Hawks

di Sheep01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kate's Escape ***
Capitolo 2: *** Into the Woods ***
Capitolo 3: *** The Chase ***
Capitolo 4: *** The Curse ***
Capitolo 5: *** Out of the Fortress ***
Capitolo 6: *** Deal ***
Capitolo 7: *** Thin Ice ***
Capitolo 8: *** Aguillon ***
Capitolo 9: *** Breaking the Curse ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Kate's Escape ***


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Disclaimer: I personaggi citati non mi appartengono ma sono proprietà di Marvel e Disney. La storia di “Ladyhawke” al quale questo racconto è liberamente ispirato, è di proprietà dei rispettivi creatori e case di produzione. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

 

*
 

HAWKS

 

Lo so che ho promesso di non farlo più, Signore, ma so anche che tu sai, quanto debole sia la mia volontà.”

 

*

 

Il rumore che fa la fune quando si tende, produce un suono che si potrebbe dire simile alla nota di uno strumento a corde.

Una specie di melodia.

Per quanto Katherine Bishop amasse la buona musica però, non era del tutto certa che quel tipo di suono fosse in sintonia con i suoi gusti.

Non quando quel molesto e antiestetico cappio finiva per rappresentare l’unica via di fuga dalla prigionia. E andasse a coincidere, più o meno agilmente, con il suo ultimo viaggio.

Morire per impiccagione suonava così poco romantico. Così poco tragico. Finir penzoloni per una botola, con un sacco sulla testa, le gambe che si dimenano comicamente a dar spettacolo a un gruppo di villici ignoranti.

Per questo aveva deciso che il giorno prestabilito per le esecuzioni nelle prigioni di Aguillon, sarebbe coinciso con quello della sua fuga.

Programmata, certo.

La sua fama non si fermava, per nulla, a qualche innocente furtarello al mercato.

Com’era vero Iddio, avrebbe portato a compimento una delle imprese più spettacolari della sua giovane vita. Che si narrasse delle sue gesta negli anni a venire!

L’unica donna ad essere entrata nelle prigioni di Aguillon come ladra, in procinto d’esecuzione e ad esserne uscita viva. Nonché moderatamente in forma.

C-certo un paio ossa in meno mi avrebbero fatto comodo…” smozzicò annaspando nel tunnel fatto di terra e argilla melmosa. Scavare per giorni aveva portato i suoi frutti; la fretta però non le aveva dato il tempo necessario per prendere le giuste misure. Aveva dovuto stringersi un po’… ed ora i suoi muscoli, le sue membra tutte, stavano lottando per uscire da quel cunicolo oscuro che la proiettava direttamente nei sotterranei delle prigioni.

L’odore di urina, escrementi e muffa le regalavano un mistura odorosa affatto invitante.

Uscire dall’utero materno non deve esser stato tanto diverso…” sgranò gli occhi, allungandosi, mentre le mani andavano ad affondare nell’acqua, aggrapparsi al fondo limaccioso come a cercare un ultimo appiglio per uscire da quel buco.

C-che ricordi…”

 

Che fine ha fatto il falchetto pellegrino?” la voce delle guardie arrivava lontana e ovattata come fosse a centinaia di metri di distanza. Peccato fosse solo qualche metro in superficie e che – molto probabilmente – sarebbero stati sulle sue tracce in poco meno di una manciata di minuti.

La voce della sua compagna di cella farfugliò qualcosa di davvero poco chiaro. Non una novità, considerando i suoi etilici trascorsi. Era sicura che tutto quell'idromele le avesse bruciato un bel pezzo di ragione. Le conversazioni che avevano pigramente consumato in pochi giorni di convivenza erano state tutte piuttosto fantasiose. Se mai avesse avuto modo di scriverne, Kate era certo convinta che avrebbe potuto tirar fuori delle novelle niente male.

In preda alle considerazioni ricadde con un tuffo nell’acqua torbida, annaspando per qualche istante prima di emergere.

Che schifo!” si trovò ad esclamare, muovendosi a pesanti falcate lungo il canale.

Avrebbe dovuto trovare una via di fuga rapida e possibilmente indolore. Ma quei tunnel sembravano tutti uguali e da quella prospettiva non pareva così facile orientarsi nel dedalo sotterraneo, con la scarsa visibilità, la puzza e tutto il resto.

Signore ti prego indicami la via. Se mi salvi da questa situazione ti prometto, anzi, ti giuro che mai più ruberò. Se mi permetti di cavarmela, ti giuro che dedicherò parte della mia esistenza alle buone azioni. Ad aiutare i poveri e gli affranti… a consolare i…”

Solo quando intravide una luce cominciò a indovinare una speranza concreta. Che si manifestò, con tanto di cori angelici, su per la grata che suppose improvvisamente arrivare dalla chiesa. Il vescovo stava per celebrare la funzione. Se per rendere pace agli impiccati freschi di giornata o grazie al Signore di aver liberato il paese da quella feccia, quello non avrebbe saputo dirlo.

Il vescovo di Aguillon non era esattamente rinomato per essere un grand’uomo. E che Dio avesse pietà della sua anima di giovane fanciulla ancora in fiore anche solo per averlo pensato ma… diamine! Dopotutto era quello che il popolo andava farneticando da più o meno un lustro. Il vescovo nascondeva un passato ben più torbido di quanto non mostrasse la facciata. E improvvisamente le apparve quasi chiara la metafora di come quelle stesse fogne che galleggiavano sotto la prigione e finanche la chiesa, sembravano rappresentare la gestione del suo vescovado.

In ogni caso ora il Signore, in linea o meno con le sue supposizioni, le stava mostrando qualcosa.

Magnifico come a volte la provvidenza si manifesti in modi del tutto inusuali e poco in linea con il corretto pensiero.

