dovrà attendere ancora un po' prima di poter riavere i suoi magnifici capelli disordinati a solleticargli il collo.
«Ace!» lo richiama di nuovo, stavolta con tono più duro.
'Vuoi che muova? Ti accontento subito!'
Una fiammata costringe Akemi a buttarsi all'indietro e, a pochi centimetri dal suo candido viso, giace la scacchiera incenerita.
«Ho vinto!» sentenzia entusiasta il secondo comandante, sfoggiando il suo miglior sorriso.
Akemi si rialza e si sistema distrattamente i capelli, masticando bestemmie e maledizioni a mezza bocca, scatenando così le risate di Pugno di Fuoco che, di slancio, la stringe a sé e la fa volteggiare per aria.
Marco vorrebbe semplicemente ucciderlo. Poco gli importa di trovare un modo semplice o uno complesso e doloroso, no. Gli basterebbe giusto vederlo morto stecchito.
Akemi si accorge del suo malumore semplicemente ascoltando il suo battito cardiaco che, unito all'inconfondibile odore della rabbia, le fa comprendere che è meglio separarsi immediatamente dall'amico. Vorrebbe andare dal biondo e baciarlo, fargli capire che loro due sono solo amici e che è stupido da parte sua esserne geloso, ma non lo fa. Non lo può fare. Si limita così a guardarlo per qualche secondo dritto negli occhi, provando a tranquillizzarlo.
«Ehi, guardate a tribordo!»
Tutti i presenti si voltano di scatto, notando in lontananza una nave che si avvicina a vele spiegate, con il vessillo pirata che sventola fiero sull'albero maestro.
Il Jolly Roger della ciurma dipinto sull'enorme vela farebbe tremare chiunque, ma non loro.
«È Doma!» urla Satch, euforico, sbracciando come impazzito verso i compagni che lestamente si avvicinano.
Akemi si avvicina lentamente ad Halta, senza farsi notare da nessuno. Sul suo viso è dipinta un'espressione contratta, cosa che non sfugge all'amica, che a stento trattiene un sorriso.
«Altri alleati?» sibila la corvina, fissando con astio la nave pirata da cui sente provenire tanti odori nuovi e schiamazzi quasi insopportabili per il suo attuale stato.
«Sono tutti uomini.» l'avverte sorridendo strafottente Halta, incrociando le braccia sotto al piccolo seno e guardandola con l'aria più derisoria che riesce a trovare.
«Mh.» commenta semplicemente la corvina, girando i tacchi e dirigendosi a grandi falcate verso il sottocoperta, masticando a mezza bocca un «Sarà meglio.»
«Dove vai?» le domanda con una punta di delusione il capitano, afferrandola per un braccio.
Il sorriso che poi la ragazza gli rivolge gli fa perdere un battito: quel sorriso furbetto, quella scintilla negli occhi freddi ed impenetrabili, implicano solo che sta escogitando qualcosa.
«Mi devo cambiare.» risponde semplicemente la ragazza, passandogli delicatamente una mano sull'enorme avambraccio.
Lo ama. Lo ama sul serio. Ama la sua risata, il modo dolce e distruttivo con cui l'abbraccia, come provi ad educarla senza successo, come, di tanto in tanto, si addormentano nell'enorme stanza dell'uomo mentre leggono, con la luce tenue della candela a tener loro compagnia. Ama anche questa sua espressione, che va dall'accigliato al sorpreso.
Vorrebbe dimostrarglielo di più, fargli capire in qualche modo quanto gli è grata per tutto quello che fa per lei, ma proprio non sa come fare. Da qualche parte, in uno dei suoi tanti libri, ha letto che basterebbe un abbraccio o un gesto gentile, ma è consapevole che ciò non è assolutamente sufficiente per fargli capire quanto valga nel suo cuore nero come la pece.
«Perché? Non sei abbastanza nuda così?» la sfotte prontamente il capitano, passandole una mano tra i capelli neri e lucenti, scompigliandoli dolcemente.
Negli ultimi tempi è sempre più preoccupato per la sua salute mentale, per i suoi incredibili sbalzi di umore scaturiti dal niente. Ma alla fine, senza neanche sforzarsi molto, l'accetta così com'è. Gli basta vederla felice, vedere il suo sorriso allegro quando ne combina una delle sue, e tutto il resto va al suo posto.
«Se vuoi rimango anche così, per me non ci sono problemi, però pensavo che saresti stato più felice di presentare tua figlia vestita in modo decoroso.» controbatte acutamente la minore, assottigliando lo sguardo e sorridendo con aria vittoriosa.
«Siamo pirati, non stilisti.» commenta Marco, ora vicino al capitano.
I due pirati si guardano per un breve istante dritto negli occhi, dove Akemi legge chiaramente quanto il compagno voglia che vada a vestirsi in modo più adeguato.
«Lo vedo.» commenta acidamente la corvina, facendo sghignazzare la Fenice che, senza farsi notare, le mormora “Dopo me la paghi”.
«Allora? Rimango così o mi cambio?» domanda di nuovo al capitano, allargando le braccia per mostrare il pezzo di sopra del costume rosso fiamma e gli shorts incredibilmente corti.
Barbabianca la guarda con attenzione per un brevissimo istante, per poi lasciarsi andare ad uno sbuffo.
«Muoviti.» ordina semplicemente, ricevendo un sonoro bacio sulla guancia prima che la sua adorata e schizofrenica figlia sparisca come un razzo sottocoperta.
'Era più gestibile da piccola...'

Il Cavaliere Errante sale sorridente a bordo della Moby Dick, tenendo sempre in spalla la fedele scimmia che mai si allontana da lui.
Il corvo la nota e comincia a gracchiare innervosito, alzandosi velocemente in volo e sparendo presto dalla loro vista.
«Doma!» urla Pugno di Fuoco, aprendo le braccia e stringendolo subito dopo in un abbraccio soffocante, mentre il resto dell'equipaggio alza sempre di più il tono di voce per farsi sentire dagli alleati.
Barbabianca rimane sul suo seggio, felice di vedere i suoi figli così uniti. Li vede scherzare, abbracciarsi con forza, e non riesce proprio a non pensare a come reagirà Akemi a contatto con nuove persone. Ultimamente, infatti, ha notato che tende a diventare aggressiva e cerca di attaccare chiunque non sia membro dell'equipaggio.
«Ehi, Ace!» lo richiama il capitano alleato, riuscendo così a staccarselo di dosso. Lo guarda dritto negli occhi con sguardo truce, puntandogli poi un dito contro «Non pensare che ti abbia ancora perdonato. Mi devi una nave!»
«Non attaccarti troppo al passato, amico!» afferma ridendo Satch, mettendogli un braccio attorno alle spalle per infondergli un po' di allegria. In fondo, dopo la bruciante sconfitta, Doma non riesce più ad essere sé stesso accanto ad Ace.
«Come mai da queste parti?» gli domanda Marco, mantenendo la sua solita aria fredda e distaccata. In realtà è felice di vederlo, gli è simpatico Doma, un po' meno la scimmia.
«Figliolo!» tuona l'Imperatore, attirando su di sé tutti gli sguardi dei presenti «Spero che tu non abbia avuto qualche problema ultimamente.»
«No, perché?» risponde incerto il Cavaliere Errante, camminando piano fino a trovarsi di fronte all'imponente alleato.
«Un tizio si era infiltrato nella ciurma di Bay e poi ha ucciso alcuni membri dell'equipaggio.» spiega con tono calmo Barbabianca, scrutando attentamente i vari uomini che lo guardano con attenzione, in cerca di qualche segno.
«Sono lusingato dalla tua preoccupazione, babbo, ma va tutto bene, grazie.» si affretta a rispondere il capitano, sorridendo mansueto «Abbiamo semplicemente visto in lontananza la nave e abbiamo pensato di passare a salutarvi. È molto che non ci troviamo.»
«Hai ragione, figliolo.» gli sorride sollevato, Barbabianca, tirando un mentale sospiro di sollievo. Se gli fosse successo qualcosa, davvero non avrebbe saputo come comportarsi, visto che i colpevoli tendono a sparire nel niente come fantasmi.
«Fai salire la tua ciurma, forza. E voi, scansafatiche, legate la loro nave con delle cime e gettate le ancore.» ordina subito dopo, scatenando involontariamente le risate colme di gioia degli adorati figli, che subito eseguono l'ordine.
«Festa?» domanda speranzoso Ace, guardando l'Imperatore dritto negli occhi.
«Rimpatriata.» risponde con tono duro il capitano, trattenendo a stento le risate di fronte al sorriso più che entusiasta del ragazzo.
«FESTA!» echeggia nel cielo splendente il consueto urlo di battaglia del secondo comandante, mentre centinaia di mani sue amiche si alzano simultaneamente al suo con altrettanti boccali traboccanti di ogni tipo di liquore.

Passa velocemente una buona mezzora, nella quale non si è vista neanche l'ombra di Akemi. Nessuno dei presenti ha badato alla sua assenza, essendo tutti troppo presi dagli allegri festeggiamenti in corso. Nessuno, eccetto il capitano, che non riesce a fare a meno di chiedersi dove possa essersi cacciata l'eccentrica figlia, completamente ignaro del fatto che la ragazza era ad imbottirsi di quella strana brodaglia che continua a tenere nascosta sotto al letto.
Non sa neanche che in realtà si è nascosta nell'ombra per poter osservare i nuovi arrivati da circa dieci minuti. E come potrebbe mai saperlo? Se non è lei a palesare la propria presenza, è quasi impossibile accorgersi di lei, così silenziosa e camaleontica.
«Stai aspettando un invito ufficiale?»
Sorride appena Akemi nel sentire la sua voce strafottente, continuando ad annusare attentamente l'aria per studiare ogni singola variazione di odore che sente.
È diventata diffidente verso ogni cosa, anche nei confronti della propria ombra, soprattutto dal momento che spesso e volentieri continua a sentire un odore strano nella cabina di Satch, indice che c'è qualcuno che viene e va senza farsi vedere.
Ha provato a parlarne con Týr, ma l'uomo è stato ben attento a non farsi sfuggire neanche una parola a riguardo, continuando a cambiare argomento con un'abilità sorprendente.
'Non so se posso fidarmi.'
Un ringhio basso le risale per la gola, ma per sua fortuna nessuno pare rendersene conto. Eccetto però quella dannatissima scimmia che troppo frequentemente lancia delle occhiatacce in sua direzione.
«Vai e divertiti, coraggio. Non ti mangiano mica!» scherza allegramente Týr, convincendola come sempre.
Ha un'incredibile influenza su di lei, tanto da riuscire a convincerla senza il minimo sforzo a fare ciò che vuole. Ma questa è sempre stata una sua caratteristica sin da piccolo, quando riusciva a convincere chiunque lo circondasse a compiere anche imprese suicide per un suo semplice capriccio.
Akemi, sempre tenendo la guardia alta, si fa finalmente avanti, camminando fiera verso la polena. Non guarda nessuno, neanche Marco.
Dentro di lei qualcosa si sta violentemente svegliando, facendole prudere le mani e dolere i denti affilati.
Però, anche se lei non guarda nessuno dei pirati presenti, anche se non bada minimamente alla loro presenza, loro la notano benissimo, fasciata da un abito blu notte, la cui gonna svolazza leggera ad ogni passo.
«E quella?» domanda Doma, affascinato dalla figura eterea della giovane immortale.
La scimmia al suo fianco, nel frattempo, si agita sempre di più, provando ad attirare l'attenzione dei presenti come meglio può, senza però ottenere nessun risultato.
«Mh? Ah, è Akemi.» gli risponde distrattamente Ace, bevendo subito dopo un altro lungo sorso di birra fresca.
«L'Angelo Demoniaco?!» la voce del capitano si alza involontariamente a quella risposta, detta in modo estremamente scontato.
«Proprio lei.»
Doma, sbigottito, fa saettare lo sguardo dal secondo comandante alla giovane donna che scruta il mare con aria statuaria e fiera, cercando nel mentre le parole adatte per rispondere.
«Sull'avviso di taglia sembrava più... piccola.» borbotta infine, scatenando le risate generali.
Perché per la ciurma di Barbabianca è normale vederla così grande, tanto da aver praticamente scordato la sua crescita repentina, e per questo non prendono neanche in considerazione il fatto che qualcuno possa trovare un po' bizzarro il fatto che sull'avviso di taglia appaia come una ragazzetta di neanche vent'anni e invece dal vivo sia una giovane donna di almeno venticinque.
«Carina, eh?» domanda ridacchiando Rakuyo, dando una lieve gomitata nel fianco del capitano.
Doma semplicemente ridacchia, passandosi una mano tra i capelli.
«Non commento, potrei diventare volgare.» risponde sospirando, facendo così ridere ancora più forte gli alleati. Pure Marco finge di ridere, mentre dentro desidera semplicemente spaccare il proprio boccale sulla testa dell'ormai ex amico.
Quando poi realizza di averlo pensato sul serio, quando si rende conto di quanto sia diventato geloso nei confronti di quella mocciosa che adesso scherza con Halta, gli si spezza addirittura il respiro. Non è mai stato geloso, non lui, e invece adesso si ritrova a fulminare con lo sguardo anche i suoi fratelli se solo osano guardarla per un secondo di troppo.
Akemi nel frattempo cerca sempre di ignorare con tutta se stessa la presenza ingombrante della ciurma e di concentrarsi sulle parole allegre che gli rivolge l'amica, ma la voce allarmata di Týr la deconcentra tutto in un colpo.
«Non riesco più a tenerlo! Vattene!»
Non fa però in tempo a fare assolutamente niente che il suo corpo si piega improvvisamente in due. Annaspa in cerca d'aria, artigliando il pavimento in cerca di un appiglio. I denti le fanno male, affilandosi ulteriormente nella sua bocca e allungandosi un poco. Le articolazioni sembrano sul punto di spezzarsi da un momento all'altro, mentre il cuore comincia a battere sempre più forte.
Prova ad alzarsi, scansando quasi con violenza Halta che prova ad aiutarla a camminare, quando di colpo lo strillare incontrollato della scimmia la manda completamente in tilt, facendole uscire dalla gola un ringhio più forte dei precedenti.
Un ringhio feroce e bestiale, che per un breve istante fa gelare il sangue ai presenti.
L'animale prova a scattare verso l'adorato proprietario, ma la feroce immortale riesce ad atterrarlo immediatamente, bloccandolo al suolo e ringhiandogli a pochi centimetri dal muso.
Týr nella sua mente urla come indemoniato, provando ad imporle di fermarsi, ma sembra tutto inutile. Ha perso per un solo istante il controllo, si è distratto ripensando al proprio passato, al suo adorato fratello, e il suo lato peggiore è riuscito ad avere la meglio, alimentato dalla presenza della debole preda.
Akemi è sul punto di affondare le lunghe e candide zanne nella tenera carne dell'animale, quando qualcuno la sbalza all'indietro con un potente colpo nello stomaco.
«AKEMI!» tuona Barbabianca, immobile di fronte alla scimmia tremante. Non pensava davvero che sarebbe mai arrivato a colpirla, ma è arrivato davvero al limite. In fondo, a mali estremi, estremi rimedi.
«Cosa diavolo ti è saltato in mente, eh?!» le domanda con tono rabbioso, mentre il resto della ciurma trattiene ancora il respiro per la sorpresa. Nessuno si muove, nessuno osa intervenire.
Akemi si guarda attorno spiazzata, mentre prova a rimettere insieme i pezzi di quelle azioni che non ricorda. Sa solo che le faceva male il corpo, che ha sentito un odore forte e stuzzicante, ma poi tutto è diventato buio.
«Io-»
«Niente scuse! Non puoi fare come ti pare sempre, chiaro?! E, soprattutto, non ti devi mai più permettere di torcere un solo capello ai nostri alleati!» urla l'Imperatore, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche.
È furioso oltre ogni limite, tanto da tremare per lo sforzo di trattenersi. La cosa che lo manda ancora più in bestia, poi, è lo sguardo duro e offeso della figlia.
«È solo una scimmia!» soffia in risposta la corvina, alzandosi in piedi quasi con aria di sfida. La cosa peggiore, poi, è il fatto che si mette pure a ringhiare per difendersi, quasi incapace di contenersi.
«Sarà anche solo una scimmia, ma è la scimmia di Doma, nostro alleato. Quindi guai a te se solo ci riprovi.» sibila in risposta il gigante, allungando un braccio verso il sottocoperta, ordinandole così di andarsene.
Quando poi gli passa di fianco, l'afferra con forza per un braccio e la guarda dritto negli occhi, senza un briciolo di pietà nei suoi confronti «Prova solo un'altra volta a ringhiarmi in quel modo e ti giuro, tanto è vero che sono qui, che ti spedisco in orbita a calci nel culo. Sono stato chiaro?»
Akemi scrolla in braccio e sostiene il suo sguardo, cercando di ignorare la voce ancora più incazzata di Týr che le impone di andarsene il prima possibile.
«Limpido.» risponde infine, distogliendo lo sguardo e camminando con la stessa fierezza con cui era arrivata verso il lungo e buio corridoio.
«Cazzo, tu devi darti una calmata!»
Sbuffa infastidita, spostandosi dietro un orecchio un ciuffo ribelle.
«Non puoi provare a sbranare chiunque davanti a tutti! È la prima regola degli immortali, forse addirittura l'unica veramente importante e che viene fatta sempre rispettare!»
'Io non conosco le vostre regole.'
Cammina con passo svelto per il lungo corridoio, decisa ad andarsene in palestra a sfogare un po' di quella rabbia che la sta corrodendo, quando all'improvviso la voce allegra di Yuka le arriva alle orecchie, tirandole incredibilmente su il morale.
«Tesoro, Ran vorrebbe parlarti in privato se hai tempo.» l'avverte con un sorriso dolce la giovane infermiera, che era andata cinque minuti in pausa per prendersi un caffè e rilassarsi prima di tornare ai propri doveri.
La corvina le sorride cordialmente e le si avvicina con passo calmo, superandola senza neanche guardarla.
Non sta più nella pelle, muore dalla voglia di scoprire i risultati delle analisi fatte in precedenza e non appena vede l'infermiera intenta a leggere le sue cartelle cliniche, sente il cuore farle una capriola nel petto.
La donna si volta quando sente un lieve colpo di tosse e, per cortesia, prova ad accennare un sorriso.
«Dobbiamo parlare.» Ran le fa un cenno con la mano di mettersi a sedere sul lettino, tenendo sempre lo sguardo basso.
Non credeva che sarebbe mai dovuta arrivare a doverle dire una cosa tanto brutta, non dopo certi discorsi che hanno fatto in privato. Ma ormai non può più tenere la cosa nascosta, visto che in una settimana quel genere di esami sono più che pronti.
Maledice la sua acutezza per questo, Ran. Se fosse stata una stupida credulona avrebbe potuto tirarla per le lunghe ancora per un po'.
«Certo, dimmi pure.» afferma allegra la corvina, saltando agilmente sul lettino dell'infermeria con le gambe incrociate e un sorriso allegro in volto. Sorriso che va però spegnendosi di fronte allo sguardo triste dell'infermiera.
«È una cosa grave?» le domanda preoccupata, sentendo distintamente il suo cuore farle una capriola nel petto, segno che la risposta è più che affermativa.
Si stringe involontariamente le braccia attorno all'addome, mentre i muscoli si tendono per lo sforzo di rimanere calma.
Týr le ricorda di respirare come le ha insegnato per calmarsi, dicendole anche che comunque vada lui le sarà vicino. Perché lui sa bene cosa sta per dirle la dolce infermiera dai capelli color cioccolato e, incredibilmente, la cosa lo rattrista molto.
Ran prende una seggiolina e si siede di fronte a lei, continuando a torturarsi le mani per il nervoso. Come può darle una notizia del genere? Come può infrangere un suo sogno? Mai come in questo momento ha odiato tanto la sua professione.
«Non so come dirtelo, in verità...» mormora sempre più dispiaciuta, sobbalzando quando sente le mani fresche della ragazza afferrare le sue.
«Dimmelo e basta. Via il dente, via il dolore, ricordi?» le sorride dolcemente Akemi, provando così ad infonderle un po' di coraggio, completamente ignara di quanto le parole che tra pochi istanti sentirà la faranno soffrire.
Ran la guarda con aria cupa, sospirando con aria affranta «Sei sterile.»
Tra le due donne cala un profondo silenzio, interrotto solamente dal fastidioso orologio appeso alla parete sopra alla porta. Un tic-toc insopportabile, forte come se fossero martellare.
«Co- come?» balbetta la corvina, ritraendo le mani tremanti e guardandola come se fosse un fantasma.
«Dagli esami è saltato fuori qualcosa di anomalo, mai registrato prima. Dalle ecografie il tuo apparato riproduttivo è perfetto, ma facendo degli esami più accurati è risultato come... fasullo, ecco.» le spiega con il cuore infranto la donna, provando ad usare il tono più gentile che riesce a trovare. È consapevole però che sia una cosa completamente inutile: neanche dirglielo piangendo la tirerebbe su di morale.
Perché infatti, quando una settimana prima le aveva chiesto in gran segreto di farle quei determinati tipi di esami, si era lasciata sfuggire, con un sorriso così dolce da far venire il diabete, il celato desiderio di poter avere un bambino, un domani. Qualcuno a cui dare tutto il suo amore, da proteggere e crescere come i suoi genitori biologici non hanno potuto -o voluto, non si sa- fare con lei.
«Io... io non...» mormora a corto di fiato Akemi, come se avesse un groppo in gola che le impedisce di respirare e parlare correttamente «Non capisco.»
«Il tuo apparato è apparentemente perfetto, solo che non funziona. È come se fosse lì perché ci deve essere, ma non per funzionare.» ha le lacrime agli occhi, Ran. Lei non ha mai avuto un grande istinto materno, non le è mai importato di avere figli o meno, ma può capire quanto per un orfana possa essere diversa la situazione.
«Io...» cerca le parole, Akemi, facendo saettare gli occhi da una parte all'altra della stanza, mentre dentro di lei qualcosa comincia a muoversi: dolore, rabbia, delusione. Un mix distruttivo e letale, tenuto sotto controllo solo dall'imponente forza sempre in aumento di Týr, capace di incanalare tutte quelle emozioni e farle trasformare in semplici lacrime.
«Scusa!» scatta in piedi come una molla e corre via, più che decisa a chiudersi nella propria stanza e lì rimanere, da sola.

Il Sole sta lentamente calando, tingendo il mare di un meraviglioso arancione dorato.
Le due ciurme sono ancora insieme e, proprio mentre Doma stava per andarsene, Ace ha proposto di cenare tutti insieme e continuare così i festeggiamenti.
Barbabianca ha appoggiato l'idea, dicendo che gli sembra il minimo che possa fare dopo l'orrendo comportamento della figlia, e Doma si è ritrovato quasi costretto ad accettare, soprattutto quando di fronte a lui c'erano così tante facce sorridenti e speranzose di poter continuare a passare un po' di tempo assieme.
Adesso i cuochi delle due ciurme si danno allegramente da fare per il banchetto che tra non molto gusteranno assieme, mentre molti altri componenti si ritirano momentaneamente nelle proprie cabine per potersi dare giusto una rinfrescata e non puzzare così come dei bufali durante l'ora di cena. Perché va bene essere pirati, ma un minimo di buone maniere e di tatto ce li hanno pure loro.
Marco, con estrema cautela, si dirige verso la cabina della compagna per capire cosa le sia preso qualche ora prima, perché sia scattata in quel modo così brutale senza una ragione apparente e, soprattutto, per convincerla ad andare a parlare col capitano per chiarire quell'increscioso incidente.
Quando però non riceve nessuna risposta da parte sua dopo aver bussato ben due volte, decide semplicemente di entrare, vagamente innervosito. In fondo non ha nessuna ragione per avercela anche con lui.
La ragazza non alza neanche gli occhi su di lui, troppo avvilita per riuscire a sostenere il suo sguardo duro di rimprovero.
Marco la guarda con attenzione, stranito dal suo sguardo assente fisso sulle coperte nere e il corpo abbandonato, come morto.
«Ehi, che ti prende?» le domanda avvicinandosi, sperando di riuscire in qualche modo a tirarle su il morale come si è ritrovato spesso a fare negli ultimi tempi.
«Non dirmi che te la sei presa per quello che ti ha detto il babbo.» scherza sedendosi sul bordo del letto, cercando con insistenza i suoi occhi, senza successo.
Akemi continua a fissare il niente e a malapena riesce a sussurrare uno strascicato «No...»
«Allora cosa c'è?» le domanda con tono più serio il comandante, cercando comunque di mascherare la propria preoccupazione. In fondo con lei non si sa mai cosa può succedere, e vederla in questo stato di certo non è un buon segno.
«È una cosa... intima...» mormora in risposta, passandosi stancamente una mano sul volto più pallido del solito e stringendo l'altro braccio attorno al ventre, precedentemente accoltellato quando era sotto la doccia in uno scatto d'ira.
«Come dirlo in modo delicato?» domanda con tono sarcastico Marco, grattandosi distrattamente il mento mentre finge di pensare attentamente, attirando così lo sguardo della compagna «Scopiamo come due ricci ogni volta che ne abbiamo l'opportunità, mi è capitato di dover lavare anche i tuoi vestiti perché erano nella mia stanza... ti ho tenuto la testa quando hai vomitato quella poltiglia nera l'altra notte! Più intimi di così!» afferma dopo pochi istanti con convinzione, facendola finalmente sorridere.
'Ecco, da brava, sorridi.' pensa sollevato, passandole una mano attorno alla vita e attirandosela addosso.
«Cosa è successo?» riprova, scostandole una ciocca di capelli dal viso.
Akemi cede quasi immediatamente di fronte al suo sguardo serio e preoccupato, completamente in balia dei suoi occhi neri.
«La settimana scorsa ho parlato con Halta. Le ho detto di noi, che abbiamo... fatto sesso e... nulla, mi ha detto che era il caso di farmi controllare dalle infermiere perché non abbiamo usato precauzioni.»
Marco ci pensa su per qualche secondo, per poi sorriderle in modo rassicurante.
«A te non è ancora venuto il ciclo, quindi che problema c'è?» le domanda con il tono più tranquillo che riesce a trovare, mentre un brutto presentimento lo assale quando il suo sguardo si fa improvvisamente più duro.
«Anche questo è un problema, Marco.» afferma con tono sconsolato Akemi, provando inutilmente a scansarlo, infastidita solo all'idea di dover pronunciare ad alta voce quelle parole che l'hanno tanto ferita «Comunque sono andata da Ran, e prima mi ha detto i risultati.»
«Non dirmi che sei incinta!» sbotta di colpo Marco, ormai incapace di reprimere la preoccupazione. Quando però viene bruscamente allontanato e la vede stringersi su sé stessa e nascondere il viso nel tentativo di non farsi vedere piangente, si rende pienamente conto di aver reagito nel modo più sbagliato possibile, e subito prova a rimediare, avvicinandola piano e provando ad asciugarle le lacrime «Akemi?»
«Io non posso avere bambini, Marco. Non potrò mai averli...» mormora con un filo di voce, stringendo convulsamente il braccio attorno all'addome, reprimendo con tutta la sua forza la voglia di prendere uno dei propri pugnali e di sventrarsi seduta stante.
Marco rimane in silenzio per qualche istante, improvvisamente influenzato dal profondo dispiacere della compagna, incapace di riuscire a formulare una qualsiasi frase capace di tirarla su.
Non avevano mai affrontato un discorso del genere. Marco non l'aveva neanche mai preso in considerazione, quindi ora si ritrova completamente spiazzato.
«Dai, calmati...» afferma con poca convinzione dopo qualche minuto, afferrandola con decisione per le spalle e abbracciandola.
Si sente strano quando lo fa. Non è mai stato tipo da quel genere di effusioni, non è mai stato proprio il tipo che esternava tanto le proprie emozioni in generale, ma con lei sono tutti movimenti che vengono completamente in automatico.
In realtà, poi, si sente incredibilmente forte quando sente che anche lei ricambia i suoi abbracci, i suoi baci. Sente come una nuova forza interiore che lo fa sentire capace anche delle più grandi imprese, come ammazzare senza sforzo un Ammiraglio a mani nude.
«Tu volevi dei figli?» le domanda dopo un po', senza però mollare la presa.
«Anche se la cosa non ti riguarda, devo ammettere che un domani non mi sarebbe dispiaciuto.» ammette Akemi, che finalmente è riuscita a smettere di piangere.
Perché se a Marco quei gesti infondono una sensazione di potenza, a lei infondono una dolce sensazione di protezione e conforto come nient'altro al mondo.
«Come sarebbe a dire che la cosa non mi riguarda?» domanda con tono scocciato il maggiore, tirandole scherzosamente una ciocca di capelli.
«Non sta scritto da nessuna parte che saresti dovuto essere te il padre dei miei figli, no?» scherza sorridendo contro il suo petto, rannicchiandosi maggiormente contro il suo corpo caldo.
«Sorvolerò su quest'ultima parte perché sennò ti spacco il tuo bel visino a pugni.» sbuffa la Fenice, roteando gli occhi al cielo. Ogni tanto si scorda con chi ha a che fare, quanto sia strana e lunatica, e anche della sua impressionante capacità di distruggere in un secondo le atmosfere più dolci o serene con uscite simili.
«Senti, una soluzione ci sarebbe, volendo.» afferma subito dopo, mollando finalmente la presa.
Akemi lo guarda incuriosita, notando quanto il suo sguardo si sia fatto improvvisamente serio e pensieroso.
«Cioè?»
«Certo, prima dovresti parlarne col babbo, ma alla fine te le dà tutte vinte. Poi una cosa simile non la rifiuterebbe di certo. Almeno, credo-»
«Mi dici di cosa si tratta?!» lo interrompe bruscamente, dandogli una sonora pacca sulla spalla. Sa bene che stava facendo quello stupido ragionamento a voce alta giusto per tenerla sulle spine il più possibile, e la cosa non può far altro che farla innervosire.
Marco si massaggia la parte lesa con un sorrisetto divertito ad increspargli gli angoli della bocca, fiero di essere riuscito a ripagarla con la stessa moneta per quell'uscita di poco prima.
Poi però torna serio, passandosi una mano tra i capelli e sospirando pesantemente, sperando di non doversi pentire di quell'idea assurda.
«Quando vorrai un bambino, sbarcheremo su un'isola e ne prenderemo uno in qualche orfanotrofio. Così tu hai il tuo bambino e sei contenta, lui è fuori da quel posto orrendo ed è contento, e il babbo diventa addirittura nonno ed è ultra-contento.» le spiega fingendosi completamente calmo, guardandola dritto negli occhi.
Nota che l'idea le piace dalla luce che vede risplendere all'idea della maternità, ma nota pure una nota di dispiacere, cosa che in effetti lo confonde.
«Non avrebbe un papà...»
Abbassa la testa sconsolato, Marco, incapace di credere che la sua ragazza sia così imbecille in certi momenti.
«Ne avrebbe milleseicento di papà.» scherza, cercando così di poter evitare di doverle dire le cose fino in fondo, per poi dover vuotare il sacco di fronte al suo sguardo ancora incerto.
«Se l'idea ti piace di più, millecinquecentonovantanove zii... e un papà.» sbuffa imbarazzato, spostando lo sguardo di lato.
Si sta profondamente odiando per questo suo cedimento ingiustificato, per i suoi strani cambiamenti, e odia pure lei perché ne è la causa.
Quando però lo costringe a guardarla negli occhi, il suo risentimento svanisce di colpo, lasciando spazio solo al desiderio di vedere di nuovo il suo sorriso, scaturito solo grazie a lui. Uno dei suoi sorrisi dolci e riconoscenti, di quelli che non rivolge a nessun altro, di quelli che gli regala quando sono soli.
«A te non piacciono i bambini.» afferma incerta Akemi, cercando delle risposte nei suoi occhi.
«Già.» annuisce distrattamente con la testa, poggiando al contempo una mano sulla sua «Ma tu mi piaci.» aggiunge subito dopo, sorridendo divertito di fronte alla sua espressione smarrita.
«Faresti davvero una cosa simile per me?» gli domanda Akemi, mentre nuove lacrime fanno capolino dai suoi occhi.
Non riesce a muovere un solo muscolo, neanche a pensare razionalmente, non quando sente la punta delle dita del pirata sfiorarle delicatamente uno zigomo.
«Non te lo avevo detto prima, ma nella nostra relazione hai a disposizione un solo colpo di puro altruismo misto a dolcezza da parte mia. Se vuoi giocartelo così...» scherza sorridendole Marco, giusto per smorzare un po' quell'improvvisa dolcezza che era venuta a crearsi. Non sono i tipi, non loro, e la cosa lo ha imbarazzato sin troppo.
Akemi, dopo un attimo di smarrimento, gli sorride piena di gioia e, con uno scatto, gli allaccia le braccia al collo, baciandolo con trasporto.
«Grazie, Piccione.» mormora contro le sue labbra, senza smettere di sorridere neanche per un istante.
«Di niente, Depressa Disturbata.» sorride pure Marco, decidendo però di mettere fine a tutte quelle smancerie alzandosi in piedi di scatto, senza però offenderla «Ora cambiati, tra poco serviranno la cena. Da quel che so, i cuochi di Doma sono davvero bravi.»
«Io non voglio venire.» soffia la ragazza, voltando la testa di lato con aria capricciosa.
Marco non può far altro che roteare gli occhi al cielo, consapevole di quanto possa essere testarda se si impunta su qualcosa.
«Contenta te.» afferma indifferente, dandole le spalle e dirigendosi verso la porta, decisamente più calmo. Certo, non hanno affrontato il discorso della scimmia, ma per quello ci sarà tempo più tardi.
«Ti aspetto nella tua stanza?» gli domanda di nuovo sorridente Akemi, inginocchiandosi sul letto e guardandolo con espressione speranzosa.
«Potrei fare tardi.» ammette con la solita indifferenza Marco, scuotendo poi il capo di fronte al suo sguardo da bambina.
«E va bene...» cede uscendo velocemente da quella stanza prima che possa succedergli qualcos'altro, lasciandola così ai suoi pensieri. Ai suoi e a quelli di Týr, in realtà.
«L'hai addolcito, eh?» sfotte divertito da quella bizzarra conversazione, facendola trasalire.
'Sembrerebbe... è un buon segno, vero?'
«Non sono un grande esperto in questo campo, ad essere onesti. Tutte le compagne che ho avuto le ho sempre ammazzate in tempi brevi.» ammette in tutta onestà, facendola cadere di nuovo nello sgomento più totale. Ogni volta che le rivela qualcosa sul suo conto, in fondo, è sempre qualcosa di macabro e da pazzo completo.
'Tutte?!'
«Una no, in effetti. Ma non era proprio la mia compagna: scopavamo quando ne avevamo voglia e fine della storia.» risponde con una certa indifferenza, e Akemi, presa dallo sconforto, si sbatte con forza una mano sulla fronte.
'Quindi, in questo caso, sei inutile.'
«Mi duole ammetterlo, ma si.» ride forte, Týr, sorprendendola. In genere scoppia a ridere in questo modo solo se le è successo qualcosa di stupido o se non capisce qualcosa, non di certo se lo offende.
«Comunque suppongo che sia un buon segno, si. Perché mai offrirsi di fare una cosa simile, sennò? Io ti avrei dato un calcio in culo e me ne sarei cercato un'altra.» aggiunge non appena riesce a calmarsi, facendola ridacchiare.
Quando è così, in fondo, riesce a rivelarsi decisamente sopportabile e simpatico.
'Romantico, eh?'
«Non puoi capire quanto. Ad ogni modo, ti conviene fare una bella dormita. Non vorrai mica rischiare di perdere di nuovo il controllo?» scherza, usando però un tono vagamente gentile che la sorprende molto. È un tono quasi affettuoso, protettivo a modo suo.
Anche questa volta decide di dargli retta e, dopo aver preso un calmante ben nascosto sotto alla propria biancheria, si corica a letto, felice all'idea di poterlo vedere, di poter scherzare con lui e di poter sentire di nuovo il suo odore fresco e familiare.
'Arrivo, stronzetto!'
 

Da dove viene questo rumore? Dove mi trovo? Con questa nebbia non si vede niente. Dov'è il mare? Dove sono gli altri?
Fa freddo. Fa veramente troppo freddo. Perché non riesco a riscaldarmi? Perché non posso scegliere dove andare?
Maledette mosche! Dove siete? Non vi sopporto più! Il vostro stramaledetto ronzio mi sta facendo impazzire!
Alberi? Dove sono? Ragazzi, dove vi siete nascosti? Qui ci sono solo alberi... alberi e nebbia. Poca luce, troppo poca. Il fango mi arriva fino alle caviglie... che schifo. Devo uscire da questa melma. Non la sopporto.
Sento uno scricchiolio di foglie calpestate, rametti spezzati. Chi c'è? Non riesco a vedere. Fottutissima nebbia...
«Aiuto...»
Akemi? Akemi, che hai fatto? Che ti è successo? Chi ti ha ridotta così? I tuoi vestiti... sono sporchi. Sangue e fango ti ricoprono anche parte del viso. Chi ti ha fatto male? Perdi sangue dal labbro... e le tue mani. Perché sono sporche di sangue? Cosa ti è successo?
Non riesco a parlare. Perché non parlo?
Dannazione, guardami! Sono qui, non mi vedi? Sono al tuo fianco, dannazione! Non tremare, smetti di piangere! Sono qui! Non ti faranno del male!
Altri rumori, passi pesanti. Chi ti segue? Dimmelo, Akemi. Dimmelo e lo ucciderò. Non potrò usare i miei poteri, ma ho abbastanza forza da poter uccidere anche così.
Perché queste mosche non smettono di ronzare?! Non le senti? Mi stanno mandando al manicomio!
«No...»
Cosa c'è? Chi è quello là? Che vuole da te? Ti prego, parlami. Anzi, scappa! Sei veloce ragazzina, usa quelle dannate gambe e corri!
Brava, così. Nasconditi, brava. Non ti può vedere lì dietro, la corteccia è troppo grossa, ti ripara completamente. Non parlare però, aspetta che si siano allontanati tutti. Non ti ho insegnato niente? Possibile che tu sia sempre così disattenta quando ti parlo?
Respira però. Devi respirare! Sappiamo entrambi che gli odori ti aiutano ad individuare eventuali pericoli, quindi vedi di usare quel dannatissimo naso e respira. Io non posso aiutarti. Ti tocco ma tu non lo senti. Quindi respira, aiutati da sola, almeno. Non posso tollerare che ti accada qualcosa.
«Aiutatemi...»
Zitta! Devi stare zitta!
No! Non toccarla! Toglile le mani di dosso, bastardo!
Perché non posso intervenire? Perché non posso aiutarti? Non riesco a sopportarlo! Fa troppo male, cazzo! LASCIALA STARE!
Akemi, te lo chiedo per favore: ALZATI! Apri gli occhi e scappa! Raccogli le forze!
«Abbiamo preso la puttana!»
Buio.
Che succede? Dove sei, Akemi?
Cos'è questa puzza? Peli bruciati... decomposizione. Le mosche! Cazzo, le mosche. È pieno. Sono tutte attaccate ai gatti morti che pendono dal soffitto.
Non ce la faccio...
Dove sono?! Chi è questa gente? Cosa sta blaterando quella vecchia gobba?
Akemi! Che ti hanno fatto? Chi ha osato legarti a quel palo?
Non piangere, ti prego... non riesco a sopportarlo! Fa male, troppo. Liberati e scappa, ti prego. Spacca quelle catene d'argento e scappa, ti prego!
«Non fatemi del male, vi prego!»
La vecchia stronza non ti ascolta. Si limita ad appendere un gatto sgozzato vicino alla tua testa, poi torna al suo tavolo e apre un libro. Strano, è molto simile a quello di Ace... che cos'è?
Si ferma su una pagina in particolare, continuando a biascicare parole incomprensibili. Guarda come ipnotizzata il disegno di un uomo che brucia legato ad un palo, continuando a ripetere la stessa parola. Non sono un intenditore, ma dalla parola appuntata sopra lo capisco anche io: purificazione.
«NON CI PROVATE!»
Ascoltatemi, bastardi!
E tu, sudicio grassone, allontanati immediatamente da lei.
Che le stai versando addosso? Figlio di puttana. Giuro su Dio che ti troverò e ti ammazzerò con le mie mani, fosse l'ultima cosa che faccio.
«Tu non meriti di vivere, mostro. Sei una maledizione per l'umanità, una piaga. I tuoi genitori bruciano all'Inferno com'è giusto che sia... e adesso li raggiungerai. Noi, fieri Dragoni, abbiamo il compito di rispedirti nelle tenebre, di liberare il mondo dal male che rappresenti, di farti pagare per le vite che hai stroncato. Smetti di fingere e mostra la tua vera natura, maledetta creatura delle tenebre!»
Piccola, non piangere. Ti prego, calmati! Andrà tutto bene, te lo prometto. Dammi pochi secondi e troverò una soluzione. Ti porto via, mi senti? Ti porto via da tutto questo, ti porto a casa.
E tu, maledetto bastardo, spegni immediatamente quel fiammifero! Mi senti? SPEGNILO!
Akemi, che ti prende? Sei seria. Lo guardi come se fino a questo momento tu non fossi mai stata veramente qui, come se fossi sorpresa.
«Ti strapperò via l'anima, lo sai?»
I tuoi occhi... perché sono dorati? Che ti succede? E la tua voce... è così... bassa, cavernosa... lugubre. Che ti prende? Che ti sta succedendo?
«Ti strappo il cuore e l'anima, patetico porco!»
Che ti prende? Cazzo, sembri... indemoniata!
No! NO! Non posso guardare... no, ti prego. Ace? Dov'è Ace quando serve?! Ace, maledizione, spegni le fiamme! Corri e spegnile, dannazione!
«BASTARDO FIGLIO DI PUTTANA!»
Tu urli. Urli ed imprechi. Sempre più forte, la voce sempre più rabbiosa.
Non posso guardare, non ce la faccio più. Perché non posso distogliere lo sguardo? Perché devo continuare a vederti soffrire così?
«Vai all'Inferno, mostro!»
Uno sparo. Uno solo, in fronte. Il tuo corpo diventa molle, avvolto dalle fiamme.
DIO, BASTA!


Si sveglia nel cuore della notte sobbalzando tra le lenzuola appiccicate fastidiosamente alla sua pelle e subito cerca il corpo della giovane amante, che trova steso al suo fianco, attorcigliata alle lenzuola leggere e con un debole raggio di Luna ad illuminarle quell’espressione tenera che ha soltanto quando dorme.
In un movimento spontaneo le sposta un ciuffo ribelle dal viso, ritrovandosi a sorridere sollevato. Era tutto così dannatamente vero da farlo stare seriamente male.
La guarda a lungo, steso su un fianco, sfiorandole la pelle nuda del fianco con la punta delle dita, trovandola incredibilmente bella. Non se ne era reso conto fino al momento in cui, da ubriaco, si era ritrovato a ballare con lei, a sentire quel corpo freddo premuto contro il suo, a sfiorare quei morbidi fianchi su cui ha l'esclusiva assoluta.
Dopo una manciata di minuti, però, si sforza di toglierle gli occhi di dosso e si mette a cercare il pacchetto di sigarette abilmente nascosto fra i suoi pochi vestiti e, mettendosi stancamente i pantaloni abbandonati ai piedi del letto, esce sul ponte della nave per soddisfare quel piccolo vizio che, purtroppo per lui, Akemi non tollera.
Rimane lì, sul ponte vuoto di quell'enorme nave, perso nei suoi pensieri, soffiando il fumo nell’oscurità più completa che l’avvolge e perdendosi ad ammirare le stelle, notando di sfuggita una macchia nera volteggiare non troppo lontano dalla nave.
Mentre rientra sottocoperta, senza staccare gli occhi dal fastidioso animale, si ripromette che, il prima possibile, lo farà fuori. Nessuno, neanche un corvo, può permettersi di avvicinarla troppo.
Quando poi, ritornando nella sua cabina, imbocca il lungo e buio corridoio nota qualcuno che non avrebbe assolutamente dovuto vedere chi giace nel suo letto: Izo. Non che sia un chiacchierone o cose simili, solo che lo infastidisce che sappia e ora deve pure trovare un modo convincente per sbarazzarsene e forse corromperlo per poter stare tranquillo.
Palesa la sua presenza con uno schiarimento di voce e l'uomo si volta con un sorrisetto divertito ad increspargli le labbra, insolitamente struccate.
«Non trovi buffo che, da quando è montata su questa nave, ci sia sempre più amore nell'aria?» gli domanda sarcasticamente il sedicesimo comandante, incrociando le braccia al petto e reclinando un poco la testa di lato. I capelli neri e lucidi gli ricadono morbidi sulla schiena lasciata nuda, il vessillo del padre svetta magnificamente su suo bicipite sinistro.
«Mh?» quella domanda ha lasciato a dir poco perplesso il primo comandante, che però comincia a scorgere un vago significato quando nota una piccola macchiolina violacea sul collo niveo del compagno.
«È un succhiotto quello?!» sbotta sgranando gli occhi e afferrandolo con forza per le spalle per poter vedere meglio, venendo però scansato con un movimento brusco dall'altro.
«Oh, merda! Le avevo detto di andarci piano!» ringhia a denti stretti Izo, sfiorandosi con la punta delle dita delicate e letali la parte lesa, fulminando con lo sguardo la porta chiusa della cabina della compagna, nella quale ha passato delle interessanti ore di passione.
«Ma chi...?» domanda incerto Marco, illuminandosi tutto in un colpo di fronte all'espressione piuttosto eloquente di Izo «Halta?!»
«Abbassa la voce! Vuoi che lo sappia tutta la ciurma?!» gli tira un sonoro schiaffo sul braccio per zittirlo, afferrandolo poi per un braccio e dirigendosi insieme a lui verso la cambusa. Ormai è chiaro ad entrambi che è arrivato il momento di fare due chiacchiere, e quale posto migliore di uno pieno di cibo?
«Perché non lo avete detto a nessuno?» gli domanda Marco, afferrando un vaso pieno di biscotti e mangiucchiandone distrattamente uno. Non è mai stato un grande amante dei dolci, anzi, ha sempre tollerato giusto il cioccolato fondente, ma da quando sta con Akemi si è dovuto abituare anche a gusti più dolciastri, arrivando infine ad apprezzarli vagamente.
«E voi?» controbatte prontamente Izo, inarcando un sopracciglio e sorridendogli divertito. Sospettava da tempo che avessero una relazione clandestina e, in realtà, non vedeva l'ora di affrontare l'argomento. In fondo lui già sapeva della profonda cotta che la ragazza aveva nei confronti dell'uomo.
«Per noi è diverso, lo sai. Babbo potrebbe non prendere bene l'idea che mi porto a letto la sua adorata bambina.» borbotta in risposta Marco, passandosi stancamente le mani sul viso, sgomento solo all'idea della reazione del capitano il giorno in cui lo verrà a sapere. Perché sa che succederà, è ovvio.
«Da quello che ho visto ha ben poco di bambina.» commenta sorridendo Izo. Il suo sorriso però muore immediatamente, lasciando spazio ad un'espressione innocente «Non ho visto niente.» si affretta a dire, alzando le mani in segno di pace, messo leggermente in soggezione dallo sguardo di fuoco della permalosa e -da quanto ha appena potuto constatare- gelosa Fenice.
«Sarà meglio per te.» soffia infastidito, mentre continua a ripetersi che dovrà ricordarsi di chiudere sempre la porta quando dentro c'è lei. L'idea che qualcuno possa vedere il suo corpo nudo lo manda semplicemente in bestia.
«Da quanto va avanti?» gli domanda con tono tranquillo Izo, mangiucchiando a sua volta uno dei biscotti di cui vanno tanto ghiotti Ace e Akemi. L'idea di finirli tutti quanti e vedere i due lamentarsi come poppanti a colazione diventa improvvisamente la cosa più geniale a cui è riuscito ad arrivare in vita sua, e così comincia a tirarne giù il più possibile, tutto sotto lo sguardo abbastanza sconcertato del primo comandante.
«Qualche settimana... e voi?»
«Poco di più.» afferma tranquillo, ormai piuttosto a suo agio a parlarne. In fondo sono sulla stessa barca, quindi è inutile fare tanto i misteriosi e tenersi tutto dentro. «Non so precisamente da quando ho cominciato a vedere Halta non più come una semplice compagna di ciurma ma come una donna, però, quando è successo... BOM! È cambiato tutto quanto.» aggiunge subito dopo tranquillo, lasciandosi pure andare ad un sorriso divertito.
«Ti capisco.» afferma Marco, passandosi una mano tra i capelli scompigliati, afferrando l'ennesimo biscotto. In questo modo, quando tornerà in camera, non avrà più addosso l'odore di sigaretta e Akemi non si sottrarrà alle sue attenzioni.
«Per mia fortuna, però, direi che non sono ancora al tuo livello.» afferma sovrappensiero Izo, alzandosi per prendersi del latte freddo per mandare giù tutte quelle calorie. Tanto poi il modo di bruciarle ce l'ha, quindi perché mai trattenersi?
«Di cosa stai parlando?» gli domanda incerto Marco, anche se dentro, in fondo, sa già quale sarà la risposta.
«Del fatto che ne sei innamorato.»
Eccola lì: sei parole, semplici da dire ma incredibilmente difficili da assimilare. Cerca di cancellarle dalla sua testa, Marco, pensando a qualsiasi altra cosa, ma loro sono ferme nel suo cervello, come se fossero state marchiate a fuoco.
«Tu sei pazzo.» soffia, sentendosi quasi con l'acqua alla gola, mentre tutti i suoi dubbi vengono violentemente a galla.
«Marco, ho notato gli sguardi omicidi che rivolgi ad Ace quando l'abbraccia, come provi a toccarla con gesti semplici e casuali, come vi cercate con lo sguardo... poi la fai dormire nel tuo letto! Non ci hai mai fatto dormire nessuno.» gli spiega con ovvietà il sedicesimo comandante, tornando a sedersi di fronte a lui.
Marco lo guarda dritto negli occhi, arrovellandosi per riuscire a trovare una risposta decente che riesca a scagionarlo, che dia la prova che lui, Marco la Fenice, non è innamorato della mocciosa schizofrenica. Il problema però sopraggiunge quando questa risposta non arriva, quando il sorriso strafottente del compagno si allarga sul suo viso e nella sua mente si incidono a fuoco due nuove parole: “SONO FOTTUTO!”
«È così evidente?» si arrende infine, poggiando il mento sul palmo della mano.
«Se non sai cogliere i segnali come me no.» lo rincuora Izo, facendo sparire il sorrisetto bastardo di fronte alla sua espressione praticamente rassegnata «Io ti tenevo d'occhio per il semplice fatto che io e Akemi avevamo fatto un patto: un segreto per un segreto. Doveva essere qualcosa di grosso, sennò l'altro doveva pagare pegno. Così, le ho detto che, dopo alcune nostre conversazioni, non riuscivo più a vedere Halta con gli stessi occhi e che stava... beh... stava cominciando a piacermi sul serio. Lei ne è stata entusiasta e poi mi ha confessato che c'era stato un bacio tra di voi, ma che poi era finita lì. È da quel momento che ho cominciato a tenerti gli occhi addosso, per riuscire a capire cosa ti passava per la testa. Dopo quello che ho visto prima, è tutto finalmente chiaro.»
Alla fine di quella soddisfacente spiegazione, Marco riesce a mormorare solo una cosa, sempre tenendosi il capo tra le mani e con sempre più confusione in testa.
«È un problema...»
«No, perché?»
Marco alza finalmente gli occhi sul compagno e decide, finalmente, di abbassare momentaneamente i muri che si è faticosamente costruito attorno, di mettersi a nudo e di rivelargli i suoi timori.
«Chi mi dice cosa prova lei?» domanda tutto in un fiato, vergognandosi come un cane.
«Fai attenzione a come si muove, a come ti cerca tra la folla e va nel panico se non ti vede. Fai attenzione ai piccoli dettagli. Ti riveleranno quelli quanto quella ragazza tiene a te.» risponde semplicemente Izo, alzandosi dalla panca e facendogli segno di seguirlo «Comunque presto o tardi salterà fuori.»
«Si, e babbo mi tirerà il collo.» sbuffa ancora più frustrato Marco, roteando gli occhi verso l'alto.
'È tutta colpa tua, Akemi. Dovevi rimanere una mocciosa rompiballe!'
«Dai, non pensarci adesso!» gli dà una sonora pacca sulla spalla, Izo, e lo scuote forte, sorridendogli allegramente «Fila nella tua cabina e fatti una sana trombata, così non ci pensi più fino a domani mattina!» gli consiglia subito dopo, facendogli l'occhiolino.
«Accetto volentieri il suggerimento.» ridacchia in risposta il maggiore, passandosi una mano dietro al collo mentre l'altro si allontana.
«'Notte!» lo saluta Izo, alzando distrattamente una mano in segno di saluto e ritirandosi velocemente nella sua cabina.
«'Notte...»



Angolo dell'autrice:
Salve passerottini!
Lo so, sono in ritardissimo con l'aggiornamento, ma con l'inizio della stagione non sono proprio riuscita a scrivere più veloce di così.
Mi scuso inoltre per la bruttezza di questo capitolo. Sul serio, perdonatemi!
Non so davvero come ho fatto a scrivere un'oscenità simile, ma proprio non sono riuscita a fare meglio. Vi prego, non sputatemi in faccia tramite lo schermo! >.<
Cooomunque... questi due sono cotti. Cotti, cottissimi! Diciamo pure innamorati, via. E non venitemi a dire che non è possibile innamorarsi in poco tempo, perché è una cavolata (sarà stata la mia esperienza strana, o quella delle mie due più care amiche, boh).
E Doma! Bellino Doma :3 Ha la faccia simpatica! :D La sua scimmia invece mi sta sulle palle. All'inizio volevo farla sbranare senza tante cerimonie, ma ho deciso di trattenermi. Akemi non è esattamente un angioletto, ma non è ancora arrivato il suo momento di massacrare così tanto per. Arriverà anche quel momento però, non temete. Non potete neanche immaginare chi sarà a portarla a caccia >:)
Vogliamo, infine, parlare di Barbabianca? MUAHAH! Un calcio nello stomaco! È BENE! Non è altro che BENE! Fossi stato in lui le avrei staccato la testa a pugni, ma lui è troppo buono. :3

Ringrazio di cuore Yellow Canadair, Lucyvanplet93, Aliaaara, ankoku, Chie_Haruka, Okami D Anima, Keyra Hanako D Hono, Monkey_D_Alyce e Law_Death per le magnifiche recensioni! Siete davvero dei tesori!

A presto (spero! ;P), un bacione
Kiki

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Capitolo 24
*** 24. Una temibile avversaria: Freya Lothbrook + Special [Una saggia scelta] ***


Piccola avvertenza: per evitarvi ricerche inutili, alla fine del capitolo ho messo un piccolo angolino dove ci saranno le traduzioni delle frasi in lingua straniera :)
Beh, detto questo... Buona lettura!

 
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«Io veramente non ti capisco!» sbotta per l'ennesima volta Akemi, cercando di ripararsi dalla pioggia battente grazie alla felpa sformata che sorprendentemente indossa «Me lo spieghi di nuovo?!»
Ace sbuffa esasperato, steso a peso morto sulla polena della nave, intento a fissare il cielo.
Non sa neanche lui da dove sia partita quella conversazione, come siano finiti a discuterne così animatamente, perché la sua grande amica si sia impuntata su questo argomento con tanto accanimento, ma ormai ci si trova dentro e tanto vale continuare.
«Come fai a non capirlo, dannazione?! Non ci vuole mica un genio!» sbraita Ace, cercando di non badare alle fastidiosissime gocce d'acqua che gli picchiettano ritmicamente sulla pelle calda «Io sono condannato ad un'esistenza dannata per colpa sua. Sono considerato il figlio del Demonio dal mio primo respiro... ho ucciso mia madre! Come posso non odiarlo?»
«Gol D. Roger era un grandissimo pirata, Ace. Probabilmente non ci sarà mai nessun altro come lui, neanche tra cent'anni! Come puoi non essere fiero di essere figlio suo? Come puoi dire di essere una specie di Demonio?» controbatte prontamente la corvina, calcandosi meglio il cappello arancione che l'amico le ha gentilmente prestato per coprirsi dalla pioggia «E comunque, tanto per essere pignoli, tu non hai ucciso volontariamente tua madre. Lei ti ha protetto finché ne ha avuto la possibilità perché ti amava immensamente, Ace. Il figlio del Demonio non avrebbe certo avuto un simile trattamento, non torvi?»
«Tu non capisci-»
«Prego?» lo guarda con aria di scherno, passandogli poi una mano tra i capelli bagnati, lasciandolo perplesso «Ace, io sono stata abbandonata in una cesta incatramata non appena sono venuta al mondo. Non so se lo hanno fatto per mettermi in salvo da qualcosa o più semplicemente perché non mi volevano, ma in ogni caso non ero desiderata.» afferma con tono sicuro, nascondendo alle perfezione il dolore che le sue stesse parole le provocano, come delle coltellate nello stomaco «Roger invece voleva esserci per te. Gli è dispiaciuto non poterti crescere, e lo sai pure tu. Sennò perché mai affidarti alle cure di Garp? Avrebbe potuto benissimo tenere la bocca chiusa e sbattersene, lo sai benissimo, invece voleva essere sicuro che un uomo di cui si fidava si prendesse cura di te e ti proteggesse. Non puoi odiarlo.» conclude con tono sicuro, sorridendogli nel modo più gentile che ha nel suo repertorio.
«Posso e lo faccio.» soffia in risposta Ace, facendole roteare gli occhi al cielo per la frustrazione.
«Testardo come un mulo, eh?» commenta sarcastica la corvina, decidendo di abbandonare quell'inutile discussione. In realtà si considera più che fortunata per non essere stata ridotta in cenere dopo aver nominato Roger, quindi è assai meglio per lei non tirare troppo la corda.
«È anche per questo che mi adori, mh?»
I due si guardano per un lungo istante dritto negli occhi, sorridendosi complici, per poi finire l'uno tra le braccia dell'altra in un gesto affettuoso.
Non c'è più niente di malizioso nei loro gesti. Certo, di tanto in tanto la battuta ci scappa, ma niente più di quello. Anche perché ormai il nostro caro secondo comandante sembra aver messo i suoi dolci occhietti d'ebano sulla rossa navigatrice del suo adorato fratellino.
Si vocifera, infatti, che presto o tardi avranno nuovi alleati al loro fianco, dopo che la notizia di questa momentanea cotta è venuta a galla.
«Ti adoro solo perché sei dolce e mi permetti di scappare non appena arriva il babbo!» scherza sorridendogli con aria furbetta Akemi, facendogli l'occhiolino.
Ace semplicemente stringe un braccio attorno alle sue spalle e poggia la testa sulla sua, ammirando il mare agitato di fronte a sé. Lo trova semplicemente magnifico, così furioso ed indomabile, proprio come loro.
«A proposito del babbo, sta arrivando. Meglio se mi dileguo!» afferma di punto in bianco Akemi, scattando in piedi come una molla e dirigendosi a grandi falcate verso il sottocoperta, più che decisa a continuare ad evitarlo come fa da una settimana, da quando è stata sgridata di fronte a tutti e pure picchiata.
«Prima o poi dovrete chiarirvi.» le urla dietro Ace, stufo di quell'assurda situazione.
«Scelgo poi!» urla di rimando la corvina, facendogli la linguaccia e sparendo subito dopo dal suo campo visivo.
'Che imbecille...' pensa sconsolato il secondo comandante, notando in lontananza una piccola imbarcazione simile al suo striker sfrecciare ad elevatissima velocità ed una chioma bionda e verde ondeggiare nel vento.

Ogni volta che mette piede nella propria stanza si sorprende sempre di più di quante cose abbia accumulato nel tempo e di quanto la sua pignoleria sia andata a farsi un giro, lontano, lontano.
Zampetta tra i vari oggetti abbandonati al suolo, cercando con tutta sé stessa di non smusarsi come una scema, mentre, allo stesso tempo, si sfila di dosso i vestiti ormai fradici.
Quando però si volta, riesce a trattenere a stento un urlo di sorpresa nel ritrovarsi di fonte Marco. Non si era minimamente resa conto del suo arrivo, troppo presa dai propri pensieri.
«Ehi!» lo saluta calorosamente, avvicinandolo con un grande sorriso in volto.
Quando però prova ad abbracciarlo e dargli il loro primo bacio della giornata, Marco le blocca con forza i polsi e l'allontana «Che è successo?»
L'uomo non le risponde, camminando per quel caos con sguardo concentrato e, si, furioso.
Non ce la fa più. Tutta quella situazione è diventata insostenibile per lui e non riesce davvero più a tenersi tutto dentro.
«Non ce la faccio.» soffia, puntando con odio l'enorme pupazzo che beffardo lo fissa a sua volta.
«Dimmi qual è il problema.» afferma con tono pacifico la minore, malgrado sia pienamente consapevole che il compagno è tutt'altro che tranquillo e che non basteranno due moine per farlo rabbonire.
«Voglio che tu smetta di essere tutta picci-picci con Ace! Non lo sopporto!» sbotta di colpo Marco, guardandola con ferocia.
Ha assistito da lontano alla loro chiacchierata, al loro abbraccio, ai loro sguardi, e questo è davvero troppo per lui. È vero, le aveva detto che se ne sarebbe fatto una ragione e che sarebbe sorvolato sulla faccenda, ma proprio non ci riesce.
«Come, scusa?» domanda titubante Akemi, guardandolo con aria smarrita.
Era convinta che andasse tutto bene tra loro, che non ci fossero problemi, invece a quanto pare si sbagliava.
«Non puoi starci, ok?! È difficile da capire per te?!»
«NON POSSO?!» ringhia snudando le zanne la minore, mentre dentro di lei qualcosa si riaccende di nuovo, sempre più forte e desideroso di uccidere.
Se la mente di Akemi non fosse così forte, se Týr non fosse tornato tanto potente da riuscire a trattenerlo nelle sue potenti spire, di Marco rimarrebbero solamente brandelli sanguinolenti sparsi per tutta la cabina.
«Esatto!»
«Tu sei completamente idiota, caro mio. Un vero e proprio deficiente.» sibila Akemi, afferrando a caso dei vestiti sparsi precedentemente a terra e cominciando a piegarli alla rinfusa, giusto per tenere la mente e, soprattutto, le mani occupate.
«Spiegami perché non posso più stare insieme a quello che in pratica è il mio migliore amico, forza.» afferma con tono arrogante, senza neanche degnarlo di uno sguardo.
Marco rimane in silenzio. La guarda semplicemente, osservandone i movimenti. Nota la mascella contratta per il nervoso, i movimenti quasi meccanici delle mani e delle braccia, il leggero tremolio delle dita.
Per un solo istante pensa di andarsene dalla sua stanza, di lasciarla stare e di lasciar cadere l'argomento, ma poi ci ripensa. Ci ripensa perché lui è Marco la Fenice, braccio destro dell'uomo più forte del mondo, e non può certo arrendersi di fronte ad un bel faccino.
«Dimmi cosa è successo a Dejima.» ordina con tono duro, incrociando le braccia al petto, senza mai staccare gli occhi dalla giovane immortale che adesso si è come pietrificata.
«Co- c- cosa?» balbetta Akemi, senza alzare gli occhi.
Poteva aspettarsi qualsiasi domanda, poteva pure aspettarsi uno schiaffo, ma non di certo una domanda tanto scomoda come quella.
Tra i due cala un profondo silenzio, interrotto solamente dai loro respiri colmi di rabbia.
«Dimmi cosa cazzo è successo a Dejima!» sbotta di colpo Marco, facendola trasalire.
I loro occhi si incrociano, si fissano in silenzio, provando a trasmettersi tutto quello che gli passa per la testa in quel momento.
Vorrebbe insultarla, Marco. Dirle che è una stronza per non averglielo detto, dirle che si è comportata come una puttana, come faceva la donna che tanto detesta, Bay. Ma non lo fa. Rimane in silenzio, ad ascoltare le mute suppliche di perdono da parte della compagna, ferito come forse non lo era mai stato.
Si dirige poi verso la porta, scansandola con un gesto brusco quando prova a prenderlo per un braccio.
La guarda giusto per un altro breve istante dritto negli occhi prima di andarsene, sibilando un appena udibile «Mi basta questo.»

«Ed è seriamente andato in bestia per una sciocchezza simile?!» sbotta Halta dopo aver ascoltato il racconto della sorella, non riuscendo più a trattenere le risate.
Smette di ridere solo quando si accorge dell'espressione desolata e confusa dell'amica, intenta a fissare fuori dall'oblò il caldo Sole che bacia il quieto mare.
«Probabilmente si è svegliato con la Luna di traverso.» ammette sperando di rallegrarla un poco, non riuscendo però a scorgere nessun cambiamento nell'espressione della corvina.
«Probabile.» risponde distrattamente, mentre gli angoli della sua bocca si piegano lievemente nel vedere il suo adorato corvo volteggiare allegro sopra l'acqua, probabilmente alla ricerca di qualcosa da mangiare. Non che loro lo lascino a stecchetto, sia chiaro, ma in quanto animale vagamente selvatico preferisce procurarselo da solo di tanto in tanto.
«Comunque c'è da ammetterlo: un uomo geloso della propria compagnia fa schiantare dalle risate!» afferma convinta Halta, alzandosi dal letto della compagna e cominciando a frugare tra le sue cose. Ormai, tanto, le due condividono tutto, quindi nessuna delle due si scandalizza minimamente se l'altra mette le mani nel proprio cassetto delle mutande.
«Izo è mai geloso?» le domanda realmente incuriosita Akemi, voltando finalmente la testa e trovandola con uno dei suoi cappelli larghi ben calcato in testa ed un foulard giallo al collo.
«Non gliene do motivo.» risponde distrattamente la maggiore, rigirandosi tra le mani un anello di mirabile fattura, con incastonato un grosso rubino a forma di goccia.
«Ma neanche io!» sbotta Akemi, buttandosi a sedere sul letto e sbuffando sonoramente per il nervoso.
«Lo so, Akemi. So che tu hai un rapporto speciale con Ace, un po' come quello che hai con me, ma prova a metterti nei panni di Marco, solo per un secondo: se tu vedessi la tua compagna che gioca spesso e volentieri con un bell'uomo con cui sospetti che ci sia stato qualcosa... come reagiresti?»
Le due si guardano a lungo negli occhi in completo silenzio. Akemi pensa attentamente alla domanda, s'immagina in quelle condizioni, e Halta invece sente un improvviso senso di onnipotenza invaderle ogni cellula di fronte alla sua espressione assorta.
«Hai ragione.» ammette infine Akemi, e quella sensazione di onnipotenza va alle stelle, portando la comandante sul punto di mettersi a ballare come una scimmia epilettica per la gioia di sentirle dire una cosa simile. In fondo non capita certo tutti i giorni che lei, Akemi, l'Angelo Demoniaco, dia ragione a qualcuno!
Si ricompone il più velocemente possibile, rimettendo gli oggetti della sorella a posto e prendendo il giornale che aveva precedentemente poggiato vicino alla porta «Per occuparti un po' la mente, ecco un articolo fresco, fresco.»
Gli porge il quotidiano, quasi sbattendole in faccia l'articolo che ha fatto tanto discutere gli uomini quella mattina, cercando nel frattempo di contenere quel senso di onnipotenza che sembra non volerla abbandonare neanche per un istante.
«Hanno colpito ancora?» domanda incuriosita Akemi, poggiandosi con le spalle al muro e cominciando a leggere con attenzioni.
«Dice di si, ma secondo me è impossibile che siano loro.» risponde ora più seria Halta, buttandosi a sedere sul letto dell'amica «Dimmi te.»
“Questo terribile massacro, che ha coinvolto diversi membri della tranquilla famiglia Rem, è stato compiuto in perfetto stile “Bàthory” per la sua ferocia. La figlia maggiore è stata trovata  riversa in una pozza di sangue al piano superiore dell'abitazione; sul suo cadavere, ci sono i segni di ben 47 coltellate, oltre a svariati segni di morsi. Il fidanzato della ragazza era invece in cucina al piano di sotto: è stato massacrato con violenti colpi alla testa. La terza vittima è il padre della famiglia, trovato legato con del nastro isolante ad una poltrona. L'uomo, un onesto mercante di 54 anni, è stato sgozzato con un coltello da cucina e in seguito gli sono stati asportati diversi organi vitali, messi poi in un recipiente di plastica.
L'assassino, il ventottenne Nara Zack, dopo aver confessato di essere lui il carnefice che da tempo dissemina la morte in giro per le varie isola della Rotta Maggiore, è stato catturato e condotto ad Impel Down, dove trascorrerà il resto della propria misera esistenza.”
Akemi legge quelle righe con attenzione, arricciando il naso di fronte alla sequenza di stronzate che il mondo intero prenderà per vere, sospirando scocciata di fronte alla foto del giovane. Un uomo come tanti, con i capelli rasati scuri, gli occhi allegri di un dolce verde prato ed una corporatura assai robusta di chi piace mangiare cioccolata e ciambelle dalla mattina alla sera.
'Il colpevole perfetto, non c'è che dire...' commenta sarcasticamente nella propria mente, alzando finalmente gli occhi sulla compagna.
«Wow, Halta! Stai diventando una vera detective!» afferma sorridendole allegra, buttando il giornale in giro per la stanza. È stufa, ormai, di dover leggere sempre le solite sciocchezze. Lei vuole la verità, vuole i veri colpevoli, non dei fanatici idioti che provano a simulare quei delitti per Dio solo sa quale ragione.
«Per quanto ancora hai intenzione di evitare il babbo?» le domanda a bruciapelo la comandante, facendola sbuffare per l'irritazione.
Non ha assolutamente voglia di affrontare l'argomento, ci sta troppo male.
«Non lo so...» risponde semplicemente, cercando di concentrarsi sul contenuto del suo armadio. Ormai ha così tanti vestiti che davvero non sa più che farsene.
«Sai, lui non lo ammetterà mai... ma gli manchi.» l'avverte la maggiore, giocherellando distrattamente con il ciondolo che le è stato regalato dall'amica. Non ne ha ancora capito la funzione, ma non se ne separerà mai.
«Anche a me manca.» ammette a malincuore Akemi, chinando la testa quasi in segno di resa.
«Allora fatti coraggio e vai a parlarci!» Halta scatta in piedi come una molla, entusiasta per quel grandissimo risultato ottenuto e, senza pensarci due volte, l'afferra con forza per un braccio e la trascina di peso fuori dalla cabina «Forza, ti accompagno!»

Edward Newgate non ha alcuna intenzione di cedere. Neanche l'ombra.
Lo stesso si può dire per Akemi, che da quindici minuti buoni se ne sta impalata di fronte a lui, a guardarlo dritto negli occhi in completo silenzio.
Per il resto della ciurma è già un bel passo avanti il fatto che tollerino di vedersi senza provare ad uccidersi, quindi ne sono entusiasti.
Halta, invece, si sta mangiando le unghie fino all'osso nell'attesa che uno dei due faccia la prima mossa e che quella faccenda idiota, che quel mutismo doloroso, cessi finalmente.
Ma nel momento esatto in cui la ragazza, dopo attenta riflessione e dopo aver deciso di poter mettere momentaneamente da parte l'orgoglio, apre la bocca, delle forti risate si levano in aria, accompagnate da un odore a lei sin troppo familiare.
«Che diavolo...?» mormora interdetta, camminando con passo incerto fino al parapetto, seguita da molti altri.
Abbassando lo sguardo, poi, sente nitidamente tutta la rabbia provata contro quell'odiosa scimmia farsi viva di nuovo, se non ancor più violenta.
«God ettermiddag!»
Una ragazza dagli splendenti capelli color dell'oro sbraccia in sua direzione, con un odiosissimo sorriso smagliante in volto, gli occhi color cielo pieni di sfida mista ad allegria sono puntati in quelli di ghiaccio della giovane immortale, memore del loro ultimo incontro.
«Chi sono?» le domanda Satch, adesso al fianco della compagna.
Guarda la piccola nave antica con cui navigano per quei pericolosi mari e non riesce a trattenere un sorriso strafottente.
'Dove pensano di andare con quella bagnarola?'
Si domanda, dando una gomitata a Fossa, giunto al suo fianco, che a sua volta non riesce a trattenere un sorriso di fronte all'evidente inesperienza di quei ragazzini.
Quello che entrambi i comandanti non sanno, però, è che quei ragazzini conoscono quei mari come le proprie tasche e che quella nave non ha mai perso un duello, neanche uno.
«È quella puttana che mi ha stesa tempo fa.» ringhia a denti stretti Akemi, piantando gli artigli nello spesso legno del parapetto della nave.
Il capitano, che nel frattempo ha ascoltato tutta la conversazione, si alza di scatto dal suo seggio e fa un passo in avanti con fare minaccioso, incenerendo con lo sguardo la biondina che a stento non gli ride in faccia.
Perché per Freya quello sarebbe uno scontro divertente. Certo, è consapevole che probabilmente perderebbe in un combattimento uno contro uno, ma darebbe così all'Imperatore un motivo valido per muovere guerra contro il fastidioso umano.
«Ci penso io.» sbotta l'uomo, avviandosi a grandi falcate verso il gruppo in cui si sono riuniti i suoi adorati figli, venendo però bloccato dalla figlia ribelle.
«No! Ti prego.» le zanne sono lasciate ben in vista, gli occhi fiammeggiano per il desiderio ardente di staccarle la testa con le proprie mani «È una questione tra me e lei.»
La guarda dall'alto della Moby, mentre il sangue le ribolle nelle vene di fronte al suo sfavillante sorriso strafottente.
Vuole vederla morta solo per questo affronto. Vuole il suo dolore, vuole che implori pietà, per poi finirla di fronte a quel gruppo di idioti di cui si è circondata.
Li osserva di sfuggita uno per uno: quello più vicino alla nemica è un ragazzo alto e dal fisico allenato, con i capelli di un dolce castano ramato e un viso allegro e, allo stesso tempo, maturo; dietro di lui ci sono un uomo dalla carnagione scura con dei lunghi dreadlock castani e dei vivaci occhi azzurri, affiancato da una donna dal corpo sinuoso, anch'ella dalla carnagione scura, con dei lunghissimi capelli neri e lucenti che tiene raccolti in una treccia laterale, con delle piume colorate ad adornarli. I suoi occhi, neri come la pece, saettano nervosamente da una persona all'altra, e il suo nervosismo è messo ancor più in risalto dal fatto che continua a torturarsi le mani.
«Endelig vi møtes igjen...» urla la bionda, poggiando i palmi delle mani sul parapetto della loro piccola imbarcazione «Jeg håper du er forbedret.» la sfotte subito dopo, ghignando strafottente. Perché Freya è sempre stata così, anche quando era mortale, e non ha mai provato, nella maniera più assoluta, a cambiare. Si piace troppo com'è per poterlo fare.
«Ikke provosere meg, bitch!» urla con ira Akemi, attirando su di sé gli sguardi di tutti i presenti.
Pure lei s'immobilizza, piantando gli artigli nel parapetto.
Il fatto che riuscisse a tradurre quello che diceva senza sforzo, come se tutti le avessero sempre parlato in quel modo, non lo aveva preso in considerazione, ma il fatto di riuscire a rispondere in quella lingua a lei sconosciuta la shocka a morte.
«Non temere, piccola. È la runa che hai sotto al seno. Si sta spezzando l'incantesimo che la tiene ferma, presto saprai tutto... probabilmente.» prova a rincuorarla Týr, senza successo. E come mai potrebbe, quando le due sono sul punto di staccarsi la testa a morsi da un momento all'altro?
«Disse ordene ikke befitting en ung dame.» sfotte ancora Freya, scostandosi una ciocca di capelli color dell'oro dietro l'orecchio, guardando poi la corvina come se fosse immondizia. Non le piace, per niente. L'idea che tra di loro, in fondo in fondo, ci sia qualcosa, la manda in bestia.
«Freya, har vi å gjøre.» prova ad intromettersi uno dei suoi compagni, facendo un mezzo passo in avanti.
Gli altri due sono pronti ad intervenire al primo segnale di allarme, mentre dentro pregano che l'amicizia che lega la bionda psicopatica al tenero Genma sia così forte da farla desistere dal volersi mettere in mostra come al solito.
«Faen ta deg!» gli urla contro la bionda, facendolo indietreggiare velocemente.
Si lascia scappare una risatina maligna, aggiustandosi nuovamente quei maledetti capelli perfetti che presto Akemi le strapperà per il nervoso.
«Vi har en konto ennå åpen ... rett, prinsesse?» afferma dopo qualche minuto di silenzio Freya, guardando l'avversaria con un misto di curiosità e malvagità pura.
«MI HAI STUFATA!» urla Akemi, furiosa come poche volte in vita sua, e, senza neanche rifletterci, si lancia giù dalla propria nave e atterra con grazia sul ponte malmesso della loro imbarcazione.
I tre alleati di Freya si siedono comodi per godersi lo spettacolo, pronti ad intervenire in caso di bisogno, mentre i compagni di Akemi sono pronti a sfasciare quella bagnarola e massacrare senza riguardo alcuno quei quattro idioti che hanno stupidamente pensato di poter dare loro fastidio.
Le due donne, nel frattempo, hanno cominciato a girarsi intorno, a studiarsi. Snudano le zanne affilate, stendono le dita frementi di dilaniare la carne dell'avversaria.
Freya la guarda con attenzione con i suoi occhi d'oro liquido, aspettando che faccia stupidamente la prima mossa come l'ultima volta che si sono battute, mentre Akemi fa lo stesso, studiando la sua fisionomia, cercando a distanza un punto debole, studiando uno stratagemma per poterla avvicinare a sufficienza da poterla graffiare e metterla K.O..
«La det være klart, kid, du kan ikke gjøre noe mot meg.» la sfotte di nuovo Freya, reclinando la testa di lato e guardandola con compassione. Come colpo di grazia, poi, si sfila i pugnali che tiene appesi ai fianchi e li butta a terra, togliendosi inoltre la protezione dal petto, come a voler mostrare di fronte a tutti che la ragazza che ha davanti vale meno di un insetto.
«Dette har alt å bevise!» le ringhia contro Akemi, ormai fuori di sé.
«AKEMI! CONCENTRATI, PUOI BATTERLA!» urla Ace dall'alto della Moby, pronto ad entrare in scena se la situazione dovesse degenerare.
A lui seguono altre mille voci, tutte che incitano la corvina a spaccarle il culo, a distruggere ogni cosa come solo lei è capace di fare, inconsapevoli di quanto la sua avversaria le sia nettamente superiore.
Freya, per un breve istante, alza gli occhi sulla ciurma pirata e il suo cuore sobbalza con forza nel suo petto formoso.
Lui è lì, più bello di come se lo era immaginato, con un odore dannatamente simile al suo. È lì e la vede, si è accorto di lei. La sua mente va temporaneamente in tilt, le sue guance si tingono di un lieve rosa per l'emozione di poterlo finalmente vedere dopo tanti anni.
Akemi colpisce per prima approfittando di quella distrazione e quasi la colpisce, ma Freya riusce a schivare senza sforzo. Perché Freya è allenata, è veloce e ben addestrata a scontri assai peggiori di quello, al contrario della giovane immortale che l'ha presa di mira.
Akemi si sbilancia in avanti e Freya contrattacca subito con un gancio ben assestato nello sterno, facendola accasciare a terra con il fiato corto per il dolore.
«Più impegno!» le urla nella sua mente Týr, più che consapevole delle capacità della biondina.
«Du har endelig lært... » afferma Freya sprezzante «... men du er for hissig.»
«Det var bare for å se om du var forsiktig.» si difende Akemi, arrampicandosi evidentemente sugli specchi. Non sa come reagire contro di lei e deve trovare una soluzione alla svelta.
Freya la guarda negli occhi e un ghigno le distende le labbra carnose dipinte di rosso  «Dette er ikke et spill, idiot.»
Akemi si rialza di scatto, confusa dal tifo che i suoi compagni fanno per lei e le risate sguainate dei compagni della pazza nemica.
I muscoli di entrambe fremono sotto la pelle, pronti ad essere messi sotto sforzo. È la loro natura, in fondo. Loro sono macchine di distruzione di massa, nate per dilaniare, per uccidere... per nutrirsi delle carcasse sanguinolenti dei nemici sconfitti.
Le avversarie scattano all'unisono: i corpi si aggrovigliano, nell'aria si odono gli schiocchi secchi dei pugni che spaccano la pelle, i gorgoglii e i lamenti, e l'odore di sangue denso si fa sempre più forte.
Freya, con un movimento ben calcolato, riesce a sottrarsi da quel groviglio e poi salta, ruota in aria, le afferra la testa e la sbatte violentemente a terra, lasciandola agonizzante con un denso rivolo di sangue che le cola dall'attaccatura dei capelli.
Gode nel vederla così, piccola ed indifesa, con il suo prezioso sangue che cola dalle ferite che le ha inferto. La fa sentire potente, invincibile.
L'afferra subito dopo per il collo, alzandola in malo modo da terra; la strattona con cattiveria, deridendola, per poi buttarla ai piedi di Genma, che in realtà vorrebbe davvero fermare quell'inutile massacro. Perché lui non è come Freya, non riesce a godere a pieno della violenza e, soprattutto, sa bene quanto quella situazione possa ritorcerglisi contro.
Akemi non ha intenzione di arrendersi. Non può, è più forte di lei. È come un qualcosa dentro di lei che le impone di continuare a combattere per quello che è suo, per i suoi compagni.
«Istinto di protezione nei confronti delle proprie prede. Tutto normale.» l'avverte Týr, senza però riuscire a deconcentrala «Ti converrebbe comunque smetterla. Freya ti ammazza.»
Alza per un breve istante gli occhi sul ragazzo che gentilmente le porge una mano per rialzarsi, guardandolo sbalordita: nei suoi occhi neri come la notte riesce a leggere una profonda gentilezza mista a compassione.
«Non ti faccio male...» le sussurra a mezza bocca, allungando ancora la mano verso di lei.
Akemi però non si lascia abbindolare dal suo sorriso dolce e con un gesto secco scansa la sua mano, rimettendosi in piedi da sola.
Poi, senza che abbia neanche il tempo di rendersene conto, tutto ricomincia: i corpi si aggrovigliano di nuovo, si sentono nuovamente lo schioccare dei pugni contro la pelle, le ossa rompersi e quel fortissimo odore di sangue.
Freya la sbatte di nuovo a terra, tenendole un piede sulla gola mentre i compagni dalla pelle scura le bloccano le braccia per non farle usare gli artigli.
Si abbassa al suo livello, Freya, tenendo la testa leggermente inclinata, con un dolce sorriso derisorio ad incresparle le labbra scarlatte.
«Jeg forventet mer fra deg.» si allontana di scatto, alzando lo sguardo fiero e vittorioso sui vari uomini affacciati dal parapetto dell'imponente nave, soffermando i propri sulla sua figura. Vorrebbe abbracciarlo, dirgli che lo proteggerà anche a costo della propria vita, ma si trattiene dal farlo. Si comprometterebbe troppo la sua reputazione, dopo tutto.
«Freya Lothbrock.» afferma di punto in bianco, abbassando finalmente gli occhi sulla giovane immortale che a fatica si rialza «Cerca il mio nome.» ordina subito dopo, guardandola dritto negli occhi.
Genma, stufo di quello stupido giochino “per la supremazia”, fa cenno ad uno degli alleati della ragazza di poter scendere sulla loro nave per poterla recuperare e subito Vista esegue, balzando agilmente sul legno consumato della piccola imbarcazione e aiutando la sorellina a rimettersi in piedi.
«Perché mai dovrei farlo?» soffia furente, incenerendo con lo sguardo l'avversaria.
«Perché potrebbe portare la luce laddove c'è solo oscurità.» risponde con ovvietà la maggiore, tornando a sistemarsi i capelli come se niente fosse successo, piazzandosi sulla polena come è solita fare «A presto, creatura... e guardati dalla Luna.»
Akemi viene riportata velocemente a bordo della Moby e molti uomini le si avvicinano per assicurarsi delle sue condizioni, se le ferite sono gravi o meno, per chiederle come facesse a conoscerla, ma Akemi rimane in silenzio.
È ferita nel profondo: non solo è stata sconfitta per la seconda volta, non solo l'ha risparmiata per la seconda volta, ma l'ha pure fatto di fronte alla sua intera famiglia.
Si sente debole, fragile, incapace di poter proteggere coloro che tanto ama da dei pericoli del genere. E questo non può assolutamente tollerarlo.
La nave avversaria spiega le vele, acquisendo sempre più velocità grazie al vento favorevole, ma, prima che si allontanino troppo, Freya li richiama a gran voce, guardandoli con aria di superiorità.
«Sta per abbattersi una terribile tempesta su tutti noi.» afferma a gran voce, sorridendo con aria enigmatica «Vi conviene stare all'erta.»
Detto questo, ordina semplicemente di mettersi ognuno al proprio posto e, assieme ai compagni d'armi, si mette a remare con forza per sbrigarsi a raggiungere la prossima meta, sparendo ad una velocità sorprendente dalla vista dei pirati del Bianco.
«Perché non hai voluto che intervenissimo? Potevamo batterla, insieme.» afferma con tono di rimprovero Satch, passandole una mano sulla testa con fare affettuoso.
La sua mano s'impregna velocemente di sangue e un forte dispiacere gli attanaglia il cuore. Si era ripromesso che non le sarebbe mai successo niente, che sarebbe stata al sicuro, invece sanguina di nuovo, è stata battuta, le hanno fatto male.
«Perché questa è una faccenda che non vi riguarda, Satch.» risponde acidamente la corvina, sforzandosi per rimettersi in piedi e non svenire come una sciocca. Dopo lo smacco subito, d'altra parte, dovrà lavorare parecchio prima di potersi ridire forte.
Alza timidamente lo sguardo su Halta, trattenendo a stento le lacrime per la rabbia crescente che sta provando.
«Mi accompagni in camera, per cortesia?» le domanda con tono duro, alzando appena la gamba destra, ricoperta di sangue. Sente che sia la tibia che il perone sono rotti in più parti, così come l'ulna e tre dita della mano sinistra.
Halta annuisce piano, avvicinandola velocemente e mettendole un braccio attorno alla vita per sorreggerla.
«Non sarebbe meglio l'infermeria?» le domanda apprensiva, evitando lo sguardo di tutti.
Perché Halta sa bene quanto questa sconfitta sia dura per la sorella, quanto il suo orgoglio sia ferito, quanto la rabbia e la delusione siano brucianti nel suo cuore. Lo sa e non vuole che nessuno l'avvicini, che nessuno osi guardarla con compassione.
«Mi riprenderò velocemente anche in camera mia.» soffia in risposta la corvina, tenendo sempre il capo chino «Devo solo dormire.»
«Come vuoi.»
Le due donne spariscono velocemente sottocoperta, lasciando i vari uomini sul ponte con aria sbigottita.
Il capitano non riesce a capacitarsi di quanto accaduto, e in cuor suo sente una profonda rabbia dilaniarlo. Vorrebbe uccidere quella biondina strafottente, prenderla a pugni con una forza tale da mischiarle tutte le ossa, ma non lo può fare.
Akemi, la sua preziosa e adorata bambina, ha ordinato a tutti loro di non toccarli, con una determinazione tale che lo ha sconcertato. Che fosse lei la donna che aveva incontrato sul suo cammino e che già l'aveva battuta lo aveva capito, ma non pensava che fosse davvero così forte come diceva.
'Ci ha voluti proteggere tutti quanti.' pensa rammaricato, non riuscendo comunque a capire cosa gli stia nascondendo di tanto grosso 'Siamo i pirati più temuti di questi mari... che pericolo potrebbe mai rappresentare una mocciosa per noi?'
L'enorme pirata non sa, però, quanto il gesto della ragazza sia stato importante per la loro sicurezza.
Certo, magari non sarebbero morti in molti, ma qualcuno si. Qualcuno sarebbe morto atrocemente, il cadavere probabilmente trascinato via per essere consumato in un secondo momento, e gli spietati assassini sarebbero svaniti nel niente prima ancora che potessero provare a contrattaccare.
Soltanto un uomo sull'imponente Moby Dick si è reso conto di quanto sia stato prezioso l'intervento di Akemi, e ancora continua a guardare il punto in cui il gruppo rivale è sparito con una certa paura: Marshall D. Teach.
Lui conobbe Freya più di trent'anni or sono, quando era ancora un bambinetto piccolo e indifeso. Lei invece era già la giovane donna che è, forte e bella, piena di fuoco negli occhi e nell'anima.
Se la ricorda bene, Teach. Ricorda come uccideva, con quanta violenza squartò alcuni suoi compagni di giochi sotto ai suoi occhi. Ricorda anche come lo colpì, facendolo sbalzare indietro e sbattere con violenza contro un muro, che subito cedette e crollò assieme al suo corpo.
Se lo ricorda bene, Teach, e ora desidera solamente ringraziare la folle compagna per il coraggio dimostrato.
 
 
Il dolce e accecante buio. Dio, quanto mi era mancato.
Týr? Týr, dove sei finito? Ho bisogno di te...
Sento freddo... un altro ricordo? Un altro frammento del suo tormentato passato?
Riconosco casa sua. La riconoscerei tra mille, con quel piccolo ruscello che vi scorre vicino, il cavallo grigio legato al palo, i grossi cani da guardia dal pelo folto.
L'energumeno seduto fuori, ad affilare la spada, deve essere suo padre. Non gli somiglia per niente: grasso, con pochi capelli ricci e lunghi, sporchi. Ha i lineamenti spigolosi, le mani tozze. Davvero non riesco a capire come possa aver concepito un figlio fisicamente meraviglioso come Týr.
«Fratellone!»
Avrà tredici anni, forse poco di più. Corre come un forsennato, eccitato oltre ogni limite.
I lunghi capelli neri ondeggiano nel vento gelido, la pelliccia bagnata dai piccoli fiocchi di neve lo appesantisce, ma non gli importa a giudicare da come corre.
Suo fratello esce di casa, un'enorme pelliccia nera sulle spalle e diverse armi di mirabile fattura appese ai fianchi: due asce affilate e una lunga spada, con un'impugnatura tanto bella da poterti abbagliare, con il pomolo a forma di testa di drago in metallo.
«Prendi il tuo cane, Týr!» gli ordina con tono duro, alzandosi il cappuccio per coprirsi il volto. Detesto non poterlo vedere!
«Frodi! Vieni bello!» urla il ragazzino, facendo così scattare in piedi un grosso cane nero, che lo segue come un'ombra.
Lo scenario si sposta di nuovo.
Sono in un'enorme foresta. Gli argentei raggi lunari filtrano con forza dalle cime degli alberi, l'aria è fredda ma sopportabile. Mi piace qui. C'è pace e un odore dolce nell'aria.
Mi volto non appena sento lo scoppiettare del fuoco e dei passi provenire dalle mie spalle. Il cane mi passa attraverso, senza potermi vedere. Ammetto che mi fa ancora un po' strano la sensazione di essere oltrepassata come aria.
I due fratelli sono sdraiati a terra, ricoperti di pellicce per proteggersi dal freddo. Il maggiore ne sta sistemando una con cura sul corpicino smilzo del fratello, passandogli poi con delicatezza la punta delle dita su uno zigomo.
«Sei pronto a ricevere il tuo bracciale e diventare un uomo?» gli domanda con tono dolce, facendolo sorridere pieno di gioia.
«Si!» risponde determinato Týr, allungando poi lo sguardo al cielo, osservando le poche stelle che riesce a scorgere dalle chiome degli alberi.
«E cosa fa un uomo?» gli domanda ora più serio il maggiore, issandosi su un gomito per poterlo guardare in volto. Sarò ripetitiva, ma detesto non riuscire a vederlo! C'è sempre qualcosa: la pelliccia, Týr, l'ombra, lui che mi da le spalle. Che palle!
«Combatte.» risponde con tono serio il minore, senza voltare lo sguardo verso l'adorato fratello maggiore.
«Poi?»
Týr pare pensarci per qualche istante, serio in volto, per poi voltarsi piano verso il fratello, sorridendo dolcemente «Si prende cura della sua famiglia.»
«Proprio così.» il suo tono è affettuoso, i suoi gesti protettivi e fraterni marcano ulteriormente l'amore che nutre nei suoi confronti, come il dolce bacio che gli deposita sulla fronte prima di stendersi «Adesso dormi, fratellino. Domani ti aspetta un grande giorno.»
I contorni si fanno sbiaditi, l'odore penetrante e dolce della natura che mi circonda svanisce velocemente, lasciando posto a quell'aria priva di qualsiasi cosa.
Tutto si fa nero, lasciandomi con l'amaro in bocca. Sono quei momenti pieni di dolcezza tra i due che mi fanno sentire bene, che mi consentono di rimanere tranquilla e in pace... che mi fanno capire che anche un mostro come Týr era capace di sentimenti umani e di infinita dolcezza.
«Perché mi hai mostrato questo?» domando al vuoto, consapevole che si aggira qui attorno a me come sempre. Perché so che lui non mi lascerà mai, che rimarrà sempre a vegliare su di me... che mi vorrà con sé fino alla fine dei giorni.
«Non lo so... è un bel ricordo, per me. Mi ha fatto piacere condividerlo con te.» risponde semplicemente, apparendo al mio fianco.
Qualcosa lo turba. I suoi bellissimi lineamenti sono contratti, i suoi occhi avvolti da un velo di preoccupazione.
«Grazie...» rispondo fingendo di non rendermene conto, provando subito a distrarlo dalle sue preoccupazioni «Perché sei stato chiamato “Týr”?»
Sorride appena, voltandosi finalmente verso di me «Perché sono nato poco prima di un'importantissima vittoria, che ha portato in seguito grandi ricchezze al mio popolo. È stato preso come un segno, così hanno deciso di onorare il grande Dio della guerra dandomi il suo nome.» mi spiega calmo, togliendomi una ciocca di capelli ribelle dagli occhi e spostandola piano dietro l'orecchio.
Mi guarda in modo strano. I suoi occhi di ghiaccio sono fissi nei miei, la sua mano ancora ferma sulla mia guancia. Trattiene il respiro.
Deglutisce poi a vuoto, abbassando di scatto lo sguardo, sforzandosi di sorridere «A mio fratello andò peggio!» aggiunge sarcastico, passandosi entrambe le mani nei capelli.
«Ah si?»
«Già. Mio padre tornò da una battuta di caccia quando nacque e portò come trofeo un enorme lupo nero... ti puoi immaginare come lo chiamò.» sorride divertito a quell'idea, camminando all'indietro per allontanarmi un poco.
Ogni tanto lo fa, mi scansa, come se avesse paura di bruciarsi stando a contatto con me. Dire che quest'uomo è difficile da decifrare è un eufemismo.
«Chi è Freya Lothbrook?» gli domando a bruciapelo, notando i suoi muscoli contrarsi all'improvviso.
Era questo che ti preoccupava, Týr? Era lei la tua paura?
«Una creatura molto potente. Un'immortale che ha guidato eserciti.» risponde con tono duro, guardandomi dritto negli occhi «Devi stare attenta, ragazzina. Presto tutto cambierà. Ti conviene far pace con la tua... famiglia.» aggiunge subito dopo, riabbassando lo sguardo prima di terminare la frase.
«Perché? Cosa accadrà?» non riesco a nascondere un velo di preoccupazione.
E come potrei? In fondo, se qualcosa riesce a preoccuparlo in questo modo, non deve certo essere una cosa da niente.
Si avvicina piano, prendendomi poi il viso tra le mani. Mi guarda con la stessa intensità di poco prima, mordendosi con forza il labbro inferiore per il nervoso «Verrà il giorno in cui sarai convinta di essere al sicuro, di essere felice, ma di colpo la tua gioia si trasformerà in cenere.» mi dà un lieve bacio sulla fronte, poggiandoci poi la sua e continuando a guardarmi quasi con rammarico «E allora saprai che il debito sarà stato pagato.»

 
 
La notte è silenziosamente calata, avvolgendo nel suo manto nero e minaccioso ogni cosa.
Ogni luce sulla nave è stata spenta per evitare di essere avvistati da nuovi nemici. Magari proprio gli stessi nemici che quel pomeriggio li hanno attaccati, stavolta con dei rinforzi.
Le guardie osservano il mare quieto dai propri appostamenti, vigili come poche altre volte.
Pure Marco sta di vedetta.
Da quando Akemi si è ritirata nella sua stanza, non è mai andato a farle visita. Non è passato neanche davanti alla sua stanza, ignorandola completamente.
Non vuole parlarle. È si in pena per lei, per le sue condizioni che, a quanto a sentito dire, sono finalmente stabili, ma soffre ancora troppo. Lo smacco subito quella mattina, quando gli ha confessato, seppur silenziosamente, di aver avuto un contatto non esattamente fraterno con Ace, non riesce a darsi pace.
Un lato del suo cuore la vuole ancora, la vuole solo per sé, sarebbe disposto a morire per la sua sicurezza, ma dall'altro lato sente una profonda rabbia divorarlo, un amaro senso di tradimento consumarlo lentamente.
È per questo che non vuole assolutamente andarla a trovare, che rimane con lo sguardo fisso sul mare.
Se le cose andranno meglio, se entrambi saranno dell'umore adatto, ne riparleranno l'indomani, da soli.
'È per questo che non dovevo impegnarmi con lei! Sarebbe stato tutto più semplice!'
Barbabianca giace nel suo letto, ignaro di quanto gli animi dei suoi adorati figli siano in tumulto. Si è reso conto ormai da tempo che qualcosa è cambiato tra di loro, ma non riesce a cogliere esattamente cosa.
Prima di andare a dormire, in ogni caso, si è ripromesso di parlare civilmente con Akemi l'indomani mattina, prima che il resto dell'equipaggio si riunisca per la colazione. In fondo, il loro inutile e muto litigio si è protratto sin troppo.
Nel frattempo, nella cabina del sedicesimo comandante, Halta si riveste velocemente, pronta ad andare a dare il cambio ad uno dei compagni di vedetta.
Izo la guarda con attenzione mentre, con frustrazione, la compagna di rimette la maglietta per la terza volta, masticando imprecazioni a mezza bocca.
«Mi dici cos'è che ti preoccupa tanto?» le domanda sbadigliando sonoramente, mettendosi a sedere e coprendosi le nudità con il candido lenzuolo.
«Niente, che dici? Sto bene.» farfuglia la comandante, cercando di sistemarsi alla meglio i capelli per non dare troppo nell'occhio. Certo, non è mai stata particolarmente femminile, anzi, non lo è mai stata, ma arrivare con i capelli scarruffati i vestiti in disordine potrebbe insospettire qualcuno.
«Ti conosco da anni, Halta. Mi accorgo se qualcosa ti turba.» risponde con aria assonnata il filibustiere, passandosi entrambe le pallide e affusolate mani tra i lucenti e scompigliati capelli corvini «Riguarda quello che ha detto quella tizia, vero?»
Halta rimane in silenzio per qualche istante, fissando il lento danzare della piccola candela che hanno acceso, per poi voltarsi verso il compagno. È seria in volto, quasi preoccupata «Oggi Teach mi sembrava preoccupato e volevo sapere perché, così sono andata a parlarci.»
«E...?»
«A quanto sembra Freya Lothbrook rase al suolo l'intera città in cui viveva da bambino, e non solo. Quella donna fece delle stragi inimmaginabili, a suo dire.» risponde sedendosi al suo fianco, tornando a guardare con attenzione la piccola fiamma della candela.
«È impossibile. Quella ragazza avrà si e no vent'anni, Teach ne ha quasi quaranta-»
«LO SO!» lo interrompe di colpo Halta, voltandosi verso di lui ed esprimendo con un solo sguardo tutte le sue preoccupazioni.
«Halta, cosa c'è? Parlami, per favore.» prende una mano nelle sue, Izo, guardandola con attenzione, cercando di capire cosa le passa per la testa.
«Akemi è cresciuta tutto in un colpo... ora non cresce più. Ha una forza mostruosa malgrado non faccia praticamente niente dalla mattina alla sera. L'Haki non funziona con lei, nessun tipo.» afferma con voce incerta la comandante, pensando attentamente alle parole su cui ha rimuginato nelle ultime ore, dopo la spinoza conversazione con Barbanera «Quella tipa a quanto sembra non è cambiata di una virgola in quarantanni, ha una forza sovrumana... e nessuno di noi si era accorto della loro presenza finché non ci hanno affiancati.»
«Proprio come succede con Akemi...» appunta Izo, cercando insistentemente gli occhi della compagna.
Tra i due cala il silenzio, interrotto solamente dai loro respiri.
Entrambi hanno capito, ma nessuno ha il coraggio di dire ad alta voce.
Solo Halta alla fine riesce a trovare il coraggio di aprire bocca e di pronunciare quelle angoscianti parole che cambieranno completamente il modo di vedere la loro adorata sorellina «È lei la tempesta, Izo. La tempesta che sta per abbattersi su di noi... è il mostro che vive dentro di lei.»
 
 
 
 
Angolo dell'autrice:
Eccomi qui, dolci pulcuni! :3
Visto? Akemi ne prende come un polpo *w* e, cosa peggiore per una persona orgogliosa come lei, viene risparmiata >:) Non so perché, è la mia protagonista, l'ho creata e “perfezionata”, ma ci ho goduto veramente tanto! :D
Sono stufa di leggere delle dolci donzelle in difficoltà che al momento opportuno tirano fuori una forza mostruosa e sbaragliano tutti senza batter ciglio!
Lei ne prende e anche sode! Da una che, tra l'altro, non è che sia esattamente la prima in classifica in quanto a forza!
Visto che li “conoscete” (dopo nello special li conoscerete un pochino di più xD), comunque, vi do pure una traccia della classifica:
1)Imperatore
2)Peter Bàthory
3)Wulfric
4)Regina/Strega
5)Týr (è morto, si, ma in quel mondo era al top!)
6)Killian
7)Freki (assieme al fratello può salire di livello :P)
Ecco, loro sono davvero forti. Ma davvero davvero, roba da dire che il primo potrebbe uccidere anche il babbo se gli girassero le palle! XD (Lo so, in quel capitolo mi sputerete in faccia per la roba che la mia mente troppo fantasiosa è riuscita a partorire, ma non pensiamoci adesso!)
Cooomunque... a chi sta sulle palle Freya? A ME SI! :D L'ho creata e la detesto sul serio. Penso che la farò morire per una “giusta causa” e di conseguenza voi la adorerete -.- uffa.
Poooi... ah, si, quasi dimenticavo... MARCO GELOSO! Non so perché mi viene così spontaneo descriverlo in questo modo. Probabilmente è perché sono influenzata da fattori esterni, quali la gelosia di mio padre o quella del mio ragazzo o del mio migliore amico... BOH! Spero comunque che la cosa non vi dia troppo fastidio! :/
Comunque, bella gente, ho deciso di fare un piccolo cambiamento: non dovrete più aspettare così tanto per la prima svolta, ma bensì altri due capitoli. Ebbene si, voglio fare qualche taglio, sennò diventerebbe una cosa troppo lunga e, alla fine, noiosa e monotona. Quindi si, non dovrete più attendere tantissimo per il primo colpo di scena pesante! Dopo quello, poi, tutti i nodi verranno al pettine. Ma non penserete mica che dopo quello tutto rosa e fiori, vero? PROPRIO NO! Ci sarà un rapimento, torture, un'alleanza obbligatoria, personaggi che spuntano dal niente, una guerra cazzuta! ← si, se ci riesco!
Riesco a tenere ancora accesa la vostra curiosità? :3
Spero di non deludere mai le vostre aspettative! Grazie a voi mi sono affezionata sul serio a questa storia *w*
Un grazie di cuore va a Lucyvanplet93, KuRaMa faN, Aliaaara, Yellow Canadair, Chie_Haruka, Okami D Anima, Keyra Hanako D Hono, Monkey_D_Alyce, Law_Death, Portgas D SaRa, nemesis_inframe92 e ankoku per le magnifiche recensioni che mi hanno lasciato nel precedente capitolo!
Un grazie se lo meritano anche Aceko_san, ankoku, Asiietta, Caren96, Carmen988, Chie_Haruka, Dark_witch3, D_ann, erica0501, FemPhoe, giada1999, Incantatrice_Violeta, Jollyna, KuRaMa faN, Law_Death, Mitsuni, Monkey_D_Alyce, nemesis_inframe92, Okami D Anima, Portgas D SaRa, Portuguese D Ice, Rainbowrose, Scarlet_D_Rose, Shot93, Skull, SmyleCathy, SunshineKiki, Trafalgar Revy, TRAFALGAR_SARA, Yellow Canadair e ___Ace per aver messo la storia tra le preferite; Hinata Uchiha Arclight, Law_Death, naikechan, Okami D Anima, Portuguese D Ice, Shot93 e SunshineKiki per averla messa tra le ricordate; AceDPortogas, Aliaaara, anis12, Azzu___, Balalaika_, Breith, Chie_Haruka, eveeyu, evy88, Fhennel, girosolomina, Giuseppa89, GothicLolita96, iaki46, Ikki, LallaOrlando, Law_Death, leonedifuoco, Lucyvanplet93, Lunaix, mileace99, Portuguese D Ice, Puffetta96, Redangel19, rosy03, Shot93, SmyleCathy, SunshineKiki, SuperfanShiho, TheLadyVampire97, Trafalgar Revy, Travel_dream_love, valepassion95, Vidalita, Vivi y, Yellow Canadair, Zefiria BlackIce, zorina98, _K a r i n, _Bianconiglio_, _cucciolotta_, _Lawliet e _miaoo_ per averla messa tra le seguite.
Un grazie anche a chi semplicemente legge gli aggiornamenti! :D
A presto, un bacione
Kiki
 
Angolo traduzione
•[Freya]God ettermiddag! → Buon pomeriggio!
•[Freya]Endelig vi møtes igjen... → Finalmente ci incontriamo di nuovo ...
•[Freya]Jeg håper du er forbedret. → Spero che tu sia migliorata.
ₒ[Akemi]Ikke provosere meg, bitch! → Non mi provocare, stronza!
•[Freya]Disse ordene ikke befitting en ung dame. → Queste parole non si addicono ad una giovane donna.
⌂[Genma]Freya, har vi å gjøre. → Freya, abbiamo da fare.
•[Freya]Faen ta deg! // Vi har en konto ennå åpen ... rett, prinsesse? → Vaffanculo! // Abbiamo ancora un conto aperto ... giusto, principessa?
•[Freya]La det være klart, kid, du kan ikke gjøre noe mot meg. → Cerchiamo di essere chiare, ragazza, non puoi fare nulla contro di me.
•[Freya]Du har endelig lært... → Hai finalmente imparato ...
•[Freya]...men du er for hissig. ...ma sei troppo frettolosa.
ₒ[Akemi]Det var bare for å se om du var forsiktig. → Era solo per vedere se eri attenta.
•[Freya]Dette er ikke et spill, idiot, → Questo non è un gioco, idiota
•[Freya]Jeg forventet mer fra deg. →Mi aspettavo di più da te. 

 
 
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Lui non è mai stato un tipo particolarmente impaziente.
Ha sempre aspettato che gli eventi volgessero a suo favore, studiando nel frattempo la tattica più adatta da adottare per vincere. Ma adesso non è così. La sua infinita pazienza si è esaurita tutto in un colpo, il suo temperamento tendenzialmente imparziale è andato completamente in frantumi e adesso si muove costantemente come un'anima in pena per il suo enorme maniero, impaziente di poter avere la creatura che tanto li sta facendo dannare finalmente sotto controllo.
In questo preciso istante, però, non è lei il suo problema, ma bensì l'enigmista psicopatico che ormai ha preso residenza in casa sua.
Mentre cammina con passo svelto e deciso per i lunghi corridoi del maniero, tutti decorati ed arredati in maniera impeccabile, nota in lontananza la figura ricurva di Killian, intento ad intagliare un uccellino in un pezzo di legno.
Lo avvicina affrettando il passo, senza riuscire ad attirare minimamente la sua attenzione. Rimane infatti accovacciato sul cornicione della finestra, con dei deboli raggi di Sole che gli illuminano il viso tormentato.
«Dov'è Wulfirc?» sbotta con voce rabbiosa, ringhiando sommessamente quando il ragazzo non solleva neanche gli occhi su di lui.
«Buon pomeriggio anche a te.» risponde con strafottenza, continuando ad intagliare con attenzione il legno chiaro «È nel laboratorio dell'ala sud. Giù, nelle vecchie cripte.» aggiunge distrattamente, soffiando via i trucioli in eccesso, sorridendo nel vedere il piccolo animale inanimato prendere una forma decente.
«Cosa è andato a fare?» gli domanda burbero l'Imperatore, facendolo sbuffare infastidito.
«Non ne ho idea.» risponde semplicemente, alzando finalmente gli occhi chiari e inchiodandoli in quelli del suo Signore, sorridendo sghembo nel mostrargli i palmi ustionati delle mani «So solo che molti di noi si sono dovuti rovinare le mani per fargli avere quello che voleva.»

Dal buio di quella lugubre stanza è visibile solo un quadrato di cielo, che si scorge dalla minuscola finestra con le sbarre.
L'occhio color cobalto dell'Imperatore scruta con attenzione ciò che lo circonda, notando quanto i suoi preziosi macchinari per l'estrazione e la creazione del “V” siano sempre perfetti e ben tenuti.
Nota anche un paio di occhi castani che scrutano il vuoto. Una ragazza, giovane, forse troppo per aver già scoperto i piaceri della carne, se ne sta rannicchiata in un angolo, con le gambe stese a terra, le ginocchia girate verso l'interno a toccarsi tra loro e i piedi spostati verso l'esterno, le braccia intrise di sangue abbandonate lunghi i fianchi, il corpo coperto soltanto da un semplice vestito bianco sporco. Ha un'espressione calma, lo sguardo fisso sul pavimento, l'aria di chi ormai ha perso completamente la speranza.
Sembra quasi una bambola tale che è la sua immobilità. Solo il leggero movimento del petto lascia capire che il suo cuore regge ancora.
Ma all'Imperatore non importa di lei. Se Wulfric vuole portarsi degli spuntini sul posto di lavoro, che lo faccia pure. L'importante è che non gli riduca casa ad un covo di cadaveri flatulenti.
Gli si avvicina tranquillo, osservando i vari pezzi di armature ancora non assemblate tra loro sul grosso piano da lavoro che si era fatto precedentemente costruire.
Perché Wulfric è un genio, lo è sempre stato. Basta solamente saperlo prendere per il suo verso, cosa non difficilissima in realtà.
«Cosa stai facendo?» domanda realmente incuriosito, soprattutto notando il suo sguardo completamente rapito dal proprio lavoro.
«Vibranio ricoperto d'argento. Incassi perfettamente il colpo, ne assorbi l'energia e nel frattempo l'avversario si ritrova con delle gravi ustioni addosso. O crepa direttamente per ingestione, nella migliore delle ipotesi.» spiega con una punta di soddisfazione nella voce Wulric, lanciando poi una veloce occhiata alla giovane donna che ha osato lamentarsi dal suo angolino.
«Vibranio?»
«È una rarissima lega metallica praticamente indistruttibile. Ci sto costruendo delle armature per tutti noi.» spiega tornando serio il Mietitore, mettendo sotto lo sguardo dell'Imperatore degli abbozzi che aveva precedentemente progettato «Si, anche per voi bestie. Ti dirò, quelle sono state particolarmente divertenti da progettare, ma hanno dato qualche rogna nell'assemblaggio. Non temere, comunque, consentono una perfetta libertà di movimento.»
«Per quale ragione staresti costruendo delle armature?» domanda l'uomo, osservando con attenzione i disegni che gli sono stati messi sotto gli occhi. Ogni volta che si trova a parlare con lui rimane sempre piacevolmente sorpreso da ciò che la sua brillante mente riesce a partorire.
«Non è chiaro?» domanda sarcasticamente, alzando giusto per un istante gli occhi di ghiaccio dal proprio operato «Se quello psicopatico è davvero in circolazione, presto si arriverà ad una nuova guerra.»
«La visione della vecchia può essere cambiata?» c'è una nota di preoccupazione adesso nella sua voce, e ciò non sfugge all'eccentrico uomo col cilindro.
«Non lo so. Andrò a farle visita non appena avrò finito alcune modifiche qui. Secondo il mio modesto parere, però, la risposta sarà affermativa.» risponde distrattamente, armeggiando con i vari oggetti che ha di fronte, ringhiando appena quando si brucia un polpastrello con un pezzetto di argento «Dà la caccia a noi tanto quanto la dà a lei. Sa bene, quel cane bastardo, che avere la creatura dalla sua parte gli darebbe un grande vantaggio su di noi.» aggiunge subito dopo, portandosi il dito leso tra le labbra sottili, distese in un sorriso diabolico.
«Allora vediamo di non dargli questo vantaggio.» ringhia in risposta l'Imperatore, girando sui tacchi, più che deciso a chiudersi nella sua stanza a rimuginare su altri metodi d'attacco.
«Un'ultima cosa.» lo richiama con disinteresse Wulfric, facendolo bloccare davanti alla porta «Astrid vuole vederti.»
«Per quale ragione?» domanda sbuffando il maggiore, passandosi una mano tra i capelli. L'ultima cosa di cui ha voglia in quel momento è un suo capriccio.
«E io che ne so? Va' e scoprilo da solo.»

Segue il suo dolce profumo per i lunghi corridoi del palazzo, arrivando finalmente di fronte alla tanto temuta stanza della Regina.
Si, temuta. Perché se c'è una sola cosa al mondo in grado di far tremare il terribile Imperatore è lei, Astrid Anwend, un tempo conosciuta come “la fanciulla dello scudo”, ora nota a tutti come la Regina degli Immortali, o la Strega. Per lui, in ogni caso, rimarrà sempre la Regina del suo Cuore.
Bussa lentamente alla porta, tenendo la testa china e trattenendo il respiro per l'attesa.
Dal loro ultimo colloquio non si sono più rivolti neanche uno sguardo, e il fatto che adesso voglia rivederlo lo manda completamente nel panico.
'Che voglia andarsene?'
Quando sente la voce vellutata della donna giungergli alle orecchie, apre debolmente la porta ed entra, non riuscendo a trovarla da nessuna parte.
«Mi avevi mandato a chiamare?» domanda a voce alta, cercandola con lo sguardo.
Quando poi, dopo aver sentito un fruscio alle sue spalle, si volta e la vede con una leggera vestaglia da notte di seta nera ad avvolgerle il corpo, sente distintamente il suo cuore dannato fargli una capriola nel petto.
«Ma cosa...?» continua a fissarla mentre chiude lentamente la porta e si attacca di nuovo alla bottiglia ormai finita di assenzio, sospirando frustrato.
«Ti ci è voluta una sbronza per arrivare ad una scelta?» si passa le mani tra i capelli castani, scompigliandoli ulteriormente.
Scioglie i lacci resistenti che tengono in piedi la sua corazza, si toglie la benda dall'occhio mancante, sistemandosi i capelli in modo che quella menomazione non sia evidente agli occhi della magnifica immortale che si sta lentamente denudando di fronte a lui.
«Soffrivo, tale era la mia brama di amore.» mormora con voce vellutata la donna, avvicinandolo con passo felpato, quasi stesse danzando «Il mio ventre era privo di risa.» aggiunge poi, posando i palmi delle mani pallide e apparentemente delicate sul torace muscoloso dell'uomo, sentendo così il battito frenetico del suo cuore.
«È questo quello che vuoi? Vuoi che ti faccia ridere?» le domanda sempre più vicino alle sue labbra, mentre si lascia spingere all'indietro, sempre più vicino al letto che più volte hanno condiviso.
«Adesso non voglio ridere...» mormora Astrid, spingendolo con più forza, fino a farlo cadere sul morbido materasso.
Si fa scivolare di dosso la preziosa vestaglia, mettendo così in mostra il corpo vellutato dalla pelle diafana, con tutte quelle forme che lo hanno sempre incantato.
Si siede a cavalcioni su di lui, prendendogli una mano e portandosela sul seno prosperoso, abbassandosi quel tanto che basta per sfiorare le sue labbra sottili.
«Voglio cavalcarti... come un toro selvaggio.» sussurra prima di leccargli il profilo della bocca con la punta della lingua, mentre l'eccitazione di entrambi sale fino alle stelle.
L'uomo l'afferra con forza per la vita sottile e ribalta la posizione, inginocchiandosi in mezzo alle sue gambe. Sfiora con la punta delle dita il suo addome perfetto, risalendo fin sul seno abbondante e pallido.
«È questo quello che vuoi?» le domanda con la voce resa roca dall'eccitazione, lasciando che la donna lo spogli con movimenti lenti e precisi.
«Si, mio Signore.» risponde sincera, artigliandogli i capelli e costringendolo ad abbassarsi di nuovo su di lei, a sovrastarla con la sua mole, con i suoi muscoli d'acciaio che gli tendono la pelle bronzea.
«E lo vorrai sempre?» le domanda ancora l'uomo, impedendole di baciarlo come sta provando disperatamente a fare.
«Si...»
Basta solo quella parola, detta con così tanta sincerità e carica di desiderio per farlo capitolare, per far crollare tutti quei muri che aveva faticosamente eretto per proteggersi.
La bacia con quanta più passione ha in corpo, stringendola convulsamente a sé come era solito fare, tirandole i capelli, lasciando che lo morda come e quanto vuole, fregandosene delle gocce di sangue che macchiano le lenzuola candide.
«Mi eri mancata... Astrid...» mormora tra un sospiro e l'altro, beandosi delle sue attenzioni da tempo solo sognate, del calore della pelle al contatto con la sua, dimenticandosi completamente di tutto il resto.
«Mi eri mancato pure tu...» ansima la donna, lasciando che la bocca vorace dell'uomo le torturi i seni, che la faccia sua, che la faccia urlare e sciogliere per il piacere che solo lui, in tantissimi anni, è mai riuscito a darle «...Fenrir.»



PS: ecco a voi i protagonisti dello special!
Beh, Wulfirc già lo conoscete (dolce pazzerello :3), mentre questa è Astrid: http://it.tinypic.com/r/2ed43yh/8
e questo è Fenrir: http://it.tinypic.com/r/6rimw5/8
Beh... che ne pensate? :/

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Capitolo 25
*** 25. Si avvicina la tempesta + Special [Alleanze impossibili] ***


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Questo magnifico disegno è stato fatto da Yellow Canadair. GRAZIE DI CUORE!

 
Piccolo avvertimento: siccome ho deciso di fare dei tagli (sennò veniva fuori la storia infinita e non mi pare proprio il caso xD), quando vedrete in mezzo alla pagina diverse “x”, vuol dire che c'è stato un breve salto temporale di una settimana, sennò dovevo scrivere due capitoli di passaggio... non mi pare proprio il caso, no?
Spero che questa scelta vi piaccia :3 buona lettura!

 
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Scuote con forza la testa, facendo oscillare la lucente coda nera.
Si porta le mani ai lati della testa, stringendola con forza, sforzandosi con tutta sé stessa per non cadere in ginocchio per la disperazione.
«Continuo a non capirti, babbo...» mormora, cominciando a camminare nervosamente per l'ampia stanza del capitano, trattenendosi dal distruggere ogni cosa che la circonda.
«Ho dimostrato più volte di essere un soggetto instabile e pericoloso per gli altri: perché mi fai restare qui?!» sbotta poi tutto in un fiato, snudando istintivamente le lunghe e affilate zanne per la rabbia.
L'uomo la guarda con aria indecifrabile. Sta provando troppe emozioni per poterne esprimere solo una: rabbia, delusione, fierezza, tristezza, amore... queste sono solo la punta della tempesta di emozioni contrastanti che invadono prepotentemente il suo cuore.
«Perché sei mia figlia, Akemi.» risponde semplicemente, dopo interminabili minuti di silenzio, indurendo lo sguardo di fronte all'espressione sorpresa della ragazza.
«Non ti prometto che in futuro non ti picchierò di nuovo, semmai tu dovessi comportarti nuovamente a quel modo, se tu dovessi attaccare un alleato o peggio...» afferma subito dopo, provando a rilassare il volto, sorridendole appena per provare a calmarla «Ma non posso neanche concepire l'idea di allontanarmi da te, bambina mia.» conclude, sperando che la folle ragazza trovi la forza per andare da lui ed abbracciarlo come faceva quando era più piccola.
Akemi però rimane immobile come una statua, lo sguardo perso nel vuoto, la mente impegnata ad assimilare le sue parole. Non riesce a credere che la consideri ancora sua figlia dopo tutti i macelli che ha fatto, dopo tutti i passi falsi. Non riesce a credere che non voglia lasciarla andare, che la ami così tanto.
Barbabianca sembra capirlo dalla sua espressione disorientata e, guardandola con più dolcezza, allunga un braccio per poterla toccare, per riportarla con lui in quella stanza.
«Tu sei mia figlia. Sei la mia bambina. Lo capisci?» le domanda con tono gentile, tanto che se ne vergogna. Se chiunque altro lo vedesse in questo momento, probabilmente perderebbe completamente la sua reputazione su cui ha lavorato per anni.
«Si...» mormora Akemi in risposta, guardandolo finalmente negli occhi, beandosi di quel tocco così caldo e familiare.
«Capisci anche che non posso neanche immaginare l'idea di vederti andare via, per poi non tornare mai più, vero?»
Akemi rimane in silenzio per qualche secondo, guardandolo adesso con più mansuetudine, riflettendo attentamente alla sua domanda, trovando velocemente la risposta giusta.
«Si.»
«Allora per quale ragione mi hai implorato di cacciarti?» le domanda il gigante, passandole una mano sulla testa con delicatezza.
Akemi però scansa quel contatto, richiudendosi nel suo dolore, nella sua idea folle e malata che la sta consumando.
Le lacrime non tardano ad inumidirle i dolci occhi di ghiaccio, prepotenti come non mai.
«Perché vi amo così tanto che l'idea di potervi fare del male mi fa impazzire.» ammette con angoscia la corvina, passandosi entrambe le mani sul viso.
Pensa per un breve istante al fatto che quella mattina, quando il Sole era appena sorto, il suo volto fosse ricoperto del suo stesso sangue. Uno scatto d'ira, così l'ha definito Týr, mostrando una lieve preoccupazione nella voce. Akemi però non gli ha creduto; quando si è resa conto di essersi graffiata il volto, tanto da rischiare di perderci gli occhi, ha capito pienamente quanto sia realmente instabile, quando sia pazza.
Adesso che ci pensa, l'angoscia sale ancora di più dentro di lei, piegandola sempre di più.
«Questo non accadrà.» afferma con tono sicuro l'Imperatore, afferrando una bottiglia di sakè da sotto il comodo letto su cui siede.
«Come fai a dirlo?» gli domanda con voce tremante la ragazza, cercando disperatamente di regolarizzare il respiro.
L'uomo sorride con aria beffarda, tirando giù in pochi sorsi buona parte di quel liquido che tanto gli piace, per poi puntare gli occhi nei suoi, sicuri e forti come sempre «Sono Barbabianca, ragazzina.» afferma con un tono che non ammette repliche «Vedi di non scordartelo.»
Akemi, per la gioia del genitore, non riesce a trattenere una lieve risata a quell'affermazione e, per un breve istante, dimentica ogni cosa.
«Lo terrò a mente...»
Barbabianca, fiero di quel piccolo risultato, sorride felice e, dopo poco, le punta contro l'indice, guardandola con allegria.
«Adesso vai ad aiutare i tuoi fratelli nelle cucine a pelare le patate, muoviti.» ordina con tono scherzoso, convinto di essere riuscito a ristabilire il fragile equilibrio che la tiene ancora sulla retta via.
Purtroppo, però, l'uomo non ha completamente idea di quanto la breve conversazione sia sbagliata: lui è Barbabianca, è vero, ma non può niente contro un Destino già predetto nel dettaglio.
Akemi gli sorride felice, di nuovo piena di energia, tanto da poter affrontare a testa alta il compagno, con cui non parla da quasi ventiquattro ore.
«Agli ordini, capitano!»
Esce velocemente dalla cabina del genitore ed imbocca velocemente il lungo corridoio che porta al sottocoperta. Fiuta con attenzione l'aria per trovarlo, sicurissima del fatto che di certo non è andato a pelare le patate con gli altri.
Dopo qualche sniffata all'aria pregna di mille e più odori, lo trova. Come pensava non si trova al simpatico raduno, ma bensì nella sua stanza, probabilmente a leggere qualche suo libro mentre si beve qualcosa di fresco.
Si affretta ad andare alla sua porta e subito comincia a bussare piano, guardandosi furtivamente attorno per essere sicura di non essere vista.
Quando poi l'uomo apre la porta, freddo e serio come poche volte, il sangue le si gela nelle vene.
Pensava che sarebbe stata una rabbia momentanea, un qualcosa che in qualche ora di passa, invece no. È arrabbiato, parecchio. Pure troppo per i suoi gusti.
«Ehi...» mormora imbarazzata, abbassando la testa, come intimorita.
«Ehi.» risponde secco Marco, guardandola con espressione dura, tenendo le braccia ben strette al petto per evitare di tirarle un pugno per sfogo.
«Possiamo chiarire?» domanda con un filo di voce Akemi, tenendo sempre la testa bassa.
Non si era mai sottomessa a nessuno, ma adesso proprio non ci riesce.
Così come Marco non riesce a cacciarla via, come non riesce a chiuderle la porta in faccia. Semplicemente si fa da parte, piegando la testa per la frustrazione, permettendole di entrare nel suo piccolo alloggio, seguendone di nascosto i movimenti.
Solo ora, poi, si rende conto di quanto gli sia mancata, di quanto il suo comportamento sia stato stupidamente infantile.
«Mi dispiace Marco. Sul serio.» afferma di colpo Akemi, voltandosi di scatto per poterlo guardare in volto «Però devi capire che è una cosa successa molto prima che noi due ci... avvicinassimo
Marco si lascia sfuggire un lievissimo sorriso. Malgrado si frequentino da quasi un mese, malgrado il loro strettissimo rapporto, ancora non riesce a dire che stanno insieme.
Certo, anche per Marco non è semplice ammetterlo, ma almeno nella sua mente lo pensa sul serio. Pensa che si appartengano, che siano una coppia a tutti gli effetti, cosa che non ha mai fatto con nessun'altra.
Fa un paio di passi verso di lei, senza interrompere neanche per un secondo il contatto visivo.
«Ci sei andata a letto?» le domanda a bruciapelo, incrociando le braccia al petto e guardandola con quanta più freddezza può. Perché per quanto gli manchi stringerla a sé, per quanto sia consapevole che si sia comportato da ragazzino, lui deve sapere.
«No.» risponde secca Akemi, imbronciandosi perché l'uomo che ha di fronte pare essersi dimenticato tutto in un colpo la loro prima volta sotto la doccia.
Marco le sorride sollevato, avvicinandosi ulteriormente fino a poterle mettere le mani sui fianchi e avvinarla a sé.
«Bene.» afferma poggiando la fronte sulla sua, guardandola dritto nei suoi occhi di ghiaccio che tanto gli piacciono.
«Sei mia?» le domanda dopo qualche secondo di silenzio, durante il quale Akemi gli ha poggiato le mani sul petto e si è sciolta tra le sue braccia, sospirando sollevata.
«E tu sei mio?» gli domanda di rimando la ragazza, sorridendogli in modo beffardo.
Marco le sorride dolcemente, carezzandole i fianchi snelli. Traccia delle linee immaginarie sulla sua pelle fredda, facendola fremere.
La bacia di slancio quando comincia ad accarezzargli il petto, passando lentamente un dito sul suo torace, partendo dallo sterno e scendendo lungo la linea retta che porta all’ombelico.
Akemi risponde immediatamente al bacio, stringendolo con forza a sé, lasciandosi sollevare da terra e poggiare sul morbido materasso dell'uomo.
Marco le mordicchia il collo, per poi succhiarlo forte. Lo sente sospirare, come un segno che ciò che stava facendo era gradito, e subito si sfila la camicia di dosso e prova a far lo stesso con quella che Akemi tiene legata sotto al seno, senza però riuscirci.
La ragazza infatti lo ferma, sorridendo beffarda di fronte alla sua espressione scocciata.
«Sai, al contrario tuo ho delle faccende da sbrigare; se tu magari mi lasciassi andare...» afferma con tono divertito, baciandogli poi la punta del naso. Sa bene infatti quando Marco detesti quel gesto e, dopo averlo interrotto, non poteva proprio resistere dal fargli un altro dispetto.
Si scosta bruscamente dal corpo della compagna, frustrato, guardandola con aria di rimprovero.
«È colpa tua...» soffia, pensando bene di accendersi una sigaretta per dispetto. In realtà non gli va per niente, ma dopo questa sua simpatica trovata, non può fare a meno di provare a farla innervosire.
Akemi storce il naso, infastidita da quell'odore che tanto detesta. Scatta di colpo in piedi, dirigendosi piano verso la porta.
«Andrò ad espiare le mie colpe nella cambusa con gli altri.» afferma voltandosi un poco col busto per poter vedere la sua espressione sempre più infastidita.
«Sei davvero perfida.» sbuffa il comandante, facendola sorridere «Ti detesto.» aggiunge subito dopo con il tono più duro che riesce a trovare.
Akemi si lascia scappare una risata, poggiandosi con la schiena contro la porta. Lo guarda attentamente, non riuscendo a trovare in lui alcun difetto, eccetto giusto il suo viziaccio che ostinatamente non vuole mollare.
Gli sorride dolcemente, e le parole escono dalla sua bocca ancora prima di essere passate dal filtro pensiero-parola.
«Beh, è un vero peccato, perché io ti amo.»
Il sangue le si gela nelle vene quando si rende conto di cosa ha appena detto. Guarda il compagno con aria spaventata, notando quanto la sua espressione sia diventata sorpresa tutto in un colpo.
«Devo andare...» afferma di colpo, uscendo alla velocità della luce da quella stanza, diventata improvvisamente troppo opprimente per i suoi gusti.
Marco è rimasto steso sul letto, gli occhi ancora fermi nel punto in cui fino a pochi secondi prima stava Akemi.
Si sente strano, come stordito, e lentamente elabora la cosa.
Gli ha detto di amarlo, cosa che mai nessuno prima di allora aveva fatto. Sente il cuore battere più velocemente, una sensazione di leggerezza pervaderlo dalla testa ai piedi, insieme alla sgradevole sensazione di smarrimento, per non dire proprio paura.
Comincia rimuginare su come poter affrontare quell'argomento con lei, arrivando poi alla conclusione che è meglio far finta di niente.
Se mai se lo sentirà, glielo dirà anche lui, ma fino a quel momento pensa bene che sia meglio provare a mantenere le cose come sono.

Akemi pela le patate con fare nervoso, mentre, al suo fianco, Halta la guarda con la bocca spalancata e con un'enorme sorpresa negli occhi chiari.
Apprendere cosa è successo poco prima tra lei e Marco l'ha shockata a morte, tanto da indurla a buttare a terra il tubero che stava sbucciando con tanta attenzione. In fondo, tagliarsi un dito non rientra proprio nei suoi piani.
«Glielo hai detto sul serio?» bisbiglia vicino al suo orecchio per non farsi sentire dai presenti, intenti a chiacchierare dei fatti loro.
«Mi è venuto così!» afferma Akemi, voltando la testa di scatto e guardandola con aria disperata.
Non voleva aprirsi in quel modo, dichiararsi così apertamente, e invece l'ha fatto.
Si sente in imbarazzo da morire, ed anche incredibilmente confusa. Da un lato è vagamente felice di essersi tolta quel peso, ma dall'altra è fermamente convinta di aver incrinato ancora di più il loro già instabile rapporto.
«La merda...» commenta Halta, passandosi le mani sul viso, sospirando forte. Poteva aspettarsi tante cose da lei, ma non certo che le venisse a dire che dopo un litigio simile andassi a dirgli che è innamorata di lui.
Lei, infatti, non l'avrebbe mai fatto. Già sentirselo dire da Izo e rispondendogli che ricambia l'ha scombussolata parecchio, ma alla fine ha pensato che sia una cosa normale, considerato che si conoscono da anni e che hanno un rapporto tanto stabile.
«Non hai altro da dire?» sibila Akemi, tagliuzzando distrattamente il tubero che tiene stretto in mano.
«Proprio no...» risponde sbuffando Halta, voltando di nuovo la testa verso l'amica «È una cosa grossa...»
«È una cosa enorme!» involontariamente strilla, e dopo pochi istanti si rende conto di quanto sia stata una mossa a dir poco stupida, considerato che adesso tutti gli occhi sono puntati su di lei.
Rimane immobilizzata per qualche secondo, in cerca di una di una spiegazione intelligente da dare per quella sua affermazione, trovando solo una scusa da usare.
«Questa patata. Mai vista una patata simile.» afferma facendo loro un falso sorriso, assai teso.
I vari uomini si scambiano degli sguardi incerti, per poi fare spallucce e decidere che è meglio sorvolare sulla cosa. Tanto, quando quelle due sono insieme, parlano sempre di argomenti assai frivoli per i loro gusti, quindi è inutile provare a capire.
«In effetti è grossina eh.» commenta Halta, togliendole il tubero dalle mani e cominciando a sbucciarlo al posto suo.
Akemi si lascia scappare un leggero risolino, che placa un poco la sua agitazione.
«Seriamente, cosa ne pensi?» le domanda con tono malinconico, afferrando un'altra patata dal mucchio e cominciando a sbucciarla distrattamente.
«Penso che Marco non se lo aspettasse minimamente.» afferma a bassa voce, in modo da farsi udire solo da lei «E che forse dovresti far finta di niente e non forzarlo. Probabilmente lo sai anche meglio di me che Marco è un tipo... poco emotivo, ecco.»
Akemi annuisce piano con la testa, osservando le gocce di sangue che le colano dal dito. Le guarda con estrema attenzione, trovandole incantevoli.
Si porta quindi il dito ferito alla bocca, assaporando con gioia quella linfa vitale dal sapore metallico e allo stesso tempo incredibilmente delizioso. Lo trova dolce come se fosse latte caldo misto al miele, tanto da indurla a mordersi il polpastrello per poterlo assaporare ancora e ancora.
«Che fai?» le domanda incuriosita Halta, guardandola con la testa piegata di lato e con un'espressione incerta.
Akemi la fissa dritto negli occhi, facendo uscire lentamente il dito dalla bocca. Lo guarda solo per un brevissimo istante, trovando la ferita perfettamente rimarginata.
Sente ancora in sapore delizioso del sangue sulla lingua, cosa che glielo fa desiderare ancora di più.
Solo quando Halta le dà una lieve pacca sul braccio torna a guardarla con aria persa e confusa, di nuovo a contatto con quella realtà che comincia ad andarle stretta.
«Niente, mi ero solo tagliata.» afferma frettolosamente, tornando a pelare con attenzione il tubero.
Halta la osserva con attenzione, notando l'espressione contratta e concentrata, i movimenti bruschi e meccanici delle mani, i muscoli delle spalle tese.
Capisce al volo che questo suo strano cambiamento d'umore non è dovuto a quel piccolo “incidente” con Marco, ma a qualcosa di molto più grosso, che non fa altro che infittire il mistero che l'avvolge.
«Ehi...» la richiama con un filo di voce, provando a carezzarla un braccio, venendo però scansata in malo modo.
Sente di impazzire, Akemi.
L'odore del sangue è incredibilmente forte in quella stanza, tanto da farle girare la testa e bruciare la gola.
Ne vorrebbe ancora, ma non può di certo dilaniarsi un braccio di fronte a tutti.
Sente una forte rabbia montarle nel petto, tanto da farla piegare in due.
Le ossa fanno di nuovo male, così come i denti. Le pare di avere una tempesta nel cervello, che la scombussola completamente
«Ricordati, giovane immortale: il sangue è la vita e, se lo vorrai, sarà tuo.» le sussurra dolcemente Týr, per poi scoppiare in una risatina isterica, cosa che la confonde ulteriormente.
«Lo voglio...» mormora con un filo di voce, stringendo la patata fino a ridurla in poltiglia.
Alza di scatto lo sguardo, facendo saettare gli occhi da un uomo all'altro. Per un breve istante sente come una nuova voce in testa che le dice di attaccare, di farli a pezzi uno dopo l'altro e, per questo, si alza di scatto dalla propria sedia e scappa fuori.
Si sente estremamente strana e l'unica cosa che può riportarla con i piedi per terra e distrarla da quell'insopportabile desiderio è un po' d'aria fresca.
Si arrampica senza difficoltà sull'albero maestro e si rannicchia su un pennone, tenendo le braccia ben avvolte attorno alle gambe.
Il corvo che da sempre la segue e che ormai la considera la sua nuova padrona le volteggia attorno, gracchiando allegro.
Akemi alza gli occhi su di lui e sorride debolmente, allungando un braccio verso di lui.
Lo guarda con attenzione, non trovando in lui alcun tipo di difetto.
'Sei perfetto.'
«È stato solo un momento, vero Marcolino?» gli domanda con tono malinconico, sperando con tutta sé stessa che trovi il modo di esprimersi in modo a lei comprensibile e la rincuori.
Questo ovviamente non succede e, stranamente, si ritrova a ridacchiare da sola per quel suo assurdo pensiero, carezzandolo delicatamente sul petto.
«Passerà tutto. Andrà tutto alla grande.»
 
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In una settimana possono cambiare tante cose.
Può succedere che una persona diventi sempre più felice, come Satch. Il suo umore sembra infatti essere tornato quello di un tempo: niente musi lunghi, niente ore passate in solitudine a piangersi addosso.
Il perché di questo suo cambiamento ha una spiegazione anche molto semplice: le sempre più frequenti visite dell'eccentrica compagna. Il loro rapporto infatti si è fatto sempre più profondo e vero, tanto da spingere il quarto comandante a sorvolare completamente su tutti gli aspetti più strani e talvolta dolorosi della ragazza.
Può succedere che un tipo come Marco si calmi, dimostrandosi sempre più tranquillo e sorridente di quanto chiunque si potesse aspettare. Anche a questo c'è un perché, ovvero il riavvicinamento con Akemi, anche se dopo la sua dichiarazione entrambi si mostrano sempre un po' in imbarazzo.
Può succedere anche che una persona peggiori, però. Può succedere che diventi sempre più schiva, che tenda ad attaccar briga con chiunque, che si allontani da quelli che da sempre sono i suoi più grandi amici.
Questo è quello che è successo ad Akemi.
È infatti diventata aggressiva con i suoi compagni, ha allontanato Halta ed Ace senza una ragione specifica, non parla molto con l'adorato genitore, ed è diventata schiva nei confronti di tutti.
Passa spesso il tempo appollaiata su uno dei pennoni dell'albero maestro e che guardi tutti quanti con aria diffidente, che li tenga a debita distanza, sempre seguita dall'inseparabile corvo. Solo Marco può ancora avvicinarla senza dover temere che gli si rigiri contro.
Anche per questo suo improvviso e radicale cambiamento c'è un perché ben specifico: il suo tempo è infatti scaduto. Manca solo un giorno allo scadere dei ventotto giorni, e la sua rabbia non ha fatto altro che aumentare, così come la sua forza e la sua aggressività.
Adesso sta appollaiata sul pennone di trinchetto, gli occhi fissi sulle figure dei compagni intenti a lavorare.
Munnin sta comodamente appollaiato davanti a lei, intento anche lui a fissare i vari uomini che ha imparato a conoscere. Anche lui però pare cambiato in qualche modo: i suoi starnazzi sono cessati, la sua vena giocosa è sparita, e ha dimostrato una certa aggressività nei confronti di chiunque osi avvicinare la sua nuova padrona.
Akemi alza per un brevissimo istante gli occhi su di lui e una nuova fitta allo stomaco la fa ringhiare, tanto da indurre l'animale a spostarsi per non correre inutili rischi.
Munnin fu reso immortale moltissimi anni prima da il suo precedente padrone, ma di certo non vuole testare se la forza bruta della ragazza può togliergli questo grande potere.
Akemi ghigna divertita dalla sua reazione immediata, e di scatto riabbassa gli occhi, puntandoli sul quarto comandante che, senza pensarci, si è tolto il foulard per trovare un minimo di sollievo dal caldo afoso che lo sta buttando a terra.
L'immortale aguzza lo sguardo, notando i vari tagli che ha sulla pelle abbronzata, e di scatto si butta giù, andandogli in contro a grandi falcate.
L'uomo la guarda incerto mentre si rilega il foulard al collo, non riuscendo a capire perché lo stia guardando con tanto disprezzo.
«Cos'hai fatto al collo?» gli domanda a bruciapelo la corvina, cominciando a girargli intorno come un predatore famelico.
Dentro di lei si è acceso qualcosa di pericoloso, che adesso potrebbe addirittura risultare fatale al comandante della quarta flotta.
«Come, scusa?» le domanda di rimando, guardandola con aria perplessa.
Tutti si fermano e li osservano, pronti ad intervenire nel caso che la compagna scatti preda di un nuovo attacco di cieca rabbia.
«Ti ho chiesto... cosa hai fatto... al tuo fottutissimo collo!!!» sibila con voce roca, snudando le zanne e tendendo le dita, mettendo così in mostra i lunghi artigli neri in segno di minaccia.
«Datti una calmata.» soffia innervosito Satch mentre porta una mano alla spada che porta al fianco, guardandola con rabbia crescente.
«Non puoi darmi ordini...» mormora la ragazza, piegando la testa di lato e guardandolo con un'aria da spiritata, cosa che un poco lo mette in soggezione.
«Sono il tuo comandante, certo che posso!» le urla contro, inconsapevole del fatto che il tono troppo alto della sua voce risulti come una sfida per Akemi.
La ragazza infatti gli ringhia contro, mettendo sempre ben in mostra i denti improvvisamente aguzzi come quelli di un animale.
Tutti la osservano con la bocca aperta, non riuscendo a spiegarsi come la sua dentatura possa essere cambiata così improvvisamente.
Marco si dirige verso di loro, intenzionato a separarli e a costringere la compagna a darsi una calmata. Solo lui infatti ha questo enorme potere su di lei.
«Cos'hai fatto al collo?!» gli urla contro Akemi, afferrandolo per la camicia e avvicinandolo pericolosamente a sé.
Satch rimane impassibile di fronte a questa sua sfrontatezza, alle sue poco velate minacce, mantenendo un'aria forte e seria.
«Non sono affari tuoi.» le sibila a pochi centimetri dal suo viso, stringendo i pugni per la rabbia crescente che lo sta avvelenando velocemente.
Akemi arriva al punto critico e, senza che nessuno potesse prevederlo, gli salta aggressivamente addosso, atterrandolo.
«Dimmelo!» gli urla addosso, stringendogli una mano attorno al collo.
Marco affretta il passo e l'afferra senza tante cerimonie per i capelli, staccandola in malo modo dall'amico che annaspa in cerca d'aria.
«Si può sapere cosa cazzo ti è preso?!» gli urla contro, mentre tutti si avvicinano per trattenerli ed evitare una nuova rissa. Il capitano non reggerebbe un altro scontro tra i suoi adorati figli, e loro di certo non vogliono dargli altri motivi per preoccuparsi di più.
Akemi rimane a terra in cerca d'aria, adesso stranamente più lucida.
La presenza di Marco, infatti, ha il sorprendente potere di farla calmare di colpo. La paura di potergli fare del male è così forte da costringerla a calmarsi.
«Cosa ha fatto al collo?» ringhia a denti stretti, girando un poco la testa verso Satch, che gli altri stanno aiutando a rialzarsi.
«Cosa t'importa di cosa ha fatto al collo?!» le urla contro Marco, fuori di sé.
Per quanto sia innamorato di lei, non può tollerare che si comporti in questo modo e che osi attaccare i suoi compagni e grandi amici per motivi così idioti.
Akemi si rialza a fatica. I muscoli e le ossa le fanno sempre più male, la gola le brucia come se avesse dei tizzoni in gola, il suo istinto le urla di attaccarsi alla gola del primo idiota che stupidamente osa avvicinarla. Le urla di farli tutti quanti a pezzi, di prendersi le loro vite nelle mani e di stroncarle senza pietà.
«È stata la tua puttana a farti quei tagli, non è vero?» domanda ghignando malignamente a quello che è stato come un padre, facendolo impietrire «Ahhh, loro non sanno che continui a scoparti quella stronzetta con i capelli tinti, vero? Ebbene, cari compagni, è così: il vostro adorato Satch fa montare la sua puttana sulla nave durante la notte. A quanto vedo, inoltre, direi che lo fanno sadomaso.» aggiunge subito dopo, sorprendendo tutti quanti «La prossima volta che oserà portare il suo culo secco su questa nave, la ucciderò, Satch. Le strapperò i denti uno per uno e poi glieli farò ingoiare... le strapperò la lingua, gli occhi e le amputerò gli arti uno alla volta, lentamente. Solo quando mi implorerà di finirla le taglierò la testa.»
«VATTENE!» le urla contro Satch, furioso oltre ogni limite.
Non credeva che un giorno sarebbe arrivato ad un punto critico come quello con la sua adorata Akemi, ma a quanto pare si sbagliava di grosso.
Akemi gli sorride malignamente, reclinando la testa di lato e guardandolo con occhi fiammeggianti.
Senza tante cerimonie, poi, si allontana lentamente, lasciandosi sfuggire anche una risata acuta e piena di arroganza, che fa saltare i nervi a tutti quanti.
Halta le si piazza davanti, decisa a farla ragionare e tornare quella di un tempo, ma la corvina non sembra aver voglia di fare conversazione: la sposta con cattiveria, buttandola a terra.
«Spostati.» le ringhia contro, riprendendo a camminare con calma verso la propria stanza.
Sul ponte della Moby Dick regna il silenzio, interrotto solo dallo scrosciare dell'acqua contro i fianchi dell'imbarcazione.
Nessuno emette un fiato, troppo sconcertati da quanto appena successo e dalla bomba che ha lanciato Akemi.
Satch è furente dalla rabbia. Vorrebbe seguirla per picchiarla a sangue, ma sa che questo non risolverebbe assolutamente niente. Dovrebbe ucciderla per risolvere la situazione e tenere al sicuro Mimì dalla sua furia, ma non ci riuscirebbe mai.
«E così...» Ace rompe quel silenzio, grattandosi con un certo imbarazzo la testa, per poi lasciarsi andare ad una risata che scioglie un poco la tensione che si è venuta a creare «Hai la ragazza, eh?!»
Alla sua seguono altre risate, mentre Satch si tende ancora di più. Non voleva che nessuno sapesse non solo per il fatto che la ragazza riesce a montare inspiegabilmente sulla nave, ma anche per evitarsi quei discorsi e le loro risate.
«Fatti gli affari tuoi.» soffia indispettito, cercando di ricomporsi fingendo di riprendere il lavoro che ha interrotto, venendo però preso inevitabilmente di mira dalle battute idiote dei compagni.
Pure Marco si lascia sfuggire una lieve risata, che però muore con il gracchiare innervosito dell'animale ancora appollaiato sulla trave.
Alzando lo sguardo lo vede sbattere le ali con forza, come se stesse cercando di lanciare un allarme, e subito dopo spicca il volo, allontanandosi ad una velocità assai sorprendente.
«Dove starà andando?» domanda più a sé stesso che a chi ha intorno, ricevendo una risposta da un attento Jaws, che come la Fenice non si è perso quello strano comportamento.
«Se non fosse impossibile, direi che sta andando a riferire quanto accaduto a qualcuno.»
Marco lo guarda sorpreso, non riuscendo però a scartare la sua assurda ipotesi.
«Se dovesse far ritorno, sparategli.» ordina semplicemente, dirigendosi verso il sottocoperta con passo svelto.
Deve assolutamente parlare con Akemi, capire cosa diavolo le sia preso, perché ha osato attaccare Satch, perché sia così incredibilmente strana.
Una volta giunto davanti alla sua porta, si blocca. Poggia piano l'orecchio sulla superficie liscia e ascolta i risolini isterici della compagna, sentendo di tanto in tanto qualche parola detta in un'altra lingua.
'Parla pure da sola adesso?!'
Respira profondamente e dopo una manciata di secondi entra, richiudendosi subito la porta alle spalle, chiudendola a più mandate. Nessuno deve intromettersi, non quando la ragazza è in uno stato così preoccupante. Infatti si è già procurata svariati tagli sul corpo, impregnando le coperte e gli abiti di sangue scuro, i capelli le coprono parte del volto, contrastando perfettamente con la carnagione pallidissima, gli occhi fuori dalle orbite screziati d'oro e un sorriso inquietante che mette in mostra le zanne affilate.
Le si avvicina piano, guardandola con attenzione mentre continua a ridacchiare e affettarsi il braccio con nervosismo.
«Che ti è preso?» le domanda col tono più calmo che riesce a trovare, raggiungendo molto lentamente il letto. Malgrado non gli si sia mai rigirata contro, è ben consapevole che una mossa sbagliata potrebbe mandarla in bestia, e picchiarla è l'ultima cosa che vuole fare. Probabilmente, per colpa dei suoi forti sentimenti nei suoi confronti, non ci riuscirebbe nemmeno.
«È mio.» afferma con voce leggermente acuta Akemi, facendo saettare gli occhi da Marco al proprio braccio martoriato «È tutto mio. Quella puttana non può venire qui. Non può prendersi le mie cose.»
«Quali cose sono tue?» le domanda cautamente Marco, prendendole una mano e togliendole il pugnale dall'altra, giusto per non dover assistere di nuovo ad una scena del genere.
«Tutto.» risponde secca, guardandolo torva in volto «La ciurma. La nave.»
Marco si passa una mano tra i capelli, incapace di capire cosa diavolo le sia preso. Non ha mai fatto discorsi tanto insensati, non è mai stata cattiva con i suoi compagni.
«Primo: la nave e la ciurma non sono di tua proprietà. Ok?» alza di nuovo gli occhi su di lei e prova ad avvicinarla piano, mettendole una mano sulla guancia e carezzandola piano «Secondo: concordo con te sul fatto che Satch non dovesse far salire un'estranea sulla nave, ma non puoi fare così. Dovevi prenderlo da parte e parlarci con calma, non minacciare la sua donna di fronte a tutti e sputtanarlo in questo modo. Lo capisci, vero?»
Akemi piega la testa di lato, sorridendo in maniera inquietante.
«È tutto mio. Nessuno deve azzardarsi a toccare ciò che è mio.» afferma convinta, poggiando a sua volta una mano sulla guancia della Fenice «Ucciderò chiunque ci provi. Sarà lento, doloroso... e presto tutti capiranno.»
«Akemi-»
«Io sono speciale, Marco. Io ho diritto di vita e di morte su chiunque. Nessuno può prendere quello che è mio.» ribadisce con tono impaziente, ridacchiando nervosamente «Lo capisci?»
Marco sospira frustrato, non riuscendo a trovare nessuna soluzione per aiutarla. L'unica cosa che può fare è farla stendere e provare a calmarla. Certo, la sua assenza darà molto nell'occhio questa volta, ma non può certo lasciarla da sola in questo stato.
Le passa una mano attorno alla vita e la fa stendere al suo fianco, tenendole l'altra mano poggiata sulla testa, in modo tale che l'appoggi sul suo petto e magari si calmi un po'.
«Dormi un po' adesso, ok? Se dovrai uccidere così tante persone, dovrai essere in forma.» la convince così, dicendole una buffonata.
Lentamente sente i muscoli della compagna rilassarsi sotto le sue mani e il respiro diventare regolare.
Le carezza piano la schiena, seguendo la linea della spina dorsale.
Guarda il suo volto rilassato e sereno, la bocca dischiusa, le mani affusolate poggiate contro il suo torace.
Il cuore gli si stringe in una morsa dolorosa. Non riesce assolutamente a capire cosa l'abbia ridotta tanto male, perché sia scoppiata in quel modo. Peggio ancora, non sa assolutamente come aiutarla a star meglio.
La stringe ancora di più a sé, immergendo il viso nei suoi capelli scompigliati, beandosi del loro profumo.
«Dimmi che hai...» mormora con voce incerta, consapevole che non riceverà alcuna risposta «... non posso perderti.»


Nel frattempo, a molte leghe di distanza, il velocissimo Munnin è finalmente giunto alla sua nuova dimora, l'isola Helheimr.
Gracchia con tutta la potenza che può, avvertendo i vari immortali che lì vi abitano e il suo caro fratello del suo ritorno, cercando pure di trasmettere loro le preoccupazioni che lo stanno corrodendo velocemente.
Sulla spiaggia candida stanno a bivaccare Freki, Sakura e un ridestato Kakashi. Fino a pochi minuti prima c'era anche Geri, compagno da più di una vita di Kakashi, che però si è dovuto assentare per svolgere alcuni mansioni di routine.
«Quello non è Munnin?» domanda vagamente interessato Freki, rigirandosi a pancia all'aria sulla spiaggia calda. Il tatuaggio è stato ritoccato e riportato all'antico splendore, e adesso lo sfoggia con fierezza in qualsiasi momento.
«Che gli è preso? Non l'ho mai visto così agitato...» domanda Kakashi, tirandosi in piedi e allungando un braccio verso l'animale che, senza farselo ripetere, vi si appoggia e riprende fiato, osservando il cielo limpido alla ricerca disperata del fratello. Se c'è qualcuno che può capirlo subito e riferire al suo padrone quello è lui.
«Ehi, piccolo...» Sakura si alza a sua volta e sfiora con la punta delle dita il petto piumato dell'animale, sperando di riuscire a calmarlo «Che è successo?»
Un'imprecazione assai colorita attira immediatamente l'attenzione del trio, che di scatto si volta verso quello che viene ormai considerato il nuovo Re delle Tenebre, Wulfric.
Cammina con passo molto svelto e nervoso. I suoi abiti generalmente immacolati sono ricoperti di sangue, così come la sua pelle candida e i capelli argentei.
«Wulfric, che ti è successo?» domanda subito con apprensione Sakura, scattando in sua direzione, venendo però ignorata dal diretto interessato.
«Dov'è quell'altro idiota?!» ringhia furioso oltre ogni limite, cosa che mette in guardia il trio. Sono ben consapevoli della sua innaturale potenza, e non vogliono certo rischiare di rimetterci le penne contraddicendolo.
«È nella sua reggia, con la Regina.» lo informa con tono rabbioso Freki, pronto ad attaccare in caso di bisogno. Perché qualsiasi immortale reagisce estremamente male se si sente minacciato in qualsiasi modo, e un tipo aggressivo come lui lo fa in modo particolare. È già un miracolo che non sia scattato e non si sia avventato come un animale rabbioso contro di lui.
Wulfric li abbandona velocemente, spingendo bruscamente Sakura che cade sulla sabbia rovente.
«Sakura!» Kakashi scatta verso di lei e l'aiuta a rialzarsi, notando distintamente un'immensa tristezza nei suoi occhi di ghiaccio.
«Certo che te lo sei scelta proprio male, eh?» prova a sdrammatizzare con una battuta, notando però una lacrima scarlatta solcare la guancia magra della sorella «Perché non lo lasci, scusa?»
«Perché Wulfric non fa mai così.» risponde per lei Freki, che da molto più tempo ha a che fare con lo spietato Mietitore «Deve essere successo qualcosa di grave se si comporta così.» aggiunge subito dopo, sdraiandosi di nuovo a pancia in giù sulla sabbia calda, crogiolandosi sotto i forti raggi del Sole che gli baciando la pelle bronzea.
Nel frattempo, Wulfric ha già raggiunto la reggia al centro dell'isola ed è entrato prepotentemente, ignorando i richiami delle varie persone che vi hanno preso residenza senza che nessuno li invitassi. Incontra sul suo cammino anche Killian, che però ignora malgrado gli sia pure attaccato ad un braccio per fermarlo.
Non gli importa di niente a Wulfric. È troppo fuori di sé, tanto da fregarsene anche di darsi una ripulita o di non essere notato da nessuno nel viaggio di ritorno.
Si dirige senza incertezze verso lo studio di Fenrir. Sente chiaramente i loro battiti cardiaci e il loro inconfondibile odore per sbagliarsi.
Apre di scatto la porta, fregandosene delle buone maniere e del fatto che avrebbe potuto beccarli in flagrante, trovandoli fortunatamente stesi su uno dei divani a chiacchierare tranquilli, come se niente di quello che sta succedendo nel mondo esterno li riguardasse minimamente.
Tira una sonora bestemmia e sfascia un tavolino contro il muro, mandando in frantumi anche tutto quello che vi era depositato sopra.
«Buon giorno, Wulfric.» lo saluta Fenir, trattenendo a stento le risate. Era da tempo immemore che non lo vedeva così incazzato e la cosa non può far altro che rallegrarlo. Per un momento aveva avuto paura che si fosse rammollito.
«Qualcosa ti turba?» gli domanda con una vena di sarcasmo Astrid, tenendo una mano davanti alla bocca carnosa per trattenere le risate.
«QUELLA PUTTANA MALEDETTA!» urla in preda alla collera, quasi strappandosi i vestiti impregnati di sangue per liberarsene. Gli fa schifo solo l'idea che le ultime tracce di quella traditrice possano sfiorarlo ancora.
«Ti siedi e mi dici cosa è successo?» gli domanda con più serietà l'Imperatore, guardandolo torvo.
Wulfric ricambia lo sguardo, snudando le affilate e candide zanne per zittirlo.
Killian assiste confuso a tutta la scena, non azzardandosi però ad intromettersi. Se lo facesse, scatenerebbe un sicuro scontro all'ultimo sangue tra tutti i presenti, e la cosa non gli va per niente.
«Quella veggente del cazzo...» sibila Wulfric, portandosi le mani tra i capelli scompigliato «Quella vecchia troia ha parlato con Peter! Gli ha rivelato ogni cosa, usando la scusa che è il suo lavoro, che non poteva rifiutarsi con lui... MALEDETTA STRONZA!»
I due sovrani lo guardano con attenzione, adesso entrambi in piedi pronti per qualsiasi evenienza.
«Gli ha detto delle armature, delle nostre mosse passate e future... gli ha detto dove si trova e quando andare a prenderla.» aggiunge col fiato corto, mentre la gola gli brucia terribilmente per il desiderio di sangue che lo dilania.
«La data la sappiamo anche noi, quindi interverremo prima.» afferma sicuro Fenrir, indurendo lo sguardo.
«La data è cambiata.» afferma sempre più furioso Wulfric «Prima di ammazzarla come un cane, insieme a tutta la sua famiglia di sporchi traditori, mi ha rivelato che la data non è più quella prestabilita. Ha detto che la bestia è pronta a liberarsi... e che ciò accadrà domani notte.»
Astrid si volta a guardarlo con gli occhi fuori dalle orbite, il cuore che le galoppa nel petto.
«Che cosa?!» urla furiosa, venendo agguantata per un braccio prima che compia qualche idiozia dal fedele compagno.
«Domani notte la bestia si libererà dalle sue catene.» ribadisce il Mietitore, guardandola con rabbia «Peter sarà già sulla sua rotta. La porterà via e le racconterà qualsiasi cosa pur di averla dalla sua parte. Questo, ovviamente, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore la ucciderà smembrandola e bruciando i pezzi uno alla volta.»
Astrid si volta di scatto verso Fenrir, ringhiandogli sommessamente «Me l'avevi promessa.»
«E l'avrai.» volta la testa verso Killian, guardandolo duramente «Raduna gli altri e partite immediatamente. Se la mattina seguente non sarà ancora qui, metterò le vostre teste su un palo d'argento e lascerò il resto delle vostre carcasse ai corvi.»
Killian annuisce e scatta senza esitazioni fuori dalla stanza, urlando per richiamare quelli che sono diventati i suoi nuovi compagni, costringendoli così a mettersi tutti in moto.
«Questa non ci voleva...» mormora Fenrir, buttandosi a sedere sul comodo divano alle sue spalle, passandosi una mano sul volto.
'È mai possibile che non si può avere un attimo di pace?!' si domanda frustrato, sospirando rumorosamente mentre gli altri due litigano furiosamente.
Li guarda per un breve istante con l'unico occhio che gli rimane, e sente il mondo crollargli sotto ai piedi.
'Che vita di merda...'


 
Angolo dell'autrice:
In ritardo come al solito, ma eccomi di nuovo! :D Vi ero mancata, vero? (Da mori', guarda!!)
Scusatemi infinitamente per averci messo così tanto ad aggiornare, ma passo tipo ¾ della giornata al mare a lavorare (sono abbronzata, se Dio vuole!), la sera arrivo a casa semi-distrutta per colpa dei mocciosi che non mi mollano neanche per un secondo (perché devono adorarmi così?! -.-), e di conseguenza trovo sempre pochissimo tempo per scrivere, motivo per cui è venuto solamente 14 pagine.
Il prossimo è già in parte scritto (da molto, a dire il vero), così come parte di quello dopo. Vi dico subito che ho preferito separarli per descrivere al meglio tutto ciò che succederà, anche se così forse la storia potrebbe risultarvi pesante... perdonatemi!!! ç.ç
Ah! Già che ci sono, vi annuncio subito che tra tre capitolo vi darò quasi tutte le delucidazioni che vi avevo promesso! :D Spero che abbiate la pazienza di attendere >.<
Beh, detto questo, che ve ne pare di questo capitolo? Akemi che dà fuori di matto... me gusta! Finalmente esce fuori quello che realmente è, cioè una creatura nata per uccidere e distruggere, con un forte senso di possessività e quindi una distruttiva gelosia.
Povero Satch però :( tutte a lui le faccio succedere! Tranquilli comunque: Mimì saprebbe difendersi a dovere. Non è certo ai livelli di Freya, ma rimane comunque molto più veloce di lei. Scappare sarebbe una bazzecola! :D

Ringrazio di tutto cuore ankoku, Aliaaara, Chie_Haruka, Okami D Anima, Monkey_D_Alyce, Keyra Hanako D Hono, Law_Death, Yellow Canadair, KuRaMa faN e Phoenix_Sarah per le magnifiche recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo. Siete dei tesori! ♥♥♥ È solo grazie al vostro appoggio e di tutti quelli che mi seguono che riesco a trovare la forza per rimanere sveglia la notte e scrivere! :D

Spero di riuscire ad aggiornare il prima possibile, perché davvero giro attorno a questo capitolo da mesi! ;)
Adesso vi lascio allo special, dove troverete quello strafigo di Shanks (dico bene, Yellow Canadair? XD) e il sadico Peter.
A presto, un bacione
Kiki ♥

 
 
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Un'imponente nave da guerra si avvicina lentamente al vascello del Rosso Imperatore.
La ciurma è in fermento, pronta a buttarsi nello scontro a lama tratta, a spedire gli sciocchi aggressori nell'aldilà.
Shanks osserva dalla polena quella grossa nave dalle vele nere avvicinarsi. Lo stemma che troneggia su quel lugubre colore gli è familiare, ma proprio non riesce ad associarlo ad un nome.
Si tratta di un meta-lupo argentato che salta in un cerchio dorato, con le fauci spalancate. Ricorda di aver letto o quantomeno sentito qualcosa sul conto di quelle bestie ormai estinte e sulla loro ferocia, e ricorda anche che qualcuno usava l'immagine di quell'antico animale come vessillo. Ricorda in particolare il motto che urlavano prima di attaccare e distruggere, quello si: “Ciò che è morto non muoia mai.”
Il suo vice gli si avvicina velocemente, informandolo che a quanto sembra non hanno intenzione di attaccarli, ma bensì vogliono solo conversare con il capitano.
Shanks acconsente, spinto dalla curiosità di scoprire cosa si cela dietro a tutte le stranezze che stanno stravolgendo l'equilibrio mondiale.
Quando poi la nave è vicina e gli invasori montano sulla sua nave, non riesce minimamente a mostrarsi cortese come vorrebbe, ma bensì rimane con il volto contratto da rabbia e riluttanza.
Un uomo grassoccio, vestito con un'armatura di mirabile fattezza, gli si avvicina impavido e lo fissa dritto negli occhi, rimanendo però in completo silenzio.
Dal suo collo, Shanks vede pendere un ciondolo assai riconoscibile: un serpente che si mangia la coda, attorcigliato ad una grossa croce, indice che questi uomini fanno parte dell'Ordine del Dragone.
«Cosa volete?» domanda in tono duro, mentre i suoi uomini sono pronti ad intervenire alla prima mossa falsa.
«Noi niente. Il futuro Imperatore ha insistito per avere un colloquio con voi.» risponde secco l'uomo, nascondendo come meglio può l'agitazione.
Perché lui ha accettato l'alleanza con quel folle, ma proprio non riesce a fidarsi di lui.
Troppo folle, imprevedibile e lunatico. Come si può dar fiducia ad un mostro come lui?
«Legno eccellente, non c'è che dire.» si voltano tutti di scatto verso quella voce estranea, impugnando saldamente le armi, pronti a dar battaglia all'intruso. A dire il vero non riescono neanche a capire come abbia fatto a montare a bordo senza farsi vedere da nessuno, ma non hanno intenzione di fermarsi a chiederglielo.
Quando lo vedono, rimangono interdetti di fronte alla sua espressione beffarda ed estremamente arrogante.
È un ragazzo poco più che ventenne, dai profondi occhi neri come la pece, i capelli sfilati neri con le punte rosse come il sangue rivolte verso l'alto, tenuti più lunghi da un lato, la pelle chiara e un sorriso enigmatico e vagamente derisorio gli increspa le labbra sottili. Ha un corpo muscoloso e slanciato, fasciato da abiti neri adornati con delle borchie sulle spalle della giacca e sul colletto, e un ciondolo tribale gli pende dal collo.
«Riponete le armi, pirati. Non ho fatto tanta strada per uccidervi.» afferma con tono divertito, inclinando un poco la testa di lato «Sono qui per proporvi un'alleanza.»
«E tu saresti?» gli soffia contro Shanks, senza lasciare neanche per un istante l'impugnatura della spada che gli pende dal fianco.
«Non osare rivolgerti a lui con questo tono di sufficienza!» gli ringhia contro il primo uomo salito a bordo, quello grassoccio e timoroso.
Con quell'uscita era convinto di aver guadagnato dei punti, di poter essere messo sotto la giusta luce dal suo nuovo Signore, ma a giudicare dallo sguardo torno che l'altro gli rivolge si sbagliava di grosso.
«S- signore?» domanda titubante, abbassando il capo in segno di rispetto.
«Tagliati la gola.» ordina secco il ragazzo, guardandolo con disprezzo.
Perché lui li odia. Tutti quanti. Sono solo dei pedoni da sacrificare come agnelli, inutili fantocci che lo porteranno al potere.
«Co- cosa?» balbetta il poveretto, facendo un passo indietro, venendo però bloccato dai compagni, ben più fedeli al nuovo Signore.
«Tagliati la fottuta gola! Non posso sopportare che tu respiri la mia stessa aria, inutile sacco di merda!» gli urla contro, preda di un suo solito attacco d'ira «Adesso tagliati la gola, o te ne pentirai amaramente.»
Quello che succede dopo quell'ordine, inorridisce oltre ogni modo Shanks: l'uomo, con mano tremante, si porta un vecchio coltello arrugginito alla gola, preme con forza la lama tagliente sulla pelle sottile e la lacera in profondità, lasciando così che il sangue sgorghi come un fiume in piena.
«Molto bene... stavo dicendo?» cambia argomento così, come se niente fosse successo, mentre i suoi subordinati buttano in mare il corpo esanime del loro compagno.
«Chi sei?» ringhia Shanks, stringendo maggiormente la presa sull'impugnatura della sua arma.
«Consiglio vivamente al tuo amico di togliermi quella pistola dalla faccia.» lo avverte con tono canzonatorio il ragazzo, guardando con aria beffarda Benn che lo guarda senza capire «Se solo provasse a premere il grilletto, nessuno di voi avrà l'onore di poter raccontare in giro di avermi incontrato.»
Shanks soppesa con attenzione le parole di quel folle e, dopo attenta riflessione, pensa bene di non voler far correre nessun rischio al suo equipaggio, così fa cenno al suo vice di riporre l'arma.
«Bravo, moccioso.» ghigna felice, tamburellando con la punta delle dita sottili e pallide il legno del parapetto su cui è placidamente seduto.
«Io sono Peter Bàthory e sono venuto fin qui da Foosha, in cerca di alleati in grado di eliminare una volta per tutte Barbabianca e la sua ciurma.»
Sulla nave cala un improvviso silenzio, rotto infine dalla risata più che allegra di Peter. Questo giochino per lui si sta rivelando più coinvolgente del previsto, con così tante sfaccettature non calcolate che lo mandano fuori di testa.
«Tu sei un pazzo.» sentenzia Shanks, guardandolo torvo.
Lo vuole fuori dalla sua nave, immediatamente. E vuole anche correre ad avvertire il vecchio dell'imminente minaccia. Perché lo sa bene, Shanks, che questo Peter Bàthory non è tipo da sottovalutare.
«Non sei il primo che me lo dice.» ammette con indifferenza il nemico, scendendo dalla balaustra e camminando con passo calmo, quasi strascicato, per il ponte della nave. Quando però si avvicina di un passo di troppo a Shanks e lo vede sguainare la spada, si blocca, guardandolo con delusione «Da questo gesto devo dedurre che non vuoi allearti con me, giusto?»
Sorride appena e si volta, dandogli tranquillamente le spalle mentre si dirige verso la propria nave «È un vero peccato... sarebbe stato tutto molto più divertente.» mente, senza abbandonare l'enigmatico sorriso. In realtà non vuole allearsi con Shanks a caso, ma perché desterebbe abbastanza scandalo e quindi l'Imperatore non sospetterebbe la sua mente dietro l'attacco.
«Ti invito caldamente ad andartene.» ringhia a denti stretti Shanks, che nel frattempo prova a ricordare quale sia la possibile rotta dell'Imperatore Bianco.
«Ricordati il mio nome, Rosso. Lo sentirai parecchio a breve.» lo avverte, sorridendogli cordialmente, prima di montare sulla propria nave «Adesso muovetevi, inutili idioti. Ho fame.» ordina subito dopo, facendo scattare tutti i presenti, più che spaventati all'idea di non riuscire a soddisfarlo in tutti i suoi capricci.
Dall'alto della Red Force, gli uomini di Shanks li guardano allontanarsi con un brutto presentimento nel cuore.
«Cosa facciamo, capitano?» gli domanda Benn, affiancandolo.
«Invertiamo la rotta.» ordina secco l'Imperatore, dirigendosi verso la piccola zona adibita a biblioteca «Trovate la Moby Dick. Dobbiamo avvertirli.» aggiunge prima di sparire, più che intenzionato a scoprire dove abbia già visto quel vessillo e, soprattutto, quale può essere il vero piano di quello psicopatico.
'Spero soltanto di riuscire ad arrivare prima di loro...'


Ps: ecco a voi Peter!! http://it.tinypic.com/r/2hzn045/8

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Capitolo 26
*** 26. Omicidio al chiaro di Luna ***


Prima di cominciare: ci tengo a ringraziare di cuore Yellow Canadair, senza la quale i personaggi, in una determinata scena, sarebbero dovuti andare a nuoto. Grazie davvero! Sei troppo gentile!
 
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La tensione sulla Moby Dick pare crescere di ora in ora.
Nessuno, escluso Marco, ha il coraggio di avvicinarsi ad Akemi, sempre più instabile ed imprevedibile.
La sera prima Fossa, Atmos e Blamenco sono dovuti intervenire per evitare il peggio ad una delle infermiere, che si era incautamente avvicinata alla ragazza per somministrarle un sedativo per farla calmare.
Le si era avventata addosso in un batter d'occhio, atterrandola al suolo con violenza, e in pochi secondi aveva pericolosamente avvicinato il viso a quello della donna. Giusto una frazione di secondo prima che vi affondasse le zanne, i tre comandanti sono intervenuti, costretti a picchiarla duramente per riuscire a tenerla a bada.
Barbabianca è tutt'ora sconvolto, incapace di capire il perché di quella violenta reazione scatenata dal niente.
La fissa preoccupato, notando il suo continuo ciondolare su sé stessa, rannicchiata contro il parapetto. Le mani sono strette attorno alla testa, gli occhi sgranati come se fosse terrorizzata da qualcosa.
Nota che di tanto in tanto sghignazza, come se avesse sentito una battuta divertente, per poi cominciare a canticchiare un motivetto per lui incomprensibile: “Den svarte mannen er ikke død, den har klør som en ravn, skremmende stemmen hans, umiddelbart ta korset. Åpne øynene, holde seg våken. Ikke sove i natt!*”
Non riesce a capire una sola parola di quel motivetto tanto ripetuto, ma dal suo sguardo, dai suoi occhi indemoniati e dal ghigno quasi perverso che le piega le labbra screpolate, capisce benissimo che non è una canzoncina allegra.
In realtà, l'Imperatore non si sbaglia per niente. Quella filastrocca, infatti, la canticchia da quella mattina Týr, apparentemente impazzito proprio come la ragazza. La canta e la ricanta, facendogliela imparare a memoria.
Perché anche lui sente l'influsso negativo di quella giornata, che lo manda su di giri come nessun altra cosa al mondo.
«Marco?» il comandante si volta verso il capitano, raggiungendolo con passo svelto.
«Sai cosa le sia preso?» gli domanda a bassa voce, ricevendo una risposta negativa col capo.
Si passa stancamente una mano dietro al collo, sospirando frustrato.
Alza di nuovo lo sguardo, vedendo che sta ridacchiando e si morde il dorso delle mani mentre punta con sguardo quasi animalesco Curiel.
«Vai e scoprilo.» ordina con tono duro, tenendo lo sguardo ben fisso sulla Fenice che con passo svelto le si avvicina.
Si piega su di lei, Marco, poggiandole una mano sulla spalla e guardandola dritto negli occhi, mormorandole con un filo di voce se sta bene, se vuole che l'accompagni a stendersi.
Guardandola adesso non gli sembra neanche più la stessa ragazza per cui ha perso completamente la testa, ma bensì un'estranea pericolosa da rinchiudere e tenere sotto stretta sorveglianza.
Akemi gli sorride melliflua, reclinando un poco la testa di lato, senza però mollare neanche per un istante la presa dalla carne fresca della propria mano.
«L'uomo nero sta arrivando...» gli mormora in risposta, mentre il sorriso si allarga «Viene di notte e recide le anime degli innocenti...»
Marco non riesce a dare un senso ad una sola parola, e si limita quindi a sedersi di fronte a lei e a chiederle spiegazioni, consapevole che così facendo le terrà la mente occupata e, di conseguenza, eviterà ulteriori danni.
Halta, Izo e Jaws si sono avvicinati al seggio del capitano, con l'intenzione di tirargli un poco su il morale. Gli dicono che andrà tutto bene, che è un momento di passaggio, che se lo farà sentire più tranquillo la faranno visitare da uno specializzato non appena sbarcheranno, consapevoli però che è solo fiato sprecato.
Niente può risollevare il morale dell'Imperatore, alle prese ogni giorno con un problema diverso e sempre più grave. All'inizio erano solo scaramucce, ora sono veri e propri scontri in cui scorre del sangue. Sa che la sua adorata trovatella ha quasi oltrepassato il punto di non ritorno, e sa anche che non c'è rimedio, se non abbatterla. Il problema, quindi, sorge dal momento che l'uomo non riuscirebbe in quell'impresa. Le è troppo affezionato anche solo per riuscire a pensare di ucciderla, di eliminare per sempre il suo sorriso.
Poi, come se non fosse abbastanza, si è aggiunto anche il problema di Satch.
Perché la sera prima, convinto dai compagni, è andato a confessare il suo segreto al capitano, sconcertandolo profondamente.
Poteva aspettarsi qualsiasi cosa Barbabianca, ma non certo che uno dei suoi uomini più fidati facesse salire un'estranea sulla sua nave. Alla fine, però, ha deciso di archiviare momentaneamente la questione, dicendogli che quando si ripresenterà dovrà portarla davanti a lui per discutere a fondo della questione.
«Sembra più calma.» afferma più a sé stesso che ai suoi figli, guardando la corvina che pare aver finalmente abbassato la guardia e riacquistato un poco di lucidità.
«Lo credo bene.» afferma Satch, adesso accanto al seggio.
Sorride malignamente in direzione dei due, per poi voltare la testa verso il genitore.
«Le piace Marco.»
La dodicesima comandante gira di scatto la testa, fulminandolo con lo sguardo. Sapeva che uno come lui lo avrebbe sospettato subito, non è così stupida da credere che un tipo come Satch non se ne sarebbe accorto neanche un po', ma non credeva che sarebbe stato così infantile da comportarsi in questo modo.
«Come?» domanda con tono incerto il capitano, aggrottando le sopracciglia.
«Satch!» sibila con un filo di voce la piratessa, facendo saettare gli occhi da lui ad Akemi, che adesso sta guardando verso di loro con aria cupa e a dir poco nervosa.
«Non dirmi che non te ne eri accorto, babbo! Si vede lontano un chilometro che gli muore dietro.» risponde Satch, sfoggiando un falso sorriso e allargando le braccia, facendo ridere di gusto il capitano, cosa che lo lascia a dir poco interdetto. Perché il quarto comandante non aveva preso assolutamente in considerazione che l'Imperatore avrebbe preso bene la cosa, neanche per un istante.
Volta il capo con aria scocciata, poggiando un pugno sul fianco, alzando poi lo sguardo su quella che è diventata in meno di ventiquattro ore la sua più grande nemica.
I due si guardano per un breve istante negli occhi, finché Akemi non gli soffia contro, snudando le zanne con fare minaccioso.
«Piccola stronza...» borbotta Satch, rigirandosi di nuovo verso i propri compagni e tornando verso il seggio del capitano.
Sulla coffa, nel frattempo, un membro dell'equipaggio osserva con attenzione il circondario, in cerca di eventuali minacce o alleati, come sempre.
È quasi sul punto di buttare via il cannocchiale e farsi un buon pisolino, considerata la calma piatta di quei giorni, finché un improvviso quanto flebile luccichio cattura il suo sguardo.
Fissa con insistenza dal cannocchiale un punto ben preciso dell'enorme distesa d'acqua che li circonda, e finalmente la vede: un'imbarcazione pirata a non troppa distanza. Grazie alla sua vista sviluppata, inoltre, riesce a scorgere anche un notevole bottino appena preso sul ponte, dove si agitano i vari membri dell'equipaggio.
Scende velocemente dalla postazione di osservazione e corre a rotta di colla dall'Imperatore, richiamandolo a gran voce.
L'uomo si volta a guardarlo, la guardia già alta. Tutto sommato, un bello scontro non gli dispiacerebbe in questo momento: allenterebbe un poco la tensione che ha accumolato in quei faticosi giorni.
«Che succede?» gli domanda con tono duro, mentre l'altro annaspa in cerca d'aria.
«Ho avvistato un'imbarcazione pirata non troppo distante da noi. Sembravano festeggiare il ritrovamento di un bel tesoro.» lo avverte respirando a fatica, mettendosi in posizione eretta a fatica. Stare piegato in due non gli va molto a genio, non di fronte ad un pirata come lui. Lo trova irrispettoso.
«Che dici, babbo: scopriamo che hanno trovato?» gli domanda Jaws, guardandolo speranzoso. Quando stanno per attaccare, infatti, è uno dei rarissimi momenti in cui riescono a vederlo emozionato.
«Prendi i tuoi uomini e uno dei vascelli. Prendete tutto quello che trovate.» asserisce Barbabianca, facendo scattare immediatamente il terzo comandante, che viene però bloccato dalla voce della dodicesima comandante.
«Con tutto il rispetto, credo sia meglio mandare la quarta flotta.» afferma con tono sicuro la donna, attirando su di sé gli sguardi confusi dei presenti.
«Perché?» le domanda riluttante Barbabianca, assottigliando lo sguardo. Si domanda come faccia a chiedere una cosa del genere quando il comandante interessato e uno dei suoi sottoposti non sopportino la presenza l'uno dell'altra, ma dal suo sguardo intuisce che c'è un motivo ben specifico.
«Vi sembrerà assurdo, lo so, ma sono convinta che farà bene alla salute sia fisica che mentale di Akemi.» risponde Halta, notando con un certo dispiacere gli sguardi sempre più confusi dei compagni.
«Andiamo, non ditemi che non ve ne siete resi conto! Quando attacca qualcuno, quando riesce a sfogare un briciolo della rabbia che si porta nel cuore, sembra essere un minimo più rilassata dopo. Se adesso la mandassimo all'attacco, se potesse buttare fuori tutta quella rabbia, starebbe sicuramente bene.» spiega con ovvietà, notando con la coda dell'occhio il sorriso compiaciuto di Izo.
Barbabianca soppesa con attenzione le sue parole, esaminandole, riportando nel contempo alla memoria ogni momento in cui ha visto sua figlia attaccare sul serio qualcuno, ogni suo comportamento successivo.
Ricorda di averla vista smarrita il più delle volte, quasi sconvolta, ma quando si riprendeva dallo shock iniziale era sempre carica, pronta a spaccare il mondo, e con un raggiante sorriso in volto.
«Va bene. Vediamo se riusciamo a calmarla.» afferma sicuro, puntando lo sguardo su Halta, facendole capire quanto in quel momento sia fiero di lei e delle sue intuizione, dell'aiuto che vuole dare, della sua cieca fedeltà.
«Ditele di muoversi.» ordina Satch, riluttante, avviandosi con passo strascicato verso alcuni dei suoi sottoposti per dirgli di dirigersi verso il compartimento dove è custodito il suo personale vascello.
Di colpo, però, sente come una presenza alle proprie spalle e, voltandosi fulmineo, si ritrova a pochi centimetri dal viso inquietante della sorella, che gli sorride melliflua.
«Guardati le spalle, comandante.» afferma superandolo, mandandolo ancora di più in bestia.
'Penso proprio che la ucciderò e lo farò passare per un incidente.'
Marco, nel frattempo, ha raggiunto i compagni e il capitano, non perdendosi però quella spiacevole battuta.
«Sono quasi del tutto certo che uno dei due non tornerà... non tutto interno, comunque.» commenta sarcasticamente Izo, facendo sospirare gli altri, tesi come corde di violino.
«Perché avete mandato Akemi? Non si regge in piedi oggi.» domanda Marco tono piatto, quasi fingendosi piuttosto disinteressato alla questione. Dentro, invece, sta lanciando maledizioni a tutti, incapace di credere che abbiano anche solo potuto concepire un'assurdità simile.
«Credimi, è una buona idea.» gli risponde prontamente Halta, cercando di trasmettergli solo tramite lo sguardo tutta la sua sicurezza.
Marco ricambia lo sguardo, cercando a sua volta di trasmetterle quanto la sua idea sia pessima e la forte preoccupazione che lo sta torturando.
«Lo spero.»

La quarta divisione è entrata al completo nello stretto compartimento sotto al ponte di prua dove è custodita la Mary Read, il personale vascello di Satch.
Ogni comandante, infatti, possiede, nel penultimo livello della nave, un personale vascello con cui può muoversi liberamente assieme alla propria flotta, per poter così attaccare ciurme rivali senza problemi. Sono tutti vascelli di dimensioni ridotte, soprattutto se messi a confronto con la nave madre, e tutti ridotti allo stretto indispensabile.
I vari pirati si muovono freneticamente per preparare tutto e poter così partire, non riuscendo però ad evitarsi le urla del comandante, nervoso sia per la loro lentezza che per la vicinanza con la giovane ed inquieta immortale, ferma come una statua ad osservarsi attorno.
«Muovetevi! Quella nave non sta di certo ad aspettare i nostri comodi!» urla con una certa rabbia, montando velocemente a bordo per poter accelerare il procedimento.
Akemi rimane ancora a terra, fissandosi attorno con sguardo incerto.
La sua rabbia pare scemare lentamente, lasciando spazio solamente all'eccitazione dovuta all'attacco che presto metteranno in opera, sia per l'oscurità che l'avvolge, rovinata dalle luci basse che a malapena riescono ad illuminare ciò che la circonda.
«Il compartimento si allagherà completamente...» afferma tra sé e sé, osservandosi attorno con sguardo attento e curioso.
«Una nave può come la nostra può continuare a viaggiare con più compartimenti completamente allagati, Akemi.»
Volta di scatto la testa verso Nicolas, un uomo sulla quarantina che fa parte della ciurma da circa un anno. Ha i pochi capelli brizzolati tenuti indietro, una barba incolta nera, due occhioni vispi e gentili e una corporatura massiccia. È un uomo gentile ed affidabile, sempre ben disposto ad aiutare i compagni nei loro compiti e affezionato in una maniera quasi imbarazzante al capitano.
Akemi lo guarda attentamente, trovandolo incredibilmente invitante.
«Devi sapere che grazie ai compartimenti stagni non vi è passaggio di acqua da uno e l'altro. Non appena siamo dentro, da fuori premono un pulsante che attiva la chiusura stagna del compartimento in uso ed è così possibile far uscire il vascello senza problemi. Quando poi le porte davanti a noi vengono chiuse, sempre da fuori attivano il pompaggio dell'acqua che, grazie ai grossi tubi che vedi lì, viene espulsa fuori.» le spiega gentilmente l'uomo, sorridendole cordialmente «Nessuno sa di questo, diciamo, trucco che il babbo ha escogitato, perché quando fece assemblare la nave fece in modo tale che da fuori non si vedesse niente.» concluse subito dopo, poggiandole scherzosamente una mano sulla spalla.
La corvina osserva quella mano callosa e grossa poggiata sulla propria spalla con attenzione e nervosismo, per poi rialzare lo sguardo su di lui.
Lo guarda dritto negli occhi con astio, inducendolo a mollare la presa e fare qualche passo indietro.
«Non mi pare di averti chiesto alcuna spiegazione.» ringhia minacciosa, per poi voltarsi e salire velocemente sul grosso vascello che ha di fronte.
Monta con passo lento e svogliato sulla nave, dove non aiuta nessuno dei presenti.
Non ha voglia. È stanca, le ossa le fanno male e la voglia di sbudellare qualcuno è così insopportabile da confonderla.
Si dirige verso la prua dell'imbarcazione, incerta. Satch è lì, lo sguardo puntato sulle porte chiuse di fronte a sé.
Per un verso sarebbe tentata di parlarci civilmente, ma i ricordi di quello che è successo tra loro fino a quel momento sono ben vivi nella sua mente.
Si siede scompostamente sul legno duro del parapetto e, annoiata, allunga un poco lo sguardo per poter leggere il nome dipinto sulla fiancata della nave, aggrottando le sopracciglia e storcendo la bocca.
«Mary Read... perché l'hai chiamata così?» domanda con una certa curiosità al comandante, senza però guardarlo in faccia. Ha paura di avere uno scatto improvviso di rabbia, tanto forte da costringerla a dare libero sfogo al suo desiderio malato di uccidere.
«Era una donna vissuta moltissimi anni prima della nascita di Roger. Fu la prima donna pirata a solcare questi mari.» risponde con tono duro Satch, senza neanche guardarla in volto.
Akemi, incuriosita dall'argomento e consapevole che non le sta dicendo completamente la verità, gira finalmente lo sguardo, notando la sua mascella contratta, i muscoli tesi sotto la stoffa chiara dei suoi vestiti, gli occhi duri che fissano un punto ben preciso. Nota anche un lieve taglietto spuntare da sotto al colletto, ma decide di non badarvi. Tanto lo ha già avvertito di quali saranno i provvedimenti che adotterà quando e se la porterà di nuovo a bordo, quindi è inutile ribadire il concetto.
Satch, deciso ad ignorarla, è costretto a cedere quando sente il suo sguardo posato su di sé, come se stesse scavando nel profondo della sua anima in cerca di altre risposte, firmando così la propria condanna nel momento esatto in cui incrocia i suoi occhi.
Tutto il suo disprezzo va in frantumi di fronte al suo sguardo curioso ed impertinente, uguale a quello che aveva da bambina.
Tutti i loro momenti passati insieme gli tornano in mente come un fiume in piena, stordendolo e facendogli provare di nuovo tutto l'amore che nutre nei suoi confronti, come se non si fossero mai scontrati.
Le sorride dolcemente e si siede al suo fianco, decidendo di svelargli il piccolo segreto che ha condiviso solo con i suoi più stretti amici.
«In realtà non avevo idea di come chiamarla, ero un ragazzino, così le diedi questo nome in sua memoria. Anzi, più che in sua memoria, gli diedi questo perché mia nonna si chiamava Mary e quando ero un moccioso mi raccontava spesso le storie di questa piratessa leggendaria.»
Akemi si lascia sfuggire un leggero risolino, portandosi una mano alla bocca per non offenderlo.
Si guardano negli occhi, ed entrambi non ricordano neanche più il motivo del loro litigio.
Satch l'abbraccia di slancio prima che le porte si aprano, stringendola a sé, venendo stretto a sua volta. Si accorge però che la sua stretta è debole, che le sue braccia non riescono a compiere quel gesto come lei stessa vorrebbe e subito si accende un campanello d'allarme nella sua testa.
«Penso che sia meglio se resti qui, Akemi. Non hai le forze per combattere.» afferma deciso, alzandosi di scatto per ordinare di interrompere il processo di apertura e farla uscire dal compartimento, venendo però ripreso al volo dalla sorella.
«Ce la faccio, non preoccuparti.» afferma sicura, venendo però tradita dall'aria distrutta che ha in volto. Due profonde occhiaie violacee fanno capolino sotto ai suoi occhi stanchi e lucidi, la pelle è incredibilmente pallida, le braccia a fatica rispondono come dovrebbero.
«Ma-»
«Satch, ce la posso fare.»
I due si guardano a lungo negli occhi, finché una luce quasi accecante non li colpisce in pieno.
Le due porte si stanno aprendo orizzontalmente, lasciando così entrare una notevole ondata d'acqua.
Akemi guarda con sorpresa quello spettacolo mentre Satch, sconfitto per l'ennesima volta dallo sguardo determinato della sorellina, dà ordine di cominciare subito a vogare per uscire il più velocemente possibile dal compartimento.
Gli uomini eseguono scattanti, facendo in modo tale che l'imbarcazione esca in mare aperto, sotto lo sguardo attento dei compagni sul ponte della nave madre.
Tutti notano con piacere il veloce riavvicinamento tra il quarto comandante e l'Angelo e i cori di incoraggiamento non tardano ad arrivare. Pure Barbabianca sorride felice di fronte a quella scena, dove i suoi adorati figli rimangono sulla polena della nave con lo sguardo puntato sulla nave avversaria.
Solo Halta si rende conto che qualcosa però non va. In realtà non c'è niente di allarmante, niente che potrebbe suggerirle che la situazione rischia di degenerare, eccetto un piccolo dettaglio: la spina dorsale della sorella pare infatti uscire dalla posizione originaria, tendendole la pelle e conferendo alla sua schiena un aspetto spaventoso.
«Izo...» lo richiama a bassa voce, venendo velocemente affiancata dal compagno «Qualcosa non va. Le sta succedendo qualcosa, va fatta scendere subito.»
«Avevi detto che le avrebbe fatto bene...» mormora confuso il sedicesimo comandante, guardandola con aria incerta.
«Mi sbagliavo! Va fatta tornare, subito!» lo afferra con forza per un braccio e lo strattona verso di sé, guardandolo con occhi fiammeggianti.
L'uomo però si limita a scuotere la testa, alzando poi il braccio libero per indicarle l'imbarcazione ormai lontana.
«Tra vele e remi si sono allontanati troppo.» afferma con tono dispiaciuto, mentre il cuore gli si stringe di fronte al suo sguardo quasi disperato «Non può tornare indietro.»

Akemi non è mai stata così violenta in tutta la sua vita.
In confronto allo scempio che sta commettendo, le tre settimane di navigazione in solitaria non sono assolutamente niente.
Si attacca alle gole dei presenti con le possenti mascelle, sgozzandoli come cani senza che questi abbiano il tempo di realizzare e reagire.
Le zanne affondando con facilità nella carne, come se fossero lame incandescenti che affondano nel burro. Non trova nessuna difficoltà neanche nel maciullare le ossa, nello staccare gli arti come se fossero fatti di carta.
Nessuno dei suoi compagni ci bada più di tanto, troppo presi dai propri faticosi combattimenti.
Satch brandisce entrambe le sue spade e combatte con vigore, affondando le lame nei nemici con brutalità. Vuole vincere, vuole proteggere la sua famiglia, vuole portare alto il nome e l'onore del padre.
Il capitano nemico prova ad attaccarlo alle spalle, brandendo un pugnale che vuole assolutamente piantare con violenza tra le scapole dell'uomo, infilzandogli il cuore e sbarazzandosi così di un pericoloso avversario. È consapevole che così scatenerà l'ira del possente Barbabianca, che non perdona mai chi osa far del male ai suoi adorati figli, ma non ha di certo intenzione di arrendersi e rimetterci così la ciurma e il prezioso contenuto che ha da poco portato a bordo.
L'uomo, però, non fa alcuna attenzione agli altri pirati, neanche al piccolo demone che combatte furiosamente, mutilando e divorando pezzi dei suoi sottoposti.
Non ci bada minimamente, finché le sue fauci non gli afferrano il braccio e lo strappano al livello del gomito.
Il sangue scorre copioso a terra, un urlo disperato gli scartavetra la gola.
I suoi sottoposti si voltano e guardano con disperazione il loro adorato capitano accasciarsi al suolo, agonizzante.
Guardano poi il mostro che è riuscito a strappargli metà braccio, trovando la giovane immortale intenta a staccare dei lembi di carne ed ingoiarli interi.
La sua pelle candida è ricoperta completamente di sangue, pur non avendo subito nessuna ferita.
«Finiscilo, adesso!» le urla furiosamente Týr nella sua mente, facendola ghignare divertita.
Si accuccia lentamente, ringhiando al nemico steso a terra in una pozza di sangue, snudando i denti, per poi scattare come un felino famelico sulla carcassa dell'uomo, che subito morde alla gola e sbrana con voracità, fino a che il suo cuore non cessa di battere. Solo a quel punto si stacca e guarda quegli uomini terrorizzati buttare le armi a terra, scatenando così un urlo di vittoria nei propri compagni.
Alcuni corrono a legare gli avversari mentre altri cominciano a cercare i tesori nascosti sull'imbarcazione e a caricare sulla Mary Read ciò che riescono a trovare.
Satch, ancora sconvolto per quello che ha visto, si avvicina cautamente ad Akemi, mettendola una mano sulla spalla.
«Sei stata fenomenale.» afferma con tono basso, sorridendole dolcemente quando si volta verso di lui per guardarlo negli occhi.
In realtà Akemi non ricorda cosa ha fatto. Ricorda solo il dolce odore del sangue che le arrivava alle narici, degli oggetti in movimento che le si piazzavano davanti, la voce di Týr che le diceva di attaccare e uccidere. Niente di più. Non sa come si è mossa, perché sia coperta di sangue dalla cute alla punta dei piedi. Però, tutto sommato, non le importa. I suoi compagni stanno bene, Satch è in gran forma, e il bottino che stanno ricavando da questo attacco è davvero notevole.
«Andiamo a vedere se troviamo qualcosa?» le domanda sorridente il comandante, avvolgendole le spalle con un braccio e conducendola con calma verso la cabina personale dell'ormai deceduto capitano.
Perché Satch sa bene che le cose migliori alla fin fine si trovano sempre lì, e non ha alcuna intenzione di stare a perder tempo saccheggiando tutte le altre stanze.
«Quello che trovi, te lo tieni.» l'avvisa il comandante, sorridendole allegro.
Cominciano entrambi a curiosare tra i vari oggetti, rovistando ovunque, senza però trovare niente di troppo eccezionale.
Akemi ha trovato alcuni gioielli di buona fattura, perfetti per la sua collezione. Ha trovato pure quella che sembra un'antica corona d'oro, con delle pietre preziose ad adornarla, e una vecchia polaroid che però continua a funzionare.
Indossa il prezioso tesoro contenta, cominciando ad atteggiarsi come una sciocca sul letto sfatto dell'uomo e, come una perfetta mocciosa vanitosa, si scatta pure una fotografia con il nuovo giocattolino.
Satch non vi bada più di molto, continuando a rovistare, fino a che non trova uno piccolo scrigno nero. Prova ad aprirlo in tutti i modi, senza però riuscirci, cosa che manda la sua curiosità alle stelle. In fondo, se è stato chiuso così bene, deve custodire qualcosa di importante.
«Ce la fai ad aprirlo con le unghie?» le domanda voltandosi verso di lei, trovandola con la corona in testa e un telo rosso sulle spalle.
«Secondo te mi dona?» gli domanda sovrappensiero, continuando a guardarsi nello specchio.
«Una meraviglia. Ora apri questo?» le domanda sventolandole sotto gli occhi il prezioso scrigno, ricevendo in risposta uno sbuffo assai scocciato.
Akemi, seppur contrariata, artiglia con forza la serratura, rompendola irrimediabilmente. Si controlla subito dopo gli artigli affilati, privi di qualsiasi imperfezione. Sono lunghi, forti e taglienti e, per la prima volta in tutta la sua vita, li trova assolutamente incantevoli.
«Cazzo...» mormora Satch, sedendosi sul bordo del letto su cui ancora sta in piedi la compagna. Guarda il contenuto dello scrigno con sguardo stralunato, non riuscendo a credere ai propri occhi. Perché quello che tiene tra le mani, è un autentico colpo di fortuna.
«Ehi, guarda!» la richiama a gran voce, alzando le braccia per mostrarle il prezioso bottino.
Akemi abbassa con noncuranza lo sguardo, reclinando un poco la testa di lato, vagamente incuriosita «Che cos'è?»
«È un Frutto del Diavolo!» risponde felice il comandante, alzandosi di scatto e stringendola dietro le gambe con un braccio e sollevandola senza sforzo «Dobbiamo andare a festeggiare!»

Tutti sul ponte dell'imponente Moby Dick ridono, bevono e festeggiano il ritrovamento del raro frutto che Satch tiene stretto tra le mani, sotto lo sguardo fiero del loro papà, inutilmente tormentato dalle pazienti infermiere che provano a togliergli di mano il grande fiasco di sakè.
Nota con grande gioia che la lunatica e pericolosa figlia è stretta un po' da tutti, che il suo animo aggressivo e attacca brighe pare essersi assopito tutto in un colpo. È meno contento di vederla sporca di sangue dalla testa ai piedi. In realtà gli fa anche un po' impressione, a dirla tutta.
«Ehi, di che frutto si tratta?» urla a pieni polmoni Ace, smettendo giusto per una manciata di secondi di ingozzarsi come se non ci fosse un domani. Al contrario suo gli altri ci vanno più leggero, giusto perché tra non molte ore arriverà l'ora di cenare e non vogliono rovinarsi l'appetito.
«Non lo so, in realtà.» risponde sorridendo come un bambino il quarto comandante, afferrando per un braccio Akemi e sollevandola da terra, baciandola sulla guancia.
Tutti sono lieti di vedere che la situazione tra loro due si sia sistemata, anche se in realtà sono un po' perplessi vista la velocità in cui hanno cambiato parere l'uno sull'altra.
«Fate i complimenti anche alla nostra piccola belva, che ha fatto fuori parte della ciurma e il loro capitano!» urla con fierezza, sollevandola con un braccio solo per farla acclamare da tutti.
Quando però gli scivola di mano, facendole battere una sonora culata sul duro pavimento della nave, tutti non ci pensano assolutamente a complimentarsi, troppo presi nel prendere in giro l'alticcio comandante che adesso ride come impazzito.
«Voi state male!» urla tra una risata e l'altra la ragazza, facendosi aiutare da Vista a rialzarsi.
Si regge con forza a lui quando un forte giramento di testa la travolge in pieno, tanto da farla quasi cadere a terra un'altra volta.
«Tutto bene?» le domanda allarmato, avvolgendole la vita con un braccio per riuscire a tenerla in piedi. Con sua enorme sorpresa, poi, nota che le occhiaie che erano magicamente sparite da sotto i suoi occhi stanno tornando lentamente, come se le stesse andando via uno strato di trucco alla volta.
«Si, tranquillo. Deve essere il Sole!» scherza Akemi, sorridendogli dolcemente.
L'uomo inarca un sopracciglio, sospettoso, per poi essere trascinato via dai compagni per tirare di spada, tutti decisamente alticci.
Akemi sorride ai propri fratelli che brindano al suo successo, urlando con convinzione che presto vedranno la sua taglia salire alle stelle.
Si congeda poi con un saluto generale, dirigendosi con passo calmo verso la propria stanza. Prima di sparire sotto coperta, però, non riesce a fare a meno di voltarsi per osservarli di nuovo. Nota così in lontananza delle minacciose nuvole cariche di pioggia avvicinarsi a loro, come se fosse un presagio.
Il suo cuore, già inquieto per i fatti suoi, comincia a battere più velocemente: aria di tempesta, aria di cambiamenti.
Lo sente distintamente, cose se il cielo fosse una grande pagina su cui può leggere quelle parole.
«Vai a lavarti, ragazzina!» Teach, arrivato al suo fianco, le passa una mano tra i capelli impregnati di sangue secco, sorridendole allegro «Non vorrai mica gironzolare così conciata, mh?»
Akemi scuote la testa, non riuscendo però a trattenere un sorriso divertito. Non lo aveva mai visto così allegro, e non riesce proprio a fare a meno di esserne contenta a sua volta: in fondo, sta gioendo per la conquista di Satch!