Signore… ti ringrazio!” si premurò di pronunciare, comparendo sotto il cono di luce proveniente da fuori. Solo quando vi fu sotto si rese conto che la via di fuga era ben meno semplice di quanto si era attesa. La luce invitante dell’esterno non le assicurava per niente l'evasione, tutt’al più andava ad illuminare una scappatoia a qualche metro di distanza, un altro canale che andava a inabissarsi verso una galleria che presumibilmente sfociava all'aria aperta. Verso il fossato che circondava l’intera struttura, lo stesso fossato che aveva solo avuto modo di intravedere il giorno della sua cattura, prima di essere ingabbiata come un lupo selvatico.

L’idea non la allettava per nulla.

Bè, Signore… se questa è la tua volontà…” con un gemito sommesso andò a recuperare tutta l’aria di cui aveva bisogno. Vinse la riluttanza per tutto quello schifo galleggiante, il conato di vomito bloccato in gola e, dopo un paio di calcoli mentali, si immerse per affrontare l’ultimo viaggio… possibilmente verso la superficie. E non per una tragica morte.

Di morti affogati ne aveva visto solo uno. E le era bastato. Una morte forse ancora meno romantica di un impiccato. Le labbra gonfie, gli occhi sporgenti e il colorito blu della pelle… non era sicura fosse la tonalità che più le si addiceva.

 

Il viaggio fu di certo meno lungo di quanto le era sembrato. Momenti che alternavano pentimenti per una vita passata, l’abbandono della famiglia che aveva tentato di insegnarle la disciplina e che, quando aveva visto fallire ogni suo più tenace tentativo, aveva tentato di rinchiuderla in un convento disperso sulle montagne, per insegnarle l’umiltà, l’obbedienza… la castità.

Tutte cose di cui avrebbe volentieri fatto a meno… prima dell’immersione, ma che le sembravano di certo più allettanti, ora che sentiva il respiro mancarle in gola e le bollicine d’aria le volteggiavano attorno al viso, a schernirla per la sfacciataggine con cui aveva deciso di affrontare l’impresa.

Quando raggiunse la superficie, la luce del sole e il respiro che incanalò tutto l’ossigeno che le era mancato, le fecero assaporare nuovamente quella sensazione invadente che la gente amava chiamare libertà.

Trattenne un grido liberatorio, tenendosi sulla sponda, per evitare le guardie, per non attirare l’attenzione. Se anche sentiva uno sgradevole sapore sulla lingua cercò di prenderlo come il prezzo da pagare per quel dono divino.

Grazie Signore… grazie…” smozzicò a fatica, prima di andare alla ricerca di un solido appiglio per uscire da quella fogna di posto.

Il più lontano possibile dalle prigioni, dal vescovo ma soprattutto dall’unica nota di quel ruvido cappio.

 

*

 

Il vescovo di Aguillon s’incamminò nervoso fuori dalla chiesa, con il suo seguito di novizi tutti di bianco vestiti, in uno stormo ubriaco.

Il capo della guardia, Jasper Sitwell, gli si affiancò con aria tutt’altro che tranquilla.

Vostra grazia… una parola.”

Anche due, purché siano rapide.”

Vide la guardia esitare, abbassare lo sguardo, non un segno che si potesse interpretare come una buona novella.

Un prigioniero è riuscito a evadere.”

Il vescovo rallentò la sua avanzata e per poco il primo del suo seguito non andò a franargli addosso.

Squadrò il capo della guardia con aria accusatoria.

Come è stato possibile?”

Ha scavato un tunnel da cui nemmeno un bambino sarebbe riuscito a passare.”

Per finire dove, esattamente?”

Nei sotterranei. Gli scarichi che portano al fossato.”

Li avete perlustrati?”

Da cima a fondo, vostra grazia.”

E allora deve essersi spinto ben oltre le prigioni. Che state aspettando? Non può e non deve sfuggirvi. Le tempeste si fanno annunciare da lieve brezza, capitano. E una sola scintilla può appiccare il fuoco della ribellione.”

Sì, vostra grazia.”

Lo guardò abbassare il capo e allontanarsi, regalandogli la flebile illusione di avergli concesso la grazia.

Si incupì rapidamente invece e congedò in malo modo il seguito andando a rintanarsi nello stanzino che usava per le sue preghiere.

Una volta solo si inginocchiò di fronte alla croce che si limitava a rimirarlo, silente, dalla sua posizione.

Ancora vi ostinate a inginocchiarvi di fronte a un Dio che evidentemente si è dimenticato di voi?”

Il vescovo sgranò gli occhi ed esitò per qualche istante sulla statua del figlio di Dio, sperando fosse stato lui a concedergli la gioia di una parola, seppur non di consolazione.

Come biasimarlo comunque, non si può certo dire che la vostra condotta incontri gli insegnamenti di vostro Signore.”

Il vescovo si voltò di scatto. Un’espressione sgomenta sul viso scavato, teso che stava arrendendosi al peso degli anni e dei suoi peccati.

E i suoi occhi videro. Videro colui che aveva tante volte cercato di dimenticare. Il giovane dai capelli corvini che sorrideva beffardo dall’oscurità. E che nell’oscurità sembrava esser stato forgiato.

Quel demonio a cui si era appellato per un maleficio… che lo aveva incatenato in un ricatto che ormai durava da due anni.

Voi, demonio…” sussurrò come se non si aspettasse una sua visita.

Demonio… attento a come parlate, vostra grazia.” Si prodigò il giovane in un inchino elegante, in netto contrasto con l’espressione di puro sdegno che gli si era dipinta in viso. Il vescovo si ritrasse, esasperato, ad arpionarsi a quel suo altare improvvisato. Come ad aggrapparsi ipocritamente alla sua fede, sperando di esserne tratto in salvo.

Vi ho già insegnato il mio nome. Buffo come ogni volta sembriate dimenticarlo.”

Non l’ho dimenticato…”

Il ragazzo sorrise, andando a rimirare il crocifisso su cui quell’omuncolo sembrava prestare tanto affidamento.

Siete venuto qui per riscattare il debito che ho nei vostri confronti, dunque?” balbettò il vescovo, cercando di ricacciare indietro il sibilo di terrore che aveva preso a respirare dalle lorde profondità della sua coscienza.

Rilassatevi, amico mio, non è ancora venuto il momento. Non è per questo che sono venuto a farvi visita…” lo rassicurò con quel suo tono pacato, ma seducente, che nascondeva ben altri intenti.

E allora a cosa devo… questa incursione durante il mio momento di preghiera?”

Suvvia, vostra grazia, sembrerebbe quasi che vogliate liberarvi di me…” lo guardò dritto negli occhi, prima di mutare espressione. E questa volta, il vescovo, in quegli occhi color del cielo, limpidi e ingannevoli come una mattina di primavera, sembrò quasi avere uno scorcio dell’abisso infinito che celavano. Si sentì inghiottire in quelle profondità e calamitare nel sibilo che le sue labbra produssero.

Molto presto qualcosa cambierà il corso degli eventi. Il maleficio che mi avete chiesto di architettare verrà minacciato da qualcosa di ben più forte della magia di qualsiasi dio terreno e ultraterreno.”

Il vescovo si sentì vibrare fin dalle ossa, un sussulto interiore che faticò a trattenere. Ancora inchiodato in quegli occhi. Su quelle labbra.

Il ladruncolo che le vostre guardie si sono lasciati sfuggire questa mattina, che è riuscito a scampare alla morte, giocherà un ruolo fondamentale… in questo cambiamento.”

Lo vide sorridere, come se lo trovasse divertente, come se fosse un gioco, uno spiritoso scherzo del destino.

Vi consiglio di spingere sulla cattura di questo ragazzino… o forse sarebbe meglio dire… ragazzina.”

Ragazzina?” le parole gli erano uscite strozzate come se dei sassi in gola gli impedissero di parlare.

Falco pellegrino… la chiamano. Un delizioso soprannome, nevvero? La connessione con la natura del maleficio ha un che di romantico.”

La ragazzina dai capelli neri.”

Lieto che vi ricordiate di lei.” Si compiacque, “In fondo come potevate tradire la vostra natura di estimatore del fascino femminile? Dopotutto non è forse grazie a questa vostra insana passione se voi ed io ci siamo incontrati? E che abbiamo stretto questo proficuo sodalizio?”

Le sue labbra produssero una risata compiaciuta, tronfia e il vescovo, di nuovo, ne rabbrividì.

Ebbene, fossi in voi, cercherei di assicurarmi che i vostri uomini facciano bene il loro lavoro. Non credo vi piacerebbe scoprire cosa il futuro ha in serbo per questa storia.”

Quando il ragazzo pallido distolse da lui lo sguardo, il vescovo sembrò riuscire di nuovo a respirare. Prese ampie boccate d’aria come se una tenace apnea gli avesse bloccato i polmoni.

E v-voi non potete… non potete intervenire affinché questo incidente abbia un esito positivo?” ebbe appena il coraggio di formulare. Se fosse stata la paura o la sfacciataggine a parlare, il giovane non ne sembrò impressionato.

Vostra grazia… non è da voi questa ingordigia.” Lo derise, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere lo scherno nello sguardo. “Abbiate fede… continuate a pregare il vostro Dio, se questo vi fa sentire meglio, ma ricordate che alla fine di tutto… sarà a me che dovrete pagare il conto. Non mi sembra il caso di aggiungere ulteriori sovrapprezzi alla prestazione, non trovate?”

Il vescovo si appoggiò, esausto, alla parete spoglia della celletta; il sudore ormai a incorniciare il volto che faticava a nascondere il marciume di cui era lo specchio.

E se avessi bisogno di voi? Anche solo di un consiglio?” ebbe ancora l’ardire di insistere.

Il ragazzo si voltò ad osservarlo ora con una pietà quasi commovente negli occhi. Sulle labbra forse una compassionevole concessione.

Basterà che pronunciate il mio nome.”

Il vescovo fremette e quasi intuì la sfida che sembrava avergli mandato.

Poco prima che sparisse, nell’eco di una risata, la sua voce sussurrò: “Loki…”

 

*

 

Katherine aveva corso per miglia prima di decidere che avrebbe potuto concedersi una tregua.

Nei pressi di un villaggio, sul finir del giorno, il tramonto alle porte.

Racimolò dei vestiti da una casupola di contadini. Rubò un paio di mele e, scontrandosi con un mercante, sul sentiero, quella che aveva tutta l’aria di essere una sacca colma di monete.

Il primo pensiero che rivolse dopo il fortunato gesto fu verso il cielo.

Signore, so che ti avevo promesso di non rubare più, ma saprai anche… quanto debole sia la mia volontà.” Pigolò addentando la mela che, succosa, andò a imbrattarle il mento.

Cambiò i vestiti puliti con i propri che abbandonò senza rimpianti dietro a un cespuglio, al limitare di una taverna.

Il profumo delle pietanze sul fuoco, le diede la giusta ispirazione per fermarsi e rifocillarsi, con un pasto degno di questo nome.

Oste, per favore, del cibo. E del vino!”

L’omone sulla quarantina che portava i vassoi con le pietanze ai tavoli sistemati all’esterno, sotto un tetto di tralicci di vite, le scoccò un’occhiata perplessa, prima di scoppiare a ridere.

Certo, come no? Del vino. Alla larga, ragazzina.”