Esce dalla doccia grondando goccioline d'acqua da ogni dove, sorridendo con aria furbetta in direzione del primo comandante, entrato durante la sua assenza nella sua stanza.
Sta sdraiato sul suo letto a leggere uno dei suoi libri, fingendo di non essersi accorto di lei. Lo fa spesso, come per farle un dispetto.
Akemi non aspetta un secondo di più, sfilandosi di dosso l'asciugamano bagnato e in un attimo gli è sopra, bagnandolo con le goccioline fredde che colano dai suoi capelli.
«Sei molto fastidiosa, sai?» malgrado il tono infastidito, le sorride. Le sorride felice di vederla di nuovo allegra, di vedere che è calma e giocosa come un tempo. Felice di leggere di nuovo l'amore che nutre nei suoi confronti nei suoi occhi di ghiaccio.
Le sfiora i fianchi nudi con la punta delle dita, per poi farle il solletico nello stesso modo estremamente fastidioso che ha scoperto quando era più piccola, godendosi la sua risata cristallina, mal celata contro la sua spalla.
Nessuno a parte Akemi ha mai potuto vantare di aver visto l'impassibile comandante della prima flotta in atteggiamenti simili, e questo non fa altro che renderla sempre più felice.
Di slancio quindi lo bacia con trasporto, stringendogli con trasporto le braccia al collo e Marco la stringe a sé, mettendole una mano dietro la schiena e una contro la nuca bagnata.
Sono rari i momenti di spensieratezza come questo, soprattutto negli ultimi tempi di incertezze e tensioni.
Le mani di Akemi scorrono lussuriose sul tuo torace, scorrendo lentamente verso il basso, mentre con la lingua sale lungo il suo collo. Dentro di lei sta nascendo un'altra volta quell'incontrollato desiderio che prova da sempre per il compagno, cosa che la spinge a spogliarlo sempre più freneticamente.
Marco, dal canto suo, non vedeva l'ora che Akemi tornasse quella di un tempo, cioè la ragazza piena di fuoco e passione che gli sorride per qualsiasi sciocchezza, che lo tocca e lo bacia sempre come se fosse l'ultima volta, e di conseguenza non riesce a tenere a freno le mani e la lingua, con cui esplora il corpo che già conosce alla perfezione della giovane amante.
La guarda sempre negli occhi, eccitandosi sempre di più nel vedere la sua eccitazione crescere in quell'oblio di ghiaccio e tempesta.
«Marco...» mugola la corvina, afferrandolo per i capelli e baciandolo con tutta la passione che la sta consumando nel profondo della sua anima dannata.
Allarga le gambe, senza più difese, lasciando che Marco se le porti sopra le spalle, implorandolo silenziosamente di farla sua e accogliendolo con un gemito carico di desiderio. Solo grazie ad una qualche misteriosa grazia divina riesce a trattenersi dal gridare quel piacere che sente esplodersi dentro.
Le loro bocce si cercano, si baciano con furia e ogni volta che si allontanano per respirare, entrambi vengono colti da una sete bruciante.
Le dita s'intrecciano sopra le loro teste, come per suggellare la loro unione, i loro sentimenti sempre più profondi e maturi.
Il tempo per loro pare quasi essersi fermato. Vorrebbero che quella pace, quelle emozioni intense e vere durassero per sempre, che i loro corpi riuscissero a sopportare quella carica di piacere ed eccitazione in eterno.
Purtroppo per loro, però, quelle idilliache aspettative vanno in frantumi nel momento in cui Marco raggiunge il suo massimo, gemendo con voce roca contro l’orecchio della compagna quando l'orgasmo lo travolge.
Si accascia sul suo corpo, respirando affannosamente contro il suo petto, beandosi delle carezze delicate che lo cullano.
«Mi prometti una cosa?» mormora Akemi, riportandolo bruscamente alla realtà.
Alza piano lo sguardo, perdendosi nella purezza dei suoi occhi. La consapevolezza che guardino solo lui lo manda al settimo cielo.
«Cosa?» giocherella con una ciocca dei suoi capelli scuri, rigirandosela distrattamente tra le dita, seguendone i movimenti con una certa attenzione.
«Mi prometti che sarà sempre così tra di noi?» la sua è quasi una preghiera, e i suoi occhi per un breve istante tradiscono la profonda paura che ha di perderlo da un momento all'altro, come se si trattasse solo di una bella allucinazione, un tiro mancino della sua mente distorta.
Marco le sorride, felice di poter capire ogni volta che lei è sua, che ha lui nel cuore, e di slancio la bacia teneramente, stando attento a non pesarle.
Non credeva che si sarebbe mai comportato così, che si sarebbe piegato così duramente ad un sentimento che ha sempre trovato stupido, da mammolette. Invece eccolo lì, steso sul corpo della stravagante trovatella che ha visto crescere, che lo ha desiderato da sempre, che lo ama incondizionatamente. E che a sua volta ama. Non gliel'ha detto, non ne è capace, ma è sicuro che anche lei lo sappia, che lo abbia intuito dai suoi gesti attenti, dalle sue premure, dalla delicatezza con cui la tocca e la dolcezza con cui posa le labbra sulle sue.
«Te lo prometto.» mormora contro il suo orecchio, facendola sorridere raggiante.
Akemi sguscia da sotto al suo corpo, coprendosi con la sua camicia abbandonata ai piedi del letto.
Cerca freneticamente la polaroid ritrovata durante l'attacco sotto lo sguardo attento e divertito del comandante e, quando finalmente riesce a trovarla, torna di corsa nel letto, stringendolo forte a sé.
Porta poi un braccio in alto, l'obbiettivo rivolto verso di loro, e il dito preme sicuro, immortalando così quel momento di pace e tenerezza.
«Ma che diavolo fai?» le domanda Marco, stupito da quel gesto così infantile e sciocco. Si era quasi scordato di come fosse veramente, di quanto fosse imprevedibile e giocosa, di come i suoi occhi s'illuminano nel vederlo e del suo sorriso da bambina. È proprio grazie a quest'ultimo che non riesce a prendersela, ma che anzi lo spinge a prendere quella fotografia scattata a tradimento e ad osservarla.
Un bacio rubato, il suo sorriso appena accennato. La conserverà, per sempre.
«Adesso te ne faccio una io.» afferma sicuro Marco, inginocchiandosi sul letto e strappandole di mano quell'oggetto fastidioso di cui dovrà sbarazzarsi alla svelta. Conoscendola, infatti, sa bene che potrebbe usarla contro chiunque, scattando fotografie scomode che userebbe per ricattarli. Si, è decisamente far sparire la polaroid.
Akemi non riesce a smettere di ridere allegra, costretta a provare a soffocare tutto quel rumore contro le lenzuola, che a malapena coprono il suo corpo segnato da scontri e inchiostro.
Ed è proprio così che Marco la immortala: allegra, infantile... lei.
Terrà anche quella foto, nascosta tra i suoi vestiti e le sigarette.
La terrà con sé e la guarderà ogni volta che dovrà stargli lontano, che dovranno separarsi.
La guarderà e lei sarà al suo fianco.

L'oscurità è calata velocemente, portando con sé il carico di pioggia che Akemi aveva avvertito avvicinarsi durante il pomeriggio.
Il mare è in tumulto, le onde si infrangono violentemente contro i fianchi della nave, facendola ondeggiare.
Il cielo viene squarciato all'improvviso da un lampo, e fortissimo rintrona.
Nella sala mensa, tutti cenano tranquilli, cercando di non badare a quell'assordante tempesta che sicuramente lì terrà svegli buona parte della notte.
Satch in particolare pare scocciato da tale avvenimento, dal momento che dovrà fare la guardia e che nessuno dei presenti gli darà mai il cambio. Oltre a questo, poi, è sicuro che quella notte Mimì non verrà. Non si presenta mai con il mal tempo, quasi ne fosse intimorita.
Come ormai succede da una settimana, Akemi continua a mangiare in fondo al tavolo, lontana dagli altri. Se quel pomeriggio la situazione pareva essere migliorata, adesso è di nuovo in crisi: i dolori sono riapparsi, ancora più intensi del solito, e la testa pare scoppiarle.
Halta ha avuto il coraggio di mettersi vicina a lei, senza però avere la possibilità di parlarle. Vorrebbe, eccome se vorrebbe, ma si rende conto che la corvina non è assolutamente in vena di scambiare due chiacchiere.
La osserva di sottecchi mentre giocherella con cibo, formando lentamente un piccolo ma ben preciso disegno al centro del piatto: un piccolo drago a due teste in mezzo ad un cerchio.
Akemi non ha idea del perché lo abbia disegnato, e non ha alcuna intenzione di scoprirlo. Il dolore alla testa è così forte che l'unica cosa a cui riesce a pensare è di sbatterla contro un palo appuntito e far così uscire tutto il dolore che la sta mandando al manicomio.
Marco di tanto in tanto le lancia qualche fugace occhiata, cercando al contempo di prestare attenzione alle chiacchiere dei compagni riguardanti l'improvviso calo di omicidi che si è venuto a verificare negli ultimi tempi, come se gli assassini si fossero nascosti, rinunciando così a completare il disegno che avevano sicuramente in mente.
Ma Marco non è stupido e sa bene che stanno solo aspettando. Cosa non lo sa, non ne ha idea, ma sa che dietro a tutto quel caos e a quella morte c'è qualcosa di più grande e, sicuramente, raccapricciante.
«Akemi...?» Halta guarda la sorella con sguardo spaventato, facendo saettare gli occhi dal suo capo chino alle piccole gocce nere che colano nel suo piatto, imbrattando il drago di carne che ha creato.
Akemi non la sente. Le sue orecchie non riescono a catturare i suoi come sempre, gli odori le arrivano distorti alle narici. Tutti i suoi sensi si stanno offuscando, lasciando così modo a quell'orribile bestia di raggirarla.
Pure la guardia di Týr è drasticamente calata. Un dolore lancinante infatti non gli permette di concentrarsi come dovrebbe, di cacciare quel mostro nelle tenebre in cui era riuscito a tenerlo fermo con tanto impegno. Il suo cuore morto e gelido sanguina, il suo corpo pare essere sul punto di esplodere tanta è l'energia che ha accumulato.
Sono come due bombe pronte ad esplodere, che attendono solo il momento più opportuno.
«Ti senti bene?» Satch, che ha udito la voce flebile ed incerta della comandante, si è alzato dal suo posto e ha raggiunto la corvina, mettendole una mano sulla spalla e cercando di riportarla alla realtà.
La ragazza, in tutta risposta, distrugge con la forchetta una delle due teste, riducendola ad una poltiglia.
Alza poi lo sguardo sul comandante, facendolo preoccupare di fronte ai rivoli densi di sangue che le colano dalle narici. Gli sorride debolmente un istante prima di chiudere gli occhi e far cadere la testa nel piatto, allo stremo delle proprie forze.
Alcuni dei presenti, incluso il capitano, si agitano di fronte a quella visione, ma Satch immediatamente calma le acque, dicendo loro che ha affrontato una giornata faticosa e che la battaglia è stata assai violenta per lei, rassicurandoli.
Non avrebbe mai pensato di mentire così spudoratamente alla sua famiglia, Satch, ma non vuole che si preoccupino in una serata come quella. Perché il quarto comandante sa bene che nelle notti di tempesta l'attenzione deve essere alle stelle, che non possono permettersi errori che potrebbero risultare fatali.
Li rassicura che la porterà nella sua stanza e che avvertirà le infermiere, inconsapevole di quanto queste sue premure siano oltremodo sbagliate. Non sa che dovrebbe legarla nella stiva con tutti i pesi che hanno sulla nave, che dovrebbero puntarle delle armi da fuoco addosso e prepararsi a combatterla. Non sa che sarebbe meglio legarla con delle catene e buttarla in mare. Non lo sa e quindi la prende in braccio, impregnando le sue narici con il suo invitante odore, facendole sentire il suo ritmico battito cardiaco, il profumo della sua vita.
Nessuno sa quanto quei provvedimenti siano sbagliati, quando le loro vite siano in pericolo, ma presto lo sapranno.

Dove sei? Dimmi che sei qui, ti prego.
Dimmi che va tutto bene, che questo è solo una specie di ricaduta. Dimmi che presto aprirò gli occhi e starò bene, che potrò abbracciare i miei fratelli e dire loro che sto bene, che è stato un malore passeggero.
Dimmi che va tutto bene, che questo è solo un incubo.
Dimmelo, Týr. Tu mi rassicuri sempre, seppur a modo tuo. Mi dici sempre che le cose si aggiusteranno, che il mostro dormirà.
Ora vieni da me e dimmelo, ti prego.
Dimmi che lo stai tenendo fermo come avevi promesso, che non gli permetterai di uscire, di prendere la mia anima e di farla a brandelli.
Dimmi che mi proteggerai, che mi tirerai fuori da queste tenebre... che non mi darai in pasto all'uomo nero.
Týr, di scongiuro, vieni da me.
«Ragazzina...»
Týr! Týr, cosa ti è successo? Ti prego, dimmi che cos'hai!
Perché stai steso a terra? Perché tremi? Dimmi che scherzi, ti prego. Tu scherzi sempre, sei un provocatore. Vuoi solo spaventarmi, vero? Forza, scoppia a ridere!
«Ehi...»
Sei pallido. Più pallido. I tuoi occhi di ghiaccio sono cerchiati da occhiaie bluastre. Le tue labbra sono scure. I tuoi denti... i tuoi bellissimi denti. Perché sono diversi? Perché hai le zanne?
Dimmi che cos'hai, ti prego. Dimmi cosa ti fa star male.
«Non ce la faccio, non da solo...»
Perché non riesco a respirare? Ricordi, Týr? Tu mi hai detto che qui l'aria non serve a niente. Non devi respirare, Týr. Resta calmo, chiudi gli occhi e concentrati su qualcos'altro.
Pensa a Marco! Tu detesti Marco, fai sempre tante battute su di lui.
Pensa a tuo fratello! Parlami di lui, raccontami delle vostre avventure. Raccontami delle vostre battute di caccia, di quando ti ha insegnato a tirare con l'arco, di quando ti ha portato per la prima volta in un altro villaggio e ti ha fatto conoscere tante belle ragazze.
Raccontami, Týr. Non lasciarmi. Sto troppo male, non puoi lasciarmi sola!
«Devi riuscire a dormire...»
Non guardarmi con l'aria così afflitta, ti prego. Non puoi farmi questo.
«Sei davvero bella...»
Mi accarezzi la guancia... perché? Non sei mai stato così delicato con me. Non hai mai avuto tante premure nei miei confronti. Di solito mi prendi in giro, giochi con i miei difetti, me li fai apprendere. Poi scherzi, scherzi su tante cose macabre. Ma non accarezzi.
Poi non mi baci sulla fronte. Lo hai fatto una volta, e non mi hai mai spiegato perché lo hai fatto.
Adesso non mi lasci. La tua mano fredda sulla mia guancia, la pelle dura come se fosse di pietra. I tuoi occhi chiusi, stretti. Il tuo bel viso contratto in un'espressione dolorosa, mentre l'oscurità ti avvolge lentamente, inghiottendoti.
Le tue labbra sono l'ultima cosa a sparire, l'ultima cosa a lasciarmi.
Il dolore è troppo. Mi sento morire...
Salvatemi, vi prego.

 
Si rivolta nel letto per l'ennesima volta, artigliando con violenza le coperte leggere, lacerandole.
Qualcosa dentro di lei si muove, lo sente distintamente.
'Il mio lato oscuro...'
Una scossa le attraversa la spina dorsale, su fino al cervello, folgorandola.
'L'ho tenuto sigillato così a lungo, nascosto e chiuso a chiave dentro di me...'
La gola le brucia, come se ci fossero dei tizzoni ardenti nell'esofago che quasi le impediscono di respirare.
'Ma non posso controllarlo...'
Si butta giù dal letto, priva di energie, trascinandosi strisciando sulle assi di legno fin davanti al proprio specchio. Si fa forza, artigliando la parete e alzandosi a fatica, fissando gli occhi nella sua immagine riflessa. Le sembra così diversa... orrenda.
'Sento la rabbia e non riesco più a resistere.'
Graffia il muro, lasciando dei profondi solchi. I suoi artigli sembrano più forti, lunghi e affilati del solito. Sembrano pronti a dilaniare, a smembrare.
'Si sta svegliando e non posso controllarlo!'
Si trascina fino al letto, buttandosi in ginocchio e strappando l'asse che tiene nascosto il suo segreto, distruggendola irrimediabilmente. Ma la scorta è finita, e la rabbia sale ancora.
'È nel mio corpo... nella mia testa!'
Stringe con violenza le mani attorno al testa, quasi con l'intento di spaccarsela per far fuoriuscire quella rabbia incontrollabile che le sta offuscando la vista, che le sta logorando l'anima.
'È appena sotto la pelle...'
Prende il coltello abbandonato sul comodino e poggia le spalle contro il letto. Preme la fredda lama sulla candida pelle. Basta una lieve pressione e il sangue sgorga denso e vischioso, di quel colore per lei ipnotico. Ha letto da qualche parte che qualche tribù antica usava tagliarsi per far uscire gli spiriti cattivi, e non riesce a pensare ad altra soluzione per far uscire quello che è dentro di lei.
Ma le ferite si rimarginano subito, la rabbia aumenta, il corpo è scosso da brividi acuti e dolorosi.
'Non c'è via di fuga per me.'
Il coltello le scivola dalle dita, la testa diventa pesante e crolla all'indietro.
'L'incubo è appena iniziato... e nessun può sentirmi urlare.'
Il suo cuore vibra, le ossa le fanno male, la pelle si tende e i denti sono rasoi acuminati.
'Vuole la mia anima!'
Dei passi dall'esterno sovrastano -almeno per il suo udito- il rumore del mare agitato, invitanti come l'odore che il suo olfatto cattura. La sua attenzione è alle stelle, il suo istinto si riaccende, gli occhi privi di vita puntano la porta. Il corpo trova una nuova forza, si muove contro la sua volontà.
'È dentro di me...'
Afferra piano la maniglia, esce furtivamente dalla stanza, spinta da quell'oscurità che serpeggia nel suo cuore.
L'aria della notte le carezza la pelle, gocce fredde di pioggia le bagnano il viso, ma l'unica cosa che riesce a sentire è quell'odore seducente che subito segue.
Si avvicina con passo felpato.
La preda non si accorge della sua presenza.
Le labbra si tendono in un sorriso sadico, mostrando i denti di un predatore, aguzzi e affilati come lame, di un bianco accecante in perfetto contrasto con la pelle nera.
Si muove, veloce e senza emettere il minimo rumore, come un fantasma.
È vicina, troppo.
Il corpo si appiattisce al suolo, gli occhi osservano quel corpo che si muove calmo davanti a sé, sente il battito del suo cuore che batte ad un ritmo ipnotico e bellissimo, l'odore della sua vita è incantevole e appetitoso.
Un ringhio le risale per la gola, incontrollato.
La preda si gira, sgranando gli occhi per la paura nel vedere la persona che ha visto crescere saltargli addosso.
'Fermate questo mostro!'
Un grido acuto carico di tormento squarcia l'aria, facendo svegliare l'intero equipaggio.
L'angoscia le riempie il cuore mentre il corpo continua a muoversi, gli artigli a recidere e i denti a strappare lembi di carne.
'Cosa ho fatto?'
 


*L'uomo nero non è morto, ha gli artigli come un corvo, fa paura la sua voce, prendi subito la croce. Apri gli occhi, resta sveglio. Non dormire questa notte!
(Come non citare la dolce canzoncina di Freddy? :3 Il mio più grande incubo da piccina, perché mio fratello mi disse che era vero!)


Angolo dell'autrice:
Ce l'ho fatta! Cazzo, si! (scusate la volgarità gratuita, ma mi stavo mangiando le mani dalla voglia di pubblicare questo capitolo!)
Allora? Che ve ne pare? Curiosamente questa volta mi piace! ♥ (Di conseguenza, a voi farà schifo. Deve essere così per forza!)
La storia dei compartimenti e dei vascelli è sicuramente troppo, ma considerate le dimensioni della Moby Dick e il fatto che ospiti circa milleseicento uomini (molti dei quali di dimensioni assai considerevoli), ho pensato che potesse anche starci.
I compartimenti stagni mi sono stati suggeriti da Yellow Canadair, perché io ero completamente nel panico. Quindi, mia cara, grazie ancora di cuore! Se non era per te, tutti a nuoto!
Akemi che si da ai #selfie? AHAHAH! Ci stava troppo bene, ce la vedevo alla grande! Vanitosa com'è! ;) Povero Marco che poi è costretto a subire la stessa sorte! Fenice, ti ho nel cuore! Però, dai... è dolcino :3 Un ultimo sprazzo di amore e gioia prima della tempesta ci voleva. Sennò alla fine pare che questi litigano e basta. Poveri piccoli idioti ♥
Satch e Akemi finalmente (hanno litigato lo scorso capitolo e basta, ma noi trascuriamo questi dettagli) fanno pace e tornano più vicini, anche se per poco. Povero il nostro Satch... >.<
 
Un grazie di cuore a Aliaaara, Portgas D SaRa, ankoku, Law_Death, KuRaMa faN, Okami D Anima, Keyra Hanako D Hono, Monkey_D_Alyce, Chie_Haruka, Phoenix_Sarah e Yellow Canadair per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo! Siete davvero troppo gentili, grazie mille! ♥
 
Spero di riuscire ad aggiornare il prima possibile, perché adesso si entra nella parte delicata della storia!
A presto, un bacione
Kiki ♥

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Capitolo 27
*** 27. Salvataggio in extremis ***


Piccolo avvertimento: vi ho fatto prendere un colpo con lo scorso capitolo, eh? :D Beh, mi fa piacere annunciarvi che non è la vittima ad essere morta (mutilata si, ma morta no), ma bensì altre due “persone”. Presto immagino che vi sarà tutto più chiaro, sennò vi darò delle delucidazioni più che volentieri :)
Comunque presto della gente morirà... giustamente. :D
Vi auguro una buona lettura!

 
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Quando su una nave pirata si sente un compagno urlare nel cuore della notte, si pensa immediatamente ad un attacco a sorpresa, un arrembaggio da parte di una ciurma forte e temibile o, ancor peggio, della marina.
Anche Marco lo ha pensato quando ha sentito lo straziante urlo di uno dei suoi compagni e subito è scattato in piedi, come se non fosse mai andato a dormire, pronto a dar man forte e respingere il nemico.
Ha anche commesso un gesto che mai avrebbe pensato di compiere: prima di correre sul ponte, prima di controllare cosa fosse successo, si è precipitato verso la cabina della compagna. Un azione dettata dal cuore, che improvvisamente ha sopraffatto la ragione.
È corso da lei, e la sua stanza era vuota.
Il cuore ha cominciato a battere come impazzito nella sua cassa toracica, l'idea che le fosse successo qualcosa di brutto è diventata insopportabile tutto in un colpo, così è corso fuori con gli altri. Li ha seguiti, spintonandoli per poter stare in prima fila e difenderli, cercandola, senza però riuscire a trovarla.
Adesso, nel toccare i corpi dei compagni per spostarli dal suo tragitto, si domanda cosa possa spaventarli tanto da rendere i loro muscoli così tesi, cosa li abbia paralizzati in quel modo.
Alla fine della sua corsa, però, si è trova davanti Teach. Sta steso a terra in preda all'agonia, una mano che tasta disperatamente la spalla dove prima era attaccato il braccio sinistro.
Il sangue sotto di lui si allarga sempre di più, e a poco serve la pioggia battente. È così tanto che solo con uno straccio e tanta forza potrà essere tolto dal pavimento.
Satch si è già precipitato a soccorrere l'amico, tamponandogli il moncherino con la camicia, urlando disperatamente ai compagni di aiutarlo.
Lui non sa cosa è successo. Stava camminando, controllando distrattamente il circondario, pensando al ritrovamento avvenuto quel pomeriggio, e di colpo ha sentito il compagno urlare come un disperato. Quando si è voltato, però, l'uomo era già a terra senza un braccio, in un lago di sangue.
I presenti prestano soccorso come possono, guardandosi attorno senza capire chi sia il colpevole. Non avvertono alcuna presenza estranea, non trovano alcuna traccia.
Mentre molti si affrettano a soccorrere Teach, altri rimangono immobili a protezione del capitano, pronti a difenderlo con le unghie e con i denti se necessario.
Halta, a difesa del capitano, sente un orrendo presentimento montarle velocemente nel cuore. Si è accorta della mancanza della sorella, della similitudine della ferita di Teach con quelle che infligge ai nemici, dell'artigliata che solca il pavimento.
«Fate largo!» urla disperatamente Satch, afferrando come meglio può Teach, in stato di shock. Continua a dimenarsi, a provare a difendersi con il braccio rimanente, ma i suoi movimenti sono resi goffi dalla paura, le sue parole sono confuse e senza senso. Alcuni sono riusciti a capire solo “uomo nero”, ma non ci badano molto. Quando si è in stato di shock, in fondo, si tende a dire un sacco di sciocchezze.
Quando però in aria li leva un ringhio profondo e animalesco, tutti si bloccano, primo tra tutti Teach, che prima di essere attaccato aveva sentito quel suono. Il suo corpo comincia a tremare ancora più forte, il cuore gli batte così forte che rischia di esplodergli nel petto da un istante all'altro.
Si voltano piano, scrutando con attenzione il circondario, senza però riescere a scorgere niente di anomalo per colpa dell'oscurità della notte e della fitta pioggia.
Quando però un lampo squarcia violentemente il cielo, finalmente lo vedono: una figura completamente nera dai tratti bestiali, le ossa sporgenti e i muscoli eccessivamente sviluppati, con artigli lunghi una decina di centimetri e candide zanne affilate. In bocca tiene stretto l'arto mancante di Teach, ormai ridotto all'osso.
Rimangono tutti immobili, cercando di capire cos'hanno di fronte, ma si trovano costretti a ridestarsi di colpo quando il mostro apre la bocca, facendo così cadere il pasto a terra.
Sguainano tutti le proprie armi, delle fiamme rosse e blu si levano in aria, inconsapevoli di quanto questo gesto sia stupido.
Esiste infatti un'unica regola per poter sopravvivere contro creature come quella, ma nessuno se la ricorda mai quando se li trovano di fronte, e per questo la conoscono in pochi: mai mostrarsi aggressivi, perché un immortale non tollera le minacce.
Ace è il primo a scattare contro la creatura, ma a questa non gli ci vuole niente ad evitarlo. Si butta a terra velocemente, appiattendosi al suolo e scattando immediatamente di lato per rintanarsi nell'ombra.
Scattano tutti quanti, pronti ad uccidere quella bestia notturna e rispedirla all'Inferno da cui è uscita, ma i suoi movimenti risultano troppo veloci per loro. Non avere la possibilità di prevederne le mosse con l'Haki risulta inoltre incredibilmente svantaggioso, tanto da metterli in seria difficoltà.
Pure Barbabianca si appresta a dar man forte ai figli e a trafiggere il mostro non appena questo gli si para minacciosamente davanti, rimanendo di sasso quando questi lo salta con un balzo per poter atterrare l'adorata figlia alle sue spalle.
La blocca a terra con una velocità tale che nessuno riesce ad impedirlo, ma i riflessi di Halta non la tradiscono neanche questa volta: prima che la creatura riesca ad azzannarla alla gola, alza di scatto la mano sul suo muso allungato, mostrandogli con il palmo aperto il ciondolo d'argento che mesi prima gli fu regalato da Akemi.
Glielo mostra e nota senza sorpresa che la bestia scatta via, dandole così modo di rimettersi in piedi. Non può però fare un passo oltre o gridare agli altri di fermarsi che il capitano l'afferra per una spalla e la spinge indietro, facendola cadere a terra.
La bestia sale sempre più in alto arrampicandosi sull'albero di mezzana con l'aiuto degli artigli. I vari proiettili che la colpiscono sembrano non darle alcun problema, neanche quelli che le trapassano il cervello da una parte all'altra. Le ferite si rimarginano così velocemente che non ha proprio il tempo di perdercisi dietro.
Marco tenta il tutto per tutto prima che possa dileguarsi nel niente e gli vola dietro, caricando un calcio con tutta la violenza e forza di cui dispone, e non appena gli si trova attiro lo sferra, colpendo il nemico nella schiena.
Però, malgrado sia riuscito nel suo intento, si trova improvvisamente privo di forze e di colpo realizza che sta precipitando. Il panico sale di colpo quando si accorge di non essere in grado di usare le sue fiamme, e un dolore improvviso al fianco lo fa urlare con tutta l'aria che ha nei polmoni.
Jaws riesce a prenderlo al volo, poggiandolo immediatamente a terra mentre questi urla come un indemoniato, irrigidendo i muscoli mano a mano che i secondi passano.
Un graffio svetta sul suo fianco, profondo e scuro, da cui sgorga del sangue denso, ma nessuno dei presenti sa che tamponandogli la ferita permetteranno semplicemente alla tossina lasciata dagli artigli della creatura di circolare più velocemente.
Nessuno, eccetto Halta. Lei ricorda che la sorella le disse qualcosa a riguardo e di conseguenza si lancia su Marco, spingendo via con violenza tutti coloro che lo hanno accerchiato per aiutarlo. Afferra poi una spada abbandonata al suo fianco e gli recide la carne, provando a far fuoriuscire più sangue possibile per disintossicarlo, rendendosi però conto che ormai è inutile: la tossina ha fatto il suo effetto, Marco non riesce a muoversi.
Calde lacrime le bagnano le guance, confondendosi con le fredde gocce d'acqua che inesorabili continuano a scendere. Una profonda rabbia le sale nel cuore, tanto potente da costringerla a scattare in piedi e correre alla cieca alla ricerca del mostro.
«HALTA!» la richiama Izo, allungando un braccio verso di lei, senza però venire ascoltato.
Molti altri si mettono in moto per dare man forte alla coraggiosa comandante, dirigendosi in ogni direzione per riuscire ad intrappolare la bestia che solo lei è riuscita ad allontanare.
I feriti vengono portati d'urgenza in sala operatoria dai compagni, incapaci ci capire come possano le loro condizioni essersi aggravate così tanto in pochi minuti. L'emorragia di Teach, infatti, pare essere impossibile da arrestare, il danno subito è più grave di quanto non appaia, mentre Marco viene intubato immediatamente affinché riprenda a respirare in seguito ad un arresto respiratorio. Passano poi alla sua ferita, che in pochi minuti pare essersi infettata gravemente, emanando un odore forte simile a quello di un cadavere in putrefazione.
Il pavimento è ricoperto di stracci insanguinati, le infermiere sudano freddo per la paura di perdere i compagni. S'impegnano con tutte sé stesse, tamponando, ricucendo, iniettando antidolorifici inefficaci e medicinali insufficientemente potenti per alleviare i loro sintomi.
Nessuno ha ancora capito cosa fosse quella creatura, perché li abbia attaccati e da dove provenisse. Uno di loro ha pure dato l'allarme che Akemi è sparita e che nella sua stanza ha ritrovato stracci impregnati di sangue e strane tracce che sembrano testimoniare uno scontro, e il panico dentro di loro è salito ancora di più.
Solo Halta ha capito.
Solo lei sa che quel mostro dalla pelle nera e gli occhi inespressivi altri non è che Akemi.
Solo lei si è resa conto che quella creatura assetata di sangue è il mostro che la ragazza diceva di avere dentro. Mostro che è riuscito a liberarsi prepotentemente dalle sue catene, scatenando tutta la sua ira.
Seppur a fatica, è riuscita a seminare i compagni che tanto le stanno sul fiato sul collo, riuscendo pure a raggiungere la cabina di Marco.
Sapeva di partenza che l'avrebbe trovata lì dentro. Le è bastato vedere il barlume di lucidità in quelle palle nere senza vita per rendersi conto che la sua mente aveva prevalso sul mostro quando si era rigirata contro Marco, ferendolo gravemente.
«Akemi...» mormora con un filo di voce, guardandola con timore, mentre nuove lacrime le rigano le guance.
Lei è lì, accucciata su sé stessa. Trema come mai aveva fatto prima, tenendosi le ginocchia contro il petto.
I vestiti fradici di acqua e sangue sono stati strappati violentemente e abbandonati a terra, come per liberarsi di quel peso insopportabile, inutilmente: il sangue di cui si è macchiata ancora le imbratta la pelle bianca e fa cantare le sue papille gustative.
Si alza a fatica in piedi, spaventata da sé stessa. Guarda la sua migliore amica dritto negli occhi, senza emettere un suono. Non sa cosa dire. In realtà, non c'è niente da dire.
Nella sua mente è ancora chiara l'immagine del suo corpo che si muove contro la sua volontà e le fa attaccare i tanto adorati compagni. Sente ancora il sapore dolce del sangue di Teach bagnarle le labbra, la consistenza della sua carne morbida che si frantuma sotto alla pressione esercitata dalla sua mascella.
Una lacrima scarlatta le riga la guancia e, senza dire una parola, si volta, dando le spalle ad Halta.
Apre l'oblò lentamente, sperando con tutta sé stessa che l'adorata sorella trovi la forza necessaria per decapitarla, ponendo fine all'agonia che le sta attanagliando il cuore.
Dentro però, sa bene che non lo farà mai. Ed è proprio per questo che si siede sull'oblò con le gambe penzoloni dalla nave.
Halta sente le gambe farsi improvvisamente molli, come se le ossa si fossero disintegrate di colpo. Il respiro le muore in gola, così come l'urlo disperato che vorrebbe lanciare per fermarla.
Vuole che si fermi, che ne parli con gli altri. Se si batterà con tutta sé stessa, magari riuscirà a ridurle la pena, a far capire agli altri il perché dell'accaduto, a far tornare le cose com'erano. Almeno, questo è quello di cui sta cercando di convincersi con tutte le sue forze.
«Aspetta...» vorrebbe urlare Halta, ma tutto quello che esce dalle sue labbra è un flebile sussurro, una preghiera appena udibile.
Akemi si volta e la guarda un'ultima volta con il cuore a pezzi, imprimendosi nella mente ogni singolo dettaglio del suo volto sconvolto.
La guarda, implora silenziosamente il suo perdono e poi, semplicemente, si butta giù. Si butta da un'altezza che le pare infinita, mentre nella sua mente scorrono come un fiume in piena i volti sorridenti dei fratelli che tanto ama, tutti i loro momenti. Pensa al sorriso dolce di Marco, ai loro baci. Ci pensa e di colpo il viso che tanto ama s'irrigidisce in una smorfia di dolore, la stessa che ha fatto quando l'ha colpito.
L'acqua gelida l'avvolge, facendole provare una sensazione simile a mille coltellate, e immediatamente riemerge, sforzandosi con tutta sé stessa di rimanere a galla, combattendo la corrente e le mostruose onde che provano a travolgerla.
Nuota. Nuota con tutta la forza che ha nelle braccia e nelle gambe, annaspando in cerca d'aria.
Piange disperata, urlando il suo dolore a quel mare in tempesta, a quella Luna che beffarda continua a fissarla.
'Týr... dove sei?!'
Continua ad invocarlo nella sua mente, faticando come mai in vita sua per riuscire a combattere la furia del mare, deciso ad inghiottirla. Ma lui non risponde.
Da quando si è svegliata si è completamente ammutolito, lasciandola sola come non lo era mai stata. E per questo si sente ferita. Sente di essere stata abbandonata di nuovo.
Ma lo perdona. Lo perdona immediatamente, capendo il perché l'abbia abbandonata pure lui, perché abbia deciso di rompere ogni contatto.
'Sono un mostro...'
La sua forza e determinazione lentamente scivola via, impedendole di rimanere a galla per più di pochi secondi.
'Hai fatto bene, Týr. Per quanto tu ti sia dimostrato spregevole in più di un'occasione, sono certa che non avresti mai attaccato una persona che reputavi importante.
Non merito le tue attenzioni, le tue parole e i tuoi incoraggiamenti. Non merito di starti vicina e potermi definire tua amica... però grazie. Grazie per il tempo che mi hai concesso, grazie per non avermi abbandonata nei momenti più critici, grazie per avermi ascoltata, grazie per avermi fatta ridere... semplicemente grazie di esserci stato.
'
Con la coda dell'occhio si accorge di una luce in lontananza, come quella di un faro, e a fatica fa qualche bracciata per raggiungerla, venendo però inghiottita da un'onda. La tira giù, la strattona, la costringe ad ingoiare una grossa dose di acqua salata, ma non riesce a costringerla a restare giù.
Non appena riesce ad emergere, impiegando tutte le ultime energie che le rimangono in corpo, vede l'ombra di una grossa nave da guerra avvicinarsi, cavalcando quelle onde indomabili, resistendo alla loro potenza distruttiva. Sa bene che potrebbero essere nemici, che potrebbe trattarsi benissimo di una nave della marina, ma non le importa. Quella nave è la sua ultima speranza di poter continuare a vivere, per poter vegliare sulla sicurezza della sua famiglia.
Il cuore le si riempie di una nuova speranza, ma non riesce a fare in tempo ad alzare un braccio o ad urlare che una nuova onda la travolge in pieno.
Va sotto la superficie, troppo sotto. L'acqua le riempie velocemente la bocca, scendendo dolorosamente in gola. Non può respirare, e i polmoni continuano ad implorarla di essere riempiti di ossigeno. Sente la testa esplodere, gli arti faticare sempre di più per provare a riemergere.
Le potenti correnti subacquee la sballottano da una parte all'altra, e la consapevolezza che su quella nave non hanno neanche fatto in tempo a vederla diventa sempre più paralizzante.
Nessuno sa dove si trova, nessuno può aiutarla.
Era convinta di poter contare solo sulle proprie forze, di essere capace di riuscire a stare in piedi sulle proprie gambe, ma di colpo si rende conto che quelle gambe che credeva tanto forti sono in realtà fatte di carta e che le basta una leggera folata di vento per cadere a terra.
Le sue speranze si frantumano quando la grossa nave le passa sopra senza che abbia la possibilità di farsi vedere. Passa e la supera, continuando la sua traversata, e lei si lascia completamente andare.
La rabbia che ringhiava nel suo cuore si quieta, così come la paura che quasi la paralizzava. Non prova semplicemente niente.
Sapeva che presto o tardi sarebbe arrivata la sua ora, che probabilmente sarebbe stato doloroso come meritava, e lo accetta.
Si era sempre ripetuta coraggiosamente che tutti, presto o tardi, lasciano questo mondo doloroso, diretti in un posto sicuramente migliore. Ultimamente aveva pure abbracciato l'idea che questo “posto migliore” non le sarebbe stato concesso e, dopo averne parlato con Týr, si era fatta promettere che si sarebbero ritrovati negli inferi e che avrebbero messo a ferro e fuoco quel posto tanto temuto, così come avrebbero voluto fare nel mondo attuale, tanto spregevole e falso.
Si lascia completamente andare, il corpo molle che si lascia trasportare dalle onde, l'oscurità più assolutamente che l'avvolge.
I suoi occhi si aprono per un breve istante. La sua mente è lucida per un ultimo istante prima di inspirare una nuova boccata d'acqua, incapace di restare ancora senza ossigeno, e una figura le si avvicina a grandi bracciate.
'Il Tristo Mietitore...'
Le palpebre diventano insopportabilmente pesanti, tanto che la sua volontà di vedere la Morte in faccia prima di morire viene completamente sopraffatta dalla voglia di dormire. Ed è così che, senza neanche rendersene conto, entra nella fase apnoica, dove il corpo entra in una fase di morte apparente con perdita di conoscenza e arresto definitivo del respiro.
Ed è un peccato che i suoi sensi si spengano proprio in quel momento, perché sennò avrebbe scoperto quando è bello il viso della Morte, quanto il suo corpo sia possente e con quanta forza si stia dibattendo in quelle acque per riportarla in superficie.
È un peccato perché non può vedere quanti aiutanti ha sulla sottile imbarcazione, pronti a guidarla verso il Regno Immortale.
È un peccato perché non può sentire la consistenza dei muscoli della Morte che tanto gelosamente la stringe a sé e con quanta energia la richiama, scuotendola appena, impedendole sempre di immergere di nuovo la testa.
È un peccato che l'unica cosa che riesca a vedere sia il viso di un'estranea a pochi centimetri dal suo quando gli occhi si aprono.
La gola le brucia insopportabilmente mentre l'acqua esce fuori violentemente. Il cuore le rimbomba nelle orecchie. Tante voci si sovrappongono attorno a lei, mandandola nel panico.
Non riesce però a muoversi o a gridare. Una mano si poggia delicatamente sulla sua bocca e un ago entra nella sua pelle candida, iniettando dritto in vena un liquido scuro.
«Che cazzo fai?!» quella voce maschile le è familiare, ma non riesce ad associarla ad un volto. Non riesce neanche a respirare correttamente, cosa che le impedisce di identificare chi la circonda.
Se ci riuscisse, in realtà, sarebbe assai peggio per lei, perché riconoscerebbe le prime due persone che in vita sua l'hanno terrorizzata a morte: Freki e Geri, in piedi in mezzo a quella mischia di estranei.
Il primo si tiene le braccia possenti attorno al corpo per infondersi un po' di calore dopo il poco desiderato tuffo in mare, mentre il secondo continua ad allungare il collo per poter vedere quanto sia cambiata la creatura che con poche energie continua a dibattersi sul ponte dell'imbarcazione di Rin, l'infermiera improvvisata che adesso sta tenendo sotto controllo il suo battito cardiaco.
«Lorazepam e cinque gocce di aconito.» lo informa con tono duro, scostandosi una ciocca di capelli corvini da davanti agli occhi a mandorla.
Avvicina cautamente il viso roseo a quello pallido dell'immortale stesa di fronte a sé, sentendo con sollievo il suo respiro regolare sulla pelle.
«Dobbiamo portarla viva, ricordi?» le ringhia contro Genma, sempre al fianco di Freya.
La bionda guarda con aria scocciata la ragazza che ora riposa incurante di ciò che la circonda, desiderando con tutta sé stessa la sua fine. Non riesce ancora a capacitarsi che tutte le loro energie siano sprecate in maniera così inutile per una creatura incapace di stare al mondo da sola.
'Spero solamente che ci torni utile come dicono.'
«Questo non la ucciderà, credimi. Serve solo a tenerla calma e priva di sensi fino a domani mattina.» risponde piccata Rin, alzando lo sguardo sul ragazzo.
Lo guarda con disprezzo, non riuscendo a capire per quale ragione gli venga data sempre tanta fiducia. Lui, esattamente come qualunque altro maschio vicino alla donna di cui è innamorato, rimane sempre un deficiente incline ad attacchi di rabbia incontrollabili, diventando così un soggetto troppo imprevedibile.
«Se l'ammazzi-»
«Tranquillo, la tua bella testolina non finirà su una picca!» lo interrompe bruscamente, scattando in piedi e snudandogli le zanne a pochi centimetri dal viso, ricomponendosi non appena il ragazzo indietreggia intimorito «Mimì ha dato un'occhiata alle sue cartelle cliniche in una delle sue visite notturne al pirata. So cosa faccio.» aggiunge subito dopo, abbassando di nuovo lo sguardo sulla ragazza.
«Pensi che andrà ad ucciderli?» domanda con vago interesse Geri, scostandosi con un movimento brusco del capo i capelli ramati attaccati alla fronte.
Una ragazza dai lucenti e corti capelli neri, riparata sotto ad un ombrello nero merlettato di bianco, fa un passo avanti, fissando con sguardo vuoto un punto ben preciso davanti a sé.
«Penso piuttosto che ucciderà noi.» afferma con tono dolce, reclinando un poco la testa di lato, attirando così l'attenzione dei presenti, che come una mandria di bufali si precipitano al parapetto, sgranando gli occhi di fronte all'imponente nave da guerra che si avvicina pericolosamente.
Riconoscono lo stemma con il meta-lupo grigio sulla vela. Riconoscono lo psicopatico che sta sulla prua, e la sua espressione piena di rabbia che li fa rabbrividire.
Insieme potrebbero dargli del filo da torcere, ma ucciderlo risulterebbe davvero ostico pure per loro. Solo con una buona dose di fortuna ci riuscirebbero, e adesso non hanno alcuna intenzione di sfidare la sorte tanto apertamente.
Hanno avuto quello che volevano, le loro vite potrebbero essere risparmiate. Meglio filarsela.
«Spiegate le vele! Motori al massimo e braccia ai remi!» urla Killian, con un nuovo fuoco ad animarlo dentro.
Corre al timone e lo gira al massimo, facendo imbarcare dell'acqua quando s'infrange contro un'onda.
Non ha paura del mare, per quanto questi sia impetuoso.
Non ha paura di Peter, per quanto questi gli sia superiore.
La consapevolezza di essere riuscito a batterlo, di avergliela portata via da sotto al naso, di avergliela strappata dalle braccia una seconda volta, lo riempie di una forza tale che è sicuro di poter fare qualsiasi cosa.
«Che cazzo fai?!» gli urla contro Freya, attaccandosi con gli artigli al parapetto per non essere sbalzata fuori dalla nave.
«Dobbiamo staccarli!» urla in risposta Killian, bloccando il timone e correndo a recuperare Akemi. La prende con forza tra le braccia e la molla tra quelle più muscolose e protettive di Freki, costringendolo a stringerla «Portala sottocoperta.» gli ordina con tono duro, tornando al timone.
«Co-»
«Quando sarà il momento, che non la prendano viva!» urla voltandosi di scatto, facendogli capire con una sola occhiata la sua determinazione.
Freki lo conosce da sempre, da quando ha mosso i suoi primi passi nel suo mondo, e mai l'ha visto così. Sa bene che quel fuoco che lo anima non può sopprimere la consapevolezza che la potenza dell'avversario è assolutamente imprevedibile, soprattutto quando ci sono tanti anni di buio a dividerli.
Annuisce piano e stringe le braccia attorno al corpo tremante della ragazza, venendo spintonato sottocoperta da Jena, la stessa ragazza che poco tempo prima aveva assistito allo scontro tra lei e Freya.
La guarda di sottecchi, Jena, e un profondo dispiacere le attanaglia il cuore. Sa bene cosa vuol dire dover abbandonare la propria famiglia, cosa si prova ad avere la consapevolezza di aver attaccato qualcuno a cui si vuole incondizionatamente bene, ed è per questo che sin dal principio era contraria ai piani del suo Signore.
'Dovevamo rapirla quando era ancora una lattante. Adesso sarà decisamente più difficile controllarla.'
Raggiungono velocemente l'unica stanza presente su quella piccola imbarcazione, e Freki lancia Akemi sul piccolo materasso cigolante abbandonato a terra. Sono partiti in fretta e furia, non hanno preso né cibo né acqua, figuriamoci se hanno perso tempo a risistemare l'imbarcazione per renderla più accogliente.
Il ragazzo si appresta a raggiungere di nuovo la porta per tornare dai compagni a dar man forte, fregandosene dell'ordine di Killian, venendo però bloccato dalla presa salda e sicura di Jena sul suo braccio.
Lo rigira come un bambino e comincia a togliergli frettolosamente la camicia, passando subito dopo a sganciargli in fretta e furia i pantaloni, facendolo ghignare divertito.
«Non mi pare il momento per scopare, sai?» la sfotte prontamente, bloccandole le mani e guardandola con la solita strafottenza che lo ha sempre contraddistinto.
«Idiota, devi scaldarla!» gli ringhia contro la ragazza, liberandosi dalla sua presa e apprestandosi a coprire il corpo nudo di Akemi con una logora coperta abbandonata in un angolo, usata in precedenza come “letto” improvvisato.
«Non morirà certo per il freddo.» commenta infastidito il moro, incrociando le braccia al petto e guardando le due con aria assai scocciata.
Lui è un guerriero, uno dei migliori in circolazione, e l'idea di essere usato come stufa lo irrita assai. È fuori il suo posto, insieme alle urla furiose dei compagni, dove la forza viene usata fino allo sfinimento.
«Se si sentirà disturbata, la bestia potrebbe svegliarsi di nuovo e noi ci troveremmo ancora più nella merda! Quindi fai come ti dico, brutta bestia rognosa!» gli urla contro la corvina, afferrandolo per le spalle e costringendolo con le cattive a mettersi al fianco della corvina.
Freki potrebbe tranquillamente ucciderla. Non gli ci vorrebbe assolutamente niente, solo un pugno ben assestato. Con la sua forza le frantumerebbe la testa, e fine della discussione.
A frenarlo sono solo gli ordini del suo Signore, che tempo addietro impedì ai due di staccarsi la testa a vicenda dopo l'ennesima rottura, causata da un nuovo tradimento da parte della ragazza. Ordinò loro di evitarsi, di combattere assieme se necessario, e da allora i due eseguono senza fiatare.
«Come saprò quando starete morendo tutti?» domanda con tono derisorio Freki prima che la corvina esca dalla stanza, sistemandosi il più comodamente possibile su quel piccolo materasso. Il corpo freddo di Akemi risulta profondamente fastidioso per lui, tanto da farlo ringhiare sommessamente quando deve stringerla per riscaldarla. È solo l'idea che sia completamente nuda a reprimere la voglia di spingerla via.
«Quando ci sentirai urlare.» risponde secca Jena, uscendo da quella camera spoglia per dirigersi di nuovo dai compagni che ancora faticano a seminare la nave avversaria.
Trova i compagni intenti a vogare con quanta più potenza hanno nelle braccia e subito si unisce a loro.
Una palla di cannone li sfiora, mancandoli per pochi centimetri, e il gruppo non può far altro che provare ad aumentare la velocità, domando a fatica quelle onde che sembrano stare dalla parte degli avversari.
La piccola imbarcazione regge a fatica lo sforzo a cui è sottoposta, senza però cedere alle intemperie. Non l'ha mai fatto in tantissimi anni di lunga carriera e non ha intenzione di cedere proprio adesso.
Genma e Freya sono gli unici a non remare, malgrado dispongano di una forza assai considerevole.
Il primo ha il compito di spargere una maleodorante sostanza scura screziata di verde nelle torbide acque, mentre la seconda è appostata al fianco di Killian e prova a respingere come meglio può gli avversari, armata semplicemente di un fucile di precisione. Perché lei, prima di ogni altra cosa, deve proteggere Killian. Se lui cadesse, rimarrebbe solo Freki a fare muro, e sa bene che l'altro non ha la sua stessa forza.
'Riportaci a casa, Titano.'
«Cosa ti mette di buon umore?!» gli urla sorpresa non appena nota il sorriso che gli piega gli angoli della bocca, ricaricando il più velocemente possibile il fucile.
«Che li seminiamo.» risponde secco Killian, girando il timore a tribordo, facendo infrangere la prua della nave contro l'ennesima onda.
«Rin!» urla a pieni polmoni non appena riesce a superare l'ostacolo, attirando l'attenzione della corvina.
«Di cosa hai bisogno?» gli urla di rimando, senza però lasciare ancora il proprio posto.
«Crea un vortice!» le ordina con voce dura, facendola scattare in piedi come una molla.
È l'unica cosa che non la rende completamente inutile, il suo unico asso nella manica e, francamente, non aspettava altro che usarlo.
Affianca Genma velocemente, estraendo dalla tasca un pugnale con cui si taglia la mano.
Le gocce scarlatte cadono nelle acque tempestose, e grazie a questo gesto può compiere il suo maleficio.
Pronuncia delle parole a mezza bocca, incomprensibili per il giovane al suo fianco, e quando il pagamento di sangue compiuto pochi secondi prima viene accettato, un enorme vortice si crea dietro di loro, costringendo i nemici a rallentare per raggirarlo, spargendo inoltre il liquido precedentemente disseminato ed espandendolo ulteriormente.
«Genma, adesso!» urla con tutto il fiato che ha nei polmoni Killian, facendo sorridere con aria diabolica il diretto interessato.
«Agli ordini...» mormora soddisfatto, afferrando l'unica lanterna presente sulla nave e lanciandola con una certa cattiveria in mare.
La piccola e debole fiamma a contatto con il liquido estremamente infiammabile crea immediatamente un alto fuoco verde smeraldo, illuminando quel tetro scenario.
Peter, dall'alto della sua postazione, ringhia imbestialito di fronte a quel loro piccolo stratagemma. Non credeva assolutamente che li avrebbe trovati sulla propria strada, e di conseguenza non aveva proprio preso in considerazione di trovarsi di fronte ad un ostacolo simile.
«Prova a prenderci, Peter!» gli urla contro Killian, scoppiando subito dopo in una fragorosa risata.
Peter guarda la nave su cui è custodita la creatura allontanarsi a grande velocità. Li guarda e capisce che non può recuperarli, non con una nave grossa e goffa come quella dei suoi alleati. Li guarda e si pente con tutto sé stesso per aver insegnato a quel bastardo traditore tutti i suoi segreti, per averlo reso il campione che è.
«Killian...» ringhia a denti stretti, venendo velocemente affiancato dalle tre bellissime e spietate donne con cui si accompagna ultimamente.
«Mio Signore...» mormora una, carezzandogli languidamente il petto. I suoi capelli rossi come il fuoco vengono scompigliati dal vento, rendendoli incredibilmente fastidiosi, e i suoi occhi smeraldini mostrano chiaramente quanto la sconfitta subita dal suo adorato Signore sia dolorosa.
«QUEL BASTARDO!!!» urla in preda alla collera Peter, spingendo in malo modo la rossa e facendola cadere a terra.
Le altre due, liete di questo gesto, gli sono subito addosso per poterne attirare l'attenzione, strusciandosi su di lui come gatte in calore.
«Sono solo dei traditori.» mormora la bionda, mordicchiandogli il collo pallido e forte.
Lei lo adora, in maniera forse più maniacale e contorta rispetto alle altre due. Sarebbe disposta a fare qualsiasi cosa per lui, anche la più folle e pericolosa.
La terza donna, forse la più bella del trio con i suoi ipnotici capelli blu notte e gli incantevoli occhi neri, si toglie la mantella dalle spalle, rivelando a tutti quanti il fisico scolpito e formoso. Si avvicina poi all'uomo e, dopo averlo preso cautamente per mano, lo spinge piano verso la porta della loro stanza.
«Lasciate che vi aiutiamo a rilassarvi, Signore...»
Nel frattempo, i vincitori esultano entusiasti, senza però diminuire neanche per un istante la velocità o abbassare la guardia.
Con quel trucchetto hanno guadagnato tempo sufficiente per staccarlo e sono ben consapevoli che non attaccherà mai da solo, ma la prudenza non è mai troppa. Soprattutto se il tuo avversario è Peter Bàthory, uno psicopatico violento, sadico e vendicatore conosciuto come il Flagello. Ecco, con lui la prudenza in realtà si rivela sempre poca, quindi è bene per le loro vite non decelerare neanche per un istante.
Rin continua a creare potenti vortici con il suo sangue come le ha insegnato tempo addietro la Strega, dal momento che si è dimostrata l'unica a riuscire a controllare l'elemento dell'acqua in maniera passabile, e Genma lascia una falsa traccia, aiutandosi con delle frecce infuocate. È ben cosciente che è un trucco sciocco e che li potrebbe ritrovare in un batter d'occhio, ma tentar non nuoce.
Killian e Freya, dopo aver bloccato il timone in modo da essere condotti verso Helheimr, si dirigono con passo lento verso i compagni, continuando a guardarsi attorno con aria circospetta. La tempesta per loro non è un grande problema, non limita le loro capacità come accade alla maggior parte di loro, ma è sempre un vantaggio per un attacco a sorpresa, e di conseguenza devono rimanere più attenti possibile.
«Tutto bene?» domanda Freya a bruciapelo, con un tono così basso che solo il diretto interessato possa udirla.
Killian non si volta neanche.
Per quanto sia felice di quella vittoria, per quanto sia fiero di sé stesso per essere riuscito in quell'impresa, nel suo cuore non riesce a stare calmo. Sa bene che Peter si vendicherà, che farà qualcosa in grande stile come solo lui è capace di fare, e questo non fa altro che metterlo sempre più in agitazione.
Non riuscirebbe a sostenere un altro colpo duro. La sua psiche già provata dai recenti avvenimenti non riuscirebbe a tollerare un'altra perdita.
«Prima era il turno di Duncan e Rin di riposare. Se lo vorranno, mandali pure giù. Gli altri, che restino di guardia con te.» ordina con tono duro, dando le spalle ai compagni e dirigendosi verso l'unica stanzetta presente su quella sottospecie di bagnarola, sorprendendo tutti quanti.
Non è mai stato un tipo particolarmente socievole, non con loro almeno, ma non si è mai comportato neanche in maniera così schiva. Almeno per i festeggiamenti o per sorvegliare in situazioni di pericolo rimaneva sempre.
«Dove vai?» gli domanda Momoko, con il solito tono calmo e dolce. Rema con una sola mano, in modo da poter tenere sempre l'adorato ombrello sopra la testa, malgrado ormai sia bagnata dalla testa ai piedi.
Tutti quanti la guardano infastiditi dai suoi modi, ma alla fine non le dicono niente. L'ultima cosa di cui hanno voglia in questi tempi burrascosi, sono le urla furiose di Arista perché qualcuno ha osato dare contro alla sua amata.
«A controllare che Freki non l'abbia ammazzata per divertimento.» risponde con tono infastidito Killian, facendoli sghignazzare.
«C'era da immaginarselo.» ringhia a denti stretti Freya, controllando attentamente il mare al fianco di Genma «Ora che abbiamo quella cosa non le si staccherà più di dosso.» aggiunge subito dopo, scostandosi una ciocca di capelli ribelli dal viso con un movimento stizzito «T'immagini se la volesse addirittura prendere in moglie?! Per tutti gli Inferi, sarebbe oltremodo ridicolo!»
«Se non ti conoscessi, direi che sei gelosa di lei.» la prende in giro il ragazzo, sorridendole divertito mentre lancia l'ennesima freccia.
La bionda lo fulmina con lo sguardo, digrignando i denti per la rabbia.
«Io? Gelosa di quella cosa? Ma non diciamo sciocchezze, Genma! Quella non sarà mai al mio livello, neanche tra mille anni!» sbotta acidamente, incrociando le braccia forti al petto e guardando da un'altra parte.
«Per ora ti è inferiore, questo non lo nego... ma la Regina non può volerla solo per capriccio, non credi?» la riprende immediatamente, facendola sbuffare esasperata.
Alla fine, però, decide di lasciar cadere la conversazione, più che consapevole della testardaggine della bionda. Se ormai si è convinta che la giovane ed instabile immortale che hanno finalmente catturato le è inferiore, sarà così fino alla fine dei suoi giorni.
Killian, nel frattempo, si è bloccato di fronte alla porta di quella stanza maledetta. Sente distintamente i battiti regolari dei due, i loro odori insopportabilmente mischiati, tanto da diventare un tutt’uno e creare così una nuova fragranza.
Apre poi di scatto la porta, e la rabbia gli invade completamente il cuore, accecandolo momentaneamente.
«Dal momento che sei qui, deduco che abbiamo vinto.» constata con una punta di divertimento Freki, giocherellando con i capelli neri e ormai quasi asciutti della ragazza che lo stringe con forza, quasi avesse inconsciamente paura di perderlo.
Killian si immobilizza completamente nel vedere il braccio esile e candido stretto attorno ai fianchi snelli e muscolosi dell'uomo. Poteva aspettarsi tantissime cose, prima tra tutte vederla aperta come un cane mentre veniva divorata da quella bestia infernale, ma di certo non poteva aspettarsi di vederla così stretta tra le sue braccia.
Quando poi si accorge della posizione della mano di Freki, poggiata con disinvoltura sulle sue natiche, i muscoli si contraggono tutto in un colpo, facendogli schizzare il sangue al cervello.
«Cosa stai facendo?» gli ringhia contro, snudando le zanne e stringendo i pugni fino a squarciarsi i palmi con gli artigli affilati.
«Sta facendo tutto da sola.» risponde stizzito il maggiore, alzando di scatto gli occhi sull'altro «Anche se devo ammettere che non mi dispiace per niente.» aggiunge subito dopo, mentre un sorriso malizioso fa capolino sulle sue labbra.
Killian stringe i denti, pensando ad una frecciatina adatta per rispondergli, senza però trovare niente di sufficientemente acido per offenderlo. Non che ci voglia molto in realtà, ma adesso ha il coltello dalla parte del manico, e la situazione è di conseguenza più delicata.
Alla fine opta per il lasciar cadere la questione e si siede con le spalle contro il muro. Si passa una mano tra i capelli fradici, senza mai staccare gli occhi dalla giovane immortale che continua a stringersi tra le braccia del suo rivale.
«È cresciuta bene, non trovi?» insiste il moro, osservando con un mal celato interesse i lineamenti delicati della ragazza.
Un sorriso gli piega gli angoli delle labbra quando affonda il viso contro il suo petto, ricordandogli incredibilmente un cucciolo spaventato in cerca di protezione.
'Mocciosa lagnona.'
«Già.» risponde semplicemente il Titano, girando il capo quando nella stanza fanno il loro arrivo Rin, Duncan e la sorella Jena, tutti giunti per assicurarsi delle condizioni della ragazza. Infatti per tutti loro è stata una grandissima sorpresa quando Killian l'ha affidata proprio a Freki. Rin si è ritrovata pure a pensare che a quel punto tanto valeva gettarla tra le braccia di Peter!
Duncan, generalmente silenzioso e sulle sue, si lascia sfuggire un commento assai fastidioso per la sorella «Vuoi fartela anche se è priva di conoscenza?»
«Perché no?» sghignazza allegramente il maggiore del gruppo, facendolo ridacchiare a sua volta.
Duncan è l'unico che sa che tutto sommato non le farebbe troppo male. Non senza ragione, ovviamente. Perché se Freki avesse anche un motivo idiota per ferirla, lo farebbe. Eccome se lo farebbe. Poi verrebbe massacrato dall'Imperatore, ma il moro non è tipo da stare a calcolare tanto le conseguenze delle proprie azioni.
«Sei un porco.» gli ringhia contro Jena, girando sui tacchi e tornando velocemente sul ponte dagli altri. La presenza dell'ex è sempre troppo insopportabile per lei, soprattutto dal momento che lui l'ha completamente dimenticata.
Nella piccola stanza cala un profondo silenzio, interrotto solamente dal respiro pesante e regolare di Akemi.
Ognuno pensa ai fatti propri, a quello che li attenderà nel prossimo futuro, alla sicura guerra che si scatenerà per il controllo della creatura assopita tra le braccia del vecchio immortale. Però sono tutti inconsapevolmente ostinati a vincere per quella causa, a portare alto il nome dei Lothbrook e a mantenere il loro giuramento.
Ed è con questi pensieri che tutti loro, forse per la prima volta da mesi, prendono finalmente sonno rilassandosi completamente, emozionati per l'importante giornata che li attende.
 
Il Sole sorge pigramente, rischiarando il cielo ancora nuvoloso, facendo così tirare un sospiro di sollievo ai pirati dell'Imperatore, che ora hanno la possibilità di continuare le ricerche senza le insidie dell'oscurità.
Teach è stato spostato in infermeria non appena le infermiere sono riuscite a bloccare la copiosa emorragia, trovandosi costrette a bruciare la carne viva come usava nei tempi antichi. È stato infatti il fuoco la salvezza del pirata, che ha purificato la ferita e ne ha permesso un adeguato bendaggio.
Ora riposa vegliato dai compagni, tenuto sotto controllo da generose dosi di morfina.
Marco, invece, è tenuto ancora in terapia intensiva sotto lo strettissimo controllo delle infermiere. Anche con lui hanno provato ad usare il fuoco, senza però riscontrare grandi vantaggi. La ferita si è leggermente purificata, ma l'uomo è ancora attaccato al respiratore meccanico e con varie flebo nelle braccia che gli iniettano costantemente potenti farmaci e antidolorifici.
La preoccupazione maggiore delle donne che se ne prendono cura sta nel fatto che gli organi interni potrebbero cedere nuovamente, portandolo in punto di morte per la seconda volta. Secondo Ran è solo la sua grande voglia di vivere a tenerlo ancora in vita.
L'Imperatore si è ritirato nella sua stanza in seguito ad un mancamento improvviso, cosa che ha reso nervosi gli uomini dell'equipaggio, già provati dalla lunga e sanguinosa notte.
Vorrebbe aiutare nelle ricerche, vorrebbe stanare il mostro che ha quasi ammazzato i suoi figli e staccargli la testa dal collo, ma le forze sembrano venirgli meno improvvisamente, cosa che ha costretto le infermiere, già molto occupate e stressate, a riattaccarlo alle flebo che non usava più da mesi.
La sua situazione è stabile, non corre alcun rischio serio, ma nessuno se la sente di esporlo più del necessario, e lui non è in grado ora come ora di contraddirli. Vorrebbe, eccome se vorrebbe, ma come si mette in piedi gli si sbianca la vista e gli salgono dei forti conati di vomito che lo piegano in due.
Adesso riposa nel suo ampio letto, fissando il soffitto mentre lancia maledizioni a destra e a sinistra e dichiara silenziosamente guerra a quella creatura e ai suoi possibili alleati, finché qualcuno bussa piano alla sua porta, riportandolo con i piedi per terra e facendogli rimandare le maledizioni a più tardi.
Il cuore comincia a battergli più forte quando vede far capolino nella stanza il viso affranto di Halta, che subito gli fa capire che qualcosa è andato storto. Pensa immediatamente a Marco, alle sue critiche condizioni, e il cuore per un istante si blocca.
«Babbo...» mormora la donna, camminando con passo malfermo verso il genitore.
È stata tutta la notte rinchiusa nella camera di Marco, tenendo stretti a sé i vestiti della sorella. Ha pianto, dando fondo a tutte le sue lacrime, respirando a pieni polmoni il profumo che quegli stracci ancora emanavano. Ha letto e riletto le poche parole di addio che ha scritto, e ogni volta il suo cuore sanguinava sempre più copiosamente, uccidendola interiormente.
L'Imperatore si mette a fatica in piedi, tenendosi una mano sugli occhi per provare a placare l'improvviso giramento di testa.
«Che ti prende?» le domanda con voce stanca, guardandola finalmente negli occhi chiari, dove scorge un dolore lancinante.
«Akemi...» mormora la comandante con voce tremante, camminando con passo incerto e strascicato fino a trovarsi al cospetto dell'imponente uomo.
Lo guarda con un dolore infinito, non sapendo come fare per comunicargli quell'orribile notizia. Pensa anche che poi dovrà dirlo agli altri, che dovrà dare loro una delusione simile. Pensa anche che dovrà dirlo a Marco...
«L'hai trovata?» le domanda con un filo di voce Barbabianca, sgranando involontariamente gli occhi e respirando sempre più a fatica per colpa del groppo che gli ha improvvisamente chiuso in gola.
Halta si lascia sfuggire un'ultima lacrima solitaria, che subito cancella con il dorso della mano. Non può farsi vedere così, non da lui. Non può causargli altro dolore, non con quello che sta per dirgli.
«Era lei, babbo. Quella creatura... era il mostro che Akemi diceva di avere dentro.» la sua voce è ridotta ad un sussurro, mentre i suoi dolci occhi azzurri urlano a gran voce quanto quella notizia la faccia soffrire, quanto vorrebbero che fosse solo una menzogna, un brutto incubo.
L'uomo si pietrifica, trattenendo il respiro, incredulo. Sapeva, in una parte molto remota del suo cuore, in una parte completamente offuscata dall'immenso amore che nutre nei suoi confronti, che la giovane portava dentro di sé un segreto pericoloso, ma non voleva crederci.
Adesso, invece, con due figli in fin di vita, è costretto a farlo. Ed è costretto pure a mettere in atto la punizione che merita chiunque osi compiere un crimine del genere.
«Dov'è?» domanda semplicemente con voce indecifrabile, assumendo un'espressione cupa, mentre dentro si sente morire lentamente.
Halta alza lo sguardo di colpo, incrociando così gli occhi del genitore, sentendo una nuova ed insopportabile fitta al cuore «Si è buttata in mare durante la notte... non la vedremo mai più.»



Angolo dell'autrice:
Buon salve a tutti quanti! :D
Ho un piccolo annuncio da farvi, prima di procedere con il mio insensato sproloquio: da ora in poi ci saranno sicuramente dei ritardi con gli aggiornamenti. Perché? Bene, ve lo spiego subito: quella testa di cazzo di dimensioni cosmiche di mio fratello ha ben pensato di lasciare il lavoro (faceva il bagnino... lavorone, eh?!) e non volendo lasciare mia nonna - nonché datrice di lavoro e proprietaria dello stabilimento balneare in questione- nella merda, ho preso io il suo posto, e adesso sono inchiodata al mare dalle 12.00 alle 20.00. Immaginate la mia immensa gioia...
Beh, detto questo (di cui a nessuno di voi può fregare di meno), passiamo allo sproloquio, nonché sottospecie di riassunto! XD
Akemi ha ben pensato di fare uno spuntino con il braccino lardoso di Teach... ma quanto sarà brava questa psicopatica cannibale?! *w*
Marco ne ha prese. Ehhh, ci stava bene anche questo! :P Ricordate, no, che con gli artigli Akemi può annullare anche i poteri di un Rogia e che riduce ad uno straccio chiunque vi entri in contatto? Beh, se non lo ricordavate, ora lo sapete xD
Tranquilli: Marco si riprenderà velocemente. Cioè, fisicamente si riprenderà velocemente, emotivamente insomma! >.<
Halta... io la amo! Prima la ignoravo quasi, ma ora la stimo! È solo grazie a lei se Akemi ha aperto gli occhi e ha ritrovato la lucidità, motivo per cui è scappata.
Chi è morto lo avete capito? Beh, semmai ve lo dico in privato :P (Non sono normale, ne sono pienamente consapevole)
Ora, uno spazietto anche ai nuovi arrivati: Freki e Killian vogliono darsene, Freya vuole darle ad Akemi, Jena vuole darle a Freki, Geri e Duncan non sanno chi tenere, Genma vuole farsi Freya e Momoko si fa i cazzi suoi. Che gruppo affiatato eh? ;)

Un grazie di cuore a Lucyvanplet93, Chie_Haruka, ankoku, Yellow Canadair, Keyra Hanako D Hono, Okami D Anima, KuRaMa faN, Aliaaara, Phoenix_Sarah e Monkey_D_Alyce per le recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo! Siete stati davvero gentilissimi! ♥

Ora, prima di concludere, vi dico già il titolo del prossimo capitolo: “Tutti i nodi vengono al pettine”.
A presto, un bacione
Kiki ♥

 
SPAZIO DELUCIDAZIONE (il primo di una lunga serie, mi sa):
Questi sono i personaggi apparsi in questo capitolo (l'ordine in cui sono inseriti non è casuale) :
http://it.tinypic.com/r/nl515w/8
Ebbene si! Sono tutti personaggi Disney! :D Non ho proprio saputo resistere, perdonatemi! :P
Freki e Killian dovete immaginarli più grossi. Freki, nella mia testolina malata, supera di poco i due metri ed è grosso, davvero grosso (stile Killer dopo il timeskip, per intendersi), mentre Killian è più muscoloso, anche se non in maniera eccessiva.
Jena e Duncan sono i due ragazzi che erano sulla nave quando Freya si picchiò con Akemi.
Per le altre delucidazioni su tutti loro dovrete aspettare il prossimo capitolo o quello dopo, anche se non saranno cose tanto importanti.
Gli unici tra questi che contano sono Freki e Killain, il resto sono molto marginali.

 

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Capitolo 28
*** 28. Tutti i nodi vengono al pettine ***


Piccolo avvertimento: per prima cosa, vi dico subito che sia in questo capitolo che nel prossimo non appariranno i pirati di Barbabianca. Inoltre questo sarà un capitolo molto discorsivo, spero che la cosa non vi disturbi. Purtroppo era necessario, perché qualcuno spiegherà a parole il 90% le cose da sapere. :)
Beh, spero comunque che vi piaccia! Ci giravo intorno da mesi *w*

 
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Il cinguettio allegro e spensierato degli uccellini diventa ogni minuto che passa sempre più insopportabile per le sue sensibili orecchie. Ogni dannatissimo cip-cip è come un fortissimo suono di trombe e il suo cervello, che pare quasi ondeggiarle nel cranio malgrado sia ferma e sdraiata, comincia seriamente a non tollerarlo più.
Si volta su un fianco, infastidita, e di scatto si porta il morbido cuscino a coprirsi la testa, facendo così in parte tacere quell'indesiderato concerto mattutino.
Sospira sollevata, allentando un poco la presa dal cuscino, ma subito arriva un nuovo insopportabile rumore a disturbare la sua quiete.
Qualcuno, infatti, ha preso a bussare insistentemente alla sua porta, costringendola così ad aprire gli occhi e tirare una sonora bestemmia a quello che pensa essere Satch. Solo lui sulla nave prova a svegliarla così, bussando alla sua porta finché non bestemmia e gli va ad aprire con ancora i capelli arruffati e il trucco fino al mento.
Quando però si toglie il cuscino dal viso e vede dove si trova, il cuore le si blocca improvvisamente.
Nella sua mente scorrono veloci le immagini dell'orribile notte appena trascorsa e subito pensa che si tratti solo di un brutto sogno. Chiude così gli occhi e comincia a pizzicarsi con forza braccia e gambe per potersi svegliare del tutto, ma quando riapre gli occhi, la realtà è ben diversa da quella che si aspettava: i moboli arrangiati alla meglio sono spariti, sostituiti da altri ben curati e dall'aspetto pregiato, intagliati tutti in un legno scuro e decorati con sottili filamenti dorati; le tende che coprono le finestre sono lisce ed immacolate, le pareti bianche sono abbellite con affreschi floreali. Non c'è niente di suo in quell'ambiente così grande ed arioso.
Si alza a fatica, portandosi una mano alla testa, accorgendosi che i capelli sono stati legati in un'ordinata treccia laterale. Abbassando gli occhi, poi, si accorge anche che le è stata infilata una lunga tunica a maniche lunghe di seta bianca.
'Cosa diavolo...?'
Alle narici le arrivano distintamente degli odori sconosciuti e, sporgendo un poco la testa oltre le tende chiare, riesce a vedere un paesaggio a lei completamente nuovo: ci sono fiori, alberi, case di mirabile fattura, navi ormeggiate ad un porto non molto lontano e persone a passeggio per le varie strade. Tante persone.
Sente anche che qualcuno appostato fuori dalla sua stanza, e ne ha la piena conferma quando questi ricomincia a bussare con più insistenza.
Si appiattisce di slancio contro la parete alle sue spalle, cercando un qualsiasi cosa che possa usare come arma, trovandosi però a mani vuote. Ci mette poco ad arrivare alla conclusione che hanno tolto qualsiasi cosa potesse essere usato a loro discapito.
Comincia così a fissare con timore la porta in attesa che l'intruso la apra, vedendo solo un foglietto scivolare sotto di essa.
Nessuno bussa più. L'unico rumore che le giunge alle orecchie è quello di passi che si allontanano un poco.
Capisce al volo che chiunque sia stato, sa bene che è in grado di sentire i suoi spostamenti e che sta provando a farle capire senza parlare che non ha intenzione di entrare.
'Se non entra lui, devo uscire io...' pensa spaventata, sentendo improvvisamente una nuova rabbia accendersi in lei '...allora uscirò!'
Si scaglia con forza contro la porta, decisa a scontrarsi contro chiunque osi sbarrarle la strada, trovandosi però di fronte ad una notevole difficoltà: la porta è chiusa dall'esterno.
Prova a sfondarla a spallate, senza però riuscire ad ottenere un minimo risultato. Perché Akemi non ne ha assolutamente idea, ma tutte le porte di quell'immensa reggia sono state rinforzate tanto da renderle indistruttibili.
Un nuovo foglietto scivola sotto la porta e, con estrema riluttanza, si abbassa per prenderlo, rimanendo interdetta.
“Aprirò quando lo avrai indossato.”
«Indossato cosa?» domanda al niente, dandosi della stupida quando si accorge del biglietto che le è stato dato in precedenza, su cui è scritto chiaramente “indossalo” con tanto di freccia che punta alla sua destra.
Girando la testa, infatti, trova subito l'oggetto in questione: un lungo abito blu scuro a maniche lunghe, abbinato ad un paio di tacchi neri con delle placchette argentate.
«Scherziamo?» si avvicina titubante all'abito e lo sfiora con la punta delle dita, come a volersi accertare che sia davvero davanti a sé.
«Io non lo metto.» dichiara subito dopo, voltandosi con aria arrogante verso la porta ancora chiusa, sotto la quale vede spuntare un nuovo biglietto.
“Se non lo indossi, non esci. A te la scelta.”
«Non esco.» sentenzia sicura, incrociando le braccia al petto, aspettando una nuova risposta. Quando questa però arriva sotto forma quasi di un ruggito, sente i vestiti che ha indosso andarle improvvisamente stretti e, guidata da una forza che le impone di obbedire senza fiatare, indossa in fretta e furia sia l'abito che le scarpe, senza però staccare gli occhi dalla porta. La paura che la cosa che ha emesso quel verso entri e l'ammazzi come una bestia non le va molto a genio.
«L'ho messo.» annuncia con voce tremante, tornando con la schiena ben appiattita contro il muro.
Si guarda attorno freneticamente, aspettandosi di vedere strane creature strisciare dalle pareti, quando all'improvviso la serratura della porta scatta e la maniglia viene abbassata, facendo così aprire un piccolissimo spiraglio. Chiunque sia stato, comunque, non ha assolutamente voglia di farsi vedere e di conseguenza se ne va, lasciandola di nuovo sola in quel posto a lei completamente sconosciuto.
Con mano tremante spalanca la porta, trovandosi così di fronte ad un lungo e spazioso corridoio e con passo lento vi si addentra, osservando distrattamente ciò che la circonda: fiori ornamentali, dipinti magnifici, mobili di mirabile fattura.
Trae un respiro profondo e s'inoltra in quel luogo a lei sconosciuto.
Cammina incerta, senza però riscire ad evitare di far rumore a causa delle scarpe col tacco che ticchettano fastidiosamente sulla superficie del pavimento.
Una volta girato l'angolo, le manca il fiato: si trova in un enorme ingresso con una balconata che lo circonda completamente, due scalinate di marmoo si levano in direzioni opposte, e dal centro del soffito pende un elaborato lampadario di cristallo: i suoi prismi catturano la luce del Sole proveniente dalle finestre e riflette sul pavimento di pietra infiniti arcobaleni. Benché priva di mobili, la sala espone una collezione di pezzi d'arte che vanno da straordinari vasi di porcellana alti fino al suo fianco ad armature equipaggiate con alabarde e infernali mazze ferrate.
L'ultica parola con cui può descrivere quel luogo è solo “sontuoso”.
Si avvicina senza logica ad una delle due scalinate, spinta solamente dalla curiosità di scoprire quali altre meraviglie nasconde quel sontuoso luogo, dimendicandomi momentaneamente di tutte le sue preoccupazioni.
Mossa molto stupida.
«Ma guarda un po' chi si è svegliato!»
Sobbalza come un gattino, Akemi, rigirandosi fulminea verso quella voce sin troppo familiare e il respiro le muore in gola: un ragazzo di forse vent'anni le si avvicina con passo tranquillo, le mani nelle tasche, un sorriso derisorio dipinto in volto e i vivaci occhi verde muschio sono in parte coperti dai fini capelli ramati.
'Geri...'
«Come va, creaturina?» le domanda con aria incredibilmente divertita il ragazzo, camminandole attorno in modo tale da poterla spingere nella direzione desiderata.
«Mi ricordo di te...» annaspa in cerca d'aria la ragazza, rabbrividendo di fronte al sorriso poco rassicurante che il giovane le rivolge.
«Mi fa piacere.»
Un paio di grosse e forti mani l'afferrano per le spalle, pietrificandola.
Sente il fiato caldo dell'aggressore vicino all'orecchio, e un brivido di paura le corre lungo la spina dornale.
«E di me ti ricordi?»
Volta piano la testa, Akemi, trovandosi così di fronte agli occhi smeraldini dell'uomo che tempo addietro affrontò Marco per poi poterla rapire.
«Lasciami!»
«Ma come? Non sei felice di vederci?» malgrado la ragazza si dimeni con tutte le sue forze, Freki riesce a tenerla stretta a sé senza difficoltà. Per lui il fatto che sia “completa” è un grande vantaggio: non deve stare attento ad ogni singolo movimento!
«Che irriconoscenza...» borbotta Geri, fingendosi offeso, facendo così ridacchiare il maggiore.
«I giovani d'oggi sono così.» afferma con ovvietà Freki, rigirandosi Akemi tra le braccia come se fosse un giocattolo «Quasi, quasi te le insegno io un po' di buone maniere...»
Il cuore di Akemi comincia a battere sempre più forte grazie all'indesiderata vicinanza col volto dell'uomo. Le gambe diventano improvvisamente molli e un potente urlo le muore in gola. Vorrebbe combattere, vorrebbe scappare con tutta la forza che può, ma la paura la paralizza completamente.
«Ragazzi, per la Luna!» volta di scatto la testa, Akemi, vedendo arrivare come una furia Mimì, la ragazza di suo fratello. In una frazione di secondo, si rimangia completamente qualsiasi minaccia le abbia mai rivolto, arrivando addirittura a volerla abbracciare.
Dietro di lei il fratello cammina velocemente, adirato allo stesso modo della minore, se non di più «Non vedete che è terrorizzata?!» urla furioso, affiancando la sorella.
Si piazzano velocemente di fronte a lei, fronteggiando i due fratelli con sicurezza, e Akemi non riesce a far altro che arretrare spaventata e spaesata, finendo per sua sfortuna tra un paio di braccia forti e calde a lei sconosciute.
Volta un poco la testa, tremando come una foglia, incrociando così un paio di brillanti occhi azzurri.
«Tutto bene?» le domanda incerto Duncan, aiutandola a reggersi in piedi, venendo velocemente affiancato da una ragazza dai lunghi capelli neri legati in una coda alta, che gli poggia una mano sul petto e lo guarda con preoccupazione.
«Caro, guarda come trema... pensi che una tisana potrebbe farle bene?» gli domanda con un filo di voce, guardando la giovane immortale con apprensione.
«Penso che sia il caso che vada subito dalla Regina.» risponde sicuro l'uomo, aiutandola a reggersi in piedi per poi lasciarla. Sa bene quanto sia spaventoso entrare nella loro realtà, e non vuole che sia così traumatico anche per lei.
«Regina?! Macché! Adesso deve venire con noi!» controbatte convinta Mimì, afferrandola per un polso e tirandosela addosso, terrorizzandola ancora di più.
'E questa forza da dove se l'è tirata fuori?!'
Akemi riesce miracolosamente a liberarsi dalla sua presa e scatta indietro con quanta più velocità può, sbattendo contro qualcun altro.
'Mi stanno accerchiando!' pensa nel panico più totale, dimenandosi come un'anguilla dalla presa fredda di un paio di mani delicate.
«Akemi, per piacere, calmati.»
Quella voce non le è nuova, così volta un poco la testa, incrociando un paio di occhi color ghiaccio di una bellezza mozzafiato, che associa immediatamente a Sakura, la sorella di Kakashi.
«Va tutto bene, respira.» afferma dolcemente la bionda, passandole una mano sullo zigomo «Piano, con calma.»
«Ma quanto sei premurosa.» la sfotte ghignando Freki, senza però suscitare nella donna alcun tipo di reazione.
Velocemente fanno il loro ingresso altre donne, tutte incuriosite ed impazienti di vederla, tenendosi però a debita distanza per non agitarla ulteriormente. Ci sono passate tutte quante, chi prima chi dopo, e ad ognuna di loro dispiace infinitamente vedere una nuova recluta reagire in maniera simile.
Akemi le guarda tutte di sottecchi, cercando di regolarizzare il respiro spezzato e di non farsi esplodere il cuore, lasciandosi proteggere dalle braccia di Sakura, l'unica di cui non ha particolarmente paura in quella circostanza.
«Vedo che avete fatto amicizia.»
Volta di scatto la testa, Akemi, incrociando così la figura statuaria ed inquietante di Wulfric, fermo in fondo alla sala. Per un attimo si osservano e basta, ma poi l'uomo le allarga le braccia in un chiaro invito che Akemi accetta immediatamente.
La stretta di Wulfric è salda e rassicurante, e senza rendersene conto si è ritrovata di nuovo con il respiro e il battito del cuore regolare, completamente a suo agio tra le sue braccia protettive.
«C'è qualcuno che desidera ardentemente incontrarti.» afferma con tono calmo, sciogliendo l'abbraccio e mettendole una mano sulla schiena in tutta tranquillità, ignorando gli sbuffi dei compagni, più che intenzionati a passare finalmente un po' di tempo con lei. Con tutto quello che hanno dovuto sopportare, in realtà, se lo meriterebbero anche.
«Mi faranno molto male?» pigola Akemi, rallentando sempre di più il passo, venendo quasi trascinata dal maggiore, che adesso se la ride di gusto.
«Male? Oh, benedetta la notte. Certo che ne hai di fantasia, eh?»
Akemi non capisce il perché di quella risposta: l'hanno braccata, attaccata, spiata e trascinata in quell'isola a lei sconosciuta e non dovrebbero volerle fare male?
Si blocca tremante di fronte ad un grande portone di legno massiccio, fissando dritto negli occhi Wulfric, che le sorride nel modo più rassicurante possibile, senza però riuscirci sul serio. Quando lui sorride, in fondo, la gente trema.
Apre lentamente la porta, mostrandole l'interno: è un piccolo salotto privato, arredato con raffinatezza, arioso, dove ad attenderla ci sono tre persone.
La prima la riconosce senza sforzo: il sorriso brillante, gli occhi pieni di gioia, i capelli bizzarri leggermente spettinati.
«Killian...» mormora sorpresa, aggrottando le sopracciglia. 'Che ci fa lui qui?'
«Ti avevo promesso che ci saremmo rivisti.» le sorride lui, senza però muoversi di un millimetro. In verità muore dalla voglia di stringerla a sé, magari anche di rubarle altri baci bollenti, ma non può fare niente in quel frangente, non prima dei due superiori.
Akemi sposta velocemente lo sguardo sulle due figure a lei sconosciute: la prima è un uomo di cui non riesce a vedere il volto dal momento che le dà le spalle, perfettamente composto e vestito con degli abiti che le sembrano familiari, mentre la seconda è una donna dai lunghi capelli chiarissimi e vivaci occhi color del cielo, che indossa un lungo vestito rosso sangue che le lascia la schiena nuda e con due spacchi laterali.
Le due si guardano a lungo, in silenzio, finché la sconosciuta si lascia completamente andare e le cammina velocemente incontro, abbracciandola con forza, lasciandosi sfuggire delle lacrime di gioia.
«Lilith...» mormora dolcemente, stringendola a sé con forza, trasmettendole un calore indescrivibile.
Con la coda dell'occhio Akemi nota che l'uomo si è leggermente voltato verso di lei, e per un breve istante le sembra di averlo già visto.
'È impossibile...'
«Chi...» mormora spaesata, allontanando di scatto la donna che continua a guardarla con aria commossa «Chi siete?»
«Hai fatto un vero disastro con quella runa, Astrid.» afferma con voce profonda e ferma l'uomo, voltandosi finalmente verso di lei, guardandola intensamente con l'unico occhio che ha, di un magnifico blu cobalto.
Akemi sente il cuore farle una capriola nel petto, riconoscendolo come il fratello di Týr. Questo non sfugge di certo al diretto interessato, che assume un'espressione vagamente incuriosita.
«Davvero non ricordi?» domanda dispiaciuta la donna, allungando una mano affusolata verso di lei e sfiorandole la guancia con la punta delle dita, in un gesto tanto affettuoso che la lascia senza fiato.
«Ti avevo detto che non aveva riconosciuto neanche me.» afferma dispiaciuto Killian, alzandosi in piedi e facendo un paio di passi verso di lei, bloccandosi quando un lieve ringhio si leva in aria.
«Stai al tuo posto.» tuona perentorio il sovrano, fissandolo con astio. In realtà non ha niente contro di lui, tutt'altro, ma la situazione è troppo delicata e non può più permettersi mosse false. Inoltre sente chiaramente la confusione che aleggia nel cuore della ragazza e non vuole mandarla ulteriormente nel panico, potrebbe essere rischioso per alcuni di loro.
«Lilith...» Akemi si volta verso la donna, guardandola confusa.
'Perché continua a chiamarmi così?'
La donna le prende delicatamente le mani tra le sue, stringendole piano, senza interrompere neanche per un istante il contatto visivo «Sono tua madre.»
 
 
Astrid continua a guardare Akemi con apprensione, sventolandole davanti al viso un ventaglio dai colori sgargianti per farla riprendere il prima possibile.
Si aspettava tantissime reazioni da parte sua, ma non aveva preso in considerazione neanche per un breve istante che potesse svenire.
«Ottimo lavoro.» la sfotte Fenrir, rientrando nella stanza dopo ben venti minuti di assenza, durante il quale è andato a calmare il branco di scalmanati che provava ad entrare nella stanza. L'ultima cosa che una creatura tanto instabile può sopportare al proprio risveglio dopo uno shock, è proprio ritrovarsi circondata da un branco di estranei.
«Zitto, si sta svegliando.» risponde piccata la donna, alzandosi in piedi e facendo un paio di passi indietro per non gravarle addosso. Non vuole metterle alcun tipo di pressione, vuole solamente che si tranquillizzi e che accetti la verità per quella che è, e sa bene che starle addosso o mostrarsi troppo invadenti non è il modo giusto.
Akemi, dopo essere riuscita a mettere a fuoco la stanza e le quattro figure che la circondano, scatta a sedere come una molla, rannicchiandosi nell'angolino del divano. A guardarla, potrebbe essere scambiata per un gattino indifeso adesso, così rannicchiata e tremante, con le gambe tanto strette al petto da potersi fondere con il resto del busto e gli artigli ben piantati nella stoffa soffice.
Guarda con timore la donna dai brillanti capelli biondi, provando a ricordarla, senza successo.
Non le ci vuole niente perciò a pensare che le stiano mentendo, che siano solo menzogne per poterla manovrare, ma poi, come un fulmine a ciel sereno, si ricorda della donna che cantava nei suoi sogni, della sua melodica voce che la tranquillizzava e dei suoi meravigliosi capelli dorati.
«Imba wimbo... wa upepo... wakati unajiwa na...» la sua voce è appena udibile anche per i quattro immortali presenti, ma Astrid capisce al volo. Capisce e i suoi occhi si riempiono di lacrime di gioia, mentre la voglia di stringerla di nuovo a sé diventa insopportabile.
«Imba wimbo - wa upepo - wakati ndoto tamu...» canta a sua volta, sorridendole dolcemente.
Due umide scie scarlatte rigano le guance pallide della giovane immortale, mentre il suo cuore si riempie di una nuova gioia e il suo corpo si abbandona completamente tra le braccia forti e calde della madre.
«Lala mpaka usiku uisheni
Upepo wa usiku - wimbo wanko na
Wimbo wangu inaendelea milele» cantano insieme, unendo le loro voci per crearne una nuova, deliziando i presenti con il loro amore ritrovato, per quel nuovo inizio che durerà nei secoli.
«Lilith...» Astrid scoppia a piangere, immergendo il viso nella spalla della figlia.
Le era mancata così dolorosamente che il suo lato peggiore, quello sadico, animale, infernale, era di nuovo uscito allo scoperto, facendola tornare la creatura spietata che era un tempo. Aveva pure dato carta bianca a Fenrir, cosa che non aveva mai e poi mai fatto prima!
«Non avrei mai voluto separarmi da te, amore mio...» mormora con un filo di voce, prendendole il viso tra le mani e baciandole dolcemente la fronte, tornando subito dopo a stringerla con forza «Quando Freki e Geri hanno fallito-»
«Perché non me l'hanno detto quella volta?» la interrompe bruscamente Akemi, staccandosela di dosso e guardandola con una certa delusione.
Si, delusione. Lei è delusa dal vago tentativo che ha fatto la madre per ritrovarla, e adesso non la passerà liscia con un semplice “mi dispiace”.
Astrid piega un poco la testa di lato, asciugandosi con la punta delle dita le lacrime e ricomponendosi velocemente, tornando ad avere la solita aria composta e gelida che ha sempre avuto.
«Avresti forse creduto a due estranei che, dopo averti trovata da sola in un bosco, ti dicono che vogliono portarti dai tuoi genitori?» le domanda sarcasticamente, reclinando un poco la testa da un lato, per poi lasciarsi andare ad un sorriso «E comunque anche perché non si doveva sapere che eri ancora viva. Nessuno doveva sapere assolutamente niente, soprattutto dell'esistenza di quest'isola.» le spiega con tono calmo, mandandola ancora di più in confusione.
«Lo so, per te non ha senso, so anche che ti abbiamo fatta soffrire tanto, ma non potevamo fare altrimenti. Volevamo portarti via non appena siamo riusciti a trovarti, ma poi Wulfric ci ha riferito che eri felice insieme a quei pirati, così, dopo attenta riflessione, abbiamo deciso di lasciarti vivere una vita vera, senza tutte le complicazioni che essere immortale comporta.»
Akemi la guarda senza capire, voltando la testa da una parte all'altra e guardando i volti dei presenti. Quando poi i suoi occhi si fermano sulla figura imponente di Fenrir, nuovi dubbi le ingombrano la mente, facendole aumentare il mal di testa.
Vorrebbe urlare. Vorrebbe urlare al mondo intero il suo odio, la sua paura, la confusione che le sta dilaniando il cuore. Ma non lo fa. Rimane in silenzio, respirando a fatica, mentre la bestia dentro di lei continua a dormire, intimorita da ciò che la circonda.
«E perché Týr non mi ha detto niente?» ringhia a denti stretti Akemi, voltando di nuovo la testa sulla madre. La guarda con aria torva, di nuovo completamente sulla difensiva.
In fondo quella era solamente una canzone, potrebbe averla sentita ovunque, quindi potrebbe benissimo mentirle. Se solo il suo cuore non fosse così dannatamente sincero, le sarebbe già saltata alla gola.
«Vai a capirlo quello psicopatico!» esclama con una punta di divertimento Wulfric, facendo ridacchiare appena anche Killian «Avrà avuto le sue ragioni comunque, non ti logorare per questo.»
Akemi lo guarda con aria fredda, distaccata, accantonando il fatto che prima è stato proprio lui a salvarla da tutte quelle persone. Adesso è solo un estraneo che si prende gioco di lei, che si diverte nel vederla così spaesata e angosciata.
I suoi occhi vengono però catturati di nuovo dalla figura oscura e misteriosa dell'uomo che continua a guardarla davanti alla finestra. Ha dei lineamenti decisi e la pelle olivastra, i capelli castani spettinati che gli ricadono sull'occhio mancante, degli abiti pesanti neri e rossi.
È bello, incredibilmente bello.
Con il suo occhio color cobalto sembra riuscire a scavarti nel profondo dell'anima e annientarti, farti a brandelli. È impossibile sostenerlo.
Akemi, però, è costretta a farsi coraggio e a sostenerlo, senza però osare sfidarlo.
«Mi scusi se mi permetto ma...» domanda con voce incerta, sentendo un chiaro brivido salirle lungo la spina dorsale quando alza il mento in sua direzione «Conoscete per caso un certo Týr?»
Trema ancora di più quando nota la mascella contrarsi e i pugni stringersi, ed involontariamente si stringe di nuovo contro il proprio angolino, abbassando un poco lo sguardo.
«Era mio fratello.» risponde atono l'uomo, rilassando di nuovo i muscoli del corpo «Tu, piuttosto, come fai a conoscerlo? Se non ricordavi né tua madre né Killian, mi risulta piuttosto strano che ti ricordi proprio di lui.» le domanda subito dopo, avvicinandola di un paio di passi.
«Dì quello che vuoi, Fenrir, ma Týr se la cavava piuttosto bene.» afferma con tono divertito Wulfric, osservandosi con interesse le unghie laccate di nero. Killian, al suo fianco come spesso accade, non si perde neanche una mossa del trio, pronto a fare da scudo ad uno dei due sovrani nel caso la creatura prendesse il sopravvento.
«Dalla volta in cui sono morta lo vedevo costantemente in un limbo nero quando dormivo. Parlavamo... mi ha insegnato molto.» spiega in un sussurro Akemi, spaventandosi sempre di più di fronte allo sguardo duro dell'uomo.
«No, aspetta un secondo: tu lo vedevi?» ringhia scattando in avanti con fare minaccioso, bloccandosi immediatamente quando la compagna gli si para di fronte con le zanne snudate e gli occhi vermigli.
«Prova solo a toccare con un dito mia figlia e ti stacco tutto il braccio.» lo minaccia con voce cavernosa, ringhiando furiosamente non appena termina la frase.
Fenrir schiocca la lingua stizzito, girando sui tacchi e andando a sedersi da un lato. Se fosse stata una qualsiasi altra persona, probabilmente l'avrebbe presa a pugni fino allo sfinimento nervoso, ma con Astrid non potrebbe mai. Inoltre è ben cosciente che le femmine diventano molto aggressive se viene minacciata la loro prole.
«Come faceva a vederlo?! È morto quella mattina!» ringhia sempre più nervoso, mentre i muscoli si contraggono fino ad arrivare al punto critico. Solo a quel punto si concentra con tutto sé stesso per regolarizzare il respiro e il battito cardiaco, riuscendo immediatamente a riprendere il controllo.
«Non lo so, va bene?!» gli strilla contro Astrid, venendo trattenuta per un braccio dal fedele Killian, più che disposto a battersi per lei se necessario.
«Cosa c'è di tanto strano?» la voce di Akemi li riporta tutti quanti alla realtà, facendoli voltare di scatto.
La giovane immortale li sta guardando uno per uno, sempre più confusa, finché dalla sua bocca esce una nuova, scomoda domanda «Chi è lui per me?»
«Lilith...» Astrid le si avvicina piano, mettendosi a sedere al suo fianco.
Le prende le mani tra le sue, cercando i suoi occhi e provando a trasmetterle tutto l'amore che nutre nei suoi confronti, sperando con tutta sé stessa di riuscire ad attutire il colpo «Týr era tuo padre...»
Il tempo per Akemi pare fermarsi, così come il suo cuore. Sente solamente il rumore di quest'ultimo che va in frantumi.
Tutte le informazioni ricevute fino a quel momento l'hanno completamente spaesata, ma questa l'ha proprio ferita.
'Perché sei stato zitto? Dovevi dirmelo... dovevi! Sapevi benissimo quanto ci tenessi, sapevi quanto contasse per me saperlo! Invece non mi hai detto niente! Sono così insignificante per te?!'
Le lacrime scendono incontrollate, e in pochi secondi si ritrova raggomitolata su sé stessa, tremante e completamente abbattuta.
«Non piangere, dai...» prova a consolarla Astrid, senza successo.
Il dolore che sta provando è indescrivibile, anche per tutti loro che di atrocità nelle loro lunghe e sanguinose vite ne hanno vissute a centinaia. Nessuno può capire quanto si senta tradita e delusa, quanto quella notizia sia stata tanto simile ad una pugnalata dritta al cuore. Neanche Fenrir, che ha dovuto recentemente accettare la perdita, può capire quanto faccia male.
'Mi fidavo di te... ti raccontavo ogni cosa. Tu sapevi... sapevi cosa volevo e come mi sentivo. Perché mi hai fatto questo? Perché non mi hai detto chi eri per me? Perché hai voluto che soffrissi? Tu sapevi tutto dall'inizio...'
«Lilith, guardami.» ordina decisa la donna, prendendole il viso tra le mani e guardandola dritto negli occhi di ghiaccio «Respira, con calma. Si sistemerà tutto, te lo prometto.» la rassicura dolcemente, notando con stupore una scintilla di pura determinazione e forza in quel dolore.
«Cosa sono io?» sibila a denti stretti, liberandosi di scatto dalla sua presa e scattando in piedi «Cosa siete voi?!»
«Tutta tua!» affermano all'unisono Wulfric e Killian, scattando fuori dalla stanza ad una velocità sorprendente. Akemi non si è neanche resa conto dello spostamento: un attimo prima c'erano, quello dopo la porta sbatteva.
«Fetenti...» mormora roteando gli occhi al cielo Astrid, massaggiandosi le tempie. Perché la parte davvero difficile viene adesso, per tutti loro.
«Tu non scappi?» domanda con poco interesse al compagno, che nel frattempo si è comodamente appollaiato su una poltrona situata nell'angolo opposto.
«Sono curioso di vedere come ti destreggi in questa conversazione.» risponde pacatamente, avendo fortunatamente sbollito subito la rabbia «E, ragazzina, complimenti. Pensavo che avresti pianto molto di più.» aggiunge subito dopo, facendole un mezzo sorriso che non la calma per niente.
«Ho un nome.» ringhia in risposta, guardandolo con rabbia. Fenrir non si sente minimamente toccato dalla cosa, tanto che in tutta tranquillità si accende un sigaro e si mette pure a sfogliare un vecchio libro.
«In realtà ne hai due.» commenta sovrappensiero, facendola ringhiare.
«Torniamo all'argomento principale?!» sbotta la Regina, facendo saettare gli occhi da uno all'altra, infastidita «Senti, non è una cosa semplice a cui credere, quindi siediti ed apri la mente.» ordina con tono duro alla figlia, fissandola dritto negli occhi mentre si siede a poca distanza da sé.
Prende un profondo respiro, decidendo di rivelarle la sua natura senza tanti rigiri di parole.
«Tu sei un ibrido.»
«Come scusa?» domanda confusa Akemi, aggrottando le sopracciglia.
«Hai capito. Tu sei nata dall'unione tra due specie diverse, che in realtà neanche avrebbero potuto dare vita a qualcosa.» risponde cercando di mantenere il tono della voce il più rassicurante possibile, senza però riuscirci più di tanto «Tuo padre era un vampiro, il primo della specie, mentre io sono un licantropo.»
Akemi la guarda dritto negli occhi, elaborando la sua risposta con attenzione, per poi lasciarsi andare ad una risata nervosa.
«Mi prendi in giro!» sentenzia sicura, guardando l'Imperatore per cercare conferma.
«Perché la cosa ti sembra tanto impossibile?» le domanda Astrid con tono scocciato, riattirando così il suo sguardo su di sé.
«Perché sono figure immaginarie su cui scrivere romanzi e inventare storie per mettere paura ai bambini. Non esistono davvero.» risponde Akemi con aria saccente, incrociando le braccia al petto e ghignando quando la donna si passa stancamente le mani sul volto.
«Ah, no?» le domanda con tono derisorio Fenrir, facendola girare di scatto con aria scocciata. Sulle sue labbra si intravede un leggero ghigno, e nel suo unico occhio si legge chiaramente quanto la cosa lo stia divertendo.
«Geri, entra pure. So che stai origliando.» ordina con tono fermo, tornando poi a leggere il proprio libro.
La porta si apre lentamente e dopo pochi secondi fa capolino la testa ramata del ragazzo, che sorride imbarazzato «Eheh, scusa...»
«Mostrale. Poi vattene dal tuo succhiasangue.» ordina con tono disinteressato senza neanche alzare lo sguardo, mentre il ragazzo si posiziona velocemente al centro della stanza e comincia a spogliarsi frettolosamente.  A lui piace farlo, lo diverte assai, però quella camicia di seta gliel'ha regalata Kakashi e sa bene quanto s'incazzi quando distrugge i vestiti.
Si stiracchia appena le braccia e poi si mette in posizione, venendo immediatamente bloccato dall'Imperatore.
«Lentamente.» ordina con tono duro, deciso a punirlo così per la sua mancanza di rispetto.
Geri sorride beffardo al suo Signore, tornando poi a concentrarsi sulla muta.
La pelle gli prude per lo spuntare del manto nero, ma non vuole perdere neanche un solo istante a grattarsi. In fondo, è bello sentire la pelliccia venire fuori e ricoprire ogni centimetro della pelle.
Inoltre gli piace osservarlo, vedere quel nero brillante ricoprirlo completamente. Perché tutti loro sono neri come la notte, fatta eccezione per la Regina, che è di un dolce color cioccolato fuso con delle striature bianche sul muso. Nessuno sa perché sia così diversa dai suoi simili, ma a nessuno è mai importato. In realtà, finché non diventò la compagna dell'Imperatore, questa sua stranezza la rese la preda più ambita di tutte.
Ride appena, Geri, quando sente il primo tremore nelle ossa. I muscoli delle braccia e delle gambe si tendono, tanto da strappargli letteralmente la pelle. Sgrana gli occhi, percorso da uno spasmo, e le ossa nelle ginocchia scrocchiano. Le gambe si piegano e si allungano, assumendo una forma diversa.
Si piega in due e geme di dolore quando la cassa toracica si allarga di colpo, e sospira quando sente il breve dolore della spina dorsale che si spezza, per poi rilassare il corpo.
Rabbrividisce per il dolore e delle lacrime ribelli gli rigano il volto ricoperto di peluria. Per qualsiasi licantropo è assolutamente impossibile godere della trasformazione quando viene eseguita così lentamente, ma nessuno di loro è così stupido da infrangere un ordine di Fenrir.
«Ti senti bene...?» mormora Akemi con un filo di voce, alzandosi lentamente in piedi, pronta a scappare a gambe levate. Perché quello che sta vedendo non è normale: è assolutamente impossibile.
Geri annuisce convinto, ormai incapace di parlare. La mascella frantumata e adesso ricomposta in modo da non permettergli di conversare è una grossa seccatura, soprattutto per un chiacchierone come lui.
Si passa la lingua lunga sui denti affilati, facendo finalmente saettare gli occhi dorati su Akemi, guardandola con aria famelica e pericolosa.
È una creatura assai più grossa e forte di qualsiasi lupo mai esistito in natura. Zampe e cosce sono troppo lunghe, le orecchie troppo grandi e negli occhi ha il fuoco. Lupo è solo un nome di comodo che hanno adottato.
«Pelo nero, occhi gialli. Minimo due metri e sessanta al garrese e più di quattro su due zampe. Il busto più o meno delle dimensioni di un bue.» afferma tra sé Fenrir, sorridendo alla creatura che adesso gli offre il ventre e la gola in segno di sottomissione «Non trovi che sia magnifico?»
«Ok, penso di crederci...» mormora la corvina, continuando a fissare l'enorme bestia che si erge di fronte a sé, perfettamente in equilibrio su due zampe.
Sgrana gli occhi per la sorpresa quando lo vede camminare verso la porta, e ancora di più quando con le enormi zampe anteriori riesce a girare il pomello della porta.
'I canidi normali lasciano solo quattro tacche, poiché il pollice si è atrofizzato e non tocca il terreno... perché lui ha cinque dita?' si domanda, senza però chiederlo ad alta voce. Si sente già abbastanza stupida.
Quando però nota anche un altro dettaglio, la sua curiosità prende prepotentemente il sopravvento, e proprio non riesce a tenere la bocca chiusa «Perché non ha la coda?»
«Siamo creazioni del Diavolo. Per quanto ben fatti, siamo necessariamente imperfetti.» le risponde gentilmente Astrid, sorridendole dolcemente.
«Spiegale tutta la storia, Astrid.» le ordina con tono duro Fenrir, guardandola dritto negli occhi. In realtà è più in crisi all'idea di dover dire alla sua appena ritrovata nipote che lui, suo zio, ha una relazione con sua madre.
'Tutto questo è assolutamente ridicolo!'
«La tua concezione non era possibile... o, almeno, così credevamo.
Nell'esercito di tuo padre c'era una vampira che voleva a tutti i costi un figlio da secoli, ma ovviamente ciò non era possibile. Questo l'aveva portata quasi alla follia... pensa che uccise migliaia di bambini nel tentativo di vampirizzarli!» comincia a spiegare la donna dopo aver preso un lungo respiro, guardando con attenzione la figlia che si è appena seduta al suo fianco «Una notte di plenilunio, notte in cui i miei poteri si intensificano, avevo deciso di provare a fare un incantesimo di fertilità su di lei, incidendo una runa sul suo ventre con il mio sangue. Sapevo che non avrebbe portato a niente, ma ho voluto fare un tentativo per farla tacere. Qualcosa però... è andato storto.
I lupi mannari con la Luna Piena diventano incredibilmente potenti, tutto in loro si amplifica, e quell'incantesimo mi ha... potenziata ulteriormente. È bastata una notte, una sola, e il giorno dopo già mostravo i segni della gravidanza.»
Akemi aggrotta la fronte, incerta, ricordandosi improvvisamente tutte le informazioni che ha su quelle leggendarie creature di cui ha tanto letto in molti romanzi.
«Ma loro non sono sterili? Si, insomma... non sono tipo... morti?» domanda titubante, notando un sorriso compiaciuto piegare gli angoli della bocca carnosa della donna.
«In teoria. Però è accaduto più volte che nascessero degli ibridi umano-vampiro, degli esseri mostruosi semi-immortali con una forza considerevole. Wulfric ne ha avuti tre o quattro, se non sbaglio.» risponde sempre meno tesa, accavallando le lunghe e pallide gambe per stare più comoda.
«E perché non era mai successo con uno come... come te?»
«Licantropo. Puoi dirlo, non è una parolaccia.» le risponde ridacchiando Fenrir, facendo ridacchiare pure la compagna. Akemi invece li guarda a turno, confusa e allo stesso tempo incredibilmente emozionata. Se una parte di lei è ferita e delusa da tutto quello che la circonda, l'altra è profondamente felice e desiderosa di ricevere sempre più informazioni.
«Non era mai successo perché non aveva mai attecchito il seme, diciamo. Le due specie si “annullano” l'una con l'altra, quindi non hanno la possibilità di generare una vita. Se non avessi fatto quell'incantesimo, se non mi si fosse ritorto contro per una ragione che ancora non mi spiego, tu non saresti qui.» le risponde gentilmente Astrid, ricomponendosi il più velocemente possibile per poter continuare a raccontare «Il problema sta nel fatto che la tua natura è stata vista come... come un abominio, qualcosa contro il creato, qualcosa che non doveva esistere.
Ci avevano condannati per questo... tutti e tre. Ovviamente non avremmo mai permesso che ti accadesse qualcosa, così ci siamo difesi come meglio potevamo-»
«E Týr è morto...» conclude per lei Akemi, rabbuiandosi di nuovo.
«Non fartene una colpa, ragazzina.» afferma con un lieve sorriso l'uomo, facendola sobbalzare quando le poggia una mano sulla spalla e si avvicina pericolosamente al suo viso «Sono più che convinto che quella testa di cazzo di mio fratello se la sta spassando da qualche parte. Che si tratti di questo mondo o un altro fa poca differenza.» il suo sorriso si allarga quando si rende conto di quanto quella ragazza sia incredibilmente simile al suo adorato fratellino, e il suo cuore di riempie di una nuova gioia che lo rilassa completamente, quasi facendolo tornare lo spensierato Fenrir di una volta.
Si drizza di colpo e si rigira, camminando calmo verso la porta «Vado dagli altri prima che impazziscano per la curiosità e mi distruggano casa.» le avverte velocemente prima di uscire sbattendo la porta, facendo sospirare Astrid, che non è mai riuscita a togliergli quell'orrenda abitudine.
«Non badare a Fenrir, è un uomo molto particolare. Durante gli anni è diventato molto più eccentrico e allo stesso tempo duro di quanto già non fosse. Però, per quanto sia strano e viva letteralmente in un “mondo” tutto suo, ha un cuore d'oro e un grandissimo cervello.» l'avverte sorridendo, avvicinandosi lentamente a lei per poter continuare la loro discussione.
Vuole dirle il più possibile adesso, prima che la stanchezza e la tristezza prendano il sopravvento su di lei, e tanto vale raccontarle per adesso di ciò che la circonda. Per ridarle i suoi ricordi, in fondo, c'è tempo.
«Devi sapere che moltissimo tempo fa, dopo un evento molto brutto di cui ti parlerò poi, decise di ritirarsi dal mondo, di rifugiarsi su quest'isola con qualunque creatura immortale desiderasse trovare la pace che non aveva mai avuto. Con il mio aiuto creò una barriera che tuttora la rende invisibile al mondo e da quel momento vivono praticamente in pace.
In quel periodo cominciò anche a studiare una formula per creare un sangue sintetico in modo da non dover più abbandonare questo luogo, cosa che però non approvava tuo padre. Gli piaceva troppo la caccia per rinunciarvi.» le spiega, bloccandosi di colpo quando si accorge della sua espressione quasi inorridita «Non temere, non ha più compiuto considerevoli massacri dopo che si sono separati, anche perché non avrebbe mai osato scatenare l'ira di Fenrir.»
Akemi sospira sollevata, facendo sorridere la madre. Solo in quel momento si rende conto di quanto sia bello e caldo il suo sorriso, di quanto le sembri familiare e anche di quanto la sua voce, in un certo senso, la faccia rimanere calma.
«Pochi anni dopo aver eretto la barriera, erano molti gli abitanti. Presto, però, si verificarono i primi problemi: come tuo padre, non tutti volevano rinunciare alla caccia, così chiedevano dei permessi speciali per uscire. In pratica andavano a cacciare e tornavano con un carico di schiavi o cacciatori che sarebbero stati poi... cacciati nel nostro territorio.» Akemi si inorridisce completamente dopo quella frase, scattando in piedi di colpo. Astrid si alza a sua volta, alzando le mani e guardandola veramente mortificata «Lo so, è una cosa davvero orribile, ma non possiamo fare a meno della carne. Ora come ora puntiamo di più al bestiame, visto che non sai mai cosa trovi dentro agli umani, però ogni tanto ne abbiamo bisogno anche noi per non impazzire.»
Vorrebbe tirarle un pugno e dirle che sono solo un branco di mostri, che è disgustata dal loro stile di vita e che ciò che le sta dicendo le dà semplicemente il voltastomaco, ma mentirebbe. Anche lei ha attaccato e divorato esseri umani. Ha pure staccato un braccio a Teach e se l'è mangiato come se fosse stato un cosciotto di pollo, quindi sarebbe troppo ipocrita da parte sua mettersi a fare la moralista.
Decide quindi di tornare a sedere e di ascoltare qualsiasi altra cosa le voglia dire, sentendosi sorprendentemente bene di fronte al suo sorriso felice, come quello di un bambino la mattina di Natale.
Astrid sospira forte, mettendosi di nuovo seduta al suo fianco, decisa a raccontarle dell'ultima informazione necessaria. Dopo, ovviamente, la lascerà andare in camera sua a riflettere, riposare, distruggere ogni cosa, e poi le manderà Killian.
«Durante quelle battute di caccia, molti immortali cominciarono ad innamorarsi degli esseri umani che però non volevano essere trasformati. Ci furono un sacco di suicidi e Fenrir la prese come una sfida personale: mi richiamò a sé e mi spiegò la sua folle idea, che però mi allettava parecchio. Così, con tanta fatica, riuscii a creare un maleficio particolare, con cui avvolsi la villa nella parte sud dell'isola. Un maleficio potente, indistruttibile, unico nel suo genere.»
«Cioè?» le domanda realmente curiosa Akemi, piegando un poco la testa di lato. Se all'inizio non riusciva a credere all'esistenza della magia e delle creature immortali, adesso non le sembra più tanto strano. Le è bastato pensare a sé stessa e a tutto quello che ha vissuto sulla propria pelle per rendersene conto.
«Quando ci muori dentro, la tua anima ci rimane incastrata per l'eternità.» risponde sorridendo fiera la donna, facendola rabbrividire appena. Per quanto lo trovi affascinante, non può non trovarlo allo stesso tempo orrendo.
«Perché mi dici tutto questo?» le domanda dopo un paio di minuti di silenzio, leggendo tutto il suo amore nei suoi occhi celesti.
«Perché voglio che tu ti senta a casa, Lilith. Questo è il tuo mondo.» risponde sinceramente la donna, prendendo le mani nelle sue «So bene che ti ci vorrà del tempo, non pretendo assolutamente che tu accetti tutto questo da un momento all'altro, che accetti me... ma sono dell'idea che prima apprendi il tutto, prima le cose si aggiusteranno e troveremo l'equilibrio.» aggiunge subito dopo, sorridendole dolcemente.
Akemi ritira piano le mani, fissando insistentemente il pavimento, per poi alzarsi lentamente.
«Ti dispiace se... se vado in camera mia?» domanda titubante, indicando con un cenno del capo la porta.
«Certo piccola, vai pure.» Astrid si alza a sua volta e la guida fino alla porta, sorridendole amorevolmente «Quando sarai pronta, sarò qui per te.»
Akemi annuisce piano e prova a sorriderle di rimando. Quando però sta per chiudersi la porta alle spalle, la donna l'afferra per un polso, costringendola ad alzare gli occhi per lo spavento.
«Mi eri mancata da morire...»
 
Il freddo raggio lunare che colpisce l'assonnato paesaggio notturno cambia i colori di ogni cosa: le foglie verdi degli alberi si irrorano di un grigiastro perlaceo, i muri delle case, colorati di vivaci tinte, perdono lo splendore solare.
Muta il mondo alla luce della Luna, e anche il cielo sembra abbassarsi, avvolgendo con il suo abbraccio protettivo ogni cosa terrena.
Si rincorrono le ombre, che sembrano nascere dai raggi argentei della Luna ed alla psichedelica luce spettrale paiono danzare, accompagnati dalla silenziosa armonia della notte.
Akemi osserva dalla finestra aperta quel paesaggio, rannicchiata su sé stessa. In cuor suo spera di vedere la sagoma dell'imponente Moby Dick avvicinarsi lentamente, i suoi compagni pronti a far guerra a coloro che l'hanno presa e adesso la tengono prigioniera dentro quelle sbarre dorate, ma sa bene che quella speranza non si realizzerà mai.
Dopo qualche istante, sente chiaramente dei passi provenire dal corridoio al di là della propria porta e di slancio sdraia nell'ampio letto, portandosi le soffici lenzuola fin sopra la testa, risparmiando giusto gli occhi, che ancora cercano quella sagoma inesistente.
Quando poi l'intruso si mette a bussare alla sua porta, ogni colpo le sembra come una martellata nel cervello.
La sua fantasia, inoltre, le gioca un nuovo brutto tiro, facendole sperare che sia Marco che sta aprendo la porta, che sia venuto fin lì per lei, che l'abbia trovata, che sia venuto per farle la più grande parte di merda che la storia abbia mai conosciuto e che poi la baci con trasporto, come solo lui è in grado di fare. Ma l'odore che le arriva alle narici la riporta alla dura realtà, con una freddezza che le attorciglia lo stomaco.
«Ehi...» non volta neanche la testa per guardarlo, totalmente insofferente a ciò che la circonda.
Killian la guarda con occhi malinconici, in piedi di fronte a lei, le mani nelle tasche dei pantaloni e la testa china.
L'ha vista nascere, è stato il primo a tenerla tra le braccia, a guardarla nei suoi dolci e brillanti occhi, e vederla stesa lì, in quel letto enorme, a struggersi dal dolore, gli fa più male di qualsiasi ferita gli sia mai stata inferta in tutta la sua lunghissima vita.
«Mi dispiace...» sa bene che le sue parole non servono a niente, che non la faranno star bene, che non rimargineranno il suo cuore infranto, ma non sa proprio cosa dirle.
Akemi, dopo degli interminabili secondi, lascia scivolare lo sguardo sulla figura immobile del ragazzo, leggendo dentro ai suoi di occhi una tristezza infinita.
«Perché?» domanda con un filo di voce, tornando subito a fissare fuori dalla finestra «Perché non riesco a provare un minimo di gioia? Ho trovato mia madre, ho scoperto la verità... perché non riesco ad esserne entusiasta? Fino a due giorni fa avrei dato l'anima per poterla incontrare, anche per pochi secondi... invece adesso non riesco a provare altro che un infinito dolore.»
Killian si siede lentamente sul bordo del letto, osservando distrattamente fuori dalla finestra la distesa d'acqua calma illuminata dai raggi lunari, pensando attentamente ad una risposta.
«Hai perso tutto, ecco perché.» semplice, conciso e incredibilmente freddo. Killian non è mai stato particolarmente bravo con le parole, e Dio solo sa quanto si sta sforzando in quel momento, ma proprio non riesce ad essere delicato e dolce come sarebbe opportuno.
Sente la ragazza stringersi su sé stessa e con la coda dell'occhio vede che ha nascosto il viso in una mano, senza però riuscire a mascherare la smorfia di profondo dolore che le deforma i delicati lineamenti.
«Sarò sincero: non passerà mai. Il dolore si affievolirà, certo, tanto da diventare quasi invisibile, ma ci sarà sempre.» afferma con tono calmo, voltandosi verso di lei e incrociando le gambe sul letto «Noi immortali abbiamo un... difetto, se così lo vogliamo chiamare. Proviamo i sentimenti in un modo molto più profondo di un essere umano. Quando amiamo, lo facciamo in un modo completamente diverso, tanto da arrivare all'autodistruzione quando questo amore ci viene sottratto.
Tu ami quei pirati, tutti quanti. Ti hanno accolta tra loro, ti hanno cresciuta e voluto un bene infinito, e tu di conseguenza sei arrivata a considerarli la tua famiglia.
È per questo che non riesci ad amare tua madre, che non riesci ad essere felice di riaverla. Imparerai a farlo, probabilmente anche in tempi brevi, ma non smetterai mai di soffrire per loro.»
Akemi lo guarda con attenzione, domandandosi dove sia finito il ragazzo arrogante e solare che aveva conosciuto, e chi sia questo ragazzo che tanto gli somiglia ma che sta mostrando un animo dolce e attento.
«Sai, eri mancata a tutti...» l'avverte, sorridendole appena «Fenrir stava impazzendo! Avresti dovuto vederlo quando i fratelli Ulykke sono tornati senza di te e ha saputo che Geri ti aveva fatto male. L'ha picchiato per due giorni consecutivi, portandolo più volte in punto di morte!» ride da solo per quei ricordi, godendo interiormente per i lamenti di dolore del lupo che poco sopporta da sempre «È stato forte.»
«In che rapporti sei con loro?» domanda con voce flebile, notando con stupore l'espressione incerta di Killian.
«Me lo chiedi perché t'interessa davvero o cosa?»
«Te lo chiedo perché così devo concentrarmi su quello che mi dici e non posso pensare...» ammette con tono neutro, facendolo sorridere.
«Lo immaginavo...» le sorride allegro, assumendo poi un'espressione pensierosa mentre ricostruisce gli eventi nella sua mente, provando un vago senso di nostalgia per quei bei tempi andati, quando era ancora un lupetto spensierato alle prime armi e non doveva preoccuparsi di niente oltre al cibo.
«È stato Fenrir a donarmi l'immortalità. Avevo vent'anni quando è successo. Era inverno. Nel mio villaggio governavano una famiglia di nobili, che ci trattavano come nullità e ci facevano patire la fame. Lui odiava i nobili... si divertiva a sterminare intere dinastie! Come penso tu immagini, fece così anche con quelli del mio villaggio. Quella notte, però, erano di passaggio un gruppo di cacciatori che pensavano erroneamente di poterlo fermare... tsk, poveri scemi! Fece una vera e propria strage, ma quando arrivò a me, tua madre gli si parò davanti, snudando le zanne e ringhiando con una ferocia che al tempo non credevo neanche possibile.
Fenrir fece uno strano verso, come se si stesse strozzando, e la scansò con un colpo. Mi guardò per qualche secondo, in cui ho provato una paura indescrivibile, e poi mi morse. Persi i sensi per il dolore e mi svegliai la notte seguente in una camera d'albergo; tua madre era lì, che preparava del tè a pochi metri da me, e quando mi ha visto sveglio mi ha abbracciato forte, mormorandomi che mi sarebbe stata vicina e che nessuno mi avrebbe più fatto del male. Così, da tremilaottocentosette anni, sono sempre stato con lei.»
Akemi ha ascoltato ogni parola con attenzione, immaginandosi tutto nel dettaglio, e alla fine non riesce a trattenere una domanda sciocca «Quanti anni?!»
«Non scandalizzarti, è normale da queste parti. Pensa che non sono neanche il più anziano!» afferma divertito il lupo, incrociando le braccia al petto e sorridendole allegramente.
Akemi scatta immediatamente a sedere sul letto, guardandolo con curiosità crescente. Non sa neanche lei perché la cosa le interessi, ma sa bene che parlando con lui, guardando il suo sorriso allegro e dolce, non pensa a tutto il dolore che le sta sbrindellando il cuore.
«Mia madre quanti anni ha? Týr quanti ne aveva? Fenrir? E Wulfric?» domanda a raffica senza neanche riprendere fiato, facendolo scoppiare a ridere di gusto.
«Dio, quanto sei curiosa!» afferma mettendosi comodo sul letto, afferrando pure uno dei grossi e morbidi cuscini della ragazza e sistemandoselo dietro la schiena «Allora, tua madre ne farà seimilanovecentonovantasette tra qualche mese, tuo padre e Fenrir hanno la stessa età, settemilaquattrocentoquarantuno, e tra i due il più anziano resta comunque Fenrir, che si trasformò prima. Wulfric per anzianità adesso è il secondo in tutto il mondo e vanta la veneranda età di settemilaquattrocentotrentadue anni.» spiega pensandoci attentamente, ricordandosi pure che deve trovare qualcosa di carino per la sua adoratissima madre. Non che alla donna manchi qualcosa, ma un pensierino è d'obbligo.
«Cazzo... sembra tutto così assurdo!» afferma la corvina, passandosi le mani tra i capelli e sentendosi improvvisamente una lattante.
«Ti abituerai all'idea, non ti preoccupare.»
Rimangono in silenzio, con tutto e niente per la testa. Non si guardano, lui per il vago imbarazzo al ricordo di averle palpato le tette ed essere stato il suo primo bacio, lei perché troppo sconcertata da tutto ciò che sta scoprendo.
«Com'è Fenrir quando... quando è un lupo?» gli domanda dopo un po', guardandolo con curiosità crescente, ed è proprio in questo sguardo che Killian riconosce la ragazzina per cui aveva perso completamente la ragione quel pomeriggio e per la quale adesso non riesce a trattenere un sorriso.
«Grosso. Dannatamente enorme, furioso e irritabile.» Akemi non riesce a trattenere una lieve risatina, cosa che solleva un poco anche il lupo «Detto così fa ridere, ma ti assicuro che quando te lo trovi davanti, con il pelo irto e la bava alla bocca, incazzato oltre ogni limite immaginabile, te la fai sotto!»
Akemi ride di gusto, piegata in due con le braccia attorno all'addome muscoloso, quasi senza badare agli sbuffi di Killian. Si domanda cosa ci trovi di tanto divertente, ma alla fine pensa bene che qualsiasi giovane immortale avrebbe la stessa reazione. In fondo, Fenrir è diverso da tutti gli altri e quindi inimmaginabile.
«Posso farti un'altra domanda?» gli domanda di punto in bianco Akemi, tornando improvvisamente seria.
«Tutte quelle che vuoi.»
«Mesi fa andai su un'isola insieme ad Ace, si chiama Dejima; la gente quando mi vedeva... non so bene come dirlo, ma sembrava spaventarsi di fronte a me. Anzi, neanche di fronte a me, ma di fronte a questo.» gli mostra il ciondolo che da sempre porta al collo e che per puro miracolo non aveva perso durante l'indesiderato bagno della notte precedente, facendo scattare sull'attenti il lupo.
«Ecco dov'era finito!»
«È tuo?» allunga piano un braccio verso di lui per ridarglielo, seppur a malincuore, ma Killian la costringe a stringerlo in mano e tenerlo per sé, il tutto con un sorriso da far sciogliere anche il cuore più gelido.
«Se vuoi puoi tenerlo, ho già il marchio. In più sono conosciuto su quell'isola.» afferma rimettendosi comodo e accendendo ancor di più la curiosità della giovane immortale che lentamente continua ad avvicinarglisi.
«Dimmi tutto.»
«Allora: devi sapere tuo padre bazzicava spesso per Dejima, tanto che alla fine gli abitanti si sono “piegati” a noi e ogni volta che ci vedono fanno tutto quello che vogliamo.» spiega con tono annoiato, giocherellando distrattamente con il coltellino che si porta sempre appresso.
«Perché?»
«Perché noi immortali siamo considerati come esseri superiori. Devi sapere che nel tempo abbiamo fatto tante cose davvero orribili, tanto da arrivare ad essere considerati al pari di divinità. Tuo padre in particolar modo.»
«Perché?»
«Onestamente?» la guarda con un sopracciglio inarcato e un sorrisetto arrogante ad increspargli le labbra, cosa che un poco la inquieta «Perché era pazzo, completamente privo di autocontrollo, pietà e codice morale. Fenrir col tempo gliel'ha inculcato in testa, picchiandolo non so quante volte per “educarlo”, ma quando poi si è stabilito qui tuo padre ha avuto di nuovo la sua autonomia e ha ricominciato a fare il cazzo che gli pareva.» spiega con ovvietà, incidendo le proprie iniziali sotto al letto della ragazza come è abituato a fare. Tutto in quella reggia ormai ha marchiate le sue iniziali, tutte ben nascoste.
Akemi sorride appena, ricordandosi di quando l'uomo le diceva di essere un Dio. Quel sorriso però muore immediatamente, lasciando spazio ad un'espressione piena di dolore.
Scuote con forza la testa, decisa a non pensarci adesso che ha finalmente trovato un modo per tenere la mente e il cuore impegnati, e subito si rivolge a Killian, ancora impegnato a testa in giù ad armeggiare con Dio solo sa cosa.
«Spiegami questa cosa del medaglione.»
«Sono tutte copie. Gli originali ce li hanno Fenrir e Týr. Il primo aveva una pietra rossa, mentre il secondo azzurra. In poco tempo decisero di fare delle copie per darli ai loro “figli”, in modo tale da creare due eserciti distinti. Mossa stupida a mio avviso, perché ci rendeva troppo riconoscibili agli occhi dei cacciatori...» spiega pacatamente, riemergendo finalmente da sotto al letto, riordinandosi alla meglio i capelli castani «Però, non so... ci dava un senso di appartenenza più profondo, così lo portavamo tutti. È il segno che proveniamo dalla linea più pura.»
«Linea pura?» gli fa eco la corvina, aggrottando le sopracciglia.
«Loro due sono stati i primi delle due specie.» afferma convinto, incrociando le gambe sul materasso e puntellando i gomiti sulle ginocchia «Una vecchia strega, che li odiava per non so quale ragione, decise di maledirli. Creò due bestie impure che avrebbero dovuto infettarli: un lupo e un pipistrello. Una volta infettati poi sono morti e loro due maledetti. La vecchia però non aveva preso in considerazione il fatto che così facendo avrebbe dato loro un netto vantaggio. Era erroneamente convinta che avrebbero odiato la loro nuova natura maledetta e che sarebbero arrivati ad uccidersi a vicenda.»
«Ma non andò così...» mormora Akemi con un filo di voce, senza neanche dover faticare per credere a quella storia. Il tono di Killian, il battito calmo e regolare del suo cuore, sono dei chiari segnali che non sta mentendo. Anzi, dalla punta di allegria che percepisce nella sua voce, comprende anche che è più che lieto di parlargliene.
Killian le sorride, contento di vederla così presa dalle sue parole, e pensa bene di darle qualche informazione in più anche sul padre «Per i primi trent'anni, quasi, Fenrir non riuscì più a tornare alla forma umana, rimanendo intrappolato nel corpo di un'enorme bestia assetata di sangue. Týr non ha mai smesso, neanche per un misero istante, di credere in lui. Gli è stato vicino, gli procurava da mangiare, trovava delle grotte grosse e profonde per nasconderlo e farlo riposare... si prendeva cura di lui, e questo gli ha dato la forza di andare avanti.
A loro poi si unì Wulfric, l'unico che fu in grado di assimilare la natura demoniaca che trasmetteva tuo padre, e così formarono un trio incontrastabile. Pure Wulfric lo sosteneva, generalmente aiutandolo a muoversi nell'ombra o a scrivere con gli artigli sul terreno in modo che potesse comunicare di cosa avesse bisogno. Tutta roba elementare, eh, niente di sofisticato, però lo aiutava. Insegnò anche a leggere a tuo padre! Per quanto ne so, lo rese felicissimo...
Con il passare degli anni, Fenrir trasformò per sbaglio diverse persone, ma li uccideva tutti poiché senza la componente umana che lui ancora aveva e a cui tanto teneva: la ragione. Poi, dopo trent'anni o poco da quel giorno maledetto, s'imbatté per caso in due ragazzini. Il loro villaggio era sotto attacco, loro due in un bagno di sangue: il più giovane era sul punto di morire per dissanguamento, il maggiore era steso al suo fianco con un forte trauma cranico. Tuo padre disse di morderli, per vedere se erano capaci di riportare in vita i morti, e Fenrir obbedì. Quella notte nacquero due nuovi lupi, forti, veloci ed intelligenti, e i simpatici fratelli Lothbrook diedero loro la caccia per divertimento. Quando li trovarono al mattino, però, non c'erano più i due lupi, ma bensì i due ragazzi del villaggio, privi di memoria ed inspiegabilmente legati al grande Lupo Imperatore. Dopo qualche mese, durante il quale tuo padre lì ribattezzò come Freki e Geri, riuscirono a far tornare umano tuo zio.»
«Wow...» è l'unica cosa che riesce a mormorare Akemi, troppo concentrata ad ascoltare quella storia e allo stesso tempo ad evitare che le si stacchi la mascella.
«Tanta roba, eh?» le sorride divertito Killian, deciso a dirle le cose fino in fondo almeno per quanto riguarda quelli della sua razza «Anni dopo incontrò tua madre. Era una strega potente già al tempo... e tuo padre le aveva ovviamente messo gli occhi addosso. Non poteva però permettersi un'altra vampira nella sua schiera perché era ancora presto e doveva educare Arista, ancora fresca di trasformazione, così convinse il fratello a prenderla al posto suo, in modo tale da poterla avere per l'eternità.
Lei li aspettò, desiderosa di poter abbracciare il mondo immortale, per vendicarsi così di tutte le ingiustizie subite e poter evitare di andare in sposa all'uomo che i suoi uomini scelsero per lei quando era ancora in fasce.
Il suo corpo, come c'era da aspettarsi, rispose magnificamente al morso, e da quel momento si formò il quartetto di immortali più forte di sempre: Týr e Wulfric, Fenrir ed Astrid. Erano inarrestabili, davvero. Poi pensarono di allargare il giro e così cominciarono a trasformare gente a destra e a manca. Spesso però questi cominciavano a staccarsi e a creare dei propri Clan, e in poco si creò l'organizzazione per eliminarci: l'Ordine del Drago.»
«Sembra incredibile...» ammette Akemi, passandosi entrambe le mani nei capelli e sorridendo con aria inebetita.
«Beh, credici.» la sfotte facendole l'occhiolino il Titano, alzandosi poi in piedi per potersi stiracchiare le gambe «Altre domande?» le domanda sbadigliando, facendola annuire con convinzione.
«Hai accennato ad un marchio prima...»
Le sorride con aria beffarda, per poi alzarsi la maglietta e mettendo così in mostra l'enorme e mostruoso lupo nero che adorna la sua pelle bronzea, dal pettorale destro fino all'anca.
Akemi lo guarda stupita, ricordandosi di averlo già visto quando era più piccola sul quell'essere per lei assai odioso che si batté con Marco.
«Il primo a farselo fu Freki, estremamente colpito dalla trasformazione del suo creatore, e in seguito tutti hanno cominciato a copiarlo. Týr, divertito da questa cosa, si fece tatuare uno strano pipistrello sul ventre e tutti poi lo copiarono.» le spiega rivestendosi velocemente, notando una certa incertezza sul suo volto «Sono come dei Jolly Roger per noi.»
«Devo farlo pure io?» domanda vagamente infastidita, rimettendosi sotto le coperte mentre il ragazzo si allontana con passo lento.
«Tu non appartieni a nessuna delle due razze, quindi direi di no.»
«Meglio, perché non mi piacciono.»
A quell'affermazione Killian scoppia a ridere di gusto, tenendosi le braccia attorno all'addome muscoloso.
È felice di vederla così viva malgrado quello che sta affrontando, e non sta più nella pelle all'idea di vederla di nuovo allegra e piena di vita. Vuole presentarla agli altri, farla ambientare, farla diventare forte e sicura di sé. Vuole farle scoprire il mondo, farle capire quante opportunità ci sono là fuori se le si sanno cogliere, quante creature bizzarre ed interessanti popolano la terra. Vuole che sia felice, davvero felice.
«Posso chiederti un favore, adesso?» lo richiama Akemi prima che riesca ad uscire, facendolo voltare di scatto.
«Certo.» le risponde tranquillo il ragazzo, scrollando le spalle con una certa indifferenza.
Akemi si morde con forza il labbro inferiore per la vergogna, con il cuore che batte sempre più forte, finché di colpo alza lo sguardo e decide di mettere completamente da parte l'orgoglio.
«Dormi con me questa notte? Mi sento persa qui dentro...» ammette a malincuore, riabbassando subito la testa e fissando gli occhi fuori dalla finestra.
«Non c'è problema.» sorride dolcemente a quella richiesta e con tranquillità si stende al suo fianco, stando sempre a debita distanza.
Guarda come rapito il suo profilo, ritrovandoci molto del padre. Lo stesso naso, la stessa bocca. Pure gli occhi sono simili, con l'unica differenza che quelli di Akemi sono decisamente più dolci e meno furbi rispetto a quelli di Týr.
Allunga lentamente un braccio e le rimbocca le coperte come aveva fatto una volta quando era nata da poche ore, sorridendo da solo al ricordo.
Torna poi a sdraiarsi dandole le spalle, consapevole che lo sta fissando con sguardo incerto dopo quel gesto troppo affettuoso.
«Prova a rilassarti e dormi: domani ti aspetta una giornata molto piena.»
Akemi, ovviamente, si scosta le coperte di dosso e si issa su un gomito, cercando il viso divertito del ragazzo già vicino ad addormentarsi.
«Come mai?» gli domanda con curiosità, venendo dopo pochi secondi ributtata sul grande e morbido materasso da un suo braccio forte.
Sospira infastidita, rigirandosi dall'altra parte con le braccia incrociate al petto, sempre in attesa di una risposta che però non tarda molto ad arrivare.

 
«Ti daremo i tuoi ricordi.»
 
 
Angolo dell'autrice:
Salve a tutti! :D
Stavolta per fortuna sono abbastanza in orario, ma non fateci l'abitudine ;)
In realtà questa volta non ho molto da dire... ho scritto tutto sopra!
Certo, oh: ho viaggiato peso di fantasia eh!
Se qualcosa non è chiaro, comunque, chiedete tranquillamente :) semmai vi aggiungo su fb e vi dico lì le cose per bene.
Cooomunque... sorpresi almeno un pochino? >-<
Ho paura, prima di tutto, di aver reso male le emozioni, secondo poi ho paurissima che le creature scelte (che io AMO DA IMPAZZIRE) siano scontate... >.< l'unica cosa che vi dico è che non sono assolutamente come quelli di Twilight! Questi sono assassini, fine. È vero, i vampiri stanno alla luce del sole come quelli di Bram Stoker, ma di certo non brillano, e come i suoi sono infastiditi e più deboli.
Basta, via! Se volete chiedere qualcosa, sono al vostro servizio :D

Ringrazio di cuore Lucyvanplet93, Chie_Haruka, Yellow Canadair, Law_Death, Monkey_D_Alyce, ankoku, KuRaMa faN, Okami D Anima, Aliaaara, Phoenix_Sarah e Keyra Hanako D Hono per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo! Siete stati davvero dei tesori! ♥

Ora, prima di concludere, vi dico già il titolo che la ciurma apparirà tra due capitoli. Diciamo che da adesso saranno spesso alternati.
A presto, un bacione
Kiki ♥
 
 
 
SPAZIO DELUCIDAZIONI

Questi sono i “marchi”:
per i mannari: http://it.tinypic.com/r/x3t05/8
per i vampiri: http://it.tinypic.com/r/mj4z21/8
 
e i medaglioni:
per i mannari: http://it.tinypic.com/r/s6jb5l/8
per i vampiri: http://it.tinypic.com/r/359lq8i/8


Image and video hosting by TinyPicLo so, probabilmente sono io che mi convinco delle cose, ma... notate anche solo una vaga somiglianza?
Le immagini di Akemi e Týr sono state le più difficili da trovare proprio perché volevo che avessero una misera somiglianza (nel loro caso i colori e -a mio avviso- il taglio degli occhi, un po' la bocca e forse il naso).
Che ne dite? :/

 

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Capitolo 29
*** 29. Ricordi di sangue + Special [Una nuova arma] ***


Piccolo avvertimento: anche in questo capitolo la ciurma di Barbabianca non apparirà, mi spiace.
Inoltre ci tengo subito a specificare che questa volta i ricordi saranno visti in maniera differente: se prima Akemi/Lilith li vedeva e li commentava, adesso non lo fa. Stavolta non avrà modo di reagire, commentare, ma solo di sentire quello che il proprietario del ricordo prova. Appariranno -in ordine- i ricordi di Astrid, Wulfric, Sakura e Killian.
Are you ready? ;)

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Il terpore del corpo forte di Killian avvinghiato al suo la rilassa completamente.
Ogni preoccupazione è svanita, permettendole di sognare in pace per la prima volta. Addormentandosi era convinta che avrebbe rivisto Týr, che avrebbe potuto insultarlo e picchiarlo, mentre si è ritrovata su di un isola dove tutti erano polli e lei invece era un tapiro, che aveva la missione di recuperare l'uovo d'oro e portarlo al pesce pagliaccio nella boccia dell'ufficio del Sindaco Polletto. Non ha senso, ma la rende inconsciamente felice.
Si raggomitola ancora di più, lasciandosi stringere, sognando di essere premiata dal pesce adesso libero grazie a quell'uovo, quando qualcosa le salta addosso con incredibile forza, facendola saltare e appendere alle travi di legno del letto a baldacchino come un gatto.
«BUON GIORNO!» strilla la nuova arrivata, scuotendo con forza Killian, ancora mezzo addormentato.
«Ma che cazzo...?» biascica infastidito, portandosi le coperte sin sopra la testa per nascondersi dal terremoto ambulante che ha appena deciso di disturbare la sua quiete.
«Ki-llian, Ki-llian, sve-glia, sve-glia!!!» insiste la giovane lupa, saltellandogli allegramente addosso come se fosse una cosa del tutto normale.
Killian se la scrolla di dosso con un gesto brusco, passandosi le mani sul volto assonnato, per poi rendersi conto che Akemi non è più al suo fianco.
Allarmato, comincia a guardarsi freneticamente attorno, finché non alza lo sguardo e la trova appesa come una scimmia alla trave di legno.
«Tranquilla Akemi: questo pidocchio non ti farà del male.» la tranquillizza, dando una forte spinta alla ragazza al suo fianco, facendola capitolare di sotto dal grande e comodo letto.
«Però, che riflessi!» commenta questa, mostrando sempre un raggiante sorriso. Quando poi la ragazza decide finalmente di scendere dal suo sicurissimo nascondiglio, le porge sorridendo la mano, pronta a presentarsi alla creatura che ha fatto tanto scalpore «Io sono Silly!»
Akemi la guarda titubante: è una ragazza minuta di neanche vent'anni, dai capelli di un dolce color rame legati malamente un in una treccia laterale, la pelle candida, gli occhi scuri, grandi e luminosi, quasi quanto il sorriso pieno di allegria e vitalità che ha stampato in volto.
«Come fai ad essere così allegra di prima mattina?» biascica Killian, ancora completamente intontito, attirando malauguratamente su di sé l'attenzione dell'esuberante amica.
«È un dono.» risponde con ovvietà, saltando agilmente in piedi e strattonandolo per un braccio «Forza e coraggio, pasticcino: l'Imperatore e la Regina vi attendono!»
«Da quando stai ai loro ordini?» le domanda divertito il lupo, alzandosi da quel comodo materasso sotto lo sguardo attento e spaventato della corvina.
«Da quando Astrid snuda le zanne e minaccia di squarciarmi la gola.» risponde con una certa indifferenza la minore, osservando con attenzione ciò che la circonda. Perché è ben consapevole, Silly, che essendo Lilith la primogenita di quella rompipalle perfettina della Regina, le avrà riempito la stanza di cose interessanti su cui poter mettere le zampe assieme a Mimì, e non può certo lasciarsi scappare un'opportunità tanto invitante.
«Intelligente.» commenta Killian, afferrandola per i fianchi snelli e conducendola, senza tante cerimonie, verso la porta per potersene sbarazzare «Dì loro che arriviamo tra due minuti.»
La ragazza si volta lentamente, incenerendolo con lo sguardo «Non sono mica la tua messaggera! Diglielo da solo!» afferma inviperita, girando poi sui tacchi e andandosene velocemente, imprecando ad alta voce in una lingua che Akemi non comprende.
«E quella chi diavolo è?!» sbotta impaurita la ragazza, facendo voltare verso di sé il giovane lupo.
«Silly Silva, una randagia che Rin trovò più di duemila anni fa. È divertente, se ti piaciono i tipi chiassosi ed esuberanti.» risponde pacatamente il maggiore, stiracchiandosi la schiena e le braccia. Riabbassa gli occhi sulla ragazza quando si accorge che lei sta continuando a fissarlo con aria accigliata «Vuoi che ti parli di lei mentre ti prepari o preferisci restare da sola?»
«Onestamente, Killian?» sbuffa Akemi, alzandosi a sua volta mentre si tortura le mani per il nervoso, tenendo sempre lo sguardo basso per il disagio «Non voglio stare sola. Ho una paura fottuta di questo posto. Ho come la sensazione che delle creature viscide ed insanguinate potrebbero strisciare fuori dalle pareti da un momento all'altro!»
Killian ridacchia appena, tenendo una mano davanti alla bocca per educazione.
In realtà non lo sorprende per niente il fatto che la ragazza abbia così paura, che sia tanto spaesata e circospetta. Pure lui, licantropo millenario e feroce come pochi, si troverebbe decisamente a disagio in un luogo sconosciuto con persone tanto pericolose.
«Allora ti parlerò un po' di lei, così impari a conoscere un po' chi ti circonda.» afferma mantenendo sempre il sorriso, deciso a farla calmare con qualsiasi mezzo «Silly viene dal mare Occidentale, da un isola estiva chiamata Komakhalu. Rin la trovò mentre sbranava una carcassa. Poverina... era pelle e ossa. Nessuno le aveva mai insegnato niente e tutt'ora non sappiamo chi siano i suoi creatori. Secondo molti, me compreso, sono morti in qualche scontro per il territorio e lei è rimasta sola.»
Akemi ascolta con attenzione ogni parola, continuando a pensare con insistenza che siano tutti una brancata di imbecilli con seri problemi mentali. Non lo dà certo a vedere, ma non riesce a pensare altro.
«La prese con sé, la portò da Fenrir, e Silly giurò fedeltà al Sovrano dicendo che gli ispirava fiducia. Da allora sta con noi e ha stretto un profondissimo legame con Mimì. Aspetta, perché lo fece? Ah, si: Mimì aveva i capelli azzurri come il cielo e le punte bianche come la neve, e Silly disse di trovarli troppo fighi, così hanno legato e da allora sono ottime amiche. Quando poi i due gruppi si sono separati, lei rimase sull'isola con Mimì.
È una bravissima ragazza, puoi fidarti di lei. Giurò fedeltà a te e alla tua famiglia per prima, squarciandosi la mano per marcare la cosa. È fedele, allegra, sempre pronta a tirarti su di morale. Credo di non averla mai vista triste, in effetti...» continua Killian, sistemandosi distrattamente i capelli davanti allo specchio. In realtà sta tirando il discorso per le lunghe solo per poter passare più tempo con lei, per poter conquistare la sua fiducia «La riconosceresti anche se ti togliessero l'olfatto! Se qui tutte le lupe, che in realtà sono oche travestite, si mettono sempre in ghingheri per niente, lei indossa sempre camice bianche o maglie fiorite, niente pantaloni neanche se ci fosse una bufera, il tutto sempre con sotto un costume da bagno molto colorato e un hibiscus tra i capelli.» termina sorridendole allegramente, facendola sospirare, piuttosto indifferente alle sue parole.
«Non sembra male.» borbotta poco convinta, pettinandosi i capelli con le dita e acciuffandoli distrattamente sulla testa in una coda assai disordinata. Lanciando un'occhiata allo specchio, poi, si accorge di quanto il suo aspetto sia incredibilmente simile a quello di un panda, così comincia a ripulirsi gli occhi con il dorso delle mani, imprecando a denti stretti.
«Allora, andiamo?» le domanda Killian, poggiando una mano sulla maniglia dorata della porta.
Akemi abbassa titubante lo sguardo, rialzandolo subito dopo e scoccando al mannaro uno sguardo assai scocciato. Indica subito con un dito la sua meravigliosa mise, composta da una maglia da uomo arancione che le arriva alle ginocchia e un paio di calzini viola, facendolo sospirare esasperato.
«Tutte uguali voi donne, eh?» commenta sovrappensiero, andando con passo svelto verso gli enormi armadi situati nel lato opposto della stanza. Quando poi apre le ante di quello nel mezzo, Akemi sente distintamente la mascella schioccare. È sicura che le manchino pochi centimetri per farle toccare il suolo.
«Tua madre ti ha completamente fatto il guardaroba mentre dormivamo. È una fissazione la sua, ci farai l'abitudine.» afferma il ragazzo, frugando tra i vari vestiti che la sua adorata madre le ha messo a disposizione. Si era accorto di lei durante la notte, fiutando semplicemente il suo dolce ed inconfondibile odore, ma non ci ha fatto troppo caso. È rimasto addormentato con la giovane immortale stretta tra le braccia, lasciandola fare.
«Opterei per questo.» dichiara dopo un'attenta ricerca, mostrandole un vestito bianco, semplice, lungo fino a metà polpaccio, le maniche svolazzanti e con un leggero scollo sulla schiena.
«Grazie.» mormora la corvina, afferrando con una certa riluttanza il vestito.
«Ti aspetto fuori!» esclama con un sorriso dolce Killian, dandole una lieve pacca sulla spalla prima di dileguarsi per poterle lasciare la sua privacy.


Le ci è voluta una mezz'ora buona prima di decidersi ad uscire da camera sua.
Si era messa sotto la doccia e li era rimasta, appollaiata su sé stessa, vittima dei propri ricordi e pensieri.
Le manca la sua famiglia. Le mancano i discorsi privi di senso con Halta, i giochi infantili con Ace. Le mancano gli abbracci fraterni di Satch, i consigli di Izo. Le manca suo padre, con le sue sfuriate e i suoi sguardi dolci, il suono della sua voce e della sua risata.
Ma più di chiunque altro le manca Marco. Le mancano i loro momenti insieme, le occhiate furtive che si lanciavano, i loro baci pieni di passione e tenerezza.
Solo quando l'acqua fredda le carezzava la pelle e le rischiarava la mente si è resa conto che non li rivedrà mai più e, soprattutto, che adesso loro la odiano per quanto ha fatto.
È stato solo grazie a quel doloroso pensiero che si è decisa ad uscire e affrontare sua madre, facendosi condurre nella grande infermeria del castello, ritrovandosi circondata da quella che per i suoi gusti è davvero troppa gente.
Nella stanza in cui è stata condotta, infatti, c'erano pure Fenrir, Wulfric, Mimì, Kakashi, Freki e il fratello Geri, che tiene un braccio ben stretto attorno alla vita sottile del biondino.
Li ha guardati uno per uno, intimorita dai loro sguardi seri ed invasivi, cercando sempre di mantenere il controllo e un aspetto apparentemente tranquillo, inconsapevole che tutti loro sono ben coscienti del suo stato d'animo grazie al suo odore.
Dopo qualche minuto la madre l'ha presa delicatamente per mano e l'ha fatta stendere su un lettino a cui è stata saldamente legata. Si è poi seduta al suo fianco, rimanendo in completo silenzio mentre le carezzava la fronte, cosa che le ha dato un minimo di coraggio.
«Eccomi!»
I presenti si voltano svogliatamente verso Sakura, guardandola con una punta di fastidio nello sguardo. A nessuno di loro piacciono i ritardi, soprattutto quando devono fare qualcosa di importante.
«Scusate, dovevo inquadrare bene. Non è stato semplice.» afferma con un sorriso colpevole la bionda, posando con delicatezza le fiale piene di sangue nelle mani ferme e forti del compagno.
Wulfric le sorride appena, dirigendosi subito dopo verso la ragazza che lo guarda con paura crescente.
Le avvicina alle labbra una delle fiale, guardandola dritto negli occhi spaventati.
«Bevi questo.» ordina con tono fermo, mettendole una mano dietro la nuca per aiutarla a tirare su la testa, riscontrando però una notevole resistenza da parte sua.
«Cos'è?»
Prima che il Mietitore abbia il tempo di rispondere, la voce suadente e forte dell'Imperatore lo precede, facendolo un poco seccare
«Il nostro sangue.» afferma infatti Fenrir in tutta tranquillità, come se fosse una cosa ovvia e assolutamente naturale.
«Cosa?! NO!» strilla in risposta Akemi, cominciando a dimenare la testa per evitare che la fiala entri in contatto con le sue labbra.
Si era resa conto già dall'odore dolce e penetrante che era qualcosa a lei già noto, ma non aveva preso realmente in considerazione che potesse essere sangue. Tanto meno aveva pensato che potesse piacerle tanto solo dal profumo.
«Il sangue contiene i ricordi. È un modo semplice per apprendere.» afferma Fenrir, facendo qualche passo in avanti per raggiungerla, sovrastandola con la sua mole «Grazie a quelle semplici fiale e al loro prezioso contenuto, tu avrai la possibilità di sapere come sono andati gli eventi.» aggiunge subito dopo guardandola con sguardo duro ed impenetrabile.
«Forza e coraggio, una dietro l'altra.» scherza Wulfric, sforzandosi di sorridere in modo incoraggiante, senza il minimo successo. È in questi momenti che si sente un completo incapace, quando si accorge di essere assolutamente negato a compiere un gesto tanto semplice come sorridere.
«Non possiamo mischiarli? Mi risulterebbe molto più semplice farlo in una volta sola.» sospira rassegnata Akemi, guardando supplichevole la madre, che abbassa repentinamente lo sguardo con rammarico.
«I ricordi diverrebbero confusi e il tempo che impiegheresti per riordinarli sarebbe sprecato.» risponde per lei l'Imperatore, facendo così cadere nello sgomento assoluto la nipote.
Perché lei non può mettersi a bere del sangue così, dal niente. Ha quasi accettato l'idea di averlo fatto in quella notte maledetta, ma non riesce proprio ad abbracciare l'idea di farlo adesso. È contro natura, per lei.
«Ho un idea.» tutti si voltano sorpresi verso Freki, appoggiato con le spalle al muro in un angolo. Il sorrisetto furbo che gli increspa le labbra fa storcere loro la bocca, insospettendoli, ma pensano che è comunque il caso di ascoltare la sua proposta e valutarla prima di zittirlo.
«La posso sedare con un farmaco ipnotico in aggiunta ad un anestetico oppiaceo, così potremmo prevenire e bloccare eventuali reazioni negative, e dopo glieli inietto in vena.»
«Mi piace la sua idea!» esclama Akemi, sorprendendosi di sé stessa. Quel tipo le fa una paura incredibile, la costringe senza dire una parola a piegare la testa ed accucciarsi come una bambinetta: non le sembra possibile il fatto di avergli appena dato ragione e, soprattutto, di averlo guardato con riconoscenza.
«Va bene.» accetta Fenrir, facendolo avvicinare velocemente.
Freki, esperto nel campo della medicina, prepara subito la siringa contenente una massiccia dose di Propofol e di Fentanyl, per poi inserirla con sorprendente delicatezza nella vena della ragazza.
«Ora chiudi gli occhi e rilassati. I ricordi affluiranno uno dietro l'altro, così anche tu saprai.» la rincuora, sorridendole per un breve istante.
Akemi non ne ha idea, ma Freki non è solo un uomo feroce e sanguinario: sa essere dolce, protettivo e docile se non si sente minacciato o se non si tratta di un compito affidatogli dal suo creatore. Adesso, in un ambiente sereno e familiare, circondato da persone di cui si fida ciecamente, è in uno stato di assoluta serenità, e di conseguenza gli viene naturale mostrarsi protettivo anche nei suoi confronti. In fondo, è come un cucciolo per lui.
«Saremo qui quando riaprirai gli occhi, piccola mia.» mormora dolcemente Astrid un attimo prima che la figlia chiuda lentamente gli occhi. Le carezza dolcemente una mano mentre i minuti scorrono, durante il quale i presenti si sono messi comodi ad aspettare che Freki inizi l'operazione.
«Chi è il primo?» domanda il lupo, osservando le quattro fiale con incertezza. Per un istante si domanda per quale ragione Sakura abbia deciso di scrivere su ognuna di esse il nome del proprietario, ma decide di non badarci.
«Mi pare ovvio, ragazzo.» gli risponde sarcasticamente Wulfric, facendolo ringhiare sommessamente «La madre!»
 
Ho provato spesso dolore nella mia vita. Quando Fenrir mi morse e il mio corpo morì per abbracciare l'immortalità, quando venivo ferita negli scontri, quando mi picchiavo per qualche idiozia con quel deficiente di Týr... ma niente è paragonabile a questo.
È come se venissi squarciata dall'interno... non lo sopporto più!
«Astrid, stringi i denti e spingi!»
Parli facile, vero Wulfric? Tu non hai mai dovuto espellere una cosa simile dal tuo corpo! Ma ti assicuro, caro Mietitore, che non appena avrò ripreso le forze, ti ficcherò un cocomero su per il culo e poi ti dirò di stringere i denti e spingere!
«Manca poco, dai!»
Perché la fate così facile? Non è facile un cazzo, dannazione! E io non riesco più a sopportare questo dolore... poi sono stanca... troppo stanca. Non ho più la forza di spingere.
«È normale che sanguini così?» Ti ci metti pure tu, Killian?
«No.» Zitto Wulfric, per favore! Non posso farcela se fai così! Devi sostenermi, dirmi che sta andando tutto bene, che sono bravissima e che la mia creatura è sana. Devi dire a tutti che tutto il sangue che sto perdendo è una cosa normale, che mi riprenderò presto.
«Astrid, guardami...»
Sakura... perché stai per piangere? Va tutto bene, te lo assicuro. È solo un po' di sangue... un lago di sangue.
«Un'ultima spinta Astrid, ce l'hai quasi fatta.»
Respiro. Mi manca il respiro.
Týr, dove diavolo sei? Ho bisogno di te e della tua infantile stupidità. Ho bisogno che tu mi tenga la mano, che mi baci le dita e che mi dica che sono bellissima anche adesso che sono in un lago di sudore e sangue.
Spingere. Devo spingere, non pensare a te.
Ci pensi, Týr? Questo è il nostro miracolo.
Tra noi non c'è amore. C'è attrazione fisica, simpatia e rispetto, ma non amore. Devi promettermi, però, che l'amerai incondizionatamente e che gli darai tutta la tua protezione, la tua saggezza e la tua conoscenza.
«Astrid, guarda!» Wulfric, dimmi... cosa tieni tra le braccia? «È la tua bambina, Astrid: guarda quanto è bella.»
La mia bambina... la mia piccola bambina. Mi viene da piangere. Non riesco a trattenermi.
Sei incantevole amore mio, la cosa più bella che abbia mai visto, tutta imbrattata di rosso, con quei grandi occhioni che si guardano attorno curiosi. E quanti capelli che hai!
«Sakura...» riesco appena ad ansimare, attirando curiosamente anche l'attenzione della piccola «Vuoi essere la madrina della mia bambina?»
Ti sento piangere dalla gioia, mentre con lo sguardo seguo con difficoltà il fagottino bianco che viene adagiato tra le braccia di Killian.
Guarda, piccolo mio: quella è la tua nuova sorellina. Ti piace? Sono sicura che andrete d'accordo... e che la proteggerai.
«Astrid...» non credevo che ti avrei mai visto così felice, Wulfric, e neanche che tu sapessi sorridere così dolcemente «Come vuoi chiamarla?»
Come urli, piccola mia. Sei forte, anche se sei al mondo da pochi minuti. Sei già riuscita a spezzare la catenella del ciondolo di Killian. Un vero terremoto, mh?
«Lilith...»
Ricordi, Týr? Dicevi che se mai avessi avuto una figlia, l'avresti chiamata così. Dicevi che ti sembrava il nome perfetto per una Principessa. Beh, ti ho accontentato... non sei felice, mio infantilissimo Re?
«Vado a chiamare Týr. Tu riposati e non fare alcuno sforzo, chiaro? Ti porto delle sacche di sangue.»
No! Wulfric, per la Luna, non farlo! Ne abbiamo poche e sono per la piccola! Non posso nutrirmene io, sono della mia Lilith.
«Wulf...» ti fermi un secondo sul ciglio della porta e mi guardi senza capire, sbattendo più volte le palpebre e passandoti frettolosamente le mani insanguinate tra i capelli.
«Tu sei il padrino di nostra figlia.» sospiro, facendoti sorridere «Digli anche questo.»
«Mamma...» sapevo che sareste andati subito d'accordo, Killian. Guarda come sei riuscito a placarla dandole da mangiare il tuo stesso sangue! E guarda come beve... è un angioletto.
«Promettete...»
Ho freddo, sono stanca. Non riesco più a star sveglia. È solo la gioia di vedere la mia bambina viva tra le sue braccia che mi tiene in vita. Però dovete promettermi che baderete a lei nel caso qualcosa andasse male. Dovete promettermi che non correrà rischi, che quando arriveranno per noi, voi la proteggerete.
«La mia fedeltà è rivolta a Lilith Lothbrook, prima del suo nome e Principessa dei morti.»
Lo ripetete tutti, facendomi addormentare serena.
Però, Killian, non potevi trovarle un titolo migliore...?

 

«Passa alla seconda fiala.» ordina con tono fermo Astrid, osservando il volto contratto della figlia, asciugandole delicatamente la lacrima che le riga la guancia. Il cuore le si stringe in una morsa gelida e senza pensarci le stringe la mano per farle sentire la sua presenza al suo fianco.
«A chi tocca?» domanda Kakashi, guardando i presenti con curiosità.
Avrebbe partecipato molto volentieri, le avrebbe dato anche tutti i suoi ricordi, ma gli è stato impedito. Troppo giovane ed impetuoso per poter trasmettere i propri ricordi, che sarebbero risultati assai confusi.
Freki, con una calma che stona incredibilmente su di lui, inietta delicatamente del nuovo sangue nella vena della ragazza «Wulfric.»
 
Cosa diavolo ha da piangere, adesso?
Ha mangiato, è stata cambiata, lavata, ha di nuovo mangiato, ha giocato ed è stata coccolata fino all'esaurimento. Cosa cazzo ha da piangere adesso?!
Ero tanto comodo nella mia fottutissima bara, ma adesso non sopporto neanche di stare qui. Sembra quasi rimbombare qui dentro!
Altro rumore. Qualcosa che si rompe. Ti sei mosso, Týr?
Beh, a questo punto, tanto vale farti compagnia. Ti assicuro, comunque, che me la pagherai cara! Sai benissimo che ho bisogno delle mie ore di riposo quotidiane, quindi risponderai tu per il casino che fa tua figlia.
«Luce dei miei occhi, brilla su di me. Voglio mille Lune, per accarezzarti. Pendo dai tuoi sogni, veglio su di te. Non svegliarti, non svegliarti ancora...»
Da quando canti così, Týr? Da quando guardi qualcuno con tanto amore? È vero, mi hai sempre trattato come un fratello, mi hai amato come solo tu sai fare, ma non mi hai mai guardato così. Neanche Fenrir lo hai mai guardato a questo modo.
«Non dirlo a nessuno.» ordini senza voltarti, continuando a cullare tra le braccia il piccolo demone urlante finalmente assopito.
«Hai paura che non ti prendano più sul serio se venissero a sapere che sei capace di amare?»
«Ho una reputazione da mantenere, Wulf.»
Mi mancava il tuo sorriso. E sono sicuro di non averlo mai visto così luminoso, così vivo.
Sei capace di compiere miracoli, piccola creaturina. Complimenti.
«Non trovi che sia meravigliosa?»
Annuisco, senza dirti che ti assomiglia da morire. Cominceresti a vantarti fino allo stremo, diventando oltremodo insopportabile. Però hai ragione: è meravigliosa.
«Wulf.»
Hai messo la piccola nella culla che tu stesso hai costruito, rimboccandole le coperte. È incredibile... la ami davvero.
«Sappiamo entrambi che stanno arrivando. È questione di giorni ormai.» sei serio, troppo serio. Dimmi che vuoi spostarti, che ce ne andremo al sorgere del Sole, ti prego. «Astrid non deve essere mossa, è troppo debole. Munnin è rimasto all'isola e ora non farebbe in tempo a volare qui e poi tornare indietro col messaggio.»
«Piazziamo un'altra linea difensiva. Entro l'alba sarà pronta.»
«No. È inutile, lo sai.» non fare quella faccia afflitta, brutto stronzo! Hai idea di quanto mi faccia male quello che mi stai chiedendo?!
«Týr, dannazione, è una pazzia! Non ho alcuna intenzione di lasciarti da solo!»
Sorridi. Perché sorridi? Non c'è niente di divertente in questa situazione. E smettila di guardare Lilith! Non le succederà niente, non adesso! Ci siamo solo noi due in questa stanza, il perimetro è pattugliato! Guarda me, concentrati e dammi una fottuta risposta convincente!
«Sei l'unico in grado di arrivare ad Helheim alla svelta.»
Colpito ed affondato. Sapevo che lo avresti detto. Cominci ad essere prevedibile, vecchio mio.
«Hai bisogno di me qui, lo sai.»
«Pensi che sia tanto stupido da non sapere che ho bisogno di te per continuare a vivere? Beh, mi spiace, ma devo contraddirti: sono pienamente consapevole che allontanandoti morirò. Ma è un prezzo che sono disposto a pagare per lei.»
Non voglio ascoltarti. Non voglio ubbidire, non questa volta. Non posso lasciarti solo! Non posso lasciare te, Astrid e Sakura! Non voglio che la mia compagna muoia. Non posso perderla, non lei.
«Týr...» non ti ho mai supplicato in tutti questi millenni, ma adesso non posso trattenermi. Hai avuto tantissime idee del cazzo, ma questa le batte tutte, dalla prima all'ultima.
«Wulfric... c'è in ballo la vita di mia figlia.» questa è la prima volta che ti sento supplicare.
Da quando siamo diventati così sentimentali? Da quando ci importa della vita degli altri? Abbiamo sempre pensato a conquistare, nutrirci, divertirci... e adesso siamo schiavi dell'amore che nutriamo nei confronti di due creature dannate.
Lo devo ammettere: questo è buffo.
«Ti prego, esegui questo mio ultimo ordine: va' da mio fratello, avvertilo della situazione... e promettimi che la proteggerai quando non ci sarò più.»
Sei un cane bastardo, lo sai? Sei la feccia della feccia, una piaga per l'umanità! E io sarei disposto a morire nei modi più atroci che si possono concepire pur di salvarti il culo. E tu lo sai, vero? Lo sai e te ne approfitti. Ma non mi vedrai piangere. Morirò dentro, silenziosamente, ma non mi piegherò.
«Le ho giurato fedeltà assoluta nel momento esatto in cui mi hai annunciato del suo concepimento. Farò tutto quello che è in mio potere e anche di più perché sia al sicuro.»
Mi abbracci forte, immergendo il tuo viso dolce nei miei capelli. So bene che stai sorridendo, stronzetto. Sei sempre stato un buffone, non prendi niente sul serio, neanche questa guerra. Dì la verità: sei convinto di vincere, vero? Pazzo psicolabile...
Ti stacco velocemente e apro la finestra, pronto ad andarmene. Dovrai dirlo tu a Sakura. Lei non mi lascerebbe mai partire, non da solo, e tu hai bisogno della sua forza per resistere.
«Ci rivedremo, amico mio...»
Ci conto, fratello. Ci conto sul serio.

 
«Adesso facciamo sul serio...» mormora Freki, tenendo stretta in mano la fiala con i ricordi di Sakura.
I presenti si irrigidiscono, consapevoli di cosa stanno per mostrarle. Vorrebbero evitarlo, preferirebbero che rimanesse all'oscuro degli eventi accaduti quell'orribile mattina, ma sanno di non poterlo fare. Le hanno promesso risposte, le hanno promesso la verità, e nessuno di loro è il tipo che si rimangia la parola.
Astrid, sempre al fianco della figlia, si trattiene dal piangere. Ha visto anche lei quegli eventi, ha sentito le emozioni dell'amica... lo ha visto morire. Ha visto quel maledetto palo trafiggergli il cuore, lo ha visto cadere con il sorriso sulle labbra. Ha visto l'assassino mascherato scappare quando la situazione si è drasticamente ribaltata. Lo ha visto malgrado non ci fosse. E davvero vorrebbe evitarglielo. Vorrebbe evitarle di vedere il padre morire di nuovo, vorrebbe evitare di farle vedere quelle ombre che tanto l'hanno spaventata diventare reali, prendere dei volti e muoversi come realmente hanno fatto.
«Astrid, te lo giuro: ci sono solo quei due momenti.» la rassicura la bionda, mentre Wulfric le stringe piano le braccia attorno ai fianchi.
La situazione tra loro due si è tesa parecchio negli ultimi tempi, potrebbero non riprendersi più e lo sanno, e per questo il grande Mietitore sta provando a mostrarsi di nuovo dolce e protettivo nei suoi confronti, anche se gli riesce difficile. Ha perso il suo migliore amico, suo fratello, e non avendo esternato alcuna emozione come gli altri, ne sta risentendo molto di più.
Killian ha rovesciato un'isola, Fenrir si è rianimato con la vendetta, tutti hanno fatto qualcosa per esternare quel dolore così ingombrante, eccetto lui. Si era ripromesso di non piegarsi, ma quel peso sta diventando sempre più insostenibile. 'Ci penserò più tardi. Adesso tocca alla ragazza.'
Fenrir va alla finestra, fissando l'esterno.
Vede i vari abitanti che aspettano un qualsiasi segno, e lui gli sorride appena, facendoli rilassare un poco. Ogni volta rimane sorpreso dal loro amore, dalla loro fiducia incondizionata. Non ha mai voluto il potere, non voleva assolutamente diventare un regnante, ma loro lo hanno eletto il capo quasi con la forza, motivo per cui adesso li protegge con tutte le proprie forze.
Killian lo affianca, senza però toccarlo. Non vuole disturbarlo, non vuole deconcentrarlo.
Sorprendentemente, poi, è proprio Fenrir a mettergli un braccio attorno alle spalle e a stringerlo. È consapevole del legame che il ragazzo aveva con il fratello, e di conseguenza è consapevole del dolore che ha provato.
Si volta piano verso Freki, il suo fidato braccio destro, e piano annuisce, facendolo sospirare.
Perché per quanto sia sadico Freki, per quanto gli sia indifferente la ragazza che tutti stanno accudendo, è dispiaciuto per lei. Nessuno dovrebbe mai vedere cose simili.
«Tieni duro...» mormora prima di iniettare la nuova fiala, sfiorandole appena il dorso della mano pallida con la punta delle dita «Siamo qui.»
 
Caos.
Sangue.
Il cielo si è appena rischiarato. Tira vento. Alza la polvere di questa spiaggia dannata.
Tutti combattono, usando ogni arma a loro disposizione: zanne, artigli, frecce d'argento, veleni. Ci vogliono morti, tutti quanti. Ma perché? Perché è nata una bambina? Mi fate schifo. Mi fate davvero schifo.
Mi alzo da terra, muovendomi come in sogno, al rallentatore. Vorrei sprofondare sotto terra, raggiungere all'Inferno le anime dannate dei compagni caduti.
Siamo rimasti in pochi a sostenere i nostri Signori, e siamo quasi tutti morti. Rimaniamo io, Arista, Momoko, Genma, Mimì e Hidan.
Giro, guardo e mi chiedo: come possono tradirli così? Sono i loro Creatori, coloro che gli hanno donato la vita eterna, strappandoli dalla miseria in cui vivevano. Come possono tradirli così? Come possono voltare loro le spalle e combatterli? Come possono voler davvero uccidere una bambina innocente?
Ruoto su me stessa talmente alla svelta che potrei sollevarmi da terra. Invece mi tengo con gli anfibi attaccati al suolo. Con il tallone colpisco in pieno volto un cacciatore, senza però riuscire ad evitare la lama d'argento del suo pugnale che mi taglia la coscia. E brucia. Dio se brucia.
Non mi rendo neanche conto del movimento che ho fatto, ma adesso sono in groppa ad un enorme lupo nemico. Vuole uccidere Genma. È troppo giovane per potersi difendere da solo e io non voglio vederlo morire.
Sono su di lui. E lui sta su Genma. Tutti gridano in questo caos, nessuno bada a noi. Non ci capisco un accidente.
Lo tiro via con forza, forse l'ultima che mi rimane, e poi gli dilanio la gola, affondando gli artigli nella pancia e facendogli fuoriuscire le budella.
Qualcuno mi afferra per la spalla, rigirandomi, e di slancio lo colpisco col gomito. Sotto il mento. E lui incassa. Incassa e reagisce, tirandomi un pugno micidiale, che mi fa saltare un dente.
Non posso perdere. Non morirò, non prima di averlo rivisto, non prima di avergli detto che lo amo più della mia stessa vita e che morirò felicemente vedendo il suo sorriso.
Tiro su le ginocchia e, dopo aver sferrato il colpo, sento il rumore secco dello sterno rotto, delle costole fracassate. Gli infilo velocemente le mani sotto alla felpa verde e gli squarcio il petto, cercando avidamente il suo fottuto cuore ancora palpitante. E lui urla disperato, venendo però ignorato dai compagni.
Mi rialzo, mi guardo attorno.
Hidan è nei guai, gli hanno staccato il braccio. Mimì lo sta difendendo, ma è troppo ferita. Le basta un ultimo colpo, e il sottile filo che la tiene in vita si spezzerà.
Devo intervenire, devo salvarla.
Týr, cosa fai? Pensa ai pezzi grossi, possiamo difenderci da soli. Sei stato un padre meraviglioso, malgrado tu non voglia ammetterlo: ci hai voluto bene, ci hai insegnato a combattere e a difenderci da soli, a saper stare sulle nostre gambe e morire con onore.
Un altro mi è addosso. Riesco a tenere le sue puzzolenti fauci bavose lontane dalla mia faccia, Genma me lo toglie di dosso. Dopo lo ringrazierò, se sarò ancora viva.
«NOOO
Arista? Arista, che è successo?
Oh mio Dio...
Týr... Týr, dimmi che scherzi. Dimmi che è uno dei tuoi finti suicidi dove ci fai spaventare tutti e poi scoppi a ridere, ti prego. Dimmi che quella picca d'argento non è conficcata nel tuo cuore. Dimmi che non ti sei fatto fregare.
Forza, Týr! Sorridi e dimmi che anche questa volta la sfangheremo! Noi la sfanghiamo sempre, vero?
«PUTTANA!»
Un colpo al fianco. L'argento che mangia i tessuti. Fa male, troppo male.
Alzo lo sguardo per vederlo.
Lui, il mio Signore, mio padre, è steso a terra. Il sangue aumenta, il suo corpo non si muove e la battaglia pare fermarsi per un secondo. Perché sono fermi?
«Sono qui, sorella...»
Kakashi? Kakashi, tu sei sull'isola. Il mio spirito ha voluto salutarti, fratellino? No, ti prego, non piangere. Sarai felice, fratellino. Geri si prenderà cura di te, ti proteggerà e ti renderà felice.
Questo ringhio... riconosco questo ringhio. Non credevo che saresti arrivato in tempo, Fenrir. E mi dispiace... mi dispiace da morire per tuo fratello. Devi essere forte, Imperatore. Devi essere forte e difendere tua nipote.
Le palpebre si fanno sempre più pesanti, non riesco a stare sveglia.
«Non morire!»
Non sai quanto ti voglio bene, Kakashi. Non hai idea di quanto sei importante per me.
Qualcuno mi afferra forte per le spalle e mi poggia da qualche parte. Non vedo più il Sole... dove sono? È morbido...
«Dormi, amore mio.»
Wulfric? Mi stai davvero offrendo la tua bara? Dio, Wulf... non hai idea di quanto ti amo.
Ma adesso corri: prendi Fenrir, nostro Sovrano, e salva la piccola.
Ti prego... salvala.


Akemi si è inconsciamente agitata alla vista di tutta quella disperazione, di quelle morti causate semplicemente dalla sua nascita. Si è sentita morire dentro, e il suo corpo ha cominciato a dimenarsi, tanto da costringere Killian e Kakashi a bloccarla per evitare il peggio. Freki, invece, le ha iniettato un'altra generosa dose di tranquillanti per poter lavorare serenamente, facendo innervosire a dir poco Astrid.
«Non è meglio evitarglielo? Ha già visto la morte del padre, dubito che sopporterebbe anche l'abbandono della madre.» afferma nervosamente Kakashi mentre si separa controvoglia da quella che ormai considera una buona amica.
«Era per il suo bene!» strilla Astrid, scattando in piedi come una molla e snudando le zanne al giovane vampiro per spaventarlo, senza però ottenere alcun risultato.
«Questo non cambia che per lei sarà un colpo davvero duro.» risponde infatti il ragazzo, incrociando le braccia al petto con fare irrispettoso.
Geri, ben consapevole della forza e, soprattutto, del caratteraccio della donna, s'intromette e lo porta da un lato, tenendogli le braccia ben strette attorno alla vita.
«Si riprenderà.» afferma duramente Fenrir, fermo al fianco della nipote «Procedi.» ordina subito dopo, guardando Freki nei suoi grandi occhi smeraldini.
«Agli ordini...» risponde con un filo di voce il lupo, cominciando ad iniettarle lentamente il sangue di Killian.
 
Non reggerò ancora a lungo, mamma. So che conti su di me, che tutti gli altri contano su di me, ma non riesco quasi più a muovermi.
Sono stato morso troppe volte, sono stato graffiato. Non so per quale benedizione divina riesco ancora a muovermi, per quale ragione i miei organi non sono ancora collassati per colpa della tossina che rilasciano quei succhia sangue, ma sono comunque troppo debole.
Riesco a respingerli per pure fortuna, aiutato dall'angusta entrata di queste segrete. Visto che sono servite a qualcosa? Tu ne dubitavi quando feci costruire questa casa. Dicevi che erano inutili, che avrebbero solamente accumulato polvere e sarebbero diventate la perfetta dimora di insetti e roditori.
Avevi torto, vedi? Queste segrete sono l'unica cosa che ci tengono ancora in vita. Loro, e la mia determinazione a vedervi ancora vive.
La piccola Lilith non smette di piangere neanche per un istante. È spaventata da tutto questo rumore, sente il nostro odore diverso e i nostri cuori galoppare per la paura. Poi soffre. Tu sai bene quanto faccia male l'incisione di una runa sulla pelle, pure i più duri guaiscono quando gli vengono fatte. Pensa cosa può provare una bambina così piccola. So che lo fai per lei, che serviranno a renderla forte e capace di difendersi da sola, ma davvero non so come riesci a sopportare le sue urla di dolore.
Io, per esempio, non riesco a sopportare neanche i tuoi singhiozzi. So che ti è impossibile trattenere le lacrime, ma ti scongiuro: non farmelo sentire. Come posso combattere se tu piangi? Tu sei la mia roccia, Astrid.
Se potessi parlarti, ti direi di muoverti. Non posso più trattenerli e sento che stanno arrivando in maniera massiccia.
Qualcosa è andato storto, ne sono sicuro. Come fanno ad avvicinarsi così velocemente con gli altri a fare da muro? Týr, ti prego, resisti.
«La mia bambina...» mormori, singhiozzando.
Stai esaurendo le energie, lo sento. La tua forza vitale sta sparendo, e io non posso permettere che tu muoia.
Resisti un altro po', ti scongiuro. Resisti per Lilith, per Fenrir... resisti per me.
Con la coda dell'occhio vedo che stai mettendo la cesta incatramata nella piccola insenatura sotterranea che porta al mare. Sapevo che prima o poi sarebbe risultata utile, ma non avrei mai immaginato che sarebbe successa una tragedia simile.
Vedo anche che stai posizionando le mani su di lei in modo strano. Una piccola luce chiara e brillante si sprigiona dalle tue dita per completare l'incantesimo che vuoi scagliare.
«Prima di lasciarti andare, mia piccola gemma, voglio augurarti di saperti sempre ravvedere da chi ha il male nel cuore. Voglio augurarti una vita piena di amore. Un uomo degno e dal cuore d'oro ti salverà dal male che ti circonda e ti proteggerà. Perché tu non hai colpe, mio dolce diamante nero. Tu non hai fatto niente di sbagliato. Se ci sono dei colpevoli, siamo noi.»
La distrazione per poco non mi risulta fatale.
Un vampiro è riuscito a graffiarmi sul petto, all'altezza del cuore. Se non mi fossi sottratto in tempo, a quest'ora avrebbe il mio cuore tra le mani e tu saresti spacciata.
Con le ultime forze che mi rimangono riesco a respingerlo, a staccargli la testa, e poi, insieme a te, cado a terra.
Volto un poco il muso, la piccola non c'è più. Tu stai a terra, a malapena respiri. Perdi sangue dal naso, il tuo cuore batte sempre più debolmente.
Stanno arrivando, li sento. Ormai ci dividono più pochi metri, e io non sono neanche capace di mantenere la forma di lupo.
Le ossa tornano alla loro forma originale, la pelliccia cade, facendo così tornare la mia pelle chiara, facendomi sentire il freddo di questo posto umido.
Vedo le loro ombre.
È buffo: mi chiamano il Titano, sono stato addestrato dai migliori lupi in circolazione, eppure non riesco a proteggerti. L'unica cosa che mi solleva un poco, è il fatto che tua figlia a quest'ora sarà già in mare aperto, al sicuro da tutto questo male. Spero solo che l'uomo a cui l'hai indirizzata sia all'altezza del compito.
«Li ho trovati!»
Spero di trovarti all'Inferno, mamma. Non sopporto neanche l'idea di doverci trascorrere l'eternità senza di te...
«Ecco il cucciolo della Strega.» questo fottuto succhia sangue mi solleva da terra tenendomi per il collo, mentre altri ci accerchiano.
È la fine, ma non riesco a smettere di ringhiare minacciosamente, rendendomi ridicolo negli ultimi istanti di vita che mi rimangono.
«Io penso alla puttana...» non toccarla, no!
Un odore familiare mi arriva alle narici, e insieme a lui il rimbombare furioso di un ringhio gutturale. Forte, sempre più forte. Odore di neve, di pini e salmastro, adesso mischiato al forte odore di lupo feroce e legno bruciato. Un odore unico ed inconfondibile, capace di far tremare.
Il vampiro che mi tiene per il collo sgrana un poco gli occhi prima che tu lo decapiti, e nell'angusta stanza scoppia il caos.
Riesco solo a vedere le figure enormi e feroci di Freki e Freya spuntare alle tue spalle prima che tutto diventi buio.
Mamma, sei salva.


«Svegliatela.» ordina con tono duro la Regina, ferma al fianco dell'amata figlia.
Il cuore le sanguina all'idea che adesso sappia ogni cosa, che abbia visto il suo imperdonabile gesto, ma dentro sa bene quanto fosse necessario. A parole non avrebbe avuto lo stesso effetto, non avrebbe capito realmente.
«La porto nella sua stanza. Si sveglierà lì.» afferma Fenrir, afferrando per un polso Freki, che era sul punto di iniettarle un eccitante per farla uscire dallo stato semicomatoso in cui l'ha messa.
Tutti gli occhi si posano sull'Imperatore, che con delicatezza sta sollevando dal lettino la ragazza. La tiene stretta a sé, infondendole così il suo calore e rassicurandola con il suo battito regolare e il suo profumo inebriante e protettivo.
Astrid e Freki, che meglio conoscono l'uomo, capiscono che le vuole parlare mentre è nel dormiveglia, lontano da tutti per potersi lasciare andare, e subito gli fanno largo per farlo uscire, ordinando agli altri di dileguarsi e di non farsi sentire dalla ragazza almeno fino al giorno successivo.
Nel frattempo, Fenrir continua a percorrere con passo moderato i corridoi della sua suntuosa dimora con la ragazza priva di sensi tra le braccia. Abbassa lo sguardo per osservare il suo volto rigato dalle lacrime precedentemente versate. La guarda e rivede l'adorato fratellino, e i ricordi scorrono come un fiume in piena nella sua mente.
Si ricorda della volta in cui rase al suolo un intero villaggio perché nella sua stanza d'albergo c'erano dei fiori lilla e a lui non piacevano. O della volta in cui diede fuoco ad un asilo pieno di bambini perché non riusciva a sopportare le loro urla giocose. O ancora delle volte in cui si calava nei panni di rinomati psichiatri e torturava i vari pazienti perché semplicemente lo divertiva.
Ricorda tutte le sue follie, le sue manie da pazzo egocentrico, le sue espressioni da cucciolo colpevole per poterla passare liscia.
Ricorda i loro momenti di tranquillità, le loro liti scatenate da sciocchezze, le botte che gli dava per farlo rigare dritto.
Ricorda quando i loro amici e compagni fedeli gli dicevano, col sorriso sulle labbra, che erano come “cane e gatto ma con lo stesso modo di camminare”. Týr rideva tanto a quella sciocca battuta, alzando il calice e ringraziando a gran voce i genitore defunti da secoli, affermando convinto che una volta può essere fortuna, mentre la seconda no.
Se lo ricorda e il cuore si stringe dolorosamente in una morsa di ghiaccio.
«Quando tornai sulla spiaggia, la guerra ormai era conclusa.» afferma con un filo di voce, fissando un punto imprecisato davanti a sé pur di fermare quei ricordi tanto dolorosi.
Arriva finalmente alla camera dalla ragazza e a fatica apre la porta, per poi adagiarla delicatamente sul letto e coprirla con le lenzuola sfatte. Sente nitidamente l'odore di Killian impregnare le stoffe pregiate, e un sorriso riconoscente gli piega gli angoli della bocca sottile.
Chiude poi la porta senza far rumore e poi si siede di fianco alla ragazza. Le sposta delicatamente un ciuffo di capelli ribelli dal viso, per poi ritrarre velocemente la mano e spostare lo sguardo verso il comodino, fissando con insistenza i girasoli che Geri aveva messo quando preparavano la stanza.
«C'erano tante pire, tanti fuochi... Kakashi urlava come un disperato sul corpo di tuo padre, strappandosi i capelli e graffiandosi la pelle per il dolore. Geri, al suo fianco, ha dovuto fargli perdere i sensi per impedirgli di compiere gesti estremi. Wulfric corse da Killian e lo prese tra le braccia, mormorandogli non so cosa nelle orecchie per calmare il suo pianto disperato.» racconta con un filo di voce, stringendo con forza i pugni «Piangevano tutti...»
Il dolore provato in quei momenti torna vivido nel suo cuore, facendogli ricordare nuovamente gli eventi di quella tragica mattina.
Ricorda perfettamente il momento in cui salvò Astrid e Killian dal freddo abbraccio della morte, uccidendo senza pietà gli infedeli che li avevano traditi spudoratamente.
Ricorda Freki, accucciato in un angolo a leccarsi le ferite, mentre guaiva senza sosta per il dolore che stava provando. Teneva il muso chino, nascosto tra le possenti zampe, e poco dopo Silly era andata da lui, guaendo a sua volta mentre si nascondeva sotto la sua imponente mole. Non erano mai andati d'accordo, ma quel momento di dolore li aveva sorprendentemente uniti, tanto da farli sdraiare fianco a fianco e condividere la sofferenza che li piegava.
Ricorda Astrid priva di sensi tra le sue braccia, il suo cuore che quasi non batteva più. Ogni cellula del suo corpo urlava con atroce chiarezza il dolore che la stava distruggendo, e lui non poteva far altro che stringerla tra le braccia e dirle nella loro antica lingua che sarebbe andato tutto per il meglio.
Ricorda il corpo del fratello steso sulla sabbia, le labbra piegate in un sorriso privo di rimorsi. In quel preciso istante i ricordi di loro due da piccoli diventarono dolorosamente insopportabili, tanto da farlo cadere in ginocchio in lacrime. Ricordava della prima volta che lo portò a caccia, delle notti che passava sveglio perché il piccolo e indisciplinato Týr voleva giocare, di quando andò in guerra la prima volta e il bambino piangeva disperato; quando poi tornò a casa senza un occhio, in fin di vita, il bambino non faceva altro che preparargli infusi per farlo star bene.
Si erano sempre amati, malgrado le continue e sciocche dispute. Si amavano quando combattevano, quando festeggiavano, quando erano in pace sdraiati sui prati a guardare le stelle, quando scherzavano davanti ad una nuova alba.
«Týr è stato seppellito ai piedi di una quercia come desiderava da tempo. La piantammo noi moltissimi anni prima che l'isola diventasse di Killian, e per qualche ragione ci era affezionato. Fu l'unico a non essere bruciato...» afferma con il cuore infranto, passandosi le mani sul volto stanco, mentre accanto a lui la ragazza si muove appena, raggomitolandosi attorno al suo fianco.
Si volta a guardarla, notando con gioia la sua espressione rilassata, la stessa che Týr aveva quando dormiva con lui. Perché Týr era un bambinone, un cucciolo che aveva bisogno di amore e protezione. Protezione che non è stato in grado di dargli malgrado i suoi sforzi.
«Tutti quanti ti hanno giurato fedeltà non appena abbiamo fatto ritorno. Hanno giurato col proprio sangue, ed è per questo che adesso ti chiedo di fidarti di loro e di lasciarti guidare nel tuo cammino.» mormora sfiorandole uno zigomo con la punta delle dita, mentre una lacrima gli riga la guancia.
Non farà gli stessi errori, non con lei. La proteggerà ad ogni costo, la vizierà come avrebbe fatto il fratello, la amerà con il suo stesso ardore. Le darà la vita che merita, offrendole il mondo intero.
«Mi ricordi tanto mio fratello, Lilith. Non hai idea di quanto mi manca.» si piega con una certa goffaggine e indecisione su di lei, baciandole piano la fronte.
Poi semplicemente si alza e si dirige verso la porta, il cuore ricolmo di una nuova speranza, contagiato dall'amore incondizionato che i genitori provano per lei.
Si volta un ultimo istante prima di andarsene, guardandola con fierezza «Buon riposo, piccola. E ricorda: sei a casa adesso
 
 

Angolo dell'autrice:
Siete autorizzati a lanciarmi addosso qualsiasi oggetto vi venga in mente. Me lo merito.
Volevo creare qualcosa di triste, quasi strappalacrime, con qualche battuta per smorzare il tutto, ma è venuto fuori solo un abominio.
Ho scritto, tagliato, riscritto, modificato, aggiunto e tolto... le ho provate tutte, e questo è il massimo risultato. Imploro il vostro perdono! >.<
Però -c'è un però- spero che abbiate apprezzato la new entry: Silly Silva!
Quella dolce fanciulla è stata partorita dalla mente di Yellow Canadair, che ormai considero come una mia collaboratrice xD Se non avete mai letto le sue storie, vi consiglio vivamente di farlo! :D
Spero tanto che ti sia piaciuta! Sai che ci tengo a muoverla come vuoi te :3
(Tra le altre cose, Silly è questa dolce ragazza dagli occhi furbetti, disegnata per noi dalla sua formidabile creatrice: http://it.tinypic.com/r/10h7hip/8 )
 
Nel prossimo capitolo Akemi non apparirà. Rivedremo infatti la ciurma che tanto amiamo! :D E non solo, una simpatica vampira e una dolce lupa andranno a far loro visita, portando non poco scompiglio.
Vi dico da subito che per i toni di nuovo calmi e quasi cominci bisognerà aspettare qualche capitolo :(
So che vi sto spallando e che presto non mi seguirà più nessuno, ma ormai ho deciso di farla al meglio e di conseguenza viene lunga. Chiedo di nuovo perdono!
 
In una “vecchia” recensione KuRaMa faN mi ha chiesto un'immagine di Akemi in versione demoniaca... beh, ci ho provato, e questo è il risultato: http://it.tinypic.com/r/2yy44dy/8
Mentre Law_Death mi ha chiesto di disegnare Týr. Beh, è stato difficilissimo, è orrendo, però un poco penso di esserci riuscita... quanto meno ci ho provato! :/
Quindi, eccoti Týr con la sua adorabile pargoletta: http://it.tinypic.com/r/330fu5z/8

Un grazie IMMENSO a Lucyvanplet93, KuRaMa faN, Chie_Haruka, Monkey_D_Alyce, Keyra Hanako D Hono, Law_Death, Aliaaara, Okami D Anima, Yellow Canadair e ankoku che hanno avuto la pazienza di seguire e recensiere questa storia. Senza di voi, giuro, non troverei più la forza per scrivere :3
Siete dei tesori! ♥
 
Adesso vi lascio allo special, dove si scoprirà perché Peter vuole a tutti i costi Akemi. Può sembrare che voglia solo ucciderla, ma la verità è un po' più delicata, diciamo.
Spero che possa piacervi!
A presto, un bacione
Kiki ♥


 
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Osserva con distacco la città avvolta tra le fiamme, pensando ai fatti propri.
L'odore nitido dei corpi carbonizzati e del sangue fresco gli arriva dolcemente alle narici, come la più tenera delle carezze, ma non si lascia abbindolare. Perché lui non è come quel branco di selvaggi esaltati dalla loro nuova natura, non prova piacere a distruggere le vite di coloro che valgono meno di niente.
A lui piace la caccia vera, quando bracchi una preda ben specifica, la fai cadere nel panico perché si accorge di essere con le spalle al muro. Si diverte a sentire le sue suppliche, a vedere le sue lacrime infrangersi al suolo. Lo inebria l'odore del terrore che la sua sola presenza emana. E solo dopo che ha giocato con la vittima, conducendola alla follia, la finisce e se ne nutre.
Ma adesso, dopo una sconfitta tanto schiacciante, neanche quel dolce passatempo potrebbe risollevargli il morale. Non ci sono riuscite tre incantevoli lupe, figuriamoci un semplice omicidio. Neanche ammazzare un bambino sotto lo sguardo impotente dei genitori lo risolleverebbe.
Sente i passi pesanti del capo dei Dragoni dietro di sé, ma non si volta neanche. Perché mai dovrebbe? Lui è Peter Bàthory, colui che diverrà l'Imperatore degli immortali, colui che, grazie alla creatura che quel folle di Týr ha creato, potrà creare una razza pura ed incontrastabile. Certo, convincere la dolce fanciulla a concedersi a lui, a donargli dozzine di figli forti, sarà parecchio complicato. Oddio, stuprarla e costringerla a tenere i nascituri non sarà assolutamente un problema, tanto andrebbe tutto a suo favore: piacere, una stirpe forte e la creatura umiliata. Se non si volesse arrivare a tanto, come gli è stato suggerito, basterebbe solo trovare il tasto giusto e lei correrebbe tra le sue braccia.
«Mio Signore...» il capo della confraternita è un uomo muscoloso e molto alto, che rasenta i tre metri. Veste con abiti pregiati, che riprendono in ogni sfumatura il verde e l'argento. Al collo porta appeso il loro medaglione, raffigurante un serpente che si avvolge su di una croce e si mangia la coda.
«Spero vivamente che tu porti buone notizie.» soffia senza voltarsi Peter, tamburellando con le dita sottili ma letali sul legno duro della loro imbarcazione.
È disgustato dall'idea di dover passare del tempo su una nave simile, così lontana dai suoi standard, ma deve accontentarsi se vuole raggiungere i propri scopi.
«Non esattamente, mio Signore...» biascica l'uomo, mentre dietro di lui c'è la moglie tremante e i cinque figli maschi, tutti esperti combattenti «Stiamo riscontrando molti problemi con le armature che ci avete detto di assemblare e-»
Peter lo interrompe maleducatamente, non sorprendendosi nel sentire la rabbia dei giovani Dragoni aumentare ad ogni secondo «Non mi sorprende, in realtà. Nessuno al mondo possiede l'intelligenza di Wulfric.» si volta per guardarlo finalmente in faccia, sorridendo sghembo «L'altro problema?»
«I vostri... figli, Signore.» ha paura, Giorgio, come mai ne ha avuta fino a quel momento. La sua famiglia combatte quelle creature da sempre, sa quali sono da tenere alla larga, e Peter è uno di quelli: un lupo esiliato per dei peccati impensabili per quelli come loro, vissuto come un reietto per anni senza farsi notare da nessuno, e poi di nuovo pieno di forza e rabbia, tanta da poter ribaltare i sottili equilibri del mondo.
«Sono, ecco... instabili, diciamo. Non riusciamo a controllarli e i loro attacchi sono sempre più frequenti. Le basti vedere cos'hanno fatto a questa città, Signore.»
«Voi non dovete controllarli. Non ne avete alcun diritto.» ringhia irritato il lupo, mentre i suoi capelli si drizzano verso il cielo, sfidando apertamente la gravità.
«Ma Signore-»
«Facciamo un accordo: io ordinerò ai miei figli di calmarsi, anche di aiutarvi...» non importa niente a Peter delle sue lamentele. È felice che sia venuto da lui con tutto il seguito, così potrà togliersi due problemi in un colpo solo «E tu in cambio mi donerai il tuo primogenito.»
«COSA?!» urla l'uomo, che di colpo ha ritrovato tutto il suo odio nei suoi confronti.
Sguaina la spada, pronto al duello, ma viene bloccato tempestivamente dalla moglie piangente, che gli si aggrappa al braccio, supplicandolo a bassa voce di ragionare.
«HAI IDEA DI CHI SONO IO?!» sbotta Peter, furioso.
Gli sbalzi di umore con lui sono sempre stati frequenti e piuttosto violenti, e nessuno dei presenti ci ha davvero fatto l'abitudine.
«Mio Signore, la prego, la scongiuro, perdoni mio marito! Non voleva mancarle di rispetto...» lo supplica in ginocchio la donna, mentre il figlio maggiore tiene le mani poggiate sulle sue spalle per calmarla.
Quando poi, erroneamente, alza i suoi grandi e vivaci occhi vermigli sul lupo, vorrebbe semplicemente scomparire.
«È gracile per essere un Dragone...» commenta il lupo, squadrandolo attentamente.
«È stato assegnato alla divisione tiratori scelti, Signore. Dai tiratori pretendiamo che siano veloci ed agili, e renderli molto snelli li aiuta.» risponde col tono più neutro che riesce a trovare l'uomo, mentre dentro si sente morire.
Guarda sui figlio con le lacrime agli occhi, ma capisce dallo sguardo che l'altro gli rimanda che non ha paura, per niente. È curioso di sapere cosa vuole da lui, fiero di aver salvato la vita dei propri compagni.
«Seguimi.» ordina Peter, e il ragazzo scatta in piedi velocemente e lo segue sottocoperta, sobbalzando appena quando la porta viene chiusa alle sue spalle «Come ti chiami?»
«Týrion Bennington» risponde educatamente, mantenendo sempre il tono della voce fermo.
Peter gli gira attorno per esaminarlo, finché, con l'artiglio del dito indice, gli graffia il collo, per poi esaminarne il sangue. La sua espressione si apre in un sorriso vittorioso che fa rabbrividire il ragazzo, ancor di più quando l'immortale si volta per guardarlo dritto nei suoi occhi vermigli.
Si è sempre vergognato dei suo aspetto, Týrion. Gli altri bambini lo prendevano in giro perché lui è albino, perché è diverso dagli altri, non può giocare al sole sennò la sua pelle delicata ne risentirebbe.
Negli ultimi anni, facendosi notare sul campo di battaglia, quelle prese in giro sono svanire, ma di fronte agli occhi penetranti e crudeli di Peter, gli torna prepotentemente in mente quanto il suo aspetto esteriore lo imbarazzi.
«Quanti anni hai, Týrion?» gli domanda cordialmente Peter, per poter fare un minimo di conversazione con un essere che non gli sembra un completo imbecille. Ed è stato il sangue che ha assaggiato a dirglielo, a rivelargli il suo potenziale.
«Ventitré, Signore.»
«Avevo un anno meno di te, prima di incontrare l'uomo che mi ha donato l'immortalità.» farfuglia il Flagello, osservando distrattamente delle carte sparse nella propria stanza «Tu la vorresti?»
«No, Signore. Preferisco vivere il mio tempo e andarmene quando giungerà la mia ora.» risponde sicuro il ragazzo, sentendosi incredibilmente indifeso quando l'altro si sfila la mantella di dosso e mette in mostra il corpo forgiato da mille e più battaglie.
«Ahhh, voi Dragoni: vi inculcano nella mente un sacco di stronzate sin da bambini per educarvi.» afferma ridacchiando Peter, voltandosi finalmente verso di lui «Immagino che adesso sia il mio turno di educare qualcuno.»
«Signore?»
«Tu non appartieni più all'Ordine del Drago, Týrion. Tu appartieni a me.» lo informa, sorridendo in modo molto cordiale, tanto da sembrare rassicurante «Ed è per questo che, adesso, ti farò due doni.»
Peter non sa se esserne lieto o terrorizzato a morte, così si siede sulla prima superficie disponibile non appena il maggiore gli fa segno di farlo.
«Ho trovato questo, durante il viaggio di ritorno.» gli mette tra le mani un cofanetto, che con mano tremante il ragazzo apre, trovando al suo interno un Frutto del Diavolo «Presto scopriremo a cosa serve, non temere.»
Týrion annuisce spaesato, guardando ad intermittenza il lupo e il frutto, finché Peter non attira di nuovo la sua attenzione, piazzandogli di fronte una siringa contenente un liquido bicolore: una parte è azzurra, cristallina, mentre l'altra è di un verde quasi marcio. Le due sostanze sembrano quasi combattere tra loro.
Týrion è così preso che non si rende neanche conto che Peter gli ha già piantato la siringa nel collo e iniettato il liquido.
«Tra pochi minuti ti addormenterai e, quando finalmente aprirai gli occhi, sarai un uomo nuovo.» lo informa sorridendo mellifluo, facendolo rabbrividire.
Sente le forze venirgli meno, la testa farsi pesante, gli occhi bruciare.
«Ti ho iniettato un particolare tipo di virus, di cui sarai per sempre l'unico benefattore. Noterai in breve un aumento delle dimensioni muscolari, mentre forza, riflessi, velocità e agilità saranno amplificate e godrai di un'incredibile rigenerazione dei tessuti quasi immediata. L'unico intoppo è che sarai parecchio aggressivo, ma imparerai a controllarlo.» lo informa sorridendo, sorprendendosi non poco di fronte al sorriso grato della giovane cavia. Perché Týrion non lo sa, ma la possibilità che l'esperimento vada male è alta.
«Mi insegnerai ad usarli, vero?» domanda speranzoso, sempre più debole nel fisico.
«No, io ho da fare.» risponde sbrigativo il maggiore, schioccando con forza le dita. A questo gesto, due lupi entrano nella stanza, un uomo e una donna, entrambi dallo sguardo fiero e penetrante «Verrai mandato in un'isola pressoché sconosciuta, dove è situata una struttura sotterranea segreta a tutti eccetto a loro due, i tuoi accompagnatori e maestri.»
I due lupi lo afferrano saldamente e lo poggiano su di una barella, legandolo con delle catene affinché non si muova troppo.
Prima che possano andare via, però, Peter li riblocca, avvicinandosi pericolosamente al viso del ragazzo.
«Questa lettera la dovrai leggere solamente se io dovessi cadere. Solo ed esclusivamente in quel caso, chiaro? L'affido a lei adesso, ricordatelo.» afferma sorridendo sinceramente, per poi mettergli al collo il personale medaglione, con al centro il metalupo grigio che salta. Nell'occhio della bestia, è stata incastonata una piccola pietra rossa.

 
«Sei un Bàthory, adesso.»