Che c’è?” lo rincorse, affatto propensa a farsi liquidare in quella maniera. “Credi che non sia in grado di pagare?” e nel pronunciare quelle parole gli sventolò di fronte la sacca con le monete che tintinnò, gioiosa, fra le sue mani.

Anzi, per dimostrare quanto non serbi rancore a chi dubita di me – che il Signore tenga conto del mio gesto – offro da bere a tutti gli avventori della locanda!”

E per quale motivo?” rise l’oste che adesso sembrava sinceramente curioso di scoprire dove volesse andare a parare. Come se già non fosse abbastanza singolare che una ragazzina se ne andasse in giro da sola, vestita con abiti almeno una taglia più grandi, sbandierando senza indugio le sue ricchezze.

Per brindare!” spiegò balzando in piedi su una delle panche libere attorno alle tavolate sparse tutt’intorno.

Brindare a cosa… ?” stavolta la voce arrivò da un’altra parte. Da uno dei cavalieri di nero vestiti, che stavano cenando con fagioli e pane caldo.

A una persona molto speciale.” Esclamò Katherine senza indugio, forse con un po’ troppa sfacciataggine, “ad una persona che è stata nelle prigioni di Aguillon, ed è sopravvissuta per raccontarlo.”

Concluse con un inchino che si guadagnò un'occhiata perplessa dall’oste e almeno un quartetto di clienti che sghignazzarono come a non dar peso alle sue parole.

Allora brindate a me.” Intervenne invece il cavaliere, ancora voltato di spalle, “Io sono stato in quelle prigioni.”

Katherine che fino a quel momento aveva sfoggiato una baldanza decisamente fuori luogo, forse attivata dalla scarica di adrenalina che le aveva regalato la rocambolesca fuga, ora lo guardò incuriosita.

E con quale scusa ti hanno incastrato in quel luogo? Eri un fabbro? Un tagliatore di pietre? O un prigioniero che viene fuori da lassù?” azzardò camminando sulla panca fino quasi a scorgerne il profilo.

Non ci sono stato da prigioniero…”

Kate si trovò a sgranare gli occhi, quando lo vide levarsi in piedi. Il mantello volò di lato e il cavaliere rivelò lo stesso volto dell’uomo che l’aveva catturata non meno di due settimane prima.

Oh, merda.” Imprecò, riconoscendo il capitano delle guardie in carica alla fortezza di Aguillon.

Esatto. Merda. Proprio una gran montagna… di…”

Kate arraffò la prima cosa che le arrivò sottomano (che risultò essere una ciotola ancora piena di fagioli bolliti) e gliela scagliò contro, strappandogli un grido furente.

Se stava aspettando un momento per darsela a gambe, non avrebbe dovuto farsi scappare l’occasione.

Sfuggì a un paio di mani che cercarono di afferrarla e poi via a guizzare attraverso il dedalo di guardie che sembravano essere improvvisamente comparse chissà dove.

Stavolta la fortuna non le aveva arriso. Decisamente non avrebbe dovuto infrangere il voto di non rubare.

Signore mi pento! Mi pento veramente!” gemette, mentre sfuggiva alla presa ferrea di una guardia, andando ad arrampicarsi su per i tralicci, camminando in bilico, mentre pungoli di spade andavano a stuzzicarla emergendo fra i viticci.

Cercò la fuga dalla parte opposta della locanda e quando pensò di essere ormai al sicuro dal gruppo di guardie, ecco che di nuovo il destino sembrò metterci lo zampino, facendo cedere l’intreccio di travi, lasciandola franare al suolo con un contraccolpo che non le lasciò il tempo di riprendersi.

Fu circondata in modo rapido e metodico, mentre Sitwell, ancora zuppo di fagioli, sgocciolante come un mostro di palude, veniva verso di lei con aria tutt’altro che conciliante.

Uccidetela.” Fu la sua punizione definitiva.

Kate ebbe appena il tempo di levarsi in piedi, mentre la lama di una spada calava su di lei senza indugio: “Signore abbi pietà della mia anima!” gridò parandosi come se potesse contrastare la punizione divina.

E fu in quell’attimo di estremo pentimento che straordinariamente qualcosa accadde.

La lama della spada sparì dalla sua visuale e così fece anche il cavaliere che aveva sollevato su di lei l’arma letale.

Un pugnale d’argento ora emergeva proprio al centro della sua fronte, congelando la sua espressione di attonito stupore, mentre cadeva a terra privo di vita.

Ma che cosa… ?”

Kate sollevò lo sguardo solo per trovarsi ad osservare quella che le sembrò una visione celestiale e demoniaca insieme.

Una donna. I capelli rossi come il peccato e quegli occhi glaciali e fermi che sembravano condannare l’insano gesto, come solo un angelo vendicatore sceso direttamente dal paradiso avrebbe saputo fare. Il nero mantello frustava l'armatura dello stesso identico colore.

Tu”, le si rivolse direttamente, facendole un cenno con la testa, “via” la sua voce, innaturalmente gelida, ma forte abbastanza da immobilizzare la scena in corso.

Kate boccheggiò per qualche istante, incredula. Se quella era la salvezza che il Signore le offriva come avrebbe potuto rifiutarla? Si scostò dalla presa ormai divenuta debole di una delle guardie che la stavano tenendo in ostaggio e andò a rifugiarsi alle spalle della donna, che sembrava non prestare attenzione a lei. Ma più che altro al capo delle guardie che ora la fissava con aria stupefatta e irosa assieme.

Lady Romanoff…” esalò con un tono che tutto sembrava suggerire fuorché rispetto. “Uno dei miei uomini mi ha detto che eravate tornata. Volevo tagliargli la gola per aver mentito, poiché... non vi credevo tanto stupida.”

Capitano Sitwell. Lieta di constatare che siete riuscito ad ottenere la carica che tanto bramavate.” La sentì rispondere. Una mal celata furia dietro al tono apparentemente affabile, affatto scalfito dalle parole velenose dell'uomo.