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Capitolo 30
*** 30. Amarti è stato un suicidio... ***


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Il grande e regale veliero dalla polena a forma di drago si avvicina a vele spiegate verso quella che forse è la più imponente imbarcazione pirata che solca i mari.
Sull'albero maestro, sospinto da una leggera brezza, il Jolly Roger con le tre cicatrici se la ride beffardo, quasi sfottendo il capitano per l'azzardo che ha intenzione di compiere.
Shanks rimane immobile a fissare l'imbarcazione avversaria farsi sempre più vicina.
Accanto a lui, accompagnato come sempre dall'acre odore di nicotina dell'immancabile sigaretta tenuta tra le labbra, Benn lo osserva in completo silenzio, contrario alla sua folle idea. Si è reso conto anche lui che quel tipo, Peter, non è uno stupido da sottovalutare, ma bensì qualcuno da tenere ben alla larga, ma proprio non riesce a comprendere per quale assurda ragione voglia avvertire pure Edward Newgate della sua esistenza.
«Stiamo sbagliando.» sussurra con un filo di voce Beckman, senza però attirare l'attenzione del capitano «Sanno difendersi benissimo anche da soli, Shanks. Perché dobbiamo dare l'allarme? Rischiamo solamente di invischiarci in uno scontro inutile.»
In realtà la cosa non gli dispiacerebbe poi molto, visto che è da parecchio che non incontrano qualcuno con cui divertirsi sul serio, ma in ballo ci sono anche le vite dei compagni più inesperti, e non vuole proprio metterle a repentaglio.
«Lo so.» risponde lapidario il Rosso, voltando finalmente la testa verso di lui e guardandolo con una vena di preoccupazione.
Si conoscono da anni, capiscono con un solo sguardo cosa passi nella mente l'uno dell'altra, ed è per questo che Benn riesce a capire che per il suo capitano, uomo di cui si fida ciecamente, la situazione è ben più grave di quanto non sembri.
«Ho riconosciuto il loro vessillo. Non è una cosa da niente.»
Il taciturno vice si sfila di bocca la sigaretta e si poggia con la schiena al grande pilastro dell'albero, aspettando silenziosamente una spiegazione più dettagliata.
«Quando saremo al cospetto del vecchio, capirai.» afferma con tono glaciale, per poi voltarsi verso i propri uomini «Dirigiamoci ancora un po' verso la Moby e poi serrate le vele quadre per metterci in panna.»
Gli uomini eseguono scattanti, mentre il vociare sempre più forte della ciurma avversaria gli arriva più nitidamente alle orecchie.
«Issate anche la bandiera bianca!» esclama dopo qualche secondo, sorridendo divertito al proprio vice «Non sia mai che il vecchio Newgate decida di prenderci a cannonate per precauzione!»
Il ragionamento dell'Imperatore Rosso non è sbagliato, per niente. Se si vuole avere un colloquio con una persona del calibro di Barbabianca bisogna partire assai prevenuti e andarci cauti.
Quello che però non sa, è che l'Imperatore Bianco non è proprio al massimo della sua forza, ed uno scontro diretto non rientra proprio tra i suoi piani.
Da quando Halta gli ha rivelato che il mostro che li ha attaccati durante la notte altri non era che la sua adorata figlia Akemi, tutto per lui ha meno senso.
È come in uno stato di trance, dove i suoni gli arrivano ovattati alle orecchie e i morsi della fame sono simili a punture di zanzara, completamente trascurabili.
Non ha voglia di far niente. Rimane sempre seduto sul suo seggio a fissare il niente, ricordando i momenti di gioia trascorsi con il suo piccolo demonietto.
Pure i suoi adorati figli sono ancora profondamente scossi dai recenti avvenimenti.
Teach, seppur con grande fatica, riesce finalmente a stare in piedi, anche se deve essere costantemente seguito dalle infermiere e la sua ferita ha un bisogno costante di bendaggi puliti.
È riuscito a raccontare loro come è andata, deformando un poco la realtà. Ha infatti detto di essersi svegliato durante la notte per fare uno spuntino e di aver sentito un rumore. Lì per lì non ci fece poi tanto caso, ma quando poi ha visto un'ombra strisciare contro i muri si è insospettito. Ha così deciso coraggiosamente di seguire l'intruso e si è frapposto tra lui e Satch quando stava per attaccarlo, rimettendoci un braccio.
Non ha assolutamente menzionato il fatto che non fosse mai andato a dormire, ma che anzi aveva passato tutta la notte ad affilare il proprio pugnale.
Non ha assolutamente menzionato il fatto che avrebbe fatto secco il quarto comandante e se ne sarebbe andato nella notte con il prezioso Frutto che era riuscito a trovare assieme a quella psicopatica cannibale.
Tutti hanno creduto a questa versione, dal momento che è stata l'unica. Se avessero parlato con Akemi, si sarebbero resi conto delle notevoli differenze tra le due versioni, e la ragazza sarebbe inoltre stata capace di sentire il cuore bugiardo dell'uomo, smascherandolo.
Adesso, a distanza di ben dieci giorni, non è ancora abbastanza in forze per potersene appropriare, e la cosa lo manda in bestia come nient'altro al mondo.
Ma nessuno di loro lo sa. Per loro lui è il salvatore, colui che ha avuto il coraggio necessario di sfidare quell'essere malvagio, e per questo tutti gli stanno vicino e lo aiutano in qualsiasi cosa.
L'arrivo della Red Force, però, riesce un poco a farli riprendere dal loro continuo stato confusionale. Si affacciano al parapetto, incuriositi. Non è molto che si sono incontrati, in fondo.
«Quel moccioso...» ringhia a denti stretti il capitano, stranamente ripresosi dal suo stato di completa apatia, tenendo gli occhi puntati su quella nave sempre più riconoscibile.
Quando poi finalmente le due navi sono l'una al fianco dell'altra, la tensione sale ulteriormente, e i vari comandanti si portano immediatamente al fianco del capitano.
Si aspettano di assistere allo stesso spettacolo di qualche mese prima, dove tutti i compagni impreparati si sono ritrovati riversi di faccia con la schiuma alla bocca. Si aspettano anche di vederlo sorridere spensieratamente come avrebbe fatto qualsiasi altra persona che sta facendo visita ad un caro amico di vecchia data.
Questi due fatti invece non avvengono, tutt'altro: Shanks cammina con un'espressione cupa in volto, seguito dalla sua ciurma, e tutti i presenti sulla Moby Dick escono completamente indenni dal suo passaggio.
Questo strano gesto sorprende tutti i presenti, in modo particolare il Bianco Imperatore, che alza il mento con fare stizzoso.
Lo fissa con astio, chiedendosi il motivo che ha portato Shanks il Rosso a piombare tra loro e chiedere un colloquio.
Ora i due imperatori, l'uno di fronte all'altro, si guardano intensamente come due leoni pronti a scontrarsi, finché il più anziano prende la parola.
«Hai l'aria preoccupata, moccioso.»
Shanks si passa semplicemente una mano dietro al collo, indeciso su cosa rivelare e cosa no. Perché gli è bastata un'occhiata per capire che è successo qualcosa di orrendo su quella nave, e non vuole rigirare il coltello nella piaga.
Gli occhi di Newgate vagano ancora per qualche istante sulla figura incredibilmente fastidiosa del proprio rivale, senza mai abbandonare la piega che le sue labbra avevano assunto.
«Cosa sei venuto a dirmi?» gli domanda con tono infastidito, lanciando una veloce occhiata ai propri figli, che tengono le mani ben salde sulle impugnature delle proprie armi.
«Peter Bàthory.» esclama con voce ferma Shanks, alzando gli occhi sul rivale «Ti dice niente questo nome?»
«Dovrebbe?» ringhia di rimando Barbabianca, facendo sparire di colpo il proprio sorriso. Dallo sguardo determinato e quasi rabbioso dell'uomo comprende bene che non è un argomento leggero quello che è venuto a proporgli, e curiosamente non se la sente di mostrarsi arrogante e sgarbato.
«Si, dal momento che sta reclutando altre ciurme per farti fuori.» lo informa Shanks, scatenando involontariamente le risate generali.
Perché nessuno della grande ciurma di Barbabianca temerebbe mai un ragazzetto venuto fuori dal niente che, come tanti altri, si è messo in mente di prendere la testa del loro adorato capitano. Non è una cosa nuova neanche che sorgano nuove alleanze per riuscire nell'impresa, quindi non vedono proprio per quale ragione preoccuparsi.
«Devi ascoltarmi.» insiste Shanks, facendo qualche passo in avanti verso il Bianco Imperatore.
Lo guarda dritto nei suoi occhi sottili, cercando di trasmettergli silenziosamente quanto, secondo lui, quella situazione sia pericolosa.
Shanks non è mai stato attaccabrighe, non è mai andato a cercarsi rogne, e sa bene quando una situazione può essere bollata come “pericolosa”. Un piccolo dono che è riuscito ad ottenere stando sotto il Jolly Roger del Re dei Pirati, diciamo.
«Un paio di settimane fa ci hanno affiancati e ci hanno chiesto di allearci con loro per eliminare te e la tua ciurma.» lo informa con tono duro Benn, infastidito dalla completa mancanza di rispetto nei confronti del suo capitano. In fondo hanno faticato non poco per raggiungerli, un briciolo di rispetto sarebbe d'obbligo.
«Ed avete fatto tutta questa strada solo per avvertirmi di una sciocchezza simile?» domanda arrogantemente Newgate, facendo digrignare i denti al Rosso.
'Mi ascolterai, con le buone o con le cattive!'
Porta velocemente la mano all'impugnatura della propria sciabola, ottenendo così in un batter d'occhio la loro completa attenzione.
«Non è una sciocchezza, e lo sai pure tu!» gli urla contro, con la rabbia che diventa sempre più difficile da gestire «Stanno accadendo troppe cose strane nel mondo ultimamente, e lui ne fa parte.»
Barbabianca lo guarda di traverso, indeciso se spaccargli la testa una volta per tutte o meno, quando di punto in bianco Jaws prende la parola, sorprendendo un po' tutti i presenti.
«Non abbiamo tutta la giornata, Rosso: sputa il rospo e vattene.»
Shanks fa segno a Rockstar di consegnargli il grosso tomo antico che era riuscito precedentemente a trovare insieme a Benn e, aprendo esattamente nella pagina in cui vi aveva lasciato il segno, mostra ai presenti i diversi e antichi disegni che un tempo dominavano il mondo intero.
«Vedete questi? Sono antichi vessilli di popoli guerrieri.» afferma con sicurezza, indicando con un cenno della testa quello che appare come il più grande di tutti, ovvero quello che raffigura un drago rosso a due teste su di uno sfondo nero «Si dice che questi fossero i peggiori...»
Si fa aiutare dal proprio vice per voltare le pagine, arrivando così quasi alla fine del libro, dove è situato quello che vuole realmente mostrare, spiegando nel frattempo un minimo della storia per aiutarli a capire meglio.
«Il metalupo grigio apparteneva ad un uomo solo, che, a quanto narrano le leggende, era davvero il peggiore di tutti. Arrivò addirittura ad essere cacciato dalla propria gente per le atrocità che commetteva e per questo è stato creduto morto.»
I vari pirati, anche quelli appartenenti alla sua stessa ciurma, ascoltano con attenzione le sue parole, rapiti come se stesse raccontando loro la più incredibile delle avventure, senza però riuscire a spiegarsi il perché. Solo Barbabianca capisce immediatamente che tutta quella storia non ha a che fare solamente con quel Bàthory, ma con qualcuno che gli sta molto più a cuore. Qualcuno che, probabilmente, è morto durante quell'orrenda tempesta.
«Quando ancora stavo sotto al vessillo di Roger, incontrai un uomo. Era un tipo strano, eccentrico, completamente a suo agio di fronte ad un pirata della portata di Roger e... beh, si: bellissimo. Era la creatura più dannatamente bella che avessi mai visto in vita mia.» racconta mettendosi comodo sul duro pavimento della nave, passandosi la mano dietro al collo, ricordandosi di quella notte come se fosse accaduta poche ore prima «Era a comando di una grossa e sottile nave da guerra nera. Ricordo ancora il loro vessillo: un drago rosso a due teste, enorme e minaccioso. Era... regale. Montò sulla Oro Jackson trascinando per i capelli una ragazzina bionda, che subito dopo gettò ai piedi di Roger. Questa continuava ad implorare pietà in una strana lingua, ma non per sé stessa: supplicava per la vita di Roger.»
La voce del Rosso si affievolisce sempre di più mentre nella sua mente acuta tornano sempre più vividi quei ricordi.
Quell'uomo faceva paura, per quanto sembrasse solo un ragazzino. Pure Roger se ne rese conto, mostrandosi sorprendentemente combattuto dall'aiutare la ragazza che piangeva ai suoi piedi o combattere contro l'estraneo che l'aveva maltrattata.
«C'era un uomo appeso alla polena... era stato avvolto in una bandiera con l'emblema di un lupo grigio. Un metalupo, per essere precisi.» alza lo sguardo su Barbabianca, cercando di fargli capire che quel simbolo non è una sciocchezza come aveva pensato all'inizio e che deve stare molto attento «Qualcuno domandò perché. Fu appena un sussurro, nemmeno io riuscii a sentirlo nitidamente. Ma quel tizio si, e ci rispose che chiunque venerava i traditori, meritava di essere messo a morte.» per rispetto al proprio defunto capitano, non racconta loro che l'estraneo entrò nella sua cabina privata e lo invitò ad unirsi a lui, che si fece trattare come un Re e che Roger non lo contraddisse. Non dirà mai che pure lui ne aveva una giusta paura. Rimarrà un loro segreto per l'eternità.
«La curiosità mi spinse ad informarmi, e col tempo ho scoperto che quell'emblema rappresentava un uomo. Un uomo che fino a pochi giorni fa credevo morto, che invece gode di ottima salute... e ti sta cercando.» termina Shanks, notando di aver fatto completamente breccia.
Lo sguardo del rivale è serio, corrucciato. La sua mente brillante rielabora le informazioni, provando a riesumare una possibile conversazione con Roger riguardante questo spinoso argomento, ma proprio non gli viene in mente niente. Solo che un pazzo gli aveva fatto una generosa offerta, ma che aveva rifiutato senza rimpianti, riuscendo inoltre a convincerlo a prendersi cura di quella che fino a pochi mesi prima era la sua donna. Solo questo ricorda, nient'altro.
«Siamo dell'idea che ti stia cercando per Akemi.» afferma Beckman, facendo saettare gli occhi da un pirata all'altro, alla ricerca della ragazza che per diverse settimane ha occupato la mente del suo capitano.
«È stato quel mostro a farmi questo!» urla di punto in bianco Teach, scattando in piedi come una molla e sventolando il moncherino fasciato dove un tempo vi era attaccato il suo prezioso braccio.
Non bada assolutamente al dolore che questo gesto gli provoca. Non bada neanche all'insopportabile giramento di testa che il precedente scatto gli ha causato.
No.
Non bada a niente.
Lui vuole la testa di quel mostro. Vuole farla in tanti piccoli pezzettini, dilaniarla, distruggerla a livello molecolare.
Il suo odio non è dovuto tanto alla menomazione, no. È dovuto semplicemente al fatto che per colpa di quel mostriciattolo cannibale ha perso la sua occasione di prendere quel Frutto che cerca da sempre e che ora non sa assolutamente dove sia stato nascosto.
E più ci pensa, più va in bestia. Più va in bestia, più diventa insopportabile. Più diventa insopportabile, più le urla e le liti sono inevitabili sulla nave.
«Vado a controllare Marco.» mormora con tono sconsolato Satch a Rakuyo, facendolo annuire con poco interesse.
Si dirige velocemente sottocoperta per controllare le condizioni dell'amico ancora tenuto sotto sedativi. Quando, qualche giorno prima, era finalmente uscito dal coma, non hanno potuto far altro che caricarlo di potenti sedativi capaci di ammazzare un elefante per tenerlo buono, poiché continuava ad urlare come un indemoniato per l'insopportabile dolore che lo dilaniava.
Come immaginava, poi, lo trova ancora steso nel lettino a dormire beato, completamente estraneo ai recenti avvenimenti. Il cuore gli si stringe sempre in una morsa all'idea che dovranno dirgli che Akemi, la ragazzina che hanno salvato dal mare e a cui erano tanto affezionati, lo ha quasi ammazzato e ha staccato un braccio a Teach.
Si passa stancamente una mano tra i capelli, stufo di dover sempre sentire le solite urla sulla nave perché Teach perde le staffe. È vero, pure lui vuole ritrovare Akemi per poter capire cosa diavolo le sia successo e poi provare ad ammazzarla, ma tutto quel continuo trambusto lo sta mandando completamente al manicomio.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, sente il rumore di un vetro infrangersi.
La cosa non gli interesserebbe minimamente se questo rumore venisse dal ponte dove si trova tutto l'equipaggio anziché da una cabina.
S'incammina piano, attento a non fare assolutamente rumore, mentre l'idea che il tanto chiacchierato Bàthory sia realmente giunto sulla nave lo manda oltremodo in bestia.
Un nuovo rumore. Oggetti che si spostano.
'Viene dalla mia stanza...'
Porta una mano all'impugnatura della sua spada. I nervi a fior di pelle. La voglia di sangue e vendetta che quasi lo acceca.
Ma poi, dolce e allegra, una voce...
«Ricordami perché siamo dovute venire fin qui.»
Rimane completamente basito nel sentire una voce femminile arrivare dalla sua cabina, soprattutto se quella voce non è della sua eccentrica compagna, così decide immediatamente di provare a capire di chi si tratti e per quale ragione sia montato sulla nave.
«Ordini del grande capo.»
Il cuore di Satch si ferma per qualche secondo e il respiro si spezza.
Lei è lì, nella sua stanza. È tornata come aveva promesso, portandosi però dietro un ospite indesiderato.
Poggia una mano sulla superficie liscia della porta, senza però trovare il coraggio di entrare. Non sa come affrontare la cosa, e non vuole portarla dal capitano in un momento simile. Però lei è dentro, sta frugando tra le sue cose, e lui non vorrebbe far altro che entrare e stringerla a sé.
«Non poteva venire lui, allora?! Se è così importante, poteva fare anche da solo.»
La voce della nuova ragazza è colma di risentimento, tanto che istintivamente il pirata porta velocemente una mano alla spada che pende dal suo fianco.
Quando poi la sente ringhiare come un cane rabbioso, un fremito di paura gli stringe la bocca dello stomaco. Perché lui ha già sentito quel ringhio, sa bene o male cosa comporta, e l'idea che ne abbia involontariamente portato un altro sulla nave, mettendo così in pericolo i compagni, lo manda in bestia.
«Giurare fedeltà assoluta implica anche dover fare questo genere di cose.»
Qualcosa nei loro discorsi non gli torna, così, dopo aver fatto un respiro profondo, si decide ad aprire, mostrandosi alle due ragazze con l'espressione più truce che riesce a trovare.
Mimì lo guarda smarrita, la paura diventa improvvisamente nitida nei suoi occhi. Non ha paura per sé, assolutamente: ha paura per lui, per quello che potrebbe arrivare a fare pur di portare a termine il proprio compito.
Perché anche lei ha giurato fedeltà, si è messa totalmente al servizio dei suoi sovrani, e non ha alcuna intenzioni di marchiarsi di tradimento. Lo ama, lo sa perfettamente, ma neanche questo suo folle e masochistico amore può intaccare la sua cieca fedeltà.
«Che ci fai tu qui?» le ringhia contro Satch, puntandole contro la spada «E quella chi è?» aggiunge subito dopo, facendo saettare per un breve istante gli occhi sulla figura dell'altra ragazza.
«Piacere, Silly!» esclama quella, sorridendogli raggiante per un brevissimo istante, tornando subito dopo a frugare nei suoi cassetti pur avendo già trovato ciò che cercavano sotto ad un'asse del pavimento. Già che c'è, infatti, vuole farsi un po' gli affari suoi.
Mimì e Satch continuano a guardarsi.
Negli occhi neri del pirata fiammeggia la rabbia, il disprezzo per essere stato tradito così dalla donna per cui ha perso completamente la testa, e Mimì sente chiaramente quanto la cosa lo faccia impazzire ascoltando semplicemente il battito frenetico del suo cuore.
«Posso spiegare-»
«Belline queste coi fiori!» esclama tutta contenta Silly, interrompendo maleducatamente l'amica.
Alza poi una mano per aria, sventolando i boxer a fiori del pirata, stupendolo non poco. L'idea che una mocciosetta come quella non abbia assolutamente paura di lui è decisamente assurdo.
«Questo non è un po' piccolo per te?» domanda subito dopo, alzando un perizoma rosso e lanciando un'occhiata al cavallo del pirata.
Sogghigna divertita, guardando poi l'amica con un sorriso malizioso a piegarle le labbra.
«Tu ti diverti un po' troppo, ragazza!» commenta divertita, facendola sospirare rassegnata.
Non vorrebbe Mimì, davvero. Quando Fenrir le ha dato l'ordine di andare sulla nave di Barbabianca per prelevare il Frutto del Diavolo che ha portato tanti problemi, poco le mancava per scoppiare in lacrime. Però ha eseguito, chinando il capo in segno di rispetto e mettendosi in marcia con Silly, decisa a compiere il proprio dovere.
«Scusa...» mormora con un filo di voce, portandosi con una velocità sorprendente alle spalle del compagno, dandogli poi un forte colpo in testa che gli fa perdere i sensi.
«Schiodiamo, forza.» afferma poi con tono duro rivolgendosi all'amica, dirigendosi poi stancamente verso l'oblò da cui sono entrate.
Silly l'afferra immediatamente per un polso, strattonandola con forza ed impedendole di proseguire. La guarda con sguardo truce, ormai pienamente convinta delle proprie idee ed infastidita per aver ricevuto un ordine anche da parte sua. Perché Silly è sempre cara e buona, può tollerare di ricevere ordini da Fenrir o Astrid, ma quando è qualcun altro a farlo perde completamente le staffe.
«Usciamo dalla porta principale! L'oblò non è degno della mia uscita.»
Mimì, conscia della forza bruta della ragazza, annuisce piano, lanciando una fugace occhiata al pirata steso a terra prima di uscire.
Camminano calme, le orecchie tese per sentire un qualsiasi rumore fuori posto, gli olfatti sviluppati che analizzano e memorizzano ogni variazione nell'aria, fino a quando non captano un odore a loro conosciuto. Per Mimì, più che altro.
Allunga un braccio per bloccare la compagna, che la guarda con aria perplessa.
«Che ti prende?» le sussurra in un orecchio, sfoderando gli artigli per aprirsi un varco in caso di bisogno.
«Temo che abbiamo scelto il giorno sbagliato per fare visita a Newgate...»
Cammina in punta di piedi fino al varco che conduce sul ponte principale, osservando attentamente l'Imperatore dai capelli rossi che risponde alle domande dei vari pirati, escogitando una via di fuga alternativa. Non vuole tornare indietro e vedere di nuovo Satch, non vuole costringere Silly a fare qualcosa che non vuole, ma non ha alcuna intenzione di rischiare l'incolumità di nessuna delle due.
«Rosso!»
La vampira volta di scatto lo sguardo, puntando i suoi glaciali ed attenti occhi sulla comandante della dodicesima flotta, notando con curiosità che tiene un foglio ben stretto tra le dita sottili.
«Il tipo di cui parlavi... è questo, per caso?»
Il cuore di Silly, che al contrario di quello dell'amica ancora batte, si blocca di colpo nel riconoscere in quel disegno fatto a matita i lineamenti dell'uomo che ha portato tanto caos nel loro mondo.
Le due immortali ascoltano il breve scambio di battute tra il Rosso e Halta, dove il primo le dice che è esattamente l'uomo che vide più di vent'anni prima.
Un lieve ringhio gutturale sale per la gola della giovane lupa quando quel disegno, una delle ultime prove dell'esistenza di quell'uomo paragonabile ad un Dio, viene quasi accartocciato, venendo però zittita dalla compagna, che le impone di rimanere nell'ombra.
«Ero venuto solo per mettervi in allerta, quindi direi che adesso è il caso di andarmene.» esclama di colpo il Rosso, facendo cenno ai propri uomini di tornarsene sulla nave. Lancia giusto una veloce occhiata al vecchio rivale per sottolineare un'ultima volta la sua preoccupazione.
«Tsk, figurati se mi spaventano dei pivellini!» sbotta ridendo di gusto l'Imperatore, facendo accigliare il più giovane.
Ed è proprio con questa battuta che la mannara esce allo scoperto, muovendosi sinuosamente come un vero predatore, tenendo gli occhi puntati sul pirata dai capelli vermigli.
«La devo correggere: “figurati se mi spaventano dei pivellini millenari”.» usa un tono formale nel rivolgersi a Barbabianca, sorridendo in modo mellifluo. Adora prendersi gioco delle sue vittime, vederle confuse dai suoi modi.
«Noterà che c'è una lieve differenza.» Mimì, seppur con una certa stizza, esce dal proprio nascondiglio per dar man forte all'amica, attirando su di sé gli sguardi assai sorpresi dei pirati che già la conoscono.
«E voi chi diavolo siete?» «Come hanno fatto a montare a bordo?!» «Quella è la ragazza di Satch!»
Un forte vociare si leva velocemente in aria, facendole sogghignare mentre si avvicinano l'una all'altra, guardandosi attorno con aria divertita.
«Sei conosciuta, eh?» domanda sarcasticamente Silly, guardandosi attorno vivacemente. Per quanto la situazione sia delicata, per quanto sia pericolosa, per lei non è altro che un gioco divertente.
«Mio malgrado...» commenta con una lieve nota sarcastica la succhia-sangue, voltandosi poi verso l'amica e sorridendole allegramente «Non fare la maleducata: presentati.»
«Il mio nome è Silly Silva, figlia d'ignoti, al servizio dell'Imperatore. È un vero piacere fare la vostra conoscenza!» afferma con un grande e luminoso sorriso la lupa, facendo loro un lieve inchino. Per lei ormai la minaccia è svanita, quindi tanto vale fare amicizia. Certo, è consapevole che il pericolo è sempre dietro l'angolo, che la situazione può precipitare da un secondo all'altro, ma non ha alcuna intenzione di lasciare che un'ipotesi le rovini l'umore.
«Ora comprendo perché Freya tiene tanto al fiammifero...» commenta sottovoce Mimì, ridacchiando divertita mentre osserva Ace, che a sua volta le guarda in cagnesco, pronto ad alzare le mani.
«Mh? Il bel moretto dici?» le domanda vagamente confusa Silly, indirizzando il proprio sguardo verso quello dell'amica, notando così per la prima volta la notevole figura di Pugno di Fuoco. Aveva sentito qualche voce su di lui, anche ad Helheimr è piuttosto chiacchierato, ma non aveva proprio preso in considerazione l'idea che potesse essere davvero un bel ragazzo.
«Portuguese D. Ace... il figlio di Roger.» annuncia ghignando malignamente la vampira, snudando poi le zanne quando il pirata s'infiamma letteralmente, oltremodo furioso per quella triste uscita.
«Caliente...» commenta semplicemente Silly, sorridendo maliziosamente in direzione del ragazzo di fuoco, che ancora non ha accennato a spegnersi.
«Non è il momento, Silly.» ringhia a denti stretti dopo aver fiutato la loro rabbia, consapevole che questo è sempre il primo passo che porta poi ad uno scontro violento.
È sul piede di guerra, le mani poggiate sui sottili pugnali appesi ai fianchi, mentre la compagna rimane a proprio agio in mezzo a quella marmaglia di pericolosi e letali sconosciuti, tanto da avere pure il fegato di dirigersi saltellando verso il Rosso.
Lo guarda con curiosità, girandogli attorno come un avvoltoio sulla preda, finché non decide di avvicinarlo ulteriormente, portandosi a pochi centimetri dal suo viso.
«Oh, ma sei rosso anche sotto?» gli domanda ingenuamente, sorridendogli in modo infantile.
Shanks, così come tutti gli altri, si pietrifica completamente a quella domanda, sgranando gli occhi per la sorpresa. Pensa che la ragazza scherzi, che l'abbia detto semplicemente per smorzare la tensione, inconsapevole che invece sta facendo sul serio. Se ne rende conto però quando allunga una mano verso i suoi pantaloni per allentarli, trovandosi costretto a sguainare la spada per allontanarla.
Silly balza prontamente di lato, accucciandosi al suolo con un sorriso provocatorio sulle labbra. Le sono sempre piaciuti i tipi così, quelli pronti a dar battaglia, a scontrarsi... quelli focosi.
Volta un poco la testa verso la compagna, sorridendole maliziosamente.
«Controlla un po'!» le urla giocosamente, facendola sbuffare.
È nervosa Mimì, quella situazione è assurda e dolorosa per lei, ma l'unica cosa che può fare è accontentarla. Non sia mai che una tipa feroce come Silly perda la pazienza e di conseguenza il controllo.
Scatta velocemente, senza dare a nessuno il tempo di accorgersene, tirando verso di sé i pantaloni e l'elastico delle mutande dell'Imperatore per poter sbirciare un attimo.
«Rosso cupo.» constata staccandosi immediatamente, saltando con forza verso l'alto e appendendosi a testa in giù per il tronco maggiore dell'albero di trinchetto.
I vari pirati estraggono immediatamente le armi, alcuni danno pure sfoggio dei propri impressionanti poteri, scatenando l'ira della lupa accucciata al suolo, che ringhia contro di loro come un animale rabbioso messo alle strette.
Mimì si lascia cadere al suo fianco, senza però toccarla.
Sono entrambe superpredatrici fameliche che sono state obbligate per giorni a nutrirsi del V, il sangue sintetico ideato da Fenrir, alimento insufficiente per soggetti come loro, abituati alla vera caccia.
Per Mimì è un rischio starle vicino adesso, rischia di rimetterci una mano o peggio avvicinandola troppo. Può solamente provare a calmarla portandola via e aiutandola a cercare qualcosa di sostanzioso da mettere sotto i denti.
«Direi che è arrivato il momento di andarcene, che ne pensi?» le domanda gentilmente, tenendo sempre lo sguardo fisso sugli avversari.
Non vuole arrivare a spargere il loro sangue. In realtà non può neanche, dal momento che la piccola Lothbrook li ha dichiarati di sua proprietà.
«Ok...» ringhia Silly, concentrandosi per regolarizzare il respiro che diventa suo malgrado sempre più corto.
Odia perdere il controllo e trasformarsi in una bestia assetata di sangue. Ma ancora di più, odia la sua incapacità di controllarsi come gli altri millenari. È convinta che sia colpa del lupo che l'ha creata, che il suo morso fosse in qualche modo difettoso, al contrario invece della linea pura dei Lothbrook.
Le due donne camminano lentamente indietro, stando ben attente a non fare passi falsi, tenendo gli occhi fissi sugli avversari, e proprio quando raggiungono il parapetto che permetterà loro la fuga, Satch compare sul ponte, con un rivolo di sangue che gli cola sul collo.
«Mimì!» urla con tutto il fiato che ha nei polmoni, facendo voltare di scatto i presenti.
Qualcuno prova a soccorrerlo, ma il comandante li allontana con un movimento stizzito, assottigliando lo sguardo su quella che ormai è l'ex compagna.
«Dimmi subito come hai fatto ad arrivare fin qui.» le ordina con la rabbia che aumenta a dismisura, soprattutto quando la ragazza continua a guardarlo con arroganza.
Mimì, dopo qualche istante in cui si è sentita il mondo crollare sotto ai piedi, si arrende e distoglie lo sguardo, sospirando. Punta gli occhi sull'orizzonte, non badando ai fastidiosi raggi del Sole che li fanno bruciare insopportabilmente.
«Che razza di mostro sei?» sibila Satch, facendo qualche passo verso le due donne, tremando per la rabbia che gli sta corrodendo il cuore.
Si sente preso in giro, tradito dalla stessa ragazza per la quale si sarebbe strappato il cuore dal petto.
Mimì volta di scatto la testa, guardandolo con rabbia. Sa bene di essere un mostro, forse anche della peggior specie, ma non credeva davvero che lui, l'uomo per cui ha combattuto e versato il proprio sangue, sarebbe mai arrivato a chiamarla così con tanto disprezzo.
Silly, ritrovando un minimo di lucidità grazie al dolore che emana l'amica, riesce a rimettersi in piedi e ritirare le zanne, guardandola con apprensione.
Le sussurra dolcemente di andarsene, di lasciar stare, senza però essere ascoltata.
«Mi chiamo Mimì Sokolov e a diciannove anni, in un soleggiato pomeriggio di primavera, sono stata violentata e picchiata a morte in un vicolo. Mio fratello provò a salvarmi, ma venne pugnalato sette volte allo stomaco. Eravamo in una pozza di sangue; l'odore era terribile, il dolore anche di più... ed entrambi pregavamo perché la nostra agonia finisse. Ma quello stesso odore per noi tanto insopportabile, era come il più dolce degli afrodisiaci per altre creature, e fu così che un uomo ci trovò. Era bello, potente... e ci offrì un'opportunità: ci avrebbe fatto un dono, il più prezioso di tutti... e noi accettammo.» i ricordi di quel doloroso e traumatico giorno scorrono come un fiume in piena nella sua mente. Si ricorda del dolore, del sangue che colava dalle ferite che le erano state inferte. Ricorda il fratello che provava a rincuorarla mentre diventava sempre più pallido, del momento in cui si accasciò al suo fianco a corto di fiato.
Poi ricorda l'arrivo di un angelo con gli occhi di ghiaccio, il cui viso l'ha completamente ammaliata in un secondo. Ricorda la tristezza in quegli occhi glaciali, ricorda la sua voce vellutata che la cullava.
Ricorda di aver detto di si, di aver sofferto come un cane, per poi ritrovarsi immobile su quel pavimento sporco e polveroso. Ricorda di aver visto per la prima volta il mondo con occhi differenti, di aver sentito odori mai sentiti, e poi ricorda di aver visto ancora quell'angelo che le porgeva la mano per aiutarla. Angelo che poi cominciò a chiamarla figlia, che le insegnò ogni cosa, che l'ha aiutata a crescere e diventare ciò che è adesso.
Un lieve sorriso le piega le labbra, mettendo così in mostra gli affilati canini che le sono spuntati al solo ricordo del suo amato Signore Týr, il Re delle Tenebre.
«Cammino su questa terra da duemilanovecentoquarantanove anni, non come umana, bensì come non-morta.»
I presenti la guardano come se fosse completamente pazza.
Satch sente le lacrime pungergli gli occhi e un fremito di paura salirgli lungo la spina dorsale quando, abbassando per un secondo lo sguardo, nota gli occhi dorati della rossa. Occhi feroci, animali, che li scrutano uno per uno con voracità.
«Mimì...» mormora con un filo di voce, guardandola con dolore.
«Sono un vampiro, Satch. Un essere dannato che si nutre del sangue degli esseri umani.» afferma stizzita Mimì, guardandolo duramente.
Riesce a leggere nei suoi occhi neri un forte smarrimento, ma anche paura e disgusto, e questo proprio non riesce a sopportarlo. Lo credeva diverso, capace di accettare quello che è, ma la verità è ben diversa.
Si porta una mano sul petto, all'altezza del cuore e, senza pensarci due volte, affonda gli artigli nella stoffa e nella carne, lasciando che il sangue nero e coagulato sgorghi dalla ferita.
Affonda sempre di più, senza però emettere alcun suono. Il dolore di fronte all'espressione dell'amato è ben più straziante di questa sua follia.
«Mimì...» la richiama Silly, assai stupita da questo comportamento. Sa bene cosa sta cercando nella propria cassa toracica, ma proprio non capisce lo scopo. Dimostrazione di resistenza al dolore? Sfoggio della propria immortalità? No, Mimì non è una creatura tanto esibizionista, ed è proprio per questo che non riesce a capire.
«Una volta ti avevo detto che il mio cuore ti appartiene...» con un movimento brusco lancia ai piedi del comandante un piccolo marchingegno ricoperto di rosso, che ancora emana delle regolari frequenze cardiache «TIENITELO! NON SO PIU' CHE FARMENE, ADESSO!»
Silly, coraggiosa come è sempre stata, le afferra con decisione un polso e la tira verso di sé, sfiorandole poi lo zigomo con la punta delle dita.
«Andiamo a casa...» mormora semplicemente, riuscendo così a convincerla.
Entrambe si voltano, dando le spalle ai temibili nemici, e montano sul parapetto.
Si tengono per mano, provando ad infondersi a vicenda la forza necessaria per compiere il lungo e veloce viaggio di ritorno.
Una densa nube nera avvolge i loro piedi, salendo sinuosamente sui loro corpi snelli e muscolosi.
La vampira volta per un breve istante gli occhi sul pirata, e una lacrima scarlatta le solca la guancia.
«Addio...»


Il Sole sta velocemente tramontando, ma nessuno sulla Moby Dick accenna a diminuire il ritmo. Stanno tutti cercando freneticamente il punto esatto da cui Mimì riusciva a salire e scendere senza farsi notare, senza però trovare niente.
Per loro, infatti, il fatto che sia sparita in una nube di fumo nero non ha alcun significato. Lo hanno archiviato come piccolo trucchetto di magia, giustificandola dicendo che ha usato sicuramente qualche gas per potersi lanciare in mare senza farsi vedere.
Shanks era contrario alle loro teorie, ma ha mollato velocemente l'osso, decidendo di sparire dalla loro rotta, di seguire quegli assurdi avvenimenti da lontano e di intervenire solo in caso di vera necessità. Perché ricorda ancora bene le parole del suo capitano quando quell'uomo, Týr, se ne andò. Si raccomandò di stare alla larga “da quelli come lui”, e Shanks non ha certo intenzione di disobbedire così apertamente ad uno dei suoi ultimi ordini.
Halta si trova in infermeria insieme a Satch, tenendogli compagnia dopo che infermiere lo hanno costretto a qualche ora di riposo dopo il colpo subito alla testa, approfittando così per poter tenere compagnia anche a Marco, seppur incosciente.
Lo guarda con malinconia, consapevole che presto o tardi si sveglierà del tutto e dovranno dirgli quanto accaduto.
La cosa peggiore, forse, sta nel fatto che dovranno dire a tutti come stavano davvero le cose. Già, perché né lei né Izo hanno ancora detto niente sulla relazione clandestina che il primo comandante intratteneva con il “mostro” e, francamente, hanno paura di come possano reagire. Temono che possano incolparlo, che possano dire che lui copriva ogni cosa, quando in realtà nemmeno lui ne aveva idea. Hanno anche paura della reazione che avrà l'esausto capitano.
Però ne hanno parlato tra di loro, in una di quelle difficili notti insonni, e sono arrivati alla conclusione che faranno qualsiasi cosa per calmare le acque quando si agiteranno ulteriormente.
«Ti senti bene?» domanda la donna con un filo di voce, facendo sussultare appena il quarto comandante.
«Onestamente? Mi sento davvero una schifezza.» ammette a malincuore l'uomo, passandosi una mano tra i capelli ancora sporchi del suo stesso sangue «Ci avevo creduto sul serio. Lo so, è sciocco, soprattutto per un pirata, ma ci avevo creduto con tutto me stesso. Ero davvero convinto che fosse la donna giusta, che saremmo riusciti a superare ogni cosa insieme... ma mi sbagliavo.»
«Perché si nutre di sangue?» gli domanda Halta con voce flebile, senza però guardarlo in faccia. Sa bene quanto la sua domanda sia infinitamente stupida ed insensata, ma non è riuscita a trattenersi.
«Vuoi la verità? Posso tranquillamente passare sopra a questo fatto. Sul serio, non me ne frega proprio un cazzo.» Halta si gira di scatto per guardarlo, piena di stupore «Quello che mi fa impazzire e che mi sta dilaniando il cuore è il fatto che non me lo abbia detto. Non è una cosa di cui vergognarsi come può esserlo una tossicodipendenza... cazzo! È solo morta e si nutre di persone vive! Doveva dirmelo in qualche modo, lo avrei accettato.» sbraita tutto in un colpo, sbracciando per dare più enfasi alle proprie parole.
Halta sta per controbattere, dicendogli che in effetti non è proprio una cosuccia da niente come la sta dipingendo lui, ma il mugolare sommesso di Marco e i suoi leggeri spasmi muscolari l'ammutoliscono di colpo.
«Marco...»

È tutto calmo, pacifico. C'è un buon profumo nell'aria. Il cielo è limpido come mai lo avevo visto prima d'ora. Tira anche un vento leggero, perfetto per contrastare quest'afa.
E tu stai stesa nel campo di grano.
I tuoi capelli corvini contrastano magnificamente con tutto quest'oro che ci circonda. E la stessa cosa vale per la tua pelle diafana, che anche al tatto pare essere sottile ed effimere come l'etere.
Sei incantevole, non c'è altro da dire.
«Marco!»
Ti alzi di scatto da questa distesa di paglia profumata e corri verso di me, sorridendo con quell'allegria contagiosa che solo tu sai emanare.
Pure Ace è allegro, di un'allegria infantile e incontenibile, ma non riesce a farmi lo stesso effetto. Non riesce a farmi ridere come fai te, non riesce a farmi battere il cuore ad una velocità preoccupante.
«Marco!»
Urli ancora e corri. Corri leggera, muovendoti come uno spirito divino, avvolta dalla tua bellezza bizzarra... violenta... devastante.
Perché tu mi hai devastato, lo sai vero? E io detesto questo senso di confusione che solo vederti mi provoca. Ma non riuscirei più a farne a meno...
Il cielo si sta velocemente annuvolando. Il vento ulula sempre più forte, furioso. Il Sole diventa rosso come il sangue... perché è diventato rosso?
«Marco?»
Perché ti sei fermata in mezzo al campo? Corri da me, piccola idiota, presto verrà a piovere. Riparati con me sotto a quest'albero, lascia che ti riscaldi e ti protegga dalla tempesta che tanto di spaventa.
I corvi gracchiano malignamente mentre volteggiano sulla tua testa. L'oscurità ci inghiotte entrambi. E tu cadi. Cadi e annaspi in una specie di lago denso e scuro. Un lago che odora di sangue...
«MARCO!»
Non riesco a trattenermi e mi butto con te per tirarti fuori da tutto questo, annaspando a mia volta. C'è qualcosa sul fondo... qualcosa che mi sta trascinando lontano da te.
Un'ombra ti afferra per i capelli e ti butta sotto. Non riesco ad aiutarti... non riesco ad intervenire.
E tu urli ogni volta che riesci ad emergere, dimenandoti come puoi, cercando di resistere, mentre con gli occhi pieni di angoscia mi cerchi. Ma non posso aiutarti... non ci riesco. Non ne ho la forza.
Salti fuori da questo lago di sangue in cerca d'aria e i tuoi occhi fiammeggiano d'odio puro. Sembri un animale rabbioso che è stato tenuto in trappola per tutta la vita, e che finalmente è riuscito a liberarsi dalle proprie catene.
«Akemi...» mi guardi con rabbia, mi ringhi contro. Non riesci ancora a muoverti, ma capisco benissimo che mi vorresti attaccare «SVEGLIATI!»
Qualcosa ti afferra per i capelli di nuovo, sollevandoti per aria. È una creatura nera, grossa e terribilmente orrenda.
Mi guarda. Mi guarda con un odio così vivo che sento di poterlo toccare con mano. Poi, semplicemente, ti taglia la gola, lasciandoti cadere nel lago di sangue davanti a me.
Riesco a prenderti, riesco a tenerti a galla e guardare la vita abbandonarti lentamente.
«MARCO!»
Muoviti, Halta! Ho bisogno di voi! Lei sta morendo!
Ti prego, piccola, resta sveglia. Tieni gli occhi su di me, guardami, respira. Andrà tutto bene.
Le senti le voci dei nostri fratelli? Stanno venendo per noi. Senti come chiamano il mio nome? Probabilmente non ti hanno vista. Ma tu resta sveglia!
Sento un improvviso dolore acuto alla spalla e voltandomi incrocio finalmente gli occhi senza vita del mostro nero, che ringhia ferocemente prima di azzannarmi alla gola.
«MARCO!»
Vengo da te, piccolo demonio...


«Ragazzi!»  «Si sta svegliando!»  «Venite, presto!»  «Chiamate le infermiere!»
Le chiassose urla dei suoi compagni sono come delle martellate nel cervello, ma ne è comunque lieto. Sente il loro affetto, la loro gioia. Sente anche della preoccupazione nella voce di Halta e per un attimo si domanda per quale ragione sia preoccupata, ma decide velocemente di non badarci.
Malgrado abbia dormito per dieci lunghi giorni, si sente stanco. Stanco ed affaticato, come se non avesse fatto altro che combattere all'ultimo sangue con il più potente degli avversari.
Quando finalmente riesce ad aprire gli occhi, nota con piacere che i suoi adorati fratelli gli stanno sorridendo pieni di gioia. Gli sorride anche lui, afferrando la mano che Ace gli sta porgendo come saluto.
«Ehi...» mormora con un filo di voce, facendosi aiutare a mettersi seduto.
Se lo vedessero le infermiere, entrerebbe di nuovo in coma grazie alle loro botte, ma non gli importa assolutamente. Dopo quanto accaduto, dopo quanto sognato, vuole solamente camminare sulle proprie gambe, scherzare con i propri fratelli e baciarla con tutta la passione che ha in corpo.
«Come ti senti?» gli domanda con tono apprensivo Satch, mettendogli una mano sulla spalla, sorridendogli bonariamente.
«Come uno che è stato preso a cazzotti dal vecchio Garp...» borbotta stroppicciandosi gli occhi, facendo ridere un po' tutti quanti.
Subito dopo domanda loro cosa sia successo, e Izo comincia a raccontare la versione che gli è stata data da Teach, l'unica che tutti loro possono conoscere.
Gli dice che l'uomo si era alzato per mangiare qualcosa e che ha poi notato dei movimenti strani. Aveva quindi seguito quella specie di ombra tridimensionale sul ponte della nave, silenzioso come se fosse stato lui stesso un'ombra, per poi vedere con orrore che quel mostro si stava dirigendo furtivamente verso il quarto comandante, e che gli ha coraggiosamente salvato la vita frapponendosi tra loro.
Marco ascolta ogni singola parola con attenzione, arrivando lui stesso a ringraziare silenziosamente il sangue freddo del compagno e la sua infinita lealtà. Quando però alza di nuovo lo sguardo, si accorge che malgrado la situazione si sia risolta nel migliore dei modi qualcosa non va. A giudicare dalle espressioni dei compagni, si tratta anche di qualcosa di grosso.
«Mi spiegate perché avete quei musi lunghi?» domanda sforzandosi di sorridere per incoraggiarli, notando con estrema preoccupazione che pure il viso sempre allegro e determinato di Ace si fa sempre più cupo. Alcuni di loro si voltano addirittura dall'altra parte, stringendo i denti nel tentativo di non imprecare.
«Izo...» nella voce di Marco si sente chiaramente una forte rabbia mista a preoccupazione e, quando l'uomo riesce a trovare la forza per alzarsi, il sedicesimo comandante lo riprende subito per le spalle, rimettendolo seduto.
Lo guarda con dispiacere, voltandosi subito dopo verso i compagni.
«Uscite. Adesso.» ordina con fermezza, e tutti, sorprendentemente, obbediscono senza far storie. Escono veloci, lasciando i due uomini da soli, avvolti da un pesante silenzio.
Il primo a trovare il coraggio di parlare è Marco, sempre più in pena per le sorti della compagna. Perché si ricorda, seppur in modo confuso, che nella sua camera c'era del sangue, e non avendola vista in mezzo agli altri l'idea che le sia successo qualcosa di orribile diventa sempre più insostenibile.
«Dimmi che sta bene, ti prego.» mormora guardandolo con aria supplichevole, mettendosi per la seconda volta a nudo con il compagno «C'era del sangue nella sua stanza quella notte, poi non l'ho vista-»
«Era lei.» afferma duramente Izo, tenendo lo sguardo chino.
Non aveva avuto il coraggio di raccontargli tutto con gli altri presenti, ma sa bene che non può mentirgli su una cosa del genere, che non può proteggerlo dalla verità. Vorrebbe, eccome se vorrebbe; vorrebbe dirgli che è stata rapita e che hanno ricevuto una richiesta di riscatto e che sta bene, o comunque una stronzata del genere, ma questa bugia che lo rincuorerebbe un minimo durerebbe meno di un quarto d'ora. Tanto vale, quindi, dirgli anche quell'ultimo, ma non trascurabile, dettaglio di quella notte.
«La cosa che ci ha attaccati e che per poco non ammazza Teach... era lei.»
Marco rimane a bocca aperta. Non sa cosa dire. Non sa cosa pensare.
La sua mente fatica parecchio ad elaborare la cosa, e quando ci riesce, non l'accetta. Rifiuta categoricamente di credere che quell'orrida creatura nera come la notte fosse Akemi, la sua adorata compagna. Quella bestia assassina non può essere la magnifica donna con cui condivideva il letto. Non può essere la donna che avrebbe protetto anche a costo della propria vita.
«Menti.» sibila aspramente, fissando con rabbia il compagno.
Quando però i loro occhi s'incrociano, quando finalmente riesce a vedere quanto la cosa gli stia facendo male, si rende conto che no, non sta mentendo.
Il cuore si blocca, il respiro si spezza.
Calde lacrime gli pizzicano gli occhi, e il desiderio di rimettersi a dormire diventa insopportabilmente opprimente.
'Akemi... ti prego, ti supplico... dimmi che è solo un altro dei tuoi stupidi scherzi... ti scongiuro. Non puoi avermi fatto questo.'
«Mi dispiace...» mormora Izo, poggiandogli con decisione una mano sulla spalla per infondergli un po' di forza.
Marco però non lo sente.
Rimane immobile, senza neanche respirare. Fissa il vuoto davanti a sé, pensando e ripensando, mentre gli occhi velocemente si appannano.
Non riesce neanche più ad osservare il pavimento davanti a sé, a distinguere come sempre le venature del legno, finché delle calde lacrime sgorgano finalmente dai suoi occhi neri, permettendogli così di rivedere un minimo. E quello che vede non gli piace per niente: un mondo senza di lei, un'esistenza rovinata per colpa di un suo capriccio che lui stesso ha voluto assecondare, distrutto da quel sentimento da cui si è sempre tenuto lontano e che adesso invece lo ha inghiottito.
Per tutta l'imponente Moby Dick risuona il suo urlo carico di agonia e poi, da un secondo all'altro, tutto di nuovo tace.



Eusebio attende il ritorno delle due immortali di fronte alla tenda privata dell'Imperatore situata in cima alla collina, pregando per loro che sia andato tutto per il meglio. Non sopporterebbe un fallimento da parte loro e la conseguente sfuriata dal suo padrone.
«Eusebio!» Silly gli corre incontro felice, abbracciandolo con forza.
A lei non importa niente del fatto che tutti lo evitino per il suo aspetto: a lei è simpatico.
Eusebio, infatti, ha le orecchie lunghe e sporche, il naso storto dalla quale colano vermi, le labbra gonfie, pallide e sporgenti, i capelli sottili e luridi, come se non se li lavasse da anni.
A causa delle altre sue deformità fisiche gli abitanti lo tengono a debita distanza, facendolo involontariamente soffrire.
Sono pochi, tra cui le due giovani immortali, ad essersi affezionate a lui, a farsi abbracciare e a portagli doni dopo i loro viaggi, rendendolo immensamente felice.
«È andato tutto bene?» la voce tuonante di Fenrir le riporta con i piedi per terra.
Tutto attorno a loro è avvolto dall'oscurità totale. Tutti nel castello dormono sogni beati, lontani dai pericoli che si annidano nel mondo reale.
Fenrir osserva con sguardo disinteressato il paesaggio ai suoi piedi: nessuno sembra accorgersi di lui, o forse semplicemente non vogliono vederlo, continuando nelle loro faccende, combattendo per mettere i cuccioli a dormire.
Sorride appena, lieto di quella momentanea pace ritrovata, ma il chiaro odore di tormento da parte delle due immortali fa sparire immediatamente quel sorriso.
«Il traditore grasso ha mentito, e i pirati gli hanno creduto. Continuano a medicarlo e a nutrirlo come se fosse un compagno fedele.» afferma con astio Mimì, che più di tutti avrebbe voluto saltargli addosso e nutrirsi della carcassa puzzolente di quello che ha ancora la faccia tosta di chiamare padre il proprio capitano.
Può tollerare molto, anche troppo, ma non il tradimento. Ed un tradimento come quello, beh... è assolutamente inammissibile.
In realtà, anche se non lo ammetterà mai per orgoglio, è preoccupata per i rischi che il comandante Satch rischia di ora in ora.
«Comprendo il tuo risentimento Mimì, ma non possiamo fare niente.» risponde secco l'uomo, pronto ad andarsene e coricarsi nel proprio enorme letto, al cui fianco troverà il corpo caldo ed invitante di Astrid.
«Hanno protetto Lilith, tua nipote. È nostro compito ripagarli.» ritenta Mimì, trattenendo le lacrime. Perché sa che Satch avrà già distrutto quel pezzo di metallo, il suo cuore fasullo, ma non riesce a non pensare a lui e alla sua salute.
'Morirei per lui...'
«Sono a conoscenza della tua relazione con l'umano, Mimì, ma non sono più affari che ci riguardano.» risponde secco, lasciando che il proprio corvo voli libero assieme al fratello, da cui è stato diviso per troppo tempo.
«Ma-»
«Niente ma, Silly. Non fatele sapere ciò che è successo e dimenticate il tutto.» ordina prima di voltarsi, rivolgendo loro un lievissimo sorriso, indice che sta già escogitando qualcosa  che resterà ben segreto a tutti quanti fino a che non deciderà di agire «Manderò i miei corvi a vegliare sulle loro vite e, se mai sarà necessario, andrò io stesso in loro difesa.»
Detto questo se ne va dalla propria compagna, desideroso di poter approfittare ancora e ancora di quel corpo che è suo e solo suo.
Non gli importa niente degli schiamazzi contrari delle due immortali alle sue spalle: il suo piano è ben preciso, calcolato in ogni sfumatura.
Basterà semplicemente aspettare il momento per poi metterlo in atto...
 
 
Angolo dell'autrice:
Eccomi di nuovo qui... in ritardo. Ebbene si, ormai ritardo sempre. Poi, come se non fosse sufficiente, torno con un altro capitolo triste (e brutto). Non odiatemi, vi prego >.<
Devo dire che è stato, fin'ora, il capitolo più difficile da scrivere. Posso gestire i personaggi da me creati come voglio, farli muovere a mio piacimento e fargli provare tutto ciò che voglio, ma con quelli già esistenti no, motivo per cui è stata una sudata incredibile.
Cooomunque! Visto che Shanks è tornato?! :D Lo avevo detto che tornava, il mio amatissimo Rosso! Poi, da bravo dolcino qual è, è andato dal babbo per metterlo in guardia :3
Qualcuno ha capitolo chi era la bionda che supplicava Týr per risparmiare la vita di Roger? :D Se non si fosse capito, ecco un indizio: è qualcuno di odioso!
L'incubo di Marco! :D Chi ha capito il significato? Beh, visto che sono particolarmente in vena di chiacchierare (maledetta la febbre e il mio corpo stronzo che la prende in continuazione!), ve lo spiego: all'inizio tra loro c'era serenità -per quanto un tipo come Akemi possa essere sereno-, ma poi l'oscurità che lei si porta nel cuore ha cominciato a straripare come un fiume in piena, inghiottendola e uccidendola. Marco, semplicemente, ci si è trovato nel mezzo, ha provato a salvarla e per poco non ci affoga dentro. Sarò disturbata?!
Come al solito non sono stata capace di rendere bene il dolore che invece trafigge i cuori dei nostri protagonisti! :( Spero che non me ne abbiate troppo, ma sono proprio negata nei capitoli tristi!
Dal prossimo si dovrebbe tornare all'allegria! Poi, anche se risulterà difficile, proverò ad unire i due mondi. Cioè: la prima parte la scrivo dal punto di vista dell'equipaggio? Bene, la seconda sarà con quella dei mostri, come se fossero mattino e sera. Non sempre eh, però spesso dovrò fare così (o almeno provarci). Spero che non vi dispiaccia.

Un grazie di cuore Chie_Haruka, Lucyvanplet93, Law_Death, Monkey_D_Alyce, Yellow Canadair, Okami D Anima, Aliaaara, Keyra Hanako D Hono, KuRaMa faN e ankoku per aver recensieto lo scorso capitolo!♥

E ringrazio anche chi segue ♥“Ti dedico una canzone”♥! Siete troppo gentili! :D Anzi, se avete qualche canzone che vi piacerebbe che usassi, ci proverò assai volentieri! :D


Un bacione
Kiki ♥
 
ODS: Ora Devo Sfogarmi!
 
Basta. Porco cane, BASTA!
Possibile che nessuno dica niente? È mai possibile che questi problemi li vedo solamente io?!
Le autrici appaiono come funghi e, per carità, questo non è un male. È un male quando queste non hanno idea di come diavolo si usa un congiuntivo, dove mettere gli accenti e via discorrendo. Forse ora va di moda buttare la grammatica italiana nel cesso, non so... ma c'è anche di peggio! Ovvero quando, da persona civile, fai loro notare che hanno appena creato un abominio (il più delle volte) e dai suggerimenti, e loro hanno pure la faccia tosta di dirti che TI STAI SBAGLIANDO, che la loro storia NON ha errori, che possono creare personaggi OOC quanto vogliono senza mettere le dovute avvertenze.
Parliamo poi delle trame? TUTTE uguali. Non che la mia storia sia innovativa, che sia qualcosa di speciale, che io stessa sia una grande scrittrice, non mi sogno neanche di pensarlo, ma cazzo! Quanto meno PROVO a fare del mio meglio, imparo a memoria i miei stessi capitolo per trovare gli errori che, ahimè, talvolta mi sfuggono.
Non ritenetemi ipocrita, o quello che volete, e non ditemi che sparo solo cazzate.
Detto questo, annuncio da subito che adesso riapro la stagione “cerca un determinato tipo di storia e stroncala”.
 

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Capitolo 31
*** 31. Nuovi punti di vista ***


Piccola premessa: dall'arrivo di Akemi all'isola sono trascorsi tredici giorni (Marco è sveglio da tre, e si, sta bene). Da ora in poi penso che metterò questo avviso ad ogni capitolo, perché trascorrerà un po' di tempo prima della loro riunione.
Ah, già che ci sono, vi metto pure il cast femminile di questo capitolo (così, mi pareva carino):
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Detto questo, vi auguro una buona lettura!

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Akemi era sempre stata sicura che scoprire la verità sul proprio conto l'avrebbe resa felice. Era convintissima che scoprire perché fosse diversa da tutti gli altri, perché e da chi fosse stata abbandonata, l'avrebbe resa una persona completa e sarebbe stata pienamente felice. Ma si sbagliava. Si sbagliava di grosso, e adesso lo sa.
Il suo cuore sembra battere sempre più lentamente da quando è stata strappata dalle braccia protettive della sua famiglia adottiva. Che poi dire strappata è errato, e questo lei lo sa: ha fatto tutto da sola, nessuno l'ha cacciata. È stato quello che ha dentro di sé, l'ibrido mostruoso ed assetato di sangue, a decidere per lei, ad obbligarla ad andarsene e a farla unire ad un branco di mostri assassini della peggior specie.
Per un attimo, in quelle due settimane di reclusione autoimposta, le è pure balenata l'ipotesi che nulla di tutto quello stesse accadendo davvero, che fosse finita in chissà quale manicomio dopo un crollo nervoso e che fosse vittima della più orrenda delle allucinazioni del mondo. Ma il buonsenso le ha negato quell'eventualità.
Alla fine ha semplicemente accettato l'idea di trovarsi ad Helheimr, un'isola sconosciuta al mondo, brulicante di creature soprannaturali. Ed ha pure scoperto diverse cose. Per esempio ha notato, dall'alto della sua finestra sempre chiusa, delle Banshee muoversi leggiadre mentre intonavano canti antichi, ammaliando i presenti. Ha notato creature dall'aspetto cadaverico muoversi barcollando per le strade, tenute al guinzaglio da vampiri o lupi mannari; da quello che è riuscita a sentire, ha scoperto che le portavano al macello situato nella zona sud per nutrirle. Ha notato tante cose, tra cui degli spiriti fluttuare proprio davanti alla sua finestra, che la osservavano con interesse e le chiedevano di andare a fare una passeggiata assieme.
Ha scoperto anche che non può andarsene. Ci sono delle strane bestie simile ai Re del Mare che girano indisturbate in quelle acque cristalline e che rispondono solo agli ordini di determinate persone. È anche abbastanza certa che ci sia un altro blocco che impedisce l'entrata e l'uscita da quell'isola soprannaturale, ma non ne è sicura.
Anche se non lo sa, in realtà ci ha preso: l'intera isola e le acque che la circondano sono delimitate da una barriera invisibile, che impedisce a qualsiasi creatura di percepirne l'esistenza, e l'unico modo per poterla oltrepassare è avere una runa incisa sulla nave con il sangue di un Lothbrook o, in alternativa, avere direttamente quel sangue tanto prezioso che ti scorre nelle vene, motivo per cui solo i fedeli al Signore indiscusso degli immortali possono muoversi a proprio piacimento.
Akemi ha notato tante cose, ed ogni volta è rabbrividita. Le sembra tutto così dannatamente assurdo, come in un sogno estremamente fantasioso. Il problema è che non si trova in un sogno, ma nella realtà. Una realtà da cui non può scappare e a cui dovrà decidersi a rispondere.
I morsi della fame si fanno sentire sempre più prepotentemente, ma lei non vuole assolutamente cedergli. È rimasta chiusa nella sua stanza per giorni, lontana da tutto e tutti. Beh, tutti, eccetto la madre.
Ha infatti scoperto che è pressoché impossibile dire di no ad Astrid, che è una donna forte ed incredibilmente testarda.
Ha scoperto, con delusione e disgusto, che porta avanti una relazione altalenante con Fenrir da quasi seimila anni, e che adesso sono tornati insieme. Ha capito che il loro è un amore autentico, di quelli che niente e nessuno può spezzare, neanche l'intromissione momentanea di Týr. “La nostra era solo attrazione fisica” le ha detto. “Non eravamo innamorati l'uno dell'altra” ha aggiunto, rattristandola un poco. “Noi eravamo innamorati di te” con questa frase, detta con palpabile sincerità, le si è sciolto un poco il cuore, ed ha cominciato ad avvicinarsi seriamente a lei, offrendole così una possibilità di redimersi.
Ha poi scoperto che è fissata in modo maniacale con le apparenze, tanto da convincerla, prendendola per sfinimento, ad indossare sempre vestiti che coprano pressoché tutti i suoi tatuaggi, considerandoli inappropriati per una principessa.
Ha scoperto che sa essere dolce ed apprensiva, capace di risollevarti il morale anche se per pochi minuti.
Ha scoperto che le vuole davvero bene, che si stava lasciando morire perché si erano dovute separare e che è stata solamente la promessa fattale da Fenrir a mantenerla in vita.
Ha scoperto tutto questo e adesso si fida di lei. La lascia entrare nella propria stanza quando vuole, si lascia toccare e le ha permesso di dormire insieme per due notti consecutive.
Adesso, seduta vicino alla finestra ad osservare il panorama notturno, non può far altro che pensare a quanto la vita sia incredibilmente imprevedibile: fino a due settimane prima poteva passare le proprie giornate assieme alla ciurma, trascorrere le nottate tra le calde braccia di Marco; credeva di essere riuscita a raggiungere il massimo, di essere entrata nel suo piccolo Paradiso privato, e adesso invece si ritrova su di un'isola a dir poco assurda, di nuovo al punto di partenza, quasi completamente sola.
Si, la vita è bizzarra.
Ma quella mattina, quando il Sole l'ha simpaticamente svegliata con un raggio brillante ben puntato sopra ai suoi sensibili occhi, si è resa conto che non può continuare a remargli contro. Ha capito che deve accettare questa nuova realtà, portarsi il proprio dolore dentro e provare a dare una possibilità a tutti i folli assassini come lei che la circondano. Ed è proprio per questo motivo che decide di aprire la porta e far entrare la madre... e le sue amiche.
Rimane imbambolata a guardarle, la bocca semi-spalancata e gli occhi spersi.
«M-ma c-c-cosa...?» balbetta, aprendo lentamente la porta per lasciarle passare, osservandole con una certa diffidenza mentre si mettono a sedere un po' ovunque, mettendo inoltre le loro delicate e mortali manine tra le sue cose.
«God kveld eskling!» Astrid le schiocca un sonoro e dolce bacio sulla guancia, mettendole un braccio attorno alle spalle. Le sorride allegramente, conducendola con passo calmo e rilassato verso il grande letto a baldacchino. Vi si buttano a sedere sopra stando l'una ben vicina all'altra, mentre le varie donne si accomodano e sistemano il necessario per la nottata: smalti, creme di ogni genere, ferri per i capelli, svariati contenitori pieni di cibo e una quantità imbarazzante di bottiglie scure.
Akemi le guarda incerta, provando a spiegarsi come mai abbiano portato tutta quella roba a suo dire inutile nella sua stanza. Cerca una spiegazione negli occhi chiari della madre, e questa in risposta le sussurra che si tratta di una serata tra donne, cosa che lancia nello sgomento il giovane ibrido. Non vorrebbe nessuna di loro intorno, non così velocemente almeno. Aveva deciso di integrarsi, di accettare questa nuova realtà, ma aveva deciso di farlo per gradi, di imparare a conoscerli uno per uno e solo in seguito in gruppo.
Astrid, che senza sforzo ha captato l'imbarazzo e il timore della figlia, decide di prendere la situazione in mano, come da sempre è abituata a fare, e prova immediatamente a farla integrare tra le compagne. In realtà, il suo è un piano dall'esito già scritto, perché, seppur esseri sanguinari ed attaccabrighe, sono tutti per natura piuttosto inclini a socializzare con i propri simili, cosa che li rende sempre più forti. In particolar modo questo vale per i licantropi, la cui forza fisica aumenta in proporzione al numero dei membri del proprio branco. Non sanno spiegare perché ciò avvenga, ma alla fine non importa assolutamente niente a nessuno.
«Immagino che tu già conosca Freya, vero?» le domanda gentilmente mentre si sdraia sul comodo materasso, tenendosi su un fianco.
La bionda sorride arrogantemente ad Akemi, che in tutta risposta storce le labbra in segno di disprezzo.
«L'ultima volta che ci siamo incontrate mi sono scordata di dirti che siamo parenti alla lontana.» afferma con disinvoltura la biondina, facendola accigliare.
A Freya non piace proprio Akemi, non la può vedere. L'unico motivo per cui si trova in quella stanza è perché il nuovo compagno, Genma, è riuscito a convincerla, usando la scusa che si tratta di una povera ragazza dall'animo smarrito. Non che in realtà gliene freghi qualcosa, anzi, però di fronte ai grandi occhioni castani da cucciolo bastonato di Genma nessuno può resistere, neanche lei.
Astrid ringhia lievemente per richiamarla all'ordine, facendola sbuffare.
«Sakura, Arista, Mimì e Silly già le conosci...» sorride cordialmente alle quattro donne, intente a mangiare o bere come se non ci fosse un domani. Silly, in particolare, si è arrampicata sopra alla trave del baldacchino e sta voracemente divorando un'intera crostata al cioccolato con le pere, completamente indifferente ai discorsi delle amiche.
Mimì, lontana dalle altre, fruga dentro agli armadi della corvina, sospirando delusa quando si accorge che nessuno di quei meravigliosi abiti le entrerà mai, né tanto meno le incantevoli scarpe.
Una donna dalla pelle ambrata e i magnifici capelli neri come la notte, lunghi e gonfi, si avvicina sorridendo amichevolmente alla giovane Lothbrook, porgendole con gentilezza un contenitore pieno di biscotti alle mandorle, i preferiti dei suoi figli.
«Fame?» le domanda cortesemente, sorprendendo positivamente Akemi. Era infatti convinta che fossero una mandria di assassine senza regole e completamente prive di tatto o buone maniere, invece adesso sta cominciando a ricredersi, arrivando velocemente a non considerarle neanche più una minaccia per sé stessa.
«Abbiamo portato qualche leccornia: stuzzichini di carne fresca al sangue, occhi di cervo, teste di scoiattolo, fegato di orso, cuore di coccodrillo e dei dolci.» afferma un'altra donna, anch'essa dai lunghissimi capelli corvini, ma con la pelle molto più scura rispetto alla prima, con un sorriso raggiante ad illuminarle il viso «E vino. Tanto vino!»
«Ti presento Dana e Jena.» le presenta Astrid, indicandole con un cenno del capo.
Indica poi la licantropa svampita in un angolo della stanza che tiene in mano un ombrello di pizzo rosa confetto e lilla, sorridendo divertita nel vederla cadere dalle nuvole quando Arista le sfiora dolcemente uno zigomo «Quella invece è Momoko.»
La mannara le lancia un'occhiata con quegli occhi neri sempre stranamente vuoti d'espressione, poi allunga la mano piccola e affusolata e afferra un sacchetto, di quelli grandi, pieno zeppo di materiale erbaceo color verde bruno.
«Ne vuoi un po'?» offre gentilmente la corvina, senza però far trapelare alcun tipo di emozione. Tiene la testa reclinata di lato, mettendo in mostra il collo lungo e pallido, e gli occhi inespressivi fissi sul volto vagamente sconvolto della nuova arrivata.
«Passo...» mormora con un filo di voce, voltando lievemente la testa per poter vedere dallo sguardo della madre se la sua è stata una scelta buona o meno. Astrid, ermetica come lo è per la maggior parte del tempo, si limita a guardarla a sua volta, ascoltando distrattamente i suoni che sente provenire dall'esterno.
Un lieve bussare alla porta fa trasalire Akemi, che involontariamente si appiattisce contro il corpo caldo e forte della madre, che le cinge subito le spalle con un braccio. Le mormora di stare tranquilla, che va tutto bene e che nessuno le farà del male, e subito dopo dà il permesso alla lupa ritardataria di entrare.
La porta cigola appena mentre viene lentamente aperta, e dopo qualche secondo di attesa una testa corvina fa capolino. La ragazza sorride loro con aria colpevole, sprigionando allo stesso tempo un'allegria assai contagiosa.
Akemi la osserva attentamente, riconoscendo i suoi capelli lisci e neri come la pece ma, soprattutto, gli occhi a mandorla, anch'essi neri. Riconosce i suoi lineamenti delicati, le labbra sottili e il naso pennellato. Si ricorda di aver visto quello stesso viso quando è stata ripescata dal mare.
«Scusate il ritardo, ma Wulfric la tirava per le lunghe.» si difende prontamente la ragazza, alzando le mani in alto in segno di resa e buttandosi velocemente a terra, pronta rimpinzarsi come al solito. «Stasera avrai un bel da fare, tu!» afferma subito dopo, voltandosi verso la bionda vampira e sorridendole con aria maliziosa.
Sakura, in tutta risposta, sbuffa infastidita, bevendo un lungo sorso di quello che all'apparenza appare come del comune vino rosso.
«Questa signorina, invece, è Rin.» la presenta in tono cortese Astrid, facendo annuire appena la giovane figlia.
Dopo quest'ultima presentazione, le varie donne cominciano semplicemente a chiacchierare tra loro del più e del meno, ridendo allegramente, bevendo e mangiando. Nessun pensiero negativo le tocca più: la creatura è al sicuro nella loro impenetrabile isola, e tutte le minacce che le hanno fatte tremare adesso sono incredibilmente lontane.
Astrid si unisce a loro, bevendo elegantemente delle lunghe sorsate di vino rosso, unendosi alle loro chiacchiere, sorridendo quando Jena solleva l'argomento “Fenrir”. Risponde alle loro domande più intime senza fare una piega. In fondo, qualsiasi donna che lo abbia visto almeno una volta nella vita non è mai riuscita a non farsi dei filmini mentali su di lui. E che filmini mentali! Alcune di loro continuano tutt'ora, anche le due donne dell'altra sponda. Affermano ridendo che pure loro un “giretto” se lo farebbero volentieri, ricevendo i consensi delle compagne.
Akemi le guarda sconcertata, cercando spiegazioni nello sguardo stranamente allegro della madre. Lei ha visto Fenrir, sa che è un gran bell'uomo, ma proprio non riesce a capire cosa ci trovino di così eccezionale da volerselo fare tutte. Comincia a comprendere qualcosina solo quando attaccano ad elogiare la sua forza, la sua intelligenza, il suo sangue freddo e il suo forte senso dell'umorismo. Lei però non lo ha mai sentito scherzare. Non l'ha neanche mai visto ridere, se è per questo, ma decide di fidarsi della loro opinione. In fondo lo conoscono molto meglio di lei, perché non fidarsi?
Il vino scorre come un fiume in piena. Nessuna di loro rifiuta neanche un'offerta, tracannando come se non ci fosse un domani, riuscendo sorprendentemente a mantenere una più che discreta lucidità. Non mancano certo i sorrisini inebetiti, ma sono ancora perfettamente in grado di intende e volere e di fare discorsi assolutamente sensati.
Certo, non tutte, ma il vino non c'entra minimamente.
«Le chiappe di un gatto sanno di pollo?» domanda di punto in bianco Silly, lasciandosi cadere le braccia lungo i fianchi e guardando a turno le varie amiche con espressione perplessa. Punta poi gli occhi scuri sulla grande amica vampira, ricevendo in risposta un'espressione corrucciata.
«E io come faccio a saperlo?!» le urla contro Mim', stringendo la testa nelle spalle, facendo così scivolare i capelli turchesi ai lati del viso a cuore.
«Domanda retorica, giusto.» risponde con indifferenza la lupa, non badando minimamente allo sguardo perplesso della nuova arrivata. Semplicemente ricomincia a mangiare, agganciandosi con le gambe alla trave del letto e mettendosi così a testa in giù, posizione da lei considerata estremamente comoda.
Cala un imbarazzante silenzio nella stanza, che però non grava affatto sulla giovane immortale, tutt'altro. Ha l'opportunità di poterle osservare mentre sono tranquille, tutte prese dai propri affari. Le sembrano così innocenti, pure, tanto da risultarle faticoso credere che in realtà, dietro a quelle espressioni buone e gentili, si celino le più spietate assassine mangiatrici di uomini che il mondo abbia mai conosciuto.
Poi, d'un tratto, giungono dall'esterno dei prolungati e lugubri ululati, una specie di coro confuso, che fa voltare pigramente tutte le mannare presenti nella stanza. Osservano fuori dalla finestra con un malcelato fastidio negli occhi, domandandosi per quale assurda ragione i maschi si ostinino a fare tutto quel baccano pure sulla loro stessa isola, lontani da ogni pericolo. Akemi, invece, sente semplicemente un grido che le si arrampica nella gola e deve serrare la bocca per tenerlo dentro, giusto per non fare la figura della Regina delle Fifone.
«Che musica che fanno, eh?» le domanda sorridendo bonariamente Momoko, continuando a tenere gli occhi fissi sull'esterno. Osserva l'oscurità, lo spicchio di Luna che brilla sopra di loro, e anche a lei viene voglia di unirsi al coro, di dare il via libera al suo istinto di lupo. Ma non lo fa. Arista non lo sopporta, e lei non vuole farla arrabbiare.
Ad Akemi sembra di vivere un'esperienza extracorporea. È terrorizzata da quei suoni così armoniosi, sente le mani tremare e una sensazione di formicolio nelle budella. Per un attimo l'idea di sbatterle tutte fuori diventa incredibilmente allettante, ma si astiene dal farlo. Potrebbero non prenderla bene, e di certo non vuole scoprire sulla propria pelle quanto siano realmente forti.
Silly, da grande osservatrice quale è, si è resa conto del terrore che sta velocemente divorando ogni singola cellula della bimbetta, e, stranamente, prova un forte senso di pena nei suoi confronti. In quanto licantropo è anche strano per la verità, visto che nessuno di loro si è mai fatto intenerire dalla figura tremolante di una ragazzina.
Sarà perché fa parte del branco...” pensa, reclinando la testa di lato e continuando ad osservarla. Il labbro inferiore è stretto tra i denti affilati, gli occhi sono lucidi, prossimi a sgorgare una quantità imbarazzante di lacrime e, dall'odore che sente provenire dalla sua pelle, è quasi del tutto certa che sta pure per farsela sotto.
Poveraccia...
Si butta giù dal suo comodo posto e comincia a camminare con la testa china per la stanza, rimuginando su un quesito che già da tempo le frulla per la testa e che adesso ha finalmente la possibilità di esporre, alleggerendo così la tensione che si è venuta a creare.
«Quante combinazioni di quattro cifre ci sono da uno a nove?»
Le domande senza senso di Silly, per quanto siano frequenti, non smettono mai di sorprendere chiunque la conosca. In realtà tutti rimangono sorpresi quando non ne fa, indice di un discreto nervosismo o forte stress. Un'altra cosa che non sorprende più nessuno, è il fatto che sia sempre Mimì a risponderle, cercando generalmente di dare pure risposte sensate malgrado la domanda sia priva di senso.
«Diciassette? Che ne so, potrebbero essere milioni!»
«Sei sicura?» insiste la rossa, assottigliando lo sguardo e reclinando di lato la testa.
«Di cosa?»
«Non si dice “diciassei”?»
Nella stanza cala un profondo silenzio, interrotto solamente dall'incessante sgranocchiare della folle ragazza, che non perde mai occasione per riempirsi la bocca.
Akemi, assolutamente sconcertata da quelle conversazioni così stupide, si volta per cercare gli occhi glaciali della madre, notando quanto la cosa la lasci indifferente. Le domanda silenziosamente se sia una cosa normale, se deve preoccuparsi se mai si trovasse da sola con l'eccentrica mannara, ma la donna nega semplicemente col capo, facendole capire che no, non è pericolosa. In realtà questa è una bugia, perché Silly sa essere davvero brutale e letale, ma non ha alcuna intenzione di farla preoccupare inutilmente. Tanto, dalla mattina seguente, anche lei imparerà a difendersi a dovere, quindi non c'è assolutamente niente da temere.
«Ti sbagli col “sedici”...» la informa svogliatamente Arista, continuando imperterrita a dipingere le unghie della compagna.
«Ah!» è l'unico commento da parte della rossa, che si stringe nelle spalle sorridendo con aria innocente.
Nuovi ululati in lontananza, forse a sud, vicino alla Villa delle Anime, o forse ad est, nella zona desertica dell'isola dove si allenano i lupi. Per Akemi è difficile stabilire con certezza da quale direzione provengono. L'unica cosa di cui è veramente certa, è che si tratta di un branco bello grosso.
Rivolge alla madre un sorrisetto rapido e nervoso, sul punto di una nuova crisi di pianto, e la donna le risponde con una carezza. Una carezza rapida, delicata come il battito d'ali di una farfalla. Una carezza che vuole trasmettere alla giovane e spaventata immortale la forza della donna. E Akemi si calma con quella carezza, rilassando i muscoli delle spalle e lasciando che le nuove chiacchiere delle donne le scivolino addosso. Sente qualcosa riguardo Roger e Freya, sulla loro vecchia e passionale relazione, ma non le importa niente. Non le importa neanche degli ululati che rompono la notte. Le importa solo della mano calda che le sfiora la guancia e di quegli occhi taglienti e al contempo caldi della madre.
Abbassa un poco la testa, volgendosi verso tutte quelle sconosciute che ridono allegre. Le guarda e, anche solo per un secondo, sente che non sono così male come aveva creduto. Forse potrebbero addirittura esserle simpatiche. Però, prima di poterlo dire con certezza, deve sapere quanto queste siano sincere nei suoi confronti.
«Posso farvi delle domande?» domanda timidamente, attirando su di sé i loro occhi, che sembrano quasi illuminarsi di fronte a questa sua semplice richiesta.
«CERTO!» urlano in coro, più che liete di vedere che ha deciso di sbloccarsi un poco, di lasciarsi andare almeno con loro e, soprattutto, di abbracciare il loro mondo.
«Perché i vampiri hanno gli occhi così chiari e i lupi mannari li hanno normali?» domanda con un filo di voce, terrorizzata dall'idea di aver chiesto qualcosa di sbagliato e magari pure offensivo. In fondo non le conosce, non ha idea cosa sia tabù e cosa no!
«Noi perché, fondamentalmente, siamo morti.» le risponde gentilmente Sakura, indicando con un braccia le compagne vampire, che a loro volta sbattono molto teatralmente le lunghe ciglia.
«Un tempo avevo dei meravigliosi occhi ametista...» sospira con aria nostalgica Mimì, scoppiando subito dopo a ridere «Sembravo una spiritata!»
Alle sue risate seguono immediatamente quelle delle altre, sempre di buon umore quando a contatto con la vitalità e l'allegria della piccola vampira.
Jena, la lupa più seria solo dopo Astrid, si ricompone velocemente e prende la parola «A noi cambiano con la muta. Rossi per gli alfa, gialli per gli altri.»
«Alfa?» domanda automaticamente Akemi, inarcando un sopracciglio.
«Capobranco, come Fenrir e tua madre.» le spiega piegando la testa di lato e rivolgendole un dolce sorriso, trattenendosi dallo scoppiare proprio a ridere quando la vede voltarsi verso la madre con sguardo stralunato.
«I crocifissi?» domanda la corvina senza neanche voltare la testa, notando un certo smarrimento pure nello sguardo generalmente fermo, quasi glaciale, della madre.
«Scusa?» le domanda Freya, non riuscendo a capire né a chi abbia posto la domanda né tantomeno il perché.
«Li potete guardare?»
Le varie vampire scoppiano a ridere, scuotendo un poco la testa, e anche questa volta è Sakura a prendere la parola per le due compagne, desiderosa di illuminare la sua mente ancora avvolta dall'oscurità «Ti dirò, a molti piace molto guardarli, ma io provo un profondo senso di disgusto nei confronti della chiesa e di tutto ciò che comporta. In Kakashi, per esempio, scatenano un profondo senso di odio e furore, e in quei frangenti compie massacri indescrivibili.»
Certo, vuole che non ci siano più dubbi in lei, che sappia tutto, ma non si sente ancora di dirle che da umana fu chiusa, contro la sua volontà, in un convento e che il fratello barattò la sua stessa umanità pur di liberarla. Non le dirà neanche che quello stesso ragazzino dal viso d'angelo e i capelli dorati ha fatto impazzire quelle donne di Dio una dopo l'altra e le ha poi impalate a testa in giù per ripicca.
No, decisamente è meglio non dirglielo.
«Le bare?» domanda subito dopo Akemi, mentre nella sua mente tornano vivide le parole che lesse sullo strano libro che fu dato tempo addietro ad Ace, su cui c'erano scritte svariate informazioni anche sui vampiri e sui licantropo. Informazioni che però si stanno rivelando quasi tutte false.
«Ad alcuni piace dormirci dentro. Ad altri piace scoparci... non ho mai capito perché.» questa volta a rispondere è Arista, intenta a spazzolare con cura i capelli setosi della compagna.
«Il Sole?»
La rossa alza gli occhi di ghiaccio sulla ragazza, sorridendole appena come per rincuorarla «Ci indebolisce. Per noi è praticamente contro natura muoverci alla luce del Sole, ma non è assolutamente vero che ci uccide. Ci rende deboli e ci dà molto fastidio agli occhi, motivo per cui portiamo sempre gli occhiali. Immagino che in parte tu lo possa capire...»
Rin le si avvicina piano, mettendosi a sedere sul pavimento vicino a lei mentre la guarda con una malcelata tristezza negli occhi.
«Quelli come noi hanno una sola necessità: il sangue. Ogni giorno ci troviamo a combattere con una smania sempre più grande e impariamo a controllarla solo con il passare del tempo. È sempre lì, pronta a farti perdere il lume della ragione, ma impari a conviverci.» la sua voce è ridotta quasi ad un sussurro, piena di angoscia. Sa bene quanto sia difficile accettare questo dettaglio per qualsiasi novellino, e si rende perfettamente conto che per lei deve esserlo in maniera particolare, in quanto è stata allevata proprio da esseri umani.
«Converrai che è così facile ucciderli, che quasi si prova pietà per loro.» afferma con arroganza Freya, rigirandosi tra le dita un pezzo di carne sanguinolento. Ci gioca e sorride in maniera perversa, godendosi la sensazione del sangue che le cola sulla pelle e, ancora di più, l'espressione sempre più infastidita della giovane erede.
«Scoprirai, inoltre, che i bambini hanno un sapore migliore.» insiste, allargando il proprio sorriso.
In sua difesa, però, si lancia Silly, che con un balzo agile e veloce si piazza davanti alla bionda Lothbrook, snudando le zanne e lasciando che i propri occhi scuri si illuminino del caratteristico oro liquido dei licantropi furiosi.
La bionda, dopo aver lanciato una fugace occhiata alla Sovrana, abbassa la testa in segno di sottomissione e si allontana, mettendosi in un angolo, mentre Silly se ne torna sulla sua postazione, portandosi però dietro un sacchetto pieno di cioccolatini ripieni.
Tra le varie immortali cala un fastidioso silenzio, interrotto solamente dallo sgranocchiare delle lupe, che, al contrario delle vampire, possono mangiare quanto le aggrada senza dover poi rigurgitare il tutto e stare male per almeno sette ore.
Per una persona chiacchierona e bisognosa di un minimo di attenzioni come Mimì, però, quel silenzio è assolutamente da eliminare, e per questo prende coraggiosamente la parola.
«Qualche altra domanda?» le domanda gentilmente, sorridendo con la sua solita espressione da bambina furbetta. Dana, al suo fianco, la sta aiutando a colorarsi i capelli di verde, facendo inoltre in modo che le punte siano di un acceso giallo canarino, come il foulard dell'amato.
«Beh, in realtà ne avrei a centinaia...» mormora con imbarazzo la ragazza, passandosi una mano tra i capelli scompigliati.
Astrid, che non perde mai un movimento della sua cucciola, le si mette subito dietro le spalle e comincia a pettinarle la chioma corvina, decisa a donarle un'acconciatura regale come piace a lei, borbottando qualcosa sul renderli più personali a cui però Akemi non bada.
«Chiedi allora!» la esorta Silly, appendendosi a testa in giù dalla trave e sorridendole allegramente, intenerendola.
'Mi voglio fidare di te, Silly. Hai l'animo buono, lo sento.'
Le sorride di rimando, togliendole con mano decisa il medaglione da davanti gli occhi, facendola sorridere ancora di più.
«Ho sentito qualcuno parlare di un certo Peter... chi è?» chiede, leggermente più a suo agio. Il tatto della madre su di sé, le sue premure, l'aria carica di odori che emanano serenità, la calmano parecchio, permettendole così di rilassare i muscoli e godersi quelle chiacchiere.
«Un pazzo che vuole ucciderci tutti quanti.» risponde sovrappensiero Momoko, concentratissima nel fissare la compagna che le disegna dei fiorellini bianchi sulle lunghe unghie laccate di un dolce rosa pallido.
«Ah.» risponde semplicemente Akemi, continuando a fissare la licantropa con una lieve incertezza. Non riesce davvero a capire se c'è o se ci fa, ma, cosa peggiore, non riesce a capire se la deve catalogare come persona pericolosa o meno.
«Avete mai pensato a cosa gli fareste se ve lo trovaste davanti?» domanda ingenuamente Rin, a cui stanno facendo una simpaticissima ceretta allo stinco. La lupa, ormai abituata al trattamento che avviene ogni due giorni, non si lascia sfuggire neanche un mugolio, trattenendo così tutta la sua potenza vocale per quando arriveranno al punto critico: l'inguine!
«Più di una volta.» risponde seccamente Astrid, prendendo la piastra rovente per fare un bel frisè alla figlia e darle così un po' di volume a quelle sottospecie di spaghetti che ha in testa. Perché Astrid non ha mai sopportato i capelli troppo lisci, né ha mai sopportato chi li tiene in completo disordine e non li pettina, vizio che ha proprio il suo compagno Fenrir.
«E...?» la incalza Akemi, curiosa di sentire con che tipo di perla se ne uscirà questa volta.
«E ho deciso che gli toglierò tutte le interiora, lo farcirò con salvia e cipolla e lo metterò nel forno preriscaldato a duecento gradi per almeno cinque ore, finché non sarà ben cotto. In seguito lo squarterò in tredici pezzetti uguali, che poi darò in pasto ai ratti per un periodo di tredici settimane, con un’opzione per altre tredici parti.» la sua voce è calma, il suo cuore batte regolarmente, i suoi occhioni azzurri non traspaiono alcuna emozione negativa, ma bensì un lieve divertimento all'idea di poter realmente attuare il suo sadico piano.
«Forte.» commenta Silly, spezzando così gli interminabili secondi di silenzio che si erano venuti a creare tra loro.
Un fastidiosissimo bip bip bip risuona per la stanza, facendo sobbalzare le presenti.
Dana, colta da un'improvvisa gioia, estrae dalla giacca abbandonata al proprio fianco una piccola cassetta vecchia e smussata sugli angoli, di un bianco sporco sbeccato in più punti.
«Cos'è?» domanda allungando un poco la testa, notando un dolce sorriso fare capolino sulle labbra particolarmente carnose della mulatta.
«Una piccola radio ad onde corte con cui mi tengo in contatto con i miei figli quando sono con le amiche.» le risponde garbatamente, facendola annuire.
«Non capisco il senso di uscire con le amiche se tanto devi stare sempre incollata a quell'affare...» borbotta con disappunto Arista, decisamente astiosa nei confronti dei bambini. Non che faccia loro del male, a meno che non siano umani, però proprio non li sopporta. Quando infatti tutti perdono il loro tempo a farli giocare, lei preferisce mettersi all'ombra di un grosso pesco a leggere grossi tomi di letteratura romantica.
«Se tu avessi dei figli, capiresti.» controbatte ridacchiando la corvina, facendo annuire pure la cognata, Jena.
«Amori della mamma!» risponde alla piccola radiolina con un grande sorriso, sentendo improvvisamente la mancanza dei propri cuccioli.
Insieme allo storico compagno, Duncan, fratello di Jena, ha avuto ben tre figli: Ed, Shenzi e Banzai. Tutti e tre hanno i capelli neri della madre e gli occhi chiari del padre. Ed, il maggiore, è il più scatenato del trio, attaccabrighe ed estremamente protettivo nei confronti dei più piccoli; Shenzi, la secondogenita, è quella brillante e furba, capace di tirarsi fuori dai guai in pochi secondi senza dover ricorrere alla violenza e con un olfatto così sviluppato da far impallidire i genitori; Banzai, l'ultimo della cucciolata, è timido e riservato, troppo attaccato all'iperprotettiva madre e tanto gracile da far credere a tutti di essere nato malato. Tutto sommato, alla fine, sono tre cuccioli adorabili.
«MAMMAAA!» urlano i tre in coro, facendo scoppiare a ridere le donne presenti.
Pure Dana si lascia scappare una lieve risata, che subito però blocca per accertarsi della sicurezza dei piccoli «Siete con papà?»
«Sono qui.» risponde l'uomo, mentre i cuccioli cominciano una battaglia di insulti e minacce che fa sbellicare le ascoltatrici «Scusate per l'interruzione ragazze, ma volevano dare la buona notte alla mamma. Vero?» gli parla sopra l'uomo, facendoli ammutolire. Se potessero vederlo, noterebbero l'espressione sempre buona e sorridente dell'uomo farsi improvvisamente corrucciata per rimproverare silenziosamente i figli che hanno cominciato a mordersi ai polsi e alle caviglie.
«Ti vogliamo bene mammina!» urlano poi con tutto il fiato che hanno nei polmoni, per poi scappare nelle proprie stanze.
«Buona notte piccoli miei, fate sogni d'oro!» gli urla Dana, ben consapevole che avevano già cominciato a correre prima di terminare la frase. In fondo quando lei non c'è tendono sempre a fare come vogliono, ignorando il più delle volte i richiami del troppo tenero padre. Sa anche, però, che i tre furbetti hanno una specie di orologio nel cervello che gli impone di andare a dormire ad una determinata ora, cosa che le infonde un poco di tranquillità quando deve lasciarli soli.
«Ci vediamo dopo amore.» le mormora dolcemente Duncan, facendola sorridere affettuosamente.
«A dopo, un bacione.» detto questo chiude semplicemente la chiamata e, alzando gli occhi, si accorge degli sguardi assai divertiti delle amiche. Pure Akemi la guarda con un'espressione assai buffa in volto.
«Ma quanto sei dolcina!» la prende in giro Silly, lanciandole addosso un croccantino al salmone.
«Fatti gli affari tuoi!»
«Scusa se mi intrometto ma... quanti anni hanno i tuoi figli?» s'intromette Akemi, stranamente incuriosita.
«Il più grande ne ha quasi tre.» risponde cordialmente la lupa, passandosi una mano tra i capelli mentre Rin le passa un braccio attorno alle esili spalle, strattonandola appena.
«Ormai ci siamo eh!» le urla nell'orecchio, facendola sbuffare di disapprovazione.
«Tre?! Ma come fa a parlare così correttamente a soli tre anni?!» Akemi si ritrova involontariamente a strillare per la sorpresa e, non appena se ne rende conto, si porta immediatamente le mani alla bocca per zittirsi, voltando un poco il capo per vedere l'espressione della madre, che nel frattempo se la ride sotto i baffi.
«Già, tu non lo sai...» mormora con un lieve imbarazzo Jena, grattandosi la nuca e sorridendo gentilmente all'inesperta ragazza «I figli dei licantropi, i purosangue, crescono molto velocemente, in modo che siano in grado di reggersi sulle proprie zampe e difendersi dal mondo in completa autonomia. Il loro sviluppo fisico si interrompe alla loro prima muta, che generalmente avviene tra un anno e mezzo o due dalla nascita; raramente accade a tre anni. Da quel momento smettono di crescere e rimangono, il più delle volte, degli adolescenti per il resto dell'eternità.»
Akemi ci pensa su attentamente, soppesando ogni parola, per poi rendersi conto che no, la cosa non le quadra per niente. Lei non ha ancora raggiunto i sei mesi di vita in fondo, eppure è già perfettamente formata e, per quanto ne sa, ha già avuto la sua prima muta.
«Perché a me sono bastati pochi mesi?» domanda titubante, mentre nei suoi occhi brilla chiaramente una discreta paura.
Sakura la raggiunge velocemente, prendendo una mano tra le sue e rassicurandola con il suo brillante sorriso, capace di scaldare anche il cuore più duro.
«I figli dei vampiri crescono in pochissimo tempo. Tu, essendo un ibrido, hai avuto una crescita molto veloce, anche se poi la muta è avvenuta in ritardo rispetto al momento in cui lo sviluppo fisico si è fermato.» le spiega con voce calma, calda e rassicurante, tanto da far sparire dai suoi occhi qualsiasi timore.
Ha sempre avuto questo dono, Sakura: la capacità di infondere coraggio e affetto, di calmare le persone, cosa che non sempre ha usato per scopi esattamente puri.
«Non capisco come facciano i vampiri ad avere figli...» borbotta in tutta risposta Akemi, prendendo il primo stuzzichino che trova davanti a sé e portandoselo velocemente alle labbra, sorprendendosi di trovarlo incredibilmente gustoso. Quando però si accorge che ha mangiato un pezzo di cuore di coccodrillo sputa tutto da un lato, facendole ridere di gusto. Solo Astrid non ride, ma anzi la guarda con una forte nota di disappunto, essendo lei una creatura fortemente intollerante alle cattive maniere, pur essendo nata in un villaggio pieno di uomini rozzi che si scopavano pure le capre dentro le proprie abitazioni.
«Non lo sappiamo neanche noi. Accade molto raramente, e possono concepire solo i maschi, però succede. Poi nascono sempre dei mostri, creature veramente orribili, simili a pipistrelli deformi e privi di peluria, con la pelle bluastra.» la informa Sakura, storcendo la bocca al ricordo della prima volta che ne vide uno. Ricorda anche le sue urla disperate quando Rei, una vampira morta da anni, gli mise le mani addosso e lo fece a pezzi, e a stento riesce a trattenere le lacrime, al contrario di quella volta.
«Li ammazziamo prima che nascano, sennò subito dopo che hanno emesso il loro primo vagito e ammazzato la madre.» ghigna divertita Freya, leccandosi lascivamente le labbra tinte di rosso.
Akemi finge di non ascoltarla, ma i suoi occhi la tradiscono: degli screzi dorati stanno infatti macchiando le sue iridi di ghiaccio, smascherando così tutta la sua rabbia.
Tutte le presenti si rendono perfettamente conto dell'aria pesante che è venuta a crearsi per colpa della bionda, e la cosa le innervosisce assai. Nessuna di loro ha mai avuto particolarmente in simpatica l'anziana Lothbrook, sempre così sadica, aggressiva ed arrogante, ma, proprio per colpa del suo cognome, non hanno mai potuto toccarla. In realtà né Fenrir né Týr hanno mai impedito di toccarla e metterla a tacere, ma nessuno ha mai voluto mettersi contro il loro clan, preferendo così chinare la testa ed ingoiare quel rospo tanto acido ed indigesto.
Akemi però non è a conoscenza di questo fatto. Non sa che gode in parte della protezione del lontano e potentissimo cugino. Non sa neanche fino a che punto si spinge la sua forza, in realtà. Ma sa per certa una cosa: Freya, così come tutte le donne presenti in quella stanza, le hanno giurato fedeltà assoluta, e ciò significa che non le si può rigirare contro.
I muscoli si gonfiano sotto la sua pelle candida, indice della rabbia in continuo aumento, e gli occhi si oscurano, come se venissero avvolti da una fitta nebbia, e ciò non sfugge agli occhi attenti di Silly.
La lupa, seppur desiderosa di vedere l'insopportabile biondina in una pozza di sangue dopo il sicuro intervento della Regina, decide di frapporsi nuovamente tra le due e di allentare la situazione, evitando così un inutile scontro.
«Facciamo un gioco!» esclama saltando giù dal letto, attirando così l'attenzione delle varie immortali, che adesso la fissano perplesse.
Astrid, che aveva già previsto un suo intervento, essendo consapevole della sua natura poco incline alla violenza gratuita, si passa una mano sul viso con fare sconsolato.
«Silly, ti prego, dimmi che non è una stronzata come l'ultima volta...» mormora con voce roca, fregandosene per un secondo delle buone maniere.
Silly non bada mai alla donna, a meno che non le snudi a pochi centimetri dalla faccia le zanne o le punti alla gola gli artigli, quindi anche questa volta finge di non averla proprio sentita, continuando imperterrita a spiegare alle amiche il semplicissimo meccanismo del gioco da poco scoperto.
«Si chiama “il gatto del prete”: in pratica devi pensare ad una parola che inizia per “c”.»
La rossa vampira lancia uno sguardo infastidito alla Sovrana, che, senza farsi notare dalle altre, le fa un lieve cenno col capo per darle l'autorizzazione a fare ciò che vuole.
Mimì, sempre pronta ad appoggiare le folli idee dell'amica, si siede immediatamente al suo fianco al centro della stanza, prendendo pure Akemi per mano e trascinandola in mezzo a loro. Certo, la corvina non ha alcuna intenzione di giocare, ma alla fine non le dispiace poi così tanto stare a contatto con loro e la loro follia così contagiosa.
Vicino all'allegra lupa dai capelli ramati si siede Rin, le più incline ai suoi giochi, e dopo pochi secondi Silly comincia.
«Il gatto del prete è un gran credulone!»
«Il gatto del prete è un gran ciarlatano!»
«Il gatto del prete è un gran curiosone!»
«Il gatto del prete è un grande coglione!» afferma arrogantemente Arista, facendole urlare di disappunto.
Astrid se la ride di gusto, mentre Momoko si ripara dietro alla compagna per paura di essere attaccata dalle assai inviperite immortali.
«Trovi sempre il modo per rovinarmi tutti i giochi, vero Arista?!» soffia Silly, incrociando le braccia al petto con aria stizzita.
La rossa se la ride di gusto, mostrando così di riuscire a provare ancora delle emozioni umane, mentre la sovrana alza semplicemente gli occhi al cielo, vagamente infastidita dagli atteggiamenti fin troppo infantili della lupa. Non che le manchi il senso dell'umorismo, tutt'altro, ma nei secoli ha sviluppato un certo astio nei confronti di svariati atteggiamenti, in particolar modo in quelli infantili che aveva anche il padre dell'adorata figlia. Certo, se li faceva andar bene, così come si fa andar bene le manie di Fenrir, ma non riesce mai a trattenere delle espressioni quasi schifate.
Mentre hanno ripreso tutte quante a chiacchierare tranquillamente, affrontando i più svariati argomenti, un forte fracasso, proveniente dal piano terra, arriva alle loro sensibili orecchie.
Akemi scatta immediatamente in piedi, già sulla difensiva, e subito comincia a puntare la porta. Le zanne si affilano nella sua bocca, pronte a mutilare e dilaniare, e i suoi muscoli si tendono, pronti a scattare al primo segnale di pericolo.
«Cosa è stato?» domanda con voce tremante, notando con un certo sconcerto le espressioni quasi rassegnate delle compagne. Arista, in particolar modo, continua a massaggiarsi le tempie e mormorare frasi rabbiose a mezza bocca con aria seriamente incazzata.
«Sembrava una donna molto grassa sui tacchi a spillo che è scivolata su un budino alla banana ed è franata su un set di bicchieri di cristallo.» butta lì Silly, usando però un tono di voce particolarmente serio. Le altre la guardano scocciate, e quando se ne accorge semplicemente fa spallucce, sorridendo innocentemente «Ma potrei anche sbagliarmi.»
Mimì tende le orecchie per ascoltare i moccoli e le risate cavernose che si avvicinano sempre di più, con l'aggiunta poi del rumore sordo di una porta che viene sbattuta con rabbia. Sorride tra sé, scuotendo un poco la testa con fare rassegnato.
«A giudicare dalle urla simili a quelle di un branco di scimmie ubriache, direi che sono appena rientrati i maschi.» annuncia disinteressatamente, prendendo una limetta di ferro e cominciando così a sistemarsi le unghie laccate di un brillante arancione.
«Se Fenrir se ne accorge...» commenta con un filo di voce Sakura, lanciando una fugace occhiata ad Astrid che a sua volta annuisce appena.
«MA COSA CAZZO FATE?!»
Un brivido sale lungo le spine dorsali di tutte le immortali chiuse nella camera da letto, facendole immobilizzare.
Tutti gli abitanti dell'isola, infatti, sono perfettamente a conoscenza del fatto che svegliare Fenrir nel cuore della notte è forse l'errore più stupido che si possa commettere. Adesso, a giudicare dall'urlo mostruoso che ha quasi fatto tremare i muri, quell'errore è stato appena commesso dal branco di lupi ubriachi che hanno quasi sfondato la porta d'ingresso.
Rimangono in completo silenzio mentre lo sentono avvicinarsi alla loro porta per passare e fare una sfuriata coi fiocchi ai ragazzi, ma quando sentono volare l'ennesima e assai fantasiosa bestemmia, non riescono proprio a trattenere le risate. La prima a scoppiare, stranamente, è stata proprio Akemi, che adesso si tiene le braccia attorno all'addome, piegata in due.
La porta si spalanca di colpo, facendole trasalire e ridere ancora più forte. Vedere Fenrir furioso, con i capelli che sembrano stati leccati da una mucca, rivolti verso l'alto solo da un lato, e con ancora il segno del cuscino impresso sul viso, è una cosa assai divertente per loro, sempre abituate a vederlo vestito di tutto punto. Certo, spettinato è sempre spettinato, ma mai fino a questo livello.
«La smettete di fare tutto questo casino anche voi?!» ringhia loro contro l'Imperatore, snudando le zanne e lasciando che il suo unico occhio, generalmente di un incantevole blu cobalto, risplenda del suo minaccioso rosso sangue.
«Non c'è bisogno di strillare.» lo ammonisce Astrid, mantenendo una calma disarmante. In quelle parole, ovviamente, c'è una fortissima nota di sarcasmo, ma per sua fortuna l'uomo è così furioso da non farci neanche caso.
«IO NON STO AFFATTO STRILLANDO!» urla ancora più forte il lupo, puntando lo sguardo sull'amata compagna. Quando viene svegliato ce n'è per tutti, senza eccezioni.
«Palle mosce...» biascica a denti stretti la donna, pentendosene non appena nota i capelli castani dell'uomo alzarsi ulteriormente verso l'alto, così come farebbe con la pelliccia.
«COSA?!»
«Niente!» si affretta ad alzare le mani e sorridere in modo assolutamente innocente, arrivando addirittura a ringraziare mentalmente la poca grazia di cui dispone Freki quando alza il gomito. Perché è solo grazie a lui e al vaso appena distrutto che Fenrir se ne va sbattendo di nuovo la porta e bestemmiando per il corridoio, facendo tirar loro un sospiro di sollievo.
«Certo che è suscettibile, eh?» ridacchia Akemi, cercando di trattenersi per non farlo tornare.
Stranamente non lo teme per niente, anzi: prova un forte senso di pace quando lo sente nelle vicinanze. Secondo lei è per il suo legame con Týr, o forse per il modo meno freddo in cui la guarda, o semplicemente perché è l'unico che non ha invaso minimamente i suoi spazi ma che anzi le dà tutto il tempo di questo mondo per ambientarsi.
«Giusto un po'.» borbotta ridacchiando a sua volta la madre, sciogliendosi come neve al sole di fronte al luminoso sorriso della sua bambina. Non credeva che l'avrebbe mai visto, non credeva che sarebbe mai stata in grado di farsi accettare da lei, che sarebbe riuscita ad avvicinarla, e invece ci sta riuscendo. Ci sta riuscendo velocemente, sta imparando a conoscerla sul serio. E la cosa la rende indecentemente felice.
Le chiacchiere riprendono, le risate si fanno sempre più forti con l'aumentare dei guaiti e delle urla furiose dell'Imperatore. Qualcosa viene distrutto durante quella simpatica discussione, ma alla fine è del tutto normale. Certo, i vari lupi appena rientrati da una notte di bagordi non ne sono poi così lieti, ne hanno anzi una giusta paura, ma sono ben consapevoli di non rischiare la vita solo per averlo svegliato nel cuore della notte. Fenrir è violento, talvolta vittima di scatti di rabbia incontrollabili, ma non è certo un pazzo omicida ai livelli del fratellino. Non che nei suoi settemilaquattrocentoquarantuno anni di scorribande non abbia mai commesso crimini oltre l'immaginario umano, ma non ha mai battuto i livelli di Týr. L'unica volta in cui è stato paragonato psicologicamente instabile come lui, è stato quando ha raso al suolo un'intera città solo perché al ristorante gli avevano messo del prezzemolo nel piatto quando si era raccomandato che non ci fosse. A parte questo, si è sempre trattenuto nei loro limiti della decenza.
Akemi finalmente pare lasciarsi andare, arrivando addirittura a ridere di gusto quando Arista e Rin cominciano discutere animatamente su quale sia il modo migliore per impalare un essere umano, ma questo momento di tranquillità viene bruscamente interrotto dalla voce acuta e penetrante della Lothbrook più anziana.
«Adesso basta chiacchiere, siete davvero noiose!» le ammonisce infatti Freya, alzandosi dal pavimento con una fin troppo forzata eleganza e dirigendosi ancheggiando verso la porta «Buona notte, Lilith. Spero che tu ti trovi bene nella tua gabbietta dorata, mia piccola pappagallila dagli occhi blu.»
Astrid, per la prima volta dopo secoli, le si rigira contro, scattando in piedi come una molla e snudandole a pochi centimetri dal viso le candide zanne lunghe e spesse. E ringhia. Ringhia come un animale messo alla catena, che è pronto a tutto pur di liberarsi. Un atteggiamento normale, il suo, considerato che la biondina ha alzato ulteriormente la cresta con la figlia.
«Attenta, Lothbrook: posso farti così male da farti rimpiangere di non averti uccisa.»
Freya rimane immobile a guardarla per qualche istante, le labbra dischiuse e gli occhioni azzurri spalancati per la sorpresa. Neanche ricordava l'ultima volta che la grande lupa le si era rigirata contro, ma questa volta non lo scorderà: provare anche solo a toccare il cucciolo di una licantropa porta sempre ad una morte lenta e assai dolorosa.
Stringe le labbra in un moto di stizza poi, finalmente, esce dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo sordo.
Tutte le donne presenti rimangono in silenzio a contemplare la creatura dai tratti angelici che si erge in tutta la sua regalità e forza davanti alla porta. Non credevano che sarebbe mai arrivata a rigirarsi contro un membro del proprio branco, poiché considerato pressoché innaturale, ma capiscono velocemente che dopo i recenti avvenimenti se lo dovevano aspettare per forza. Nessuno supera facilmente un evento tragico come quello, neanche la grande Strega.
La lupa millenaria volta lo sguardo sulla figlia, e il cuore le si gela nel petto. Sta seduta sul letto con i capelli neri che le scendono sulle guance come ali inerti, ma non le nascondono il viso; è stanca, confusa e stranita. Soprattutto stanca. Le ricorda sé stessa quando si svegliò dal coma e si guardò per la prima volta nello specchio.
«Penso che sia meglio se andiamo tutte a dormire.» esclama con voce ferma la donna, alzando il mento verso l'alto con fare altezzoso «Abbiamo delle faccende da sbrigare domani.»
Le donne si alzano e raccattano le proprie cose in religioso silenzio. Pure Silly rimane in silenzio, accordandosi con Mimì di spostarsi nella sua casa nel bosco con una semplice e fugace occhiata.
Sakura invece si avvicina con cautela alla Regina, poggiandole delicatamente una mano sulla spalla «Non avrai esagerato?»
Astrid semplicemente le sorride con aria innocente, reclinando la testa di lato e scrollando le spalle «Quella stronzetta me la deve baciare di dritto e di rovescio, chiaro?»
La porta si apre dall'esterno, lasciandole tutte interdette. Non si erano minimamente rese conto della presenza di qualcuno, prese com'erano dai loro piccoli battibecchi.
«Tutto a posto.» afferma Fenir, facendo spuntare appena la testa. Lancia una fugace occhiata alla nipote e le sorride timidamente, notando quanto il suo faccino sperso sia simile a quello che aveva il fratello quando si svegliava. «Vieni a dormire?» domanda alla compagna, facendola arrossire lievemente. È assurdo che lei arrossisca per una cosa tanto innocente e naturale, ma avverte comunque un nuovo calore sulle guance.
Un nuovo ululato però, più straziante rispetto ai precedenti, fa sparire ogni traccia di dolcezza dal suo sguardo. Punta i pugni sui fianchi e lo guarda con aria astiosa.
«Come sarebbe a dire “tutto a posto”?» domanda acidamente, battendo nervosamente un piede a terra.
L'uomo sorride come un ragazzino che è stato appena beccato a fare qualcosa che la madre gli aveva espressamente vietato di fare, allungando poi un braccio verso di lei e afferrandola per la vita. La stringe a sé, portando il proprio viso a pochi centimetri dal suo.
«Una notte alla catena lo calmerà, vedrai.» si giustifica così, lasciandole un vaporoso bacio sul naso, per poi liberarla dalla propria presa «Da' la buona notte a tutte, su. Ti aspetto.»
Astrid scuote la testa, infastidita, ignorando deliberatamente i risolini delle compagne che velocemente lasciano la stanza. Si volta solo verso la figlia, sorridendole con aria dolce e materna «Domani mattina ti dispiacerebbe presentarti al cancello est alle otto in punto? Ho una sorpresa per te.»
Akemi sa bene che non è una vera e propria richiesta, quanto un ordine imposto con tono smielato, ma decide di non badarci. Semplicemente annuisce, sistemandosi velocemente sotto le coperte.
«È una cosa molto importante, Lilith.» nelle sue parole c'è una specie di promessa, ma la ragazza non riesce a capire di che tipo. È curiosa, vorrebbe chiederle spiegazioni, ma adesso è troppo stanca per potersi mettere a ragionare con lei.
«Se non riesci a dormire, bevi questo.» si raccomanda prima di uscire, mettendole sul comodino una piccola fiaschetta dorata, senza dirle che contiene un sedativo tanto forte da stendere un elefante.
«Alle otto ai cancelli, tesoro.» mormora dolcemente, depositandole un dolce bacio tra i capelli. Si allontana con passo incerto, quasi avesse paura di vederla sparire da un momento all'altro per magia, bloccandosi poi sulla porta «Buona notte.»
«Notte...» risponde con un filo di voce Akemi, girandosi su un lato per provare a dormire.
È stanca, il corpo è pesante, ma la sua mente è troppo attiva per permetterle di chiudere finalmente gli occhi e concludere questa faticosa giornata.
Come se non bastasse, poi, comincia a ripensare alla sua famiglia, e prega affinché qualcuno le tolga quel dolore.
Nella sua mente continua a riaffiorare il ricordo in cui è balzata su Teach e gli ha staccato il braccio a morsi, di averlo mangiato. Ricorda anche di aver attaccato Marco, di averlo messo al tappeto con un'artigliata profonda, e ogni volta il dolore riaffiora come un crampo e si sente straziata in profondità.
Si chiude gli occhi con le mani, provando con tutta sé stessa a cancellare quei dolorosi ricordi, e in un moto di stizza scatta a sedere, decisa a bere la brodaglia lasciatole dalla madre. Ha un sapore forte, deciso, e in pochi secondi sente la lingua intorpidirsi. Ma non le importa e continua a bere fino all'ultima goccia, sentendo i muscoli distendersi e il dolore scemare.
Si stende di nuovo, avvolgendosi nelle morbide lenzuola e fissando la Luna fuori dalla propria finestra.
Pensa per un ultimo istante a Marco, ai suoi occhi neri e al suo sorriso, ai loro baci e alle loro carezze, poi, semplicemente, non c'è pensa più a niente. Non pensa alla sua famiglia lontana chissà quante leghe. Non pensa ad Astrid e alle sue promesse. Non pensa agli occhi cattivi di Freya. Non pensa neanche più al fatto che, alla fin fine, è veramente in una gabbia dorata. Volendo, non è neanche più nella sua testa. Ora è nel buio, cieca e sorda. È nel buio, e nessuno può ferirla.


La mattina seguente si sveglia sentendosi per la prima volta come un ospite. Non sente più di essere una specie di prigioniera di guerra, un esperimento da tenere sotto controllo, una rara creatura da tenere in gabbia per poi esibirla al pubblico. No. Si sente un ospite.
Si rigira tra le comode e morbide lenzuola come un gattino, stiracchiando le gambe e raggomitolandosi subito dopo su sé stessa, abbracciando il cuscino.
Aprendo un occhio vede qualche corvo svolazzare libero e allegro nel limpido cielo di quella tiepida giornata, ed un sorriso le increspa le labbra prima di provare a rimettersi a dormire.
Poi, debole come un sussurro, una frase le ronza per le orecchie: “Alle otto ai cancelli, tesoro.”.
Ci pensa su un secondo, provando a capire se si tratta di una frase realmente detta o se è solo frutto della sua immaginazione, per poi ricordarsi nitidamente il sorriso della madre e aprire finalmente gli occhi. Guardando di nuovo fuori dalla finestra si rende conto che il Sole è decisamente troppo alto per essere solo le otto di mattina.
«Porco cazzo!»
Si butta letteralmente di sotto dal letto, inciampando nei suoi stessi piedi quando prova a rialzarsi. Guardando l'orologio si rende conto che sono già le dieci meno cinque e che è quindi in un ritardo fottuto.
Afferra al volo uno dei vestiti lasciato su una sedia da Mimì e lo indossa alla meglio, cominciando a correre per i corridoi di quel palazzo che non conosce e che, per sua sfortuna, è pure immenso.
Quando ci si trova in stato di shock è difficile rendersene conto, ma quando si ha la mente lucida, l'impatto con la lussuosità de La Solitaria -come è stata inspiegabilmente battezzata- ti mozza il fiato: colonnati con capitelli dorici, pavimenti intarsiati di marmo, doppia scala di ferro battuto. Ma anche stucchi, mosaici, cristalli.
La villa è composta da ben duecentocinquanta stanze con bagni annessi, altri trenta bagni sparsi per l'abitazione, due piste da bowling, un maneggio, un campo da squash, uno da tennis e uno da basket, due cinema, due palestre, tre biblioteche, le cripte sotterranee e due laboratori. Vi sono inoltre ventitré ettari di giardino e boschi privati, delimitati sia dal pendio che tiene il tutto ad un livello superiore rispetto al resto dell'isola, sia da una spessa e splendente recisione.
Malgrado tutto il marmo e l'opulenza che può dar l'aria di luogo freddo ed impersonale, l'arredamento al suo interno rende l'ambiente familiare e caldo, luogo ideale per una famiglia enorme come la loro.
Lo staff della casa è composto da ben trentatre persone, divisi tra giardinieri, domestici e cuochi. Forse sono addirittura più di trentatre, ma Fenrir non ci ha mai badato: lui lava da solo la propria roba.
Questa fiera della vanità, se così la si vuole definire, è stata realizzata solo dopo l'ennesima sfuriata della Regina, che non avrebbe mai e poi mai messo piede in un luogo non idoneo alla sua persona.  La sua attuale stanza privata, di cui non usufruisce mai, è l'unica con un pavimento a mosaico bagnato di oro zecchino e l'unica dotata di una piscina privata. E pensare che ha dormito pure nelle fogne, quando la situazione lo richiedeva...
Akemi, seppur con passo svelto, si è girata buona parte della villa, ammirandone i dipinti e le sculture, domandandosi se fosse tutto reale o meno. Solo quando con la coda del'occhio nota, grazie all'orologio da parete in legno di noce, che sono già le dieci e ventisette minuti, comincia seriamente a correre, dandosi dell'idiota. Come può fare tardi al primo appuntamento con la madre?
Corre per tutti i vari corridoi, serpeggiando tra le colonne, lanciando fugaci occhiate ai propri lati per scorgere la porta che la condurrà fuori da quella mastodontica casa, ritrovando alla fine in un atrio enorme, impressionante, col soffitto a volta. Ma adesso non le interessa, vuole assolutamente scoprire di quale sorpresa parlasse la madre e vuole fare presto.
Si fa sdrata attraverso un'altra sala grande e superbamente ammobiliata, e da lì in una veranda luminosa, chiusa da vetri e arredata con eleganti chaise longue in tek, piante rigogliose e vassoi ben forniti di liquori. Nota, senza il minimo stupore, lo splendore del giardino che si estende di fronte ai suoi occhi. Nota pure che c'è un'enorme piscina, decorata con mosaici dorati e circondata da quattordici colonne di marmo con capitelli, alla quale sono annesse una cucina completamente attrezzata, un'area barbecue, una piccola sala da pranzo all'aperto ed una spa. Le acque limpide in cui tutti adorano crogiolarsi nelle giornate troppo afose, terminano con una cascata artificiale giù per il pendio.
Il giardino, di ben ventitré ettari, è il frutto di una collezione unica di piante sia comuni che tropicali, che coesistono tra loro e creano una replica perfetta dell'Eden. Ad una delle estremità i tronchi di ulivo centenari si intrecciano e formano figure antiche e suggestive; le diverse specie di palme coronano gli spazi attorno alla villa, splendendo al sole. In un angolo roccioso di corallo fossile si può notare un grosso laghetto artificiale, dimora delle più svariate specie di pesci tropicali e tartarughe d'acqua.
Anche se Akemi non lo sa, tutto questo paradiso è stato completamente architettato da Freya, unica in tutta l'isola ad avere un tale pollice verde.
Il tutto è poi delimitato da una discesa rocciosa, che permette di avere la completa -o quasi- visuale dell'isola circostante. Dal bosco sotto l'enorme villa del Sovrano si sentono arrivare le risate spensierate dei bambini e i rimproveri delle madri che tentano in ogni modo di star loro dietro. Da sud-ovest si sentono arrivare le urla dei pescatori, oltremodo lieti di essere riusciti a pescare qualcosa di grosso per una qualche festa di cui Akemi non è al corrente. Nota anche, con un certo sgomento, che praticamente l'intera isola è delimitata da un'alta scogliera.
Si domanda come possano permettersi tutto questo. Se lo domanda a ripetizione, arrivando ad una semplice e assai ovvia conclusione: sono assassini. Già, perché quando vivi per settemila erotti anni, uccidendo più volte al giorno e derubando la vittima pure delle mutante, alla lunga ti arricchisci. E loro sono tutti assassini della peggior specie, che hanno sempre puntato a soggetti che avevano più soldi da buttare che di loro stessi. Il risultato era inevitabile.
Akemi arriva velocemente ad abbracciare questo pensiero e, per quanto macabro, lo trova geniale. Anche lei, se dovesse farlo, lo farebbe.
Con una strana tranquillità, forse proveniente da tutte quelle piante colorate, dallo sfarfallio delle farfalle, dagli odori dolci e penetranti, si inoltra nel giardino, mantenendo un'andatura calma, percorrendo il serpentesco viale, osservando con attenzione tutto ciò che la circonda.
Nota che il vialetto che sta percorrendo -così come tutte le ramificazioni connesse- è sufficientemente largo da farci camminare cinque persone l'una al fianco dell'altra, e che è stato realizzato con delle mattonelle a mosaico, di notte illuminate con i faretti da terra. Lo stesso vialetto che sta percorrendo Akemi verso il cancello principale, è quello che attraversa anche tutto il bosco e si ramifica nella piccola città a nord dell'isola.
Lo osserva con disattenzione adesso, beandosi semplicemente del flagrante profumo emanato dai mille e più fiori che la circondano. Si sente incredibilmente in pace malgrado sia consapevole del luogo in cui si trova.
Alzando un poco gli occhi, però, nota spuntare da dietro ad alcuni fiori rampicanti di un acceso azzurro una testa castana. Per un breve istante pensa che sia Fenrir, considerando quanto quell'ammasso di capelli sia spettinato, ma scarta velocemente l'idea. È più grosso di Fenrir e l'odore non è il suo. Questo è più dolce, più caldo...
Fa qualche passo in avanti per poterlo vedere in volto, cercando allo stesso tempo di fiutare una traccia della madre, e si ritrova completamente immobilizzata quando l'estraneo -che poi tanto estraneo non è- la saluta molto cordialmente.
«Buon giorno, principessa!» Freki si alza dal muretto sorridendole timidamente, pulendosi con le mani il fondoschiena.
Akemi, che ancora non riesce a guardarlo negli occhi senza tremare, decide di fare un veloce calcolo mentale usando l'altezza del muretto come punto di riferimento per scoprire quanto sia realmente alto. Deduce che deve essere più di due metri per più di centoventi chilogrammi di peso. Forse anche qualcosa di più. E la cosa che la spaventa della sua stessa deduzione, è il fatto che sul suo corpo non ci sia neanche un filo di grasso. Neanche uno. Solo muscoli perfettamente scolpiti.
«Sei in ritardo.» la rimprovera con voce strafottente il maggiore, incrociando le possenti braccia al petto e guardandola con aria divertita.
Akemi scatta subito sull'attenti, guardandolo con aria afflitta. Non vuole farlo arrabbiare, non vuole scatenare il gigante incazzoso. Per poco Marco non veniva fatto a fette, figuriamoci cosa potrebbe fare a lei!
«Ahhh, non preoccuparti: io sono quasi sempre in ritardo!» prova a consolarla il lupo, abbandonando le braccia lungo i fianchi e cominciando ad osservare disinteressatamente i vari fiori al suo fianco «Poi, diciamocelo, non bisognerebbe mai alzarsi alle otto del mattino. Andrebbe considerato illegale. Mezzogiorno! Ahhh, quello si che sarebbe l'orario giusto! Ti svegli con calma, se hai qualcuno a farti compagnia nel letto ti fai una sana scopata, poi ti fai una lunga doccia ed infine vai a mangiare! Non sarebbe perfetto?» parla a vanvera come un cretino, gesticolando per dare enfasi alle proprie parole, puntando i suoi vivaci e grandi occhioni verdi sulla figura ancora tremante della ragazza. Nota anche il suo sguardo perplesso e quasi infastidito, ma prova a far finta di niente.
«Penso di si...» borbotta Akemi, passandosi una mano sul braccio, incapace di riuscire ad elaborare una risposta migliore «Dov'è mia madre?» domanda subito dopo, cercando di usare il tono più cortese che riesce a trovare. In realtà la sua voce è mezza strozzata dalla paura che le incute quel bestione, ma cerca comunque di nasconderlo dietro ad un falso sorriso.
«Starà ancora dormendo. Lei non si alza mai prima delle undici.» risponde atono, strappando una margherita e osservandola attentamente nei suoi più piccoli dettagli, trovandola semplicemente orrenda.
«Ma... aveva detto di trovarci qui per le otto-» prova a controbattere Akemi, adesso più confusa che mai.
«E invece ci sono solo io.» Freki si volta e le sorride arrogantemente, stringendo evidentemente la mascella spessa per non snudare le zanne «Che delusione, vero? È très deludente.» la canzona sogghignando, piegando un poco la testa di lato e guardandola con gli occhi verdi pieni di ilarità.
«La delusione nel tuo sguardo mi fa un po' incazzare...» riflette ad alta voce, grattandosi distrattamente la nuca. Il breve interludio che all'inizio era stato bizzarro in un modo simpatico, è improvvisamente diventato bizzarro in un modo molto poco simpatico... come quando una nuvola copre il sole e la giornata prima piacevole si rabbuia, diventa sinistra.
«Anzi, mi manda proprio in bestia!» rettifica, impugnando di scatto un'enorme doppietta a due grilletti che fino ad una frazione di secondo prima teneva appoggiata dietro ad un vaso di ortensia.
«Se guardassi ancora per un secondo i tuoi occhi auto-compiacenti, mi scapperebbe d'ammazzarti subito. Non riuscirei a trattenermi.»
Akemi ringrazia ogni divinità esistente e ne inventa pure di nuove nel momento esatto in cui lo vede voltarsi e sedersi sul muretto di pietra. Vorrebbe urlare, ma non ci riesce. Ancor di più vorrebbe correre, ma sa fin troppo bene che lo psicopatico che ha di fronte è assai più veloce di lei. Se provasse a fuggire, l'azzannerebbe alla gola in un secondo.
Lo farei anche io con una preda.” pensa, terrorizzata “E ora la preda sono io.
La sua iperesercitata fantasia le presenta un'immagine molto sgradevole: il grosso licantropo che scava una fossa nel punto più fitto della boscaglia mentre dietro di lui giace il cadavere di una ragazza ritenuta da tutti preziosa come lo straordinario One Piece. Respinge però velocemente quell'orrenda immagine quand'è ancora solo poco più di un barlume, non tanto per la paura che le incute ma in virtù di una particolare presunzione protettiva. Quelle come lei al massimo si tolgono la vita, ma non vengono assassinate così. Quelle sono solo stronzate da letteratura di bassa lega. Anche se...
Prova ad aprire la bocca per dire qualcosa, anche la più stupida delle scuse, ma il panico la blocca completamente. E c'è qualcosa nell'atteggiamento di Freki, come se si fosse rifugiato in un luogo profondo della mente a decidere qualcosa di importante, che la manda ancora più nel panico.
Mi vuole uccidere!
Il suo cuore batte lentamente ma forte.
«Tu non riesci davvero a capire un cazzo.» l'accusa l'uomo. Parla adagio, pronunciando con precisione parola dopo parola «È il tuo maggior difetto, da tutti trascurato, ed è il fulcro del tuo comportamento presuntuoso e vanesio. Ti fai beffe di tutti quelli che ti circondano e vogliono aiutarti, quasi disprezzando coloro che ti hanno creata e tutto ciò che comportano.»
Akemi apre la bocca e la richiude. Parlare o non parlare, è questo il dilemma.
Dilemma che il mannaro le risolve velocemente. Senza alzare lo sguardo dalle mattonelle, si posa le canne della doppietta sulla spalla destra, puntandogliela addosso. Akemi si muove d'istinto, spostandosi a sinistra per sottrarsi a quegli enormi fori neri.
Sempre senza muovere la testa, Freki ruota le canne tenendola sotto mira con la precisione di un servomotore controllato da un radar.
«Ma non devi preoccuparti.» la sua voce è cupa, tenebrosa, ma allo stesso tempo arrogante e strafottente «Ci penserò io a toglierti questo brutto difetto.»
Si sposta di nuovo a destra. Le canne della doppietta seguono i suoi movimenti, come se fossero manovrate da un autogiro.
«Non ti capisco...» mormora con angoscia sincera Akemi, pensando e ripensando a quale sia stato l'errore commesso che l'ha offeso così tanto.
'Ci penserò io a toglierti questi brutti difetti.' Ci pensa e ci ripensa. Qualcosa in quelle parole la lascia perplessa, e presto la sua paura di trasforma come in un senso di presagio così intenso e tuttavia così diffuso da procurarle un malessere generale, come per un avvelenamento da cibo guasto.
Freki si alza e finalmente la guarda. E ghigna mentre lo fa, di fronte alla sua paura così palese. Le sue candide zanne sono così grandi che sembrano più arnesi che escrescenze ossee, e ciò non sfugge alla giovane ed impaurita immortale.
Potrebbe staccarmi un braccio con un morso anche senza trasformarsi.
Le si avvicina piano, da vero predatore, e il suo sorriso si allarga ulteriormente quando si accorge che la paura che riesce ad incuterle la sta immobilizzando completamente. Le arriva a pochi centimetri dal viso e le afferra il mento delicato tra le dita, in modo da poterle sussurrare a pochi centimetri dalle labbra «Sono il tuo tutore, principessa



Angolo dell'autrice:
Buongiorno a tutti! :D Ebbene, non sono ancora guarita (sono da rottamare, ad essere oneste) e per questo sono riuscita ad aggiornare prima del tempo :D Ma a voi che vi frega? Niente, giustamente! >w<
Questa volta non ho molto da dire, se non che mi sono divertita un sacco a scrivere questo capitolo. In realtà ho già pronta anche una piccola parte del prossimo, e per quello si che mi sono divertita! Cioè, sadismo ai massimi livelli! Suppongo anche che andrò peggiorando con l'evolversi di questa lunghissima storia, ma questo è un altro problema.
Poi, tanto per mettere i puntini sulle 'i', Silly di professione fa la “para-culi”. Spero che questo lato di lei non ti dispiaccia, Yellow Canadair... mi è venuta sorprendentemente naturale descriverla così! Pazza, si, ma anche furba e attenta a ciò che la circonda, fattore che la rende forse più pericolosa di quelle più forti, dal momento che con quelle caratteristiche un avversario tende a sottovalutarti.
Bah, dopo questo sproloqui direi anche di chiuderla qui. Ho un mal di testa che prenderei a testate uno spigolo pur di perdere i sensi, quindi è bene darci un taglio :P

Ringrazio di cuore Keyra Hanako D Hono, Lucyvanplet93, ankoku, Law_Death, Chie_Haruka, Yellow Canadair, Aliaaara, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, KuRaMa faN e Portgas D SaRa per aver recensieto lo scorso capitolo!♥
 
A presto, un bacione
Kiki♥
 

PS: SaRa, ti ringrazio di cuore per la magnifica illustrazione che hai fatto di Satch e Mimì :3 Troppo gentile! ♥
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Capitolo 32
*** 32. Come nascondere il Sole in cielo ***


Piccolo avvertimento: dalla separazione di Akemi sono trascorsi 21 giorni (ebbene si, lo metterò tutte le volte. Penso anche che farò dei salti temporali notevoli le prossime volte, ma questi son dettagli).
Personaggi originali di questo capitolo:

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1

La sensazione di essere costantemente osservata non l'abbandona neanche per un secondo. Spesso, quando alza furtivamente gli occhi sui compagni, si rende conto che non è solo una sensazione. I loro occhi più volte sono posati sulla sua figura, e la scrutano con un certo interesse.
Babbei.” pensa ogni volta che li becca inflagrante, non riuscendo a capire per quale ragione adesso la guardino con così tanta sorpresa. Per un attimo aveva preso in considerazione l'idea che non sapessero che è una donna a tutti gli effetti, ma ha scartato velocemente l'ipotesi. Perché loro hanno sempre saputo di quale sesso facesse parte, solo che non pensavano che potesse prendersi un compagno.
Halta non riesce a spiegarsi il perché, ma non le importa poi molto. Certo, le dà incredibilmente fastidio essere osservata dopo aver rivelato la sua relazione sentimentale con il sedicesimo comandante, ma alla fine non le importa. È sempre troppo impegnata a leggere lo strambo libro di Ace per prestarci realmente attenzione.
I mostri più potenti presentano caratteristiche che, contravvedendo alle leggi naturali e della fisica, dovrebbero a rigor di logica essere impossibili. Tra queste, le più comuni fin dai tempi antichi sono l'immortalità, l'invulnerabilità e un elenco piuttosto lungo di poteri sovrannaturali, in vari casi legati a percezioni extrasensoriali.
Legge per l'ennesima volta quelle righe sbiadite, le annotazioni laterali scritte a matita, e per l'ennesima volta non riesce a non pensare a lei. Aveva cominciato, giorni addietro, a leggere quel libro per avere una prospettiva più ampia di ciò che la circonda, per poter così difendere la propria famiglia in caso di un nuovo attacco, ma non aveva preso in considerazione che ogni singola frase le avrebbe fatto male come una pugnalata nello stomaco.
Il mostro può essere o meno in grado di riprodursi, presentandosi -secondo i casi- o come un esemplare unico o come una specie vera e propria, diffusa su un territorio nel quale prende più o meno parte alle dinamiche della catena alimentare, di generazione in generazione.
La sua migliore amica, la sua sorellina, la piccola trovatella che hanno accolto con amore tra loro, altro non è che un mostro. Che tipo di mostro ancora non lo sa, ma lentamente se ne sta facendo un'idea a furia di leggere quelle pagine ingiallite. Tanti piccoli indizi che la giovane comandante riesce a cogliere e mettere insieme, riuscendo lentamente a costruire un quadro sempre più preciso della situazione. Ha cominciato a farsi un'idea leggendo le pagine riguardanti i vampiri, poiché voleva inquadrare meglio Mimì e sapere quanto il fratello sia stato realmente in pericolo. Le legge anche ora, sempre con una punta di incredulità.
Il vampiro è un essere leggendario che si nutre dell'essenza vitale di altre creature.” già questa riga le ha fatto capire che Akemi è, seppur in parte, appartenente a questa specie. Ricorda infatti il suo scattare sull'attenti all'odore del sangue, a quanto quel liquido caldo e denso la incantasse.
Nonostante sia difficile dare un'unica, definitiva descrizione del vampiro, vi sono tuttavia alcuni elementi che sono comuni a molte leggende: vengono generalmente descritti come affascinanti ed estremamente belli, dalla personalità suadente e carismatica, con la pelle pallida e gli occhi chiarissimi. Le zanne (gli incisivi superiori e inferiori) sono lunghi e affilati.” ha fatto leggere pure ad Izo questo pezzo, trovandolo d'accordo con la sua teoria. Certo, per quanto riguarda la personalità e i denti ha da controbattere, ma per il resto ci rientra abbastanza.
Solitamente un vampiro è molto veloce, agile e aggressivo. Molte leggende narrano che può trasformarsi in un pipistrello, per volare o passare per punti angusti. Ci sono delle teorie anche sul loro rapporto con la luce del Sole: alcune affermano che è per loro letale, altre che li rendono più deboli e gli causa dei problemi alla vista.” altro punto che le ha dato molto da pensare. Certo, non l'ha mai vista trasformarsi in un pipistretto o particolarmente indebolita dalla luce solare, ma sa bene quanto le desse fastidio agli occhi.
Ma è il punto seguente che le ha fatto capire che Akemi non appartiene ad una sola specie, ma che bensì è un incrocio tra due creature totalmente diverse. Non sa spiegarsi come sia possibile, visto che ha letto che i vampiri non possono avere figli, ma sa che è così.
Sempre secondo le leggende, i vampiri hanno dei fedeli compagni d'armi, i licantropi, esseri umani condannati da una maledizione a trasformarsi in bestie feroci e mangiatrici di uomini ad ogni plenilunio. Questo genere di creatura è in grado di trasmettere la sua maledizione tramite un morso.
[…] A volte il lupo mannaro sembra poter procedere su due zampe e conservare una certa prensilità degli arti anteriori, cosa che gli consente, all'occorrenza, di intrufolarsi nelle case scassinando le porte chiuse. Altro tratto distintivo è l'immenso gusto per la carne fresca.

Queste caratteristiche le hanno ricordato incredibilmente la sorella. Ricorda come vedesse bene al buio, come gustasse la carne cruda, ancora grondante di sangue, ma soprattutto ricorda come cominciasse a perdere il controllo di sé ad ogni plenilunio. Certo, la descrizione mostruosa di quelle bestie non combacia con quella che ha visto, però, se ci pensa bene, può dire con una certa sicurezza che ci fosse una somiglianza. Quanto meno per quanto riguardava la postura e per il muso animalesco.
Chiude con un gesto stizzito il libro, massaggiandosi poi le tempie. Tutte quelle informazioni le rimbombano in testa, e a queste si aggiungono poi tutte le altre che era riuscita a raccimolare nel tempo, senza però riuscire a venire a capo del fastidioso enigma.
Izo le si avvicina piano, mettendosi a sedere al suo fianco. Aspira una lunga boccata di fumo dalla sigaretta che tiene stretta tra le dita. Anche lui si accorge degli sguardi dei compagni, ma decide di non badarci. Preferisce invece passare scherzosamente una mano tra i capelli arruffati di Halta, ricevendo in risposta una linguaccia. Perché, per quanto la situazione possa andar male, almeno loro due possono dirsi fortunati: sono ancora insieme e nessuna entità maligna pare averli presi particolarmente di mira.
I News coo si avvicinano veloci alla Moby Dick, starnazzando a pieni polmoni per annunciare il proprio arrivo. I vari pirati alzano appena lo sguardo su di loro. Quando il giornale cade con un tonfo secco sul ponte della nave, solo Fossa compie l'enorme sforzo di avvicinarsi per raccattarlo, aprendono e leggendo disinteressatamente le notizie in prima pagina. Sfoglia poi le varie pagine, leggendo velocemente alcuni inserti, trovando, in fondo alla sesta pagina, un articolo a dir poco sconcertante.
Legge più volte il titolo, incredulo, arrivando a fissare con maniacale insistenza la fotografia allegata all'articolo, provando a trovare un qualsiasi appiglio per poter smentire quell'orribile notizia, non trovandolo.
«Non è vero...» la voce gli esce a stento dalle labbra, i suoi occhi trasudano sconcerto e orrore. Le mani stringono con forza le pagine sottili del giornale, accartocciandolo.
Gli occhi del capitano si posano inevitabilmente su di lui, ma non fa in tempo a chiedere spiegazioni che l'uomo gli si avvicina. Gli porge il giornale, ripiegato su quella pagina dannata, e il gigante lo prende, portandoselo davanti al viso per poter capire cosa lo abbia turbato tanto. E il suo cuore, per un istante, si blocca.

“Rinvenuto il cadavere di Akemi l'Angelo Demoniaco.”

Rimane immobile, le labbra dischiuse per lo sconcerto e gli occhi sgranati intenti a fissare quell'orrenda fotografia, che ritrae la sua bambina stesa sulla sabbia. Le labbra sono livide, il viso più pallido del solito, gli occhi vitrei, vuoti, morti.
“Il corpo senza vita e completamente nudo della ricercata è stato trovato da un gruppo di ragazzi che passeggiavano per la spiaggia dell'isola Saona, collocata nella seconda metà della Rotta Maggiore. La causa del decesso, secondo l'autopsia del medico legale, è l'annegamento. Si suppone che sia caduta dalla nave durante la tempesta riscontrata a largo delle coste nelle settimane scorse e che i compagni non siano stati in grado di ritrovare il corpo.
Il cadavere della giovane novellina, la cui taglia era in continuo aumento a causa delle sue scorribande e degli efferati omicidi, è stato trafugato la notte scorsa.
Sulla sinistra la fotografia del ritrovamento.”
Gli bastano quelle poche righe per sentirsi crollare nuovamente il mondo addosso. L'idea che fosse al sicuro da qualche parte, nascosta ai loro occhi, gli faceva provare un vago senso di gioia. Pensare che stasse bene, che magari fosse in compagnia dei suoi simili, era una specie di illusione a cui aggrapparsi.
Pensava che magari un giorno l'avrebbe ritrovata sul suo cammino, che avrebbe potuto intravederla felice tra la folla. Ma adesso non può più aggrapparsi a questa speranza. La sua bambina è morta, il suo sorriso si è spento per sempre.
La notizia fa velocemente il giro completo della nave, diffondendosi a macchia d'olio come un virus, scatenando tra i pirati diverse reazioni. C'è chi gioisce per la sua morte, chi rimane totalmente indifferente e scrolla le spalle mormorando “che mi frega?”, chi prova un profondo senso di tristezza.
A quest'ultima categoria appartiene Halta, che rimane immobile con le braccia stese lungo i fianchi. L'espressione è vuota, persa. I suoni le arrivano ovattati alle orecchie dal momento in cui le hanno detto del decesso. Pure la sua pelle pare essere diventata insensibile, poiché non si accorge nemmeno delle mani forti del compagno che le si posano sulle spalle.
«Vuoi andare a stenderti?» la voce di Izo è gentile, seppur vagamente tremante. Non ha idea di come aiutarla, non ha idea di come muoversi. Vorrebbe consolare i suoi amici, i suoi fratelli, il capitano che si è ritirato nuovamente nella sua stanza, ma non ha la minima idea di come farlo. Non può andare da loro e dirgli “le mie condoglianze” o “è stata davvero una grave perdita, ne sono molto addolorato”. Passerebbe da imbecille, e neanche poco. Il massimo che si sente di fare è stringere le braccia attorno ad Halta, tenerla stretta a sé, fregandosene delle possibili occhiate allibite dei compagni. In un momento così, in fondo, si può anche mettere da parte l'orgoglio.
Alzando gli occhi, sente una nuova ondata di tristezza travolgerlo completamente. Non credeva possibile che avrebbe visto ancora una volta Marco, sempre così fastidiosamente apatico nei confronti del mondo, piegarsi al dolore. Una volta ci può stare, soprattutto se sei appena uscito da un coma di quasi due settimane e scopri che a buttarti nel braccio della morte è stata la ragazza di cui sei innamorato, ma la seconda no. Almeno, non con lui.
Ma Marco è lì davanti a lui, chino con i gomiti appoggiati sul parapetto e la testa ciondoloni. Vorrebbe consolare pure lui, dirgli che passerà, come ogni cosa, ma non se la sente proprio.
Per l'ennesima volta ripensa a quando, al suo risveglio, Barbabianca ha voluto sapere per quale ragione la Fenice stesse urlando tanto, perché si fosse inginocchiato a terra e stesse piangendo. È stato lui, quasi in preda al panico, a farsi avanti per dare una spiegazione. E non ha mai parlato tanto in vita sua...
È partito da lontano, dicendo che era cominciato tutto mesi addietro. Per provare a deviare un minimo la sua completa attenzione da Marco, gli ha pure detto che ha una relazione stabile con Halta, e lui ne è stato felice, borbottando che poi avrebbero festeggiato l'evento. Ma poi, con voce sollenne, ha domandato di nuovo cos'avesse Marco, perché si stesse disperando in quel modo. E lui ha guardato Marco. L'ha guardato per secondi interminabili, e per un attimo gli è venuto da piangere.
Ricorda che i suoi compagni si erano ammassati alla porta, e per qualche minuto si è sentito in imbarazzo da morire. Poi, semplicemente, ha confessato ciò che sapeva da tempo. Gli ha rivelato che Marco e Akemi si erano innamorati, che passavano le notti insieme e si svegliavano la mattina fianco a fianco.
Edward Newgate ha pianto. Ha pianto mentre si accovacciava di fianco al biondo comandante, stringendogli un braccio attorno alle spalle per infondergli la forza necessaria per andare avanti, per voltare pagina. C'è passato anche lui, Edward Negate, a dover dire addio ad una persona che amava con tutto sé stesso. L'ha dovuta guardare da lontano mentre riprendeva il mare, mentre lo salutava in lacrime dalla cima della scogliera. Non ha più avuto sue notizie da allora, ma non passa giorno in cui non la pensi, in cui il suo cuore non si sciolga al ricordo del suo sorriso.
Tutti sono stati sorpresi da quella rivelazione: Ace era il più felice di tutti, come un bambino la mattina di Natale, mentre gli altri erano semplicemente sorpresi. Ma Ace... Ace sorrideva, sprizzava gioia da ogni poro, pur sapendo cosa ha fatto Akemi. Non gli importa molto. “Lei ci aveva avvertiti” lo pensa davvero, non riuscendo ad incolparla di niente.
Fossa, più saggio del giovane comandante, l'ha preso per una spalla e l'ha portato via. Non voleva che assistesse al dolore di Marco, al suo cedimento, e soprattutto a quello del loro capitano.
Anche gli altri se ne sono andati, lasciandoli da soli.
Poi Marco si è semplicemente calmato. Le lacrime hanno cessato di scendere, e lui si è alzato. Si è passato il dorso della mano sulle guance per ripulirle dalle lacrime ed ha aiutato il genitore a rimettersi in piedi. Si sono guardati a lungo negli occhi, in silenzio. Barbabianca avrebbe voluto dirgli che aveva fatto un'ottima scelta, che avrebbe voluto saperlo prima da loro, ma ha evitato. Non voleva rigirare il coltello nella piaga.
Tutt'ora non hanno affrontato l'argomento. Newgate aspetta che sia Marco ad andare a parlargliene, che sia lui a dirgli come è cominciata, come si è evoluta la loro relazione. Non che sia mai stato un tipo a cui interessano questo genere di cose, ma si tratta pur sempre dei suoi adorati figli che hanno scoperto di amarsi reciprocamente, e vuole sapere come sia successo. Certo, qualche sospetto ce l'aveva, ma non ci aveva dato molto peso. Era più convinto che la ragazza avesse una cotta per Ace.
Adesso, come ormai avviene da giorni, Marco semplicemente si è estraniato da tutto quello. Non li vede. Non li vuole sentire. La sua mente è altrove, lontana. Si sofferma su quei giorni di pace vissuti con lei, quando tutto andava bene e poteva definirsi davvero felice.
Un venticello leggero gli rinfresca la pelle surriscaldata. Solo fino a poche settimane prima ci sarebbe stata anche Akemi a godere della brezza assieme a lui. Si sarebbero allontanati da occhi indiscreti e avrebbero fatto dondolare i piedi dal parapetto, chiacchierando e ridendo delle battute stupide che la ragazza riusciva sempre a tirare fuori.
Di nuovo quella sensazione di umido agli occhi e dello stomaco che si stringe insopportabilmente. Scuote la testa, stringendosi le braccia attorno all'addome. Si sente fisicamente male, non riesce a credere che tutto ciò che sta succedendo sia reale.
La parte più irrazionale della sua mente prova a convincersi che si tratti solo di un brutto incubo, che quando finalmente riaprirà gli occhi avrà Akemi al suo fianco a dormire serena, raggomitolata tra le lenzuola e con un filo di bavetta alla bocca come al solito. Ma la parte razionale della sua mente, quella che non riesce mai a far tacere, gli dice che è tutto vero, che lei è un mostro e che ha provato ad ucciderli per mangiarli, e che no, non tornerà mai più.
«È solo un bene che sia morta.» non riesce ad evitare che la voce gracchiante di Teach gli arrivi alle orecchie. Voleva evitare qualsiasi discorso, lasciare che quell'argomento cadesse nel dimenticatoio, ma non ci è riuscito. Lo sente benissimo mentre afferma che era soltanto un mostro da eliminare, che avrebbero dovuto lasciarla alla deriva, quel giorno lontano in cui la trovarono.
Gli viene da vomitare, da urlare, e le mani gli prudono per la voglia che ha di picchiarlo a sangue. È vero che è stato mutilato da Akemi, che ancora sta in piedi a fatica e spesso ha la febbre alta, come se avesse un qualche tipo di infezione, ma non può sopportare di sentire discorsi simili su di lei. Perché, comunque la si metta, lei è stata l'unica ragazza che è riuscita a scalfire il ghiaccio che avvolgeva il suo cuore.
Con un moto di stizza si gira e se ne va, camminando per la nave con l'intenzione di sbollire la rabbia che lo sta corrodendo. Vedere alcuni dei suoi sottoposti guardarlo con compassione lo manda semplicemente in bestia, motivo per cui ogni volta accelera il passo, fino a ritrovarsi a poppa della nave.
Si appoggia al parapetto, fissando con astio i gabbiani che vede volare all'orizzonte. Magari, in mezzo a quel chiassoso stormo, c'è anche il maledetto corvo che li seguiva, quella piccola spia dal piumaggio nero.
Un rumore fuori posto gli arriva debolmente alle orecchie, come di un vetro che coccia duramente sul pavimento, e immediatamente si volta, pronto a cacciare chiunque abbia pensato di infastidirlo in quel momento delicato. Quando poi si accorge chi è stato a provocare quel rumore, sbattendo una bottiglia di rum sul pavimento, si morde la lingua per trattenersi dal dire qualsiasi cosa.
Satch se ne sta seduto nel giardinetto, lo sguardo perso ed appannato che punta il niente, e il corpo completamente abbandonato contro una corteccia. È abituato a vederlo con le braccia conserte e un sorriso smagliante sulle labbra. Da giorni invece è cupo, il sorriso sparito. Gli si spezza il cuore nel vederlo così abbattuto, soprattutto per la consapevolezza che in parte è colpa sua. Doveva accorgersi di qualcosa, doveva fare qualcosa, impedire che il mostro prendesse il sopravvento e quasi lo ammazzasse.
Forse, se le avessi dato più attenzioni, non sarebbe successo niente.” lo pensa costantemente, inconsapevole del fatto che nessun licantropo purosangue può evitare di trasformarsi alla prima muta. Nessuna esclusione. Alcuni non tornano neanche indietro, a dirla tutta. Ma lui questo non lo sa. Non sa nemmeno che la sua ex-ragazza per metà ha il sangue infetto di un lupo mannaro che le scorre nelle vene. Non lo sa, e per questo s'incolpa di quanto accaduto.
Adesso guarda Satch, seduto con le gambe incrociate sotto l'ombra dell'albero più grande del giardinetto, e il cuore gli si stringe.
Non lo posso toccare, non mi posso avvicinare...
Ma può. E deve, se non ha intenzione di vederlo crollare psicologicamente. E del resto a che cos'altro serve un fratello maggiore, specie uno non tanto maggiore da impedire un evento tanto triste?
Con passo incerto lo avvicina e si siede al suo fianco, senza aprire bocca per svariati minuti. Il compagno neanche si volta a guardarlo, pur essendo consapevole di averlo vicino. Continua a fissare il vuoto con la bottiglia di rum ben stretta nella mano.
«Mi dispiace...» la sua voce, quando gli esce dalla bocca, trema così forte che a stento Satch riesce a riconoscerla «Se non fossi stato accecato dall'affetto che ci legava, mi sarei accorto che c'era qualcosa di veramente pericoloso in lei. Me ne sarei accorto e avrei potuto fare qualcosa. Invece non ho fatto niente...»
Arriva per tutti il momento in cui la diga cede. E questo è il momento di Marco. Si lascia andare ad un pianto silenzioso, di quelli senza speranza, mentre il volto deformato della bestia gli torna vivido nella mente. La testa gli cade in avanti, le mani l'afferrano e la stringono, respirando convulsamente e cercando di non scoppiare in un pianto troppo rumoroso. Sono loro due da soli, è vero, ma non vuole farsi sentire neanche da lui.
A straziarlo più ogni altra cosa, in realtà, è la consapevolezza che la porta che si è chiusa tra loro non si riaprirà mai. Non vedrà più Akemi la mattina appena sveglia con il trucco colato e i capelli arruffati. Non gli chiederà più di dormire insieme, e non la vedrà più fare qualche scherzo ai compagni e poi scoppiare a ridere come una bambina.
«Non è stata colpa tua, Marco.» afferma con voce ferma Satch, poggiandogli una mano sulla spalla con forza «Nessuno si è mai realmente reso conto di niente. Anche se lo avesse fatto, comunque, non ci ha voluto credere.»
Si guardano a lungo negli occhi, consolandosi silenziosamente a vicenda. Satch tenta di sorridere, riuscendo solo a fare una smorfia che non convincerebbe mai nessuno, ma a Marco basta.
Si trattiene ancora per un momento accanto al fratello, con le mani strette alle cosce, mentre lotta di nuovo per tenere a bada le emozioni. Quando si sente più sicuro di sé, si alza in piedi e si massaggia le tempie.
«Credi che sia in un posto migliore?» domanda con un filo di voce, alzando di nuovo gli occhi sull'orizzone. C'è un gabbiano nero in mezzo allo stormo, più piccolo e deforme, che sta attaccando i suoi simili per poi farli cadere morti in mare. Per quanto la cosa sia anomala, non gli vuole dar peso, voltandosi semplicemente verso il compagno e guardandolo con sguardo serio.
«Può darsi che sia finita in quel posto tanto bello di cui ogni tanto mi parlava. Oddio, come si chiamava?» ci pensa attentamente, Satch, stringendo gli occhi e colpendosi piano sulla fronte per ricordare qual'era il nome preciso di quel luogo magnifico che la minore tanto elogiava «Ah, si! Il Valhalla. Diceva che lì i guerrieri banchettano con gli dèi. Sai, gli strani dèi di cui le parlava quel tipo nella sua testa...»
«Forte.» commenta semplicemente Marco, passandosi una mano dietro al collo. Ricorda che gliene parlò anche a lui, ma non le diede peso. Adesso si pente di non aver dato peso a tante sue chiacchiere, a tante piccole cose che adesso vorrebbe sapere «Dici che è davvero lì?»
Satch annuisce convinto, sorridendo per la prima volta da giorni. Si alza in piedi abbastanza fermamente malgrado la generosa dose di alcol ingerita e si avvicina al compagno, mettendogli una mano sulla spalla per sorreggersi «Era una donna guerriro, Marco. È sicuramente lì, adesso.»

2


In realtà la loro presunta deceduta sorella si trova su di un isola che, se vista dall'alto, appare quasi come un cuore rudemente intagliato in un pezzo di mare.
Helheimer è un'isola quasi interamente ricoperta di verde, un verde brillante e rigoglioso. Foreste, paludi e praterie dominano parte della scena. Nella zona est è situata una fascia desertica, usata principalmente per allenare al meglio le nuove leve in un clima totalmente sfavorevole e renderle così più forti.
Il bosco, che si estende dal centro dell'isola per moltissime miglia, è attraversato dal Fiume Bianco, le cui acque sembrano brillare ogni qual volta baciate dali raggi del Sole o della Luna. Risalendo il fiume si può arrivare alla cascata Fyssirse. Uno spettacolo. L'acqua pare quasi scendere lentamente, docilmente, fermarsi nell'aria e poi abbandonarsi al mare che bagna gli scogli sottostanti, cadendo con un fracasso assordante. La scogliera corre lungo tutto il bordo dell'isola in modo da tenere i fedeli ma pericolosi abitanti delle acque lontani dalle coste.
Il posto in assoluto prediletto da tutti gli abitanti dell'isola resta, senza ombra di dubbio, la grande spiaggia situata nella parte nord. Assolutamente perfetta con la sua sabbia calda e dorata.
In quel preciso istante, per sua enorme sfortuna, Akemi non si trova su quella spiagga. Si trova per l'ennesima volta sotto il Sole cocente nell'ampia zona desertica, in compagnia del suo simpaticissimo tutore Freki. In ben otto giorni non ha fatto altro che farla correre sotto quel maledetto Sole, sotto temperature così alte da farla quasi svenire, trottandole di fianco e parlandole allegramente dei loro dèi. Gli ha parlato anche delle loro tradizioni, delle loro feste, della cerimonia che a breve si terrà anche per lei. Ha provato a chiedere spiegazioni, Akemi, ma il lupo è stato ben muto su questo argomento.
Oggi, stranamente, non pare avere alcuna intenzione di farla correre come una dannata per tutto quel maledetto deserto. Rimane di fronte a lei con le braccia conserte al petto, lo sguardo duro che la scruta da capo a piedi e con Hunnin, il corvo immortale di Fenrir, poggiato sulla spalla.
Dopo qualche minuto di silenzio, in cui Akemi ha maledetto la madre in tutte le lingue che conosce per averla mollata ad un pazzo del genere, il lupo comincia a frugarsi nelle tasche dei pantaloni vecchi e rattoppati, perfetti per gli allenamenti. Ne estrae due fialette contenenti un liquido violaceo.
«Bevi.» ordina porgendogliene una, bevendo la propria alla goccia, riducendo poi il viso ad una smorfia di puro disgusto.
«Che roba è?» sibila diffidente, scostando la sua mano in un gesto brusco di cui si pente immediatamente.
«È un infuso di aconito. Ridurrà notevolmente le nostre capacità di guarigione, in modo tale da costringerti ad impegnarti seriamente.» le spiega con tono calmo e quasi cortese, per poi riprendersi e continuare «È stato tuo zio ad insistere a dartela. Per quanto mi riguarda, sarebbe stato meglio di no, visto che ti farò a pezzi.»
La lancia ai piedi una spada di legno, costretto dal proprio Sire ad insegnarle ogni cosa, anche le più scontete.
«Styrke, kjerring!»
Akemi ringhia in risposta, ormai completamente capace di tradurre quell'antica lingua come se la parlasse da sempre, e di slancio si lancia sulla spada ai propri piedi e prova ad attaccare il nemico. E Freki risponde senza esitazioni, giocando con lei come fa con i cuccioli dei propri compagni, quando insegna loro come maneggiare una spada. Perché Freki, pur non ricordandolo con esattezza, è sempre stato un abile guerriero anche da umano, forse uno dei più temibili con una spada in mano.
Prova ad affondare più volte, Akemi, senza però riuscire mai a centrare il bersaglio. L'avversario continua a farle dei giochi di gambe a cui non riesce a star dietro, ritrovandosi così costretta ad esitare negli affondi e ad indietreggiare.
«Aldri nøle.» le ricorda con tono fermo, imparziale, bloccando la finta spada a pochi centimetri dal suo zigomo. Se avesse affondato sul serio, adesso Akemi si ritroverebbe con il volto ricoperto di sangue.
La corvina, decisa a sferrargli un buon colpo, riparte all'attacco, tentando un affondo nello stomaco, che però va nuovamente a vuoto. Non vuole arrendersi però, ne va del suo orgoglio. Così comincia a correre per quella distesa desertica, provando inutilmente a mettere un poco di distanza tra di loro, dovendosi rigirare al volo quando lo sente troppo vicino, venendo di nuovo bloccata con la spada puntata alla gola.
«Petrified.» la sfotte ghignando il maggiore, piegandole con cattiveria il polso per farle mollare l'arma.
Akemi, in tutta risposta, gli sferra un gancio sinistro nella mandibola, facendolo pietrificare per la rabbia.
Si guardano per qualche istante, furiosi come solo due bestie possono esserlo, e Freki, seppur per un istante, si lascia andare. Blocca immediatamente il nuovo gancio che la ragazza prova a sferrargli e oppone un diretto alla guancia sinistra, ribaltandole la testa. Non ci ha messo forza a sufficienza però, quindi l'avversaria è ancora in piedi, cosa che gli permette di continuare: una botta nelle costole, blocca il suo sinistro, le indebolisce la mascella con un gomitata, finendo con un colpo di tacco al diaframma.
Akemi annaspa sempre di più, tenendosi le braccia attorno all'addome. Vede tutto lento, quasi privo di senso. Ma lui è lì. Lo vede e lo sente, con quell'insopportabile sguardo colmo di ironia e puro divertimento.
La sua mente, poi, le tira un brutto colpo, facendole ricordare di tutte quelle persone -quei semplici umani, come li chiamano i suoi simili- a cui ha voluto davvero bene. Ripensa alle sue chiacchierate con Halta e Satch mentre mangiavano dolciumi. Ricorda i baci passionali di Marco, dati di nascosto in qualsiasi occasione. Le manca acciambellarsi sulle gambe di suo padre ed innervosirlo perché gli rubava costantemente il cibo. Le mancano tutti loro.
Ma quello non è il momento per pensare ai fatti propri, e lo capisce benissimo non appena sente un nuovo pugno smaciullarle la faccia.
«Bastardo!» latra in uno spasmodico colpo di tosse vaporizzato di sangue, incapace di trattenersi. Il lupo sembra non accorgersi nemmeno di essere stato insultato. Le gira attorno con la testa abbassata e tamburella lievemente sulle proprie ossa del bacino lasciate scoperte. La sua respirazione è gutturale e ansimante e per un attimo Akemi si chiede se la stia canzonando.
Spero che sia asma.” pensa, pur essendo consapevole dell'impossibilità degli immortali di contrarre anche la più innocua delle patologie “E spero che tu crepi strozzato!
E senza avere visto o intuito nulla, si sente improvvisamente esplodere nella testa un'argentea, possente vampata di dolore. Si rende conto di vacillare all'indietro con le mani premute sulla faccia e sul sangue caldo che le sgorga tra le dita, di annaspare in cerca di equilibrio, di pensare non è niente, non cascherò, non è niente, e finalmente di essere distesa su un fianco nella sabbia a gridare alla volta azzurra del cielo.
«In piedi!» urla il lupo, prima di sferrarle un calcio alla coscia sinistra. Il dolore la invade come una colata di acido e le pietrifica i muscoli portanti della gamba. Freki non le dà neanche il tempo di imprecare che subito le sferra un'altro calcio al sedere, in alto, a livello del coccige.
Questa volta il dolore è smisurato e insopportabile. È sicura che tra pochi secondi sverrà. Invece no. Continua a dibattersi e strisciare nella sabbia, gridando e sanguinando dal naso rotto.
«Su» comanda il lupo «In piedi, piccola Lothbrook.»
«Non posso...» farfuglia la ragazza, portandosi le gambe al torace e allacciandosi le braccia sul ventre in posizione difensiva «Non ce la faccio, mi hai spezzato la gamba. Gesù Cristo, mi hai massacrata...»
«La gamba non è rotta e non ti ho massacrata. Adesso alzati.»
«Non posso. Davvero non-»
Il ringhio di Freki è assordante e feroce, e Akemi si trova magicamente in piedi ancor prima di sentirsi sicura al cento per cento di non essere morta dalla paura. La parte inferiore della faccia è ricoperta di sangue. Vi si è anche appiccicata della sabbia che le ha disegnato riccioli e virgole sulle labbra, le guance e il mento.
«Visto che ci riesci?» la sfotte Freki, incrociando le possenti braccia al petto e guardandola con arroganza crescente.
Akemi lo polverizza con lo sguardo, massaggiandosi delicatamente il sedere ancora quasi del tutto intorpidito. Le sembra quasi di avere un taglio di manzo surgelato appeso alla schiena. Ritiene di doversi rallegrare, tutto consideraro: se col secondo calcio l'avesse colpita un po' più su, forse ora sarebbe paralizzata. Certo, la sua guarigione accelerata magari l'avrebbe salvata da quell'orrenda fine, ma non ne è poi così sicura.
Freki le dà le spalle senza problemi, incamminandosi verso la strada di casa. È stato un allenamento molto breve, ne è consapevole, ma ci è andato troppo pesante, e sa benissimo che la ragazza non muoverà più un muscolo per il resto della giornata.
«Muoviti, principessa.» ordina in tono svogliato senza degnarla neanche di uno sguardo.
«Dove mi porti?»
«Secondo te dove dovrei portare un'incapace rammollita che non sa reggersi in piedi?» Akemi lo guarda con aria interrogativa, terrorizzata dalle mille possibili risposte che l'uomo potrebbe darle «Ti porto in infermeria, cogliona. Così ti danno una ripulita e io posso andare a mangiare.»
Vorrebbe davvero attaccarlo. Vorrebbe saltargli addosso, prenderlo di spalle e staccargli la testa dal collo a morsi, ma non ci prova neanche. Il corpo le fa male, tanto da impedirle di camminare, e lui è decisamente troppo grosso, troppo forte e troppo veloce. Non credeva neanche possibile che uno della sua stazza potesse essere così veloce.
Freki, resosi conto che la ragazza non lo sta seguendo come le ha ordinato, volta un poco la testa, trovandola rannicchiata a terra con le braccia al petto come scudo. Vederla così arrendevole, docile e quasi supplichevole gli dà semplicemente la nausea, ma non infierisce. Non ora, per lo meno.
«Ce la fai a camminare?» c'è del grottesco nella premura del suo tono.
Akemi alza gli occhi ricolmi di lacrime su di lui, negando debolmente con la testa. Si sente umiliata nel profondo, e l'unica cosa che desidera fare è sparire.
Invece di prendere a male parole la ragazza per aver ceduto così facilmente, o punirla per averlo fatto, il lupo la stringe per qualche secondo con un braccio solo. Un abbraccio cameratesco. Senza darsene una ragione, Akemi trova quel piccolo e apparentemente sincero gesto d'affetto più inquietante di tutta la violenza che ha subito fino a pochi istanti prima.
«Reggiti forte.» le ordina semplicemente prima di issarsela in braccio, tenendola stretta a sé come se fosse un cucciolo smarrito che ha urgente bisogno di cure «Quatta quatta, chiotta chiotta, come una lumachina nella sua chiocciola.»

È in uno stato spaventoso, con la faccia gonfia e rossa di sangue, come un peso massimo che le ha prese per dodici round senza interruzioni. Non riesce a star seduta, le fa troppo male, così si è appoggiata sulla coscia destra, con una mano posata con delicatezza sul naso dolorante. Se lo sente vivo e malevolo, un parassita che le conficca nelle carni pungiglioni velenosi. Ma con l'arrivo di Kakashi, non può più pensarci. Non sia mai che le sue mancate attenzioni al vampiro le procurino altre ferite simili!
«Hai un aspetto orrendo.» afferma scrutandola con aria critica, lasciandosi poi andare ad un sorriso allegro «È cazzuto Freki, mh?»
«Direi al massimo che è un pezzo di merda.»
«Nahhh. È solo molto forte.» controbatte prontamente il biondo in difesa del cognato, passandosi entrambe le mani nei capelli per ravvivarli «Credimi, col tempo imparerai ad apprezzarlo e grazie alla sua violenza gratuita sarai perfettamente in grado di difenderti da qualsiasi pericolo.»
«Ho un forte mal di testa.» cambia velocemente argomento Akemi, concentrandosi come meglio può per non sentire il dolore che le sta folgorando il cervello.
«Ti cerco qualcosa.» decreta con aria annoiata il vampiro, cominciando subito a mettere le mani un po' ovunque, alla ricerca quasi disperata di analgesici «C'è dell'aspirina... paracetamolo... ibuprofene... un calmante molto blando...» le mostra una pillola rosso scuro, sorridendo allegramente «Queste sono illegali.»
«Ehm... fantastico?»
«In questo posto andiamo pazzi per le pillole!» dice, rivolgendole uno sguardo improvvisamente intenso «Le adoriamo
Le porge tre compresse verdi e, dopo parecchi tentativi, riesce a trovare un bicchiere di plastica.
«Ecco fatto. Queste ammazzeranno qualsiasi tipo di mal di testa.» le versa dell'acqua fredda e le porge il bicchiere «Bevila tutta.»
«Grazie.» mormora, ingoiando le compresse con una smorfia.
Il biondo vampiro comincia a parlare a raffica del più e del meno, informandola che la madre e lo zio se ne sono andati a fare una battuta di pesca per tutto il pomeriggio e che non torneranno prima di tarda notte, facendola sbuffare. Avrebbe voluto passare un po' di tempo in compagnia della madre, magari supplicandola per l'ennesima volta di cambiare idea riguardo Freki e metterla in coppia con chiunque altro.
Mentre i due discutono su quanto il lupo sia più o meno stronzo, una creatura di grosse dimensioni -almeno tre metri di altezza e un paio di larghezza-, scheletrica, emaciata e ricoperta di peluria, con labbra insufficientemente grandi per coprire gli enormi denti, si affaccia alla porta, facendola trasalire.
«Tua sorella ti cerca.» pare quasi fare i gargarismi mentre parla, cosa che spaventa ancora di più la giovane immortale, che mai avrebbe pensato di vedere una cosa del genere. Può infatti accettare con una certa tranquillità l'esistenza di lupi mannari, vampiri o cose simili, ma non aveva mai calcolato l'esistenza di una creatura tanto orrenda e spaventosa. Il modo in cui la guarda, poi, le fa semplicemente accapponare la pelle.
«Se per caso la incontri, dille che arrivo tra poco. Accompagno lei in camera, prima.» gli riconde cortesemente il giovane vampiro, sorridendo cordiale.
La creatura semplicemente annuisce e se ne va, diretto verso il laboratorio dove praticamente vive Wulfric. Vuole aiutarlo per la probabile guerra in cui s'imbatteranno a breve, e di certo il suo aiuto non verrà ignorato: lui può toccare l'argento.
«Che cazzo era quello?!» non è in preda al panico, Akemi, ma nemmeno tranquilla. La voce per sua fortuna è rimasta piuttosto ferma, quasi pacata, ma l'espressione di paura che ha dipinta in volto la tradisce. Un'espressione che muove quasi a compassione.
«Un Windigo.» risponde Kakashi, indugiando per qualche istante sulla sua espressione adesso completamente smarrita. “È ovvio che non sappia cosa sia. Non sapeva neanche cosa sono io quando ci siamo incontrati!
«Un demone maligno divoratore di uomini. Sono cacciatori eccezionali di giorno, insuperabili di notte. Ti dirò, li ho sempre ammirati per la loro tecnica: inseguono la loro preda per lunghi tratti finché non cade a terra stremata o impazzisce, per poi trascinarla nella tana per mangiarla viva.» mentre le fornisce questa breve e coincisa spiegazione sulla natura del suo vecchio amico, la voce si riempie di ammirazione profonda.
Le sorride dolcemente, con quell'aria da bambino innocente che solo lui sa tirar fuori, e con delicatezza l'aiuta ad alzarsi. Sa bene cosa vuol dire prenderne da Freki, e sa ancora meglio cosa significhi doversi riprendere da una sua scarica di botte, quindi non vuole metterle fretta. La aiuterà ad arrivare alla sua stanza con calma, tenendola tra le mani come si farebbe con un passerotto ferito, e poi le darà un calmante per dormire qualche ora.
«Si possono ammazzare? Sai, se mai dovessi trovarmi nei casini...» domanda timidamente la corvina mentre si dirige con passo malfermo verso il corridoio, tenendo un braccio attorno alle spalle dell'amico.
«Che io sappia bisogna sciogliere il loro cuore con il fuoco.» gli ci è voluto qualche secondo prima di ricordarsi la procedura, ma gli è tornata di colpo in mente al ricordo di Astrid che ne faceva fuori un quartetto. “Quella donna ha troppo stile.” pensa sorridendo tra sé, tornando poi a concentrarsi sulla ragazza che tiene tra le braccia «Non dovrai mai farlo, comunque: sono molto pacifici con noi.»
Camminano in silenzio per i corridoi, tenendosi stretti l'uno all'altra, assorti nei propri pensieri. Kakashi si domanda per quale ragione la ragazza non riesca ancora ad accettare del tutto la realtà. Da parte sua, avrebbe dato tutto ciò che possiede per essere al suo posto: figlia dei due tra i più importanti e potenti immortali mai esistiti prima, con un potere latente che aspetta solo di essere sprigionato, libera dal timore della morte. Non che a lui gli faccia paura, tutt'altro, però l'idea di non poter morire se non per decapitazione -e anche a in quel caso non è certo che la ragazza incontrerebbe la vera morte- lo alletta parecchio. Gli sarebbe piaciuto avere il sangue di Týr che gli scorre nelle vene, gli sarebbe piaciuto avere tutte le possibilità che ha lei. L'idea che non lo capisca, lo innervosisce un poco.
Akemi, invece, si sente sempre persa in mezzo a quelle persone. Anche durante le cene, durante le quali la madre le ricorda costantemente di tenere una postura composta, di mangiare con calma, di comportarsi come una principessa qual è, si sente sempre dannatamente fuori luogo. Anche solo indossare i vestiti che le ha dato lei la fa sentire a disagio. Sempre coperta, con i segni della sua storia che con tanto orgoglio ha marchiati sulla pelle sempre ben celati sotto quelle vistose e pregiate vesti. Lei è un pirata nell'animo, ha bisogno di navigare per quei pericolosi mari e scoprire nuove terre. Ha bisogno della sua grande famiglia che la stringa a sé per un'ultima volta e le dica “andrà tutto bene, ragazzina, sei al sicuro adesso”.
Si lascia scivolare priva di forze sul suntuoso letto, mentre la sua mente comincia a farsi offuscata a causa delle pillole che le sono state somministrate. Tutto diventa incolore, inodore. Vede a malapena il volto di Kakashi che le sorride, sente la sua mano sulla sua guancia come se fosse una farfalla ad accarezzarla.
«Dormi, piccola Lothbook. Ti sentirai meglio più tardi.»

La notte le sembra incredibilmente lunga, chiusa da sola nella sua stanza. Ha dormito poche ore, svegliandosi giusto in tempo per vedere il Sole tramontare e la madre rientrare, parlottando e scherzando con le amiche su un possibile matrimonio.
Il cuore le si è stretto a quell'idea: sua madre, la sua appena ritrovata madre, che si sposa con suo zio, fratello del suo defunto padre, e che magari ci mette su famiglia. Ma sa bene che non può far niente per impedierlo, che non è affar suo alla fine. Non vuole e non può intromettersi nella vita privata di sua madre, anche se avrebbe preferito che gliene parlasse prima di divulgare la notizia.
Sente in lontananza canti antichi che però non riesce realmente a capire. Come si può venerare così tanti dèi? Come si può credere fermamente che ci proteggano e ci aiutino nelle scelte difficili? È l'uomo, con le sue sole forze, a creare il proprio destino.
Ha sentito nominare nuovamente Peter Bàthory, ma non vi ha dato peso. È lontano da loro e, anche se continua a darle la caccia per una ragione che non vuole sapere, non può comunque entrare nell'isola.
Esce con aria stanca dalla doccia, avvolgendosi nella sontuosa veste da notte che la madre le ha personalmente disegnato. Già, perché tra i vari talenti di Astrid Anwend, di certo non manca quello di stilista.
La indossa e si guarda nello specchio, non riconoscendosi: i capelli troppo setosi che le scendono sulla schiena, la veste bianco avorio che le calza a pennello, quasi fosse stata dipinda sul suo corpo. Quella non è lei, non è Akemi l'Angelo Demoniaco.
Quell'Akemi è morta...” pensa, respirando a fondo.
Si appoggia con la schiena contro la parete dura della porta, poi semplicemente le si piegano le ginocchia. Scivola a sedere per terra, le mani protese verso il letto, le guance bagnate dalle lacrime, i capelli bagnati che le ricadono sul collo e sulla fronte.
È tutto così sbagliato...
Lei non dovrebbe essere lì. Dovrebbe essere sulla Moby Dick alla conquista di mari inesplorati, a portare caos e distruzione. Dovrebbe essere al fianco dell'Imperatore Bianco, Edward Newgate, o nel letto di Marco la Fenice.
Sarebbe sbagliato anche questo...
Per quanto odi ammetterlo, il suo posto è ad Helheimr, in mezzo a tutti quei mostri. Deve stare qui, imparare come muoversi, abbracciare le usanze antiche e quelle nuove che le vengono insegnate giorno dopo giorno. Deve aspettare di essere considerata adulta dalla sua gente, di poter partecipare alla sua prima notte. Cosa sia ancora non lo sa, ma non le importa. Vuole farlo, perché è giusto così.
Ma c'è una cosa che non è giusta. Una cosa che non può più tenersi dentro, e di cui non vuole parlare con nessuno. Con nessuno, eccetto l'unica creatura su quell'isola maledetta in grado di capirla.
Si alza svogliatamente da terra e, seguendo l'inconfondibile odore dell'uomo, cammina silenziosamente verso la cucina. Era convinta che l'avrebbe trovato a letto assieme alla compagna, invece no: è in piedi di fronte al frigorifero, i pantaloni della tuta tenuti bassi in modo da mostrare il corpo scolpito e la pelle olivastra che pare quasi strapparsi per lo sforzo di tenere tutto insieme.
Lo guarda per qualche istante come rapita, seguendo con attenzione le linee precise dei suoi addominali, scolpendosi nella mente il tatuaggio sul costato, raffigurante una testa di alce con tre frecce conficcate nel collo. Un giorno gli domanderà il perché se lo sia fatto, ma non è questo il momento adatto.
«Zio?»
Da otto giorni ormai Akemi si rivolge a Fenrir chiamandolo così, ed ogni singola volta il lupo millenario si lascia andare ad un dolce sorriso, di quelli che rivolgeva al fratello quando era di buon umore. In effetti, Fenrir è costantemente di buon umore da quando le due donne della sua vita sono al suo fianco.
«Posso fare qualcosa per te?» le domanda geltilmente, raggiungendola con passo calmo e porgendole pure il suo bicchiere -che poi sembra più un boccale- di succo all'ananas, bevanda di cui è completamente dipendente.
«Dovrei chiederti un favore, se è possibile...» mormora con un certo imbarazzo la ragazza, negando con il capo la gentile offerta del maggiore ed incamminandosi verso la finestra con passo strascicato «È una cosa grossa.»
Inarca un sopracciglio, incuriosito, separandosi dalla propria dolce bevanda e raggiungendola. Si appoggia con una spalla alla parete, osservando con attenzione i tratti dolci del suo viso. La guarda e capisce che è davvero una questione importante per lei, cosa che lo mette in allerta.
«Dimmi tutto.»
«Io... io non voglio essere diversa.» afferma con un filo di voce Akemi, abbassando lo sguardo con imbarazzo. La madre le ha riempito la testa fino a scoppiare sul fatto che lei non è diversa ma speciale, che deve essere fiera di essere quello che è, ma proprio non ci riesce.
«Immaginavo che me lo avresti chiesto.» ridacchia il lupo millenario, passandosi stancamente una mano sul viso mentre comincia già ad escogitare una buona scusa da usare con la compagna. Perché sa bene dove vuole andare a parare la nipote, e Astrid si era già raccomandata di non provarci neanche perché troppo rischioso. Ma come può negarle anche questo, dopo che l'ha strappata alla sua adorata famiglia adottiva?
«Non ti ho ancora chiesto niente!» controbatte prontamente la corvina, voltandosi di scatto verso di lui e guardandolo incerta. Sa per certo che i licantropi non leggono nel pensiero, quindi come fa a sapere cosa vuole?
«Sei come tuo padre: si capisce sempre quando vuoi qualcosa solo dallo sguardo.» risponde in tono pacato Fenrir, scostandosi dal muro e cominciando a camminare nervosamente per la stanza. «Tu senti come se stessi camminando controcorrente da tutta la vita, giusto?» Akemi annuisce, rendendo ancor più reali le sue paure «E vuoi che io ti faccia camminare nella stessa direzione degli altri. O, almeno, di una buona porzione...»
I loro sguardi si incrociano per istanti che sembrano durare secoli. Si guardano e capiscono entrambi che la soluzione è solo una, per quanto sbagliata questa sia. Perché la loro è un'idea stupida, qualcosa che non andrebbe neanche concepito, che non funzionerà neanche del tutto, nel caso funzioni. Ma, in fin dei conti, neanche Akemi doveva essere concepita, quindi... perché non provare?
Le si avvicina con passo lento, Fenrir, mentre le zanne gli si allungano nella bocca e il suo unico occhio diventa vermiglio «Sarà doloroso.»
«Lo so.»
Cammina ancora, estraendo gli artigli e lasciandosi sfuggire un lieve ringhio gutturale, tipico dei predatori come lui quando mettono alle strette la preda «Tua madre andrà in bestia.»
«Lo so...» Akemi per un attimo ha paura. Precisamente ha paura nel momento in cui l'uomo le afferra la gola con la mano possente e la stringe, attirandola a sé. Potrebbe gridare, chiedere aiuto, ma non vuole assolutamente farlo. O il suo piano andrà a buon fine o morirà. In ogni caso, le andrà più che bene.
«Ma io ho promesso di renderti felice.» lo sguardo dell'uomo diventa impossibile da sostenere, la sua forza diviene palpabile. Avvicina di poco le labbra al collo pallido della nipote, sfiorandolo appena con la punta dei canini affilati «Tra pochi istanti, proverai il più forte dolore della tua vita... e dopo, tutto sarà diverso.» detto questo, semplicemente affonda le zanne nella sua pelle. Affonda con violenza, squarciandole la carne ed impregnandole la veste da notte di un rosso cupo, tendente al nero.
Si stacca un attimo prima di spezzare il debole filo che la tiene in vita, reggendola con forza tra le braccia. La guarda adesso, priva di sensi, ancora più pallida, e un sorriso perverso gli increspa le labbra sottili.

«Buona notte, lupacchiotta...»



Angolo dell'autrice:
E qui si sbazzaaaaa! Gente, serio: sono chiusa in casa da un fottutissimo mese! Sono al limite della sopportazione umana!
Però ci siete voi, Yellow Canadair, Lucyvanplet93, Portgas D SaRa, Monkey_D_Alyce, KuRaMa faN, Okami D Anima, Chie_Haruka, ankoku e Keyra Hanako D Hono, che con le vostre bellissime recensioni mi avete tirato considerevolmente su di morale ♥ (e non lo dico tanto per dire).
Beh, che altro dire? Sulla Moby sono giustamente depressi. Akemi è viva e vegeta (anche se mi fa l'idea per poco se continuo così). Freki si diverte a picchiarla. Kakashi è pazzo. Fenrir è dipendente dal succo all'ananas e si diverte a mordicchiare la gente :3
Che bella famiglia!
Non penserete mica che mi sono dimenticata di Edward Newgate, ehhh?! No, per lui ho in mente un capitolo a sé nella raccolta “Ti dedico una canzone”, se a qualcuno di voi può interessare,
Beh, che altro dire... presto (si, perché farò dei tagli, è deciso) ci saranno tanti colpi di scena: Peter che impazzisce, tutti che fanno sesso con tutti, morti che non sono poi così morti, una gravidanza inaspettata, Akemi che dà fuori di testa! Insomma: il caos! (come piace a me ♥)

Beh, direi anche basta! Per il prossimo capitolo ho già in mente uno special abbastanza splatter :D
A presto, un bacione
Kiki ♥

PS: tanto per mettere tutto come sempre (perché sono una pignola insopportabile), ecco a voi il tatuaggio di Fenrir: http://it.tinypic.com/r/2meuvf9/8
E l'isola da me disegnata (fa schifo, lo so, ma è per farsi un'idea): http://it.tinypic.com/r/rcpp3q/8

Angolo traduzione:
Come al solito Google traduttore fa un po' come gli pare e, per quanto io lo aggiusti, ogni tanto non viene proprio come vorrei. Però noi prendiamolo per buono, ok? ;)
Styrke, kjerring! <--- forza, cagnetta!
Aldri nøle. <--- mai esitare.
Petrified <---Pietrificata.

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Capitolo 33
*** 33. Ognuno volta pagina a proprio modo + Special [L'Aquila di Sangue] ***


 

Piccola avvertenza: sono passati 29 giorni da quando Akemi ha lasciato la ciurma.
Personaggi originali di questo capitolo:

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Gli altri hanno parti talmente brevi e di poco conto che ho pensato di non metterli neanche. Spero che questo non sia un problema >.<
Ad ogni modo, vi auguro una buona lettura :) Un bacione!

 

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1

Per i pirati di Barbabianca ormai non è più tanto strano svegliarsi e dover affrontare qualche stranezza. Ormai è praticamente all'ordine del giorno per loro!
Pure il grande Imperatore si è abituato all'idea, e ormai non vi bada più di tanto.
Questa mattina, per esempio, hanno assistito a un attacco ad una nave da guerra della Marina. La cosa assurda sta nel fatto che ad affondare quell'imponente e forte nave e a decimare brutalmente e impiccare con le cime i corpi dilaniati dei Marines, fosse stata una bagnarola che stava a galla per benedizione divina. Il suo equipaggio era composto esclusivamente da donne, tutte vestite da capo a piedi con delle tute in lattice nero, tanto attillate da sembrare una seconda pelle. Erano tutte immobili a guardarli, poi hanno chinato il capo e alzato le mani in segno di resa, dirigendosi poi con passo svelto ai remi dell'imbarcazione e scappare velocemente in una direzione totalmente opposta alla loro. A seguirle –o controllarle, difficile da dire-, c'era un grosso pipistrello nero, intento a volteggiare leggiadro sopra la nave fantasma.

Un evento certamente bizzarro, ma non tanto quanto quello a cui stanno assistendo adesso alcuni comandanti. A dare l'allarme è stato Fossa, che era andato a ricontrollare la rotta sulle carte nautiche per sicurezza, e che le ha sorprendentemente trovate completamente imbrattate di rosso. Sull'isola in cui erano diretti c'è segnata una grossa X e accanto c'è annotata la frase “levende døde. Away!”. Non ha idea di cosa significhi, ma è assolutamente certo che non sia un augurio o una cosa simile. È anzi certo che sia una minaccia, o comunque una cosa che ci si avvicini molto.
Ace guarda quelle carte con aria nervosa, provando a capirci qualcosa, senza successo. «Chi è stato a ritoccarle?» domanda al quindicesimo comandate, che sbuffa una nuvola di fumo scuotendo la testa.
«Nessuno dei nostri manometterebbe mai le carte nautiche, tanto meno lo farebbe usando il proprio sangue.» risponde in un grugnito Jaws, prendendo in mano la carta che ha portato tanto scompiglio, esaminandola minuziosamente.
«Qualcuno non vuole che andiamo su quest'isola.» afferma con ovvietà Satch, pensando e ripensando ad un modo per dirlo al piuttosto nervoso Capitano. Certo, si è calmato, ha accettato il lutto della sua bambina e ha deciso di andare avanti, di vivere tutte quelle avventure che lei avrebbe voluto vedere. Quello che nessuno sa, è che ha anche deciso che in ogni in ogni isola prenderà di nascosto un souvenir che poi brucerà e dissiminerà in mare in suo onore. Sarà un ricordo difficile da cancellare, probabilmente impossibile, ma si sa: ognuno reagisce a modo proprio ad un lutto.
«Non posso non domandarmi il perché.» commenta quasi disinteressatamente Marco, tornato sorprendente in forma.
Più che in forma, in effetti, è tornato l'uomo apatico che a stento pronuncia frasi di senso compiuto e che passa la maggior parte del tempo a leggere con le gambe ciondoloni dal parapetto. Certo, tutti avrebbero preferito vederlo un minimo più attivo, ma si fanno bastare questo, che, alla fin fine, è già un buon passo.
«Scommetto quello che volete che in qualche modo c'entra il pipistrello che vediamo spesso svolazzare da queste parti!» azzarda Halta, ricevendo in risposta gli sguardi strafottenti degli altri.
«Certo, e magari è proprio lui il responsabile dell'affondaggio della nave della Marina!» la sfotte Ace, ridendo come uno che ha appena sentito un'assai divertente barzelletta «Tu hai perso troppo tempo con quel libro, Halta.» commenta tra una risata e l'altra, senza metterci neanche una briciola di cattiveria. Quando poi si rende conto che la donna ha abbassato il capo, furiosa ed offesa, si sente inevitabilmente in colpa.
Più tardi le chiederò scusa.
«Per me è stato lui...» borbotta la donna, torturandosi le mani in modo che non prendano il controllo assoluto del suo corpo e la portino a compiere un massacro degno del mostro a cui tutti, chi più chi meno, pensano.
«Halta, sai bene quanto me che questo non è possibile.» la riprende Izo, possiandole le mani sulle spalle. I due si guardano negli occhi per qualche secondo, e alla ragazza basta poco per capire cosa vorrebbe dirle “Ti seguirò in questa tua folle ricerca, e ti terrò con me quando subirai una violenta delusione”.
Gli sorride grata, evitando di girarsi tra le sue braccia per baciarlo. Ok che tutti sanno, ma hanno comunque una reputazione da mantenere e non vogliono mandarla a puttane per un semplice bacetto!
«Cambiamo rotta, dunque.» ordina con tono piatto Marco, facendoli voltare di scatto «Virate a tribordo, raggiungeremo entro sera un'altra isola.»
«Il babbo non ne sarà molto contento.» commenta ridacchiando Rakuyo, mentre al suo fianco Namiur sbuffa contrariato.
«Temo che dovrà farselo andare bene, dal momento che i viveri cominciano a scarseggiare.» gli risponde con tono fermo la Fenice, un tono che non ammette repliche, facendo un cenno col capo a Curiel, che subito usce dalla stanza per andare ad impartire ordini a destra e a manca.
«Anche le medicine.» aggiunge Vista, senza nascondere la paura che prova costantemente nel vedere il proprio adorato Capitano diventare sempre più debole. Speed Jill annuisce con rammarico, ricordandosi di colpo di quando, due giorni prima, l'uomo abbia improvvisamente tossito sangue. Non sanno come fare, e le infermiere bastarde non li aiutano dicendo che, probabilmente, non gli rimane poi molto da vivere e che i sintomi che erano magicamente spariti mesi prima si stanno ripresentando in modo sempre più violento.
«Vado a dirglielo.» afferma convinto Satch, facendo dietrofront non appena si rende conto di non aver chiesto un'informazione non da poco «In che isola andiamo?»
Marco alza appena lo sguardo su di lui, e poi torna a fissare la cartina. I suoi occhi sono magnetizzati dalla parola døde che, da quel che riesce a ricordare, significa più o meno morte.
In suo aiuto va Ace, che sbircia per un istante la carta tanto discriminata, sorridendo appena «Una sotto la nostra protezione, Foodvalten.»

2

Lilith Lothbrook, ribattezzata dagli uomini di Barbabianca come Akemi, non si sarebbe mai aspettata che il suo piccolo esperimento con suo zio Fenrir sarebbe andato a buon fine. Si è resa conto di essersi però sbagliata quando, l'indomani mattina, si è svegliata intontita come se avesse preso la più grande sbronza della storia e con qualche piccola modifica al suo già bizzarro corpo: le sue lunghe e candide gambe, per esempio, erano coperte, soprattutto sugli stinchi, da una lieve peluria nera e, proprio in mezzo alle cosce, c'era una chiazza di sangue nero ad imbrattare il materasso. Non c'è neanche da dire che la ragazza ha cacciato un urlo tanto forte da allarmare tutti gli abitanti di Helheimr.
La madre e Fenrir, veloci come solo Kizaru poteva essere, sono sfrecciati nella sua stanza e l'hanno trovata in lacrime, terrorizzata proprio come quando era arrivata all'isola. Ed è stato in quel preciso momento che Astrid Anwend, la Regina dei Dannati, ha perso completamente il controllo delle proprie facoltà mentali ed è esplosa in un attacco d'ira profonda nei confronti nel compagno, che, zitto come un topolino, si è sorbito le sue urla isteriche tenendo la testa china, evitando così di scoppiarle a riderle in faccia. Così facendo, in fondo, avrebbe firmato con le proprie mani la sua condanna a morte, e la cosa non gli andava molto a genio.
Ci sono volute tre ore, otto diversi tipi di sedativi, tre analgesici e cinque martini con due olive ciascuno per farla calmare e farle accettare che il suo compagno aveva morso ed infettato ulteriormente con il morbo della licantropia la figlia, giusto per vedere se l'organismo della ragazza poteva cambiare e schierarsi in modo più chiaro con una semplice razza. Cosa che, anche se di poco, è effettivamente avvenuta. Ora ha la normale peluria di ogni donna, i suoi occhi sono screziati d'oro come quelli dei lupi e la sua pelle è lievemente più calda. Niente c'è stato da fare per le zanne e gli artigli, ma per i due Lothbrook è stato già un buon risultato.

Adesso attendono impazientemente di vedere quali cambiamenti subirà la ragazza al momento della muta, che potrebbe avvenire giusto questa notte, momento in cui si terrà la cerimonia della “Luna di Sangue”.
Akemi non sta più nella pelle per l'emozione. In realtà vorrebbe non starci letteralmente più, visto che sta sperimentando su di essa un metodo molto efficace di depilazione, ma che si sta rilevando anche dannatamente doloroso.
«Stringi i denti, forza! Lo facciamo tutte ogni due mesi e nessuna è mai morta!» Freya prova a bloccarla per le braccia mentre Astrid, munita di palettina e guanti di gomma, spalma un filo di acido corrosivo sulla pelle candida della figlia, in modo tale da bruciare i bulbi piliferi ed impedirne la rigenerazione per un lungo periodo. Sa bene quanto sia doloroso, che probabilmente la ragazza scoppierà ad urlare come una disperata non appena vedrà il risultato iniziale, ma poi la ringrazierà quando le sue gambe saranno lisce come mai lo erano state prima.
Akemi stringe i denti con forza, quasi spaccandoseli, ricordandosi che con quel piccolo contrattempo del “rendiamo la ragazza presentabile per la cerimonia” può evitare l'allenamento con Freki.
Dall'ultimo massacrate allenamento di otto giorni prima, in cui l'ha ridotta ad uno straccio, per non dire peggio, le cose tra loro non sono cambiate: si trovano dopo pranzo, per comodità, si recano nel deserto, Akemi ne prende come un tamburo, Freki la sfotte e la molla in infermeria, poi si ritrovano la sera a cena.
Ha scoperto, infatti, che il lupo se ne è andato da casa sua perché è subentrato Kakashi da qualche anno, e la cosa era diventata ingestibile. Passano i suoi attacchi di rabbia dal niente e i tentativi di omicidio, ma sentire i suoi orgasmi ogni notte no.
Adesso, dopo aver terminato anche il dolorosissimo inguine, Astrid sceglie con cura i vestiti per la giovane figlia. Ad Akemi in realtà non piace che la madre la tratti come se fosse una bambola, vestendola, truccandola e facendole l'acconciatura, ma non le dice niente per una questione di rispetto. Certo, indossare una lunga gonna rosa pastello, una camicia bianca con le maniche lunghe (con tanto di fronzoli sul petto e suoi polsi), una scomoda cintura di diamanti sulla vita e un paio di tronchetti bassi di un tenue rosa pallidissimo, non è proprio nel suo stile, anzi, non lo è per niente, ma se questo la può rendere felice... che sia!
Anche il fatto che si diverta ad acconciarle i capelli, creando trecce complicate che si intersecano tra loro, non le va per niente bene, ma tiene la bocca ben chiusa. Si limita a guardarsi allo specchio, ad osservare quella creatura dall'aspetto regale ed angelico che tanto detesta, mentre la madre le si avvicina all'orecchio con un sorriso raggiante in volto.
«Perché non vai a farti una bella girata dell'isola, oggi? Stasera dovrai essere molto veloce, quindi ti conviene sapere dove metterai le zampe!» propone entusiasta, circondando le spalle della sua adorata bambina con delicatezza, baciandola a ripetizione sulla guancia pallida e vagamente tiepida.
Perché Astrid ama la sua bambina, la venera. Farebbe qualsiasi cosa per lei, e vederla adesso, così elegante e docile nei suoi confronti, la manda assolutamente in estasi. Era convinta che si sarebbe trovata per le mani un pirata rozzo e privo di qualsivoglia buona maniera, invece non è andata assolutamente così: è calma, gentile e con lo sguardo sempre meravigliato per le novità che scopre.
«Accetto volentieri il consiglio.» asserisce la giovane immortale, facendosi rigirare come una bambola tra le sue forti braccia e lasciandosi abbracciare con trasporto, come se non si vedessero da anni. Anche tutte queste eccessive smancerie le danno piuttosto fastidio, ma è arrivata presto a comprendere che Astrid è pur sempre sua madre e, per quanto sia spietata, farebbe tutto ciò che è in suo potere per renderla felice. Un modo, per quanto errato sia, di mostrarle tutto il suo affetto è proprio stritorarla continuamente in abbracci mozzafiato.
Non appena riesce a liberarsi, sfreccia velocemente fuori dall'enorme reggia, che ormai conosce a memoria, e si lancia a capofitto nella vegetazione circostante. Corre, corre come se ne dipendesse della sua stessa vita, felice come non lo era da tempo. In fondo non la fanno mai girare da sola!
Finsce per puro caso di fronte ad un rudere di discrete dimensioni, che si erge tra gli alberi, completamente isolato dal caos di quella bizzarra isola. Le pareti in mattoni scuri sembrano quasi implorare di essere riprese in mano e di essere riportate al loro antico splendore, ma non per questo sono meno solide di quelle della reggia di Fenrir. Certo, non avranno tutti i suoi sistemi di sicurezza, ma ad occhio e croce si può dire che siano resistenti a sufficienza per un primo attacco.
Alcune finestre sono rotte e riaggiustate alla meno peggio, mentre il tetto è stato da poco aggiustato alla meglio, così come la grande porta del capanno. Diversi rampicanti hanno preso dimora tra le pieghe dei mattoni, conferendo così a questa già bislacca dimora un aspetto davvero antico.
Chissà chi ci vive?” si domanda incuriosita la ragazza, azzardando un passo in avanti.
Si blocca subito però, notando un particolare inquietante a pochi metri dall'abitazione: tre biciclette arrugginite, rovesciate sulle selle e perfettamente allineate, con le ruote all'insù che cigolano ad ogni misera bava di vento.
Turbata da quella vista, ricomincia semplicemente a correre, dirigendosi volontariamente verso la parte sud dell'isola. Non vuole andare in città e vedere quanti mostri ci sono, ne ha troppa paura.
Il problema, però, sorge dal fatto che anche la parte sud dell'isola è abitata. Sulla costa è situata la Villa delle Anime, luogo in cui vivono le anime di tutti coloro che hanno deciso, per amore o altre buone cause, di uccidersi al suo interno, in modo tale da poter sia vivere per sempre senza tutte le complicazioni che ciò generalmente comporta, sia per poter stare eternamente con gli immortali a loro cari. È un luogo affollato in effetti, Fenrir e Wulfric passano una discreta parte delle loro giornate su diversi progetti di ampliamento, ma lì dentro sono tutti felici: danno spettacoli, giocano e conversano tra loro, organizzano festini nei pressi della loro casa, che mai più potranno abbandonare. Insomma, se la spassano parecchio.
Il problema sorge, per la piccola Akemi, che non troppo lontano da questo pacifico posto sono situati altri due edifici: il primo e più vicino all Villa delle Anime è il mattatoio, dove ogni giorni vengono portati gli zombie a nutrirsi con gli avanzi delle carcasse dei pasti dei lupi; il secondo, invece, altro non è che un blocco dove vengono tenuti per non dar noia a nessuno. Non che per altri mostri siano pericolosi, tutt'altro, però può risultare fastidioso vedere i propri figli sporcarsi dei loro pezzi di carne putrida.
Akemi non lo sa, per questo continua a camminare, osservando con sguardo meravigliato il verde brillante della vegetazione, i fiori colorati sparsi qua e là, la brillantezza delle acque del fiume Fyssire. Si abbassa per toccare quelle acque cristalline, sfiorando per puro caso un piccolo rospo che passava di lì, finché un gorgoglio strozzato le arriva alle orecchie.
Si alza in piedi di scatto, tendendo bene le orecchie per poter capire meglio da dove provenga quell'orrendo rumore e chi sia a produrlo, senza grandi risultati. La paura che sia qualcosa di veramente cattivo venuto fin lì per ucciderla è troppo forte per potersi concentrare come dovrebbe.
Poi, come se fossero stati fin'ora nascosti dietro agli alberi a fissarla, delle carcasse putride le si avvicinano con passo malfermo. Le loro carni sembrano lì, lì per staccarsi, alcuni di loro hanno pezzi scheletrici e organi vitali in bella vista. Dalle loro bocche e dalle loro cavità nasali esce sangue e una bava rossa e trasparente, che pare fatta di nylon. L'odore che emanano è orribile, odore di carne marcia.
Akemi sgrana gli occhi per l'orrore, pietrificata dalla paura e dalla sorpresa, e quando uno di loro riesce ad afferrarla per un braccio, grida. Grida con tutta l'aria che ha nei polmoni, divincolandosi finché il braccio del non-morto si stacca e cade a terra, senza scatenare nessuna reazione nella creatura.
Si rigira velocemente per scappare, ritrovandosi però tra le braccia protettive di Freki. Non sa da quanto tempo è dietro di lei, non sa neanche il perché le sia andato dietro, ma non riesce a non esserne contenta. Immerge il viso nel suo petto muscoloso, stringendo con le mani la sua maglietta per impedirgli di allontanarsi.
Il lupo, seppur vagamente sorpreso dalla reazione della giovane immortale, decide di non badarci troppo, tenendo gli occhi fissi sui non-morti che continuano ad avvicinarsi. Innervosito dal loro avanzare, poi, snuda le zanne e comincia a ringhiare rabbiosamente, facendoli bloccare.
«Fuori dalle palle.» soffia con voce gutturale e roca, spaventoso come solo lui sa essere. Per Akemi, neanche Fenrir quando perde la pazienza è così mostruosamente terrificante.
Gli zombie si allontanano con passo malfermo, tornando nel loro blocco. Fenrir costruì appositivamente per loro un intero edificio in cui potessero stare, ben lontano dalle abitazioni e non troppo dal mattatoio in cui li portano a nutrirsi, in modo che potessero “vivere” in pace, senza il rischio di far scoppiare di nuovo quell'orrenda epidemia e per non creare disturbo agli altri abitanti. In fondo non è piacevole veder passeggiare di fronte a casa propria una carcassa in decomposizione!
Freki li osserva con astio mentre si ritirano, ignorando momentaneamente la ragazza che ancora trema tra le sue braccia. Solo quando non ne vede più neanche uno abbassa lo sguardo, provando stranamente un senso di compassione, cosa che lo costringe a rialzare lo sguardo, stavolta con un'espressione assai seccata.
«Non sono pericolosi. Non per noi, almeno.» borbotta disinteressatamente, lasciando finalmente cadere lo sguardo sulla creaturina tremante che ancora stringe tra le braccia. Il suo sguardo è interessato e un po' perplesso, e quando la ragazza alza finalmente gli occhi su di lui, si lascia andare ad un debole sorriso per provare a rassicurarla un poco «Hanno il cervello ridotto a una frittata!»
Questo suo tentativo di rassicurazione però fallisce miseramente, dal momento che Akemi poggia di nuovo la fronte sul suo petto, tremando come una foglia. Il lupo sbuffa infastidito, pensando e ripensando ad una qualsiasi cosa che possa tirarla minimamente su di morale. Poi, di colpo, l'illuminazione.
«Sai... l'unico che era capace di manovrarli a proprio piacimento, facendogli addirittura dimenticare la loro insaziabile fame di carne umana per poterli così usare come guerriri, o comunque come sacchi di carne putrida da sacrificare... era tuo padre.»
Akemi alza di nuovo lo sguardo su di lui, guardandolo con una certa meraviglia negli occhi «Davvero?»
«Mh mh.» asserisce il maggiore, lasciandosi andare di nuovo ad un sorriso, più vero e rassicurante del precedente «Tutti i vampiri ci hanno provato più volte, ma nessuno è mai riuscito ad entrare nelle loro menti. Solo lui.»
«Neanche Fenrir?»
«I licantropi non hanno quel genere di poteri psichici, mocciosa. Però hanno comunque paura di lui!» risponde ridacchiando, passandole una mano sulla testa come farebbe col fratello «Hanno una sottospecie di paura di tutti noi, per la verità, però con lui accennano pure un inchino.» aggiunge subito dopo, cingendole le spalle con entrambe le braccia, ridacchiando al ricordo dell'ultima volta in cui quelle creature sono scappate il più velocemente possibile alla sola vista del lupo Imperatore, inciampando nei loro stessi piedi e sfracellandosi a terra come dei babbei.
Akemi lo guarda con attenzione, non provando più troppa paura di lui. Certo, non che non abbia il timore che di punto in bianco stringa con cattiveria le braccia attorno al suo corpo e la spezzi in due, però deve ammettere che è piacevole vederlo così sorridente e protettivo.
«Non sei poi tanto male così...» mormora guardandolo attentamente, spezzando di colpo il suo allegro sorriso.
La guarda con attenzione, Freki, leggendo nei suoi occhi una nuova curiosità che non le aveva mai visto. La stessa curiosità che spesso vedeva negli occhi glaciali di Týr, quella che alla fine ti conduceva a fare stronzate colossali.
Si stacca velocemente da lei, passandosi le mani tra i capelli castani e portandoli all'indietro. Pensa attentamente a come comportarsi, e alla fine giunge ad una conclusione bizzarra pure per lui: l'affezza con forza per un polso e se la tira dietro, facendola sbilanciare e quasi cadere a terra. Ride di gusto nel vedere la sua espressione contrariata, ma non ha intenzione di mollare la presa, spiegandole pure il perché.
«Forza, seguimi: ti farò da Cicerone!»

Camminano con passo lento e calmo per la cittadina gremita di creature, fermandosi di tanto in tanto a scambiare due chiacchiere veloci con i passanti. Sono tutti incredibilmente calmi, alla mano e cortesi, cosa che lascia di stucco la giovane immortale. Era convintissima che fossero brutali, cattivi, e invece sono semplicemente curiosi di conoscere la creaturina che ha portato tanto scalpore nel loro mondo e che adesso passeggia al fianco dell'irascibile Freki.
Il lupo non molla neanche per un istante il polso della ragazza, conducendola per le varie vie, fino ad una casa di modeste dimensioni a due piani, con un piccolo giardino ben curato e dalla facciata di un brillante giallo chiaro. Freki la guarda con una certa nostalgia, informando poi la ragazza che quella era casa sua prima che l'eccentrico vampivo vi si trasferisse.
«Mi piace.» afferma sinceramente Akemi, sorridendogli per la prima volta in quasi un mese.
Freki le sorride di rimando per educazione, quando di colpo la sua attenzione viene attirata da un rumore fastidioso di vetri che si frantumano contro il muro. Volta così la testa verso la finestra del salotto lasciata aperta, e la sua espressione muta completamente al suono della voce più che alterata di Kakashi.
«Nessuno può salvarti!» sbraita infatti il giovane vampiro, spaventando inconsapevolmente l'amica che adesso stringe con forza il braccio del lupo, nascondendosi anche dietro la sua considerevole mole.
Freki, però, non le presta attenzione e semplicemente corre verso la finestra, entrando dentro casa come una furia.
Akemi fa lo stesso, giusto per non rimanere fuori da sola, e quando finalmente si alza in piedi dopo il balzo, si trova di fronte ad una scena che davvero non si sarebbe mai aspettata. Kakashi, infatti, ha preso in ostaggio Duncan, compagno di Dana e fratello di Jena, tenendolo legato ad una sedia con delle corde e tenendogli una pistola puntata alla testa. Il licantropo non nutre la minima paura, abituato ormai da tempo ai suoi scatti di rabbia, ma piuttosto dimostra un certo fastidio.
«Dammi la pistola Kakashi...» ordina Freki, massaggiandosi le tempie con fare esasperato.
«Non vi avvicinate.» soffia assai innervosito il biondo, impugnando con maggior decisione la pistola puntata alla tempia dell'amico.
«Dammi la pistola, ho detto!»
Kakashi punta per qualche secondo la pistola verso Freki, che aveva fatto un paio di passi in avanti per provare a togliergli l'arma dalle mani, ma ci ripensa immediatamente e la punta di nuovo verso Duncan, guardando con astio i due immortali in piedi di fronte a sé «Non vi avvicinate o il cane verrà ucciso!»
Freki sospira al limite della sopportazione, deciso a non dare di matto come al solito per il semplice motivo che farebbe scappare a gambe levate anche la ragazzina che finalmente si lascia avvicinare senza tremare «Stammi a sentire, coglione: una pistola è una cosa molto pericolosa. Se una pallottola attraversasse la testa di Duncan, potrebbe causare danni assai gravi, come rompere una finestra o danneggiare lo stereo!» sibila a denti stretti, fissandolo con gli occhi ormai completamente dorati e colmi di ira «Allora: me la dai o no quella cazzo di pistola?!»
Kakashi si limita a ridacchiare come impazzito, punzecchiando la tempia dell'amico con la pistola e muovendosi a scatti da un piede all'altro «Non mi farai cambiare idea. Ho deciso che se le mie richieste non verranno esaudite ucciderò il cane e poi mi suiciderò.»
«Perché?» la domanda è uscita da sola dalle sue labbra, e adesso sente un brivido di paura salirle su per la spina dorsale. Non avrebbe mai pensato di vedere gli occhi di Kakashi, sempre incredibilmente allegri, così pieno di fuoco e rabbia rivolti verso di sé. Indietreggia di un paio di passi, nascondendosi totalmente dietro l'enorme corpo di Freki.
«Perché non so cosa cazzo fare!» urla in risposta il vampiro, battendo un piede a terra come un bambino capriccioso.
«Mi è consentito dire una cosetta?» azzarda Duncan, che in quel momento dovrebbe stare con figlio maggiore a rassicurarlo, a dirgli che per lui non è importante se muterà quella notte o sei mesi dopo e che gli vorrà sempre bene in ogni caso. Invece è inchiodato lì, in una casa non sua, legato ad una sedia, con un vampiro psicotico che apparentemente vorrebbe accopparlo.
«No, imbecille! Non vedi che ci troviamo nel bel mezzo di una trattativa delicata?!» gli urla contro Kakashi, tirandogli pure una sonora pacca sulla testa come avvertimento.
«Scusa.» borbotta semplicemente il lupo, impegnandosi al massimo delle sue capacità per non scoppiare a ridere.
Tutti sull'isola sono abituati alle scenate di Kakashi e tutti, almeno una volta, le hanno provate sulla propria pelle. Gli unici che ancora non sono stati toccati sono i licantropi ancora non sviluppati e la piccola Akemi.
Freki sbuffa di nuovo, infastidito dal fatto che è parecchio in ritardo per una visita giornaliera per lui molto importante, così decide di assecondarlo «Ecco la mia idea: scrivi su un foglio la tua prima richiesta, e per provare la tua buona fede spari a Duncan-»
«Cosa?!»
Freki se ne frega dell'interruzione dell'amico, e anche del fatto che Akemi continua a tirargli una manica per attirarne l'attenzione, e continua semplicemente ad esporre le sue assurde condizioni «Poi scrivi la tua seconda richiesta e dopo ti fai fuori.»
«Ammetto di avere qualche piccola riserva sul tuo modo di condurre le trattative...» borbotta Duncan, con la ridarella che tenta a tutti i costi di uscire, costringendolo così a dover tenere la testa china per non dover vedere l'espressione sicuramente comica del suo “aguzzino”.
«Questo è l'approccio iper-morbido.» scherza il maggiore, facendo l'occhiolino anche alla mocciosa ancora stretta al suo braccio.
«Si, si... farò così! Voi però andate via! Voglio stare da solo.» asserisce Kakashi, abbandonando pure l'ostaggio per accompagnarli alla porta. Scompiglia in un gesto affettuoso i capelli della ragazza prima di mandarla via, cosa che la sconcerta un po'.
Mentre si avviano in silenzio verso il vialetto asfaltato che lì condurrà verso l'ultima meta, sentono distintamente la voce allegra di Duncan provenire dalla casa «A stasera!»
Akemi procede con incertezza, continuando a voltarsi verso l'abitazione che si fa sempre più lontana. Sa bene che da quelle parti, per sicurezza, usano solo pallottole d'argento, e la paura di sentire il suono sordo dello sparo la manda nel panico. Pure Freki se ne accorge, fiutando senza sforzo l'odore della paura che emana la sua pelle. Così, come se fossero amici da sempre, le cinge le spalle con un braccio, avvolgendola completamente.
«Non preoccuparti, creatura non meglio identificata, starà benissimo. Kakashi ha spesso crisi di questo genere, ma poi non fa male a nessuno.» la rassicura, sorridendo dolcemente. Un sorriso strano se visto sul suo viso, così spigoloso e generalmente corrucciato in un'espressione di pura rabbia animale.
«Se lo dici tu...» borbotta la ragazza, lasciandosi guidare verso la scogliera. Per un istante l'idea che voglia buttarla di sotto e farla sfracellare su quegli enormi massi le passa per la testa, ma l'accantona nell'istante in cui l'uomo le lascia finalmente le spalle, superandola di qualche falcata. Fischietta pure, mettendosi le mani nelle tasche, allegro e tranquillo come non lo aveva mai visto.
«Come mai oggi sei tanto gentile con me?» la domanda le è sorta spontanea, e si sorprende nel vederlo girarsi con aria tranquilla e non furiosa. In fondo, quando lei apre bocca lui generalmente prova ad accopparla, quindi vederlo sorridere nuovamente la sorprende oltre ogni limite.
«La Luna di Sangue mi mette sempre di buon umore.» risponde con ovvietà il lupo, passeggianto sul pontile che unisce la costa alla scogliera. Si porta proprio sulla cima e butta qualcosa in mare, come dei croccantini per cani.
«Non avete una grande fantasia con i nomi, eh?» azzarda Akemi, ricevendo in risposta una sonora risata. “Così non è male...
«Assolutamente no.» risponde senza smettere di ridacchiare, per poi farsi serio di colpo. Guarda per qualche istante la ragazza, per poi voltarsi verso l'enorme distesa d'acqua che si staglia di fronte a loro ed urlare a pieni polmoni «DORY!»
Dopo quell'urlo disumano non succede assolutamente niente, e Freki rimane immobile a fissare il mare con sguardo ansioso.
Akemi lo affianca, seguendo il suo sguardo per capire cosa stia aspettando con tanta impazienza. Non notando assolutamente niente, decide di informarsi direttamente.
«Chi è Dory?»
Freki rimane in silenzio ad osservare il mare e, dopo una manciata di minuti, le sue labbra si tendono in un sorriso emozionato, come quello di un bambino che sta per ricevere un grande regalo.
«Lei.»
Un enorme serpente marino dalla pelle coriacea e squamata, solo la cui testa è grossa all'incirca come il ponte principale della Moby Dick, emerge dalle acque, puntando i due immortali con sguardo incuriosito.
Il corpo dell'enorme animale è ornato da infinite file di scaglie fortemente carenate, la cui colorazione è giallo sbiadito e rossastro, con una serie di disegni simili a diamanti di colore nero e celeste che percorrono tutto l'addome. Ha cinque creste dorsali bianche e tre resistenti corna sulla testa, due ai lati del muso quasi triangolare e uno sulla punta. Gli occhi hanno l'iride rosso sangue, cosa che le conferisce un'aria davvero terrificante. Le labbra sottile dell'enorme bocca sono di un violaceo tendente al nero, e se solo le socchiude mette in mostra delle acuminate zanne, grosse almeno quanto Freki, ognuna contenente una massiccia dose di veleno paralizzante. Immersa nell'acqua cristallina, si può intravedere la pinna caudale bianca.
«OH CRISTO
Akemi scatta all'indietro come una molla, inciampando maldestramente nei propri piedi e cadendo a terra, prendendo una sonora culata che fa innervosire l'enorme rettile.
Freki, che a stento trattiene una sonora risata di fronte alla sua goffaggine, si abbassa al suo livello e le mette una mano sulla spalla, imponendole di guardarlo negli occhi semplicemente aumentando la presa.
«Calmati mocciosa, è innocua. Certo, prima deve conoscerti, sennò rischi di diventare il suo spuntino.» prova ad usare un tono scherzoso e, sorprendente, funziona. Quando infatti la ragazza smette di tremare del tutto, si volta di nuovo verso il suo animaletto da compagnia, sorridendole allegramente «Dory, questa è Lilith... guarda quanto è piccola
L'animale inclina la testa di lato, mostrando una reale curiosità nei confronti della piccola amica del suo compagno di scorribande. Lo incontrò diversi secoli prima quando era appena uscita dal guscio, e non lo ha più abbandonato. Le infuse un tale senso di protezione che l'ha praticamente sedotta, motivo per cui si è messa a guardia delle acque che circondano l'isola, assieme a molti altri mostri marini.
«Non fare la maleducata, saluta!» sbotta di colpo Freki, tirando un sonoro e assai doloroso schiaffo sulla schiena della ragazza, guardandola in modo feroce.
«C- ciao Dory...?» balbetta insicura, quasi svenendo quando quell'enorme testa le si avvicina di colpo. Trema come se fosse preda di violente convulsioni quando l'animale comincia ad annusarla e tira fuori la lingua viola per sfiorarle il viso, e in un moto completamente istintivo nasconde il viso nel petto del tutore, allacciandogli pure un braccio attorno al collo. Con enorme sorpresa lo sente ridere di gusto, cosa che le impone di mollare la presa. Alzando un poco gli occhi nota che sta accarezzando dolcemente il muso di Dory, e che l'animale la sta guardando con ilarità.
«Le piaci.» afferma semplicemente Freki, togliendosi di tasca un gingillo d'oro che subito lancia in mare, facendo scattare la bestia, più che intenzionata a riportarglielo.
Akemi rimane immobile per terra, le braccia abbandonate lungo il corpo, un'espressione stralunata stampata in volto. I suoi occhi saettano senza sosta da Freki alla sagoma appena visibile del mostro che cerca l'oggetto. Non riesce a crederci, malgrado di stranezze ne abbia viste e sentite di tutti i colori. “Questa finisce direttamente sul podio!
«Direi che è meglio se vado. Si sta facendo tardi...» borbotta imbarazzata, alzandosi in piedi velocemente e pulendosi la lunga gonna rosa pastello. Tiene la testa bassa, incapace di sostenere ancora lo sguardo di quello strano uomo che adesso la sta fissando con curiosità.
«Ci vediamo alla cerimonia.» risponde Freki con eccezionale calma, tornando subito a fissare il mare. Quella sera anche lui avrà il suo bel da fare, e ora vuole solamente rilassarsi. Ne ha anche tutto il diritto, ad essere onesti.
Akemi fa per andarsene, ma dopo pochi passi si blocca. La testa china, le dita delle mani che si torturano l'un l'altra per il nervoso. «E se qualcosa andasse male?» domanda titubante, con il battito del cuore che accelera improvvisamente alla sola idea di fallire quell'importante prova.
«Tu non ci pensare.» risponde allegramente il lupo, voltando finalmente la testa verso di lei. I loro occhi s'incrociano per un breve istante, e il sorriso di Freki diventa incredibilmente luminoso e beffardo «Quando entri nella tenda, pensa che quando uscirai saranno tutte pecore!»

3

Di belle donne ce ne sono da buttare al mondo. Belle, disponibili, curiose di vivere l'esperienza di farsi un pirata per poi vantarsene con le amiche.
Pure Teach ha avuto il suo enorme colpo di fortuna, quando una biondina con le tette e il culo grossi gli si è avvicinata sensualmente e gli ha domandato se avesse avuto bisogno di un'infermiera quella notte. Il pirata non se l'è fatto ripetere due volte e le ha messo la lingua in gola e la mano in mezzo alle cosce, questo prima di caricarsela in spalla urlando di gioia e trascinarla nel vicolo dove scaricano l'immondizia dietro al locale. Cosa stiano facendo, nessuno lo vuole sapere. Gli piace immaginare che discutano di politica o giochino a carte, ma sanno quanto questo sia impossibile.
Alcuni comandanti della ciurma se ne stanno seduti al loro tavolo, bevendo e scherzando, mentre con un occhio tengono sottocontrollo i diversi membri della ciurma che sono venuti con loro. Civettano un po' con chiunque, e la cosa li fa ridere di gusto, ma buona parte della loro concentrazione è puntata esclusivamente su di loro. Ci sono infatti sette donne al bancone del bar. E solo belle. Dio, se sono belle! Gambe lunghe come un'autostrada, capelli raccolti in acconciature complicate, tutte con un paio di tette che ricordano molto quelle di Boa Hancok, volti così belli che sembra che li abbiano scolpiti gli angeli.

E adesso li guardano, muovendo sinuosamente i fianchi l'una sull'alta, toccandosi lascivamemte.
Tutti i presenti sarebbero davvero curiosi di vedere i loro occhi, coperti da spesse lenti scure, giusto per scoprire se hanno o meno qualche possibilità di essere toccati come stanno facendo tra loro.
Quando poi si accorgono del piccolo dettaglio che adorna i loro lunghi e diafani colli, l'eccitazione sale di più, grazie anche alle loro menti che sperano di poter mettere una catena a quei guinzagli borchiati.
Marco siede scompostamente sullo sgambello, continuando a bere dosi generose di un rum scadente. Non che si aspettasse molto quando erano entrati un paio d'ore prima, considerato lo squallore che li circondava, ma alla fin fine gli va bene. Un tavolo dove appoggiare da bere, sgabelli a sufficienza per far sedere i compagni e donne ubriache che gli volteggiano intorno, atteggiandosi in maniera imbarazzante.
Ace se ne è andato da un po' insieme ad una biondina promettente, affermando, seppur con poca convinzione, che la vita è una sola e va vissuta a pieno. Una specie di frecciatina ai due pirati dal cuore infranto, che si sono guardati a vicenda negli occhi.
Satch non è pronto ad andare avanti, a voltare pagina. Vorrebbe farlo, eccome, ma l'idea di toccare un corpo che non sia quello di Mimì gli dà semplicemente la nausea.
Per Marco, invece, la situazione è ben differente. Lui vuole assolutamente voltare pagina, liberarsi di quel fastidioso peso che gli grava sul cuore, rimarginare in qualunque modo quella fastidiosa e assai dolorosa ferita. E quale modo migliore se non andare con altre donne? Sono due quelle che adesso hanno attirato la sua attenzione, oltre alle intoccabili donne presumibilmente bisessuali che adesso non li degnano neanche di uno sguardo. Una ha dei lunghi capelli color cioccolato fuso, la pelle nera, così come i grandi e truccatissimi occhi da gatta. L'altra invece ha la pelle chiara come il latte, i capelli castani e gli occhi sottili di un dolce color caramello. Ambedue hanno una notevole caratteristica in comune, ovvero un paio tette decisamente enormi. Ed entrambe lo fissano, fanno sesso con lui solo con gli occhi.
Si può anche fare...
Si alza svogliatamente dal suo posto, finisce il contenuto del suo bicchiere e, barcollando, si dirige verso di loro.
Satch lo afferra prontamente per un polso, domandandogli dove sia diretto, se per caso si stia sentendo male, e la Fenice risponde seccatamente che vuole divertirsi e che non vuole rotture di palle.
Il quarto comandante storce la bocca a quella risposta, ma non controbatte. Sa bene che ognuno affronta il dolore a modo proprio e anche che l'alcol può aumentare quelle sensazioni sgradevoli, anziché cancellarle dalla mente.
Beve un sorso da un bicchiere a caso, pensando se sia o no il caso di andarsene in camera e farsi una lunga e salutare dormita, ma poi decide di rimanere con i compagni. In fondo non è una cosa da tutti i giorni vedere ben tre donne contendersi Namiur!

Nel frattempo, a bordo dell'imponente Moby Dick, ormeggiata nel porto principale senza problemi, due comandanti osservano dalla coffa il mare bagnato dai raggi della Luna Piena con sguardo rapito. Si tengono stretti l'un l'altra in un abbraccio affettuoso che non credevano che si sarebbero mai scambiati in pubblico. Poco conta il fatto che non ci sia nessuno nelle vicinanze, per loro è come stare davanti ad un'intera platea anche così. Però non gli importa.
«Il babbo sembra stare meglio...» afferma con un filo di voce Izo, parlando direttamente nell'orecchio della compagna.
Halta annuisce piano, senza dirgli che anche poco prima lo ha sentito singhiozzare nella sua stanza. Sa bene, forse per intuito femminile o semplicemente perché lo conosce da decenni, che non si mostrerà più vulnerabile davanti a loro, sia perché vuole rincuorarli sia perché deve difendere il proprio orgoglio. Ma sa anche altrettando bene quanto volesse bene ad Akemi, quanto fosse profondo il loro legame, seppur segnato da alti e bassi.
«Anche Marco pare essere migliorato in questa settimana.»
Per un attimo si sente quasi indispettita. Vorrebbe chiedergli se lui si riprenderebbe tanto facilmente dopo essersi rivelata un mostro affamato di carne umana, una bestia da abbattere a vista e che, dopo la fuga, fosse stata trovata morta stecchita su una spiaggia. Vorrebbe davvero chiederglielo per fargli capire che no, Marco non sta affatto bene, che sta solo fingendo come molti di loro stanno facendo, ma non lo fa. Renderlo consapevole di quanto quel dolore sia ancora inciso nei loro cuori sanguinanti non lo aiuterebbe. Perché anche lui soffre, seppur in completo silenzio, e lei lo sa.
«Presto tornerà tutto come prima.»
«Lo spero davvero...» finalmente risponde, stringendo maggiormente le mani attorno a quelle di lui. Da un mese si sta aggrappando a quell'idea, ma niente le sembra tornare come prima. Manca sempre qualcosa, quella scintilla di follia a cui si era tanto felicemente abituata, quelle stranezze giornaliere contro cui combattere, le risate e i battibecchi.
Vorrebbe mettersi a gridare con tutto il fiato che ha nei polmoni e anche di più, con la speranza di essere sentita dalla sorella morta, ovunque si trovi, e fare in modo di poterla vedere, anche da lontano, ma non lo fa. Non fa più tante cose, ormai. L'unica cosa che riesce a fare spontaneamente è stringersi ad Izo, alla sua ancora di salvezza da tutta quell'agonia.
Si volta a guardarlo, osservando i tratti decisi, la mascella squadrata e liscia, i capelli neri come la notte lasciati stranamente sciolti, gli occhi scuri e brillanti che la osservano a loro volta. Poi semplicemente gli si avvicina, piano, come se avesse paura di essere rifiutata, e finalmente poggia le labbra sulle sue in un bacio delicato.
Izo la stringe maggiormente a sé, ricambiando ardentemente mentre se la rigira tra le braccia. Mai avrebbe pensato di trovare in lei, la mascholina Halta, una compagna da poter sincermanete amare, con cui condividere il letto ogni notte, con cui potersi serenamente mettere a nudo, corpo ed anima. Invece è successo, e adesso non può far altro che ringraziare quell'anima dannata che li sta sicuramente osservando da qualche parte, magari ridacchiando tra sé e sé per l'ottimo lavoro svolto.
Un rumore stridulo attira improvvisamente l'attenzione di entrambi, che sciogono di colpo l'abbraccio. Si guardano attorno con attenzione, finché eccolo lì, il pipistrello che hanno visto spesso negli ultimi giorni. Lo stesso pipistrello troppo grosso e che vede benissimo alla luce del Sole. Solo il fatto che veda lo rende particolarmente speciale, così come il fatto che si muova in mare aperto.
«Dammi un secondo.» afferma bruscamente Izo, scansando la compagna con un movimento brusco del braccio. Impugna velocemente la pistola, prende la mira e preme il grilletto, centrando perfettamente il suo corpicino nero e peloso.
«Eliminato il problema!» escalma contento, voltandosi verso la compagna con un sorriso vittorioso in volto. Sorriso che però muore di fronte all'espressione sbigottita di Halta, che alza debolmente il braccio per indicarlo.
«È ancora vivo...» mormora, facendolo voltare «E ci sta fissando.»
Anche se a lunga distanza, Izo si accorge degli occhi glaciali della bestia che ancora vola tranquilla e per un attimo il suo cuore si blocca. Che la compagna non avesse poi tutti i torti? No, è impossibile. Sono solo stati soggezionati da quel maledetto libro, di cui presto si sbarazzerà.
«Che ne dici di andare a bere qualcosa con gli altri?» propone titubante Halta, che sta già scendendo dalla coffa a gran velocità.
«Come vuoi.»

Una camera sconosciuta, arredata con un grosso letto matrimoniale gigolante, una poltrona sfondata in un angolo e una cassettiera che non è ancora crollata per pura fortuna.
Ma a Marco non importava niente del dove, gli importava solamente di arrivare al dunque.
Adesso le mani scorrono febbrili sui corpi delle due donne che aveva avvicinato. Le bocche si cercano. I corpi sudati si aggrovigliano, madidi di sudore. Per la camera riecheggiano i gemiti rochi del trio, incapaci di controllarsi.
Marco non pensa più a niente, solo al piacere infinito che quelle due sconosciute riescono a dargli. Sa bene che quello è un sollievo momentaneo, che una volta tornato lucido torneranno anche tutti i suoi dolorosi pensieri e ricordi, ma adesso non gli importa niente. In fondo il detto dice che “chiodo scaccia chiodo”, quindi magari due chiodi riusciranno a scacciare quegli enormi chiodi che ha piantati nel cervello e nel cuore. Nel caso ciò non accada, non si farà problemi l'indomani pomeriggio a cercarsi altre donne ben disposte come quelle che si sta scopando adesso.
La ragazza dai brillanti capelli castani lo bacia con tutta la passione che ha in corpo, aspettando il proprio turno con trepidazione. L'amica, che continua a muoversi freneticamente sul bacino del biondo pirata, carezza lascivamente il suo corpo, provando così ad alzare il tasso erotico di quella piccante situazione.
A Marco in realtà frega poco o niente che raggiungano l'orgasmo, gli importa solo di stare bene per sé. E ciò non sarebbe neanche troppo difficile, se solo un corvo di sua conoscenza non beccasse sul vetro della finestra e li fissasse con tanta insistenza.
La Fenice lo guarda giusto per qualche istante, per poi voltarsi per tornare a concentrarsi sulle due. Che veda, che riferisca ciò che fa a chiunque li abbia tenuti sotto controllo fino a quel momento. Non gli importa di niente. Che lo vedano, che sappiano dov'è e vengano ad ucciderlo. Non gli importa.
L'unica cosa importante è scacciare quei maledetti chiodi.

4

La notte della Luna di Sangue, in cui i giovani cuccioli mutano per la prima volta entrando così nell'età adulta, avviene ogni sei mesi e tutti l'aspettano con trepidazione, talvolta scommettendo su quale sarà il giovane licantropo che ucciderà per primo.
La cerimonia consiste in una vera e propria caccia all'uomo per l'isola. I ragazzi vengono prima chiusi in una tenda, dove viene iniettato loro il siero che innesca la mutazione in lupo, e dopo vengono lanciati all'inseguimento, eccitati dall'odore del sangue delle vittime. Una volta uccisa la vittima dovranno annunciarlo con un ululato, dichiarando così a tutti quanti la propria forza.
Questa notte sono diciassette i ragazzi presenti, tra cui anche il figlio maggiore di Dana e Duncan, Ed. Lui, esattamente come tutti gli altri, non sta più nella pelle per l'emozione: potrebbe finalmente aver raggiunto il picco delle proprie capacità e potrebbe mutare per la prima volta, portando così orgoglio nei genitori. I fratelli lo guardano emozionati, perfetti nei loro abiti da cerimonia.
Akemi è spaventata a morte dall'idea di fallire, di non essere in grado di soddisfare le aspettative della sua famiglia e di tutti i presenti. Alcuni, i più folli, hanno pure scommesso su di lei!
La madre parla amichevolmente con alcuni dei presenti ed incoraggia altri partecipanti.
Killian e Freya girano attorno al recinto in cui sono stati rinchiusi diciassette umani, tutti terrorizzati alla vista dei vari mostri che li circondano. I due grossi lupi neri girano attorno a loro, snudando le zanne ad ogni loro movimento, costringendoli ad ammassarsi l'uno sull'altro, facendoli piangere per la disperazione.
Fenrir parla con Freki. Nessuno bada realmente a loro, nessuno li ascolta. Se lo facessero, sentirebbero quanto la situazione fuori dall'isola si stia facendo strana, scoprirebbero che Akemi è stata data per morta e che in alcune isole stanno accadendo cose bizzarre, come, per puro esempio, lo scoppio di una pericolosa epidemia che loro stessi debellarono secoli addietro.
Poi, per annunciare l'inizio dei giochi, i corvi si levano in volo, gracchiando con forza, e tutti si fermano. Fissano intensamente i ragazzi adesso tremanti, fermi davanti alle proprie tende. Se prima erano emozionati, adesso sono solo spaventati. Le possibilità di deludere le famiglie per la mancata mutazione sono alte, e nessuno di loro si sente più tanto sicuro di riuscire ad affrontare gli sguardi dei presenti nel caso dovesse essere costretto ad uscire dalla tenda sotto spoglie ancora umane.
Astrid si avvicina con passo calmo alla figlia, così come fanno tutti i tutori dei ragazzi. Le poggia le mani sulle spalle e la guarda con orgoglio e affetto, baciandole poi la fronte con delicatezza.
«Entra nella tenda.» le ordina parlando piano, facendo scivolare le mani dalle spalle alle sue mani.
«Ti potrei fare del male...» pigola la ragazza, puntando i piedi a terra, decisa a non muovere più neanche un passo. Sente di sfuggita una specie di ruggito giungere da un punto non troppo distante da sé e, voltando un poco lo sguardo, si accorge che Freki ha effetuato la muta in un batter d'occhio. È un esemplare particolarmente grosso, quasi al limite della loro stazza, con gli occhi che continuano a trasudare intelligenza e furbizia, cosa di cui invece non è capace il fratello, che sembra in tutto e per tutto un animale selvaggio e primitivo.
«Assolutamente no.» la voce calda e ferma della madre la riporta con i piedi per terra, facendola voltare di scatto. «Sono la tua Alfa, Lilith. Tu non puoi farmi del male. Sei troppo giovane e... debole per disobbedire ai miei ordini.» continua Astrid, sorridendole debolmente, provando nuovamente a condurla nella tenda.
Akemi però si blocca di nuovo, lanciando un'altra fugace occhiata verso l'enorme lupo nero dallo sguardo intelligente che ancora non le ha staccato gli occhi di dosso. Lo guarda in cerca di approvazione, fissandolo con timore crescente. Quando poi la bestia annuisce, si fa finalmente coraggio ed entra, preceduta dalla madre. Non c'è alcun tipo di arredamento all'interno, neanche il più misero.
La corvina si guarda attorno con aria circospetta, cercando di ignorare con tutta sé stessa quei nuovi dolori che sente propagarsi per tutto il corpo.
«Devo farti l'iniezione.» afferma di punto in bianco la donna, usando un tono di voce piatto ed estremamente impersonale.
Akemi la guarda dubbiosa, decidendo infine di fidarsi di lei. Sa cosa sta facendo, lo fa da secoli, e di certo non le farebbe mai del male. Reclina così il capo di lato, lasciando che i capelli scivolino sulla sua schiena, porgendole il collo pallido in cui viene inserita la piccola siringa.
«Se sei pronta alla muta, il tuo corpo reagirà a questa sostanza e muterai. Altrimenti, il tuo corpo la rifiuterà e cadrai in un sonno profondo per cinque giorni.»
Akemi ridacchia convulamente, cercando di non pensare più alla profonda delusione che le darebbe. Perché ha sentito poco prima i discorsi degli altri partecipanti, ha letto negli occhi di Ed la paura di fallire nuovamente e in quelli dei genitori la loro profonda e sviscerata speranza di riuscita. Non sa che alla madre non interessa niente, e che ancora meno importa a Fenrir. Forse quello a tenerci di più è il suo tutore, che non vede l'ora di poterla allenare sotto la loro vera forma.
Astrid lascia scivolare la tunica bianca sul corpo della figlia, mettendola a nudo, aspettando con il battito del cuore sempre più forte che accada qualcosa. Non le importa che muti o che cada in coma, ma deve vedere cosa accadrà. E dopo qualche minuto di attesa, quel qualcosa accade. Akemi si accascia a terra, le mani strette attorno alla testa che pulsa insopportabilmente mentre si allunga innaturalmente, il corpo che continua a tremare come in preda alle convunsioni, ricoperto di sudore.
Di colpo si sentono dei terribili ringhi gutturali risuonare per tutta l'isola, tutti liberati nel momento esatto in cui le prede vengono ferite ad un braccio e vengono lasciate andare.
Il viso di Akemi si allunga ulteriormente, così come il corpo. Le spalle si incurvano, braccia e gambe diventano sempre più lunghe e sottili. La pelle non riesce a reggere tale sforzo, così si squarcia, imbrattando di sangue la terra, impregnata anche delle massicce dosi di pelle caduta.
Peli chiari e sottili spuntano a vista d'occhio sul viso deforme e sulle mani, che si trasformano in zampe artigliate. La cassa toracica si allarga di colpo, la spina dorsale si spezza e si ricompone da sola.
Con le orecchie mostruosamente allungate riesce a catturare tutti i battiti cardiaci dei presenti nel raggio di almeno un chilometro, gli occhi neri come la notte le fanno vedere ogni imperfezione nella terra impregnata di sangue su cui è inginocchiata e l'olfatto sopraffino le impone di divorare i pezzi della sua stessa carne umana ancora caldi e fumani.
Astrid guarda la figlia con un certo orrore, cercando però di mascherarlo. Non è per quanto ha fatto, assolutamente. Lei mangiò sua madre e le sue due sorelline alla sua prima muta, e non se ne vergogna. No, è qualcos'altro a sconvolgerla, qualcosa che quasi, quasi le impone di tenere la sua adorata bambina nascosta al resto del mondo.
È brutta. Akemi è davvero brutta. Gracile, col pelo chiaro e sottile che ricorda i capelli di un vecchio decrepito, le zampe troppo lunghe e le ossa sporgenti.
È brutta, con quegli occhioni neri senza vita, così diversi da quelli dorati degli altri lupi.
È brutta, ha un odore diverso, un misto tra il morto dei vampiri e il cane bagnato dei licantropi.
È brutta, e ha paura che possano prenderla in giro una volta rivelata al mondo.
Le si avvicina piano, prendendole il muso deforme tra le mani delicate e guardandola dritto negli occhi «Andrà tutto bene, Lilith. Ce la farai, ne sono sicura.»
La giovane lupa annuisce poco convinta, incespicando nelle proprie zampe per riuscire ad avanzare. Le risulta difficile muoversi su quattro zampe adesso, ma dovrà farci i conti velocemente se vuole vincere. E lei vuole vincere. Vuole mostrare a tutte quelle creature di che pasta è fatta, che può essere sia un pirata che una sottospecie di licantropo, che può portare avanti il nome di suo padre con fierezza. Certo, le risate sguainate dei compagni non appena la vedono uscire dalla tenda non sono delle più incoraggianti. Anche i pivellini ridono di lei, apostrofandola come “lupo del deserto”, ovvero come “piccolo coyote rachitico da tenere di poco conto”.
Abbassa il muso guaendo, le orecchie ben tirate indietro per la vergogna, ma è costretta a rialzarsi quando Freki, forte e fiero come pochi, le dà una pacca sulla spalla col muso, convincendola così a prendere parte alla festa, a mostrare a quel branco di lattanti che lei, Lilith “Akemi” Lothbrook, può farcela, che è in grado di cacciare tanto quanto loro. Certo, Akemi non sa che il mannaro millenario la seguirà nell'ombra, che controllerà che nessuno le dia contro per dispetto, ma questo è un altro paio di maniche.
«Le prede hanno raggiunto la linea. Partite tra tre... due... VIA!»
I vari lupi partono alla carica, fiutando le tracce disseminate da quei poveri umani che fino a poche ore prima conducevano una vita tranquilla e lieta, e che adesso non potranno mai più tornare alle loro famiglie.
Il primo a fare centro, grazie alla sua sorprendente velocità, è Ed, che finalmente è riuscito a mutare, mostrando una stazza notevole. Rimane in piedi sulla carcassa del grasso fornaio che è riuscito ad atterrare ed ulula con tutto il fiato che ha nei polmoni per far capire a tutti che ci è riuscito, che è un lupo a tutti gli effetti, che merita di poter di servire Fenrir nel momento del bisogno.
Sono tanti poi gli ululati che irrompono nella notte, ma nessuno di quelli appartiene ad Akemi. Lo riconoscerebbero tra mille, così stridulo e fuori luogo, tanto da ricordare loro un cane che viene strozzato anziché un vero lupo. Fenrir dice che lavoreranno anche su quello, ma in realtà non è un grande problema. Il problema sorge solo se non riesce a cacciare da sola.
Ma lei è riuscita a cacciare, solo che non ha dato la lieta notizia. Si è messa piuttosto a girare attorno al fabbro che è riuscita a trovare, snudando le zanne ogni volta che i loro occhi s'incrociano. Lo vuole spaventare, lo vuole terrorizzare. Vuole che arrivi a supplicarla di ucciderlo, così come fece nelle tre settimane in solitaria.
Sente il respiro pesante di Freki tra la vegetazione e, alzando un poco il muso, si accorge che questa sua barbarie non è molto gradita.
Il grosso lupo nero l'avvicina, ululando per segnalare al branco la propria posizione, poi semplicemente affonda le zanne nella gola del povero disgraziato, uccidendolo in pochissimi secondi.
«Perché l'hai fatto?! Avevo tutto sotto controllo!» i loro sono solo dei latrati se ascoltati da orecchio umano, ma per loro hanno completamente senso. Certo, preferiscono evitare grandi conversazioni durante le battute di caccia, ma si arriva a dei momenti in cui sono inevitabili.
«Ti stavi divertendo a torturarlo. Non è a questo che serve la Luna di Sangue.» la rimprovera aspramente, facendola guaire. Ha ben capito Akemi che è lui a comandare, che le è superiore e che quindi non può alzare troppo la cresta con lui. Non vuole certo rischiare un'altra scarica di botte!
«Che ne facciamo...?» guaisce la lupa, spostando col muso la carcassa in direzione del lupo, che a sua volta piega la testa di lato con fare confuso.
«È roba tua. Mangia.» abbaia in risposta con una certa allegria, poggiando con un tonfo il posteriore a terra, pronto a godersi lo spettacolo. Un cucciolo che per la prima volta deve sbranare un corpo in completa autonomia lo ha sempre divertito un mondo.
«Mi tieni compagnia?»
Questo Freki non se lo aspettava minimamente. Si sarebbe aspettato che andasse su tutte le furie come al solito, che si rifiutasse, invece si dimostra stranamente docile, arrendevole e continua ad offrirgli la sua preda con gentilezza, spostandola con la punta del muso insanguinato.
Brutta quanto gentile.
Il grande lupo accetta quel bizzarro invito a cena e subito affonda le zanne nella carcassa del povero disgraziato, sventrandolo come un pesce e facendone uscire le interiora, che divora senza tanti complimenti.
Akemi preferisce mangiare la parte più in superficie, evitando accuratamente gli organi interni che ancora le fanno ribaltare lo stomaco, fino al momento in cui il muso tozzo e brutale del millenario non le fa rotolare sotto al naso il cuore ancora grondante di sangue della vittima. Un gesto dolce da parte sua, molto dolce, e Akemi si scioglie come neve al sole, abbracciando completamente le loro bizzarre usanze, lasciando che quell'enorme lupo le trotti attorno per giocare come se fossero due cuccioli.
È tutto perfetto. Tutto assolutamente perfetto, ora. Nessun pensiero le sfiora la mente, eccetto uno, per quanto errato possa essere:Sono un lupo mannaro!

Li hanno aspettati più del dovuto per la consegna del medaglione, simbolo che adesso pure lei fa ufficialmente parte del branco. Fenrir gliene aveva creato uno a posta: la pietra che li deve distinguere è stata mischiata, in modo da rendere ufficiale il suo legame con entrambe le razze.
Li hanno cercati a lungo mentre aiutavano a raccattare i corpi dilaniati di quei poveri umini, assistendo ai vari scempi che le giovani leve sono state in grado di compiere. Alcuni di loro andranno tenuti sotto stretta osservazione, ha appurato l'Imperatore, ma ad Astrid non importa. Voleva solo ritrovare la sua piccola, probabilmente nascosta e spaventata per ciò che ha fatto.
Adesso, invece, li osservano dall'alto, in piedi sul ramo di una forte quercia centenaria. Li osservano e non riescono a capacitarsi di come un omicidio sia stato in grado di unirli tanto. Era sicura, Astrid, che affiancandole Freki non avrebbe avuto alcuna distrazione, invece adesso deve ricredersi: la sua piccola Lilith dorme beata, nuda come l'ha messa al mondo, tra le braccia possenti di Freki, entrambi vicini al cadavere smembrato del fabbro ricoperto di mosche.
«La cosa non mi piace.» ringhia a denti stretti la donna, storcendo il naso in segno di disapprovazione.
«Perché?» le domanda disinteressatamente il maggiore, vagamente contento che si sia finalmente integrata anche con uno dei più difficili da avvicinare.
«Perché potrebbe portarmela via.»
«È stato il pirata a portartela via, Astrid. Non Freki. Lui la sta solo aiutando.» abbassa lo sguardo su di loro e sorride nel vedere il braccio forte del suo Beta stringersi maggiormenta attorno al corpo esile della nipote in segno di protezione «E la sta aiutando egregiamente, credimi.»
Alza poi gli occhi sulla compagna, notando che però c'è qualcos'altro che la preoccupa, qualcosa che, nella sua testolina contorta, è assai ben più grave.
«Mi dici cosa ti preoccupare realmente? Lei è qui, sta benissimo. Tra qualche tempo metteremo in atto il piano e tutto si sistemerà.» prova a rassicurarla, prendendole una mano sottile tra le sue, infondendole così un poco del suo calore contagioso «Che è successo?»
«Devo dirti una cosa importante... e non so come fare.» si volta verso di lui, guardandolo con le lacrime agli occhi. Gli afferra entrambe le mani con decisione e se le poggia sul ventre piatto e forte, senza mai interrompere il contatto visivo «Porto in grembo i nostri figli



Angolo dell'autrice:
Ma buon salve a tutti, biscottini miei! Mi siete mancati :(
Beh, non so neanche da dove partire. I BBboys si stanno riprendendo. Piano, ma si riprendono. In particolar modo Marco, che non ha idea di quanto scompiglio portera la sua decisione. Io, personalmemte, sono dalla sua! Ah, prima che mi dimentichi: non ho mai scritto di roba a tre, quindi non ho idea di come possa essere venuto fuori... magari nel sequel -già in cantiere da qualche settimana- mi darete qualche dritta in più!
Poi...mmmh... niente di che. Freki quando è calmo è un vero pasticcino :3 certo, fargli partire i cinque minuti è un vento, si impiega più tempo a sputare per terra, ma chissene.
La gravidanza insapettata... ehhh, avete avuto paura per Halta, eh? Invece no! È quella stronzetta di Astrid che è rimasta fregata! Doppiamente, anche! I nomi dei cuccioli sono già scelti. Scelta dura, a dire il vero, però ormai definitiva.
Poi, importante: la trasformazione di Akemi! Si, perché adesso è per 2/3 una licantropa (occhio sempre a quel 1/3 dove è racchiuso totalmente il caratteraccio del padre e la sua smania sessuale infinita) e come tale dovrebbe comportarsi, accettando regole che le vanno assai strette e, soprattutto, dovrebbe accettare ciò che il proprio Alfa ordina. Ma si sa, è giovane: FUCK THE RULES!
Bene, adesso vi presento la nostra protagonista quando si trasforma: http://it.tinypic.com/r/29zehz/8 http://it.tinypic.com/r/2h867i8/8
Ebbene si: È REMUS LUPIN! X”D Uno dei pochi licantropi che mi sia piaciuto. u.u
Mentre, giusto per essere chiari, gli altri sono bene o male come questo disegno: http://it.tinypic.com/r/2me4qxj/8
C'è una lieve differenza, eh? XD

Un grazie di tutto cuore a Lucyvanplet93, Chie_Haruka, Aliaaara, Aceko_san, KuRaMa faN, Monkey_D_Alyce, Yellow Canadair (sei stata la trecentesima *w*), Okami D Anima, Keyra Hanako D Hono e ankoku per le magnifiche recensioni! Giuro, senza di voi questa storia non andrebbe avanti
Ci tengo anche a ringraziare Aceko_san, ankoku, Asiietta, Caren96, Carmen988, Chie_Haruka, Dark_witch3, D_ann, erica0501, eve vane 90, FemPhoe, FireFirstAce, giada1999, Incantatrice_Violeta, jess chan, Jollyna, Keyra Hanako D Hono, KuRaMa faN, Law_Death, Mitsuni, Mizutsuki_Chan, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, Portgas D SaRa, Phoenix_Sara, Portgas D SaRa, Portuguese D Ice, reachid, Rosa_Linda, Scarlet_D_Rose, Shot93, Skull, SmyleCathy, SunshineKiki, Trafalgar Revy, TRAFALGAR_SARA, Yellow Canadair, zomimanganana e ___Ace per aver messo la storia nelle preferite; Hinata Uchiha Arclight, Law_Death, naikechan, Okami D Anima, Portuguese D Ice, Rain_and_Alex, Shot93 e SunshineKiki per averla messa tra le ricordate; AceDPortogas, Aliaaara, anis12, Azzu___, Balalaika_, Chie_Haruka, dragon_queen, Ecatilla, eveeyu, evy88, filbea94, FireFirtsAce, girosolomina, giulik_93, GothicLolita96, iaki46, Ikki, iewnwcaccin_, KuRaMa faN, LallaOrlando, Law_Death, leonedifuoco, Lucyvanplet93, Lunaix, mileace99, Mizutsuki_Chan, Nakurami, OrderMade96, original_doll, Portuguese D Ice, Puffetta96, Redangel19, rosy03, Shot93, SmyleCathy, SunshineKiki, SuperfanShiho, TheLadyVampire97, Trafalgar Revy, Travel_dream_love, valepassion95, Vidalita, Yellow Canadair, Zefiria BlackIce, zorina98, _K a r i n, _Bianconiglio_, _Lawliet e _miaoo_ per averla messa tra le seguite.
Mi piacerebbe moltissimo avere un vostro parere a riguardo :3 Pleaseee!
Un grazie va anche a chi solo legge gli aggiornamenti :) ♥ Siete dei tesori!

Bene, adesso vi lascio con uno special! Ci voleva d'altra parte. È troppo che non vediamo il nostro caro e dolce Peter :)
La scena di tortura è tratta da Vikings, che vi consiglio vivamente di vedere.
Spero che possa piacervi! Sapete che non sono poi questa cosa nelle scene di lotta/splatter...e la cosa mi manda in bestia perché mi piacciono!
Ok, basta. Sto divagando!

A presto, un bacione
Kiki ♥

 

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Ha programmato ogni cosa nei dettagli.
È riuscito a portare i Dragoni dalla sua parte, a piegarli al suo volere, in modo tale da poter agire più liberamente, di potersi spostare con una vera scorta al seguito.
È riuscito a crearsi un nuovo esercito di lupi mannari assetati di sangue quanto lui, delle perfette vittime da sacrificare per portare a termine la sua vendetta.
È riuscito a ricreare quel virus contro cui lui stesso ha combattuto, in modo tale da poter cancellare la razza umana dalla faccia della terra. O, nel caso gli girasse particolarmente bene, per poterla schiavizzare.
Ma qualcosa sta andando contro i suoi calcoli... qualcosa si sta muovendo nell'ombra, e lui non riesce a capire cosa. Per quanto i suoi occhi siano perfetti per vedere nel buio più totale, questa ombra pare essere troppo abile anche per lui.
È infatti riuscita a far saltare in aria un covo, togliendogli un quarto dei suoi Dragoni. Gli esperti hanno detto che si è trattato di una specie di corto circuito o una fuoriuscita di gas, ma lui non è tanto stupido da crederci. Sa bene che qualcuno ci ha messo le mani, ma proprio non sa chi.
Quella stessa ombra è riuscita a far fuori diversi lupi, impalando le loro teste all'ingiù. Ha pure scritto con i loro corpi mutilati che non entreranno nel Valhalla.
Sta riuscendo a debellare di nuovo quel virus e sta facendo in modo tale che nessuna nave faccia porto sulle isole infette. Da quel che ha saputo, pure il Governo Mondiale è stato avvertito di questa minaccia e le isole sono state messe immediatamente in quarantena.
Tutto questo è cominciato da quando ha riesumato quel maledetto cadavere. O meglio, quando i suoi uomini lo hanno riesumato. Lo diceva che erano strani, che i loro occhi avevano qualcosa, ma stupidamente non gli ha dato peso e li ha semplicemente ammazzati. Sapevano troppo, erano diventati un fardello.
Poi ha saputo della morte della creatura. Ecco, questo gli è sembrato strano. Come può una creatura del genere morire per annegamento? Come può morire quando i suoi guardiani erano riusciti a portarla in salvo sulla loro bagnarola?
Non riesce a spiegarsi niente di tutto questo. Per quanto ci ragioni, per quanto la sua mente sia acuta e penetrante, proprio non riesce a risolvere questi enigmi. Forse ci riuscirebbe se il dolore non fosse tanto forte. Dolore non per questi eventi in sé, no, li può tollerare. Il dolore è dovuto alla scoperta avvenuta pochi giorni addietro, dopo la riesumazione del corpo. Ha scoperto una verità sconcertante, di cui adesso delle anime innocenti dovranno pagare il prezzo.
La città brucia, le strade sono intrise del sangue delle vittime scelte da Peter e i suoi tirapiedi. I corvi gracchiano fastidiosamente mentre banchettano con le carcasse, guardando con diffidenza i lupi.
Sono tutti radunati in cerchio attorno al palco di legno che Peter ha personalmente costruito, e lo fissano con un certo timore. Sono pochi, tra loro, a sapere come si svolgerà quella cerimonia, e la cosa non li rallegra per niente.
Peter guarda in alto, maledice gli déi che si sono presi tanto beffe di lui. Si gira piano il coltello tra le mani, abbassando lo sguardo. Osserva la schiena nuda del ragazzino di fronte a sé.
«Tu sei uguale a lui...» mormora con un filo di voce, avvicinandoglisi.
Gli gira attorno, il coltello arrugginito stretto in mano. Il ragazzo trema e piange. I polsi gli fanno male per colpa dei lacci troppo stretti. Alza appena gli occhi sull'uomo che adesso ha di fronte, ma subito li riabbassa. Ha troppa paura per poterlo guardare in volto.
«Quando ero piccolo, tutti mi odiavano.» afferma con voce roca, camminando in circolo attorno al piccolo. Lo guarda con aria derisoria, mentre il suo seguito freme per poter affondare le zanne nella sua tenera carne. Si accovaccia poi di fronte a lui, alzandogli lo sguardo mettendogli il coltello sotto al mento «La mia mamma era una puttana, sai? Faceva sesso per soldi. Avevo altri fratelli e sorelle, ma nessuno di loro era come me. Loro erano più coloriti e meno fragili... le persone non li detestavano come detestavano me. A loro non lanciavano i sassi. Dicevano che ero il figlio di un mostro... e avevano ragione. Solo che io non lo sapevo.»
Posa la lama sulla sua guancia paffutella e preme, squarciandogli la carne e lasciando che il sangue sgorghi. Si imprime nella mente la sua smorfia di dolore, mentre con l'udito ascolta la melodia che producono i ringhi gutturali e famelici dei suoi sottoposti.
Gli afferra con decisione il mento tra le dita affusolate, costringendolo a guardarlo negli occhi «Un bambino uguale a te mi lanciò una freccia nello stomaco, un giorno. Io ero andato a caccia per portare qualcosa di decente in tavola, e questo moccioso, assieme a suo fratello, scoccò volontariamente la freccia contro di me.»
«MA NON SONO STATO IO!» urla il piccolo in preda al panico, mentre i pantaloncini gli diventano improvvisamente bagnati e appiccicosi. Guardando quei pozzi neri senza fondo riesce a vedere chiaramente il male. Quel male di cui parlano le favole, quelle che narrano dell'uomo-nero, del Babau. Lo vede e trema, consapevole che niente e nessuno impedirà a quel male tanto reale di toccarlo.
«No, certo che no...» sorride Peter, ergendosi in tutta la sua altezza di fronte a quel piccolo e tremante marmocchio. Gli passa una mano tra i capelli spettinati e impregnati di sudore, riportandosi alle sue spalle «Quel bambino è morto da secoli, ormai.» aggiunge subito dopo, giocherellando col coltello. I suoi occhi infine si posano sulla schiena nuda del bambino, e una nuova, brillante luce sinistra attraversa i suoi occhi neri come la notte «Ma tu me lo ricordi molto.»
«Mio Signore...» prova a richiamarlo uno dei suoi nuovi alleati, tremando. Pur conoscendolo da pochi giorni, ha ben capito che provare a contraddirlo è forse l'errore più sciocco che si possa commettere. Ma lui doveva almeno provarci.
Per sua fortuna, però, Peter non lo ha nemmeno sentito. Tutti i suoi sensi sono completamente magnetizzati dalla schiena madida di sudore del ragazzino.
«Ti farò l'Aquila di Sangue sulla schiena...» affonda lentamente il pugnale nella carne, facendolo salire piano, su, su fino alle scapole. Osserva con bramosia il sangue che cola lento e vischioso, i rivoli che si diramano sotto di lui, sorridendo quando qualche schizzo gli imbratta il viso pallido «...e la tua cassa toracica si aprirà.»
Il bambino urla disperato, incapace di muoversi, incapace di mettersi in salvo. Non può far altro che chiedersi perché gli stia facendo una cosa simile, cosa gli abbia fatto di male. Prima di tutto quel caos, prima del fuoco e del sangue, lui stava cenando con la sua famiglia. Suo padre stava a capotavola e gli stava passando un pezzo di pane. La madre imboccava la sorellina, pulendole il mento con un fazzoletto bianco. Poi sono cominciati i primi schiamazzi, le prime urla. Lì per lì avevano pensato che si trattasse di una ciurma pirata, così il padre aveva imbracciato il fucile, pronto a difendere la famiglia. Ma poi la bestia è entrata. Aveva grosse fauci piene di carne e sangue, occhi dorati e zanne affilate. Era più grosso di un comune lupo, più mostruoso e vorace. Ha afferrato per prima la mamma, azzannandola alla gola e staccandole la testa. Poi è toccato alla bambina, che nel frattempo aveva cominciato a piangere disperata. I proiettili del fucile non sortivano alcun effetto sulla bestia ringhiante. Poi è entrato lui, calmo ed elegante, e la bestia si è inchinata ai suoi piedi, offrendogli la gola e il ventre in segno di sottomissione. Il padre continuava a pregare, e lui rideva.
“Il tuo Dio non è qui.” ha affermato, prendendolo per la gola “Il tuo Dio mi teme.” ha insistito, spaccandogli la testa contro la parete. Il sangue è schizzato ovunque, anche sul giovane ragazzino che adesso si ritrova con le braccia protese verso l'alto, i polsi legati e la schiena squarciata.
Peter, accecato dall'odio, non si rende neanche conto di cosa sta facendo. Vede e non vede. Sente e non sente. Sa solamente che il mondo intero la deve pagare per l'affronto subito, a cominciare dal moccioso che continua a pregarlo di lasciarlo andare.
Quante volte ho pregato io? Quante volte ho supplicato che gli altri mi lasciassero stare, che mi dessero un po' di pace?” le sue mani, pallide e delicate, carezzano appena il manico dell'ascia, per poi impugnarla con più decisione.
L'Aquila di Sangue è una pratica talmente violenta e riprovevole da essere stata bandita. Nessuno da secoli ha più osato metterla in atto. Adesso i suoi schiavi -perché altro non sono che schiavi- lo guardano con orrore crescente, con la speranza che si fermi e che gli dia semplicemente quel fanciullo in pasto.
Ma Peter non lo fa. Non ha alcuna intenzione di fermarsi, di interrompere quella cerimonia.
Con un colpo secco spacca le costole del ragazzo con l'ascia, separandole dalla spina dorsale senza però ucciderlo. Il difficile di questa tortura è proprio questa, in effetti: mantenere la vittima in vita fino alla fine, quando gli vengono estratti i polmoni da queste enormi, sanguinanti ferite e vengono appoggiati sulle spalle, in modo che sembrino le ali piegate di una grande aquila.
Il sangue schizza, il bambino diventa ad ogni secondo che passa più pallido. È in bilico tra la vita e la morte, incapace di compiere quel passo che porrà fine a quell'agonia. Ed è solo per colpa di Peter che non riesce a compierlo.
I vari licantropi presenti non riescono a guardare quel macabro spettacolo, voltandosi o abbassando lo sguardo sul terreno polveroso ed insanguinato. Loro volevano tutto quello, volevano l'immortalità e tutto ciò che ne conseguiva, ma non avevano preso in considerazione che lui, Peter Bàthory, un ragazzo dal viso d'angelo, fosse capace di cose simili.
Si voltano solamente quando si accorgono che il cuore del povero martire ha finalmente cessato di battere, vedendo con orrore i suoi polmoni poggiati sulle sue spalle, grondanti di sangue.

Peter, statuario come sempre, tiene in mano la spina dorsale che gli ha strappato. La alza in alto, come a voler dimostrare a tutti, anche ai suoi antichi déi, che lui è il più forte e il più cattivo, che è capace di ogni cosa, anche di prendersi quel trono che gli spetta di diritto.

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Capitolo 34
*** 34. Come prima, più di prima ***


Piccola avvertenza: sono passati 36 giorni da quando Akemi ha lasciato la ciurma.
Personaggi originali di questo capitolo:

 
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1

Essendo l'ultimo giorno di permanenza a Foodvalten, ed avendo in programma di ripartire per il mare aperto subito dopo aver pranzato, i due comandanti vagano per le strade affollate della città come una normalissima coppia di turisti. Parlano dei loro affari, rimanendo sempre su argomenti leggeri, ridendo e scherzando.
Sui fianchi della strada ci sono varie bancarelle piene di souvenir e quant'altro, mentre una musica allegra aleggia nell'aria. Aleggia pure un profumo invitante, indice che il loro tempo è giunto quasi al termine.
Rendendosene conto, Halta stringe involontariamente la mano ad Izo, per poi pentirsene e ritirarla, guardandosi attorno come se niente fosse mai successo. E Izo la guarda mentre compie queste azioni, sorridendo divertito nel vederla tanto in difficoltà. In fondo era lui, fino a poche settimane prima, quello che si congelava completamente al minimo gesto affettuoso!
Attaccato ad una trave testa in giù, ben nascosto nell'ombra, un esserino dalla corta pelliccia nera e con un folto mantello bianco più setoso attorno al collo, con la testolina lunga ed affusolata, dotata di due grossi occhioni color del ghiaccio, segue con attenzione i movimenti dei due pirati. Li osserva da tempo ormai, indeciso se sia giunto o meno il loro momento.
Alla fine, però, dopo lunghe e attente riflessioni interiori, si rompe le balle e semplicemente spalanca la notevole apertura alare di quasi due metri, staccandosi dal sicuro nascondiglio e planando verso i due pirati, non senza emettere degli squittii assai fastidiosi. Si attacca per dispetto ai lunghi e setosi capelli del sedicesimo comandante, tirandoli verso destra, e pare quasi ridere mentre lo fa. Poi, quasi senza ragione, si stacca e volteggia un paio di volte attorno al corpo esile della donna, alzandosi poi in volo e dirigendosi con battiti d'ali regolari e calmi in una via più stretta e meno illuminata. Si blocca a metà strada per poter guardare i due pirati che non hanno mosso un dito e che, anzi, non lo degnano nemmeno di uno sguardo.
Anche adesso si trova a pensare e ripensare a quale sia la tattica migliore per poterli condurre nel luogo prefissato, ma in pochi secondi si stufa e parte di nuovo all'attacco, stavolta portandosi via una ciocca di fine crine color pece, strappata senza tante cerimonie dalla testa di Izo.
«Brutta bestia!» gli urla contro il comandante, estraendo immediatamente la propria pistola e puntandola contro l'animale, che rimane perfettamente immobile in mezzo a quel vicolo, fissandoli con una sorprendentemente intelligenza nello sguardo.
Halta, avendo riconosciuto l'animale come quello a cui hanno sparato una settimana prima, blocca il braccio del compagno, ignorando deliberatamente lo sguardo torvo che questi le rivolge. Sente che sta per impazzire, è ormai convinta di essersi lasciata abbindolare troppo da quel maledettissimo libro, ma non riesce a non pensare che quel pipistrello dalla pelle sin troppo coriacea voglia mostrar loro qualcosa.
«Seguiamolo.» afferma con decisione, puntando lo sguardo in quello sempre più snervato del compagno.
Izo le vuole bene, moltissimo, è innamorato di lei, ma davvero non sa più come farla ragionare. Aveva preso in considerazione l'idea di dirle di andare da qualche strizzacervelli per parlarne, ma l'ha velocemente scartata, giusto per non ritrovarsi steso a terra con le budella sparse un po' ovunque.
«Halta, è solo un comunissimo pipistrello!» per un brevissimo istante abbandona il suo solito tono calmo e pacato, sostituendolo con uno più aggressivo, che infastidisce non poco Halta.
«Un comunissimo pipistrello che vola in mare aperto, che ci ha condotti qui, che resiste agli spari, che ci segue e ci fissa!» gli urla contro con tutta l'aria che ha nei polmoni, alzandosi sulle punte per poter raggiungere il suo viso e fargli capire, magari sputazzando mentre parla, quanto sia sicura di avere ragione e quanto lui sia un idiota. Però poi si calma, passandosi con fare molto teatrale una mano tra i capelli scompigliati, che porta dietro l'orecchio. Incrocia le braccia sotto al seno, puntando gli occhi in quelli neri dell'uomo «Senti, io voglio seguirlo. Tu vai pure dagli altri e divertiti.»
Detto questo semplicemente prende e s'incammina velocemente nella stessa direzione del topo volante, lasciando il sedicesimo comandante in mezzo alla strada come un fesso.
La fissa come in trance, rimuginando attentamente sulle sue parole. Prima si è arrabbiata, per poco non gli molla anche un pugno, poi si è calmata. Si è ricomposta e ha accennato pure ad un sorriso, parlandogli con voce calma e modulata. Gli ha detto che può andare dagli amici a divertirsi, a passare le ultime ore sulla terra ferma come farebbe qualsiasi marinaio sano di mente.
'È una trappola.' deduce con ovvietà, sbuffando indispettito mentre le corre dietro. Nella sua mente elabora tutti i modi possibili per fargliela pagare, mentre il suo istinto lo costringe a prendere una delle sue pistole e nasconderla dentro l'ampia manica del kimono.
Corre per una decina di minuti buoni, trovandosi addirittura costretto a seguire le tracce che la compagna ha lasciato sulla stradina non asfaltata che porta nel fitto della vegetazione. La consapevolezza che Halta abbia avuto un'idea assolutamente di merda diventa sempre più fastidiosa per lui, tanto che vorrebbe tirarle un calcio nel culo non appena la vede, bloccata come una statua di fronte ad una casa fatiscente. Ha le braccia stese lungo i fianchi, lo sguardo puntato sul piccolo foro in un angolo del primo piano di una casa fatiscente.
«Ti ha portato alla sua tana, sei contenta?!» le strilla da dietro Izo, facendola trasalire.
Si volta per guardarlo, puntando un braccio verso la porta sbarrata con delle assi di legno semi-marce.
«C'è qualcuno dentro... l'ho sentito ridere.» bisbiglia con un filo di voce la ragazza, facendo saettare gli occhi dal pirata sull'edificio «E poi c'è della musica, senti?»
Izo si avvicina cautamente, pronto a tirar fuori le armi e ammazzare qualsiasi folle convinto di poterli far fuori. Si avvicina e poi la sente, una musica techno a basso volute, sensuale e macabra al tempo stesso. I bassi fanno vibrare i muri già instabili, rischiando così di farli cedere una volta per tutti. Abbassa lo sguardo sulla compagna e le sorride per rincuorarla. Ha letto così tante cose su quel macabro libro che davvero non sa come faccia a non avere paura della sua stessa ombra.
«Dai, togliamo quelle assi.» afferma facendo un passo in avanti, venendo però bloccato con forza per un braccio.
«Laggiù c'è un buco, vedi? Potremmo entrare da lì, no?» consiglia insicura, indicando con un cenno del capo il piccolo buco nella parete in cui, a fatica, entrerebbe solo lei.
«Meglio avere una via d'uscita sicura.» le risponde mantenendo quel falso sorriso sulle labbra, per poi arpionare con le mani callose e forti le travi e strapparle di netto. Poco gli importa del fracasso che questo gesto comporta, tanto chiunque sia lì dentro li sta già aspettando.
Afferra Halta per un braccio ed entra con passo lento e fermo, guardandosi attorno con maniacale attenzione.
La porta antica e cigolante si dà su un salotto, un'ampia stanza buia con al centro una rampa di scale, arredata semplicemente con un pianoforte impolverato con quasi tutti i tasti tolti, affiancato da un vecchio divano puzzolente e rovinato.
«Dobbiamo salire.» un'affermazione ovvia quella di Halta, ma Izo avrebbe preferito non sentirla per niente. Perché forse la compagna non se ne è resa conto, ma lui si. Lui ha visto il sangue fresco dietro al divano e anche la punta delle pallide dita piegate di una mano.
Sia chiaro, il sedicesimo comandante Izo non è mai stato un fifone. Ha ucciso innumerevoli volte in vita sua, e non se ne è mai fatto un problema. Ma le carte in tavola sono cambiate pure per lui, visto che adesso sa cosa si nasconde nell'ombra. E sa anche che quel qualcosa, per una ragione che ancora non comprende, vuole loro.
Deglutisce a vuoto e rafforza maggiormente la presa sul polso di Halta, incamminandosi con attenzione sulle travi mezze marce delle scale. Giungono così in un lungo corridoio, delimitato da muri vecchi e scrostati, illuminato da una lampadina gialla. Il suo, però, non è un giallo vivo e intenso: è pallido, malato, freddo.
Buttano uno sguardo nelle due piccole stanze che incontrano sul loro cammino, quasi vomitando alla vista di ognuna di esse: la prima stanza era il bagno, ricoperto di sangue fin sul soffitto, con un cadavere in avanzato stato di decomposizione nella vasca, e la seconda era la camera dei bambini. La cosa disgustosa, sta nel fatto che i bambini fossero ancora dentro, impiccati a testa in giù al ventilatore, con le gole dilaniate.
Ma è la porta in fondo al corridoio che li sta chiamando. Una porta che non veniva aperta da decenni e che nessuna creatura può aprire senza invito.
Insieme alla musica, un odore tremendo gli arriva di colpo alle narici, come di una carogna lasciata lì a marcire. Soffocano un conato di vomito e provano a respirare tenendosi una mano davanti alla bocca, inutilmente. Percepiscono ancora quell'odore acre e putrido.
«Ma che diavolo è questa puzza?!» ringhia a denti stretti il pirata, bloccandosi di colpo, come pietrificato da una voce calda e strafottente.
«Piaciuto il tour?»
Tre grossi cani in avanzato stato di decomposizione gli si lanciano contro, latrando e provando ad abbaiare come un tempo, riuscendo solo a gorgogliare e ringhiare. Sono grossi e muscolosi, slanciati, il pelo nero raso e lucido, con le code amputate corte ed infette, teste piccole con diversi squarci che mostrano la carne viva, anch'essa infetta, gli occhi piccoli sono completamente iniettati di sangue. Alcuni organi vitali e le gabbie toraciche sono esposti, mettendo in mostra la carne putrida e brulicante di vermi.
«Fermi.»
Le tre bestie si bloccano di colpo, e dai loro occhi privi di vita pare saettare, anche solo per un secondo, un profondo senso di paura. Si ritirano piano, quasi guaendo, e si portano ai piedi dell'uomo ancora nascosto nell'ombra.
Le varie donne alle loro spalle, a cui non avevano dato precedentemente attenzione, si strusciano l'una sull'altra a tempo di musica, scambiandosi baci tutt'altro che casti, palpandosi i seni prosperosi e i posteriori lasciati praticamente nudi. Ballano e si toccano, si baciano, si strusciano, le loro mani pallide esplorano senza problemi le intimità delle compagne, facendole gemere di piacere.
Una di loro, una giovane e avvenente ragazza dai capelli castano chiaro e gli occhi di ghiaccio, con dei seni così prosperosi da far invidia pure a Nico Robin, pensa bene di dover soddisfare anche i loro ospiti e si avvicina ad Halta, prendendole il viso pallido tra le dita affusolate e mettendole, senza tante cerimonie, un metro di lingua in gola, mentre con l'altra mano prova a scivolare oltre il bordo dei suoi pantaloni. E questo va tutt'altro che bene al sedicesimo comandante, che in batter d'occhio ha estratto la propria pistola e ora la punta contro la ragazza, completamente sbigottita da quella reazione.
«Volevi essere tu il primo?» pigola titubante, per poi essere trasportata via da un'amica, anch'essa di una bellezza da mozzare il fiato.
Sono tutte uguali, ora che ci fanno caso: visi attraenti, tette enormi, vitini da vespa, gambe lunghissimi, corpi da mozzare il fiato pressoché lasciati nudi e tutte con una fame incredibile di sesso.
Una di loro, quella con i brillanti capelli bianchi, scatta come una molla e si frappone tra il pirata e il proprio venerato creatore, snudando le zanne in segno di minaccia.
«Non ti azzardare a minacciare il nostro Signore!» gli ringhia contro, afferrando di volata la pistola che tiene in mano Izo e buttandola via, mentre dietro di lei i cani zombie non si perdono neanche un movimento.
«Numero sei.» la voce calma dell'uomo si fa sentire ancora e la donna, prima tanto aggressiva e pronta a sbudellare i due filibustieri alla prima occasione, si accascia a terra, docile come una gattina, toccandosi lascivamente il copro che vuole offrire a lui ancora e ancora.
«Sire...» ansima, mentre un'altra le è già addosso, la tocca e la bacia, fa quasi sesso con lei di fronte a tutti.
La musica, la puzza di morto mista a quella di sesso. Ai due pirati gira la testa, vorrebbero andarsene, ma qualcosa li trattiene ancora in quel piccolo assaggio d'Inferno.
«Sono vampiri...» mormora con un filo di voce Halta, abbassando Izo in modo tale da poterglielo sussurrare nell'orecchio.
«Oh, bene! La piccola comandante ha fatto i compiti.» strafottenza pura nella sua melodica voce. È sicura, Halta, che se lo sentisse cantare, si lascerebbe condurre in qualsiasi luogo decida. Perché una voce così bella la segui, ti entra nel cervello e non ti molla più. Se solo riuscisse a scoprire chi è a parlare...
«Chi sei?» domanda con tono duro, quasi rabbioso, il comandante, tirando fuori la seconda pistola e puntandola verso l'uomo che, ostinatamente, continua a muoversi nell'ombra. Giusto una mano ha visto, mentre accarezzava la testa deforme di quell'animale che un tempo era sicuramente di gran bell'aspetto.
«Chi sono io non è affar tuo, sedicesimo comandante della flotta di Barbabianca.» la sua voce è calma, come se stesse parlando a dei vecchi amici, ma il fatto che continui a non mostrarsi a loro li insospettisce non poco. «Non ancora, almeno.» aggiunge dopo qualche istante, carezzando ancora la testa dell'animale, che pare quasi godere delle sue attenzioni «Voglio stringere un'alleanza col vostro capitano.»
«E cosa ti fa credere che lui la vorrà stringere con te?» Sarà l'adrenalina dovuta al momento, il fatto che pure Halta è seriamente in pericolo, ma si sente carico come mai in vita sua. Si sente capace di distruggere l'intera isola con le proprie mani.
«Lo credo perché...» gli basta un lieve movimento dell'indice e il cane scatta, veloce come una saetta. Scatta e atterra il sedicesimo comandante, mentre Halta viene affettata per le per le braccia e viene allontanata. L'uomo si avvicina piano al pirata, rimanendo accuratamente nell'ombra. Gli basta sfiorare con la punta delle dita il dorso ossuto della bestia per calmarla, e Izo capisce che si trovano di fronte ad un uomo che, ad occhio e croce, potrebbe far sparire i loro corpi in neanche dieci minuti.
«Perché io vinco sempre.» in quell'ombra assoluta vede un sorriso. Un sorriso allegro, sincero e dannatamente furbo «Verrò questa notte. Le luci della vostra nave saranno spente come da regolamento, mentre le nostre saranno accese. Ci riconoscerete dalla vela.» spiega velocemente mentre viene raggiunto da due vampire dai brillanti capelli rossi. Due gemelle, uguali in tutto e per tutto, ladre di prima categorie e vere bestie a letto. Non poteva scegliere meglio.
«E se rifiutassimo?» domanda con il fiato spezzato Izo, recuperando velocemente la compagna, scossa dal fatto che quelle donne le abbiano tagliuzzato le spalle con dei coltellini e ne abbiano leccato il sangue.
Siamo ancora vivi solo perché lui ci vuole vivi!
«I miei cani hanno fame. Di conseguenza, non uscireste da qui.» risponde semplicemente il loro simpatico interlocutore, voltandosi un poco e porgendo loro la mano destra «Allora... abbiamo questo accordo?»
Izo non ha la minima intenzione di stringergli la mano, né tanto meno di accettare quelle condizioni, così mente spudoratamente, affermando che si faranno trovare e che il loro capitano parlerà con loro. Non ha idea che l'uomo che ha di fronte senta perfettamente che sta mentendo, quindi pensa erroneamente che il sorriso che emerge dal buio sia semplicemente di gioia.
I due pirati escono velocemente dall'edificio, quasi cadendo per terra quando uno dei gradini marci delle scale cede sotto al loro peso.
«È stata un'idea del cazzo!» borbotta furioso Izo, continuando a camminare a passo di marcia per la vegetazione, continuando a respirare a pieni polmoni l'aria fresca che lo circonda, così incredibilmente pura rispetto a quel marciume che ha dovuto sopportare fino a neanche trenta secondi prima.
«Puoi dirlo.» asserisce Halta, facendosi trascinare. C'è qualcosa di strano in tutta quella situazione, oltre ovviamente al fatto che un vampiro voglia stipulare un'alleanza con degli esseri umani. È strano il fatto che li abbia condotti lì dentro, che non abbia provato a far loro del male, che li abbia difesi dalle proprie bestie dannate. Da quello che ha letto nel libro, i vampiri non sono certo tipi da queste cose, tutt'altro.
«E ora come lo diciamo agli altri?!» le ringhia contro Izo, fermandosi di colpo e massaggiandosi le tempie con fare esasperato, lasciando che la compagna gli circondi la vita con le braccia. Prova a regolarizzare il respiro, a pensare ad una soluzione che possa giovare a tutti quanti, ma proprio non riesce a trovare niente.
«Non glielo diciamo e basta.» risponde con voce piatta Halta, tenendo la fronte contro la schiena forte del compagno, che si è irrigidito nell'udire quella frase «Cambieremo rotta, così non potrà trovarci.»
Sbuffa rassegnato, consapevole che, in effetti, è la soluzione migliore. Pure lui ha letto che la tossina rilasciata dagli artigli di quei mostri metterebbe un possessore di un Rogia K.O., e non vuole certo mettere a repentaglio la salute dei propri compagni o, ancor peggio, quella già instabile del proprio capitano.
«Potrebbe non funzionare, lo sai.» mormora angosciato, voltando la testa verso di lei per poterla guardare nei suoi grandi e vispi occhi azzurri.
«Andrà tutto bene.» afferma duramente la donna, per poi pentirsene. Non ha idea se quel piano folle andrà in porto, se quel pazzo omicida riuscirà a trovarli lo stesso, ma non può far altro che sperarlo. Sperarlo, e cercare conforto nell'uomo che ancora tiene stretto tra le braccia «Andrà bene, vero?»
«Si.» le risponde sorridendo Izo, passandole una mano tra i capelli e facendole un cenno col capo di riprendere a camminare, in modo tale da raggiungere gli altri e potersene così andare da quell'isola tanto affollata.
Lo spero proprio, Halta... Lo spero davvero.

2
 
La catena di ferro sbatte a terra violentemente, alzando sabbia e polvere che finisce inevitabilmente nei loro occhi, infastidendoli e aumentando così la loro rabbia.
Catena contro ascia. Velocità contro muscoli. Mesi contro millenni.
Killian osserva con interesse lo scontro, sghignazzando divertito. Sente la loro forza, la rabbia con cui si scagliano i colpi. L'odore invitante del sangue che cola su quella pelle diafana che vorrebbe tanto mordere e baciare.
La catena viene nuovamente alzata. Volteggia attorno al corpo di Akemi come un serpente, mentre la ragazza fissa con astio crescente il lupo millenario che ghigna con quell'aria insopportabilmente arrogante. Ringhia con ferocia mentre gli lancia contro la catena con l'intenzione di spaccargli il cranio e cancellare momentaneamente quel ghigno, mandando però il colpo a vuoto. Anzi, non del tutto a vuoto, poiché Freki riesce ad afferrarla con una mano, stringendola saldamente in modo da poter attirare la ragazza a sé.
Per un momento Akemi pensa di mollare la presa e correre in modo da poter guadagnare qualche secondo per pensare ad una strategia decente per prendere meno botte possibile, ma ci rinuncia subito. La cosa migliore è tenere duro, provare a mantenere la distanza puntando i piedi a terra e, nel caso venisse avvicinata troppo, rubargli l'ascia di mano.
Freki, senza mai abbandonare il contatto visivo, ruota l'arma in una mano, giocandoci come se fosse un semplice bastone. Gocce di sangue scuro gli cadono addosso, ma non ci bada minimamente. L'unica cosa su cui vuole e deve concentrarsi è la ragazzina che si dimena come un'anguilla davanti a sé. Deve riuscire a scatenare in lei quel meccanismo che hanno tutti loro nella testa; quel meccanismo che li rende tanto pericolosi, che li fa diventare in tutto e per tutto delle bestie feroci assetate di sangue, capaci delle peggiori atrocità pur di salvarsi la pelle.
Killian osserva, silenzioso. Osserva i muscoli sviluppati di Freki e quelli ancora acerbi della ragazza. Osserva l'imponente stazza del primo e la gracilità della seconda. Capisce che quello è uno scontro con l'esito già scritto in partenza, che potrebbe essere modificato solamente giocando sporco. Lui stesso si è ritrovato a dover giocare davvero sporco quando si scontrò contro i due Ulykke, uscendone vincitore per pure fortuna. Se i due avessero usato di più la testa e non si fossero lasciati guidare solamente dall'istinto, probabilmente l'esito non sarebbe stato lo stesso.
«Non posso fare a meno di domandarmi se hai intenzione di ucciderla o altro.» commenta sovrappensiero, mentre guarda l'uomo afferrare finalmente la ragazza per il collo con la stessa catena con cui l'aveva attaccato e buttarla a terra.
Freki gira un poco la testa, guardandolo come se avesse detta la più grande stupidaggine della storia. Nel mentre si mette anche a cavalcioni sul torace di Akemi, bloccandole i polsi con una mano e mettendole la lama affilata dell'ascia alla gola.
«Deve imparare a difendersi, no? Questo è il modo migliore.» risponde sorridendo beffardo il maggiore, saltando agilmente di lato non appena la ragazzetta prova a sferrargli una ginocchiata nella schiena. Si accuccia al suolo, fissandola con eccitazione crescente. In fondo, quella è la prima volta in assoluto in cui riesce quasi ad attaccarlo, e non può esserne altro che fiero.
«Ceeerto! Quale modo migliore per insegnare a difendersi se non ammazzandola?»
«Posso farcela.» ringhia a denti stretti Akemi, voltando solo per un secondo lo sguardo verso Killian, seduto a pochi metri di distanza. Per sua straordinaria fortuna quel secondo non le risulta fatale, dal momento che Freki si è semplicemente alzato e ha cominciato a spolverarsi i vestiti con indifferenza.
«Non mettevo in dubbio le tue capacità, Lilith, ma i suoi metodi d'insegnamento.» sorride sornione alla ragazza che lo fissa con aria truce, ridacchiando appena quando Freki riesce a tirarle una gomitata nella schiena, buttandola a terra.
«La smetti di fare lo splendido?» gli ringhia contro il lupo più anziano, tenendo un piede in mezzo alla schiena dell'allieva, impedendole così di sgusciare via per recuperare una delle due armi.
«E perché mai dovrei? L'ultima volta ha portato a buoni risultati.» risponde allegramente Killian, ammiccando in direzione di Akemi, alla quale manca davvero poco per staccarsi un braccio pur di raggiungere la catena. La sta toccando con la punta delle dita, le manca davvero poco, peccato solo che Freki sia più veloce: salta all'indietro e l'afferra per le caviglie, scagliandola malamente accanto al ragazzo che continua a sorriderle con quell'aria maliziosa che la fa tanto ridacchiare.
«Non farti strane idee, Killian.» mormora Akemi, mentre il diretto interessato l'aiuta a rimettersi in piedi. I due lanciano una veloce occhiata a Freki, sorprendentemente nervoso a causa della fame che sta provando.
Quando dico che voglio allenarmi il pomeriggio, non lo dico tanto per!
«Perché?» le domanda realmente confuso il Titano, corrugando il visetto come quello di un bambino a cui vengono negate le caramelle.
«Perché non ho intenzione di tradirlo.» questa risposta blocca completamente la situazione. Sentono il lieve vento che gli accarezza la pelle, la sabbia che prova a scalfirli, i muscoli rilassarsi per un breve e dolcissimo istante, e sentono anche il cuore imbarazzato della ragazza battere più velocemente.
«Cosa?» le domanda Freki, avvicinandola con passo svelto per provare a capire se i suoi scarsi risultati e la mancanza di quel pennuto siano collegati «Intendi il piccione blu? Ma se è finita tra voi!»
Da un occhio esterno, quest'ultima affermazione potrebbe essere fraintesa da chiunque: il tono della sua voce, il fatto che l'abbia afferrata per un polso e che la tenga vicina, con sguardo furioso... potrebbero sembrare una coppia di innamorati ancora non dichiarati. Ma la verità è ben differente per entrambi: per lei Freki è indiscutibilmente un uomo forte, protettivo, fedele e, se si è svegliato bene, simpatico, ma niente più di questo; mentre per lui Akemi è una specie di bambolina che non può muovere due passi senza essere monitorata dalla madre, costretta a vestirsi come una principessa, cosa che gli dà il vomito. Lui ha sempre avuto delle guerriere fuori di testa, non dolci bamboline che a letto avrebbero da ridire anche su come le sta toccando!
Akemi si allontana il più possibile dall'avversario, che, giusto per ricordarle quanto valga poco, non le dà minimamente attenzione.
«So che può sembrare assurdo, ma... non voglio tradirlo.» annaspa Akemi, rispondendo finalmente alla domanda che le aveva posto Freki qualche minito prima. Se solo non continuasse a massacrarla, riuscirebbe a dare sicuramente risposte più esaurienti «Nel mio cuore c'è lui. Lui e soltanto lui.»
«Ma quanto sei romantica!» afferma stampandosi in faccia un'espressione quasi commossa per poi sferrarle a tradimento un destro nella bocca dello stomaco che la fa piegare in due. «Non abbassare mai la guardia.» commenta roteando gli occhi al cielo. È la prima cosa che le ha insegnato da quando si occupa di lei e ancora pare non essere particolarmente chiara. E pensare che è un concetto tanto semplice!
Killian scoppia in una fragorosa risata, causata un po' dalla faccia allucinata della ragazza accasciata al suolo e un po' dalla sua precedente affermazione, e dopo qualche istante si alza in piedi, spolverandosi i pantaloni ed incamminandosi verso l'uscita, richiamato da un forte appetito.
«Io schiodo, ci vediamo a pranzo.» urla ai due combattenti, fingendo di non sentire la richiesta di aiuto della ragazza che, a sua insaputa, sta strisciando per terra come un verme per scappare. Non sa neanche che Freki l'ha afferrata per una caviglia e la sta sbattendo letteralmente come un tappeto, ma non gli importa poi molto: c'è troppa fame adesso!

Durante il tragitto dalla zona desertica al palazzo, come era ovvio che accadesse, hanno incontrato un po' chiunque. Gente cortese che vorrebbe portarla a fare passeggiate, vorrebbe darle dei consigli, sarebbe oltremodo lieta di parlarle un po' di suo padre. E Akemi ne è felice. Ne è felice davvero.
Trotterella al fianco di Freki, provando a coinvolgerlo in qualsiasi tipo di conversazione come fa sempre, ma niente: si è svegliato con la Luna di traverso.
Dopo un interminabile sbuffo di disapprovazione, lo affianca giocosamente e comincia a copiare i suoi movimenti. Freki ne se rende immediatamente conto, osservandola solo con la coda dell'occhio, e a stento trattiene le risate.
Sembriamo Tyr e Fenrir. Il primo vuole giocare, e il secondo deve sempre mantenere un certo autocontrollo.
Le lancia una fugace occhiata, trovandola incredibilmente felice. Si domanda per quale ragione lo sia, perché si senta realmente tanto allegra da trottargli attorno e copiare le sue espressioni, come se non l'avesse mai sfiorata neanche con un dito.
Salgono le lunghe scale fianco a fianco, e Akemi cerca di ricomporsi per non passare come una totale deficiente. Impresa che risulta particolarmente semplice dal momento che una sua assai sgradevole conoscenza si è fermata in cima alla scalinata, come se la stesse aspettando.
«Ma guarda un po' chi si vede! Sempre insieme voi due, eh?»
Freki sbuffa infastidito, indeciso se afferrarla per i capelli e appenderla a testa in giù ad un lampadario o meno, mentre Akemi si sforza di sorridere e la saluta, impegnandosi con tutta sé stessa per ignorare il suo commento assai inopportuno.
«Freya.»
La bionda licantropa sorride con aria beffarda, avvicinandosi di qualche passo ai due e sbarrandogli la strada. Incrocia le braccia sotto al seno e fissa con insistenza Akemi, senza mai abbandonare quell'odioso sorrisetto.
«Ti vedo di buon umore, Lilith.» commenta con finto interesse, facendola quasi preoccupare.
«Non dovrei esserlo?»
Ridacchia vittoriosa, Freya, reclinando la testa di lato e guardandola, adesso, con uno sguardo derisorio, cosa che mette in allarme Freki, ben consapevole di quanto alla biondina piaccia tirare colpi bassi.
«Considerato ciò che ha fatto nell'ultima settimana il tuo umano, direi di no.» afferma con ovvietà Freya, accendendo tutto l'interesse della corvina, ignara di ogni cosa. In fondo lei non sa che Fenrir ha messo Munnin a sorvegliare la sua ciurma, e tanto meno sa che Wulfric gli riferisce ogni cosa bevendo poche gocce del sangue dell'animale.
«Ohhh, ma tu non lo sai! Bene, allora te lo dico io: quel pirata dai capelli assurdi che tu tanto veneri, si sta scopando allegramente tutte le donne di Foodvalten.» insiste con cattiveria Freya, sogghignando nel vedere gli occhi della minore sgranarsi e riempirsi di puro dolore. «Ohhh, ci sei rimasta male, piccola Lilith?» le domanda passandole una mano sulla guancia, falsa e perfida come solo lei sa essere. Certo, sa esserlo solo ed esclusivamente con coloro che sa di poter battere; mai e poi mai proverebbe a fare una cosa del genere a qualcuno come Killian.
«Freya, te lo dirò una volta sola: sparisci.» le ringhia contro Freki, afferrandole il polso con violenza e tirandosela addosso, snudando le zanne a pochi centimetri dal suo viso.
La lupa per un attimo abbassa la propria maschera e si mostra per la ragazza viziata e spaventata che in realtà è, trattenendo il fiato di fronte a quell'imponente macchina da guerra che, se volesse, le potrebbe staccare un braccio senza sforzo, ma poi si riprende, sogghignando come se tutto stesse andando come vuole, come se la situazione fosse totalmente a suo favore.
«Ma quanto sei protettivo nei confronti della tua cucciolotta.» commenta coraggiosamente, lasciandosi scappare un forte guaito quando Freki, ben meno tollerante di Akemi, gli spezza il polso come se fosse un grissino.
«Che succede?!» in soccorso della Lothbrook più anziana corre immediatamente Genma, che la stacca dalle grinfie di Freki e la stringe tra le braccia, ringhiando contro il lupo. Sa perfettamente che in uno scontro non avrebbe la minima speranza di uscirne vivo, ma deve mostrarsi forte davanti alla propria compagna.
«Stavamo avendo una piccola discussione caro. Non devi preoccuparti.» mente Freya, incenerendo con lo sguardo Freki. Lo detesta, lo ha sempre detestato: improponibilmente forte, intoccabile. Oltretutto, poi, non l'ha mai guardata di striscio, malgrado lei si fosse messa in mostra per secoli.«Il pranzo sta per essere servito, Lilith: ti conviene cambiarti velocemente, sai com'è tua madre.» detto questo, con la coda tra le gambe, corre giù per le scale, affiancata dal compagno.
Freki li segue per qualche istante con lo sguardo per essere sicuro che si tolgano di mezzo, per poi rivolgere la propria attenzione alla ragazza che adesso trema per terra, accucciata su sé stessa.
Lui detesta questo genere di situazioni in cui bisogna mostrarsi un minimo sentimentali, ma decide di compiere questo enorme sforzo e si abbassa alla sua altezza, carezzandole delicatamente la schiena per provare a rassicurarla.
«Non piangere...» le mormora all'orecchio, avvolgendole le spalle con un solo braccio. La tiene stretta, lascia che nasconda il viso contro il suo petto e la lascia singhiozzare, guardandosi attorno per essere sicuro che nessuno la veda. Perché nessuno deve essere visto quando crolla, non in un ambiente come il loro almeno.
«Non gli importava niente di me...» mormora con la voce spezzata dal dolore, stringendosi maggiormente al tutore, sentendosi incredibilmente protetta dalle sue braccia. Lo stringe e piange, mentre la rabbia aumenta nel suo cuore. I singhiozzi si trasformano in un ringhio basso, le lacrime smettono di scorrere e le iridi si tingono di nero. «Non gli è mai importato niente! Era solo un gioco per lui!» urla furiosa, piegandosi in due per il dolore.
Freki abbassa gli occhi su di lei, rivedendo molto di sé stesso in questa sua reazione. Rivede il proprio dolore passato nella sua espressione contratta e ricorda di come il fratello gli stette vicino, di come lo rassicurò, di come lo fece uscire da quel tunnel di autodistruzione in cui era stato inghiottito.
Senza dire una parola, le mette il braccio libero dietro le ginocchia e, dopo aver rafforzato la presa sulle spalle, se la carica in braccio, riprendendo a camminare. Non la guarda, non le dice neanche di smettere di dimenarsi come una bambina.
«Che stai facendo?!» gli ringhia contro Akemi, che non vorrebbe far altro che correre via da quel sontuoso palazzo per dirigersi al porto. Lì ruberebbe una nave e, anche se dovesse impiegarci dei mesi per riuscirci, troverebbe la Moby Dick e picchierebbe a sangue Marco, giusto per fargli capire fino in fondo il suo errore. Týr, se fosse ancora al suo fianco, le avrebbe scherzosamente detto che “nessuno scherza con un fottutissimo Lothbrook”.
«Ti porto in camera tua. Meglio che nessuno veda.» risponde con voce piatta Freki, stringendo maggiormente la presa attorno al suo corpo, imponendole silenziosamente di darci un taglio e stare buona. Si sta già sforzando parecchio in quel momento per mostrarsi il più umano possibile, ma se lei dovesse continuare ad opporre resistenza si vedrebbe costretto a picchiarla di nuovo.
Dopo qualche minuto di cammino finalmente raggiungono la stanza, rimanendo in completo silenzio. Freki la poggia con poca grazia sull'ampio letto e poi comincia a frugare nel suo armadio per trovare qualcosa da farle indossare che vada bene anche alla madre, così da poter finalmente andare a mangiare. Sceglie un lungo vestito nero a maniche lunghe che coprirà perfettamente tutti i suoi tatuaggi e, fiero della scelta, glielo getta addosso con fare scherzoso, convinto di riuscire a strapparle quanto meno un lamento. Invece non c'è alcuna reazione da parte della ragazza, e la cosa, sorprendentemente, gli spezza il cuore. Le si avvicina piano, tenendo la testa china, cercando le parole giuste per poterla tirare un poco su. Non è bravo con i discorsi, ancor meno di Killian, e per questo rimane per almeno cinque minuti in silenzio di fronte a lei, decidendo infine quale via seguire.
«Devi farti forza. Per il tuo umano tra voi è finita più di un mese fa. Sei scappata, li hai lasciati. Non ti ha tradita, è solo andato avanti.» afferma con voce pacata, inginocchiandosi davanti a lei e mettendole le mani sulle ginocchia, guardandola nei suoi grandi occhi incredibilmente vuoti «Ci vuole un po' perché passi il dolore, ma poi passa, te lo assicuro.»
«E tu che ne sai?» soffia in risposta Akemi, indurendo lo sguardo.
«Ho più di settemila anni, ragazzina. Pensi che non abbia mai provato un dolore simile?» sorride beffardo mentre lo dire, reclinando un poco la testa di lato e guardandola come se fosse veramente stupida «Stavo con Jena. Abbiamo avuto tanti e lunghi tira e molla, ma ogni volta finiva perché lei, fondamentalmente, è una puttana.»
Ricorda di aver sentito qualcosa a riguardo, Akemi, ma non aveva mai preso in considerazione l'idea che proprio lui gliene potesse parlare. Le altre, in uno dei loro momenti di tranquillità in cui spettegolavano tra loro, avevano detto che quello spietato lupo che ogni giorno la prende a calci nei denti soffrì incredibilmente durante tutti quegli anni. Jena era pure fiera del dolore che riusciva a provocargli, cosa che in realtà l'ha molto infastidita.
«Perché ci tornavi insieme, se ti aveva già tradito una volta?» gli domanda con un filo di voce, fissandolo dritto negli occhi. Ha qualcosa Freki, qualcosa che non riesce a catalogare. In lui c'è brutalità, follia e rabbia, ma anche fedeltà, determinazione e, forse, umanità. È proprio quest'ultima qualità che la confonde, che non riesce a fargli capire realmente chi ha di fronte.
«C'era dell'affetto, molto. Ogni volta credevo che potesse cambiare, ma non succedeva mai.» risponde semplicemente l'uomo, sorridendo dolorosamente ricordando quei momenti che aveva quasi dimenticato.
«Mi dispiace...»
«Ormai è passata.»
Si guardano per qualche istante negli occhi e Freki, in un gesto completamente spontaneo, le sposta una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio, senza mai abbandonare quel sorriso caldo che sta cominciando a rivolgerle sempre più spesso. Le pulisce anche un rivolo di sangue dal labbro, portandosi subito dopo il dito macchiato alle labbra, gesto che fa sorprendentemente galoppare il cuore della giovane e turbata immortale.
«Sbrigati, è pronto.» afferma alzandosi il maggiore, lasciandola finalmente da sola.
Esce con passo calmo dalla stanza, dirigendosi verso la sala da pranzo. Pensa e ripensa ai recenti avvenimenti, a quanto la somiglianza tra le azioni di quei due mostri siano simili.
«Altra prova dell'instabilità dei Lothbook.» borbotta a mezza bocca, scuotendo un poco il capo. Nel suo cuore irrequieto si sta muovendo qualcosa, dopo innumerevoli anni. Non è la solita rabbia, la classica voglia di uccidere. È qualcosa che non pensava neanche di poter più provare, qualcosa che presagisce, in un futuro non troppo lontano, eventi disastrosi: paura.

Generalmente i pasti consumati nella grande sala da pranzo della villa sono conditi con chiacchiere e risate, scherzi e battute. Oggi, invece, nessuno dice una parola. Si sono zittiti nel momento esatto in cui la loro giovane ospite ha messo piede nella sala, nera in volto. In quel momento Fenrir e il suo Beta si sono lanciati una veloce occhiata d'intesa, rimasta completamente cieca agli occhi degli altri.
Ora Sakura lancia fugaci occhiatine preoccupate alla giovane immortale che non ha ancora toccato cibo, stringendo la mano del compagno sotto al tavolino.
Freki e Killian fingono una totale indifferenza, camuffando alla perfezione le proprie emozioni come è stato insegnato loro durante i secoli; non possono divenire loro la causa principale della sicura esplosione emotiva a cui assisteranno a breve.
Perché tutti in quella stanza sanno che ormai il momento è giunto. Freya è stata costretta da Fenrir a dire cosa aveva precedentemente spifferato e la reazione che la notizia ha suscitato nella giovane, quindi adesso basta un minimo per farla esplodere.
Akemi, silenziosa ed immobile, fissa la propria fetta di carne, ma in realtà non la vede. Non vede neanche il sangue invitante nel suo calice di cristallo. Non vede nessuno di loro. Non sente neanche le centinaia di odori nell'aria, no: lei sente solo un rumore. Un rumore fuori luogo di cui non riesce a identificare la fonte, fastidioso e martellante.
*tum-tum* *tum-tum* *tum-tum*
*tum-tum* *tum-tum* *tum-tum*
Cosa diavolo è?”
*tum-tum* *tum-tum* *tum-tum*

 
Alza di scatto gli occhi su Freya, trovandola intenta a fissarla con la sua solita e odiosa aria arrogante. Le sorride pure con strafottenza, cosa che la manda sempre più su di giri, sempre più vicino a quella sottile linea che nessun mannaro dovrebbe superare se non con coscienza.
«La smetti di fissarmi?» le ringhia contro, stringendo i pugni al punto di farsi sanguinare i palmi delle mani.
«E chi ti fissa?» soffia in risposta la maggiore, ampliando il proprio fastidiosissimo sorriso, mentre al suo fianco Genma trema impercettibilmente. Non vuole che tra le due scoppi una rissa, non vuole vedere scorrere del sangue inutilmente.
«Freya.» la riprende con tono scocciato Fenrir, continuando a mangiare come se niente fosse. Si lancia continue occhiate furtive con Wulfric che, anche se nessuno dei presenti se ne è reso conto, è più che pronto a scattare. Perché lui aveva previsto che sarebbe successo. Lo sapeva, e glielo aveva detto. Ma la Regina “No, dai. Non vedete che sta bene? Non ha bisogno di farmaci!”.
Wulfric ricorda assai bene le crisi psicologiche di Týr, dove diventava un problema sia per sé stesso sia per chi gli era vicino, e non vuole che ciò accada anche alla ragazza. È troppo diversa e ancora troppo instabile per poter essere domata in caso di esplosione di rabbia, e non vorrebbe arrivare a spezzarle ogni singolo osso che ha in corpo pur di tenerla ferma.
*tum-tum* *tum-tum* *tum-tum*
 
Ancora quel rumore... quel maledetto rumore che la sta mandando al manicomio. Un rumore che conosce, quella melodia che tanto l'affascina, ma stranamente così nuovo e diverso, così flebile che a malapena si può udire.
Alza gli occhi di scatto su Freya, guardandola con tutto l'odio che ha in corpo. Perché si è trattenuta fino a quel momento. Si era creata un'illusione nella quale tutto andava bene, dove lei era felice e serena. Ma non è mai stata felice e serena, non del tutto almeno. Non ha mai sopportato di essere vestita come una bambola, non ha mai sopportato che le venisse detto come comportarsi, cosa fare, dove andare. Non ha mai sopportato essere domata, essere tenuta alla catena, chiusa dentro ad una gabbia dorata senza uscite.
«Tu mi fissi, stronza!» ringhia fissando con astio Freya, la prima della sua lista nera. Se dovrà macchiarsi ancora di tradimento, allora lo farà uccidendo lei, nei modi più atroci che la sua mente instabile può concepire.
«Lilith!» le urla contro la madre, scattando in piedi e battendo i pugni sul tavolo.
«Che vuoi?! Prendi le sue difese?!» le urla di rimando la minore, alzandosi a sua volta. Afferra poi la sedia con entrambe le mani e la scaraventa contro la parete alle sue spalle, mandandola in frantumi.
*tum-tum* *tum-tum* *tum-tum*
Da dove viene questo rumore?!

 
«Perché mi guardi così, mh? Io non sono una bambola, sai? IO NON SONO UNA BAMBOLA!» si strappa i vestiti di dosso, riducendoli in brandelli. Ringhia mentre lo fa, tremando per la rabbia, il dolore e la paura. Un mix di emozioni pericolose per un esemplare come lei, cosa di cui sono consapevoli tutti i presenti.
Freki e Killian, veloci e silenziosi come sono abituati ad essere, fanno scivolare sotto al tavolo i coltelli, pronti a piantarglieli nelle mani per inchiodarla al muro, se si dovesse arrivare a tanto. Pure Wulfric sta pronto, mentre Sakura al suo fianco guarda la giovane immortale con paura crescente.
«Ma che diavolo ti prende?!» le urla contro Geri, realmente preoccupato per la salute sia mentale che fisica della ragazzina. Non che sia affezionato a lei in realtà, però il suo compagno gli ha fatto una testa tanto su di lei, e non vuole che soffra di nuovo. Deve proteggerla se vuole proteggere Kakashi.
«Tu fatti i cazzi tuoi!» urla furiosa, facendolo ammutolire indispettito. Ciondola un poco per la stanza, tenendosi con forza la testa che pare voler esplodere da un momento all'altro «Poi c'è questo rumore...» si stringe la testa cattiveria, quasi fino a spaccarsela per riuscire a farli uscire.
*tum-tum* *tum-tum* *tum-tum*
*tum-tum* *tum-tum* *tum-tum*
... diventa semore più forte...”

 
Le mani sopra le orecchie l'aiutano, ma non cancellano quel maledetto suono. Un suon dolce in realtà, niente che riesca a catalogare come minaccia. Ma è sempre qualcosa che le stanno tenendo nascosta. L'ennesima.
 
*tum-tum* *tum-tum* *tum-tum*
 
«Cosa cazzo è questo rumore?! Mi sta facendo diventare matta!» urla in preda alla rabbia più nera, afferrando i piatti che ha di fronte e spaccandoli con violenza per terra. Ne afferra altri, lancia tutto quello che le capita sotto tiro. Se non fosse troppo pesante, proverebbe a lanciare pure Freki!
Frenrir, signore indiscusso di tutti gli immortali, non interverrà in alcun modo. È una faccenda madre-figlia principalmente. E, una volta che avranno chiarito loro due, andrà lui personalmente a porgerle le sue più sentite scure, a supplicare il suo perdono. Non voleva tradire il ricordo del fratello e tanto meno farla soffrire.
«Uhhh, ma tu non sai proprio niente.» cinguetta Freya, giocherellando con una ciocca di capelli, mentre il compagno la supplica di smetterla, di lasciar stare almeno per una volta.
«Cosa vuol dire?» le ringhia contro Akemi, per poi voltarsi lentamente verso la madre quando la biondina gliela indica con un cenno del capo «Astrid... cosa cazzo vuole dire con quella frase?»
Astrid rimane in silenzio, un'espressione addolorata in volto, una mano poggiata delicatamente sul ventre che, malgrado la gravidanza vada avanti da poche settimane, comincia a farsi più morbida.
«Povera, piccola Lilith... neanche pochi mesi e già ti mettono da parte.» la sfotte malignamente Freya, sporgendosi in avanti col busto per poterle ridere meglio in faccia, fregandosene altamente dei brividi che scuotono il suo esile corpo. Che esploda pure, che muti e l'attacchi: le farà il culo a strisce come tutte le altre volte!
«COME OSI?!» le urla addosso Astrid, snudando le zanne e sbattendo con violenza i pugni sul tavolo, tanto da spezzarne una parte.
Akemi la guarda con le lacrime agli occhi, mentre la consapevolezza sul dove arrivi quel fastidioso tum-tum che tanto l'ha mandata di fuori diventa sempre più reale: è il dolce e ipnotico suono di tre cuori che battono nella stessa persona.
Il suo di cuore, invece, pare cessare di battere per qualche secondo. Sua madre, che tanto dice di adorarla, porta in grembo altri due bambini, concepiti con il fratello del proprio padre. Non è tanto quest'ultimo fatto a darle fastidio, no: è il fatto che sia incinta a farle male! Diceva che le sarebbe stata sempre accanto, che non l'avrebbe mai lasciata, ma adesso come farà con due bambini? Come farà a starle vicina e insegnarle a vivere come loro? Come farà ad amarla allo stesso modo?
Veloce come un fulmine si rigira e corre via, dirigendosi verso l'enorme portone che la condurrà lontano da quella villa maledetta, lasciando i presenti di sasso.
«LILITH!» le urla dietro la madre, impossibilitata ad andarle dietro a causa della salda presa che Killian ha sul suo corpo.
Pure Freki si è alzato in piedi, pronto a correrle dietro e costringerla a ragionare in un modo o nell'altro. La farebbe sfogare, le farebbe tirare fuori il dolore e l'odio, la rabbia e il risentimento. La farebbe sorridere portandola di nuovo da Dory, le farebbe capire che, in fondo, una gravidanza non è poi questa tragedia. Ma non può farlo, non senza il permesso del lupo Alfa che ancora siede composto a capotavola.
Fenrir respira calmo, tenendosi le mani sulle orecchie. Vorrebbe cancellare ogni suono attorno a sé, concentrarsi solo sul proprio respiro pesante e trovare una soluzione. Ma come si può trovare una soluzione con una bambina così? Perché è fisicamente e cerebralmente adulta, lo sa, ma per lui quella è la sua nipotina, la piccola bambina da viziare e proteggere. Non vuole intervenire personalmente, non vuole terrorizzarla e farle male.
«Wulfric.» lo richiama con voce roca e bassa, facendolo scattare sull'attenti. Ai due basta un semplice sguardo per capirsi a vicenda, e subito l'antico vampiro scatta verso l'uscita, pronto a placcare violentemente la giovane pur di arrestarne la corsa. Cosa che, in realtà, fa sul serio: non appena riesce a trovarla, ormai davanti ai cancelli, le si butta con forza addosso e la tira per terra, sedendosi sul suo bacino e tenendole le mani sulla testa. Poco gli importa della testata che la ragazza ha battuto nella caduta, deve ascoltarlo e calmarsi.
«Ragazzina!» le urla in faccia, snudando le zanne e stringendo la presa sui polsi tanto da rischiare di romperli. Potrebbe farlo, vorrebbe farlo, ma si trattiene: i novellini bisogna prima prenderli con le buone. Se poi si dimostrano troppo fuori controllo, vengono legati alla catena finché non imparano un po' di buone maniere e autocontrollo.
«Lasciami!» pure Akemi snuda le zanne. I suoi occhi stanno diventando completamente neri, i denti nella sua bocca sono tutti aguzzi e taglienti. Una lieve peluria le ricopre le braccia pallide, indice che sta permettendo al mostro dentro di lei di prendere il sopravvento.
Per un immortale questo è un comportamento assai pericoloso: se la muta avvenisse contro la propria volontà, ma solo a causa di emozioni forti, la ragione verrebbe oscurata e difficilmente recuperata. La bestia sarebbe mossa solo da un istinto primitivo, il più letale e inarrestabile di tutti, che per essere fermato richiede l'abbattimento del soggetto.
«Devi calmarti, per gli dèi! Sei un pericolo per te stessa e per altri adesso!»
Akemi continua a dibattersi sotto di lui, mentre la consapevolezza di essergli mostruosamente inferiore diventa sempre più dolorosa nella sua mente. Si sente inferiore a tutti quanti, non riesce a mostrare a nessuno che ha del potenziale, che può essere considerata uguale agli altri. Týr glielo aveva sempre detto: l'avrebbero rinchiusa e tenuta in una gabbia dorata.
Per un breve istante le tornano in mente tutti i loro momenti. Ricorda delle volte in cui si sono picchiati a sangue e ridotti in fin di vita. Ricorda il suo carattere impossibile, come si rifiutasse di dirle le cose e come la insultasse. Ricorda anche i loro sorrisi, le battute e gli abbracci. Ricorda anche i pochi baci vaporosi che le lasciava sulla fronte o sulla punta del naso.
Ricorda tutto questo e una nuova ondata di rabbia le invade il cuore, violenta come un uragano e distruttiva come uno dei terremoti che crea suo padre.
Urla con tutto il fiato che ha nei polmoni, strattonando un braccio con così tanta forza da farlo sgusciare dalla sua presa e così lo graffia dritto in volto, staccandoselo di dosso.
Gli artigli sono il suo grande potere, la sua più potente difesa. Týr glielo aveva sempre detto, ma non ci aveva più pensato.
Mentre nuove lacrime la solcano le guance pallice, la sua corsa sfrenata riprende, tutto sotto gli occhi stupiti del Mietitore ancora steso a terra.
La ferita che gli è stata inferta fa male, senza ombra di dubbio, ma per un millenario come lui è più semplice resistere. Senza contare che il veleno di un vampiro è meno dannoso su un altro vampiro!
Si alza a fatica in piedi e annaspa in cerca d'aria, sogghignando divertito da questa nuova piega degli eventi. “È più difficile da domare di quanto pensassimo.
Sakura gli è subito di fianco per sorreggerlo e riportarlo nella villa, dove potrà curarsi a dovere prima che la tossina possa procurargli qualche danno, e durante il tragitto i due si trovano faccia a faccia con l'Imperatore.
Si guardano dritto negli occhi, Wulfric e Fenrir. Si guardano e non si dicono niente. Non c'è bisogno di parlare, il sorriso di Wulfric parla chiaro.
Sei uno stolto, Fenrir, se davvero pensavi di poterla tenere sotto controllo così facilmente. In fondo, è figlia di tuo fratello.

Via da qui, via da qui!
Corre con tutta la forza che ha nelle gambe, ignorando il dolore ai muscoli feriti e bisognosi di riposo. Ignora anche il forte bruciore ai polmoni che implorano di essere riempiti di ossigeno.
Nella sua mente scorrono vari ricordi, ma non vuole aggrapparsi a nessuno di quelli. Solo quelli di una determinata persona rimangono sacri nella sua mente. Diventano come luminosi dopo un poco, come se rappresentassero l'incontro con una creatura divina. Le sue parole diventano improvvisamente le uniche che nella sua vita abbiano mai avuto senso, e di colpo la vista sparisce. Non vede dove va, né chi sono le presenze che sente alle proprie spalle. Sente solamente il prolungato ululato carico di rabbia dell'Imperatore e automaticamente allunga il passo, pompando sempre più sangue e consumando sempre più ossigeno, raggiungendo una velocità sempre più elevata.
Mi seguono... vogliono mettermi in gabbia! Týr lo diceva... si, lui lo diceva! Mi metteranno in gabbia e mi controlleranno!
Ringhia furiosamente, buttandosi istintivamente a terra e proseguendo a quattro zampe, percorrendo così il doppio del tragitto con una sola falcata.
Quando i licantropi sono troppo giovani e inesperti, si trovano spesso a correre in questo modo, incapaci di raggiungere subito la forma completa, assumendo un aspetto per metà umano e per metà animale.
Presa com'è dalla sua fuga non si accorge di uno scricchiolio sospetto alla propria destra. Rumore di passi umani, di qualcuno che tiene un'andatura calma. Poi c'è un secondo rumore che avrebbe fatto bene ad ascoltare, come di un oggetto che fende l'aria, ma se ne rende conto nel momento in cui quell'oggetto le si allaccia dolorosamente alle caviglie e la fa cadere a terra.
«Cazzo!» urla furiosa, provando a liberarsi le gambe dalle bolas che le immobilizzano gli arti inferiori, senza successo.
Non fa poi in tempo a voltare la testa che qualcuno le piomba addosso, mettendole un ginocchio in mezzo alle scapole per tenerla inchiodata a terra e piantandole senza tanti complimenti un ago nel collo.
Non ci vogliono che pochi secondi prima che la potente miscela di tranquillanti entri in circolo e le faccia perdere conoscenza.
L'aggressore si toglie dal viso la maschera fatta di corteccia e foglie e la guarda con incredulità, mentre un luminoso sorriso si increspa sulle labbra sottili «L'ho steccata!»

I colori diventano lentamente più nitidi ad ogni secondo che passa, così come i contorni degli oggetti che la circondano. Alle narici le arriva un tenue odore di legno, resina e detersivo per pavimenti.
Si massaggia un poco la testa con le mani mentre si mette a sedere sul comodo divano a righine bianco e blu, guardandosi distrattamente attorno. L'idea di essere stata bloccata senza essere neanche riuscita ad arrivare al porto la manda completamente in bestia, ma ormai non può farci più nulla. “Chiunque sia stato, deve essere piuttosto forte... meglio non farlo incazzare.
«Dove sono...?» domanda a voce alta, aspettandosi di vedersi spuntare davanti agli occhi un mostro dalle peggiori fattezze, magari anche particolarmente in vena di disobbedire al volere del suo Signore e quindi intenzionato a farla a fettine con un'ascia arrugginita.
«A casa mia!»
Magari no.” pensa sorridendo felice nel veder spuntare dalla cucina la testolina ramata di Silly. Sente provenire un dolce profumino di cioccolata calda, ma si astiene dall'alzarsi e andare a scolarsela tutta. In fondo pare quasi che la stia proteggendo, quindi sarebbe poco rispettoso nei suoi confronti.
«Hai fatto un bel macello, sai? Sono tutti piuttosto su di giri. Ma non preoccuparti: nessuno entra in casa mia!» afferma sorridendo allegra la rossa, trottandole in contro e buttandosi a sedere sul posto libero del divano, osservandola con un certo interesse. Non è da tutti i giorni che qualcuno la combini grossa ad Helheimr, se si escludono lei, Mimì e Kakashi, quindi la situazione non può che essere assai divertente ai suoi occhi.
«Perché?» domanda vagamente interessata la corvina, stringendosi nella coperta nella quale l'altra l'aveva coperta mentre era fuori uso.
«Perché l'ho vietato. Nessuno qui entra senza permesso, è contro le regole. E infrangere le regole ti fa mettere alla catena. Nessuno vuole stare alla catena, credimi... e può finirci pure Fenrir, motivo per cui non può entrare.»
«La tua spiegazione ha dell'assurdo...» borbotta Akemi, che ancora fissa la rossa con sguardo incerto. Aveva sentito che se comincia a parlare è difficile che si fermi, e che in ogni caso vomita sempre una raffica di parole una dietro l'altra, ma non ci aveva creduto. In fondo è spesso silenziosa con lei.
«Che è successo?» le domanda stranamente seria in volto, giocherellando con la punta della treccia che le cade morbidamente sulla spalla. Sapeva dal momento in cui l'avevano portata nell'isola, Silly, che la piccola Lilith sarebbe esplosa da un momento all'altro, ma la cosa la incuriosisce lo stesso.
«Va tutto a puttane... tutto quanto.» mormora stancamente Akemi, fregandosene se sta raccontando i fatti propri a quella che è quasi un'estranea per lei. Ha qualcosa negli occhi Silly che la spinge a fidarsi, qualcosa di caldo che manca negli occhi di tutti gli altri. «Credevo che stesse andando tutto bene, ma era solo una stupida illusione. La mia famiglia adottiva mi ha dimenticata, la mia famiglia biologica sta per rimpiazzarmi... mia madre mi tratta come se fossi una specie di bambola di cui far sfoggio, cazzo!»
Silly storce un poco la bocca mentre ci riflette, per poi regalare alla scossa ospite un sorriso raggiante dei suoi, di quelli che ti mettono per forza un pizzico di allegria addosso «In effetti Astrid è una rompicoglioni, non lo nego, e non nego neanche il fatto che ti stia controllando troppo, costringendoti ingiustamente ad essere qualcosa che non sei... però posso garantirti che ti sbagli su una cosa: non vogliono rimpiazzarti.»
Akemi ci pensa su con attenzione, soppesando ogni parola, arrivando a comprendere velocemente che, in effetti, è stupido avercela con la madre per questo. Certo, l'idea di avere due fratellini o sorelline tra i piedi non le va per niente giù, ma non ha alcuna intenzione di intralciarle la strada. Non vuole diventare una specie ti tiranno come lei!
«Perché non mi hanno detto niente?» domanda comunque, spinta dalla sua inesauribile curiosità.
«Per paura di farti male. Stavano solo cercando il momento più adatto.» le spiega con ovvietà la maggiore, stiracchiando le braccia verso l'alto, in modo tale da far scrocchiare anche le vertebre.
«Ci ha pensato Freya al posto loro. Gentile, non trovi?» sbuffa ancora in collera Akemi, voltando la testa di lato. Vorrebbe davvero fare del male a Freya, ridurla in poltiglia e ballare sulla sua carcassa, ma è ben consapevole dell'abisso che ancora le separa.
Se solo ci fosse un solo modo per metterla K.O. ...
«Quel troione! Arriverà il giorno in cui le strapperò la lingua con un tagliaunghie, credimi.» sbotta infuriata Silly, che non ha mai visto di buon occhio l'anziana Lothbook. Capisce che un licantropo possa sentirsi importante ad una certa età, che venire dalla dinastia pura possa avere un certo fascino, ma comportarsi come una reginetta come fa lei davvero non lo sopporta. Può accettarlo da Astrdi perché, in ogni caso, sono stati proprio loro a darle il suo titolo, ma Freya proprio non la capisce.
Arriverà anche il suo giorno, è sicuro. Presto o tardi arriva per tutti!
«Prendo la cioccolata!» afferma scattando in piedi come un grillo, saltellando per il breve tragitto che separa il salottino dalla cucina. Nel farlo le si solleva un poco la camicia bianca, mettendo involontariamente in mostra il vistoso tatuaggio che ha sul fianco.
Akemi lo nota, ammaliata da quel genere di cose da quando ne ha memoria, e si trova involontariamente a sorridere. Tutti nella sua ciurma ne hanno almeno uno, e sempre per una ragione ben specifica. Ora, non può far altro che domandarsi per quale ragione Silly abbia deciso di tatuarsi sul fianco uno stallone nero che galoppa.
«Perché hai scelto proprio un cavallo?» le domanda gentilmente quando torna indietro con le due bevande fumanti, ringraziandola con un sorriso pieno di gratitudine, che involontariamente scioglie il cuore della maggiore. Le fa piacere essere capace di portare un minimo di allegria anche laddove c'è solo tristezza.
«Simboleggia libertà ed irrequietezza. Perfetto per una come me.» risponde bevendo poi una lunga sorsata di quella dolce bevanda. Quando Mimì non è con lei tende a strafogarsi come un maiale, in modo tale da non suscitare neanche una punta di invidia nell'amica che non può più mangiare da secoli.
«Non mi sembri irrequieta.» commenta con aria confusa Akemi, inarcando un sopracciglio.
«Dovevi conoscermi qualche secolo fa.» risponde semplicemente Silly, accoccolandosi meglio sul comodo divano per godersi al meglio la cioccolata, giocherellando con i cioccolatini colorati che ci ha messo sopra.
Akemi si guarda attorno incuriosita, imprimendosi nella mente ogni dettaglio. L'arredamento è rustico, un po' raffazzonato ma comunque ordinato. È un ambiete completamente diverso da quello della villa di Fenrir, che le infonde un'incredibile sensazione di caldo e familiarità, vagamente simile a quello che le infondeva la Moby.
«Me lo puoi fare un favore?» domanda con un filo di voce, vergognandosi per essere arrivata a disturbare una creatura che sta rischiando già abbastanza per i fatti suoi. Perché si, insomma, impedire ad Astrid di confrontarsi con la figlia tenendosela in casa è un bell'affronto, e questo Akemi lo sa benissimo.
«Certo, chiedi pure.» risponde sorridendo allegra la maggiore, inconsapevole delle mille e più seghe mentali della più giovane.
«Tingimi i capelli.» afferma sicura, tenendo lo sguardo fisso su un teschio animale appeso alla parete.
«Perché? È tanto bello il nero naturale.» le domanda vagamente confusa la maggiore, alzandosi lentamente in piedi e guardandola adesso con più attenzione assottigliando un poco lo sguardo. I muscoli sono tesi, lo sguardo è fermo, determinato, folle... tutti fattori che indicano che il lato più malato di Lilith si è finalmente acceso. Quello che molti, inclusa lei, aspettavano con ansia: il lato ereditato da Týr.
«Voglio delle ciocche bianche da intrecciare con i miei.» afferma voltandosi di scatto e guardandola duramente, stringendo un pugno per il nervoso «Mia madre mi vuole perfetta. Vuole che io sia un dolce angelo di cui far sfoggio. Ma dopo tutte le menzogne... no. Non ci sto più.»
Un sorriso perverso si dipinge sulle labbra sottili della mannara, che incrocia le braccia sotto al seno e poggia le spalle contro la parete, rigirandosi una ciocca di capelli ribelli tra le dita. «Io le decorerei con degli oggetti. Piume, piccoli ciondoli simbolici, perle nere.» afferma dopo qualche istante di silenzio, guardandola con eccitazione.
«Ne sei capace?» si assicura Akemi, inarcando un sopracciglio con fare sospettoso.
«Ehi» ghigna divertita, avvicinandola e afferrandole il mento delicato tra le dita «Qui praticamente ci vive anche Mimì. Dove credi si faccia il colore? Credimi, queste pietre sono abituate alle trasformazioni.» la rassicura, mollando finalmente la presa e cominciando a cercare in mezzo alle montagne di oggetti ciò che le serve, appuntandosi mentalmente che la prossima volta che Mimì verrà a farle visita dovrà costringerla a mettere al proprio posto ciò che tocca.
«Quindi... potrei trasformarmi quanto voglio...» pensa ad alta voce Akemi, sfiorandosi con la punta delle dita il tatuaggio nell'incavo del braccio, l'orsacchiotto che fece tempo addietro per Ace. «Sai fare pure i tatuaggi?» le domanda speranzosa, afferrandola con forza per le spalle e guardandola dritto nei suoi grandi occhi scuri e luminosi.
«Li so fare, si. Ma cominci a chiedermi molto così. Tua madre mi tirerà il collo.» borbotta incerta Silly, passandosi una mano sul braccio. Vorrebbe davvero aiutarla a superare il trauma, ripercorrendo bene o male gli stessi passi degli altri, ma non è sicura che valga la pena essere pestata a morte da Astrid per una ragazza che conosce appena. Anche se...
«Tu mi hai giurato fedeltà, giusto?» le domanda sorridendo con aria furbetta Akemi, lasciando finalmente la presa dalle sue spalle e incrociando le braccia sotto al seno.
«Giusto...» mormora in risposta Silly sorridendo divertita, mettendo così in mostra una perfetta dentatura, mentre comincia a capire dove la minore voglia andare a parare.
Akemi sorride vittoriosa, piegando un poco la testa di lato e affermando con incredibile sicurezza: «Sei intoccabile.»
Silly scoppia in una fragorosa risata, ormai completamente d'accordo con il suo sciocco ed infantile piano di “vendetta”. Fenrir in ogni caso sarà dalla sua parte, quindi di cosa deve preoccuparsi in realtà?
«Cosa vorresti farti?» le domanda divertita, appoggiando sul tavolino in mezzo alla stanza l'occorrente per tingerle i capelli e ricominciando a cercare l'occorrente per creare dei nuovi disegni sulla sua pelle.
«Questi due.» afferma con sicurezza Akemi, puntando il dito contro una raffigurazione di due cavalli imbizzarriti, uno bianco e uno nero, perfetti per rappresentare la propria anima burrascosa e il proprio non essere qualcosa, toccandosi con entrambe le mani la schiena, punto dove verranno posizionati. «E questo! Con una frase in un'altra lingua.» aggiunge subito dopo, indicando il teschio animale che poco prima osservava con tanto interesse, poggiando una mano sull'addome. «Poi un tribale vicino al seno. Un muso di un lupo nero sulla coscia e un grosso polipo sull'altra.» conclude sicura, mostrandole con le mani i punti in cui andranno situati i vari disegni. Sa bene che è un gesto stupido, che si sta comportando come una bambina, ma sente di doverlo fare: quel dolore momentaneo la farà sentire di nuovo viva, la farà sentire ancora come il pirata che era fino a poco tempo prima. Nessuno potrà mai capirlo, neanche se impiegasse un giorno intero a spiegarlo, ma questo non le importa per niente.
«Da sola non posso farli tutti in mezza giornata...» borbotta Silly, arrivando in un secondo alla soluzione ideale per questo piccolo contrattempo «Chiamo Mimì! Lei è una vera artista!» afferma sicura, afferrando una piccola radiolina e mandando immediatamente il segnale all'amica che, come ben sa, busserà alla sua porta in meno di tre minuti, come sempre.
Cerca tutto l'occorrente per la sua trasformazione, sorridendo allegra all'idea di poter fare una sciocchezza simile, venendo però bloccata per un polso dalla minore. Akemi la guarda dritto negli occhi, con un misto di dolcezza ed infinita gratitudine.
«Grazie.» sussurra riconoscente, afferrandola saldamente per una spalla e tirandosela addosso, stringendola così in un tenero e forte abbraccio. Le viene di nuovo da piangere, felice di aver trovato qualcuno che capisce, qualcuno che non vuole esporla come un trofeo e che vuole darle la sua libertà, aprendo le porte di quella gabbia dorata che improvvisamente le va troppo stretta.
Silly scioglie piano la stretta, guardandola con dolcezza. «Ti buco anche l'ombelico!» urla subito dopo, saltellando sul posto con fare emozionato.
«Cosa?» domanda con aria confusa la minore, portandosi automaticamente la mano sulla pancia.
«Hai già il buco alla tetta, non vedo perché non farlo anche li.» spiega con ovvietà la lupa, sorridendole con aria quasi supplichevole, oltre che indecentemente divertita «Ohhh, andiamo! Facciamo incazzare per bene tua madre!»
Akemi alza di scatto lo sguardo, fissandola intensamente. È seria, impenetrabile. Poi, lento e pericoloso, un sorriso le increspa gli angoli della bocca, mentre un luccichio folle le attraversa gli occhi di ghiaccio.
«Distruggimi.»

Continua a camminare a passo di marcia per la grande sala principale, lanciando veloci occhiatacce ai portoni spalancati, in attesa del ritorno dell'instabile figlia.
Ha pensato tutto il pomeriggio alla loro breve ma intensa discussione, pensando e ripensando ad una possibile soluzione che vada bene a tutti quanti. L'aborto non lo ha preso in considerazione neanche per un secondo, dal momento che già ama i due nascituri con tutto il cuore; di allontanarla non se ne parla neanche per scherzo, poiché non potrebbe né vivere con la consapevolezza di averla abbandonata di nuovo, né perché non potrebbe mai e poi mai lanciarla in un mondo tanto pericoloso da sola. L'unica soluzione che ha pensato e che le è sembrata quasi ideale è stata quella di andarsene lei stessa, di abbandonare l'isola e rifugiarsi tra i monti, vivendo come un animale per l'amore di tutti e tre i suoi adorati figli, ma ovviamente Fenrir le ha fatto cambiare idea in una frazione di secondo.
L'Imperatore ha infatti deciso che la nipote che tanto adora dovrà adattarsi alla dolorosa novità. La aiuterà ad accettare la situazione per quella che è, a tollerare la presenza dei bambini e la sua, ma di sicuro non la lascerà andare. Quando la minaccia di Peter sarà definitivamente debellata allora ne riparleranno, studieranno qualcosa che andrà in contro alle esigenze di entrambi, ma fino a quel momento non abbandonerà l'isola se non accompagnata da persone di cui si fida ciecamente.
«Dove cazzo è andata a finire?!» urla in preda alla collera Astrid, snudando le zanne e folgorando con i suoi occhi color del sangue i presenti. Rin abbassa il capo intimorita, così come Duncan, mentre Freki rimane assolutamente impassibile, appoggiato di schiena al corrimano delle scale, Freya e Genma parlottano dei fatti propri, totalmente indifferenti alla cosa.
«Quando si dice la finezza...» ridacchia Wulfric, tenendo un braccio attorno alla vita sottile della compagna. Sakura lo guarda infastidita, dal momento che riesce a comprendere lo stato d'animo tormentato della Sovrana.
«Falla finita, Wulf! Mia figlia è là fuori e ce l'ha a morte con me! Chi mi dice che non stia provando a scappare per tornare da quella ciurma di manigoldi?!» urla sempre più furiosa, con la pelle che si sforza come mai prima d'ora per rimanere attaccata alle ossa ed evitare la muta. Non che ciò farebbe male ai bambini, tutt'altro, solo che Akemi, nel caso tornasse, potrebbe prenderla come una minaccia e reagire male.
«Siamo stati pirati anche noi, Astrid.» borbotta Fenrir, osservando distrattamente il proprio calice vuoto. Guardandolo gli piange quasi il cuore, in realtà: fino a pochi secondi prima era pieno fino all'orlo di dolce e fresco succo all'ananas, e ora non potrà averne altro fino al giorno seguente, come stabilito dall'assillante compagna.
«Che vuoi dire con questo?!» gli soffia a pochi centimetri dal viso, fregandosene momentaneamente della gerarchia che vige tra di loro.
«Di non partire subito con i tuoi pregiudizi del cazzo.» le ringhia contro, snudando a propria volta le zanne e lasciando che il suo brillante occhio cobalto si tinga di rosso sangue, caratteristica tipica dei licantropi Alfa.
Ringhiano come due bestie furiose pronte a scannarsi, i nervi a fior di pelle e i muscoli pronti a scattare al minimo movimento sbagliato. La tensione è palpabile, e tutti i presenti si tengono pronti ad intervenire in aiuto della donna. Cioè, non tanto in suo aiuto, quanto in aiuto dei piccoli innocenti che porta in grembo. Non che Fenrir farebbe loro del male volontariamente, questo mai, ma è sempre bene partire prevenuti con due teste calde come loro.
«La fate finita voi due? Mi fate venire mal di testa.» l'arrivo di Killian pare calmare un minimo le acque, dal momento che la donna lascia perdere il compagno e si dirige a grandi falcate verso il proprio Beta. Lo afferra con forza per il colletto della camicia e lo tira a sé, senza mai ritirare le zanne.
«Cosa sai?» gli soffia a pochi centimetri dal viso, assottigliando lo sguardo quando lui si azzarda a sorridere con aria beffarda.
«Che è incazzata, non vuole nessuno intorno e che è sta tutto il giorno con Silly.» risponde pacatamente, passandosi pure una mano tra i capelli castani. Non ha paura di lei, non ne ha mai avuta. È la sua migliore amica, sua sorella, sua mamma. Si sono protetti l'un l'altro per secoli, e mai una sola volta hanno pensato di farsi del male. Perché mai dovrebbe temerla?
«Perfetto!» sbotta ironicamente la donna, lasciandolo finalmente andare «È andata a rifugiarsi proprio dalla più selvaggia dell'isola, meraviglioso
«Ehm, super-mamma?» non riesce a trattenere un risolino, Wulfric, indicando poi con un cenno del capo un punto ben preciso di fronte a sé «Sta arrivando.»
Basta un secondo, e tutti gli occhi dei presenti sono su di lei, sbalorditi oltre ogni limite: il corpo snello e muscoloso è lasciato in bella vista, coperto solo dalla striminzita biancheria intima che indossava sotto al vestito nero precedentemente lacerato, e sulla pelle candida svettano nuovi, grossi tatuaggi neri; ancheggia volutamente in modo marcato, tenendo il mento alto e gli occhi cerchiati di nero ben puntati davanti a sé; i piccoli ciondoli di metallo appesi alle trecce nere e bianche tintinnano lievemente, in un modo che risulta profondamente fastidioso per Astrid.
I giovani lupi presenti la guardano senza nascondere il forte desiderio che improvvisamente nutrono nei suoi confronti, e gli ululati non tardano ad arrivare, tanto forti da squarciare la notte.
Ghigna soddisfatta Akemi, in un modo tanto subdolo e perverso che ricorda in tutto e per tutto quello del padre. In effetti, adesso tutto di lei ricorda Týr: il modo di atteggiarsi, l'ostentata sicurezza di sé, l'eccessività e, diciamolo, la volgarità. Ma, in fondo, sono stati una cosa sola per tanti mesi... perché mai cambiare?
Una volta giunta in mezzo a tutte quelle creature, ben decisa ad andarsene nella propria stanza senza dare nessuna spiegazione, Akemi si trova per la seconda volta la strada sbarrata da Freya. Si guardano con aria di sfida, pronte ad alzare le mani.
«Spostati.» mormora con voce modulata, sorridendole in maniera beffarda. Il suo è tutto un trucco, un qualcosa che ha imparato da Arista a Namba: mai mostrarsi deboli o intimoriti, altrimenti non si guadagnerà mai il rispetto di nessuno.
«Sennò che mi fai?» una sfida bella e buona, un'ultima chance per ribaltare definitivamente le carte in tavola, per affermarsi una volta per tutte.
Sorride dolcemente Akemi, in un modo così falso che fa gelare il sangue nelle vene della maggiore, che non fa neanche in tempo a vedere il colpo. Un movimento veloce, fulmineo, un tocco leggero e appena accennato: un graffio, lungo e poco profondo, sufficiente però per metterle in circolo una dose di tossine per lei troppo elevate.
Si accascia a terra, Freya, tenendosi la mano sul polso ferito, annaspando in cerca d'aria, col compagno che subito le è addosso e le chiede disperatamente cos'abbia e cosa può fare per lei.
Akemi li guarda dall'alto, ostentando una sicurezza di cui in realtà non dispone, superandoli con passo lento e mormorando un assai arrogante “grazie” che la maggiore finge di non aver sentito.
Non guarda nessuno di loro, finge di non essersi accorta del loro malcontento, della rabbia nera che proviene dalla madre. Semplicemente cammina, cominciando a salire le scale, lasciandoseli tutti alle spalle.
«Roar
Volta un poco la testa, assai stupita di aver sentito un commento simile da parte di Freki.
In tutto quel tempo non ha fatto altro che ripeterle quanto fosse gracile, inutile, piccola, quanto somigliasse ad una stupida bambola, quanto i suoi vestiti fossero ridicoli, quanto lei stessa fosse ridicola. E ora, invece, la guarda come se la vedesse per la prima volta, con un luccichio perverso nei suoi profondi occhi verdi.
Gli sorride maliziosamente mentre fa l'occhiolino, riprendendo poi la propria salita, ancheggiando in modo ancor più marcato, speranzosa di avere sempre gli occhi dell'antico lupo su di sé.
Astrid, furiosa sia per aver fallito come madre, sia per l'oltraggio subito, muta in un batter d'occhio e corre via, raggiungendo in pochi secondi una velocità difficile da eguagliare.
Fenrir fa subito un passo in avanti, deciso a rincorrerla per darle conforto, per farla sfogare, urlare e piangere, ma Sakura lo blocca tempestivamente per un braccio. Lo guarda con dolcezza e compassione, piegando poi la testa, intimorita. Malgrado lo conosca da secoli ormai, non riesce ancora a sostenere il suo sguardo in tutta tranquillità.
«Lasciala correre. Si sfogherà un po'.» afferma con un filo di voce, facendo annuire l'Imperatore che, senza dire una parola, si volta e se ne va.
Era consapevole che non sarebbe stata una situazione semplice, che presto avrebbero dovuto affrontare una situazione simile, ma non era realmente preparato. Era preparato all'esplosione per il dolore dovuto alla separazione dalla ciurma, a tutti quei cambiamenti, ma non aveva certo preso in considerazione che, in un momento di pura e folle passione, avrebbe messo incinta Astrid. Non ci aveva davvero pensato, malgrado la sua intelligenza.
“Uso il diaframma” diceva sempre Astrid, e lui si era fidato. Si era fidato e adesso si trova in una situazione assai scomoda. Non che non nutra già un profondo amore per le due creature che la donna porta in grembo, anzi, però avrebbe assai preferito affrontare la cosa un passo alla volta, fare ambientare la nipote e poi mettere su famiglia, cosa di cui parlavano da secoli.
È tutto così dannatamente complicato...” pensa scuotendo la testa, osservando le carte nautiche che si è fatto trovare da Wulfric con sguardo disinteressato.
Tu, il mio errore più bello, sei colui che sta peggiorando il tutto.” stringe con forza i pugni, ringhiando a denti stretti a causa del dolore che determinati ricordi gli provocano al cuore.
Non posso fallire. Non stavolta...

3
 
Ogni luce sulla Moby Dick è stata spenta, ma molti pirati preferiscono rimanere sul ponte a fare quattro chiacchiere e bere qualche bevanda fresca, in modo da combattere l'insopportabile afa notturna che li avvolge. Pure il capitano non si è ancora coricato, malgrado le infermiere si siano raccomandate in tutti i modi di riposare, deciso a restare vicino ai propri figli a farsi quattro risate. In fondo, tira sempre su di morale vederli alticci mentre perdono a poker e non capiscono per quale ragione abbiano perso.
Halta rimane attaccata al parapetto a fissare l'immensa distesa d'acqua piena di pericoli che li circonda, terrorizzata dall'idea che quella cosa possa davvero trovarli.
Izo, al suo fianco, spiega agli ultimi due della ciurma per quale ragione abbiano insistito tanto per cambiare rotta così all'improvviso, usando la scusa che hanno sentito parlare di una terribile malattia molto contagiosa scoppiata nella prossima isola prevista. Quello che il sedicesimo comandante non sa, è che è tutto vero! Una tremenda epidemia è realmente scoppiata in quell'isola, e il terribile batterio è stato diffuso da un più che incazzato Peter Bàthory.
«Come mai voi due piccioncini non siete già a letto?» li prende in giro Ace, bevendo poi un lungo sorso di birra. Speed Jill ridacchia accanto a lui, osservando poi la bizzarra coppia che è venuta a crearsi in quei mesi con gioia. Quando però Halta si volta a guardarli con aria truce, i loro sorrisi scompaiono di colpo. Quando è così nervosetta è bene girarle alla larga, se non si vuol far scoppiare una rissa.
«Dobbiamo controllare una cosa.» soffia in risposta la donna, tornando subito dopo a guardare il mare con sguardo attento.
Izo si siede sul parapetto accanto a lei e si accende una sigaretta, osservando i lineamenti contratti della compagna, illuminati dagli argentei raggi lunari.
«Ti sto disprezzando profondamente in questo momento, sai?» le mormora distogliendo lo sguardo. Si sente incredibilmente sporco da tutta la giornata, e davvero non riesce a spiegarsi come abbia fatto a convincerlo a mentire così spudoratamente anche al proprio capitano.
«Falla finita, Izo!» gli soffia contro la compagna, distogliendo finalmente lo sguardo dall'orizzonte. Lo fronteggia adesso, tenendo i pugni serrati sui fianchi e il viso all'insù, assumendo un'espressione incredibilmente autoritaria che stona sul suo visetto sempre allegro. «Abbiamo cambiato rotta in modo che non possa trovarci. Li abbiamo messi al sicuro al prezzo di una piccola bugia, quindi piantala.» afferma con tono più pacato ma comunque deciso, convinta di avere ragione. Peccato solo che non si sia resa conto della nave che sta arrivando dalla parte opposta alla loro, avvolta da una lieve nebbia chiara.
«NAVE NEMICA AD ORE CINQUE!» urla a pieni polmoni Atmos dalla coffa, puntando il dito verso la bagnarola che velocemente si avvicina all'imponente Moby.
Tutti scattano sull'attenti ed estraggono le armi, pronti a cacciare gli avversari con la coda tra le gambe. Tutti, eccetto due comandanti, ancora imbambolati con le mani poggiate sul parapetto come appiglio per non scivolare a terra.
«Cazzo...» mormora Izo, fissando la nave che si avvicina sempre di più con gli occhi spalancati per la sorpresa.
Halta poggia d'istinto una mano sulla sua non appena nota lo stemma ricamato sulla grossa vela, raffigurante un drago rosso con due teste. Ricorda che Shanks lo mostrò loro durante la sua ultima visita dicendo che apparteneva al clan più potente, e ricorda perfettamente le parole di quell'estraneo che li ha avvertiti quella mattina. Ricorda che si sarebbe fatto riconoscere dalla vela, e anche che lui vince sempre.
«Lasciateli avvicinare!» urla a pieni polmoni, abbassando con un gesto brusco un fucile troppo vicino alla sua testa. Il pirata che impugnava l'arma, appartenente alla sua divisione, la guarda come se fosse totalmente impazzita di colpo, sguardo che presto si dipinge sugli sguardi di tutti i presenti. Pure il grande Barbabianca è assai colpito da questo suo comportamento, e per questo chiede spiegazioni immediate, rivolgendosi alla donna con un tono burbero e a dir poco contrariato.
«Babbo, ti prego! Non sai quanto mi stia dannando per questa mia completa mancanza di rispetto nei tuoi confronti, ma sono sicura di quel che faccio! Ti supplico!» quasi si butta in ginocchio Halta, guardandolo con le lacrime agli occhi. È vero che si sta odiando: non solo ha mentito e ha fatto cambiare la rotta con l'inganno, ma ha pure deciso di fare di testa propria, mettendosi così sopra al proprio adorato capitano. Si frusterebbe da sola per questo, o peggio. Ma è sicura, nel profondo del suo impavido cuore, che questa è la cosa giusta da fare, che compiendo questa imprudenza potrà avere finalmente il tassello mancante per poter capire nitidamente l'assurda situazione in cui sono stati catapultati.
Il capitano la guarda con sguardo severo, soppesando le sue parole. Halta non è il tipo che supplica qualcuno, lo sa bene. Non lo farebbe neanche se in ballo ci fosse la propria vita! È proprio per questo motivo che, seppur a malincuore, ordina: «Tenetevi pronti allo scontro.»
I vari pirati rafforzano la presa sulle armi e rimangono al proprio posto, cercando di mantenere un aspetto il più possibile imparziale.
Halta torna al parapetto, e per poco non sputa in faccia alla castana che quella mattina le ha messo la lingua in gola non appena le fa l'occhiolino. Le guarda una alla volta: solo donne, tutte di una bellezza da mozzare il fiato, ma neanche l'ombra dell'uomo che è riuscito a scovarli.
«Dov'è il vostro Sire?» ringhia a denti stretti, scatenando nelle donne una serie di risolini piuttosto fastidiosi.
«Sire?» domanda a bassa voce Curiel ad Izo, senza però staccare gli occhi da quelle meravigliose creature quasi completamente nude.
«È così che gli si rivolgono.» risponde con tono quasi stizzito, pronto a piantare un proiettile in mezzo agli occhi a tutte quelle letali puttane. Perché Halta gli ha spiegato cosa sono in grado di fare, quanto siano imprevedibili e sanguinari i vampiri, motivo per cui adesso non può far altro che tenersi pronto e sperare che vada tutto per il meglio.
«A chi?» insiste il decimo comandante, corrugando il viso in un'espressione confusa.
«RISPONDETE!» urla Halta, spazientita dal loro continuo ridacchiare.
«Non c'è bisogno di urlare, sono qui.» tutti si voltano immediatamente verso l'entrata del sottocoperta non appena sentono quella voce a loro estranea, le armi già strette in mano, pronti ad uccidere chiunque abbia osato intrufolarsi sulla nave. Halta, al contrario degli altri, si incammina con passo strascicato verso quella voce, le braccia abbandonate lungo i fianchi e un espressione di completo smarrimento in volto.
Dopo qualche secondo di attesa, poi, i passi dell'uomo si fanno più forti e una sagoma chiara si fa sempre più vivida in quel tunnel buio.
Poi, dopo un tempo che pare infinito a tutti loro, quell'uomo esce, calmo e rilassato. Il suo abbigliamento consiste in un paio di pantaloni di jeans chiari, strappati sulle ginocchia e sulle cosce, e un collo di pelliccia nero che gli cade delicatamente sul torace pallidissimo, sulla quale svettano delle macchie di sangue ancora fresco.
Sorride divertito in direzione di Halta, reclinando un poco la testa di lato. E Halta, guardandolo, sente un forte giramento di testa: capelli neri che ricadono morbidi sugli occhi di ghiaccio, sorriso ammaliante e strafottente, pelle marmorea, fisico forte e slanciato... una bellezza tale da farlo sembrare un Angelo.
«Týr...»
 
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Angolo dell'autrice:
Buon salve a tutti! :D Perdonatemi infinitamente per il ritardo, ma in questa settimana mi è presa una botta d'ispirazione incredibile e mi sono messa a scrivere pezzi a destra e a sinistra (tra cui anche una oneshot rossa che vede come protagonista-- no, non ve lo dico ;P).
Beh, che dire? Niente di eccezionale. Avrei voluto far perdere di più la testa alla nostra protagonista, ma è un periodo che sono calma io e quindi quello è stato il massimo... per ora, certo.
Poi? Ah, già, quasi dimenticavo: È TORNATO! :D Il perché sia ancora vivo e vegeto verrà spiegato in seguito, al momento della riunione per essere precise, quindi dovrete pazientare :P
Penso proprio che il prossimo capitolo sarà totalmente incentrato su questa nuova e bizzarra alleanza! :D E spero vivamente di non deludervi! >.<

Un grazie immenso a Aliaaara, Okami D Anima, Lucyvanplet93, Monkey_D_Alyce, ankoku, Chie_Haruka, Keyra Hanako D Hono, KuRaMa KIUUBY e Yellow Canadair per le magnifiche recensioni! Siete davvero gentilissimi ♥
Ci tengo anche a ringraziare di cuore Aceko_san, ankoku, Asiietta, Caren96, Carmen988, Chie_Haruka, Dark_witch3, D_ann, erica0501, eve vane 90, FemPhoe, FireFirstAce, giada1999, Incantatrice_Violeta, jess chan, Jollyna, Keyra Hanako D Hono, KuRaMa KIUUBY, Law_Death, Mitsuni, Mizutsuki_Chan, Monkey_D_Alyce, nemesis_inframe92, Okami D Anima, Portgas D SaRa, Portuguese D Ice, reachid, Rosa_Linda, Scarlet_D_Rose, Shot93, Skull, SmyleCathy, Stella cometa 94, SunshineKiki, Trafalgar Revy, TRAFALGAR_SARA, Yellow Canadair e zomimanganana per aver messo la storia nelle preferite♥; Hinata Uchiha Arclight, Law_Death, naikechan, Okami D Anima, Portuguese D Ice, Rain_and_Alex, Shot93 e SunshineKiki per averla messa tra le ricordate♥; AceDPortogas, Aliaaara, anis12, Azzu___, Balalaika_, Chie_Haruka, dragon_queen, Ecatilla, eveeyu, evy88, filbea94, FireFirtsAce, girosolomina, giulik_93, GothicLolita96, iaki46, Ikki, irenecaccin_, KuRaMa KIUUBY, LallaOrlando, Law_Death, leonedifuoco, Lucyvanplet93, Lunaix, mileace99, Mizutsuki_Chan, Nakurami, OrderMade96, original_doll, Portuguese D Ice, Puffetta96, Redangel19, rosy03, Shot93, SmyleCathy, SunshineKiki, TheLadyVampire97, Trafalgar Revy, Travel_dream_love, valepassion95, Vidalita, Yellow Canadair, Zefiria BlackIce, zorina98, _K a r i n, _Bianconiglio_, _Lawliet e _miaoo_ per averla messa tra le seguite♥.
Mi piacerebbe moltissimo avere un vostro parere a riguardo :3 PLZ! ♥♥

Un grazie va anche a chi solo legge gli aggiornamenti :) ♥ Siete dei tesori!

A presto, un bacione
Kiki♥


PS: I nuovi tatuaggi di Akemi: http://it.tinypic.com/r/21ka5xe/8
(Come appare adesso il corpo della ragazza -si, è fatto abbestia, ma prendiamolo per buono- : 
http://it.tinypic.com/r/2jecvww/8 )
Tatuaggio Silly (oltre al marchio): http://it.tinypic.com/r/2a99u6q/8
Già che l'ho fatto, ecco pure i vestiti delle “amiche speciali” di Týr: http://it.tinypic.com/r/2epkk6b/

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Capitolo 35
*** 35. Non sempre fare nuove amicizie è piacevole. ***


Piccolo avvertimento: Il capitolo si attacca totalmente al precedente.
Appariranno solamente la ciurma di Barbabianca e Týr, motivo per cui il capitolo sarà un più corto rispetto ai precedenti. È di transizione, ecco. Spero comunque che almeno un pochino vi piaccia :) Buona lettura!
(personaggi originali: http://it.tinypic.com/r/2dv7g5j/8 )

 

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Dalla canna del fucile fuoriesce ancora una sottile scia di fumo chiaro dopo la fuoriuscita del proiettile, e il sangue esce nero e denso dal torace perforato dell'estraneo che tanto li ha messi in soggezione.
Curiel abbassa tranquillamente l'arma, consapevole che un colpo come quello che ha mandato a segno è capace di creare un buco di almeno cinque centimetri di diametro nell'avversario e quindi ucciderlo. Non è consapevole però che i suoi proiettili non hanno alcun effetto su un soggetto come Týr, e che l'unico modo per farlo fuori -o almeno metterlo fuori gioco per qualche ora- è staccarli la testa. Ancora meglio spappolargliela con una fucilata, ma di certo l'antico vampiro non gli darebbe il tempo di impugnare di nuovo l'arma e mirare. Si è fatto volontariamente colpire giusto per fare sfoggio della propria incredibile resistenza.
«Stai facendo sul serio?» inarca un sopracciglio e fissa il Comandante con un ghigno strafottente. Velocemente quell'enorme ferita si rimargina, espellendo i pochi residui del proiettile esploso nei suoi polmoni e nel cuore morto da secoli.
Curiel, così come tutti gli altri, lo guarda sconcertato, incapace di credere che sia ancora capace di muoversi dopo un colpo simile. E non solo: oltre a muoversi prende pure in giro, non mostrando il minimo senso di dolore o paura.
«Riponete le armi ragazzi: è già morto.» li avverte con tono freddo Halta, piazzandosi con decisione di fronte al proprio adorato capitano. “Se vuole ucciderlo, dovrà prima passare sul mio corpo.
«Vedo che hai studiato con molta attenzione, Comandante Halta.» ghigna osservandola attentamente, per poi spostare lo sguardo sul resto della ciurma. Per quanto si impegni, proprio non riesce a capire per quale ragione la figlia sia tanto affezionata a loro. Cosa ci troverò mai in un gruppo di umani?
«Vuoi spiegarmi cosa diavolo sta succedendo?» tuona Barbabianca rivolgendosi alla Comandante, nero in volto per la rabbia. Guarda l'estraneo con astio crescente, più che propenso a staccargli la testa dal collo con un pugno. L'unico motivo per cui si trattiene, per quanto assurdo sia, è il suo sorriso: arrogante, furbo, privo di paura... come quello di Akemi.
Halta prende un profondo respiro, ormai pronta a giocarsi il tutto per tutto, elettrizzata dall'idea di essere finalmente così vicina alla verità. «Questo tizio è l'uomo che sognava sempre Akemi: Týr.» annuncia con voce piatta, osservandolo con attenzione mentre si aggira per il ponte della nave come se fosse casa sua «Questa mattina l'ho casualmente incontrato a Foodvalten e ha chiesto di poter stipulare un'alleanza con noi.» aggiunge subito dopo, distogliendo lo sguardo quando l'uomo si volta a guardarla, sorridendole con la sua insopportabile aria di superiorità. Rivolge così lo sguardo al capitano, morendo interiormente quando legge nei suoi occhi un profondo senso di delusione «Perdonami...»
Týr scoppia a ridere dal niente, facendoli trasalire. Li guarda con curiosità, soffermando lo sguardo su un uomo in particolare. Un uomo dall'imponente mole, con la pelle bronzea e privo del braccio sinistro. Lo guarda e il suo sorriso si allarga, perverso e divertito.
«Prima di passare alle trattative, oh nobili pirati, mi è concesso sapere come hai fatto, Marshall D. Teach, a perdere il braccio? Un uomo come te deve essere difficile da scalfire, quindi notare questa menomazione mi sorprende molto.» domanda con finto interesse, lasciando che le gemelle gli cingano i fianchi e gli bacino il collo e le spalle, come se fosse una cosa del tutto normale da fare di fronte a degli estranei.
Teach, sentendosi preso in giro da quel ragazzino, gli racconta con fierezza gli atroci avvenimenti di quella tragica notte, di come si è coraggiosamente frapposto tra il suo caro amico e la pazza assassina che voleva ucciderlo, di come ha perso l'arto combattendola e tutte quelle frottole che gli hanno garantito la salvezza dall'ira generale.
Týr ascolta con attenzione, trattenendosi a stento dallo scoppiare a ridere. Si concentra pure per non sentire il suo cuore che non fa altro che battere irregolarmente a causa di tutte le bugie che sta tirando fuori, e questa è forse la parte più difficile.
Le donne al suo fianco, al contrario, ridacchiano divertite, fissandolo come se fosse un appetitoso piatto di lasagne fumanti.
«Ci hai ragionato tanto, eh?» lo sfotte dopo qualche istante Týr, incrociando le braccia al petto e fissandolo ora con un vago astio. Sapeva benissimo che avrebbe mentito anche a lui, ma comunque la cosa non gli va giù. Non tanto perché ha lanciato merda sulla figlia, no, quanto proprio per il fatto che gli ha mentito spudoratamente senza battere ciglio. Da quando è stato trasformato in un vampiro nessuno ha più osato dirgli delle balle. Forse solo altri vampiri!
«Ma quale ragionato e ragionato! Questa è la versione dei fatti!» gli urla contro Teach, punto nell'orgoglio. I compagni subito gli danno man forte, in attesa solo dell'ordine del capitano per ucciderlo e ridurlo in mille pezzettini.
«Già, immagino che ormai pure tu te ne sia convinto.» ammette l'immortale, senza mai abbandonare il sorriso. Gli si avvicina piano di qualche passo, godendo nel vederlo indietreggiare di un passo.
«C'è un piccolo problema in questo tuo elaborato racconto, Teach: IO HO VISTO TUTTO!»
I vari pirati rimangono interdetti di fronte a questa sua strana affermazione, soprattutto considerando la rabbia con cui si è espresso. Puntano fulminei le armi contro le vampire che, veloci come saette, si sono portate accanto al loro Signore per proteggerlo, snudando le zanne e soffiando contro Barbanera. Pure loro stanno solo aspettando il via per attaccare.
«Sta mentendo!» urla offeso Teach, puntandogli contro la pistola, senza però intimorirlo minimamente. Se solo Týr volesse, potrebbe strappargli anche l'altro braccio senza dargli nemmeno il tempo di reagire. Ma non vuole. O meglio, non può.
«Ti piacerebbe, grassone.» lo sfotte ridacchiando, senza neanche più degnarlo di uno sguardo. Nessun mortale merita così tanto la sua attenzione, figuriamoci un uomo grasso e maleodorante che è già stato battuto da una mocciosa instabile.
«Come osi?!»
Il richiamo tonante di Barbabianca riporta un minimo di equilibrio sulla Moby, facendo bloccare i presenti e attirando pure l'attenzione delle seducenti vampire. Anche Týr volta un poco la testa, sempre più indispettito. Nessuno gli ha mai mancato tanto di rispetto, nessuno ha mai osato opporsi tanto alla sua volontà e, soprattutto, nessuno ha mai osato dargli del bugiardo. Perché di Týr si possono dire un sacco di cose, la maggior parte delle quali davvero orribili, ma non certo che sia un bugiardo. Le poche volte in cui ha mentito in vita sua, erano solo ed esclusivamente per salvare la vita di coloro a cui tiene davvero.
«Io posso mostrarvi che l'uomo in cui voi tutti riponete la vostra fiducia, altro non è che uno sporco traditore.» soffia nervoso, fissando dritto negli occhi l'imponente capitano, per il quale nutre un briciolo di rispetto «Voleva uccidere il quarto Comandante Satch per sottrargli il Frutto del Diavolo che aveva recuperato quel pomeriggio, motivo per cui Mimì e Silly si sono scomodate per recuperarlo. Mio fratello e tutti gli abitanti di Helheimr conoscono la verità sul tuo conto, Teach: nessun luogo su questo pianeta sarà più sicuro per te, se loro decideranno di vendicare l'onore della loro principessa.» afferma duramente, ghignando malignamente mentre avverte il pirata del pericolo in cui è andato ad invischiarsi da solo.
«Akemi è una principessa?» domanda Ace senza neanche riflettere prima di parlare, avvicinandosi pure incautamente all'uomo, innescando così la reazione nelle sue avvenenti guardie del corpo, che non osano però attaccarlo poiché non hanno il permesso ufficiale del loro Signore.
«Non chiamarla così. Non davanti a me.» sibila indispettito assottigliando lo sguardo, concentrandosi poi per riuscire a ricomporsi per poter rivelare loro una scomoda verità «Il suo nome è Lilith Lothbrook, prima del suo nome e Principessa dei Morti, figlia legittima della Regina dei Dannati, Astrid Anwend, e del Re delle Tenebre... Týr Lothbrook.»
Silenzio. Solo un profondo ed assordante silenzio. Neanche il rumore dei loro respiri osa interromperlo, e per un istante pare quasi che anche le onde del mare abbiano cessato di infrangersi contro i fianchi della nave.
Barbabianca fissa quell'uomo dai modi bizzarri con occhi spalancati, completamente incredulo. Lui, esattamente come tutti gli altri, era perfettamente a conoscenza del fatto che un certo Týr vivesse nella sua testa e, come tutti gli altri, era convinto che fosse una specie di sdoppiamento della personalità o una cosa simile. Mai avrebbe potuto pensare che quell'uomo tanto molesto fosse una persona reale, capace di respirare e muoversi, fatto di carne, ossa e sangue come tutti loro. Tanto meno avrebbe mai potuto pensare che quello stesso uomo avesse con la sua adorata bambina un legame di parentela così stretto.
Vorrebbe davvero ucciderlo. Vorrebbe scattare e ridurlo ad una poltiglia rossastra a furia di pugni, per poi riuscire a decomporlo totalmente a livello molecolare a furia di calciare i suoi resti. Ma non lo fa. Non può farlo, non dopo le precedenti rivelazioni. Perché per quanto gli sembri assurdo che il suo adorato figlio Teach possa averli davvero ingannati, gli è sempre sembrata piuttosto strana pure la sua dichiarazione dei fatti. Dopo aver sentito ciò che Týr ha detto, poi, gli sembra ancor più strana. Si era infatti dimenticato di quel frutto, aveva rimosso il fatto che le due ragazze immortali fossero venute proprio per quello... ma ora ha senso.
«Tu... tu sei suo padre?!» sbotta Marco, prendendo finalmente la parola, travolto dall'angoscia.
Era convinto di essersi quasi sbarazzato del dolore che lo stava distruggendo, ma vederlo lì, così dannatamente simile a lei sia nei modi che nell'aspetto, tutto quello che hanno passato gli torna dolorosamente in mente.
Unito al dolore, poi, c'è pure un fortissimo imbarazzo, che però non dà a vedere. Non ammetterà mai con nessuno, neanche sotto tortura, che trovarsi davanti il padre di Akemi lo sta mettendo tanto in agitazione, che preferirebbe trovarsi legato in una stanza con tutti i vertici della Marina. Perché Marco sa -per ammissione di Akemi- che quell'uomo era sempre presente, che vedeva e sentiva ogni cosa, incluse le emozioni. Quindi, logicamente, ha visto e sentito anche lui.
Quando poi gli occhi glaciali di Týr si posano su di lui, magnetici e curiosi come quelli di Akemi, sente lo stomaco aggrovigliarsi e il cuore fargli una capriola nel petto. Perché lui è fottutamente simile a lei. Anche solo gli sguardi che ti rivolge sono uguali!
«Mio malgrado.» ammette sorridendo falsamente il vampiro, osservando il pirata che tanto faceva sospirare la sua adorata figlia con un certo disgusto. Se prima lo trovava bruttino, adesso può affermare con sicurezza che è proprio brutto, totalmente differente dall'ideale di uomo che aveva immaginato al fianco della ragazza. Sperava, sin dal momento in cui l'aveva vista tra le braccia di Killian, di vederla al fianco di un uomo alto, possente e, soprattutto, immortale come lei, capace di mettere il mondo in ginocchio e donarglielo per un suo capriccio. Invece no! Si è andata a pescare un uomo dalla capigliatura assurda, lo sguardo perennemente scazzato, che vive eseguendo gli ordini di un vecchio e, come ciliegina sulla torta, pure mortale!
Mia figlia è una deficiente.
«Perché non gliel'hai detto?» sibila Satch, tremando per la rabbia che si sta velocemente impossessando di ogni sua cellula «PERCHÈ?! Lei soffriva da morire per il fatto di non conoscere i propri genitori e tu non le hai detto un cazzo!»
Ne avevano parlato molte volte, lui e Akemi, soprattutto quando la ragazza era piccola, e ogni volta gli si stringeva il cuore nel vederla e sentirla tanto afflitta. Avrebbe fatto carte false per poterlo scoprire, anche solo per poter avere una fotografia che li rappresentasse da mostrarle, quindi scoprire che quell'uomo che tanto la faceva dannare e la terrorizzava quando dormiva altri non era che il suo bastardissimo padre biologico, non può far altro che farlo incazzare come una bestia.
Quando poi Týr si volta a guardarlo con aria corrucciata e offesa, come se lo avesse insultato anche a parole oltre che col pensiero, la rabbia aumenta ancora di più. Esattamente come il capitano, vorrebbe saltargli alla gola, distruggerlo e dare fuoco ai resti, ma come lui non lo fa. In fondo, se proprio Barbabianca non ha ancora mosso un dito, un motivo c'è, e lui ne è ben consapevole. In cuor suo, però, spera davvero che rinsavisca e ordini di eliminarlo seduta stante, in modo tale da avere la possibilità di dare sfogo a tutta la rabbia e la ferocia che sta provando.
«Pensi che non avrei voluto? Pensi che non avrei preferito dirle “Ehi, sai che sono tuo padre? Ora forza, raccatta la tua roba, ti conduco tra le braccia di tua madre”?!» gli urla contro Týr, snudando involontariamente le zanne. Le donne al suo fianco tremano nel vederlo così rabbioso, vicino a scattare per ucciderli. Sanno bene che non se ne nutrirebbe neanche, che li ucciderebbe per il semplice gusto di farlo, e la cosa le spaventa ancora di più, perché per quanto brutali loro stesse possano essere, non raggiungeranno mai i suoi livelli. Mai.
«Non l'ho fatto solo perché voi le volevate davvero bene, in un modo così puro che mi ha sconcertato. Solo per questo ho deciso di lasciarla crescere in mezzo a voi, di darle la possibilità di vivere almeno per un breve periodo una vita vera.» aggiunge dopo qualche secondo di silenzio Týr, imponendosi di ritrovare la calma. Respira a fatica, concentrandosi con tutto sé stesso su ricordi positivi, che comprendono esclusivamente l'adorato fratello maggiore. Ricordi che partono dalla loro infanzia, che ripercorrono le loro avventure sia da mortali che da immortali, che riportano in vita le loro risate e i loro giochi, i loro abbracci e il loro amore incondizionato. Solo pensando a questo riesce a ritrovare la lucidità e la calma, tanto da poter ritirare le zanne e gli artigli.
Non posso ucciderli. Dopo mi troverebbero... non posso tornare, non ancora.
«Hai detto che puoi dimostrare che Teach non dice il vero...» afferma quasi sovrappensiero Halta, tenendo gli occhi bassi. Non se la sente di guardarlo, ma sa di doverlo fare. Mostrarsi intimoriti non aiuta assolutamente con quelli come loro, bisogna sempre mostrare di essere forti e con l'intenzione di tenergli testa, senza però mancare mai di rispetto, ovviamente: potrebbe essere l'ultimo errore della vita.
Alza di scatto la testa, puntando gli occhi in quelli attenti e vivaci dell'uomo. La sta sfidando a reagire, a tirare fuori le palle come già l'ha vista fare, e di certo Halta non ha intenzione di dargli una delusione.
«Fallo.» ordina infatti con tono duro, tirando un mentale sospiro di sollievo quando lo vede sorridere compiaciuto, indice che non ha osato troppo. In fondo, se massacrava di botte la figlia, perché mai dovrebbe risparmiare lei?
Týr si sposta velocemente, troppo velocemente per i loro standard, e si porta senza che nessuno possa prevederlo al fianco dell'Undicesimo Comandante, afferrandolo saldamente per le spalle in modo da poterlo mettere in ginocchio.
Avviene tutto in pochi secondi: il Comandante in ginocchio col vampiro alle spalle, una mano che gli tiene ferma la testa e una goccia di sangue nero che gli cade nell'occhio. Poi tutto rimane immobile, il tempo è come sospeso. Aspettano tutti una reazione da parte del compagno immobile, che guarda il cielo stellato come se fosse la prima volta che lo vedesse.
Ma poi si alza. Si alza lentamente, confuso e frastornato. Guarda per un istante il vampiro immobile dietro di lui, ricevendo in risposta ad una muta domanda un cenno di consenso col capo. Una conferma dolorosa per l'uomo, la cui vista viene completamente offuscata da una rabbia nera, che lo porta a scagliarsi violentemente contro il traditore.
«BRUTTO STRONZO!» urla con tutta l'aria che ha nei polmoni prima di dargli un pugno in pieno volto, facendolo cadere rovinosamente a terra. Non gli dà poi neanche il tempo di rimettersi in piedi che ricomincia a picchiarlo duramente, con pugni e calci violenti, facendogli sputare a terra sangue e denti. Non gli importa di niente in quel momento: li ha traditi tutti quanti.
«Kingdew!» «Ma cosa diavolo fai?!» «È impazzito, fermatelo!»
L'intero equipaggio si lancia contro il Comandante per fermarlo ed impedirgli di uccidere a mani nude il compagno steso a terra.
Barbabianca stesso scatta in piedi, preoccupato, concentrandosi per ignorare il forte capogiro e i conati di vomito che quello scatto improvviso gli provocano. Non stava così male da tempo, quasi si era scordato come ci si sentisse.
«Lui! Lui ha ragione! Teach ci ha raccontato solo stronzate!» urla il Comandante in preda ad una rabbia nera, cercando ancora e ancora di liberarsi dalla ferrea presa che i suoi fratelli hanno sulle sue braccia. Tentativi inutili, lo sa, ma non può non provarci: il suo è stato un comportamento inaccettabile.
«Come facciamo ad essere sicuri che non abbia convinto Kingdew con qualche strano incantesimo?» domanda con aria scettica Fossa, lanciando un'occhiataccia al nuovo arrivato, che in tutta tranquillità si è acceso uno spinello.
Týr, dal canto suo, non è minimamente preoccupato. E perché mai dovrebbe, in realtà? In tutta la sua esistenza ha vissuto esperienze assai più pericolose di quella in cui si trova, e fuggire non sarebbe per niente difficile per lui. L'unica cosa che gli darebbe fastidio, nel caso dovesse arrivare alla ritirata, sta nel fatto che dovrebbe sicuramente abbandonare i propri adorati cani.
«Posso fare lo stesso giochino con tutti quanti voi, ma sinceramente mi irrita molto donare così il mio sangue.» ammette con tono annoiato il millenario, osservando con un certo interesse l'erba che lentamente viene bruciata dalla fiamma prodotta dall'accendino. Ha sempre avuto un debole per le droghe, con un'inclinazione particolare all'abuso di fenciclidina. «L'unico a cui ho intenzione di donarlo di mia spontanea iniziativa, come ringraziamento per gli eccellenti lavori svolti, sei tu, Newgate.» afferma subito dopo, alzando gli occhi sull'imponente uomo che si è di nuovo seduto sul proprio seggio «Mia figlia ti diede il suo sangue e tu stetti meglio, rammenti? Ecco, il mio sangue avrà lo stesso effetto, con l'unica differenza che del mio bastano poche gocce.»
«Perché?» domanda automaticamente Barbabianca, incuriosito dai suoi strani modi. Perché sì, gli sta mancando di rispetto, ha causato una rissa tra i propri figli, ha lasciato intuire che li considera al pari di una stufetta, ma c'è comunque qualcosa in lui che gli impone di dargli un minimo di ascolto.
«Perché sono un millenario, amico.» risponde con ovvietà il vampiro, sorridendogli beffardo. Sorriso che però si spegne nel momento esatto in cui il capitano fa saettare gli occhi sul figlio di cui tanto si fidava e che invece si è rivelato essere un traditore. Già Týr è un essere a cui dà molto fastidio essere messo da parte, anche se per pochi secondi, se poi viene messo in ombra e il suo interlocutore ha pure l'intenzione di uccidere qualcuno che lui stesso ha risparmiato la situazione rischia seriamente di degenerare.
Respira con affanno, stringendo violentemente la mano per non scattare lui stesso e fare una vera e propria carneficina. Aspira diverse boccate di erba e continua a ripetersi un Mantra che venne insegnato a lui e il fratello millenni prima da un buddhista: tre cose non si possono nascondere a lungo... “Il Sole, la Luna e la verità. Il Sole, la Luna e la verità. Il Sole, la Luna e la verità. Il Sole, la Luna e la verità.
Il respiro lentamente si calma, la mente torna nuovamente lucida.
Si avvicina velocemente a Barbabianca, tanto da trovarsi ad un metro scarso da lui, fatto che riesce a bloccare pure gli istinti omicidi dei suoi fedeli sottoposti, ora troppo concentrati a tenerlo sotto tiro.
«Non è compito mio occuparmi del traditore, e neanche tuo, Newgate. Questo arduo e delicato compito spetta a mio fratello, Fenrir.» sibila, incredibilmente scuro in volto.
Se uno di loro morisse adesso, Munnin riferirebbe e qualcuno verrebbe a controllare, e di conseguenza verrebbe trovato. Non può ucciderli lui e non possono neanche uccidersi tra loro: niente deve andare assolutamente storto!
«Non era il nome di un grosso lupo della mitologia vichinga?» domanda Izo per provare ad instaurare una specie di conversazione, in modo tale da mostrare a tutti, compreso sé stesso, che quel bizzarro vampiro non ha cattive intenzioni. Perché deve essere così, sennò sarebbero nella merda fino al collo, e non può permettere che qualcuno minacci le loro vite, in particolar modo quella della propria compagna. Se solo sapesse che gli abitanti di Helheimr combatterebbero ferocemente per la salute della Comandante che è stata tanto vicino alla loro piccola e preziosa principessa...
«Secondo te a che stirpe appartengo, uomo dalla sessualità confusa?» sbotta Týr, preda di uno dei suoi classici sbalzi d'umore. Ne ha sempre sofferto, sin da piccolino, e ogni volta non duravano più di qualche secondo.
Speed Jill, colto da una strana e malsana curiosità nei confronti del vampiro che sta osando tanto solo per stringere un'alleanza con loro, gli si avvicina cautamente, osservandolo attentamente.
«Cosa ti ha spinto a dirle la verità?» gli domanda non appena si trova a meno di due metri di distanza, sentendosi a disagio quando i suoi occhi di ghiaccio cominciano a scrutarlo minuziosamente.
«Quale verità?» domanda realmente confuso Týr, reclinando un poco la testa di lato.
«Che sei suo padre, ovviamente.»
«E chi le ha detto niente?» ridacchia divertito il vampiro, provando a ricomporsi non appena nota i cipigli infastiditi sui volti dei pirati «Se n'è andata solo perché era spaventata da sé stessa. Era convinta che suicidandosi in mare, o quanto meno fuggendo lontano da voi e nascondendosi in una fetida grotta nascosta agli occhi del mondo intero, avrebbe trovato un minimo di pace e vi avrebbe tenuti al sicuro.»
«Ancora una volta non ha fatto i conti con te, dico bene?» sibila infastidito Marco, affiancato da Satch. Loro, forse più di tutti gli altri, non provano curiosità nei suoi confronti. Provano solo rabbia e risentimento, vorrebbero semplicemente spedirlo in orbita a calci, inconsapevoli del fatto che questo loro risentimento non fa altro che divertire il vampiro.
«Non è del tutto esatto.» ammette ricominciando a camminare per il ponte della nave «Nessuno sa che sono vivo. Onestamente neanche io pensavo che sarebbe mai potuta succedere una cosa simile, neanche dopo quello che ho fatto.»
«Perché, che hai fatto?» azzarda Ace, avvicinandolo senza paura. Ha ben capito che se voleva provare ad ucciderli lo avrebbe già fatto, quindi è convinto di potersi un minimo fidare.
«Questi non sono cazzi tuoi.» risponde prontamente il vampiro, facendolo sbuffare infastidito «In ogni caso, lei non ha fatto i conti con Peter Bàthory.» aggiunge subito dopo, sputando quel nome con rabbia. I muscoli si tendono automaticamente, pronti a scattare per abbattere quel terribile avversario che, per sua fortuna, adesso è solo nei suoi ricordi. Se si trovassero faccia a faccia adesso, si troverebbe in seria difficoltà, soprattutto se si considera il fatto che è riuscito a sopravvivere da solo, cosa che nessun licantropo è mai riuscito a fare per più di qualche mese.
«Quello che sta reclutando altre ciurme per farci fuori?» gli domanda Halta, tenendosi sempre a distanza. Non vuole provocarlo, non se la sente. In uno scontro forse riuscirebbe a tenergli testa per un po', ma è consapevole che gli basterebbe un artigliata per metterla K.O. a causa della tossina che rilasciano.
«Non solo per far fuori voi.» ammette con una lieve sfumatura di paura nella voce. Perché Týr non è tanto folle da sottovalutare un tipo come Peter: aveva detto quel giorno lontano che dovevano ucciderlo come prevedevano le loro leggi, ma non gli è stato dato ascolto. In effetti il fatto che Fenrir fosse così contrario all'idea di farlo fuori l'ha sempre lasciato assai perplesso: è vero, è stata la sua creazione più perfetta, la macchina da guerra che qualsiasi licantropo o vampiro sogna di essere o comunque di creare, ma perché mai risparmiarlo?
«Vi basti sapere che è un vecchio amico di famiglia, ok?» afferma seccato il vampiro, voltandosi con aria stizzita verso Barbabianca.
«Tu vuoi stringere un'alleanza con me, ma non vuoi dirmi niente?» gli domanda arrogantemente l'Imperatore, incrociando le braccia al petto e guardandolo con insistenza dritto negli occhi.
«Ti conviene cambiare il tono con me, Newgate. Sono certo che saresti un più che degno avversario per me, e anche che mi daresti del filo da torcere, ma tu non sai di cosa sono davvero capace. Questa non è una minaccia, sia chiaro, ma è bene mettere subito le carte in tavola. E già che siamo in argomento, ti conviene tenere a mente che gli immortali raramente giocano pulito.» sorride divertito, Týr, nel vedere quell'imponente uomo tremare per la rabbia. Adora stuzzicare le persone, metterle alle strette, mancare di rispetto senza ritegno e, soprattutto, ama vederle perdere velocemente il controllo.
Se solo potessi attaccarlo...
«Ad ogni modo, sì, voglio stringere un'alleanza con te. E non solo: voglio rimanere su questa nave assieme ai miei cani e alle mie compagne.» afferma con sicurezza subito dopo, sfoggiando un sorriso innocente che fa accapponare la pelle. Per quanto bello possa essere, infatti, è decisamente troppo innaturale su di lui.
«Scordatelo.» sibila Marco, trovando sempre più difficile tenere a bada il proprio potere. Delle piccole fiamme azzurre cominciano a coprirgli il petto e i pugni contro la sua volontà, cosa che però non spaventa minimamente l'immortale che gli sorride sornione.
«Credetemi, sarà estremamente vantaggioso per tutti: nessuno scoprirà della mia resurrezione, cosa che mi darà modo e tempo di escogitare un sistema per sventrare quel cane bastardo, e voi potrete godere della mia inestimabile compagnia, della compagnia di queste zoccole assetate di sesso e avrete anche una notevole protezione.» afferma realmente convinto delle proprie parole, mentre alle sue spalle le vampire sospirano sorridendo inebetite, quasi svenendo per l'emozione quando il loro creatore si volta e sorride serenamente.
«Allora, ci stai?» domanda dopo qualche secondo di silenzio al capitano, con un'espressione in viso che lo lascia pietrificato: i denti bianchi e perfettamente dritti esposti, gli occhi di ghiaccio colmi di allegria e strafottenza, i capelli neri e lucenti che si muovono sospinti da una lieve folata di vento, il sorriso speranzoso che gli illumina il viso... uguale a lei.
Vorrebbe dirgli di no, Barbabianca. Vorrebbe davvero. Vorrebbe mandarlo via e dirgli di non tornare mai più, di lasciarli in pace, per poter così chiudere definitivamente con quella dolorosa faccenda, ma non ci riesce: avere accanto quell'uomo folle ed imprevedibile è l'unico modo che gli resta per poter continuare a rivivere quei ricordi, per avere di nuovo la sua piccola Akemi con sé.
È un'idea folle, ne è consapevole, ma non riesce a non gioire interiormente. Avrà di nuovo una parte di lei, seppur si tratti di quella parte che ha provato a combattere per mesi.
«E sia.» sentenzia infine, ricevendo dai suoi adorati figli degli sguardi colmi di sorpresa. Alcuni addirittura dubitano della sua discutibile scelta di fidarsi di un vampiro evidentemente instabile come quello, ma non osano esporre i propri dubbi ad alta voce. Alla fine sanno bene quanto il loro capitano odi discutere delle proprie scelte, quindi non possono far altro che sperare che tutto vada per il meglio.
Un sorriso brillante si dipinge sul volto dell'antico vampiro, che fulmineo si volta verso le proprie seguaci, allargando teatralmente le braccia per attirare ulteriormente l'attenzione generale.
«Ubrukelige horer: bringe meg hundene i lasterommet og knytte dem slik at de ikke går bort!»
Le avvenenti donne scattano come molle, eseguendo velocemente il suo nuovo ordine sotto gli sguardi attenti e curiosi dei pirati. Le guardano mentre corrono sulla bagnarola su cui sono arrivate, tornando poi sul ponte della Moby affiancate da cani zombie, che latrano come impazziti per poterli attaccare e divorare. Alcuni fanno qualche passo indietro, disgustati da quella visione, ma nessuno emette un suono.
Alcune delle seguaci di Týr si prendono pure la briga di portare sull'imponente nave anche gli effetti personali del loro signore, che consistono in enormi casse cariche di vestiti, sacche di sangue e arti umani, che serviranno poi per nutrire i cani. Perché Týr ama i suoi cani morti, li vizia e li venera come se fossero dei normalissimi cuccioli tutto pelo che scodinzolano ogni volta che li chiami.
«Nummer åtte, gå om bord og sett brann. At det ser ut som en ulykke. Si hei til Hel!» la vampira richiamata, da lui ribattezzata Numero Otto, esegue senza fiatare. Non guarda nessuno dei presenti, non osa neanche avvicinarsi al proprio Signore per salutarlo un'ultima volta. Semplicemente monta di nuovo sulla nave con la testa china e, dopo pochi minuti di attesa, accende finalmente l'incendio che cancellerà ogni traccia del loro passaggio, dicendo addio alla propria natura immortale per renderlo felice.
I vari pirati osservano la scena dall'alto della loro imbarcazione, rimanendo perlopiù impassibili alle urla strazianti della giovane vampira che brucia.
«Tu sei pazzo...» osa mormorare Ace, turbato da tale comportamento: come si può fare una cosa simile ad un proprio compagno? Se lo domanda incessantemente, ma proprio non riesce a trovare una risposta plausibile. Nemmeno a Teach riserverebbe un trattamento simile, malgrado il tradimento da lui compiuto.
«Quando vivi per più di settemila anni, devi trovare qualcosa da fare che ti faccia sentire ancora vivo.» risponde con ovvietà il vampiro, affiancandolo senza alcun timore. Gli sorride pure, con un'aria indecifrabile, cosa che urta non poco il focoso Comandante.
«E uccidere le tue compagne aiuta?» sibila contro di lui, portandosi a pochi centimetri dalla sua figura. I suoi compagni non lo fermano, desiderosi solamente di vederlo accendersi in tutta la sua rabbia ed incenerirlo lì dove si trova.
«Direi, più che altro, uccidere in generale.» risponde il maggiore, stavolta con un tono assai annoiato. Rotea pure gli occhi al cielo, giusto per evidenziare ulteriormente lo stato d'animo che questa noiosa conversazione gli provoca. Poi si volta, dandogli tranquillamente le spalle, dirigendosi con passo calmo verso il sottocoperta, intenzionato a far rilassare i propri cani chiusi nella stiva. «Non temere, figlio di Roger: non torcerò un capello a nessuno di voi.» aggiunge con poca convinzione, pur essendo consapevole di quanto al Secondo Comandante dia fastidio che venga sottolineato chi sia il suo padre biologico.
Quando Ace scatta verso di lui, pronto a prenderlo a pugni, Marco lo ferma prontamente tenendolo per un braccio, continuando a fissare con astio il padre biologico della sua ex-ragazza.
«E perché no? Lilith è morta, cosa siamo noi per te?» gli domanda con tono duro, assottigliando lo sguardo. Poco ci manca che lo mandi pure al diavolo quando si volta e gli sorride con aria derisoria, ma si trattiene. È il Primo Comandante in fondo, è bene che dia il buon esempio.
«Per quanto sia doloroso da ammettere, sì: la mia piccola gemma non cammina più in questo triste mondo. In questo momento starà vagando sorda e cieca per il tetro mondo di Helheimr, dimora della dea Hel, figlia del dio degli inganni Loki, ma non per questo io non devo offrire i miei aiuti a coloro che l'hanno allevata con tante premure.» afferma con voce modulata il vampiro, gesticolando lentamente e camminando calmo tra i vari pirati, osservando con sguardo assorto la Luna che splende alta sulle loro teste. Finge di non sapere come stanno realmente le cose puntando su discorsi più lunghi e confusionari, riuscendo perfettamente nel proprio intento.
«Ma cosa cazzo dici?» sbotta Ace, che si è perso quando ha cominciato a parlare di dei e parentele varie, tirando fuori nomi che non aveva mai sentito nominare prima.
Týr si volta e lo guarda assai infastidito perché ha osato alzare nuovamente la voce, ma anche questa volta si trattiene. Non è il caso che tiri fuori gli artigli e faccia una carneficina per così poco dal momento che è ben consapevole che Munnin osserva i pirati il più delle volte: sarebbe scoperto immediatamente!
«È morta stecchita ma voglio comunque aiutarvi, ok?» domanda ironicamente, girando sui tacchi e dirigendosi a grandi falcate nella sua nuova e assai poco confortevole stanza. Ora che ci pensa a mente fredda, gli viene quasi da vomitare alla sola idea di doverci stare: lui, Týr Lothbrook, il grande Re delle Tenebre, chiuso in una stiva umida e puzzolente per chissà quanto tempo, lontano dal lusso a cui è abituato da millenni.
Per quale fottuta ragione decisi di rendere immortale quel fottuto corvo?! Guarda in che situazione di merda mi ritrovo per colpa sua!” pensa furioso, riacquistando però la lucidità mentale nel momento esatto in cui sente l'inconfondibile odore del Secondo Comandante arrivargli alle narici. Si blocca quindi in mezzo al corridoio, voltandosi infastidito verso di lui.
E ora questo idiota che cazzo vuole da me?
Ace gli corre dietro senza alcuna paura, quasi finendogli addosso. Si guardano per qualche secondo dritto negli occhi, silenziosi, finché il Secondo Comandante si abbandona ad un sorriso imbarazzato.
«Tu sai fare le sedute spiritiche? Cioè, del tipo che contatti i morti e roba simile.» domanda tutto in un fiato, gesticolando animatamente con le mani per dare più enfasi alle proprie parole.
Týr lo guarda assai infastidito, schioccando la lingua e roteando gli occhi al cielo. «So cos'è una seduta spiritica, coglione.» soffia irrispettosamente, girando sui tacchi per potersene andare a riposare, venendo però bloccato per un braccio dal pirata.
«Sorvolerò sull'insulto perché sei un ospite di riguardo.» afferma stizzito Ace, ignorando deliberatamente lo sguardo shockato che vampiro gli rivolge. Mai nessuno si era permesso di afferrarlo in quel modo, giusto il fratello, Astrid e Wulfric e solo quando faceva dei veri e propri macelli al limite della catastrofe.
«Ma che bravo.»
«Voglio mettermi in contatto con lo spirito di Akemi-, oh, scusa: Lilith.» afferma convinto il Comandante, ignorando anche questa volta i suoi modi assai strafottenti «Ne sei capace?» aggiunge subito dopo, guardandolo con occhi speranzosi. In fondo se sono riusciti a mettersi in contatto con uno spirito mesi prima, uno del suo calibro e con la sua esperienza dovrebbe riuscirci senza problemi anche senza quella strana tavola con cui giocarono.
«Non ho alcuna intenzione di disturbare lo spirito di mia figlia per nessuno.» risponde al limite della sopportazione Týr, già totalmente pentito di aver deciso di stringere un'alleanza con loro. Se fosse stato furbo avrebbe continuato a parare loro in culo a distanza, pur essendo rischioso con Munnin nei dintorni.
«Prova ad entrare in contatto con i tuoi sentimenti: ascolta il cuore.» lo prende in giro, aggiungendo pure uno di quei sorrisi falsi che rivolgi ad un bambino quando ti mostra un qualcosa di orrendo e sei costretto a dirgli che è stato bravo.
«Risparmiami queste boiate sul cuore e i sentimenti! Io sono un uomo razionale e pratico, e sono qui per parlare con uno spettro!» sbotta in risposta Ace, lasciandolo completamente di sasso. Pure il Comandante si blocca quando si rende conto dell'assurdità che ha detto e, senza aggiungere più una parola, molla finalmente la presa sul suo braccio e se ne va, imbarazzato a morte.
Poi dicono che io sono pazzo...


Riuscire a dormire con la consapevolezza di avere dei mangiatori di uomini stipati nella stiva è stato pressoché impossibile. Quando la sera precedente uno degli uomini della seconda flotta è sceso per assicurarsi che Teach fosse ancora costretto ai ferri e ha trovato i cani-zombie che lo fissavano famelici, la situazione non è certo migliorata. È stato Barbabianca a calmare gli animi, dicendo loro che sì, possono fidarsi di Týr. Non che ci credano in realtà, ma devono rispettare il suo volere e accettarlo.
Adesso si trovano tutti nella sala mensa a fare colazione, per la maggioranza assai intontiti dal sonno. Giusto all'arrivo delle seguaci di Týr si sono un po' risvegliati, dal momento che sono tutte “vestite” con quella che ad un primo impatto potrebbe sembrare della biancheria intima in pelle nera.
Le vampire si sono messe a sfaccendare in silenzio, senza rivolgere neanche uno sguardo a nessuno di loro. In fondo gli ordini sono stati chiari: se saranno loro ad avvicinarle faranno tutto ciò che verrà loro chiesto, sennò dovranno limitarsi a pulire la nave da cima a fondo in silenzio. E nessuna di loro ha intenzione di disobbedire al proprio adoratissimo Signore, che proprio ora sta facendo il suo ingresso nella grande sala gremita di pirati con i nervi a fior di pelle.
Ma lui non bada a nessuno di loro. Rivolge un sorriso educato al capitano, lasciandolo interdetto, per poi dirigersi con passo leggero verso il tavolo che le vampire hanno allestito per loro. Quando però nota che il suo posto è sparecchiato e già tirato a lucido si blocca.
Batte nervosamente un piede a terra, puntando i pugni sui fianchi e sospirando nervosamente.
«Dov'è la mia sacca di sangue?» domanda assai infastidito, voltandosi verso la vampira più vicina.
La ragazza, una ex-militare dai brillanti e corti capelli castani, lo guarda con sguardo infastidito. Lei sola osa rivolgergli tali occhiatacce, cosa che però non sembra infastidire assolutamente l'uomo.
«Non lo so, Sire, l'avrete bevuta.» risponde quasi sovrappensiero la vampira, soprannominata Numero Quattro.
«NO! Me ne ricorderei!» sbotta Týr, battendo con forza un pugno sul tavolo, che inevitabilmente si spezza.
Per sopravvivere, infatti, Týr ha rapinato tutti gli ospedali in cui si è imbattuto e ha rubato loro tutte le scorte di sangue. Certo, non è assolutamente come nutrirsi direttamente dalla fonte, sentire il battito del cuore impazzito che di colpo si blocca, però è un buon modo per non impazzire accecato dalla fame. È un trucchetto che usava nei periodi bui della propria esistenza, quando lui e i compagni erano costretti a rintanarsi nelle fogne per non essere scoperti prima di sferrare l'attacco decisivo.
«Sai bene che mi concedo un'unica e sola sacca di sangue al giorno, e adesso devo soffrire perché non posso berne un'altra fino a domani, e sì, sono sicuro che tutti loro sarebbero felici se riuscissi a stare una giornata senza la mia sacca di sangue, ma io dico che uno deve godersi la vita!» sbraita tutto in un fiato, ignorando deliberatamente gli sguardi shockati dei pirati presenti. Qualcuno osa pure bisbigliare al compagno che è completamente pazzo, che li ucciderà tutti quanti alla prima occasione, ma lui non ci bada minimamente.
«VOGLIO LA MIA SACCA DI SANGUE!» urla con tutta l'aria nei polmoni, sbattendo i piedi a terra come un bambino viziato.
Quattro, con sguardo accusatorio ed arrogante, lo avvicina tenendo le braccia incrociate sotto all'abbondante seno e il mento alto, fissandolo dritto negli occhi.
«Cosa sono le macchie sulla maglia?» gli domanda sarcasticamente, puntandogli anche un dito sul petto sporco.
Týr abbassa per un secondo lo sguardo, ritrovandosi a sorridere con aria colpevole alla donna che lo fissa infastidita.
«Della sacca di sangue...» sghignazza come un bambino Týr, che aveva scioccamente scordato il fatto che è incapace di nutrirsi da quelle fastidiose buste di plastica senza farsi cadere delle gocce addosso.
«Forse l'ho già bevuta.» ammette indietreggiando velocemente, per poi rigirarsi fulmineo e scappare sul ponte, ridendo sguainatamene.
Le vampire scuotono la testa con rassegnazione, senza però riuscire a trattenere un tenero sorriso, quello dolce e caldo che una madre rivolgerebbe al figlio che tanto ama.
I vari pirati rimangono completamente sbigottiti di fronte a questa sua scenata, riscontrando una somiglianza inumana con quelle che faceva Akemi. Alcuni si trovano a pensare addirittura che in realtà lei non abbia mai fatto niente e che è sempre stato lui a farla muovere e parlare, come se si trattasse di una marionetta vivente, inconsapevoli che tutti gli strani atteggiamenti della ragazza erano proprio suoi e che Týr c'entrava poco o niente.
Ma su una cosa hanno tutti assolutamente ragione: non sarà una convivenza per niente semplice!



Angolo dell'autrice:
Ma buona sera popolo di Efp! :D Perdonatemi infinitamente per questo mostruoso ritardo, ma ho avuto davvero pochissimo tempo per scrivere >< spero di poter essere più veloce da ora in poi!
Cooomunque... Týr! Ma quanto adorerò scrivere le sue scene?! Ok, è sicuramente esageratamente pazzo, ma lo trovo sempre divertente. Con lui c'è sempre un briciolo di allegria!
E i nostri adorati pirati? Poveracci. Andranno in analisi alla fine
Barbabianca che, povero, rivede la propria adorata bambina nei lineamenti e negli atteggiamenti del vampiro millenario; Marco che si ritrova a dover affrontare il padre che viveva nella testa della ex-ragazza che sperava di poter dimenticare; Satch che ribolle dalla rabbia per ciò che il vampiro ha fatto; Ace... Ace verrà preso di mira, quindi diamogli subito del poveraccio e finiamola qui :P
Comunque questo era un capitolo di transizione, come già specificato all'inizio. La storia riprenderà dal prossimo, e tra non molto finalmente le due parti si uniranno. Sarà una grande famiglia quasi felice!
Nel prossimo capitolo ho intenzione di mettere anche uno special con Peter e... DELLINGER!
Io odio quel piccolo nano malefico... ha osato picchiare il mio Bellamy! :@ piccola vacchetta isterica! Spero vivamente che Oda-sensei gli faccia spaccare i denti a furia di calci nel culo dal bel Bartolomeo! >:)

Un grazie di cuore a Aliaaara, KuRaMa KIUUBY, Okami D Anima, Yellow Canadair, Chie_Haruka, ankoku, Monkey_D_Alyce e Portgas D SaRa per le magnifiche recensioni! Siete davvero gentilissimi ♥

A presto, un bacione
Kiki♥

ANGOLO TRADUZIONI (per quanto Google translate lo permetta >w<)
- Ubrukelige horer: bringe meg hundene i lasterommet og knytte dem slik at de ikke går bort! ← Inutili puttane: portate i miei cani nella stiva e legateli in modo che non scappino!
- Nummer åtte, gå om bord og sett brann. At det ser ut som en ulykke. Si hei til Hel! ← Numero otto, sali a bordo della nave e dalle fuoco. Fai in modo che sembri un incidente. Salutami Hel!

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Capitolo 36
*** 36. Non negarti la bellezza di scoprire + Special [Come un fantasma] ***


Piccola premessa: la prima parte del capitolo avviene dopo 5 giorni dopo i precedenti avvenimenti, mentre la seconda (divisa da una serie di X, dove metterò anche i personaggi presenti) dopo due settimane. Ho deciso di fare due capitoli in uno in pratica, apportando questi salti temporali per abbreviare un po' la storia. So che sta venendo la storia infinita, e per questo mi scuso infinitamente, ma sono carica di idee e provo sempre ad inserirle tutte :( spero tanto che non vi stufiate di questo poema epico prima della fine :/
Comunque, in tutto, sono passati 51 giorni da quando Akemi ha lasciato la ciurma (tanto per essere insopportabilmente pignoli).
Ecco i personaggi originali della prima parte:
Buona lettura!