Kate restava inchiodata a qualche passo di distanza, come se non potesse fuggire prima di aver capito che cosa stava accadendo.

I due sembravano conoscersi. Ma non nell’accezione più amichevole del termine.

Non una mia colpa se quel vigliacco esiliato di Barton ha dovuto rinunciare alla carica dopo un bieco tradimento…”

Tradimento?” la facciata amichevole sembrava essersi disintegrata all’improvviso. E quegli occhi che prima apparivano glaciali, privi di calore, adesso bruciavano di un fuoco vivo. La spada ora sguainata a suggerire un attacco imminente.

Lady Romanoff…” uno dei cavalieri al suo fianco era emerso dal gruppo, e la donna, vedendolo, perse un po’ di quella furia che sembrava averla improvvisamente animata. Il sorriso pacato, i modi gentili, a sottolineare il fatto che anch’egli la conosceva.

Sir Philip…” soffiò la donna, un sorriso mesto a illuminarle il viso. L’uomo le venne incontro, come se le sue intenzioni non fossero altro che quelle di sedare quell’inutile diatriba, ma il Capitano della guardia gli fu addosso ancora prima che si potessero capire le sue intenzioni. Lo spinse deliberatamente contro la lama sguainata della spada che finì per infilzarlo da parte a parte. Gli occhi imploranti e stupefatti, incatenati a quelli della donna.

Il passo dal dare inizio un processo inarrestabile fu tanto rapido quanto violento.

La donna, dopo aver sistemato amorevolmente a terra il povero cavaliere colpito, che ancora boccheggiava ferito, adesso si era levata in piedi per scagliare un attacco senza riserve al Capitano della guardia.

Una rapidità e agilità non comuni per una donna di quelle dimensioni. Ne stese almeno tre, prima di tornare a fronteggiare Sitwell che adesso sembrava seriamente preoccupato per le sue sorti.

Sebbene Kate cominciasse a sviluppare una sorta di vivace simpatia per la guerriera vermiglia – e dovette trattenersi dal distribuire elogi più o meno vocali in tal senso – non ebbe cuore di fermarsi ad osservare la fine del duello... o forse colse solo l'occasione che le era stata fornita per darsela a gambe levate. Quella donna avrebbe saputo benissimo cavarsela da sola, e poi... chi era lei per intralciare una siffatta guerriglia? Era evidente che lo scontro sarebbe stato impari, dunque perché rischiare?

Prese in ostaggio giusto un bottiglione di vino e cominciò a correre lontano dalla taverna, nemmeno avesse avuto il diavolo alle calcagna. Le gambe avrebbero potuto protestare quanto volevano, non gli avrebbe certo dato retta.

Era riuscita ad evadere dalle famigerate prigioni di Aguillon, lei, non si sarebbe fatta ingabbiare di nuovo, non senza avere la possibilità di distribuire in giro la leggenda.

Era ancora sulla via che conduceva fuori dal villaggio quando sentì zoccoli di un cavallo in corsa alle sue spalle.

Voltandosi non riuscì a fare altro che notare il mantello nero della guerriera vermiglia. Un falco alle sue spalle, fischiò impietoso ad accompagnar l'inseguimento.

No no no no no...” gridò solo, aumentando l'andatura.

Quando la donna l'afferrò per la collottola, portandola a bordo del destriero, non poté far altro che arrendersi al fato. L'infausto destino che, ancora una volta, le aveva tirato uno scherzo di pessimo, pessimo gusto.

Se ringraziò quel suo Signore, questa volta, lo fece molto silenziosamente.

 

 

Continua...

___

 

Note:

Non sono sicura ci sia bisogno di dire da quale film trae ispirazione questa storia.

Se non avete mai visto “Ladyhawke” vi consiglio di correre a darci un occhio, perché, a mio parere, rappresenta una delle favole moderne più belle che siano mai state scritte per il cinema. Qui ovviamente le carte in tavola sono le stesse. Trama, personaggi, ambientazione. Solo cambiano i protagonisti. Invece del caro, vecchio Matthew Broderick - nel film il Topo, ladruncolo Philippe Gaston - troviamo una giovane Kate Bishop. Nei panni del fascinoso e burbero Capitano Etienne Navarre, abbiamo una Lady Natasha Romanoff che di notte veste il manto del grosso lupo nero, mentre la bella Isabeau... non è altri che il nostro Clint Barton, di giorno lo splendido falco che accompagna Lady Romanoff. Un cambio dovuto più che altro a esigenze narrative. E poi, il fatto che la nostra Natasha non sia la fanciulla indifesa, ma il cavaliere in cerca di vendetta, mi sembrava ben più appropriato.

Ovviamente i fatti si svolgeranno in maniera molto simile a quella del film (alcuni dialoghi compresi), seppur con qualche necessaria e fantasiosa modifica. E la protagonista indiscussa della storia sarà la nostra Kate, il punto di vista da cui si snoderanno tutte le vicende. Loki ovviamente è una delle fantasiose varianti. Non andatelo a cercare nel film, non lo troverete.

Avevo bisogno di scrivere qualcosa di leggero, che non mi opprimesse i neuroni. Le feste, e questo film in particolare, mi hanno lanciato la folgorazione e facilitato lo sblocco. Facile seguire una storia già scritta, dirà qualcuno. Ebbene sì, era proprio questo il mio intento: una trasposizione che non mi mettesse in difficoltà e che scivolasse sotto le mie dita come acqua fresca. Io mi sono divertita a trascinare questa favola nell'universo Marvel con i personaggi che mi sono più congeniali, spero che il volo pindarico allieti anche voi. Consiglio a chiunque legga queste righe, di accompagnarle con la musica degli Alan Parsons Project, che sia la colonna sonora reale di Ladyhawke o qualsiasi altra musica strumentale del gruppo, assicuro una buona, ottima atmosfera. Il capitolo è stato scritto quasi esclusivamente con la canzone Mammagamma.