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Malgrado siano abituati a farlo da anni ormai, svegliarsi la mattina al sorgere del Sole è sempre un trauma per tutti quanti. Da quando poi hanno come ospiti un vampiro schizofrenico -e, da quello che hanno potuto constatare, pure alcolizzato e tossicodipendente- con al seguito le sue “aiutanti” affamate di sesso più che di sangue, la situazione è decisamente peggiorata.
Questa mattina, per citare l'evento più recente, Týr ha infatti avuto la brillante idea di indossare un grosso e morbido costume da coniglio bianco. Niente di male fino a qui, possono tranquillamente passarci sopra senza problemi. Il problema però insorge quando questo coniglio gigante e psicologicamente instabile ha allegramente deciso di servire lui stesso la colazione a Rakuyou.
È bastato davvero poco per creare il caos nella sala mensa: Týr, armato di vassoio con sopra una brocca di latte tiepido, fette biscottate e cereali vari, ha cominciato a saltellare da tutte le parti come impazzito, inzaccherando tutto e tutti. Ridacchiava pure mentre lo faceva, con una vocina stridula come quella di un cartone animato.
“Oh, oh! Mi sa che ho fatto un casino!” è stata la prima citazione, per poi fiondarsi tra le braccia del Settimo Comandante e urlandogli dritto nell'orecchio “Buongiorno Bubi!”.
Non ci sarebbe neanche da dire quanto il pirata si sia sentito profondamente umiliato da tale evento, soprattutto per le risate sguainate dei compagni. Alcuni pure cadevano a terra per il troppo ridere, e Barbabianca in persona ha battuto il cinque a quel coniglio pazzo.
Poi, per consolarlo, Vivian, meglio conosciuta come Tre, gli si è avvicinata e lo ha portato, sbattendo semplicemente le lunghe ciglia con aria civettuola, nella sua cabina e da quel momento non si sono più visti. Sono sicuri però che se la stia passando decisamente alla grande, considerate le urla di puro piacere che sentono provenire dalla cabina.
Adesso che il Sole splende sopra le loro teste e il vento fresco dà loro un po' di meritato sollievo, bivaccano quasi tutti sull'imponetene ponte principale della Moby, sotto la stretta sorveglianza del capitano, pronto ad intervenire nel caso in cui qualcuno osasse infastidire l'onorevole alleato. Perché Barbabianca si fida di lui. Non sa perché, non è capace di spiegarlo a nessuno, ma è così: si fida di Týr Lothbrook.
Il problema principale del prendersi un immortale a bordo di una nave è il fatto che questi si annoierà velocemente, costretto in uno spazio ristretto senza vie di fuga, ed è per questa ragione che adesso molti pirati osservano il vampiro millenario girottolare per il ponte della nave con aria concentrata, ripetendo parole per loro insensate.
«Amen. Male dal liberaci ma, tentazione in indurre ci non e-»
Ace lo guarda con sguardo allarmato da sotto al proprio cappello da cowboy e, dopo attenta riflessione, decide di chiedere direttamente il perché di tale comportamento.
«Ma che stai facendo?» biascica a mezza bocca, sogghignando divertito.
«Perché, non si capisce? Sto recitando il ‘Padre Nostro’ al contrario, con lo scopo di evocare il Diavolo!» risponde con entusiasmo crescente il vampiro, riaccendendo la candela e ricominciando a camminare all'indietro.
«Oh bene... per un momento ho pensato che stessi facendo qualcosa di veramente stupido!» commenta Fossa, decisamente adirato.
Due mattine prima, infatti, si è svegliato con una secchiata d'acqua gelida -con tanto di cubetti di ghiaccio- in piena faccia, e il vampiro si è giustificato che doveva trovare qualcosa da fare per passare il tempo.
«Mi annoio!» controbatte offeso l'immortale, ben deciso di portare a termine la propria missione «Amen. Male dal liberaci ma, tentazione in indurre ci non e-»
«BASTA!» urla Marco con tono furioso, arcistufo delle bravate del maledetto vampiro che ha inspiegabilmente deciso di unirsi a loro.
«Hai idea di quello che succederebbe se tu riuscissi ad evocare Satana?» tenta con un tono più soft Halta, cercando così di calmare gli animi che si stanno a mano a mano surriscaldando.
«No, per questo lo sto facendo.» risponde con un sorriso, dolce e sincero, come quello di un bambino. Ma poi quel sorriso scompare e torna la solita faccia arrogante da prendere a schiaffi dalla mattina alla sera.
«Amen. Male dal liberaci ma, tentazione in indurre ci non e-»
«BASTA, PORCA PUTTANA!» urla fuori di sé Marco, guardando con odio crescente il vampiro, la cui espressione sta mutando da allegra e spensierata a furiosa e omicida. Proprio come succedeva a lei.
Si allontana a grandi falcate da loro, respirando a fatica, vicino ad un crollo nervoso. Ha bisogno di aria, di spazio. Ha bisogno di non vederla più, di cancellarla dalla propria mente. E ci era riuscito, seppur in parte, con tutte quelle donne che si era portato a letto nelle ultime settimane, ma si sbagliava di grosso.
Gli manca da impazzire. Gli manca vederla sgattaiolare fuori dalla sua stanza prima che si svegliassero gli altri, gli mancano i loro momenti di pura passione consumati un po' ovunque.
Gli manca lei, il suo sorriso, la sua voce, la sua grazia pari a quella di un bufalo.
Gli mancano gli scherzetti durante la giornata.
Gli manca ogni volta che respira.
«Siete dei rompiballe!»
L'urlo furioso di Týr gli arriva nitidamente alle orecchie, ma non vi bada. La sua attenzione adesso è totalmente catturata da Ace, che ride per una battuta sicuramente squallida, accompagnata da Castity, meglio nota come numero Quattro.
Almeno qualcuno si diverte...” pensa rammaricato, domandandosi se, da qualche parte in un qualche mondo parallelo, la sua Akemi si stia trovando bene, pregando che non sia finita all'Inferno e che sia finalmente in pace. Certo, avrebbe tanto voluto far parte di quella pace, ma al Destino non si comanda.
Con passo quasi rassegnato se ne va nella sua cabina, più che determinato a prendersi almeno qualche minuto di pace per provare, seppur inutilmente, a cacciare nuovamente quei pensieri in un angolo remoto della sua mente. Inutile dire che le sue speranze sono decisamente vane.
«Non torturarti così, ragazzo.» sobbalza appena Marco nel sentire la sua voce, ma si ricompone immediatamente, giusto per non dargli anche questa vittoria.
«A questo ci penso io.» aggiunge subito dopo il vampiro, entrando nella cabina del Comandante come se fosse casa sua. Osserva tutto quanto con sguardo attento, ignorando deliberatamente lo sguardo assassino che l'uomo gli rivolge contro.
«Cosa vuoi?» ringhia a denti stretti la Fenice, prontissimo a dar guerra e testare se la sua è solamente scena. Perché questa eventualità non l'ha abbandonata neanche per un istante: potrebbe essere tutto un enorme bluff.
«Calmati, moccioso: non sono qui per accopparti, anche se la cosa mi renderebbe incredibilmente felice.» lo tranquillizza, seppur a modo suo, Týr «Sono qui per chiederti la fotografia che hai di mia figlia.»
Marco rimane completamente interdetto di fronte ad una simile richiesta e, malignamente, decide che per una volta può tenere lui il coltello dalla parte del manico.
«Non vorrai mica farmi credere di essere un sentimentale?» lo sfotte prontamente, sorridendo sornione.
Týr, completamente nuovo al mondo in cui niente gli è concesso senza tante domande, si altera immediatamente, snudando le zanne e avvicinando pericolosamente il volto pallido a quello ambrato del pirata.
«Testina di cazzo, per quanto sia strano pure per me, provo un forte attaccamento nei confronti di quella demente, più di quanto provi tu.» gli ringhia minacciosamente contro, stringendo con violenza i lati della camicia del pirata «Quindi, se non hai altre stronzate da dire, dammi quella fottuta fotografia!»
«Chiedilo con gentilezza.» sorride mentre lo dice, guardandolo con aria di superiorità. “Questo momento non lo dimenticherò mai!
«Mi prendi per il culo?» gli ringhia contro il vampiro, ormai ad un passo dall'attaccarsi alla gola del Primo Comandante e chi si è visto si è visto.
Quando poi l'uomo tira fuori dal comodino vicino al letto la fotografia, ben nascosta sotto ai pacchetti di sigarette, e accende una piccola fiammella vicino all'angolo quadrato dell'oggetto tanto desiderato, Týr si pietrifica di colpo «Non oseresti.»
«Ahhh, io oserei.» insiste il pirata, sogghignando con aria vittoriosa.
Týr trae un respiro profondo, concentrandosi con tutto sé stesso per non staccargli immediatamente la testa dal collo con un solo, micidiale gancio, e alla fine decide di cedere per quel piccolo eccezionale cimelio.
«Piccolo stronzetto, dammi immediatamente quella fottuta fotografia, per piacere.»
«Apprezzo lo sforzo.» ridacchia Marco, come non faceva da settimane, e finalmente gli porge la tanto agonizzata fotografia, quella che scattarono prima di quell'orrenda notte.
«Ti assomiglia molto.» commenta sovrappensiero Marco, accendendosi in tutta tranquillità una sigaretta.
«Io sono più bello.» controbatte prontamente il maggiore, osservando nel dettaglio la sua bambina, adesso donna. Si domanda se ha già affrontato la Luna di Sangue e, nel caso, se abbia passato il test. Si domanda anche se si sia scelta finalmente un compagno degno di lei, ma dovrò attendere prima di qualsiasi risposta: prima Peter Bàthory deve essere eliminato.
«Dovevi vederla appena nata... era piccola, piccola, con un sacco di capelli sparati in aria e gli occhi enormi pieni di allegria.» borbotta sovrappensiero Týr, continuando a fissare l'immagine immortalata della giovane e adorata figlia.
«Carina.» commenta Marco, che vorrebbe assolutamente chiudere questa imbarazzante conversazione.
«No, sembrava un gremlins.» controbatte Týr con tono serio, fissando il pirata con uno sguardo che va dal diabolico al furioso, per poi sciogliersi in un ampio e brillante sorriso «Scherzo, era bellissima.»
«Ti piace molto prenderla in giro, mh?» constata Marco, spegnendo la sigaretta e accendendone subito un'altra. Da quando ha dovuto affrontare la dura rottura con Akemi, ha aumentato il numero di sigarette ogni giorno, arrivando addirittura ad andare in bestia quando queste finiscono.
«È nella mia natura.» ammette tranquillamente il millenario, sorridendo con aria colpevole. Sorriso che però dura pochi instanti, dal momento che per Týr ormai l'interrogatorio, se così lo si può definire, è ormai giunto al termine «Senti... io so bene cosa lei provava per te... ma tu, cosa provavi?»
Marco lo fulmina con lo sguardo, quasi ringhiandogli contro. Non ha detto a lei cosa provava, figuriamoci se lo andrà a dire proprio a lui. E poi... cosa prova davvero? Nostalgia? Rabbia? Dolore? Il cuore fatto in mille pezzi che solo lei sarebbe capace di rimettere al proprio posto non lo sa con certezza.
«Non sono affari che ti riguardano.» risponde secco, riprendendosi la fotografia e nascondendola di nuovo dentro al cassetto della biancheria.
«Come sospettavo.» sogghigna Týr, e ciò non fa altro che innervosire ulteriormente il Comandante. Non fa però in tempo a porgli qualche domanda che il vampiro è già sulla porta, pronto ad andarsene «Vado a vedere come se la passano a prua!»
Attento uomo piccione, e sappi un paio di cose: primo, tu non mi piaci; secondo, io sono ovunque; terzo, falle del male e io ne farò cento volte a te; quarto, capirò subito se mentirai; quinto, lei è la mia principessa, non la tua puttana.” pensa con un punta di nervosismo a corrodergli il cervello annebbiato dalla gelosia che nutre nei confronti di tutti coloro che hanno avuto l'opportunità di godersela più di lui, ignorando deliberatamente tutti i pirati che lo guardano di sottecchi quando passa.
«Ehi! Týr!» l'urlo allegro di Ace però lo fa voltare, e si ritrova sorpreso nel vederlo sorridere proprio a lui. Lo guarda con attenzione, cercando di capire se ha qualche brutto tiro da lanciargli, ma quando poi nota una nave mercantile a non molta distanza comprende: vuole vederlo in azione, vuole metterlo alla prova.
«Ti accontento subito, ragazzino...» ghigna divertito ed eccitato, avvicinandosi con passo tranquillo verso il parapetto per osservare meglio il cargo, da cui sente provenire chiaramente l'inconfondibile odore di lupo mannaro «Vediamo se Peter ha ancora voglia di giocare...»
Osserva con attenzione, incentrando la propria concentrazione soprattutto nell'udito e nell'olfatto, e qualcosa non quadra: un solo cuore batte su quella nave, giù, nella stiva, e un insopportabile odore di marciume impregna persino le ampie e candide vele.
«Ora ho capito come fa...» mormora tra sé e sé, ignorando volutamente le domande che gli vengono poste dai vari pirati che lo hanno accerchiato.
«Numero Sei, portami lo scudo e l'ascia.» ordina con tono severo, soffiando minacciosamente verso quella nave dall'aspetto ordinario, che in realtà custodisce una pericolosa malattia mortale.
Sei, veloce e scattante come sempre, nel giro di neanche un minuto lo affianca, tenendo ben stretto in una mano uno scudo nero e lucido, con i bordi rinforzati con dell'argento puro, e nell'altra una lunga e grossa ascia bipenne, dal manico in legno con intreccio in pelle ed elsa intagliata nel metallo d'argento.
«Tu davvero usi quella roba in battaglia?» lo sfotte ridendo forte Curiel, senza però scatenare alcun tipo di emozione nel vampiro. È troppo furioso in quel momento, tanto che le prese in giro di quel branco di piratucoli neanche lo sfiorano.
Tu, lurido cane bastardo... come hai potuto fare una cosa simile? Io non sono un Santo, questo è evidente, ma neanche io mi sono mai abbassato a tali sporchi giochetti in battaglia.” fa schioccare la lingua, assottigliando ulteriormente lo sguardo e stringendo maggiormente la presa sul manico dell'ascia “Contagiare un essere umano su un mercantile... lasciargli uno dei tuoi lupi di guardia per essere sicuro che il virus si diffonda nelle isole... Tsk! Sei davvero un codardo!
Con un unico e lungo salto riesce a montare sulla nave infetta, e lì attende l'arrivo degli affamati non-morti. Sono costretti in uno spazio ristretto da chissà quante settimane, senza avere la possibilità di nutrirsi; saranno rabbiosi e più aggressivi e, sempre ammesso che Týr non si sbagli di grosso, sicuramente saranno anche mutati. Perché è convintissimo, Týr, che Peter non abbia lasciato quel terribile virus al suo stadio originario: l'avrà modificato, incrociandolo con altri batteri compatibili, e sarà sicuramente riuscito a creare qualcosa di più grande e distruttivo. In fondo, è sempre stato il suo più grande sogno sbarazzarsi del genere umano.
«Pirati di Barbabianca!» urla a pieni polmoni, attirando pienamente la loro attenzioni «Copritevi la bocca con qualcosa e per nessuna ragione montate su questa nave. Sono stato chiaro?!»
Ace vorrebbe controbattere, mandarlo al diavolo e dirgli che nessuno, forse solo il suo caro capitano, ha il diritto di dirgli cosa deve o non deve fare, ma le mani fredde e forti di Castity lo costringono a voltarsi. C'è della preoccupazione nei suoi occhi di ghiaccio, e la cosa turba leggermente il giovane e temerario pirata.
«Cosa c'è su quella nave?» domanda con tono incerto, voltandosi di scatto quando sente uno strano gorgoglio, come di un animale ferito che si sta strozzando o soffocando con il proprio sangue. Guarda attentamente, e le budella gli si contorcono quando una creatura dai tratti grotteschi e putrefatti si mostra finalmente alla luce del Sole, allungando le deboli e insanguinate braccia verso il vampiro.
«Dove sono i tuoi amichetti, mh?» gli domanda strafottente, cominciando a sbattere con energia l'ascia contro il centro dello scudo, in modo tale da attirarli tutti quanti allo scoperto con il rumore.
E il trucco funziona. Altroché se funziona.
Bastano pochi secondi e centinaia di quei mostri morti escono come topi dai loro nascondigli, sbavando e lasciando scie di sangue al loro passaggio.
Puzzano indecentemente, di un odore così forte e penetrante che pure per un olfatto poco sviluppato come quello umano è assolutamente insopportabile.
Týr ghigna soddisfatto, notando dei piccoli dettagli che li rendono diversi dagli zombie che ha sempre visto nella sua lunga vita: sono più veloci, non si perdono i pezzi dietro e, cosa assai fastidiosa, hanno una mente impenetrabile pure per lui. È proprio quest'ultimo dettaglio a dargli particolarmente fastidio, a fargli provocare quel irritante formicolio alle mani, quella voglia di distruggere che da sempre tiene faticosamente a bada.
Malgrado la situazione sia piuttosto delicata, purtroppo per lui, non può ancora lasciare che tutta la sua vera potenza si scateni: darebbe troppo nell'occhio. Però può sempre divertirsi, farli a pezzi uno dopo l'altro, lasciandoli a terra a tentare inutilmente di attaccarlo, per poi passare al pezzo grosso, il mostro chiuso nella stiva che latra come impazzito nell'attesa di poterlo uccidere. O almeno di provarci.
Dall'alto della Moby Dick, dopo essersi ripresi dal momento di sconcerto, i vari pirati si concentrano totalmente sulla voce melodica e quasi supplichevole dell'antico vampiro, adesso piegato su un ginocchio con la testa china, come se quei mostri mangiatori di carne non lo stessero puntando come una succulenta bistecca.
«Hail den mektige Asa-Thor!
Jeg går i dag til å gjøre min plikt.
Jeg går nå å drikke store slurker av livet i Midgard.
Gå ved siden av meg, og en god venn av menn.
Gi meg sTýrke til å beseire alle jotnene i min sti,
enten de er gigantene i verden av sinnet eller hjertet.
Hjelp meg å gjøre det rette for mitt folk, som du gjør.*»
Alza di scatto gli occhi Týr, una frazione di secondo prima che il primo schifoso zombie provi a toccarlo. Lo separa da sé con l'aiuto del manico lungo dell'ascia, per poi alzarsi lentamente in piedi e alzare gli occhi al cielo, urlando «Hail Thor!!!»
Con queste ultime parole, Týr dà ufficialmente il via al massacro, dando così sfoggio di tutta la sua brutalità, della sua violenza e della completa mancanza di pietà nei confronti di coloro che si sono ribellati alla sua famiglia.
Con un colpo secco dello scudo riesce a liberarsi dall'orda di non-morti che lo stava accerchiando, creandosi così uno spazio sufficiente per muoversi come meglio crede.
Appiattisce il grosso e pesante scudo contro la parte sinistra del corpo, facendo volteggiare l'ascia a cui tanto è affezionato.
Li guarda uno alla volta, e un sorriso macabro e perverso gli increspa le labbra pennellate, lasciando intravedere le lunghe e candide zanne, perfette per strappare e dilaniare. Ma non ha intenzione di usarle, non ancora, non su di loro.
Dopo secondi che sembrano durare secoli, finalmente scatta, colpendo con incredibile ferocia uno dei veloci zombie che stupidamente stava provando a dargli addosso.
Il sangue marcio schizza in ogni direzione, gli arti vengono tagliati di netto con la lama d'argento; gomitate, calci e colpi di manico tramortiscono gli avversari, fracassandogli le casse toraciche e i crani ormai putridi.
Uno di loro osa troppo, toccandolo con la propria mano infetta e provando inutilmente a strappargli un lembo di carne dal bicipite; Týr lo fulmina con lo sguardo e lo calcia via, con un colpo preciso nel petto, che gli fracassa totalmente lo scheletro e danneggia i già morti organi interni, frantumandoli e riducendoli ad una poltiglia.
Volendo potrebbe ucciderli tutti in pochissimi secondi, senza dover spendere tutta l'energia che invece sta usando, ma la guerra per lui è troppo divertente: il sangue che scorre, le urla di dolore, la paura, la disperazione. Tutto questo per lui è dolce e appagante come un orgasmo, e non ha alcuna intenzione di trattenersi più del dovuto.
Peter voleva uno scontro? Voleva mettere in ginocchio la stirpe dei Lothbrook? Bene, che ci provi ancora e ancora: Týr non ne avrà mai abbastanza.
Chiunque di loro provi a caricarlo, viene sbalzato all'indietro grazie all'ausilio dello scudo, e subito dopo decapitato con un secco e violento colpo d'ascia.
Per quanti zombie fossero, per quanto fossero affamati, nessuno di loro era all'altezza del Re delle Tenebre, e adesso giacciono tutti quanti smembrati sul ponte di quell'innocente nave mercantile, che tra pochi minuti verrà data alle fiamme. Il batterio non potrà lasciare quella nave, o l'umanità correrebbe un rischio troppo grosso. Sia chiaro, Týr non lo combatte per proteggere gli umani, ma bensì per proteggere i propri interessi: senza esseri umani vivi, lui non potrebbe più cacciare, e la sua vita diverrebbe come vuota.
«Però, è davvero bravo!» afferma sorridendo Ace, mentre Castity, completamente a proprio agio, continua a lambirgli il collo e le spalle, carezzandogli languidamente gli addominali scolpiti, giù fino al basso ventre.
«Se lo ripeti ti ammazzo.» ringhia a denti stretti Marco, da poco tornato sul ponte per capire cosa avesse creato tanto trambusto. Vederlo combattere, vedere la sua precisione nel colpire l'avversario, la sua tattica sopraffina, il suo impareggiabile talento nell'uccidere, lo manda semplicemente in bestia.
«Tornate ai vostri compiti.» tuona il capitano, sorridendo sotto agli enormi baffi bianchi. Gli è piaciuto quello spettacolo, nella sua teatralità e crudeltà. Se prima considerava quel vampiro interessante, ora non può far altro che ritenerlo eccezionale.
Týr, al contrario dei pirati che si allontanano dal parapetto, rimane immobile in mezzo al ponte pieno di arti mozzati e organi ridotti in poltiglia, e attende. Attende che la bestia esca, che provi ad ucciderlo. Attende che il gioco inizi per davvero.
«Týr, ti muovi o no?» gli urla dall'alto dell'albero di trinchetto Vista, non del tutto contento della convivenza forzata con quell'essere. Certo, ha dato più volte la dimostrazione di meritare un briciolo di fiducia, ma lui stesso ha detto che non c'è mai da fidarsi di un vampiro, quindi preferisce di gran lunga tenerlo a distanza.
Týr volta un poco la testa per rispondergli, ma viene immediatamente attaccato a tradimento dal basso: due enormi zampe con le dita prensili sfondano il pavimento e lo afferrano per le caviglie, trascinandolo giù, nel buio più totale.
Le sue vampire cadono immediatamente nel panico, non avendo la più pallida idea di cosa fare in un corpo a corpo contro un licantropo, creatura fin'ora mai vista da loro, ma quando sentono la bestia guaire per il dolore smettono immediatamente di strillare e si immobilizzano, puntando ossessivamente quel buco nero in cui il loro amato signore è stato trascinato.
Tutti vorrebbero vedere cosa succede all'interno di quella nave, vedere di persona il mostro di cui hanno spesso sentito parlare negli ultimi tempi, ma purtroppo per loro non possono far altro che ascoltare il rumore secco dei pugni e i guaiti della bestia.
Poi, dopo pochi secondi, tutto tace e l'antico e potente vampiro esce da quel buco, con il torace sporco del sangue della bestia, indice che si è nutrito di lui; nella mano sinistra regge ascia e scudo, mentre della destra la testa del mostro, grossa all'incirca come quella del capitano. Lo sguardo è rabbioso, i canini insanguinati ancora in bella mostra e l'andatura decisa e veloce gli conferisce un'aura ancora più aggressiva del solito.
Quando rimonta sulla Moby Dick butta la testa del licantropo avversario tra le mani del Quarto Comandante, come una specie avvertimento: prova di nuovo a darmi contro, e farai la stessa fine.
Subito dopo se ne va sulla polena della nave, ad osservare il mare. Si domanda per quale ragione Peter, che da sempre ha dimostrato un'intelligenza fuori dal comune, abbia agito in maniera così sfrontata e quasi prevedibile. Non è nel suo stile, non è da lui lasciare le cose al caso. E questo fatto lo confonde terribilmente, tanto da riuscire pure ad intaccare il suo umore e spaventarlo.
Capirei se continuasse ad attaccare per uccidere Lilith, ma per quanto ne sa lei è morta... perché insistere? Perché continuare ad accanirsi tanto? È vero, Fenrir lo ha bandito... ma perché muoversi così stupidamente?
Si passa nervosamente le mani tra i capelli, abbassando la testa.
Cosa nasconde quel bastardo?
Ace, stranamente incuriosito dall'atteggiamento insolitamente taciturno e pacato dell'eccentrico vampiro, lo raggiunge e si siede vicino a lui, osservandolo attentamente.
In quel periodo di convivenza forzata i due hanno stretto una tiepida amicizia, tanto che il vampiro non prova più alcun istinto omicida nei suoi confronti. Certo, lo minaccia costantemente e lo prende in giro, ma in fondo, in un angolo del suo cuore che neanche pensava di avere, gli è affezionato.
Volta un poco la testa, Týr, fregandosene delle goccioline di sangue denso che gli colano sul viso, e sorride in modo impacciato al giovane pirata lentigginoso. Vede molto di suo padre in lui, e ancora non riesce a capire il perché lo disprezzi tanto.
«Sei stato davvero grande prima!» afferma con sincerità il Comandante, sfilandosi il cappello di testa e cominciando a rigirarselo tra le mani. Non sa spiegarsi il perché, ma avere i suoi occhi di ghiaccio addosso ancora lo mette un poco a disagio. È come se gli scavasse dentro, fino all'anima, e la studiasse con minuziosa attenzione.
Týr, per niente toccato dalle parole gentili che il pirata gli ha rivolto, gli sfila senza permesso il cappello dalle mani e comincia a rigirarselo tra le dita, osservandolo con attenzione, provando una strana fitta alla bocca dello stomaco.
Quello stupido e sgargiante copricapo gli ricorda di colpo le belle giornate spensierate trascorse con Fenrir qualche secolo prima, quando al tempo indossavano dei cappelli simili mentre cavalcavano sui migliori destrieri attraverso polverose distese ornate di cactus, oppure quando assistevano alla doma dei puledri o la marchiatura delle bestie. Ricorda i loro festini a quei tempi, a base di carne alla brace, tra la musica di qualche gruppo assoldato al momento, con chitarre, violini, trombe e tamburi, il denso fumo sapido di aromi, con gli amici a tracannare alcolici di vario genere.

Con fare sbrigativo gli restituisce il cappello e punta lo sguardo sulla distesa d'acqua che si perde davanti ai suoi occhi, sforzandosi di cacciare quei pensieri in una parte remota del proprio cervello. Fa male, troppo male. Vuole rivederlo, sentirlo urlare come un indemoniato perché ha tenuto nascosta la sua resurrezione; vuole sentire le sue braccia stringerlo fino a fargli male, vuole vedere il suo sorriso commosso.
Vuole rivedere Wulfric, il suo migliore amico da sempre, e sentirlo bestemmiare in tutte le lingue che conosce e farci la lotta come sempre.
Vuole rivedere Astrid, l'unica donna che è mai riuscita a tenergli testa in tutta la vita; vuole vederla andare su tutte le furie e poi scoppiare in lacrime per l'emozione come sempre.
Vuole rivedere sua figlia, la sua piccola Lilith, quell'incapace emotivamente instabile per cui ha dato volentieri la vita. Vuole stringerla, prenderla di nuovo in giro e prendersi di nuovo cura di lei.
Vuole tornare alla sua vita, vuole riavere tutto ciò che è suo.
La mano di Ace che armeggia con il ciondolo che gli pende dal collo lo riporta alla realtà, facendolo trasalire.
«Cosa c'è scritto?» gli domanda il pirata, notando un'incisione sul retro del medaglione.
«Skile de som ønsker å slavebinde oss; divoreremo coloro che desideravano schiavizzare noi. E non è tanto per dire.» spiega pacatamente il vampiro, osservandolo a sua volta. Lo disse suo fratello la prima volta che si trovarono di fronte ad un Dragone, e l'idea di usarlo come loro personale motto gli piacque troppo, così lo fece incidere dietro ai loro medaglioni.
«Da malati.» commenta ridacchiando Ace, mollando la presa dal gioiello. Gli sorride allegramente, senza mostrare neanche un briciolo di paura, e ciò sorprende notevolmente l'antico immortale, abituato da sempre a far tremare gli esseri umani con un solo sguardo.
«Tu sei strano.» afferma voltandosi stizzito, dirigendosi poi con estrema calma verso la comoda poltrona che ha messo di fianco al seggio del capitano. Non l'ha fatto perché è una posizione con una visuale particolare o ragioni simili, ma solo per mostrare a tutti quanti che lui, il grande Re delle Tenebre, non ha assolutamente paura di lui e che anzi potrebbe detronizzarlo quando vuole. Certo, a nessuno è fregato assolutamente niente di questa sua scelta e non hanno neanche chiesto spiegazioni, ma per Týr era un capriccio necessario.
Si butta a sedere svogliatamente, passando in rassegna tutti i pirati presenti. Se non fosse che l'adorata pargoletta li ha dichiarati tutti quanti come suoi, probabilmente li avrebbe già fatti fuori.
Si rigira distrattamente il medaglione tra le mani, fissando in cagnesco Marco, ignorando deliberatamente lo sguardo invadente del capitano. Perché Barbabianca è incuriosito dai suoi modi, dalla sua sfacciataggine e temerarietà, dalla sua vivacità e permalosità. Lo trova buffo e maledettamente interessante, anche più di quanto non fosse Akemi.
«Ti vedo pensieroso oggi, Týr.» afferma sovrappensiero, trovando strana pure l'occhiata che l'immortale gli rivolge. Non c'è arroganza o il solito desiderio di sangue, no: c'è malinconia e una punta di rabbia.
Il vampiro in tutta risposta alza il ciondolo verso di lui, distogliendo lo sguardo «Questo è uguale a quello di mio fratello. Li trovò durante un'incursione quando ancora eravamo umani, e me lo portò in dono.» si passa stancamente le mani sul viso, ricordando il momento in cui il maggiore, al tempo diciassettenne, rientrò in casa con la faccia ricucita alla meglio e il medaglione ben stretto in mano «E il caso vuole che oggi è lo stesso giorno in cui me lo donò.» sorride amaramente mentre lo dice, maledicendo tutto e tutti, in particolar modo Pugno di Fuoco. Se avesse tenuto le mani a posto, se si fosse fatto gli affari propri e non glielo avesse ricordato, adesso non si sentirebbe tanto male.
«Com'è tuo fratello?» gli domanda con interesse l'Imperatore, osservandolo con attenzione: i lineamenti del suo viso si rilassano, gli occhi si socchiudono appena e gli angoli della bocca si tendono in un sorriso nostalgico. Un'espressione umana come non credeva di potergli vedere, un sentimento vero e puro.
«Formale e freddo con chiunque non rientri nella sua cerchia, capace di gesti impulsivi e spontanei, incredibilmente teneri, con tutti gli altri. Ricordo che a volte veniva a cercarmi per poi andare da qualche parte, senza che ci dicessimo una parola, solo per il gusto di stare insieme. Ed erano momenti bellissimi, in cui anch'io assaporavo la vita, e mi commuovevo per un tramonto, o una canzone, libero per una volta da quella stupida necessità dell'essere un leader, di dover sempre prendere la decisione giusta.» mentre parla la sua mente si allontana, tornando ai momenti in cui erano felici insieme, come quando, da umani, il maggiore gli insegnò la nobile arte della spada o a tirare con l'arco; quando lo portò per la prima volta in uno dei villaggi vicini, facendogli così conoscere una minuscola parte di mondo; quando leccò via il sangue dal suo viso quando, appena vampirizzato, massacrò l'intero villaggio natio senza volerlo.
«Gli sei davvero affezionato, vero?»
Affezionato, dici?

 

Il grosso e tozzo muso dell'animale appena riemerso dalla grotta picchia debolmente contro la spalla del giovane ed inesperto vampiro per attirarne l'attenzione. Il grosso e feroce occhio vermiglio lo osserva tristemente. Forti e dolorosi guaiti rompono il silenzio, costringendo il ragazzo a voltarsi. Non c'è dolore per le perdite subite, non gli importa se sua moglie e i suoi figli sono stati sventrati e dissanguati perché lui ha stupidamente perso il controllo, no: c'è la paura di perderlo, di doversi separare.
«Mi resterai sempre vicino, fratello mio?» supplica mentre lacrime scarlatte gli solcano le guance incredibilmente pallide e magre. Ha appena ucciso tutti: uomini, donne, vecchi e bambini. Nessuno è riuscito a sottrarsi alla sua ferocia, alla sua incommensurabile forza. Non lo ha fatto a posta, non voleva. Era andato a cercare qualcosa da mangiare per il fratello deformato dalla maledizione, bloccato nel corpo dell'enorme lupo nero, ed era convinto di poterlo trovare nel loro vecchio villaggio... ma si sbagliava. Gli è bastato vederli per perdere il lume della ragione e divorarli.
Le sue mani già sporche di sangue adesso bruciano e sgorgano tutto il male e il dolore che ha perpetuato in quel momento di follia, e il cuore morto gli si gela. Non sa come fare, come andare avanti... non sa più chi è e cosa sarà una volta che l'adorato fratello deciderà di abbandonarlo, di allontanarsi dal male che porta dentro.
Quando però l'enorme bestia comincia a leccargli via il sangue dal viso, dolcemente, una nuova speranza si accende in lui. E gli basta guardare quel muso animalesco che lo fissa intensamente per capire che no, mai e poi mai, Fenrir lo abbandonerà. Lo proteggerà, lo guiderà nell'oscurità, ne farà parte con lui
«Ti prometto, Fenrir, che ti farò tornare come prima. Chiaro? Tornerai umano e dominerai questo fottuto mondo che ti spetta di diritto. E io ti aiuterò a prenderlo.» gli allaccia le braccia muscolose attorno all'enorme collo, immergendo il viso nella folta e calda pelliccia «Per sempre noi, per sempre insieme.»


Ricorda bene il loro giuramento. Ricorda bene quanto quella lingua ruvida e calda sul viso gli aprì il cuore e gli diede la forza per alzarsi di nuovo, per affrontare quel nuovo mondo che apparentemente assomigliava tanto a quello in cui era cresciuto.
Ricorda tutto, e il cuore morto si scioglie nel suo petto.
«Lo amo con tutto me stesso.» risponde semplicemente, senza neanche guardarlo in faccia. Rimane con lo sguardo fisso sull'orizzonte, attento al possibile ritorno di Munnin. E, nel frattempo, si lascia trasportare dai ricordi...

 

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Da tempo immemore è risaputo che la notte non è fatta per dormire. È fatta per pensare alla propria vita, ai propri errori, alle scelte future. E questo è proprio quello che ha deciso di fare Akemi nelle ultime due settimane, rintanandosi sulla scogliera vicina alla Villa delle Anime e al mattatoio.
Si è totalmente isolata dal resto dell'isola, chiudendosi nuovamente nella solitudine e nel silenzio.
Si è ritrovata a pensare a tutto e niente in tutto questo lasso di tempo. Si è domandata più volte come stanno andando le cose fuori dall'isola, come stanno i propri compagni; si è domandata se Peter è ancora sulle sue tracce, se sta cercando di varcare la solida soglia che li divide; si è domandata come sta la madre, come procede la gravidanza, se i suoi fratellini o sorelline stanno crescendo in salute. Perché in realtà, dopo averci pensato a mente fredda, è felice di questa notizia, ma non ha la più che vaga idea su come fare per poterla di nuovo avvicinare.
Si volta di scatto quando qualcosa le cozza violentemente addosso, trovandosi faccia a faccia con un non-morto. Il viso è pieno di piaghe, la pelle incartapecorita, la mascella spaccata e da un orecchio escono innumerevoli vermi. Sono schifosi e disgustosi da guardare, e portano il fetore della morte ovunque vadano, ma come compagnia le vanno bene. Non sono invadenti, non fanno commenti cattivi, non ridono alle tue spalle. Semplicemente ti guardano con degli enormi occhi a palla completamente vuoti e aspettano buoni, buoni che tu gli dia da mangiare.
Sono rare le volte in cui realmente bada alla loro presenza, in realtà; generalmente lancia loro un trancio di carne e ascolta disinteressatamente i loro gorgoglii mentre se lo sbranano.
Adesso, però, vittima di un forte attacco di solitudine, le viene voglia di toccarlo. E lo fa, eccome se lo fa: con delicatezza passa una mano sullo zigomo tumefatto della creatura, che a sua volta la guarda senza neanche vederla realmente. Rimangono poi immobili a fissarsi, così incredibilmente diversi ma vagamente simili.
«Il mondo non accetta neanche te, mh?» domanda sorridendo debolmente al morto che, in tutta risposta, si volta a guardare l'orizzonte. Lo fanno spesso quelli come lui, di incantarsi a fissare il niente, rimanendo immobili per ore e ore.
«Da adesso in poi, però, io ti accetterò, ok? Ti proteggerò, credimi... Ron!»
Si dà della stupida da sola in questo momento. Parlare con uno zombie... dargli anche un nome! Roba da mentecatti proprio!
Però non sa davvero a chi altri rivolgersi. Certo, Silly e Mimì le hanno detto chiaramente che se volesse sfogarsi loro la ascolterebbero e le darebbero consigli, ma non vuole metterle ulteriormente nei guai, non dopo il rischio che la lupa ha corso per un suo capriccio.
Di andare da Freki non se ne parla neanche: dopo che ha saltato l'allenamento la prima volta il giorno dopo la lite, non le ha neanche più rivolto la parola. Anzi, ha proprio smesso di considerarla! Ma da un tipo permaloso come lui c'era da aspettarselo in fondo, per questo riesce a passarci sopra e a non avercela con lui.
In realtà, esclusa Freya, non ce l'ha proprio con nessuno: solo con sé stessa.
Ha capito di aver esagerato a rigirarsi così contro la madre, che doveva discuterci civilmente come più volte le dicevano sulla Moby Dick, e invece ha perso stupidamente le staffe e le ha dato contro per una cosa di cui in realtà è addirittura lieta.
Sono una stupida... sono una stupida viziata, incapace di tenere a freno la lingua e le emozioni...
Afferra un sassolino al proprio fianco e lo lancia con quanta più cattiveria può nel mare. Lo guarda andare a fondo, sempre più giù, e non può far altro che pensare che lei è esattamente come quel sassolino: sta affondando sempre più giù in un'oscurità dalla quale non riesce a liberarsi.
Si lascia scivolare sulla pietra fredda, volgendo così lo sguardo alle innumerevoli stelle che brillano alte.
Tutto è silenzioso e tacito, nessun movimento arriva alle sensibili orecchie della ragazza. Solo una solitudine soffocante, senza risposte che la possano rincuorare, nella libertà più assoluta.

Voltando un poco la testa, dall'alto della sua postazione, riesce ad intravedere le strade illuminate del villaggio. Vede alcuni degli abitanti ancora svegli passeggiare tranquilli: coppie innamorate, vecchi amici che scherzano tra loro, bambini che corrono senza regole e senza freni, felici della vita che vivono. E Akemi non può che restare incantata di fronte alla prospettiva di poter far parte di quella vita sul serio, di vivere con loro. Fin'ora è rimasta con loro contro la propria volontà, pur provando a convincersi di trovarsi a casa, ma adesso... adesso lo vorrebbe davvero. E l'idea di diventare davvero una parte di loro, di essere come loro, le fa provare un insolito calore nel petto.
Un fruscio tra la vegetazione però la riporta con i piedi per terra. Un rumore fuori luogo, non provocato dai morti viventi che girottolano attorno a lei, attira completamente la sua attenzione.
«Mh...?»
Voltando un poco la testa riesce a vedere un lieve luccichio attraverso la vegetazione e, grazie agli allenamenti che riteneva infruttuosi con Freki, riesce ad evitare per un pelo l'ascia che le è stata lanciata contro.
Si appiattisce al suolo, fissando con paura il fitto della vegetazione da cui è partita l'arma.

«La paura all'uomo non frutta niente: tira fuori le palle e combatti, sempre!»

Le parole di Freki le martellano improvvisamente in testa e, decisa a prendere il proprio posto nel proprio mondo, snuda istintivamente le zanne.
È sicura di sé, sente finalmente di potercela fare, di poter sconfiggere l'avversario, ma quando l'odore familiare dell'aggressore le arriva alle narici, sente come una voragine aprirsi sotto ai piedi.
«Raccogli l'arma, forza!»
Sgrana gli occhi, immobile, fissando con sorpresa Fenrir che esce dalla vegetazione, cupo in volto, con quel minaccioso occhio vermiglio che la fissa con astio.
«Ma cosa-?» non fa in tempo a finire la frase che il lupo scatta verso di lei, costringendola a spostarsi velocemente di lato.
«Ti credi sufficientemente forte da poter stare per i fatti tuoi e magari pure per andartene per la tua strada? Bene: DIMOSTRAMELO!»
Veloce, troppo veloce.
Akemi non è neanche capace di veder arrivare il colpo diretto al proprio stomaco, figuriamoci se è capace di evitarlo. Però riesce a rimanere in piedi, annaspando in cerca d'aria, costringendosi a mantenere alto lo sguardo per poter vedere il feroce licantropo che le gira attorno.
Gli zombie che fino a poco prima le tenevano compagnia si sono ritirati, incespicando nei propri piedi, scappando in maniera sorprendentemente veloce nel proprio alloggio.
«Forza, superdonna! Fammi vedere come ti difenderesti là fuori!»
Non le dà neanche il tempo di metabolizzare la frase che le molla un gancio sinistro dritto in faccia, facendola cadere a terra.
Non voleva arrivare a tanto Fenrir. Non voleva arrivare a picchiarla, a tirarle un calcio nella schiena come ha appena fatto, a vederla annaspare in cerca d'aria mentre agonizza al suolo, davvero non voleva. Ma, dopo due settimane di atteggiamenti ostili nei confronti di tutti loro, o lo faceva o strangolava qualcuno a caso per il nervoso. Pure con Týr doveva fare così, massacrarlo di botte finché non imparava la lezione, anche se c'è da specificare che con lui ci andava molto più pesante. Se adesso provasse ad usare la stessa forza e violenza con cui picchiava il fratello, probabilmente la ucciderebbe sul serio in neanche cinque minuti.
Akemi striscia per terra, incapace di rialzarsi, e alla fine decide di provare il tutto per tutto provando a lanciargli contro una pietra, lanciando in seguito una sonora bestemmia quando il colpo va a vuoto. Non che si aspettasse davvero di colpirlo, ma l'idea di non essere proprio più capace di colpire un avversario lanciandogli un oggetto la manda completamente in bestia.
Si rimette a fatica in piedi, snudando istintivamente le zanne e tentando nuovamente di colpirlo, usando stavolta gli artigli. Fenrir però le blocca il polso e le sferra un nuovo, poderoso pugno in volto, spaccandole il labbro superiore.
Cade a terra, la guancia premuta sulla roccia fredda, il rumore del respiro pesante del lupo alle spalle. Non vuole più combattere, non ce la fa. Era convinta di poter tener testa a qualcuno se si fosse impegnata, se avesse di nuovo tirato fuori la propria grinta, ma si sbagliava: è ancora ben lontana dal potersi difendere da sola contro un altro immortale.
Fenrir, conscio di essere riuscito nel proprio intento, trae un respiro profondo, imponendosi di calmarsi all'istante come è abituato a fare da secoli, e senza dire nulla si siede di fianco alla nipote, estraendo dalla tasca dei jeans sdruciti un pacchetto di sigarette.
«Ne vuoi una?» le domanda gentilmente, come se non l'avesse appena pestata come un tamburo.
Akemi volta a fatica la testa, guardandolo in cagnesco e grugnendo un flebile “no” in risposta, facendolo sorridere.
Rimangono così, fermi, l'uno di fianco all'altra, immersi ognuno nei fatti propri. Lei si domanda il perché di tanta violenza gratuita, lui pensa a come riappropriarsi della propria parte di letto, ormai invasa dalla compagna.
«Capisci che non possiamo lasciarti andare, vero?» le domanda dopo qualche minuto, buttando nel vento la cenere. Una leggera nuvola di fumo si disperde davanti ai suoi occhi, disegnando nella completa oscurità della notte delle linee armoniose. Da ragazzini, lui e Týr si divertivano a vedere immagini reali in quelle linee senza senso, e adesso gli manca da morire.
«Non voglio più andare via...» ammette Akemi, sforzandosi di mettersi seduta al suo fianco. La schiena le fa un male da cani, così come il labbro che lentamente si sta rimarginando. Era convinta che le botte di Freki fossero micidiali, e che niente al mondo potesse batterle, ma si sbagliava alla grande.
«Lo dicevi anche l'ultima volta.»
«Questa volta ne sono completamente convinta, zio.» controbatte prontamente, puntando gli occhi in quello adesso color dell'oceano dell'uomo.
«Quello che ero prima di arrivare qui... è morto.» ammette con tristezza, passandosi una mano tra i capelli arruffati «Loro hanno voltato pagina... e così devo fare io. Per questo voglio riuscire ad integrarmi sul serio... diventare parte di questa comunità... di questa famiglia
Fenrir le sorride dolcemente, passandole un braccio attorno alle spalle e tirandola verso di sé. Un abbraccio caldo, rassicurante e protettivo, di quelli che ti fanno dimenticare per quale motivo eri triste fino a pochi secondi prima, di quelli che ti riempiono il cuore di speranza e ti fanno incredibilmente sentire nel posto giusto.
«Penso che pure tua madre vorrebbe sentirtelo dire...» le sussurra all'orecchio, dandole poi un bacio sulla tempia.
Per quanto possa apparire freddo e spietato, Fenrir è sempre stato un uomo affettuoso, attaccato alla propria famiglia, devoto e protettivo. Ogni volta che uno dei suoi figli adottivi aveva un problema o era giù di corda, lui era sempre lì, pronto a strappargli un sorriso e ridargli la forza per rialzarsi. E vedere adesso la sua piccola Lilith che gli sorride dolcemente come faceva suo fratello, lo fa sciogliere come neve al Sole.
«Forza, andiamo: ti insegno la nobile arte della sfangata!»

Da ben 17 minuti e 23 secondi, Fenrir e Akemi rimangono immobili di fronte all'imponente porta che conduce dritto nella tana del lupo. Anzi, diciamola meglio: nella tana della lupa incinta con frequentissimi sbalzi di umore nati da un niente di fatto.
«Forza, vai a parlarle.» la spinge con delicatezza dandole qualche lieve botta sulla schiena tremante.
Sei uguale a lui: prima la combini grossa e poi non sai come chiedere scusa.
«Non vieni con me?» pigola la minore, la cui grinta e determinazione hanno momentaneamente deciso di prendersi un periodo di ferie.
Fenrir si lascia scappare una lieve risata, per poi poggiarle entrambe le mani sulle spalle e spingerla in avanti «Io vado a mangiare qualcosa, così nel mentre prendo pure qualcosa che la distragga per potermi riappropriare del mio letto.» detto ciò le si allontana di qualche passo, guardandola con aria derisoria «Cos'è, hai paura che ti mangi?»
«E se non volesse vedermi?» mormora con un filo di voce la corvina, sorprendendolo: questo lato tenero, timido e umano è assolutamente da Astrid, non da Týr!
Un bel mix, non c'è che dire...
«Credimi: muore dalla voglia di vederti.» afferma sicuro prima di sparire nel niente, non dandole neanche il tempo di ringraziarlo.
Bussa piano alla porta, Akemi, ricevendo in risposta un mugolio ambiguo, come di un animaletto morente misto ad un gemito di piacere. Ma, alla fin fine, decide di passarci semplicemente sopra ed entra, cercando di sfoggiare il sorriso più dolce e caldo del proprio repertorio.
«Mamma?» pigola imbarazzata, trovandola con i capelli arruffati in ogni direzione, il trucco colato e gli occhi rossi per il pianto.
«Lilith...» la voce della sovrana è come un sussurro leggero, di quelli che riesci a sentire proprio se ti concentri.
Astrid, seppur a fatica, si alza dal proprio letto e si dirige a grandi falcate verso la figlia, sfoggiando inevitabilmente il pancione in continuo aumento «Scusami... sono stata una madre orribile! Non so davvero come-»
«Non dirlo neanche, mamma. Sono io che mi sono comportata da pazza. Sono felicissima per te e Fenrir, sono felice che vi amiate così tanto, che abbiate la possibilità di mettere su famiglia e, ti prego di credermi, sono felice di diventare una sorella maggiore!» parla tutto in un fiato Akemi, stringendo con forza la donna tremante tra le sue braccia.
«Amore mio...» singhiozza la bionda, carezzandole lentamente la schiena pallida e tiepida.
«Non piangere...» le mormora contro l'orecchio, tirando un sospiro di sollievo quando la licantropa decide di mollare la presa.
«Scusa.» si affretta a dire Astrid, ricomponendosi alla meglio «Sono gli ormoni in eccesso. Mi viene costantemente da piangere o, in alternativa, di spaccare tutto ciò che mi circonda.»
«Mi spiace di non esserti stata vicina...» mormora realmente dispiaciuta la minore, prendendole delicatamente una mano tra le sue «Come ti senti?»
«Come un'elefantessa incinta che ha ingoiato un divano.»
Le due donne scoppiano inevitabilmente a ridere come due ragazzine. Akemi è però la prima a riprendersi, non riuscendo a staccare gli occhi dall'evidente pancia della donna.
«A proposito, come mai la pancia è già così grossa? Da quanto sei incinta?»
«Quasi un mese.» ammette con un certi imbarazzo Astrid, passandosi soprappensiero le mani sul ventre rigonfio.
«Penso che tu debba spiegarmi qualcosa. E devi farlo pure alla svelta, perché sono convinta che zio vorrà dormire quando sarà di ritorno.»
«Le lupe mannare hanno un tempo di gestazione come quello dei lupi: due mesi.» una spiegazione semplice che lascia soddisfatta la curiosità della minore. «La cosa brutta è che cresceranno molto alla svelta anche una volta venuti al mondo.» borbotta contrariata Astrid, che seriamente vorrebbe avere una famiglia normale, con i bambini piccoli che crescono lentamente in modo da potersi godere quell'età adorabile, e solo dopo diversi anni dover affrontare tutti i loro problemi legati all'adolescenza e, dopo ancora più anni, il distacco.
«E romperanno le palle per l'eternità!» la voce tonante e allegra di Fenrir le fa tornare di colpo alla realtà. Sorride soddisfatto, tenendo ben stretto tra le mani un enorme barattolo di gelato alla vaniglia e alla fragola, i gusti preferiti della rompiballe che porta in grembo i suoi figli.
«Tu sì che hai un forte istinto paterno!» commenta ironicamente Akemi, incrociando le braccia sotto seno.
«Sta' zitta, ragazzina, o ti do un'altra scarica di botte.» risponde semplicemente il grande lupo, poggiando sul tavolo da fumo al centro della stanza il barattolo che fa tanta gola alla Regina, che subito prende d'assalto.
Senza farsi vedere, Fenrir lancia un fugace occhiolino alla nipote, sciogliendosi dentro non appena la vede sorridere grata.
«Vi lascio soli.» fa per andarsene, Akemi, ma la voce acuta della madre la costringe a bloccarsi.
«Domani mattina parleremo dei limiti che vuoi che m'imponga, ok?» biascica con la bocca piena la donna, guardando la figlia con occhi sognanti, lasciandola assai interdetta.
«Co-»
«Voglio che il nostro rapporto funzioni sul serio, Lilith. Voglio essere davvero una buona madre per te... e per loro.» quelle parole, dette con così tanta sincerità e amore incondizionato, altro non fanno che sciogliere il cuore di ghiaccio della giovane immortale. Quando poi la vede passarsi le mani sul ventre e guardarlo con un amore infinito, ringrazia ogni divinità esistente che ci sia la porta al suo fianco ad evitarle un'imbarazzante caduta.
«Sei decisamente sulla buona strada.»
«Vai a dormire ragazzina, sembra che tu ne abbia davvero bisogno.» l'ammonisce Ferir, contento sotto le proprie coperte. Sa bene che non appena il gelato sarà finito si ritroverà a dormire per metà sul comodino, ma questa piccola e momentanea vittoria lo rende comunque felice.
«Tra dieci minuti, prima voglio chiarirmi anche con un'altra persona.» i due licantropi ridacchiano appena mentre la vedono sfrecciare per i corridoi della villa, abbastanza sicuri di quale sia li luogo predestinato.
Astrid fa per alzarsi per fermarla, consapevole della possibile piega che il loro incontro potrebbe prendere, ma Fenrir le lancia addosso la sveglia come ammonimento, facendole poi un cenno col capo di non intervenire, di lasciarla fare da sola ed imparare a reggersi sulle proprie zampe, come avevano precedentemente deciso di fare, ed Astrid, dopo aver roteato gli occhi ed imprecato a mezza bocca, si ritrova a guardarlo dolcemente.
«Non avrò commesso un errore a sposare un uomo più saggio di me?» gli domanda divertita, infilandosi sotto le coperte al suo fianco e lasciando che il braccio possente del compagno l'avvolga totalmente. Lei e i loro piccoli.
«Non siamo ancora sposati, puoi sempre ripensarci.» sfotte con la bocca mezza impastata dal sonno il grande lupo, fingendo pure di volerla cacciare dal proprio letto.
«Quanto sei scemo!» prima di andare a dormire con il proprio amato, in genere ci sono frasi dolci, baci... NO! Con Astrid e Fenrir non c'è tempo per questo genere di smancerie, sono guerrieri dalla nascita: il loro amore è fatto di gesti passionali, di insulti, giochi e rispetto.
«Buona notte, futura moglie rompiballe...» sorride come un bambino Fenrir nel sentire i cuori della sua famiglia battere con regolarità, e quando poggia una grande mano sul suo ventre sente dei forti calcetti contro il palmo, gesto che lo fa quasi commuovere «...anche a voi, piccoli terremoti.»

Akemi, nel frattempo, continua ad imboccare corridoi sbagliati, alla ricerca quasi disperata di quello che la condurrà davanti alla sua porta.
Si sente indecentemente stupida in quel momento: dopo tutto il tempo passato a girare per quell'imponente villa, ancora non riesce a ricordarsi quale sia la strada giusta!
Poi, dopo quella che le pare un'eternità, in cui ha pensato e ripensato a cosa dire per farsi perdonare, a come poterla sfangare, come dice Fenrir, arriva finalmente di fronte a quella maledetta porta.
Non è del tutto convinta che sia il caso di entrare, che poi sarà capace di uscirne viva, ma sa di doverlo fare. Perché, anche se per lei stessa è difficile da ammettere nella propria testa, le manca molto la compagnia di quell'irascibile licantropo dai modi violenti.
Le manca avere il suo appoggio, vederlo mentre le sorride o anche solo le sue prese in giro.
Le manca vederlo la mattina in cucina con i pantaloni della tuta addosso e i capelli scompigliati, quasi grugnendo quando si mette seduto a tavola e puntualmente crollare con la faccia sul tavolo a causa del sonno.
Le mancano anche i suoi battibecchi con Killian, che non perde mai l'occasione di punzecchiarlo.
Semplicemente le manca Freki, ed è per questa ragione che bussa con decisione alla porta, con il cuore che le batte all'impazzata nel petto.
Pur non ricevendo alcuna risposta, cosa che in realtà non si aspettava, decide di entrare, ritrovandosi in una stanza incredibilmente grande, dai muri azzurri e i mobili neri e lucidi. Non era mai stata nella sua camera, per questo si guarda intorno con attenzione, riuscendo a vedere perfettamente anche al buio: il suo letto è grandissimo, con coperte morbide e voluminose dallo stile moderno e sofisticato, le tende nere e argento lasciate aperte permettono di vedere il mare. L'arredamento è semplice: una toletta con uno specchio ovale, un armadio a quattro ante, un camino spento, sul quale troneggia un dipinto raffigurante un paesaggio invernale. Sparpagliati per la stanza ci sono diversi lumi ad olio, tutti spenti, L'unica luce presente è quella del chiarore lunare che filtra attraverso l'ampia finestra.
Il respiro calmo e regolare del lupo la fa tornare con i piedi per terra, ricordandole per quale ragione si è trascinata fino alla sua stanza.
«Freki?» pigola imbarazzata, azzardando ad addentrarsi maggiormente in quella camera così dispersiva «Freki, sei sveglio?»
«Adesso sì...» grugnisce il maggiore, raggomitolandosi maggiormente nelle coperte, tanto da far sparire ogni traccia di sé. Era convinto che trasferendosi nella villa sarebbe riuscito ad evitare di essere svegliato nel cuore della notte, ma a quanto pare si sbagliava di grosso.
Questa è la punizione divina per tutti i miei peccati, ne sono sicuro.
«Possiamo parlare?» non aspetta neanche una risposta, ben consapevole che sarebbe negativa, e quindi si dirige immediatamente verso il letto su cui s'inginocchia, rigirandosi nervosamente tra le dita una treccina bianca e nera.
«Sparisci.» ringhia Freki, trattenendosi con tutte le sue forze per non spaccarle la faccia. Perché nessuno, neanche la leggendaria Principessa dei Morti Lilith Lothbrook, può osare bidonarlo. Che poi si tratti di un appuntamento galante, di un caffè o di un allenamento non fa alcuna differenza per lui.
Oltretutto, poi, ha pure osato ignorarlo, cosa che non è mai riuscito a sopportare in più di settemila anni. In questo lasso di tempo ha ucciso per molto meno!
«Senti, mi spiace di essermi comportata come una ragazzina, ma prova a capirmi-»
«Smettila di frignare, cazzo...» biascica a mezza bocca il lupo, passandosi stancamente una mano sul volto assonnato e costringendosi a mettersi a sedere. I capelli castani sono sparati in tutte le direzioni, gli occhi, a causa del forte fastidio che prova, sono di un luminoso color oro e i canini spuntano minacciosamente dalle labbra pennellate «Tu sei solo una testa di cazzo viziata; fai la vittima sempre, fottendotene costantemente degli altri. È vero, il comportamento di tua madre non è stato dei migliori, ma, porca puttana, occorreva fare una tragedia simile?!» le urla contro tutto in un fiato, fissandola con un non indifferente astio.
Akemi si zittisce, abbassando lo sguardo con timore, pronta a scusarsi e a ripiegare con la coda tra le gambe. Poi, come un fulmine a ciel sereno, ritrova tutta la grinta da troppo soppressa e, senza neanche rifletterci, si lascia andare ad un ringhio profondo e minaccioso, scattando fulminea contro la figura massiccia del licantropo.
Gli blocca i polsi ai lati della testa, sfidandolo con lo sguardo a tirare fuori il peggio di sé, dando così sfoggio di tutta la propria follia ereditata dal padre.
«Sono venuta a chiederti scusa, stronzo! Quindi vedi di abbassare la cresta e di fartelo andare bene, perché non lo dirò un'altra volta!» gli ringhia contro, convinta di riuscire a spaventarlo.
Pessima pensata...
Freki, veloce come pochi, riesce addirittura a farla alzare e ad inchiodarla contro la parete, lontani dal letto, e la fronteggia con aria minacciosa.
Indossa solamente un paio di pantaloni di cotone a vita bassa, lasciando così scoperto il torace scolpito in bella mostra. Il Marchio di appartenenza alla stirpe di Fenrir svetta minacciosamente sulla sua pelle ambrata, facendole venire la pelle d'oca.
«Hai finito di fare la spaccona?» la sfotte prontamente Freki, ghignando divertito. Ha sempre adorato mettere a disagio le persone, spaventarle, far capire loro quanto lui è nettamente superiore in quanto a forza fisica.
Akemi lo guarda con attenzione, rendendosi conto di una verità che era sempre stata sotto ai suoi occhi: Freki è spudoratamente bello. Ha qualcosa del cervo, con quei suoi grandi occhi verdi ornati da ciglia che farebbero invidia a una donna, e quei muscoli nervosi che crescono sotto la pelle dorata. I suoi capelli castani e ribelli ricordano invece le chiome selvagge dei leoni, ed il suo naso lungo e sottile è dannatamente aristocratico, perfetto per quel viso.
Preme le mani sul suo petto possente per tenerlo a distanza, saggiando quei muscoli d'acciaio che fremono sotto la pelle ambrata.
È... perfetto.
Si lasciai sfuggire un gemito, sospirando e lasciando scivolare le mani sull'addome scolpito, cosa a cui il lupo non bada. Per quanto ne sa potrebbe semplicemente essere troppo spaventata o anche sotto l'effetto di qualche acido.
Akemi continua a fissare quegli occhi dorati. Ipnotici, troppo brillanti per essere ammirati, quasi più brillanti della luce del Sole.
Sfiora le sue braccia muscolose, poi risale lungo le spalle. Poi, come se non fosse neanche lei a muoversi, si trascina lentamente in avanti e gli sfiora le labbra con le proprie, timorosa ed incerta, lasciandolo completamente di sasso. Era convinto di essere riuscito ad inquadrarla perfettamente, di essere capace di prevedere le sue mosse, ma anche questa volta si sbagliava.
Quando Freki cerca di respingerla, Akemi intreccia le dita nei suoi capelli, approfondendo quel contatto sorprendentemente piacevole senza lasciargli via di scampo.
È un bacio breve, che però li lascia senza fiato, pietrificati... ed incredibilmente eccitati. Si scansa un poco con la testa, Freki, senza però costringerla a togliere le mani dai suoi capelli, cercando razionalmente di capire cosa sta succedendo, ma già irrazionalmente rapito dai gesti di quella mocciosa che fino a pochi istanti prima voleva decapitare.
«Ti tiri indietro?»
Torna per un attimo lucido, si allontana da Akemi per chiedergli con gli occhi che cosa sta succedendo, cosa le passi per la mente. La risposta della giovane è un bacio, stavolta più profondo e passionale. Freki cerca un contatto con la sua lingua per accertarsi del fatto che Akemi non sia frutto di un'allucinazione dovuta alle poche ore di sonno.
No, Akemi è lì. Con lui.
Non si era mai resa conto, Akemi, di trovarlo attraente, di provare attrazione fisica per lui, di voler entrare nel suo letto, ma questa verità è diventata improvvisamente chiara nella sua mente dal momento in cui l'ha sbattuta contro il muro.
Il fruscio dei pantaloni che scendono giù per le gambe è leggerissimo, ma Akemi, in quel silenzio che li circonda, riesce a percepirlo perfettamente, pur tra gli ansimi di piacere. Le mani di Freki che si poggiano sui suoi seni le fanno quasi girare la testa. Svelta gli sfila i boxer per poi accarezzargli il sesso parzialmente eretto, incapace di abbandonare le sue labbra.
Perché Akemi non lo sa, nessuno gliel'ha mai detto, ma i licantropi sono probabilmente le creature più impulsive presenti sulla faccia della terra: sono creature con la miccia corta, pronte ad esplodere al minimo tocco e dare sfogo a tutta la passione che li anima. E questo, ovviamente, vale anche per loro due, che inconsciamente hanno sempre provato attrazione l'uno verso il corpo dell'altra.
«Che diavolo...»
Metterle una mano fra i capelli impedirle di potersi sottrarre alle sue attenzioni gli viene spontaneo, così come condurla maldestramente verso l'ampio letto alle proprie spalle, tenendo sempre gli occhi chiusi, con i pensieri concentrati sul corpo di quella ragazza che sta ampiamente contribuendo a fargli perdere ogni capacità cognitiva.
«Voglio scoparti.» mormora con voce roca contro le sue labbra, mentre le sfila frettolosamente i vestiti di dosso che finiscono abbandonati sul pavimento.
«Scopami.» è la risposta, seguita dai loro corpi che ricadono sul letto.
Non c'è alcuna traccia d'amore nei loro movimenti, nel modo in cui si toccano o baciano. C'è solo passione, voglia di sesso, di appartenenza.
Il ritmo delle spinte aumenta gradualmente, mentre le bocche si cercano voraci. Niente deve spezzare quel silenzio fatto solo di ansimi; non vogliono pensare a nulla, se non al piacere che riescono a donarsi reciprocamente in quest'amplesso selvaggio.
L'orgasmo è un'ondata di calore intenso, che scuote loro le membra e gli fa perdere l'ultimo barlume di lucidità rimasta. Freki geme più forte mentre raggiunge il culmine del piacere, ricadendo poi sul materasso accanto alla ragazza, entrambi sudati e ansimanti.
«Vuoi scoparmi ancora?» la domanda arriva diretta, tanto da lasciarlo a bocca aperta.
«Che vuoi dire?»
«Avanti, hai capito benissimo. Ci teniamo compagnia quando ne abbiamo voglia, senza nessun coinvolgimento emotivo o rimpianto.»
La proposta è quanto di più fuori dall'ordinario potrebbe esserci per entrambi. Freki non si aspettava assolutamente una proposta del genere, non da lei, la mocciosa incapace di reggersi sulle proprie zampe, intimidita anche dalla propria ombra; Akemi non pensava di essere capace neanche di concepire una cosa simile, figuriamoci di proporla a qualcuno. Ma ormai ha preso la propria decisione: vuole lasciarsi la sua breve, intensa e vecchia vita alle spalle e godersi la sua immortalità in ogni sfaccettatura, proprio come le suggeriva il padre.
«Non ne saresti capace.» è la risposta di Freki, che sembra aver recuperato la sua aria smaliziata, voltando un poco il capo per poter vedere lo sguardo vuoto ma allo stesso tempo determinato della giovane amante.
Semplicemente si alza dal letto, senza fretta, mostrandosi a lui senza vergogna, e recupera dal pavimento i propri vestiti che indossa lentamente. «Fammi sapere se cambi idea.» afferma con tono indifferente e poi esce dalla stanza, lasciandolo da solo.
Freki è ancora incredulo: si passa una mano fra i capelli spettinati e poi va a fare una doccia, cercando di riordinare le idee. Non lascerà che succeda ancora, non sarebbe professionale, non sarebbe giusto nei confronti del suo Signore scopare con quella ragazzina emotivamente instabile.
Eppure... le mani di Akemi.
I suoi capelli.
Lo sguardo malizioso.
Il modo in cui si lecca le labbra dopo averti baciato.
Tutto gli torna in mente chiaro e vivido, senza che nemmeno lui faccia davvero qualcosa per scacciarlo.
Lasciarsi scivolare Akemi sulla pelle senza preoccuparsi troppo delle conseguenze, che ovviamente arriveranno, sembra un'impresa impossibile, ma ogni tanto, forse, una follia può pure concedersela. In fondo, non si tratta che di sesso.
Speriamo solo che Fenrir non la prenda troppo male...



Angolo dell'autrice1:
Eccomi di nuovo qui! :D
Vi chiedo umilmente perdono per questo incredibile ritardo, ma sono stata a Parigi la settimana scorsa per l'anniversario e questa settimana dovevo, mio malgrado, recuperare le lezioni perse. Vedrò di essere più veloce, giuro!
Ma adesso, parliamo un pochino di quanto è appena successo: Tyr si è ambientato benissimo sulla Moby, mh? Bellino lui :3
Non sapete quanto è stato strano scrivere delle scene in cui lui, quel pazzo schizofrenico, è malinconico e nostalgico! Giuro, è stata una sudata!
Marco è indecisissimo, poverino. Mi fa una tenerezza! Ma non temete: manca davvero poco! :D
Poi...mhhh... ah, sì: Akemi ha completamente accettato di vivere sull'isola, abbandonando l'idea di poter fuggire. Anzi, dire abbandonata è errato: ha proprio scelto di eliminarla, preferendo abbracciare le strane usanze di quelle creature che l'hanno accolta senza esitazioni e, soprattutto, abbracciando la propria famiglia. Immaginate come si sentirà quando arriveranno al porto di Helheimr i suoi cari pirati! :D
Poi, beh... ha ben pensato di cominciare a darsi da fare con Freki. Scema la ragazza, eh? ;) Beh, come si suol dire: occhio per occhio!
Tranquilli: la coppia alla fine tornerà insieme (neanche a dirlo), non senza dover affrontare prima qualche problema! (sennò il divertimento dov'è?!)
Nel prossimo capitolo mi divertirò parecchio >:] Tornerà fuori tutta la mia stupidità! E ci sarà pure una OneShot, un missing moment con protagonista... no, non ve lo voglio dire. :3

Ci tengo a ringraziare di tutto cuore Lucyvanplet93, Yellow Canadair, Aliaaara, Chie_Haruka, Shot93, KuRaMa KIUUBY, Okami D Anima, ankoku, Keyea Hanako D Hono, Nakurami e Monkey_D_Alyce per le bellissime recensioni che mi avete lasciato nello scorso capitolo! Siete davvero troppo gentili.


*Angolo traduzione e spiegazione:
Dopo alcune ricerche, ho trovato questa preghiera al Dio Thor, e mi è sembrata una cosa carina metterla prima della battaglia di Týr, ovviamente nella sua lingua. Non so, magari a voi come scelta farà schifo, ma per me ci stava molto :)
Hail den mektige Asa-Thor!
Jeg går i dag til å gjøre min plikt.
Jeg går nå å drikke store slurker av livet i Midgard.
Gå ved siden av meg, og en god venn av menn.
Gi meg sTýrke til å beseire alle jotnene i min sti,
enten de er gigantene i verden av sinnet eller hjertet.
Hjelp meg å gjøre det rette for mitt folk, som du gjør.
Hail Thor!

(TRADUZIONE)
Hail possente Asa-Thor!
Vado avanti oggi per fare il mio dovere.
Vado avanti oggi per bere grandi sorsate della vita a Midgard.
Cammina al mio fianco, o grande amico degli uomini.
Donami la tua forza per sconfiggere tutti i jotuns nel mio cammino,
siano essi giganti del mondo, della mente o del cuore.
Aiutami a fare il giusto per la mia gente, come tu fai.
Hail Thor!

Infine, un piccolo avvertimento: lo special che state per leggere ha un contenuto fortemente violento, tanto che lo considero come un raiting rosso. Di conseguenza, per chi non legge questo genere di cose per la minore età o comunque non gli piace il genere, sconsiglio vivamente il proseguimento.

Detto questo, per coloro che vogliono leggere un ulteriore assaggio di violenza gratuita da parte di Peter (che, pur essendo un cattivo, comincio ad avere in simpatia), auguro una buona lettura! Spero tanto che vi piaccia :D



 

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Tutto è dominato dal silenzio e il buio riempie ogni cosa. Neanche la Luna è apparsa in cielo, forse perché troppo spaventata da lui.
Tutto tace. Tutto giace. E tutto trema.
Fa freddo. Fa più che freddo. È quel freddo che ti attraversa la pelle, che ti entra nella carne, ti gela il sangue e ti paralizza le ossa. È quel freddo che sa di morte. Tutto sa di morte in quel luogo: la terra arida, senza vita; il cielo fosco, senza luce. Quell'estenuante quiete, senza tranquillità.
Gli alberi cupi si chiudono sul ragazzino che incerto si aggira per la foresta. I loro rami arsi e secchi sembrano volerlo afferrare; le foglie scure, prive di sfumature allegre, segno che il Sole non riesce a baciarle con i suoi caldi raggi, scricchiolano come se urlassero per il dolore quando le calpesta, mentre i cespugli ai lati si muovono mossi da quel poco vento che entra, facendolo rabbrividire.
Dellinger non ha idea di come abbia fatto a finire in un luogo tanto tetro. Ricorda di essersi sentito poco bene dopo cena, di essersi sentito come abbattuto, e per questo si è ritirato nella sua stanza per riposare. Poi, come per magia, si è svegliato nel fango, al freddo.
Ha provato a chiamare aiuto in un primo momento, ma nessuno dei suoi compagni gli ha risposto.
Non gli ci è voluto poi molto per capire che nessuno di loro si trovasse nei paraggi, che nessuno sarebbe soccorso in suo aiuto, che se la sarebbe dovuta cavare da solo.
Ora non può far altro che domandarsi come sia potuto succedere, come i suoi sequestratori siano riusciti a non farsi scoprire da Doflamingo, a passarla liscia; ma, più di ogni altra cosa, si domanda perché. Perché lui? Perché rapirlo e gettarlo nel fango in mezzo ai vermi, con il viso schifosamente vicino ad un teschio? Perché torturarlo psicologicamente facendolo girare in tondo per quella foresta? Ha fatto tante cose orrende nella sua vita, senza ombra di dubbio, e di certo non se ne pente o vergogna, solo che gli sembra assurdo che abbiano deciso di prendere proprio lui.
Un ululato, uno solo, tanto potente da far vibrare gli antichi tronchi che lo circondano. Così forte che qualsiasi creatura che avesse deciso di passare la notte nascosta in qualche pertugio decide di scappare, di cercare un nascondiglio migliore, consapevole però che è solo una mera speranza.
Dellinger cammina tremando, tenendosi le braccia ben strette attorno al corpo per infondersi un minimo di calore, in cerca di quella strada che lo porterà alla salvezza, lontano da quei mostri che ha visto vicino alle capanne al centro dell'isola. Perché lui li ha visti quei mostri intenti a divorare carcasse umane; ha sentito le urla delle vittime che imploravano pietà, che chiedevano aiuto. Lui ha visto e sentito, nascosto sulla cima di un albero, e ora non riesce più a toglierselo dalla testa: uomini morti che mangiano i vivi.
Lo stomaco si aggroviglia per l'ennesima volta, e per l'ennesima volta non riesce a trattenere un conato di vomito.
Un bambino mangiava la faccia di un uomo adulto... com'è possibile?!
Un fruscio alla sua destra, troppo vicino per i suoi gusti, lo fa sobbalzare come un gatto. Ha paura, Dellinger, e non lo nega.
Altri fruscii, troppi. Come se un branco di animali selvatici lo stessero accerchiando, come se stessero giocando con lui. Ma a Dellinger questo gioco non piace per niente. È convinto che sia solamente un brutto sogno, e che presto si sveglierà a Dressrosa insieme alla sua famiglia e potrà farsi una bella risata su tutte queste stranezze.
Quando però qualcosa cozza violentemente contro la sua testa, si rende definitivamente conto che non è un sogno. La foresta, il freddo che ti entra nelle ossa, l'osso di un femore umano che è stato lanciato contro la sua testa... sono tutti veri.
Lui è lì per davvero, ormai lo ha capito, e qualcosa lo sta braccando.
«In che razza di posto sono finito?» mormora tra sé e sé, osservando con sguardo attento tutto ciò che lo circonda. Non c'è niente di niente, solo cespugli secchi e foglie cadute a terra.
Ma questo è errato, profondamente errato. C'è qualcuno in mezzo alla vegetazione; qualcuno addestrato ad uccidere, a muoversi come un fantasma, silenzioso e difficile da localizzare.
Anche Dellinger alla fine se ne rende conto. Perché mai dei topi dovrebbero correre all'impazzata nella direzione opposta alla sua? Con quelle creature mangiatrici di uomini non lo facevano.
«Chi c'è...?» pigola incerto, indietreggiando lentamente.
Le foglie scricchiolano assordanti. Ma non sono solo quelle che calpesta lui a produrre quel tetro rumore, no. Ci sono altri passi, proprio davanti a lui. C'è qualcosa che si avvicina lentamente, che lo osserva con attenzione. E Dellinger ha paura davvero. Sente l'odore della morte, sente il freddo farsi ancora più forte che gli penetra nelle ossa e lo fa rabbrividire ancora di più.
Doflamingo, dove sei?! Ho bisogno del tuo aiuto, ti supplico!
Una figura scura, eretta e perfettamente composta lentamente comincia ad avvicinarsi, fissandolo con due magnetici e infernali occhi color del sangue. Occhi cattivi, famelici. E guardano lui, con una tale intensità da costringerlo ad indietreggiare ancora una volta, sempre più velocemente.
Quando però riesce a scorgere in tutta quell'oscurità un sorriso bianco, perverso e vittorioso, è troppo tardi per lui: un ultimo passo alla cieca per distanziarlo, un rumore secco e le foglie che si spostano velocemente. Poi, solo dolore...
«Attento, ragazzo.»
Urla con tutta l'aria che ha nei polmoni, Dellinger, mentre prova ad aprire la micidiale trappola per orsi che per poco non sega in due la gamba. Ci prova e ci riprova, ma i meccanismi sembrano essere stati modificati, e ogni tentativo risulta vano.
«Chi diavolo sei?!» urla spaventato, provando maldestramente a rimettersi in piedi per potersi difendere. Purtroppo per lui, però, questo movimento dettato da un folle istinto di sopravvivenza, altro non fa che peggiorare la situazione: la gamba si spezza ulteriormente, pochi legamenti riescono a tenere ancora l'arto insieme.
Si accascia di nuovo a terra a corto di fiato e, dopo pochi secondi, un paio di scarpe nere e lucide si parano di fronte ai suoi occhi.
«Pare impossibile che un uomo del calibro di Doflamingo si circondi di nullità come te.» lo sfotte aspramente lo sconosciuto, tirandogli pure un calcio in pieno volto che lo fa ribaltare dall'altra parte.
Dellinger si tiene una mano sul naso per bloccare l'abbondante emorragia, sputando a terra qui incisivi superiori, che adesso galleggiano nel suo stesso sangue. Alza lo sguardo, furioso, e finalmente vede il suo aggressore: è un uomo alto e slanciato, dalla pelle bianca come il latte e i capelli neri come la notte, le cui punte sono state tinte di un acceso rosso sangue; indossa una maschera da Oni nera, da cui si vedono solamente gli occhi di un vermiglio intenso; veste con un'elegante giacca nera e un paio di pantaloni a sigaretta del medesimo colore; appeso al collo, dondola un ciondolo tribale di mirabile fattura.
«Inoltre, mi pare impossibile che un uomo temuto come lui, considerato come uno dei più pericolosi pirati in circolazione, non si sia neanche reso conto che gli ho sottratto uno dei suoi preziosi sottoposti, proprio sotto al suo tetto...» insiste l'aggressore, mangiucchiandosi distrattamente un'unghia.
Dellinger, furioso oltre che spaventato, afferra l'osso che gli è stato lanciato contro e prova a tirarglielo, non riuscendo però a colpirlo. La cosa lo lascia assai perplesso in realtà: un attimo prima è davanti a lui, un attimo dopo non c'è più. “Com'è possibile?
«Non si lanciano le cose, non a me.»
Seduto sulla sua schiena, con un piede poggiato sulla sua testa, l'aggressore fiuta l'aria in cerca di un possibile nemico stupidamente entrato in quello che, da adesso, è il suo territorio, non percependo altro che morte e sangue. Morte, sangue, e odore di menta e sudore.
Sente la sua paura, percepisce il suo cuore battere all'impazzata e, sorprendentemente, nutre un certo rispetto nei confronti di questo moccioso che, pur sapendo di essere in pericolo di vita, non osa chiedere aiuto. Non capisce se lo fa perché ormai ha abbracciato l'idea di essere solo, abbandonato alle sue sole ed inutili capacità, o se lo fa per proteggere coloro che ama, che per sua fortuna -o sfortuna?- si trovano su tutt'altra isola.
«Ti starai sicuramente chiedendo perché ti ho portato qui, ragazzino.» afferma con tono indifferente, osservandolo da sotto la propria maschera. Vede solo un'espressione di dolore dovuta alla gamba ormai da amputare, nulla di più, e la cosa un poco lo offende.
Storce la bocca, fa schioccare la lingua e si sistema alla meglio i capelli ribelli.
«Sei qui perché mi annoiavo.» continua, afferrando un ramo spezzato poco distante da sé e cominciando a pungolare la ferita sanguinolenta del ragazzo «Dressrosa è una città poco interessante. Non si trovano più isole degne di attenzione negli ultimi due secoli.» abbassa di nuovo lo sguardo e lo fissa: non lo ascolta, lo ignora totalmente.
Un ringhio basso gli squarcia la gola e, preda di una forte rabbia, lo afferra saldamente per la collottola e lo trascina dentro al bosco.
Dellinger riconosce il sentiero, da lui stesso percorso che lo ha condotto in quel villaggio dei morti viventi, e automaticamente comincia a dimenarsi per poter fuggire in qualche modo, ma è tutto inutile. La sua presa è troppo forte, i pugni che gli tira alle mani sono come carezze per lui.
Calde lacrime gli rigano le guance, lentamente. Vorrebbe essere a casa sua, con la sua famiglia, protetto e circondato dal loro bizzarro affetto.
«Doflamingo ti ucciderà... sei un uomo morto!» gli urla contro nel vago tentativo di intimorirlo. In fondo tutti tremano solo sentendo quel nome, quindi perché non provare?
«Mi spiace contraddirti, ragazzo, ma il tuo padrone non potrà fare niente per vendicarti.» risponde con voce piatta, mentre nella sua mente cerca di mantenere la calma: una mossa falsa e rischia di rivelare troppo, e sa bene che le spie di Fenrir sono sparse un po' ovunque negli ultimi tempi.
Alza Dellinger senza sforzo e lo butta sopra una pietra liscia ricoperta di calce viva, ordinando con un solo schiocco di dita che venga immobilizzato per le braccia e per le gambe.
I suoi fedeli, veloci ed obbedienti, eseguono l'ordine, avendo inoltre la premuta di liberarlo dalla trappola per orsi, che ha completamente maciullato l'arto del giovane pirata, e di privarlo di ogni suo indumento, in modo tale che la calce precedentemente messa sulla pietra ustioni la candida pelle del giovane.
«Che maleducato che sono...» afferma ridacchiando l'aguzzino, avvicinandosi di nuovo al ragazzo immobilizzato che continua a dimenarsi per provare a scappare.
«Ti ho portato fin qui e nemmeno mi sono presentato! È davvero imperdonabile.» insiste, sfiorandogli uno zigomo con la punta delle dita affusolate, per poi sfilarsi dal viso l'oscura maschera, mostrandosi in tutto il suo tetro splendore «Mi chiamo Peter.»
Dellinger lo guarda senza capire. Perché mostrarsi? Perché rivelargli il suo nome? Ma la domanda che gli martella di più in testa è sicuramente: a cosa diavolo gli servono tutti quegli strumenti?
Peter, infatti, ha poggiato vicino al volto del ragazzo una piccola sacca di pelle marrone, assai rovinata dal tempo, contenente svariati attrezzi chirurgici, più o meno arrugginiti. Ci passa sopra le dita, ricordando tutte le volte in cui li ha usati, e un macabro sorriso gli piega le labbra sottili.
Presto, miei cari, avrete l'onore di sventrare un Lothbrook.
«Lasciami andare, bastardo!» gli urla contro il biondino, agitandosi sempre di più «Doflamingo ti farà a pezzi non appena verrà a saperlo!»
Peter scoppia semplicemente a ridere, avvolgendosi l'addome con un braccio. I suoi seguaci lo imitano immediatamente, sfottendo maggiormente il giovane e confuso pirata, che adesso li guarda con ancor più paura.
«Ohhh, Dellinger. Povero piccolo idiota... il tuo padrone non muoverà un dito per vendicarti, quante volte te lo devo ripetere? Non si sarà neanche reso conto che sei scomparso. Quando lo farà, poi, sarà troppo tardi.» sorride mentre lo dice, avvicinando pericolosamente il viso a quello imperlato di sudore e sporco di polvere e fango del ragazzo «Esattamente come me, tu sparirai nel niente, Dellinger. Verrai dimenticato
Si porta di nuovo in posizione eretta, passandogli una mano tra i capelli color dell'oro prima di allontanarsi dal suo campo visivo.
Dellinger lo sente parlare con qualcuno in una strana lingua che non riesce a capire e, non appena Peter torna nel suo campo visivo, sente il cuore fargli una capriola nel petto: in mano stringe una siringa, contenente un liquido trasparente.
«Cosa vuoi fare...?» mormora con un filo di voce, provando ad allontanare la testa quando il nemico gli avvicina l'ago al collo.
«La tubocurarina...» afferma ghignando mentre inietta il pericoloso liquido nell'organismo della giovane vittima «...blocca i recettori nicotinici muscolari dell'acetilcolina, bloccando così la trasmissione dell'impulso nervoso dal nervo al muscolo, che quindi resta paralizzato. Purtroppo per te, però, non inibisce minimamente il dolore.»
Ed è vero. Dannazione se lo è! Più passano i secondi, più Dellinger si rende conto che non riesce a muovere neanche un dito, continuando comunque a sentire il freddo lacerante attorno a sé.
Peter, intanto, armeggia tranquillamente con i vari oggetti, osservandoli con attenzione, finché la sua attenzione non viene totalmente attirata da un paio di vecchie pinze arrugginite, perfette per il suo obiettivo.
Alza di nuovo lo sguardo su Dellinger e comincia a giragli attorno, sorridendo in modo perverso. Con un dito pallido sfiora la sua pelle nuda, facendolo fremere. Il suo istinto primario, quello da predatore assetato di sangue, quello del lupo, gli urla a gran voce di saltargli addosso e di sbranarlo, di divorare le sue interiora, di godersi le sue urla piene di agonia fino al momento del trapasso. Ma non vuole, Peter: vuole dargli una morte lenta, dolorosa, divertente.
Si schiarisce la gola nervosamente, Dellinger, provando nuovamente a liberarsi dalla ferrea presa di quelle catene, inutilmente.
«A cosa serve quello?»
Lui sorride ancora. Ha un aspetto teso, da predatore. Il suo è il sorriso del lupo poco prima di chiudere le sue fauci affamate sul coniglio in trappola.
«Le tue unghie sono poco curate...» gli afferra con delicatezza una mano e gli stende le dita, afferrando con decisione l'unghia dell'indice con le pinze precedentemente scelte «Ora le sistemo io.»
Improvvisamente, il mondo di Dellinger diventa un film al rallentatore. Ogni secondo sembra un minuto. Lo guarda con gli occhi ricolmi di angoscia, come se fosse una creatura di un incubo, come se l’atmosfera fosse improvvisamente diventata densa come sciroppo, e urla con tutta l'aria che ha nei polmoni quando l'unghia viene strappata via. Urla ad ogni strappo, senza avere la possibilità di ribellarsi.
Le unghie, una dopo l'altra, vengono lentamente asportate. Le ripone tutte in una piccola scatoletta azzurra, Peter, deciso ad usarle per decorare qualcosa. Così come è deciso a creare dei piccoli centrotavola di pelle.
Lo guarda ora, ridendo della sua disperazione e del suo dolore. Gode della sua angoscia, l'assimila e se ne nutre avidamente.
«Basta! Ti prego! IO VOGLIO VIVERE»
Vita... morte... ormai questi concetti non hanno più significato per lui.
Hanno perso ogni attrattiva nel momento esatto in cui Killian, il più caro amico che avesse al mondo, lo tradì, dicendo all'Imperatore cosa faceva nel tempo libero.
“È solo un gioco, a voi non farei mai del male!” e ci credeva sul serio mentre lo diceva. Lui era serissimo, puro nel cuore e pieno d'amore nei loro confronti. Ma non gli hanno creduto. Non gli hanno creduto e lui, l'uomo per il quale avrebbe sacrificato volentieri la sua preziosa vita, lo ha esiliato, condannandolo alla morte.
Ma non è morto. È rimasto chiuso in sé stesso per almeno un secolo, cibandosi di roditori e rettili di piccole dimensioni, domandandosi dove avesse sbagliato, perché il suo adorato creatore lo avesse ripudiato in quel modo. Ma poi ha capito! Eccome se ha capito: Fenrir preferiva Killian, tutto il branco e gli alleati lo preferivano, e lui era diventato solo un peso, un ostacolo che non permetteva a quel lupo prodigio di splendere come doveva.
È da quel momento, da quell'illuminazione, che ha cominciato ad escogitare un modo per vendicarsi. Doveva essere qualcosa di glorioso, tanto crudele da mettere in ginocchio qualsiasi creatura si fosse chiamata fuori dallo scontro; così magnifico, da renderlo il nuovo e assoluto Imperatore.
«Bisturi!» afferma ridacchiando maniacalmente, facendo ridere di gusto pure i presenti. Una delle sue accompagnatrici, muovendosi lentamente e sensualmente, gli porge un coltello rovente e Peter, senza mai abbandonare il contatto visivo con quei magnifici e seducenti occhi piene di promesse, mozza di netto la lingua al ragazzo, che dal canto suo prova ad urlare per il dolore che tale mutilazione gli provoca, rischiando di soffocare con il proprio sangue.
Peter abbassa gli occhi su di lui, ridacchiando perversamente mentre lo guarda e gli sventola davanti al viso il muscolo mozzato «Prima mi dava molto fastidio il suono della tua voce, spero che non me ne vorrai.»
Dellinger non lo ascolta neanche più. Perché mai dovrebbe? Ormai ha ben capito che la sua fine è sempre più vicina, quindi non può far altro che piangere e pregare che il folle masochista che adesso tiene in mano un affilato rasoio ponga velocemente fine alle sue pene.
Questo suo atteggiamento passivo, però, non piace per niente al violento sociopatico che lo sovrasta, ed è per questa ragione che, senza aggiungere altro, comincia a spellare la gamba ancora sana del pirata, stavolta ignorando le sue urla. È un lavoro delicato quello dello spellamento: un solo movimento sbagliato e tutto va ricominciato da capo.
Taglia minuziosamente dalla caviglia fino al ginocchio, sorridendo all'idea che a breve, non appena la pelle sarà stata adeguatamente lavorata, potrà finalmente avere i centrotavola che tanto desiderava.
Per una pelle così bella e vellutata dovrò farmi pure un adeguato servizio da tè.” pensa osservando la pelle stesa di fronte ai propri occhi. La guarda con attenzione, cercando un qualsiasi difetto che però non trova, e un allegro sorriso gli illumina il viso sempre tetro.
«Scioglieteli, io ho finito.»
Una creatura come Dellinger, secondo i pareri di Peter, non è degna di finire negli stomaci delicati dei suoi sottoposti. Una carne marcia come la sua, corrosa da tutte le menzogne che girano per le strade di Dressrosa, non merita di essere digerita da una creatura tanto nobile. È degna però di essere sbrindellata ed ingerita da creature che sono già marce, che non hanno una volontà propria, ed è per questo che fa liberare gli zombie, prima tenuti alla catena dalle sue donne.
I morti viventi si incamminano goffamente verso il ragazzo mezzo morto per dissanguamento. Li guarda con angoscia crescente, ma ormai non prova neanche più a ribellarsi. Non ha alcuna voglia di continuare a vivere dopo un evento del genere, e non ha neanche le forze per poterlo mandare al diavolo.
Non appena sente i primi denti marci affondare nel suo pallido collo, semplicemente chiude gli occhi, salutando per un'ultima volta la sua famiglia. Li vede tutti, dal primo all'ultimo, e spera con tutto il cuore che a loro non capiti la stessa sorte.
Peter guarda con distacco il macabro spettacolo che gli si presenta, sogghignando quando due non-morti si azzuffano tra loro per un organo interno già divorato per metà.
Si volta con calma, incamminandosi verso il fiordo in cui hanno ormeggiato la nave, lontani da occhi indiscreti.
I suoi seguaci si apprestano a seguirlo, rimanendo sempre un paio di passi dietro di lui, discutendo animatamente tra loro su chi sarà colui che ucciderà più traditori nell'imminente guerra.
Peter non li ascolta, troppo preso dalle proprie preoccupazioni. Quando però la sua bionda accompagnatrice lo affianca, si trova costretto a dover dar voce a tali preoccupazioni.
«Quel povero scemo come se la passa?» domanda con tono infastidito a causa della loro vicinanza. Si era infatti raccomandato più volte di non essere avvicinato tanto se non su richiesta, ma la bionda licantropa pare non capirlo. Per sua enorme fortuna, però, è talmente bella che ucciderla sarebbe un peccato pure per Peter.
«Due metri e ventisette di altezza per centoquattro chili. Il suo organismo reagisce ottimamente al trattamento, tanto che ogni ferita mortale che gli è stata inflitta con armi d'argento risultano totalmente inutili. Il frutto che gli avete donato, inoltre, è un Paramisha molto utile.» gli risponde con un amplio sorriso la ragazza, sognando ad occhi aperti il giorno in cui potranno finalmente liberare il soggetto e distruggere il mondo intero «In definitiva: l'esperimento sta riuscendo magnificamente
Peter sorride soddisfatto, passandosi una mano tra i capelli e allungando il passo. Se il ragazzo da lui scelto non fosse riuscito ad assimilare così bene i virus da lui creato sarebbe stato un bel problema. Avrebbe dovuto ricominciare tutto da capo, sprecando così tempo prezioso che invece vuole impiegare per fortificare il proprio esercito.
«Bene, conducetemi al suo nascondiglio.» ordina con tono duro, voltandosi per un breve istante verso la ragazza e sorridendole con aria enigmatica «È giunto il momento che anche lui mi adori.»


Angolo dell'autrice2:
La verità? Volevo andarci più pesante. Molto più pesante. Però non ci sono riuscita >.< Non sono proprio capace a scrivere scene di questo genere! Come diavolo farò quando ci sarà la guerra?! O, peggio ancora, come diavolo farò con il sequel, che sarà ben più pesante di questa storia?! Bah, troverò un modo... devo trovarlo!
Adesso, tralasciando tutti i miei vari lamenti, non posso davvero più trattenermi dallo sfogare tutto il mio disprezzo nei confronti di questo... coso.
[...]Perché lui? Perché rapirlo e gettarlo nel fango in mezzo ai vermi, con il viso schifosamente vicino ad un teschio? Perché torturarlo facendolo girare in tondo per quella foresta?[...] PERCHÈ STAI SUL CAZZO ALL'AUTRICE, STRONZETTO! >:] Non dovevi toccare Bellamy...
Non. Dovevi. Toccarlo!

Ok, ok. Mi calmo, basta. Non ucciderò più un personaggio creato da Oda-sensei se non ai fini della trama, lo prometto. (Però tu, piccola caccola bionda, sei morto! Morto che più morto non puoi essere! E non è altro che BENE!)
Ok, basta. Oggi chiudiamo così! :P

A presto, un bacione
Kiki ♥


PS: piccolo angolo di pubblicità: ho pubblicato qualche giorno fa un piccolo missing moment su Astrid, con protagonisti i fratelli Donquixote. Se a qualcuno potesse interessare... :3 ♥

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Capitolo 37
*** 37. Una giornata piena di sorprese + Special [Tutti alla catena!] ***


Piccola avvertenza: sono trascorsi 93 giorni da quando Akemi ha lasciato la ciurma.
Vi chiedo gentilmente di leggere le note d'autore a fine capitolo perché mi servirebbe una vostra opinione per pubblicare o meno una cosa :)
Personaggi originali che appaiono in questo capitolo: http://it.tinypic.com/r/vg76mh/8

 

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L'ampio torace lasciato scoperto si alza e si abbassa regolarmente.
L'invitante collo è perfettamente scoperto, la testa lievemente girata. Ed è ammaliante. Dannatamente ammaliante.
Lo guarda mentre dorme da qualche minuto ormai. È così rilassato, così innocuo ed indifeso, non come ci si potrebbe aspettare di vedere il Quarto Comandante della flotta di Barbabianca.
Gira piano attorno al letto per non far rumore, tenendo la micidiale arma ben stretta nelle mani affusolate e gelide. Non riesce a staccare gli occhi da quel magnifico collo muscoloso, su cui vede chiaramente pulsare la carotide, in un modo così ipnotico che lo incanta per qualche secondo. È così tanto tempo che non caccia come si deve, che non assale qualcuno mentre dorme come era solito fare... un vero tormento per il suo animo nero.
«Sbrigati a farlo prima che ci becchino!»
La sua voce gli arriva incredibilmente ovattata alle orecchie. In quel momento per lui c'è solo quella magnifica gola esposta e nient'altro. Per un attimo vorrebbe posare l'arma a terra e ucciderlo così su due piedi, ma non sarebbe altrettanto divertente.
Così, dopo un secondo di cedimento, riprende a camminare in punta di piedi, leccandosi piano le labbra per l'eccitazione che solo l'idea di quello che sta per fare riesce a dargli.
Quando finalmente è al suo fianco, un sorriso perverso gli increspa gli angoli della bocca e finalmente agisce: il secchio pieno d'acqua fredda viene rovesciato sul dormiente Comandante, facendolo così svegliare di soprassalto.
Rakuyou, alle sue spalle, scoppia inevitabilmente a ridere, aumentando pure le risate quando il folle vampiro si riempie la mano di schiuma da barba e dà una sonora sberla al povero compagno, ormai del tutto sveglio.
Una parte di lui gli suggerisce di scappare a gambe levate per evitare delle sicure -e meritate- botte, ma non può resistere alla tentazione di vedere l'ultima parte del diabolico scherzo che ha preparato assieme a Týr.
Quando Satch si alza per picchiarli entrambi, magari provando a fracassare la testa di uno contro quella dell'altra, trova il pavimento di legno incredibilmente scivoloso sotto ai piedi, ed inevitabilmente ruzzola a terra come uno scemo, battendo pure la testa sul pavimento. Toccando un poco la superficie con il dito si accorge che è stata cosparsa di olio, cosa che lo manda ancor più in bestia.
Si rialza così a fatica per provare ad ucciderli, bestemmiando come un pazzo in giro per la nave, indeciso su chi inseguire per primo. La scelta poi ricade sul vampiro, dal momento che adesso ha un motivo valido per farlo fuori, o quanto meno per provarci.
Ma prenderlo risulta particolarmente difficile per lui dal momento che la creatura immortale è dannatamente veloce ed agile. Riesce a raggiungerlo solo quando quello si blocca di colpo sul ponte della nave. E la cosa gli puzza da morire. Perché mai fermarsi quando qualcuno vuole metterti le mani addosso? Sa bene che non oserebbe mai rigirarsi perché c'è di mezzo una cosa da vampiri che glielo impedisce, quindi perché mai fermarsi e farsi prendere?
Si blocca anche Satch, troppo perplesso da questo suo strano atteggiamento.
«Che hai sentito?» domanda già sulla difensiva, avvicinandolo cautamente.
È troppo fermo, troppo silenzioso. Non respira neanche più. Semplicemente fissa un punto di fronte a sé, totalmente paralizzato.
«Oi!» gli dà pure una spintarella, Satch, cercando di attirare la sua attenzione per ricominciare l'inseguimento. In fondo non ci sarebbe neanche gusto nell'attaccarlo così!
Týr allunga semplicemente una mano in direzione di un grosso pacco confezionato con una lucida pellicola blu notte lasciato sul ponte, continuando a fiutare l'aria in cerca di qualche traccia nemica, trovando però solo l'odore di una parente: Freya.
«Vai a svegliare tutti e falli venire sul ponte. Lo hanno lasciato per voi come regalo.» ordina sicuro, ricomponendosi e avvicinandosi con calma al pacco, esaminandolo con attenzione. È sicuro, grazie ai suoi sensi sviluppati, che non si tratta di regali macabri o cose simili, ma più che altro di qualcosa di carta.
Non ci vogliono che una decina di minuti e tutti i pirati sono radunati nella grande sala mensa dove li ha condotti Týr, a guardarlo alle prese con un'accesa discussione con il loro adorato capitano su come si monti lo schermo per far partire il video che è stato mandato loro. Infatti Freya Lothbrook, una lupa mannara lontana parente di Týr, ha donato loro una cassetta e un album fotografico, pieno di momenti eternamente immortalati che ritraggono svariati abitanti dell'isola Helheimr, luogo in cui dimora il fratello del vampiro.
Týr ha raccontato loro qualcosa in maniera molto sbrigativa, bevendo lunghissime sorsate di super alcolici tra una parola e l'altra. Il fatto che abbia cominciato a bere così presto e così tanto, indice che qualcosa lo sta realmente innervosendo, li ha insospettiti molto, ma non hanno fatto domande. Sanno bene che tanto lui non direbbe niente contro la propria volontà, neanche sotto tortura, quindi possono solo aspettare che le risposte arrivino da sole.
Nel frattempo, spinti da una forte curiosità, si sono messi tutti quanti ad osservare le varie fotografie, leggendo le didascalie scritte a mano sotto.
A quanto pare un po' tutti loro mandano i propri saluti e bevono alla loro salute. Non capiscono perché, ma la cosa alla fine li diverte. Diverte un po' meno Marco, costretto a vedere in un sacco di fotografie il volto sorridente del pazzo che provò a rapire Akemi da bambina. Týr gli ha pazientemente spiegato che quello è Freki, da sempre il braccio destro del fratello; gli ha pure detto che ha avuto una fortuna sfacciata quando si sono scontrati, perché quello è un licantropo tutt'altro comune, che avrebbe potuto tranquillamente farlo fuori se non si fosse lasciato accecare dalla superbia.
Non che Marco gli creda in realtà, ma le sue parole lo infastidiscono da impazzire. E ancora di più lo fa impazzire vedere quel cane divertirsi come un folle in mezzo a quel branco di mostri, totalmente felice.
Satch, invece, è rimasto totalmente paralizzato davanti alla fotografia di una sorridente Mimì, bellissima in un abito di raso color cipria e i capelli tinti di nero acconciati in un ordinato chignon. La trova più bella dell'ultima volta che si sono visti, il suo sorriso rivolto alla fotocamera lo fa sciogliere come neve al Sole. Týr gli ha poi detto che la vampira lo ama ancora, a giudicare dal tatuaggio che si è fatta sul collo: la sua iniziale con dietro un ottagono, al cui interno sono stati disegnati dei piccoli forconi che spingono all'infuori e dei pallini. Gli ha spiegato che è un simbolo di protezione vudù, e che il tutto sta a significare che ancora lo pensa e che vuole il suo bene. Non c'è neanche da dire che questo ha mandato in orbita il Quarto Comandante, che più di una volta ha avuto il fegato di avvicinarsi all'alticcio e nervoso vampiro alle prese con una marea di cavi annodati per chiedergli di portarlo su quell'isola. Non ci sarebbe da dire neanche che Týr l'ha mandato sempre e solo affanculo, provando pure a strangolarlo con i cavi in un paio di occasioni, venendo fermato dal capitano, ancora assonnato e intontito dallo strano e devastante effetto che il sangue del vampiro gli ha provocato il giorno precedente.
«Certo che ce ne sono di belle donne da quelle parti...» commenta Ace, osservando con maniacale attenzione le fotografie ritraenti seducenti donne in bikini a prendere il Sole su una spiaggia candida. Alcune invece giocano nell'acqua, altre bevono drink rinfrescanti, altre ammiccano alla fotocamera. E ognuna di loro ha lasciato un commento, talvolta specificando quale pirata vogliono salutare. Freya, neanche a dirlo, ha salutato solo ed esclusivamente Ace, scattandosi una fotografia mentre gli manda un bacio.
«Ma cosa diavolo gli fai alle donne?!» Namiur scherzosamente gli tira un pugno nella spalla, facendolo scoppiare a ridere di gusto.
«Freya si faceva allegramente sbattere da tuo padre.» li informa sovrappensiero Týr, che finalmente è riuscito a districare le prese e può attaccare lo schermo «Quando poi la lasciò, lei cadde in depressione. Poi ha saputo che si era consegnato alla Marina e non ti dico il casino... poi, nulla: ha saputo della presenza di un altro piccolo Roger e ha giurato di fronte agli dei di proteggerti. Romantica, non trovi?» mentre parlava è riuscito a collegare il tutto e ha finalmente azionato il video.
Tutti si sono messi a guardare con trepidazione, incuriositi come non mai dalle immagini che a breve vedranno. Non badano neanche più a Týr, intento a bere come se non ci fosse un domani qualsiasi cosa gli capiti sotto tiro. Giustamente, anche: lui sa bene quanto è alta la possibilità che quel video contenga una presenza in particolare e, se sopravviverà al probabile assalto da parte loro, dovrà spiegare come sono andate realmente le cose.
Le immagini si susseguono velocemente tra loro, lasciando assai sbigottiti i vari pirati.
All'inizio, non appena hanno premuto il tasto di avvio, è apparsa Freya con un sorriso in volto che non preannunciava assolutamente niente di buono. La ragazza ha affermato che quello è un dono che gli fanno tutti loro per ringraziarli per i lavori svolti, e la cosa li ha lasciati non poco perplessi, ma nessuno si è spostato di un millimetro dalla propria posizione.
Poi è semplicemente cominciato il delirio: creature uscite dagli incubi più impensabili che bevono con quelli che sembrano esseri umani, che si sballano e si scatenano a ritmo di musiche psichedeliche, ricoperti di colori fosforescenti. Vedono alcolici girare come se fosse della semplice acqua, droghe pesanti e non venir ingerite come se fossero tic-tac; vedono feste devastanti con falò e grigliate con quella che, ne sono sicuri, non è carne né di maiale né di mucca; vedono esseri fare acrobazie da ubriachi e schiantarsi a terra, ridendo mentre lo fanno; vedono risse su risse scatenate dal niente, oggetti preziosi girare tra loro per pagare le scommesse; vedono donne così belle da farli eccitare come cani in calore.
Vedono tutto quello e non emettono un suono. Pure i loro respiri sono più leggeri del solito, talvolta addirittura trattenuti come se fossero in apnea.
S'indignano tutti quanti quando vedono quello sbarbatello di Kakashi e altre creature che non conoscono sfilare davanti alla lumacamera vestiti come loro, in un'orrenda esibizione fatta esclusivamente per prenderli per il culo.
Kakashi si è pure rasato parte della testa per avere un aspetto più somigliante a quello del Primo Comandante e al compagno Geri sono stati cotonati i capelli proprio da Mimì per farlo assomigliare, con molta fantasia, al Quarto. E mentre loro, in quel piccolo schermo, se la ridono di gusto, i vari pirati sentono una devastante rabbia montargli nel cuore. Vorrebbero averli tutti quanti sotto mano in quel momento solo per testare la loro presunta immortalità.
«E' una mia impressione, o ci stanno prendendo deliberatamente per il culo?» ringhia a denti stretti Izo, lanciando un'occhiata colma di rabbia al vampiro che, dal canto suo, non ha ancora smesso di ingerire alcolici. Si è pure acceso uno spinello pur di mantenere i nervi calmi, per non dare in escandescenza quando, lo sa benissimo, proveranno ad attaccarlo.
«Wow, tu sì che hai occhio!» scherza sorridendogli innocentemente, trattenendosi dal ridere quando il Comandante sbuffa sonoramente, indignato come poche volte in vita sua.
«Mi sento gentile, quindi vi darò un consiglio: non fate mai vedere ad un immortale che vi danno noia i suoi atteggiamenti o non la smetterà mai.» biascica a mezza bocca, passandosi una mano sul volto frastornato dalle massicce dosi di erba e alcool. Lo sanno anche i bambini che è bene non mischiare le due sostanze, ma proprio non riesce a trattenersi, non in quel frangente.
'Se la sfango, giuro che smetto con l'erba. Sì, con l'erba sì. Smetto con quella e basta, però smetto.'
Mentre il vampiro è perso nei propri pensieri, le immagini continuano a susseguirsi veloci e frenetiche: feste, alcool, sesso, droga, sangue, musica, altre feste, acrobazie ineguagliabili e pericolose, botte come se piovesse, risate e ancora più musica. È come un vomito di colori e suoni che li stordiscono.
«È normale che si comportino così?» domanda vagamente incerto Jaws. Lui non è un santo, non lo è mai stato, ma non ha mai partecipato a feste simili, dove le uniche regole sono peccare fino a quando l'anima non scappa terrorizzata e devastarsi fino a quando il corpo non implora pietà.
«Siamo immortali, Jaws: cos'altro abbiamo da fare se non divertirci?»
Vorrebbe andarsene Týr. Vorrebbe davvero prendere il culo e tornarsene nella stiva, offeso dal fatto che quei demoni bastardi facciano festa malgrado siano pienamente a conoscenza della sua morte, ma delle nuove immagini lo costringono a bloccarsi, pietrificandolo totalmente.

La lumacamera maneggiata da Freya viene spostata freneticamente, inquadrando un po' tutti gli abitanti di Helmier, finché non si blocca, inquadrando colui che celebrerà quello che senza ombra di dubbio è il matrimonio più prestigioso della storia.
Wulfric, elegantissimo nel suo smoking grigio e con i capelli raccolti in una morbida coda bassa, guarda i due vecchi amici con un sorriso raggiante in volto. Anche se non lo ammetterà mai, neanche sotto le più atroci torture, gli viene da piangere dalla gioia.
Ai lati della navata, i testimoni dello sposo sorridono lieti, spalleggiandosi e ululando di gioia, mentre le damigelle della sposa trattengono a stento le lacrime alla vista dell'incantevole Regina, magnifica col vestito bianco e il ventre rigonfio.
Akemi e Freki rimangono dietro ai prossimi coniugi, scambiandosi occhiate complici e sistemandosi talvolta i capelli, talvolta i vestiti. C'è intesa tra loro due, c'è un qualcosa che non può essere definito: non è semplice amicizia, non è semplice attrazione fisica, non è amore. È qualcosa di unico, solo per loro, e questo li rende felici. E li rende ancor più felici vedere gli sguardi di Fenrir ed Astrid, così colmi di amore e gioia, così impazienti di potersi giurare amore eterno di fronte a tutti.
Wulfric, alzando semplicemente le mani al cielo, richiama i presenti al silenzio, creando una calma surreale.
Sakura, al suo fianco come sempre, gli porge due spade, che l'antico vampiro prende con mano ferma e porge ai due coniugi: una è antica, grande e pesante, mentre l'altra è nuova, dalla lama pregiata e l'impugnatura impreziosita con filamenti d'oro bianco e diamanti neri.
Porge l'antica arma alla sposo, rivolgendosi poi ad Astrid e sorridendole dolcemente «Devi tenere quella spada al sicuro per i tuoi figli.» afferma con voce sicura, passando delicatamente una mano sul ventre della donna, che a sua volta gli sorride dolcemente.
«E ora devi donare questa nuova spada allo sposo.» afferma subito dopo, porgendole la magnifica spada che Killian ha forgiato per l'evento.
È un'antica usanza dei loro tempi quella di scambiarsi le spade durante le nozze, perché la spada trasferisce il potere di protezione del padre sulla donna al nuovo marito. Avrebbero potuto benissimo scambiarsi semplicemente le fedi nuziali, celebrare il tutto in chiave più moderna, ma hanno preferito rispettare le antiche usanze dei loro popoli, così da non farle morire.
I due licantropi si scambiano le armi con mani tremanti, quasi piangendo per l'emozione, senza mai interrompere il contatto visivo. Fenrir, richiamato dagli adorati figli, volta la testa sorridendo loro come un bambino che ha appena ricevuto il più grande dei regali, soffermandosi per qualche secondo sul viso commosso dell'adorata nipote, che dopo pochi istanti viene avvolta dall'abbraccio forte e protettivo dell'antico lupo che da mesi la segue.
«Ora gli anelli!» urla Wulfric, mentre Sakura posiziona le due fedi dorate sulla punta delle armi che i due sovrani si sono appena scambiati, piangendo mentre lo fa.
Wulfric, con mano veloce e ferma, afferra il viso di Fenrir e lo guarda intensamente, come se volesse leggergli nell'anima per capire se le sue intenzioni sono o meno serie.
«Giuri agli dei di voler sposare questa donna?» gli domanda con voce profonda, sorridendo all'uomo che da quel momento fino alla fine dei suoi giorni si prenderà cura della sua più grande e cara amica.
«Lo giuro... con gli dei come miei testimoni.» risponde sicuro l'Imperatore, facendo saettare lo sguardo sulla compagna, che gli sorride teneramente.
Wulfric a quel punto passa ad Astrid, prendendole con più delicatezza il viso tra le mani e testando solo con lo sguardo le sue intenzioni, leggendo nei suoi occhi azzurri una totale e sviscerata devozione all'uomo a cui si sta legando eternamente.
«Giuri agli dei di voler sposare quest'uomo?»
Astrid annuisce piano con la testa, mentre una lacrima di gioia le solca la guancia. Sorride felice all'amico che li sta unendo, voltandosi poi verso quello che tra pochi secondi verrà dichiarato suo marito.
«Lo giuro.»
I due licantropi incrociano le lame e prendono ognuno un anello, che poi mettono con incredibile lentezza e delicatezza all'anulare sinistro dell'altra.
Wulfric batte forte le mani, felice come non mai e, con tutta la voce di cui dispone, annuncia: «VI DICHIARO MARITO E MOGLIE!»
La folla scoppia ad urlare per la gioia, arrivando addirittura a sollevare per aria i due novelli sposi.
«Hail alla Coppia Felice!»


«Ma non ci credo!» urla entusiasta, Týr, battendo le mani come un bambino. I suoi occhi brillano di gioia e le sue labbra sono tese in un sorriso colmo di emozione «Finalmente si sono decisi!»
«Chi sono?» domanda ingenuamente Izo, senza mai staccare gli occhi da quelle immagini. La dolce coppia si sta scambiando il primo bacio da sposati, scatenando i fischi di approvazione generali, mentre il riso viene lanciato a secchiate su di loro.
Per una sfacciata fortuna dell'antico vampiro, Akemi è stata di spalle per tutto il tempo, e nessuno di loro è riuscito a vederla in volto. Poi, in ogni caso, sarebbe stato davvero difficile riconoscerla: la ragazza appare infatti fasciata in un vestito di un tenue azzurrino, i capelli sono sistemati in una complicata acconciatura, messa in evidenza da fiori e pietre preziose, e il viso è coperto da un velo sottile dello stesso colore dell'abito. Un'altra persona, completamente. Forse se avesse voltato la testa per sorridere alla telecamera, invece di mostrare solo i lineamenti del profilo, l'avrebbero riconosciuta, ma ne dubita, Týr.
«Quello che è preso d'assalto da quel branco di teppistelli è Fenrir, mio fratello, mentre quella è Astrid, la madre di Lilith.» risponde con un ampio sorriso il vampiro, mentre gli occhi chiari si velano di rosso. È incredibilmente felice in quel momento, ma è anche triste. Sarebbe voluto essere lì, a sorridere fiero al fratello e alla donna che gli ha fatto il più bello di tutti i doni, ma non è potuto andare.
'Lo celebreranno di nuovo quando tornerò, dovessi morire di nuovo!'
«CHE COSA?!» urlano in coro i pirati, scandalizzati dalla notizia. Perché va bene tutto, ma sposarsi la donna del proprio fratello proprio no!
«Perché vi scandalizzate tanto? Io ed Astrid mica stavamo insieme. Facevamo solo sesso!» li giustifica il vampiro, parlando come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Al suo fianco arriva veloce e scattante una delle sue fidate vampire e gli porge umilmente il bong che le aveva detto di andare a prendere nella stiva. Ormai, tanto, è partito, quindi perché mai trattenersi? Poi la ciurma, dopo la lunga convivenza forzata, è abituata a vedergli fare di peggio che usare il bong o fumare delle canne lunghe anche una ventina di centimetri.
«E per te è normale?!» gli urla contro Satch, fulminandolo con lo sguardo. Nella sua mente è come se qualcuno dei suoi fratelli prendesse e, senza dirgli una parola, sposasse Mimì.
«Quei due si prendono e si lasciano da... sì, seimila anni tutti. Non ricordo con precisione quanti siano, però seimila sicuri.»
Sentire quelle cifre assurde fa ancora strano a tutti loro, ma alla fine decidono di distogliere in massa l'attenzione dal più che strafatto Týr e tornare a concentrarsi sulle immagini che vengono mostrate. Curiosamente, però, riescono a scorgere solo un muro e delle urla.
Urla piene di paura, dolore e angoscia viva.
La cosa non piace a nessuno di loro, per niente.
Alle urla si aggiungono versi animali, tonfi sordi e l'angosciante rumore prodotto da qualcuno che sta evidentemente soffocando.
«Ma che diavolo è?» domanda titubante Ace, provando ad avvicinarsi un poco per provare a capire da solo, inutilmente. Vede solo il muro, sente solo quei rumori inquietanti.
La lumacamera viene calciata da qualcuno che stava provando a scappare da qualcosa e va a sbattere contro una carcassa. Una carcassa di una bambina di forse sei anni, con il torace dilaniato e gli organi interni sparsi un po' tutt'attorno.
«Oh mio Dio...» mormora Pugno di Fuoco, disgustato da quell'orrida visione. Perché sì, lui è un pirata, uno dei più ricercati per tutti i reati compiuti, ma mai una volta ha osato alzare un dito su un bambino. Mai.
«Cazzo...»
I presenti si voltano verso il vampiro mezzo accasciato contro il muro, intento a ridacchiare e scuotere la testa come sconsolato, cosa che li urta non poco.
«Cosa ci trovi di tanto divertente?» gli ringhia contro il capitano, che mai è riuscito a tollerare che venisse fatto del male a dei bambini innocenti.
«Ieri... era una notte molto speciale.» afferma ritrovando sorprendentemente la serietà, guardandolo come se fosse un povero vecchio pazzo «Molti secoli fa, una volta l'anno, il mio più caro e vecchio amico si divertiva ad andare a terrorizzare le persone di notte. Ogni anno inventava un costume diverso per l'occasione, e la cosa presto iniziò a divertirci molto. Così, come abbiamo sempre fatto, abbiamo iniziato a far circolare delle voci.»
«Che genere di voci?» gli domanda Halta, provando a mantenere la calma. Cosa difficile, dal momento che ha chiaramente visto una mano artigliata afferrare il corpicino martoriato della piccola, sicuramente per infierire. Per quanto sappia che i lupi mannari e altre creature mangino la carne umana, senza fare alcuna distinzione di sessi o età, vederlo è stato abbastanza shockante pure per lei, che di gente ne ha ammazzata parecchia.
«Abbiamo fatto credere loro che in quel determinato giorno tutte le leggi dello spazio e del tempo fossero come sospese e il velo che divide il mondo dei vivi dal mondo dei morti si facesse più sottile, permettendo alle anime di mostrarsi, di comunicare con i viventi e di divertirsi alle loro spalle, facendo scherzi ed impaurendoli con le loro apparizioni. Dicemmo loro che l'unico modo per evitare gli spiriti fosse mascherarsi e fare sacrifici e scherzi a loro volta... e loro ci credettero senza remore. Col tempo la festa ha perso i suoi significati religiosi e rituali, ed è diventata un'occasione per divertirsi e organizzare party, ma alla fine a noi non è mai importato molto. Rimane sempre un'occasione per poter uscire allo scoperto senza dover nascondere la nostra vera forma.»
Rimangono tutti in religioso silenzio a fissarlo. Hanno capito benissimo di quale festa stia parlando, e il fatto che degli immortali letteralmente assetati di sangue abbiano deciso di festeggiare a modo loro, prendendo d'assalto quella che ha tutta l'aria di essere una nave da viaggio, non gli piace per niente.
Però, seppur riluttanti, decidono di continuare a guardare il video. In fondo Freya si è raccomandata ben tre volte di arrivare fino alla fine, sottolineando di guardare tutto quello che ha da mostrargli.

La telecamera viene raccattata da terra e l'anziana licantropa mostra il suo scontatissimo costume di Halloween: ha deciso di mutare solo in parte, in modo da deformare il volto ed assomigliare ad un animale, abbinando il tutto ad abiti logori da uomo.
Sorride alla telecamera, visibilmente brilla, mettendo così in mostra la dentatura animale, cosa di cui va dannatamente fiera.
Al suo fianco, con un braccio attorno al suo collo improvvisamente taurino, c'è Genma. Il volto è nascosto dietro ad una maschera bianca con un ghigno inquietante, a cui ha abbinato un completo largo e nero con un grosso cappuccio, perfetta per uno che mirava ad assomigliare ad un satanista/assassino/qualcosa che fa paura.
Le urla dei passeggeri sulla nave si affievoliscono sempre di più, lasciando spazio solo alle risate dei vari immortali che hanno deciso di festeggiare a modo loro la notte di Halloween. Quello che stanno facendo, uccidere riprendendosi con una telecamera e fare tutto quel chiasso, è severamente contro le regole, ma l'alcool ingerito precedentemente dà loro la carica per continuare, per fare tutto quello che hanno programmato: uccidere, andare a bere, uccidere ancora e poi andare in una delle più devastanti discoteche che conosco, “La Casa delle Pene”.
Freya sposta la lumacamera ed inquadra Killian, perfettamente mascherato da zombie. È stato truccato così bene da poterlo sembrare davvero. Peccato solo che non riesca a smettere di ridere e si muova decisamente troppo agilmente, sennò era perfetto.
Al suo fianco c'è Ginevra, una delle licantrope dell'isola, mascherata come un Pierrot cattivo. A detta sua è un clown assassino, ma per loro rimane solo un Pierrot con una crisi d'identità. La bionda licantropa si regge alle spalle forti di Ed, mascherato da fantasma. Ciò, in realtà pare più un attaccapanni con un telo bianco addosso e delle catene lasciate penzoloni, ma per loro va più che bene. In fondo si è unito per ultimo, incerto poiché non era mai uscito prima da Helheimr, e quindi hanno arrangiato un costume alla meglio.
«Skeleton Jack might catch you in the back...» Killian, troppo ubriaco per potersi trattenere, comincia ad intonare la canzone che inventarono appositamente per la festa, e subito Ginevra lo segue a ruota, cantando a squarciagola.
«And scream like a banshee
I due poi, presi dall'entusiasmo grazie alle risate collettive, si prendono a braccetto e cominciano a cantare il ritornello, facendo saltellare una più che euforica Freya, amante da sempre della festa che ha aiutato a far diffondere.
«Make you jump out of your skin
This is Halloween, everybody scream»
Dietro di loro, grosso e minaccioso, Freki li afferra per le spalle e li sposta di colpo, mettendosi in mezzo. Indossa un paio di jeans strappati sulle ginocchia, un camice da macellaio e una maschera di cuoio scuro, il tutto rifinito con il sangue che si è colato addosso. Un assassino con i contro fiocchi, come sempre.
«Wont' ya please make way for a very special guy!»
Tutti si lasciano trasportare, cantando forte e aspettando con trepidazione che la loro piccola principessa esca dal sottocoperta con la piccola e divertente sorpresa che hanno programmato.
«Our man Jack is King of the Pumpkin patch
Everyone hail to the Pumpkin King
This is Halloween, this is Halloween
Halloween! Halloween! Halloween! Halloween!»
Mentre loro cantano, finalmente lei arriva, macabramente sexy: indossa un body quasi completamente trasparente, fatta eccezione solo per le finte ossa che hanno attaccato sopra la stoffa sottile per farla sembrare uno scheletro, il tutto abbinato ad una maschera nera e bianca a forma di teschio e dei tacchi alti che riprendono il vestito.
Cammina lenta, ghignando da sotto la propria maschera. Ginevra ha insistito per legarle i capelli e coprirle i tatuaggi con uno strato di cerone da spettacolo, facendola apparire in tutto e per tutto una creatura soprannaturale. Così pallida e magra potrebbe facilmente passare per una vampira.
«Vi prego, lasciatemi andare!» la donna che tiene ben stretta per un braccio urla per la paura, non riuscendo a trattenere le lacrime. Quando li hanno visti arrivare, con la loro piccola nave con le vele nere, ormai era troppo tardi: si sono mossi velocemente, assalendoli in massa e riducendoli a cadaveri sanguinolenti, il più smembrati e disseminati un po' ovunque.
Lei però è stata risparmiata per ordine della strana donna che le ha appena spezzato l'omero sinistro facendo solo una lieve pressione. È stata risparmiata e trascinata in una stanza dall'uomo con la maschera di cuoio, che adesso ride del suo dolore. È stata poi spogliata, rivestita, truccata e l'hanno costretta ad indossare una parrucca turchese.
Akemi non voleva farlo. Le bastava uscire per una sera dall'isola con i propri amici e andare a festeggiare quella che ha appreso essere una festa per loro molto importante. È stata un'idea di Killian quella, che come Akemi ha preso in forte antipatia la stessa persona. Lei, semplicemente, non ha opposto alcuna resistenza, eseguendo gli ordini di quello che ormai è diventato come un fratello maggiore per lei.
«In this town we call home...» sussurra queste parole nell'orecchio della povera donna costretta ad indossare i panni di Whitey Bay, facendola rabbrividire. Sorride sotto la maschera e porta lentamente una mano alla sua gola, alzando di scatto gli occhi alla lumacamera «Everyone hail to the pumpkin song.»
Con un movimento veloce e preciso le recide la gola, lasciando che il suo sangue sgorghi nei bicchieri che i compagni hanno posizionato ai suoi piedi.
La lumacamera viene lasciata cadere a terra, così da poter bere in santa pace, e di sotto fondo, come una nenia, si ode la parte finale della canzone: «La la-la la, Halloween! Halloween! La la-la la, Halloween! Halloween! La la-la la, Halloween! Halloween! La la-la la...»


I vari pirati non sanno neanche cosa dire. Rimangono immobili a guardare quel gruppo di pazzi mentre brindano col sangue di quella povera donna, urlando poi a Freya di “spegnere quell'affare” perché “hanno bisogno di privacy”. Si domandano per quale assurda ragione parlino di privacy proprio loro, che si sono ripresi mentre ammazzavano per gioco delle persone innocenti, ignari del fatto che lo hanno fatto solo per poter girare tranquillamente per la prima isola.
Týr trae un sospiro di sollievo, felice che la figlia abbia indossato quella maschera. Perché lui l'ha riconosciuta anche così. E che gli ci vuole? È sua figlia, sangue del suo sangue, carne della sua carne: la riconoscerebbe ovunque e comunque.
«Era una minaccia per Bay?» gli domanda Marco con voce incerta, cercando di capire perché. Che sia una minaccia lo sa, non è scemo, però vuole che gli spieghi come mai hanno preso di mira proprio lei, come mai abbiano architettato l'esecuzione di quella povera innocente sfortunata.
«Ricorda che per loro, tu eri e rimarrai l'umano che ha portato via il cuore della loro principessa. Qualsiasi altra donna verrà vista come un insulto alla sua... memoria.» stava per dire alla sua “persona”, ma per sua enorme fortuna è riuscito a trattenersi «Inoltre Killian è una creatura che difficilmente accetta ordini da qualcuno che non sia Astrid. Quell'umana deve aver alzato troppo la cresta e lui l'ha presa sulle palle.»
Il filmato riparte e i loro sguardi saettano immediatamente sullo schermo. È tutto diverso adesso: niente spazi aperti, niente muri di legno dipinto di bianco tipico delle navi da viaggio. Ora c'è un ammasso di gente che urla, che si muove come in preda ad un attacco epilettico collettivo sulle note di una canzone che ha seriamente del ridicolo.

«Sboccing like no tomorrow!
And you can follow me
fino a che non mollo
tu mollami
Sboccing like no tomorrow!
Tavolo con il Moet
-poppin' bottles in the air
La serata è pettine
La serata è pettine
La serata è pettine
La serata è pettine
La serata è pettine
Pettinero, lo shampoo col DonPero!»

Vedono Killian lo zombie ballare circondato da belle ragazze, tanto ubriaco che rimangono veramente sorpresi nel vederlo capace di reggersi sulle proprie gambe.
Freya e Genma, con i loro discutibili costumi, si baciano appassionatamente, mentre la ragazza mascherata come un Pierrot cattivo, Ginevra, si è attaccata alla gola di un ragazzo per nutrirsene; il giovane pare così sfatto dagli stupefacenti da non rendersene neanche conto.
Týr commenta che è normale, che quello è un posto dove gli esseri umani vanno perché sperano di incontrare un immortale. Già, perché ci sono creature tanto folli da sfidare le leggi e mettere in circolo voci riguardanti la loro natura, dando così tanta enfasi alle proprie parole da convincere i soliti polli ad andarci, ignari del fatto che così si offriranno spontaneamente su un vassoio in un ricco buffet.
Dice anche, Týr, che quello è uno dei tanti locali che solo apparentemente è gestito da un essere umano, ma che in realtà è da sempre sotto il controllo di qualche mostro che ha rinunciato alla caccia per avere prede più facili.

«Il Pagante è pettinero
pure dopo l'after, mattinero
sotto cassa tutto fiero
con la camisa e l'abito nero
Presa male nel locale
nel privè senza bracciale
tutto quanto spettinato
minchia frate m'han sgamato»

Vedono delle povere stupide buttarsi su un divanetto tra le braccia del macellaio ricoperto di sangue, Freki. Le vedono e provano un moto di compassione per loro, soprattutto dopo che vedono le zanne del mannaro addentare la carne tenera del collo di una di loro.
Tutti loro hanno ucciso tante persone e non si sono mai fatti tanti problemi, ma non hanno mai giocato così con le loro vittime. Non si sono mai messi a sedurli per poi sbranarli o dissanguarli in mezzo alla folla, non si sono mai messi ad offrirgli da bere per poter fare di loro ciò che volevano.
Týr, ormai completamente andato, semplicemente spiega loro che alla lunga non basta più cacciare l'uomo: s'impara a giocare con lui, a rimandare la sua morte, a torturarlo fisicamente e psicologicamente per puro divertimento personale. C'è chi si diverte a mostrarsi debole ed innocente, bisognoso di aiuto, in modo da farsi invitare nell'abitazione della vittima per poterla poi uccidere nel proprio letto. C'è anche chi, come lui, si metteva a studiare determinati mestieri per poter ingannare il mondo: medico, avvocato, insegnante, guardia carceraria sono solo i lavori più recenti svolti dall'antico e nobile vampiro.
L'intera ciurma, per quanto consapevole della natura di quelle creature, non era mai davvero entrata nell'ottica che devono uccidere per sopravvivere. Se l'erano come dimenticato, convincendosi che tutti si nutrissero di sangue sintetico come il loro eccentrico ospite.

«Tutto il giorno sopra i libri
ora voglio stare easy
cazzo mene della crisi
faccio solo la sei litri»

«Porta qui il culo, principessina!»
A queste parole, urlate con una punta di sarcasmo da Freya, attirano totalmente la loro attenzione, calamitando gli occhi di tutti sullo schermo. Perché da quello che hanno capito -e loro hanno capito- l'unica principessa di tutti quei mostri era solo Akemi. Ci sono l'Imperatore, fratello di quello che prima di morire era il Re, e la Regina, madre della ragazza e adesso moglie del primo citato. Non ha mai menzionato altre principesse e la cosa accende in loro un sonoro campanello d'allarme.
Dopo quelli che sembrano loro secondi interminabili, ecco quell'assurda visione diventare sempre più nitida sullo schermo: shorts di jeans chiaro che lasciano le cosce lattee scoperte, canottiera bianca troppo grande per il suo corpo da cui si intravede il piercing al capezzolo, capelli neri con treccine bianche che ondeggiano tra quelle luci psichedeliche, un cappello nero con la visiera piatta rossa su cui spicca la scritta bianca “EASY”, e una striscia nera dipinta sugli occhi che le attraversa il volto.
Non hanno assolutamente dubbi su chi sia e la loro rabbia sale improvvisamente alle stelle.
«Facciamo che ne parliamo a video finito, eh?» biascica Týr non appena viene afferrato per la collottola da nientepopodimeno che Barbabianca, decisamente incazzato. Si era fidato di lui, delle sue parole addolorate per la perdita della figlia, e ora scopre che erano solo puttanate: lui sapeva benissimo che fosse viva e vegeta.
Quando però incrocia i suoi occhi di ghiaccio, resi incredibilmente umani dall'alcol e dal fumo, si rende conto che forse -molto forse- può dargli l'opportunità di spiegarsi. Non certo alla fine del video, però.
«Dammi un buon motivo per non staccarti la testa dal collo.»
Týr ghigna, reclinando la testa all'indietro «Te ne do due: primo, ti ammazzerei prima io. Ricorda che come sono capace di allungarti la vita, sono perfettamente in grado di togliertela.»
A questa affermazione -o minaccia, a seconda di come la si può vedere- , i vari pirati impugnano le armi e gliele puntano contro. A lui e alle puttane che stanno provando a difenderlo, venendo però interrotti da una semplice alzata di mano da parte del capitano, più che intenzionato ad ascoltare le sue motivazioni.
«Secondo poi, l'ho fatto per parare il culo a lei e a tutti voi.» biascica con la voce impastata, massaggiandosi il collo non appena la salda presa dell'Imperatore lo libera «Peter vi avrebbe attaccati immediatamente pur di farla uscire allo scoperto. E lei sarebbe uscita, in un modo o nell'altro, tirandosi dietro tutte le persone a cui tengo di più al mondo.» continua con voce bassa, voltando poi lo sguardo su tutti i presenti «Non potevo permettere che ciò accadesse: nessuno può toccare la mia famiglia.»
Ce l'hanno con lui per la sua menzogna. Lo detestano proprio, ma non per questo non evitano di ascoltare le spiegazioni delle vampire su come sia riuscito ad ingannare il mondo intero.
Quando poi le donne spiegano ai vari gruppi che, per uno come Týr, è un gioco da ragazzi manipolare i giornali, si danno degli stupidi: potevano arrivarci anche senza spiegazioni, in effetti.
Infatti il vampiro si è lasciato crescere i capelli e si è scattato una fotografia che ha successivamente inviato alla stampa. I giornalisti sono intervenuti e hanno intervistato un gruppo di ragazzi, precedentemente ipnotizzati dal vampiro, ed hanno poi trasportato via il cadavere sbagliato, che poi è stato facilmente fatto sparire.
«Non riesco davvero a credere che ti preoccupi tanto della tua famiglia.» lo sfotte sogghignando Fossa, trattenendosi con tutto sé stesso dallo scoppiare a ridere di gusto quando il vampiro si volta a guardarlo con aria oltremodo offesa.
«Ehi! Io sono quello che era così legato al suo nonno morente da salire ogni giorno sulla montagna per andare a trovarlo!» urla in risposta, scattando stupidamente in piedi come una molla. Con le dosi di alcool ingerite fino a quel momento, fare movimenti bruschi è controproducente pure per lui; infatti il nobile vampiro si ritrova a barcollare in mezzo a tutti quegli uomini a dir poco adirati senza avere più il pieno possesso delle proprie capacità fisiche... e anche con un gran mal di testa.
«Davvero?» domanda incerto il Comandante, assai sorpreso da questa rivelazione. Certo, da un tipo come Týr ormai si aspetta qualsiasi cosa, ma l'idea di vederlo affaticarsi tanto per un vecchio morente riesce comunque a sorprenderlo.
Quello che il Comandante non aveva preso in considerazione, però, è il fatto che Týr è spaventosamente ubriaco e anche notevolmente fatto, fattori che lo hanno sempre portato ad immaginarsi cose avvenute solo ed esclusivamente nella fantasia collettiva.
«Sì! Anche dopo che mi portarono via per fare compagnia a Clara, io non mi sono mai dimenticato di lui, no! Infatti ho tolto Clara da quella sedia a rotelle solo per poter tornare dal mio nonnino tra le caprette!»
I presenti lo guardando con una lievissima punta di fastidio. Che fosse completamente fuori di testa lo avevano appurato già da un po', ma non pensavano proprio che potesse scambiare la propria vita per quella di un cartone animato.
«Týr, quello non sei tu, quella è Heidi!» lo riprende dopo un momento di smarrimento Ace, massaggiandosi le tempi e sbuffando sonoramente. La situazione per lui, così come per gli altri, si è fatta ancora più assurda di quanto già non fosse, e adesso la testa rischia veramente di esplodergli.
Týr lo guarda con sguardo perso per qualche secondo, rimuginando sulle sue parole e arrivando, seppur con qualche secondo di ritardo, alla conclusione che sì, quella proprio non è la sua storia. Lui neanche ce l'aveva un nonno!
«Oh... e allora qual è la mia storia?» domanda ingenuamente, reclinando la testa di lato e incrociando le braccia al petto, cominciando a rimuginare attentamente sul proprio passato, mentre il video continua a mostrare le “avventure” della decisamente non morta Akemi...

La lumacamera, che da qualche minuto giaceva a terra ad inquadrare il muro, viene raccolta con mano incerta e l'obbiettivo viene puntato contro la faccia di una più che strafatta ed entusiasta Freya. Gli occhi chiari sono ridotti a due fessure, i capelli cotonati sono totalmente sfatti e disordinati, e dal mento in giù è ricoperta di sangue, così come tutti gli altri.
Una serata all'insegna della caccia e del divertimento più sfrenati, dove hanno oltrepassato buona parte dei limiti che da sempre sono loro imposti. Ma non importa a nessuno di loro: hanno tutta l'eternità per farsi perdonare, in fondo.
«Adesso ci facciamo due risate!» afferma con voce squillante, ammiccando a solo lei sa chi, puntando poi la piccola lumacamera contro una porta. Sghignazza divertita, contando sottovoce fino a tre, per poi spalancare di colpo la porta, cogliendo Freki e Akemi intenti a fare sesso appoggiati contro la parete.
«Non ti è bastato prima, Lilith?» la prende in giro la licantropa, avvicinandosi di qualche passo alla coppia colta in fragrante che continua imperterrita ad ansimare e gemere senza pudore «Sei proprio una ninfomane, cucciolotta!»
Freki volta un poco la testa, abbandonando a malincuore il collo pallido della compagna, e le snuda minacciosamente le zanne «Fuori dalle palle, br-»
Non fa in tempo a finire la frase che le mani di Akemi sono ai lati del suo viso e lo tirano a sé, per poter catturare le sue labbra in un bacio passionale e furioso, di quelli che ti fanno girare la testa.
Freya sghignazza per nascondere la propria indignazione e poi, con fare sbrigativo, esce dalla stanza, lasciando i due al loro amplesso. Nel suo cuore dannato c'è un turbinio di odio e di invidia nei confronti della mocciosetta che si è accaparrata uno dei licantropi più ambiti in circolazione in poco tempo, mentre lei ci lavorava da secoli senza alcun risultato.
Si dirige con passo svelto e pesante fin sul ponte dell'imbarcazione, sporgendosi leggermente per dare un'occhiata al suo mostro marino che li sta trainando. In fondo loro sono i mezzi di locomozione più veloci, e controllare che non abbiano alcun problema è il minimo che possono fare per ringraziarli. Non che a quelle bestie importi o meno, dal momento che vivono in funzione del loro padrone come dei fedeli cagnolini, ma ai proprietari stanno troppo a cuore per poterli ignorare.
Lo starnazzare di Munnin, però, distoglie Freya dai suoi pensieri. Ormai è arrivato il momento di separarsi dal prezioso video che ha girato, così ordina al fedele -e abbastanza succube- compagno di portarle il pacco precedentemente preparato, per poi rivolgersi alla lumacamera, con un sorriso sfavillante in volto.
«Il nostro Signore non apprezzerà ciò che io ho voluto mostrarvi, ma sono certa che a voi farà piacere sapere che la vostra creaturina è ancora in vita...» perché Freya aveva scoperto, tramite il sangue di uno dei corvi che aveva segretamente ingerito, che circolava questa falsa notizia, e niente l'ha mai resa più felice che portare scompiglio e dolore nella vita degli altri. E quale modo migliore se non far sapere loro che la loro adorata compagna è ancora viva ma che non hanno alcun mezzo per raggiungerla?
«Voglio ringraziarvi di cuore, oh nobili pirati, per i vostri egregi servizi svolti per la nostra cara principessa, e ancor di più per la protezione che le avete fornito. Spero che abbiate trovato questo video divertente come per noi lo è stato girarlo.» il suo sorriso maledettamente falso, ma al contempo bello e dolce, non l'abbandona neanche per un istante, così come accade al fedele compagno alle sue spalle «Auf Wiedersehen!»


Nessuno osa dire niente. Vedere l'espressione a dir poco furiosa di Týr è bastata loro per mettere a tacere qualsiasi commento o insulto. Perché è vero, sono pienamente consapevoli dei suoi improvvisi attacchi di rabbia causati da un niente di fatto, ma mai in tutto quel tempo gli hanno visto un'espressione simile. Pare quasi che la testa stia per esplodere da un momento all'altro da quanto si sta trattenendo, al punto da farlo tremare come in preda alle convulsioni.
Poi, il silenzio viene bruscamente interrotto dalla sua poco soave voce.
«Quel cane bastardo si sta scopando mia figlia?!» urla infatti il vampiro, scattando in piedi come una molla e snudando istintivamente le zanne. Non ha mai avuto una grandissima considerazione del mannaro, malgrado tutte le raccomandazioni del fratello, e vederlo mentre si sbatte allegramente sua figlia lo manda oltremodo fuori di testa.
Fra miliardi di persone ha scelto lui... guarda un po' la fretta che cazzate fa fare!
Marco, dietro di lui, sente che la voragine che prima gli si era aperta sotto ai piedi adesso si sta restringendo attorno a lui, soffocandolo e spezzandogli tutte le ossa, schiacciandogli il cuore infranto.
Era convinto che non ci potesse essere niente di peggio dell'avere il padre della propria ex-ragazza morta tra i piedi, ma si sbagliava: vedere la propria ex-ragazza tutt'altro che morta che fa sesso con un uomo che ha provato ad ucciderti è decisamente peggio.
E non credeva neanche che si potesse provare un dolore superiore a quando senti il tuo corpo morire, come gli è successo quando è stato avvelenato dagli artigli di Akemi ed è entrato in coma. Ma questo dolore, così lancinante e vero, è decisamente superiore.
«Marco...?»
Non riesce neanche a sentire la voce di Pugno di Fuoco, e neanche la sua mano che lo afferra piano per una spalla e lo scuote.
Non sente niente, solo un indescrivibile dolore al petto.
Tutto è ovattato intorno a lui, si fa leggero e ultraterreno, come se fosse stato spedito in una dimensione parallela, fatta solo di gelo e sofferenza.
«Fenice?»
La voce di Týr però la sente. La sente eccome e, non appena incrocia i suoi maledetti occhi di ghiaccio, la rabbia nel suo cuore prende totalmente il sopravvento sulla ragione, mandando in frantumi la sua maschera di apatia.
Ribalta con violenza il tavolo vicino a lui, prova a lanciare la panca contro il vampiro, che senza sforzo evita l'oggetto, e poi se ne va, deciso a ritirarsi in solitudine nella propria cabina e lì rimanere finché quella voragine di gelo e sofferenza non deciderà di lasciarlo in pace, finché quella maledetta immagine lo abbandonerà.
Sa bene, però, che potrebbero passare mesi prima che ciò accada. Perché un conto è mettersi l'anima in pace dopo un lutto, per quanto questo evento possa essere doloroso, mentre un conto è mettersi l'anima in pace dopo una scoperta del genere.
Cerca disperatamente la fotografia che ancora conservava, quella a cui tanto teneva, e non appena riesce a trovarla sotto i suoi vestiti e le sigarette, le dà fuoco senza neanche ragionarci. Non riesce a guardare quel sorriso senza pensare che adesso lo sta rivolgendo a qualcun altro, che quegli occhi grandi e curiosi adesso ammirano un altro uomo, che quel corpo che tanto bramava adesso viene toccato dalle sporche mani di quel bastardo.
Ha voglia di spaccare tutto quello che lo circonda, anche a rischio di far affondare la nave, e contemporaneamente vorrebbe dissolversi nell’universo tipo vapore acqueo.
Davanti agli occhi scorrono le immagini di Akemi mentre gli diceva di amarlo, dei loro momenti felici, dei loro baci e delle loro sciocchezze, e contemporaneamente altre in cui scopa con un'altra persona, tipo filmato scovato su un sito porno. E fa male, più di quanto potesse immaginare. È uno di quei dolori che neanche pensi che possano esistere, di quelli che ti destabilizzano totalmente... e la presenza di Týr non fa altro che peggiorare la situazione.
«Mi dispiace.» non c'è scherno nella sua voce, neanche una punta. Ma questo non è sufficiente per Marco, neanche un po'. Perché lui sapeva benissimo che fosse viva e avrebbe dovuto dirglielo. Avrebbe dovuto dirlo quanto meno a lui, fargli sapere che la donna di cui è follemente innamorato e che neanche per un momento è uscita dalla sua testa è viva ed è protetta da gente che conosce. Avrebbe dovuto dirgli come poter tornare da lei, come fare per stringerla di nuovo tra le sue braccia e dirle che gli era mancata da morire e che non le dava alcuna colpa per quanto successo.
Ma Marco non ha intenzione di dirgli niente di tutto questo. Preferisce nascondersi dietro una bugia che non si regge in piedi a causa dell'evidente dolore che prova, così vivo che si potrebbe toccare con mano.
«Non m'importa più un cazzo di lei, hai capito?!» urla furioso, mentre delle fiamme blu cominciano a ricoprire velocemente il suo corpo scosso dalla rabbia che lo sta divorando.
Týr, tutt'altro che nuovo a scoppi di rabbia da parte di chi gli sta vicino (basti pensare che ha allevato un soggetto profondamente instabile come Kakashi e che per più di seimila anni è sempre stato accanto ad Astrid anche nei momenti peggiori), non si fa prendere dallo sconforto e non demorde, deciso ad allontanare in un modo o nell'altro l'adorata figlia da quel lupo che tanto ha a schifo.
«Primo: non puoi dire che non t'importa più un cazzo di una persona se tra la folla la cerchi sempre, se ogni canzone parla di lei, se ti manca il suo sorriso, la sua voce, il suo modo di camminare, i suoi occhi, i suoi capelli, la sua bocca. Non puoi dirlo, porca troia!» urla a sua volta senza una particolare ragione, riprendendo le stesse parole che aveva sentito dire da suo fratello. Perché Týr non è un grande esperto in relazioni sentimentali; ha avuto una lista infinita di donne nella sua vita, sia da umano che da immortale, ma mai nessuna ha significato davvero qualcosa, nessuna lo ha portato a logorarsi l'anima, e quindi deve basarsi solo su quello che ha visto vivere agli altri nell'arco dei secoli passati insieme. L'esempio più chiaro, per lui, sarà sempre suo fratello con tutti i suoi casini.
«Secondo poi, io non ti ho mai chiesto se t'importa qualcosa di lei o meno, ti ho detto solo che mi dispiace. Non che lo pensi al cento per cento, sia chiaro, però un po' me ne dispiace.»
Marco si ammutolisce, concentrandosi solo ed esclusivamente sulla respirazione per calmarsi. Perché per quanto stia di merda, per quanto voglia distruggere ogni cosa, rimane pur sempre il Primo Comandante e non può lasciarsi andare ulteriormente a sceneggiate del genere.
Sorprendentemente, poi, quando sente la mano fredda del vampiro poggiarsi sulla sua spalla, si sente improvvisamente più calmo. Non sa spiegarsi perché, è convinto che non ci sia neanche una spiegazione razionale, ma è così: si sta tranquillizzando grazie al tocco di quello psicopatico.
Forse se sapesse che sta usando i suoi poteri psichici per calmarlo non si lascerebbe mai più toccare neanche se in ballo ci fosse la vita di uno dei suoi compagni, ma tanto non lo scoprirà mai. Nessuno ha mai beccato Týr con le mani nel sacco e nessuno lo scoprirà mai, men che meno un uomo tanto emotivamente turbato.
«Anche se pure per me è difficile da ammettere e ancora di più da comprendere, preferisco vederla al tuo fianco che con quel cane borioso.» afferma con più calma il vampiro, lasciandolo finalmente andare e dandogli il tempo di registrare quelle parole che nessun altro al mondo dovrà sapere.
«Peccato che abbia scelto il cane borioso...» mormora in risposta Marco, vergognandosi terribilmente di sé stesso. Lui, Marco la Fenice, il Primo Comandante delle flotte di Barbabianca, il braccio destro dell'uomo più forte del mondo, che si piega a tali sentimentalismi. La cosa ha del paradossale.
Týr, senza darlo a vedere, si esalta interiormente, ormai sicuro di avere anche quella piccola vittoria in pugno. Sa che non sarà esattamente una passeggiata far piegare l'orgoglio della figlia, considerato il fatto che è caratterialmente molto simile a lui, ma è convinto di poterci riuscire se giocherà le carte giuste. A dirla tutta, poi, sa già quale carta usare.
«Se ti dispiace, porca puttana, combatti per riprendertela!» afferma sicuro di sé, afferrando Marco per una spalla e scuotendolo con forza.
«Come, eh?! Pensi che potrei riprendermela senza neanche sapere dove si trova?!»
Týr sbuffa sonoramente, scocciato dal fatto che deve ripetere anche a lui le stesse cose che pochi minuti prima ha detto a Barbabianca e al resto della ciurma per evitare di essere picchiato. Certo, un pugno da Fossa se l'è preso e una delle sue vampire è stata sbattuta come un tappeto contro un tavolo, ma dal momento che è riuscito a rubargli un sigaro può anche passarci sopra.
«Pensi veramente che un tipo come mio fratello, che ha la nitroglicerina al posto del sangue, non verrà personalmente a controllare che Peter non vi abbia già rintracciati?» gli sorride con aria arrogante come al solito, ma è costretto a tornar serio di fronte allo sguardo incerto del pirata «Un gesto come il loro... una follia come quella che hanno fatto, agendo in maniera così avventata, sarà presto sulla bocca di tutti gli immortali che ci sono in circolazione e di conseguenza arriverà alle orecchie di Peter, sempre ammesso che non gli sia già arrivata, e ovviamente vorrà riprovare a portarla allo scoperto per farla fuori.»
Annuisce appena Marco, passandosi entrambe le mani sul viso stravolto «E noi siamo l'esca perfetta.»
«Fenrir verrà qui, questo è poco ma sicuro. E sarà proprio in quel momento che lo convincerò a portarvi sull'isola, anziché farvi rimpiattare da qualche parte sotto la stretta sorveglianza dei suoi fedeli.»
I due rimangono in silenzio per qualche secondo, ma nel momento esatto in cui Týr fa per uscire dalla cabina, il Comandante lo richiama con un filo di voce «Potrai anche portarci da lei, ma questo non significa necessariamente che ci sarà una ricongiunzione tra noi due.»
Il vampiro si volta a guardarlo, serio in volto come forse non lo è mai stato, e nuovamente lo avvicina, sedendosi al suo fianco «So che sei ferito, lo capisco perfettamente, ma se lei è arrivata a cercarsi un... passatempo, ecco, è solo perché vi hanno tenuti sotto controllo attraverso i corvi e ha saputo cosa hai fatto a Foodvalten.» Marco si lascia sfuggire una sonora bestemmia, facendo ridacchiare l'immortale che, imperterrito, continua a parlare «Sono anche abbastanza sicuro che ci sia lo zampino di Freya... nel caso, ti coprirò quando e se riuscirai a farla fuori.»
Per quanto sembri strano pure a Marco, si lascia sfuggire una lieve risata e non può fare a meno di guardare Týr con una certa riconoscenza negli occhi. Non credeva che l'avrebbe mai guardato così, che avrebbe provato ammirazione nei suoi confronti, soprattutto in una situazione come quella, in cui il suo cuore è andato in mille pezzi.
«Credevo che tu mi odiassi.» afferma sorridendogli appena, rimanendo di sasso per la sua risposta.
«Io non ti odio affatto.»
«No?»
«No. Anche se ho pensato ad almeno venti sistemi per decapitarti.» sorride a sua volta, Týr, alzandosi di nuovo e dirigendosi con calma verso la porta, deciso ad andare finalmente dai suoi cani, digiuni da quasi un giorno.
«Posso sapere qual è il migliore?» gli domanda Marco, alzandosi a sua volta per dirigersi di nuovo dai suoi compagni.
«Tronchesi arrugginite.» risponde secco Týr senza neanche pensarci, facendo ridacchiare appena il pirata che adesso gli sta senza timore alcuno al fianco, pure privo di qualsiasi sentimento negativo nei suoi confronti.
«Sicuro? Sarebbe una faccenda un po' lunga.»
«Esattamente.» gli sorride come un bambino dispettoso, scompigliandogli i capelli ed incamminandosi con passo lento e strascicato verso la stiva «Le cose si sistemeranno. Fidati di uno che ha più di settemila anni di esperienza alle spalle.»
«Se lo dici tu.» pure Marco s'incammina, non senza voltarsi di nuovo verso il vampiro che lo richiama a bassa voce.
«Tu per lei eri la persona più importante di tutte.» mormora con un filo di voce, provando un forte senso di invidia nei confronti dell'uomo «Tienilo bene a mente.»
Avvolto nell'oscurità del lungo corridoio che sta percorrendo, non riesce, malgrado gli sforzi, a tenere lontani i ricordi del breve periodo vissuto a contatto reale con la sua adorata bambina, della quale non riesce proprio a non essere geloso.
Ricordo quando ti vidi per la prima volta tra le braccia di Killian. Tu piangevi e agitavi le tue minuscole manine verso l'alto in cerca, presumo, della tua mamma. Quando poi ti hanno messa tra le mie braccia il mio cuore mi diede uno scossone, lo sentii traboccare di un amore infinito verso te, una piccola creatura indifesa ma che già sentivo tenacemente attaccata alla vita. Ricordo perfettamente il nostro primo abbraccio: tu mi guardasti, smettesti di piangere e i tuoi occhi si fusero con i miei, forgiando un legame in me con il loro dolce gelo. Ricordo i miei sorrisi quando tu ridevi con la tua bocca piccola e sdentata e allora le paure sembravano lontane.
Forse non corrispondiamo all'idea convenzionale di padre e figlia; forse un rapporto come il nostro poteva avvenire soltanto tra di noi, ma va bene così, mio piccolo demone. Perché, figlia mia, mio dolce Angelo della Morte, sei il mio Amore.

I suoi adorati cani, Bucefalo, Centurione e Frigga, gli corrono subito incontro non appena lo vedono entrare, e lui non può far altro che abbassarsi al loro livello e accarezzare la loro pelle squarciata in più punti. Per loro fortuna -e anche sua, a dirla tutta- il sangue che ha colato sulle loro ferite sta facendo in modo che il processo di decomposizione si sia praticamente arrestato, e quindi le loro vite da non-morti si stanno notevolmente allungando. Come spesso è accaduto con altri cani zombie, poi, il suo prezioso sangue ha fatto anche in modo che una minima parte della loro coscienza tornasse in vita, così da renderli, seppur vagamente, dei veri cani da compagnia.
«Ciao Teach.» saluta con falsa gentilezza, carezzando amorevolmente la testa di uno dei tre animali. Quando il pirata incatenato gli urla contro di andare al diavolo, le tre bestie si rigirano fulminee contro di lui, snudando le zanne e minacciandolo silenziosamente di ucciderlo sul posto.
«Come te la passi?» il tono falso di Týr è come uno schiaffo per Barbanera, impossibilitato a reagire a causa delle catene e dei tre mostri che minacciosamente continuano a puntarlo famelici.
«Crepa bastardo.» come sempre ormai si limita ad insultarlo e a guardarlo in cagnesco, con l'amara consapevolezza che se solo volesse potrebbe ucciderlo e nessuno muoverebbe un dito per impedirlo.
Talvolta qualcuno dei suoi ormai ex-compagni si è preso la briga di andarlo a trovare, insultandolo pesantemente e talvolta colpendolo con violenza. E Týr era sempre lì quando ciò accadeva, e se la rideva di gusto.
«Ti converrebbe almeno provare ad addolcirmi anziché offendermi, dal momento che faccio parte del Consiglio e che la mia voce ha molto più potere di molte altre.» afferma quasi sovrappensiero l'antico vampiro, frugando dentro una delle sue casse alla disperata ricerca di un abito adatto al futuro incontro col fratello. Nella sua mente, infatti, non è ammissibile che un evento del genere sia vissuto indossando dei logori abiti che gli lasciano braccia e parte del petto scoperti. Non sarebbe decoroso.
«Cosa?» domanda incerto il pirata, seguendolo con lo sguardo mentre esamina i propri abiti con attenzione. L'idea di essere ignorato gli dà in parte fastidio, ma è consapevole che forse è meglio così. Un pazzo del genere è bene che ti ignori, sennò la situazione rischia di degenerare, e questo Teach lo sa bene.
Týr, con una calma disarmante, mette da parte i propri abiti e si affretta a nutrire i propri cani, mettendo vicino al pirata le loro ciotole piene di sangue e carne umana. In una Teach riconosce senza sforzo la mano di un infante, cosa che gli fa salire un conato di vomito che a stento trattiene.
«Tra non molto, mio simpatico e lardoso traditore, tu verrai giudicato...» Týr è divertito da quell'idea. Non vede l'ora di ritrovarsi riunito con gli altri membri del Consiglio, tutti suoi amici e parenti, e di insidiare nelle loro orecchie le sue personali idee su come far scontare la pena dell'uomo.
Passa una mano sul volto sporco e sudato del pirata, sorridendogli con finta aria gentile e rassicurante, pregustando già la sua espressione quando verrà gettato nelle celle del castello e verrà tenuto sotto tiro dai giovani lupi che tanto smaniano per farsi notare dall'Imperatore.
«...e la tua vita, amico mio... sarà nelle mie mani.»

 

Angolo dell'autrice:
In ritardo come al solito, eccomi qui! :D Non sono stati giorni particolarmente lieti, quindi ho avuto un forte rallentamento nella stesura e non sono neanche convinta del risultato. Proprio per niente! >.< Sorry!
La nota positiva però è che ho passato tutto il giorno a Lucca insieme a Yellow Canadair *w* ♥ SEI L'AMMMMMORE!

Finalmente stanno per ritrovarsi! :D Nel prossimo Akemi non apparirà -se non in una particina piccola piccola-, perché il capitolo sarà totalmente incentrato sulla ciurma e sui due Sovrani che si incontrano (con tanto di principini e “babysitter” al seguito)! Sono quasi del tutto certa che farò capitolare molto velocemente Mimì, in modo da dare almeno a Satch un po' di meritata pace interiore. Durerà poco, poveraccio, però almeno un po' devo farlo star bene!
Ora... avete capito chi ha inventato Halloween? No? Beh, chi altri poteva essere se non... Wulfric! :D Se non era fuori di melone, improbabilmente bastardo e sadico, come poteva essere il migliore amico di Týr? ;)
Nella parte in cui sono a ballare, come avrete notato, Akemi è vestita in maniera differente. E c'è un perché! Per capirlo, però, dovrei pubblicare il missing moment allegato, ma essendo l'ennesimo raiting rosso non sono convintissima di farlo... se lo volete ditemelo e lo pubblico immediatamente, sennò ve lo dirò io o nelle risposte alle recensioni o, se preferite, per posta :)
Marco... oddio povero Marco! Mi sorprende che non sia già venuto sotto casa mia per massacrarmi di botte! O.O Puoi stare tranquillo, Marchino... presto anche per te le cose andranno bene (più o meno)! :D
Bah, non ho altro da dire oggi :/ Sono sempre un po' in crisi!

Ringrazio di cuore Lucyvanplet93, Aliaaara, Chie_Haruka, Yellow Canadair, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, mariasole, Keyea Hanako D Hono, ankoku e KuRaMa KIUUBY per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo
Siete dei tesori ♥

A presto, un bacione
Kiki~


PS: Dal momento che non avevo niente da fare, ho creato con Polyvore (ebbene sì, mi diverto ad usare quel programma e a sbavare su dei vestiti che non potrò mai avere) il costume di Halloween (in vero stile zoccola) di Akemi. Eccolo a voi: http://it.tinypic.com/r/24ne594/8



 

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Il rientro a casa per Akemi e i suoi compagni non è stato decisamente dei migliori. Infatti, ad aspettarli, c'era nientepopodimeno che l'Imperatore in persona, con un'aria così incazzata che tutti loro si sono sentiti male solo nel vederlo.
All'inizio erano convinti che fosse in quello stato solo perché i suoi adorati cucciolotti avessero subito una crescita ancor più repentina nell'arco di una notte, cosa che in realtà li preoccupa tutti quanti, ma hanno capito che doveva trattarsi di qualcosa di molto più grande nel momento in cui ha cominciato a scaricare su di loro diverse sparachiodi. A quel punto si sono resi definitivamente conto di essere nella merda fino al collo.
Solo quando sono stati condotti nella parte più profonda e nascosta del castello hanno scoperto il perché di tutta quella rabbia: oltre al fatto che hanno agito come degli sconsiderati, Freya ha inviato, tramite Munnin, il video che aveva girato, atto considerato illegale. Inutile dire che è stata insultata e minacciata fino allo sfinimento.
Adesso si trovano in bilico sopra ad un palo dalla punta arrotondata e lubrificata, in modo da essere molto scivolosa, con un piatto di bronzo in equilibrio sulle loro spalle, sopra la quale è stata depositata una spessa catena d'argento.
Se non iniettato direttamente nell'organismo di un immortale, l'argento ha quasi lo stesso effetto che l'algamatolite ha sui possessori di un Frutto del Diavolo, cosa che impedisce loro di liberarsi.
Akemi, Ginevra, Ed, Freki, Killian, Freya e Genma se ne stanno in piedi in perfetto equilibrio, i primi tre annoiati a morte e gli altri quattro sul punto di una crisi di pianto. Perché i tre giovani immortali non sanno in cosa consiste veramente la punizione a cui sono sottoposti, al contrario dei maggiori, che più di una volta l'hanno provata sulla propria pelle.
«Non sembra poi questa grande tortura...» biascica Akemi, fissando in cagnesco la Banshee che armeggia da dietro ad uno spesso vetro. Nota con un certo stupore che si sta mettendo delle spesse cuffie in testa, ma alla fine non vi bada più di molto.
«Aspetta.» la riprende con voce piatta Freki, che ancora non ha aperto gli occhi in modo da potersi concentrare con tutte le sue forze per isolarsi da quella stanza.
«Concentratevi su qualcosa di bello, ok? Dovete chiudere la mente.» afferma preoccupato Killian, cercando di voltare un poco la testa per poter guardare i tre ragazzi.
«E dovete anche concentrarvi per non cadere.» aggiunge subito dopo Genma, l'unico a non avercela con Freya. Alla fine, innamorato e stupido com'è, le passerebbe qualsiasi cosa, anche la peggiore.
«In caso contrario, la catena scivolerà dal piatto e vi si stringerà attorno al collo. Quando starete per soffocare entreranno per risistemarvi, poi ricomincerà... fino allo scadere del tempo.» continua dopo una breve pausa, scambiandosi una lunga occhiata con la compagna. Il suo volto è pieno di angoscia e paura, soprattutto perché era convintissima che non le sarebbe successo niente in quanto Lothbrook.
«Cosa ricomincia?»
Akemi fa appena in tempo a terminare la frase che un fischio acuto e penetrante le sfonda i sensibili timpani, facendola urlare come una dannata per il dolore.
Essere messo alla catena, infatti, comprende il dover ascoltare per diverse ore degli ultrasuoni con delle frequenze così alte che danneggiano -seppur momentaneamente- i timpani degli immortali, in particolar modo dei licantropi, che riescono tranquillamente a sopportare i rumori molto forti ma non questo determinato tipo di frequenza.
Il sangue comincia a colare lento e vischioso dalle orecchie di tutti loro, in preda a quella che considerano la più atroce tra le agonie.
La prima a scivolare è Ginevra, che aveva sì sentito di quanto fossero tremende le punizioni ma non le aveva mai provate, seguita poi da Akemi ed infine da Ed. Gli altri riescono a rimanere perfettamente immobili, lasciandosi andare solamente a forti guaiti e, talvolta, da profondi ululati.
Quando il trio è sul punto di perdere i sensi, le frequenze vengono interrotte e la Banshee, unica creatura in grado di sopportare tali rumori senza conseguenze, si precipita a rimetterli in posizione. Prova pietà per loro, tantissima. Vorrebbe tirarli tutti giù, dargli qualcosa di caldo da bere e mandarli a dormire, ma non vuole incorrere nell'ira di Fenrir. Da quando sono nati i principini, infatti, sull'isola si respira un'aria carica di tensione, visto che i due cuccioli stanno crescendo in maniera decisamente troppo veloce, pure per gli standard dei lupi.
Quando la donna se ne va, gli ultrasuoni ripartono e l'agonia ha di nuovo inizio.
Dovranno stare in quella maledetta stanza insonorizzata per almeno tre ore, e i tempi di ripresa varieranno da lupo a lupo, soprattutto in base all'anzianità.
C'è chi pensa alle cose belle che ha vissuto, aggrappandosi ai ricordi.
C'è chi pensa a come farla pagare a Freya per la stronzata compiuta.
C'è chi pensa alla serata trascorsa e ai massacri compiuti per la prima volta.
C'è chi pensa che dopo quelle ore d'inferno potrà buttarsi nel letto a dormire o farsi una bella nuotata in mare.
C'è chi, invece, si domanda incessantemente per quale ragione Freya abbia fatto una cosa simile, perché abbia voluto mostrare proprio a Barbabianca e alla sua ciurma cosa hanno avuto sulla loro nave per mesi.
Un solo pensiero, però, li accomuna tutti: sarà una giornata molto lunga.

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Capitolo 38
*** 38. Il vento del cambiamento ***


Piccolo avvertimento: sono passati 102 giorni da quando Akemi ha lasciato la ciurma. Il capitolo è piuttosto lungo, quindi vi consiglio di leggerlo quando avete tempo ;)
Personaggi originali che appaiono in questo capitol
o: http://it.tinypic.com/r/23tfi1t/8
Buona lettura!

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Svegliarsi molto presto ad Helheimr ha decisamente molti vantaggi: i più scalmanati sono ancora placidamente addormentati, ancora troppo devastati, e la colazione non risulta una specie di guerra in cui rischi di ritrovarti con una forchetta nel dorso della mano per una ciambella.
È solo per questo che Fenrir ogni volta si sforza di svegliarsi prima di tutti, facendo credere loro che lo fa perché è il capo e bla, bla, bla. Solo Freki e Wulfric sono a conoscenza del suo piccolo segretuccio, il primo perché è il suo Beta ed è quindi a conoscenza di qualsiasi suo segreto, mentre il secondo perché è troppo intelligente per bersi una cazzata come quella. In fondo lo sanno anche le pietre che lui non voleva assolutamente comandare!
Adesso, completamente in pace con il mondo, legge le ultime novità sul giornale portato dal suo corvo Huggin mentre beve la sua immancabile tazza di succo all'ananas. Tendendo l'orecchio sente chiaramente le lontane urla di Mimì, Jena e Silly provenienti dal porto e quelle più vicine dei suoi figli. Per un attimo si domanda come facciano quei due mostriciattoli ad essere così attivi di prima mattina, ma preferisce non farsi troppe domande su di loro: sono troppo bizzarri anche per i suoi standard, rischierebbe solo di provocarsi una forte emicrania.
«Buongiorno...» biascica masticando un biscotto con le gocce di cioccolato, senza neanche voltarsi verso la compagna appena entrata in cucina. Sapeva che a breve sarebbe arrivata incazzata come una biscia, quindi è partito subito rassegnato.
«Fenrir, dove sono i bambini?» domanda sbrigativa la donna, già perfettamente vestita e truccata. Non lo fa perché eccessivamente vanesia o cose simili, ma semplicemente perché sin da bambina le era stato insegnato a mostrarsi sempre al meglio. Le abitudine, specie per un immortale, sono difficili da abbandonare.
«E io come faccio a saperlo?» domanda a sua volta Fenrir, continuando imperterrito a mangiare con i gomiti appoggiati sul ripiano della cucina. Ora, in aggiunta alle urla, sente pure delle risate simili allo sbraitare delle scimmie, e la cosa non gli piace: si sveglieranno tutti così!
«Ti ho detto di prepararli!» strilla inviperita Astrid, strappandogli il giornale di mano e allontanando i biscotti dalla sua portata per essere guardata. E Fenrir la guarda, eccome se la guarda: è furiosa, ha fretta e si sta alterando ancora di più perché lui non riesce a smettere di sorridere.
«Sbagliato. Tu mi hai detto di svegliarli, cosa che io ho fatto; non hai mai detto di farli preparare.» controbatte prontamente Fenrir, sorridendole con quell'aria da bambino innocente che da sempre la fa vacillare. Perché per quanto sia scontrosa, potente e testarda, Astrid rimane comunque una donna, e nessuna donna sulla terra può rimanere indifferente al fascino esercitato da quell'uomo maledetto. Soprattutto se sta sorridendo in quel modo!
Volta di scatto la testa per sottrarsi al suo sguardo, al suo sorriso incantatore, difendendosi con la sua solita disposizione astiosa, in cui finge di avere un cuore grande come un seme di cumino. «Sei una testa di cazzo irrecuperabile.» sibila tra i denti, afferrando una tazza a caso e versandosi una generosa dose di caffè. In realtà, considerata la giornata che dovrà affrontare, avrebbe decisamente più bisogno di un secchio di camomilla, magari corretta con una fiala di tranquillante per cavalli.
«Tu finisci di preparargli la merenda, io vado a cercarli.» afferma ridacchiando il maggiore, avvolgendole delicatamente le braccia forti attorno alla vita e baciandole dolcemente la nuca.
Dopo averla lasciata andare e aver preso un altro di quegli squisiti biscotti in cui si farebbe anche il bagno, Astrid si rigira fulminea e lo afferra per un braccio.
«Aspetta.» ordina secca, lasciandosi andare ad un sorriso quando il marito la guarda con aria sorpresa, il grosso biscotto che spunta dalle labbra sottili. Gli si avvicina piano, avvolgendogli l'esile ma forte braccio attorno al collo e avvicinandolo quel tanto che basta per poter raggiungere le sue labbra, dove deposita un bacio vaporoso. Con al punta dei denti morde la parte sporgente del biscotto, strappandogli così un sorriso infantile e dolce.
Sono felici insieme. Strani, sempre pronti a scannarsi per un niente di fatto, ma felici. Felici ed incredibilmente innamorati.
«Sbrigatevi.» ordina con tono più dolce la Regina, mettendo mano ai vari panini che il marito stava preparando.
Fenrir non è totalmente convinto che sia una buona idea lasciarla da sola in cucina, considerata la sua totale incapacità nel settore culinario, ma dal momento che i panini sono già stati farciti e l'unica cosa che deve fare è chiuderli e avvolgerli nella stagnola, è convinto di poter andare tranquillo senza che i figli incorrano in una devastante indigestione, cosa che a lui è successa più volte per colpa sua.
Cammina con passo calmo verso l'unica stanza in cui è sicuro di trovare i suoi vivaci cuccioli, ma ci mette decisamente più del previsto dal momento che tutti quelli che incontra sul suo breve tragitto hanno qualche lamentela da esporgli. Ovviamente tutte le lamentele riguardano i due dispettosi principini, decisamente troppo svegli e agili per la loro età e troppo furbi per non trovare un modo per liberarsi dalle svariate punizioni che i genitori gli danno.
Si scusa con tutti loro, sinceramente, e li rassicura che per un paio di giorni potranno stare tranquilli perché li porterà fuori dall'isola per una battuta di caccia. Nessuno certo sospetta che non sia una battuta di caccia come le altre, ma bensì una “caccia pulita”, come la definiscono alcuni, cioè una semplice ricerca. Che poi semplice non è, dal momento che i due Sovrani hanno deciso di partire alla ricerca di Barbabianca per fargli incontrare di nuovo Akemi, adesso fisicamente e psicologicamente pronta ad affrontare un tale evento.
Bussa piano alla grande porta della camera da letto della nipote, ricevendo in risposta solamente il rumore sordo di oggetti che cadono per terra. La cosa non lo sorprende più di tanto in realtà, visto che quella ragazza il più delle volte ha la grazia di un elefante ubriaco.
Apre piano la porta e sporge, con una certa incertezza, solo la testa all'interno della camera, trovandola totalmente immersa nel caos più assoluto.
«Lilith?»
La ragazza esce dal proprio bagno con un sorriso smagliante e gli corre allegramente in contro, saltandogli poi addosso e dandogli un sonoro bacio sulla guancia.
«Buongiorno zio!» urla vicino al suo orecchio come di consuetudine, facendolo sorridere.
Ormai è abituato Fenrir a questi suoi atteggiamenti dolci ed espansivi, e la cosa non gli dispiace proprio per niente. Per lui Akemi è come la figlia che non ha mai avuto, la sua piccola cucciola da viziare e coccolare in continuazione, un po' come faceva con Týr.
Quando finalmente lo libera dalla sua salda presa per dirigersi verso il letto, sopra la quale sono abbandonati i pantaloni della tuta, Fenrir non può proprio astenersi dal commentare un piccolo dettaglio, proprio come farebbe un qualsiasi padre.
«Il culo ha fatto colazione con le mutande?»
«Gliel'ho detto anche io!» afferma ridendo Freki mentre esce dal bagno. Appesi alle sue braccia, i due gemelli se la ridono di gusto, fieri di essere ancora in mutande.
Fenrir osserva con un certo sgomento i due piccoli folli che adesso gli corrono incontro sorridendogli allegri, notando come si sono conciati: matita sciolta sotto gli occhi e le labbra inferiori dipinte di nero. Certo, finché si trattava della matita poteva anche starci, ma anche il rossetto no!
«Mi avete già deviato i figli?» borbotta incerto, osservandoli di traverso.
Sono fatti con lo stampino!” ogni volta che li guarda non riesce a fare a meno di pensarlo: capelli della stessa tonalità scura di castano, stessi vivaci occhioni cobalto, stesso modo di muoversi, stesso tono di voce. Pure l'odore è indecentemente simile!
«Sono figo, vero babbo?» strilla contento Floki, distinguibile da Bjorn solo perché è decisamente più vanitoso. Un altro modo per distinguerli, in realtà, è vedere quale dei due cerca più coccole: quello è senza ombra di dubbio Bjorn!
«Uno splendore!» lo sfotte prontamente il padre, afferrandolo per la vita e caricandoselo in spalla come se fosse un sacco di patate, facendolo ridere a pieni polmoni. Più li scotenni, li agiti e li accartocci, più è sicuro che questi rideranno e ne chiederanno di più, fino al momento in cui non saranno completamente esausti e cadranno addormentati in qualsiasi luogo si trovino.
Bjorn, nascosto dietro le gambe dell'adorata sorella maggiore, viene saldamente afferrato da Freki e trasportato, non senza opporre una violenta resistenza, nella propria stanza, dove si era già diretto il padre.
Akemi rimane così sola nella propria stanza, e neanche per un secondo riesce a smettere di sorridere. Da quando quei due piccoli diavoli sono venuti al mondo, proprio non riesce a smettere di essere felice. C'è un rapporto speciale tra loro, un amore incondizionato, una sintonia mai provata con nessun altro al mondo.
La porta cigola leggermente e la giovane immortale sobbalza appena, ritrovandosi poi con un sorriso che le va da un orecchio all'altro alla vista del suo piccolo grifone, Filippo.
Il piccino è stato, sin dalla nascita, picchiato e scacciato dagli altri cuccioli poiché troppo gracile e a lei ha fatto incredibilmente pena, tanto da arrivare a supplicare il capo dei grifoni a darglielo in adozione. Quando la leggendaria creatura le aveva spiegato che è normale tra quelli della loro razza sbarazzarsi dei cuccioli troppo deboli, è intervenuta Astrid: zanne snudate, occhi color rubino e peluria nera sparsa sul corpo, indice che se non avesse accettato la richiesta della figlia sarebbe finita decisamente male. Da quel preciso istante, Filippo è diventato il suo cucciolo.
«Vieni dalla mamma!» urla contenta, inginocchiandosi a terra e stringendolo dolcemente al seno quando quello, zampettando incerto, le è trottato tra le braccia.
«Noi due siamo diversi, Filippo. Siamo diversi dagli altri e per questo scherniti. Ma non devi preoccuparti, piccolino, nessuno ti farà più del male: sei un Lothbrook adesso!»

Svegliarsi ad Helheimr e apprendere che Fenrir Lothbrook, l'amato e rispettato Imperatore millenario, l'immortale più forte di tutti, se ne era andato assieme alla moglie, i principini, Mimì, Silly e Jena, è stato un colpo per tutti.
Da quando si trovano sull'isola, Fenrir si è allontanato solo una volta, ed è successo quando Týr è morto. Non c'è quindi da dire che l'idea che fosse andato in guerra o simili li abbia terrorizzati tutti quanti. Persino gli zombi sembravano caduti in uno stato di agitazione!
Quando però Wulfric e Freki, coloro che detengono il potere in sua assenza, hanno spiegato a tutti che aveva semplicemente deciso di portare i figli a caccia, non senza una piccola scorta per la loro sicurezza, si sono calmati. Anche se i gemelli ancora non hanno affrontato la muta, sono decisamente molto sviluppati per la loro età e quindi non sorprende l'idea che voglia insegnare loro a cavarsela già da adesso. In fondo, malgrado abbiano poche settimane, sembrano già due bambini di dieci anni o poco più, perfettamente in grado di sferrare pugni letali o di soffocarti con la sola forza della mascella, con una forte attrazione per il sangue e la carne ancora attaccata alle ossa della vittima.
I due generali, unici a conoscenza delle vere intenzioni dei Sovrani, sono intenti a nutrire i vari corvi, ognuno assorto nei propri pensieri. Il lupo si domanda come la prenderà Akemi quando li vedrà arrivare, mentre il vampiro si domanda come reagiranno i pirati quando si vedranno arrivare contro una nave trainata da un mostro marino centenario, con a bordo quelli che sono tra i peggiori immortali esistenti.
Spero solo che il vecchio Newgate non osi troppo con Fenrir... dopo neanche l'ipnosi aiuterebbe quella povera ragazza!


È un pomeriggio come tanti altri sulla Moby Dick. Tutti svolgono i propri compiti parlando e scherzando con chi gli sta vicino, le battutine sulla vita sessuale di Izo e Halta si sprecano, le vampire fanno le gatte morte con chiunque capiti loro a tiro e Týr ozia con un drink alla frutta in mano. La situazione tra lui e la ciurma si è appianata, tanto che Ace è tornato a girargli intorno senza problemi e gli altri non provano più a lanciargli contro oggetti contundenti.
Barbabianca, ripresosi dal forte stordimento provocato dal sangue del vampiro, non stacca neanche per un istante gli occhi dall'orizzonte, impaziente di veder spuntare, come promesso da Týr, la nave del Sovrano immortale.
Non credeva che ci fosse qualcosa al mondo che potesse accendere così la sua curiosità, che potesse farlo fantasticare come un bambino, invece c'è; l'idea di essere prossimo a visitare un'isola velata al mondo intero, di essere il primo ad entrare in contatto con quel mondo unico e leggendario, lo riempie di gioia, orgoglio ed impazienza.
«Tra quanto dovrebbe arrivare tuo fratello?» domanda per l'ennesima volta, usando come ormai accade sempre un tono calmo e speranzoso.
Týr volta distrattamente la testa verso l'imponente uomo, abbandonando così il libro che lui stesso suggerì al famoso autore di scrivere «Mio fratello è un uomo molto preciso e meticoloso. Non si muoverà finché non avrà organizzato ogni cosa nel dettaglio.»
«Siete molto diversi, eh?» scherza sorridendogli Ran, che più di tutti apprezza la presenza del vampiro, che le ha insegnato alcune tecniche antiche assai efficaci per curare determinate malattie.
«A dire il vero siamo simili sotto molti aspetti: siamo entrambi calcolatori, precisi, spietati, attaccati morbosamente alla famiglia. Io, semplicemente, calcolo le cose più velocemente e da sempre mi muovo meglio nell'ombra.» risponde pacatamente l'immortale, reso incredibilmente mansueto dai calmanti che le infermiere gli hanno messo nel drink.
«Cosa ci aspetta ad Helheimr?» gli domanda per l'ennesima volta Vista, piazzandosi al suo fianco con le braccia conserte. Ormai non ha più paura di lui, non pensa più che potrebbe provare ad ucciderlo da un momento all'altro, quindi non si fa più problemi a trattarlo come una comunissima persona.
Týr, che ancora non ha osato rivelare proprio niente dell'isola, lo guarda con aria scocciata, mimando poi con le dita una cerniera alla bocca. Perché è proibito parlare di Helheimr con gli esseri umani, lo sa bene, e con tutto il casino che ha fatto non vuole proprio tirarsi addosso altri problemi. Poi, in ogni caso, ormai è solo questione di giorni prima che la vedano con i loro occhi, perché mai rovinargli la sorpresa?
Tra i più impazienti, ovviamente, c'è Marco, anche se non lo dà a vedere. Continua a mostrarsi totalmente indifferente a tutta quella faccenda, ma la verità è che dentro sta morendo dalla voglia di rivederla.
Il suo rapporto con Týr, inoltre, è notevolmente migliorato: non prova più alcun istinto omicida nel suoi confronti, non lo infastidiscono più i suoi commenti acidi e, di tanto in tanto, riesce pure a parlarci civilmente.
Adesso se ne sta tranquillamente a cavalcioni sul parapetto a leggere il giornale. Sorride nell'apprendere quanto quello scapestrato del fratellino di Ace si sia fatto strada, con quanta forza e determinazione stia sgomitando per emergere e realizzare così il proprio sogno. Prova ammirazione per lui, un ragazzino coraggioso che non si arrende di fronte a niente. Prova decisamente molta meno ammirazione per Eustass Kid e per tutte le carneficine che continua a commettere. Finché uno si limita ad ammazzare Marines e degni avversari va bene, è da ammirare e talvolta temere, ma quando uno comincia ad uccidere innocenti indifesi, tra cui vecchi e bambini, allora no, l'ammirazione sparisce totalmente e subentra solo un profondo disgusto.
«Via!»
L'urlo improvviso di Týr gli fa voltare di scatto la testa, permettendogli però di vedere solamente il suo “trono” cadere rumorosamente a terra.
Non fa neanche in tempo a chiedere per quale ragione sia scappato così velocemente, cosa lo abbia spaventato tanto, che la voce di Namiur, messo di vedetta, annuncia a gran voce di aver avvistato una nave. Dopo pochi istanti, inoltre, il corvo che tanto aveva a schifo si poggia sul parapetto, proprio di fianco a lui.
«Marcolino!» lo chiama a gran voce Satch, avvicinandolo velocemente e carezzandolo sulla testolina piumata «Sei di nuovo dei nostri?»
«Si chiama Munnin.» lo informa Ace, che poi si siede accanto all'animale, afferrandolo poi con decisione con entrambe le mani per poi portarselo in grembo. «È il corvo di Týr.» aggiunge dopo qualche istante, senza mai mollare la bestia che ha preso a beccarlo sulle mani per liberarsi. Perché Munnin detesta essere afferrato; solo Týr aveva il privilegio di poterlo fare.
Dopo l'allarme dato da Namiur, si sono tutti bloccati ad osservare la nave che si avvicina a gran velocità: ha una forma lunga, stretta e slanciata, con una vela rettangolare montata su un unico albero. Riescono a scorgere sempre più nitidamente l'immagine di un drago rosso ricamato sulla vela blu scuro, inconsapevoli che nell'antico popolo da cui discendono quello era il simbolo della protezione, della forza in combattimento e dell'energia vitale di grande potenza. Non per niente i due fratelli Lothbrook lo scelsero come proprio emblema, modificandolo secondo il proprio personale gusto: una creatura enorme a due teste che raffigura i due capostipiti.
«Non abbassate la guardia neanche per un istante.» ordina con tono duro il capitano, osservando con cipiglio circospetto quella curiosa imbarcazione che si sposta ad una velocità insolita. Infatti Barbabianca ha preso in considerazione solo il vento e le correnti, inconsapevole del fatto che a trainarli c'è Ecate, il grosso mostro marino di Astrid.
Týr, che improvvisamente pare aver perso tutta la gioia per quell'incontro e anche buona parte del suo naturale coraggio, se ne sta sottocoperta con i suoi fidati cani zombie. Sa bene che Fenrir non reagirà particolarmente bene nel vederlo vivo e vegeto, e la cosa lo terrorizza.
Centurione, il cane a cui manca l'occhio destro e il cui ventre è dilaniato, lo osserva curioso, mostrando una reazione assai positiva al sangue del padrone.
«Che hai da fissare?» gli ringhia contro Týr, spostandogli delicatamente il muso dall'altra parte «Tu non hai idea di cosa sia capace.» borbotta subito dopo, alzandosi di malavoglia da terra e portando le tre bestie alle catene, in modo tale che non osino intervenire quando probabilmente scoppierà il caos.
Sul ponte, nel frattempo, le varie vampire rimangono sulla difensiva, pronte a dar battaglia. Poco importa che su quella nave ci sia il fratello del loro amato Signore: la minaccia è troppo grande.
Osservano con rabbia la nave che ormai è a pochi metri da loro e che, improvvisamente, ha rallentato notevolmente la propria avanzata, quasi fermandosi. A bordo non riescono a scorgere nessuno, fatto che sorprende non poco tutti i presenti, ma loro riescono a sentire chiaramente le frequenze cardiache dei passeggeri. A giudicare dal lieve odore che percepiscono, poi, capiscono anche che non sono proprio allegrissimi, ignare del fatto che questo malumore è causato dalle piccole pesti che per poco non sfondavano la fiancata della nave a testate.
«Chi cazzo sono queste?!»
Tutti si voltano di scatto nell'udire quella voce femminile così familiare, e si trovano così faccia a faccia con Mimì e Silly, arrivate sulla Moby di nascosto a nuoto. I pirati nel vederle si ricordano di come guardarono, senza tante cerimonie, nelle mutande di Shanks e, istintivamente, portano tutti almeno una mano sull'orlo dei pantaloni per evitare altri “incidenti” simili.
«Ehi ciao! Come va?» domanda sorridendo giocosamente Silly, mentre con le mani si strizza i capelli per toglierci un po' d'acqua e subito dopo ricompone la treccia.
Mimì, al suo fianco, storce il naso, infastidita da quello che per lei è l'insopportabile odore di cane bagnato. Non le dice niente per il semplice fatto che Fenrir si è raccomandato di - testuali parole - non fargli fare delle improponibili figure di merda.
Purtroppo per loro, però, le seguaci di Týr non sono consapevoli dell'ordine e così, considerandole giustamente una minaccia, Quattro e Uno le attaccano, sicure di potersi pavoneggiare di fronte ai pirati che le fanno tanto sospirare e poter entrare appieno nelle grazie del loro Signore.
Quello che le vampire non hanno preso in considerazione, però, è il fatto che le due avversarie sono entrambe millenarie, quindi incredibilmente più forti e addestrate.
Numero Quattro non fa neanche in tempo a sferrare un pugno contro Silly che questa le ha già conficcato le dita sotto la mandibola, facendola urlare a pieni polmoni per il dolore lancinante.
«Ma fanno sul serio?» domanda realmente confusa la lupa, poggiando la mano libera sulla fronte della vampira e tirando uno strattone deciso con l'altra, staccandole di netto la mandibola.
«Sono sorpresa pure io.» Mimì, infastidita da quel gesto poco ospitale, ha conficcato il suo pugnale con la lama d'argento nella tempia di Uno.
Nessuna delle due aveva alcuna intenzione di spargere sangue e di portare l'intera ciurma sul piede di guerra come sta accadendo, ma non possono tollerare un tale affronto. Sono pur sempre due donne con una certa reputazione, considerate imbattibili da molti, e di certo non si farebbero mai mettere sotto da delle novelline che ancora non sanno dissanguare una persona senza sbrodolarsi. Silly, in particolar modo, tende a perdere il controllo quando si sente minacciata, motivo per cui ha appena tirato fuori le zanne e gli artigli, lasciando inoltre allungare le orecchie e gonfiare la muscolatura. Un chiaro avvertimento per le sciocche convinte di poterle affrontare.
«Non dovreste mantenere un basso profilo?»
Le due immortali si pietrificano nel sentire quella voce tanto familiare, calda e strafottente. Una voce che, per quanto ne sapevano, era stata messa a tacere molti mesi addietro.
Mimì volta di scatto la testa, gli occhi pieni di lacrime scarlatte e le labbra dischiuse. Quando lo vede, poi, il suo corpo si muove da solo, lanciandosi con forza tra le braccia del suo amato padre.
«Ciao piccola...»
Mimì piange, ride e urla il suo nome. Non riesce a credere che sia vivo, che la stia stringendo tra le sue braccia e le carezzi la testa, sussurrandole dolcemente “coglionazza, mi stai mettendo in imbarazzo”.
Silly, ad occhi sgranati e col cuore che batte come impazzito, non riesce a muovere neanche un muscolo. Come l'amica proprio non riesce a credere che quello sia davvero Týr. Pure lei, col cuore a pezzi, aiutò a preparare la sua sepoltura ed era in prima fila quando la salma venne sotterrata.
«Oh, andiamo! Tu non me lo dai un po' di zucchero?»
Quel sorriso però è vero. È vero il suo odore freddo e dolce, sono veri i suoi occhi gelidi che la osservano beffardi.
«Sei stato uno stronzo.» sibila a denti stretti, guardandolo con l'aria più truce del suo repertorio. Lo detesta per quello che ha fatto ai danni di Akemi, ormai divenuta sua buona amica e fedele alleata per gli scherzi contro Freki e Geri, e anche per il dolore gratuito che ha fatto provare al suo Signore, che di certo non meritava un tale trattamento.
Ma il suo risentimento si arrende alla gioia nel rivedere quella faccia da schiaffi e, senza ripensamenti, si lancia tra le sue braccia, stringendosi a lui e lasciando che le baci delicatamente la fronte come ha fatto prima con la vampira.
«Mimì...» Satch sa che in quel momento è di troppo, che farebbe bene a starsene in silenzio e in disparte, ma proprio non riesce a trattenersi. Vederla di nuovo, averla di nuovo vicino, gli riempie il cuore di una gioia tale che non credeva possibile provare.
La vampira, sempre ben nascosta tra le braccia forti del suo creatore, alza un poco la testa per poterlo vedere, senza sapere assolutamente cosa fare. Abbracciarlo? Sputargli in faccia? Ignorarlo semplicemente? È solo grazie a Týr che capisce quale sia la cosa migliore da fare in quel momento. Il vampiro infatti, che da quasi tre millenni conosce la ragazza e sa sempre cosa le passi per la testa, la spinge delicatamente con una mano verso il Comandante, sorridendole con aria furbetta e maliziosa.
«Hai tutta l'eternità per abbracciare me.»
Satch gli sorride timidamente mentre la ragazza si stringe tra le sue braccia, sorprendendosi oltre ogni limite nel veder spuntare un sorriso dolce e sincero sulle labbra del vampiro.
«Týr...» l'uomo abbassa repentinamente gli occhi sulla licantropa che ancora stringe a sé, trovando i suoi occhi pieni di paura «Fenrir-»
«Shhh.» la stringe maggiormente a sé, poggiando il mento sulla sua testa e lanciando, nel frattempo, una fugace occhiata al capitano «Di lui me ne occupo io.»
Silly sa bene che sta mentendo. Anche se il suo cuore non batte può sentire senza sforzo che le sta dicendo una bugia, probabilmente la prima che sente uscire dalle sue labbra. Ed è per questo che lo stringe ancora di più, conscia del fatto che c'è l'alta possibilità che le cose si mettano assai mai. Chi mai reagirebbe bene nello scoprire che il fratello che credevi morto, per il quale hai versato innumerevoli lacrime e per il quale hai seriamente preso in considerazione l'idea di toglierti la vita per rivederlo, è in realtà vivo e non ha fatto assolutamente niente per farti sapere che sta bene? Nessuno. Tanto meno lo farebbe un lupo mannaro assai rissoso o la compagna che nel tempo libero decapitava le persone e rideva del loro dolore.
«State pronti.» ordina secco Týr, staccando la lupa dal proprio abbraccio e spingendola tra le braccia di Fossa per tenerla lontana dal sicuro caos che presto si scatenerà.
I vari pirati portano impulsivamente le mani alle proprie armi, più che pronti a difendersi a dovere nel caso che la situazione degeneri.
La nave del potente immortale è ormai ferma al fianco dell'imponente Moby Dick che, sorprendendo tutti quanti, si è arrestata di colpo. Týr vorrebbe dire loro che la bestia che traina l'altra nave ha bloccato anche il loro imponente veliero, ma quando il familiare odore dei due coniugi arriva alle sue sensibili narici si blocca totalmente.
Ci siamo...
Il tempo pare fermarsi improvvisamente per tutti quanti. Týr si sente opprimere dall'attesa, mentre la paura lo divora.
«Indietro.» il suo è appena un sussurro e le vampire, che si erano precedentemente portate di fronte a lui per difenderlo, indietreggiano incerte. Si domandano come qualcuno possa spaventarlo tanto, quanto suo fratello possa essere così immensamente potente da ridurlo ad un simile fascio di nervi.
Poi, da un secondo all'altro, eccolo apparire in tutto il suo splendore sulla balaustra di legno: Fenrir Lothbrook, Imperatore degli Immortali, colui che ha distrutto imperi e fatto estinguere intere specie di immortali solo per capriccio.
Le vampire sentono la mandibola staccarsi e cadere a terra per la sorpresa, mentre i loro occhi scrutano nel dettaglio quella figura regale e magnetica, quel corpo forte e slanciato fasciato in un abito nero, i capelli castani scompigliati dal vento, l'occhio cobalto che fissa intensamente Edward Newgate, forse l'unico essere umano capace di sostenerne lo sguardo.
Al suo fianco poi appare, come un'immagine divina, la sua splendida moglie Astrid Anwend, conosciuta da qualsiasi immortale come la Regina dei Dannati, adesso Imperatrice. Tutta la sua figura, comparabile a quella di una dea, è capace di tenerti in silenzio a fissarla per ore e ore, come un dipinto prezioso: lunghi capelli biondissimi sospinti dal vento, volto pallido ma gentile e magnifici occhi intensi, di un colore che sfiora probabilmente quello che si ottiene unendo il blu cobalto dell'oceano al festoso azzurro del cielo; il corpo ammorbidito dopo la gravidanza è messo in risalto dalla fine veste candida.
Tutti i presenti rimangono completamente imbambolati di fronte a tale bellezza, paragonabile a quella di Boa Hancock e delle sirene, ma allo stesso tempo si sentono a disagio quando incrociano lo sguardo dell'antico compagno immobile al suo fianco. Sono un mix perfetto di bellezza e forza, tanto potente da far distogliere lo sguardo di chiunque. Beh, chiunque eccetto uno.
«Ciao fratello.»
I due Sovrani, che curiosamente non si erano resi immediatamente conto della sua presenza, fanno saettare velocemente gli occhi su di lui, rimanendo totalmente sconcertati.
Era morto, Fenrir stesso ha sollevato la sua carcassa e l'ha sepolto sotto all'albero che piantarono insieme su quella maledetta isola. Ha pianto tutto il tempo, mostrandosi vulnerabile per la prima volta in vita sua, e ciò perché stava stringendo tra le braccia il fratello morto... che però morto non è.
«Týr...» la voce di Astrid è un flebile sussurro a malapena udibile dagli stessi immortali. I suoi occhi, prima così attenti e pieni di mistero e vita, ora sono spenti, ricolmi di sconcerto.
«Lasciatemi spiegare.» alza le mani in segno di resa, Týr, azzardando a fare un paio di passi in avanti per raggiungerli. In realtà vorrebbe solamente buttarsi tra le braccia di Fenrir e stringerlo fino a fargli mancare il fiato, ma è costretto a trattenersi. E lo è ancora di più quando lo sente ringhiare e lo vede piegarsi su sé stesso, dolorante.
«Fenrir...» Astrid si allontana subito di un passo dal marito, gli occhi improvvisamente vermigli e gli artigli esposti. Non vuole fargli male, ma sa bene che se lui dovesse perdere il lume della ragione la situazione degenererebbe irrimediabilmente.
Barbabianca sta cominciando seriamente ad innervosirsi, non tanto per il fatto che la stiano tirando per le lunghe o perché quelle mocciosette hanno voluto chiaramente mettere in mostra la loro forza, quanto per il fatto che per colpa di quel succhia-sangue psicopatico i suoi figli stanno correndo troppi rischi. È vero che non ha mai sentito parlare di Fenrir, che non ha la più che pallida idea di quanto effettivamente sia forte, ma se pure Týr ne è così spaventato una ragione deve esserci.
«Fenrir, ascoltami! Aggrappati alla mia voce, concentrati!»
Le ossa scrocchiano, la pelle si tende con il gonfiarsi dei muscoli. Il suo viso dai lineamenti nobili si deforma, diventando mostruoso e animalesco. I denti si allungano, facendosi aguzzi e taglienti come rasoi. Sente la testa scoppiare, il cuore battere così forte da fargli male.
«FENRIR!» Astrid lo stringe da dietro con entrambe le braccia, mettendo tutta la forza di cui dispone in quel gesto. Deve riportarlo alla realtà, farlo calmare e rinchiudere di nuovo il lupo nell'angolo più oscuro della sua mente, altrimenti le conseguenze sarebbero le più disastrose.
Týr, ben consapevole della forza mostruosamente distruttiva del maggiore, si piazza senza indugi di fronte ai pirati per proteggerli, disposto addirittura a battersi contro colui che ama più di qualsiasi altra persona al mondo pur di difenderli. Perché è vero che li sopporta a malapena, che più di una volta ha pensato a come farli fuori e farlo sembrare un incidente, ma loro sono comunque coloro che si sono presi cura di sua figlia e l'hanno protetta in ogni modo. Difenderli dalla furia di suo fratello è il minimo che può fare per sdebitarsi.
Fenrir annaspa in cerca d'aria, sforzandosi con tutto sé stesso di rimanere il più fermo possibile per non ferire la compagna, con scarsi risultati.
Una scossa gli attraversa la spina dorsale, su fino al cervello, folgorandolo. La gola gli brucia come se ci fossero dei tizzoni ardenti nell'esofago che quasi gli impediscono di respirare. Stringe con violenza le mani attorno al testa, quasi con l'intento di spaccarsela per far fuoriuscire quella rabbia incontrollabile.
«Ast-rid... f-fallo...» rantola a fatica, piegandosi in due per il dolore e la rabbia che lo stanno annientando interiormente, che stanno corrodendo le catene che trattengono la bestia.
La lupa, sconvolta e spaventata, lascia andare per un secondo la presa dal suo corpo e porta velocemente la mano all'impugnatura del pugnale che porta sempre al fianco. Basta poi un secondo che quella lama così affilata si conficchi fino al manico nella spalla del marito, facendolo urlare a pieni polmoni per il dolore.
È un metodo vecchio e barbaro quello appena compiuto, che da tempo ormai non usano più: il dolore per accecare la bestia. Fu Geri a scoprirlo nel disperato tentativo di fermare la cieca rabbia distruttiva del fratello, pugnalandolo al ginocchio. Da quel momento hanno usato questo metodo per secoli con chiunque perdesse il controllo. Poi, con tanta fatica, sono riusciti a trovare il metodo per imbrigliare le emozioni, arrivando quasi ad annientarle. Sono infatti rarissimi i casi in cui un licantropo si lasci sopraffare da emozioni negative quali dolore e rabbia, proprio perché sennò rischia di perdere il controllo.
La situazione non potrebbe essere più tesa. Tutti rimangono immobili a fissare l'uomo piegato in due che annaspa in cerca d'aria, ognuno pronto a rispedirlo sulla sua nave a calci. Pure le due immortali sono tese, paralizzate dalla paura; non l'hanno mai visto davvero in azione, non hanno mai visto la sua potenza scatenarsi completamente, ma ne hanno sentito parlare molte volte e l'idea di assistere personalmente ad un'esplosione non può far altro che innervosirle oltre ogni immaginazione.
Pure Týr ha paura. Al contrario degli altri, però, non ha paura di Fenrir: ha paura solo del lupo, quello selvaggio e sanguinario che ha sempre faticato a tenere a bada.
«Fratello...» pigola incerto, azzardando un passo verso di lui. Si blocca immediatamente però, perché lo sguardo furioso che il maggiore gli rivolge lo fa tremare come una foglia.
Le seguaci del vampiro vorrebbero frapporsi tra i due, fargli da scudo per permettergli la fuga, ma Mimì impedisce loro qualsiasi movimento con un semplice sguardo. Pur essendo delle novelline, sanno bene quanto sia importante la gerarchia tra quelli come loro.
«TU!» ringhia a denti stretti Astrid, scattando velocemente in piedi e dirigendosi a grandi falcate verso il vampiro «Dammi immediatamente una spiegazione valida, altrimenti giuro che ti stacco la testa dal collo!»
Di lei però Týr non ha assolutamente paura. Certo, è fisicamente più forte di lui, ma prima dovrebbe riuscire a prenderlo. In quanto ad arte magica, invece, lui le è superiore, anche se non ne ha mai dato prova a nessuno.
«Datti una calmata, culo grosso!» le urla contro a sua volta, fronteggiandola senza timore alcuno.
Le due immortali millenarie si pietrificano nel sentire quell'insulto tanto grave per la Sovrana. Se Mimì potesse sbiancherebbe pure, ma per lei ci pensa Silly, che sente chiaramente un brivido gelido risalirle lungo la spina dorsale di fronte all'espressione oltremodo furibonda della mannara.
«Cosa hai detto?» sibila a denti stretti Astrid, mentre le zanne si affilano e gli occhi diventano sempre più rossi. I suoi capelli sembrano pure alzarsi sulla cute, così come farebbe con il pelo se fosse trasformata.
«Che sei ingrassata, botticella!»
Ace, che si sente incredibilmente a disagio solo trovandosi di fronte alla bionda Sovrana, si porta silenziosamente al fianco di Silly, che precedentemente si è portata di fronte a tutti loro per impedire che si avvicinassero al trio.
La guarda di sottecchi mentre i due immortali continuano a prendersi a parole. Sente volare insulti sempre più pesanti, chiaro indice che la situazione sta sfuggendo sempre più dal loro controllo, e così pensa bene di provare ad alleggerire il profondo senso di irrequietezza che gli sta attorcigliando le budella con un po' di conversazione.
«Ehi, come ti chiami?» sussurra vicino al volto della rossa, facendola voltare di scatto. Presa com'era da quella brillante conversazione tra premi Nobel, composta da minacce di vario tipo e di insulti più che fantasiosi, non si era nemmeno resa conto della sua vicinanza.
«Silly. Silly Silva.» gli sorride appena, facendo subito saettare gli occhi sulle due teste calde che hanno cominciato pure a prendersi a schiaffi. Si trova a domandarsi per quale ragione delle creature instabili come loro si siano ritrovate al comando, ma subito si ricorda di tutte le loro imprese, delle loro invenzioni e della loro leggendaria astuzia e subito si rimangia ogni dubbio.
Si volta poi verso Ace, sorridendo appena di fronte alla sua espressione confusa, con la bocca dischiusa e le sopracciglia aggrottate, e senza esitazioni gli tira una lieve pacca sul petto, attirando così la sua attenzione.
«Non vi faremo succedere nulla, ma da' ordine a tutti i tuoi di non intervenire in alcun caso.» afferma sicura, tornando a godersi lo spettacolo mentre il pirata sussurra a chi gli è vicino di rimanere al proprio posto, ordinando anche di far girare l'ordine a tutti.
«Forse non hai capito in che situazione ti trovi, sottospecie di rospo decomposto...» il respiro di Astrid è sempre più irregolare, la sua voce più profonda e gutturale. È sempre più vicina al punto di non ritorno, sempre più vicina allo staccargli di netto la testa con un pugno. L'unico motivo per cui si trattiene – per il quale pure Týr si stra trattenendo dall'attaccarla, in realtà – sta nel fatto che solo ed esclusivamente Fenrir ha diritto di vita e di morte.
«Grasso sacco di pulci, vedi di tenere a freno la lingua!» le urla di rimando Týr, scansando per un soffio il poderoso pugno che la bionda gli ha sferrato. Si ritrova a ringraziare tutti gli dèi che da sempre venera per avergli donato dei riflessi così acuti da permettergli di schivare delle simili cannonate. Questo suo momento di effimera felicità, però, non dura che un misero secondo.
«ADESSO BASTA!»
L'urlo di Fenrir paralizza immediatamente i due Sovrani, facendoli tremare. Pure Astrid, che si prende sempre tutte le libertà che vuole con lui, ne ha una più che giustificata paura. Le basta ricordarsi di quando attaccò da solo un enorme Clan di giaguari mannari, nettamente più forti dei licantropi, e li uccise tutti a mani nude senza riportare altro che un paio di graffietti.
Satch, immobile dietro a Mimì, si abbassa fino ad arrivare al suo orecchio, poggiandole delicatamente le mani sui fianchi. «Sono sempre così?» le domanda incerto, alzando gli occhi sul possente licantropo che si è finalmente alzato in piedi.
«Generalmente è peggio.» risponde sbrigativa la vampira, sentendo però la sgradevole sensazione di essere osservata da più occhi. Voltando un poco la testa, infatti, trova su di sé gli sguardi di diversi pirati, l'uno più scettico dell'altra. «Davvero, stanno reagendo in maniera assolutamente diplomatica!» insiste convinta, incrociando le braccia sotto al poco seno che ha e battendo nervosamente un piede a terra. Detesta che qualcuno dubiti della sua parola, soprattutto quando non sta assolutamente mentendo.
«Tu, sottospecie di minorato mentale...» sibila a denti stretti Fenrir, avvicinandosi con passo lento e calcolato al fratello che ha già alzato le mani in segno di resa, facendosi sempre più piccolo.
«Fenrir-»
Non vuole sentire scuse, non ancora. La rabbia è troppa, la delusione anche di più.
Scatta velocemente, troppo pure per Týr, e senza dargli neanche il tempo di rendersi conto di cosa sta per accadere, gli sgancia un pugno in pieno volto, facendolo andare a sbattere con violenza contro la balaustra dall'altra parte del ponte, facendola piegare e scricchiolare. Se Týr non si fosse agguantato con gli artigli al pavimento, solcandolo in profondità, la balaustra sarebbe stata distrutta e il vampiro sbalzato in mare a molti metri di distanza.
«Me lo merito.» borbotta massaggiandosi la guancia, sputando poi due molari a terra. Fortunatamente gli ricresceranno velocemente, sennò avrebbe avuto anche il coraggio di inveire contro il più che furioso fratello.
Fenrir, immobile e con i nervi a fior di pelle, fissa con astio il fratellino che, seppur barcollante, riesce a rimettersi in piedi e lo fissa con sguardo speranzoso.
«Parla. E vedi anche di essere convincente se non ne vuoi altre.» ringhia minaccioso, venendo velocemente affiancato dalla moglie. Il guaito di uno dei figli, inoltre, riesce a farlo incazzare ancora di più se possibile.
Se insistono dopo ce n'è pure per loro!
«Senti, non so neanche io come sia successo... è successo e basta!» sbotta guardandolo con occhi realmente dispiaciuti, mettendosi a nudo per una delle prime volte in vita sua «Mi ricordo perfettamente quando mi hanno ammazzato, il dolore che ho provato quando quel paletto d'argento mi ha trapassato il cuore, la vita che abbandonava il mio corpo... è stato esattamente come quando tutti noi siamo stati trasformati. Stessa identica cosa.»
Fenrir ascolta con attenzione, fissandolo dritto negli occhi. Una parte di lui, quella da apprensivo fratello maggiore, vorrebbe solo stringerlo forte al petto e piangere insieme a lui, mentre dolcemente gli carezza la testa e gli dice che non gli accadrà mai più niente di male; l'altra parte invece, quella di un uomo profondamente ferito e di leader ingannato, desidera solo massacrarlo di botte e di spedirlo definitivamente all'altro mondo. Non sa cosa fare, non sa cosa dire. Può solo limitarsi ad ascoltare le sue parole e sforzarsi di rimanere al proprio posto.
«Sono crollato a terra, morto, e dopo poco ho aperto gli occhi in un limbo nero. Non c'era assolutamente niente, neanche un soffio d'aria o un sibilo. Nulla. Ero dannatamente solo. Lentamente, poi, ho cominciato a sentire qualcosa, come delle emozioni... che però non erano mie. Ho cominciato a fare supposizioni su supposizioni, ma nessuna mi sembrava fattibile.» continua a spiegare Týr, sgraffiandosi le mani con gli artigli per il nervoso, mentre calde lacrime scarlatte gli rigano le guance pallide. Nella sua mente scorrono i ricordi di quei giorni di solitudine estrema, dove non capiva cosa gli era successo ed era costretto a provare sentimenti mai provati prima, misti ad al dolore atroce per la separazione dalla figlia e dal fratello.
«Quella è stata la prima volta che mi sbagliavo su qualcosa.» sussurra abbassando gli occhi, pieno di dolore e vergogna. Non gli importa neanche più che tutti quegli umani lo stiano fissando e ascoltando, magari ridendo di lui e della sua momentanea umanità e debolezza. Tutto quello che vuole è solo riavere suo fratello.
«Quando Lilith è morta mi ha raggiunto nel limbo e per la prima volta l'ho rivista. Ho rivisto mia figlia in carne ed ossa, ho sentito la sua voce e il suo odore. Non mi sembrava vero.» un sorriso dolce gli piega leggermente le labbra tremolanti, mentre nuove lacrime scorrono sulle guance sempre più sporche «Da quel momento, ogni volta che si addormentava, la vedevo. All'inizio ho mantenuto il più possibile le distanze per proteggerla sia da me che da lei stessa, per poterle dare così la possibilità di scegliere una vita alternativa a quella del mostro maledetto... ma la nostra natura non l'ha risparmiata. Solo a quel punto ho cominciato a starle dietro seriamente, a darle consigli e piccoli indizi. Più il tempo passava, più lei diventava forte... e più lei diventava forte, più io riacquistavo i miei poteri, la mia vita. Poi la creatura è emersa, facendole raggiungere il picco massimo, e io mi sono involontariamente staccato.» alza finalmente gli occhi sui suoi compagni, su coloro che ha amato con tutto sé stesso e per la quale ha dato volentieri la vita, e solo in quel momento si accorge delle lacrime di Mimì, del viso stravolto dalla compassione di Silly, dello sforzo di Astrid di non piangere e del tremore che pervade il corpo di Fenrir. E Dio solo sa quanto muore dalla voglia di abbracciarli tutti quanti, di dire loro che non li lascerà mai più e che gli dispiace da impazzire per averli fatti soffrire così, ma è costretto a trattenersi. Finché non sarà Fenrir a fare la prima mossa rischia troppo.
«Mi sono svegliato dopo qualche giorno nello stesso punto in cui ero morto. Ho cominciato a rimettermi in forze e a crearmi una piccola schiera, poi a cercare loro.» conclude allargando le braccia per indicare i vari pirati che, al contrario di quello che crede, sono commossi da quanto appena sentito. Credevano che fosse senza cuore, spietato ed egoista, invece, seppur in una maniera contorta, ha fatto tutto quello che era in suo potere fare per proteggerli tutti, loro compresi.
Il vampiro sposta lo sguardo su Astrid, commossa e totalmente indecisa su cosa fare.
«Spero che non mi odierai per questo.» afferma sorridendo forzatamente, passandosi una mano tra i capelli per provare a mostrarsi a proprio agio, senza però convincere nessuno.
«No, Týr.» risponde dolcemente la donna, mentre una lacrima solitaria sfugge al suo controllo «Ti odio in questo momento solo perché ci hai fatto stare malissimo. Avresti potuto lasciare un qualsiasi segno per farci sapere che in qualche modo esistevi ancora.»
«Avrei peggiorato la sua situazione.» si difende prontamente Týr, strappandole un sorriso. Entrambi farebbero qualsiasi cosa per la loro piccola Lilith, il loro angelo maledetto, e quindi Astrid non può avercela con lui per questo. Lei avrebbe fatto lo stesso.
«Mi perdonerai mai, fratello?» gli occhi di Týr sono colmi di lacrime, il labbro inferiore trema. Vorrebbe lanciarsi tra le sue braccia e piangere a dirotto contro la sua spalla come quando era bambino, sentire il suo calore, ma non si azzarda a muovere un solo muscolo.
Fenrir sospira pesantemente, passandosi entrambe le mani sul volto stravolto.
«Sei un'incorreggibile testa di cazzo, Týr.» ringhia a denti stretti, dondolandosi da un piede all'altro.
«Lo so...» sospira il minore, azzardando un passo verso di lui.
«Mi hai fatto patire le pene dell'inferno prima del dovuto, stronzo.» pure Fenrir si avvicina piano a lui, morendo dalla voglia di stritolarlo tra le braccia. Che durante l'abbraccio le sue ossa si spezzino o meno non fa differenza, gli basta stringerlo con quanta forza ha in corpo.
«Perdonami...» pigola, sempre più vicino. Gli basta poco, ancora un paio di metri.
Poi finalmente si fronteggiano e il minore si ritrova a trattenere il fiato dall'emozione. È esattamente come lo ricordava, così fiero e con un amore sconfinato solo per lui.
Fenrir allunga una mano verso di lui e lo afferra saldamente per la nuca, poggiando poi la fronte sulla sua e guardandolo intensamente «Ti proibisco di allontanarti di nuovo dall'isola, sono stato chiaro? D'ora in poi tu sarai al mio fianco, sempre.»
A quelle parole Týr non può far altro che sorridere come un bambino che ha ricevuto il più grande e meraviglioso dei regali e, finalmente, si lascia andare tra le sue braccia, lasciandosi stringere con forza e stringendolo a sua volta. Piange mentre lo fa. Lacrime di pura gioia per averlo finalmente ritrovato, per non averlo perso per sempre per un suo errore.
Astrid si stringe le braccia attorno al corpo ed in fine, col cuore che le scoppia per la felicità, corre in contro ai due e li abbraccia, stringendoli con forza. Riesce pure a separarli e a prendersi il suo migliore amico, il padre della sua bambina... l'uomo che più di chiunque altro l'ha compresa e sopportata per tutta la vita.
Týr inspira a fondo il profumo della sua pelle che gli scalda il cuore morto da millenni.
Barbabianca, seppur a malincuore, interrompe questo loro momento di pura gioia e dolcezza, alzandosi in piedi e dirigendosi con passo sicuro verso l'Imperatore immortale, che lo osserva con curiosità.
«Voglio vederla.» afferma con sicurezza, facendolo sorridere. La sua reazione, in effetti, lo lascia parecchio perplesso: si aspettava un sonoro “fottiti vecchio!” o un “ti ammazzo!”, come più volte ha osato dirgli Týr anche per delle sciocchezze, invece gli sorride amichevolmente, chinando pure un poco la testa.
Non sono poi così sicuro che questi due siano davvero fratelli...
«È anche per questo che siamo venuti personalmente fino a qui.» risponde educatamente il lupo, accorgendosi, grazie alle occhiate confuse dei vari pirati e dello stesso capitano, di averli sorpresi parecchio. «Non volevamo solo ringraziarvi, ma anche condurvi all'isola per farvela vedere.» spiega calmo, lasciando che Astrid gli stringa un braccio e poggi la testa sulla sua spalla. Dopo un matrimonio come il loro, in fondo, può passare sopra a qualsiasi smanceria in pubblico.
«Non potrà venire più con noi?» gli domanda realmente spaventato Satch, facendo sorridere di gioia la bionda licantropa. Perché Astrid è realmente felice di vedere che quegli umani vogliono davvero bene a sua figlia. Per un certo periodo si era addirittura convinta che la ragazza fosse riuscita in qualche modo a deformare i propri ricordi e a farli apparire più teneri di quanto in realtà non fossero. Per la prima volta in vita sua, è felice di essersi sbagliata.
«Sarà lei a scegliere.» risponde lei per Fenrir, staccandosi finalmente dal suo braccio ed incamminandosi con cautela verso il Primo Comandante «Se non è chiedere troppo, Marco, vorrei parlarti in privato.»
Il Comandante, seppur incerto, annuisce piano e le si avvicina con passo lento quando questa gli fa cenno con la testa di raggiungerla. Perché Astrid vorrebbe passeggiare e metterlo a suo agio per potergli fare un discorso che da ben tre giorni si prepara, ma ovviamente non aveva preso in considerazione il fatto che avrebbe trovato Týr. Tanto mento avrebbe preso in considerazione il fatto che morisse dalla voglia di conoscere i suoi figli!
Infatti il vampiro la blocca saldamente per un braccio e la tira verso di sé, guardandola dritto negli occhi con un sorrisetto furbo ad increspargli le labbra.
«A quanto sento, c'è qualcuno che non mi è stato ancora presentato.» afferma sghignazzando Týr, curiosissimo di incontrare per la prima volta suo nipote. Se solo sapesse che in realtà sono due mine impazzite non sarebbe così ansioso di conoscerli.
«Ti accontento subito.» afferma il maggiore, avvicinandosi tranquillo al parapetto. C'è qualcosa nel suo sorriso che lascia Týr assai contraddetto. In fondo cosa ci può essere di così divertente nel presentargli suo figlio?
«Jena, lasciali!» ordina con voce tonante l'Imperatore, magnetizzando involontariamente gli occhi dei presenti sulla sua imbarcazione, dalla quale adesso provengono forti schiamazzi.
La porta che separa il sottocoperta dal piccolo ponte della nave viene brutalmente sfondata con una spallata da Floki, adesso distinguibile dal fratello grazie alla giacca viola che indossa, a differenza del fratello che la porta blu. Certo, i due genitori sono sempre con l'olfatto sotto sforzo perché i due principini tendono a scambiarsi gli abiti per dispetto, ma per loro fortuna non è questo il caso.
«Ti assomiglia.» afferma Týr, sorridendo soddisfatto di fronte allo sguardo determinato e furbo del nipote.
«Floki, dov'è Bjorn?» gli domanda Astrid con quanta più gentilezza dispone, ricevendo in risposta solo un ghigno strafottente. Non fa neanche in tempo poi a domandargli di nuovo, magari snudando le zanne nel vano tentativo di metterlo almeno in soggezione, che il gemello, più silenzioso e sfuggevole, le salta al collo con un balzo sin troppo agile e preciso per la sua tenera età.
«MAMMAAA!»
La donna lo afferra saldamente, stringendogli le braccia sotto il sedere e tenendolo stretto a sé. Il cucciolo a sua volta si stringe alla madre, lasciandosi accarezzare sulla testa e baciare sulla guancia. Poi però si rende conto di una presenza strana, fatto che lo incuriosisce assai. Comincia subito a dimenarsi e a scalciare per liberarsi, attirando così l'attenzione del fratello.
«Lasciami subito!» urla convinto, riuscendo a liberarsi dalla presa della madre, che lo mette delicatamente a terra e lo osserva mentre corre a rotta di collo verso quello che ha riconosciuto come zio.
Il piccolo Floki, ancora sulla nave dei genitori, urla a pieni polmoni il nome del fratello per capire cosa lo abbia fatto agitare così tanto, preoccupandosi a morte quando lo sente urlare a sua volta. Non pensa neanche che non possiede l'agilità del fratello quando prende la rincorsa e salta sulla nave pirata, ritrovandosi poi aggrappato precariamente alla balaustra con le manine ossute. Se non fosse per l'intervento del padre, che lo afferra come un cuccioletto per la collottola e se lo porta vicino al viso, sarebbe finito in acqua.
«Se ci provi ancora, ti sfilo la colonna vertebrale e ci suono l'Adagio di Albinoni.»
Il piccolo principino sorride allegro anche se è appena stato minacciato e subito comincia a dimenarsi come un'anguilla pur di scendere e correre verso colui che ha attirato al sua attenzione. Non si tratta certo dello zio, di lui gli importa poco o niente. No, l'oggetto di tanta meraviglia è il mastodontico uomo che dal suo seggio osserva incuriosito la scena.
Quando finalmente riesce a liberarsi dalla presa del genitore, trotta velocemente fino a ritrovarsi di fronte a lui, guardandolo con aria meravigliata.
Barbabianca, dal canto suo, osserva con curiosità il marmocchio che ha cominciato a tastargli la gamba come per volersi accertare di non trovarsi di fronte ad un miraggio, ritrovandosi a sorridere sotto ai grandi baffi bianchi quando gli sorride pieno di gioia e si arrampica un po' goffamente su di lui e si adagia sulle sue gambe come faceva Akemi da piccola.
«Perché lui non mi considera?» domanda scocciato Týr, tenendo sempre stretto tra le braccia il piccolo Bjorn, intento a studiarlo nel dettaglio. È confuso il piccolo Lothbrook, consapevole che lo zio dovrebbe essere morto stecchito e sepolto sotto a tre metri di terra. Non fa domande però, un po' perché non gli interessa la risposta e un po' perché essendo nato ad Helheimr è abituato a tutto.
«Floki tende a farsi gli affari suoi.» risponde calmo il fratello, afferrando il figlio e strappandolo senza tante cerimonie dalle braccia del fratello, per caricarselo in spalla e scuoterlo come una maracas per farlo divertire.
«Marco?»
Il Comandante si volta di scatto verso la Sovrana, tornando così con i piedi per terra. Vedere quei bambini così buffi e agitati, completamente a loro agio in mezzo ad una delle ciurme più temibili di tutti i mari, gli ha ricordato terribilmente Akemi. Anche lei non aveva assolutamente paura e nutriva una profonda curiosità per tutto quello che la circondava. Per non dire poi che i due marmocchi un pochino le somigliano pure nei lineamenti.
S'incammina con passo indeciso verso il sottocoperta, seguendo a distanza la licantropa che, senza che le venga detto assolutamente niente, si dirige sicura verso la sua cabina seguendone semplicemente l'odore.
Quando poi vi entra, morde a sangue la lingua per trattenersi. Se la situazione fosse diversa, criticherebbe fino alla nausea ogni singolo oggetto. Criticherebbe anche la capigliatura dell'uomo e il suo abbigliamento, a dirla tutta. Però la situazione è quella che è, e lei non se la sente, stranamente, di infierire su un uomo che sta soffrendo in quel modo. Le era successo poche volte prima d'ora, e ogni volta le persone risparmiate erano sempre coloro che portavano grandi novità e rivoluzioni nel mondo.
Si dirige con passo calmo fino all'oblò, che apre con mano sicura per potersi così accendere una sigaretta, ben lontana dagli occhi dei due piccoli demoni che ha faticosamente e assai dolorosamente messo al mondo. Se infatti la vedessero fumare, farebbero tutto ciò che è in loro potere - e di certo non è poco - per riuscire a rubarle quanto meno la sigaretta appena accesa e fumarsela. Non che alla fine ciò possa danneggiare la loro salute, ma vederli fumare già da adesso la disturba alquanto. E la disturba ancora di più il fatto che il marito non faccia niente per bloccarli, usando la scusa che “devono imparare da soli”.
Marco, ben lontano dalla donna, non ha idea di cosa dirle. Non sa neanche spiegarsi se è perché è la madre di Akemi o perché è così maledettamente bella che non riesce a guardarla senza arrossire, ma si sente indecentemente a disagio in sua compagnia. Disagio che aumenta ogni volta che, anche se per un secondo, sposta i suoi grandi e luminosi occhi color del cielo sulla sua figura.
Astrid sa benissimo in quale stato d'animo si trova il giovane uomo di fronte a sé. Non le serve neanche l'olfatto per capirlo: i muscoli tesi, le mani che si torturano l'una con l'altra, il labbro inferiore che viene morso. È proprio per questo che decide di vuotare il sacco, di rischiare di perdere la propria bambina.
«Le manchi. Da morire.» afferma di punto in bianco, lasciando che la cenere si dispera nel vento. Nessuna delle persone che conosce crederebbe che quella donna così pacata e quasi dolce possa essere davvero lei, generalmente incazzosa e pronta ad uccidere se la saluti in modo sbagliato.
«Da quando l'abbiamo ripescata dal mare e riportata a casa, non fa altro che dannarsi interiormente per te. Non vuole darlo a vedere, vuole mostrarsi forte, vuole integrarsi con i suoi simili, ma sta male.» continua con voce calma e sicura, continuando a guardare il Comandante dritto negli occhi, leggendovi dentro una chiara speranza che si riaccende.
Lo avvicina con passo lento, tenendo le mani ben in vista. Sa bene quanto possa essere inquietante la presenza di un immortale e quanta paura possa suscitare vederselo arrivare in contro con passo spedito, quindi preferisce essere cauta e metterlo il più possibile a suo agio.
Gli poggia delicatamente le mani sulle spalle, cercando un contatto visivo che però il pirata le nega. Sbuffa contrariata, decidendo però saggiamente di evitare di sbattergli la testa nel muro, almeno fino al momento in cui non avranno un minimo di confidenza.
«Ti chiedo gentilmente di non arrabbiarti con lei quando la vedrai, di parlarci nel modo più tranquillo possibile. Non avrebbe mai voluto lasciarti.»
Dal momento che il pirata continua a rimanere in silenzio, fissando con insistenza un punto imprecisato al suo fianco, la donna comprende che è il caso di lasciarlo solo a riflettere, di non continuare a girare il coltello in quella ferita così dolorosa. Se la situazione fosse diversa, se in ballo non ci fosse la sua amatissima figlia, continuerebbe eccome, provandoci pure uno smisurato piacere.
«Noi raramente parlavamo tranquillamente...» mormora debolmente Marco nel momento esatto in cui la donna apre la porta per andarsene, voltando finalmente la testa e guardandola dritto negli occhi.
Ma è mai possibile che sono tutti così indecentemente belli?! si domanda scocciato, pensando anche che la donna è nettamente più bella di Akemi. A dirla tutta, è proprio uno splendore.
Quello che Marco non sa, è che tutti gli immortali sono più o meno belli proprio per la loro difficile condizione. Il loro aspetto, infatti, li aiuta molto durante le battute di caccia: pure il vampiro o il licantropo d'aspetto più sgradevole risulterà sempre bellissimo per un umano, cosa che lo attirerà sempre tra nel suo letale abbraccio.
«Lo so. È un osso duro, non trovi?» ridacchia realmente divertita Astrid, rivolgendogli anche un luminoso sorriso che lo fa barcollare. Seppur con una certa indecisione, Astrid lo avvicina e gli afferra delicatamente una mano, senza mai abbandonare il contatto visivo. «Si sistemerà ogni cosa, Marco. Non devi più logorarti, adesso.»
Nel frattempo, sul ponte principale della Moby Dick, l'equipaggio è stato velocemente preso d'assalto dai bizzarri ospiti: Jena, senza tante cerimonie, è andata subito a parlare con il Quinto Comandante, comportandosi come un civetta come al suo solito; Silly ha subito provato ad integrarsi e fare amicizia, cercando in tutti i modi di far conversazione; Mimì, ormai abbandonata l'emozione iniziale, si è messa a discutere con Satch della questione “sei un mostro” ancora lasciata in sospeso; Barbabianca è stato letteralmente assalito dai due gemelli, che a lui ricordano decisamente una coppia di furetti impazziti. Si è ritrovato, senza neanche rendersene conto, con il piccolo Bjorn intento ad arrampicarsi fin sul suo collo e Floki a mordergli le mani. Non che riesca a fargli male, dal momento che non ha ancora la dentatura da lupo, ma è comunque piuttosto irritante, motivo per cui l'ha afferrato per una caviglia e ha cominciato a farlo dondolare avanti e indietro, scatenandone le risate. Dopo pochi istanti, si è ritrovato a far oscillare entrambi i bambinetti, riscontrando una notevole somiglianza con la sorella.
Fenrir e Týr, invece, se ne stanno di lato, in silenzio. Ognuno pensa ai propri affari, a ciò che lo aspetta una volta tornato a casa e, ancor peggio, a cosa accadrà dopo. Perché entrambi sanno che Peter è una minaccia sin troppo reale per tutti quanti, soprattutto considerando che tutte le creature soprannaturali che non sono ad Helheimr, per un motivo o per un altro, si sono schierati dalla sua parte.
Dopo interminabili minuti di assoluto mutismo, è Fenrir a rompere il ghiaccio, segno che ha tutta l'intenzione di passare sopra all'intera faccenda e riaccogliere l'adorato fratellino a braccia aperte.
«Sento che l'uomo che mia nipote ha attaccato è ancora vivo.» mormora senza staccare gli occhi dai figli, uno appeso a testa in giù dal capitano e l'altro che cerca di convincere Pugno di Fuoco a giocare ad acchiapparella senza grandi risultati.
«Teach?» domanda Týr, preso in contropiede. Era talmente assorto nel pensare a come affrontare Wulfric – sua unica vera minaccia – per ascoltare con attenzione ciò che il maggiore aveva da dirgli. «Già, è chiuso nella stiva. Abbiamo deciso di aspettare il ritorno di Lilith prima di fare qualsiasi cosa. Per adesso è ai ferri.» la sua voce è calma, le sue labbra tese in un lieve sorriso. La cosa sorprende a dir poco il maggiore, che più di chiunque altro sa quanto il vampiro sia incline alla violenza e all'omicidio.
«Decisione discutibile, ma allo stesso tempo saggia.» afferma dopo qualche secondo di ragionamento, in cui ha compreso che la paura dovuta al loro incontro lo ha spinto a non torcergli neanche un capello. Decisione saggia, in fondo, dal momento che pure lui sa che l'intera ciurma è, per un certo verso, sotto la protezione della piccola Lothbrook.
«Tu gli avresti staccato la testa senza tante storie.» ridacchia Týr, voltando la testa verso di lui e sorridendogli con aria beffarda. Poi, come da sempre è solito fare, gli sfila dalla tasca dei pantaloni il pacchetto di sigarette e gliene frega una, sedendosi a fumare sul parapetto con le gambe ciondoloni.
«Io ho un temperamento diverso, Týr.» soffia il maggiore, già pronto a spingerlo di sotto per dispetto. Gli scoccia dirgli che ha ragione e che lo avrebbe fatto fuori, infischiandosene delle regole da loro create.
«Tu sei violento.»
Lo afferra saldamente per la collottola, Fenrir, spingendolo leggermente fuori bordo. Avvicina pure il viso al suo collo, fissandolo minacciosamente con il suo diabolico occhio color rubino.
«Vuoi morire di nuovo, fratellino?» domanda sarcastico, non sorprendendosi nel vedere un sorriso sghembo spuntare sulle labbra pennellate del minore.
«Non mi faresti mai del male. Mi adori troppo!» risponde convinto, allungando senza esitazioni una mano per afferrargli i folti e disordinati capelli e strattonandolo un poco di lato come ha sempre fatto. Perché loro due sono sempre stati così: attaccati morbosamente l'uno all'altra, pronti a picchiarsi furiosamente per un niente di fatto, e subito più che disposti a far pace. L'uno per l'altra sono sempre stati tutto: amici del cuore, fratelli, confidenti. Fenrir, soprattutto durante la loro vita da umani, ha fatto pure da figura paterna per il minore, proteggendolo dai pericoli ed insegnandogli le nobili arti del combattimento, della caccia e della navigazione.
«C'è sempre una prima volta.» ghigna il mannaro, riprendendosi le sigarette e accendendosene una. «Spiegami una cosa, perché so che c'è una risposta e che la conosci.» afferma subito dopo, soffiando una densa nuvoletta di fumo chiaro «Come hai fatto a restare in vita e a creare quel legame con lei?»
Il fatto che Týr, dapprima sorridente e con un'espressione che ispira calci nei denti a ripetizione, si sia improvvisamente impietrito la dice lunga, e Fenrir ci avrebbe scommesso anche l'occhio che sarebbe andata così. Conosce troppo bene i suoi polli.
«Prima di risponderti, premetto una cosa: non avevo alcuna cattiva intenzione, chiaro?» nel dirlo è sceso velocemente dal parapetto e ha alzato le mani in segno di resa – e sottomissione -, indietreggiando di qualche passo per avere così più possibilità di scappare non appena avrà vuotato il sacco.
Si porta una mano sul viso, Fenrir, chiudendo l'occhio e respirando pesantemente per mantenere il controllo. Gli sembra quasi impossibile che in neanche mezz'ora stia riuscendo a fargli perdere la testa per la seconda volta.
«Parla. Subito.»
Indietreggia ancora Týr, sorridendo con aria innocente e grattandosi la nuca con fare nervoso. Non sa bene come dirgli cosa ha fatto, soprattutto per la paura che pure Astrid possa venire a saperlo, ma sa bene che o con le buone o con le cattive almeno suo fratello lo verrà a sapere. Quindi, per evitare una scarica di botte epica, gli conviene essere collaborativo.
«Ho... beh, avevo bevuto il suo sangue.» ammette fingendosi piuttosto indifferente, sforzandosi con tutto sé stesso di smettere di indietreggiare per non farlo innervosire ancora di più.
«COSA HAI FATTO?!»
A giudicare dal modo in cui Fenrir gli ha appena urlato contro e dal fatto che sia scattato in piedi come una molla, forse gli conveniva arretrare ancora. Anche afferrare i Comandanti dalla corporatura più massiccia ed usarli come scudo umano non sarebbe stata una cattiva idea.
«Ero curioso di sapere se mi avrebbe dato problemi, non volevo farle male! Poi volevo pure provare quell'incantesimo che Astrid ha proibito... ricordi? Le anime legate dal sangue, quella porcata lì. Ero curioso e così l'ho testato su di lei, un po' anche per la sicurezza di entrambi. Comunque non ha sofferto per niente, non se ne è nemmeno resa conto, giuro!» vomita quelle parole ad una velocità sorprendente, gesticolando animatamente con le mani e continuando a camminare all'indietro nel vago tentativo di mettere più distanza con il fratello, cosa che avviene solo quando il maggiore si blocca in mezzo al ponte per massaggiarsi le tempie e concentrarsi sulla respirazione sempre più irregolare.
Týr, ormai sicuro di essere fuori pericolo, mette completamente da parte la paura che un tipo come lui può infondere e gli si avvicina di nuovo, azzardandosi pure a cingergli il collo con il braccio. Lo osserva attentamente, cercando di capire dalla sua espressione di cera cosa gli passi per la testa, senza però riuscire a capire il suo stato d'animo.
«Fenrir...?» lo scrolla leggermente per attirarne l'attenzione, tirandogli anche una ciocca di capelli «Non capisco se sei furioso o meno...»
I presenti li osservano senza capire cosa abbia scatenato il lupo, cercando una risposta, che ovviamente non trovano, negli sguardi sconvolti delle tre antiche ospiti. Nessuna delle tre era a conoscenza dell'esistenza di tale incantesimo, di cui in realtà nessuno conosce il nome originale. Lo chiamano semplicemente “Legame dell'anima”: consiste nel creare un cerchio col proprio sangue in uno spazio aperto sotto ai raggi della Luna piena, entrarvi assieme a colui con cui si vuole stringere il legame ed invocare un Demone; quando si ha un segno che la creatura spirituale è apparsa, si offre il proprio sangue in dono e si chiede che le anime vengano unite fin dopo la morte di uno dei due, dopo di che si beve il sangue di colui con cui si vuole unire l'anima. Il Demone poi se ne andrà da solo, soddisfatto del compenso, e le due anime saranno legate per l'eternità. Certo, se poi l'anima del defunto riesce a tornare al suo corpo l'incantesimo si spezza, ma non era mai successo prima.
Astrid, seppur scettica al riguardo, aveva pensato che potesse accadere qualcosa di strano con creature come loro, ed è per questo che aveva fatto cancellare ogni traccia di quell'incantesimo, eliminando anche tutti coloro che ne erano a conoscenza, ad eccezione ovviamente del Re delle Tenebre.
Adesso, se i pirati di Barbabianca scoprissero ciò che quel vampiro folle ha fatto alla loro piccola Akemi, gli salterebbero tutti addosso per fargliela pagare, ma per sua enorme fortuna le tre immortali non ne fanno assolutamente parola.
Fenrir, che pare essere caduto in uno stato di profonda meditazione, volta piano il capo verso il fratello, fissandolo in cagnesco.
«Taci, psicotico del cazzo, o ti disosso.» sibila a denti stretti, rimanendo immobile anche quando i gemelli gli si lanciano violentemente contro le gambe.
Týr, sorridendo falsamente, indietreggia piano e afferra Jena per un polso, trascinandola con sé, sia per avere compagnia, sia per farsi dare qualche idea su come poter affrontare l'ira di Wulfric. Perché sarà sì il suo migliore amico da sempre, gli avrà anche salvato la vita quando era un bambino gracile e povero, ma dopo un colpo basso come questo... beh, non lo chiamano il Mietitore tanto per.
Prima di sparire sottocoperta e lasciare finalmente Fenrir a discutere dei fatti suoi col capitano, Týr si volta di scatto e gli punta contro un dito, sfoggiando il sorriso più allegro ed innocente che riesce a trovare, esclamando: «Solo una cosa, poi sto zitto: non dirlo ad Astrid!»


Se per i pirati di Barbabianca ogni occasione è buona per far festa, si può dire altrettanto per il gruppo di immortali. Anzi, per loro non bisogna neanche trovare un pretesto: la festa si fa punto e basta. In fondo, anche “solo” dopo un centinaio d'anni, il tempo in qualche modo devi pur passarlo.
Dopo la breve discussione con Týr, Fenrir si è ritirato nelle cucine assieme a Mimì e altri pirati, e si è messo ad insegnare loro alcuni piatti che lui adora. Perché Fenrir non è solo un guerriero assetato di sangue, non è solo l'Imperatore degli immortali, no: lui è anche un cuoco provetto. Mimì lo ha seguito semplicemente per ripicca a Satch e al suo vecchio insulto, così da fargli capire ben bene che non si deve mai più azzardare.
Týr è stato invece trascinato quasi di peso da Jena nella stiva per raccattare le sue cose e metterle in ordine sulla nave del fratello, ed anche per nutrire e rendere i cani quasi presentabili. Trasportarli poi sulla nave non è stato per niente semplice, dal momento che i gemelli li hanno trovati coccolosi e hanno voluto per forza giocarci, approfittando anche del fatto che il padre aveva da fare in cucina e la madre era troppo presa da un'allegra conversazione col capitano. Già, perché contro ogni prevedibilità la donna ha stretto velocemente amicizia con l'imponente uomo, trovandolo oltremodo interessante. La cosa non è andata per niente giù a Týr, incredibilmente geloso delle attenzioni che Astrid dava all'uomo, ma essendo troppo impegnato a controllare che gli scatenati nipoti non gli facessero letteralmente a pezzi i cani ha lasciato correre.
Silly, invece, ha fatto amicizia con diversi membri dell'equipaggio. Ha avvicinato in modo particolare Rakuyou, ha fregato il cappello ad Ace e poi è andata a fare quattro chiacchiere con la più improbabile coppia dell'equipaggio, giusto per capire meglio perché Lilith amasse tanto profondamente la Comandante. E l'ha capito benissimo, arrivando ad adorarla in breve tempo per la sua lingua tagliente e la sua intelligenza.
Adesso, dopo una cena tanto abbondante quanto squisita, i vari pirati ridono e scherzano con i nuovi e stravaganti amici. In particolar modo giocano con i gemelli, che prima di presentarsi a cena si erano liberati dei propri indumenti e avevano indossato vestiti trovati nelle varie stanze dei pirati. La cosa ha creato, all'inizio, un poco di indignazione generale, ma quando i due si sono messi a ballare sui tavoli e a prendere in giro qualsiasi creatura conoscano, la situazione si è rilassata. Anzi, più che rilassata, è esplosa: tutti hanno cominciato a dire loro chi imitare, galvanizzandoli e facendoli partire completamente di testa.
La situazione è completamente degenerata nel momento in cui i due piccoli terremoti sono riusciti a scovare il bong dello zio e hanno insistito per poterlo provare. È stato proprio il padre, con sorpresa generale, ha dare loro l'okay e a farli provare, dicendo che preferisce che certe cose le facciano con lui vicino. I piccoli, sempre più eccitati, hanno cominciato a sputare fumo come draghi, sbandando da una parte all'altra e ridendo come due indemoniati, scatenando le risate generali. Quando poi si sono finalmente calmati, per due Comandanti è cominciato l'inferno: Bjorn ha ben pensato di andare da Blamenco a rovistargli nelle tasche, ridendo e sorprendendosi ogni volta che estraeva qualcosa che per lui era buffo o improbabile; Floki, invece, ha preferito rannicchiarsi sulle gambe di Marco a mangiucchiare biscotti. Il Comandante non è stato per niente contento di ciò, ma ha fatto finta di niente e ha continuato ad ascoltare le sciocchezze che Silly, Izo e Rakuyou riescono a tirar fuori, lasciandosi pure sfuggire una risata di tanto in tanto.
Con l'assopirsi dei piccoli diavoli dagli occhioni azzurri, la situazione si è leggermente calmata. Certo, ci sono le vampire di Týr che ballano sui tavoli al ritmo allegro della musica suonata da Mimì e Jena, ma a parte questo è tutto tranquillo.
Astrid, seppur a malincuore, ha abbandonato l'interessante conversazione che stava tenendo con Fenrir e Barbabianca, più che lieto di poter conversare affabilmente con due persone che hanno letteralmente visto la storia scriversi, e se ne è andata da Týr. Aveva già precedentemente notato che aveva messo su il muso, ma aveva preferito ignorarlo per godersi una bella cena e una sana conversazione con un uomo interessante.
Týr, stranamente seduto al tavolo dei Comandanti, osserva con fastidio Barbabianca parlare e scherzare con suo fratello, non riuscendo a capire perché lo trovi tanto interessante. Insomma, è un comunissimo umano! Perché mai stare al suo fianco a discutere di sciocchezze anziché stare con lui?
Altro motivo da aggiungere all'infinita lista “perché il vecchio deve morire”.
Stufo di quell'insopportabile affinità si alza in piedi di scatto, barcollando appena. Astrid non fa neanche in tempo a chiedergli cosa gli sia preso e neanche ad afferrarlo per un braccio per evitare che caschi da qualche parte, perché il vampiro si è già diretto verso i due Imperatori, più che deciso a riprendersi il fratello.
«Beh, credo sia ora di ripartire! Li avete conosciuti, loro due sono stanchi e... tu hai finito gli alcolici.» afferma sicuro, puntando l'indice accusatorio contro il temuto pirata, che a sua volta lo guarda senza capire esattamente cosa voglia e tanto meno perché.
«C'è una bottiglia di vodka proprio lì.» lo informa Marco, concentrandosi con tutto sé stesso per ignorare il principino che segue i contorni del suo tatuaggio con i denti della forchetta. Sa bene che se facesse del male, anche per sbaglio, a uno dei due, tutte le possibilità che ha di parlare civilmente con Akemi, magari anche di riallacciare un rapporto di semplice amicizia, andrebbero a gambe all'aria.
Týr, calmo e serio come poche volte in vita sua, lancia una veloce occhiata prima al Comandante e poi alla bottiglia appoggiata sul tavolo alle sue spalle. La trova incredibilmente odiosa ed è per questo che pensa bene di stapparla con i denti e di scolarsela praticamente alla goccia, lasciando di stucco tutti i presenti, che sono sì grandi bevitori ma non di certo a livelli simili.
«No, è vuota.» afferma con una punta di indifferenza nella voce, lasciando andare la bottiglia vuota sul tavolo.
Fenrir, disgustato ma non sorpreso, si passa una mano sul volto e si lascia andare ad un sospiro rassegnato, tornando poi ad osservare l'ubriaco fratellino «Bello, sono sempre più convinto che tu debba andare almeno una volta agli incontri dell'anonima alcolisti.»
Týr lo guarda con sgomento, aprendo a scatti la bocca senza far uscire alcun suono. Prova a metabolizzare la frase da lui pronunciata, a rimuginarci sopra, finché dopo qualche secondo le parole escono dalle sue labbra come un fiume in piena «Fenrir, come puoi dirmi una cosa simile?! L'anonima alcolisti va contro tutto quello che considero buono e puro in questo mondo!»
«Non penso che riuscirebbero a fare qualcosa con lui.» afferma sconsolato Rakuyou, bevendo quel poco che rimane nel suo boccale d'un fiato.
Týr, con passo barcollante, si dirige quanto più velocemente può verso la porta per andarsene sul ponte, consapevole pure da sbronzo che il fratello non gli permetterà mai di allontanarsi troppo senza di lui.
«Sono una setta, ve lo dico io. Sì, proprio come i matti, gli omosessuali o gli anziani!» farfuglia in un momento di puro delirio, scatenando le risate generali. Ad Ace va pure di traverso l'ultimo sorso di birra e finisce inevitabilmente per sputarne più della metà sul tavolo. Colpisce pure Silly che, contro ogni sua aspettativa, scoppia in una fragorosa risata. Certo, subito dopo gli sputa addosso del rum aromatizzato, ma non gli importa. L'importante è che non perda le staffe!
«Sta fuori come una piccionaia.» afferma sconcertato Barbabianca, senza staccare gli occhi dal vampiro che viene sorretto da una delle vampire. Era convinto di aver già visto e sentito le cose peggiori del suo repertorio, ma adesso capisce che sotto ci sono chissà quanti altri strati da scoprire.
«Ti dirò che un po' mi fa paura.» ridacchia Fenrir, alzandosi di malavoglia dal suo posto e stiracchiandosi i muscoli intorpiditi.
Astrid lo affianca velocemente, cingendogli la vita con le braccia e sorridendogli allegra. E come potrebbe non essere felice? Il suo grande amico-nemico, storico compagno di scorribande e padre di sua figlia è vivo, sta bene e presto tornerà a casa con loro. La sua vita è perfetta, non potrebbe chiedere di più. Certo, forse potrebbe desiderare la morte di Peter, ma non vuole proprio pensare a lui in un momento simile.
«Comunque ha ragione: se partiamo ora, entro l'ora di pranzo saremmo all'isola.» mormora dolcemente al marito, sfiorandogli con la punta delle dita la cicatrice che gli solca la guancia e il naso, cercando per l'ennesima volta ad immaginarlo senza, non ottenendo alcun risultato decente.
Fenrir annuisce distrattamente mentre si lascia andare ad un sonoro sbadiglio, voltandosi poi verso Newgate e poggiandogli amichevolmente una mano sul grosso e muscoloso braccio.
«Vi va bene viaggiare di notte?» gli domanda realmente interessato. Non vuole che si affatichino o che facciano qualcosa contro la loro volontà: hanno già sopportato suo fratello per troppo tempo!
«E che problema c'è?» risponde sorridendo fiero il capitano, dando una sonora pacca sulla schiena a quello che, ne è sicuro, potrebbe diventare un valido alleato. Anzi, è quasi del tutto certo che già lo sia!
La coppia sorride amichevolmente all'uomo e s'incammina fianco a fianco verso il vampiro che ha preso a sbattere la testa contro il muro per il nervoso, ridacchiando appena quando questi fa loro il gesto di muoversi perché si sta rompendo. Tutto con una sottilissima volgarità, s'intende.
«Voi due, signorini, a letto, forza.» ordina Astrid ai due piccoli terremoti, rallegrandosi e sentendosi potentissima nel vederli scattare in piedi senza discussioni.
«Dormiamo nella camera della tata!» urlano in sincrono i piccoli, prendendosi a braccetto e trottando allegri verso la madre, ostentando una più che evidentissima vivacità. Sono in pochi a rendersi conto che quei due non hanno la minima intenzione di andare a dormire, ma preferiscono non farne parola. È sufficiente vedere Astrid incazzata una volta per essere a posto per tutta la vita.
«A me fanno più paura loro due.» borbotta a denti stretti Silly, facendo ridacchiare i due pirati seduti vicino a lei. Non le danno neanche torto, dal momento che quelle due piccole belve hanno dato prova di essere addirittura peggio dell'antico zio.
«Va bene, ma prima di andare a letto prendete le vostre vitamine.» Astrid sventola davanti agli occhi dei due principini un barattolino bianco, sicura che almeno per questa volta non faranno storie. Secondo Fenrir è inutile dare loro vitamine o integratori alimentari vari solo perché crescono troppo velocemente per i loro standard, ma Astrid non ha voluto sentire ragioni: ha deciso che i suoi adorati piccoli psicopatici ne hanno bisogno e così è.
Allunga la prima pasticca a Bjorn che, sorprendentemente, la ingolla in silenzio, aprendo anche la bocca per rassicurarla.
«Bravo amore.» gli carezza dolcemente la testa e lo segue per pochi secondi con lo sguardo mentre corre tra le braccia di Jena, concentrandosi subito dopo su Floki. La sua espressione, così arrogante e furba, non le piace assolutamente, ma vuole continuare a credere che sia docile come il fratello, così gli mette tra le labbra sottili la piccola pasticca, che neanche un secondo dopo viene sputata da un lato.
«Non mi piace.» sentenzia capriccioso il bambino, incrociando le esili braccia al petto e guardando la madre con aria di sfida.
«Comunque devi prenderla.»
Ci riprova per ben altre quattro volte, Astrid, ma ogni volta la pasticca viene sputata con un'incredibile noncalanche. L'ultima, addirittura, viene sputata dritta, dritta sul suo bel viso, fatto che la manda in bestia.
«FLOKI!» urla già sul piede di guerra, afferrando il bambino per i capelli e avvicinandolo pericolosamente al proprio viso per mostrargli le zanne come avvertimento. Quando però il moccioso le scoppia a ridere in faccia, divertito inspiegabilmente dalla sua rabbia, decide di cambiare tattica, inginocchiandosi a terra e carezzandogli amorevolmente la testa. Dire che si sta vergognando a morte è totalmente superfluo.
«Fingi che sia una tic-tac!» gli allunga di nuovo la pasticca, sorridendogli nel modo più amorevole che può, ma Floki, senza tante cerimonie, le tira una pacca sulla mano, spedendo la pillola da tutt'altra parte.
«Cosa sei, una spacciatrice di vitamine? Vuoi farmi diventare vitamina dipendente, così, in crisi di astinenza, potrai farmi ballare come una scimmietta?»
I presenti non sanno se ridere o sparare un colpo in testa a quello che, senza ombra di dubbio, un domani diventerà un soggetto assai pericoloso. Perché insomma, un bambino che ti tira fuori ragionamenti simili è chiaramente instabile mentalmente, e loro hanno avuto più di una prova per decretare che un immortale instabile è più pericoloso di un ordigno nucleare.
«Sì, decisamente fa più paura lui.» afferma sottovoce Izo, facendo così ridacchiare Silly.
Astrid, che nel frattempo si è tirata in piedi, si massaggia le tempie e respira profondamente nel tentativo di calmarsi, ma lo sguardo strafottente del figlio è come uno schiaffo in piena faccia.
«Certo, poi andrò nel cortile di qualche scuola pubblica e adescherò i bambini con le gambe storte.» sibila nervosa, mentre le mani cominciano a tremarle. Non lo picchia per il semplice fatto che non gli farebbe comunque paura, motivo per cui è sempre Fenrir a massacrarli di botte.
«Dai, prendi la pillola.» sbotta spazientita, afferrando il figlio per un braccio e provando inutilmente a fargli ingollare le vitamine, sorprendendosi nel constatare che la sua forza aumenta di giorno in giorno in modo assai considerevole.
Questi due diventeranno dei mostri...
«Non la voglio! Lasciami in pace!»
Fenrir, più che stufo delle bizze del piccolo principe, li raggiunge a grandi falcate e strappa il barattolo con le pillole dalle mani della moglie, afferrando poi il figlio per una spalla e buttandolo a terra. Tempo un secondo e già lo ha bloccato a terra con un ginocchio in mezzo alle scapole, mettendogli inoltre la pillola in bocca a forza e tenendo poi una mano sulle labbra per impedirgli di sputarla. Per sicurezza gli ha tappato anche il naso con la stessa mano, così da costringerlo ad ingoiare pur di poter tornare a respirare. Cosa che infatti accade nell'arco di pochi secondi.
«Bravo il mio terremoto.» afferma sorridendogli e caricandoselo in spalla, ignorando deliberatamente le sue futili minacce di morte.
Týr, davanti alla porta, ha osservato tutta la scena con un forte senso di pietà ad invadergli il cuore. Anche lui, quando era piccolo, veniva costretto così da Fenrir a prendere gli intrugli che gli somministravano quando si ammalava. Ed è anche così che lo aveva costretto a bere il sangue sintetico la prima volta. Ed anche a rimettersi le mutande un giorno che decise di girare nudo per strada senza una particolare ragione. Se ci pensa, Fenrir ha sempre usato il solito modo per convincerlo a fare piccole cose: bloccarlo a terra e tentare di strangolarlo.
«Mimì!» tuona l'Imperatore, facendo scattare sull'attenti la vampira. «Tu rimani pure qui per stanotte.» il sorriso pieno di gioia e gratitudine che la ragazza gli rivolge fa sorridere pure lui, lieto di vederla di nuovo felice come un tempo. «Jena, prima di metterti qui di vedetta, voglio che leghi Ecate alla nave, così da far tenere loro la nostra stessa velocità.»
«Non è rischioso?» controbatte preoccupata la mannara dai lunghi capelli corvini, dirigendosi comunque verso il proprio Signore per eseguire i suoi ordini.
«No, se Ecate non va troppo veloce.»
«E io?!» urla a pieni polmoni Silly, scattando in piedi con un balzo e atterrando con grazie sul tavolo.
Fenrir le rivolge un lieve sorriso e le fa semplicemente cenno con la testa di seguirlo. Starà con lui a fare la guardia mentre Astrid e Týr riposano, in modo tale da darle anche quelle dritte su delle particolari tecniche di combattimento che da tanto tempo le aveva promesso.
Ace la osserva attentamente mentre si dirige verso il suo Signore, seguendone attentamente i movimenti: gambe forti e slanciate, corporatura longilinea, piccola di statura, i capelli rossicci legati in una treccia laterale e il suo cappello arancione che ciondola sulla sua schiena. Quando poi la mannara si volta a salutarlo e si calca sugli occhi il copricapo, si ritrova a sorridere come un ragazzino nel ripensare a come se lo sia preso.

«Ma è meraviglioso!» si complimentava Silly «Dico davvero! La vestibilità è perfetta, è fatto con il cervello!»
Rakuyou ridacchiò, appoggiato al parapetto del vascello paterno sul tranquillo ponte di poppa. Quella strana immortale senza i pantaloni era riuscita a convincerlo a sfilarsi di dosso il soprabito, e se l’era provato senza badare troppo al fatto che l’odore non fosse dei migliori. Certo, lo lavava, però era pur sempre il suo indumento preferito, e quindi il più messo. «Merito delle sartorie di Creüza! Sono i migliori, quando si tratta di ago e filo!» le spiega orgoglioso il capitano della Settima Divisione.
Gli occhielli rifiniti, i bottoni ben saldi, la chiusura sul collo esattamente dove era necessaria per ripararsi dal vento forte che spirava sulle navi in mezzo agli oceani; tasche nascoste piene di piccoli tesori che le mani di Silly sfiorano, ma lasciarono rispettosamente al loro posto.
«Creusa, giusto?» si sincerò la lupetta, già programmando il prossimo viaggio.
«Creüza.» la corregge il pirata issandosi a sedere «La pronuncia è diversa.»
Silly adorava Rakuyou. Mimì la conosceva e capiva bene come quello strano pirata, pieno di orecchini e con i capelli rasta, potesse attirare un tipetto curioso come Silly, che osservava con occhi spalancati il mondo nonostante vi scorazzasse da parecchi millenni. Forse era proprio questo suo sorprendersi di continuo per le piccole cose che non le rendeva indispensabile sballarsi tra festini e gozzoviglie come i suoi colleghi licantropi e vampiri. Quando avrebbe scoperto che razza di frutto aveva mangiato il capitano Blamenco, avrebbe sicuramente tempestato di domande anche lui.
Portuguese D. Ace si avvicinò al fratello, notando la massa di dreadlock biondi in lontananza.
«Ehi Rak» lo richiamò. «Senti, puoi spostare un po’ il tuo vascello, nella rimessa sotto la stiva, sta dando fastidio a… che cavolo è successo?!» si bloccò.
Rakuyou senza soprabito è come Akemi senza tatuaggi. Come il mare senza vele. Come la Marina senza idioti. Impossibile.
Il pirata che stava con Silly scoppiò a ridere, e si prese tra le dita il tessuto della camicia che gli rimaneva addosso. «Che c’è? Solo con questa non mi riconosci?»
«Credo di non averti mai visto senza quel coso addosso…» boccheggiò Pugno di Fuoco riferendosi al soprabito bianco, con un mezzo sorriso. Poi si ricompose, tornando al solito ghigno, e disse a Silly: «Come hai fatto, signorina lupetta?»
«È stata convincente.» rispose Rakuyou serissimo.
«“Signorina lupetta”?» fece Silly, sgranando stranita gli occhioni.
«Beh, sei una signorina… e sei un lupo, a quanto ho capito. Silly, giusto?» si corresse Ace sorridendo ancora.
«Silly.» confermò la ragazza. «Nessuno mi aveva mai chiamata “signorina”» spiegò, finalmente liberando un sorriso rivolto al Secondo Comandante. «Non credo sia appropriato a me!»
«Va bene» concesse obbediente Ace con un inchino compito «La prossima volta ti chiamerò “giovanotto”. Rakuyou, devi spostare il tuo Morhead, come l’hai messo Halta non riesce ad uscire dalla Moby con il suo veliero e i tuoi sono tutti a zonzo.»
«Volo!» si preoccupò il comandante acchiappando il proprio soprabito che Silly gli porgeva per andare ad evitare una faida familiare.
«Cavoli, adesso ho freddo!» si lamentò Silly, rimasta orfana del caldo indumento di Rakuyou. «Ciao!»
«Te ne vai già?» protestò Ace. Accidenti, tutta quella messinscena per mandare via il fratello e la lupa se ne andava subito via?
«Ho freddo senza il soprabito!» spiegò lamentosa la piccola Silva. «Torno sulla nave così prendo un maglione.»
Ma non un paio di pantaloni, pensò Ace notando il suo abbigliamento, composto da un bikini con i laccetti e una grande camicia azzurra palesemente da uomo.
«Se è solo il freddo il problema…» e come per magia dalla mano del figlio di Newgate scaturì una fiamma vivida, intensa e calda, che fu avvicinata con precauzione alla ragazza.
«Oh. Questo è meglio del maglione.» riconobbe Silly mettendo le mani vicino al fuoco appena creato solo per lei.
Ace sogghignò. Quello che quando era ragazzo era considerato solo l’ennesimo modo per essere un mostro, sulle donne faceva sempre colpo.
«Sei una svelta a fare amicizia, ho visto.» osservò, per tentare una conversazione con quella strana ragazza che l’aveva immediatamente incuriosito. Metti l’atteggiamento tranquillo, metti la completa idiozia nel chiedere a Shanks se fosse rosso anche sotto la cintura, metti il fatto che avesse distrutto in un gesto la mandibola di una donna solo perché le si era avvicinata… insomma, non erano cose che si vedevano dappertutto, nemmeno per un pirata come lui.
«Siete bellissimi!» rispose senza peli sulla lingua Silly. «Siete… diversi. Vivi. Namiur è un uomo-pesce, ci pensi? Vengono discriminati in tutto il mondo ma lui… lui è il capitano dell’Ottava Flotta!! E Fossa ha detto che mi cucinerà le salsicce!! Ognuno di voi ha tanti segreti meravigliosi. Qual è il tuo segreto, Ace?»
Sono il figlio di Gol D. Roger, pensò il ragazzo, ma non fece in tempo a rabbuiarsi davanti a quegli occhi sognanti, e sentì la propria bocca rispondere: «Ma se è un segreto, perché dovrei dirtelo?»
«Rakuyou me l’ha detto» rispose con ovvietà la lupa.
«Ma non è un segreto per nessuno che lui e il suo soprabito siano inseparabili!»
«Non era mica quello, il segreto.» sussurrò piccata Silly.
«E che diavolo ti ha detto?»
«“Se è un segreto, perché dovrei dirtelo?”» ghignò furba la ragazza. «Ciao ciao, bel comandante!» spiccò un salto, gli rubò il grande cappello dalla testa e sparì, veloce e guizzante come l’acqua dei ruscelli.
*

Non appena il gruppo di immortali sparisce, nella grande sala mensa cala un profondo silenzio. La loro presenza aveva impedito a tutti i pirati di pensare che nell'arco di poche ore avrebbero rincontrato Akemi, che sarebbero seriamente sbarcati su un'isola celata al mondo intero, che sarebbero entrati in contatto con una comunità di esseri soprannaturali mangiatori di uomini. Solo adesso ci pensano sul serio: pensano che tutto cambierà in maniera definitiva, che stanno per aprire un nuovo capitolo nelle loro già frenetiche vite e che niente sarà mai più come prima.



*Questa parte è stata scritta gentilmente da Yellow Canadair, a cui appartiene il personaggio di Silly Silva. Devo dirtelo, anche se l'ho già fatto: io amo Silly! È dolcina e furba in una maniera meravigliosa! E finalmente non è solo Marco quelle che subisce angherie da un'immortale! XD
Yellow... TI AMO!!! 



Angolo dell'autrice:
Anche se in ritardo, eccomi qui! :D Anche questa volta ho una scusa: oltre allo studio (maledetta quella gente bastarda con una fantasia pari a 0 che dava nomi tutti uguali giusto per confondermi!), il mio ragazzo mi ha comprato una tavoletta grafica. Penso che sia inutile dire che ormai io e la tavoletta viviamo in simbiosi XD
Infatti, passandoci praticamente un pomeriggio, ho disegnato un sacco di gente! Il cattivo del sequel, un personaggio che apparirà a fine storia, Satch e Mimì (http://it.tinypic.com/r/w1u4o8/8 ), Marco e Akemi ed infine, disegno che ha richiesto non so quante ore, la nostra protagonista: http://it.tinypic.com/r/adcd8h/8 . Notate anche voi che ha ancora mooolti spazi bianchi sulla pelle? Io si. Ah! Un paio di tatuaggi verranno detti solo nel prossimo capitolo (mi sono avvantaggiata), mentre altri sono stati cambiati di disposizione (piccolo incidente di percorso xD). Prendiamola per buona via!
Ah, anche i gemelli ho disegnato (seppur da schifo): http://it.tinypic.com/r/f77g1/8 . E no, quelle non sono occhiaie, ma la matita sciolta! Perché, come detto nel testo, i due principini si divertono a truccarsi perché lo hanno visto fare alla sorella.
I loro nomi non sono stati scelti a caso: Bjorn è il nome di un vichingo realmente esistito, soprannominato “Fianco d'acciaio”; Floki, invece, è stato scelto in onore del meraviglioso personaggio della serie Vikings (che io sto aspettando impazientemente che ricominci! XD).
Poooi... Týr che viene finalmente preso a pugni? (tra l'altro lo farò picchiare anche nel prossimo capitolo, giusto per non farci mancare niente :3) :D Io non sono io se non faccio picchiare i miei OC. Non ne capisco il motivo, ma mi rende incredibilmente felice.
Marco presto mi ucciderà, me lo sento! Insomma, non gliene faccio andare una per il verso, povera creatura! Ma non temete, si riprenderà presto!
Nel prossimo, ovviamente, si ritrovano tutti, e questo è chiaro. Poi scriverò qualche capitolo dove le cose si sistemeranno un po', e tutto sembrerà andare per il meglio. Poi arriverà quello che forse è il colpo di scena più grande della storia! Poi botte, sangue, violenza... e poi non vi dico altro! XD

Bah, direi di aver stronzeggiato a sufficienza, che ne dite? :P
Un grazie di cuore a Lucyvanplet93, Nakurami, marisole, Chie_Haruka, Yellow Canadair, ankoku, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, KuRaMa KIUUBY e Keyea Hanako D Hono per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo.
Siete dei tesori

A presto, un bacione
Kiki~

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Capitolo 39
*** 39. Benvenuti ad Helheimr ***


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Dopo l'assai abbondante banchetto della sera precedente, la ciurma ha ben poco con cui fare colazione. Però nessuno si lamenta, dal momento che hanno ben altro a cui pensare. Come, per esempio, il fatto che da lì a poco approderanno su un'isola piena di creature sputate dall'Inferno.
Per fare un altro esempio, sennò, il fatto che abbiano sentito degli strani rumori provenire dalla stanza del Quinto Comandante dopo che Jena ha smontato la guardia.
Per farne un altro, sennò, il fatto che due piccoli demonietti dagli occhioni dolci scorrazzino sulla loro nave a briglia sciolta.
Mentre sono tutti immersi in chiacchiere leggere per evitare di crollare addormentati con la faccia immersa nel cibo come spesso capita ad Ace, l'Imperatore immortale fa il suo ingresso nella stanza, mettendo in bella mostra un busto magnificamente allenato ricoperto di vistose cicatrici.
«Buongiorno...» biascica a mezza bocca mentre si stropiccia l'occhio. Ha i capelli arruffati in maniera imbarazzante, sparati da un lato come se una mucca gli avesse leccato la testa nel sonno. Indossa solo un paio di pantaloni blu di una tuta e la benda nera sull'occhio mancante. Niente maglia, scarpe o calzini. In fondo, si è svegliato da quindici minuti scarsi; lavarsi i denti e farsi una doccia veloce era il massimo che il suo corpo provato dall'orrenda nottata potesse fare.
«Hai un'aria da schifo!» urla senza peli sulla lingua Ace, facendo voltare tutti i presenti verso il ciondolante licantropo, la cui espressione tradisce un disperato bisogno di riposare.
«Ho dormito sul comodino.» biascica in risposta il diretto interessato, allungando un braccio verso la tavola scarsamente imbastita e afferrando un tozzo di pane per mettere a tacere lo stomaco. «Silly ha insistito per fare la guardia da sola, così sono andato a dormire con Týr e Astrid. Il problema qual è? Astrid si prende almeno tre quarti del letto, mentre Týr prova a stritolarti e scalcia come un mulo. Inevitabilmente mi sono ritrovato a dormire sul comodino.» spiega dopo aver ricevuto degli sguardi confusi dai pirati, che adesso ridono di gusto di lui.
«E tu saresti un Imperatore?!» lo sfotte prontamente Rakuyo.
«Prima di tutto sono fratello, padre e marito.» la risposta di Fenrir è pacata e calma, diversamente da ciò che uno si potrebbe aspettare da un lupo mannaro del suo calibro.
«Tenetevi pronti, manca circa un'ora allo sbarco.» afferma subito dopo, incamminandosi tranquillo verso il capitano. Vuole rivelargli più dettagli su ciò che li aspetta una volta sbarcati, spiegargli quali sono le loro usanze e ribadire per la trentesima volta che non dovranno fare commenti o vomitare nel caso vedano qualcuno mangiare arti umani.
«Non abbiamo ancora avvistato uno straccio di terra!» gli urla dietro Jaws, non riuscendo a capire se quell'uomo li sta prendendo in giro e li sta conducendo alla morte, o se è serio e c'è nuovamente qualcosa dietro.
«Helheimr è protetta da un incantesimo che la cela totalmente al resto del mondo. Solo il sangue di un Lothbrook permette l'accesso.» spiega calmo l'Imperatore, sedendosi composto al proprio posto. Sente improvvisamente una stretta allo stomaco quando vede arrivare a passo di marcia la consorte e il fratello, già intenti a scannarsi a parole.
E pensare che gli ho detto semplicemente di incidere la runa sulla polena, pensa scocciato, passandosi le mani nei capelli. La situazione per lui diventa ancora più critica nel momento in cui fanno il loro ingresso pure gli agitatissimi gemelli, galvanizzati come sempre.
«Babbo!» urlano in coro, superando la madre e lo zio e lanciandosi con forza tra le sue braccia. Lo stringono e sorridono felici quando vengono stretti a loro volta, sentendosi protetti da qualsiasi pericolo esistente. Pure loro sono a conoscenza della minaccia esercitata da Peter, ma grazie alla presenza del genitore non riescono a comprendere perché tutti ne siano così spaventati.
«Vi siete comportati bene?» domanda il Sovrano con tono dolce, carezzando delicatamente le testoline brune dei piccoli diavoli che gli sorridono con un'aria evidentemente colpevole. Certo non gli diranno mai che hanno passato buona parte della notte svegli a giocare a carte con Ace e Blamenco, e neanche che gli è stato insegnato a barare, ma Fenrir se lo immagina.
«Lo sapevo.»
«Ma tu sai sempre tutto?» domanda sbalordito Bjorn, alzandosi in piedi sulle gambe del genitore e guardandolo con occhi sgranati.
«Certo!» non è del tutto ironico Fenrir. Pur non essendo un grande studioso come può esserlo Wulfric, arriva sempre ad intuito a capire ciò che lo circonda, motivo per cui può dire con una certa sicurezza di sapere sempre tutto. Un altro esempio della sfacciata fortuna della dinastia Lothbrook.
«Signorini, via le maglie. Scopriamo quanto siete aumentati di massa.» ordina Astrid, afferrando saldamente Floki sotto le braccia per capire quanto il suo peso sia aumentato.
Li controlla ogni giorno per scoprire quanto la Luna abbia influenzato la loro crescita, quanto le loro ossa si sono allungate e quanto i loro muscoli si siano sviluppati. All'inizio la cosa la terrorizzava al punto da lasciare il compito a Wulfric e Freki, medici dell'isola, ma alla fine ha accettato la cosa e ha cominciato ad occuparsene di persona.
Anche quella notte il loro aspetto è cambiato: da graziosi bambini con i visetti angelici, a ragazzini dai tratti più decisi e gli occhi maturi, con i capelli che ricadono loro sul collo; i muscoli delle braccia e delle gambe si sono ulteriormente sviluppati, mentre la pelle sugli addominali pare quasi essersi modellata per mettere in risalto i muscoli sottostanti, conferendogli una tartaruga degna di nota.
«Allora?» domanda curioso Fenrir, mentre il fratello si siede tra lui e Barbabianca per riuscire a dividerli.
«Di questo passo diventeranno grossi come tori...» mormora vagamente stizzita, lasciando andare i figli che immediatamente corrono dai Comandanti a cui si sono affezionati di più. Gli uomini, seppur ancora con una lieve incertezza, lasciano che i due piccoli principini si uniscano a loro e facciano colazione con i pochi rimasugli di cibo che sono riusciti a conservare dal più che abbondante banchetto della sera precedente.
I tre Sovrani conversano tranquillamente tra loro sotto gli occhi attenti del capitano, che sorseggia la sua usuale tazza di caffè.
Un grido carico di eccitazione, seguito dall'arrivo turbolento di Mimì, rompe improvvisamente la loro quiete, facendoli scattare in piedi come molle. In fondo sono pur sempre nel mirino di Peter Bàthory, abbassare la guardia sarebbe da imbecilli, e Mimì è solita emozionarsi come una bambina quando sta per combattere, come se si trattasse di un gioco divertente. Quando però la vedono correre verso di loro quasi volteggiando, seguita da un più che imbarazzato Satch che cammina con la testa china e un vistoso rossore sulle guance, rilassano immediatamente i muscoli e tornano alla loro colazione, fregandosene come di consuetudine. Se ci fossero stati degli avversari nel raggio di un chilometro, si sarebbe limitata ad urlare come una pazza e saltellare immediatamente sul ponte per riceverli in grande stile. Invece adesso porge la mano sinistra al suo Signore, mettendo in mostra un anello fatto con il collo limato di una bottiglia.
«Wow, un anello orribile, complimenti.» commenta Týr, tornando a sorseggiare la sua tazza di sangue quotidiana. Questo è uno dei motivi per cui freme dalla voglia di tornare a casa: potrà finalmente interrompere quella maledettissima dieta!
«Sai cosa significa?» domanda eccitata Mimì, saltellando sul posto come una bambina.
Satch, seduto in mezzo ai fratelli, poggia i gomiti sul tavolo e si regge la testa tra le mani, senza avere il coraggio di guardare nessuno. Non che sia pentito di ciò che ha fatto, per carità, solo che sa bene quanto la sua scelta sia piuttosto innaturale per uno come lui.
«Che il tuo cattivo gusto ha toccato vette ancora inesplorate?» azzarda Týr, facendo sbuffare una più che sorridente Mimì. Astrid, al fianco del vampiro, si porta le mani alla bocca, emozionata. Jena, seduta sulle gambe di Vista, scatta in piedi fulminea e squittisce per l'emozione, insospettendo ulteriormente i vari pirati. Silly, diversamente dalle due lupe, si limita a rimanere in silenzio a fissare l'amica, incapace di concepire un qualsiasi pensiero di senso compiuto.
«SONO FIDANZATA!» urla piena di gioia la vampira, scatenando così l'incredulità generale. Un pirata che si sposa non è una cosa da tutti i giorni, in fondo. Per alcuni versi è addirittura innaturale!
I vari Comandanti seduti allo stesso tavolo del promesso sposo si voltano a guardarlo allibiti. Avevano sì capito che quella era una relazione di una certa importanza per Satch, ma non avrebbero mai e poi mai immaginato che avrebbe compiuto un passo tanto importante.
Satch, sentendosi osservato, alza un poco la testa, incontrando così le loro facce sconvolte. Non che si aspettasse reazioni tanto differenti in realtà, ma sperava almeno in un sorriso.
«Era l'unico modo per farle dimenticare la questione del “mostro”...» si giustifica così, sorridendo in modo forzato e tornando poi a fissare il piatto semi-vuoto davanti a sé.
Quando poi decide di alzare finalmente la testa per vedere la reazione dello stimato capitano, tira un mentale sospiro di sollievo nel vedere il suo sguardo sempre duro e fiero ammorbidirsi, tanto da sciogliersi in un'espressione commossa.
Fenrir, fin'ora rimasto seduto e composto, si alza lentamente e fissa con sguardo impenetrabili i due, mettendoli non poco in soggezione. Poi, lasciandoli un poco interdetti, alza in alto il suo calice pieno di tè, esclamando: «Gratulerer!»
Mimì, incapace di trattenersi, si butta tra le sue braccia e lo stringe con forza, ricordandosi solo in un secondo momento che quello che sta stritolando è il suo Imperatore. Nel momento in cui prova ad allontanarsi, però, l'uomo la stringe a sua volta, passandole dolcemente una mano sulla testa.
Silly, fin'ora rimasta al suo posto in silenzio, si alza incerta e si dirige con passo malfermo verso quella che, da quando ha abbracciato l'immortalità, è la sua più grande e cara amica, bloccandosi a meno di due metri da lei. La guarda dritto negli occhi, con un turbinio di emozioni a farle girare la testa. Poi la felicità prevale su qualsiasi altra cosa e si fionda urlando tra le sue braccia, venendo stretta a sua volta dalla futura sposina.
Le due saltellano sul posto, squittendo come due ragazzine, e la tensione venutasi a creare sembra spezzarsi di colpo: tutti esultano, tutti brindano con il caffè e il latte caldo che hanno davanti, augurando al loro compagno tutta la felicità di questo mondo.
Satch è ben consapevole di aver fatto una scemenza colossale, così come sa che sarà un rapporto difficile per entrambi. Perché sì, lei può benissimo rintracciarlo e andare da lui ogni volta che ne avrà voglia, ma in ogni caso dovranno sicuramente stare separati per lunghi periodi di tempo: lui è un pirata molto ricercato, un Comandante di Barbabianca, mentre lei è una vampira millenaria legata alla sua gente, costretta da antiche regole a servire fedelmente il proprio Sire e, di conseguenza, a stargli vicino. Senza contare poi che Mimì ha pure il fratello ad Helheimr.
La situazione sarà resa ancor più difficile per il fatto che Satch ha già messo in chiaro di non voler essere trasformato, di non voler abbracciare l'immortalità, motivo per il quale sono entrambi più che consapevoli che la ragazza, un domani, soffrirà immensamente e per un assai lungo periodo di tempo.
Ma adesso non vogliono pensarci. Non vogliono pensare a niente al di fuori dell'arrivo all'isola.


«Credi che sia stata una buona idea lasciarle da sole?» domanda incerto Ed, camminando con le mani nelle tasche e la testa china. È sicuro che la combinazione Akemi + Freya sia già di per sé esplosiva, e non certo in senso buono, ed è ancor più sicuro che quella combinazione sommata al fatto che siano state lasciate da sole nella zona desertica ad allenarsi sia assai peggiore.
Ginevra, come ormai accade sempre più spesso in sua compagnia, lo prende a braccetto e poggia la testa sulla sua spalla, sospirando pensierosa. Anche lei sa bene che quelle due psicopatiche se ne daranno di santa ragione, e anche che probabilmente ne usciranno con delle ferite di non lieve entità, ma sa altrettanto bene che nessuno ad Helheimr in quel momento può mettere in discussione le decisioni di Freki. Probabilmente neanche se ci fosse Fenrir potrebbero essere cambiate, visto che è stato proprio il Sovrano, con il permesso della moglie, a rendere il licantropo il tutore della ragazza, titolo assai prestigioso anche se noioso.
«Stai tranquillo Eddy» gli sorride dolcemente facendolo arrossire «Freki sa quello che fa.»
Il giovane licantropo non è per niente rincuorato dalle sue parole, ma decide saggiamente di lasciar perdere la questione. Preferisce provare a rilassarsi e godersi la compagnia della donna al suo fianco mentre passeggiano sulla spiaggia.
È proprio su questa spiaggia, che confina con il limite del bosco, che i due si sono trovati quella mattina. Wulfric aveva dato loro il compito di pulirla, e così hanno fatto: hanno raccolto i pochi mozziconi di sigaretta che il vento aveva trasportato fuori dai posacenere e i pochi legnetti sparsi sotto la sabbia. Ora è perfetta, come deve essere, e Ed si sente profondamente fiero di sé stesso.
Le onde basse vanno e vengono col loro monotono mormorio che sembra quasi una ninna-nanna. Si infrangono sulla spiaggia bianca, bagnando loro i piedi scalzi. Alcuni cuccioli escono dall'acqua, ridendo e schizzandosi. C'è pure il suo fratellino più piccolo, Banzai, intento a rincorrere gli amichetti.
C'è un dolce profumo di frullati fatti con la frutta di stagione nell'aria, proveniente dal piccolo chiosco nelle vicinanze. Gli viene voglia di portarci la bella Ginevra, ma l'urlo emozionato del fratellino lo mette subito in allarme. Non che ci siano reali pericoli sull'isola, neanche per sogno, ma quei bambini sono sempre tanto agitati da non lasciarti mai il tempo di rilassarti completamente. Con tutte le loro scemenze quotidiane, che prevedono costantemente un osso rotto, non puoi mai lasciarli davvero da soli.
Si volta di scatto per aiutarlo, vedendolo correre di nuovo fuori dall'acqua senza alcuna preoccupazione. Anzi, può dire senza ombra di dubbio che quel piccolo diavoletto giocherellone è molto felice. Per cosa non lo sa, ma in realtà non gli importa poi molto.
«Ed...»
Gli importa molto di più sentire la voce quasi terrorizzata della donna al suo fianco.
Seguendo il suo sguardo, fermo e completamente catturato da qualcosa di sconvolgente, si accorge, in un primo momento, dei due gemelli che si spogliano e corrono in mare per giocare, spiegandosi così la felicità del fratellino, ma si accorge anche della presenza di due cose assolutamente straordinarie: umani, tantissimi umani, lasciati liberi di muoversi, come se fossero in vacanza, fatto mai accaduto prima; ma soprattutto si accorge della presenza di un vampiro che fino a quel momento non aveva mai avuto l'onore di vedere, ma di cui aveva tanto sentito parlare.
Sente la mandibola staccarsi e le gambe farsi molli tutto in un colpo. Inevitabilmente cade a terra quando i genitori, invasi da un profondo senso di gioia, lo spintonano per lanciarsi tra le braccia di un resuscitato Týr.
Non tutti però hanno avuto la loro stessa reazione: alcuni si sono mostrati confusi e incerti, altri terrorizzati. Perché nessuno è mai tornato dal mondo dei morti. Solo gli spettri ci sono riusciti, ma non hanno di certo un corpo tangibile come invece ha il loro resuscitato Re.
Ed e Ginevra, totalmente imbambolati, continuano a stare seduti sulla calda sabbia a fissare quell'enorme gruppo avanzare senza preoccupazioni. Beh, non proprio senza, perché i vari umani dietro i Sovrani emanano un chiarissimo odore di paura. E come dargli torto, in fondo? Sono circondati da mostri! Dietro di loro si trascinando Windigo, Banshee e altre creature dall'aspetto mostruoso, con corna, peli e zanne.
Coloro che bivaccavano in spiaggia sono completamente ipnotizzati da quella visione. Ipnotizzati e profondamente confusi: come fa Týr ad essere vivo? Molti lo hanno visto morto stecchito. Ma, soprattutto, perché Fenrir e Astrid camminano al fianco di esseri umani? Solo per la Luna di Sangue vengono portati sull'isola, e mai nessuno ne esce vivo. Dai loro sguardi e dal modo in cui si parlano, però, capiscono subito che quelli non sono venuti per fare da spuntino: sono ospiti.
«Ehi, tossicomane!»
Sentire la voce allegra di Týr li stordisce come un pugno devastante nella bocca dello stomaco, e non sono pochi quelli che si commuovono e scoppiano in un pianto quasi disperato. Giusto i bambini se ne sbattono altamente e continuano a giocare, ignari di quanto quell'evento sia memorabile.
In realtà non sono solo i bambini a fregarsene: anche Freki!
Il licantropo, infatti, è rimasto placidamente sdraiato sulla sua sdraio a prendere il Sole e rilassarsi, stordito dai nuovi farmaci che ha deciso di testare.
Il gruppo si avvicina ai fratelli Ulykke, osservandoli con una certa rabbia. I pirati infatti hanno riconosciuto subito i due come quelli che aggredirono Akemi. Marco, in particolar modo, ha riconosciuto immediatamente Freki, e una voglia disumana di distruggerlo a livello molecolare ha invaso ogni singola cellula del suo corpo.
È solo grazie alla ferrea presa che Silly esercita sul suo polso che non scatta per attaccarlo.
La rossa gli fa poi cenno con la mano libera di avvicinarsi e Marco, seppur con una certa incertezza e riluttanza, esegue, portando il viso a pochi centimetri dal suo.
«Gliel'ha data perché ha saputo che te ne sei sbattute due alla volta. Quello che non sapeva è che tu la credevi morta.» afferma a bassa voce la ragazza, facendolo accigliare. «Quindi, per farla breve, siete due coglioni orgogliosi e impulsivi. Sì, cara Fenice, anche tu. Dovresti sapere che i giornali della Marina non sono attendibili al cento per cento!» aggiunge subito dopo, lasciandolo finalmente andare.
«Com'è che a te non fa nessun effetto vedermi?» si concentra completamente sul tono incerto di Týr, Marco, e si sforza con tutto sé stesso di guardare altrove per non perdere completamente le staffe. In fondo, prima di sbarcare, Newgate l'ha convocato nella sua cabina per raccomandarsi di non fare sciocchezze di alcun genere; non sanno dove stanno per sbarcare, non sanno se possono fidarsi di tutti gli abitanti come dice Fenrir, quindi è meglio mantenere un basso profilo e non essere invadenti.
«Ti sbagli, Týr. Mi fa molto effetto, ma sono sotto sedativi.» risponde pacatamente Freki, lasciando vagare lo sguardo sui pirati che lo osservano con gli occhi iniettati di sangue.
Marco volta disgraziatamente la testa proprio nel momento in cui gli occhi del lupo sono sulla sua figura, ed è solo grazie all'intervento tempestivo di Silly e Mimì che non scoppia una violenta rissa tra i due.
I tre Sovrani sospirano innervositi ma, alla fine, non dicono niente, consci del fatto che loro stessi avrebbero fatto di peggio, mentre Freki se la ride sotto i baffi. Dopo la bruciante sconfitta di qualche mese prima, freme dalla voglia di staccargli la testa dal collo e di farlo a pezzettini.
Geri, seduto al suo fianco, prova ad alleggerire la tensione con una battuta decisamente poco divertente, che però riesce comunque a distogliere l'attenzione dei presenti dal problema principale.
«Abbiamo o no il dottore migliore del mondo? Testa i nuovi medicinali sulla sua pellaccia!» esclama infatti con voce allegra, sforzandosi di sorridere cordialmente. Lui, al contrario del fratello maggiore, è sempre stato vagamente più incline ad essere cordiale con gli ospiti, motivo per cui generalmente è lui quello che accompagna i nuovi arrivati ad esplorare l'isola.
«Questo non è indice che è un bravo dottore, Geri, ma solo che è dipendente dai farmaci.» risponde piccato Fenrir, fulminando con lo sguardo i due fedeli sottoposti ed imponendogli così di mantenere la calma. Non vuole risse, non vuole problemi: se devono sbudellare un essere umano, ci sono molte isole nei dintorni in cui divertirsi.
«Dov'è Kakashi?» domanda impaziente Týr, desideroso di abbracciare quello che senza ombra di dubbio è il vampiro che gli è uscito meglio: egocentrico, pazzo, con una sorprendente inclinazione all'omicidio e alle feste. Una sua copia in pratica!
«Ha fatto l'ennesima stronzata.» risponde sconsolato Geri, alzandosi finalmente in piedi per poter vedere più da vicino i pirati a cui ha dovuto dare la caccia. Gli sarebbe piaciuto scontrarsi con loro e tornare a casa con un nuovo trofeo, ma adesso si accontenta di farci amicizia e scoprire se sono simpatici e disponibili come più volte ha affermato la piccola Lothbrook.
«Ha mangiato di nuovo la frutta, eh?» storce le labbra e inarca un sopracciglio, Týr, evidentemente scocciato dalla testardaggine del suo piccolo tesoro.
«Esattamente.» affermano in coro i due fratelli, che per oltre un'ora si sono dovuti prendere cura dell'eccentrico biondino che ha voluto fare come al solito di testa sua. È anche per questa ragione che Freki si imbottisce di psicofarmaci un giorno si e l'altro anche di più: deve sopportare i continui sbalzi di umore di quel lunatico schizzato e deve anche riuscire a calmare i suoi impulsi suicidi/omicidi.
Ace e Satch, che non riescono a capire per quale ragione mangiare la frutta possa essere ritenuta una stronzata, si voltano di scatto verso Mimì e la strattonano leggermente per un braccio per attirarne l'attenzione.
«Spiegazione.»
Sorride appena la vampira, sentendosi lei stessa male all'idea di quello che sta passando il suo folle e caro amico dai capelli ossigenati.
«Noi vampiri non possiamo mangiare cibo solido, il nostro organismo non lo accetta. Possiamo nutrirci solo di sangue e tolleriamo poca altra roba liquida.»
«Se invece mangiate?» azzarda Ace, domandandosi come una persona normale possa resistere senza carne per tutta la vita. Anzi, se ci pensa un attimo, per molto più di una vita!
«Vomitiamo a spruzzo e ci sembra che ci stiano pugnalando nello stomaco. Tutto per diverse ore.» risponde pacatamente Mimì, come se fosse una cosa ovvia.
I presenti che hanno origliato la conversazione tra la vampira e i due Comandanti sono tutti dello stesso parere: vivere una vita da vampiro equivale a vivere una vita di merda!
«Fossi in te, comunque, correrei molto veloce.» borbotta con una certa indifferenza Freki, provando a concentrarsi sui suoni che il suo fine udito riescono a percepire anche a quella grande distanza. Perché ha sì lasciato volontariamente la sua allieva nelle grinfie di Freya per fare in modo che impari a difendersi sul serio da qualcuno che la vuole morta, ma non per questo non interverrebbe di corsa nel caso le cose si mettessero male.
Týr, dal canto suo, non riesce a capire fino in fondo il perché di quell'avvertimento, ma non fa in tempo a chiedere spiegazioni che un urlo feroce ed incredibilmente familiare gli giunge alle sensibili orecchie, facendolo tremare.
«STRONZO!»
Wulfric non perde praticamene mai il controllo. È successo pochissime volte in settemila anni, e sempre per ragioni valide come, per fare un esempio, l'ostinazione del suo Sire, nonché migliore amico e salvatore, nel mangiare cibi solidi che poi lo riducevano ad uno straccio; o, per citarne un altro, quando la veggente aveva spifferato a Peter tutti i loro piani. Nella maggior parte dei casi, però, era sempre colpa di Týr, come in questo caso.
L'antico Re, conscio del fatto che Wulfric è fisicamente più forte di lui, si sfila frettolosamente la giacca per provare a liberarsi dalla sua presa, venendo però afferrato prontamente per i capelli.
«Mollami subito!» urla sul punto di una crisi isterica, venendo allegramente ignorato e sbattuto a terra come un tappeto.
Wulfric gli si piazza sopra a cavalcioni e gli molla un pugno in pieno volto, rompendogli lo zigomo. A quel pugno ne seguono molti altri, e a poco vale la resistenza del Sovrano: se Wulfric decide di picchiarti per farti capire il tuo errore, allora lo farà, e non ci sono Sovrani capaci di fermarlo. In realtà Fenrir potrebbe batterlo senza sforzo, ma vederli azzuffarsi come due bambini lo diverte ogni volta.
«Stygg dust! Du har en vag idé om hva jeg gikk gjennom?! Du er en egoistisk drittsekk!» urla in preda alla rabbia più cieca Wulfric, rotolandosi nella candida spiaggia assieme a Týr. Si tirano i capelli fino a strapparsi delle ciocche, si prendono a pugni e si strattonano come se ne valesse della loro vita. «Nå skal jeg drepe deg seriøst, stinking drittsekk! Og tro meg når jeg forteller deg at ikke kommer tilbake!»*
Wulfric urla. Týr urla. Fenrir ride di gusto e Astrid si vergogna come una ladra. La ciurma non ha idea di cosa pensare di fronte ad un atteggiamento simile, e il fatto che alcune creature dall'aspetto assai poco amichevole li annusino e li guardino come se fossero dei succulenti polletti allo spiedo non li aiuta a stare tranquilli o pensare lucidamente.
«Cosa sta dicendo?» domanda Blenheim alla bionda licantropa, osservando il vampiro dai lunghi capelli grigi sotterrare la testa di Týr sotto almeno un metro di sabbia.
«Lo insulta e lo minaccia.» risponde assottigliando lo sguardo e cercando di ricordare se e quando Wulfric ha sbattuto la testa ed è diventato così imbecille. «Adesso sta imprecando contro il Dio cristiano.» mormora dopo qualche secondo, in cui Týr è riuscito a liberarsi dalla sua presa e si è messo a correre verso il mare per sfuggirgli.
Pure i bambini, convinti che stiano solo giocando, cominciano a correre dietro ai due antichi vampiri per partecipare alla lotta, venendo puntualmente spinti all'indietro o buttati con una certa cattiveria l'uno addosso all'altra.
Solo quando Freki scatta in piedi ed urla a pieni polmoni di bloccarsi la lotta finisce.
I due vampiri lo guardano sconcertati, cercando, senza mai abbassare la guardia, di ricordarsi quando il licantropo ha osato tanto. Perché Freki sarà sì stronzo, violento e piuttosto impulsivo, ma sa rimanere al suo posto e non si è mai azzardato a dare ordini al Re delle Tenebre o al suo braccio destro.
«Sono fuori.» il suo sguardo è fisso sulla vegetazione che confina con la spiaggia, i muscoli tesi e pronti a scattare.
I due vampiri si alzano e si puliscono i vestiti, non senza lanciarsi ancora un paio di insulti e promettersi che più tardi sistemeranno la questione. È solo dopo il ringhio gutturale di Freki come ammonimento che finalmente si zittiscono, sempre più sconvolti.
I presenti lo fissano senza capire cosa gli sia preso, per quale ragione stia continuando a puntare con tanta insistenza la boscaglia, perché sia così nervoso e preoccupato.
«Che succede?» gli domanda immediatamente il fratello, affiancandolo velocemente e seguendo il suo sguardo. Dopo pochi secondi, senza che il maggiore risponda, capisce da solo cosa sta succedendo.
In breve, poi, lo capiscono anche gli altri: il pesante rumore di zampe che sbattono al suolo velocemente, il ringhiare furioso, il flebile odore di sangue e rabbia.
«Che sta succedendo?» mormora Rakuyo all'orecchio di Silly, un poco allarmato dal suo sguardo incredibilmente serio. Perché anche Silly ha capito cosa sta succedendo, pur non avendo ancora sviluppato alla perfezione i sensi come, per esempio, Geri. Ha capito che qualcuno se ne sta dando di santa ragione, che se qualcuno non interverrà e si prenderà sicuramente dei morsi uno degli sfidanti potrebbe rimetterci più di un arto. Ha pure capito, grazie agli sguardi seri e quasi rabbiosi dei compagni, chi è che sta rischiando tanto.
«Dovrei metterti di nuovo alla catena per questo.» sibila irato Fenrir, senza mai distogliere lo sguardo dalla boscaglia.
Freki, davanti a lui, neanche si volta. Si limita a sghignazzare, mormorando con voce roca e bassa: «Il tutore sono io e io decido come allenarla.»
Con quella frase anche i pirati di Barbabianca capiscono cosa sta succedendo: la loro piccola Akemi, colei che sono venuti a riprendersi dopo aver sopportato per interminabili settimane il padre schizofrenico, è in pericolo.
Barbabianca, prima di tutti gli altri, fa subito un passo in avanti per correre in sua difesa, ma per sua sfortuna il padre biologico della ragazza non condivide i suoi piani. Lo blocca prontamente per un braccio, dando così mostra per la prima volta di una parte della sua forza.
Barbabianca è sorpreso, molto: non solo non si è neanche reso conto del suo movimento, ma non riesce neanche a liberarsi dalla presa che con una sola mano sta esercitando sul suo braccio!
Si guarda attorno con sguardo nervoso. Nervoso, sì, ma non per la sua vita: per quella dei suoi figli. Se quei mostri dovessero decidere di attaccarli in massa e avessero per un malaugurato caso la forza di Týr, teme di non riuscire ad affrontarli facilmente.
Quando però abbassa lo sguardo ed incontra quello dolce e sorridente di Astrid, comprende che si sta preoccupando di niente. Quale sano di mente farebbe mai incazzare una donna del genere?! In fondo, i due gemelli gli hanno raccontato per due ore buone le grandi imprese della madre e, anche senza avere un udito tanto sopraffino da sentire il loro cuore, sa che non stavano mentendo.
«I cuccioli devono imparare da subito a reggersi sulle proprie zampe.» mormora stizzita Mimì, incrociando le braccia sotto al seno e dondolandosi da un piede all'altro. Sa bene che è necessario per i purosangue diventare indipendenti in tempi brevi, ma non riesce a tollerare che dei cuccioletti di pochi mesi debbano scontrarsi, nella migliore delle ipotesi, con dei centenari.
Gli immortali aspettano impazienti di scoprire l'esito di quello che, a quanto sentono, è uno scontro praticamene ad armi pari.
I pirati fremono dalla voglia di vedere la loro compagna nella sua vera forma. In realtà sono tutti vittime di un improvviso istinto di protezione da veri fratelli maggiori e vorrebbero andare in suo soccorso, ma per colpa della specie di muraglia che gli immortali hanno creato non possono far altro che restare immobili e aspettare.
La situazione esplode di colpo con l'arrivo fulmineo di una ribollente e ringhiante massa di pelo. Quando, con una velocità sovrumana, le due bestie si separano, i vari pirati rimangono a bocca aperta e a corto di fiato, increduli: due animali privi di coda, enormi, capaci di reggersi perfettamente su due zampe, con musi tozzi e grotteschi e zampe lunghe e muscolose.
La più grossa raggiunge al garrese poco più di due metri, ha un folto ed ispido manto nero come la notte e dei diabolici occhi di un incantevole giallo dorato; ha il corpo massiccio, la cassa toracica di un toro, ed incute persino a loro un vago senso di timore. L'altra bestia è più piccola, raggiunge a stento i due metri al garrese, ed ha il pelo fine di un bianco sporco; ha le zampe più lunghe rispetto al mostro nero, il corpo meno massiccio. Per quanto possa essere piccola, però, con gli occhi neri e privi di vita che si ritrova non può far altro che far cadere chi incrocia il suo sguardo in un vortice di angoscia.
Týr sorride fiero della sua bambina. Non c'è bisogno che gliela indichino. Non avrebbe bisogno neanche dell'olfatto per riconoscerla. È sempre stata diversa, la sua Lilith. Quella creatura dall'aspetto gracile, maledettamente simile ai coyote mannari, non può essere altri che la sua piccola creatura.
Le fauci scattano, le zampe danzano, i corpi si tuffano e poi rotolano via.
Freya, più grossa rispetto alla giovane principessa, fa una finta verso di lei, poi vira e affonda le zanne nella spalla dell'altra. Akemi, veloce come nessuno si aspetta, porta a terra l'avversaria stringendola con entrambe le deformi e lunghe zampe. Rotolano in una massa ringhiante di pelo e bava, ma Akemi mantiene la presa, riuscendo a conficcare i denti oltre la spessa pelliccia.
«Si uccideranno!» ringhia Astrid, furiosa. Ammazzerò io stessa quella cagna se fa del male a mia figlia, pensa fissandola con rabbia. Non lo dice per il semplice fatto che poi sarebbe ancora più difficile farlo passare per un incidente.
La piccola Lothbrook, che si è ritrovata a dover assaggiare il sangue dell'avversaria, la lascia andare e corre via a quattro zampe, levando il muso al cielo per un breve ululato di trionfo. Sa bene però che non è saggio festeggiare troppo a lungo la vittoria, soprattutto se il tuo avversario è di nuovo in piedi e ti guarda come se non desiderasse altro che strapparti il cuore a morsi.
Riprendono a muoversi in cerchio su zampe rigide. Le labbra sono arricciate in una maschera d'odio; i tendini tremano per lo sforzo di controllarsi. Akemi mena un colpo che però va a vuoto, rotola via e torna a quattro zampe prima che i denti di Freya schiocchino nell'aria.
Si confrontano, le fauci spalancate e le zanne in mostra.
Tutti i lupi che assistono a questa lotta fremono dalla voglia di lanciarsi nella mischia, di dar sfoggio della propria forza fisica e di assaggiare il sangue, ma l'immobilità del Sovrano suggerisce loro che è bene per tutti non muovere un solo muscolo; una disputa come la loro, iniziata dal primo momento in cui si sono viste, la devono risolvere alla loro maniera senza interventi esterni.
Freya balza alla gola di Akemi con quanta più velocità può, facendo tremare impercettibilmente Astrid, ancora bloccata dal compagno. Akemi, che non potrebbe sopportare di essere malmenata nuovamente dalla parente, l'afferra e la getta via come fosse uno straccio, lasciandoli tutti di sasso. Tutti, eccetto Freki: lui ormai sa bene quanto in là si sono spinti i suoi limiti, quanto sia diventata forte e veloce. Certo, non sarebbe ancora capace di seguire i movimenti di una come Silly, per esempio, ma fino al livello di Freya può farcela eccome. È per questo e null'altro che ha impedito a tutti di avvicinarla.
Le due lupe si separano, poi si voltano e prendono velocità; balzano e si scontrano a mezz'aria. Akemi è scossa da una violenta bufera interiore e non riesce a smettere di domandarsi se è davvero lei quella che ringhia così forte, se è davvero lei che sta attaccando con così tanta ferocia.
Il muso di Freya è striato di sangue. Eppure Akemi non molla. Le ci vogliono sette tentativi per trovare la giusta angolazione: sei morsi andati a vuoto contro la struttura ossea del suo muso, poi un canino affonda in una superficie cedevole, che resiste per un secondo e poi scoppia come un acino giallo.
Freya strilla con quanto fiato ha nei polmoni, tanto forte da risvegliare i morti, provando a scrollarsi l'avversaria di dosso. Riesce, per pura fortuna, a rotolare via, cercando ancora di tenere lo sguardo sull'avversaria, che non ha mai smesso di mostrarle le zanne. Poi di nuovo Akemi la carica e l'antica Lothbrook non può far altro che provare a reagire con zanne e artigli. Ma tutta la sua furia non vale nulla: non è abbastanza forte. Né abbastanza veloce.
Akemi non si è mai sentita così potente in vita sua. È come un canto dentro di lei, che le sussurra melodicamente che potrebbe anche scuoiarla lì dove si trova, mangiarla boccone dopo boccone, e il terrore crescente nell'occhio superstite di Freya la incita ancor di più a farlo. Apre una ferita nel suo fianco, la spintona a destra e a sinistra, la costringe a danzare un ballo frenetico e stordente.
Quando però sente gli ululati dei presenti diventare sempre più forti, la ragione si impossessa di nuovo di lei. L'afferra per l'ultima volta con le lunghe e forti zanne per la collottola e la getta di nuovo giù, mostrandole subito i lunghi canini macchiati di rosso, fin quando la maggiore non rotola sulla schiena offrendole il ventre, gli occhi serrati per la rabbia. Solo a quel punto Akemi molla l'osso e indietreggia di un paio di passi, senza mai staccarle gli occhi di dosso mentre questa si raddrizza con un guizzo e striscia verso il margine della foresta, a diversi metri di distanza dall'avversaria. E lì si lascia cadere e giace con il naso sulle zampe, ma il pelo sul dorso è ancora alzato.
Freki, fiero della macchina da guerra vivente che è riuscito a perfezionare, le si avvicina velocemente e le mette un braccio attorno alle forti spalle, che ancora tremano per lo sforzo.
«Sei stata bravissima...» sussurra vicino al suo lungo orecchio, stringendola a sé con un fare così complice ed intimo che fa ribollire inevitabilmente il sangue a Marco. E questa volta non c'è immortale che tenga: delle fiamme azzurre gli avvolgono velocemente le braccia, diventando delle grandi e forti ali di fuoco, che subito sbattono con forza per farlo avvicinare velocemente a quel maledetto licantropo.
Astrid prova ad afferrarlo per una caviglia, ma stavolta è Barbabianca ad impedirle di muoversi. Vuole che suo figlio gestisca quella spinosa faccenda come meglio crede, pensiero tra l'altro condiviso da tutti i presenti. Quello che però Barbabianca non aveva preso in considerazione è la velocità del lupo, divenuto consapevole della forza della Fenice dopo il loro primo incontro.
Freki infatti spinge via Akemi e riesce subito ad afferrare la caviglia del Comandante prima che questi riesca a tirargli un calcio, sbalzandolo senza difficoltà contro un albero.
«Quel folle pensava davvero di stendere di nuovo Freki?» ghigna Wulfric, seppur a malincuore. Per quanto lo detesti, sa bene che come combattente è uno dei più valorosi mai venuti al mondo.
«Sedato o meno, Freki non abbassa mai la guardia. Figurati se lo faceva in presenza di uno che vuole ucciderlo!» aggiunge ridendo Geri, osservando il Comandante che si rialza da terra. Reclina la testa di lato e ghigna, non riuscendo a comprendere cosa ci possa trovare la ragazza in lui. A cose normali non gliene potrebbe fregare di meno in realtà, ma dopo le insistenti chiacchiere del compagno non può far altro che chiederselo pure lui.
Akemi, nel frattempo, non si è ancora rialzata da terra.
Fissa sgomenta la figura della furiosa Fenice, con un turbinio di emozioni contrastanti che le fanno girare la testa. Una parte di lei, quella che ha segregato in un angolo del suo cuore e che neanche per un secondo ha smesso di amare e soffrire per lui, vorrebbe stringerlo in un abbraccio soffocante e piangere a dirotto per la felicità. Ma l'altra parte, quella che ha nutrito e rafforzato per tutti quei mesi, le impone di alzarsi da terra, scuotersi la sabbia di dosso e fingere una più totale indifferenza. Cosa che fa realmente. Finge di non vederlo neanche, voltando il muso da un lato e rimanendo immobile, con le orecchie appiattite contro la testa e gli occhi chiusi. Quando però qualcuno le fischia per richiamarla, un pensiero le attraversa la mente come un fulmine.
Se lui è qui..., pensa riaprendo di scatto gli occhi e voltando la grossa testa verso la folla che fino a quel momento non aveva notato a causa del combattimento con Freya.
Il cuore comincia a batterle così forte da farle male, le forti zampe sembrano fatte di gelatina e tremano come foglie. Sbatte più volte le palpebre e scuote la testa per la paura che sia solo un'allucinazione, un brutto scherzo della sua mente, ma quando li riapre loro sono ancora lì. Sono lì e le sorridono felici, guardandola non come il mostro che è ma come la ragazzina fuori di testa che hanno cresciuto.
Quando Edward Newgate, il suo amato padre adottivo, colui che ha ripetutamente sognato di abbracciare da quando se ne è dovuta separare, poggia un ginocchio a terra e apre le braccia in un chiaro invito, il suo cuore esplode per la gioia e le sue lunghe zampe si muovono da sole, galoppando a tutta velocità verso l'imponente figura del più che felice capitano. Gli salta letteralmente addosso, poggiandogli le zampe sulle spalle e dimenandosi come un'anguilla per la gioia che la pervade da capo a piedi. Non riesce a stare ferma, neanche a farsi abbracciare come desidera; si muove come impazzita, buttandosi continuamente addosso all'uomo che ride forte e prova a tenerla ferma, carezzandole di tanto in tanto il manto sottile e meno ispido rispetto a quello dei suoi simili.
«Sono qui...» mormora commosso vicino al suo lungo orecchio ricoperto di pelliccia, ricominciando subito dopo a ridere quando l'ibrido mannaro comincia a leccargli il viso, ricoprendolo di bava. Vorrebbe riempirlo di baci, Akemi, ma sa bene che non è il caso di riprendere le sembianze umane e ricominciare ad abbracciarlo nuda come un verme. Per adesso si accontenta dei suoi discutibili modi canini, ma più tardi si rifarà di certo.
I vari pirati, che fino a quel momento si sono trattenuti per dare ai due un minimo di spazio, non resistono più e si lanciando letteralmente sulla strana sorellina, carezzandole la pelliccia e richiamandola a gran voce, mandandola in orbita.
Si rigira da tutte le parti, provando ad afferrarli senza però sapere chi abbracciare prima e chi dopo. Alla fine salta semplicemente addosso a chiunque le capiti sotto tiro, riempiendolo dei suoi baci bavosi.
Halta era partita con l'intenzione di tirarle un pugno tanto forte da rincoglionirla, ma adesso la gioia di rivederla, seppur sotto la sua forma animalesca, è così forte da farla semplicemente correre con quanta più velocità può e buttarsi con forza addosso al suo enorme corpo. Riesce pure ad atterrarla e a fatica le stringe le braccia attorno all'enorme collo, immergendo il viso rigato di lacrime nella pelliccia biancastra.
«Me la pagherai cara...» mormora senza riuscire a smettere di piangere.
Akemi le stringe delicatamente le zampe attorno al corpo, timorosa di poterla spezzare come un ramoscello. Le lecca la testa, scoppiando subito dopo in una specie di latrato divertito quando si accorge di averle portato tutti i capelli all'indietro.
«Sembra proprio una cuccioletta da salotto.» mormora ridacchiando Geri, in piedi con le braccia incrociate al petto vicino al fratello.
Dietro di loro, Marco continua a sperare con tutto il cuore che si volti verso di lui e gli salti addosso come sta facendo con tutti gli altri, mentre il cuore continua a lacerarsi e sanguinare dopo la sua iniziale reazione, in cui ha voltato il muso dall'altra parte e ha finto che lui neanche esistesse.
«Non monopolizzarla!» urla Ace, afferrando la Comandante per la maglia e tirandola senza tante cerimonie da una parte, così da potersi sdraiare lui sul corpo animale della sua migliore amica. Immerge il viso nella pelliccia, allungando anche una mano per poterle toccare un orecchio.
«Sì, adesso smetterò di farti la corte!» scherza, felice come poche volte in vita sua. Si gode il breve abbraccio che gli concede e, velocissimo, le afferra il muso con una mano per evitare di farsi fare la doccia come gli altri.
«Non avrai mica le pulci, eh?!» scherza a gran voce Rakuyo, inginocchiandosi vicino alla lupa e passandole una mano sulla testona.
Akemi si alza di scatto, mettendosi seduta sulla calda e smossa sabbia, afferrandogli la testa con la zampa artigliata e scompigliandogli i capelli, godendosi sia la sua risata giocosa che le carezze che tutti gli altri le regalano.
«Il tuo Comandante non lo degni neanche di uno sguardo?!» volta di scatto il muso, Akemi, e il suo tozzo muso si deforma in quello che a cose normali sarebbe un sorriso, cosa che però non spaventa minimamente Satch. Lui allarga ancora di più le braccia e le corre incontro, sbilanciandosi e cadendo a terra quando Akemi si alza sulle zampe posteriori e gli butta quelle anteriori sulle spalle. Gli lecca tutto il viso, ignorando le risate generali e le proteste dell'uomo. Solo l'intervento di Mimì, che le mette sotto agli occhi il prezioso anello di vetro verde, riesce a fermare quella doccia indesiderata.
«Ci sposiamo!» urla piena di gioia la vampira, saltellando sul posto e attirando su di sé le attenzioni di tutti gli immortali. Le creature di sesso femminile squittiscono emozionate, mentre i maschi, senza farsi notare dalle rispettive compagne, mormorano all'uomo delle flebili “condoglianze” molto sentite.
Akemi, che fino a quel momento ululava a pieni polmoni per la gioia, scatta di nuovo in piedi quando l'inconfondibile odore dei sigari di Fossa le arriva alle narici. Si muove subito in sua direzione, intenzionata a rivolgere quelle smancerie anche a lui. In fondo, chi più chi meno, se le sono prese tutte, anche Jaws, quindi lui non può evitarselo. Quando però arriva a pochi centimetri di distanza, il Comandante le mette una nerboruta mano davanti al muso, bloccandola.
«Provaci ed entro stasera avrò una pelliccia sulle spalle.» la minaccia prontamente, serio in volto.
Ad Akemi però non frega assolutamente niente e, come se non avesse neanche aperto bocca, si carica sulle zampe posteriori e salta, atterrandolo sotto al suo considerevole peso. Comincia subito a leccargli le guance, gli occhi e il mento, scatenando le risate generali e, sorprendentemente, anche quelle del diretto interessato, che per una volta decide di potersi lasciar andare e abbracciare quella piccola peste che per mesi gli era girata attorno e di cui sentiva profondamente la mancanza.
«Ti va bene solo che la tua pelliccia non è morbida, mocciosa!» scherza allegro, ridendo ancora più forte quando la lupa alza di scatto la testa e abbaia per protesta.
«Sapevo che un giorno saresti diventata la più brillante tra tutte le stelle.»
Il suo corpo si pietrifica di colpo. Il cuore sembra quasi smettere di battere.
Quella voce...
Volta piano la testa, tremando.
Non è possibile.
Vede la sua figura poggiata con la spalla contro la corteccia di un albero, completamente nascosta nell'ombra. Vede i suoi occhi di ghiaccio brillare in quell'oscurità, quegli stessi occhi che all'inizio la spaventavano tanto ma che poi ha imparato ad amare e venerare. Vede il suo sorriso strafottente, lo stesso per cui ha versato infinite lacrime quando ha compreso che non l'avrebbe mai più rivisto. Sente il suo odore, di neve, di freddo e di aghi di pino, così pungente ma allo stesso tempo dolce, tanto da scaldarle il cuore.
«Coraggio.» le mormora Astrid, dandole una lieve pacca sulla spalla. Ma Akemi non riesce a muoversi. È completamente immobilizzata, terrorizzata dall'idea che si tratti tutto di un sogno. La sua vittoria contro quella stronza, la sua amata ciurma che l'abbraccia e la coccola, Marco che prova ad attaccare Freki per allontanarlo da lei... e suo padre.
«Questi sacchi di pulci ti hanno picchiata tanto forte da renderti irrimediabilmente scema?» la sfotte prontamente Týr, il quale rifiuta totalmente l'idea di mostrarsi umano per l'ennesima volta. Sicuramente, quando saranno lontani da occhi indiscreti, si lascerà andare a qualche sentimentalismo come sa che è giusto che sia, ma si tratterrà anche in quel momento. Scoppierà a piangere in un secondo momento, tra le braccia di Fenrir o Wulfric, come ha sempre fatto.
Akemi rimane immobile, le zampe le tremano e sembrano tornare ad essere fatte di gelatina. Molle e fragile gelatina.
Týr, che ormai ha capito che la figlia non muoverà un solo passo verso di lui, compie l'enorme sforzo di andarle incontro, e quello ancora più enorme di non scoppiare a ridere di fronte alla sua espressione stralunata. Porta lentamente una mano fin sulla sua fronte e lì la poggia, carezzandola piano.
È proprio a questo contatto, così delicato e dolce, che Akemi crolla completamente, piegandosi in due, esprimendo tutto il vortice di emozioni che la sta distruggendo interiormente con dei forti guaiti e spingendosi contro il corpo del padre.
Týr ride forte e l'abbraccia, lanciando un'occhiata veloce ad Astrid. Lei è commossa e si stringe le braccia attorno al corpo, mentre il marito trattiene i figli che vorrebbero andare a giocare con la sorella.
Barbabianca, pur essendo pienamente consapevole che quello è il suo vero padre, colui che l'ha concepita in un momento di follia e che l'ha protetta a costo della sua vita, non riesce completamente ad accettare che la sua adorata bambina sia così felice di vederlo, che stia, seppur a modo suo, piangendo di gioia.
«Vieni con te, mostriciattola. Devo dirti alcune cose.» le sussurra vicino all'orecchio, allontanandola con mano decisa da sé.
Akemi, seppur con passo malfermo, lo segue come un fedele cagnolino sulla spiaggia, beandosi delle carezze che il padre le concede. Dire che gli era mancato è dire davvero poco: ogni notte, prima di addormentarsi, si concentrava con tutta sé stessa per ricordarlo in ogni dettaglio, sperando con tutto il cuore di vederlo di nuovo nei suoi sogni, di essere trascinata in quel limbo nero, e ogni volta che si svegliava il cuore le faceva male e nuove lacrime scarlatte le rigavano le guance.
«Se volete seguirmi, vi mostrerò le vostre stanze.» dichiara con voce ferma Fenrir, sorridendo debolmente ai prestigiosi ospiti. Si carica i figli in spalla senza il minimo sforzo e s'incammina con passo calmo verso la boscaglia, seguito dai vari pirati. Tutti, eccetto uno: Marco è rimasto immobile a fissarla mentre si allontana, mentre gioca, salta e corre con Týr, così emotivamente distante da lui.
Ti sbagliavi Týr, pensa dolorosamente mentre i due diventano sempre più lontani e piccoli. Ti sbagliavi, ho perso.
Volta la testa per guardare Freki, quel cane bastardo che gliel'ha portata via. Per quanto sia difficile da ammettere, si rende conto che lui, un licantropo millenario, forte e sanguinario, è decisamente più adatto a lei, un ibrido mostruoso uscito da un incubo. Ma per quanto se ne renda conto, per quanto sappia che lui, per quanto forte sia, è un essere umano, destinato a morire un giorno o l'altro, non è minimamente intenzionato a lasciargliela senza lottare.
Sono un pirata, dannazione!
Stringe con forza i pugni e volta lo sguardo verso i due Lothbrook. Un sorriso gli piega le labbra e una nuova speranza gli si accende nel cuore: si è voltata a guardarlo e si è rigirata di scatto, spaventata dall'idea di essere stata beccata sul fatto.
Io non smetterò mai di farti la corte...


*«Brutto coglione! Hai una vaga idea di quello che mi hai fatto passare?! Sei un egoista bastardo!»
«Adesso ti ammazzo sul serio, fetente bastardo! E credimi se ti dico che non tornerai più indietro!»



Angolo dell'autrice:
Oh God! Io che riesco a scrivere scene dolci? CHIAMATE UN ESORCISTA!
Ok, basta. Dovrei limitarmi a scusarmi all'infinito per il mio ritardo anziché scrivere stronzate, ma è più forte di me! XD
Non ho molto da dire in realtà. Anzi, non ho proprio niente da dire!
Ci tengo solamente a ringraziare di cuore Chie_Haruka, Nakurami, Yellow Canadair, Okami D Anima, KURAMA DI SAGITTER, Keyea Hanako D Hono, Monkey_D_Alyce e ankoku, e tutti coloro che mi seguono :3 Siete dei tesori!

A presto, un bacione
Kiki~

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Capitolo 40
*** 40. Certe notti + Special by Yellow Canadair [Non urlare, Silly!] ***


Piccola Avvertenza: Alluooora, cari pasticcini miei! Dal momento che presto si arriverà alla tanto attesa parte dei massacri, vi dico subito che con questo capitolo, che sarà un pochettino zuccheroso (MI ODIO!), si chiude la grande tragedia. Ci saranno due parti, allineate al centro e con colori diversi (fantasia portami via...) dove ci saranno solo ed esclusivamente i pensieri dei due protagonisti. Poi, quando vedete che tutto è tornato normale, potete stare tranquilli che di boiate non ne faccio più.
Seconda cosa da dire: scordatevi di vedere il principe azzurro. Sì, Marco in questo capitolo dovrà abbassare un po' la cresta se vuole concludere qualcosina (diciamolo chiaramente: quando una donna s'incazza e magari ha pure ragione, anche solo in parte, è bene abbassare la cresta), ma non aspettatevi grandi dichiarazioni d'amore o roba simile. Né da lui, né dagli altri.
Terza cosuccia: mi scuso tantissimo per le troppe descrizioni che troverete. È un mio problema e grande difetto voler descrivere più aspetti possibile dell'ambiente che li circonda, così da far capire al lettore dove si muovono i personaggi, farglielo vedere come lo vedo io - come se ne fossi in grado! -. Lo so, è una rottura per voi, ma spero tanto che non mi lapidiate per questo.
Quarto ed ultimo punto (diciamo pure piccolo spoiler): il prossimo capitolo sembrerà molto carino e tranquillo, ma il finale vi lascerà dimmerda. Almeno è quello che spero!
Ok, ho finito. Buona lettura!

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«Fallo a pezzi! Distruggilo!»
«Ace, dai! Non puoi farti battere così!»
«Quadrato e cerchio! Quadrato e cerchio!»
In quattro ore e quarantatré minuti l'ansia e la paura sono totalmente sparite dai cuori dei pirati, mentre gli impulsi omicidi dei vari mostri si sono totalmente assopiti. Come? Facile: Hidan, il fratello maggiore di Mimì, ha una console con una marea di videogiochi a cui è possibile giocare anche in quattro persone contemporaneamente, oltre ad un maxi-schermo.
Quando Satch ha deciso, assieme alla neo-fidanzatina, di trasferirsi in casa sua per il periodo di permanenza ad Helheimr, è stato immediatamente seguito da alcuni dei suoi uomini che, al contrario suo, non si fidavano per niente di farlo girare da solo per quell'isola. Mimì e Hidan,infatti, sono tra i pochi ad aver deciso autonomamente di costruirsi una casa al limite del villaggio, così da non gravare sul loro Signore. Certo, Fenrir non ha mai cacciato nessuno da casa sua, anzi, è sempre stato il tipo da farli entrare tutti e ospitarli a tempo indeterminato, ma loro hanno preferito avere quel briciolo di privacy che ad Helheimr è una specie di miraggio.
Si tratta di una classica dimora vittoriana, con il tetto spiovente, le finestre georgiane a tutta parete e un portico che circonda l’edificio. Varcando la porta d’ingresso ci si aspetterebbe una casa arredata in stile shabby chic, ma non è così. Le stanze hanno un aspetto decisamente retrò, sia per i mobili dal design classico scelti per i vari ambienti che per l’uso abbondante che si è fatto del legno. Tutto, dai corrimano delle scale alle balaustre, dai pavimenti ai pannelli che rivestono parte delle pareti, è in una calda e meravigliosa sfumatura di ciliegio, che contribuisce a rendere ancor più piacevole l’atmosfera. Il soggiorno principale, che ruota attorno ad un gigantesco caminetto, è ammobiliato in maniera essenziale: ci sono solo due poltrone tappezzate, un tappeto orientale, due divani, un maxi-schermo piatto e un lampadario a candelabro dal “sapore” quasi medievale. Più carica di elementi è invece la sala da pranzo, con tavolo e sedie Chippendale circondati da ampie finestre con vista sul mare. Accanto c’è la cucina, sobria ma attuale, unico ambiente della dimora in cui il parquet di legno lascia spazio ad un pavimento in laminato lucido. Al piano superiore, infine, trovano spazio le due zone notte della casa, le cui stanze sono tutte panoramiche e arredate in stile retrò, con grandi letti dalle strutture in legno.
Quando i pirati sono entrati in questa calda dimora, che per i loro standard può essere tranquillamente paragonata ad una villa di lusso, Hidan li ha gentilmente invitati a giocare ad un videogame spara-tutto e il Comandante ha accettato subito, incuriosito. È bastato davvero poco che la voce si spargesse a macchia d'olio tra i vari pirati e molti altri immortali, che si sono riuniti in quella piccola ma accogliente casa a giocare e urlare incoraggiamenti come se fossero bambini di dieci anni.
All'inizio le due fazioni erano piuttosto distanti, si guardavano in cagnesco e tenevano la guardia alta, ma è bastato che Hidan proponesse una partita due contro due che la situazione si è ribaltata: se all'inizio doveva essere umani contro immortali, in pochi round tutti si sono uniti e hanno cominciato a stringere alleanze per battere altre coppie. Namiur si è alleato con un Incubo, un ragazzetto timido e silenzioso che però ha un talento improponibile con i videogames; Ace si è alleato immediatamente con Kakashi per poter distruggere Satch e Hidan; Fossa si è seduto a tavola con un trio di Windigo che gli hanno gentilmente offerto dei sigari invecchiati; Curiel è stato preso d'assalto da alcuni cuccioli di passaggio, convintissimi di poter finalmente battere i grandi poiché alleati con un artigliere.
In quella piccola casa è scoppiato semplicemente il caos più totale.
Non esistono più pirati, assassini, mostri, uomini o immortali, no: esistono solo un numeroso gruppo di uomini e i loro videogiochi violenti.
Pure Marco è stato trascinato nella mischia, ma ha preferito saggiamente tirarsi fuori da quelle sciocchezze, limitandosi a dare consigli a casaccio e urlare quando lo fanno anche gli altri. In realtà non sa neanche cosa accada di preciso, preso com'è dai propri pensieri, però è consapevole che un minimo di svago può essergli semplicemente utile.
A loro adesso si unisce anche Izo, alle cui gambe stanno attaccati come piovre i pestiferi gemelli. Era uno dei pochi Comandanti ad essere rimasto fuori da quel caos, ma quando la compagna e Akemi lo hanno sbalzato fuori dalla camera di quest'ultima assieme ai gemelli... beh, o questo o le noiosissime chiacchiere di Wulfric, Barbabianca e Fenrir. Sia chiaro, lui non è tanto il tipo da futili chiacchiere e pettegolezzi, ma anche star ad ascoltare racconti di chissà quante vite fa e vedere il suo stimatissimo padre con lo sguardo trasognante mentre ascolta è troppo pure per lui.
«Non ti vedo molto partecipe.» mormora all'orecchio della Fenice seduta vicino alla finestra e con lo sguardo perso nel vuoto, tirandogli una lieve pacca sulla spalla per riportarlo con i piedi per terra. Quando il maggiore si volta a guardarlo gli porge una birra, che Marco accetta volentieri.
«C'eri anche tu su quella spiaggia se non sbaglio.» lancia una veloce occhiata al gruppo di scalmanati intenti a giocare e ad urlare. Gli scappa pure un sorriso nel vedere Ace abbracciare quel matto di Kakashi dopo la loro vittoria schiacciante sulla squadra avversaria.
«Ecco, a proposito di questo...» sorride con l'aria di chi la sa lunga, Izo, appollaiandosi sulla prima sedia che gli capita a tiro e avvicinando il viso a quello di Marco. Si sente una specie di ragazzino in quel momento, che riporta i segretucci che è riuscito a scoprire, ma può anche accettarlo se di mezzo c'è la felicità di un fratello.
«Per Akemi è stato un colpo molto duro. Era convintissima che non te ne fosse mai fregato niente-»
«Ho sempre avuto il sospetto che fosse scema.» lo interrompe Marco, scusandosi silenziosamente quando l'amico lo fulmina con lo sguardo.
«Dicevo: credeva che tu l'avessi sostituita come se non fosse mai contata assolutamente niente, e per questo ha ripiegato sul cane tutto muscoli.»
«E questo dovrebbe farmi sentire meglio?»
Izo sbuffa sonoramente, spalmandosi il palmo della mano sul viso. Ora si rende conto del perché abbia sempre evitato questo genere di situazioni. Alcuni erano arrivati a dire che fosse una specie di asociale insensibile ai problemi dei compagni, ma la verità è che detesta profondamente questo genere di conversazioni. Sperava vivamente di evitarsi discorsi così infantili almeno con Marco, colui che è sempre stato sulla sua lunghezza d'onda, ma se ci pensa un secondo capisce che no, da un uomo ferito ed innamorato non può aspettarsi poi discorsi tanto differenti. Forse li farebbe anche lui se si trovasse nella sua stessa situazione.
«Dovrebbe farti sentire meglio perché è solo la seconda scelta.» risponde pacatamente il Sedicesimo Comandante, accendendosi una sigaretta senza tanti pensieri. Se la situazione fosse stata differente non lo avrebbe fatto per una questione di rispetto, ma dal momento che tutti bevono e fumano come se fossero a casa propria, non vede perché deve trattenersi proprio lui. «Non avrebbe mosso un dito se non avesse saputo di quello che hai fatto a Foodvalten. Quindi, secondo il mio parere, la situazione è ancora a tuo favore. Sempre ammesso che tu voglia perdonarla dopo quello che ha fatto a sua volta, certo.»
Marco non risponde. Guarda fuori dalla finestra e ragiona sulle parole del compagno. Non vuole scervellarsi per capire come abbia fatto a scoprirlo, tanto sa bene anche da solo che da quelle parti hanno tutti la risposta pronta; vuole capire come affrontare quell'argomento con lei, come riuscire ad avvicinarla.
«Non sei un po' grandicello per queste cose?» la voce forte e roca di Freki lo riporta con i piedi per terra in un batter d'occhio.
Volta di scatto la testa, trovandolo con la spalla appoggiata allo stipite della porta, i gemelli che provano ad attirare la sua attenzione e il fratello che gli sorride felice. In quel preciso istante, il joystick impugnato dal rosso diventa incredibilmente interessante.
Potrei spaccarglielo in testa, pensa mentre continua a lanciargli maledizioni di vario genere.
L'antico lupo non lo degna neanche di uno sguardo, limitandosi a buttarsi a peso morto sulle gambe del fratello seduto sulla poltrona verde posizionata nell'angolo. La verità è proprio che a lui non importa niente di Marco! Gli basta che non faccia stronzate e che non vanifichi tutti gli sforzi che ha fatto per tirar su la giovane immortale, poi, per quanto lo riguarda, può fare tutto quello che gli pare.
«Vado a vedere se hanno bisogno di una mano sulla nave.» sbotta sbrigativo, alzandosi di scatto e dirigendosi a grandi falcate verso la porta, venendo ignorato praticamente da tutti. In fondo hanno appena cominciato una nuova partita, mica possono distrarsi!
La Fenice, anziché dirigersi al porto per aiutare i compagni a scaricare le proprie cose come aveva detto, cammina senza meta per le strade di quel villaggio così festoso e maledettamente perfetto. Era convintissimo che sarebbero sbarcati su un'isola piena di scheletri, sangue nei fiumi, carcasse putrefatte sparse ovunque, invece è totalmente l'opposto: tutto è pulito, colorato e vivo.
Con la coda dell'occhio nota, dentro le varie abitazioni, alcuni degli uomini della sua flotta mentre sistemano le proprie cose. Ne La Solitaria erano disponibili “solo” duecento stanze, e quindi solo 400 pirati sono stati ammessi a patto che condividessero le stanze, e nessuno ha osato controbattere quando sono state mostrare loro le camere da letto.
La maggior parte degli uomini, invece, si è dovuta arrangiare ed è stata smistata ovunque ci fosse posto: 363 uomini sono stati piazzati nelle case di coloro che avevano dello spazio in più, mentre molti sono finiti nella Villa delle Anime, situata in un’ampia insenatura soleggiata, dove le camere da letto si sprecano.
È una struttura molto più grande de La Solitaria, fatto che nessuno è ancora riuscito a spiegarsi dal momento che agli spiriti non serve né tanto spazio né la mobilia, e si sviluppa su ben tredici piani, grazie ai quali può ospitare fino a 837 persone. Al piano terra è situata la zona giorno, con un più che ampio salotto con camino, e una moderna cucina super accessoriata; al primo piano si trovano invece le varie zone adibite allo svago e all'istruzione. I piani restanti sono tutte camere da letto con bagni annessi. Infine, c'è una mansarda che completa la proprietà. I mobili antichi, i dipinti e le statue che si trovano all’interno contribuiscono a creare un’atmosfera davvero esclusiva. A questi elementi vanno ad aggiungersi i pavimenti in cotto e marmo, le porte e le decorazioni

Ma ciò che sicuramente conquiste della Villa delle Anime, oltre ai suoi bizzarri abitanti, è l’enorme giardino che la circonda: circa 1300 metri quadri di prati, alberi da frutto, piante e fiori mantenuti in ottime condizioni.
Al contrario di quanto potevano aspettarsi, i vari fantasmi si sono dimostrati curiosi e più o meno gentili nei loro confronti, mostrando una flessibilità incredibile. Hanno cominciato subito a tempestarli di domande, a mostrare loro la magnifica abitazione che gli è stata donata, a deliziarli con canzoni, poesie e spuntini così buoni da farli quasi cantare. Dire che i pirati di Barbabianca sono estremamente felici di poter trascorrere una vacanza del genere, è dire davvero poco.
Momoko, che si è dovuta prendere in casa ben tre pirati, sta dando l'acqua alle piante di marijuana piantate vicino alla porta d'ingresso. È spensierata come sempre, totalmente in pace con il mondo intero, tanto da canticchiare a bocca chiusa un motivetto allegro e far volteggiare sulla testa il suo immancabile ombrello tutto pizzi e merletti. Quando si accorge della presenza cupa del Primo Comandante, non riesce proprio a tenere a freno la lingua.
«Cosa ti turba?» cinguetta osservandolo ad occhi sgranati, non riuscendo a capire cosa possa esserci di così brutto da guastarti l'umore. Per lei è sempre tutto allegro, calmo e bello.
«Non sono affari che ti riguardano.» non vorrebbe essere scortese con una donna che, di fatto, si è semplicemente preoccupata per lui, ma non riesce proprio a trattenersi. È talmente agitato dentro da non poter proprio essere cordiale.
«Ok.» risponde semplicemente la licantropa, sorridendogli allegra e tornando a dedicarsi alle sue specialissime piantine. «Mi è stato riferito di dire a tutti i Comandanti di recarsi nella sala da pranzo de La Solitaria questa sera. Il nostro Signore ha organizzato un grande banchetto per voi.» cinguetta sovrappensiero, annusando a pieni polmoni la fragranza che tanto ama «Alle otto in punto, mi raccomando.»
Marco annuisce appena, riprendendo subito dopo a camminare.
Non ha voglia di mangiare.
Non ha voglia di fare un bel niente.
Si butta a sedere sotto l'ombra di una grossa quercia e lì rimane. Osserva tutto ciò che lo circonda, ascolta i rumori che aleggiano in aria assieme ai mille odori che provengono dalle varie abitazioni. Voltando un poco la testa di lato, scorge le figure di Silly e Eusebio, lo strano tipo mostruoso che li ha accolti al porto, mentre scortano alcuni zombie verso la loro abitazione.
Sospira forte e poggia la nuca sulla dura corteccia dell'albero. Si sente pesante, abbattuto...

Da quando ho scoperto che eri ancora viva grazie a quel video maledetto, non ho fatto altro che immaginarmi il nostro incontro. A volte pensavo che ci saremmo battuti, che ci saremmo insultati. A volte pensavo che saremmo passati sopra a qualsiasi cosa e ci saremmo semplicemente abbracciati in silenzio, e così saremmo rimasti. Ma mi sono sbagliato...
Tu mi hai guardato. Mi hai guardato e hai voltato il tuo brutto muso peloso verso gli altri, saltando e latrando come- aspetta! A cosa ti aveva paragonata quel ragazzetto con i capelli rossicci? Ad una cuccioletta da salotto. In un altro momento avrei riso a questa battuta, ma adesso non ci riesco.
Mi sei mancata da impazzire, non riuscivo a toglierti dalla mia mente neanche se m'impegnavo a farlo... e tu non mi hai neanche considerato. La cosa peggiore, forse, è che malgrado questo, io non voglio altro che tu torni indietro, che torni ad essere mia.
Perché sei dovuta andare via? Avremmo potuto affrontare tutta questa storia insieme. E non intendo solo io e te, no: Halta avrebbe ribaltato le montagne per far capire a tutti come stavano davvero le cose, per difenderti; Ace... beh, Ace avrebbe fatto molto peggio di così! Lui avrebbe scatenato una guerra, lo sai. Lo stesso vale per Satch! Sai bene che ti avrebbe protetta, arrivando anche a battersi per te.
Allora perché sei scappata quella notte? Perché ti sei arresa e ci hai abbandonati? Perché mi hai lasciato solo? Saresti dovuta rimanere, lasciare che io ti proteggessi, ma non hai voluto darmi neanche questa possibilità. Hai preferito darla a quell'idiota che ti gira sempre attorno. Ma sai cosa? Non ce l'ho veramente con te per questo. No, io ce l'ho con me stesso, perché senza te intorno non riesco più a stare in piedi. Mi sono spezzato come un ramoscello, e non sono più riuscito a tirarmi su. Credevo che queste stronzate succedessero solo nei romanzetti rosa che di tanto in tanto leggevi, a quei bravi cavalieri dalle splendenti armature che perdono la testa per la bella e dolce principessa. Invece è successo anche a me, uno dei peggiori pirati in circolazione, che ha perso la testa per una psicotica e violenta principessa dall'animo dannato. Mi hai ridotto ad un fantoccio con i tuoi occhioni di ghiaccio. Spero che tu ne sia felice, mocciosa.
Cosa devo fare per farti tornare da me? Possiamo riuscire a farlo funzionare di nuovo, credimi! Guarda Satch e Mimì! Guardali e dimmi perché per noi dovrebbe essere diverso. Lei è immortale come te, cammina su questa terra da millenni, si nutre di sangue... e per lui non ci sono problemi. Pensi che per me ce ne sarebbero? Credimi, ti sbagli.
Lasciati avvicinare, ti prego. Lasciati avvicinare e guardami negli occhi, lascia che ti dica come stanno le cose, lasciami spiegare e lasciami provare.
Tu mi vuoi ancora. Lo so, ne sono sicuro, e per quanto questo mi spaventi a morte, sono pronto a rimettermi in gioco per te e a tentare il tutto per tutto. Torniamo indietro, riprendiamo da dove abbiamo interrotto. Se mi dai una possibilità, una sola, posso amarti nel modo giusto, credimi.
Sai cosa succederà, altrimenti? Che tu sceglierai uno dei tanti, io continuerò a saltare di letto in letto e, alla fine, rimpiangeremo per sempre ciò che non ci siamo detti. E sappiamo entrambi che il tuo per sempre sarà molto più lungo del mio.

Un sorriso gli increspa appena le labbra. Succede ogni volta che ricorda che lei vivrà per sempre. Una parte di lui è rincuorata da quest'idea, dal momento che sa bene che nessuno sarà mai capace di farle davvero del male, ma dall'altra lo fa impazzire: se per caso dovesse riprenderlo con sé, se dovesse riuscire a mettere da parte il suo maledetto orgoglio, un giorno la farà soffrire di nuovo. Quando ci pensa, però, si ricorda anche di chi è Akemi, di quanto sia forte senza saperlo, di quanto il suo spirito sia capace di sopportare il dolore, di inglobarlo e neutralizzarlo.
Anche adesso, con la luce accecante che lo costringe a coprirsi gli occhi con la mano, si ritrova a pensare a chi lei sia davvero.

Sei una stronza, una paranoica violenta sempre incazzata col mondo, che gode nel far del male al prossimo e... per Dio, mi mandi fuori di testa! Non sei come le altre con cui sono stato: tu non bevi le mie stronzate, non ti fai mettere i piedi in testa e non abbassi la cresta! Tu mi fai il cazziatone e mi tieni a bada come nessuno al mondo è mai riuscito a fare.
Lo vuoi capire che ti voglio al mio fianco, sempre? Ti voglio così come sei, stronza, impulsiva e assetata di sangue, con il mascara colato, i capelli legati in una coda arruffata e il moccolo sulla punta della lingua.
E ti voglio soprattutto perché tu sei una guerriera! Adesso ti avranno pure convinta di essere una maledetta principessina, ma io so che non è così: tu sei una fottuta guerriera, una vera e propria spaccaculi!
Anche se dovesse essere l'ultima cosa che faccio, giuro che ti aspetterò. Non mi sono mai arreso davanti a niente, quindi non lo farò neanche adesso. Perché per quanto sei incredibilmente sbagliata, per quanto tu sia maldestra, violenta e volgare, sei comunque quella giusta, quella per cui vale la pena dannarsi.



Quando un paio d'ore prima Halta e Izo sono entrati nella camera di Akemi, il piccolo e timido Filippo è scappato come un razzo a nascondersi sotto al letto. Dopo essere stato picchiato e maltrattato sin dalla nascita dai suoi fratelli, tende sempre a nascondersi nel vedere un estraneo. Quando Izo, carico di pazienza e buone intenzioni, ha provato ad afferrarlo per toglierlo dal suo nascondiglio, il povero cucciolo si è pure visto costretto a mordergli la mano pur di allontanarlo. È stato quindi necessario l'intervento di quella che ormai è diventata a tutti gli effetti sua madre, che l'ha convinto con dei bocconcini di carne ad uscire e farsi avvicinare.
Adesso, pur restando in stato di allerta, si lascia accarezzare sulla testolina piumata di un tenue marrincino dalle mani sorprendente delicate di Halta, seguendo sempre con lo sguardo i movimenti della madre che si sta accorciando e tingendo i capelli.
Halta, acciambellata sul comodo ed enorme letto della sorella, ascolta distrattamente ciò che le viene pazientemente raccontato della permanenza sull'isola, escogitando nel mentre un piano diabolico per fargliela pagare. Perché avrà pure salvato Satch da morte certa e smascherato un vile traditore, e per questo non gliene sarà mai abbastanza grata, ma l'ha comunque abbandonata, e per questo dovrà vendicarsi. Non sa ancora né come né quando, ma sa che succederà.
Mentre architetta la vendetta e si dedica a coccolare il piccolo batuffolo di pelo e piume marroncine, lascia pure vagare lo sguardo per la bizzarra stanza della sorella.
Akemi, infatti, l'ha arredata completamente in modo eccentrico e fantasioso, creandola esattamente come la voleva. Non c'è neanche da dire che la madre è stata oltremodo felice di poter finalmente viziare la figlia come sognava di far dal momento in cui si è resa conto di averla in grembo.
In perfetto stile Moulin Rouge, questa camera ha un'atmosfera maliziosa e particolarmente intima: le pareti color porpora, arredi sontuosi e molto eccentrici che mescolano gli stili più diversi, dal burlesque al gotico; i mobili alternano elementi di ispirazioni asiatica a sedie zebrate, tappeti rossi e tanti altri oggetti stravaganti, come l'enorme letto a baldacchino in legno massiccio con tendaggi neri richiamano il mondo della notte e divertenti giochi erotici.
Su una parete, proprio dietro al pianoforte nero a coda che Killian le sta pazientemente insegnando a suonare, ci sono degli infissi con vetri colorati, simili alle vetrate delle cattedrali. Infine delle particolari decorazioni rendono completa l'atmosfera: candelieri e luci soffuse, drappi e specchi antichizzati e delle tele con cornici dorate alle pareti.
Con questo veloce e sorprendente colpo di testa, Akemi ha voluto stupire tutti quanti e cancellare totalmente l'immagine di dolce principessina che continuavano a provare a cucirle addosso.
«Filo? Vieni qui, bisogna limare gli artigli.»
Il piccolo grifone si alza di scatto e si lancia in un goffo galoppo verso la madre, saltando subito tra le sue braccia quando questa le allarga in un chiaro invito. Se sapesse già parlare, non farebbe altro che ripeterle quanto le vuole bene, ringraziandola per avergli salvato la vita. Le direbbe anche che detesta che gli limi gli artigli, ma è consapevole che quando si aggrappa alle persone può essere doloroso. Gli unici a non fare mai una piega sono i suoi piccoli e folli zii adottivi.
«Ora che ci penso...» afferma di colpo Halta, mettendosi a sedere sul letto con le gambe incrociate e puntando lo sguardo sulla ragazza «Non mi hai ancora detto per bene com'è la situazione con Freki. Capisco non volerlo dire chiaramente a Izo, però neanche a me?»
«Ahhh, la solidarietà maschile! Forse è addirittura più forte di quella femminile.»
«Bella considerazione, sì, ma ora rispondi alla mia domanda.» la rimprovera prontamente la Comandante, incrociando le braccia al petto in attesa di una risposta soddisfacente.
Anche quando c'era Izo ne hanno parlato, com'era inevitabile che accadesse, ma la giovane Lothbrook è stata ben attenta a parlare solo dei loro amplessi o dei loro allenamenti. Avrà pure detto che l'ha preso come “ragazzo di ripiego”, ma non ha mai detto se effettivamente è legata a lui o meno.
Akemi sospira frustrata, abbandonando pure la presa sulle zampine di Filippo, che in modo sorprendentemente silenzioso sguscia via e torna a rintanarsi sotto al letto.
«Non so che dirti, Halta.» risponde con tono rattristato «Sto bene con Freki. È irascibile, violento, stronzo, e chi più ne ha più ne metta, però... ha pure un lato... non tenero, sarebbe sbagliato come aggettivo. Direi più che altro... non so. Protettivo forse.»
«Quindi state insieme solo perché ti fa sentire protetta?»
«So proteggermi benissimo anche da sola.» soffia irritata la minore, scostandosi una ciocca di capelli ribelli da davanti agli occhi. «E comunque non stiamo insieme» mormora subito dopo, quasi in uno sbuffo «C'è una buona intesa, soprattutto dal punto di vista sessuale, ma non siamo fatti per stare insieme.»
«Capito.» afferma con un sorrisetto malandrino Halta, già pronta a riferire a Marco quest'ultima scoperta. Non è mai stata una spiona, e la sua vendetta non consiste certo nel rivelare a Marco che è ancora sul mercato, però sa che deve farlo se vuole evitare di vedere ancora un immenso mare di dolore negli occhi dell'amico. Perché lei non è stupida: per quanto Marco sia un bravo attore, lei si è perfettamente resa conto che sta soffrendo come un dannato da mesi.
«Non farne parola con nessuno, Halta, o ti mangio un rene.» la minaccia prontamente Akemi, alzandosi in piedi per poi mettersi subito carponi sul pavimento per convincere Filippo ad uscire dal suo sicurissimo nascondiglio.
«Perché proprio un rene?» non ha paura Halta, per niente; tuttalpiù è curiosa di capire perché abbia scelto proprio quell'organo.
«Perché senza il cuore moriresti.» le sorride malignamente, Akemi, notando l'espressione incerta sul volto della compagna. Abbassa di nuovo lo sguardo, puntando gli occhi glaciali sulla figura appallottolata del cucciolo: le lunghe orecchie piumate sono praticamente attaccate alla testa, in parte sepolta sotto un'ala, e il corpicino magro dal manto morbido è quasi completamente appallottolato su sé stesso.
«Non opporre resistenza.» afferma di punto in bianco, lanciando una fugace occhiata all'amica.
«A chi dici, scusa?»
Akemi ghigna di nuovo, tendendo l'orecchio per captare i rumori esterni. Rumori di passi, tanti passi. Passi che generalmente sono leggeri come il battito d'ali di una farfalla, mentre adesso sono pesanti come una mandria di rinoceronti ubriachi.
«Tre... due... uno...»
La porta viene spalancata di colpo e fanno il loro chiassoso ingresso Mimì, stufa delle interminabili partite del compagno, Jena, anch'essa privata del suo giocattolino sessuale, e Dana, che pur di allontanarsi un poco dai figli più piccoli ha accettato questa missione.
«Alza il culetto! Su, su!» urla allegra Mimì, trottando verso la Comandante e afferrandola senza tante cerimonie per i polsi. Non le ci vuole poi molto per sollevarla e trascinarla verso le amiche, non dal momento che si è appena nutrita e le sue forze sono al massimo.
«Lasciatemi subito!» si dimena come meglio può Halta, scalciando e dimenando le braccia, provando in tutti i modi a colpire le tre immortali che stanno minacciosamente tirando fuori metri da sartoria e le accostano vicino al pallido viso diverse tonalità di stoffa.
«Akemi, aiutami! Dille di fermarsi!»
«Ti conosco Halta. Tu dirai a Marco quello che io ho detto a te, ed è inutile che lo neghi.» afferma con tono calmo, coccolando dolcemente il suo piccolo pargoletto piumato. «Questa è la tua punizione.» aggiunge infine, sorridendole malandrina.
Le tre belle forze della natura riescono senza difficoltà a trascinare fuori dalla stanza la piratessa, più che convinte a darle un aspetto quanto più decente possibile per la cena che dovrà affrontare quella sera. Anche questa volta non lo fanno perché fissate con questo genere di cose o per ostentare una non indifferente ricchezza, ma per il semplice fatto che in tantissimi anni di vita hanno sviluppato delle abitudini dettate dall'alta società in cui hanno vissuti per secoli.
«E così siamo rimasti noi due, mh?»
Il piccolo grifone, finalmente uscito dal nascondiglio, alza la testolina su di lei, guardandola con i suoi occhietti verde smeraldo. Di tutta quella conversazione non ha capito poi molto. Non ha idea di chi sia questo Marco, né cosa quegli strani individui abbiano a che fare con la sua mamma, ma non gli importa poi molto. L'unica cosa che importa per lui, è che la sua mamma non lo lasci mai.
«Dici che lo devo affrontare, Pippo?» gli domanda con voce dolce, carezzandogli la pelliccia scura che gli ricopre il dorso snello.
Volta la testa di lato, osservando il panorama. Un brivido le corre lungo la spina dorsale alla vista di quell'infinita distesa d'acqua cristallina, e nel suo cuore si scatena una tempesta.
Non sa se mettersi in gioco di nuovo, abbandonare tutto quello per cui ha faticosamente lottato e tornare alle origini, o se rimanere dov'è e rinunciare a coloro che l'hanno allevata con amore e pazienza. Ma soprattutto non sa cosa fare con Marco. Ogni volta che ripensa a lui, al suo sguardo duro, ricorda involontariamente tutti i loro momenti, i sorrisi che le regalava di tanto in tanto, le prese in giro e i dispetti. Se li ricorda, e ogni volta sta malissimo.

Cosa mi hai fatto, Marco? Perché non riesco a cancellare i momenti in cui mi hai ferita e mi hai fatta piangere come una disperata? Perché mi hai cancellata dalla tua vita come se non fossi mai contata assolutamente niente per te?! Spiegami perché, pure dopo avermi pezzato il cuore, averlo ridotto in brandelli e poi calpestato, io non riesco a cancellarti dal mio cuore?! Com'è possibile che, malgrado tutto il male che mi hai fatto, continui a vivere dentro di me?!
Ti odio davvero per quello che mi hai fatto. Ti odio con tutto il mio maledetto cuore!
E odio ancora di più me stessa... ero convinta di essere diventata forte! Pfh, forte dove? Vederti qui sulla mia isola mi ha fatto un male atroce, assai più distruttivo di tutte le mazzate prese da Freki, e tutte le mie certezze sono andate a puttane. Ero convinta di esserci uscita, di averti finalmente segregato in un angolino del mio cuore, lontano da tutto, pure dalla memoria... invece mi sbagliavo.
Tu sei sempre stato lì, pronto a distruggermi di nuovo.

Abbassa lo sguardo, osservando il piccolo che gioca con un pupazzo che gli ha regalato. Marco le aveva promesso, quando aveva scoperto di non poter avere figli, che avrebbe convinto Newgate a farle adottare un bambino e che lui stesso gli avrebbe fatto da padre.
Le sembra un ricordo così lontano e bello che a fatica riesce a credere che sia successo davvero.

Hai sempre detto che hai il massimo rispetto di me, che ci tieni a noi. Allora perché hai fatto tutto questo, Marco? Perché hai rovinato tutto? Io ho le mie colpe, ne sono pienamente consapevole e me ne prendo tutta la colpa ovviamente. Ma tu... tu avrai almeno la decenza di chiedermi scusa? No, certo che no. Tu non chiedi scusa. Sei troppo orgoglioso per farlo.
E io non voglio essere la ragazza dal cuore spezzato, quella che piange e cerca in tutti i modi di farsi consolare da persone a cui, giustamente!, non gliene può fregare di meno.

Si asciuga le lacrime ribelli dalle guance con il dorso della mano e torna a fissare il panorama, incantata dalla bellezza che la circonda: la fitta boscaglia che cinge casa sua che pare essere quasi verde smeraldo, il blu cobalto del mare, il chiarore delle candide spiagge, i vari mostri che passeggiano o volteggiano per aria.

Ora vivo in un posto in cui non avrei mai pensato di poter stare. Sto vivendo in un mondo dove posso essere quello che sono, senza che nessuno mi guardi di traverso o abbia paura di me.
Il mio cuore spezzato si stava lentamente rimarginando. I miei amici mi stavano aiutando egregiamente, seppur con metodi discutibili. Anche se saperlo ti farebbe stare una schifezza, è stato proprio Freki, quello che da piccola mi terrorizzava all'idea che potesse spuntare da sotto al mio letto, a rimettere insieme i pezzi. È stato lui, con i suoi modi bruschi e la sua lingua tagliente, a farmi capire che continuare a martoriarmi non avrebbe portato da nessuna parte. È solo grazie a lui se sono viva e che il mio cuore infranto stava volando via.
Ma... se ti dicessi che adesso questo magnifico posto sembra splendere dal momento in cui sei arrivato? Lo so, non è da me pensare a cose simili ma... beh, è così. 

E se ti dicessi anche che sono terrorizzata all'idea di svegliarmi domani e scoprire che te ne sei già andato? In realtà, anche se non te l'ho mai voluto dire, quest'idea mi ha sempre spaventata: sei un pirata, potresti sparire da un momento all'altro, per una ragione o per un'altra.
Dimmi che rimarrai qui... per favore. Non posso certo prometterti che le cose andranno di nuovo bene, che tra noi tutto tornerà com'era prima... ma tu dammi del tempo. Dammi del maledetto tempo per capire cosa devo fare.

Il Sole tramonta lentamente, pronto a lasciar spazio all'amata notte.
«Vieni Filippo, dobbiamo farci belli.» ordina a bassa voce, quasi stesse parlando più a sé stessa che al grifone.
Prima di allontanarsi dalla finestra per immergersi nella cabina armadio, i suoi occhi si posano involontariamente su qualcuno che sta attraversando il giardino a testa china. Qualcuno con un'assurda capigliatura bionda che lei riconoscerebbe tra mille.
Quando Marco alza lo sguardo, sentendosi osservato, Akemi si nasconde istintivamente dietro al muro tenendosi una mano sul cuore che batte all'impazzata, mentre una nuova lacrima le solca la guancia.

Non abbandonarmi...




Se fino a poche ore prima erano tutti sovreccitati dai recenti eventi, mentre adesso sono tutti quanti nervosi. Nessuno ha detto loro come ci si comporta ad un banchetto tra immortali. Fossero poi immortali “comuni”... no! Tutta la famiglia reale al completo, con tanto di fedeli Beta al fianco. Mimì si è praticamente imbucata, usando la scusa che il suo fidanzato – e Dio solo sa quanto ama ribadirlo – è invitato e che, di conseguenza, deve esserci anche lei.
È stata proprio lei a radunarli tutti nell'enorme atrio, luogo che esprime nella sua ricchezza il successo politico, economico e artistico dei tre Sovrani. Lì li ha radunati, non senza qualche difficoltà, e poi è sparita, lasciandoli in compagnia di Wulfric e Sakura. Il primo è elegantissimo nel suo smoking grigio scuro mentre la compagna indossa un abito argento lamè con un'abbondante scollatura. La lunga chioma bionda è sciolta in onde, e sulle labbra c'è giusto un filo di rosso corallo.
«Rimarrai molto soddisfatto, Sedicesimo Comandante.» dichiara sogghignando Wulfric, tenendo sempre ben stretta a sé la bionda vampira. Non è mai stato un tipo romantico lui. Anzi, è sempre stato un grandissimo bastardo, ma in lei c'è qualcosa che gli impone di regolarsi, di cacciare fuori quel lato umano, che era già assopito ai tempi in cui il suo cuore batteva.
«Abbiamo sequestrato la tua compagna, Izo. Abbiamo fatto un ottimo lavoro.» spiega Sakura, con un dolce sorriso a rincuorarlo. Vorrebbe tanto tirare un cazzotto a Wulfric per essersi lasciato scappare un commento simile, ma alla fine sa bene che non lo fa con cattiveria. Se fosse voluto essere cattivo, non si sarebbe limitato a parlare.
«Ecco a voi, la meravigliosa Comandante della Dodicesima Flotta!» annuncia a pieni polmoni Mimì, sedendosi sulla ringhiera delle scale e lasciandosi scivolare giù con grazia. Generalmente lo fa bendata assieme a Kakashi, e vince chi riesce a farsi più male.
Halta, che non si era mai vergognata tanto in vita sua, allunga un poco la testa da dietro il muro che usa come riparo, sospirando abbattuta quando vede tutti i Comandanti e il capitano ad aspettarla.
Me la pagherete... tutte quante!, pensa stringendo con forza i pugni, decidendo infine di uscire allo scoperto. Non senza una notevole fatica, le varie immortali sono riuscite a farle indossare un abito nude con scollo a V, abbellito da strass e fiori stampati, il tutto accompagnato da un paio di stivaletti bassi del medesimo colore. Poco sono riuscite a fare con i suoi capelli, dovendo infine accontentarsi di averli pettinati all'indietro.
Izo guarda la compagna scendere le scale con la bocca lievemente dischiusa e gli occhi spalancati. Aveva sì intuito che per le donne presenti ad Helheimr mostrarsi sempre al massimo della forma è quasi una fissazione, ma non aveva immaginato che avrebbero messo le loro mani curate e laccate sulla sua ragazza.
Halta, imbarazzatissima, arriva in mezzo a loro con la testa china e le braccia incrociate al petto. Li odia tutti, dal primo all'ultimo, e lo sguardo che Izo le rivolge, così sconvolto e allo stesso tempo eccitato, la imbarazza a tal punto che le temperature che Ace può raggiungere col suo potere sono niente se paragonate alle sue.
«Andiamo, biscottini!» cinguetta allegra Mimì, roteando su sé stessa per la felicità di essere finalmente tutti riuniti, sorprendendo alcuni dei presenti: come si fa a volteggiare e saltellare su dei tacchi vertiginosi come quelli?!
Con quel gesto, però, fa inevitabilmente alzare la gonna del suo vestitino, di un tessuto cangiante effetto metal, scatenando immediatamente le battutine di Wulfric. Passa infatti dal darle dell'impedita cronica ad altri insulti nella sua lingua, che pure lei capisce a stento.
«Buonasera.»
Ad attenderli in fondo a quell'enorme sala c'è Astrid, supersexy in bianco, nel vecchio stile Anwend, con un make up luminoso e chioma da vamp tutta di lato, per non distrarre dalla generosa scollatura.
«Spero che abbiate appetito.» sorride cordialmente e fa loro gesto di seguirla.
Malgrado abbiano già visto i corridoi principali de La Solitaria, nessun pirata rimane immune allo splendore che lo circonda. Affreschi, statue, stucchi, mobili e armi di una bellezza accecante li circondano completamente, facendogli quasi girare la testa.
«Blamenco!» l'urlo acuto di Bjorn risuona per tutto il maniero, facendoli voltare di scatto. Il diretto interessato si abbassa leggermente per poter prendere in braccio in piccolo ed eccentrico principino, vestito di tutto punto con jeans scuri, camicetta bianca e giacca blu scuro, con i capelli tirati indietro con chissà quanto gel.
«Dopo giochi con noi?» urla contento in ragazzino, sistemandosi come meglio può tra le braccia del pirata. Malgrado i genitori si siano raccomandati almeno una ventina di volte di non dar fastidio e di non essere invadenti, i due cucciolotti non vogliono far altro che stare svegli tutta la notte per giocare con quegli eccentrici uomini.
«Prima si mangia, poi si gioca!» risponde con allegria il Comandante, senza mai mollare la presa sul marmocchio che, divenuto improvvisamente docile, poggia la testa sulla sua spalla e si lascia condurre senza storie nella sala da pranzo, dove già bivaccano gli altri.
«Buonasera.» saluta educatamente Fenrir, mentre Týr, al suo fianco, grugnisce un saluto incomprensibile per chiunque. L'amicizia tra il fratello e il l'Imperatore, infatti, continua a dargli fastidio. Se possibile è più fastidiosa quella che il palo d'argento che gli piantarono senza tante cerimonie nel cuore mesi addietro.
«Prego, sedetevi dove preferite.» afferma sorridendo allegro Fenrir, lasciando un posto alla sua sinistra per l'uomo con cui ha instaurato una tiepida amicizia.
Barbabianca si sente stranamente onorato di essere entrato nelle grazie di un simile individuo. Non perché se fosse stato diversamente si sarebbero scontrati, gli sarebbe andato bene anche così, ma perché è la prima persona da troppo tempo con cui può parlare seriamente e di tutto. Oltretutto, poi, è pure una creatura squisitamente educata, al contrario di quello che uno si può aspettare.
Alla sua destra si siede Freki, suo Beta da quando ha abbracciato l'immortalità e, di conseguenza, una specie di ombra per lui.
Týr si è messo a capotavola dall'altra parte, con al suo fianco Wulfric e, suo malgrado, Sakura.
I gemelli, seppur a malincuore, si sono seduti tra Freki e Killian, che ha al suo fianco la sua adorata Astrid. I due bambini adorano i grandi Beta, ma avrebbero preferito continuare a giocare con i pirati.
Tra Floki e la Freki è rimasto uno spazio vuoto, che ben presto verrà occupato dalla ritardataria di turno.
Akemi infatti ancora non si è fatta vedere. È confusa, spaventata, non ha la minima idea di cosa deve fare, di cosa deve dire. Non vuole passare la serata a fissare il piatto con il cuore che batte all'impazzata, ma sa che non presentandosi peggiorerebbe la già difficile situazione e farebbe pure la figura della sciocca, cosa che non può più permettersi.
Dopo aver atteso per qualche minuto dietro la porta, con la testa appoggiata contro la parete, finalmente si fa coraggio ed entra, ignorando volutamente gli sguardi dei presenti. Indossa un top con scollo a cuore, abbinato a un paio di pantaloni ampi, che nascondono in parte gli alti trochetti neri e i loro ricami dorati. Le labbra sono dipinte di un marroncino chiaro, mentre sugli occhi c'è un pesante strato di nero per metterli in risalto; dal collo pendono svariate catenine dorate, alla quale sono appesi dei piccoli ciondoli simbolici. I capelli, adesso nuovamente di un solo colore, sono stati tagliati alle scapole e leggermente cotonati.
«Tata! Tata! Qui! Qui!» urla contento Floki, sbracciandosi quasi fino a staccarsi le braccia pur di indicarle il posto vuoto al suo fianco, che viene velocemente occupato con sua somma felicità.
Marco, malgrado ci stia provando con tutto sé stesso, non riesce assolutamente a staccarle gli occhi di dosso. La guarda e si convince sempre di più che sia tutto sbagliato, che lei dovrebbe essere al suo fianco come un tempo. Perché la loro sarà stata pure una relazione breve, ma è stata così intensa da lasciare un segno indelebile nel cuore della Fenice.
«Rilassati, stai bene.»
Marco ha sentito chiaramente quella frase uscire dalle labbra di Freki, e ora inevitabilmente guarda lui. Lo guarda con la sua camicia blu scuro che pare essere fatta su misura per lui; guarda i suoi capelli ribelli scendergli morbidi sul collo e sulla fronte; ma soprattutto guarda il sorriso complice e malizioso che rivolge ad Akemi.
Continua a fissarli in cagnesco per almeno dieci minuti, non ascoltando neanche una parola che viene detta dai suoi compagni. Non sente neanche la forte risata di suo padre. Niente. Assolutamente niente. Vede e sente solo loro due, intenti a bisticciare come bambini e a fare dispetti ai gemelli, che riescono sempre a difendersi egregiamente. Si ridesta solo quando gli viene messo davanti il piatto con gli antipasti.
I presenti si accorgono senza alcuna fatica che le portate sono assai diverse: carne al sangue per i licantropi, bocconcini di sangue solidificato per i vampiri e vari assaggi di pesce per loro. Da una parte sono disgustati nel vedere come godano nell'assaporare il sangue, turbandosi quando i loro occhi si accendono e rivelano la loro natura demoniaca quando le loro papille gustative entrano in contatto con la carne umana, ma anche questa volta decidono saggiamente di passare sopra a tutto quanto. Non vogliono sapere a chi appartenevano i pezzi di carne che, portata dopo portata, vengono loro serviti, da quali vene proviene il sangue che Týr e Wulfric scolano avidamente dai calici di cristallo. Non vogliono sapere assolutamente niente. L'unico che si è espresso al riguardo è stato Ace, suggerendo loro di fare scorte di Marines e mangiare quelli, suscitando delle lievi risate da parte dei presenti e un flebile “Chi ti dice che non lo siano?” da parte di Wulfric.
Quando giungono finalmente al dolce, quasi tre ore dopo, anche i più grandi mangiatori sono sul punto di scoppiare. Gli hanno dato così tanto che per poco i loro stomaci non esplodevano come petardi, ma hanno sempre continuato a mangiare a causa dei mille sapori deliziosi che possono gustare una volta tanto.
«Questa me la dovete spiegare!» la voce acuta e furiosa di Freya arriva alle loro orecchie come una secchiata d'acqua. Erano sicuri che non si sarebbe mai azzardata a venire dopo la schiacciante sconfitta di quella mattina, quindi non hanno neanche perso tempo nel dirle che non era gradita.
Entra nella sala come una furia, fasciata in un micro-vestito a stampa di pitone blu e azzurro, con degli altissimi tacchi a spillo neri, i capelli d'oro acconciati in grossi e voluminosi boccoli ondeggiano ad ogni passo. Punta di colpo i piedi a terra e fissa i presenti uno ad uno con l'unico occhio superstite di quell'inquietante color oro, lasciando pure le candide zanne in bella mostra.
«Credevo che fosse chiaro che non sei la benvenuta, Freya.» la sfotte Týr, con il solito sorriso sghembo ad increspargli le labbra.
Dopo quell'affermazione, che ha strappato un lieve sorriso a tutti, la situazione esplode in un secondo: Freya ringhia con tutta la rabbia che ha in corpo, portando così sulla difensiva i pirati, e un coltello vola preciso nella sua spalla.
La lupa si porta velocemente una mano sulla ferita, piegandosi leggermente in avanti ed imponendosi di non urlare, e Floki scatta in piedi sul tavolo mostrandole i denti, ringhiando con una forza tale da far impallidire pure i due antichi Beta, che lo fissano come se fosse un'allucinazione.
«Sparisci!» ringhia con voce profonda e gutturale, facendo scattare in piedi il padre.
«Floki, ma che ti prende?!» urla la madre, scattando in piedi a sua volta.
I presenti guardano allibiti la scena, arrivando velocemente alla conclusione che questo, al contrario di tutti gli altri eventi a cui hanno assistito, non è normale.
«Mi ha fatto arrabbiare.» risponde in un ringhio il piccolo principe, rinfoderando gli artigli neri che si era precedentemente piantato a sangue nei palmi delle manine.
Fenrir, che stupido di certo non è, si muove il più velocemente possibile per afferrare alle spalle il bambino. Lo solleva dal tavolo e lo porta a terra, inginocchiandosi davanti a lei e fissandolo con insistenza negli occhi, e il cuore perde qualche battito.
«Fenrir?» lo richiama incerta Astrid, azzardando un paio di passi verso di loro.
Pure Akemi è spaventata. Non potrebbe assolutamente sopportare che qualcosa di brutto abbattesse i suoi giovani e vivaci fratellini. Non potrebbe sopportare di vederli spezzarsi da un momento all'altro. Non potrebbe sopportare di separarsene per sempre.
«Bjorn, vieni qui.» ordina secco l'Imperatore, afferrando saldamente per una spalla il figlio. «Ci riesci pure tu?» il piccino guarda per un attimo il fratello e poi annuisce confuso, concentrandosi per qualche secondo per riuscire in quella che, per loro, è ancora una specie d'impresa.
La situazione si è congelata: nessuno si muove di un millimetro, nessuno osa chiedere cosa abbiano i due ragazzini, neanche i familiari.
Quando però Fenrir abbassa la testa con fare sconsolato e ridacchia con aria quasi isterica, tutti tirano un sospiro di sollievo. In fondo nessun padre riderebbe di fronte al figlio malato, no?
«Ora capisco perché gli altri novellini girano sempre intorno a questi due diavoli.» si alza in piedi e spettina amorevolmente i ragazzini che ancora non capiscono cosa hanno fatto di tanto sconvolgente, voltandosi solamente quando vengono richiamati dalla voce tremante della madre.
I vari immortali seduti al tavolo rimangono totalmente shockati da quello che vedono: i loro occhi, i loro bellissimi occhi cobalto, adesso sono screziati di rosso. Per essere più precisi, l'occhio sinistro di Bjorn è già per ¾ rosso, mentre quello destro di Floki solo per metà.
«Porca puttana...» mormora Týr, portandosi una mano davanti alla bocca per provare, inutilmente, a mascherare lo sgomento.
«Che hanno?» tuona Barbabianca che ormai ha preso in simpatia i due piccoli folli che lo chiamano nonno. Se avessero bisogno di qualcosa, sarebbe già in prima linea per aiutarli. Si fa così in famiglia, no?
Fenrir scoppia a ridere di gusto, passandosi entrambe le mani tra i capelli. Gli occhi dei presenti sono tutti puntati su di lui, pure quelli dei gemelli, ancora ignari di quale sia il motivo di tanto sconcerto.
«Sono due Alfa Naturali!» esclama contento, afferrando i figli da dietro le gambe e caricandoseli in spalla, fiero come non credeva di poter essere in vita sua. Fino a quel momento, l'unico Alfa Naturale è stato solo lui.
«Cos'è un Alfa Naturale?» mormora Vista all'orecchio di Mimì, ignorando deliberatamente il fatto che stesse bevendo una lunga sorsata di sangue ancora caldo.
«I licantropi, più di qualsiasi altra creatura immortale, seguono una gerarchia molto rigira: c'è l'Alfa, che guida tutto il branco; il Beta, braccio destro dell'Alfa, che prende alcune decisioni in sua assenza; i Gamma, che sono il resto del branco, e l'Omega, ovvero lo sfigato di turno che serve per tenere la tensione nel branco sotto controllo.» spiega brevemente, accavallando le gambe sinuose «Si diventa Beta solo per decisione dell'Alfa, mentre per diventare Alfa ci sono tre modi: o combatti con gli altri contendenti all'interno del branco, o ti stacchi dal tuo precedente branco e te ne crei uno per i fatti tuoi, o, cosa rarissima, ci nasci.»
«Loro due lo sono, no? Non è normale che lo siano anche i figli?» domanda con una certa ovvietà Satch, indicando con un cenno del capo i due Sovrani che abbracciano i piccoli e forti eredi.
«Non è assolutamente una cosa ereditaria.» risponde sorridendogli Mimì.
«Neanche la licantropia, se è per questo.» li interrompe voce di Killian, adesso vicino alla finestra ad osservare quasi con malinconia la festa che si sta svolgendo alla Villa delle Anime. «Solo un licantropo maschio può trasmettere il gene puro. Per farla breve: due licantropi generano un licantropo; un licantropo e una donna umana generano anche stavolta un licantopo; ma una licantropa e un essere umano, non genereranno mai un lupo mannaro.»
«E quindi cosa nasce? Un umano più forte?» domanda incuriosito Ace, voltandosi verso quel ragazzo che un tempo avrebbe ammazzato a mani nude e che adesso invece trova vagamente simpatico.
«No.» risponde secco, voltandosi finalmente verso di loro «Un coyote mannaro.»
«Un tempo erano molto numerosi, si riproducevano a macchia d'olio.» aggiunge con vago interesse Týr, facendo ondeggiare distrattamente il liquido scarlatto contenuto nel suo calice. «Purtroppo per loro, però, il mondo non è abbastanza grande per tutti, e loro non sono sufficientemente forti da poter affrontare un lupo mannaro.»
Sorride con aria meschina, Týr, facendo intendere loro che non è stata solo opera dei lupi cattivi se quella specie è sull'orlo dell'estinzione, ma nessuno ha voglia di mettersi a discutere con lui. È stata una giornata sin troppo piena pure per loro, non riuscirebbero a sopportare i suoi rigiri di parole e le sue assurdità.
«Mio Signore, con tutto il rispetto...» comincia Freki, alzandosi piano dal suo posto e sorridendo con aria beffarda al suo Sire «Qui è un mortorio.»
Fenrir gli sorride appena, lanciandogli letteralmente addosso il piccolo Bjorn che viene subito afferrato, neanche fosse un pupazzo. Però la cosa sembra divertirlo, quindi neanche Astrid dice niente.
«Se avete voglia di fare un po' di baldoria, vi consiglio vivamente di seguirmi.» suggerisce con tono affabile l'Imperatore, ricevendo in risposta un boato d'approvazione. Pure Barbabianca, assai provato dalla dura giornata, si alza e li segue, curioso di vedere se i festini su quell'isola di pazzi sono devastanti come li descriveva Týr.
Lo seguono tutti velocemente per i lunghi e sontuosi corridoi, per il magnifico giardino illuminato dai brillanti raggi lunari, fino alla tetra foresta. Ad ogni passo verso la Villa delle Anime, luogo fissato per la festa, sentono la musica salire, entrargli dentro e scuotere le loro casse toraciche. Alcuni si domandano come facciano creature con un udito sensibile come il loro a sopportare un tale fracasso, altri invece si domandando se i compagni stanno bene o se sono diventati la portata principale del loro banchetto. Perché, si sa: fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio.
Sentono delle risate quasi malate provenire dalla loro destra, e neanche pochi secondi dopo vedono spuntare dal fitto della vegetazione Ed e Ginevra che si tengono per mano. Del sangue ancora caldo e denso cola dalle loro labbra, mentre i loro occhi dorati fiammeggiano nell'oscurità.
«Non temete, non hanno mangiato i vostri amici.» borbotta Týr, indifferente come sempre.
Freki, con un braccio attorno alle spalle di Akemi, continua a camminare come se niente fosse, attirato da quel rumore assordante e dall'odore di sangue, alcol e sesso che sente chiaramente. È come una melodia per lui, la più dolce e ammaliante di tutte, e niente riuscirebbe a trattenerlo in quel momento.
Quando dopo qualche minuto finalmente i pirati escono dalla boscaglia e si ritrovano davanti alla Villa, sentono come se il cuore improvvisamente si bloccasse e un nuovo mondo si aprisse davanti ai loro occhi: tutti si muovono, il caos regna sovrano come se si trovassero in battaglia; c'è chi si sfida per potersi aggiudicare una gamba umana, chi balla mezzo nudo sulle balaustre, chi beve il sangue dei propri compagni per sballarsi ancora di più.
Caos e perversione.
Pure gli uomini dell'Imperatore Bianco si danno alla pazza gioia, bevendo, urlando, ballando e scopando con qualsiasi creatura di sesso femminile disponibile. I loro freni inibitori sono andati a puttane nel momento esatto in cui la musica è stata accesa e le casse hanno cominciato a pompare a tutto volume.
Quando Týr parte, gettandosi in mezzo alla mischia e afferrando le sue vampire, pure il resto del gruppo si sblocca: la ragione viene momentaneamente accantonata per lasciar spazio all'euforia, gli alcolici vengono passati di mano in mano come offerte di pace in chiesa. I più folli decidono di assaggiare il sangue dei più sballati, ritrovandosi a loro volta immersi in trip allucinanti che mai avrebbero pensato di provare.
Le ore sembrano minuti per loro. Niente ha più senso, nessuno vuole fermarsi. Solo il sorgere del Sole li calmerà e incatenerà di nuovo il loro lato oscuro, permettendo alla ragione di tornare a splendere. Ma adesso il Sole non c'è. Mancano ancora un paio d'ore alla sua comparsa, e loro hanno intenzione di godersi quello sballo fino alla fine.
Fenrir e Astrid ballano insieme. Sono sesso allo stato puro quando si muovo, quando le mani grandi e forti del lupo sfiorano quella pelle morbida, quando i fianchi rotondi della Sovrana ondeggiano lentamente.
Vista ha deciso di bruciare la sua anima nel girone dei lussuriosi, lasciandocisi trascinare in una camera da Jena e Cassandra, una Banshee amica sua dai meravigliosi capelli rosso fuoco e un culo che parla.
Namiur è stato afferrato e trascinato via da una ninfa, e da un paio d'ore di lui non c'è più traccia.
Ace ha invece deciso di darsi totalmente all'alcol, ritrovandosi in poche ore in uno stato così imbarazzante da venire addirittura snobbato dalle femmine, anche quelle più spinte come le vampire di Týr.
Barbabianca, ormai molto più che alticcio, continua a tenere sotto tiro i propri figli intenti ad autodistruggersi, ridendo come un folle ogni volta che qualcuno di loro fa l'ennesima figura di merda. Come, per fare un esempio, Speed Jill che viene sbalzato contro un albero da Arista per essersi preso troppe libertà con Momoko.
L'unico che non si diverte e che rimane sempre fermo in un angolo è Marco. Lui non può ballare, non può divertirsi, non quando la sua donna – perché è sua, e fine della discussione – balla e si diverte assieme a Killian, Freki o Hidan. Non può ridere spensierato quando questi tre demoni la fanno volteggiare, la stringono e le offrono da bere. Non può abbordare una di quelle puttane in calore quando la baciano sulle guance e si strusciano lascivamente su di lei. E non può smettere di fissarla, dal momento che anche lei lo fissa.
È proprio per questo motivo che Akemi, pur di cercare un riparo, corre dentro la Villa e si butta a sedere su uno dei comodi divani del salone assieme ai gemelli, che cominciano a parlarle a raffica, mostrandole anche i piccoli dinosauri che Killian ha intagliato per loro e proponendole di giocarci insieme. Ma lei non riesce neanche a sentirli. Non sente neanche la musica assordante che li circonda. Non sente e non vede niente, se non lo sguardo di Marco fisso su di lei.
Ha provato a fissarlo a sua volta per intimargli di smetterla. Ha provato a ballare con i suoi amici davanti a lui per fargli rabbia, suggerendogli ancora di smetterla. Ha provato tutto quello che le è venuto in mente, ma niente è servito.
Anche adesso le è andato dietro e continua ad osservarla dall'altra parte della grande stanza in cui si è rifugiata con i fratelli e sembra che per niente al mondo abbia intenzione di smettere.
«Vado un momento a darmi una rinfrescata, ok? Torno tra poco.» li liquida velocemente e corre subito via, ignorando i loro richiami.
Non riesce più a stare in quella maledetta stanza, a quella maledetta festa. Non riesce a sopportare il suo odore che per dispetto riesce ad arrivarle alle narici malgrado a sopraffarlo ce ne siano un migliaio. Non riesce più a trattenere le lacrime che da quella mattina cercano in tutti i modi di liberarsi.
Marco, accerchiato dai compagni, si allontana senza dire niente, consapevole che quella è probabilmente l'unica volta in cui riuscirà a beccarla da sola per poterla affrontare. In fondo tutti sono alla festa e tutti sono ubriachi, troppo per poter badare all'ennesimo sbalzo d'umore della loro piccola principessa.
Le corre dietro a rotta di collo, raggiungendola dopo un paio di minuti.
Se pensi di potermi seminare, hai sbagliato di grosso!, pensa stizzito mentre aumenta il passo per poterla raggiungere. Il cuore gli fa una capriola nel petto quando finalmente si volta a guardarlo negli occhi. Ma non ha intenzione di farsi rabbonire da quegli occhioni dolci e pieni di lacrime, proprio no. Chiarirà quella situazione una volta per tutte, così da potersi finalmente mettere il cuore in pace.
«Akemi!» le urla dietro, ricominciando a correre quando la ragazza si sfila maldestramente le scarpe alte e comincia di nuovo a correre, raggiungendo una velocità che davvero non si immaginava.
«Lasciami in pace!»
Non le ci vuole poi molto per riuscire a sparire dal suo campo visivo. È decisamente più veloce e, al contrario suo, conosce perfettamente ogni centimetro di quell'isola. Ma Marco aveva preso in considerazione anche questo, ed è per questa ragione che decide di passare immediatamente al contrattacco: le fiamme blu lo avvolgono totalmente e il suo corpo si trasforma in un batter d'occhio, assumendo la forma di un'affusolata e regale fenice blu.
Spicca subito il volo e la cerca dall'alto, riuscendo a scorgere la sua chioma nera che sfreccia in mezzo al cortile della villa.
Mossa stupida rallentare, carina!
Batte con forza le grosse ali e in breve tempo riesce a raggiungere la finestra della sua stanza. Per sua enorme fortuna, cosa che in realtà gli dà pure da pensare, la trova aperta e, neanche a farlo a posta, Akemi sta entrando proprio in quel momento.
La giovane immortale si blocca come una statua nel vederlo volare dentro la sua stanza. Era convinta di essere riuscita a seminarlo, ed è ancora più convinta di aver chiuso la finestra prima di lasciare la stanza. Fiutando per un attimo l'aria, però, sente chiaramente l'odore freddo e dolce del padre.
Questa me la paghi, stronzetto!, pensa stringendo con forza i pugni e decidendosi finalmente ad affrontare il Comandante.
«Voglio stare da sola!» gli urla contro la prima scemenza che le passa per la testa, battendo un piede a terra come una bambina capricciosa.
Marco rimane fermo al suo posto, mettendosi le mani nelle tasche e abbassando per un brevissimo istante la testa. Sa bene che Akemi preferisce aggirare gli ostacoli e lasciarseli alle spalle anziché affrontarli direttamente e che per questo adesso reagirà solo ed esclusivamente nella maniera peggiore, quindi si impone di mantenere il più possibile la calma.
«Volevo sapere se stai bene.» butta lì con voce neutra, osservandola con attenzione.
«No! Non sto per niente bene! Ok?! Sei soddisfatto?! Io. Non sto. Bene!» urla furiosa, portandosi le mani tra i capelli e camminando nervosamente per la stanza, sbattendo pure lo stinco contro lo spigolo del tavolino, cosa che le fa scappare una sonora bestemmia. «E smettila di guardarmi!» urla subito dopo alzando gli occhi su Marco, che a stento trattiene un sorriso di fronte alla sua solita sbadataggine.
Marco la guarda afflitto, annientato dal desiderio di abbracciarla che però è costretto a sopprimere. «Io non ti guardo.» mormora semplicemente, pur essendo consapevole che mentire con lei è totalmente inutile.
«Tu non fai altro che guardarmi!» sibila furiosa, puntandogli contro un dito con fare accusatorio. «Freki potrebbe essere un buon partito per me, sai?! Lui non ha paura di me, di quello che sono o quello che posso fare! E a me piace Freki, mi diverto quando sono con lui!» aggiunge velenosa, assottigliando lo sguardo e fissandolo con quanto più astio può, mentre il suo cuore sanguina «Ma non posso respirare se tu mi guardi in quel modo, NON POSSO RESPIRARE
Tra loro regna un silenzio assordante, di quelli che ti distruggono, ti spezzano completamente. Ma Marco non ha alcuna intenzione di mollare, di lasciare che quel maledetto silenzio li separi per sempre. Perché lui deve provare a giocarsi tutte le proprie carte, ne va del suo futuro e lo sa.
«Credi che lo faccia a posta? Credi che non preferirei stare in mezzo ai miei fratelli e divertirmi? Che non preferirei non soffrire come un cane per una donna che non fa altro che rendermi impossibile tutto quello che faccio?!» la sua voce è calma, rabbiosa e triste. Avanza di qualche passo, continuando a sostenere il suo sguardo adesso indeciso e sofferente. «Io farei qualsiasi cosa per non guardarti più... ma non posso.» ammette infine, arrivando a pochi passi da lei.
Allunga titubante una mano verso il suo viso, sfiorandolo piano, e a quel punto sa che ha vinto.
La tira piano verso di sé, catturando finalmente le sue labbra in quel tanto sospirato bacio che avrebbe voluto dargli non appena l'aveva vista sulla spiaggia.
E Akemi non vorrebbe cedere. Non vorrebbe lasciarsi andare, stringersi tra le sue braccia e ricambiare il bacio. Non vorrebbe lasciarsi toccare all'indietro, non vorrebbe lasciarlo armeggiare con la cerniera del suo vestito, ma proprio non riesce a resistere. Il desiderio malato di averlo è talmente forte e violento da annientare totalmente la sua volontà. Ma un piccolo intoppo la costringe a fermarlo, bloccandogli le mani e allontanandolo di pochi centimetri.
«Aspetta, aspetta...» mormora a corto di fiato, scostandosi con imbarazzo una ciocca di capelli dietro le orecchie.
Marco si scosta velocemente, come se si fosse ustionato, più imbarazzato che dopo il loro primo bacio. Era convinto che andasse bene, che lo volesse quanto lo voleva lui, ma evidentemente si sbagliava.
«Sì, scusa... hai- hai ragione. Forse sarebbe meglio parlare, dopo tutto quello che è successo...» si passa nervosamente una mano dietro al collo, tenendo la testa china per la vergogna.
«Veramente mi si sono incastrati i capelli alla collana.» ammette la corvina, sorridendogli timidamente. Si sente esattamente come i primissimi tempi in cui si frequentavano, quando non aveva idea di dove mettere le mani o cosa dire, e la cosa riesce sorprendentemente a strapparle un sorriso divertito. «Ma se vuoi parlare, non c'è problema.» aggiunge dopo qualche secondo di silenzio, scrollando le spalle non appena è riuscita a togliersi quella fastidiosa collana che per tutta la sera le ha strappato i capelli.
Annuisce appena Marco, vagamente indeciso su cosa fare e cosa no. Poi semplicemente se ne frega, mormorando un appena comprensibile “come no” e l'afferra per la vita per baciarla di nuovo, stavolta con ancora più trasporto.
Sanno di non aver risolto assolutamente niente, di non aver minimamente affrontato quello spinoso argomento che li porterà a scannarsi di nuovo, ma a nessuno dei due importa.
Ci sono solo loro adesso. Nient'altro.



Angolo dell'autrice:
Odio profondamente l'OOC di Marco, giuro. Mi sto spremendo per renderlo al meglio, ma alla fine esce sempre maledettamente storpiato. Probabilmente mi esce così perché tutt'ora in famiglia ho una situazione delicata dove due si prendono a cornate come i due protagonisti, e di discorsi del genere ne sento a dozzine. Però, come detto all'inizio, un pochetto doveva abbassare la cresta, così come l'ha abbassata lei. Non crediate però che si sia risolto tutto così eh! Neanche per sogno! La questione tra loro è ancora aperta e tra non molto verrà ripresa, però prima volevo farli riavvicinare così.
Poi, che altro dire? Beh, i gemellini sono Alfa, ovvero delle future macchine da guerra pressoché perfette, e nel sequel lo vedremo eccome. Floki ha pure accoltellato Freya :3 Come si fa a non adorare quel piccolo sociopatico violento?! ;D
Come già detto all'inizio, nel prossimo tornerà Peter... e presto sgancerò la bomba più grossa di tutte! :D
Ok, non dico altro.

Un grazie di tutto cuore a Monkey_D_Alyce, Chie_Haruka, Aliaaara, Nakurami, Yellow Canadair, KURAMA DI SAGITTER, Nakurami, ankoku e Keyea Hanako D Hono, e a tutti coloro che mi seguono :3 Siete dei tesori!

Adesso vi lascio con uno special scritto dalla meravigliosa Yellow Canadair!
Un bacione
Kiki~

 

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Yellow Canadair

Due saracinesche.
Di quelle dei negozi, pesanti, grigie, che fanno un gran rumore quando vengono sollevate al mattino e chiuse alla sera. Quelle che sembravano richiedere sforzi sovrumani per essere manovrate, manco fossero state fatte di ghisa.
Portuguese D. Ace è un bel ragazzo, tutto sommato. Un ragazzo in salute, atletico e, per dirla come le nonne, “che mangia”. Eppure in quel momento gli pare che le sue palpebre siano due di quelle saracinesche, fatte di ghisa, impossibili da sollevare persino per un ragazzone come lui. Gli sembra di essere un’anziana e decrepita padrona di negozio davanti al suo esercizio al lunedì mattina: scoraggiato davanti a quel rotolo di metallo che attende di essere mandato verso l’alto con un gran frastuono.
Tunz tunz tunz, il suono ritmato delle percussioni viene dal passato, dalla sera precedente, e ancora risuona nelle sue orecchie.
Ma quanto aveva bevuto? Non è la prima volta che si sveglia con i postumi di una sbronza, eppure ogni volta non manca mai di chiedersi quanto diavolo possa aver bevuto, e ogni tanto cerca anche di figurarsi il suo stomaco, per arrivare a capire se davvero possa contenere tutta la quantità di liquido che gli ha causato quello stato.
Un conato di vomito gli dice che no, non la può contenere.
Si sporge con la testa oltre il letto (o almeno quello su cui stava, che gli pareva essere un letto) e vomita senza pensarci due volte.
«Uff… che schifo» fa una voce in lontananza. Non ha alzato il tono, né sembra effettivamente nauseata, però alle orecchie di Ace arriva come una decina di spilli infilzati nei suoi timpani, confondendosi con quel maledetto tunz tunz.
Deve trovarsi bocconi su un divano, sente lo schienale muovendo di poco la gamba destra. Un divano, benissimo. Sempre meglio della sala di aspetto di un urologo, sita in un pianterreno, dove si era svegliato l’ultima volta (destato da uno strillo della segretaria del dottore venuta ad aprire lo studio. Oh, ma Satch l’aveva pagato quello scherzo, eccome se l’aveva pagato).
Un divano, e poi?
Socchiude gli occhi; il suo vomito gli da un caloroso buongiorno dalla bacinella azzurra che lo contiene.
Una mano gli accarezza leggera i capelli.
«Lo vado a svuotare, non vomitare per terra, mi raccomando» si premura la stessa voce di prima.
Altri spilli infilzati nei suoi timpani, senza pietà.
Il pirata, una volta eliminato quel bouquet di odori assai poco invitante, alza di poco lo sguardo. Si trova in una casa abitata; la stanza è in penombra, le luci filtrano appena dalle tende tirate. Non riesce a ricordare un arredamento simile in nessuno dei luoghi dove è stato… lo stile è completamente diverso. Sembra di stare in una taverna, o a bordo di una nave, o comunque non certo in una di quelle residenze sfarzose dei vampiri amici di Akemi.
Mette a fuoco lentamente alcuni oggetti: le mattonelle quadrate e brune del pavimento, un tavolino basso di legno chiaro davanti a lui, due grandi archi che lasciano intravedere una vecchia cucina. Se potesse girarsi e guardare alle spalle del divano su cui sta, vedrebbe delle mensole piene di libri, e si arrabbierebbe anche notando i dorsi di un paio di loro, tra i più recenti, che sembrano urlare a pieni polmoni il nome dell’ultimo Re dei Pirati.
Dove diavolo è?
«Ecco il tuo amico» la voce. Stavolta è stata un sussurro, e il suo cervello ringrazia calorosamente per la cortesia. La bacinella viene rimessa sotto il suo naso, per terra.
Ace solleva gli occhi sulla figura che gli ha riportato il catino.
Una ragazza. No, non “una ragazza”. L’ha già vista. Si ricorda di lei… chi diavolo è? Come si chiama? È la pazza che ha guardato nei pantaloni del Rosso, come ormai è universalmente nota a bordo della Moby, ma il Comandante pensa che non sarebbe molto carino chiamarla così.

Silly Silva si mette in bilico sulle punte e si accovaccia davanti al naso del ragazzo, guardandolo negli occhi con fare vispo. Sorride davanti allo smarrimento del figlio di Newgate, e notando che sta disperatamente tentando di dire qualcosa, mette la propria lingua dietro gli incisivi superiori, come a suggerire al ragazzo la sibilante iniziale del suo nome.
«Ssssss… Silly!» recita Ace, accompagnato dalla voce della ragazza.
«Ciao!» sussurra lei «Come va? Come sei brutto stamattina!» lo prende in giro.
Nonostante abbia una squadra di operai massicci al lavoro con dei martelli pneumatici nella testa, Ace sorride alla provocazione.
«…male!» risponde.
«Ci credo» conferma la lupa «Eri distrutto, ieri notte. Anzi, era stamattina. Sì, stamattina presto.»
«Come ci sono finito qui?» biascica il pirata. Fosse meno devastato dal mal di testa, si renderebbe conto che la tipetta davanti a lui non indossa i pantaloni, solo un bikini blu. E addosso porta una camicia da uomo che le ha dato Fenrir, dato che ad Astrid non piaceva più (la camicia).
«Ci sei arrivato da solo. Almeno fino alla casa, poi ti ho trascinato dentro io» non è maliziosa, solo immensamente realista.
«Mi hai trascinato… dentro casa?»
Che cosa faceva, lui, alle donne? Le stregava, ecco cosa.
«Sì, stavi provando ad abbordare… e no, non in senso nautico, allora ho pensato volessi stare più comodo.»
«Ti ho…» sta per dire “rimorchiata”.
Silly trilla una risata che risuona come l’atterraggio di un pianoforte lanciato dal sesto piano nella testa del ragazzo.
«No, non me!» spiega la lupa «La mia bicicletta!»
Figura. Di. Merda. Ace non ricorda nulla della sera prima, ma non ha difficoltà ad immaginarsi di aver fatto una stronzata del genere.
«Stavo rientrando dalla festa e ti ho trovato abbracciato alla bici. Le stavi dicendo di non fare la difficile perché… aspetta, me lo sono appuntato!» tira fuori dalla tasca sul petto della camicia un pezzo di carta «“Perché le nostre strade sono destinate ad andare per mare, piccola bimba, e non ha senso opporsi”, o almeno è quello che ho capito»
«Figura di merda…» mormora Ace.
«E non sai quello che hai detto quando ti ho preso di peso e scaraventato sul divano…»
«Non lo voglio sap-»
«“Ehi sexy lady” e mi hai fatto l’occhiolino, eri inquietante “sei più calda del fuoco… e io me ne intendo”» legge con professionalità.
«Sono un coglione…» rantola il ragazzo seppellendosi sotto un cuscino.
«Eri sbronzo» risponde Silly con semplicità «Ti preparo un caffè.»
Da sotto al cuscino arriva uno strano mugolio.
«Anzi, un’aspirina» si corregge la ragazza.

«E vivi qui? Tutta sola?» si stupisce Ace.
Si è ripreso discretamente, e più in fretta di quanto Silly credesse. In fondo è giovane, ed è abituato ad inconvenienti del genere. Adesso è riuscito a mettersi seduto sul divano, l’aspirina sta facendo effetto, e la voce della padrona di casa non è più così traumatica.
Silly è seduta sullo stesso sofà alla sinistra del ragazzo, a poca distanza, beve un cappuccino e ha sciolto la sua treccia, lasciando che le morbide onde dei suoi capelli siano libere e scapigliate.
«Non mi piacciono i palazzi troppo grandi» spiega la ragazza «E qui c’è molta più tranquillità. Nessuno che urla, nessuno che si fa venire crisi isteriche per motivi strani. Se ho voglia di compagnia, sono io ad andare dagli altri. E poi, spesso qui c’è Mimì. O Lilith, ultimamente.»
Ace giocherella con il fermaglio che di solito lega la treccia di Silly. Era azzurro, come il cielo, la stoffa nascondeva l’elastico, e dei fiorellini rossi sono incastrati -chissà come- nella trama azzurra. I suoi pensieri vengono interrotti da un dito che esplora la A del suo tatuaggio. Si volta verso Silly, che si è avvicinata e studia ammaliata il disegno che gli ornava il braccio.
La osserva in silenzio, mentre sembra volersi imprimere nel polpastrello il leggero dislivello tra pelle e inchiostro.
Arrivata alla fine della dolce e curva S e trovandosi a dover percorrere le stanghe della croce che la sbarrava, solleva lo sguardo verso Ace, che ancora la guarda, e che si aspetta la domanda che infatti giunge: «Perché c’è… una esse? Sbarrata?»
Il ragazzo sorride triste, ma non se la prende per l’invadenza della piccola scapestrata. In fondo, anche lui al suo posto avrebbe domandato.
«È per mio fratello… che non c’è più» spiega rattristandosi, strofinandosi il braccio con la mano opposta, e Silly si sente in colpa.
«Mi… mi dispiace…» balbetta.
Il Secondo Comandante rilancia, cercando di alleggerire l’atmosfera: «E visto che siamo in tema di domande, perché tu stai sempre con le gambe di fuori?» dice ghignando malandrino senza tanti giri di parole «Non che rifiuti un bello spettacolo, ma non mi capita tutti i giorni vedere persone svestite così!»
«E meno male, su una nave di Newgate sarebbe abbastanza preoccupante» ribatte la lupa prima di bere sorsate del suo cappuccino.
Ace ridacchia.
«Non me lo sono mai chiesto, sai?» risponde la ragazza dopo averci riflettuto «Per me è naturale che sia così, e basta»
«Potrebbe essere un disturbo possessivo-repulsivo? »
«Un cosa?!»
«Possiedi le tue gambe, ti piacciono, e quindi sei repulsiva verso qualcosa che te le nasconda. »
Si guardano negli occhi per alcuni istanti, assaporando quella scottante e seria verità.
E scoppiano a ridere insieme. 

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Capitolo 41
*** 41. Helheimr sotto shock! ***


Piccolo avvertimento: tra un paragrafo e l'altro troverete due spazi, e ciò indicherà un cambio di scena e talvolta di tempo (alba, mattina, pomeriggio, sera). Come al solito mi scuso per essere così puntigliosa e rompiballe ma, come ben sapete, è più forte di me!
Buona lettura :*

 

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Ad un primo impatto Helheimr può sembrare un'isola uscita direttamente dal sogno più roseo e splendente; è così luminosa, pulita, non c'è traccia di criminalità. Ma scavando un poco più in profondità si può scoprire che non è così perfetta come si può credere.
Tre livelli sotto La Solitaria, infatti, c'è quello che tutti definiscono “il magazzino”, ovvero quel luogo tetro e umido dove sono situate le celle di contenimento, generalmente vuote, e quelle che invece servono per mantenere in vita gli esseri umani che vengono usati come riserve di sangue. Vengono nutriti con delle flebo, tenuti perfettamente immobili in stato vegetativo, ed ogni giorno viene sottratto loro un litro e mezzo di sangue. Non tutti gli immortali, infatti, sono riusciti ad adattarsi al sangue sintetico, così Fenrir ha escogitato un modo per far felici tutti: prelevare coloro che non hanno famiglia o qualcuno che comunque sentirà la loro mancanza, e usufruirne fino alla fine dei suoi giorni.
Li tengono rinchiusi, immobili e freddi, e li spremono fino all'ultima goccia. Dopo, semplicemente, li scartano, dando i resti a chiunque voglia nutrirsene, come se non fossero mai stati esseri umani -con degli affetti e dei sogni, come se fossero sempre stati solo ed esclusivamente delle sacche di carne piene di dolce nettare scarlatto.
Marshall D. Teach ne ha visti morire parecchi in quei dieci giorni di permanenza forzata nella sua piccola cella di isolamento.
Li ha visti morire, venire staccati dai loro tubi e sostituiti. Ha visto i suoi carcerieri, una coppia di anziani Windigo, nutrirsi di quelle carcasse. Li ha visti farli a pezzi a mani nude e strappare lembi di carne a morsi, divorandoli e dando infine le ossa rotte ai cani zombi che spesso e volentieri bivaccano da quelle parti.
Ha paura, Teach.
Ha paura di essere messo a sua volta in una di quelle cellette, di ricevere una mazzata in testa per essere trasformato in un vegetale, di essere dissanguato lentamente e di essere infine smembrato da quelle enormi mani artigliate e poi digerito nei loro stomaci.
Continua a sperare che il suo ormai ex capitano decida di perdonarlo, che sia così attaccato a lui da volergli dare una seconda possibilità, ma in cuor suo sa che ciò è assolutamente impossibile. Ciò che ha fatto è quanto di più grave possa fare un pirata, e lui ne è pienamente consapevole.
Adesso, nella sua solitudine, non può far altro che domandarsi perché Týr abbia lottato tanto contro gli altri membri del Consiglio per farlo rimanere in vita.
Nella sua mente sono ancora vividi gli occhi fiammeggianti di quella bellissima donna dai capelli color dell'oro, che continuava ad urlare che doveva essere messo al rogo. Ricorda pure il tizio con i lunghi capelli grigi che diceva che il suo è stato un crimine troppo grande per poter chiudere un occhio e lasciarlo vivere.
Ma no, i loro discorsi non sono serviti a niente. Týr aveva già deciso in partenza quale sarebbe stata la sua condanna, e con le sue grandi doti da oratore è riuscito ad imporre il suo volere pure agli altri, facendolo rinchiudere in quella misera celletta da cui mai potrà scappare.
È stato sbattuto in cella con violenza.
Gli hanno legato al collo un collare di metallo per tenerlo legato alla parete.
Lo hanno schernito, gli hanno lanciato addosso oggetti e gli hanno sputato per divertimento.
Quella che ha capito essere la promessa sposa di Satch, Mimì, è andata a trovarlo qualche giorno dopo, e gli ha simpaticamente mostrato cosa fanno i mostri come lei, staccando senza delicatezza alcuna una di quelle povere sacche di sangue disumanizzate e nutrendosene davanti ai suoi occhi. Ha poi dato la carcassa di quella povera donna ad un piccolo grifone, ricordandogli che presto o tardi toccherà anche a lui.
Adesso, stanco e malandato, non può far altro che rimanere in silenzio per non essere deriso da quei mostri... e attendere l'inevitabile fine.


Ci sono delle mattine in cui ci si sveglia e qualcosa non va. A volte sappiamo di cosa si tratta e risolviamo il problema il prima possibile, così da evitare di doversi svegliare altre mattine allo stesso modo. Altre volte, invece, non abbiamo idea di quale sia questo problema, e tutto intorno a noi appare in modo diverso.
Akemi si è svegliata in questo modo, con qualcosa di sbagliato che la agita e non le permette di ragionare lucidamente come sempre, senza sapere di cosa si tratti.
Ha osservato per qualche interminabile minuto l'uomo che giaceva al suo fianco, ascoltando il suo respiro e il battito calmo e regolare del suo cuore, cercando così di allontanare quella sensazione sgradevole che le attorcigliava lo stomaco, ma non è servito a niente. Quella sensazione è rimasta immutata.
Si è quindi alzata e ha cominciato a camminare nervosamente per la stanza immersa nel caos più totale, pensando e ripensando a cosa possa esserci nella sua vita che non va, senza però trovare una risposta.
In suo aiuto, se così si può definire, è arrivato il suo stomaco insopportabilmente vuoto, che l'ha ridestata dai suoi pensieri con una brontolata degna di nota.
Ha sorriso tra sé, ripensando a nove giorni prima, quando il suo stomaco si è messo prepotentemente a borbottare nel momento più sbagliato possibile, ovvero quando stava ricevendo dell'ottimo sesso orale. In quel momento era imbarazzata a morte e Marco rideva, ed era dannatamente bello mentre lo faceva, così spontaneo e felice come forse non lo aveva mai visto.
Quando il suo stomaco ha ripreso a brontolare, Akemi ha dovuto ricacciare violentemente quel pensiero per riuscire a trovare dei vestiti in mezzo al caos che invade la sua stanza e, non appena li ha trovati, si è resa conto di una cosa che per lei ha dell'impossibile: è ingrassata.
I pantaloncini che ha sempre portato e che le sono sempre calzati come una seconda pelle, non si chiudono più. Per dirla tutta, in realtà, arrivano a fatica sul culo!
In quel momento ha pensato, scioccamente, che il brutto risveglio fosse dovuto al fatto che il suo corpo, prima di lei, si fosse reso conto che qualcosa non andava, ma le è bastato sentire un mugolio di Marco, prossimo a svegliarsi, per capire che non era affatto così. Sennò per quale ragione il suo cuore avrebbe cominciato a battere più velocemente?
Adesso, il più silenziosamente possibile, zampetta come uno stambecco su una gamba sola, avvolta nel lenzuolo di seta egiziana per coprirsi, per non farsi vedere agitata e con le sue nuove e poco gradite ciccette al vento.
Ma quando una giornata inizia male, raramente ciò che desideriamo si realizza.
«Ehi...»
La voce di Marco, ancora tranquillamente disteso nel suo enorme letto sfatto, le arriva addosso come una secchiata d'acqua gelida e, tremante, fa emergere giusto la testolina da sotto le lenzuola chiare, sorridendogli in maniera assai imbarazzata. Mentre lo fissa con sguardo colpevole riesce pure ad infilarsi i pantaloni della tuta, rischiando in più di un occasione di sfracellarsi al suolo.
«C- ciao.» balbetta in risposta, cercando di rassicurarlo con un sorriso, che di rassicurante ha ben poco.
Marco fa leva sui gomiti per poterla vedere meglio. È agitata, molto più di lui, e non riesce a capire perché. Sono stati dieci giorni di sesso ininterrotto, ed è stato fantastico. Perché mai essere imbarazzata?
Il secondo giorno c'era stato dell'imbarazzo, ma solo perché alla ragazza brontolava tanto lo stomaco da impedire a Marco di concentrarsi su ciò che doveva fare da quanto rideva. Per loro fortuna, però, la soluzione è stata trovata immediatamente: ogni tot di ore i “domestici” lasciavano davanti alla stanza della ragazza delle assai considerevoli quantità di cibo, che venivano velocemente spazzolati da entrambi.
All'inizio era pure divertente, ma da tre/quattro giorni qualcosa è cambiato pure in quel tranquillo momento: Akemi ha cominciato a volere sempre più cibo, sempre di più, tanto da arrivare a prendere la metà della porzione di Marco.
Questo non gli ha dato minimamente fastidio, no. Lui, in fondo, non è mai stato un tipo particolarmente mangione. È stato strano il suo atteggiamento nei confronti del cibo: ordinazioni sempre più bizzarre e consistenti, il suo modo di buttar giù qualsiasi cosa senza neanche averla vista e, ancor peggio, l'avere sempre più fame.
Uno di quelli che gli porta da mangiare ha provato a tranquillizzarlo, seppur con poco successo, dicendo che la Luna Piena si sta avvicinando e che soprattutto le lupi subiscono spesso questo genere di cambiamenti.
«Tutto bene?» le domanda realmente interessato alla sua salute, alzandosi a sua volta alla ricerca delle mutande perdute.
«Beh-... i- io...» balbetta, è nervosa e non sa esattamente cosa vuole. Non sa se vuole lui, l'uomo per il quale ha pianto fino a terminare le lacrime, o se vuole scappare da quella stanza per andare tra i suoi simili a mangiare tutto quello che il suo stomaco la sta implorando di ingerire.
«Ho una fame da lupi!» butta lì alla fine, infilandosi al contrario una canottiera arancione e ravvivandosi alla meglio i capelli indomabili.
«Dammi cinque minuti e vengo a fare colazione con te.» propone gentilmente il Comandante, sicuro di aver finalmente trovato quei cinque minuti necessari per poter finalmente parlare.
«No!» il suo è un urlo quasi isterico e Marco si blocca di colpo, osservandola come si può osservare un pazzo appena scappato dalla clinica «Tu stai pure qui, riposati! Io vado a mangiare e poi probabilmente ho l'allenamento... comunque ci vediamo dopo!»
Marco rimane immobile, la camicia infilata sono in un braccio e lo sguardo che va dallo scocciato al rassegnato. Ma sa che si dovrà abituare a nuovi cambiamenti, a nuove difficoltà, ed è disposto a provarsi.
C'è solo un piccolo problema nella questione...
«Avevo fame anche io, ma va bene.»
E detto questo, si spoglia di nuovo e si butta a peso morto in quello che, ne è sicuro, è il materasso più comodo mai prodotto al mondo.


Comandanti e immortali, da dieci giorni, fanno tranquillamente colazione tutti insieme nella grande sala da pranzo de La Solitaria. Certo, non tutti i Comandanti: alcuni di loro preferiscono passare tutto il loro tempo nella Villa delle Anime.
C'è chi intraprende interminabili partite a giochi da tavolo e si diverte da morire nel sentir bisticciare come bambini quegli Spiriti che si conoscono da secoli.
C'è chi aiuta nei preparativi delle feste o delle produzioni teatrali che mettono in piedi gli Spiriti.
C'è chi, invece, preferisce trascorrere una cosa come venti ore al giorno a rotolarsi tra le lenzuola assieme a magnifici Spiriti di donne morte secoli prima e che sono rimaste senza il proprio amore.
Quando chiedi a qualcuno dove stia andando o cosa abbia intenzione di fare quel pomeriggio, in ogni caso, risponderà sempre che sarà nella Villa delle Anime.
Sono in pochi, ormai, a bazzicare ancora ne La Solitaria e Barbabianca, Ace, Rakuyo, Namiur e Jaws sono tra questi. In realtà Ace lo vedono solo a colazione e quando rientra per coricarsi, ma poi il resto della giornata lo passa escogitando qualche piano perverso per attirare l'attenzione della bella Silly, che però continua a trattarlo come un qualsiasi amico.
Anche in questa mattinata sorprendentemente tranquilla, dove tutti sono insolitamente calmi, continua a rimuginare su quale tattica adottare per riuscire ad infilarsi nel suo letto, cercando al tempo stesso di ignorare le prese in giro degli amici.
Purtroppo per lui, però, l'arrivo di un più che entusiasta Kakashi rovina i suoi buoni propositi. Perché anche lui ha capito che con uno psicopatico come quel biondino, che si fa venire violente crisi isteriche dal niente e che deve essere costantemente seguito da qualcuno, non deve essere sottovalutato e, soprattutto, ignorato.
Týr, seduto al fianco di Pugno di Fuoco, guarda il figlio prediletto saltellare come un tenero coniglio per tutta la stanza, impaziente di sapere qual è la nuova follia che gli è venuta in mente di primo mattino.
Ricorda ancora bene la volta in cui decise che voleva riportare in vita un morto con la corrente elettrica.
Ricorda come lo dissotterrò, parlando da solo di quanto fosse meraviglioso violare le leggi fondamentali del pudore e della società, di come ridesse e buttasse la terra da tutte le parti. Con un colpo di vanga distrusse anche una lapide!
Ma soprattutto ricorda la sua faccia perplessa e delusa quando, una volta carbonizzato il cadavere di quel povero vecchietto, affermò che era uno strano risultato perché nei nei film, quando un corpo viene colpito dai fulmini, torna sempre in vita.
Adesso non può far altro che sperare che si tratti di un'altra idiozia del genere, pur sapendo che quel guastafeste di Geri non lo permetterebbe mai. Per quanto il mannaro sia squilibrato, infatti, tiene troppo al compagno per permettergli di perdersi così tanto nel vortice della follia.
«Ho deciso di fare qualcosa di significativo nella mia vita, e so anche cos'è!» annuncia di punto in bianco il biondo vampiro, saltando in piedi sul tavolo e guardando tutti con un grande sorriso in volto «Scrivere!»
Týr, delusissimo da questa sua trovata, si sbilancia con la sedia sui gambi posteriori e lo guarda con sguardo scocciato, facendolo accigliare.
«Beh, e io adesso so quello che non vorrò mai fare: leggere!»
Il biondino incrocia le braccia al petto e gonfia le guance, come un bambino a cui sono appena state negate le caramelle, ma non fa in tempo a ribattere contro questa pungente frecciatina che la forte voce di Rakuyo lo interrompe.
«Ehi!»
Akemi sorride ai presenti, allargando le braccia in modo teatrale. Da dieci giorni non vedeva nessuno di loro e Dio solo sa quanto gli erano mancati. Certo, sentiva le loro battute ogni volta che passavano davanti alla sua stanza, ma non è assolutamente la stessa cosa.
«L'HO ROTTO!» urla scherzosa, facendo scoppiare a ridere di gusto Kakashi, che le corre incontro e le salta in braccio.
A lui era mancata forse più che agli altri. Ormai è diventata la sua migliore amica, colei che gli tiene la mano quando gli vengono le crisi, colei che tira su di morale l'amore della sua vita in quei difficili momenti.
«Oddio, spero di no!» urla di rimando Rakuyo, dando così voce alla preoccupazione condivisa anche dai fratelli.
In fondo, quando passavano davanti alla sua porta, dicevano sempre che se avessero continuato con quei ritmi a Marco gli si sarebbe consumato o cose del genere. Sentirle dire una cosa simile adesso, di certo, non può che allarmarli!
Per fortuna, però, quello è solo un modo di dire che usano spesso sull'isola per indicare una specie di sconfitta che hanno inflitto a qualcuno. Che questa inflitta sia fisica o mentale poco importa, l'importante è urlare “l'ho rotto!”.
Akemi, sempre con un sorriso allegro sulle labbra, prende posto in mezzo ad Ace e Jaws, rubando loro i piatti pieni di cibo che hanno davanti.
I due Comandanti provano pure a controbattere e a riprendersi la colazione, ma le mani della ragazza sono più veloci dei loro movimenti e piantano sempre con precisione la forchetta nelle loro mani. Inoltre, come se questo non fosse abbastanza, sentire il ringhio basso di Týr e vedere le sue zanne ben esposte non fa altro che evidenziare la loro evidente sconfitta.
Alla fine, infatti, non possono far altro che incrociare le braccia al petto e mettere il broncio, sperando di poter mettere qualcosa sotto ai denti in un secondo momento.
Questa speranza però diventa sempre più vana quando Akemi si alza e si dirige verso la dispensa e il frigorifero, dai quali estrae tutto quello che trova. E poi mangia. Mangia come se non lo facesse da tutta la vita, come se avesse una voragine infinita al posto dello stomaco.
Pure ad Ace, davanti alla visione della ragazza che mangia un peperone con panna spray e spicchi di pera, si ribalta lo stomaco, ma non si permette di dire assolutamente niente. Non ne ha il tempo più che altro, perché sennò si esprimerebbe anche!
«Fai veramente schifo
Tutti si voltano di scatto verso quella voce fuori luogo, e Akemi per poco non si strozza di fronte ad una visione decisamente inaspettata: un metro e sessantacinque di altezza, muscoli guizzanti sotto la pelle olivastra, occhi vispi e allegri, capelli castani e spettinati che ricadono sulla fronte, incorniciando il viso di un giovane adolescente.
«Floki?!»
Il ragazzino le sorride allegro, assumendo la stessa espressione beffarda del padre, quella che fa capitolare ogni singola donna sulla terra.
Le si avvicina velocemente e le toglie, senza tante cerimonie, un peperone dal piatto, mangiandolo in un boccone.
«Spero che non sia cresciuto anche il tuo livello di stronzaggine...» mormora a mezza bocca la maggiore, pungolandogli la mano con la forchetta pur di evitare che le sottragga qualsiasi altra cosa.
Il ragazzo le sorride allegro, sforzandosi per non mostrare quanto sia felice di rivederla.
Nella sua mente ormai si è insidiato il tarlo di essere un Lothbrook, un futuro capo branco, un Principe immortale, e che per queste ragioni non può sbilanciarsi troppo nell'esternare le emozioni, così come fa il padre, malgrado gli sia stato spiegato in più di un'occasione che Fenrir è sempre stato così di carattere.
Týr passa una mano tra i capelli del prezioso nipote che gli si è appena seduto vicino e lo guarda con orgoglio. È un ragazzo forte, indipendente ed intelligente. Forse è un po' troppo aggressivo ed impulsivo, ma non per questo sarà un pessimo condottiero.
È felice, Týr. È felice come non era da troppo tempo. La sua vita finalmente sembra aver ricominciato a girare nel modo giusto, la fortuna pare sorridergli di nuovo. Con tutto quello che è riuscito a riottenere riesce pure a farsi andar bene la presenza dell'ingombrante ciurma!
La sua attenzione viene improvvisamente attirata dalle urla lontane di Wulfric e Sakura.
Un nuovo litigio, pensa improvvisamente rattristato.
Wulfric non è solo il primo essere umano che ha volutamente vampirizzato, il primo a cui ha lasciato il dono della vita eterna, no: Wulfric è il suo migliore amico, colui a cui affiderebbe la propria vita ad occhi chiusi.
La prima volta che lo incontrò, così piccolo e gracile, sentì dentro al proprio cuore ancora pulsante che avrebbe fatto grandi cose se fosse riuscito a crescere, e fu proprio per questo che gli diede oro e cibo.
Týr gli ha dato la vita per ben due volte, e questa è la cosa di cui va più fiero.
Adesso lo guarda, lontano in fondo al corridoio, mentre litiga con la sua compagna.
Non ha mai nutrito grandi speranze nella loro storia, un po' per lo scarsissimo interesse e un po' perché consapevole della loro incompatibilità, ma vederli litigare è sempre una pugnalata. Perché, nella sua mente contorta e deviata, Wulfric il Mietitore, colui che ha raso al suolo villaggi per capriccio e che per divertimento contaminava i condotti dell'acqua di grandi città con virus mortali, non merita assolutamente di soffrire.
Malgrado questo suo attaccamento nei confronti del vampiro dai lunghi capelli argentei, non può proprio evitare di fare delle battute sarcastiche in determinate occasioni.
«Sembra un ricoverato di una clinica per malattie mentali convinto di essere il presentatore di un gioco a premi.»
I presenti seguono il suo sguardo e ridacchiano nel vedere il freddissimo Wulfric gesticolare come impazzito. Ridacchiano meno nel vedere lo sguardo rattristato di Sakura, ma non si preoccupano quando la vedono lanciargli contro un vaso e andarsene impettita.
«L'ha rotto...» mormora ridacchiando Floki, osservando di sottecchi l'antico vampiro che si dirige verso di loro con passo calmo. Nella sua mente si appunta che, presto o tardi, dovrà chiedergli di insegnargli ad essere così freddo e distaccato, inconsapevole del fatto che il maggiore non ha assolutamente idea di come poterglielo spiegare. Per lui ormai è normale come lo è respirare per un essere umano.
Gli sorridono forzatamente quando entra nella sala, adesso calmo e pacato come al solito.
È un vero attore, Wulfric. Per tutti quanti è strano, emotivamente morto, soprattutto adesso, che sorride ai presenti e si versa una tazza di caldo sangue fresco.
Solo Týr sa quanto la situazione con Sakura lo stia facendo dannare. Non gliene ha parlato, Wulfric non lo farebbe mai, ma semplicemente lo sa.
Wulfric, sentendosi osservato dagli occhi glaciali del suo creatore e grande amico, si appoggia con una mano al tavolo dove tutti stanno facendo colazione e punta gli occhi nei suoi. Certo, Týr non riesce a vederli dietro alla folta frangia grigia, ma li conosce benissimo e questo gli basta per sapere che lo sta fissando con quella scintilla di follia che tanto adora.
«Ho un caso davvero particolare per le mani. Vuoi assistere?» gli propone sorridendo con aria furba, attirando inevitabilmente l'attenzione di Akemi, da sempre attratta dalla medicina.
Lui le ha pure insegnato qualcosa, facendole operare dei maiali anestetizzati a cui aveva appena reciso la gola. Akemi si è impegnata a fondo per apparire migliore agli occhi del freddo padrino, ma senza grandi risultati: quattro li ha mandati accidentalmente in acidosi ed ipotermia e uno, che sembrava essersi ripreso, cominciò a vomitare sangue un paio di ore dopo.
Si è sentita abbattuta, inutile, incapace, ma le parole di incoraggiamento del maggiore le sono servite molto.
«Di che si tratta?» domanda immediatamente la ragazza, sputazzando pezzetti di salmone da tutte le parti.
«Fibrodisplasia ossificante progressiva.» risponde sorridendo cordialmente. Era sicuro che le avrebbe fatto delle domande e che sarebbe stata entusiasta, ma dallo sguardo che gli rivolge Freki sa bene che dovrà spegnere il suo entusiasmo immediatamente.
«Anche chiamata miosite ossificante congenita.» aggiunge Týr, che si sta già pulendo le mani per preparasi a quell'inutile ma interessantissimo intervento. Se gli umani dovessero continuare ad ammalarsi di malattie simile, loro, con tutti i loto mezzi e le loro conoscenze, devono fare tutto ciò che è in loro potere per debellare tali malattie e renderli sani. Sennò, a lungo andare, di chi si nutriranno?
«Cos'è?» domanda Akemi, curiosa come una bambina.
«Non farti strane idee. Tu non assisterai.» la riprende ringhiando Freki, mollandole pure una sonora sberla in testa per sottolineare meglio la cosa. Le ha già concesso dieci giorni di sesso, in cui è magicamente riuscita ad ingrassare, non può proprio lasciarle fare come vuole.
«È una malattia genetica rarissima caratterizzata dalla presenza di focolai di ossificazione ectopici a livello del tessuto connettivo, in particolare tendini e legamenti, e del tessuto muscolare.» risponde Wulfric, distaccato come sempre. Avrebbe potuto dire tranquillamente “il paziente diventerà una statua d'ossa e morirà”, ma sarebbe stato poco carino e poco professionale.
«Volete provare a salvarlo?!» domanda sempre più emozionata Akemi, mentre Floki, con l'aiuto del gemello, le porta via alcune delle pietanze su cui si era lanciata con tanta ingordigia.
«È una malattia incurabile e progressiva, Lilith. Vogliamo solo studiarla.» risponde pacatamente Wulfric, senza mai abbandonare quel fastidioso sorrisetto, lo stesso che si rivolge ai bambini di cinque anni.
«Oh.» è delusa, Akemi. Era convinta che avrebbe assistiti ad un intervento importante, di quelli da ricordare, e invece nulla. «Beh... andiamo, Freki?» Il lupo se la carica immediatamente in braccio, sorridendole allegro.
Questa cosa in realtà preoccupa tutti quanti: che non siano una coppia è chiaro a tutti quanti e per nessuno è un problema... ma adesso di mezzo c'è Marco. Come potranno renderlo calmo e tranquillo, quando quella bestia demoniaca gli porta via la ragazza?
«Ci pensiamo noi!» afferma pimpante Ace, che ha un urgentissimo bisogno di parlare con i suoi più cari amici di un piccolo problema che lo sta mandando fuori di testa. E Marco, per quanto non ne sarà lieto, è un suo amico e dovrà aiutarlo.