Ringrazio moltissimo la mia beta sclerosocia Sere, che mi ha aiutata a trovare i corrispettivi personaggi per alcune comparsate e per il supporto che, come sempre, mi lancia. E al grido di GALAAAAVAAANT (questa è una cosa che temo capirà solo la beta), vi lascio. Sperando di non aver sconvolto gli affezionatissimi di una storia alla quale, io per prima, sono legatissima. Alla prossima.

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Capitolo 2
*** Into the Woods ***


CAPITOLO 2

Into the Woods

 

“Non ho visto ciò che i miei occhi hanno visto, non credo ciò che la mia mente crede, mio Dio. Queste sono cose magiche, sono cose misteriose! Di cui ti prego Signore, non rendermi partecipe.”

 

*

 

La cavalcata era durata per miglia, mentre il sole cominciava a bruciare le cime delle montagne tutt’intorno, colorandole d’oro bollente.

La compagnia della donna era stata tutt’altro che sgradevole. Un passaggio lontano da Aguillon, dai cavalieri che l’avevano assalita e almeno un’ora di meritato riposo.

“Credo che potrei anche scendere adesso”, disse solo, voltando appena la testa per sbirciare la donna. La presenza solida e tangibile alle sue spalle a darle un senso di innaturale sicurezza.

“Sei stata molto gentile a darmi un passaggio fino a qui, signora… però posso cavarmela da sola da adesso in poi…” alluse, come a chiarire che la loro collaborazione avrebbe anche potuto estinguersi arrivati a quel punto.

“Fra poco farà buio. Non mi sembra saggio passare la notte soli nella foresta.” La sentì rispondere.

“Non sarebbe la prima volta, mia signora...” ribatté Kate non senza una punta di presunzione, “ho dormito in posti ben più pericolosi di questo.”

A sottolineare la frase una serie di ululati che la misero in rapido allarme.

“Sono lupi questi?” domandò, guardandosi attorno con una certa apprensione.

“Parrebbe…” la voce della donna alle sue spalle, che improvvisamente fermò il cavallo, “ancora convinta di voler scendere proprio qui, ragazzina?”

“Non sono… una ragazzina, il mio nome è Katherine. Per gli amici Kate, mia signora…”

“Ebbene, Katherine…”

“Kate…” volle invitarla: dopotutto una persona che ti salva la vita può ben essersi guadagnata il titolo di amico. L’unica persona che al momento poteva fregiarsi di quell’appellativo, se proprio doveva dirla tutta. Una situazione piuttosto patetica. Essere una ladruncola scapestrata non lascia spazio a molte amicizie.

“Ebbene Kate, se vuoi scendere…”

“Fintanto che siamo arrivati fin qui… magari una serata in compagnia sarà meno sgradevole.” Ritrattò senza riserve. E la donna alle sue spalle sorrise appena, dello stesso sorriso mesto che le aveva visto fare in presenza di quel tale Sir Philip che aveva trafitto. Si augurò, sebbene non avesse la minima idea di chi fosse quell'uomo, che ancora vivesse. O se non altro… avesse raggiunto una morte priva di agonia.

Il falco, placidamente appollaiato sul braccio della donna, si limitò a fissarla con quei suoi grandi occhi gialli. Sembrava stesse seguendo il discorso con una certa curiosità.

“E’ un falco pellegrino, vero?” lo additò allora, mentre si spingevano verso la radura che si intravedeva alla fine del bosco.

“Esatto.”

“Che nome le hai dato, signora?”

“E’ un lui. Non una lei…” sembrò tenerci a specificare “e il suo nome è poco importante. Un falco non obbedisce a certi richiami.”

“E’ uno splendido animale”, allungò le dita verso di lui, senza avere il coraggio di toccarlo però, “Falco pellegrino è anche il nome con cui certa gente mi conosce.”

“E in merito a quali caratteristiche, di grazia?”

“Per la mia abilità nell’individuare la preda e la rapidità con cui… svuoto loro le tasche.”

“Dovrei preoccuparmi per le mie, Kate?” nella sua voce però non sembrava celarsi alcuna minaccia.

“Oh no, mia signora, non potrei mai… sono in debito con te. Anzi, se vogliamo parlar di debiti, ecco…”

“Nessun debito.”

“Io insisto! Certo non posso pagarti adeguatamente col denaro che ho qui con me. Ma fai una richiesta, una richiesta qualsiasi ed io vedrò di esaudirla.”

La donna fece fermare il cavallo accanto a una casupola al limitar del bosco. All’interno delle luci: probabilmente persone che si erano già accorte della loro presenza.

Kate si voltò cercando di intuire le sue intenzioni. E si stupì di trovare nel suo sguardo una sorta di greve mestizia.

“Ciò che desidero è qualcosa che nessun essere umano o forza terrena potrà mai restituirmi.” La sentì pronunciare, mentre con le dita accarezzava le piume del falco che le rivolse un grido acuto, prima di dispiegare improvvisamente le ali e librarsi in volo, forse deciso a procacciarsi la cena.

“Mia signora…” mormorò sperando di ottenere una risposta meno criptica, ma questa rapidamente assunse un'aria altera e severa.

“Avrei bisogno di uno scudiero, se questo può interessarti come scambio.”

“Uno scudiero? Ti giuro su nostro Signore che ne sarei assolutamente onorata.”

“Bene allora. Potresti cominciare a renderti utile, chiedendo alloggio per la notte ai due anziani che ci stanno sbirciando da quella finestra.”