Satch, Ace e Rakuyo osservano il caos che invade la stanza della loro adorata sorellina: perizomi lanciati da tutte le parti, fruste improvvisate, corde che sicuramente non erano state create per il bondage, mobili per terra e quell'insopportabile odore di sesso che impregna ogni superficie.
«Buongiorno pelandrone!» il primo a farsi avanti è, senza ombra di dubbio, Ace,che si butta a peso morto sul letto in cui ancora dorme il Primo Comandante.
«Ehi...» biascica in risposta, aprendo a fatica gli occhi. Ha dormito poco, mangiato anche meno. Ha un assolutamente bisogno di dormire per almeno otto ore di fila, così da potersi reggere in piedi e capire cosa gli accade attorno.
«Riesci a stare in piedi o ti ha rotto del tutto?» lo sfotte prontamente Rakuyo, poggiandosi con la spalla contro la porta. Non aveva mai visto Marco così fisicamente provato, neanche dopo quella maledetta notte di terrore generale.
Adesso lo osserva mentre si mette seduto a fatica sul grande e comodo letto della ragazza. Grazie al tempestivo intervento di Ace, è pure riuscito ad evitare di vederlo nudo come mamma l'ha fatto, cosa di cui gli è immensamente grato.
«Eh?» la Fenice si tiene la testa tra le mani, frastornato e confuso. Una parte di lui vorrebbe sapere cosa ha detto la psicopatica con la quale ha condiviso ogni centimetro di quella stanza, ma preferisce di gran lunga scolarsi un lungo caffè doppio senza zucchero, giusto per vedere se riesce a rimettere in moto il cervello in tempo brevi.
«Lasciamo stare, non voglio sapere niente. Comunque sto bene.» mormora confuso, tenendosi la testa ben ferma tra le mani. Vorrebbe pure tenere una mano attorno all'addome, ma ha ben deciso di occuparsi di una cosa alla volta.
«Hai fame, eh?» quando Ace ghigna in quel modo così malandrino, a Marco viene voglia di ucciderlo sul serio, ma adesso non ne ha assolutamente le forze «Sì? Bene! Allora ti conviene vestirti velocemente! Alla Villa delle Anime ci stanno preparano il pranzo!»
«Cosa mi sono perso?» biascica Marco, alzandosi a tentoni.
«Delle pazze che vogliono a tutti i costi prendermi le misure per farmi l'abito, assaggi di torte discutibili, la lista degli invitati...» borbotta Satch, unico tra tutti ad aver davvero qualcosa da fare.
«Te la sei cercata, eh!» lo sfotte prontamente Rakuyo, gongolando ancora al ricordo di averlo visto circondato da vampire intransigenti che gli prendevano le misure per preparargli l'abito perfetto.
«Ti sei perso questo e...» aggiunge con tono esitante Ace, mentre girottola per la stanza. Osserva i perizomi sparsi per terra, i graffi nei mobili ribaltati, e non può che provare un pizzico di invidia nei suoi confronti. Insomma lui, Ace Pugno di Fuoco, che viene mandato in bianco anche se la diretta interessata lo ha definito bello. È nel pallone adesso!
«Ok, ascoltami bene!» ordina deciso, alzandolo di peso dal letto e spingendolo verso la doccia.
«Tu adesso ti lavi e ti rendi presentabile. Dopo andremo alla Villa delle Anime, dove ci stanno preparando un pranzetto da leccarsi i baffi, e poi parliamo del mio problema, ok? Tanto voi due avete risolto alla grande!»
«Ma-»
«DOCCIA!» gli lancia addosso il primo asciugamano che gli capita sotto tiro e lo spinge per le spalle, impaziente di potersi sfogare con i propri amici.
«Noi-» vorrebbe dirglielo, Marco, che non hanno risolto proprio niente, che hanno fatto sesso per dieci giorni ma che niente sta andando bene. Sì, fanno sesso, del grandioso sesso, ma dopo rimangono in silenzio a fissare il vuoto. Si esaltano quando comprendono che stanno per mangiare e poi ricominciano, su qualsiasi superficie disponibile, in qualsiasi posizione, in qualsiasi momento. Però, alla fine...
Non abbiamo risolto niente.
«MUOVITI!»


Dopo tutto quello che è successi negli ultimi tempi, dopo tutto lo stress accumulato, Barbabianca ha sentito il bisogno più che urgente di una doccia calda e rilassante, di quelle che durano un'eternità, con tanto bagnoschiuma profumato a lavare via la stanchezza . Oltre a quello, poi, deve lavare via anche l'inchiostro fosforescente che una Ninfa delle acque ha ben pensato di spalmargli addosso. I suoi discorsi per allontanarla evidentemente non erano serviti a niente, non dal momento che quella pimpante ragazza dai capelli color dell'oceano e la pelle di seta quella mattina era bella comoda nel suo letto.

«Oh, no! Non abbiamo fatto sesso!»
Non sono mai stato un uomo di fede, ma adesso devo ringraziare
chiunque sia lassù, per avermi impedito di andare a letto con questa bambina!
«Ti ho fatto un pompino, eri troppo stanco per il sesso!»

Esce dalla doccia calmo, completamente rilassato.
Tutto nella sua vita sta andando a gonfie vele: è un pirata famoso come voleva essere, ha una famiglia unita e numerosa come ha sempre sognato, e tutti i suoi figli stanno bene, sia fisicamente che emotivamente e quella strana Ninfa assetata di sesso se n'è andata a fare le sue cose, lasciandolo finalmente in pace.
È tutto assolutamente perfetto.
Eccetto, forse, per la non richiesta presenza di Wulfric, seduto in maniera quasi ingessata sul suo letto.
«Sindrome di Marfan.» butta lì con una delicatezza pari a quella di un rinoceronte sbronzo, lasciando il capitano di sasso.
«Cosa?»
Wulfric piega leggermente la testa di lato, osservandolo sorpreso da sotto la spessa frangia grigia. Ha sempre avuto il difetto di dare per scontato che le persone sappiano sempre di cosa sta parlando, quando poi non è praticamente mai così.
Quando finalmente comprende che l'uomo non ha idea di cosa si tratti, gli mostra distrattamente i fascicoli dei vari risultati degli esami a cui lo ha sottoposto il giorno prima dopo un malore, e subito prosegue con la spiegazione.
«È una patologia autosomica dominante che colpisce il tessuto connettivo. Talvolta l'apparato cardiovascolare comprende delle alterazioni molto gravi e una dissecazione dell'aorta non è rara. In genere un paziente diagnosticato viene seguito durante tutta l'evoluzione della malattia e quindi monitorato con ecocardiogramma per le eventuali modifiche delle misure aortiche, quindi ripreso in tempo... ma tu non hai ricevuto le cure necessarie.» non è mai stato delicato Wufric. Lui è freddo, schietto e diretto. Non riesce a girare attorno al problema, non è nella sua natura. È per questo che non si fa problemi a dare una simile notizia a Barbabianca, pur avendo la consapevolezza che la notizia lo stia sconvolgendo.
«Dagli esami è risultata un'insufficienza aortica, che è un reflusso di sangue dall'aorta nel ventricolo sinistro in diastole, dovuto ad un'anomalia che determina un'imperfetta chiusura della valvola aortica.»
L'uomo inspira profondamente, passandosi una mano dietro al collo. I muscoli che fino a pochi minuti prima erano totalmente rilassati, adesso sono tesi e gli fanno quasi male.
«Che devo fare?» domanda con un filo di voce, pensando e ripensando solo ed esclusivamente alla possibile reazione che avranno i suoi figli.
Wulfric si alza velocemente e si dirige verso la finestra, sfiorando con la punta delle dita le superfici lisce dei mobili chiari.
«Il trattamento farmaceutico consiste nella somministrazione di calcio-antagonisti, come la nifedipina o ace-inibitori. Il trattamento chirurgico, invece, avviene tramite sostituzione valvolare, ma è discusso quando sia il periodo migliore per intervenire. Nel tuo caso probabilmente è già troppo tardi.»
Ci pensa attentamente, Newgate, osservandolo di sottecchi. La sua compostezza e il suo innaturale distacco dai sentimenti umani lo urtano parecchio, ma essendo il suo nuovo medico si trattiene dal tirargli un pugno. Certo, le sue infermiere sono eccezionali e questo non lo mette in dubbio, ma adesso ha la possibilità di avere un medico chirurgo assolutamente geniale con più di settemila anni di conoscenza sulle spalle.
«Quando mi opererai?» domanda infine, incrociando le possenti braccia al petto e guardandolo con il suo solito sguardo strafottente.
Wulfric neanche lo guarda, limitandosi ad osservare ciò che lo circonda. Ha sempre adorato il mare, ha imparato prima a nuotare e poi a camminare sul ghiaccio che a parlare, ma proprio non riesce a digerire un'isola tanto calda e soleggiata. Lui è sempre vissuto tra la nebbia, le foreste innevate e il gelo.
«Ne discuterò con Freki e Arista, poi fisseremo la data. Fino a quel momento, non devi fare il minimo sforzo.» risponde pacato, girando sui tacchi e dirigendosi calmo verso la porta, pronto ad informare almeno la vampira. Certo, Arista non avrà il suo quoziente intellettivo, ma se le metti in mano un bisturi è capace di fare miracoli.
Prima che il vampiro abbia il tempo di uscire, però, l'anziano pirata lo afferra per un braccio per bloccarlo, fissandolo duramente.
«Non osare dirlo ai miei figli.»


È una giornata piovosa di Novembre, la gente è rimasta chiusa in casa al calduccio ad ascoltare il ticchettio della pioggia sulle finestre. Il cielo è cupo e in alcuni punti quasi nero. I fulmini e i lampi illuminano il cielo per un secondo, ma dopo ritorna buio come prima.
Ma anche questo per i pirati di Barbabianca è un pomeriggio come un altro.
Stanno per la maggior parte sulla grande veranda della Villa delle Anime a chiacchierare del più e del meno, ad ascoltare disinteressatamente i pettegolezzi dei vari immortali.
Alcuni di loro si sono messi a parlare di ciò che sta accadendo nel suo sottosuolo di un'altra isola, Tuima. Lì è situato il Regno degli Elfi, creature immortali prive di una forza considerevole, dotate però di un intelletto smisurato, amanti dell'arte e delle buone maniere. In diverse occasioni si sono schierate al fianco di Fenrir, ma essendo per natura poco inclini alla violenza e alle guerre hanno deciso di non dare il loro aiuto quando, e tutti lo sanno, il momento di combattere arriverà.
Sono piuttosto sdegnati adesso gli abitanti di Helheimr. Loro in fondo li hanno aiutati nel momento del bisogno, quando i coyote mannari volevano impadronirsi delle loro terre. Ma non è per un motivo simile che serberanno rancore nei loro confronti, non ce n'è bisogno. Semplicemente aspetteranno il momento più propizio per rinfacciarglielo e avere in cambio qualcosa che desiderano, come spesso è già stato fatto.
Marco, da ben tre ore, osserva la pioggia che batte inesorabile sulla spiaggia. Sente in lontananza i tuoni e i fulmini che cominciano a palesarsi, indice che si sta avvicinando una tempesta.
Non ne ha ancora vista una, ad Helhmeir. Ha sentito dire da qualcuno, in quelle sue poche ore di libertà, che ai licantropi non piacciono per niente. Gli odori diversi li confondono, i rumori forti fanno perdere loro la concentrazione, e la pioggia fa perdere le tracce della preda. Sa che hanno paura perché è in momenti come quelli, o come quando scende la bruma, che tutto può accadere, che il nemico si avvicina e non lo vedi.
In un altro momento, Marco sarebbe stato curioso di vedere le loro reazioni, di vedere quei grandi e potenti condottieri millenari rintanarsi nelle loro abitazioni fino al terminare della tempesta, ma adesso ha ben altro a cui pensare.
A poco servono pure le incessanti chiacchiere di Ace.
Il Secondo Comandante non è mai stato tanto il tipo da chiacchierare così tanto. Non è neanche il tipo che si chiude nel mutismo assoluto, certo che no, ma neanche uno che parla come una macchinetta e chiede continuamente consiglio.
Dalle poche parole che Marco ha disinteressatamente ascoltato, è riuscito a capire che il problema principale che assilla il cuore del povero pirata si chiama Silly, ovvero quell'eccentrica lupa mannara che vive in isolamento nel bosco. Una tipa strana, infantile, che però riesce a mostrare, quando la situazione lo richiede, un carattere irremovibile, come in questo caso.
Mimì ha infatti riferito, rigirando il pugnale nella ferita di Ace, che Silly non è il tipo che si concede al proprio che capita. Quando decide di andare a letto con qualcuno, quando decide di lasciarsi totalmente a nudo, indifesa, è perché l'uomo in questione ha dato prova del fatto che non la considera come una botta e via, come una nuova tacca sulla cintura, no: la considera come una possibile compagna con cui passare almeno alcuni anni.
Perché Silly cerca piuttosto quel tipo di amore che ti toglie il cuore e ti fa fare follie. Cerca quel genere di amore in cui il tuo compagno non solo condivide momenti intimi con te, ma diventa anche il tuo migliore amico, quello a cui puoi dire ogni cosa senza la paura di venire rifiutato.
E anche Marco, per quanto sia dura da ammettere pure per lui, cerca in Akemi la stessa cosa: cerca la sua compagna, e non una da scopare quando a lei viene voglia; cerca una donna con cui poter affrontare i problemi, con cui poter litigare e poi far pace. Cerca la sua migliore amica, la sua amante, la sua compagna.
Sconsolato, sposta lo sguardo dalla finestra sottile che da sulla spiaggia e osserva disinteressatamente Halta, intenta a leggere con attenzione un antica tragedia.
«Cosa leggi?» domanda con un filo di voce, lasciando vagare lo sguardo per quell'enorme veranda.
Una parte di lui vorrebbe scappare da quell'isola, riprendere il mare, affrontare nuovi nemici e tornare a vivere, ma è incatenato lì, ad Helheimr, e non può far altro che provare ad affollare la mente con pensieri più positivi.
«Tutti trovano Giulietta e Romeo estremamente romantico. Non capisco del tutto il perché.» risponde stizzita la Comandante, chiudendo con forza il libro e gettandolo con poco garbo sul tavolo posto di fronte a loro.
«Insomma, se Giulietta è stata così stupida da innamorarsi del nemico, bersi una bottiglia di veleno e adagiarsi in un sepolcro... beh ha avuto ciò che si meritava!» sbotta subito dopo, riuscendo miracolosamente a strappare un sorriso al freddo Comandante.
«Uhhh, cattiva!» commenta ridacchiando Geri, raggiungendo il gruppo.
Era stato fino a quel momento ad assistere al massacrante allentamento della piccola principessa, domandandosi ogni santissima volta che veniva brutalmente colpita dove trovasse la forza di rimettersi in piedi.
Dopo una decina di minuti, durante la quale l'antico lupo si è messo a rileggere per l'ennesima volta quella tragedia che trova oltremodo ridicola, per quanto scritta divinamente, altri due mannari arrivano, calpestando la quiete che si era formata.
Uno è enorme e nero, decisamente il più grosso che abbiano mai avuto l'onore di vedere, e pare infinitamente stanco e scocciato, dal momento che si butta a peso morto sulla sabbia bagnata e nasconde il grosso e mostruoso muso tra le enorme zampe artigliate, quasi si volesse isolare in un mondo totalmente suo.
Ma il suo piccolo momento di pace viene brutalmente interrotto da un ammasso pelo biancastro che gli si butta di peso addosso, mordendogli piano l'orecchio e tirandolo di lato per poter giocare.
Tutto sotto la stretta sorveglianza di Marco.
Nella vita, alla fin fine, si arriva sempre ad un punto in cui devi tirarti su, smettere di piagnucolare e iniziare a vivere. E Marco è arrivato a questo punto, e se ne rende conto solo adesso, guardandola mentre si rotola nella sabbia con quel bestione.
“Stanno solo giocando” dicono alcuni.
“Non c'è niente di malizioso in quei gesti.” dicono altri.
Ma come può ascoltarli Marco?
Quella mattina lo ha guardato come un estraneo, quasi avesse paura di dire o fare qualcosa di tremendamente sbagliato, e poi è scappata via.
Adesso, invece, gioca felice alla lotta con il lupo mannaro che se l'è scopata per mesi, che l'ha allenata e cresciuta in un modo diverso dal loro. L'ha fatta integrare, ha asciugato le sue lacrime. E l'ha baciata. L'ha baciata mille volte e forse anche di più. Ma soprattutto l'ha consolata quando era sul punto di crollare, di non potercela più fare da sola, ed è questo che fa impazzire Marco.
In tutto quel dolore e abbandono, in quella nuova vita piena di paura ed incertezze ha trovato qualcuno come lei a cui si è affezionata, e Marco lo sa.
Nella vita tutti abbiamo sentito degli avvertimenti e li abbiamo ignorati.
Sfidiamo la fortuna. È la natura umana. Quando ci dicono di non toccare qualcosa, di solito lo facciamo. Anche se sappiamo che sarebbe meglio non farlo.
Forse perché, in fondo, stiamo solo cercando guai.
E di questo, Marco, ne è totalmente ed incondizionatamente sicuro.
Gli avvertimenti nella sua testa gli dicevano di starle lontana, di non affezionarsi, di lasciarla andare per la sua strada, ma poi faceva totalmente l'inverso, sbattendoci puntualmente la faccia.
Non avrebbe mai dovuto prenderla in braccio la volta che perse tutti i dentini da latte, tanto per cominciare. Ecco, forse per lui è stato proprio quello il momento in cui ha valicato la linea rossa, quella linea che l'ha spinto in un circolo di dolore e dannazione.
Sarebbe stato meglio non farlo perché lei è diversa da lui. Troppo diversa.
Si allontana momentaneamente da tutti quanti, Marco.
Si allontana in cerca di aria fresca, di una ventata di aria gelida dritta in faccia che lo aiuti a capire: continuare e fingere di star bene pur di non lasciarla andare? O lasciarla andare e cancellare ogni traccia della sua esistenza dalla terra e tornare a vivere come prima?
Non ne ha idea, Marco. Non sa cosa vuole fare, ma sa bene che deve trovare una scelta e deve farlo alla svelta.
Ogni volta che crediamo di conoscere il futuro, anche solo per un secondo, questo cambia. All'inizio era convinto che prendersi sulla nave la piccolissima Akemi avrebbe portato solo guai, ma si sbagliava. Certo, di guai ne ha portati sin troppi, ma alla fine ha portato pure gioie, soprattutto per lui.
Uno dei principali problemi in quel momento, almeno per Marco, è che è tutto cambiato rapidamente e totalmente. E adesso non gli resta altro da fare che scegliere la prossima mossa. Le sue due possibilità, però, non gli vanno a genio: sono semplici e al contempo complicate e, soprattutto, troppo dolorose per entrambi.
Rimane sempre però la terza scelta, quella che aveva scartato dall'inizio perché ritenuta troppo banale, scontata e stupida. Ed è proprio quello che ha appena deciso di fare: proseguirà, facendo un passo in avanti, nell'ignoto, con il solo pensiero che quello che accadrà da lì a poche ora, sarà la cosa migliore per entrambi.


Tutti ricordano i racconti della buonanotte dell'infanzia. La scarpetta al piede di Cenerentola, il rospo che si trasforma in un principe, la Bella Addormentata risvegliata da un bacio; c'era una volta e poi vissero felice e contenti.
Favole: sono come i sogni. Il problema è che le favole non si avverano mai. Sono gli altri racconti, quelli che cominciano con notti scure e tempestose e finiscono nell'inenarrabile. Sono gli incubi che sembrano sempre diventare realtà.
«Dobbiamo parlare...»
Non pensava che sarebbe andata così, Marco, eppure adesso sta in piedi nella camera di Akemi e la guarda come se fosse un'estranea. No, proprio non pensava che sarebbe andata così.
Quando l'aveva baciata dieci giorni prima, quando l'aveva stretta di nuovo tra le braccia ed era stato stretto a sua volta, era convinto che sarebbe andato tutto bene. Ok, non del tutto bene, perché sapeva che avrebbero dovuto comunque affrontare il problema, ma non pensava che sarebbe finita così.
Akemi lo guarda a sua volta, il cuore fermo nel petto. Lei sapeva che sarebbe andata così, invece. Lo sapeva, ma non si era preparata.
«Già...» risponde con un filo di voce, rimanendo in piedi in mezzo alla stanza.
Si passa le mani dietro al collo, Marco, sospirando. Si era preparato un discorso, voleva essere freddo e duro per non perdere la faccia, ma adesso è tutto diverso: lei è davvero davanti a lui e lo sta guardando negli occhi.
Prende un respiro profondo e distoglie lo sguardo per un breve istante, il tempo necessario per permettere al nodo che gli si era formato in gola di sciogliersi e lasciarlo parlare.
«Credevo di farcela. Sul serio, ero convinto che ce l'avrei fatta a lasciar correre.» afferma tutto in un fiato, bloccandosi poi di colpo e guardandola dritto negli occhi. Lascia andare le braccia lungo i fianchi, boccheggiando «Ma non ci riesco.»
Akemi abbassa la testa e annuisce piano, buttandosi a sedere sul letto e passandosi una mano tra i capelli, abbattuta.
«Abbiamo sbagliato.» mormora affranta, alzando timidamente gli occhi su di lui.
«Abbiamo sbagliato troppo.» si avvicina lentamente ad Akemi, sedendosi vicino a lei, venendo però allontanato velocemente. Akemi infatti scatta in piedi e cammina nervosamente per la stanza, senza mai avere il coraggio di incrociare i suoi occhi.
«Io sto cercando di amarti, perché non me lo permetti?!» sbotta di colpo la Fenice, gettando nel vento i buoni propositi che si era prefissato assieme al discorso minuziosamente studiato.
La giovane immortale alza di scatto lo sguardo, sorpresa. Era convinta che avrebbe semplicemente deciso di chiudere la storia, di lasciarla andare perché ha fatto un qualcosa di imperdonabile, e invece se ne esce così.
«Pensavo che volessi lasciarmi andare.» ammette con un lieve sorriso commosso e sollevato ad incresparle gli angoli delle labbra.
«Vuoi che lo faccia?» il tono di Marco è duro, gelido. Non può più mostrarsi troppo sdolcinato. Negli ultimi giorni è arrivato a guardarsi allo specchio e a non riconoscersi più, e la cosa non gli è piaciuta per niente.
Akemi gli sorride tranquilla, camminando con passo adesso elegante e tranquillo per quella grande e caotica stanza.
«Tutto questo... tutte le persone, la mia famiglia... hanno preso qualcosa da me, hanno portato via dei pezzetti di me, un pezzetto alla volta, pezzi così piccoli che non me ne sono accorta... e da un giorno all'altro mi sono trasformata in ciò che volevano. Un giorno ero io, Akemi, e all'improvviso sono diventata Lilith Lothbrook, la Principessa dei Morti. Ho perso me stessa per un periodo lunghissimo e ora che finalmente ero riuscita a trovare un equilibrio... riappari tu.»
Non si sente in colpa Marco. E non deve sentirsi in colpa, lo capisce dal sorriso pieno di gratitudine della ragazza e dal fatto che si sia inginocchiata davanti a lui e che gli stia tenendo le mani «Io ti amo Marco e questo mi fa paura da morire... perché ho paura di perdere altri pezzi di me... perché io te lo lascerei fare.»
Non piangerà Marco. Non questa volta.
Ha pianto così tante volte per lei che ancora se ne vergogna immensamente.
Si limita a sorriderle dolcemente e sfiorarle piano lo zigomo sinistro. Si alza poi in piedi e la costringe, stringendola delicatamente per un braccio, a fare altrettanto.
«Diamoci del tempo. Parliamo e... e cerchiamo di tornare amici.» propone convinto, mettendole le braccia forti attorno al corpo freddo e quasi tremante per le mille emozioni che lo percuotono, e la stringe a sé, poggiando la fronte sulla sua.
«Ce la faremo?» pigola la minore, senza mai abbandonare il contatto visivo, pur essendo pienamente consapevole che un giorno, presto o tardi, quei maledetti occhi neri le strapperanno altri pezzettini.
«Non so te, ma io posso fare tutto!» scherza il Comandante, dandole un buffo sulla guancia pallida. Riesce pure a farla sorridere, realmente divertita tra l'altro, e questo non è che un ottimo risultato «Senti: proviamo qualcosa di forte l'uno per l'altra, e questo è certo. Diamoci del tempo per farlo maturare. Non buttiamo tutto via senza neanche lottare.»
Akemi gli sorride grata per la terza possibilità che è disposto a darle e di slancio lo abbraccia con forza.
«Sei il migliore.» mormora vicino al suo orecchio, quasi piangendo quando il maggiore l'abbraccia a sua volta.
«Tienilo sempre a mente, soprattutto quando sei in compagnia di quel coglione!»
Le loro risate si mischiano, creandone un nuova.
Sono felici. Complicati, probabilmente troppo complicati per poter star insieme felici e contenti, ma sono felici.
Adesso si guardano dritto negli occhi: pece contro ghiaccio. Una battaglia che potrebbe durare secondi, anni o secoli, ma che nessuno dei due ha intenzione di abbandonare.
Si sorridono e finalmente, seppur con un lieve dolore ad serpeggiargli nel cuore, si separano da quel caldo abbraccio, indecisi su quale possa essere la prossima mossa.
Akemi, che da un cinque minuti buoni aveva cominciato a pensarci insistentemente, lo guarda con occhi languidi e gli si avvicina lentamente, pronta per sussurrare all'orecchio del suo amico il suo diabolico piano, che consiste semplicemente nello svaligiare le dispense.
Poi, d'un tratto, giungono dall'esterno dei prolungati e lugubri ululati, una specie di coro confuso, di cui però Akemi riesce a comprendere il significato: allarme.
«Ma cosa...?» cammina titubante verso la finestra per cercare di capire, seppur a grande distanza, quale sia il problema, ma è costretta a voltarsi non appena Killian, agitato come mai lo aveva visto, entra nella sua stanza.
«Ricordi la procedura di emergenza che ti ho mostrato tempo fa, vero?!» vomita quelle parole ad una velocità tale che per la ragazza è quasi difficile capirne il significato, ma alla fine capisce ed annuisce piano. Non sa cosa stia succedendo, Akemi, ma dagli occhi pieni di panico dell'amico capisce che è molto grave.
«Perfetto! Adesso prendi i tuoi fratelli e chiudetevi in camera loro!» ordina con tono duro, mettendole una mano sulla bocca per impedirle di dire qualsiasi cosa «Chiudetevi in camera e aspettate! Se senti il mio ululato, sai come procedere!»
Marco si avvicina titubante ai due e Killian lo fulmina con lo sguardo.
Sa bene che il pirata, per quanto forte sia, non potrebbe fare molto contro una minaccia simile, ma considerato cosa c'è in ballo non può tenerlo all'oscuro di tutto.
«Vieni con me!» lo afferra con forza per un polso e se lo trascina dietro a passo svelto, con il cuore che gli martella nelle tempie.
«KILLIAN!» gli urla dietro Akemi, uscendo a sua volta dalla stanza per provare a chiedergli ulteriori informazioni, vedendolo solamente sparire in fondo al corridoio a tutta velocità.
Che diavolo sta succedendo?!, si domanda, spaventata, indietreggiando con passo mal fermo.
La procedura di emergenza...
Ricorda a grandi linee ciò che il lupo le mostrò qualche mese prima, ovvero un sofisticato impianto nascosto nelle pareti che, grazie ad un codice, conduce velocemente nelle catacombe, dove sono stati nascosti dei minisommergibili che, dopo aver aperto le mimetizzate porte stagne, consentiranno una via di fuga molto veloce ed efficace.
Era sicura che fosse una misura estrema creata solo perché tutti troppo paranoici e che mai sarebbe realmente servita, ma, evidentemente, sbagliava.
Entra senza bussare nella stanza dei fratelli, trovandoli appiccicati alla grande finestra, curiosi come sempre. Sente che non hanno paura, neanche un po', e questo è davvero un bene.
«Che succede?» domanda Bjorn, prendendosi pure il disturbo di voltare un poco la testa. Quando incrocia gli occhi smarriti e spaventati della sorella, però, si morde subito la lingua: non vuole che il fratello si preoccupi, non vuole che stia male.
«Non lo so...» ammette con un filo di voce la maggiore, afferrando i fratelli per le spalle e stringendoli a sé «Però so che andrà tutto bene, ok?»
I minori annuiscono con poca convinzione, tornando subito a fissare fuori dalla finestra. Si stanno accendendo così tanti fuochi, si stanno radunando così tante persone.
Il piccolo Filippo, che dalla sua cuccia sotto al letto ha potuto sentire la conversazione, picchietta terrorizzato contro la gamba della sua mamma.
Akemi lo guarda e il cuore le si stringe in una dolorosa morsa, fredda e pungente.
Afferra il piccolo e lo stringe al seno, coccolandolo e sussurrandogli parole dolci, mentre con gli occhi continua a guardare maniacalmente fuori da quella finestra.
«Andrà tutto bene.»
In cuor suo però sa bene che niente andrà bene e che tutto sta per cambiare.


Marco, per quanto intelligente possa essere, proprio non riesce a capire chi o cosa sia riuscito a mobilitare tutti gli abitanti di Helheimr. In quella lunga e dura giornata è riuscito, tra un pensiero e l'altro, ad ascoltare i discorsi dei compagni, ed ha capito che niente entra e niente esce se non su autorizzazione di Fenrir, e che i pericoli al di fuori dell'isola non possono entrare perché non hanno “la chiave”, ovvero il sangue di un Lothbrook. Ha capito anche che Peter, lo psicopatico che li vuole tutti morti, voleva mettere le mani su Akemi proprio per ottenere quel maledettissimo sangue, oltre che per stuprarla ripetutamente fino a riuscire a metterla incinta. Ha pure ridacchiato, Marco, nell'immaginarsi la sua faccia nello scoprire che la ragazza non può avere figli.
Adesso, con una non indifferente angoscia nel cuore, non può far altro che sgomitare tra la folla per raggiungere i suoi fratelli. I primi che ha raggiunto erano in lacrime e furiosi. Ha chiesto immediatamente spiegazioni, ma è stato bellamente ignorato. E questo non gli ha dato fastidio, no: lo ha mandato nel panico. Perché mai non voler dare spiegazioni? Perché mai essere così maledettamente in crisi e non voler dire il perché?
Se lo domanda e ridomanda, arrovellandosi il cervello quasi fino ad impazzire, sempre con la fastidiosa presenza del viso angelico e turbato della donna per la quale ha perso la testa e che ha appena lasciato. Quella stessa donna che adesso è da sola a badare a due ragazzini che, da quanto ha capito, sono ancora mortali. Sola!
Quando finalmente riesce a raggiungere la cima di quella maledetta folla, che si è posizionata in un perfetto semicerchio attorno al corpo martoriato di Mimì, il suo cervello riesce a comprendere il perché delle espressioni dei suoi fratelli.

«Noi andiamo a fare un passeggiata al chiaro di Luna!»
La voce brillante e acuta di Mimì mi sta trapassando il cranio da parte a parte.
Ti prego, Satch: falla stare zitta! Ti ho detto cosa devo fare!
«Volete venire anche tu e Lilith?»
Rispondi tu Satch. Per favore. Non voglio essere sgarbato con lei, non voglio proprio.
Tu sai cosa voglio fare, cosa le dirò a breve... quindi, ti prego, aiutami.
«Lasciamoli scopare in santa pace!»
Satch, per quanto tu sia odioso e dispettoso il più delle volte, adesso ti adoro.
Mi rivolgi pure un sorriso prima di trascinare via quel terremoto con i capelli tinti male.
Mi sorridi, e sei felici.
Mi sorridi, e mi auguri che vada tutto bene.
Mi sorridi, e io ti sorrido a mia volta.
Sei il migliore, amico mio.

«Li ho lasciati soli...» mormora con un filo di voce, mentre Wulfric e Týr sono con le mani dentro la pancia dilaniata di Mimì.
I suoi occhi saettano da una parte all'altra come impazziti. Non sa cosa fare, non è preparato ad una cosa simile.
Vede i suoi fratelli consolare il capitano, e subito capisce che deve andare da lui. Sì, deve consolarlo. Deve alzarsi in piedi, camminare da lui con l'aria più calma possibile, e deve dirgli che andrà tutto bene.
Nel breve tragitto che li separa, sente chiaramente i bisbiglii dei presenti. Bisbiglii carichi di risentimento, e la rabbia comincia a fargli tremare le mani.
«Teach è uscito...» mormora con un filo di voce, cercando di capire come ce l'abbia fatta, e nel frattempo, prima che possa raggiungere il capitano, qualcuno lo afferra per un polso e lo butta a terra, accanto al corpo di Mimì.
Piange e urla.
Urla e piange.
Prova a dimenarsi, ma le stanno somministrando generose dosi di calmanti per riuscire a capire cosa sia successo.
Wulfric, chino sulla vampira, mormora al suo orecchio che la situazione è davvero molto grave e che erano impreparati.
Marco guarda quel sangue nero scorrere sul corpo diafano della ragazza. La stessa ragazza che lo aveva invitato a fare una passeggiata al chiaro di Luna perché considerata una cosa romantica.
Poi, con una buona dose di sorpresa, nota una protuberanza nel suo addome. Una protuberanza che le è stata cucita all'interno del suo corpo e che, evidentemente le sta provocando dei dolori atroci.
«Noi apriamo e tu, Marco, devi essere pronto a togliere quella cosa, chiaro?»
Il pirata annuisce convinto. Sa di potercela fare. Ne è sicuro. Certo, non ha mai assistito ad un intervento chirurgico, ma sa di potercela fare.
«Marco, al mio via, ok? Tre...»
Marco non riesce a respirare. La sua mente è totalmente vuota. Vuole solo che tutta questa follia finisca al più presto per poter constatare di persona che Akemi, la sua amica, sta bene ed è al sicuro.
In più tutti lo fissano, e i loro sguardi non sono dei migliori...
«Due...»
Piange così forte, Mimì, che sulle prime non riescono neanche a capire cosa dice. Si sta sforzando, ma tra i singhiozzi riesce a pronunciare solo versi incomprensibili.
Marco abbassa lo sguardo su di lei, mentre tiene tra le mani tremanti un piccolo involucro di legno e metallo, al cui interno potrebbe tranquillamente esserci un ordigno esplosivo o simili, quasi estratto dal suo addome. Abbassa lo sguardo e la vede sofferente come mai nessuno aveva visto: il volto allegro devastato dalle lacrime scarlatte versate, reti d'argento su polsi e gola in modo che non si dimenasse e un più che possibile trauma cranico a giudicare dal sangue che cola giù dall'attaccatura dei capelli.
«UNO!»
Un movimento deciso, attento, quasi chirurgico, e tutti possono osservare il piccolo scrigno di legno, i cui bordi sono stati ovviamente rinforzati con dell'argento.
Marco non sa cosa fare. Non sa neanche se deve dare lo scrigno a qualcuno, tenerlo per sé, dire ad Ace di bruciarlo.
La cosa peggiore, poi, sta nel fatto che non sa cosa ci sia dentro.
«Dallo a me, vieni...» Sakura, dolce e gentile anche quando la situazione non lo richiede assolutamente, gli sfila l'oggetto dalle mani e lo lascia tornare nel suo stato di shock.
Marco aveva sentito dire di qualche pirata folle che aveva assistito ad un parto avvenuto in condizioni estreme e, beh... adesso è sicuro di poter dire di aver appena assistito al più strano, malato, pericoloso, parto non-parto della storia.
«Restale vicino, ok?» mormora dolcemente la vampira dai lunghi boccoli d'oro e gli occhi di ghiaccio, quasi trascinandolo di fianco all'amica che ancora non si muove.
Sta bene, questo lo sanno benissimo, ma non sanno come sia potuta succedere una cosa simile.
Mentre Marco regge debolmente la mano di Mimì, che sarà capace di rimettersi in piedi dopo diverse ore e molti litri di sangue, non riesce a fare a meno di osservare l'animata discussione tra Freki e Fenrir. Il primo gli urla di aumentare le difese, di barricarci dentro l'isola fino al momento in cui non capiranno come e quando attaccherà. Il secondo che la situazione è diventata troppo instabile e che i loro rimedi non serviranno a niente.
Sono spaventati a morte, e questo lo preoccupa. Quando mai quei due si preoccupano?
«Sat-»
Marco scatta sull'attenti in un batter d'occhio e subito porta il volto anche troppo vicino a quello della vittima, poggiandole una mano sulla guancia e l'altra sulla spalla.
«er... v-vo-... eva-... atch-»
«Mimì, ascoltami: ripetilo un'altra volta, lentamente, ok? Parla con me, solo con me. Sono uno dei testimoni, ricordi?» usa quella scusa per il semplice motivo che deve ricordarle che se non lo aiuta in quel preciso momento, il bel matrimonio che sta preparando con tanta energia non si terrà mai.
Mimì sorride appena. Un sorriso carico di speranza e paura, che poi si trasforma inevitabilmente in un urlo pieno di odio e furia.
«PETER VOLEVA SATCH!»
Per una manciata di minuti c'è il silenzio più assoluto, ma poi lo scontento e la paura esplodono, e poco ci manca che si arrivi ad uno scontro diretto.
Vogliono sapere come è entrato, dove si è nascosto e, soprattutto, vogliono sapere cosa diavolo vuole da loro.
Tutti urlano.
Le tiepide amicizie che si erano formate si sgretolano velocemente, le minacce si perdono come gli insulti.
«CHE COSA?!»
Tutti si immobilizzano di colpo, che siano esseri umani, fatine, Windigo, morti-vivente o quant'altro. Tutti loro sono completamente immobili, con gli occhi puntati su un più che adirato e sorpreso Týr Lothbrook.
Lo avevano visto una volta in quello stato, così fuori dalla grazia di Dio, ed è stato quando gli dichiararono guerra a causa della nascita dell'adorata figlia.
Adesso tutti lo seguono con lo sguardo, timorosi, cercando di capire come il pezzetto di carta, estratto dalla scatoletta, che stringe tanto gelosamente in mano abbia scatenato tutta questa rabbia.
Rabbia che sorprendentemente viene riversata sul fratello maggiore.
Gli si avvicina velocemente con passo di carica. Le zanne esposte, gli occhi iniettati di sangue.
Freki ha capito. Gli è bastato guardare l'espressione stravolta del suo adorato Sovrano per capire.
In fondo ha sempre saputo e sempre taciuto, come si chiede di fare ad un buon Beta.
Gli si chiede pure di difendere a costo della vita il proprio Sire, ma questa volta Fenrir glielo impedisce, portando un braccio teso all'altezza del suo petto.
Non lo guarda neanche, non ce la fa.
Non ci aveva mai pensato davvero, ma adesso capisce che quando le cose brutte arrivano, quelle brutte davvero, arrivano all'improvviso, senza avvertire. È raro vedere che la catastrofe si avvicina. Non importa quanto ci prepariamo ad affrontarla. Facciamo del nostro meglio, ma a volte non è abbastanza. Scegliamo strategie sempre vincenti per nasconderci, cerchiamo di difenderci. Cerchiamo di proteggerci con tutte le forze, ma non fa alcuna differenza. Perché quando le cose brutte arrivano sbucano dal nulla, senza avvertire. E questa volta è toccato a lui, il grande Imperatore immortale.

«È TUO FIGLIO!»



Angolo dell'autrice:
Eccomi di nuovo qui! Perdonatemi per il grande ritardo, ma proprio non sono riuscita a fare più velocemente. Le vacanze mi hanno completamente prosciugata. Impegni su impegni, costantemente fuori casa... poi problemi! Tanti, tanti, tanti problemi.
Dire che l'anno è iniziato male è dire poco. (E qui ci starebbe un bel bestemmione, ma evito)
Passiamo al capitolo, che probabilmente è meglio!
Ora spieghiamo un secondino l'uscita di Akemi. Il “l'ho rotto” viene detto a ripetizione da noi quattro imbecilli per indicare una sconfitta in qualsiasi campo. Il ragazzo della mia amica la zittisce con una frecciatina? T'ha rotto. Io faccio perdere il mio ragazzo con una particolare minaccia? T'ha rotto. Chiaro, no? Ovviamente io, da brava scema quale sono, dovevo metterla in quel frangente.
Poi... beh, nulla. Marco ha lasciato Akemi! Sì, perché ormai c'è così poca fiducia tra loro che è inutile provare a rimettere le cose insieme con lo sputo, no? Come ha detto Marco, avranno bisogno di tempo.
Ma la cosa più grande di questo capitolo, quella che probabilmente è la bomba delle bombe di questa storia, è proprio la fine. L'avreste mai pensato? :3

Beh, è meglio se vado!
Grazie di cuore a Okami D Anima, KURAMA DI SAGITTER, Monkey_D_Alyce, Chie_Haruka, Aliaaara, Keyea Hanako D Hono, Yellow Canadair e ankoku per le magnifiche recensioni! Troppo gentili!

Un bacione
Kiki♥ 

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Capitolo 42
*** 42. Orizzonti di gloria ***


Piccolo chiarimento: Teach non è scappato. Nel capitolo precedente evidentemente mi sono espressa male, ma ora mi spiego meglio: quello era solo un pensiero detto ad alta voce da Marco, una supposizione. Teach, per come è messo, non potrà mai scappare. Se riuscisse a liberarsi dalle catene e percorrere una cinquantina di metri sarebbe già un miracolo per lui!
Poi, che altro dire? Ah, sì: non ci saranno grandi sentimentalismi tra Marco e Akemi: stanno per andare in guerra, è l'ultima cosa a cui possono pensare. Diciamo pure che conteranno marginalmente, ecco.
Beh, ho finito :D Buona lettura a tutti!

 

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Ci sono silenzi che costruiscono enormi castelli nelle nostre anime; e noi raccogliamo in essi bauli di parole, di emozioni, che finiscono o con l'incenerirsi al primo fuoco o con l'ammuffire, e coinvolgono nel loro decadimento le mura intere.
Questo è ciò che è successo in tutti quei secoli a Fenrir. Ha taciuto su ciò che Peter è sempre stato per lui, e questo silenzio ha annientato quel poco che rimaneva della sua anima.
Con la nascita di Akemi credeva di aver trovato una nuova ragione per vivere, per ricominciare, e le sue speranze sono state alimentate con il matrimonio con la donna della sua vita, la nascita dei gemelli e la resurrezione dell'amato fratello.
Ma si sbagliava.
«Quello psicopatico è tuo figlio e non hai mai pensato di dovercelo dire?!»
Týr continua ad urlargli contro, furioso come mai è stato in vita sua. Sente un dolore lancinante allo stomaco, un dolore continuo che sembra volerlo mangiare da dentro.
Lui, suo fratello, l'uomo che da sempre stima di più, colui che ha seguito per tutta la vita, colui a cui ha detto ogni singola cosa, anche la più brutta, gli ha tenuta segreta una cosa del genere.
Lo stesso dolore sta colpendo Astrid.
Il dolore, per lei, è così forte da impedirle pure di respirare. Ma sa, in cuor suo, che purtroppo deve reagire anche quando non si trova la forza, ed è per questo che si alza di nuovo in piedi, fiera e statuaria, e si porta al fianco di Fenrir. Anche se le ha tenuta segreta una cosa del genere, anche se è riuscito a minare la sua fiducia, gli ha comunque giurato fedeltà eterna. Ha giurato di stargli vicino nella buona e nella cattiva sorte al cospetto di tutti gli Déi in cui crede, quindi non lo abbandonerà neanche in questo orrendo momento.
«Non erano affari che vi riguardavano.» sibila tetro l'Imperatore, sostenendo a fatica gli sguardi sconcertati dei presenti.
L'unico che non gli ha voltato le spalle, che non lo sta guardando come se fosse il più grande traditore mai esistito, è Freki, colui che da sempre sa di questa parentela e che ha contribuito a tenerla segreta.
«Ah! Tu dici?!» gli urla contro Wulfric, furioso.
«Lo abbiamo creduto morto per secoli! Sai bene quanto me che i licantropi non sopravvivono da soli, soprattutto se feriti!» controbatte prontamente Freki, in difesa del proprio Signore.
Il fratello lo guarda sconcertato e offeso, colpito dallo stesso dolore provato da Týr.
«Beh, lui c'è riuscito!» soffia assottigliando lo sguardo l'antico vampiro dai capelli d'argento, trattenendosi con tutto sé stesso dal saltargli alla gola e staccargli la testa di netto a morsi.
«Mi hai delusa, Fenrir...» mormora con un filo di voce Astrid, che ancora non riesce a togliersi dalle orecchie il suono graffiante della sua precedente affermazione.
Non erano affari che vi riguardavano.” Non riguardavano neanche lei, sua moglie. Avrebbe accettato qualsiasi cosa, qualsiasi scusa, ma non può digerire una tale affermazione.
Lo guarda da sotto i capelli scompigliati, con due grandi e lucidi occhioni ricolmi di lacrime.
«Delusa per cosa, Astrid? Per aver avuto un figlio che non ho mai voluto riconoscere? O perché così è evidente che non sono il perfetto cagnolino a cui bastava un fischio perché tornasse da te?» non vorrebbe essere crudele con lei, non in un momento del genere, ma si sente seriamente troppo attaccato e di conseguenza il suo istinto gli impone di difendersi come può «Quando ci lasciavamo tu vedevi altri uomini e questo è un dato di fatto. Io non sono mai stato stupido, Astrid, e per evitare altre inutili chiacchiere mi muovevo nell'ombra!»
Astrid boccheggia in cerca di una risposta tagliente da urlargli in faccia, ma un insopportabile blocco in gola le impedisce di pronunciare una qualsiasi sillaba.
Silly, accovacciata a terra al fianco di un più che distrutto Ace, osserva sconcertata la sua Signora. Non l'ha mai vista piangere, non l'ha mai vista distrutta in questo modo.
Pure lei, come tutti gli altri, è rimasta allibita nell'apprendere la notizia, ma non ha osato esprimere alcun parere. In fondo tutti quanti hanno dei segreti, chi più importanti di altri, e sapeva, in cuor suo, che pure il grande e forte Fenrir non poteva essere immacolato come voleva apparire.
«Un giorno, tantissimo tempo fa, incontrai una donna... ed era... bellissima. Davvero, era la donna più bella che avessi mai visto. Il suo nome era Maddalena.» tutti ascoltano le flebili parole che escono dalle labbra dell'Imperatore, rimanendo shockati.
Nessuno ricorda di aver mai visto quella donna, nessuno ricorda di averne mai sentito parlare.
Quell'antica bellezza vive solo nei ricordi di Fenrir, che finalmente ha deciso di riportarla alla luce.
«Pelle d'avorio, lunghi ricci neri e brillanti, occhi color della pece... rimasi incantato. Anche quando scoprii che per mantenere sé stessa e i tre bastardi che aveva messo al mondo faceva la puttana, non mi tirai indietro. La corteggiai come la sua bellezza meritava, suscitando un certo scalpore nel piccolo e misero villaggio in cui viveva.» lo ricorda bene, Fenrir. Ricorda che le portava sempre dei bellissimi fiori di campo; ricorda le sue gote pallide imporporarsi ad ogni complimento; ricorda il suo stupore quando la invitò a cena la prima volta, e ricorda ancor meglio quanto la sua semplice compagnia riusciva ad affievolire il dolore che provava a causa della recente rottura con Astrid.
«Tutto sembrò andar bene per qualche mese, finché non cominciò a manifestare dei malori all'addome.» in questo momento Fenrir non guarda nessuno di loro. Preferisce fissare la pallida Luna quasi piena sopra le loro teste, mentre i ricordi scorrono veloci e violenti nella sua mente «Il feto cresceva troppo velocemente e di quel passo sarebbero morti entrambi. Ed è a questo punto che è entrato in scena Freki.»
Il castano fa un passo in avanti, tenendo la testa alta. Non si vergogna di quel che ha fatto, non si pente di aver aiutato il suo Signore in un momento del genere. Certo, ha sempre detestato Peter, e adesso lo detesta ancora di più, ma non per questo si pente delle proprie azioni.
«Per far nascere il bambino e far sopravvivere la donna, ho cominciato a somministrare loro un leggero infuso di strozzalupo. Onestamente non sapevo se avrebbe funzionato o se avrebbe ucciso il nascituro, ma Fenrir volle provare lo stesso.»
«Tutto andò per il meglio.» lo interrompe prontamente Fenrir, passandosi nervosamente le mani tra i capelli «Il piccolo nacque prematuro, ma era forte ed è riuscito a sottrarsi alla morte. Per mia fortuna somigliava in tutto alla madre, così mi potei allontanare. Prima di andarmene, però, ordinai a Maddalena di somministrare al piccolo due gocce di strozzalupo ad ogni pasto, così da rallentare la sua crescita e farlo sembrare un bambino come un altro, fino al giorno in cui sarei tornato a prenderlo.»
Un profondo ed assordante silenzio regna sovrano in quella spiaggia. I presenti sembrano pure trattenere il respiro, tanto sono shockati.
Solo Týr si lascia scappare una risatina isterica, mentre i ricordi di quei lunghi anni trascorsi a Raug senza una ragione logica assumono finalmente un senso. Solo ora riesce a capire perché erano rimasti confinati in grotte sotterranee, lontani dalla civiltà, per più di vent'anni: voleva monitorare il bastardo.
«Lo presi con me quando aveva raggiunto l'età che mi ero prefissato. Era debole al tempo, odiato dalla sua gente, e per questo decisi di donargli il morso. Non avrei mai pensato che potesse diventare un tale mostro.» gli fa male ricordare tutte quelle cose. Gli fa male ricordare il suo sorriso pieno di meraviglia ogni volta che gli mostrava qualcosa, ogni volta che lo rendeva partecipe di ciò che faceva. E gli fa ancor più male ricordare quello splendido sorriso pieno di meraviglia e dolcezza trasformarsi in un ghigno sadico e perverso dopo i primi brutali omicidi.
«Ecco, adesso sapete tutto ciò che vi ho tenuto segreto in questi anni. Spero che la cosa vi rallegri. Adesso, col vostro permesso, devo andare a capire come ucciderlo.» detto questo si congeda, allontanandosi lentamente verso il tempio di Odino. È un tempio piccolo, lontano da occhi indiscreti, dove pochi si recano di rado per trovare risposte a dilemmi a cui non riescono a venire a capo.
I presenti lo guardano allontanarsi ammutoliti, con una nuova e spaventosa consapevolezza nel cuore: Helheimr, la loro adorata isola, non è più sicura.

† † † † † † † †


Inngangen til Helvete fu, all'inizio, un luogo verde e piacevole, con molto alberi antichi e prati erbosi, resi rigogliosi dal fiume prima che fosse ostruito su ordine di qualche condottiero, convinto di poter così ottenere una significativa vittoria.
La fortezza che troneggia su quella piccola isola ormai desertica, situata sul promontorio a sud, fu realizzata con una pietra rosso pallido, ed era dotata di cinque gigantesche torri cilindriche protette da bastioni di ferro e mura massicce con feritoie per gli arcieri. Adesso, dopo svariati bombardamenti, sono rimaste solo due torri, e buona parte delle mura sono crollate.
Un tempo vi era un grande portale di bronzo, protetto da una grata, ma da qualche secolo è rimasto solo l'ingresso secondario, una stretta porta di una garitta posta lateralmente.
Il castello è dotato di numerosi passaggi segreti, alcuni dei quali però sono stati resi impraticabili dopo dei crolli. Uno di questi conduce alle prigioni si trovano molto in profondità nei sotterranei. Le celle dei livelli inferiori hanno della paglia sul pavimento, nessuna finestra, nessun letto e nemmeno un secchio per gli escrementi. I muri sono disseminati di chiazze di salnitro e le celle sono chiuse da porte di legno spesse quattro pollici e rinforzate da bande di ferro. Una volta chiusa la porta, il buio nelle celle diventa totale.
È proprio in una di queste celle che è stato rinchiuso Satch, febbricitante e disidratato.
Non ha idea da quanto tempo sia sdraiato su quel pavimento lercio, da quanto tempo non veda la luce. Per quanto ne sa potrebbero essere anche anni.
Questa sua confusione mentale è dovuta, oltre al forte stato di panico cui è preda, a dei forti sedativi che non gli permettono più di usare a dovere la ragione.
L'unica cosa di cui è pienamente consapevole è che ha le gambe rotte e steccate, una profonda ferita nel braccio che non smette di sanguinare e una alla testa, che gli è stata inspiegabilmente ricucita dopo che l'hanno rasato a zero.
«La stanza è di vostro gradimento?»
Il suo cuore perde un battito, per poi accelerare di colpo.
Si sente completamente sconfitto in quel momento, privato delle sue armi ed incatenato come un animale, spoglio dei suoi abiti come uno schiavo, lontano dalla sua famiglia, lontano da qualsiasi barlume di speranza.
«Chi diavolo sei?» ansima dolorante, faticando solo a tenere gli occhi aperti.
Lo sconosciuto gli si avvicina con passo lento. È calmo, sa che niente può nuocergli. Sa che può fare di quel pirata tutto quello che vuole e la cosa lo inebria.
«In gioventù mi venne insegnato che non si dà mai del “tu” ad un estraneo. Ma convengo con voi, considerato il vostro basso rango, che si possa anche sorvolare sulle buone maniere.» si prende gioco di lui in modo aperto ed umiliante, girandogli attorno come un avvoltoio, scrutandolo minuziosamente, arrivando alla conclusione che come umano non è male. Ha una buona struttura fisica, è in salute ed è ancora piuttosto giovane.
Nella sua mente contorta dall'agonia e dalla disperazione, non riesce a scegliere quale stratagemma adottare. Non sa se strappargli la pelle per foderarci delle lampade, se disossarlo per comporre dei magnifici oggetti d'arredamento, se lasciarlo in vita finché gli è possibile e poi darlo in pasto ai cani dei suoi alleati.
Alla fine accantona in problema, decidendo di pensarci in seguito, e semplicemente gli si avvicina, piegandosi sulle ginocchia per poterlo guardare in volto.
«Sono Peter Bàthory Lothbrook, della dinastia di Fenrir... rinnegato dal mio Signore e costretto alla rovina.» gli afferra il mento tra le dita, stringendolo così forte che per poco non gli spezza le ossa «Sono lieto di informarvi, Comandante Satch, che voi sarete il mio biglietto di ritorno alla ribalta.»
Si alza in piedi di scatto, passeggiando per quella cella sporca e umida, guardando un punto imprecisato e lontano, il tutto sotto lo sguardo attento del pirata.
«Perché entrambi sappiamo che la creatura non vi lascerà morire. No?» si volta e gli sorride arrogantemente, mandandolo in bestia.
«Non chiamarla così...» ringhia Satch, adirato oltre ogni limite. Che si prenda pure gioco di lui, che gli faccia ciò che vuole, ma che non si azzardi a toccare l'adorata sorella che in pochi mesi gli ha dato così tanto, che l'ha portato tra le braccia della dolce vampira di cui è innamorato.
Peter semplicemente sorride, intrecciando le dita davanti al volto per nascondere i denti affilati, per poi avvicinarglisi di nuovo, sempre con quella calma disarmante che l'ha sempre contraddistinto.
«Stavo pensando a cosa potrei fare di voi...» gli sfiora la spalla nuda e muscolosa con la punta delle dita, facendolo dimenare e imprecare.
«Avete il fuoco dentro, Comandante... e questo è... interessante...»
In una frazione di secondo Bàthory sparisce dalla sua vista, mandandolo nel panico.
Come può pensare di difendersi da qualcosa che neanche riesce a vedere? Come può pensare di poter fuggire da qualcosa così indecentemente più veloce di lui?
Mentre continua a cercarlo freneticamente con lo sguardo, la sua cella viene aperta da due uomini. Sono grossi e ben armati. Uno di loro porta il suo foulard giallo legato al polso.
Chiamano Peter, gli dicono che devono controllare alcuni dettagli per la guerra.
«Presto tornerò a vedere come state, Comandante Satch...»
Sente la sua voce ma non lo vede. Non riesce neanche a capire da dove provenga.
I due uomini lo richiamano di nuovo, stavolta con voce tremante. Si domanda, Satch, perché lo temono così tanto, di cosa sia capace per terrorizzarli a tal punto, ma la sua mente va in blackout nel momento esatto in cui qualcosa gli squarcia in profondità il fianco destro, facendolo piegare in due per il dolore.
Urla con tutta l'aria che ha nei polmoni, mentre una pozza scura si allarga sotto di lui.
«Ciao, ciao!»
La cella si chiude e Satch non è più solo. A tenergli compagnia adesso c'è un profondo ed insopportabile dolore al fianco. Dolore che si espande al resto del corpo, che gli fa perdere sempre più sangue, che gli fa perdere i sensi e, con essi, anche quel barlume di speranza.

 

† † † † † † † †


Da quando Fenrir ha lasciato quell'affollata spiaggia, è scoppiato il caos.
I pirati di Barbabianca vogliono vendetta e urlano perché non li lasciano andare alla Moby Dick, in modo che loro stessi possano prendere a calci nel culo Peter.
I mostri, oltre a dover tenere a bada quelle teste calde, non sanno cosa devono pensare. Si erano sempre fidati ciecamente del loro condottiero, avevano sempre pensato che fosse una specie di cavaliere senza macchia – beh, per quanto sia possibile per individui del genere – e che mai avrebbe fatto qualcosa che potesse nuocere loro.
Ma adesso sono confusi. E spaventati. E arrabbiati, perché quel calcolatore psicopatico ha rapito e malmenato un pirata dai modi gentili e affabili, che in breve tutti quanti hanno preso in estrema simpatia.
Non sanno cosa fare, a chi rivolgersi, e di conseguenza urlano al primo che gli capita, creando così una baraonda paragonabile solo alle più devastanti delle loro feste.
«ADESSO BASTA!!!»
Potevano aspettarsi un urlo del genere da tutti quanti. Tutti, proprio tutti. Pure i cuccioli non avrebbero destato poi questo stupore che invece questa determinata persona ha creato.
Perché questa persona è sempre calma, pacata, quasi assente mentalmente. Per molti vive in un mondo tutto suo, pieno di arcobaleni, pony colorati e un dolce profumo simile al rosmarino nell'aria.
Nessuno, assolutamente nessuno, si sarebbe potuto aspettare una reazione simile da lei.
«Momoko, cara...» Arista, sorpresa tanto quanto gli altri, le poggia delicatamente una mano sulla spalla per cercare di dissuaderla e calmarla, ma la mannara si rigira rapida e la fulmina con i suoi brillanti occhi dorati.
«NO!» strilla furibonda, voltandosi poi verso l'enorme folla che la fissa con gli occhi oltremodo spalancati per lo stupore «Perché continuate a discutere?! Fenrir ci ha dato un posto sicuro dove vivere, dove poter essere quello che siamo senza doverci preoccupare della nostra stessa ombra! Come potete voltargli le spalle in questo modo?! Vi ha nutriti, protetti, vi ha dato una casa, vi ha permesso di crearvi una vita vera! È così che lo ringraziate?» urla tutto in un fiato, mentre delle calde lacrime cristalline* le rigano le pallide guance.
Tutti la osservano in silenzio, non riuscendo a ricordare l'ultima volta in cui l'hanno vista piangere. Poi, invece, come un fulmine a ciel sereno, eccolo lì quel ricordo, vivido come se fosse una cosa successa qualche giorno prima e non diversi secoli prima: lei piangeva, in una pozza di sangue, il corpo della sorellina piccola che penzolava tra le sue braccia. Ricordano che alzò gli occhi e supplicò di essere uccisa perché era un mostro, ma Fenrir le diede l'opportunità di redimersi: l'avrebbe allenata e l'avrebbe portata dal suo creatore, così da poterlo uccidere insieme. Perché non si trasforma mai qualcuno contro la sua volontà, è la seconda legge che stipularono i due anziani Signori.
«Quando mi trovò...» a prendere la parola è Rin, una delle lupe più anziane sull'isola. La sua storia non la conosce praticamente nessuno, poiché troppo dolorosa per lei da raccontare, ma adesso, dopo essersi asciugata i bellissimi occhi a mandorla, decide di rivelare loro ciò che era un tempo «...ero solo una randagia. Nel mio precedente branco ero al livello Omega. Quando venivo picchiata, lasciata digiuna per settimane e... stuprata, dovevo tacere e farmelo andar bene. Ma non andava bene... così scappai. M'imbattei in Fenrir prima che gli altri potessero raggiungermi per uccidermi, e lo supplicai di lasciarmi vivere.»
Killian, con passo lento ma deciso, la raggiunge e le stringe le braccia attorno alla vita, come per dirle silenziosamente che è tutto finito, che nessuno le farà mai più del male, non adesso che è a Helheimr.
«Se non fosse stato per lui, io adesso non avrei tutto questo...» mormora infine Rin, asciugandosi la guancia con il dorso della mano.
Un goblin, incoraggiato dalle parole della mannara, si fa avanti tra la folla, torturandosi nervosamente il grosso orecchio floscio che gli pendola vicino al piccolo e sottile occhio.
«Dei Dragoni stavano per uccidere i miei figli appena nati quando lo incontrai. Io ero gravemente ferito, mia moglie morta tra le mie braccia. Lui mi posò una mano sulla spalle e mi domandò se volessi continuare a vivere in un luogo dove tutto questo male non può entrare... e adesso i miei figli possono vivere sereni, e hanno avuto la possibilità di crearsi a loro volta una famiglia.» racconta con voce rotta dalla commozione, lasciando vagare per un secondo lo sguardo sui due giovani goblin che lo guardano stupiti. Loro non ricordavano niente, sapevano che la madre era morta di parto, non che dei Dragoni l'avessero uccisa tra le braccia del padre!
«Adesso, tutti quanti voi, vorreste farmi credere che non avete una storia simile da raccontare? Vorreste dirmi che Fenrir, il nostro Signore, non vi ha in qualche modo salvati?!» urla di nuovo Momoko, carica come non era mai stata. Sente l'adrenalina, il coraggio e la rabbia scorrere nelle vene, forti ed impetuose come fiumi in piena.
Wulfric la guarda con fierezza, apprezzando realmente le sue parole. Lui non sarà stato salvato da Fenrir, è vero, ma Dio solo sa quante cose gli ha insegnato e quante volte gli ha parato il culo!
«Quell'uomo... Peter...» mormora Blamenco, affranto, quasi supplichevole, alzando lo sguardo su tutti quei mostri adesso carichi di una nuova energia distruttiva «Ha preso nostro fratello.»
Wulfric si alza in piedi e scatta verso di loro. Afferra l'uomo corpulento per una spalla e lo scuote come se volesse ridestarlo, sorridendo con quell'aria da maniaco che fa rabbrividire. Poi sposta il folle sguardo su ognuno dei presenti, fermandosi infine sull'imponente capitano che a sua volta lo guarda con sguardo duro.
«E allora, per tutti gli Déi, andiamo a riprendercelo!»


Dopo che hanno deciso di non voltare le spalle al loro Signore, l'intera isola si è mobilitata per muovere guerra contro Peter, il Flagello.
Molti sono andati al porto per mettere in sesto le navi e controllare che niente vi manchi.
Altri sono andati alle armerie, per affilare le lame e farle poi caricare sui grandi vascelli.
Fenrir è stato raggiunto dai membri della sua famiglia, e questo gli ha congelato il cuore.
Suo fratello, quello che forse doveva essere il più offeso di tutti, lo ha stretto forte tra le braccia e gli ha sussurrato, in tono scherzoso, che sfangheranno anche quella.
Astrid, seppur con passo incerto, gli si è avvicinata e lo ha baciato delicatamente a fior di labbra.
“Una promessa è una promessa, amore mio. E io ti sarò vicina fino alla fine.” ha mormorato al suo orecchio, beandosi dell'abbraccio che si sono scambiati. Fenrir sa bene che quando tutto sarà finito gliela farà pagare per molti secoli a venire, ma adesso non ha importanza: potrebbe non tornare, potrebbe non rivederla mai più, e non avrebbe sopportato il suo viso in lacrime per colpa sua come ultimo ricordo.
Adesso, lontani dalla stanza del Concilio, Cinque Comandanti seguono Freki mentre percorre con passo svelto quei lunghi e tetri corridoi. Se tanto non possono assistere alla riunione, dove i maggiori esponenti dell'isola decideranno chi va in guerra e chi invece rimane a protezione dell'isola, hanno deciso di assicurarsi, quanto meno, come sta l'adorata sorella.
Quando però sono giunti davanti alla camera dei gemelli e l'hanno trovata vuota, si sono sentiti il cuore sprofondare nelle viscere. L'idea che qualcuno di loro fosse riuscito ad entrare lo stesso, eludendo così per la seconda volta le guardie, li ha invasi completamente, attorcigliando loro lo stomaco.
Quando però hanno visto il fiero mannaro fare marcia indietro e camminare veloce in tutt'altra direzione, hanno capito, senza dirsi una parola, che potevano stare tranquilli. Se uno come lui mantiene la calma, allora significa che non è successo un bel niente.
Dopo quasi cinque minuti di cammino, però, il nervosismo che va sempre più aumentando dentro di loro è diventato quasi insostenibile, e Jaws non si è fatto alcun problema a rivolgersi al mannaro in tono rabbioso.
«Dove sono finiti?!»
«Venite.» risponde pacatamente il maggiore del sestetto, rallentando il passo. Vuole dar loro un briciolo di vantaggio prima di massacrarli di botte, e vuole sapere cosa è passato per il cervello di quei tre squilibrati che hanno ben pensato di andarsene a zonzo senza protezione in una situazione del genere. Sa anche che la colpa non è stata, almeno questa volta, della sua allieva, ma bensì dei gemelli, decisamente poco propensi a prendere ordini.
«Tu non stai al Consiglio?» domanda Ace per rompere il ghiaccio e alleggerire un poco quella situazione tragica. Malgrado provi a pensare a qualsiasi altra cosa, però, non riesce a togliersi dalla testa l'espressione devastata di Silly quando ha visto l'amica a terra in una pozza di sangue. A quel punto, pure lui si è sentito male. Non per il sangue, e neanche tanto per Mimì. No: lui si è sentito male per Silly.
«Dovrei, ma essendo il tutore di Lilith devo, prima di tutto, assicurarmi che non le sia successo niente.» risponde frettolosamente Freki, svoltando velocemente a destra, ignorando il macello che i pirati fanno non appena urtano contro il primo tavolino, ben nascosto nell'ombra.
«Perché vai verso le cucine?» ringhia a denti stretti Fossa, tenendosi una mano sul fianco colpito.
Marco, al suo fianco, fissa con odio crescente quel bastardo presuntuoso. Se fosse stato davvero forte come tanto si atteggia, avrebbe dovuto immediatamente rendersi conto che qualcosa non andava, anziché aspettare l'ululato disperato di Silly.
«Perché conosco bene i miei polli...» soffia in risposta il maggiore, spalancando le grandi porte di legno massiccio e trovando i tre giovani Lothbrook intenti a divorare ogni cosa capiti loro a tiro.
I gemelli si sono buttati su tutto quello che può essere dannoso per l'organismo, ingurgitandone quantità indescrivibili come se fossero briciole.
Akemi, invece, è accucciata a terra e sta divorando a mani nude un costato di vacca. Il gancio che la teneva sollevata nella cella frigorifera è stato strappato di netto dal soffitto, e adesso giace vicino alla porta, ai piedi di Freki.
La guarda mentre mangia e s'imbratta di sangue, ringhiando come un animale rabbioso. Attorno a lei, nota, ci sono tante, troppe ossa completamente spolpate.
«Il tuo Comandante è stato rapito e tu perdi tempo ad ingozzarti?» la sfotte prontamente, avvicinandola senza alcuna paura.
Akemi, in tutta risposta, scatta in avanti per proteggere la preda e gli mostra le zanne in chiaro avvertimento, fissandolo con i suoi demoniaci occhi neri e privi di vita.
«Non prendere il mio appetito per apatia, Freki! Non posso far niente, quindi mangio quanto voglio!» urla isterica, tornando ad occuparsi della carne sanguinolenta che stava gelosamente proteggendo con il proprio corpo.
Marco la guarda inorridito, non riuscendo quasi più a riconoscerla.
Freki lo nota e un ghigno divertito gli stende le labbra screpolate. Per un attimo vorrebbe dirgli che le licantrope diventano particolarmente ingorde quando si avvicina il momento del mestruo, ma preferisce tacere. Che se le scopra da solo queste diavolerie!
Si volta poi di scatto quando suo fratello, a corto di fiato, irrompe nella stanza e lo avvicina, sussurrandogli velocemente i nuovi ordini nella loro antica lingua.
«Vai, ti raggiungo subito.» ordina secco, osservando per un breve istante il ragazzo che corre via. Ha paura anche lui, non lo dà a vedere, ma è così. E non ha paura per sé, questo no: da sempre sogna un avversario tanto speciale capace di ucciderlo. Lui ha paura per suo fratello, il suo dolce fratellino che non ha mai fatto niente senza di lui.
Volta di scatto la testa, cacciando via quei dolorosi pensieri, e punta gli occhi sui piccoli principi sporchi di cibarie ormai non più identificabili.
«Prendete i vostri amici Comandanti e andate nella Sala Grande con vostra madre e gli altri pirati. Tu, Lilith, con me.» ordina secco, afferrando la ragazza per un braccio e trascinandosela dietro.
«Perché noi non veniamo?» domanda Marco, con tono rabbioso e allo stesso tempo deluso. Vuole combattere, vuole riprendersi suo fratello e vuole infilare un braccio in gola a quel bastardo per fargli fuoriuscire le budella. Vuole anche, seppur si renda conto che non è il momento adatto a certi pensieri, che Akemi stia il più lontana possibile da quel licantropo borioso.
«Ve lo spiegherà Astrid.» urla Freki, ormai in fondo al corridoio.
Akemi lo guarda terrorizzata, ormai conscia di quanto la situazione sia critica. E anche lei ha paura. Una paura nera che le paralizza le gambe e non le permette di respirare.
Il lupo si blocca a sua volta e la guarda con attenzione, leggendo nei suoi grandi occhi di ghiaccio il panico più totale.
L'avvicina svelto e le poggia con forza le mani sulle spalle, costringendola a guardarlo negli occhi.
«Cosa ti dissi, tempo fa?»
Akemi ci pensa su qualche secondo, poi ricorda e ricomincia a respirare.
«La paura all'uomo non frutta niente perché... perché il gomitolo della nostra vita è stato misurato alla nostra nascita.»
Freki le sorride e, seppur per pochi secondi, poggia delicatamente le labbra sulle sue, facendola sciogliere.
Quando Freki ti bacia in questo modo, così dolce, protettivo e romantico, vorresti sempre che il tempo si fermasse. Pure Akemi lo desidera: vorrebbe tenere quel calore per sé, nutrirsene fino a scoppiare, ma sa bene che non può farlo: è una Lothbrook e un membro della ciurma di Barbabianca, dannazione!
«Muoviamoci.»


Nella grande sala del Concilio, ormai, ci sono tutti i più grandi guerrieri. Hanno analizzato per almeno quaranta minuti le fotografie che Peter aveva messo dentro allo scrigno, oltre alla lettera dove rivelava la paternità dell'Imperatore.
Hanno osservato quelle foto, quegli eserciti enormi, e per un attimo lo sgomento li ha pervasi totalmente. Per un attimo hanno creduto che fosse inutile anche solo provare a resistere, che sarebbe stato meglio scappare, ma poi si sono ricordati del dolore di Mimì, quell'allegra e giovane vampira che li ha sempre fatti ridere, che dava sempre tante cene e si faceva in quattro per rendere felice tutti quanti, come una mamma affettuosa.
È grazie a quel doloroso frammento che sono rimasti, più agguerriti che prima, e hanno cominciato a buttar giù strategie su strategie. Ovviamente alla fine toccherà ai tre Astri decidere cosa fare, ma sperare di riuscire a trovare qualcosa che possa essere loro di aiuto non guasta di certo.
D'improvviso le grandi porte nere si spalancano, e nella sala irrompono, furiosi e offesi in volto, tutti i Comandanti.
Camminano con passo fiero, e osservano tutti loro con l'aria di chi ha visto di peggio, di chi ha fatto di peggio.
«Cosa ci fate voi qui?» ringhia a denti stretti Fenrir mentre fissa con astio i vari Comandanti che si stanno mettendo comodi attorno al suo tavolo, sotto gli sguardi assai perplessi dei vari Generali. Un Windigo, la cui espressione cambia dallo smarrito all'incuriosito a momenti alterni, è pure costretto a spostare la propria seggiola per fare spazio alla considerevole mole di Jaws.
«Mi pare ovvio: veniamo con voi!» esclama sicuro di sé Ace, dondolandosi sulla comoda poltrona imbottita come un bambino. Quando però nota gli sguardi assai scocciati di alcune creature pensa bene di mettersi composto, allungando poi una mano al piatto pieno di biscotti con le mandorle che sembrano quasi urlare il suo nome.
«Bene.» esclama con falso entusiasmo Fenrir, sorridendo loro con aria derisoria per qualche secondo, tornando poi con la solita aria cupa e pensierosa «Rimarrete sulla nave principale. Dovrete avere una via di fuga immediata nel caso le cose si mettessero davvero male per noi.» ordina poi con tono duro, osservando maniacalmente le carte stese sul tavolo.
«E verreste con noi, vero?» azzarda Ace, parlando con tono rabbioso. L'idea di abbandonarli, di lasciarli alla morte, lo disgusta semplicemente. Saranno pure i peggiori assassini in circolazioni, creature dannate rifiutate pure dall'Inferno, ma c'è comunque una specie di alleanza tra loro, e lui non è certo il tipo che abbandona i compagni.
«Nessuno di noi si muoverà finché quei bastardi saranno ancora in vita.» risponde aspramente Freki, che ormai non sta più nella pelle dall'idea che da li a poco potrà di nuovo combattere come un tempo e mostrare a tutto il mondo che l'unico Sovrano che mai avranno è sempre stato e sarà sempre è solo Fenrir Lothbrook.
«Se anche uno di loro riuscisse a rimanere in vita, questa guerra non avrebbe mai fine.» borbotta distrattamente Týr, giocherellando con i rimasugli di un biscotto, creando dei disegnini astratti con le briciole.
«E pretendete che noi scappiamo?!» urla assai contrariato Curiel, scattando immediatamente in piedi e sbattendo con violenza i pugni sul tavolo, facendo vibrare tutto ciò che vi è sopra.
«Peggio, fratello: loro pretendono che rimaniamo sulla nave a far niente!» lo riprende subito Atmos, scattando in piedi a propria volta e guardando quei presunti immortali uno alla volta. Era convinto che avrebbe potuto partecipare attivamente al salvataggio di Satch, invece deve restarsene fermo a guardare come un pivello alle prime armi.
«C'è la vita di nostro fratello in gioco, amico.» ringhia a denti stretti Ace, alzandosi lentamente e camminando con passo furente verso il Sovrano, alla quale si avvicina senza paura. «Tu non ci fermerai.» afferma sicuro guardandolo dritto in faccia, a pochi centimetri di distanza.
«Questo sì che è il degno figlio di Roger!» urla pieno di gioia Týr, saltando in piedi sul tavolo «Andiamo, lasciali provare! Mal che vada crepano!»
I due fratelli si guardano negli occhi per qualche secondo. Rimangono immobili, silenziosi. Tutti aspettano solo il verdetto finale, e l'aria è diventata improvvisamente carica di elettricità.
«Come volete.» si arrende semplicemente il maggiore, che poco può contro lo sguardo sicuro e sognante del minore. Lo accontenterebbe sempre, e dopo quello che ha fatto non può certo permettersi di fare troppo lo scorbutico.
Si volta con sguardo fermo e determinato verso i propri alleati, guardandoli uno per uno con attenzione. «Chi in combattimento ne avrà l'occasione, provi a guardare le spalle di questi coraggiosi esseri umani, siamo intesi? Sono nostri alleati, è nostro dovere proteggerli.» ordina con tono duro, ricevendo in risposta dei cenni d'assenso col capo.
«Tu riesci a convincere sempre tutti quanti, vero?» bisbiglia Ace all'orecchio di Týr, ghignando divertito.
«Puoi scommetterci il culo, ragazzino!»
«Che genere di isola è quella dove si è rifugiato?» domanda Izo, con voce ferma e carica di rabbia. Vuole andare subito laggiù a combattere, a distruggere, ma osservando la cartina sbiadita che il nemico ha donato loro, proprio non riesce a ricordare di averla mai vista prima d'ora, e un leggero sgomento comincia a pesargli sulle spalle.
«È una piccola isola disabitata da secoli, ormai. A causa di tutte le guerre che ci abbiamo combattuto, è stata stupidamente soprannominata “Inngangen til Helvete”.» risponde pacatamente Wulfric, osservando una cartina più recente e decisamente più dettagliata.
I corvi, per loro, servono anche a questo: li mandano in ricognizione dovunque e, quando tornano con i ricordi, bevono qualche goccia di sangue e così sono in grado di poter vedere a loro volta i cambiamenti subiti.
«Eh?»
«Ingresso per l'Inferno.»
«Certo che dovevate essere delle vere bestie.» mormora Ace grattandosi la nuca. L'idea che delle creature abbiano reso un'intera isola – per quanto questa possa essere grande o piccola – totalmente inabitabile lo sgomenta un poco, ma non per questo ha intenzione di tirarsi indietro. Anzi! Combatterà con ancora più ferocia, mostrando a tutti le sue capacità. Chissà, magari così potrei attirare pure la sua attenzione!
«Ohhh, tesoro... tu non ne hai idea.» commenta sarcastica Arista, in fondo alla sala, intenta ad affilare con precisione maniacale la sua ascia.
«Si tratta di un’isola praticamente desertica; il terreno è arido, da secoli non vi cresce più niente. Sulla prominenza a sud c’è ancora il castello in rovina. Secondo quanto riportato da un corvo, attorno al castello adesso ci sono migliaia di accampamenti misti, cioè sia Dragoni che altre creature. L’unico lato accessibile per le navi è la baia ad est: tra i due promontori c'è una piccola insenatura, perfetta per un attacco in vecchio stile.» continua Týr, carezzando il suo adorato corvo, incredibilmente docile e mansueto quando in sua compagnia.
«Non vi seguo.» sbotta Curiel, rompendo il silenzio che si era venuto a creare.
Loro non sono tipi che creano grandi strategie di battaglia: loro arrivano su un'isola e la depredano, avvistano una nave avversaria o mercantile e l'affondano, trafugandone i tesori. Non hanno mai sentito la necessità di programmare nel dettaglio l'attacco di qualche particolare isola.
«L'insenatura offre un totale riparo sia dagli attacchi laterali, che da quelli aerei. Possiamo passare da lì.» sbuffa il Re delle Tenebre, roteando gli occhi al cielo.
Era convinto che vecchie tattiche come quelle usate da antiche popolazioni come, per esempio, quelle greche, fossero conosciute da tutti, ma evidentemente si sbagliava.
Solo in questo momento si rende conto che, per un verso, li ha sopravvalutati: persone come loro non hanno mai avuto le sue possibilità di farsi una così vasta cultura.
«In quanti ci passano?» domanda con tono fermo Fossa, sbuffando una densa nube di fumo, attirando su di sé gli occhi glaciali dell'antico e bizzarro vampiro.
«Ci potrebbero passare tre grossi carri messi di traverso, quindi le orde di zombie saranno in prima linea, p-»
«Li usi come scudi?» lo interrompe prontamente Ace, che proprio non riesce a concepire l'idea di usare i propri alleati – seppur morti e privi di intelletto – come carne da macello.
«Qualcosa in contrario?» lo sfida Týr, allungandosi con il busto in sua direzione e assottigliando lo sguardo, senza abbandonare il ghigno perverso e divertito che si è stampato in faccia da quando è riuscito a piegare il fratello ai suoi capricci.
I vari Comandanti lo guardando disgustati, mentre il resto dei presenti domanda con un filo di voce se la lentezza dei non-morti potrà in qualche modo svantaggiarli.
«Come tattica non mi convince.» afferma pensieroso Wulfric, colui che più di chiunque altro ha la mente migliore per preparare una guerra.
E mentre pensa ai preparativi, a come disporre gli uomini, a quali imprevisti incontreranno e come sbarazzarsene velocemente, pensa pure a come poter fare per adattare le armature precedentemente create per i propri compagni sui corpi dei fragili umani. Perché deve trovare il modo, se non vuole riportarli ad Helheimr a brandelli.
«Cosa suggerisci?» gli domanda realmente interessato Fenrir, che non aspettava altro che sentire il suo piano.
«Gli zombie attenderanno su due navi, poste ai lati della baita. Che le affondino o meno non fa differenza tanto, no?» i presenti, alcuni malvolentieri, annuiscono appena, ascoltando con attenzione ciò che il vampiro ha da dire «Dopo formeremo una corazza: Windigo in cima alle file, con la loro mole e la loro forza impediranno a qualsiasi cosa di entrare. Dietro di loro i vampiri, poi i mannari, poi tutti coloro che vorranno unirsi ed infine gli umani. Al momento giusto, avanzeremo tutti quanti.»
Questo piano, seppur semplice e facilmente prevedibile, è quanto di meglio possono trovare, considerato il poco tempo che è stato loro concesso.
Peter, infatti, gli ha concesso un giorno per raggiungerlo, altrimenti l'anima del Comandante sarà sua per l'eternità. Un'ulteriore sfida in pratica, che li allarma particolarmente: non tanto per la brevità dei tempi, no: il problema sopraggiunge quando attaccheranno e l'influsso della Luna Piena sarà piena su di loro.
Ma adesso Wulfric non vuole assolutamente pensarci. Adesso deve solo trovare la disposizione adatta per quegli umani fuori di testa.
«Ottavo Comandante Namiur, ho un incarico ben specifico per te.» annuncia con un tono che non ammette repliche, facendo scattare sull'attenti il diretto interessato «Tu controllerai le truppe subacquee e dovrai proteggere le navi dai loro attacchi.»
«Faranno tutto ciò che possono per tagliarci la ritirata, quindi dovrai essere davvero veloce. Pensi di esserne capace?» aggiunge subito Fenrir, osservando con attenzione l'uomo-pesce.
È coraggioso, non lo mette assolutamente in dubbio. Ed è spaventato, e per questo ha la sua ammirazione. Perché solo un idiota andrebbe in guerra senza provare un minimo di paura.
«Non c'è problema.» afferma sicuro il Comandante, fiero di sé stesso.
Malgrado la situazione tragica, Namiur è felice: lui ha un compito ben preciso, contano davvero su di lui per la vittoria e, quanto è vero che Fenrir gli sta dando una sonora pacca sulla spalla, ci riuscirà.
«Primo Comandante Marco.» la voce di Týr è tagliente, fredda e glaciale. Non ha niente contro di lui. Cioè, qualcosa si, ma niente di allarmante. Vuole solo essere sicuro che quel pirata sia degno della sua adorata bambina.
Il Comandante alza lo sguardo e lo punta in quello gelido di Týr.
«Tu guiderai i grifoni durante l'attacco aereo: dovrete mettere immediatamente fuori combattimento i cecchini.»
«Io e Akemi ci muoveremo verso il castello, raggirando il campo di battaglia.» aggiunge velocemente Fenrir, poggiando i palmi delle mani sul grande tavolo immerso di fogli per poter esaminare meglio la cartina che sono riusciti ad ottenere.
La ragazza lo raggiunge velocemente e si appoggia con la guancia alla sua spalla, osservando a sua volta.
Si sente così inutile, così debole. Tutti loro hanno combattuto innumerevoli guerre, hanno visto i più grandi orrori del mondo... e lei? Lei è su quell'isola da qualche mese, è stata allentata al combattimento da Freki, ma niente di più.
«C'è soltanto un'entrata, le altre sono state sbarrate, provare a forzarle sarebbe solo una perdita di tempo.» la voce dello zio la riporta alla realtà, facendola trasalire «Quando saremo dentro, ci divideremo.»
«COSA?!» urlano in coro Ace e Marco, totalmente contrari a quell'idea suicida.
«Lei non è capace di combattere una battaglia del genere!» ringhia Týr, sbattendo con violenza le mani sul grande tavolo.
«Peter sarà troppo impegnato con me per poter badare anche a lei, Týr.» lo tranquillizza il maggiore, più consapevole di lui delle capacità della ragazza. Si è infatti accorto che quando sente che qualcosa di suo è minacciato, viene fuori il suo lato bestiale, quello indomabile a cui occorreranno anni e anni di allenamenti per tenerlo un minimo sotto controllo. Si è accorto, inoltre, che è davvero molto, ma molto veloce.
Fenrir si volta di scatto verso la nipote e le mette entrambe le mani sulle spalle, guardandola dritto negli occhi «Dovrai concentrarti sull'olfatto e nient'altro. Dovrai dimenticare ogni altra cosa e, quando sarà il momento, dovrai liberare la bestia. Sarai capace di farlo?»
Akemi boccheggia. Ha paura, da morire.
Continua a pensare che la vita di suo fratello, il suo adorato fratello Satch, è nelle sue mani, e che per un piccolo e banale errore potrebbe perderlo.
«Dovrò. In ballo c'è la vita di mio fratello.» mormora in risposta, abbassando timidamente lo sguardo e sgattaiolando via.
Ha bisogno di star sola, di pensare in maniera più lucida possibile. Ma più di tutto, ha bisogno del consiglio di sua madre.
«Bene, i piani sono decisi. Andate a finire i preparativi, voglio essere in mare entro un'ora


Giunti finalmente all'enorme porto semi-sotterraneo dell'isola, si stupiscono tutti quanti del gran numero di navi che vi ormeggiano. Ce ne sono di tutti i tipi e dimensioni, alcune risalenti a chissà quale epoca.
La maggior parte, quelle costruite negli anni da Fenrir e Arista, sono quelle con cui erano abituati a navigare ai loro tempi, e adesso i Comandanti pirata possono finalmente vederle in tutto il loro antico splendore.
Il drakkar è caratterizzato da una forma lunga (in media attorno ai 25 metri), stretta e slanciata, e da un pescaggio particolarmente poco profondo. Queste caratteristiche conferiscono all'imbarcazione una grande velocità e le consentono di navigare in acque di un solo metro di profondità, permettendo di avvicinarsi molto alla riva, e rendendo così gli sbarchi velocissimi. Un altro vantaggio di queste imbarcazioni deriva dalla loro simmetria: la sua particolare forma consente infatti una inversione rapidissima.
Da quello che i pirati riescono a vedere in tutto quel via vai di persone, capiscono che ci sono ben due metodi di propulsione: remi e vela.
Blenheim, incuriosito, si avvicina all'imbarcazione più vicina e saggia con mano la robustezza dei remi, domandandosi per quale ragione abbiano deciso di portarseli dietro visto che lì sopra loro non possono stare.
«Durante un combattimento, la variabilità del vento fa dei remi lo strumento di propulsione principale.» afferma con voce annoiata Silly, alle sue spalle, lasciandosi andare poi ad un sorriso sconsolato, della serie “Non stare lì a trastullarti con i remi e aiutami!”
L'uomo, seppur controvoglia, afferra una decina di lunghi e pesanti remi e si imbarca, con passo lento e sguardo indagatore, su una delle lunghe navi, ben attento a dove mette i piedi. Si rende velocemente conto che non vi è traccia di panche per i vogatori, e Silly gli spiega pazientemente che sui drakkar siedono su dei bauli contenenti i loro effetti personali, che altrimenti occuperebbero solo spazio.
Fossa e Namiur, invece, aiutano i vari immortali con la preparazione delle altre imbarcazioni, le snekke, cioè la più piccola imbarcazione classificabile come drakkar. Una snekke comune ha una lunghezza di circa 17 metri e può portare un massimo di 25 uomini.
Ma ce n'è una in particolare che attira gli sguardi dei vari Comandanti: la nave Dragone. Una nave enorme e possente rispetto alle altre, particolarmente elaborata ed elegante. La prua è modellata a forma di due teste rosse di drago, entrambe minacciose e solenni, intagliate in robusto legno coperte con lamine d'oro e con dure gemme rosse negli occhi. Questa caratteristica, nei tempi antichi, adempiva a terrorizzare i nemici dei vichinghi e gli sventurati abitanti dei villaggi costieri, e di meravigliare gli amici.
Per i due Sovrani immortali è stato necessario, durante i secoli, modernizzare la loro possente nave in caso di necessità, rendendola il sogno di qualsiasi uomo di mare.
Lunga circa 400 metri viene spinta da due enormi propulsori posti sotto il castello di poppa, che permette veloci viaggi a lunga distanza senza il bisogno di mostri marini a trainarla.
L'armamento è composto principalmente dalle Torrette dei Cannoni, ognuna con tre distinti cannoni indipendenti nel movimento verticale, dette anche Bocche da Fuoco. L'arma secondaria è rappresentata da una sorta di lanciamissili con molte feritoie, posta alla base della torre di controllo. Emette fasci energetici simili a quelli dei cannoni ma molto più concentrati e veloci. Sono presenti anche tubi lancia missili ben visibili ai lati della prua, simili ai lancia siluri dei sottomarini, tre per lato. Inoltre è fornita di un gigantesco rostro a forma di lama di coltello ricurva e affilata che, all'occorrenza, viene fatto fuoriuscire dalla prua e con il quale è possibile perforare a fondo gli scafi nemici e squarciarli.
Queste terribili armi, però, possono essere usate solo in uno scontro ravvicinato tra due navi, col rischio però di attirare davvero troppo l'attenzione, cosa che sicuramente Peter non si azzarderà a fare. Diciamo che si portano dietro anche la Dragone come ultima precauzione e, ovviamente, per i grandi spazi di cui dispone. Infatti gli ambienti interni sono in genere molto ampi, perfetti per far gironzolare in santa pace dei licantropi resi nervosi dalla Luna Piena e dall'imminente guerra.
Altro fatto che rende necessaria l'uscita del Dragone è per il suo particolare ponte di comando, posto sulla torre di controllo, con grandi vetrate dalle quali si può controllare con uno sguardo dai cannoni superiori fino alla prua e allo spazio circostante. Al suo interno si trovano tutte le varie postazioni utili al governo della nave come il controllo dei radar e degli altri sistemi di rilevamento e comunicazione.
Dopo l'assai interessante giro turistico che Silly ha concesso ai Comandanti presenti – si sa, si è disposti a tutto pur di evitare il lavoro pesante - si volta verso di loro con un sorriso malandrino in volto e i pugni ben piantati sui fianchi: «Che state aspettando, gente? Il lavoro vi chiama!»
Detto questo, la bella licantropa dalla chioma fulva si allontana con un agile balzo, atterrando con grazia in mezzo al resto del branco ormai riunito.
Ci sono tutti, dal più debole e spaventato al più temibile e sanguinario. Tutti hanno risposto al richiamo del loro Signore, tutti sono disposti a morire sul campo pur di non far morire Helheimr e tutto ciò che in essa vive. Molti giovani valorosi si sono fatti avanti, pronti a dare il loro contributo, fregandosene della morte sicura che li attende, venendo però allontanati in malo modo dai maggiori. Solo ad uno di loro è concesso di partire, ovvero il primogenito di Duncan e Dana, il giovane Ed. Il ragazzo ha infatti dato prova di essere dotato di una considerevole forza e di una sorprendente velocità, motivo per cui hanno deciso di dargli questa possibilità.
Pure Dana, che mai in vita sua ha partecipato ad uno scontro del genere, si è messa in mezzo al branco, pronta a dare la vita per la sicurezza dei suoi piccolini, momentaneamente affidati alle cure di Astrid, costretta a rimanere sull'isola, e dei pirati.
C'è una grande tensione nell'aria, che diventa addirittura palpabile e carica di elettricità nel momento esatto in cui le enormi porte d'ingresso del porto vengono finalmente aperte e la luce investe le imbarcazioni ormai pronte.
Tensione che aumenta e si carica di aspettative quando il loro Imperatore e il suo seguito fanno il loro ingresso, carichi di armi e armature di vario genere.
I due Sovrani hanno deciso di indossare le vecchie armature di un tempo, quelle con cui sono cresciuti e che li hanno accompagnati per tutta la loro vita.
Wulfric si è tenuto la corazza di vibranio, così da essere sicuro di poter proteggere più combattenti possibili e riportare il minor numero di danni. Fino a pochi istanti prima, inoltre, era immerso nel suo difficile lavoro fino ai gomiti: ha smembrato e rimodellato quasi tutte le armature, così da poter dare un briciolo di protezione a quei fragili umani che, in assenza di questa blanda protezione, perirebbero in meno di un quarto d'ora.
Freki indossa ancora i suoi consueti abiti poiché solo quando muterà potrà indossare alcune parti dell'armatura, che gli copriranno testa, collo e torace. Per quanto la cosa lo disgusti, non è riuscito a dissuadere il proprio creatore, e si trova così costretto a doversi far andar bene un simile trucchetto.
Akemi, al contrario delle aspettative generali, che la vedevano ricoperta di ogni tipo di metallo esistente da capo a piedi, indossa dei semplici pantaloni elastici neri, molto aderenti, e una giubbotto nero imbottito di vibranio. All'inizio lei, come la maggior parte di loro, doveva essere seriamente ricoperta da capo a piedi, poiché l'iperprotettiva madre non avrebbe permesso altrimenti, ma considerati gli svariati centimetri di grasso che la giovane è riuscita sorprendentemente a mettere su, si sono dovuti adattare.
Fenrir, che apre la fila, fa cenno ai presenti di cominciare ad imbarcarsi.
I grifoni, dopo il suo cenno, si avvicinano a Marco e gli porgono, come promessa solenne della loro nuova alleanza, una collana con l'artiglio di un antichissimo membro della loro stirpe, che l'uomo indossa con onore. Perché sì, Marco la Fenice è onorato di poter combattere al fianco di creature tanto forti ed intelligenti, ed è ancor più onorato che loro, senza tante storie, lo abbiano accettato come leader.
Namiur, che ha già fatto visita ai mostri marini che dovrà comandare, monta velocemente sulla nave madre assieme ai compagni, raccontando loro quando siano bizzarri e sorprendentemente mansueti, e che non hanno fatto alcuna resistenza nel farsi legare alle navi come muli da tiro.
Newgate, che dovrebbe essere da tutt'altra parte, ovvero nella Sala Grande con la Regina e con coloro che non sono in grado di reggere una battaglia del genere, gira per il porto con aria calma e pensierosa. In cuor suo, però, è terrorizzato: i suoi figli, i suoi adoratissimi figli, stanno per andare ad affrontare un nemico che sa essere più forte di loro e che dispone di un esercito che farebbe impallidire chiunque al mondo.
Vederli scherzare tra loro e con quelle creature dall'aspetto grottesco, però, riesce ad infondergli un minimo di fiducia, che però non basta per farlo desistere dai suoi piani.
Affretta così il passo e mette con sicurezza piede sulla passerella che lo condurrà sulla Dragone, ma qualcuno lo blocca prontamente afferrandolo per un polso.
Una stretta salda, calda e decisa che riconoscerebbe ad occhi chiusi.
«Dove credi di andare, Newgate?» gli ringhia contro l'Imperatore, guardandolo in cagnesco.
«State per andare in guerra... e io a riprendermi mio figlio.» risponde piccato l'anziano capitano, sorreggendo lo sguardo omicida dell'antico lupo.
«Ascoltami bene, Newgate: non sapete contro chi ci stiamo per battere, ok? Noi conosciamo i punti deboli di alcune razze, ma non abbiamo il tempo di addestrarvi. Inoltre siamo in netta minoranza!»
«Dove vuoi arrivare, Fenrir?» sbuffa annoiato il capitano pirata, liberandosi dalla sua presa con un gesto di stizza.
Fenrir, consapevole di quanto l'uomo stia soffrendo, si impone si calmarsi e abbassare il tono, piegando un poco la testa e guardandolo, adesso, con comprensione e dispiacere.
«Tu non puoi combattere. Ho letto la tua cartella clinica e non posso mandarti a morire per un mio errore.» afferma sottovoce, cosicché i suoi sottoposti non possano sentirlo. Neanche lui, se fosse nei suoi panni, vorrebbe che qualcuno sapesse che sta molto male.
«C'è mio figlio laggiù!» gli urla contro Barbabianca, perdendo solo per un istante le staffe.
Per quanto risulti strano pure per lui, non vuole essere scortese con quell'uomo e non riesce ad avercela con lui per aver tenuta segreta una simile notizia.
Fa per rimontare, dandogli le spalle, ma il maggiore lo blocca di nuovo, costringendolo a girarsi per guardarlo in faccia.
«Voglio che tu e i tuoi uomini rimaniate su quest'isola, al sicuro.» afferma deciso, pur essendo consapevole che la sua è una richiesta assolutamente folle. Prima che il vecchio capitano possa controbattere, però, aggiunge subito le parole più dolorose della sua vita «Peter è mio figlio, Newgate... e so solo di cosa era capace. Mi fido ciecamente dei miei uomini, e anche di quei folli dei tuoi Comandanti che hanno deciso spontaneamente di seguirmi in questa missione suicida, quindi posso assicurarti che combatteremo al meglio delle nostre possibilità. Adesso, però, ti devo chiedere di rimanere qui e... di proteggere la mia famiglia come io non sono stato capace di fare con la tua. Ti chiedo umilmente di restare e di proteggerli quando il nostro muro cederà.»
L'ultima frase impietrisce completamente il grande pirata.
Quando il nostro muro cederà.”. Quando, non se. E questo gli fa male. E gli fa ancora più male quello sguardo supplichevole di un uomo che ha tutto da perdere, che sta andando a morire pur di poter dare un futuro ai propri innocenti figli.
Ed è proprio per questo che allunga una mano verso di lui, guardandolo con fierezza e umiltà.
«Considero un onore essere ritenuto tanto importante da un uomo del tuo calibro, Fenrir.»
Il licantropo stringe a propria volta quell'enorme mano e sorride grato a quel pirata a cui deve ogni cosa.
«E io considero un onore che tu, Edward Newgate, rimanga sulla mia isola a proteggere la mia famiglia.»
Ed è con queste parole e un sorriso tirato sulle labbra che i due potenti uomini si separano: l'Imperatore pirata va a mettersi in mezzo alla folla che è venuta ad assistere alla partenza di quei coraggiosi guerrieri che adesso li guardano dall'alto, e Fenrir osserva con dolore le figure spaventate dei figli, sgattaiolati fuori da La Solitaria per poterlo salutare, diventare sempre più lontani e piccoli.
Volta lo sguardo verso l'orizzonte, con il Sole che pigramente si sveglia e fa capolino.
Dietro di lui tutti urlano ordini a destra e a sinistra, si agitano e si prendono a parole per niente, ma a lui non importa: l'unica pensiero che invade la sua mente, sono i dolci occhioni dei suoi adoratissimi figli ricolmi di paura e lacrime.


Niente è più mostruosamente affascinante del mare in tempesta: così irruento, travolgente, rabbioso.
Gli schizzi d’acqua colorano le onde di un grigio sporco e di un azzurro ostentato.
Il rumore spaventa: è violento, ripetitivo, irregolare. Entra nelle orecchie e martella la mente, ma la vista placa tutto, perché osservando puoi goderti lo spettacolo.
E ciò che all’inizio sembrava rumore si trasforma in melodia, che sottolinea il flusso impetuoso della natura.
Tutto quel mare furioso, con le alte onde a sfidarti, i lampi e i tuoni a minacciarti. Tutto ti emoziona, ti eccita e ti senti esplodere dentro e precipiti nel caos, nella baraonda delle sensazioni e nella babilonia delle emozioni: affetto, eros, meraviglia, trasporto, ostilità, avversione, distacco, orrore.
E il cuore intanto pompa sangue caldo, linfa vitale, e le vene si riempiono e si gonfiano violacee sulla pelle come un bassorilievo.
Quando riesci a controllare la paura e ti senti onnipotente, osservi attentamente la natura e non ti senti sopraffatto dall’impeto ma sorridi e ammiri.
Ti senti spossato, stanco ma tiri un sospiro di sollievo e vivi.
Ed è così che si sentono tutti i coraggiosi guerrieri che si sono frettolosamente imbarcati per annientare la minaccia del secolo, per distruggere il Flagello.
I due antichi fratelli immortali fissano l'orizzonte con sguardo severo, immobili. Assaporano in silenzio ogni secondo che scorre, aspettando e scrutando.
Alle loro spalle, l'equipaggio sbraita ordini e affila le lame. Sentono l'adrenalina scorrere nelle vene, il cuore pulsare nelle tempie e battere nel loro petti violentemente.
I Comandanti pirata osservano quei mostri mentre si radunano in gruppi: alcuni parlano e basta, altri litigano per motivi a loro incomprensibili. Hanno pure scoperto che i vichinghi a bordo dei drakkar si dedicavano a diverse attività: il passatempo più popolare era la narrazione di storie e leggende, ma giocavano anche a scacchi, suonavano allegre melodie. Questi, se non altro, aiutano un poco a risollevare il morale.
Quelli più nervosi a causa dell'imminente plenilunio aiutano i vampiri ad indossare pezzi di brillanti armature, aiutandosi con dei guanti di protezione.
Prima è toccato pure ad uno di loro: Izo è stato infatti afferrato senza tante cerimonie e sbattuto contro la prima parete disponibile in modo da fargli indossare l'armatura di protezione sul petto.
Il Sedicesimo Comandante, tutt'altro che lieto di essere stato afferrato e conciato in quel modo, se ne sta sottocoperta con un broncio che tocca fino a terra.
In suo aiuto arriva la giovane e temeraria compagna, che gli poggia delicatamente le mani sulle spalle e gli deposita un lieve bacio sulla nuca.
Izo le sfiora la mano, delicato e leggero, senza però voltarsi a guardarla. Non vuole vedere il suo viso ancor più sconvolto, non vuole vederlo provato dagli eventi. Vuole ricordarlo sorridente e allegro come sempre, deciso e fiero, rilassato e con le gote arrossate dopo i loro frequenti amplessi.
«Izo...» lo richiama debolmente Halta, passandogli una mano tra i capelli sorprendentemente scompigliati «Andrà tutto bene, credimi.»
A Izo non serve il super-udito di Akemi per sentire il suo cuore che mente. Gli basta sentire il suono della sua voce, così incrinata e debole, per capire che ha paura quanto lui. Ed è proprio per questo che si volta e le sorride, sfiorandole la guancia. Lo stesso movimento delicato e lo stesso dolce sorriso di quando, qualche giorno prima hanno dovuto affrontare un falso allarme che li ha mandati nel panico più assoluto.
«Non potrei sopportare di perderti.» ammette il Comandante, sentendosi terribilmente in imbarazzo.
Si alza lentamente, sistemandosi quel pezzo di metallo sul torace.
«Ti dona molto...» ammette con un filo di voce la ragazza, sfiorando con la punta delle dita le vari rifiniture dorate.
Nel frattempo Izo la guarda negli occhi, avvicina lentamente le loro labbra fino a toccarle, per poi ritrarvi un attimo e rincontrale ancora, e così via per alcuni secondi, in una sequenza di baci casti e ravvicinati a preludio del bacio che seguirà. L'abbraccia lentamente ma con fermezza, il braccio destro cingere la sua vita, mentre la mano sinistra va infilarsi lentamente tra i suoi capelli all'altezza della nuca.
Ne ha parlato con alcuni suoi compagni, poco prima, e non vuole di certo perdersi quelli che potrebbero essere gli ultimi momenti intimi insieme a lei.
«Dimmi che andrà tutto bene...» mormora la Comandante, perdendosi negli occhi di onice del compagno.
Izo le sorride dolcemente, stringe con delicatezza le sue spalle e aspetta che la paura che l'angoscia svanisca.
Ma questo loro idilliaco momento, in cui non esiste altro che loro, vine infranto dall'arrivo di un più che agitato Curiel.
«Abbiamo bisogno di voi sul ponte!» ordina perentorio, trascinando la giovane coppia con sé.
Quando poi i Comandanti arrivano sull'imponente ponte di controllo, si rendono finalmente conto di cosa li abbia tanto turbati: navi nemiche che procedono a grandi velocità verso di loro, armati fino ai denti.
I vari immortali si precipitano per occupare le posizione migliore, i pirati osservano con una certa angoscia nel cuore ad assillarli le navi nemiche avanzare senza paura contro di loro.
Sentono delle urla, sia amiche che nemiche, e la situazione pare degenerare in un attimo.
Non hanno idea di come precedere, se devono dare sfoggio dei loro strabilianti poteri o meno, ma basta un gesto secco dell'Imperatore perché tutti si fermino.
Ordina nella sua strana lingua qualche ordine che i mortali non riescono a capire, ma gli basta guardare le altre navi disporsi in circolo per comprendere – a grandi linee, ovviamente - cosa si siano detti. Ciò che non riescono lo stesso a capire è il perché.
Vista lo raggiunge velocemente e lo afferra per un braccio, costringendolo a voltarsi.
«Perché hai ordinato ai tuoi di disporre le navi in circolo?» gli domanda realmente incuriosito, quasi rabbioso.
«Le navi dei Dragoni sono solide a prua, ma sono deboli nel mezzo.» spiega con tono calmo, quasi rilassato «Le attaccheremo là.» conclude subito dopo, nascondendo l'essere sorpreso dal non vederli cambiare tattica. In fondo è risaputo che il loro primo attacco funziona così, per verificare la portata dell'avversario.
Poi tutto rimane assolutamente immobile: pirati e immortali l'uno di fianco all'altra senza paura, pronti a scatenarsi per un fine comune. Rimangono fermi, ad aspettare un ordine che ancora non arriva, con l'incessante tempesta che fa da sottofondo. Secondo gli antichi vichinghi, il venerato Thor sta festeggiando la loro impresa eroica.
Fenrir, in cima alla polena, osserva lo spettacolo che si erge davanti a sé: duecento navi dell'Ordine del Dragone mandate per annientarlo.
Ohhh, Peter... contano davvero così poco per te?
Rimane fermo, ad aspettare.
Riesce a vedere il Primo Comandante delle loro flotte sulla prua per constatare la situazione, e vede anche lo stupore e la paura nei suoi occhi. Per un breve istante prova pietà per lui, per la sua debolezza, ma poi si ricorda degli occhi lucidi pieni di paura dei suoi figli, e l'odio che nutre nei loro confronti aumenta a dismisura.
Quando la distanza è giusta, urla a pieni polmoni «ADESSO!!!» e le navi velocemente si allontanano, aprendo un varco per far passare avanti quelle corazzate.
Affiancano i nemici e le loro grandi navi, portandoli ai margini per poter colpire meglio.
Il Dragone e la sua ciurma rimangono indietro come ordinato, ad attendere.
Qualcuno grida “ALL'ATTACCO!!!” e i feroci guerrieri alzano gli scudi ed impugnano le lance.
Gli avversari scoccano frecce d'argento per abbatterli, riuscendo talvolta a colpirli in punti vitali.
Anche i nostri, però, riescono ad andare a segno con le lance, trapassandoli da parte a parte, talvolta più corpi contemporaneamente, uccidendoli in massa.
Poi con un tacito accordo, due navi si dirigono perpendicolarmente alla nave madre avversaria.
I Dragoni non possono fare niente, se non maledirsi per aver deciso di seguire quel folle.
L'impatto è violento, brutale, e la nave nemica si spezza, donando agli abissi i corpi dei Dragoni boriosi.
Altre navi ripetono lo stesso procedimento, affondandone in gran numero.
Urla agghiaccianti come di terrore si levano in aria, non riuscendo però a scalfire il cuore dell'antico Sovrano.
Sotto di loro, il mare si tinge di rosso.
Killian gli si avvicina velocemente, pronto a riportare le notizie più importanti al suo Signore.
«Resoconto dei danni.» ordina questo con tono duro e piatto, tenendo sempre lo sguardo ben fisso davanti a sé. Se li ha mandati così velocemente e così in massa, significa semplicemente che l'isola è ormai molto vicina e voleva limitare i danni, se mai questo fosse stato possibile.
«Distrutte centosettantuno navi nemiche e sette alleate.» riferisce sbrigativo il mannaro, gioendo interiormente.
«Come inizio è accettabile, non trovi?» gli domanda Týr, sempre al suo fianco.
«Può andare.» ammette controvoglia, passandosi una mano tra i capelli, in modo da liberarsi dalla frangia ormai madida di pioggia «Ora andate ad indossare le vostre armature.»
«Come facciamo?» domanda realmente confuso Killian, che proprio non saprebbe dove metter mano. Finché devono aiutare gli umani o i vampiri è un lavoro semplice, ma se devi corazzare degli enormi lupi che a stento riescono a tenere piccoli oggetti per le mani, la situazione diventa un tantino più complicata.
«Ci pensiamo noi.» afferma duro Týr, dando una lieve pacca sulla spalla al fratello «Fai radunare tutti gli altri, c'è poco tempo.» ordina subito dopo a Killian, facendolo scattare come una molla.
Dopo quell'ordine, dato in fretta e furia da Killian, tutti i mannari sembrano essere caduti nel panico. Nessuno sa dove deve andare, a chi deve rivolgersi, quali siano i propri pezzi e soprattutto come montarli.
Uno dei Comandanti, inspiegabilmente più agitato di tutti gli altri, continua a scrutare tra la folla con uno sguardo maniacale.
Manca poco tempo, lo sa, e lui non è proprio il tipo che va a morire pieno di rimpianti. In realtà, poi, i rimpianti sono solo due: non poter vedere suo fratello diventare il Re dei Pirati e l'altro sarebbe facilmente risolvibile, se solo trovasse quella dannata lupa.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, eccola lì, intenta a sbraitare contro i compagni perché le manca l'elmo.
Ace si blocca per un istante, sorridendo davanti alla sua determinazione, al fuoco che la anima, e poi, senza rendersene conto, le marcia contro, arrivando a pochi metri da lei.
Silly neanche lo calcola, troppo presa dai preparativi, e nemmeno sente la sua voce richiamarla in mezzo a quel caos. Quando però sta per sparire con i compagni sottocoperta per indossare l'armatura, sente chiaramente qualcuno strattonarla all'indietro per un braccio.
Non fa un tempo a sottrarsi o snudare le zanne, perché le labbra di Ace sono sulle sue, impetuose, calde, animate da una passione bruciante.
Contro ogni logica, poi, la lupa porta le sue sottili braccia attorno al collo muscoloso del ragazzo per sentirlo più vicino, affondando le dita sottili tra i suoi capelli corvini.
Ricambia quel bacio per pochi secondi, trasmettendogli forza e passione, per poi staccarsi. Rimane a pochi centimetri da lui, guardandolo con una taciturna richiesta negli occhi prima di andarsene.
Akemi gli si avvicina cautamente, con un sorrisetto ad incresparle gli angoli della bocca.
Ace lo nota immediatamente e semplicemente fa spallucce. «Sicuramente moriremo entro sera, dovevo togliermi lo sfizio!» si giustifica così, facendola ridere forte «Ora muovi il culo e vai a prepararti, forza!»
La guarda correre via per aiutare i compagni, e il suo cuore comincia a battere piano, ma allo stesso tempo forte.
Un tuono squarcia il cielo plumbeo, facendogli alzare gli occhi.
Sta accadendo tutto così velocemente...
Un lampo quasi lo acceca, conducendo poi il suo sguardo sulla piccola chiazza nera che si staglia all'orizzonte: Inngangen til Helvete.
Sospira forte, calcandosi il cappello da cowboy sulla testa, sorridendo tetro.
La morte ci attende.

 

Inngangen til Helvete ha un fascino sinistro e lugubre: l'erba smeraldina che un tempo ricopriva il terreno ora è arida, secca, rada e marroncina; il fiume che sfociava nel mare si è seccato, gli alberi spezzati.
Quando ancora era un'isola florida c'era un vasto villaggio di pescatori, adesso ridotto in un ammasso di capanne in rovina, in una vera e propria città fantasma.
Vedono in lontananza l’antico castello fatiscente, totalmente in balia delle condizioni atmosferiche da secoli. Guardandolo Fenrir comprende subito che dovrà trovare un modo, uno qualsiasi, per trascinare Peter lontano da lì, in modo tale da evitare che il tutto crolli sopra ad Akemi e il povero pirata. Non che si aspetti di trovarlo veramente vivo, ma vuole comunque sperarci.
Marco, in volo, circondato da quelli che si sono dimostrati degli assai fedeli grifoni, perlustra la zona a debita distanza, concentrandosi con tutto sé stesso per riuscire ad individuare i cecchini appostati ed eliminarli immediatamente. Sa bene che la maggior parte degli immortali alleati sono perfettamente in grado di schivare i colpi e che i suoi fratelli sono stati equipaggiati con pezzi di armature pressoché indistruttibili, ma in guerra nessuno può prendersi il lusso di prendere le cose alla leggera.
Dall'alto della sua posizione, può vedere chiaramente orde di creature che mai avrebbe pensato di poter vedere. Solo di alcune conosce il nome, quelle che ha visto ad Helheimr; per quanto riguarda le altre, può solo sperare che non siano letali come sembrano.
Di tanto in tanto allunga lo sguardo verso i compagni che stanno sbarcando velocemente: le ninfe, le banshee e i mostri marini, capitanati da Namiur, circondano le imbarcazioni, pronti a tutto pur di evitare che vengano danneggiate; due grosse imbarcazioni cariche di non-morti vengono nascoste dietro l'altura dalla quale hanno intenzione di attaccare; i pirati e gli immortali, armati fino ai denti, scendono veloci, pronti alla guerra.
Potrebbe funzionare, pensa sogghignando, mentre una lieve speranza si fa largo nel suo cuore.
Certo, il numero dei nemici è assai maggiore del loro, ma non sarà certo questo dettaglio a spegnere l'ardore che anima quei mostri, che li spinge a battersi per uno di loro.
Con la coda dell'occhio, neanche l'avesse fatto a posta, nota la chioma selvaggia di Akemi ondeggiare nel vento e la sua pelle candida risplendere sotto la luce del sole.
Vorrebbe essergli vicino in quel momento, prenderle una mano e guardarla nei suoi occhi gelidi e pieni di paura e dirle che andrà bene, che crede in lei e che ce la farà, ma sa che non è il momento di perdersi nei sentimentalismi.
Ha un plotone di grifoni incazzati neri a cui badare, che bramano solo la guerra e la morte dei loro avversari.
Per dirle tante smancerie avranno tempo dopo la battaglia. O, almeno, questo è quello che spera.


Peter Bàthory Lothbrook li guarda dall’alto della sua postazione, da una torretta ormai semidistrutta che continua a resistere con ferocia alle intemperie.
Li guarda e sorride, lieto di vedere che il suo banale trucchetto ha funzionato.
In realtà era convinto che avrebbe trovato diversi impicci sul suo cammino, ma invece tutto è filato liscio come l'olio: ha inciso la runa con il proprio sangue Lothbrook su una piccola imbarcazione e ha mandato le sue puttane alleate ha prendere il pirata e torturare la piccola e dolce vampira dal viso da bambola.
Oddio, come si chiamava?, si domanda sfiorandosi il mento con la punta delle dita, osservando i nemici affaticarsi mentre sbarcano.
Alcuni dei suoi sottoposti avevano proposto di attaccarli immediatamente, di distruggerli non appena li avessero avvitati, ma Peter è stato categorico: vuole la guerra, quella vera, dove le carcasse si ammassano, l'odore della polvere da sparo, della pelle carbonizzata e della morte. Vuole il caos assoluto!
Lui ha combattuto molte guerre nella sua lunga vita e ogni volta si è divertito un mondo.
«Vi dovrei parlare, mio Signore...» una delle sue ancelle gli cinge i fianchi con le esili braccia, poggiando la guancia sulla sua spalla e osservando distrattamente ciò che avviene non molto distante da loro.
«Non penso che sia necessario.» risponde pacato Peter, scrollandosela di dosso in malo modo. Non c'è tempo per il sesso o per qualsiasi sentimento. Adesso c'è solo il tempo di uccidere e dilaniare, squarciare gole e amputare arti. Solo questo conta.
«Si tratta di Týrion...» pigola la giovane mannara, provando ad andargli dietro.
Per un breve istante ripensa a quel povero, piccolo Dragone che si è preso. Prova una certa pena nei suoi confronti, rinchiuso in quella cella di contenimento da lui stesso ideata.
Si domanda se ci sono dei miglioramenti, se il suo organismo continua a rispondere positivamente al virus che gli ha iniettato, se le direttive che gli ha dato nella lettera sono chiare e, soprattutto, se le eseguirà.
Le donne che sono con lui, ne è sicuro, faranno tutto ciò che è in loro potere per deviare la sua fragile mente e convincerlo a battersi per la sua causa, un domani.
«Non voglio sapere niente.» risponde secco, voltandosi appena un secondo verso di lei e fulminandola con i suoi occhi che ardono come carboni scarlatti «Prendi una barca e allontanati da qui. Seguilo nel suo sviluppo e poi sparite. Mi rifarò vivo io.» ordina subito dopo, rigirandosi fulmineo e dirigendosi verso il grande letto a baldacchino dove ha riposato per tutti quei giorni.
«Ma Signore...» pigola la donna, torturandosi le mani per il nervoso. Sa bene che una parola di troppo con lui può essere l'ultima «Il pirata che abbiamo preso... sta...»
«Che crepi, non m'importa niente.» risponde secco, prendendo con entrambe le mani la magnifica arma che suo padre forgiò a posta per lui: la Mannaia Decapitatrice, un'arma che nonostante il suo enorme peso è in grado di maneggiare perfettamente. Questa spada ha un potere speciale, ovvero quello di rigenerarsi assorbendo il ferro dal sangue delle vittime falcidiate, motivo per cui non ha neanche un graffio.
Se la issa in spalla con fare disinvolto, quasi annoiato, e torna a fissare alla finestra la calcagna di gente che si ammassa e prende posizione.
Poveri idioti..., pensa, sghignazzando. Potrete combattere per interi decenni, ma sarà tutta fatica sprecata per voi. C'è solo un modo per porre fine a queste ostilità, miei preziosi guerrieri: tagliare la testa al serpente!




*Per evitare altri malintesi, spiego anche questo (Perché non ricordo di averlo fatto in precedenza): i vampiri piangono sangue, i licantropi no. Fatto!

Angolo dell'autrice:
Beh, malgrado l'esame di Venerdì – poi rimandato a Martedì... DI*****!!! - , sono stata veloce nell'aggiornare, no? :3
Piccolo chiarimento: sì, la spada di Peter è la stessa di Zabuza Momochi (Naruto), personaggio che ho sempre profondamente adorato *w*
Cooomunque! Che ve ne pare? Sono veloci i nostri immortali a pianificare tattiche di battaglia e mettersi in moto! In 24h sono arrivati a destinazione e sono già pronti allo scontro!
Dal prossimo capitolo botte a non finire, mutilazioni, sacrifici, sangue!... dite la verità, non aspettavate altro, eh? :P Beh, in tal caso, spero con tutto il cuore di non deludervi! Non ho mai scritto una scena di guerra come quella che ho in mente, quindi non sarà una cosa semplice per me!
Beh, detto questo, ringrazio di cuore Chie_Haruka, Okami D Anima, Aliaaara, Monkey_D_Alyce, KURAMA DI SAGITTER, ankoku e Yellow Canadair per le magnifiche recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo. Siete dei tesori!
E ringrazio anche tutti coloro che la seguono silenziosamente o che magari, anche solo una volta, hanno lasciato un loro pensiero. Siete davvero gentilissimi, grazie!

Un bacione
Kiki

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Capitolo 43
*** 43. La sottile linea rossa ***


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La grande alleanza cammina come se il ritmo della loro andatura sia scandito da una musica che solo loro possono udire e si avvicinano all'insenatura del promontorio con passi uguali, percorrendo uguali distanze, anche se alcuni salgono un'erta sassosa, altri marciano su un sentiero pianeggiante e altri ancora avanzano sul letto sabbioso del fiume disseccato.
Si trovano ai piedi di quell'angusta insenatura nello stesso istante, tutti ben in linea, nel momento in cui l'alba veste di una luce di perla l'immenso territorio deserto dell'altopiano.
I Comandanti di Barbabianca, trattenuti nelle retrovie, osservano silenziosi i loro movimenti: li guardano con attenzione mentre lasciano passare davanti quella che è stata definita la Punta, composta dai Windigo, seguita poi dai vampiri e dai licantropi; infine, tutti li seguono, mettendosi spalla a spalla, scudo contro scudo.
Marco, dall'alto, vede scintillare nella pianura le punte delle sarisse dell'esercito nemico, come ariste in un campo di grano. Ancora non riesce a capacitarsi di come Peter sia riuscito a portarli tutti dalla propria parte in così poco tempo, ma sa che non è il momento per lambiccarsi il cervello, così dà ordine ai grifoni di tornare indietro e prendere posizione in cima al muro di roccia che la natura ha creato nel tempo, così da poter osservare e udire ciò che si dicono gli alleati.
Li guarda con attenzione mentre prendono posizione, fieri e determinati, ascoltando distrattamente i grifoni che, seppur con uno strano accento e termini molto semplici, si spiegano dove hanno avvistato la maggior parte dei cecchini.
Alzando gli occhi, la Fenice può osservare il notevole campo di battaglia - una pianura di poco meno di due chilometri di lunghezza e meno di uno di larghezza – e le numerosissime truppe: al centro e sulla sinistra sono schierati prima i Dragoni, molti dei quali a cavallo di enormi licantropi, e pochi vampiri, riconoscibili, come gli è stato detto da Wulfric, dagli elmi con le frange blu. I loro scudi lampeggiano riflettendo la luce del Sole che si alza nel cielo percorso da grandi nubi bianche.
Sarà un vero massacro, pensa, riabbassando lo sguardo sulle truppe.
In cima, al comando del Windigo Argo, vede finalmente la famosa falange, schierata su due file, che forma un muro di lance smisurate. All'interno, l'intera forza della “fanteria” degli immortali che terminava con i suoi compagni, tutti più o meno corazzati.
Fenrir, dal basso della sua posizione, osserva per un breve istante la Fenice appollaiata assieme ai suoi sottoposti e spera con tutto il cuore che riescano nell'impresa affidatagli. Se fallissero, pure la sua avanzata con Akemi risulterebbe molto più difficoltosa.
Dopo questa breve riflessione, durante la quale gli si è aggrovigliato insopportabilmente lo stomaco, volge lo sguardo sul fratello, intento a bisticciare allegramente con la figlia. Wulfric, accanto a loro, non ci pensa neanche a separarli, troppo divertito dalle frecciatine dell'amico.
L'Imperatore, consapevole della mancanza di tempo a loro disposizione, afferra saldamente il fratello per una spalla e se lo rigira tra le mani come se fosse un pupazzo, fissando intensamente lo sguardo nel suo.
«Ricordati ciò che abbiamo pianificato, fratello» afferma duramente «Impegnateli più tempo possibile, così che noi possiamo correre al palazzo. Poi comincerete ad avanzare e toglierete di mezzo gli eventuali superstiti e quelli che erano rimasti nell'ombra. Dovrete aprire un valico a Lilith quando sarà il momento.»
«Sei ripetitivo, mio Signore» lo sfotte Wulfric, tutt'altro che spaventato, avanzando lentamente «Ricordatevi che l'esito della battaglia sarà dettato soprattutto da ciò che avverrà a breve!» urla senza neanche voltarsi, facendo sogghignare i due fratelli.
«Lo sappiamo benissimo, idiota: la falange è l'incudine e la fanteria è il martello!*»
Prima che l'antico vampiro abbia la possibilità di andare a sistemarsi in mezzo ai pirati, Fenrir lo blocca e lo serra al petto e, per un attimo, si rivide ritto nella stanza che condivideva tutta la sua famiglia immersa nella penombra mentre stringeva a sé un bambino appena nato.
«Stai attento, fratello mio. In battaglia i colpi arrivano da tutte le parti.»
«Ci starò attento...» borbotta in risposta il vampiro, alzando gli occhi al cielo. Come se io non fossi mai stato in battaglia!, pensa prima di sparire tra la folla e indossare il proprio elmo.
La Punta è immobile e silenziosa, i licantropi sbuffano e agitano la testa, stufi dell'attesa.
Freki, ansioso di affondare le zanne nelle gole nemiche, si volta indietro a osservare i suoi compagni d'armi e vede volti grondanti di sudore sotto le visiere degli elmi, occhi che fissano immobili i bagliori delle armi nemiche, membra contratte nella spasmodica attesa dell'attacco. È il momento in cui ognuno di loro guarda da vicino la morte, il momento in cui il desiderio di vivere è più forte di qualunque cosa. È l'ora di liberarli dalla morsa dell'angoscia e di gettarli all'assalto.
Týr, con i piedi ben puntati a terra, lascia vagare a sua volta lo sguardo sui compagni e si sofferma per qualche istante di più sui pirati che gli stanno vicino: sono tesi come corde di violino, i volti imperlati di sudore. Una parte di lui vorrebbe dire loro che andrà tutto bene, che ne usciranno indenni, ma sa bene quanto loro che sarebbe una bugia enorme. Tanto vale, quindi, provare a fomentarli un poco.
«Ricordate questo giorno, pirati... perché questo giorno è vostro e lo sarà per sempre.»
I vari Comandanti osservano determinati e cupi in volto il Re vampiro, il cui sguardo fa salire loro un brivido lungo la spina dorsale. Che fosse pazzo lo sapevano perfettamente, ma non gli avevano mai visto una tale espressione da esaltato furioso.
I Windigo appostati in cima, con gli enormi scudi già abbassati per difendersi, fissano con astio crescente le truppe rivali ammassate a debita distanza davanti a loro. Sono tanti, troppi, sicuramente il loro numero è addirittura salito in quel breve giorno di attesa, ma la cosa non li spaventa: sono arrivati fin qui per vincere e, per Dio!, vinceranno, costi quel che costi!
Uno dei Generali avversari, un imponente Dragone a cavallo di un lupo mannaro, si porta in cima al resto dell'esercito, puntando l'enorme e lunga spada d'acciaio ricoperto d'argento contro i nemici.
«Deponete le armi e inchinatevi di fronte al grande Imperatore Peter!» urla determinato, non rendendosi neanche conto di quanto si stia rendendo ridicolo. Lui e tutte le sue truppe, che si sono inchinate di fronte ad un soggetto chiaramente inadatto a regnare e contro la quale hanno sempre combattuto loro stessi.
«Si è già proclamato Imperatore?» i versi strozzati di Geri arrivano nitidamente sia alle orecchie del fratello, sempre al suo fianco, sia a quelle dei vari immortali che lo circondano, scatenandone le risate.
«Avventato.» gli risponde ringhiando sommessamente Freki, che freme dalla voglia di poter stringere le fauci attorno al collo nerboruto di quel lupo così misero da farsi cavalcare da un Dragone.
Il Generale, fiero sulla sua cavalcatura, guarda con profondo sdegno quei mostri così determinati a combattere, provando stupidamente pietà nei loro confronti. Se sapesse quanto lo stanno deridendo per la sua sceneggiata, li odierebbe e basta.
Certo, qualche immortale alle sue spalle avrebbe anche la mezza intenzione di dirglielo, ma non fa in tempo: una lunga picca, lanciata ad enorme velocità, si pianta con precisione nel suo cranio, sbalzandolo violentemente all'indietro ed inchiodando il suo cadavere al suolo.
Le varie truppe guardano con orrore ciò che è riuscita a fare una vampira di basso rango come Mimì, furiosa come mai era stata in vita sua.
A poco sono servite le suppliche del fratello per farla rimanere a casa per riprendersi dall'attacco subito: la sua rabbia è cieca, la sua sete di sangue smisurata, e niente al mondo avrebbe potuto convincerla a rimanere con le mani in mano, neanche le profonde ferite che segnano la sua pelle candida.
L'esercito urla con rabbia di consegnare le armi e arrendersi, come ultimo, inutile avvertimento.
«Venite a prenderle!» urla per schernirli Kakashi, alzando la propria spada per aria, venendo imitato da tutte le teste calde come lui che, ovviamente, non possono resistere ad una tale provocazione.
Tutto poi cambia in un secondo: i nemici si lanciano alla carica, decisi a travolgergli e fargli abbassare le corazze, e i Windigo stringono immediatamente gli scudi con più forza, nascondendosi maggiormente.
«FERMI!» urla Argo, lanciando una veloce occhiata ai compagni riparati dietro al suo corpo. Tengono tutti gli scudi stretti e le lance pronte, e la cosa lo riempie di orgoglio: non pensava che un giorno avrebbe avuto l'onore di combattere al fianco di creature come Killian il Titano o Wulfric il Mietitore.
«Non cedete loro niente!» urla con rabbia Arista, alzando la propria ascia «Ma prendete da loro tutto
L'orda nemica si abbatte sopra ai Windigo e i Dragoni più veloci, coloro che avevano già deciso di sacrificarsi per una “giusta causa”, si infilzano sulle lance, riuscendo talvolta a spezzarle o dando comunque il tempo ai compagni di farlo per aprirsi un varco.
Quando riescono ad impattare contro gli scudi, spinti con forza dai compagni che seguono, riescono a trascinarli all'indietro di almeno un metro e mezzo, senza però riuscire a farli cadere. Per quanto l'urto sia stato potente, non sarà mai sufficiente per tirarli giù.
«TENERE!» urla ancora Argo, nascondendosi il più possibile dietro allo scudo e lanciando una fugace occhiata ai vampiri dietro di lui che con forza lo sostengono per non farlo indietreggiare.
«SPINGERE!»
Kakashi, incrociando gli sguardi rabbiosi di un paio di rivali, non riesce a trattenersi dallo sfidarli ancora di più, dal toccare la loro rabbia con le proprie frecciatine «Non sapete fare di più?!»
Le spinte sono sempre più forti, il terreno polveroso offre poco attrito e non riesce ad evitare che i nemici guadagnino terreno. Ma l'alleanza non demorde: continuano a stringere i denti e a tenere duro, ad impedire che riescano a far breccia nella corazza di scudi.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, il capo dei Windigo dà l'ordine tanto atteso.
«ORA!» la sua voce è come un tuono che squarcia l'aria e tutti gli alleati si bloccano sul posto, imprimendo ancora più forza per resistere. I nemici non sanno cosa hanno in mente, erano preparati a tutt'altra strategia d'attacco, e quando di colpo i primi scudi si alzano e i Windigo si spostano quel tanto che basta per far scattare i vampiri alle loro spalle, non possono far altro che essere trafitti da lance e spade d'argento e cadere a terra senza vita.
L'alleanza comincia ad avanzare, spingendo con violenza il nemico e trafiggendo tutti coloro che, per loro sfortuna, si trovano proprio in prima e seconda linea.
Dalle retrovie i Comandanti di Barbabianca hanno modo di vedere solo in parte ciò che accade, e lentamente avanzano fino al punto in cui si ritrovano a calpestare decine su decine di corpi insanguinati.
«Infliggete il colpo di grazia a tutti quelli che continuano a muoversi.» ordina con tono duro Týr, lanciando poi una veloce occhiata al fratello e alla figlia in fondo alla fila. La guardia è alta e, a giudicare dall'espressione dell'Imperatore, la rabbia è disumana.
Lilith non corre nessun pericolo, si ripete per l'ennesima volta, sorridendole debolmente e rigirandosi per fracassare il cranio di un Dragone agonizzante ai suoi piedi. Fenrir la proteggerà, andrà tutto per il meglio.
Non ci vogliono che pochi minuti, poi, per riuscire a raggiungere la cima, e i Comandanti si ritrovano di fronte ad uno spettacolo a cui mai avrebbero pensato di poter assistere: tutte le peggiori creature uscite dagli incubi più atroci si stanno dando battaglia, senza esclusione di colpi.
La zuffa si accende ad ogni secondo sempre di più, diventando sempre più violenta e quasi primitiva.
Molti soldati di entrambi gli schieramenti cadono. Da una parte e dall'altra si cerca solo il varco per trafiggere e ferire, per sfoltire con le lame la massa nemica. Gli scudi dei fanti in prima linea sono già coperti di sangue, che gronda copioso sul terreno già scivoloso e ingombro di corpi agonizzanti.
Gli uomini di Barbabianca si lanciano all’assalto, gridando e correndo con il desiderio di vendetta nel cuore, riempiendo velocemente lo spiazzo che c'era tra loro e quei maledetti mostri. Il clangore dell'impatto esplode come un tuono in tutta la valle, spinto in alto dal grido di mille e più guerrieri travolti dalla furia della mischia.
È un impatto molto più violento del precedente, e bastano pochi secondi che la dura realtà si materializzi nelle loro menti, trafiggendo i loro cuori: non sono avversari qualsiasi, sono avvantaggiati e molto più forti.
Ma poi ripensano al sorriso di Satch, alle lacrime di Mimì e alla sua disperazione; rivedono il dolore negli occhi del babbo, l'angoscia nei volti di quei piccoli gemelli pestiferi mentre partivano; rivedono i volti di tutti loro, di quei mostri dall'animo altruista che stanno rischiando la propria vita per un loro compagno, e tutte le loro paure spariscono.
Alzano le armi lanciando un potente grido di guerra e corrono urlando come un'orda di belve, cacciando dal petto ogni paura, ansiosi solo di gettarsi nella mischia, nel furore del combattimento, dimenticando tutto, anche se stessi.
C'è chi spara, riuscendo a colpire Dragoni e vampiri con una precisione ineguagliabile, chi invece sfoggia i poteri del proprio Frutto del Diavolo, come Jaws, ora in grado di afferrare alcuni licantropi a mani nude e dare il tempo a Silly di sventrarli, o Ace, che spara piccole sfere di fuoco contro qualsiasi avversario gli capiti sotto tiro. Alle sue spalle, come se fosse la sua ombra, Freya non perde neanche un suo movimento e lo copre, decisa a proteggere il figlio dell'uomo che amava.
Týr, riconoscibile dal drago rosso a due teste sullo scudo, ha combattuto in prima linea con una foga inarrestabile, colpendo di spada e di scudo, fiancheggiato dai fidati compagni, Arista e Wulfric, fino al momento in cui non ha dovuto ripiegare per andare a liberare gli zombie. Lo stesso ha fatto anche il Mietitore, correndo il più velocemente possibile dalla parte opposta.
Adesso gli innumerevoli non-morti si aggirano lentamente per il perimetro e aggrediscono qualsiasi essere umano capiti loro vicino. Verranno uccisi tutti quanti alla fine, ma per loro fortuna neanche si renderanno conto di essere stati eliminati definitivamente.
Marco, assieme ai vari grifoni, sta finalmente riuscendo nel compito assegnatogli, e lentamente sta facendo uscire allo scoperto i vari cecchini, che vengono o uccisi dalle sue fiamme e dalla sua incredibile abilità nel corpo a corpo, o vengono trascinati in cielo dalle zampe artigliate dei grifoni e poi smembrati ad alta quota.
Di tanto in tanto la paura per la sorte dei suoi compagni prende il sopravvento su di lui, e quindi lancia veloci occhiate verso il campo di battaglia. I Comandanti se la cavano egregiamente, più di quanto chiunque sperasse, e questo lo rincuora.
Ci sono due dettagli che però non gli tornano: il primo e forse più evidente è il fatto che tutti preferiscano il combattimento corpo a corpo anziché usare le armi da fuoco; il secondo, invece, è il fatto che gli immortali usino prevalentemente anche loro armi bianche anziché denti e artigli.
Nessuno, poiché troppo preso dall'imminente guerra, gli ha spiegato che lo scontro si sarebbe svolto in questo modo per motivi piuttosto elementari: con la velocità e i riflessi di cui dispongono soprattutto i vampiri sarebbe inutile provare a sparargli, ed è quindi più semplice mandare a segno il colpo con uno scontro ravvicinato. Se infatti si riesce a ferire un immortale con dell'argento, questo perderà parte della sua forza, accecato da un dolore paragonabile ad uno spiedo rovente che ti trapassa il cervello centinaia di volte.
Gli immortali, dal canto loro, preferiscono combattere con le armi che si portano dietro dal momento in cui sono stati creati. Quelle armi li hanno difesi in vita e dopo la vita, li hanno accompagnati nel loro lungo e turbolento viaggio, e di conseguenza i possessori si fidano pure di loro.
Malgrado questo, se Marco avesse fatto attenzione per un secondo di più, avrebbe visto la furia di Mimì scatenarsi senza limite alcuno nel momento esatto in cui ha conficcato l'ascia da guerra - donatale da Astrid per il suo primo compleanno – dritto nella testa di un Dragone. Avrebbe anche visto il Titano scatenare tutta la sua furia, ergendosi in mezzo a quell'ammasso di bolgia urlante con la sua immensa stazza.
Si sarebbe anche reso conto che Blamenco e Curiel stanno sparando a tutto ciò che si muove, senza riuscire quasi mai a centrare il bersaglio, fatto che li riempie di sgomento. Loro sono formidabili artiglieri, non hanno praticamente mai mancato il bersaglio così miseramente, e la cosa gli si sta ritorcendo pericolosamente contro: Curiel si sta battendo furiosamente contro un enorme lupo mannaro, e Blamenco è immerso in un combattimento corpo a corpo con un enorme Windigo, che lo sbatte come un tappetto e lo lancia a terra in un bagno di sangue e fanghiglia.
Il primo viene prontamente soccorso da Killian, che afferra con le enormi zampe l'avversario per la mandibola e gli apre senza sforzo la testa in due, mentre in soccorso di Blamenco è corsa Arista, che disarma con pochi semplici colpi l'avversario ed infine, sorridendo sorniona, affonda le lunghe zanne bianche nella pelle sporca di sudore, polvere e sangue del malcapitato, riducendolo ad un guscio vuoto senza vita.
È questo il gioco in quell'ammasso di corpi ringhianti che si battono per la vita: mettere alla prova quei folli e valorosi umani e poi intervenire subito quando si trovano in difficoltà.
L'Imperatore, in fondo, è stato categorico: devono tornare vivi!

Fenrir e Akemi, nel frattempo, corrono l'uno di fianco all'altra, senza mai voltarsi indietro. A rallentarli, come l'Imperatore aveva previsto, ci sono molti abili combattenti di Peter, schierati sistematicamente vicino al castello come difesa personale. Pur avendolo calcolato, però, non riesce a spiegarsi per quale ragione lo abbia fatto... in fondo era lui a volere questa guerra!
«È un cagasotto
Fenrir non riesce a trattenere una lieve risata dopo l'affermazione della nipote, la cui adrenalina è ormai alle stelle. Tutto quel caos, quella morte e quel sangue hanno acceso nella sua mente quel meccanismo di autodifesa che da sempre provano a farle sbloccare e controllare. Quel meccanismo così potente e devastante che adesso le permette di buttarsi in scivolata a terra e sventrare dal basso i nemici che pensano erroneamente di impedirle di raggiungere suo fratello.
Fenrir, al suo fianco, non è certo da meno: la paura che possa accadere qualcosa a qualcuno della sua famiglia accende in lui quella fiamma devastante che da sempre prova a tenere incatenata, cosa che lo aiuta incredibilmente nei movimenti.
Affonda la lancia nei loro stomaci, trapassandoli. Li respinge con lo scudo, fracassando i loro crani. Mozza loro degli arti con la spada affilata che ha ricevuto dalla moglie il giorno delle loro nozze.
Li uccide tutti quanti, senza alcuna pietà, senza mai arrestare la propria corsa.
Corrono e combattono all'unisono, spalleggiandosi e finendo un nemico appartenente all'altra come per gioco. Talvolta ridacchiano mentre lo fanno, ormai resi ubriachi dal sangue e folli dall'adrenalina che li corrode dall'interno.
«Dobbiamo fare l'ultimo sforzo e andare là!» le urla Fenrir mentre trafigge un orrendo orco dalla pelle biancastra con la spada, conficcando la lama tra le costole e facendola risalire fino alla spalla opposta, lacerando tutto ciò che vi è in mezzo.
«Hai bisogno di riprendere fiato, nonnino?» sghignazza Akemi, adesso a cavalcioni sulla schiena di un grosso Dragone che pensava, stupidamente, di poterle tagliare la testa. Per sua sfortuna, adesso è lei a decapitarlo usando il bordo dello scudo.
«Smettila di giocare e muovi il culo!» le urla contro lo zio, afferrandola per un polso e aiutandola frettolosamente a rimettersi in piedi.
Durante la corsa le ha lanciato un scudo e una spada raccattate per la via, lanciando pure qualche occhiata ricolma di orgoglio verso i grifoni che si battono come furie: un attimo prima li vede volare in alto contro il Sole abbagliante, un attimo dopo sono in caduta libera e si schiantano addosso al nemico, mentre il compagno lo afferra per la testa con gli artigli e lo tira su, così da potergli infliggere il colpo di grazia.
«E ora?!» urla Akemi, rallentando leggermente alla vista dell'ultimo ostacolo che la separa dal proprio fratello.
Il grande cancello che un tempo impediva l'accesso all'enorme palazzo adesso è piegato di lato, mangiato dalla ruggine, e in più punti calpestato dai grossi e sgraziati mostri. Sfortunatamente per i due Lothbrook, però, è stato velocemente rinforzato con picche d'argento puro che nessuno dei due sarebbe mai in grado si raggirare senza farsi seriamente male.
Notano però che alcune delle mura sono state demolite nel tempo – Fenrir neanche ricorda di averle abbattute personalmente – ed è proprio da lì che decidono di entrare. Per farlo, però, devono riuscire a passare gli ultimi ostacoli che gli si piazzano di fronte: goblin.
L'Imperatore si slancia in avanti gridando e menando gran colpi di spada, così veloce che è difficile anche per la vista estremamente sviluppata degli immortali tenergli dietro. Akemi, lasciata indietro, non vuole essere da meno, e si getta nella massa, spingendo chi le viene addosso con il piccolo ma solido scudo e rovesciando sui lati e sulle basse picche d'argento poste dietro al muro i nemici già stremati dagli stenti, dalle veglie e dalla lunga fatica di mesi e mesi di continui spostamenti e rinunce.
Non gli ci vuole che una manciata di minuti per farli fuori tutti quanti, ed entrambi ne vanno dannatamente fieri, Akemi in particolare. In fondo non è mica da tutti abbattere così velocemente un'armata di goblin, e per lei il dettaglio che suo zio Fenrir le para il culo non conta praticamente niente.
«Ce la facevo benissimo anche da sola.» sibila indispettita quando si rende finalmente conto che, malgrado si sia battuta egregiamente, quasi tutti i caduti sono ammassati attorno al grande Imperatore.
«Ne sono sicuro, ma adesso spicciamoci eh!»
L'afferra nuovamente per un braccio e se la trascina ancora dietro, con l'unica differenza che adesso sta ben attento che il corpo della nipote aderisca il più possibile al suo.
È infatti ben consapevole che stanno per entrare nel luogo scelto da Peter per svolgere la parte cruciale della guerra, e che l'avrà sicuramente riempita di ostacoli per riuscire, nella peggiore delle ipotesi, a stancarli almeno un po'.
Una volta entrati dall'insenatura che si è creata dopo poco meno di dieci minuti prima, dopo che è stata lanciata una bomba a mano, si ritrovano in un ampio salone dal soffitto a cupola, con degli affreschi sbiaditi e semi-distrutti, e la mobilia fatta a pezzi.
«Ricorda quello che ti ha detto Freki sulla nave: devi andare in profondità, seguendo solo ed esclusivamente la scia più forte del suo odore.»
Akemi annuisce e subito prova a divincolarsi dalla sua presa per poter andare verso la traccia che ha fiutato non appena hanno messo piedi nell'enorme salone, ma Fenrir la blocca immediatamente, guardandola con sguardo fermo.
«Sii prudente, hai capito?»
Akemi annuisce e gli regala quello che potrebbe anche essere il suo ultimo sorriso, per poi dileguarsi correndo velocemente verso una scalinata di roccia che porta verso il basso.
Freki le ha detto e ripetuto che le celle dove tengono i prigionieri sono situate sotto terra e che per arrivarci dovrà prendere senza indugi la scalinata che proprio adesso sta percorrendo.
Le ha detto poi di svoltare a sinistra al primo bivio per poter raggiungere velocemente le celle e di pregare tutti gli déi che le ha fatto conoscere durante la permanenza ad Helheimr affinché la strada non sia stata sbarrata in qualche modo. Le ha infatti spiegato che la sua considerevole mole una volta trasformata le impedirebbe di passare attraverso quegli stretti cunicoli e di conseguenza sarebbe costretta a tornare indietro, ritrovare la strada giusta e poi imboccare il percorso più lungo e intersecato per raggiungere il medesimo posto.
Akemi adesso sta pregando gli déi. Tutti, dal primo all'ultimo. Pure il dio Loki, tanto dispettoso e caotico. Prega pure lui, lo implora di aiutarla a trovare la via, mentre il suo cuore batte sempre più velocemente ad ogni passo. Sente l'odore del sangue di Satch diventare sempre più forte mentre scende furiosamente quei ripidi scalini di roccia, e la cosa non può far altro che mandarla nel panico.
Sente distintamente il rumore di passi pesanti alle proprie spalle, ringhi sommessi e urla agghiaccianti. Impugna d'istinto la spada e si appoggia con le spalle al muro, impegnandosi con tutta sé stessa per isolare il rumore martellante del proprio cuore e concentrarsi su ciò che le accade attorno. Probabilmente, in realtà, forse le sarebbe risultato meglio non farlo, perché adesso si è perfettamente resa conto che altri le stanno alle calcagna, gridando il suo nome. Il fatto che qualcuno stia implorando pietà o che nell'aria c'è un insopportabile odore di sangue fresco non la toccata minimamente.
Ok, non fare la bambina adesso!, si ripete mentre respira affannosamente tenendo gli occhi chiusi. Tuo fratello è da queste parti, quindi adesso muovi il culone e sbrigati a trovarlo!
La sua folle corsa ricomincia e, forse grazie all'intervento dei suoi déi o forse per una semplicissima botta di culo sfacciata, riesce a raggiungere il lungo e incredibilmente buio corridoio dove sono situate le prigioni.
Non sa dove sia però, e tutte quante ospitano una persona. Tendendo l'orecchio sente che molti di loro non sono neanche più vivi, malgrado si reggano perfettamente in piedi e tendano le mani verso di lei.
Che triste destino..., pensa rammaricata, ricominciando immediatamente la sua ricerca disperata.
Dopo qualche istante, durante la quale ha sentito distintamente un potente ululato provenire da qualche piano sopra di lei, riesce a trovare la tanto agognata cella. Freki le aveva detto che sono pressoché impossibili da aprire, ma non ha alcuna intenzione di perdersi d'animo: calcia con quanta più forza può contro quella spessa porta rinforzata, fregandosene dell'insopportabile frastuono che questo provoca e del dolore che quasi l'acceca, e finalmente, dopo l'ennesimo calcio pieno di furia, riesce a spaccare la serratura che la teneva chiusa.
Per un attimo si sente al Settimo Cielo quando la porta si apre e può finalmente entrare, ma il suo entusiasmo si spegne in pochi secondi, e un grande vuoto le riempie il cuore quando lo vede riverso a terra privo di energie.
Una lacrima ribelle le solca la guancia, scendendo lentamente fino al mento. Sa però che non c'è tempo per piangere, che ogni secondo di esitazione potrebbe essere fatale per entrambi. Si asciuga gli occhi con un rapido gesto della mano, entra nella cella e accosta la porta dietro di sé.
«Satch...»
Si butta in ginocchio al suo fianco e gli passa delicatamente una mano sulla guancia, trattenendo il respiro finché non lo vede sbattere lentamente le palpebre.
«Ehi...» borbotta il pirata, cercando di mettere a fuoco in quella maledetta oscurità. Per qualche strano caso riesce a distinguere chiaramente i contorni della sorella, a seguire i suoi lineamenti stranamente nitidi in quell'oscurità accecante.
È disorientato, stanco e dolorante. L'unica cosa che vorrebbe fare in quel momento è poggiare la testa a terra e perdere di nuovo i sensi.
«Satch riesci a muoverti?» gli comanda sbrigativa, chinandosi sopra di lui mentre continua a carezzargli la fronte bollente come una madre affettuosa.
«M-mi han-no r-r-otto...» prende fiato, annaspa, e Akemi gli porge la piccola borraccia di cui si era premunita, lasciandolo bere lunghe sorsate di acqua fresca «...le gambe.»
La ragazza lascia saettare gli occhi su le gambe abbandonate e steccate alla meno peggio, e il sangue le si gela nelle vene.
Non sa se riuscirà a portarlo fuori da quella cella, verso i suoi compagni, indenne. E come potrebbe, in realtà? Se si trasformasse sarebbe pericoloso per tutti quanti. Troppo sangue, troppo scontro: diventerebbe una locomotiva!
L'unico modo che ha per riuscire ad uscirne, alla fine, è caricarsi in spalla l'amico ferito e pregare gli déi che gliela mandino buona anche questa volta, che non le mettano troppi avversari sulla via di fuga.
Prima, però, pensa bene di dare un minimo di energia all'amico, così da non farlo essere completamente un peso morto. Si morde con forza il polso, conficcandosi i lunghi canini affilati nella carne, da cui subito comincia a sgorgare sangue scuro e denso.
«Tira giù, ti darà un po' di forza.» ordina con tono fermo, continuando a guardarsi attorno con due grandi occhi da cervo. Si sente braccata, osservata, ed è quasi del tutto certa che qualcosa, o qualcuno, la stia aspettando poco lontano da quella porta.
Non può però permettersi di avere paura, non più di quella che già prova, ed è per questo che passa velocemente un braccio attorno alla vita del pirata e se lo carica in spalla, cercando di non sentire i suoi lamenti.
«Siete v-enuti p-per me?» mormora al limite delle proprie forze Satch, tenendo il corpo abbandonato contro quello della sorella. Quando l'ha afferrato e se l'è praticamente spalmato addosso, per Satch è stato quasi uno shock, ma ha preferito – saggiamente – sorvolare sul dettaglio che è completamente nudo come un verme e aggrapparsi con tutte le proprie forze a lei.
«Eravamo passati perché Peter voleva organizzare un trattato di pace per unire le due isole, e così hanno mandato me a prenderti. Stanno preparando dei pasticcini ai lamponi proprio adesso!»
Se ne avesse la forza, sicuramente la spingerebbe lontano da sé e le farebbe battere con forza la testa contro una parete, così, tanto per rimettere in chiaro chi comanda. Considerata la sgradevole situazione in cui si trova, però, si vede costretto a sbuffare e aspettare di essere condotto fuori.
Sul loro tragitto si ammassano sempre più corpi sanguinolenti, smembrati e fatti a pezzi. Alcuni di loro non sono più riconoscibili tanto è lo scempio.
«Sei stata tu?» le domanda a corto di fiato il Comandante che, contro ogni logica, si sente sempre più pieno di vita non appena si avvicina all'uscita.
«No.»
Avrebbe voluto, in realtà, ma non ha avuto il tempo materiale per sfondare ogni porta e trascinare i codardi che vi si erano nascosti in mezzo al corridoio per poi smembrarli. A dirla tutto, non sarebbe neanche stata capace di fare una cosa del genere, di ridurli ad un tale misero stato, ma sa bene chi, invece, ne è pienamente capace.

Rimane ben nascosto dietro ad un muro, immobile, senza respirare, aspettando. Il momento più propizio arriva dopo pochi istanti e, fulmineo come solo lui sa essere, allunga un braccio e conficca il pugnale in pieno petto all'avversario, per poi sgusciare alle sue spalle e recidendogli in profondità la gola con i lunghi artigli.
Lo osserva distrattamente mentre si accascia al suolo, con il sangue che veloce sgorga, per poi rigirarsi veloce e correre verso una delle torri.
Il percorso gli sembra tutto dannatamente uguale e si domanda, più di una volta, come se la stia cavando la nipote. Certo, l'odore del sangue di Satch lo ha sentito distintamente pure lui non appena hanno varcato la soglia, ma la ragazza non ha certo la sua esperienza sulle spalle né un olfatto tanto fine.
A dirla tutta, in un primo momento l'aveva seguita per facilitarle la fuga, sterminando senza sforzo tutti i poveri idioti che pensavano di poter attaccare uno della sua stirpe, ma è velocemente tornato sui suoi passi, e adesso si ritrova a correre con passo pesante per quei cunicoli.
L'odore di Peter è stato disseminato ovunque, reso più forte in determinati punti in cui il mannaro ha sfiorato le pareti con una goccia del proprio sangue, ma questo non lo confonde più di tanto: sa benissimo che Peter, da primadonna come è sempre stato, vorrà battersi in un luogo in cui potrà essere visto da tutti, e la decisione cade inevitabilmente sullo spiazzo in cima alla torre a sud, quella più alta e spaziosa.
Il problema per Fenrir sta nell'imboccare la strada giusta, cosa che, infine, riesce a fare, quando sente il fastidioso gracchiare di qualche goblin che, ignaro di essere ascoltato, esplicita che il loro Signore si trova poco sopra di loro e che devono fare piano per non essere colti con le mani nel sacco.
Ti sei circondato di idioti, pensa schioccando la lingua ed imboccando l'entrata a sinistra, salendo con passo leggero la stretta scalinata che lo condurrà verso una delle entrate per quella maledetta torre.
Credimi, Peter: te ne farò pentire.

«A-aspetta.» ansima dolorante Satch, come se avesse un macigno sui polmoni che gli opprime le vie respiratorie.
Akemi rallenta appena, senza però fermarsi. Devo assolutamente portarlo fuori da quei maledetti cunicoli polverosi e issarlo sulla groppa di un grifone in modo che venga subito trasportato all'isola, o per lui sarà la fine.
Il sangue che gli ha somministrato, infatti, non è sufficiente a guarirlo, e una dose maggiore gli fermerebbe il cuore. Pure il grande Barbabianca ha dovuto diminuire le dosi a causa del suo cuore malato, che miracolosamente è riuscito a reggere fino all'intervento di Wulfirc.
«N-on res-piro...»
Vorrebbe dirgli di tenere la bocca chiusa e risparmiare le energie, ma si trattiene. Prima di tutto perché non le pare il caso di infierire considerato quello che deve aver passato in quelle ore, secondo poi perché qualcosa è proprio dietro di loro.
Rischia il tutto per tutto, Akemi, lasciandosi scivolare Satch dalle braccia e brandendo la grossa spada con entrambe le mani, così da poter bloccare l'attacco della donna che la stava braccando.
Si muovono veloci, quasi danzando su un ritmo assente, incassando i colpi l'una dell'altra e bloccando i fendenti che provano a dilaniare.
Uno scontro alla pari, due assassine che bramano il sangue l'una dell'altra.
La fortuna, però, pare non voler più sorridere alla giovane Lothbrook, che per un breve istante perde la concentrazione quando Satch tossisce del sangue nero, a suo parere lo stesso che gli aveva fatto bere poco prima.
Si distrae a guardarlo, vorrebbe correre da lui, e la donna ne approfitta subito brandendo la spada e colpendola.
Akemi ha provato a rigirarsi, a bloccare la lama con la propria, ma è riuscita solamente a deviare di poco il colpo, facendo affondare la sua terribile lama d'argento nella propria gamba.
Sente la carne bruciare, il dolore annebbiarle la vista. Lancia un urlo a pieni polmoni e sferra un cazzotto alla cieca per allontanarla, senza però riuscire nel proprio intento.
Quando poi la donna l'afferra per i capelli e la strattona all'indietro, pronta ad affondare le zanne nella sua gola e portare la sua testa in dono al proprio Signore, Akemi reagisce, usando le tecniche base insegnatole da Freki: l'afferra a sua volta per i capelli e le molla un montante nelle coste, facendola annaspare e gemere di dolore; incrocia le dita dietro la sua nuca per poterla trattenere e subito comincia a tirarle forti ginocchiate nella bocca dello stomaco, fino a che l'altra non molla la presa.
Quando l'avversaria si inginocchia a terra, annaspando in cerca d'aria, Akemi raccoglie a fatica la propria spada e la alza, pronta a darle il colpo di grazia.
Ma l'avversaria non ha alcuna intenzione di lasciarsi sopraffare così, di lasciarsi uccidere da una ragazzetta, e come una molla torna in piedi, scaraventandosi con tutto il peso contro la ragazza. Sguscia subito di lato, prima che Akemi abbia il tempo di contrattaccare, e in un batter d'occhio la sua pelle si strappa ed emerge la bestia che vive dentro di lei, forte e selvaggia.
Satch, steso a terra, non ci pensa neanche a strisciare sotto ad un tavolo per ripararsi e rimane immobile al suo posto, a guardarle fronteggiarsi. Non capisce perché Akemi non assuma a sua volta la sua forma demoniaca, inconsapevole che la ferita causata dalla lama d'argento le impedisce di mutare correttamente. Rischierebbe di compromettere la gamba in modo irreparabile.
Sentendosi come una sciocca donzella in difficoltà, il Comandante si trascina su quel pavimento lercio e zeppo di pezzetti di vetro, metallo arrugginito e pietra, fino a raggiungere i lembi di carne insanguinata disseminanti dalla licantropa e, con quelli, le sue armi.
Nessuna delle due guerriere si è resa conto del suo movimento, dei suoi lamenti soffocati, ma la grossa lupa se ne accorge a proprie spese non appena arretra di qualche passo, portando l'enorme zampa a portata del pirata che, con l'ultimo briciolo di forze rimaste, impugna il pugnale con la lama d'argento e le trafigge l'arto.
La bestia ulula tutto il proprio dolore, incapace di spostare la zampa ferita e bloccata nel pavimento. Prova a rigirarsi per staccargli la testa con un morso, ma così lascia campo libero ad Akemi.
Accecata dalla rabbia e dalla paura di perdere il fratello, la giovane Lothbrook impugna la spada a due mani e lancia il suo ultimo, micidiale attacco.
La bestia si immobilizza senza emettere un solo verso, gli occhi spalancati per la sorpresa. Poi si accascia a terra, la lama ancora conficcata in profondità che le apre quasi in due la testa.
«C-osa faresti s-senza di me...?» ansima Satch, completamente sdraiato a terra ad occhi chiusi. Ha superato i propri limiti, spingendosi pericolosamente verso il punto di non ritorno.
Akemi non si perde in chiacchiere e, per ringraziarlo dell'intervento decisivo, estrae il pugnale dalla zampa della defunta avversaria e la scuoia sulla schiena, così da poter coprire le nudità dell'amico alla meglio ed evitargli quel forte imbarazzo che quasi lo immobilizzava poco prima.
«Andiamo dal babbo!» ringhia a denti stretti mentre se lo carica in spalla, percorrendo quei maledetti ultimi metri che la separano dai grifoni.
In cuor suo spera che non siano troppo in difficoltà, che corrano subito da lei e lo portino via, ma non appena i suoi occhi si abituano alla luce accecante del Sole, si accorge che le sue speranze sono state vane: tutti combattono con ferocia, molti cadono in picchiata, esanimi.
«Merda!»
Stringe la presa sul corpo del compagno e corre più veloce che può, ignorando il dolore alla gamba ferita, ignorando il sangue che cola sempre di più e l'infezione che velocemente si espande.
Ma neanche la sua determinazione può niente contro le astuzie dei Dragoni, che hanno preparato qualcosa di nuovo per i loro avversari: bombe a mano con frammenti di vibranio ricoperto d'argento. Non è tanto per l'ordigno esplosivo in sé che l'arma è tanto pericolosa, quanto per i frammenti che vengono lanciati ad enorme velocità, rompendo e penetrando tutto ciò che si trova sulla loro traiettoria.
Una di queste bombe esplode a tre metri scarsi di distanza dai due, e Akemi ha giusto il riflesso di spingere il più lontano possibile Satch, rimanendo però personalmente coinvolta.
Il pirata annaspa per terra e prova a rialzarsi, riuscendo però solo a voltare la testa.
Il sangue gli si gela nelle vene, il cuore stanco sussulta nel petto: un frammento ha spaccato la debole corazza sul petto della sorella e si è conficcato in profondità tra le sue costole.
Urla Akemi. Urla con tutto il fiato che ha nei polmoni, incapace di estrarre la scheggia ed evitare così che l'argento le comprometta gli organi interni.
In alto, stagliato davanti al Sole per non essere visto, Marco assiste sconvolto.

Due guerrieri goblin, rimasti a guardia della torre prescelta dal loro Sovrano, saccheggiano indisturbati le stanze lasciate incustodite dai Dragoni, pronti a darsela a gambe non appena si presenterà l'occasione.
A un tratto, nella luce ormai debole e incerta di una fiaccola, uno di loro nota abbandonato sul pavimento polveroso un braccialetto d’oro a forma di serpente e si avvicina velocemente, mentre il suo amico gli volta le spalle, con l’intenzione di prenderlo solo per sé. Ma quando si china per afferrarlo, un pugnale guizza come un lampo da dietro ad una parete e gli taglia la gola da un orecchio all’altro. Il goblin si accascia senza un gemito e un paio di forti mani artigliate lo trascinano via velocemente.
Il suo compagno, intento a mettersi nelle tasche quante più monete d'oro può, quando esce dalla stanza in cui stava frugando, si trova solo in mezzo a quel lungo cunicolo oscuro e comincia a chiamare l’amico, pensando che si sia nascosto per fargli uno scherzo di pessimo gusto.
«Su, vieni fuori, non fare lo stupido e aiutami piuttosto, che questa roba-» non fa in tempo a finire la frase: la stessa arma che aveva sgozzato l’altro gli si conficca tra le clavicole alla base del collo, affondando fino all’elsa. Il goblin crolla sulle ginocchia portando le mani al manico del pugnale, ma non ha la forza di estrarlo e cade in avanti con la faccia a terra.
Fenrir lo guarda con una miscela di disprezzo e pena nello sguardo, voltandosi di scatto quando sente un flebile rumore di passi provenire dal piano superiore. Dubita fortemente che Peter ne abbia piazzati altri, ed è per questo che si mette a correre su per le scale scivolose, raggiungendo il più in fretta possibile la sommità della torre che si apre su un'ampia terrazza.
Luogo perfetto per un duello, pensa guardandosi attorno con attenzione, non riuscendo a scorgere neanche l'ombra del figlio. In compenso, però, nota la battaglia che infuria in lontananza, e sente chiaramente l'odore del sangue che si mescola al terreno arido. Sente le loro grida, e non riesce ad evitare di desiderare, più di ogni altra cosa, di correre in loro soccorso e dare manforte.
Abbassando lo sguardo si accorge di un dettaglio che davvero non avrebbe voluto vedere: Lilith, la piccola e indifesa Lilith, annaspa in cerca di un'arma di fortuna, strisciando nella polvere con un pezzo d'argento ben conficcato nelle costole. Una lupa nera, grossa ed evidentemente affamata, la punta.
Tu non avrai mia nipote, puttana!, pensa oltremodo furioso, tirando fuori l'ultima arma che avrebbe pensato di usare.
Porta una mano dietro al corpo, dove ha nascosto sotto la veste una SeW 460 lucidata a specchio.
Lui, per natura, è sempre stato contro l'uso delle armi da fuoco. Le considera, per quanto ciò possa suonare inappropriato, barbare.
Calcola ogni cosa velocemente e non appena il momento è a suo favore, riapre l'occhio e preme il grilletto, gioendo interiormente quando vede quella bestia accasciarsi al suolo a pochi metri dalla ragazza.
La guarda ghignando mentre si contorce su sé stessa invocando aiuto, e quasi gli verrebbe da urlarle che sono dei coglioni, che li hanno sottovalutati e che i Dragoni non sono gli unici ad usare pallottole d'argento. Ma si trattiene. Si trattiene perché è un Signore, sennò le urlerebbe anche di peggio, probabilmente.
Si sente carico, adesso. Sente che potrebbe andare di corsa ad Ásgarðr, la dimora degli déi, e tornare ancora pieno di energia. Ma, purtroppo, il suo entusiasmo ha vita breve.
«Bel colpo.»
Si volta di scatto e, dopo secoli di lontananza, eccolo di nuovo lì: capelli neri come la morte, occhi privi di vita, pelle bianca come la neve, corpo scolpito nel marmo, e il ciondolo tribale che lui stesso gli regalò dopo il suo primo anno da immortale in bella vista sul torace.
«Peter.»



*In realtà sarebbe la cavalleria e non la fanteria, ma nel testo il termine cavalleria (perdonate la ripetizione) sarebbe risultato sbagliato perché, come è ovvio, nessuno di loro è a cavallo. È vero che più che altro della cavallerie facevano parte i nobili e nella fanteria quelli che prima, nella peggiore delle ipotesi, erano contadini, ma vaffanculo eh!


Angolo dell'autrice:
Buonsalve popolo di EFP!
Dopo una lunga attesa – ormai di routine –, eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo!
Ammetto di aver riscontrato non poche difficoltà dal momento che non avevo mai scritto scene di guerra, ma tutto sommato posso dirmi quasi soddisfatta del risultato.
I dettagli (soprattutto all'inizio) non sono stati scritti troppo nel dettaglio volutamente, poiché volevo dare un po' di dinamicità alla scena. Spero di essere riuscita nel mio intento!
Che altro dire? La strategia di battaglia e lo scontro in sé sono frutto di “studi” sulle usanze spartane e macedoni, che io amo profondamente – assieme ai vichinghi. So bene che stona abbastanza con il mondo di OP, ma mi piaceva davvero troppo e non ho saputo resistere! Spero che anche a voi sia piaciuto :3
Poi, beh... non volevamo che la nostra protagonista si trovasse in seria difficoltà? Certo che sì! Infatti ben due persone hanno dovuto salvarle la pelle! Che donna inutile! (?)
Nel prossimo capitolo scorrerà il sangue. Tanto sangue. Un po' di tutti, aggiungerei!
Ma, come detto in risposta di una recensione, il destino di ogni personaggio (anche di quelli che appariranno nel sequel) è già prestabilito e praticamente niente può farmi cambiare idea. Vi dico che ammazzando Dellinger (e quindi andando in culo ai piani di Oda-sensei) sono riuscita ad escogitare un particolare molto rilevante proprio per il sequel! (Perché dirlo? Semplice: per ribadire che ogni morte è già studiata e perché sono scema!)

Ci tengo a ringraziare Chie_Haruka, Aliaaara, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, Yellow Canadair, LevyChan98 e KING KURAMA per le recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo. Non potete neanche immaginare quanto mi abbiate resa felice! *w* Questa storia non andrebbe avanti senza il vostro appoggio, giuro!

A presto, un bacione
Kiki~

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Capitolo 44
*** 44. La caduta degli déi ***


 
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Il clangore della battaglia arriva fino alle sensibili orecchie dei due guerrieri, ma non li distrae minimamente. Restano fermi ad osservare come il tempo ha superficialmente influito l'uno sull'altra, e Peter rimane sconvolto dal turbinio di emozioni che gli sconvolgono la mente. È lieto di poter rivedere l'uomo che gli ha fatto un dono tanto grande come l'immortalità e al tempo stesso è furioso perché si è rifatto una vita, ha avuto due figli che ha riconosciuto come suoi eredi, mentre lui vagava da solo come un reietto. Nella sua mente devastata lui è l'unico erede legittimo e l'essere stato surclassato dai due giovani principi è un affronto pari all'esilio.
Sbatte la spada che teneva poggiata sulla spalla per terra, sollevando un poco di polvere.
«Il tuo attaccamento nei confronti di questi umani è rivoltante.» sibila nervoso, assottigliando lo sguardo.
Fenrir non ha alcuna intenzione di perdersi in chiacchiere e, buttata la pistola a terra, sguaina la spada e gli si lancia contro.
Peter scatta a sua volta brandendo l'imponente lama e subito prova a ferirlo, mandando però il colpo a vuoto.
Per quanto Fenrir possa essere provato, non si lascerà mai sopraffare così facilmente; ne va della sua famiglia e del suo onore.
Contrattacca subito, allontanandolo da sé e fissandolo con astio e angoscia. Non avrebbe mai pensato che un giorno sarebbe arrivato a combattere contro suo figlio.
Quando Peter prova ad attaccare di nuovo, furioso per lo smacco appena subito, viene afferrato con forza per i capelli dietro la nuca, con il braccio bloccato da quello dell'Imperatore, e in una frazione di secondo sente il setto nasale scricchiolare sotto la pressione esercitata dalla potente testata ricevuta.
«Era un movimento troppo prevedibile.» sibila Fenrir, osservandolo con attenzione mentre vacilla all'indietro.
Non fa però in tempo ad attaccarlo nuovamente che Peter gli è di nuovo addosso: un movimento veloce di lato, una finta che non aveva previsto, seguito poi da un forte dolore al fianco dopo la sua ginocchiata.
Si allontana di scatto, senza mai togliergli gli occhi di dosso.
«Anche questo era troppo prevedibile?» sfotte prontamente Peter. Vuole ucciderlo velocemente, fare rotta ad Helheimr per sbarazzarsi dei due piccoli ostacoli che si frappongono tra lui e il trono.
Fenrir si rialza velocemente e gli si scaglia di nuovo contro, deciso a chiudere la questione come avrebbe dovuto fare secoli prima.
Affondi e parate, colpi senza sosta.
Nelle loro orecchie risuona solo il suono metallico delle lame che si scontrano ritmicamente, mentre i loro cuori cominciano a battere sempre più forte nel petto.
Peter è veloce come Fenrir ricordava, anzi, pare essere riuscito a migliorare. Da quel poco che ha visto, è sicuro che adesso neanche Killian riuscirebbe ad eguagliarlo.
Oltre a padroneggiare con maestria la spada, sta dimostrando un'agilità e dei riflessi davvero straordinari, molto superiori alla media. Riesce a colpire di spada e far ruotare allo stesso tempo il bacino così da poterlo calciare simultaneamente; riesce a parare un colpo e spiccare contemporaneamente un salto per poterlo raggirare; riesce quasi a prevedere le sue mosse.
Per sua fortuna pare non essere ancora capace di ferirlo. Il problema nasce dal fatto che neanche lui, per quanto impegno stia mettendo nel combattimento, non c'è ancora riuscito.
Pianta con forza la spada a terra, Fenrir, e vi poggia il peso per potersi dare lo slancio necessario per sferrare un calcio, sorprendendo il ragazzo che si aspettava l'ennesimo affondo.
Lo sbalza all'indietro, facendolo sbattere con violenza contro la parete che quasi cede sotto al suo peso.
«Drittsekk...» sibila furioso, scansando con agilità il pugno che distrugge la parete a cui si era momentaneamente appoggiato. Atterra a pochi metri di distanza e di nuovo salta, evitando con maestria ogni nuovo attacco.
Prova in più di un'occasione a riprendersi la spada che ha involontariamente abbandonato, ma Fenrir glielo impedisce sistematicamente. Anzi, quando riesce finalmente a sfiorarla con la punta delle dita, l'Imperatore si lancia a terra e ruota su una mano, così da poterla calciare di sotto.
Dopo questo abile movimento, Peter si rende finalmente conto di aver sottovalutato l'avversario, dovendo ammettere, almeno con sé stesso, che durante quei secoli non si è affatto rammollito come pensava.
Si lancia con tutta la forza che ha contro di lui, e subito gli mostra che no, non ha mai dimenticato i suoi insegnamenti: blocca improvvisamente un piede a terra a poca distanza dall'avversario, e subito alza l'altra gamba così da potergli sferrare un calcio in pieno petto che lo sbalza di qualche metro all'indietro. Ne approfitta per provare a trafiggergli il cuore con il pugnale che porta attaccato alla coscia, ma riesce solo a trafiggergli l'avambraccio con cui si è parato e si ritrova a sua volta buttato nella polvere.
L'odore del suo sangue lo inebria, accendendo il suo istinto predatorio, e d'impulso snuda le zanne, mostrandogli i suoi occhi rossi.
Fenrir non è tipo da tante parole a cose normali, ha sempre preferito i fatti, ma non può trattenersi dal chiedergli come li abbia ottenuti.
«Sei stato tu a donarmeli» risponde beffardo il ragazzo, rialzandosi da terra «Quando mi hai condannato a morte!»
Estrae a fatica la lama conficcata nell'osso, Fenrir, trattenendo a stento un urlo carico di dolore, e subito dopo ferisce con la lama semi-corrosa il viso pallido del figlio, bloccando così il suo attacco e costringendolo ad indietreggiare.
Ma ci vuole ben altro per bloccare la follia di Peter, per metterlo in fuga o costringerlo ad arrendersi. Quando una creatura come lui è guidata solo dal rancore e dalla furia, niente può fermarla.
Con uno scatto fulmineo riesce ad afferrarlo per i capelli e a sferrargli una ginocchiata in pieno volto, così da stordirlo, per poi rigirarselo tra le braccia e portarselo alle spalle, schiena contro schiena. Gli afferra con decisione il collo, e Fenrir prova immediatamente ad opporre resistenza.
Peter non riesce a centrare la gola con gli artigli, ma non ha la possibilità di estrarli e riprovare, così tenta di ucciderlo per soffocamento, rafforzando la presa e sforzandogli l'osso del collo.
Fenrir, messo alle strette, calcia all'indietro colpendolo nel ginocchio, facendo poi leva sulle gambe per poterselo caricare in spalle e ribaltarlo davanti a sé.
Peter però atterra in piedi e lo calcia di nuovo, facendolo indietreggiare e costringendolo a sferrare colpi alla cieca pur di tenerlo a distanza. Ma questo non è sufficiente: Peter colpisce dove può con calci e pugni, mettendolo velocemente alle strette.
Con un calcio ben piazzato nel torace riesce a buttarlo a terra e battere una testata, tanto forte che avrebbe tranquillamente ucciso il più forte e tenace dei Dragoni.
Deve muoversi se vuole vincere, se vuole alzare la sua testa decapitata al mondo per provare a tutti che è il migliore, e per questo raccoglie frettolosamente il pugnale da terra e si butta con furia sul genitore, mirando all'occhio.
Fenrir però riesci a bloccarlo prima che la lama si avvicini troppo, e ferma anche il pugno che Peter prova a dargli per fargli mollare la presa. Si sta sforzando come poche volte in vita sua per evitare di perdere la presa, ma Peter lo frega imprimendo improvvisamente più forza nell'altro braccio, riuscendo così a far scivolare la mano quel tanto che basta da graffiare la guancia di Fenrir.
Sgrana l'occhio per la sorpresa, Fenrir, e comprende che adesso non può più scendere a compromessi con sé stesso, che deve lasciarsi totalmente andare.
Gli spinge lontano una mano così da poterlo sbilanciare all'indietro e lo colpisce di tacco dritto nel mento, spingendolo indietro il tanto che gli basta per poter sgusciare via.
Si accuccia a terra, il respiro diventa insopportabilmente irregolare.
Le ossa cominciano a spezzarsi e rimodellarsi, la pelle tendersi all'inverosimile fino a strapparsi.
Ci sono vari tipi di trasformazioni per i lupi mannari, come diversi livelli da superare per diventare completo. Fenrir ha avuto la sfortuna, settemila anni fa, di saltare tutte quante le fasi e spassare direttamente a quella molecolare: la più spettacolare e pericolosa. Lo spirito del lupo prede totalmente possesso della materia del corpo. Non è una trasformazione graduale, ma un istantanea riorganizzazione delle molecole della forma umana e quella di lupo. Talvolta è così veloce da creare un boom sonico attorno al corpo del mannaro!
È un processo doloroso che tutti hanno dovuto affrontare, e che affrontano ogni volta che devono cambiare forma.
Un lupo mannaro che subisce questa mutazione dovrebbe trovarsi, per almeno qualche minuto, in un luogo isolato e buio, così da potersi sentire a proprio agio e fare mente locale. Ma Fenrir non ha questo vantaggio: c'è Peter davanti a lui, che pianta il pugnale a terra e si prepara a mutare a sua volta; c'è la guerra, dove sua nipote sta morendo e il suo amato fratello sta versando il proprio sangue per colpa sua... è tutto sbagliato!
È spaventato, Fenrir. Ha paura di perdere completamente il lume della ragione e combattere come un animale rabbioso e ferire pure le persone che ama, ma sa bene che non c'è altra soluzione.
Ed è così, che dal sangue e la polvere, riemerge il più grosso e potente lupo mannaro mai esistito al mondo: Fenrir, figlio del dio Loki, la bestia del male.

Geri Ulykke non ha mai avuto così paura in tutta la sua vita.
Combatte al massimo delle proprie energie senza badare alla profonda ferita al fianco, proteggendo quello che per lui è il tesoro più grande: Kakashi.
Stava sgozzando un licantropo quando ha sentito il suo urlo e poi lo ha visto a terra, le mani che maldestramente provavano a legare uno straccio a metà coscia per bloccare l'emorragia, il resto della gamba mancante.
Si è sentito sprofondare in un abisso oscuro, il cuore bloccarsi.
Il suo corpo si è mosso in automatico, lanciandosi contro gli stolti che pensavano di poterlo finire, e adesso lotta incessantemente per tenerli lontani in attesa che qualcuno trascini via il corpo dell'amato.
Il suo dolore però non è niente se paragonato a quello di Ed, incapace di muoversi di fronte al corpo della madre, con il collo piegato in un angolo innaturale, attaccato per un lembo al resto del corpo, l’osso che spunta dalla carne squarciata.
Quando aveva visto cadere il padre, trafitto da una picca dritto al cuore, aveva continuato a muoversi spronato dalla madre, ma quando si è rigirato per cercarla tra la folla l'ha trovata così e il mondo gli è crollato sotto ai piedi. A poco servono le urla dei compagni che provano a coprirgli le spalle. Solo l'intervento di Freki, che lo afferra per la collottola e lo lancia lontano, riesce a farlo rinsavire.
Il maggiore gli ringhia che non è capace di affrontare lo scontro e che deve occuparsi dei feriti e subito obbedisce, trascinandosi per quel campo di morte con passo malfermo. Vuole aiutare, lo vuole con tutto sé stesso, ma l'idea che i suoi fratelli, così piccoli e indifesi, siano appena divenuti orfani lo fa impazzire. È però proprio questa consapevolezza che riesce a fargli evitare attacchi mortali: non può lasciarli pure lui.
Raggiunge a fatica Mimì, menomata all'altezza del gomito sinistro, che ha appena trascinato alcuni feriti dietro la linea difensiva formata dagli zombie e da coloro che, pur menomati, riescono ancora a brandire un'arma.
I Comandanti di Barbabianca non se la passano meglio: Vista è stato trascinato di peso tra i feriti con cinque proiettili nell'addome, e i medici di campo stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per salvargli la vita, tragicamente appesa ad un filo; Atmos e Speed Jill, fortunatamente non in pericolo di vita, sono stati obbligati da un più che furioso Týr a ritirarsi con gli altri; Halta giace a terra dopo una violenta botta alla testa; Curiel è stato morso e quasi dissanguato da un vampiro, che è stato prontamente trafitto al cuore da Ace.
Il Secondo Comandante, reso cieco da tutta quella violenza e dalla sofferenza dei fratelli, combatte quasi senza rendersi conto di cosa sta facendo.
Non è però il solo che è stato reso cieco dalla battaglia: un vampiro, furioso e desideroso di vendetta contro il ragazzo, si gioca il tutto per tutto e lo attacca nonostante sia ricoperto di fuoco, dilaniandogli l'addome con un'artigliata.
Malgrado ci abbia rimesso una mano, è fiero del suo operato, perché il veleno nei suoi artigli entra subito in circolo nell'organismo del pirata, le cui fiamme si spengono in pochi secondi.
Respira male, Ace. Si tiene un braccio attorno alla pancia per fermare il sangue, e la vista gli si annebbia lentamente. Marco, tempo addietro, gli aveva raccontato delle sensazioni che gli aveva provocato il veleno di Akemi, ma era convinto che esagerasse e basta. Ora sa che si sbagliava.
Il vampiro lo colpisce in volto, facendolo cadere agonizzante.
Lo afferra per i capelli, sollevandogli la testa ed esponendo il collo muscoloso.
Un secondo e i denti affondando nella carne calda e sudata, ed Ace non riesce neanche ad urlare. Si sente soffocare, immobilizzato dalla consapevolezza che sta per morire.
Ma la sua ora non è ancora giunta e a deciderlo è Silly, che si scaglia con quanta più violenza può contro l'aguzzino del ragazzo.
Non è uno scontro semplice, il non-morto si rigira come un anguilla e la prova a colpirla senza sosta pur di tenerla lontana, senza però riuscire a farla demordere. Grazie a questa sua determinazione, in fine, riesce ad avvolgere le possenti fauci attorno alla sua testa e a stritolarla, riducendola in poltiglia come un pomodoro.
Lo sputa immediatamente, scuotendo il capo disgustata, per poi voltarsi verso Ace, ormai privo di sensi.
Lo afferra come meglio può con la zampa per un polso e se lo issa in spalla, correndo goffamente a tre zampe tra quella ressa urlante e ringhiante finché non riesce a lasciarlo tra le braccia di Atmos, che lo prende in custodia frettolosamente, bianco in volto come un lenzuolo.
Silly guarda il volto disteso del ragazzo mentre viene portato via, giusto per assicurarsi che se ne prendano cura, poi corre a dar man forte a chi ne ha bisogno, continuando silenziosamente a pregare di non aver veramente sentito l'urlo straziante di Akemi.
L'esercito nemico pare non esaurirsi mai: a ogni soldato che cade sul campo si ricompatta, come un corpo che d'un tratto rimargina la ferita, richiudono il muro di scudi così che gli arcieri dietro di loro possano scagliare nugoli di dardi micidiali mentre rispondono, colpo su colpo, con un'energia inesauribile, con un immenso, caparbio valore.
Neanche i maggiori esponenti dell'armata immortale riescono a scalfirli, dovendosi troppo spesso allontanare per evitare le mortali bombe che lanciano.
Týr non riesce più ad escogitare metodi per avanzare, il massimo che può fare è colpire e tornare indietro. Il suo cuore morto si è rianimato nel momento esatto in cui ha sentito urlare disperatamente la figlia, ma non sa come raggiungerla.
Wulfric, perennemente al suo fianco, pare averlo capito e continua a tentare di aprire un valico, senza successo. Per la prima volta nella sua lunghissima vita si sente sconfitto, annientato.
Gli unici che non si sono persi d'animo sono Freki e Killian, intenti a trucidare qualsiasi creatura capiti loro sotto tiro. L'influsso dell'imminente Luna Piena li invade totalmente, facendogli quasi perdere il lume della ragione a cui si aggrappano disperatamente.
Tutti colpiscono duramente, i corpi si ammassano l'uno sull'altro, e lo sgomento li assale completamente quando vedono in lontananza altre truppe formarsi, come un'orda infinita.
Quando però l'ululato agonizzante di Fenrir giunge alle loro orecchie, qualcosa dentro di loro si accende: una nuova rabbia, una nuova forza.
Týr, ormai oltre il limite, afferra per la collottola Killian e gli monta in groppa come se fosse un cavallo, dal momento che una scheggia d'argento gli ha ferito la gamba e gli impedisce di correre. Impugna la spada e grida «Cinque ondate, uomini!» e poi, più forte «Combattete per la vostra casa e la vostra libertà!»
A quelle parole gli uomini rispondono urlando con furore e gli vanno dietro mantenendo l'allineamento frontale. Perdere la loro isola sarebbe come perdere l'anima – sempre ammesso che ne abbiano una –,come essere morti prima di scendere nella tomba, come diventare ciechi dopo aver a lungo goduto della luce del Sole e dei colori della terra. Sarebbe ancor peggio che essere schiavi, perché molte volte gli schiavi non ricordano il loro passato.
Il mannaro si lancia al galoppo in quel campo pieno di grida e di morti, nero come una furia infernale, seguito dai compagni furiosi, e con tutte le energie che hanno in corpo sbattono contro il muro nemico, incuranti del dolore che l'argento gli provoca e delle ferite precedentemente riportate.
Si tolgono subito, lasciando spazio all'ondata successiva che si abbatte con la stessa violenza e determinazione. A poco valgono i contrattacchi dei Dragoni: niente impedirà loro di raggiungere il loro Imperatore!

Il battaglione combatte con valore per respingerli, ma i ranghi sono ormai scardinati dagli immortali che penetrano sempre più in profondità e dalla manovra convergente dei pirati che colpiscono a ondate nei fianchi. Non gli resta così altra scelta che indietreggiare per cercare riparo nelle altre truppe e nel castello, mentre la possente falange riprende ad avanzare irta di lance come un istrice spaventoso, a passo svelto.
Freya, resa cieca dal richiamo disperato del suo Signore, si lancia in un varco appena aperto e corre con quanta più forza ha nelle zampe, riuscendo miracolosamente ad evitare gli avversari.
Genma l'affianca velocemente, coprendole il fianco, riuscendo però per poco a tenere il passo. La donna infatti è più veloce di lui e ben più esperta, e per lui non c'è altra scelta che puntare le zampe a terra e uccidere quanti più nemici può, pregando tutti gli déi in cui ha imparato a credere affinché l'amata compagna si salvi.
Altri gli corrono in aiuto, uccidendo e trucidando con una ferocia che non credevano di possedere.
Dopo l'ululato di Fenrir tutti si sentono diversi, spinti da un istinto primitivo che li obbliga a correre in suo soccorso malgrado sappiano essere un'idea sciocca. Perché il branco proteggerà sempre il proprio Signore, a qualsiasi costo, anche contro nemici sin troppo superiori come Peter.
Pure gli altri immortali sentono questo irrefrenabile impulso, pur non essendo stati creati da lui. È una sorta di dipendenza, un attaccamento morboso alla sua persona che li ha resi schiavi, e la sola idea di vederlo morire per difenderli li manda fuori di testa.
I pirati corrono dietro a quelle belve inferocite provando a tenere il passo, calpestando e inciampando in cadaveri sanguinolenti.
Rakuyou scorge in quella ressa un generale nemico che combatte furiosamente con la spada già rossa di sangue, poco spostato sulla sua destra. Ad un primo impatto gli è sembrato un avversario come un altro, ma aguzzando un poco la vista si è accorto di un dettaglio che avrebbe preferito non vedere: legato al suo braccio destro svetta il foulard di Satch.
«Combatti, bastardo!» urla mentre si lancia di corsa contro di lui, fino ad arrivare a pochi metri di distanza.
Il generale, a cavallo del suo imponente mannaro, sprona la bestia verso di lui e gli scaglia addosso il giavellotto. La punta straccia la corazza del Comandante e gli scalfisce la pelle fra il collo e la clavicola, ma sguaina comunque la spada e gli va contro a tutta velocità, urlando a pieni polmoni.
Il generale, sbilanciato dall'impatto violentissimo dell'uomo e del vampiro che lo ha affiancato improvvisamente, deve aggrapparsi alla bestia e scopre involontariamente il fianco: in quell'istante Rakuyou gli conficca la spada sotto l'ascella.
La gioia per averlo ucciso però gli costa cara: una freccia lo colpisce nel ginocchio e gli impedisce di schivare l'ascia di un altro generale.
Il suo scudo devia solo in parte il colpo, che arriva comunque sull'elmo. La lama spacca il metallo, taglia il feltro e incide il cuoio capelluto da cui sprizza un fiotto di sangue sul volto del pirata, ormai a terra.
Il generale, fiero di sé, alza ancora l'ascia, ma Fossa irrompe in quell'attimo, gridando come un ossesso e brandendo la pesante spada infuocata gli trancia di netto il braccio.
Il nemico cade urlando, e il sangue sgorga copioso dall'arto mozzato spegnendogli la vita prima che la spada di Rakuyou, di nuovo in piedi, gli dia il colpo di grazia.
I due Comandanti si guardano per un breve istante negli occhi e subito ripartono,
seguendo velocemente Týr e Wulfric.
I due vampiri, infatti, hanno escogitato velocemente un sistema per sbarazzarsi, quanto meno, dei mercenari assoldati da Peter. Riescono ad infilarsi alle loro spalle, a isolarli dal resto dello schieramento e a spezzarne la compattezza.
Esausti per la lunga fatica, oppressi dal peso della massiccia armatura, presi fra due linee di nemici, i mercenari cominciano a cedere e a disperdersi e vengono finiti dai mannari di Helheimr.
I due colossi si fermano ansanti, sfigurati dalla fatica, sanguinando da numerose ferite. Sanno però che non è quello il momento per riposarsi e riprendere fiato, così ricominciano a correre, separandosi.
Wulfric, sprezzante del pericolo, si getta nella massa urlante e ringhiante, brandendo l'ascia bipenne che ha trovato lungo il tragitto per aiutare Geri, messo alle strette.
Týr invece è riuscito a scovare l'unico avversario che gli interessava oltre a Peter, l'unico di cui bramasse veramente il sangue: il generale dei vampiri traditori.
Stava cercando di fuggire, il temerario guerriero, ma Týr non gliel'ha permesso, lanciando un giavellotto in sua direzione per sbarrargli la strada.
Non si erano mai sfidati prima, non si erano mai visti tranne che in foto. Adesso che finalmente lo può vedere in volto, Týr si accorge di essersi sempre illuso, che non è altro che un vampiro qualsiasi, privo di particolare onore o coraggio.
Il suo interesse si spegne velocemente, tanto che per un istante pensa di lasciarlo fuggire, ma quando l'altro ordina ai suoi uomini, sfiniti e doloranti, di ucciderlo cambia di nuovo idea, lanciandosi verso di lui con tutta la velocità di cui dispone.
Arista e Sakura lo affiancano, sbaragliando gli altri vampiri così da lasciargli campo libero e poi mischiarsi di nuovo in quel caotico groviglio di corpi e pellicce, ormai fuori di sé dalla collera: la prima ha visto il volto sfigurato della propria amata compagna, mentre la seconda ha visto l'arto mutilato dell'adorato fratello. Nessuna forza, né il cielo né in terra, riuscirà a fermarle.
I due avversari, nel frattempo, si battono come furie e il clangore assordante dei loro colpi si spande nella pianura, eco di uno scontro titanico.
Forte della sua esperienza di lottatore, Týr guizza in una finta sbilanciando il generale che tocca terra con il ginocchio. Nello stesso istante, il vampiro si erge in pieno equilibrio affondando, di rovescio, un gran colpo di scure nella schiena del nemico che crolla al suolo di schianto.
Caduto il loro comandante, i vampiri nemici, stremati e decimati, sospinti dalla forza inarrestabile degli avversari, cominciano a ritirarsi e infine si danno ad una fuga disordinata, cercando rifugio in mare, dove però vengono accolti e annientati dalle forze schierate di Namiur.
Freya, nel frattempo, è riuscita a superare tutti gli ostacoli che le si erano piazzati davanti e si è arrampicata su un bastione semi-crollato per raggiungere Fenrir.
Ha visto con la coda dell'occhio la Fenice cadere in picchiata per difendere, anche a costo della vita, i due compagni stesi a terra, le cui vite sono ormai tragicamente appese ad un filo. Per un attimo ha pure pensato di andare ad aiutare la parente, ma ci ha ripensato immediatamente: il suo Signore viene prima di qualsiasi altra cosa al mondo.
Così ha ricominciato a correre, imbattendosi in un Dragone della guardia di Peter. Le si è parato davanti con la sciabola sguainata, ma la mannara non si è lasciata intimidire e gli si è lanciata contro, disarmandolo e lasciandolo per un attimo inebetito e disarmato. Ha poi vibrato una zampata e gli ha reciso la gola, macchiandosi il muso con un fiotto del suo sangue caldo.
Un giovane grifone, attirato dalla scena, scende in picchiata verso di lei e l'afferra con quanta più delicatezza può per la collottola e la solleva in volo, così da facilitarle un minimo l'impresa. Perché lui ha visto cosa è successo tra i due licantropi, ha visto con quanta ferocia di battono, con quanta cattiveria si sbranino tra loro, quanto sangue stanno versando. Ma, soprattutto, ha visto Peter lanciarsi come una furia sulla groppa di Fenrir, l'ha visto mentre gli piantava gli artigli in profondità per non essere sbalzato a terra e ha assistito con orrore al momento in cui gli ha staccato e divorato l'orecchio destro.
Sarebbe intervenuto lui stesso se non glielo avessero impedito, se lo stesso Imperatore, dopo aver lanciato involontariamente un urlo carico di dolore e angoscia, non si fosse lanciato di nuovo alla carica, accecato dall'ira.
Freya, trattenendosi dal gemere per il dolore che gli artigli del volatile le provocano, aguzza lo sguardo e finalmente lo vede, steso a terra in una pozza di sangue, e questo moltiplica a dismisura le sue energie.
Non appena viene messa a terra si frappone tra i due per difenderlo, quasi allucinata per lo sforzo, e per un brevissimo istante si ritrova a fissare negli occhi Peter. Prima che possa scattare per provare ad attaccarlo, avverte un dolore lancinante a una coscia e vede che una freccia le si è conficcata di lato poco sopra il ginocchio. Stringe i denti e la strappa reprimendo il dolore straziante, ma quando alza lo sguardo Peter le è già addosso e le stringe le fauci attorno al collo.
La strattona violentemente, gustandosi la dolce sensazione del suo sangue che gli bagna la lingua.
La lancia a terra con forza, facendole battere la testa contro un pezzo di muro crollato sotto ai loro precedenti colpi, e subito dopo le monta addosso, premendo con una zampa sulla gola e con l'altra su una sua zampa per tenerla ferma.
«Ehi, padre...» latra inferocito, godendo nel vedere il terrore negli occhi di Fenrir «Guarda un po' che faccio!»
Il corpo martoriato della licantropa viene sollevato brutalmente da terra, con le zanne del nemico piantate in profondità nella gola.
Guaisce forte Freya, implora il proprio Signore di essere aiutata, ma Fenrir non riesce ad intervenire per tempo, ritrovandosi a guardarla precipitare giù dalla torre, con le lacrime che gli solcano il muso di fronte all'espressione terrorizzata della ragazza, che infine di impala sulle picche d'argento usate come palizzata.
Aveva rischiato tutto per difendere lui, per dargli una mano. Si era mostrata coraggiosa ad intervenire, folle nel pensare di poter tenere testa a Peter... dolce a fargli da scudo col proprio corpo.
Fenrir la guarda, così immobile con la testa ciondoloni all'indietro, tre pali d'argento a consumarle la carne e gli organi interni, il veleno con cui erano stati unti entrarle nell'organismo per distruggerla.
«Sai, in quella posizione mi ricorda qualcuno.»
Fenrir neanche lo sente. Alzando lo sguardo vede tutti i suoi compagni in difficoltà, feriti e sanguinanti. Sente le loro urla, il loro dolore. Vede Freki combattere come un dannato affiancato dalla Fenice pur di riuscire a proteggere Akemi da quel branco di bastardi traditori. La vede a terra, priva di sensi, e accanto a lei quel pirata stremato, ormai troppo vicino al trapasso, che le tiene una mano e con l'altra prova ad estrarle il frammento dal costato.
E lui non riesce a sopportarlo.
È solo colpa sua se Peter è arrivato a fare una cosa simile, se è stato in grado di muoversi così e portare tanto male nelle loro vite.
Bàthory, stufo di essere ancora ignorato, gli salta brutalmente addosso, stringendo violentemente le fauci attorno alla carne viva dove un tempo c'era l'orecchio destro, infierendo così sul suo dolore, provando a strappargli altra carne.
«Sai chi altro è morto impalato in quel modo? EH?! Lo sai?!» gli molla una zampata dritta nel muso sanguinante, facendolo vacillare «È proprio simile al momento in cui trapassai la cassa toracica di tuo fratello!»
Fenrir alza di scatto il muso. Il dolore che lo sta piegando si immobilizza con lui, si congela. Un nuovo tepore gli permette di rimettersi sulle zampe, di alzare il muso per guardare il figlio traditore che ghigna malignamente mentre si vanta delle proprie imprese.
«Esatto, padre: IO HO UCCISO TÝR!»
Tutti hanno sentito quell'urlo carico di odio. Tutti, dal primo all'ultimo e la rabbia li infiamma.
Fenrir, dall'alto della sua posizione, li guarda per un breve istante mentre si lanciano di nuovo all'assalto, ancor più furiosi di prima. Nella folla, ha scorto brevemente il fratello grazie allo scudo col drago rosso, e l'ha visto correre, animato da un profondo e autodistruttivo desiderio di vendetta, verso l'interno del castello. Per questo sa che gli rimane poco tempo a disposizione per ucciderlo: non rischierà di nuovo la vita di Týr.
Si volta furente verso il ragazzo, ghignante e fiero del proprio operato, e adesso si rende definitivamente conto che quello non è suo figlio, ma un estraneo pericoloso che mina alla vita della sua famiglia.
Cancella dalla mente il dolore che prova, lo annienta e lo rinchiude in un angolino e si prepara allo scontro finale.
Le zanne vengono messe in bella mostra, le fauci scattano, le zampe danzano, i corpi si tuffano e poi rotolano via.
Peter, eccitato come mai in vita sua da tutta quella morte, dalla disperazione che lui stesso ha causato, combatte come posseduto da una cieca entità maligna, che lo fa muovere con grazia e precisione. Fa una finta verso di lui, poi vira e affonda le zanne nella spalla dell'altro. Fenrir, i cui sensi si sono riaccesi ancora di più assieme all'ira, porta a terra l'avversario stringendolo con entrambe le deformi e lunghe zampe. Rotolano in una massa ringhiante di pelo, bava, polvere e sangue, ma Fenrir mantiene la presa, riuscendo a conficcare i denti oltre la spessa pelliccia del collo. E gode nel sentirlo guaire con tanta sofferenza.
Con un colpo ben assestato di reni, Peter riesce a liberarsi dalla presa e a rimettersi in piedi, sorpreso da quest'improvviso cambiamento.
Ha visto tante volte Fenrir in combattimento, ha studiato le sue mosse in entrambe le forme, ma mai lo aveva visto così.
Riprendono a muoversi in cerchio su zampe rigide. Le labbra sono arricciate in una maschera d'odio, mettendo in mostra le scintillanti zanne macchiate di sangue; i tendini tremano per lo sforzo. Fenrir mena un colpo che però va a vuoto, rotola via e torna a quattro zampe prima che i denti di Peter schiocchino nell'aria.
Volevi staccarmi anche l'altro orecchio, pezzo di merda?! Pensa furibondo il lupo, che emana dal corpo una densa nube di vapore, come una fiera fantastica, una creatura da incubo.
Si confrontano, le fauci spalancate e le zanne in mostra.
Fenrir balza alla gola di Peter con quanta più velocità può. Peter, che non riesce a tollerare l'idea di essere battuto, lo afferra e lo getta via come fosse uno straccio.
Fenrir sente la zampa precedentemente ferita con una freccia d'argento diventare sempre più greve, come un peso morto, e quasi non riesce a rimettersi in piedi.
È il pensiero di Astrid e dei suoi ragazzi a sostenerlo, a dargli la forza di continuare fino all'ultima scintilla d'energia.
I due mannari si separano, poi si voltano e prendono velocità; balzano e si scontrano a mezz'aria.
Il muso di Fenrir è striato di sangue. Eppure Peter non molla: vuole spaccargli il setto nasale, strappargli la lingua e conficcargliela in gola così che possa soffocare, ma i suoi morsi continuano ad andare a vuoto contro la struttura ossea del suo muso.
Messo alle strette, Fenrir raccoglie da terra la punta di una freccia d'argento e, dopo essergli a fatica montato in groppa, la conficca con forza nella nerboruta spalla dell'avversario.
Peter strilla con quanto fiato ha nei polmoni, tanto forte da risvegliare i morti, provando a scrollarsi l'avversario di dosso. Riesce, per pura fortuna, a rotolare via, cercando ancora di tenere lo sguardo sull'avversario, che non ha mai smesso di mostrargli le zanne. Poi di nuovo Peter, reso cieco dalla follia e dalla sete di potere, lo carica con furia e l'antico Lothbrook non può far altro che provare a reagire con zanne e artigli. Ma tutta la sua ira non vale nulla: non ha più abbastanza energie.
Il veleno contenuto nei canini dei mannari ha effetti quasi narcotici sull'avversario. Bastano pochi colpi e il mal capitato si ritroverà steso a terra con difficoltà respiratorie e motorie. In questo caso i due combattenti hanno resistito oltre ogni limite immaginabile, incassando e annientandosi piano, piano.
Era per questo che Fenrir avrebbe preferito uno scontro corpo a corpo in forma umana, per evitare questo fastidioso inconveniente.
Peter apre una ferita nel suo fianco, lo spintona a destra e a sinistra, lo costringe a danzare un ballo frenetico e stordente.
Lo afferra per l'ultima volta con le lunghe e forti zanne per la collottola e lo getta di nuovo giù, mostrandogli i lunghi canini macchiati di rosso, fiero di sé stesso.
«Non eri venuto fin qui per uccidermi?» lo sfotte prontamente, girandogli attorno, escogitando qual è il modo migliore per farlo fuori immediatamente.
Fenrir è esausto, non riesce più a muoversi. Non sente più la zampa ferita, indice che l'argento ha compito il suo compito.
«Dammi il tuo regno, Fenrir, e in cambio potrai riavere tua moglie.»
Quelle parole, pronunciate con tanta sufficienza, sono la goccia che fa traboccare il vaso.
Si rialza a fatica, gemendo per il dolore, e punta l'occhio appannato sulla figura ancora troppo in salute che gli sta di fronte.
«Non puoi più niente. Hai giocato tutte le tue carte.» continua a sfotterlo Peter mentre raccoglie la spada dell'uomo, rigirandosela tra le dita e studiandola con attenzione «Ti decapiterò con questa.»
Detto questo gli molla una potentissima zampata dritta nel muso, costringendolo a rimettersi a terra a respirare polvere.
Non è certo un medico, Fenrir, ma è ben consapevole di avere gravi emorragie interne. Le sente, così come sente che è sempre più vicino al momento fatale.
Stringe gli occhi quando le enormi zampe di Peter gli sfilano davanti agli occhi, la spada per lui tanto preziosa trascinata come se non valesse niente.
Ma che altro può fare? La zampa posteriore non risponde più, gli arti superiori resistono a malapena e la respirazione diviene ad ogni secondo più difficoltosa.
Ma se proprio deve morire, porterà Peter con sé: mentre il ragazzo si è messo al suo fianco e alzato l'arma, pronto a tagliargli la testa, Fenrir richiama a sé tutta l'energia che ancora fluisce nel suo corpo e la incanala nella gamba sinistra e si gioca il tutto per tutto, scattando in avanti e conficcando nel suo petto un sottile bastoncino, mancando per forse un centimetro il cuore. Subito dopo si abbandona al suolo, annaspando in cerca di ossigeno che proprio non riesce a trovare.
«Che mossa stupida.» ghigna malignamente Peter, alzando di nuovo l'arma al cielo. D'un tratto, prima che possa infliggergli il colpo di grazia, un insopportabile dolore al centro del petto lo piega in due, proprio dove sta il bastoncino.
Le energie gli vengono improvvisamente meno e mantenere la muta attiva è troppo in quel momento, così lascia che le sue spoglie umane prendano il possesso del suo corpo, cosa che ha fatto pure l'Imperatore pochi secondi prima.
Si tiene una mano sul petto, Peter, annaspando e gemendo di dolore, cercando risposte nello sguardo del genitore.
«Era un pezzo di freccia, Peter... una freccia d'argento...»
«Co... cosa?»
«Volevo vendicare Freya, così ho usato quella che si era conficcata nella sua gamba.»
Peter non riesce quasi più a muoversi e dei densi rivoli di sangue nero gli colano ai lati della bocca, seguiti poi da un colpo di tosse insanguinato con la quale si potrebbe riempire una ciotola.
Prova ad estrarre la freccia, inutilmente: l'ha piantata troppo in profondità per essere recuperata da solo, e le forze diventano sempre più sbiadite, come un ricordo lontano.
Non vorrebbe stendersi di fianco all'uomo che, per un verso, gli ha rovinato la vita, ma proprio non riesce a farne a meno: si butta a terra, la mano petto pieno di vene violacee che si diramano in ogni direzione, gli occhi vitrei piantati in quello di Fenrir.
«Non hai ancora vinto...» mormora a fatica prima di spirare, lasciandosi andare al freddo abbraccio delle Valchirie.
Fenrir rimane immobile a contemplare il suo volto coperto di sangue, sudore e polvere. Una parte di lui vorrebbe rendergli tutti gli omaggi funebri poiché è stato un grande guerriero, uno dei pochi di cui si racconteranno leggende nei secoli a venire, ma sa che andrebbe contro la sua gente, e per questo si limiterà a bruciare il suo corpo.
Si abbandona completamente, fissando il cielo plumbeo, e mille domande confuse gli affollano la mente. Si domanda se verrà condotto nel Valhalla a banchettare e brindare con gli déi, o se finirà nella landa oscura e gelata del Regno di Hel. Si domanda pure dove sia stato condotto Peter e se lo dovrà rivedere a breve.
Sente all'improvviso una voce che lo richiama, ma è così lontana da sembrargli un miraggio.
«FENRIR! RESISTI!»
Suo fratello, il suo adorato fratello minore, sta correndo a rotta di collo per raggiungerlo.
Odino, ti supplico, non portarmelo via!
Týr si ripete queste parole nella mente da quando lo ha visto in cima alla torre senza un orecchio e coperto di sangue, e adesso non può far altro che correre con quanta velocità può, affiancato da Wulfric, e pregare che vada tutto bene.
Quando lo raggiungono, tirano entrambi un sospiro di sollievo nel trovarlo ancora vivo, seppur in uno stato davvero critico: ha negli occhi una stanchezza mortale, sul volto un colorito terreo, trema e batte i denti.
«Riposa ora» gli mormora Týr coprendolo con il proprio mantello «Fra non molto saremo a casa.»
Il cielo su di lui esplode in una miriade di punti luminosi e poi si ottenebra d'un tratto. In quel momento si rivede ritto al centro di una camera immersa nella penombra, mentre stringeva al petto un bambino. Sentiva la pelle morbida del piccolo contro la sua guancia ispida, le sue labbra sulla spalla solcata dalle cicatrici e un profumo intenso di rose nell'aria.
Chiude gli occhi e, vinto dallo sfinimento, si lascia andare ad un sonno turbolento, sconvolto dal dolore e da visioni d'incubo.

La terra trema sotto il galoppo martellante dei focosi mannari, resi folli dalla visione del loro Signore steso a terra. C'è chi dice che sia già morto, e questo non fa altro che infervorarli maggiormente.
I vari guerrieri nemici, urtati dalle cariche continue degli avversari, si battono con disperato coraggio, ma cadono uno dopo l'altro fino all'ultimo uomo. Nessuno si arrende, nessuno implora in ginocchio per la propria vita, ma questo coraggio non vale a ispirare alcuna pietà, né la giornata è abbastanza lunga per arrestare la crudeltà della vendetta: nulla può fermare i nemici a quel punto, ormai ciechi di furore e ubriachi di sangue e di violenza.
Mentre Akemi, Fenrir e Satch vengono trasportati d'urgenza alle navi in groppa ai grifoni, seguiti a ruota da Týr, Freki e Wulfrik, la battaglia infuria ancora più violenta.
Non ci vogliono ormai che un paio d'ore di ultimi, terribili sforzi, e ovunque scende un silenzio greve, rotto solo qua e là da qualche grido attutito dallo sbuffare dei mannari che avanzano come spettri tra la polvere.

 

Prima che il Sole tramonti completamente, la battaglia è vinta.



Angolo dell'autrice:
Onestamente? No, non sono soddisfatta. Dovrò leggere molti più libri con questa tematica, perché da sola è evidente che non ho le capacità per rendere bene una scena di guerra!
Dopo quasi tre settimane di lavori, però, o così o niente, quindi ho deciso di proporvela lo stesso. Spero che almeno a qualcuno di voi piaccia... mi farebbe sentire molto meglio!
Oddio... 11 pagine e basta?! Ok. Da questo capitolo è venuto fuori il male. Meglio se la chiudo subito qui!

Un ringraziamento speciale a Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, Yellow Canadair, Aliaaara, Chie_Haruka, ankoku e KING KURAMA per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo! Siete davvero troppo gentili!!!

Un bacione
Kiki≈



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Ecco a voi i nostri cari Akemi e Týr
 

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Capitolo 45
*** 45. Piacevolmente ingiusto ***


Piccolo avvertimento: ebbene sì, siamo in dirittura di arrivo. Con questo e altri due capitoli finisce questa storia. Non voglio tirarla troppo per le lunghe perché sarebbe solo noioso per voi, quindi raggrupperò più eventi insieme nello stesso capitolo. Insomma, come ho già precedentemente fatto, ricordate? Quando ci sono le X, vuol dire che cambia ambientazione e tempo. Cercherò di rendere il tutto il più chiaro possibile. (e, se così non fosse, mi raccomando chiedetemi qualsiasi cosa senza farvi problemi, a me farà solamente piacere sapere che a qualcuno interessa e vuole capire meglio laddove non sono riuscita ad esprimere bene il concetto!)
Ok, nulla. Direi che per adesso ho finito, quindi... buona lettura! Spero tanto di non deludervi!

 

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Nella vita avevano ucciso tante, innumerevoli volte, ma niente è paragonabile a ciò che hanno appena vissuto.
Passata l'esaltazione iniziale, in cui hanno esultato fino a lacerarsi le corde vocali per la gioia, si sono resi conto di quanto successo, del sangue che hanno versato, delle vite che hanno stroncato. Tra quella ressa c'era chi invocava pietà, ma loro lo hanno fatto comunque a pezzi per vendetta.
Guardandosi attorno, ora, vedono gli immortali che si trascinano, sfiancati e feriti, sulle imbarcazioni come se la cosa non li riguardasse, e lo stomaco gli si attorciglia.
Fossa, dopo aver aiutato Namiur a montare sulla nave, si lascia quasi cadere a terra sul ponte e si trascina accanto ai fratelli feriti, tutti abbandonati contro il parapetto. Ha le orecchie piene di urla strazianti, di invocazioni e lamenti, le mani sporche di sangue.
Izo zoppica lentamente fuori dal sottocoperta, dove ha trasportato d'urgenza Halta. Le infermiere che si sono portati dietro sono immerse nel lavoro fino al collo, non hanno un secondo di pausa né di respiro. Per prima cosa hanno cauterizzato e somministrato dosi massicce di morfina ai feriti più gravi, poi sono passati ai meno gravi, disinfettando le ferite e ricucendole, ordinando poi a chi ne ha ancora le capacità di aiutare gli altri.
Týr, senza tante cerimonie, le ha cacciate tutte via per prendersi personalmente cura del fratello, il cui battito cardiaco è sempre più tragicamente debole. Gli ha cauterizzato e disinfettato le ferite, lo ha ricucito, gli ha dato il suo sangue, e ora attende solamente il suo risveglio, pregando tutti gli déi affinché ciò avvenga.
Sakura gli ha comunicato immediatamente che Akemi è ormai fuori pericolo, che il suo corpo è riuscito a rimarginare in modo sorprendentemente rapido i danni non appena la scheggia è stata rimossa.
Marco, completamente sfinito, siede sul ponte assieme ai fratelli, circondato dai grifoni, ormai profondamente legati al pirata. Il loro capo, sorprendendo i compagni, gli si è appallottolato vicino, come un fedele cagnolino, riscaldandolo con le proprie piume.
Nessuno di loro proferisce una sola sillaba, troppo scossi dallo scontro. Alcuni si fissano le mani ricoperte di sangue, altri fissano il vuoto con sguardo inebetito, altri ancora fissano le nuvole cariche di pioggia che coprono la Luna Piena.
Wulfric, silenzioso come uno spettro, poggia una mano sulla spalla di Marco, scuotendolo appena. Non lo guarda però, non guarda nessuno di loro: tiene gli occhi fissi sull'isola che diventa sempre più lontana, sulle pire funebri, sulla distruzione che hanno causato.
Marco segue il suo sguardo, non provando il minimo rimorso per quello che ha fatto. Dopo aver visto le condizioni di Satch o, peggio, quelle di Akemi, non riuscirà mai a provare rimorso. Al massimo rimpiangerà di non aver fatto di peggio.
«Presto ci sarà una nuova invasione di licantropi.» afferma distaccato il Mietitore, lasciando che uno dei loro corvi si poggi sulla sua spalla.
Marco volta lo sguardo, confuso. In fondo era convinto che li avessero uccisi tutti quanti.
«Ne sono scappati molti?» domanda con un filo di voce, attirando pure l'attenzione di chi lo circonda.
«Acqua licantropica, raccolta nelle impronte lasciate da un uomo–lupo. Se la bevi, diventi un lupo mannaro. Se sopravvivi, certo.»
Freki, riprese le spoglie umane, gli si avvicina e si appoggia alla balaustra, accendendosi una sigaretta. Lancia il pacchetto ai presenti, sbuffando una densa nuvoletta di fumo.
«Chi si è astenuto dalla guerra verrà per racimolare qualcosa» sibila nervoso, passandosi una mano dietro al collo «E l'acqua licantropica si vende bene.» spiega, piegando lievemente gli angoli della bocca in un falso sorriso.
I presenti sbuffano e scacciano violentemente il pensiero che, un domani, potrebbero dover affrontare di nuovo una situazione analoga.
«Tenete, mangiate qualcosa.»
Tutti voltano leggermente la testa verso Arista, coperta di sangue e fango dalla testa ai piedi, che butta ai loro piedi dei sacchi pieni di cibi in scatola e carne secca.
Si siede poi al fianco di Kingdew, poggiando la testa sul legno alle sue spalle e chiudendo gli occhi. Lei, esattamente come loro, vuole solamente dimenticare.
«Come stanno gli altri?» le domanda con voce ferma Izo, che di mangiare non ne vuole neanche sentire parlare. Dopo aver visto quelle bestie infernali sventrare e mangiare le interiora di creature che aveva imparato a conoscere ed apprezzare, mangiare è proprio l'ultimo dei suoi desideri.
«Halta è sotto sedativi, si riprenderà presto. A Curiel ed Ace stanno facendo delle trasfusioni, e Rakuyo è sotto osservazione per il trauma cranico e la ferita alla spalla; probabilmente c'era del veleno sulla lama, quindi è bene tenerlo sotto tiro.»
«Satch e Akemi?» domanda sbrigativo Fossa, dando così voce al timore più grande di tutti.
Li hanno visti venir portati via di peso, privi di conoscenza, pallidi come morti, sporchi del loro stesso sangue. Hanno anche visto le espressioni dei curatori quando li hanno presi in custodia, e non erano meno spaventate e disperate di quando hanno visto le condizioni di Fenrir.
Sospira forte, Arista, non trovando però il coraggio necessario per dire loro la verità. Il che è buffo, considerato che fino a poco prima non si era fatta il minimo problema a gettarsi in mezzo alla mischia.
In suo soccorso giunge prontamente Freki, che ha un minimo di tatto in più rispetto al Mietitore.
«Akemi si riprenderà. Ha la pellaccia dura ed è rimasta disperatamente attaccata alla vita fin'ora, dando così tempo al suo formidabile organismo di combattere l'argento anche mentre era ancora nel suo corpo.» spiega con voce abbastanza tranquilla, abbassando però il tono mano a mano che si avvicina alla seconda parte del discorso, quella più critica.
Quando sta per cominciare a parlare, però, un urlo da parte di un infermiere lo fa trasalire, accendendo in lui un sonoro campanello d'allarme.
Si porta subito in posizione di difesa, le zanne snudate e gli artigli pronti a lacerare ancora. Se qualcosa fosse riuscito a montare sulla nave, dovrà essere eliminato senza esitazioni.
Il problema, però, sta proprio nel fatto che qualcosa, un parassita, si è realmente imbarcato, rimanendo nascosto dentro al proprio ospite.
Dal sottocoperta, dalla quale proviene il fastidiosissimo e rivoltante odore di carne bruciata, sangue e disinfettante, spunta qualcuno. Qualcuno traballante, coperto con un camice bianco, i capelli disordinati che gli ricadono sulle spalle e le gambe martoriate che riescono miracolosamente a reggere il suo peso.
I presenti lo guardano sotto shock, non riuscendo a capacitarsi di come Satch, le cui tibie erano state spezzate, riesca a starsene in piedi senza l'ausilio delle stampelle.
Freki, che scemo certo non è, si muove lentamente di lato, cercando di restare fuori dalla sua visuale, fino a raggiungere il fratello stremato ma al contempo attento.
«Passamela.» mormora al suo orecchio dopo essersi scambiati un'occhiata d'intesa.
Il minore gli porge l'oggetto richiesto, tenendolo avvolto dentro ad un pezzo di stoffa scura.
«Være forsiktig.»
Freki annuisce, tenendo sotto tiro il pirata che viene stretto amorevolmente dai compagni. C'è chi gli urla che è un incosciente, che non doveva alzarsi dal lettino dell'infermeria; c'è invece chi piange dalla gioia, non riuscendo a separasi da lui.
Nessuno, tranne gli immortali, si accorgono di quei dettagli allarmanti: le gambe improvvisamente rigenerate e capaci di sostenerlo, le ferite quasi completamente rimarginate... il fiato che diventa sempre più corto.
Ma i Comandanti non vi badano minimamente: perché mai dovrebbero farlo?! Satch è vivo, sta bene!
Lo invitano a mangiare qualcosa con loro, a bere un po' di vino per riprendersi, ma il pirata rifiuta tutto ciò che gli viene proposto. È troppo intontito, troppo sconvolto e maledettamente confuso.
Freki, nel frattempo, lo avvicina con calma e lo convince a farsi legare, seppur in modo lente, una sottile catenella al collo per sicurezza. A contatto col metallo freddo e fastidioso, Satch comincia ad innervosirsi e dimenarsi, gesto che fa allarmare tutti gli immortali presenti.
Mimì alza di scatto gli occhi al cielo, notando che quelle fastidiose nubi che i lupi presenti hanno tanto maledetto si stanno diradando velocemente e subito capisce.
«State indietro...» mormora con il cuore in gola, abbassando gli occhi su Satch. Delle lacrime scarlatte sfuggono al suo controllo, mentre le braccia forti di Wulfric la stringono per impedirle di compiere qualche imprudenza.
«Che succede?» domanda Marco, provando ad avvicinarsi all'amico, venendo però bloccato da Killian.
«Stai indietro, Fenice. Non sarà un bello spettacolo.» lo avverte con voce solenne e subito dopo un urlo carico di dolore si leva in aria, facendoli voltare tutti quanti di scatto.

Satch si è accasciato a terra, le mani strette attorno alla testa che pulsa insopportabilmente, il corpo che continua a tremare, ricoperto di sudore.
«AIUTATEMI!» urla disperato, notando però che gli immortali si sono messi come scudi di fronte ai suoi amici e che Wulfric sta abbracciando forte la sua Mimì.
Riabbassa la testa, provando dentro di sé una rabbia che non aveva mai provato prima. Neanche l'essere stato rapito, aver visto la propria donna venir sventrata come un pesce davanti al propri occhi... nulla. Niente è paragonabile all'odio e alla rabbia che sta provando in questo istante.
«Sarà morto tra trenta secondi.» sentenzia Týr, apparso dal niente come è solito fare, aiutando i compagni a creare un solido cerchio attorno all'uomo, così da aver più campo d'azione.
«Cosa?!» urla Izo, che subito prova a scavalcare un enorme Windigo, tra gli ultimi della sua specie. Il tentativo fallisce miseramente e l'immortale, giusto per fargli capire quanto la situazione sia grave, lo afferra per le spalle e se lo mette davanti, consentendogli di vedere.
«Il cuore di un licantorpo è più grosso di quello di un essere umano, ma per allargarsi, prima deve smettere di battere. In altre parole: avrà un infarto. Tutti gli altri organi interni subiranno lo stesso trattamento. I primi a collassare sono il fegato e i reni.»
Satch di colpo smette di urlare. Alza a scatti la testa con la bocca spalancata, gli occhi fuori dalle orbite e la catena ben stretta al collo nerboruto.
Molti dei presenti vorrebbero intervenire per aiutarlo, per lenire questo suo male, ma ci sono troppi licantropi esperti in mezzo a loro che mai e poi mai lasceranno che ciò accada.
«Non è perché non sente più dolore, ma non può più urlare perché le corde volali e l'esofago si sono lacerati e non può emettere alcun suono. A questo punto l'ipofisi dovrebbe fare gli straordinari, inondando l'organismo di endorfine, ma è ormai fuori uso anche quella.» spiega con il solito tono menefreghista Týr, osservando quella creatura che muore e rinasce.
Satch si accascia al suolo, sbattendo i pugni sulla superficie lignea del ponte. La pelle gli prude insopportabilmente per lo spuntare del folto manto nero. I muscoli delle braccia e delle gambe si tendono, tanto da strappargli letteralmente la pelle, imbrattando di sangue il ponte.
Sgrana gli occhi, percorso da uno spasmo, e le ossa nelle ginocchia scrocchiano. Le gambe si piegano innaturalmente, assumendo una forma diversa, diventando sempre più lunghe e muscolose, ricoperte da una folta pelliccia nera.
Si piega in due e geme di dolore quando la cassa toracica si allarga di colpo, quando sente la spina dorsale spezzarsi e poi ricomporsi.
Rabbrividisce per il dolore e delle lacrime gli rigano il volto ricoperto di peluria.
La mascella si frantuma e i connotati del suo bel viso cambiano, diventando più animaleschi: i denti si allungano, trasformandosi in zanne candide e affilate; le orecchie troppo grandi gli permettono di sentire qualsiasi cosa, pure i battiti cardiaci accelerati dei compagni; gli zigomi si ingrossano e si alzano, facendo risaltare gli occhi d'oro liquido come due piccole fessure nell'oscurità; l'olfatto sopraffino gli fa bramare con un'intensità inimmaginabile il sangue dei suoi stessi fratelli.
Alza di scatto il muso, provando a scattare contro Marco per affondare le zanne nelle sue viscere, per togliersi così quel desiderio angosciante dal cuore, ma la catena che Freki gli aveva precedentemente messo al collo diventa improvvisamente stretta e l'argento compie il suo lavoro, facendolo guaire forte per il dolore e distogliendolo dai suoi istinti omicidi, dando così il tempo a Killian di saltargli in groppa ed iniettargli nella collottola un infuso di calmanti misto a qualche goccia di strozzalupo.
Satch prova inutilmente ad alzarsi, a scappare in cerca di prede più facili, ma i due antichi mannari se lo caricano in spalla e lo trascinano nelle viscere della nave, dove lo mettono ai ferri e lo tengono sotto stretta osservazione.
I presenti respirano affannosamente per lo stupore, cercando una risposta che però non arriva. Nell'aria risuonano solo i discorsi senza senso di Týr, che cammina con passo quasi danzante verso l'alloggio di sua figlia.
«Dovrebbe essere morto, ma qualcosa glielo impedisce. È questo che trovo incredibile: viene trascinato all'Inferno ma lasciato in vita, cosciente perché possa sopportare ogni secondo di quella sofferenza. Niente di tutto questo nasce dall'evoluzione: sono le creazioni degli déi!» prima di sparire nell'ombra si volta verso di loro, mostrando il solito ghigno perverso «Sono creature piene di rabbia e odio... perfette
Nessuno dice niente. Sono così scossi che non saprebbero neanche cosa dire.
Continuano a fissare il punto in cui il compagno è sparito, domandandosi come dirlo al capitano e, soprattutto, come risolvere la situazione. Per quanto ne sanno, non c'è alcuna cura per la licantropia.
Kakashi, fregandosene delle urla dei medici e di Geri, ha afferrato una stampella ed è uscito a fatica sul ponte. Gli girano le palle come le pale di un elicottero per essere stato mutilato, ma confida di poter ricevere una bella protesi come quella di Hidan.
Quando però ha visto Satch, imbottito di calmanti e aconito, caricato sulla spalla di Freki come un sacco di patate, ha capito che, forse, forse, non gli è andata così male. Dover fare i conti per l'eternità con un'entità maligna che vive dentro di te e si scatena una volta al mese non è il massimo della vita.
«Avete delle facce orrende!» afferma con una certa allegria, portandosi in mezzo ai pirati con una certa goffaggine. Si siede poi su una pila di scudi nemici, osservandoli distrattamente per scegliere quello migliore da appendere ad una delle pareti della cucina.
Tra i pirati di Barbabianca, il primo a ritrovare la voce è Namiur, che si butta a terra come se la forza di gravità, improvvisamente, lo schiacciasse.
«Come faremo con lui adesso? Nella sua condizione sarebbe troppo pericoloso intrappolato sulla nave.» mormora sconcertato, dando vita alla più grande preoccupazione di tutti.
Kakashi si volta verso l'uomo-pesce, reclinando un poco la testa sulla spalla destra.
«C'è solo una cosa che potete fare in questo caso.» risponde tranquillo, rigirandosi tra le mani un pugnale affilato che ha attirato la sua attenzione in mezzo a quelli presi sul campo di battaglia.
«Non lo uccideremmo mai, razza di stronzo!» gli urla contro Kingdew, rabbrividendo leggermente quando il vampiro rizza la schiena e lo fulmina con lo sguardo.
Si alza sgraziatamente reggendosi alla stampella e si avvicina saltellando al pirata, portandosi a pochi centimetri dalla sua faccia: «Intendevo dire che dovrete prolungare la vostra permanenza ad Helheimr, coglione

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Una tempesta in mare aperto è qualcosa con cui non si può scherzare. Non si può sfidare così apertamente la catastrofica forza della Natura quando a bordo della tua nave ci sono feriti tanto gravi che un semplice movimento brusco potrebbe ucciderli.
È per questa ragione che Týr e Wulfric hanno deciso di allungare il percorso per tornare a casa, così da poter evitare una tempesta che si stava verificando proprio lungo la loro rotta.
Con questo cambiamento, durante il quale ogni singolo ferito è stato monitorato ogni secondo da chiunque fosse capace di stare in piedi e non vomitasse di fronte alle loro atroci ferite, hanno impiegato due giorni in più per tornare all'isola dove, ad attenderli pazientemente, hanno trovato Astrid, i due principini e tutti gli abitanti rimasti all'isola.
Quando la donna ha visto le condizioni in cui versavano la figlia e il marito è rimasta fredda come il ghiaccio, ordinando semplicemente che venissero condotti immediatamente nei loro alloggi e che venissero curati al meglio.
Týr l'ha guardata dritto negli occhi, leggendovi dentro un tale sgomento che per poco non è scoppiato in lacrime pure lui. È stata la sola presenza dei gemelli ad impedire loro di sfogarsi, per non turbare le loro giovani e ansiose menti.
Ed, zoppo ed esausto, si è trascinato fino ai due fratellini urlanti e, sostenuto dalla zia Jena e da Ginevra, ha dato loro l'orrenda notizia, stringendoli a sé con quanta forza gli rimaneva in corpo.
Jena, distrutta per la perdita del fratello, si è caricata in braccio la bambina e se ne è andata a testa bassa, senza chiedere il permesso a nessuno. Vuole restare sola a leccarsi le ferite, a consolare i giovani nipoti che da adesso sono figli suoi.
Barbabianca, stanco, affaticato dalla malattia e mortalmente in pensiero per la vita dei propri figli, si è commosso nel vederli scendere tutti quanti. Sì, ha visto che molti sono feriti, gli è stato detto della trasformazione di Satch e delle condizioni difficili in cui si trova Pugno di Fuoco, ma si è commosso lo stesso ed ha abbracciato con forza Týr: lui, l'uomo che per mesi lo ha fatto dannare e, ne è sicuro, gli ha pure abbreviato la vita con tutte le sue follie, gli ha riportato i suoi figli vivi.
Wulfric, dopo aver consegnato Kakashi ad un medico di cui si fida ciecamente, lo stesso che costruì la protesi per Hidan, lo avvicina calmo e lo prende sotto braccio.
«La guerra è stata dura, ti basti sapere questo.» afferma secco, costringendolo a seguirlo.
«Tutto qui quello che hai da dirmi?» domanda beffardo il pirata, guardandolo dall'alto in basso. Non gli piace il modo in cui si muove, il modo in cui parla, il modo in cui respira, ma al tempo stesso gli piace la sua compagnia, la sua intelligenza e il suo sarcasmo sottile.
«Ti racconterò i dettagli quando ti sarai ripreso dall'operazione.»
Barbabianca non ha neanche il tempo di contraddirlo che un grosso ago gli si conficca nel collo e presto, ma non troppo da impedirgli di bestemmiare anche nella loro lingua, perde i sensi.
I suoi aiutanti se lo caricano in spalla e lo trasportano d'urgenza in sala operatoria, come era stato ordinato loro prima ancora che partissero.
Wulfric è così: lui programma ogni cosa che reputi importante, e per questo aveva pianificato di fare l'intervento appena tornato dalla guerra. Perché lui sapeva che sarebbero tornati. Sperava certo con qualche truppa in più, ma alla fine è costretto dagli eventi a farselo andar bene.
Si volta verso il suo Signore, intento a discutere animatamente con Astrid e, scuotendo sconsolato la testa, semplicemente se ne va. Sarà un'operazione difficile la sua, dovrà aggiustargli il cuore così che possa reggere per altri anni di navigazione, non ha tempo da perdere con i loro battibecchi.
Se solo si fosse concentrato di più, si sarebbe accorto che non stanno discutendo affatto: stanno solo parlando, si consolano come meglio possono fare, e decidono cosa fare.
Astrid, Imperatrice reggente, colei che deve prendere le decisioni nel caso il compagno sia impossibilitato, gli ordina, con tono incredibilmente docile, di occuparsi del funerale di Freya e poi di andare dalla figlia.
«Io devo stare al fianco di mio fratello.» sibila nervoso ed Astrid, lasciando i presenti di stucco, gli carezza dolcemente la guancia.
«Tu pensa a tua figlia, mio dolce Re. Io penso al nostro Fenrir.»
Si rende conto solo in questo istante, Týr, che ormai non può più mettersi in mezzo tra loro, non può più essere lui a vegliare su Fenrir: ora tocca ad Astrid.
Però, se ci pensa, la donna gli sta regalando un periodo testa a testa con sua figlia, la creatura per la quale è morto col sorriso sulle labbra. Sua figlia... che ha qualcosa di strano.
Afferra una cassa di legno e vi sale sopra, osservando con attenzione tutti i presenti.
Sanno cosa sta per dire, sanno come si svolgono i funerali tra i fedeli agli Æsir, ma rimangono tutti in religioso silenzio ad ascoltare le sue parole: «Chi morirà con lei?»
È una domanda superflua la sua: tutti sanno già chi andrà con Freya. Dopo aver terminato la frase, infatti, la voce di Genma si leva, forte e chiara: «Io.»
Il Re lo avvicina e gli mette una mano sulla spalla, guardandolo dritto negli occhi. È una scelta coraggiosa la sua, e per questo ha tutta l'intenzione di onorarlo come un dio fino al momento finale.
«Non appena la cosa viene detta diviene obbligatoria e non ci si può più sottrarre.» non che Genma ne abbia la più che ben minima intenzione, non quando ha perso tutto ciò per la quale continuava a vivere nelle vesti di un mostro, ma gli è stato comunque ricordato.
Detto questo Týr lo affida in custodia a due giovani ninfe, affinché lo sorveglino e soddisfino qualsiasi suo desiderio.

Durante le diciassette ore che lo separano dal solenne funerale, il giovane lupo non fa altro che bere e mangiare, senza concedersi il piacere di una donna o il sollievo di qualche ora di sonno. Rimane vigile, per quanto il buon vino glielo conceda, e guarda i preparativi della cerimonia.
Alcuni dei Comandanti, affascinati da questo rito, aiutano per quanto è loro possibile.
A Barbabianca è stato concesso l'onore di poter assistere sulla sedia a rotelle, attaccato ad un numero spaventoso di flebo, con Wulfric sempre al suo fianco. È stata un'operazione complicata, ma alla fine ben riuscita. Secondo i pronostici dell'antico vampiro, ha ancora molti anni di navigazione da affrontare adesso, purché si attenga alle indicazioni del medico.
Trascinandolo da una parte all'altra, gli ha permesso di assistere alle preghiere agli antichi déi, ai sacrifici animali per la vittoria e per la gloria di Freya nel Valhalla. Gli permette pure di assistere alla preparazione della tomba dell'antica Lothbrook.
I costruttori hanno tirato la nave della donna sulla riva, eretto dei pali di betulla ed altro legno così da creare un giaciglio, coperto da pregiate coperte e cuscini.
È proprio lì, in quel tetro crepuscolo , che vi posano Freya, circondata da cibi prelibati e vini, le sue armi e tutti i suoi preziosi averi.
Subito dopo Týr, che si è assunto il compito di incarnare l'Angelo della Morte, fa condurre il giovane lupo davanti a sé, intontito dalle droghe che gli sono state somministrate per alleviare il dolore, lavato e unto con oli profumati, e vestito con indumenti pregiati. Ed è in quel momento che gli taglia la gola.
Freki e Killian, che lo sostengono per le braccia, lo voltano verso i presenti e lo sollevano per aria, osservando tristemente la sua testa ciondoloni abbandonata all'indietro.
«Se, der borte ser jeg min far.»
Lo abbassano delicatamente e di nuovo lo sollevano.
«Se, der jeg ser min mor, og mine søstre, og mine brødre.»
Lo abbassano e sollevano per la terza volta e per la terza volta continuano con l'antica preghiera.
«Se, der jeg ser min blodslinje,
Se, ring meg.
De spør meg om å ta min plass blant dem,
Innenfor murene til Valhalla!
Hvor den modige kan leve
I Evig!»*
Poi Týr, che è il parente più prossimo della ragazza, prende un pezzo di legno e accende un fuoco, venendo poi imitato da tutti i presenti, inclusi gli uomini di Barbabianca, che vogliono rendere omaggio alla coraggiosa guerriera.
Essendo in troppi, però, si trovano costretti a passarsi la torcia di fuoco di mano in mano, fino a farla giungere al capitano che, assieme agli esponenti maggiori dell'isola, la lancia nella catasta di legna sotto la nave.
In breve le fiamme avvolgon, il padiglione, Freya e Genma, ed ogni cosa sulla nave. Comincia a soffiare un forte, terribile vento, così che le fiamme diventano più furiose e più intense, innalzandosi con lingue di fuoco indomabili verso il cielo plumbeo.
Týr, calmo e statuario come sempre, si avvicina a Barbabianca, affascinato dall'intenso spettacolo a cui ha appena assistito.
Lo guarda con attenzione, pensando che un domani, quando la situazione sarà più calma, gli spiegherà alcune cose, gli racconterà leggende e miti e, magari, lo convincerà a convertirsi a credere nei suoi stessi déi.
Alza per un istante gli occhi al cielo, sorridendo appena.
«Thor ha mandato il vento per aiutarli.» mormora quasi tra sé, abbandonando velocemente la spiaggia per poter andare dalla figlia, portata con urgenza nei suoi alloggi.
Come spesso accade, il Re ha ragione: trascorsa neanche un’ora, di tutta la legna e i due giovani non vi sono più che tizzoni e ceneri.

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Dopo tre giorni sedato su un lettino d'infermeria, Ace si sveglia a fatica, socchiudendo debolmente gli occhi, fisicamente distrutto come se un tir gli fosse passato addosso con tanto di rimorchio.
Sente ogni muscolo fargli un male lancinante, le ferite all'addome tirare quando prova a mettersi seduto, e subito una banshee lo blocca tenendolo per le spalle, ordinandogli con tono fermo di non fare sforzi e rimanere sdraiato.
Si guarda attorno, feriti ovunque, mostri che si prendono cura dei malati.
La luce gli massacra agli occhi.
Sente, improvvisamente, un dolce profumo di resina, sale e di licra... e gli sembra il più dolce profumo che abbia mai sentito in vita sua.
Allunga a fatica una mano dietro la testa, non senza provare un discreto dolore, e trova sotto alla sua testa una camicia di un giallo vivo. Una camicia sua.
«S-silly...»
Un'infermiera della ciurma, udita la sua flebile voce, lo avvicina con lacrime di gioia che le solcano le guance. Non avrebbe mai pensato che si riprendesse tanto velocemente.
Gli tampona la fronte con un panno fresco per abbassargli la febbre e poco dopo viene allontanata dal Primo Comandante, felice come poche volte in vita sua.
«Ho una cosa per te.» gli porge tranquillamente un foglietto stropicciato, la cui calligrafia all'interno è davvero difficile da decifrare.

Ace s'impegna con tutto sé stesso per riuscire a capire quale sia il messaggio, finché, colpito da un lampo di genio, finalmente riesce a comprendere quelle poche parole scritte di gran fretta: “Siamo stati interrotti, ricominciamo? Silly
Ace, a quel dolce e assai allettante e promettente invito, si alza a sedere di scatto, pronto a raggiungerla, venendo però bloccato da Marco.
«Non ci pensare neanche.» sibila a pochi centimetri dal suo viso, con un tono che non ammette repliche «Ti butterai nel suo letto tra qualche giorno, ok?»

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Ogni volta che crediamo di conoscere il futuro, anche solo per un secondo, questo cambia e non ci resta altro da fare se non scegliere la nostra prossima mossa. Possiamo scegliere di avere paura, di restare fermi a tremare, pensare alla cosa peggiore che potrebbe accadere. Oppure possiamo scegliere di fare un passo in avanti, nell'ignoto, con il solo pensiero che quello che accadrà sarà fantastico.
Akemi si ritrova in bilico tra queste due scelte da una settimana ormai, e proprio non sa che cosa fare. Non sa neanche cosa pensare, e sicuramente Týr non le sta dando l'aiuto sperato, visto che continua a farsi delle partite a solitario con un vecchio mazzo di carte.
La verità è che non si vuole esprimere, vuole che prenda da sola le sue scelte, ma comunque non ha intenzione di lasciarla sola.
Considerando poi che la giovane principessa si è rinchiusa nella propria stanza, tenendo ben alla larga chiunque, non può proprio evitarlo. Non vuole che stia in pensiero per le condizioni dei suoi compagni di ciurma, quindi funge anche da passaparola. E da cameriere. Già, Týr, il Re delle Tenebre, la creatura più scontrosa, sarcastica, pungente, viziata e fastidiosa che cammini sulla terra, si è piegato a soddisfare ogni capriccio della giovane e depressa figlia.
Qualsiasi cosa per un suo sorriso.
«Týr...» lo richiama con un filo di voce, nascondendosi sotto alle spesse coperte fin sopra la testa.
Il vampiro alza di scatto gli occhi glaciali sulla ragazza, osservandola con attenzione: a furia di rifiutare il cibo a causa della paura, dello stress e della depressione, si è ridotta ad un mucchio d'ossa. Ma l'ordine ricevuto è stato categorico: nessuno deve varcare quella porta.
Hanno mascherato il tutto con la scusa dello stress post-traumatico, ma sanno entrambi che non reggerà ancora per molto.
Si alza elegantemente da terra, Týr, avvicinandola e sdraiandosi sul letto al suo fianco, le braccia piegate dietro la testa, lo sguardo perso nel vuoto.
«Ho bisogno di te. Sempre. Perché... tu sei la mia persona.» mormora Akemi, imbarazzata.
«Che sdolcinata!» sfotte prontamente Týr, deciso a strapparle almeno un sorriso.
Akemi si volta di scatto, guardandolo con un misto di paura e speranza negli occhi di ghiaccio cerchiati da profonde occhiaie.
«Týr, tu sei la mia persona, sei parte di me. Per mesi siamo stati un'unica cosa! Se farò questo...» abbassa repentinamente lo sguardo, stringendo le mani con tale forza da lacerare la pregiata stoffa delle coperte «Ho bisogno di te. Devo sapere che ci sei, ho bisogno che mi incoraggi, perché sei l'unica persona che mi conosce veramente. Ho bisogno che fai finta che ce la farò anche se non ci credi. Perché se mi abbandoni adesso, sul serio non ce la farò.»
Týr le sorride dolcemente, scostandole una ciocca di capelli ribelli dal viso. Le sorride e per un istante Akemi sente che qualsiasi cosa andrà al proprio posto.
Poggia la fronte sulla sua, Týr, guardandola dritto negli occhi.
«Sai che sarò sempre al tuo fianco, anche se volesse dire combattere contro Odino in persona. Ma giuro che ti caverò le budella dalla bocca se farai la sdolcinata un'altra volta.»
Si guardano ancora dritto negli occhi e, seppur per un breve istante, riescono a trovare un lieve sollievo nella risata l'uno dell'altra.

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È ancora tutto buio.
Tante volte gli è successo di svegliarsi troppo presto, quando ancora tutto tace ed è possibile fare caso ad alcuni suoni e rumori che durante la giornata passano inosservati. Colpa dei pensieri, si è sempre detto.
Ma adesso non riesce a svegliarsi. È totalmente cosciente di quello che lo circonda da un paio di giorni ormai; sente il pianto di sua moglie al suo fianco, le vocine tristi dei suoi figli che, di tanto in tanto, vengono a fargli visita e vengono poi trascinati lontano da uno dei suoi soldati.
Sente la mano calda di Astrid sulla sua, sente le sue preghiere dolci affinché si svegli.
E lui lotta con tutte le sue forze per riuscirci, per riuscir ad alzare la palpebra per poterla guardare nei suoi bellissimi occhi chiari e dirle che va tutto bene. Ma per fare questo, gli ci vuole concentrazione.
Lentamente, con uno sforzo disumano, riesce a socchiudere la palpebra e, prima di ogni altra cosa, si guarda attorno.
I raggi del Sole filtrano tra le piccole fessure delle tapparelle, disegnando nella parete una sottile striscia di luce, come per delinearne il perimetro.
Cerca d’indovinare che ore sono, ma proprio non saprebbe dirlo, così come non saprebbe dire da quanto tempo è inchiodato in quel letto, da quanto è privo di sensi.
Dopo un momento di incertezza, volta lentamente il capo verso la compagna, che lo guarda con espressione stralunata. E non l'ha mai trovata tanto bella.
Il volto pallido ma gentile che vorrebbe riempire di baci, gli occhi intensi ed enigmatici che fisserebbe per ore; le rosee labbra, che nella sua mente si dispiegano nel perfetto sorriso che ha amato dalla prima volta che l'ha visto.
«Fenrir...» mormora con un filo di voce, stringendo automaticamente la mano esile attorno alla sua e gettandosi in avanti, ricoprendogli il petto bendato con le lunghe ciocche dorate dei suoi capelli. Lo bacia teneramente, a labbra socchiuse, con uno di quei baci che si protrae per qualche secondo e ti lascia quella piacevolissima sensazione di benessere.
Quando si separano, si guardano a lungo negli occhi, in silenzio, godendosi quella dolce sensazione di essersi ritrovati nell'oscurità.
Ma entrambi sanno benissimo che la notizia del risveglio dell'Imperatore farà immediatamente il giro dell'isola anche senza dare l'avviso. Infatti la chiassosa entrata dei gemelli non li sorprende per niente.
«PAPÀÀÀ!!!»
I due giovani principi si buttano con forza tra le braccia del genitore, superando senza sforzo l'ostacolo rappresentato dalla madre.
Fenrir geme appena per il dolore che questa festosa aggressione gli provoca alle varie ferite, ma non ha alcuna intenzione di separarsi dai due. Li stringe dolcemente a sé, sorridendo con fare paterno mentre i due piangono per la gioia di saperlo salvo.
«Avevamo paura che non ti svegliassi più...»
Sono in molti quelli accorsi ad assistere al suo risveglio, tra cui i pirati di Barbabianca. Il capitano, più di tutti gli altri, non vedeva l'ora che ciò accadesse per poterlo ringraziare.
Freki, trattenendo le lacrime di gioia che proprio non gli si adducono, gli si avvicina lesto e poggia delicatamente una mano sulla sua fronte per controllare la febbre, sospirando quando si accorge che ormai è passata anche quella. Ancora qualche giorno, e le ferite saranno perfettamente cicatrizzate.
«Come ti senti?» gli sussurra teneramente Astrid, afferrando sotto le braccia Floki e trascinandolo di peso a terra. Bjorn, più coscienzioso del fratello, si sposta da solo e si inginocchia sul materasso, osservando la scena con attenzione.
«Come se avessi un picchio che mi becca dentro al cervello, quindi se poteste evitare di urlare...» sorride mentre lo dice, Fenrir, facendo sorridere anche la consorte.
Legge però nei suoi occhi una velata preoccupazione, e questo lo mette subito sull'attenti.
Lascia vagare lo sguardo per la stanza, passando in rassegna tutti i volti, non riuscendo ad individuarne due.
«Dove sono Týr e Lilith?» domanda frettolosamente, provando inutilmente ad alzarsi dal letto per andare a cercarli di persona. Il dolore alle ferite e le mani forti del suo Beta, però, glielo impediscono.
Astrid si siede con cautela di fianco al marito, sospirando rassegnata mentre si passa una mano tra i capelli «Sono dieci giorni ormai che Lilith non esce dalla sua stanza. Týr è con lei e non permette a nessuno di avvicinarsi. Ha detto che ne dovrete parlare insieme.»
Fenrir ha ascoltato con attenzione le sue parole e, dopo aver cacciato l'orribile presentimento che fosse accaduto loro qualcosa di grave, scaccia con un gesto secco Freki e si alza velocemente, riducendo il suo bel viso solcato da molte cicatrici ad una maschera di dolore.
Collo, spalle, fianchi e arti sono pieni di morsi ricuciti; diversi lembi di carne sono stati trapiantati; l'orecchio destro lo ha definitivamente abbandonato e, come era prevedibile, Astrid gli ha sistemato i capelli così che non si possa notare.
S'incammina verso la porta con passo malfermo, venendo subito affiancato da Bjorn, intenzionato a non perderlo più di vista. Certo, finché qualcos'altro non attirerà maggiormente la sua attenzione, s'intende.
Astrid, indispettita, si fa largo in mezzo ai vari Comandanti che osservano con stupore la scena «Fenrir! Sei in mutande e ancora convalescente!»
L'uomo, per tutta risposta, prende sulle spalle martoriate i ben cinquantatré chili di muscoli del figlio e continua a camminare, ancheggiando in maniera vistosa per prenderla in giro e per sottolineare il fatto che non gliene può fregare di meno.
Halta, che si è totalmente ripresa ormai da quattro giorni dalla terribile botta alla testa che aveva preso, si volta verso la terribile Sovrana e le sorride con aria vagamente maliziosa «Certo che te li sai scegliere gli uomini.»
Astrid scuote la testa sconsolata, ridacchiando appena.
Poggia un braccio attorno alle esili spalle della pirata e si abbassa fino al suo orecchio, mormorando sorridente «Puoi scommetterci le palle, sorella.»

Chiunque lo veda passare per i corridoi scoppia in lacrime di gioia. Tutti, dal primo all'ultimo.
Da quando il suo corvo Huggin è volato via dal suo davanzale gracchiando a pieni polmoni la lieta notizia, tutta Helheimr si è risvegliata.
In quei dieci giorni sull'isola pareva essere calato un tetro velo che impediva loro quasi di respirare. Tutti coloro che erano distrutti interiormente dai lutti subiti, come i piccoli Banzai e Shenzei, si erano rintanati nelle proprie case a leccarsi le ferite. Ma con la rinascita del loro dio, della creatura così forte e coraggiosa da rischiare la propria vita per proteggerli da un'orrenda vita in catene, anche i più afflitti sembrano riaver acquisito vigore. Certo, il dolore nei loro cuori sarà sempre presente, ma adesso sanno con estrema certezza di poter rinascere con lui.
Fenrir saluta con un cenno del capo i presenti, appuntandosi di passare a salutarli come si conviene in un secondo momento e di accertarsi delle loro condizioni, finché non arriva davanti alla porta della nipote, alla quale bussa con poca convinzione dopo aver rimesso a terra Bjorn.
«Týr?» lo richiama, sentendolo chiaramente mentre si butta di peso contro la porta affinché nessuno possa entrare.
«Non ci sono, prova più tardi!» urla a pieni polmoni il minore, facendo sghignazzare debolmente Akemi.
«Týr, sono Fenrir.» si annuncia con tono più fermo il licantropo, voltando un poco la testa per osservare la calca di gente che lo ha seguito: sua moglie, i suoi figli, i pirati, il capitano, immortali di vario genere. Tutti, insomma.
«Fenrir? Sei sicuro, sicuro?» domanda dubbioso il vampiro.
Fenrir sospira esasperato dalla paranoia del fratellino, passandosi stancamente una mano sul volto stanco.
«Sono sicuro. Mi fate entrare?»
Un piccolo spiraglio si apre e fa capolino l'occhietto brillante e furbo dell'antico vampiro, che saetta da una parte all'altra. Guarda uno per uno i presenti con espressione infastidita, per poi ripuntare lo sguardo sul fratello.
«Solo tu.» sentenzia infine, assottigliando lo sguardo.
«Solo io.»
Detto questo l'uomo entra, trovando la giovane nipote seduta sul letto con la spessa coperta che le copre pure la punta delle orecchie.
Il caos che invade la stanza ha raggiunto livelli davvero imbarazzanti, tanto che non si sorprenderebbe neanche nel trovare in giro un'allegra famigliola di topolini.
Devo riprendere in mano la situazione, se non voglio che la mia isola diventi una discarica. Pensa innervosito, nascondendo lo sdegno dietro ad un sorriso tirato.
«Allora, mi dite qual è il problema?»
Si siede a sua volta sul letto, passando affettuosamente una mano tra i capelli scompigliati della nipote. Vorrebbe dirle che si è battuta egregiamente e che sarebbe onorato nell'averla nel suo corpo di guardia, ma si rende ben conto che non è certo il momento per proposte simili.
Týr gli mette davanti carta e penna, lo sguardo serio ed impassibile. Nessuno deve sapere cosa stanno per dirsi, non finché non giungeranno loro tre ad una conclusione. E quando il vampiro gli scrive cosa è successo, Fenrir si sente profondamente, mortalmente in colpa. Se non fosse stato per lui, se non avesse ceduto ad un suo capriccio, adesso lei non si troverebbe in un tale guaio.
Scrivono per ore e ore, così tante che per gli spettatori fuori dalla stanza sembrano secoli interminabili.
Wulfric, curiosamente ignaro di ciò che sta succedendo, inietta regolarmente calmanti all'imponente capitano affinché non ci siano complicazioni dopo l'operazione. Perché, si sa, un'operazione al cuore non è certo una passeggiata, e per quanto ben riuscita è sempre bene stare molto attenti.
Dopo quella che pare essere un'eternità, i due Sovrani finalmente escono dalla stanza con la testa china. Si guardano negli occhi, hanno paura delle conseguenze - e di Astrid -, e i presenti si sono ben resi conto che forse è meglio non assillarli con troppe domande.
L'unico che trova il coraggio di proferire parola è Freki, incapace di mordersi la lingua quando il suo Signore gli passa vicino: «Feromoni?»
Tutti gli immortali si voltano verso Fenrir e trovano una risposta positiva nel suo sguardo torvo.
«Non è possibile, lo sapete...» balbetta Killian, portandosi entrambe le mani tra i capelli.
«È più licantropo che vampiro.» sentenzia Wulfric, incrociando le braccia al petto mentre Sakura, che pare aver abbassato docilmente la cresta col compagno, gli cinge l'addome con le esili braccia.
«Esatto.» sentenzia Fenrir, venendo velocemente raggiungo dalla consorte, che quasi non riesce più a respirare per la sorpresa.
«Volete spiegarmi cosa sta succedendo?!» sibila minaccioso Marco, sin troppo in pena per la sorte della ragazza.
Týr gli rivolge uno dei suoi soliti sorrisini che vogliono dire tutto e niente, avvolgendogli un braccio attorno alle spalle e costringendolo ad incamminarsi verso quella dannata stanza.
«Ciccino, io ti avverto: pare che un bel micetto nero si sia sdraiato sulle sue gambe e non c'è stato assolutamente verso di farle fare la ceretta. Devi entrare, non farci caso e vedrai che andrà tutto bene
Marco, seppur titubante, si addentra in quel caos senza fine, cercando di scorgere la compagna in mezzo alla matassa di roba sparsa un po' ovunque.
Solo dopo qualche istante si rende conto che si è rannicchiata in un ammasso infinitamente colorato di coperte in un angolo della stanza, quasi volesse mimetizzarsi, e con calma le si avvicina.
Alla porta, nel frattempo, tutti assistono all'inevitabile.
«Akemi, dimmi che posso fare qualcosa.» mormora disperato l'uomo, impietosito dal suo stato sciupato, con il trucco colato, i capelli che sembrano il nido di qualche rapace, le guance scavate, le labbra screpolate e le occhiaie violacee sotto agli occhi.
Akemi sorride appena, cominciando a sfilarsi di dosso i vari strati di coperte usati come corazza, per poi ergersi in piedi, mostrando così il problema «Hai già fatto qualcosa, Marco.»
«Co- come?» ansima sotto shock il Comandante mentre fissa con occhi stralunati il ventre tondo della ragazza.
«Non siamo stati attenti.»
È forse la prima volta da quando lo conoscono che Marco ride. Non una risata isterica, non una risata falsa. No, una risata vera, di quelle che ti vengono del cuore.
Per un attimo i presenti si guardano confusi l'un l'altro, incapaci ci capire il perché di quella bizzarra reazione, ma si calmano quando lo vedono svenire di colpo, sotto lo sguardo preoccupato della futura mammina.
«È buffo: pure io ho reagito così quando Astrid mi ha detto di esserci rimasta.» afferma distrattamente Týr, punzecchiando con la punta della scarpa il comandante steso a terra.
«Sei svenuto?» domanda incredulo Rakuyo, trattenendo le risate. Dopo un evento simile, può già pregustare le prese per il culo che seguiranno negli anni avvenire.
«Sono andato giù come un morto! E sono pure caduto su un cactus, se vogliamo rendere la cosa ancora più comica.» continua a raccontare Týr, come se la cosa neanche lo riguardasse. Lancia un'ultima occhiata al pirata, per poi alzare la testa con un sorriso che va da un orecchio all'altro.
«Lasciamolo qui e andiamo a mangiare qualcosa, sto morendo di fame!»

Fenrir, dopo dieci giorni di flebo, mangia come se non lo avesse mai fatto e, allo stesso tempo, come se fosse il suo ultimo pasto. Ogni cosa viene gustata fino in fondo, ogni boccone assaporato e masticato con gusto. Neanche gli odori vengono tralasciati: ogni profumo è più buono quando la morte ha provato a prenderti.
A tenergli compagnia ci sono i gemelli, la cui fame pare non avere mai fine. Sì, ci sono persone al mondo con un forte appetito quasi inestinguibile, come Portuguese D. Ace, ma loro sono diversi: il loro organismo brucia in pochi minuti tutto ciò che viene ingerito per dare loro forza, così da combattere gli effetti dello strozzalupo che la madre gli somministra per rallentarne lo sviluppo.
Alcuni pirati hanno provato a rubare loro un boccone, all'inizio, ma quando si sono ritrovati due paia di diabolici occhi vermigli puntati addosso hanno desistito, accontentandosi di ciò che viene loro offerto da bere.
Non fanno conversazione, nessuno di loro, troppo presi dall'immagine incisa a fuoco nelle loro menti della piccola Akemi col ventre rigonfio.
Solo dopo un'oretta di ingozzamenti da parte dei tre Sovrani, Barbabianca si decide finalmente a parlare. In un primo momento avrebbe volentieri urlato a Wulfric di mettersi le sue fredde mani al culo e smettere di esaminarlo come una cavia da laboratorio, ma preferisce evitare per non scatenare i due piccoli e assai irascibili principi.
«Come mai è così debole?» domanda con tono greve, sorseggiando del . Sì, tè! Perché Wulfric gli staccherebbe di netto la lingua se solo si azzardasse a bere una goccia d'alcol prima del suo okay.
Fenrir, resosi conto di quanto lo spettacolo che sta offrendo sia assai poco dignitoso, rizza la schiena e si pulisce il mento con un fazzoletto, provando così a recuperare un briciolo di dignità e regalità, andata persa nel momento esatto in cui gli è stato messo di fronte un piatto pieno di pasta al sugo di carne.
«Il suo corpo non si è ancora del tutto adattato al morso e il feto semplicemente ha scombussolato ulteriormente il tutto, indebolendola molto. Ma non temete: si riprenderà in men che non si dica!» sorride cordiale, ignorando come meglio può l'occhiata glaciale della consorte. Era già stata una tragedia quando aveva donato alla ragazza il morso, il fatto che adesso sia così debilitata come indiretta conseguenza a quel gesto rende la situazione assai pericolosa. Non vuole davvero immaginare cosa Astrid potrebbe fargli nel sonno.
«Come fai a sapere tutte queste cose?» gli domanda Týr, innervosito dal suo atteggiamento sotuttoioevoisietesolodellesciocchecapre che lo ha sempre contraddistinto sin da quando erano umani.
«Sono un genio, ricordi?»
Astrid sbuffa sonoramente, non essendo psicologicamente preparata ad uno dei loro infantili battibecchi per cosa prive di importanza.
«Questo non ti giustifica.» sbuffa offeso il vampiro, incrociando le braccia al petto e arricciando le labbra come un bambino.
I gemelli, attratti dall'argomento, puntano gli occhioni rossi sul padre, aspettando una risposta più esauriente.
Il licantropo li guarda a propria volta, sorridendo di fronte all'espressione di Bjorn, con gli spaghetti che dondolano fuori dalla bocca.
«Tiro molto a caso.» spiega scrollando le spalle, facendo sorridere i due.
Per gli déi, quanto mi erano mancati!
«Questo sì.» sibila Týr, alzandosi in piedi di scatto e saltando sul tavolo. Alza in alto il proprio calice pieno di A-positivo invecchiato di quarant'anni e sorride fiero, puntando gli occhi in quelli dell'anziano capitano «Direi di brindare, no? Ai futuri nonni!»
«Non ai genitori?» controbatte prontamente Rakuyo, inarcando un sopracciglio.
Týr lo fulmina con lo sguardo, facendo schioccare la lingua contro il palato.
«Che si fottano, sono più importante io!» sibila convinto, non accorgendosi – per loro fortuna – dell'alzata di occhi al cielo da parte di Fossa, Kingdew e Satch.
«E tu non sei contento? Non solo sei padre di quasi duemila uomini, ma stai pure per diventare nonno! Una famiglia migliore di questa non la troverai mai.» afferma subito dopo, puntando il dito contro Newgate, che gli sorride incerto. E come potrebbe non esserlo? La sua bambina di pochi mesi è incinta di Marco, il primo che si unì a lui per mare, l'uomo che ha praticamente cresciuto. Una persona normale sarebbe già uscita di testa!
«Ah, tanto per mettere subito le cose in chiaro: dovrà chiamarmi zio. Sono troppo giovane per farmi chiamare nonno.» precisa Týr mentre si mette a sedere sul tavolo, calciando senza tante cerimonie uno degli invadenti nipoti che ha provato a sfilargli il calice di mano.
«Non ci pensare neanche! L'idea di “nonno Týr” è davvero troppo divertente.» controbatte prontamente Wulfric, mettendogli un braccio attorno alle spalle e scrollandolo un poco, rivolgendogli uno dei suoi rari sorrisi umani.
L'antico Re delle Tenebre però non si lascia abbindolare: si scosta il suo braccio di dosso e, con un rancore infinito, sibila: «Fottiti.»

Nel frattempo, in un'ampia e caotica stanza in stile gotico-burlesque, il Primo Comandante di Barbabianca, il temibile Marco la Fenice, apre lentamente gli occhi, ritrovandosi con le gambe stese in aria e un muso piumato a pochi centimetri dalla faccia. Due grandi orbite oculati di un allegro verde smeraldo lo osservano con attenzione, mentre la linguetta rosea slitta fuori dal piccolo ma affilatissimo becco.
Marco guarda il piccolo grifone con un sopracciglio inarcato, cercando di rimettere insieme i pezzi.
Ricorda vagamente di aver visto Satch correre allo stesso ritmo di Geri sulla spiaggia che era appena sorto il Sole. E ricorda di esserne rimasto alquanto sconvolto, soprattutto quando il suo grande amico si è lanciato senza neanche pensarci in un violento gioco di pugni e morsi con il suo nuovo amichetto.
Ricorda, bene o male, il brontolare sommesso del padre quando Wulfric gli ripeteva per la centesima volta cosa può fare e cosa no perché è stato operato al cuore.
Ricorda senza sforzo di essere stato spinto da Floki e di aver battuto la testa contro un tavolo e di aver deciso di lasciar perdere solo perché Fenrir aveva ripreso conoscenza.
Ricorda anche di averlo visto entrare nella camera proibita, dove nessun essere mortale o immortale ha messo piede per ben dieci giorni, e di averlo visto uscire sconvolto.
Ricorda di aver visto il viso tormentato di Akemi quando finalmente è riuscito a vederla, poi il buio.
Sa solo di trovarsi sul suo letto – e non sa spiegarsi come – con il muso di Filippo a pochi centimetri dalla sua faccia.
Potrebbe pensare a tante cose, davvero tante, ma l'unico pensiero che riesce a mettere insieme ed anche articolare come discorso, che viene sputato velenoso contro la piccola creturina,è : «Hai un alito pestilenziale.»
Filippo, che ha capito sì e no di essere stato offeso, si lancia a peso morto di sotto dal letto e corre verso il bagno dove si è chiusa la sua mamma. Gratta alla porta con gli artigli, emettendo dei suoni striduli per attirarne l'attenzione.
Quando poi la porta si riapre e la creatura si zittisce, Marco ricorda anche l'ultimo pezzo mancante del puzzle: la sua pancia stranamente gonfia. Ma non un gonfio da “Cazzo, ho mangiato troppe schifezze, devo mettermi a dieta”, no. È più un gonfio da “Non è colpa mia se ingrasso, è il bambino a pretendere più cibo!”
E in quel preciso istante, una voragine sotto ai suoi piedi si apre, inghiottendolo.
Un inferno torrido, pieno di urla cariche di dolore, caldo e freddo al tempo stesso.
Il suo cervello è in black-out totale di fronte al ventre rigonfio della compagna, che lo sfoggia con non poco imbarazzo. Si copre poi con delle coperte pesanti a più strati, cammina a piccoli passi per non inciampare e, se le fosse possibile, nasconderebbe per sempre la propria faccia nell'angolo più remoto del mondo così da non dover sopportare il suo sguardo.
Quando i loro occhi finalmente s'incrociano, Akemi accenna ad un sorriso tirato per provare – inutilmente – ad alleggerire la situazione e, lentamente, va a sedersi al suo fianco, tenendosi però a debita distanza.
Si sente strana, confusa e arrabbiata. Una parte di lei morirebbe più che volentieri per dare al mondo la creatura che cresce dentro di lei; un'altra parte non ha idea di cosa deve fare, dire o anche solo pensare, in qualsiasi circostanza; poi c'è lei, la rabbia, quel sentimento pericoloso che le fa venir voglia di decapitare a morsi pure Marco, l'uomo di cui non potrà mai fare a meno, ad un minimo movimento falso... e solo per proteggere ciò che porta in grembo.
«Mi domando se sono più debole io, o se sei tu ad essere ingrassato.» prova a rompere il ghiaccio così, con una battuta assai sciocca che non fa ridere neanche Filippo, placidamente appisolato nella sua enorme cuccia di fianco al letto.
Marco rimane immobile. Fissa il soffitto scuro, i ghirigori neri che si intersecano tra loro, il tutto accompagnato dal profumo di fiori freschi che invadono la stanza.
Si alza poi di scatto a sedere, come se la lucidità fosse tornata tutto in un colpo, e guarda dritto negli occhi la ragazza.
«Com'è possibile? Mi avevi detto di essere sterile!» le urla contro, incapace di contenersi.
Non vuole essere cattivo, lei non ha fatto assolutamente niente di sbagliato, lo sa bene anche da solo, ma deve sfogarsi assolutamente, buttar fuori il vomito di parole pungenti che tra poco lo faranno esplodere.
Akemi abbassa il capo per nascondere il rossore sulle gote, per poi spiegargli come, da quanto ha capito, è potuto succedere: «Era quello che credevo anche io, Marco. Evidentemente, però, farmi ulteriormente infettare col morbo della licantropia mi ha resa più... umana, ecco.» spiega abbassando con vergogna il capo, torturandosi le mani quasi fino a farle sanguinare.
«Cosa pensi di farne?» domanda secco Marco dopo qualche breve secondo di silenzio.
Akemi alza a sua volta la testa, reclinandola un poco sulla spalla destra.
«Cosa?»
«Vuoi tenerlo? Vuoi abortire? Vuoi tenerlo e poi darlo in adozione?! COSA?!» quasi urla Marco. È sotto shock, totalmente. Poteva aspettarsi qualsiasi cosa, davvero, qualsiasi, ma non questo.
«Calmati.» mormora col tono più gentile che riesce a trovare Akemi, passando istintivamente un braccio attorno al ventre gonfio.
«Come posso calmarmi dopo una notizia del genere?! Non sono pronto a diventare padre!» le urla addosso la Fenice, scattando in piedi come una molla. È furioso nel confronti del mondo, che sembra divertirsi a lanciargli contro palate di sfiga; ce l'ha con lei per non avergli detto di essersi lasciata mordere da un altro psicopatico; ce l'ha soprattutto con sé stesso perché ha rovesciato la sua rabbia nei confronti dell'intero cosmo solo ed esclusivamente su Akemi, che adesso sta piangendo.
Si passa, esausto, le mani tra gli indomabili capelli biondi e poi si inginocchia davanti a lei, tenendole tra le mani il viso segnato da lunghe scie scarlatte «Non piangere, no...»
Akemi lo lascia fare: lascia che le sue mani callose le ripuliscano le guance, che le sussurri che andrà tutto per il meglio e che troveranno una soluzione, sempre tenendo le braccia ben strette attorno al ventre per proteggere il suo piccolo tesoro.
«Neanche io sono pronta a diventare madre, Marco. Non so come fare, non ne ho idea...» mormora con un filo di voce, lasciandosi prendere una mano piccola e fredda tra le sue, così grandi, piene di cicatrici e calli «Ho bisogno del tuo appoggio!»
Marco tenta di sorriderle per rassicurarla ma, a giudicare dalla sua espressione, non c'è riuscito poi molto. E dopo una breve ma attenta riflessione interiore, ha capito cosa deve fare.
Le afferra il volto tra le mani, guardandola seriamente dritto negli occhi: «Ti avevo fatto una promessa. La manterrò.»

Non è difficile diventare padre. Essere un padre: questo è difficile.
Marco se lo ripete da ore ormai.
Se lo ripete da quando, un paio d'ore prima, ha lasciato trafelato la camera di Akemi, appena addormentata. L'ha lasciata lì, da sola a dormire abbracciata a quella palla di pelo e piume che la segue come un'ombra. L'ha lasciata e non riesce neanche a pensare di rimettere piede in quella stanza, non senza una soluzione.
Guarda Freki correre su per le gradinate che conducono alla porta principale, lì dove sta seduto a fumare da ore, e dall'occhiata di fuoco che gli ha rivolto ha capito che lei si è svegliata. Sola.
Stringe le mani attorno alla testa, cercando di cacciare tutte le immagini dei sacrifici che sua madre ha fatto per tirarlo su da sola.
Ricorda i suoi capelli castani sempre acconciati in una crocchia stretta ed ordinata, il volto pallido e scavato, gli occhi castani spenti.
Lei viveva perché doveva proteggere il suo passerotto, come lo chiamava amorevolmente lei, ma in realtà era morta. Era morta nel momento esatto in cui suo padre – che faccia abbia o quale sia il suo nome, Marco proprio non lo sa – l'ha abbandonata perché lei non voleva sbarazzarsi del bambino che portava in grembo.
Marco non doveva nascere, non era previsto. Non avevano i soldi per mantenere una famiglia, e l'uomo ha preferito prendere i pochi soldi che aveva e andarsene, condannandola ad una vita di stenti, ore massacranti di lavoro ogni singolo giorno, la schiena e le braccia a pezzi.
Marco è cresciuto così: i sorrisi tirati e amorevoli della madre sempre stanca che gli faceva sempre dei regali di seconda mano che lui amava alla follia, pranzo e cena racimolati alla meglio e baci sulla fronte prima di andare a dormire.
Sua madre era una donna forte, ha vissuto una vita lunga e faticosa – anche troppo – e poi si è ritirata in pensione, campando con quel poco che era riuscita a mettersi da parte e i piccoli tesori che il suo adorato passerotto le manda periodicamente.
Sua madre non lo ha mai fermato: gli ha detto di seguire il cuore, di domare quei mare così imprevedibili, e dare sfoggio di tutta la sua forza interiore.
Poi è arrivato Barbabianca. Tutt'oggi ricorda nitidamente il momento in cui l'imponetene capitano gli ha allungato una mano e gli ha chiesto di diventare suo figlio.
È questo il ricordo più bello, perché finalmente avrebbe avuto la possibilità di navigare i tanto temuti mari che tanto lo affascinano con una vera figura paterna al proprio fianco, pronto a rimproverarlo quando sbagliava, a tirarlo su di morale quando era depresso, a dargli consigli importante durante i suoi periodi neri.
Ed è proprio per questo motivo che adesso gli cammina incontro con la testa china, spegnendo l'ennesima sigaretta nel posacenere.
Gli cammina in contro e la scorta che Wulfric gli ha messo alle calcagna si dilegua, consapevoli che è una faccenda che devono affrontare da soli.
Era convinto che avrebbe trovato il suo sguardo colmo di bile e delusione, invece è relativamente tranquillo.
Rimangono in silenzio, camminando per quell'ambiente tranquillo di campi e boschi, senza alcun fastidio.
Marco punta i piedi a terra, la testa china e una vergogna bruciante nel petto.
«Padre senti... ho fatto il guaio e non so come uscirne.» mormora con voce tremolante, speranzoso che l'uomo che l'ha cresciuto come figlio suo lo consigli come ha sempre fatto nei momenti più difficili.
«Parlamene.»
Marco non ha il coraggio di guardarlo in faccia. Sente che sta per dargli una notizia sconvolgente, ed ha paura.
«Akemi è incinta. Il figlio è mio. Non ho idea di cosa cosa devo fare!» sputa tutto in un fiato, tenendosi sempre ben stretta la testa tra le mani.
Barbabianca, che da ore è ben consapevole della situazione in cui riversano i due giovani, sospira pesantemente, passandosi una mano sul volto stanco. Poggia poi le enormi mani sulle spalle del ragazzo, poggiando in ginocchio sinistro a terra, cercando un contatto visivo con lui. Non può parlare per esperienza, in quanto non si è mai ritrovato con donne gravide per le mani, ma può provare ad aiutare quel giovane pirata, ormai uomo, a trovare una soluzione. O, quando meno, a rassicurarlo.
«Marco, tu hai avuto la fortuna di amare una donna e avere un figlio da lei, anche se forse non nel momento giusto della vostra vita.» sospira pesantemente, facendo cenno a Wulfric di non avvicinarsi per dedicare a quella situazione tutta l'attenzione che merita.
«Avere una famiglia è la più grande avventura che un uomo possa desiderare, ma qualsiasi cosa deciderai per il bambino che sta arrivando, io sarò fiero di mio figlio e gli starò vicino, perché questa è la famiglia che io ho creato.»
Marco si agita, cammina avanti e indietro, cerca di venirne a capo.
In cuor suo non vuole abbandonare al creatura che sta per nascere al mondo, suo figlio, e condannarlo ad una vita di contentini. Vuole che abbia tutto ciò di cui ha bisogno, vuole proteggerlo dal male che sicuramente proverà a portarglielo via.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, una brutta consapevolezza gli trapassa la mente, e la sua bocca si muove senza neanche che se ne renda conto: «Mio figlio sarà immortale... non potrò seguirlo nella sua vita e aiutarlo quando ne avrà bisogno, come è successo a me. Cosa devo fare?» domanda davvero angosciato, trattenendo le lacrime.
«Se tuo figlio è immortale, sai già qual è la risposta. Ma avrai il coraggio di affrontarla?»
Nel suo cuore c'è una lotta furibonda, senza esclusione di colpi, finché la follia prende totalmente il sopravvento sulla ragion.
«Grazie!» il suo ringraziamento è un sussurro nel vento visto che ha subito ricominciato a correre, alla ricerca di chissà chi o chissà cosa.
E mentre Edward Newgare lo guarda allontanarsi, dal suo occhio sinistro fa capolino una piccola, ribelle lacrima di commozione.
Nonno Ed...

Ha corso senza sosta per cercarlo, ammutolendo violentemente la voce nella sua testa che gli urla a gran voce che sta facendo un'enorme stronzata.
Corre senza neanche sapere dove stia andando finché, come un'apparizione divina, eccolo lì, appollaiato su una sequoia a leggere dio solo sa cosa.
«Dobbiamo parlare!» gli urla dietro, senza sorprendersi minimamente nel vederlo saltare giù dall'albero e dirigersi nella direzione opposta alla sua.
«Non è necessario, credimi.» sibila nervoso, passandosi le mani tra i capelli corvini.
Marco non demorde, ormai deciso ad andare fino in fondo. Otterrà ciò che vuole, costi quel che costi, anche se dovesse implorarlo.
Gli corre dietro e lo afferra per un braccio, costringendosi a rimanere impassibile quando questi gli rivolge un'occhiata glaciale.
Punta gli occhi nei suoi, e con decisione ordina: «Dammi l'immortalità!»
Týr sapeva che sarebbe successo, prima o dopo. In cuor suo sperava che accadesse molto dopo, una volta risolta tutta quella spinosa situazione, ma aveva preso in considerazione che l'uomo non avrebbe aspettato, e non vuole che vada da qualcun altro, qualcuno che potrebbe ingannarlo.
«Seguimi.»

Che il palazzo di Fenrir fosse immenso, Marco lo aveva capito quando lo vide la prima volta, ma non immaginava che fosse cosi immenso, pieno di passaggi segreti che conducono a sale spoglie e tetre.
È in una di queste stanze che lo ha condotto frettolosamente Týr, tirandolo per un braccio. Ha aperto un passaggio nella parete senza che Marco riuscisse a vedere come, e poi gli ha fatto scendere delle scale ripide e strette, che li hanno condotti in una piccola sala circolare.
Ad un primo impatto, in effetti, è una semplice aula in disuso con le pareti e il soffitto basso di pietra, da cui, appese a delle catene, pendono lampade rotonde e verdastre. Di fronte all'entrata ci sono due tavoli con almeno un dito di polvere, affiancati più in là da una poltrona sul verde acido, scuro e in cuoio nero. Ci sono anche una piccola lavagna e un armadio in legno amaranto. Lungo le pareti sono stati fissati un diverso numero di scaffali, sulle quali sono poggiati i più svariati barattoli con organi umani, cuccioli nati con deformazioni e cose di questo genere, il tutto conservato nella formaldeide. L'aria è pesante e il pavimento, come ogni altra superficie, è impolverato.
Si guarda attorno circospetto, Marco, esplorando con lo sguardo quel luogo con gli occhi intrisi d'ansia. Tutto d'un tratto il cuore ha preso a battergli all'impazzata, poiché ha realizzato a pieno cosa stava per accadere.
«Perché mi hai portato qui?» domanda con un filo di voce, osservandolo con una certa curiosità mentre accende delle candele all'interno a quelle lampade tonde e verdastre.
«Perché qui non viene mai nessuno e nessuno dovrà sentirci, sennò ci impedirebbero di fare ciò che ho in mente di fare.» risponde sbrigativo il vampiro, spostando fialette per lui inutili e vecchi tomi di cui si era dimenticato l'esistenza, fino a trovare ciò che cercava: il Lemegeton.
«Cosa hai intenzione di fare?» gli domanda incerto il bucaniere, inarcando un sopracciglio con aria scettica.
Týr sfoglia veloce le pagine ingiallite e sottili del vecchio libro che ritrovò millenni prima insieme a Wulfirc, nella tenda di uno stregone. Ucciderlo non era stata una passeggiata, ma ne era valsa la pena: era l'unico essere umano ad aver scoperto come richiamare a piacimento e controllare i Demoni.
Trovata la pagina che cercava, si volta di tre quarti verso Marco, osservandolo da sotto la folta frangia corvina.
«Prima di spiegartelo, devi esserne davvero sicuro, Marco. L'eternità è molto lunga.» la sua voce è bassa, roca, spettrale. Vuole che capisca che non è un gioco, che non si torna indietro. «Vedrai morire tutte le persone che conosci, e con Lilith le cose potrebbero non andare. Dimmi: ne vale davvero la pena?»
Marco si lascia sfuggire una lieve risata, passandosi una mano dietro al collo. È stupito dal fatto che Týr pensi davvero che lo faccia per lei!
«Akemi porta in grembo mio figlio, Týr. Non ho intenzione di farlo crescere senza un padre come è successo a me.» risponde piatto, camminando a grandi falcate fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo viso «Quindi sì, ne vale la pena.»
Sorride, Týr, sorpreso. Pensa con attenzione alle sue parole, scrutando nel dettaglio l'espressione maledettamente determinata dell'uomo, e non riesce a tenere a freno la lingua: «Sarai un buon padre, ragazzino.»
Il vampiro torna a concentrarsi sul proprio libro, la fronte corrugata dallo sforzo di tradurre quelle antiche annotazioni ai lati del testo. Non può permettersi di sbagliare alcun passaggio: non avrà una seconda occasione.
Impugna una vecchia scopa e comincia a spazzare velocemente a terra, raccogliendo contro le pareti tutto ciò che potrebbe risultare ingombrante. E lì, sotto a quello strato di polvere, appare uno sbiaditissimo e bizzarro cerchio.
Non ha il tempo adesso, Týr, di rimetterlo a nuovo, a quello penserà più tardi: adesso gli servono candele, incensi e profumi.
«Che stai facendo?» gli domanda attento Marco, senza perdersi nessuno dei suoi movimenti. Prende un barattolo, lo svuota, poggia il contenuto sulla prima superficie che ha sotto mano e poi rimette a posto il barattolo, e poi ripete il procedimento per almeno sette volte.
«Prendo tutto quello che serve per evocare il Dio della Morte.» risponde sbrigativo, cosciente che la loro assenza desterà non pochi – e giustificati - sospetti «Lo evocherò e gli imporrò di strapparti l'anima e di sigillarla nel mio corpo, così tu diventerai immortale. Se la cosa ti interessa, manterrai anche i poteri del Frutto del Diavolo, perché non morirai come invece succederebbe se ti vampirizzassi.»
«Cosa ti fa pensare che lo farà?» domanda scettico Marco, che quasi non ha sentito la seconda parte del discorso. Ora come ora, in effetti, è proprio l'ultimo dei suoi problemi.
«Diciamo che mi deve un favore.» sente gli occhi di Marco puntati sulla sua schiena, in un modo così fastidioso che ha la sensazione che potrebbe trafiggerlo al cuore solo con lo sguardo. Sbuffa scocciato e si volta, costretto a vuotare il sacco pur di farlo calmare ed essere assecondato: «In cambio dell'immortalità di Huggin e Munnin gli ho offerto cinquecento anime pure.»
Marco, che ormai non si sorprende più di niente con lui, si passa entrambe le mani sul volto stanco ed imperlato di sudore freddo, sospirando.
«Tu sei malato...»
Schiocca la lingua contro il palato, Týr, offeso dal suo commento.
Evidentemente non ha capito un cazzo di quello che gli ho detto prima. Meglio rincarare la dose!
«Sono molto attaccato alle mie cose e non sopportavo più il dover allevare un animale a cui inevitabilmente mi affezionavo e poi moriva tra le mie mani.»
Dallo sguardo che il biondo gli rivolge, sente una forte ondata di soddisfazione invaderlo: l'idea si sta facendo davvero nitida nella sua testa.
«Ho solo fatto ciò che chiunque con un potere come il mio avrebbe fatto.» butta lì come giustificazione, per poi ricominciare a muoversi come un furetto pazzo per la stanza.
«Forza, dobbiamo farlo subito e dobbiamo essere anche veloci!» afferma subito dopo con un sorriso furbetto in volto, di nuovo carico e deciso a fare tutto ciò che il suo adorato fratellone gli ha sempre vietato di fare.
«È una cosa tanto grave?»
«Stiamo evocando uno dei subalterni di Satana per strapparti l'anima e renderti immortale, usando me come contenitore. Tutto senza il permesso di nessuno. Tu che dici?» lo spinge di lato in modo brusco, buttandosi poi a terra in ginocchio.
Non lo ha portato in questa stanzetta polverosa a caso: oltre ad essere pressoché dimenticata, è totalmente isolata. È importante – se non fondamentale - scegliere un luogo isolato dove potersi concentrare per un'invocazione del genere.
Týr, sotto lo sguardo attento di Marco, comincia a tracciare sul pavimento il cerchio magico con una pietra sanguigna, detta ematite.
Il cerchio ha origini molto antiche e serve a proteggere l’incolumità dell’evocatore e, pur non potendolo identificare come un reale spazio fisico e materiale, ha la funzione di isolare le energie che possono distrarre e crea l'atmosfera adatta per i riti di evocazione.
All'interno del cerchio va disegnata una seconda circonferenza concentrica, dal diametro minore di circa trenta centimetri; entro questa, infine, ed alla stessa distanza, un ultimo cerchio. All’interno, poi, deve essere tracciato un triangolo ai lati del quale vanno poste due candele e alla base devono essere incise le lettere J, H, S, fiancheggiate da due croci.
«Sarà doloroso?» domanda incerto Marco, mentre l'idea di ciò che sta per fare si materializza sempre di più, facendogli sorgere mille domande a cui non è del tutto certo volere una risposta.
Týr in un primo momento rimane in silenzio, chinando la testa e rigirandosi la pietra tra le dita. Poi scrolla le spalle, volta il capo verso di lui e, con un sorriso malinconico, afferma: «Non ricordo cosa provai quando persi la mia anima.»
Dopo quella risposta che per Marco può significare tutto e niente, comincia ad aiutarlo come meglio può, facendo tutto ciò che gli dice di fare, come accendere le candele e rimettere in ordine i barattoli che ha spostato. Mentre esegue, però, non riesce a fare a meno di guardarlo mentre traccia sul pavimento strane scritte. Non chiede spiegazioni per il semplice fatto tutta quella situazione lo sta innervosendo troppo.
Accende un fuoco di carbone fuori dal circolo, sul quale poi entrambi bruciano i profumi e una candela per il Demone desiderato.
«Adesso entra nel cerchio» ordina duro e Marco ha modo di notare che una scintilla di paura gli illumina gli occhi. Týr, innervosito dall'idea di chiamare un Demone e dalla disobbedienza di Marco, ancora ben fermo al suo fianco, lo spinge per un braccio dentro al cerchio, puntando gli occhi nei suoi con rabbia «Una volta dentro, non azzardarti ad uscire per nessun motivo. Raccogli tutta la concentrazione e l'energia possibile. Hai bisogno di tutte le tue forze interiori per riuscire a completare l'incantesimo. Non lasciarti distrarre.»
Marco, provato dai recenti eventi catastrofici, sente un brivido di paura risalirgli lungo la spina dorsale, su fino al cervello.
Týr lo guarda mentre pronuncia distrattamente la formula che già conosce, ignorando le fiammelle che prendono sempre più vita ad ogni secondo che passa. Ignora pure la densa e bassa nebbia che invade tutta la stanza, rimanendo fuori dal cerchio che hanno disegnato.
Ignora ogni dettaglio, scorda ogni cosa. Non può far altro che osservare quell'uomo coraggioso che è disposto a dare via la propria anima pur di proteggere suo figlio ancora non nato.
Sappi, Marco, che il tuo non sarà un compito semplice. Anzi, sarà il più difficile della tua vita! Ma non per questo non sarà bello... Credimi: sarà meraviglioso.
Diventerai un nuovo tipo di uomo, qualcosa che non avresti mai pensati di poter diventare. Ti spaventerai spesso, i tuoi pensieri saranno tutti incanalati verso tuo figlio.
Prendi me! Io faccio tutto ciò che è in mio potere fare per rendere felice mia figlia. Anche solo per vedere un suo sorriso, anche appena accennato! Probabilmente più tardi s'incazzerà di brutto quando scoprirà quello che ti ho fatto, ma voglio farlo lo stesso così che tu possa prenderti cura di lei e della creatura che porta in grembo.

Finito il richiamo al Demone, quella supplica detta quasi con disprezzo, chiude il libro e lo butta a terra, rigirandosi frettolosamente. Dà le spalle a Marco, ormai vicino ad una crisi di panico, e chiude gli occhi. Chiude gli occhi e prega con tutto il suo cuore.
«Odin, gudenes far, hør mine ord. Hjelp oss med din sTýrke og visdom til å utføre denne vanskelige oppgaven. Jed, Týr Lothbrook, spør jeg deg å beskytte meg i løpet av denne prossessen og for å beskytte Marco Phoenix... min sønn. Jeg satte mitt håp i deg, stor Odin. Vær så snill!»**
La sua voce è appena udibili. Marco, a pochi metri da lui, ha capito solo “Odin”, “Lothbrook” e “Phoenix”. Ora come ora, però, considerata l'assurda situazione in cui si è cacciato, non se la sente particolarmente di fare tante domande.
I due si guardano per un breve istante negli occhi, impauriti ma determinati, e d'un tratto, con un fragore assordante, ecco che Sallos appare lentamente dall'ombra, avvolto in una densa nube di un grigio perlato. Ha l'aspetto di un vecchio pallido, con radi e lunghi capelli che gli cadono sulle spalle ricurve, e cavalca un coccodrillo, vecchio quanto lui.
«Týr...» biascica con voce flebile e canzonatoria il Demone, alzando i piccoli ed infossati occhi finché non riesce ad individuarlo. Sorride mellifluo, contento di rivedere l'unico immortale segregato sulla terra per cui nutre un intenso rispetto.
Il Demone lascia che il suo fidato destriero zampetti tranquillo e lento verso il pirata inginocchiato a terra, bloccandosi poi all'inizio di quell'odiosa barriera invisibile ma presente. Emette strani versi strozzati per sottolineare il proprio sdegno: voleva la sua carcassa!
«Perché non esci da quel cerchio?» lo invita il Demone, allungando una mano verso di lui.
Marco alza finalmente gli occhi su quella creatura che pare essere un tutt'uno con la bestia, e si trattiene dal rispondergli a tono come vorrebbe fare, ritrovando la diplomazia con cui bisogna destreggiarsi in quelle situazioni.
«I tuoi servigi mi sono stati caldamente raccomandati... ma non posso dire altrettanto per la fiducia.» si mostra freddo e a proprio agio, indossando quindi la solita maschera d'apatia che porta sempre. Deve farlo se vuole essere preso sul serio.
Il Demone, al contrario di ciò che Marco poteva aspettarsi, scoppia a ridere di gusto, con una voce stranamente acuta che, seppur lievemente, alleggerisce la tensione.
«Týr sa bene come destreggiarsi. Ammetto di nutrire un profondo rispetto per quella creatura.» afferma ridendo sonoramente Sallos, allungando una mano scheletrica sulla testa dell'imponente bestia infernale. Alza poi gli occhi piccoli e vispi sull'antico vampiro, colui che anche millenni prima lo guardava con quel misto di rabbia e devozione, deciso a prendersi ciò che vuole.
«Cosa posso fare per voi?» domanda semplicemente, accucciandosi così tanto sul coccodrillo da far sembrare che si stiano per fondere in un'unica deforme creatura.

«Ricorda che sei in debito con me.» sibila Týr, preoccupato dal fatto che quel Demone potrebbe decidere di raggirarli e fare di testa propria.
«Sono vecchio, Týr, ma la memoria è ancora molto buona.» scherza tranquillo il Demone, ben deciso a pagare il proprio debito. Per quanto si dica che i Demoni siano creature sanguinarie e inumanamente malvagie, non è del tutto vero: sono sì cattivi, adulatori della morte e portatori di sciagure contro i nemici di chi li invoca, ma sanno essere anche molto affabili con le creature con cui stabiliscono un legame interessante.
«Sigilla l'anima di quest'uomo in me.» ordina secco Týr, alzando il mento con aria fiera.
Sallos si gratta il mento, pensieroso, rispolverando dalla memoria quella vecchia tecnica che usava su antichissime popolazioni.
«È un procedimento rischioso... per tutti e due.» commenta disinteressante, in realtà emozionato dall'idea. Non è certo da tutti i giorni trovare un pazzo che decide di andare contro ad ogni legge della natura e dell'etica come lui!
«Fallo.» sibila l'antico vampiro e subito dopo si piazza con le braccia aperte davanti a Marco. Dà le spalle al demone, mostrandogli la schiena pallida segnata da mille battaglie, e guarda dritto negli occhi il coraggioso essere umano che ha deciso di sacrificarsi per la famiglia.
Sallos ghigna divertito dopo quell'ordine e si mette in posizione accovacciata dietro ai due, mugolando una serie di frasi che no, neanche Týr saprebbe ripetere o scrivere. Sa però che sta richiamando le forze del male a sé, che ormai mancano pochi secondi.
Sorride debolmente a Marco e poi chiude gli occhi, pronto ad abbracciare il Destino che si è scelto.
Marco, dal canto suo, si sente come appeso con un filo, pronto a schiantarsi giù da una montagna senza niente ad attutire il colpo. Capisce definitivamente di essersi sottoposto ad un evento che di colpo cambierà tutto, probabilmente frantumando in migliaia di schegge ciò che è adesso.
Ha giusto una frazione di secondo per mugolare "uh!" che il Demone li ha trapassati entrambi con la sua spada, dritto in mezzo al petto. Ma il dolore non è niente paragonato a ciò che avviene dopo, quando estrae la lama: con essa esce un qualcosa di luminescente, vivo, aggrappato disperatamente alla lama del Demone. Qualcosa che poi si deposita nel petto di Týr.
Un'ondata di stanchezza e nausea assale completamente Marco, privo di ogni energia.
Sbatte le palpebre più volte, cercando di mettere a fuoco ciò che lo circonda, ma la stanchezza è così pesante che non riesce neanche più a reggersi in ginocchio.
Cade a terra, batte forte la testa, sente di nuovo quell'insopportabile ondata di nausea, vede un velo grigio passargli davanti agli occhi e poi, semplicemente, il niente.

Quando le candele saranno bruciate completamente, l’incantesimo sarà compiuto.
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Angolo dell'autrice:
Eccomi di nuovo qui, miei dolci pasticcini al caramello!
Che dire... sto soffrendo tutt'ora. Non potete capire quanti siti mi sono dovuta girare, quante leggende ho letto, per riuscire a scrivere – seppur a cazzo, ammettiamolo – dell'incantesimo! NON POTETE CAPIRE!
Comunque, ci tengo a dire che odio essere finita in un finale così banale e scontato... spero comunque che a qualcuno di voi piaccia! ^w^
Oltre a questo piccolo sfogo, non so proprio cos'altro dire. Se avete qualche dubbio, MI RACCOMANDO, non esitate a chiedere!
Beh, che altro dire? Ci sentiamo alla prossima, con il penultimo capitolo! :D

 

Un grazie enormissimissimo a Lucyvanplet93, Monkey_D_Alyce, Chie_Haruka, Aliaaara, Yellow Canadair e KING KURAMA per le magnifiche recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo. Siete l'ammmore! :3

Un bacione a tutti

Kiki~


Angolo traduzioni:
*Preghiera vichinga:
Guarda, laggiù vedo mio Padre.
Guarda, laggiù vedo mia madre, e le mie sorelle, ed i miei fratelli.
Guarda, laggiù vedo la mia linea di sangue,
Guarda, mi chiamano.
Mi chiedono di prendere il mio posto tra di loro,
Tra le mura del Valhalla!
Dove i coraggiosi possono vivere
In Eterno!

 

**Preghiera di Týr:
Odino, padre degli déi, ascolta le mie parole. Aiutaci con la tua forza e la tua saggezza a svolgere questo compito difficile. Io, Týr Lothbook, vi chiedo di proteggermi durante questo processo e di proteggere anche Marco la Fenice... mio figlio. Ho messo la mia speranza in voi, grande Odino. Per favore!


PS: se a qualcuno potesse interessare, qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2472835&i=1 ho scritto una piccola songfic con i pensieri di Týr... roba inedita proprio! XD

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Capitolo 46
*** 46. In un attimo tutto può cambiare ***


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Ti prendo! Lo sai che ti prendo! Perché insisti a correre così tanto? Sei spacciato, vile ladruncolo attaccabrighe!
So che hai paura e fai bene, lurido farabutto! Tu mi hai rubato una cosa che mi appartiene: il
mio sandalo!
Sai, vero, che questo significa morte? Nessuno tocca ciò che è mio.
AH! Eccoti lì, piccolo ladruncolo da quattro soldi! Fatti sotto, coraggio, fammi vedere di che pasta sei fatto, Ser Procione!
No, aspetta! Che cos'è quell'affare che hai in mano? Una spada laser?! Beh, non ti salverà, Ser!


«Marco?»

Non ora Ace! Sto combattendo contro Ser Procione per riavere il mio sandalo e per farmi un bel colbacco con la sua pelliccia! Non posso distrarmi!

«MARCO!»
Si risveglia in uno stato di completa confusione. Rammenta vagamente che qualcosa non quadra, ma non riesce a ricordare cosa. In realtà ha dormito così profondamente per tre giorni che non ricorda nemmeno chi è, figuriamoci dove si trova. Si guarda intorno spaesato, cercando di individuare, nascosto dietro a qualche mobile, il terribile avversario che, ahimè, pare essersi dileguato.
Solo dopo un minuto buono Marco si rende conto che era solo un sogno, che i suoi sandali sono stati sistemati in una cassettiera vicino alla porta e che ad accerchiarlo ci sono i suoi fratelli. Li guarda incuriosito, cercando di ricomporre gli eventi più recenti.
Se non sbaglia – e non lo fa praticamente mai –, era entrato in una stanza segreta con Týr per fare un incantesimo che gli avrebbe tolto l'anima e reso immortale. Per curiosità vorrebbe vedere se pugnalandosi al cuore con un bisturi resterebbe vivo o meno, ma non se la sente del tutto. E' risaputo che Týr si divertirebbe molto a fargli un simile scherzo.
«Come ti senti?» gli domanda dolcemente Halta, passandogli un panno fresco sulla fronte.
Marco si volta verso di lei e la guarda dritto in faccia, facendo fatica a riconoscerla: i capelli sempre sgarbugliati di un castano poco definito, sono adesso leggermente più corti, portati all'indietro con qualche ciocca che sfugge e ricade lateralmente sul viso. Nota anche che sono di un castano più intenso, tendente al mogano, e che le dona molto.
«Grazie a te e Satch, adesso tutti dobbiamo subire le angherie della simpatica e dolce Astrid.» lo avverte con tono divertito, lasciandolo abituare ai cambiamenti generali.
Tutti i pirati sono stati tirati a lucido, vestiti con stoffe comode e pregiate che gli calzano alla perfezione; i loro capelli e le barbe incolte sono state sistemate a dovere, così da poter conferire loro un'aria più presentabile.
A Marco sfugge una lieve risata nel vedere Fossa con tanto di giacca blu scuro sopra la camicia di lino bianco, cosa che in realtà all'uomo non dispiace poi molto. Certo, preferisce di gran lunga le proprie vesti da pirata, la sua vita, ma può anche accontentare una donna vicina ad una crisi isterica per la gravidanza della figlia di quasi nove mesi. E così come può farlo lui, possono farlo tutti gli altri, lindi e profumati in piedi di fronte a Marco, l'unico che si è evitato acqua quasi bollente, spazzole che per poco non li scartavetrano e litri su litri di oli profumati.
«Perché per colpa mia?» domanda frastornato la Fenice, rimettendosi lentamente in piedi e bevendo delle lunghe sorsate d'acqua dalla brocca che gli porge Rakuyo.
«Hai messo incinta la sua dolce bambolina, Marco» sghignazza mentre risponde, Halta, facendo sbuffare il diretto interessato «E adesso Astrid ci vuole perfetti per la sua nascita, così che non subisca, parole sue, ulteriori traumi.»
Per un breve, brevissimo istante la donna lascia vagare lo sguardo sulla propria immagine riflessa e, seppur a malincuore, deve ammettere di non trovarsi poi così orrenda come credeva indossando dei pantaloni scuri stretti e un'aderente t-shirt bianca senza una manica. No, tutto sommato si piace. Però deve fargliela pesare, sia a lui che a lei.
«La colpa di Satch, invece?» domanda sempre un poco confuso ed intontito il Primo Comandante, alzandosi finalmente in piedi per andare a prendere la propria camicia viola appesa, lavata e stirata ad una cruccia vicino alla porta.
A prendere la parola stavolta è Ace, curiosamente lontano dal letto di Silly, nella quale ha praticamente vissuto per ben tre giorni: «Ti sei scordato che il genio ha chiesto a Mimì di sposarlo e lei ha accettato? Ecco, se te ne fossi dimenticato, è quello che ha fatto.»
Marco ridacchia appena, fissandosi la punta dei piedi scalzi.
C'è una domanda che gli rimbomba in testa e gli fa battere con forza il cuore, ma non riesce a darle vita.
Barbabianca, in piedi con le spalle appoggiate contro la parete ad osservare la situazione con un sorriso allegro che spunta da sotto i grandi baffi bianchi, decide di informarlo, come se gli avesse letto nel pensiero.
«Akemi sta riacquistando vigore molto alla svelta. Dopo che Týr ha permesso a Wulfric di esaminarla, le ha somministrato delle cure a base di vitamine, proteine, sangue fresco e tranci di carne cruda. Adesso sta bene.»
Marco annuisce appena, senza trovare il coraggio di voltarsi e guardarli in faccia.
Serve l'intervento di Izo, che lo afferra saldamente per le spalle e lo rigira verso gli altri, sorridendo allegro.
«Che ti prende, paparino?» lo sfotte prontamente, cercando di fargli capire che no, nessuno ce l'ha con lui.
In quei tre giorni di riposo forzato, indotto con dei potenti medicinali che Wulfric tiene ben celati agli occhi di Týr, Marco si è perso molte cose, che adesso andranno a spiegargli: Silly è stata proclamata tutrice di Satch, così che possa allenarlo ed aiutarlo a controllare la mutazione a piacimento; tra circa due mesi avverrà l'importante unione e pure lui, come tutti gli altri, dovrà partecipare ai preparativi per compiacere Mimì, così che non pensi troppo alla mutilazione; Barbabianca e Fenrir parlano sempre più spesso di un'alleanza effettiva e sembrano sempre intenti a parlottare dei dettagli, degli obblighi e dei divieti; pirati e immortali di vario genere, scoperta la gravidanza della giovane Lothbrook, le si sono rovesciati addosso come una secchiata d'acqua per poter anche solo sfiorare con un dito il ventre arrotondato, sperando di poter percepire i movimenti appena accennati del futuro erede.
«Abbiamo un regalo per te.» afferma distrattamente Fossa, spegnendo il proprio sigaro in un posacenere portato nella stanza appositamente per lui. Tanto era inutile dirgli che in infermeria non si può fumare, lo avrebbe fatto lo stesso, quindi tanto valeva dargli un recipiente dove buttare la cenere e i mozziconi.
«Cosa?» domanda incuriosito Marco, che a ricevere regali non è minimamente abituato. I sorrisi complici dei fratelli, poi, lo mettono particolarmente in allarme.
Mi sono ripreso da cinque minuti e già vogliono giocarmi un brutto tiro?, si domanda mentre si riveste, lanciando una fugace occhiata a Ace e Rakuyo che mangiucchiano i vari dolci che gli sono stati portati durante il suo stato semi-comatoso. Pure loro due lo guardano con un'aria furba che non lo convince per niente.
L'uomo con i dreadlock biondi si alza dalla propria sedia, stirandosi i pantaloni di jeans chiari con le mani, per poi prendere un pacchetto incartato alla meno peggio con della carta gialla e con un grosso fiocco lilla. Gli si avvicina velocemente, senza smettere di sorridere, e glielo porge entusiasta.
Marco, seppur con una certa incertezza, lo afferra e comincia a scartarlo, domandandosi tra sé e sé se davvero volevano che lo aprisse considerando gli strati di scotch con cui è stato sigillato. Quando poi riesce nell'impresa, si ritrova per le mani una cornice in legno di cedro e sfocate immagini in bianco e nero, che ai suoi occhi non sembrano nulla più di macchie d’inchiostro lanciate da un artista impazzito su una tela.
«Wulfric ha detto che era girato male e per questo non è capace di stabilirne il sesso.» spiega sorridendo sornione Ace, che non sta più nella pelle all'idea che tra poco – una ventina di giorni, a detta dell'antico dottore – potrà stringere suo nipote.
Marco è immobile, completamente rapito da quell'immagine confusa... dall'immagine di suo figlio.
Non lo credeva possibile, pur avendolo sentito dire, ma è convintissimo che non ci sia niente di più bello al mondo di quella chiazza chiaro-scura su quel pezzetto di carta.
«Ha detto che si stanno formando le strutture della colonna vertebrale e continuano a svilupparsi i vasi sanguigni e i polmoni. Inoltre le narici si stanno aprendo e le ossa si tanno indurendo; le orecchie sono perfettamente funzionanti e i suoi occhi sono aperti e in grado di percepire la luce.» a prendere la parola stavolta è Newgate che, insieme a Týr, ha assistito all'ecografia il giorno prima, trattenendo a stento le lacrime nel vedere il futuro nipotino muoversi nel ventre dell'adorata figlia. Certo, spiegare a Týr che è suo padre tanto quanto lo è lui è stata un'impresa titanica, tanto che sono dovuti intervenire i due Sovrani e gli è stato sparato in fronte un tranquillante per ippopotami, ma alla fine tutto è andato per il meglio.
Marco continua a stare immobile, suscitando una certa preoccupazione negli amici. Una crisi isterica, dopo tutto, potrebbero anche aspettarsela e comprenderla.
«Marco?» lo richiama incerta Halta, poggiandogli una mano sulla spalla.
L'uomo volta di scatto la testa con le lacrime che gli rigano le guance e un enorme sorriso gli si apre in volto.
«Questo è mio figlio...» mormora con un filo di voce, stringendo impercettibilmente il prezioso regalo ricevuto. Lo guarda e lo riguarda, imprimendosi nella mente ogni sfumatura.
Izo lo avvicina con un lieve sorriso ad increspargli le labbra sottili e lo scrolla un poco per la spalla per farlo tornare coi piedi per terra.
«Non pensi che sia il caso di condividere questo momento con la futura mammina? Sai, era piuttosto incazzata quando ha saputo quello che hai fatto. Ora non parla più con nessuno.» scrolla le spalle come per sottolineare il fatto che no, non sa perché si sia chiusa in sé stessa e che sì, deve sbrigarsela da solo.
Marco annuisce appena, dirigendosi sbrigativo verso la porta. Solo quando ormai è fuori si rende conto di un piccolo ma non trascurabile dettaglio: non ha idea di dove si trovi.
«Dov'è?»
Halta, che nel frattempo ha messo a sua volta le mani sulle varie leccornie portate al Primo Comandante, si volta e, con noncuranza, risponde: «Sulle rive del Lago Bianco.»
Prima che Marco possa andarsene, Vista lo riprende saldamente per le spalle e lo guarda dritto negli occhi, per poi mostrargli la mano fasciata: «Avvicinati con cautela: è diventata molto mordace!»

Il sole è alto nel cielo.
Gli alberi attorcigliano i rami tra di loro creando una specie di tetto di fogliame da cui entra una fioca luce solare, che illumina a fatica piccole parti del bosco.
I corvi volano tranquilli, perlustrando il territorio. Alcuni di loro sembrano giocare ad acchiappino, planando e riprendendo quota velocemente, starnazzando per richiamarsi tra loro.
Il sentiero in piccole pietre bianche che Marco ha deciso di seguire diventa più stretto e, con la coda dell'occhio, nota dei rari esemplari di Psychotria Elata, detta “Labbra Calde”, Habenaria Radiata, l'Orchidea Airone, e Phalaenopsis, l'Orchidea Falena, che indicano la stretta vicinanza con il Lago Bianco.
Avvicinandosi comincia a sentire il gracidare delle rane che, dapprima sulle ninfee, saltano di tanto in tanto in acqua e formavano un cerchio dentro l'altro.
Poi un canto leggero, un po' stonato, ma decisamente dolce. Segue quella voce, la stessa che riconoscerebbe tra mille, arrivando al limite del bosco, lì dove è situato il Lago. Seduta su una roccia, fasciata da un leggero abito azzurro, Akemi sfiora con la punta delle dita l'acqua limpida davanti a sé, carezzandosi con l'altra mano il ventre sempre più tondo e pieno.
«Imba wimbo - wa upepo - wakati unajiwa na
Imba wimbo - wa upepo - wakati ndoto tamu
Lala mpaka usiku uisheni
Upepo wa usiku - wimbo wanko na
Wimbo wangu inaendelea milele...»
«Non è che tu sia proprio intonatissima, eh...» sorride allegro, Marco, alzando le mani in segno di resa quando il cane zombie al suo fianco si alza e snuda le zanne, pronto a difendere la ragazza. Per un attimo il pirata si sorprende di quanta influenza Týr riesca ad esercitare su qualsiasi essere, vivo o morto che sia, ma decide di accantonare il pensiero per concentrarsi unicamente sulla ragazza che lo guarda con aria truce.
«Sono contenta di vedere che stai bene.» afferma secca, voltandosi di scatto dall'altra parte.
Battendo lievemente la mano sulla coscia richiama a sé Centurione, e la bestia torna a sonnecchiare al suo fianco, seguendo famelico i movimenti delle rane e dei pesci colorati che nuotano poco distanti dal suo brutto e deturpato muso.
Marco si avvicina tranquillo, consapevole che quella creatura non comporta alcun pericolo, e i suoi occhi vengono automaticamente magnetizzati dal ventre di Akemi, che pare essere ormai quasi al termine della gravidanza da quanto è grossa.
«Cresce alla svelta, eh?» commenta fingendo che la cosa non le preoccupi, mettendosi a sedere sul masso più vicino per poterla guardare in volto.
Regna un imbarazzante silenzio tra i due, rotto di tanto in tanto dal gracidare delle rane o dai rantoli del cane. Marco non sa cosa dirle, non adesso che la vede così nervosa, ma bastano pochi minuti perché Akemi si lasci andare e tiri fuori tutta la rabbia che si porta dentro da ben tre giorni.
«Perché lo hai fatto?» sibila scattando in piedi, puntando i pugni sui fianchi rotondi, fulminandolo con lo sguardo «Perché hai venduto la tua anima?!»
Marco, bene o male, sapeva che non l'avrebbe presa proprio bene. Più volte, quando tra loro le cose andavano bene e niente sembrava poterli toccare, lei aveva affermato che non avrebbe mai permesso all'oscurità che gravava su di lei di sfiorarlo; lui, senza dirle niente, ci si è buttato direttamente dentro, affogandoci di propria spontanea iniziativa.
«Mio padre mi abbandonò che io non ero ancora nato, Akemi. Hai idea di quanto faccia male? Hai idea di cosa voglia dire non essere desiderato ancora prima di essere venuti al mondo?» risponde il più pacatamente possibile il pirata, mentre dentro vorrebbe urlarle contro a sua volta, ribadire per l'ennesima volta che lei non ha il diritto di intromettersi nelle sue scelte perché è abbastanza intelligente da sapere da solo cosa è bene per lui e cosa no.
«Ci saresti stato lo stesso anche senza compiere quella cazzata, no?!» insiste Akemi, che non ha voluto ascoltare neanche le spiegazioni di Týr. Il vampiro ha provato in ogni modo a spiegarle che ora lui è completamente protetto, per sempre, che la sua vita sarà migliore e che il prezzo da pagare è stato ben più piccolo di quello che devono scontare tutti loro, ma lei non gli ha dato ascolto. Gli ha permesso di assistere all'ecografia, ma niente di più.
«Ci sarei stato, sì, ma non abbastanza a lungo. E io voglio esserci.» risponde con tono più basso Marco, alzandosi a sua volta per fronteggiarla.
«Hai fatto una cosa troppo grossa, Marco...»
Il pirata si passa le mani tra i capelli, urlando per l'esasperazione.
«Mi spieghi qual è il problema?! Il bambino sta risucchiando tutta la tua intelligenza e non ne hai più per capire che l'ho fatto per noi?! Sì, per noi! Per il bambino, per stargli vicino, e per te, perché è te che amo! Quindi puoi darti una calmata? Sennò viene fuori già disturbato!»
Marco è sempre stato un uomo razionale e pratico, decisamente non incline a crisi isteriche o discorsi tanto lunghi. Si è sempre limitato a dire la propria in maniera schietta, senza sbilanciarsi troppo. Ma questa volta non è riuscito a trattenersi: da quando Akemi è entrata nella sua vita, la sua razionalità ha cominciato a risentirne sempre di più, arrivando adesso al punto di rottura.
La ragazza rimane in silenzio, le braccia abbandonate lungo i fianchi e un'espressione stralunata in volto.
«È la prima volta che mi dici che mi ami...» mormora ancora sotto shock, non riuscendo a decidere se scoppiare a piangere per la gioia o a ridere per l'espressione altrettanto shockata di Marco.
«Sì» asserisce secco, ricomponendosi e raccattando il poco di orgoglio che gli rimane «È meglio se facciamo finta che non sia una cosa grossa?» domanda incerto, aggrottando le sopracciglia.
«Decisamente sì, perché sto per mettermi a piangere e poi va a finire che piangi anche tu.» risponde con un sorriso tirato Akemi, tenendo una mano ben ferma sul ventre da cui sente scalciare la sua piccola creatura e l'altra sul viso per nascondere le lacrime che, contro la sua volontà, stanno cominciando a rigarle il volto pallido.
«Penso che sia il caso che ti mandi Halta.» gira immediatamente sui tacchi, Marco, sventolando una mano in segno di saluto e riprendendo il sentiero che porta al castello.
Hanno gettato un ponte, un grosso e pesantissimo ponte, che li condurrà senza ombra di dubbio su una strada piena di incertezze, litigi e scontri... ma la Fenice non potrebbe esserne più felice.

XXXXXX

Zona est. Fascia desertica. Il luogo più odiato da qualsiasi soggetto debba subire l'addestramento da parte di un lupo esperto.
Satch vi passa ormai quasi tutto il suo tempo, per farsi malmenare da Silly che dovrebbe insegnargli a mutare a proprio piacimento. Il problema, però, sorge dal fatto che Satch proprio non ci riesce!
In due settimane di dure botte e derisioni da parte di quegli imbecilli dei suoi compagni che vogliono assolutamente assistere, è riuscito ad ottenere qualche risultato vagamente apprezzabile. È riuscito ad ottenere la trasformazione dell'aura, la più comune, dove il mannaro si immerge nell'energia animale che ha in corpo e si comporta da lupo sentendosi animalesco, pronto a reagire più velocemente se in pericolo e con una più netta percezione del proprio corpo.
Ma per Silly, e tutti gli altri lupi, ciò non è assolutamente sufficiente se vorrà riprendere il mare.
Così è riuscito a spingersi oltre, sorprendendoli un poco: ha raggiunto la trasformazione mentale, una forma più profonda della trasformazione dell'aura e molto più animalesca. La concentrazione e la coordinazione sono esaltate in questo stato, un po' come un animale selvatico in buona salute, e riesce a camminare a quattro zampe con grande naturalezza. Il suo aspetto fisico, in questa condizione, non cambia molto: sviluppa peli sul viso, lineamenti animaleschi e artigli retrattili e denti bestiali, con un leggero incremento della muscolatura.
Pure adesso, sotto il cocente sole delle tre del pomeriggio, si trova in questa semi-bestiale forma, muovendosi velocemente e con precisione sotto agli occhi attenti dei fratelli.
Akemi assiste assieme a loro, malgrado la madre le abbia consigliato di non sforzarsi, stando ben accucciata tra le gambe di Marco. Le sembrano passati appena due giorni da quando lei stava in mezzo a quella specie di ring a fronteggiare Freki, a prenderne come un polpo e bestemmiare come una dannata. Un lieve sorriso le increspa le labbra al ricordo, soprattutto considerando che adesso quello stesso violentissimo mannaro si prende cura di lei come se fosse una fragile bambola di porcellana.
Satch, distrutto dalla fatica, blocca il nuovo gancio che la ragazza prova a sferrargli e oppone un diretto alla guancia sinistra, ribaltandole la testa. Non ci ha messo forza a sufficienza però, quindi l'avversaria è ancora in piedi, fatto che lo mette, in pochi secondi, in netto svantaggio: una botta nelle costole, blocca il suo sinistro, gli indebolisce la mascella con un gomitata, finendo con un colpo di tacco al diaframma.
Satch vorrebbe reagire, anche per far bella figura con la fidanzata che lo guarda da una parte, ma proprio non ci riesce a causa del dolore.
La osserva per qualche secondo e nella sua mente riaffiora la conversazione che hanno avuto la sera precedente, dove Mimì ribadiva il fatto che per lei sarà sempre il solito Satch, il pirata che le ha rubato il cuore, e che lo amerà allo stesso modo anche quando sarà una ringhiante palla di pelo e bava.
Sa bene che non dovrebbe distrarsi, non in un momento simile, non quando di fronte a lui c'è Silly, ma lo fa. Si distrae e senza aver visto o intuito nulla, si sente improvvisamente esplodere nella testa una possente vampata di dolore. Si rende conto di vacillare all'indietro con le mani premute sulla faccia e sul sangue caldo che gli sgorga tra le dita, di annaspare in cerca di equilibrio e finalmente di essere disteso nella sabbia rovente a gridare bestemmie alla volta azzurra del cielo.
«Per oggi basta così.» gli sorride dolcemente Silly, allungandogli una mano per aiutarlo a rialzarsi «Dovrai recuperare le forze per domani sera.»
Già... domani sera, pensa Satch, rialzandosi a fatica. Sa bene cosa dovrà fare, ma non è sicuro di riuscire a farlo.
È stato Fenrir in persona a parlargliene, a spiegargli perché ha scelto proprio Silly per il suo allenamento, perché vuole fargli compiere un sacrificio del genere. E Satch lo capisce. Lo capisce benissimo.
Silly, dopo la loro partenza, rimarrebbe senza la sua migliore amica, e si ridurrebbe di nuovo ad una creatura selvatica e solitaria, difficile da avvicinare. L'ha messa al suo fianco così che, quando salperanno, potrà seguirli anche lei e aiutarlo a controllare il lupo che dimora dentro di lui.
Per quanto riguarda il sacrificio... beh, capisce anche questo, in realtà, ma non vuole. Capisce benissimo, però, che un licantropo non può vivere da solo – salvo casi eccezionali come Peter – e che deve avere l'approvazione di tutti per entrare nel branco, e che quello è l'unico modo.
Mimì nota il suo sguardo perso, i suoi occhi preoccupati, e con dolcezza avvolge le braccia attorno al suo forte collo. Lo bacia dolcemente, senza abbandonare il sorriso, per poi poggiare la fronte sulla sua.
«Andiamo a casa.» mormora dolcemente, prendendolo sotto braccio. Satch però si blocca prima di raggiungere l'uscita, e osserva con sguardo colpevole i compagni di fronte a lui.
«Non posso farlo...» mormora rammaricato, indietreggiando appena, andando a sbattere contro Marco, che gli poggia con forza le mani sulle spalle.
«Sono cambiate tantissime cose, Satch. Nessuno ti giudicherà.»

Il freddo raggio lunare colpisce l'assonnato paesaggio notturno, cambiando i colori di ogni cosa: le foglie verdi degli alberi si irrorano di un grigiastro perlaceo, i muri delle case, colorati di vivaci tinte, perdono lo splendore solare. Muta il mondo alla luce della luna, dove anche il cielo sembra abbassarsi, avvolgendo con il suo abbraccio protettivo ogni cosa terrena. Si rincorrono le ombre che sembrano nascere dai raggi argentei della luna e alla psichedelica luce spettrale sembrano danzare, accompagnati dalla silenziosa armonia della notte.
Silly alza appena lo sguardo per vedere chi è passato vicino alla sua proprietà, senza però individuare nessuno. E come potrebbe? La sua mente è affollata da mille pensieri e in più ha deciso di risistemare le ormai decrepite biciclette che teneva davanti casa.
Scartavetra con forza, sforzandosi di portar via tutta quella maledetta ruggine. Erano anni che doveva farlo, ma si diceva sempre “ma sì, lo faccio domani, di tempo ne ho quanto voglio” e regolarmente trovava qualcosa di divertente da fare con Mimì. Ma Mimì adesso non c'è, impegnata com'è in intense ore di attività sessuale con il suo bel pirata mannaro.
Adesso invece si è armata di nastro adesivo, carta abrasiva con grana grossa chiavi a brugola, chiavi per viti a testa esagonale, cacciaviti, martello, chiave a rullino, pinze, una tronchese e una chiave a tubo, diversi barattoli di vernice e pennelli a volontà.
Ha rimosso dal telaio tutto ciò che non ha bisogno di essere riverniciato, come le maniglie dei freni, il mozzo dei pedali e la forcella, e ora, con l'aiuto della carta abrasiva, porta via tutta la ruggine e la vernice vecchia che rovinava il telaio, provando così a riportarlo all'antico splendore.
Tre bici, tre colori diversi. Una sarà sicuramente blu. Un bel blu acceso, con delle stelle dorate come decorazione.
Ace, alle sue spalle, prepara le varie tinture con disattenzione, troppo preso dalla visione della ragazza che gratta via il superfluo con dedizione e precisione, stando ben attenta a non imprimere troppa forza nelle braccia per non rovinare l'oggetto a lei tanto caro.
Silly sente i suoi occhi curiosi su di sé e di conseguenza alza i propri, brillanti e allegri anche in quell'oscurità, e lo osserva a sua volta, non riuscendo a capire bene se il giovane figlio di Roger ha ben capito con chi divide il letto.
«Quello che domani farà Satch...» comincia, con un tono di voce che stona incredibilmente su di lei «Io lo faccio da secoli.»
Ace reclina la testa di lato, non capendo dove voglia andare a parare con quell'affermazione. Lo sa che i lupi mannari spesso e volentieri mangiano carne umana, e allora? Fenrir gli ha detto che cercano da almeno un millennio di limitare i danni e puntano a chi merita di morire, quindi perché mai farsi tante paranoie? Inoltre, giusto per star sicuro, le ha detto e ripetuto, sbattendole letteralmente in faccia l'avviso di taglia, che deve stare lontana da suo fratello e dalla sua ciurma a meno che non sia con lui.
«Non mi piacciono i rigiri di parole, Silly.» sbotta cupo il pirata, alzandosi in piedi e avvicinandola.
Silly, generalmente espansiva e solare, pare quasi volersi chiudere in una bolla per isolarsi e proteggersi da tutto, cosa che mai prima aveva fatto.
Non vorrebbe farlo, in effetti, ma il suo istinto di autoconservazione le impone di non compiere gli stessi errori due volte, e Ace potrebbe rivelarsi un grandissimo errore.
«Io non sono una donna come le altre, Ace.» si mostra sicura di sé, forte e fiera come è sempre stata, ma dentro si sente quasi intimorita dall'intensità con cui la guarda il ragazzo che la fronteggia e sovrasta.
Ace ghigna divertito. Da tempo si aspettava un discorso del genere, e si era già preparato una risposta per calmarla e poter continuare a godere della sua compagnia indisturbato. Perché Silly non è come le donne che ha conosciuto, immortali o mortali che fossero: con lei non deve abbellirsi o nascondere chi è in realtà, e per questo non ha alcuna intenzione di lasciarsela sfuggire.
«La mia migliore amica è un pericoloso ibrido immortale, che porta in grembo una creatura ancora più strana. Uno dei miei migliori amici è un licantropo e sta per sposare una vampira» le sorride allegro, spintonandola leggermente da un lato e prendendo il suo posto nello scartavetrare i telai «Pensi davvero che per me possa essere un problema?»



È una notte fredda, il cielo è terso, limpido; sagome maestose di abeti si levano al di sopra di silenziosi giardini e su tutto domina lo splendore della Luna Piena, grande astro brillante nel cielo della sua fredda luce madreperlacea.
Ai due giovani principi è stato concesso di tenere le catene di Teach, vittima sacrificale che permetterà a Satch di entrare ufficialmente nel branco. A lui, in realtà, non importa, ma se questo può portare ad una potente alleanza con il grande Clan Lothbrook e alla gioia della sua promessa sposa, allora può anche fare il grande sforzo di uccidere quello che per anni è stato un suo grandissimo amico e compagno.
«Attizzatori roventi, cinghie di cuoio...» borbotta sovrappensiero Fenrir, passando in rassegna i vari oggetti di tortura che potrebbe o meno essere usati sul Comandante se perdesse troppo il controllo.
Astri si struscia su di lui, afferra le cinghie di cuoio e gliele passa sul petto lasciato scoperto, sorridendo diabolica e lussuriosa.
«Dopo, amore mio.» borbotta sorridendo l'Imperatore, senza neanche guardarla.
C'è così tanta lascivia negli occhi della Sovrana che l'evento della serata potrebbe passare in secondo pieno. In fondo è raro vedere Astrid così ben propensa.
Ma Fenrir si impone di non darle ascolto e si avvicina a Satch, teso come una corda di violino.
«Potrei fare un casino» biascica imbarazzato mentre viene spogliato frettolosamente «Potrei non riuscirci... potrei deludervi tutti.»
Fenrir sorride appena, rassicurandolo con voce calda e roca: «Freki mi ha parlato molto a lungo della tua prima trasformazione. Ne è rimasto profondamente colpito.»
«Perché?» si compre le nudità come può, Satch, cercando di non pensare a niente. Mimì, per provare ad aiutarlo, gli ha detto che finirà in men che non si dica e che dopo lo farà rilassare lei, che lo farà andare in orbita. E Satch si è lasciato totalmente ammaliare da tale promessa, dal momento che ha scoperto che il sesso tra immortali è decisamente più... più!
«Perché diventi una creatura di pura ferocia, incontenibile.»
Satch non capisce cosa ci sia di bello in una cosa simile, cosa ci sia di diverso rispetto agli altri mannari che ha visto massacrarsi di botte senza una particolare ragione, ma non fa in tempo a chiedere delucidazioni che Astrid gli conficca un sottile e piccolo ago nel collo, iniettandogli quella sostanza che scatenerà la sua muta. Fenrir avrebbe preferito di no, avrebbe preferito aspettare che l'influsso della Luna facesse il suo corso senza interferenze, ma discutere con Astrid, ormai al pieno delle sue forze, è come parlare con un sasso. Un sasso che, a seconda di ciò che provi a dirgli, ti spacca la testa nel muro.
Satch sente il potente influsso della Luna Piena circolargli in corpo insieme all'infuso che Astrid gli ha iniettato, e presto il suo corpo cambia.
I due Principini, separati dall'imprevedibile lupo da una trentina di metri, tolgono le catene al prigioniero, ghignando divertiti.
«Ti conviene correre, Teach» lo avverte Bjorn, guardandolo con uno sguardo indecifrabile «Corri verso il Lago Bianco, segui il flusso fino alle cascate Fyssire. Lì troverai una zattera e potrai andartene.»
Floki affianca il fratello, consapevole che quell'uomo, provato dalla prigionia, l'umiliazione, la fame e le botte, mai e poi mai riuscirà a raggiungere un luogo tanto lontano.
«Corri.» ordina secco, cingendo la vita sottile del gemello e ridacchiando nel vedere il pirata mentre si allontana traballante, cercando di correre il più veloce possibile.
Satch, nel frattempo, sta provando ad adattarsi al nuovo corpo: si guarda attorno con aria circospetta, cercando di ignorare con tutto sé stesso il dolore che sente propagarsi per tutto il corpo e, soprattutto, l'ululato prolungato e potente dei membri del branco, che sembrano quasi volergli dare il benvenuto.
Incespica nelle zampe troppo lunghe a cui non è abituato, abbassa il muso, le orecchie ben tirate indietro, e fiuta tutti quei nuovi odori che non aveva mai percepito prima: odore misto di terra, muffa, muschio e umidità attribuibile alla geosmina. Di colpo percepisce un odore familiare e d'istinto si immobilizza, puntando gli occhi, le orecchie e il naso nella sua direzione.
Aspetta qualche secondo, cercando l'approvazione dell'Alpha, per poi partire all'inseguimento.
Non lo credeva possibile, ma correre con quelle lunghe e deformi zampone è più semplice di quanto pensasse. Riesce a sfrecciare tra la vegetazione con una grazia che non ha mai avuto, ad evitare tronchi e rami, seguendo senza sforzo alcuno quell'odore a lui tanto familiare.
Gli bastano pochi minuti per raggiungerlo: salta in alto e gli atterra davanti, snudando le zanne con aria minacciosa.
Teach sa bene che non ci saranno scuse con cui salvarsi, che pregare sarà inutile. L'unica cosa in cui può sperare, adesso, è che Satch gli dia una morte veloce e indolore.
Il grosso lupo gli gira attorno, attento ad ogni suo movimento, snudando le zanne ogni volta che i loro occhi s'incrociano. Lo vuole spaventare, lo vuole terrorizzare. Vuole che arrivi a supplicarlo di ucciderlo.
Per un breve istante, però, nella sua mente sfrecciano tutti quei brillanti ricordi dei bei momenti passati insieme, delle battaglie combattute fianco a fianco, dei loro scherzi e dell'affetto che hanno provato l'uno per l'altra. Questo bagliore di luce, però, viene eclissato dal ricordo di quella notte, quella che ha cambiato ogni cosa, quando ha cercato di ucciderlo.
Una furia cieca lo invade totalmente e, senza che Teach abbia il tempo di rendersene conto, lo morde alla gola, tagliando i centri nervosi e la carotide, spezzandogli infine l'osso del collo.
Silly, che non si è persa neanche un suo movimento, trotta tranquilla verso di lui, pronta a consolarlo e spiegargli che non ha fatto niente di sbagliato, che ormai lui è quello che è.
«Che ne facciamo...?» grugnisce il lupo, spostando col muso la carcassa in direzione dell'amica, che a sua volta piega la testa di lato con fare confuso. Si sente strano, Satch: non prova senso di colpa, per niente, anzi ne vuole di più, vuole sentire ancora l'adrenalina invadergli il corpo mentre sta cacciando, fiutare la paura della preda.
«È roba tua. Mangia.» abbaia in risposta con una certa allegria Silly, poggiando con un tonfo il posteriore a terra. Se avesse la coda, sicuramente scodinzolerebbe a più non posso: non tutti riescono ad accettare un cambiamento simile come sta facendo lui. Non può che esserne orgogliosa.

«Mi tieni compagnia?»
La grande lupa accetta volentieri l'invito a cena e subito affonda le zanne nella carcassa del traditore, sventrandolo come un pesce e facendone fuoriuscire le interiora, che divora senza tanti complimenti, assaporando ghiotta il fegato.
Satch preferisce mangiare la parte più in superficie, evitando accuratamente gli organi interni che ancora gli fanno ribaltare lo stomaco.
Sono tranquilli, il canto dei grilli tiene loro compagnia, ma un rumore fuori luogo, come di ramoscelli spezzati e foglie secche calpestate, desta subito l'attenzione della più anziana, che balza in posizione di difesa, proteggendo non solo il facile pasto, ma anche il suo protetto.
Abbassa la guardia solo quando vede spuntare dalla vegetazione la famiglia reale: Fenrir sta in punta, gli occhi fissi sul lavoro che i due hanno portato a termine; Astrid trattiene i gemelli che vorrebbero partecipare, sorridendo dolcemente al giovane lupo che è riuscito a superare una prova assai difficile; Týr rimane impassibile, troppo preso dall'ammirare le proprie unghie laccate di un intenso blu elettrico.
Fenrir fa cenno col capo al Comandante di venirgli vicino, e il lupo esegue, titubante. Non sa perché, ma c'è qualcosa in quell'uomo, come in Astrid, che gli impone di eseguire ogni suo ordine senza fiatare.
«Sei stato molto bravo, Satch» afferma sicuro l'Imperatore, sorridendogli bonariamente «Vuoi giurare fedeltà al mio branco?»
Satch ci pensa attentamente per qualche secondo: da una parte non vuole, perché si sentirebbe costretto ad obbedire a qualcuno, ma dall'altra è ben consapevole che un lupo mannaro solitario ha vita molto breve, e di certo non ha alcuna intenzione di morire.
«Lo giuro.» latra con voce ferma, e Fenrir capisce. Subito dopo reclina il capo all'indietro e dà il via a quel coro di voci potenti e drammatiche, indice che ormai fa parte del branco a tutti gli effetti.
 

Passeggiare in un bosco al chiaro di luna, a stretto contatto con la natura, sembra riconciliarci con il mondo. Da sempre filosofi, poeti, scrittori e gente comune lodano l'importanza e il beneficio di questa pratica che ancora oggi sembra essere insostituibile per il benessere del corpo, della mente e dello spirito. Ma per Silly questa teoria pare essere totalmente infondata. Nella sua mente ripete discorsi su discorsi, scuse su scuse. Come potrà, non appena tornerà a casa, dire a quel giovane pirata dal cuore d'oro che ha praticamente spinto Satch a sbudellare Teach?
Nella sua mente c'è un unico scenario: glielo dice, lui va su tutte le furie e la lascia da sola, di nuovo col cuore infranto.
Tutti le avevano raccomandato di trovarsi qualcuno come lei, di scegliersi un compagno immortale, così da non dover affrontare tutte quelle spinose questioni che non possono essere ignorate, come l'omicidio mensile per mantenere calmo il demone.
Cammina lentamente, la testa china e le mani giunte in grembo, finché una voce allegra e familiare le arriva dolcemente alle orecchie.
«Ehi! Come è andata?!»
Ace è seduto davanti alla porta di casa sua, un grande sorriso ad increspargli le labbra. E Silly si scioglie di fronte a tanta innocenza.

Continua a camminare con la testa china, non sapendo bene come comunicargli che pure lei si è nutrita di Teach, che gli è piaciuto mangiare la sua carne grassa e morbida. Ma tutti i suoi pensieri vengono violentemente interrotti da un impetuoso bacio dal ragazzo di fuoco, che le avvolge i fianchi esili con le braccia forti e calde.
Silly tiene lo sguardo basso, mormorando un appena udibile: «L'ho aiutato...»
«Fa parte del branco lo stesso, vero?» Ace pare quasi sul punto di saltellare sul posto dalla felicità. In fondo la sua non è stata una prova da niente!
Quando però viene bruscamente allontanato da Silly, comprende che qualcosa non è andato come sperava.
«Che succede?» le domanda afferrandola per un polso e costringendola a guardarlo.
«Non ti disgusta baciare un mostro?» domanda tutto in un fiato la mannara, che ancora sente sulla lingua il sapore dolce e ferroso del sangue della vittima.
Ace la costringe ad avvicinarlo di nuovo, deciso a portare avanti questa passionale relazione in cui si sta impantanando velocemente, e le mette delicatamente le mani sui fianchi «Mi dà noia baciare la donna che mi ha portato via la vendetta...» sul volto del pirata appare un sorriso malizioso, seguito dalle sue mani esperte che vanno a slacciare il bikini della compagna, facendola ridacchiare sommessamente «Ma puoi sempre rimediare.»
Dopo una brevissima risata, Ace se la carica in spalla e corre dentro casa, ridendo e scherzando, e bastano pochi minuti perché la situazione si scaldi.
I vestiti vengono velocemente abbandonati per la stanza, i baci si fanno sempre più roventi, le mani studiano reciprocamente il corpo l'uno dell'altra, e la passione bruciante che li lega trova finalmente una valvola di sfogo. Un valvola che non verrà chiusa per tutta quella lunga notte d'amore.

XXXXXX

C'era il sole che tramontava in un cielo sereno quando improvvisamente si è levato un grande vento e sono spuntate enormi nuvole nere, che si sono colorate di uno strano rosso, dando quasi l'impressione di trovarsi in un'antica fotografia.
All'orizzonte si vedono dei bagliori correre sulle nuvole nere, poi un leggero brontolio e in pochi minuti i lampi e i tuoni sono sopra Helheimr.
Un acquazzone improvviso, scrosciante, pieno e molto freddo: nessuno se lo aspettava o avrebbe potuto prevederlo.
Così si sono messi tutti a correre per ripararsi sotto una tettoia, dentro case di amici, strisciando contro i muri, attraversando le strade di corsa. Tante piccole formiche bagnate in cerca di protezione. Come se non bastasse, poi, sull'intera isola è saltata la corrente, così che tutti rimangono al buio, privi anche dei loro adorati videogames con cui avrebbero facilmente ammazzato il tempo.
Akemi è sola in camera sua e, nonostante il violento temporale, si sente insolitamente tranquilla e serena, immersa fino al mento nell'acqua calda della vasca, rilassata dal ticchettio delle gocce contro le finestre.
In realtà aveva calcolato di passare la serata con gli altri, a mangiare schifezze e ascoltare buona musica, ma durante il pomeriggio ha cominciato a sentirsi veramente stanca e, dopo aver sopportato silenziosamente stanchezza e fitte al ventre per tre ore e mezzo, si è ritirata con un sorriso e si è immersa nella vasca da bagno.
È calma, con la musica leggera e il ticchettio della pioggia nelle orecchie, ma in cuor suo sente che qualcosa non va. Non sa spiegarsi cosa, ma è un po' come per l'arrivo della tempesta: si muove piano, silenzioso, e diventa mano a mano che i secondi passano sempre più spaventoso.
«Ehi.»
Sobbalza appena voltando di scatto la testa, incrociando così lo sguardo allegro di Marco, fradicio dalla testa ai piedi.
«Idiota, mi hai fatto prendere un colpo!» sibila nervosa, passandosi istintivamente una mano sul pancione e poggiano la testa sul bordo dell'enorme vasca. Non lo dirà mai a nessuno, ma le piacerebbe da matti poterci stare insieme a lui.
«Dove sono finiti i tuoi sensi da lupo?» la prende in giro l'uomo, andandosi a sedere sul bordo. La guarda orgoglioso, scostandole una ciocca di capelli dalla tempia fin dietro l'orecchio. Dopo, per la seconda volta da quando ha saputo della gravidanza, le sfiora la pancia che spunta dalla schiuma candida, allargando il proprio sorriso.
«Hai paura?» domanda apprensivo, alzando di nuovo gli occhi su di lei. Sa bene che ormai è questione di giorni, si sta preparando faticosamente all'idea di avere tra le mani un bambino da un momento all'altro, ma sa altrettanto bene che l'unica che può avere paura è proprio lei.
«Non lo so, Marco.» si porta le mani alle tempie, massaggiandole piano e respirando a fondo.
In condizioni normali, Marco avrebbe sicuramente ignorato la sua espressione contratta e il labbro inferiore ben stretto tra i denti, ma ora come ora non è capace di perdersi neanche un dettaglio.
Si inginocchia a terra e le prende le mani nelle sue, fissandola dritto negli occhi.
«Cos'hai?»
«Quanto sei ansioso!» brontola la minore, scostandoselo di dosso con un gesto brusco e tornando a rilassarsi «È solo mal di schiena. Probabilmente il bambino si è mosso in modo strano e ora mi dà fastidio.»
La Fenice però non demorde e la costringe di nuovo ad osservarlo. La conosce abbastanza bene ormai da capire che vuole affrontare quest'ultimo delicato periodo da sola, ma certo non può permetterglielo.
La guarda negli occhi con aria dura, godendo interiormente mentre nota il suo sguardo granitico andare in pezzi, sgretolarsi secondo dopo secondo e ricomporsi in una maschera di dolore.
Inarca la schiena, Akemi, toccandosi la zona lombo-sacrale con una mano.
«Fa male da qualche ora, ad intervalli...» geme, riaprendo gli occhi e guardandolo più dolcemente «Non è niente, stai tranquillo. Manca almeno una settimana!»
Entrambi sanno benissimo che Wulfric è un medico eccezionale, che se dice che il bambino nascerà un determinato giorno così sarà, ma quando Akemi urla e si piega in avanti con gli occhi serrati, Marco ricorda improvvisamente dei piccoli avvisi che diede loro durante l'ultima ecografia: in primis, non per tutte le donne le contrazioni sono ugualmente dolorose; in secondo luogo, poi, non è un caso molto raro in cui i nascituri decidano di venire alla luce prima del tempo prestabilito.
«MERDA!»
Le mette una mano dietro le ginocchia e uno sotto alle braccia per poterla alzare, trasportandola di corsa nel letto. E urla mentre lo fa, chiamando aiuto con tutto il fiato che ha nei polmoni.
Da quando le loro vite si sono incrociate, Marco non ha mai voluto metterle paura in alcun modo, e tanto meno vorrebbe farlo ora, in un momento tanto delicato. Ma se lui è il primo ad essere spaventato, assolutamente non pronto a stringere tra le braccia suo figlio, come può darle coraggio e calmarla? L'unica cosa che può fare per aiutarla adesso, è solo gridare così da far accorrere chiunque per aiutarla.
«Marco...» lo richiama con un filo di voce, tirandolo per il colletto della camicia. Nel suo sguardo c'è paura, tanta, e Marco non riesce a trattenersi: si abbassa al suo livello, infrangendo il loro patto di restare separati, e la bacia con tutta la passione che ha in corpo, tenendole le mani attorno al viso.
Proprio in quel momento entrano come due furie la Regina e l'Imperatore, entrambi in allarme, e quando fiutano l'odore di sangue provenire dalla ragazza, afferrano Marco per le spalle e lo cacciano via, cominciando a loro volta ad urlare affinché vengano le levatrici.
Fuori dalla porta si ammassano velocemente i Comandanti e buona parte della ciurma, tutti coloro che in quei brevi mesi sono stati vicini ad Akemi, i gemelli, la famiglia biologica. Tutti sono lì, pronti ad accogliere in quell'enorme e bizzarra famiglia un nuovo membro.
All'interno della camera, le donne accendono le lucerne in mancanza della corrente e sua madre manda immediatamente a chiamare Sakura e Wulfric, che già hanno presieduto alla nascita di non pochi immortali.
L'antico vampiro si teneva pronto da giorni, sapendo che il tempo era maturo e che, malgrado le sue ottimistiche previsioni, il travaglio sarebbe potuto sopraggiungere ben prima della data prefissata.
Non ci vogliono che pochi istanti che subito entra nella stanza da letto della giovane principessa, urlando contro coloro che scioccamente vorrebbero entrare. Si cinge un grembiule sugli esili fianchi, fa scaldare dell'acqua e portare altri candelieri perché non manchi la luce. Lascia che sia la Regina ad accostarsi per prima alla ragazza, perché una donna preferisce essere toccata da un'altra donna nel momento in cui mette al mondo suo figlio: solo una donna si rende conto del dolore e della solitudine in cui si genera una nuova vita.

«Starà andando tutto bene?» domanda apprensivo Newgate, lasciando vagare lo sguardo sugli antichi immortali che puntano la porta in maniera ossessiva.
Marco, al suo fianco, tiene le mani giunte davanti al viso e si concentra sulla respirazione, così da non svenire per la seconda volta. È impaziente di vedere suo figlio, ha paura che qualcosa vada storto... ha paura di perderli tutti e due.
Il capitano pare intuirlo e gli poggia una mano sulla spalla, sorridendogli debolmente.
«Sta urlando molto.» afferma con tono greve Killian, tenendo a freno i gemelli in pena per la sorte dell'adorata sorella. Perché anche loro due sanno bene che mettere al mondo una creatura che non appartiene alla tua specie è ben più pericoloso e letale del dover affrontare un parto come un altro, che già di per sé non è privo di rischi.
«Possiamo fare niente?» tenta Ace, venendo trattenuto saldamente da Silly. Pure lei vorrebbe vedere il piccolo erede al trono e accertarsi delle condizioni della ragazza, ma sa bene che è molto meglio che nessuno entri in quella stanza. Astrid sarà assai più letale del solito.
«Entreremo quando ci verrà dato il permesso» ringhia Freki, rompendo il silenzio prima che un urlo di Akemi squarci l'aria «E temo che non manchi molto.» nel pronunciare quest'ultima frase, si sofferma a guardare Marco, tutt'altro che pronto e, per la prima volta da quando si conoscono, gli rivolge un sincero sorriso d'incoraggiamento.

È un parto lungo e difficile perché Akemi ha i fianchi stretti ed è ancora troppo fragile. La madre le asciuga costantemente il sudore ripetendo: «Fatti forza, bambina, spingi! La vista di tuo figlio ti consolerà di tutto il male che devi patire in questo momento.»
Le bagna le labbra con acqua fresca, ma quando il dolore diventa così acuto che quasi le fa perdere i sensi Wulfric interviene; guida le mani di Sakura e comanda ad Astrid di spingere sul ventre della ragazza perché lei non ha più forza e il bambino soffre.
Sakura, preoccupata per la sorte di entrambi, poggia l'orecchio sull'inguine di Akemi e ode il battito del piccolo cuore che rallenta.
«Spingi più forte che puoi» ordina severa «Il bambino deve nascere subito!»
Astrid, con le lacrime agli occhi e il cuore che le martella nelle tempie, si appoggia con tutto il suo peso sulla figlia che, con un grido più forte, riesce finalmente a dare alla luce il figlio.
Wulfric, veloce e preciso come è sempre stato, afferra saldamente il nascituro e lega il cordone ombelicale con un filo di lino, che poi recide con le cesoie di bronzo e disinfetta la ferita. Ed è proprio quando il disinfettante tocca la ferita che il bambino si mette a piangere, dando la prova di avere dei fortissimi polmoni.
Wulfric stringe saldamente le mani attorno al corpicino e lo consegna quasi con timore alle donne perché lo lavino e lo vestano.
È Astrid a vedere per prima il suo viso e ne resta estasiata.
«Non è una meraviglia?» domanda mentre gli passa sul viso un batuffolo di lana imbevuto d'olio. Sakura, delicata come un petalo di rosa, gli lava velocemente la testa e quando l'asciuga non può trattenere un moto di stupore «Ha la chioma di un bambino di sei mesi e dei bei riflessi dorati. Sembra un piccolo angelo.»
Astrid, intanto, avvolge il piccolo e fragile corpicino con una tunica di lino, trattenendo a stento le lacrime di gioia.
«Di che colore ha gli occhi, secondo te?» domanda alla vampira dai brillanti capelli biondi, che titubante avvicina una lucerna al grazioso volto paffutello.
«Non so, è difficile dirlo. A tratti sembrano verdi, a tratti scuri. Forse è la natura così diversa dei suoi genitori.»
Wulfric intanto si occupa di Akemi che, come spesso succede alle primipare, sanguina copiosamente.
Temendo che questo accadesse, aveva fatto preparare delle sacche di ghiaccio tritato, così da poterne fare degli impacchi da applicare sul ventre della ragazza.
Akemi rabbrividisce, ansimando a fatica di voler vedere immediatamente il figlio, ma il medico non si lascia intenerire e continua con gli impacchi gelati finché non vede cessare del tutto il sanguinamento. Poi, mentre si toglie il grembiule e si lava le mani, l'affida alle cure delle donne. Permette loro che le cambino le lenzuola, che le detergano il sudore con spugne morbide imbevute d'acqua di rose e che le mettano una camicia fresca.
Astrid le si avvicina piano, sedendosi al suo fianco. Non riesce a trattenere un sorriso commosso mentre le carezza la fronte umida.
«Sei stata bravissima, amore mio» si abbassa su di lei per baciarle la fronte, alzando poi gli occhi su Arista, che come molte altre vampire ha assistito e aiutato durante il parto. Tra le braccia tiene ben saldo un piccolo fagottino urlante, che Akemi guarda con stupore.
Dopo qualche secondo di silenzio, la rossa vampira le presenta il suo piccolo tesoro. Akemi si solleva leggermente sui gomiti appoggiando la schiena ai cuscini e finalmente la vede. Ed è bellissima. Ha labbra carnose e il viso roseo e delicato. I capelli di un dolce castano chiaro splendono di riflessi dorati e proprio al centro della fronte ha quella che le levatrici chiamavano "la leccata del vitello": un ciuffetto di capelli sollevati e spartiti in due. Gli occhi le sembrano verdi, ma con il mutare della luce nota una specie di ombra cupa che li fa sembrare più scuri. Lo solleva, la stringe a sé e comincia a cullarla finché smette di piangere. Poi si denuda il seno per allattarla, sotto lo sguardo attento e materno delle levatrici e della madre, e la nutre del suo latte finché non si addormenta tranquilla.
«Congratulazioni, principessa.» detto questo, Wulfric esce dalla stanza assieme alle levatrici, trovandosi di fronte almeno la metà degli abitanti dell'isola.
Týr, senza dire una parola, fa un passo in avanti verso il vecchio amico che lo rassicura immediatamente grazie ad una singola occhiata. Si conoscono da tempo ormai, e Týr sa bene che se qualcosa fosse andato male glielo avrebbe fatto capire, così come sa che è diritto di Marco vedere per primo il nuovo piccolo erede.
I Comandanti e Newgate, pallidi in volto come spettri, si guardano in faccia e si fanno da parte alzandosi dagli sgabelli su cui li avevano fatti sedere si guardano di nuovo allibiti. Il primo a trovare le forze per alzarsi, buttando a terra la propria sedia, è Marco, che afferra per le spalle Wulfric.
Le fiamme dei candelieri scolpiscono il volto del vampiro di luci e ombre taglienti, incendiandogli lo sguardo.
«Puoi entrare.» afferma semplicemente, facendosi da parte.
Si dice che il tempo non si ferma, che nulla ne trattiene l’incessante avanzata, ma adesso Marco non ne è per niente convinto. Per lui il tempo si è fermato, come si è fermata la sua mano su quella maniglia.
In quelle ore di attesa si era convinto che sì, era pronto a vedere suo figlio, che ce l'avrebbe fatta, ma adesso non ne è più tanto sicuro. Sente le gambe molli, lo stomaco aggrovigliarsi per il nervoso.
Edward Nrewgate, pur non avendo mai avuto un figlio suo, riesce ad immaginare lo stato d'animo del ragazzo e per questo lo avvicina, mettendogli una mano sulla spalla. Si guardano negli occhi per qualche istante e Marco, senza sapere perché, gli sorride. Torna poi a concentrarsi sulla maniglia, sui suoni striduli e sulle risatine che sente provenire dall'interno.
Oggi è il giorno in cui la mia vita comincia. Per tutta la vita sono sempre stato solo io... ma da oggi divento padre, da oggi dovrò rendere conto ad un'altra persona oltre che a me, da oggi divento responsabile di te e del tuo futuro e di tutte le possibilità che ho da offrirti. Insieme, qualunque cosa accada, io sarò pronto, per qualsiasi cosa, per tutto.
Abbassa piano la maniglia ed entra: la stanza profuma di gelsomino, la Regina è intenta ad ammassare le lenzuola intrise di sangue e liquido amniotico e la sua Regina sta seduta su una sedia imbottita, vicino alla finestra, il corpo nudo velato da una sottoveste bianca, una testolina biondiccia appoggiata fra il collo e l'omero.
«Ehi...» il sorriso di Akemi, in quel momento, gli sembra una delle cose più belle mai viste in vita sua. Così spontaneo, radioso e materno.
Sorride anche lui, asciugandosi una lacrima di commozione dall'occhio nella speranza che non ne sfuggano altre, e poi si avvicina alla dolce coppia.
Astrid li guarda dolcemente, sorridendo divertita dai movimenti goffi di Marco nel prendere in braccio sua figlia. Decide di lasciarli da soli, di lasciare loro la privacy che gli verrà sicuramente negata a breve, ma come decisione è decisamente sbagliata: come apre la porta, infatti, tutti coloro che erano stati lasciati fuori si precipitano dentro, rimanendo fortunatamente a distanza di sicurezza.
Akemi li fulmina con lo sguardo, vittima dell'istinto materno intrinseco delle lupe mannare, pronte ad uccidere anche il compagno se sentono che la vita del proprio bambino è in pericolo.
Marco invece rimane immobile con la sua bambina stretta tra le braccia. Sente le labbra tenere della piccola sulla sottile cicatrice che gli solca un pettorale, sente il calore e il profumo della sua pelle di giglio. Chiude gli occhi e resta ritto e immobile in mezzo alla camera in cui aleggiano mille domande. Dimentica in quel momento il fragore della battaglia da poco vissuta, la paura incontrollabile di perdere l'unica donna al mondo che gli abbia mai fatto battere all'impazzata il cuore. Ascolta solo il respiro di sua figlia.
Il primo ad avvicinarsi, con passo cauto ed incerto, è Ace. Si porta al fianco della Fenice, sporgendo la testa oltre la sua spalla per poter vedere il visetto angelico della bambina e un sorriso dolce gli increspa le labbra.
«Bel lavoro, Angioletto...» mormora sorridendo alla neo-mamma, tornando subito dopo a fissare i grandi occhioni curiosi della bambina «Come si chiama?»
I due neo-genitori alzano repentinamente lo sguardo per cercare una risposta negli occhi l'uno dell'altra, e Akemi riesce a scorgere una luce di pura gioia negli occhi di Marco che, evidentemente, ha trovato il nome ideale per lei.
Abbassa di nuovo lo sguardo, Marco, senza mai abbandonare quel sorriso ebete che ha in volto da quando ha visto la piccola e, senza esitazioni, annuncia a tutti i presenti il suo nome: «Angelica.»
Akemi sorride dolcemente nel ricordare quante volte l'hanno chiamata Angioletto, a quante volte le hanno detto che ha il viso di un Angelo, al fatto che, neanche mezz'ora prima, una delle nutrici aveva usato quella stessa definizione per la sua bambina.
Marco, con passo lento, quasi strascicato, si porta al fianco della compagna e si siede sul bracciolo della poltrona, lasciandole ammirare ancora una volta il frutto della loro unione.
Non sanno se saranno mai più una coppia, se la loro sia stata solo una sbandata, un amore effimero, ma sanno che niente al mondo li dividerà per il bene della loro bambina.
Týr, che sta ricorrendo a tutto il proprio autocontrollo per trattenersi dallo scoppiare per la gioia, si avvicina lesto e, con una sorprendentemente delicatezza, toglie la bambina dalle braccia del padre, che lo guarda in cagnesco. Si volta tranquillo, sorridendo dolcemente alla nipotina.
Dopo quella che per tutti è un'attesa lunghissima, poi, le scopre il viso e finalmente la presenta: «Angelica Lothbrook, Nata dalla Tempesta, Protettrice dei Lupi del Deserto!»
 

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Angolo dell'autrice:
Eccomi di nuovo qui, mie dolci colombelle allo zucchero filato!
Che dire... sto a pezzi. Ho mollato l'università perché mi sono rotta i coglioni di passare le giornate sui libri e ho cominciato a lavorare sul serio al mare e, ahimè, mi sto spaccando tutta!
Ribadisco per la seconda volta che odio essere finita in un finale così banale e scontato... ma continuo a sperare che vi piaccia!
Ci sentiamo alla prossima, con l'ultimo capitolo! :D

Un grazie enormissimissimo a Aliaaara, Yellow Canadair, ankoku e KING KURAMA per le recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo. Siete davvero gentilissimi! :3

Un bacione a tutti e tantissimi auguri!
Kiki
~

PS: se a qualcuno potesse interessare, qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2472835&i=1 c'è la raccolta di songfic :3

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Capitolo 47
*** 47. Epilogo + Special [Sopravvissuto] ***


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Ogni uomo, almeno una volta nella vita, ha sognato di svegliarsi circondato da due bellissime donne... e questo è proprio ciò che è successo a Marco.
Certo, una gli ha sommerso il viso con i propri capelli per tutta la notte e non c'è stato verso neanche di infilarle una mano sotto la canottiera, mentre l'altra ha neanche due mesi di vita, è alta un metro e quindici centimetri e scalcia come un mulo, oltre che sbavare come un cane davanti ad una bistecca bella condita.
Ok, forse non è esattamente la visione erotica che aveva sognato più di una volta, ma può accontentarsi: Akemi dorme placidamente al suo fianco, accucciata contro di lui, serena e indifesa proprio come piace a lui, e Angelica gli dorme in braccio, la testolina bionda sul petto e una manina impigliata tra i suoi capelli.
Guarda le due giovani donnine con orgoglio, carezzando la testa della più piccola e stringendo a sé la maggiore, fiero come non mai della famiglia che è riuscito a crearsi.
Filippo, le cui ali stanno cominciando a finalmente a svilupparsi, trotta goffamente sul grande letto che la piccola famiglia condivide e si accuccia sul petto di quello che, ormai ufficialmente, è suo padre, e si appisola velocemente su di lui, cullato dal battito calmo e ritmico del suo cuore.
Marco li guarda tutti e tre e si sente incredibilmente felice, come ormai accade ogni mattina da due mesi a questa parte.
Ma questo è decisamente un giorno speciale, un giorno da tutti atteso e programmato nei minimi dettagli, e sa bene che proprio loro, la nuova piccola famiglia Reale, non può far tardi a tale evento. In fondo hanno dormito fino a mezzogiorno e mezzo, quindi può anche azzardarsi a svegliarle.
Con delicatezza scuote per una spalla la non-compagna, sorridendole mentre apre lentamente le palpebre e si stiracchia come una gattina, e il suo cuore si scioglie quando la vede svegliare la loro bambina con un tenero bacio sulla fronte.
«Svegliati, amore mio...»
La piccola Angelica sbatte lentamente le lunghe ciglia, adattando gli occhioni chiari alla luce che filtra dalle tende. Abbraccia il suo papà, stringendosi a lui come se avesse paura di perderlo, per poi dargli un fugace bacio sulla guancia ispida e saltare giù dal letto, già pronta a correre da tutte le parti e giocare con i coetanei.
Sente, seppur ovattate, le urla dei due giovani zii che protestano contro la madre per i vestiti che sono stati scelti per loro e subito il suo visetto si illumina.
Salta di nuovo sul letto, un sorriso brillante in volto, afferra la madre per un braccio e la trascina giù, contenta ed eccitata.
«Dobbiamo farci belle, mamma!» urla con voce acuta, lasciando a Filippo il tempo di raggiungerla.
Marco, seppur controvoglia, si alza a sua volta dal letto e si avvicina alle donne della sua vita, passando una mano sulla testolina scompigliata della figlia e sorridendo ad Akemi.
«Non metteteci troppo.» si raccomanda con tono gentile, sapendo bene che quelle sono parole buttate al vento.
Prima che possa uscire per andare da un più che elettrizzato e terrorizzato Satch, Angelica lo afferra per un polso e, seppur a fatica, lo spinge tra le braccia della madre. Sa bene che non stanno insieme, che stanno vicini l'uno all'altra solo per lei, ma come ogni altra piccola principessina sogna un mondo fatato in cui la sua famiglia si ama e lo dimostra anche di fronte a lei.
«Bacino!» cinguetta contenta, facendo sbuffare i due genitori, ancora non del tutto pronti a riprendere una relazione stabile. Certo, qualche fugace bacio c'è stato, ma è sempre seguito un lieve imbarazzo. In fondo, hanno combinato un casino dall'inizio alla fine.
Akemi decide di accontentare in parte l'adorata figlia e bacia sulla guancia Marco, che le sorride grato. In realtà vorrebbe baciarlo sul serio, mostrargli quanto l'amore che prova per lui è ancora ardente e divampante, ma hanno saggiamente deciso di rispettare i tempi l'uno dell'altra e di ritrovarsi a metà strada. Solo allora potranno essere davvero una coppia.
Angelica, con la piccola boccuccia rosea piegata in una smorfia, scrolla le spalle e, costretta ad accontentarsi, solleva delicatamente Filippo, il suo adorato fratello maggiore, e corre nella stanza armadio, decisa ad indossare il bellissimo abito che nonna Astrid ha fatto preparare a posta per lei.
«Fai in modo che non compia sciocchezze, mi raccomando.» afferma seria in volto Akemi, lasciando che Marco le cinga la vita con un braccio.
«Sarà tutto perfetto, proprio come è stato programmato dalla dittatrice!» ridono entrambi a quella battuta e subito dopo Marco esce da quella caotica stanza, invasa da giocattoli e vestiti, pronto ad andare a cambiarsi a sua volta.
In fondo, per uno dei suoi migliori amici può anche fare l'immane sforzo di indossare un paio di pantaloni neri e una camicia. Magari anche la giacca e la cravatta, se Angelica sarà abbastanza convincente!

Sulla spiaggia di Helheimr, intanto, tutti sono profondamente indaffarati già dal sorgere del Sole. Vogliono che ogni cosa sia al proprio posto, che tutto sia perfetto, che la serenità regni sovrana sull'isola dopo i devastanti eventi recenti.
Fenrir, elegantissimo in un abito grigio scuro, aiuta chi può a sistemare fiori e altre decorazioni, mentre i figli, ormai forti giovani uomini pronti a spiccare il volo da un momento all'altro, si occupano della musica scelta da Silly, che si è dovuta spaccare la schiena per organizzare il tutto.
A ricevere gli ospiti, ovvero gli alleati di Barbabianca, ci penseranno il capitano stesso e Týr, entusiasta all'idea di conoscerli. All'inizio gli era stato negato categoricamente, ma gli sono bastati due discorsi decisamente convincenti e un paio di minacce per ottenere ciò che voleva, e adesso sta in piedi all'imboccatura del porto, fiero e magnifico in uno splendido abito di alta sartoria con pantaloni e giacca blu scuro, intonati ai suoi occhi glaciali, e una fresca camicia bianca lasciata un poco aperta.
Per motivi di sicurezza, Fenrir ha preferito recapitare l'invito solo ai capitani delle ciurme, così da evitare un sovraffollamento e un probabile scontro tra le due fazioni. In fondo dopo il calar del sole gli alcolici cominceranno a girare abbastanza copiosamente e una reazione violenta contro un estraneo non sarebbe una grande sorpresa. Meglio quindi limitare le possibili vittime, così da poterle tenere più facilmente sotto sorveglianza.
Barbabianca, seppur a malincuore, ha accettato questo compromesso e l'ha riferito agli uomini che ha mandato assieme ad un immortale per invitarli e adesso, sotto il tiepido sole del primo pomeriggio, aspetta impaziente di vedere arrivare le piccole imbarcazioni che sono state mandate a cercarli. I corvi sono già tornati da un paio d'ore, quindi manca davvero poco al loro incontro.
Con Týr si è accordato di non raccontare niente, di lasciare che vedano e si accontentino di poter immaginare, ma niente di più. È già un miracolo che abbiano accettato di farli entrare ad Helheimr, raccontare loro tutto sarebbe davvero troppo.
I due uomini rimangono fermi ad attendere, i corvi si riposano vicino a loro. Nel porto non c'è assolutamente nessuno: loro, i corvi e i tre cani di Týr.
«Sei emozionato?» domanda di punto in bianco l'antico vampiro, giusto per passare quegli ultimi istanti senza quel pesante silenzio a gravargli sulle spalle.
«Mio figlio si sposa. Tu che dici?» risponde ironico il pirata, senza neanche voltarsi. Vuole assicurarsi che i suoi alleati non abbiano riscontrato problemi durante il viaggio, che gli immortali che sono andati a prenderli non abbiano compiuto sciocchezze.
«Mimì è mia figlia, eppure non sono su di giri.» afferma con noncuranza il vampiro, facendo spallucce. Aguzzando lo sguardo vede le sagome delle piccole imbarcazioni spuntare all'orizzonte e un sorriso gli increspa le labbra: «Stanno arrivando.»
Tempo poco più di venti minuti e trentaquattro piccole imbarcazioni vengono ormeggiate al porto, precedentemente sgombrato dalle enormi navi che gli immortali hanno collezionato nei secoli.
Bay, Squardo, Doma, Lamba, i fratelli Decalvan e gli altri capitani sbarcano incerti, puntando quasi simultaneamente gli occhi sull'imponente capitano, fierissimo nel suo smoking, e sull'uomo al suo fianco, chiedendo silenziosamente una spiegazione. Agli uomini che erano stati mandati a chiamarli, infatti, era stato dato il categorico ordine di non dire per quale ragione dovessero accorrere così velocemente, solo che si trattava di una cosa molto importante.
«In perfetto orario!» urla contento Týr, carezzando distrattamente la testa di Frigga, che pare giovare particolarmente delle cure medicinali a cui viene sottoposta ogni giorno dal suo adorato padrone.
«Astrid ne sarà entusiasta.» aggiunge subito dopo, facendo saettare gli occhietti vispi su ogni pirata. Si sofferma in particolare su Bay, rivale di vecchia data di sua figlia, e non riesce a trattenere un ghigno divertito.
Si abbassa al livello di Bucefalo, carezzandogli il muso deforme con delicatezza «Sarà più divertente del previsto!» bisbiglia divertito, facendo latrare la bestia.
Newgate cerca di attirare la sua attenzione schiarendosi più volte la gola, finché questi si alza di nuovo e fa un cenno elegante con il braccio di proseguire.
«Illustri ospiti, sono lieto di darvi il mio benvenuto ad Helheimr» annuncia con voce ferma e potente, molto teatrale «Vi sarei grato se non vi scomponeste o faceste battute di cattivo gusto quando vedrete chi risiede su quest'isola, e vi sarei ancor più grato se non raccontaste niente a nessuno.»
I vari capitani, dopo un segno di assenso dall'Imperatore Bianco, lo seguono e si guardano attorno con aria circospetta, trovando un assai poco velata minaccia nelle parole dell'eccentrico uomo dagli occhi di ghiaccio. Anche se non lo ha detto a parole, a tutti loro è parso di capire dal tono che se oseranno aprire bocca ci saranno delle conseguenze. Dopo l'occhiata che hanno rivolto al padre, in cui hanno trovato la conferma alle loro supposizioni, non possono far altro che domandarsi dove diavolo siano stati condotti con tanta urgenza e perché.
Camminano in silenzio per quella candida spiaggia addobbata a festa: delicati fiori bianchi sono stati disseminati un po' ovunque, una soave melodia si propaga in aria, rilassandoli un poco.
Ad un tratto, è Doma a prendere la parola e a chiedere quello che tutti si stanno domandando: «Perché ci hai fatti venire qui?» domanda con voce ferma, bloccandosi in mezzo alla spiaggia.
Gli altri capitani fanno lo stesso, tenendo la guardia alta. Non hanno visto nessuno dei suoi, non hanno ricevuto alcuna informazione e hanno dovuto lasciare le proprie ciurme per un qualcosa che non riescono a capire.
Al fianco dell'imponente capitano fa il suo arrivo Astrid, fasciata in un abito crema con scollo profondo e maxi gonna plissettata, completato da una cintura a vita alta in pelle nera, i capelli elegantemente raccolti a corona con ispirazione rinascimentale. Regale, impeccabile, senza un ciuffo fuori posto. La bocca è esaltata da un rosso brillante steso ad arte, il viso è scolpito dal blush che sottolinea i suoi zigomi e lo sguardo è delineato da un tratto di eyeliner nero e illuminato da un ombretto caldo metallizzato.
I vari alleati di Barbabianca rimangono estasiati da tale visione, incantati da quel caldo sorriso che rivolge a tutti loro.
«Sono lieta che siate riusciti ad arrivare in tempo.» la bionda immortale punta gli occhi su Bay, scrutandola in ogni dettaglio, e giunge velocemente alla conclusione che dovrà tenerla sotto tiro per evitare che la figlia o Killian provino a decapitarla quando tutti saranno distratti.
Volta poi il capo verso Newgate, passandogli delicata una mano sull'ampio torace: «Stai veramente benissimo.»
Barbabianca ormai ha imparato a conoscere la donna che ha di fronte e non si lascia più abbindolare dai suoi complimenti, talvolta detti giusto per dar aria alla bocca. Le sorride cordiale giusto per educazione e sposta velocemente lo sguardo sulla neo-figlia adottiva che sta venendo verso di loro a testa china.
«Qualcosa non va, Silly?» domanda Astrid, pronta a spaccare la testa a chiunque abbia osato rovinare una qualsiasi cosa, anche la più insignificante.
La licantropa, fasciata in un abito verde e oro drappeggiato in seta con corpetto stretto, si sistema il grosso elastico ornato con un fiore chiaro sulla sommità della perfetta treccia a lisca di pesce, sbuffando innervosita.
«Mimì ha dovuto fare la stronza.» borbotta rattristata, voltando di scatto la testa quando Ace la sorprende alle spalle e le bacia una spalla, notando nei suoi occhi la stessa tristezza che la pervade.
«Sarebbe a dire?» domanda Astrid, non riuscendo a comprendere cosa possa deprimere quei due, generalmente sempre più che allegri.
«Ha trovato le riviste porno di Satch e le ha bruciate tutte quante.» spiega rammaricato Ace, mentre Silly annuisce lievemente. Le piacevano quelle riviste, aveva trovato cose interessanti e trovato pure degli spunti per sorprendere il focoso compagno. Ora è tutto ridotto ad un cumulo di cenere.
«Tranquilla, Silly: sulla nave ne troverai quante ne vuoi!»
Silly sorride felice nell'udire la voce allegra di Vista, e subito prende la rincorsa per saltargli in collo e abbracciarlo forte. Spera di poter entrare o nella sua divisione o in quella di Rakuyo, ma per quello dovrà aspettare la fine della cerimonia, quando tutto sarà ufficializzato.
I vari alleati di Barbabianca, nel frattempo, continuano a guardarsi attorno con aria confusa, non riuscendo davvero a capire perché si trovino su questa strana isola e per quale motivo quella donna dagli splendenti capelli biondi punti con tanta insistenza Bay. Non capiscono un sacco di cose, ma dall'occhiata glaciale che ricevono da Barbabianca pensano che, forse, forse, è bene tacere e scoprire una cosa per volta. In fondo si fidano ciecamente di lui, perché mai preoccuparsi?
Ace e Vista, notato l'imbarazzo e la difficoltà in cui si trovano gli amici, gli vanno volentieri incontro, accettando di buon cuore le prese in giro per i loro eccentrici e sin troppo eleganti abbigliamenti. In particolar modo si stupiscono di vedere la ribelle chioma corvina di Ace perfettamente pettinata all'indietro, cosa che gli conferisce un'aria molto più matura ed affascinante.
«Ragazzi: ho un problema.»
Tutti si voltano verso Marco, vestito di tutto punto come sono stati costretti a fare pure gli altri. Cammina veloce, guardandosi attorno con attenzione.
«Pie non si trova?» domanda apprensivo Newgate, consapevole di quanto filo da torcere sia in grado di dare la piccola e dolce Angelica. Týr, per sottolineare il suo lato dolce e anche per prendere in giro il suo appetito disumano quando si tratta di torte, l'ha soprannominata recentemente Pie, e a tutti, lei compresa, è piaciuto. Più breve, incisivo... più suo.
Marco non risponde neanche. Tiene gli occhi fissi su Akemi, elegantissima in un abito in satin grigio arricchito da perle e strass, con le spalle scoperte e una profonda scollatura sulla schiena. In testa ha una via di mezzo tra una banana spettinata e una cresta a prova di gravità, con base tiratissima; ha trasformato la classica treccia in un'inedita cresta punk.
«Sei una madre di merda!» le urla contro, reso furioso dal fatto che abbia perso tanto tempo a farsi quell'acconciatura piuttosto che stare dietro alla figlia.
Certo, è furioso, ma le salterebbe comunque addosso. E questo Akemi lo sa, lo sente dall'odore che emana, e proprio per questo gli si avvicina lenta, come un predatore che ha messo alle strette l'ambita preda. Gli passa lentamente le mani sul petto fasciato da una sottile camicia bianca, facendole scendere fino all'orlo dei pantaloni. Avvicina il viso malizioso al suo orecchio e, dopo averlo sfiorato con le labbra peccaminose, sussurra ironica: «Tu sapresti dirmi dov'è?»
Marco, in tutta risposta, l'afferra con forza per le spalle e la scuote con forza, facendola ridere forte, come se tutti i loro problemi non esistessero, come se fossero la solita dolce e bizzarra coppia di diversi mesi prima.
«Credo di sapere dov'è.» commenta Týr, voltando un poco il capo verso la florida vegetazione alle sue spalle. Sente chiaramente l'odore intenso e pungente di lupo e quello più delicato della pelle della piccola.
Da un secondo all'altro gli alleati di Barbabianca si vedono spuntare un enorme lupo nero, che trotta allegro sulla sabbia bianca emettendo versi per loro incomprensibili. Al suo seguito, veloce ed un poco goffa, Angelica gli corre in contro, saltando per potersi appendere al suo collo. Essendo troppo grosso per le sue braccia, però, si trova costretta ad afferrare la folta pelliccia del mannaro, che di conseguenza la sbalza lontano sulla sabbia.
«Floki!» tuona Astrid, puntando le mani sui fianchi «Dovresti essere già pronto da un pezzo! Vai immediatamente a cambiarti!»
Il principe rotea gli occhi al cielo, latrando nervoso, e in barba agli ordini della madre trotta verso la sorella, pavoneggiandosi della sua considerevole mole. Sia lui che il gemello, infatti, sono riusciti a mutare poco meno di un mese prima, dando subito prova di uno spiccato talento per la caccia e una forza considerevole, già pari, se non superiore, a quella di licantropi secolari.
Angelica, primadonna come poche, si alza fulminea da terra e si spolvera il vestitino color panna, correndo subito dopo verso la folla.
I vari capitani guardano la scena con gli occhi sgranati al massimo e la bocca dischiusa, non riuscendo né a capacitarsi del fatto che Akemi sia stata chiamata “madre” né del fatto che una bambina stesse giocando con una bestia di quelle dimensioni.
«Nonno!» corre veloce Angelica, stando ben attenta a non inciampare nei propri piedi, dirigendosi verso l'imponente Imperatore che, con un dolce sorriso in volto, si abbassa per poterla abbracciare. Pure questo dettaglio sconvolge non poco gli alleati, che però non osano chiedere spiegazioni tanto sono sconcertati.
Newgate si carica la bambina in braccio, lasciandosi baciare su una guancia e stringere dalle sue esili ma forti braccia.
«Ho fatto una cosa per te!»
Angelica sa bene come rigirarsi le persone, pure il grande Edward Newgate: le basta sfilare un foglio stropicciato dal corpetto del vestitino su cui ha rappresentato in modo confuso loro due che si abbracciano su uno sfondo di cuoricini rosa per farlo sciogliere come neve al sole.
L'anziano capitano la stringe ulteriormente a sé, intascandosi il disegno della nipotina per poterlo conservare come ha fatto con quelli di Akemi.
L'unico a non essere per niente commosso da questo dolce gesto è Týr, che osserva il tenero duo con astio. Già di per sé è una creatura egocentrica ed egoista oltre ogni limite, se poi sua nipote riempie di attenzioni il falso nonno anziché lui la situazione potrebbe davvero degenerare. Fortuna che Angelica è capace di rabbonire pure lui: si libera con grazia dalle braccia di Barbabianca per poter così scivolare tra quelle del vampiro, che stringe e sbaciucchia il più possibile.
«Ma come si venderà bene la mia nipotina?!»
L'attenzione dei presenti, anche quella degli shockatissimi capitani, si sposta su un'elegante Halta, che indossa un completo formato da bomber ricamato con motivi orientali e gonna al ginocchio, entrambi blu elettrico. Sorride raggiante alla piccola principessina che le fa la linguaccia e subito dopo le apre le braccia, pronta ad essere travolta.
«Týr, Mimì chiede di te.» lo informa con noncuranza, lasciando che la bambina le scompigli un poco i capelli legati in un'ordinato chignon.
Il vampiro, ancora offeso dall'atteggiamento della bimba, gira sui tacchi e si dirige con passo svelto verso il grande tendone dove si sta preparando la sposa, lasciando i presenti in un silenzio imbarazzante.
«Immagino che vi starete chiedendo un sacco di cose.» sentenzia con ovvietà Barbabianca, trattenendo un sorriso di scherno di fronte alle loro espressioni che vanno oltre lo sconcertato.
I capitani annuiscono piano, tenendo sempre gli occhi puntati sull'enorme bestia che si lascia accarezzare da Akemi e sulla bambina che si è liberata dalla presa di Halta per correre tra le braccia di Marco, che la tiene con delicatezza poggiata su un fianco.
«Siete stati convocati su questa particolare isola per un evento molto speciale: il matrimonio di vostro fratello Satch.»
Un “cosa?!” generale parte in automatico a tutti quanti, suscitando l'ilarità dei presenti.
«Già, il caro Satch ha deciso di mettersi la catena al collo!» scherza Ace, che in realtà è fiero del fratello e gli augura ogni bene. Ha dovuto faticare parecchio per restare serio quando l'ha visto alle prese con il completo che gli è stato fatto, ma alla fine è riuscito a rimanere serio e a fargli semplicemente le congratulazioni... e le condoglianze per le riviste andate perdute.
«Papà, chi sono queste persone?» domanda curiosa la piccola Angelica, osservando timidamente i vari pirati che adesso guardano con insistenza lei.
«“Papà”?» sottolinea scettico Doma, guardando ad intervalli il trio stretto in una specie di abbraccio. Per quanto ne sapeva la ragazza era davvero molto giovane, era single e poi era anche morta.
Alza le mani in segno di resa, scuotendo la testa: «Ok, non voglio sapere i dettagli. Sono sicuro che rimarrei traumatizzato a vita!» scherza subito dopo, avvicinandosi al piccolo nucleo familiare.
Bay è rimasta totalmente pietrificata: aveva sì capito che con Marco la questione era chiusa, che sicuramente c'era un'altra donna nella sua vita, ma non poteva proprio immaginare che sarebbe stata quella mocciosa dai modi violenti; tanto meno avrebbe immaginato che avrebbero messo su famiglia così velocemente!
«Credetemi, è una storia davvero lunga e a voi non interessa!» esclama Vista, giusto per evitare che facciano troppe domande. È già un miracolo che Fenrir abbia accordato loro lo sbarco, meglio non tirare troppo la corda.
Seppur controvoglia, annuiscono e si fanno andar bene le parole del Comandante, per poi cominciare a seguirli con passo calmo verso il fitto della vegetazione.
Di tanto in tanto continuano a lanciare occhiate curiose alla bambina che si è comodamente accoccolata tra le braccia della Fenice, ma ben presto la loro più completa attenzione viene magnetizzata da creature mostruose che passeggiano tranquille vicino a loro.
Bestie enormi, deformi, talvolta ricoperte di peluria, con brutti musi, zanne e artigli. Creature da incubo, i peggiori mostri di cui sentivano parlare da bambini quando gli adulti volevano spaventarli.
Creature da incubo, che però mostrano un atteggiamento incredibilmente tenero con la propria mostruosa prole. Un Wendigo, per esempio, si è seduto su una roccia per suonare il flauto ai propri piccoli. Un altro esempio, invece, lo dà un Beholder che intrattiene molti piccoli giocando con loro a nascondino.
I capitani vorrebbero chiedere spiegazioni, lo vorrebbero con tutto il cuore, ma l'occhiataccia di Ace e il suo segno di tacere li trattiene.
Per il resto del viaggio non ci sono eventi di rilievo, se non qualche mancato infarto di fronte a creature mastodontiche e dall'aspetto tutt'altro che amichevole.
«Dove siamo finiti?» gracchia Squardo, con la voce rauca per il freddo che ha dovuto subire durante il viaggio e dal disuso.
«Nel posto giusto.» gli risponde allegra Silly, ricominciando a trotterellare da una parte all'altra per intrattenere gli ospiti a lei già ben noti, oltremodo felici per i vari eventi di quella lunga giornata.
Dopo un lungo tragitto attraverso piccoli sentieri costruiti con piccoli sassi bianchi e lisci, appena illuminati dai flebili raggi di Sole che riescono a trapassare la cortina di foglie che li sovrasta, giungono finalmente nel fitto del bosco, dove è stata allestita l'intera cerimonia.
Il bosco è un luogo idilliaco che crea un'opportunità unica per sposarsi in mezzo alla natura. Sposarsi in un luogo del genere è come vivere il momento più bello della vita in un ambiente incantato, intimo ed in esclusiva. Sembra di essere il protagonista di una favola, di quelle che iniziano con la famosa frase “c'era una volta”.
Il tema delle nozze è stato pensato in stile fantasy, con fiori e trecce nei capelli, una damigella a piedi nudi, diversi chandelier appesi agli alberi, creature del bosco disegnate sugli inviti.
I tavoli dove banchetteranno sono in legno grezzo allestiti con tovaglie color verde muschio con applicazioni vegetali e ci sono tronchi che sorreggono dolci decorati con motivi floreali o diventano sottopiatti. I candelabri a forma di rami d’albero fanno da base ad altissime composizioni di viburno, giacinti, delfinie, felci e muschio. In mezzo alla tavolata c'è una torta nuziale di otto piani, con decorazioni composte da perle fondant e da fiori freschi sulle tonalità del bianco, verde acido e avorio.
Ciò che però mozza veramente il fiato è l’allestimento della navata: una nuvola di glicine bianco che ingentilisce un bosco che sembra quasi fatato, cascate di profumati fiori pendenti che fanno da fondale alla cerimonia, un tappeto di petali bianchi per l’incedere della sposa. In fondo alla navata c'è un enorme arco fiorito coperto di fiori bianchi tra cui delphinium e fiori di ciliegio.
Satch, magnifico in un completo verde petrolio, gli accessori in nero e oro, con il suo foulard giallo al collo, continua a camminare avanti e indietro, nervoso come non era mai stato in vita sua.
Gli ospiti sono estasiati dallo spettacolo che gli si apre davanti agli occhi e non sono pochi quelli che vorrebbero raggiungere Satch per fargli le congratulazioni e abbracciarlo, ma il grande Imperatore Bianco intima loro di prendere posto perché ormai sono agli sgoccioli.
Ace e Silly corrono al fianco di Satch, essendo loro i testimoni dell'unione assieme a Hidan, e subito il mannaro chiede loro come se la passa la futura sposa, venendo velocemente tranquillizzato dall'amica.
Barbabianca si porta con fierezza dietro al giovane e coraggioso figlio, poggiandogli una mano sulla spalla e guardandolo con orgoglio. Sarà proprio lui a sposarli, e non potrebbe esserne più felice.
Occorrono circa dieci minuti prima che tutti gli invitati, mostri e umani, prendano posto l'uno di fianco all'altra. La famiglia Reale sta in prima fila e Fenrir fatica abbastanza nel trattenere qualche lacrima di commozione di fronte all'espressione oltremodo felice del giovane pirata. Volta un poco la testa verso Astrid e di slancio la bacia, mentre nella sua mente ricorda il loro matrimonio.
«Ti sposerei altre mille volte.» sussurra sulle sue labbra, facendola sciogliere.
I figli, vicini a loro, si guardano reciprocamente negli occhi e si mettono un dito in gola, fingendo un conato di vomito.
Akemi dà a Floki una gomitata, zittendolo immediatamente. Niente e nessuno interferirà in alcun modo quel giorno, non con la felicità di suo fratello e dell'amica.
Di colpo parte una leggera e dolce melodia, e tutti si voltano per vedere la bella Mimì percorrere la navata a braccetto con Týr.
L’abito della vampira è semplice e ricco al tempo stesso, molto leggero, realizzato in satin in modo da aderire perfettamente alla linea della vampira, con una silhouette a sirena e lungo strascico. La schiena è nuda ed è coperta da una parte centrale in tulle, con cento bottoni a chiudere l’abito e ad arrivare fino in fondo allo strascico, e da un disegno circolare costituito da grandi motivi floreali in pizzo. Le maniche sono lunghe e terminano in preziosi polsini in pizzo. I capelli sono stati tinti di un tenue castano caramello e sono raccolti in modo ordinato, ornati da un piccolo fermaglio di diamanti sulla sommità.
C'è chi non riesce a trattenere le lacrime, chi sorride e chi resta senza parole. Vedere la sposa raggiungere l'altare vestita di bianco suscita sempre grandi reazioni, soprattutto negli sposi. Satch si porta le mani al volto per nascondere il sorriso raggiante e le lacrime di gioia che gli solcano le guance.
Ace, al suo fianco, fa l'occhiolino a Silly e poi dà una leggera gomitata all'amico per intimarlo a ricomporsi, sorridendogli felice.
Quando Týr raggiunge il pirata, affidandogli l'adorata figlia acquisita, lo tira leggermente verso di sé e, con un sorriso evidentemente falso, sussurra: «Tu falle del male e io ti sventro come una pecora.»
Satch gli sorride felice e aiuta la ragazza a mettersi al suo fianco, tenendole saldamente le mani. Dopo tutti i recenti avvenimenti, ha quasi paura che tutto quello che sta vivendo in questo momento sia solo un sogno. Ha paura di svegliarsi di nuovo in quell'umida e buia cella, alla mercé di Peter, e lì morire come pensava che sarebbe successo.
Mimì pare quasi capirlo e gli stringe piano le mani, sorridendogli timidamente. Vorrebbe baciarlo, stringersi a lui e poi scappare lontano, ma vuole che questa cosa così umana sia perfetta come sognava da ragazzina. Non pensava che avrebbe mai potuto trovare un uomo di cui fidarsi, qualcuno a cui concedersi anima e corpo, e invece adesso sta davanti a lei, fiero e fragile come solo Satch sa essere.
La voce tonante di Barbabianca riporta tutti con i piedi per terra, compresi i due sposi, che adesso ascoltano con attenzione le sue parole, pronti a dire il proprio giuramento al momento opportuno e scambiarsi quelle agognate fedi d'oro bianco che da mesi vorrebbero mettersi.
«Che palle...» commenta a mezza bocca Týr, che i matrimoni proprio non li ha mai potuti sopportare.
Wulfric, al suo fianco, gli tira una forte gomitata nel fianco e lo fulmina con lo sguardo.
«Taci, imbecille.» sibila minaccioso, senza però sortire l'effetto desiderato.
«Andiamo, tu vorresti tutto questo? Tutti questi fronzoli e frasi da smidollati?» insiste il vampiro, facendo roteare gli occhi verso il cielo all'amico.
Sul volto pallido di Wulfric si apre un sorriso malinconico, assai strano su di lui, e subito dopo sussurra: «Se avessi al mio fianco la metà della mia anima mancante, lo farei volentieri. Loro si completano, quindi ora tu stai zitto.»
Sbuffa sonoramente Týr, mettendo il broncio e incrociando le braccia al petto come un bambino capriccioso. Era convinto che almeno il suo migliore amico sarebbe stato d'accordo con lui che quella è solo una pagliacciata senza valore: un capitano pirata a tenere la cerimonia, recitando, tra l'altro, la fatidica frase “finché morte non vi separi”. A conti fatti Mimì è morta da secoli e sta in piedi per qualche maledizione compiuta da una strega più di settemila anni prima, niente di più, quindi è un matrimonio senza valore!
Astrid si sporge leggermente verso di lui, osservandolo con attenzione dritto negli occhi: «Spero con tutto il cuore che un giorno tu trovi qualcuna che ti faccia perdere così la testa, Týr.» sussurra appena, sorridendogli diabolica.
«Nessuno mi metterà una catena!» sibila innervosito dalla piega di quella conversazione, voltandosi di scatto giusto per vedere l'ultima parte di quella che, per lui, è una cerimonia inutile: la cerimonia della luce. In pratica i due sposi usano due candele sottili per accenderne una più grande, simbolo della nuova vita insieme. Solo a questo punto i due si scambiano il primo bacio da sposati, stringendosi l'uno all'altra come se ne valesse della loro stessa vita.
Tutti applaudono e lanciano il riso ai novelli sposi, urlando congratulazioni e auguri di vario genere. Tutti, tranne Angelica, stretta come una piovra dell'amatissimo padre.
«Babbo?»
Marco volta appena il capo, incrociando i suoi grandi e vispi occhioni verdognoli, leggendovi dentro una curiosità infinita.
«Tu e la mamma farete una cosa così?» pigola indecisa, abbassando lo sguardo. Si vergogna a chiedere di queste cose, ma è più forte di lei. E lo è in maniera particolare adesso che ha scoperto che la bella donna dai capelli turchesi era la sua ex “fidanzata”.
«Chissà...» risponde vago il padre, stringendola a sé e mettendole in mano una manciata di candido riso «Lo lanci tu?»
La piccola accetta, lanciando quei piccoli chicchini con forza esagerata proprio contro la donna che un tempo, almeno nella sua mente, aveva il cuore del suo papà.
«Vacci piano, Diabolica.» le sorride la Fenice, scompigliandole i capelli con la mano libera.
Sakura, fasciata in un abito in seta dalla profonda scollatura, con stampa animalier sui toni del turchese e con un'acconciatura raccolta adornata da due treccine, sale sul piccolo palco in legno di ciliegio, pronta a cantare la canzone che la sposa ha scelto.
Si schiarisce piano la voce, guarda con un certo imbarazzo Wulfric, e poi attacca, dolcemente, seguendo le note leggere che si levano in aria: «You're the light, you're the night
You're the color of my blood
You're the cure, you're the pain
You're the only thing I wanna touch
Never knew that it could mean so much, so much
»
I presenti sono come rapiti dalla voce melodica e dal dolce sorriso della vampira. Alcuni ballano, improvvisando coppie, altri preferiscono restare seduti al proprio posto a bere del vino di ottima annata, godendosi semplicemente lo spettacolo.
I due novelli sposi, felici come non erano mai stati, ballano lentamente al centro di quella pista improvvisata, sorridendosi dolcemente l'un l'altra.
La voce di Sakura è come un dolce balsamo per le orecchie e tutti quanti, nessun pirata o immortale escluso, riesce a resisterle, e si ritrovano tutti a guardarla stupiti e rapiti.
«You're the feel, I don't care
Cause I've never been so high
Follow me to the dark
Let me take you past our satellites
You can see the world you brought to life, to life
»
Dopo una brevissima pausa, parte il coro, composto da Arista e Momoko, strette l'una al fianco dell'altra: «So love me like you do, love me like you do
Love me like you do, love me like you do
Touch me like you do, touch me like you do
What are you waiting for?
» Sorride felice, la vampira, ricominciando a cantare quella che, da ora in poi, sarà la loro canzone: «Every inch of your skin is a holy gray I've got to find
Only you can set my heart on fire, on fire
Yeah, I'll let you set the pace
Cause I'm not thinking straight
My head spinning around I can't see clear no more
What are you waiting for?!
»
Arista e Momoko riattaccano a cantare, sorridendo al pubblico entusiasta. Si soffermano soprattutto sulla neo-coppia, felici per loro per aver trovato in questo mondo caotico la parte mancante della loro anima.
«Love me like you do, love me like you do
Love me like you do, love me like you do
Touch me like you do, touch me like you do
What are you waiting for?
»
Dopo la loro breve performance partono uno scroscio di applausi che sembrano non finire più. Sono state eccezionali, romantiche al punto giusto senza cadere nello smielato, riprendendo perfettamente i punti di unioni della bizzarra coppia.
Angelica osserva la folla che si agita sempre di più, euforica, per poi tirare una manica al padre per attirarne l'attenzione che subito riceve.
«Il mio matrimonio sarà più bello di questo!» cinguetta la bambina, mentre si lascia condurre verso la grande torta. Il banchetto verrà dopo per volere di Satch, così come verranno dopo altri dolci di ogni tipo.
«Hai già deciso di sposarti?» domanda ridacchiando Marco, venendo affiancato da Akemi, che gli cinge la vita con le braccia pallide. Gli deposita pure un vaporoso bacio sul collo, che gli fa salire una potente scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale, su fino al cervello. Vorrebbe rigirarsi e baciarla con trasporto, ma sa che non è questo che lei vuole. Dopo undici mesi, ormai, ha imparato a conoscerla, a capire quando si sente pronta a fare qualcosa e quando invece qualcosa la mette a disagio, e vuole fare tutto ciò che è in suo potere per evitarle tali situazioni imbarazzanti o vagamente stressanti. Certo, questa protezione si limita soprattutto alla loro “relazione”, il resto sa bene che è capace di risolverselo anche da sola.
«Sì, con Hidan!» cinguetta felice la bambina, puntando i vivaci occhioni nella direzione dell'antico vampiro a cui è stata appena tirata in faccia una fetta di torta. Perché era ovvio che sarebbe finito tutto con una lotta col cibo, fatta di alleanze assurde, persone usate come scudi e quant'altro proprio come sta succedendo adesso. Rakuyo e Kakashi, come era prevedibile, sono in prima linea e brandiscono piatti come scudi e filoni di pane come spade.
Marco segue lo sguardo della figlia e comprende che può stare tranquillo, che Hidan è assolutamente innocuo, che non toccherà mai la sua bambina. Però comincia a prendere anche in considerazione che stanno a bighellonare da troppo tempo ormai, e che è quindi il caso di riprendere il mare prima che alla sua signorina si sviluppino tratti che, in cuor suo, spera non si sviluppino mai.
Adesso so come si sentiva il Babbo riguardo al Rosso, pensa sconsolato, allontanando la figlia dalla vista del vampiro. In fondo, meglio prevenire che curare!


La brezza sfiora leggera, morbida e avvolgente i corpi sopraeccitati dei presenti, incantati ad osservare il tappeto blu, immenso, infinito, dove luccicano, sospese, milioni di stelle. Sentono il rumore del mare, che onda dopo onda scivola verso la riva dolcemente, con lo stesso ritmo, lo stesso passo. Un richiamo irresistibile, per tutti loro.
Il mondo sembra tutto lì, in quel momento notturno di pace. Non ci sono pensieri, non ci sono “cose da fare”.
C’è la notte. E il mare. E il cielo.
Un tale senso di libertà che invade ogni cellula dei loro corpi provati dai vari ostacoli che li hanno intralciati pesantemente.
Non servono le parole, basta guardarsi negli occhi: c’è magia, elettricità, passione.
Astrid, che è riuscita ad evitare il bombardamento di cibo, adesso irrimediabilmente immangiabile, si lascia trascinare un piccolo ceppo d'albero, sulla quale sale fieramente in piedi.
Alcuni continuano a parlottare tra loro, felici e giustamente alticci, non badando a quella bellezza divina che sorride loro con dolcezza.
«Vorrei per un momento la vostra attenzione» annuncia seria, consapevole che presto il patto sarà concluso e che si invischieranno in una faccenda che, tutto sommato, non li riguarda.
«Tutti noi abbiamo passato un anno pieno di avvenimenti, momenti belli e momenti brutti... e tutto ci ha condotto qui, adesso, su questa spiaggia rischiarata dalla Dio Máni, che sempre rasserena il nostro cammino» continua, fiera e dolce al tempo stesso, incantandoli «Ed è qui, adesso, al suo cospetto, che noi vogliamo celebrare un altro evento, non meno importante dell'unione di questi due giovani innamorati.»
I novelli sposi, alticci, stanno seduti l'uno in braccio all'altra, con un espressione così dolce che rischia di farle venire il diabete, motivo per cui distoglie immediatamente lo sguardo.
Dopo averla malamente spinta di sotto, Týr prende il suo posto. Sorride allegro, le mani nelle tasche e il mento alto.
«Il Clan Lothbrook e la potente ciurma di Barbabianca si uniranno, da adesso fino alla fine dei tempi, in un'alleanza, un legame stretto col sangue.» annuncia sicuro, voltando un poco il capo verso il grosso carro che viene trascinato da Fenrir, Freki, Bjorn e Floki, ripieno di lanterne di carta.
Alza di nuovo lo sguardo al cielo, Týr, perdendosi nel pallore della Luna che li osserva sempre, che li protegge e dà loro forza.
«Che Máni ci sia testimone, adesso, e che gradisca il nostro pegno di unione.»
Delle piccole lanterne vengono distribuite a coppie: immortale-umano, immortale-umano, immortale-umano. Chi non è abituato alla vicinanza di tali creature si trova spaesato, ma alla fine accetta l'invito e afferra con mano incerta l'oggetto che gli viene posto.
La lanterna di carta utilizza lo stesso principio della mongolfiera e viene realizzata con un corpo di carta appoggiato su una struttura rigida al cui interno viene posta una fonte di calore in cera combustibile. Quando viene accesa la fiamma, il calore scalda l'aria all'interno diminuendone la densità. Di conseguenza l'oggetto si alza in volo e rimane in volo finché la fiamma rimane accesa, dopo di che plana lentamente al suolo.
Queste particolari lanterne sono state prodotte in seta colorata, di un pallido giallo papiro, su cui spiccano i due vessilli delle casate: lo stemma di Barbabianca al centro, circondato da due minacciose teste di drago rosse, che simboleggiano il Clan Lothbrook.
Fenrir prende la sua e la porge all'Imperatore pirata, fiero della propria scelta e, dopo quello che pare essere un eternità, finalmente le lasciano andare verso il cielo, così che anche i loro déi siano testimoni di quell'importante e preziosa unione eterna.
Marco e Akemi, in mezzo al gruppo, lasciando andare contemporaneamente la loro lanterna, sotto gli occhioni attenti della piccola e di Filippo.
Quando poi Marco abbassa lo sguardo si perde negli occhi di ghiaccio della non-compagna, sente il cuore battere all'impazzata nel petto. Sarà l'alcol, sarà che la trova bellissima, sarò che hanno una figlia e che vivranno l'eternità insieme per far sì che cresca sana e forte, non lo sa. Sa solo che la vede come la più incantevole creatura della terra, anche con i capelli così scompigliati e dei frammenti di torta spiaccicati contro il suo pregiato vestito.
Posso vedere dentro di te, posso ammirare le meraviglie che nascondi al mondo, quelle meraviglie fatte di scogli ricchi di fascino e armonia, quelle profondità ricche di dolcezza contornata da un'intelligenza sopraffina. Sei tu il mare che vorrei percorrere e navigare, e accarezzarti per tutta la vita.
La tregua è finita. Marco non ce la fa più: l'afferra rudemente per un fianco e la stringe a sé. Con un dito tocca il bordo della sua bocca, cominciando a disegnarla come se uscisse dalla sua mano, tracciando semplicemente i lineamenti delle labbra che da troppo desidera.
Lo guarda, Akemi. Lo guarda da vicino, sempre più da vicino e allora giocano a fare il ciclope, si guardiano tanto da vicino che i loro occhi si allargano, si attaccano tra di loro, si sovrappongono e i ciclopi si guardano, respirano confusi, le bocche s’incontrano e lottano nel tepore, si mordono con le labbra, appoggiano appena la lingua tra i denti, giocano nei loro recinti là dove un’aria pesante va e viene col suo profumo antico e il suo silenzio. Allora le mani di Marco cercano di immergersi nei suoi capelli mentre si baciamo come se avessero la bocca piena di fiori o di pesci, di movimenti vivi, di fragranze oscure. E se si addentano, il sapore è dolce. E c’è una sola saliva e un solo sapore di frutta matura, ed entrambi si sentono tremare come la Luna nell’acqua.
Le fiaccole volano alte, le due minacciose teste di drago a proteggere il vessillo del pirata, e sulla terraferma svariate coppie ritrovano, sotto a quel cielo illuminato, un equilibrio che credevano di aver perso per sempre.
Akemi prende in braccio la sua bambina. Marco prende in braccio Filippo. Tutti e quattro guardano la propria lanterna confondersi con le altre.
I due pirati si lanciano una fugace occhiata, sorridenti.
Andrà tutto bene, d'ora in poi.

 

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Angolo dell'autrice:
Sì, è finita. Mi ero ripromessa di dire tante di quelle cose in queste poche righe, mentre in questo
momento non mi viene in mente nulla.
Sento però di dover ringraziare alcune persone.

Grazie a per aver recensito lo scorso Nakurami, Monkey_D_Alyce, ankoku, KING KARUMA e Yellow Canadair capitolo; grazie a Vivi y, Chiaki Tanimura, Okami D Anima, Lucyvanplet93, iaele santin, Mistery_Lawliet, Portuguese D Ice, _Takkun_, LuxLuxis, Adeia Di Elferas, Redangel19, Law_Death, Portogas D SaRa, Aliaaara, Art_4ever, Keyra Hanako D Hono, rosy03, nemesis_inframe92, Chie_Haryka, Phoenix_Sarah, Aceko_san, Shot93, mariasole, LevyChan98 e Ashera_Hiden per aver recensito anche solo un capitolo; grazie a Aliaaara, Angel 69, Ariel9, Azzu___, Balalaika_, Chie_Haruka, dragon_queen, Ecatilla, evy88, filbea94, FireFistAce, girosolomina, giulik_93, God_of_Cat, GothicLolita96, iaki46, Ikki, irenecaccin_, KING KURAMA, Lady Claire, Lady_Light_Angel, LallaOrlando, Law_Death, leonedifuoco, Little Neko Baka, Lola298760, Lucyvanplet93, Lunaix, LuxLuxis, mileace99, Mizutsuki_Chan, Nakurami, namine92, OrderMade96, original_doll, Portuguese D Ice, Puffetta96, Redangel19, rosy03, Shirin17, Shot93, stayoungandinvincible, SunshineKiki, SuperfanShiho, TheLadyVampire97, Trafalgar Revy, Travel_dream_love, valepassion95, Vidalita, Yellow Canadair, Yuraa, Zefiria BlackIce, zorina98, _ K a r i n, _Lawliet, _miaoo_ e _RockEver_ per aver messo la storia tra le seguite; grazie a Bat27, Hinata Uchiha Arclight, Kasai_no_Aya, Law_Death, naikechan, Okami D Anima, Portuguese D Ice, Shenron87, Shot93, SunshineKiki e Yellow Canadair per averla messa tra le ricordate; grazie a AceDPortgas, Aceko_san, ankoku, Asiietta, Caren96, Carmen988, Cayley, Chie_Haruka, cicudina88, Dark_witch3, D_ann, erica0501, eve vane 90, FemPhoe, FireFistAce, giada1999, God_of_Cat, Incantatrice_Violeta, jess chan, Jollyna, Keyra Hanako D Hono, KING KURAMA, Kuro Neko, Law_Death, LevyChan98, Lysl_97, macchiolina20014, Malevolent, Mitsuni, Mizutsuki_Chan, Monkey_D_Alyce, nemesis_inframe92, Okami D Anima, Portuguese D Ice, ReddoDoragon, Rosa_Linda, Scarlet_D_Rose, Shirin17, Shot93, Skull, Stella cometa 94, SunshineKiki, Trafalgar Revy, TRAFALGAR_SARA, vampyria, Yellow Canadair, zomimanganana e Stupid Wise per averla messa tra le preferite. Grazie a per aver lasciato un segno. Grazie anche a tutti coloro che hanno anche solo letto silenziosamente.
Ebbene: Grazie a tutti per avermi seguita in questo lungo, lunghissimo viaggio. Ogni commento, ogni segno di vita che mi avete fornito, mi ha dato la piacevole certezza di non star scrivendo solo per me stessa, ma anche per voi.
Il fatto di avervi divertito, stupito, sconvolto o commosso è stato l’enorme guadagno che ho tratto da questa esperienza.

Adesso, ci tengo a ringraziare in modo particolare Yellow Canadair. Mi hai dato la possibilità di creare qualcosa di nuovo, di mettere in scena un personaggio non ideato da me, un qualcosa che abbiamo costruito insieme. E non solo! Mi hai aiutata nei momenti in cui dicevo “cazzo, e adesso come li muovo?”.
In realtà, poi, hai fatto anche più di questo. Mi hai ascoltata, hai riso con me, ci siamo raccontate tante cose che, per il nostro bene, il mondo non dovrà mai sapere... siamo diventate amiche. E io voglio davvero ringraziarti per avermi permesso di conoscerti :) Ti voglio bene!

Questa storia mi ha accompagnata per più di un anno (27/12/2013 – 16/04/2015) e ora è difficile separarsene.
Scrivere la parola fine a questo racconto mi dà una sensazione davvero strana... tristezza ed euforia al tempo stesso. Probabilmente è proprio in previdenza di ciò che ho cominciato a lavorare al sequel già qualche mese fa. Sequel che, tra l'altro, verrà pubblicato tra qualche mese, giusto il tempo di scrivere almeno i primi capitoli. Se per caso siete interessati a leggerlo, fatemelo sapere così vi manderò un messaggio privato il giorno della pubblicazione :) (sempre se volete eh!!!)

Bene, temo sia giunto il momento di salutarci e credo sia meglio farlo di colpo, come quando si toglie un cerotto da una ferita. Inoltre sto iniziando a prendermi troppo sul serio con tutte queste dediche e ringraziamenti: rischio di sentirmi una vera scrittrice (e partirono una sequenza infinita di prese in giro) e non mi pare proprio il caso.
Quindi…
Arrivederci, miei dolci pasticcini caramellosi. Vi lascio l'ultimo Special di questa storia, voluto e pensato da BlackFox909, ovvero il mio ragazzo, creatore di Tyrion. Speriamo che vi piaccia :)
Un bacione


KikiShadow93

 

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Esiste una piccola isola lungo la Rotta Maggiore, nel Mare Orientale. È piccola, circa diciotto metri quadri, e vi sorge solamente un minuscolo edificio. Quattro mura grige, spoglie, alte circa tre metri, con una piccola porta verde. C'è qualche albero intorno, che si erge fiero verso la Luna Piena che illumina il circondario.
Tyrion Bennington Bàthory rimane in piedi di fronte a quella piccola porta verde. La sua vita è stata totalmente rovinata quando è stato adottato – o per meglio dire, rapito – da Peter Lothbrook.
Non è più un vero essere umano, per colpa del virus con cui è stato contaminato. Non è più un Dragone, perché ormai è una creatura demoniaca. Non è più niente.
Si passa una mano sulla testa rasata a zero, gli occhi rosei puntati davanti a sé.
Vuole scappare dal bunker sotterraneo simile ad un enorme alveare in cui viene costantemente usato come cavia da laboratorio; vuole andarsene da quell'isola maledetta e tornare a vivere. Ma, più di ogni altra cosa, vuole vendetta. Vendetta contro quel dannato Clan che gli ha portato via ogni cosa.
«Tu non dovresti stare qui.»
Roxane, una delle seguaci di Peter, ora sua tutrice. Non lo lascia mai andare, non lo lascia respirare. Grazie a lei ha imparato a combattere con la stessa ferocia e brutalità di un licantropo, e sta imparando a mentire come fanno i vampiri, senza quelle fastidiose variazioni cardiache.
Il più grande problema con Roxane sta nel fatto che sia capace di leggergli dentro, di capire cosa stia pensando. È un problema, adesso, ma Tyrion sa bene che un giorno potrà sfruttare la cosa a suo vantaggio.
«I Lothbrook...» ridacchia beffarda la mannara, avvicinando cautamente quello che può essere definito come il più grande risultato della sperimentazione genetica degli ultimi secoli. Si avvicina, senza toccarlo.
«Combattono... insorgono!» continua, sentendo la rabbia crescente nell'organismo del giovane uomo al suo fianco. «Non possono essere governati.»
Tyrion abbassa lo sguardo e allunga una mano, poggiando il palmo aperto sulla corteggia di una grossa quercia secolare. Sente la sua energia vitale scorrere più velocemente grazie a lui, la sente affluire nella sua mano.
«Non voglio governarli.» asserisce tetro il giovane albino, ritraendo di scatto la mano.
La quercia, privata della sua energia vitale, si accartoccia su sé stessa, morente.

«Io voglio estinguerli!»

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