Kate allungò lo sguardo, notando due volti smarriti, letteralmente abbarbicati al davanzale. Forse pronti a tirar loro dietro di tutto pur di difendere la loro proprietà.

“Non vedo dove sia il problema. Lascia che ti mostri come sono abile nel manovrare due villici ignoranti.”

Saltò giù dal destriero, sistemando le vesti troppo grandi per il suo esile corpo.

“Ah, e… Kate…” si sentì richiamare, mentre si preparava un discorso per introdurre entrambe, “… chiamami Natasha.”

 

*

 

I due anziani proprietari della casupola erano stati abbastanza generosi da conceder loro di riposare nella piccola stalla accanto all’abitazione. Se l’esordio che Kate aveva loro riservato, con tanto di velati insulti, non sembrava aver raggiunto i risultati sperati, quando sventolò loro di fronte la sacca con i soldi, i due sembrarono rivedere la loro posizione, concedendo anche una porzione della loro misera cena.

Con lo stomaco pieno e un po’ di paglia a dar sollievo alla schiena, il riposo si prospettava quantomeno privo di rischi.

Fu un lugubre ululato a svegliare Kate pochi minuti dopo che si era coricata. Talmente vicino da sembrare provenire direttamente dalla radura, anziché dalle montagne.

Si levò dal giaciglio, mentre un freddo brivido le serpeggiava su per la schiena.

“Lo hai sentito, mia signora?” mormorò nel buio, lasciando vagare lo sguardo fra le pareti della stalla. Restò in ascolto per qualche minuto, permettendo agli occhi di abituarsi all’oscurità, quando si accorse di essere sola, escludendo il cavallo che risposava in fondo alla stanza.

“M-mia signora? Natasha?” sussurrò rimettendosi in piedi, mentre raggiungeva la porta che dava sull’esterno, aperta solo di uno spiraglio. Le bastò una lieve spinta per spalancarla del tutto e uscire, a sbirciare il mantello oscuro che aveva avvolto la radura.

Una pigra mezza luna illuminava i dintorni. L’aria fredda della notte portava con sé l’odore della neve.

Si guardò attorno azzardando qualche passo all’esterno, stringendosi nelle braccia a darsi calore e, quando fu certa che di Natasha non avrebbe scorto traccia, ecco che di nuovo quell’ululato andò a sferzare l’aria, interrompendo il silenzio in una struggente e cupa melodia.

Arretrò talmente rapida che incespicò e cadde a terra. Il contraccolpo le strappò un gemito di dolore che soffocò con il palmo della mano.

Ma quando gli occhi si spinsero là dove cominciava il bosco, scorse finalmente ciò che i suoi occhi, fino a quel momento, avevano forse rifiutato di vedere.

Un lupo. Nero, enorme, con un paio di occhi verdi, così brillanti da non sembrare quasi appartenere a un essere terreno. Digrignò i denti e invece di scatenare l’ennesimo doloroso ululato, le riservò il peggior ringhio del suo repertorio.

“Cazzo!” esclamò, stavolta senza nemmeno preoccuparsi di non farsi sentire.

Si levò in piedi rapidamente; con la coda dell’occhio colse solo il movimento del lupo che forse aveva deciso di raggiungerla o magari di dileguarsi nella foresta da dove era venuto. Di certo non era sua premura quello di capire quali fossero le sue intenzioni. Prese a correre di nuovo verso la stalla che non le era mai parsa tanto lontana e si precipitò oltre la porta, richiudendosela alle spalle con un tonfo che rese certo nervoso anche il cavallo. Il nitrito che le riservò ebbe il potere di far crollare definitivamente i suoi nervi.

“Taci, cretino!” sibilò per scaricare la tensione, cercando di vincere quella stupida curiosità che l’avrebbe spinta a sbirciare fra le travi consumate per capire che fine avesse fatto il lupo.

“Stupide, ingorde bestiacce…” sibilò passandosi una mano sulla fronte, ferma vicino alla porta a far cessare il battito impazzito del proprio cuore. Quando udì un fruscio indistinto alla sua sinistra quasi non lo registrò. Quando poi il fruscio si tramutò in passi attutiti sul pagliericcio, si volse.

“C-chi è la?!” appena una punta di sollievo nel realizzare che forse, non era altri che Natasha quella figura ammantata che ora veniva verso di lei. “Mia signora mi hai fatto prendere un colpo…” mormorò sentendo che, se fosse andata avanti di quel passo, non avrebbe certo raggiunto il mattino successivo. E ancora si chiese chi, in quel caso, avrebbe raccontato le sue gesta fuori dalle dannate prigioni di Aguillon.

“Parola mia, nessuno mai ancora si era spinto a darmi di signora…” pronunciò una voce che, parola sua, di certo non sembrava appartenere alla guerriera vermiglia, ma che era abbastanza bassa e roca da suonarle niente meno che da uomo.

“Chi sei!?” strillò Kate arretrando, gli occhi che saettarono immediatamente in direzione della spada che Natasha sembrava aver dimenticato di proposito accanto al proprio giaciglio.

“Sssh!” questi abbassò il cappuccio con cui nascondeva il capo, a rivelare un bel giovane dall’aria tutt’altro che pericolosa: i capelli biondi scompigliati come dopo una lunga corsa nel vento e un sorriso caldo, rassicurante a rischiarargli il viso; un contrasto piuttosto singolare con il tetro contesto notturno, “non vogliamo certo svegliare i gentili vicini, giusto?”

“Non ti avvicinare!” esclamò spostandosi proprio in direzione della succulenta arma. Dopotutto le avevano insegnato sin da bambina che il demonio si presenta sempre con vesti seducenti. “Non ti avvicinare o quanto è vero Iddio…” recuperò la spada che riuscì a sollevare forse solo per un terzo prima che ricadesse al suolo con un tonfo attutito, mancandole un piede di mezzo centimetro al massimo.

“Ti sei fatta male?” sembrò preoccuparsi lo sconosciuto, restando però fermo dove si trovava, avendo forse intuito che una mossa azzardata avrebbe di nuovo potuto scatenarla.

“No. T-tu… tu non… resta fermo dove sei!”

“Resto fermo dove sono.”

“Non ti muovere.”

“Non mi muovo.”

“E taci.”

L’uomo fece cenno di cucirsi le labbra, senza schiodarsi dalla sua postazione.

Si prese il tempo per studiarlo meglio. Indossava quello che aveva tutta l’aria di essere il mantello di Natasha, che forse - si rese conto improvvisamente - calzava molto meglio a lui che a lei. Sulle spalle una faretra e un arco, un'arma che non sembrava affatto intenzionato a usare… ma quando abbassò lo sguardo per guardargli i piedi, si rese conto con sorpresa che era miserevolmente scalzo.

“Che fine hanno fatto le tue scarpe?”

L’uomo si limitò a fissarla e stringersi nelle spalle.

“C-chi diavolo sei?” si azzardò allora a chiedere, una volta stabilito che non avrebbe tentato alcuna mossa contro di lei.

Lui si indicò le labbra, come a chiedere il permesso di parlare.

“Sì, certo che puoi parlare…” lo liberò seccamente dall’obbligo.

“Gli stivali li devo aver persi per strada…” le rispose allora, muovendo i piedi sulla paglia, “e il mio nome, milady, è Barton. Sir Clinton Barton. Ma per facilitarti le cose, semplicemente Clint.”

Barton.

Dove aveva già sentito quel nome?

Sgranò improvvisamente gli occhi, come colta da folgorazione.

“Io ti conosco.” Disse, indicandolo come un bambino fa con qualcosa che attira la sua attenzione.

“Sul serio?” fu la perplessa, quanto divertita risposta.

“Non… di persona… semplicemente ho sentito fare il tuo nome…”

“In merito a cosa?” s’incuriosì dunque, passandosi una mano fra i capelli, nell’inutile tentativo di dar loro una sistemata.

“Dal capitano delle guardie di sua grazia… il vescovo di Aguillon.” Rispose, abbastanza soddisfatta della sua sagacia.

La reazione che ottenne però non fu affatto quella che si era attesa. Il sorriso dell’uomo era improvvisamente crollato e il suo sguardo si animò di una furia che solo un’altra volta aveva visto sorgere con tanta rapidità negli occhi di qualcuno.

Non fece in tempo ad indagare o scusarsi per l’ardire. Fuori riecheggiò di nuovo il prolungato ululato di un lupo.

Vide l’uomo farsi attento. Spingere lo sguardo oltre la porta e muoversi in quella direzione, senza aggiungere una sola parola.

“Signore. Io non lo farei. I lupi si sono fatti sfacciati. E qui fuori ce n’è uno talmente grosso che non è il caso di stuzzicare.”

Clint non sembrò del suo stesso parere. Apri la porta facendo entrare gelo e notte: in un attimo fu sparito.

“Signore, davvero! E’ scomparsa anche la guerriera vermiglia! Potrebbe aver già fatto una brutta fine!” esclamò Kate a quel punto. “Ma che diamine! Perché nessuno mai mi da ascolto?” solo il pigro nitrito del cavallo a darle una risposta.

Si occupò con riluttanza di dare un’occhiata all’esterno, cercando di cogliere qualcosa fra le ombre notturne.

E ciò che vide o che le sembrò di vedere, nella confusione e l’oscurità, fu il lupo avvicinare lo sconosciuto, docile come un agnellino.

Trasalì senza motivo al modo in cui Clint si chinò sul grosso animale e ne accarezzò la pelliccia, affondandoci le dita, con una tale familiarità e affetto che poteva dirsi lo stesso che si usa verso un animale domestico.

Voleva urlargli di allontanarsi. Di non fare sciocchezze, di uccidere il lupo, ma la voce era rimasta bloccata in gola. E dire che non molte cose erano in grado di zittire Kate Bishop.

Si ritrasse fremendo di una sensazione sconosciuta. Deferenza per quell’incomprensibile momento e inspiegabile sgomento.

“Non ho visto ciò che i miei occhi hanno visto, non credo ciò che la mia mente crede, mio Dio. Queste sono cose magiche, sono cose misteriose! Di cui ti prego Signore, non rendermi partecipe.”

 

*

 

Il vescovo sedeva sotto il porticato, consumando la colazione nelle prime ore del mattino. Il sorgere del sole rappresentava per lui qualcosa che ben pochi avrebbero capito. Si trovava a identificare quel momento della giornata con l'avvenimento che, almeno due anni prima, aveva dato inizio a tutti i suoi tormenti.

La fanciulla dai capelli vermigli popolava i suoi sogni da molto più tempo invece. In quel sole, in quelle tinte che coloravano il cielo all'alba e al tramonto, era lei che scorgeva. Quelle ore della giornata, gli unici momenti solitari in cui riusciva a nascondere il peccato che gli animava lo sguardo.

“Vostra grazia!” eppure qualcuno, nemmeno quel momento gli concedeva.

Si volse solo per vedersi venir incontro nientemeno che Sitwell. Si augurò avesse per lui liete novelle.

Nemmeno si levò in piedi per accoglier la notizia, nella speranza potesse liquidare la faccenda con rapidità. Gli porse la mano, l'anello da baciare, come saluto d'esordio. E solo quando il capitano si chinò per porgere i suoi rispetti si rese conto di quanto quell'aria greve non potesse essere messaggera di buone notizie.

“Ve la siete lasciata sfuggire...” mormorò già consapevole. Acceso sdegno nel tono di voce.

“Mi duole ammetterlo... ma è quello che è accaduto, vostra grazia.”

Il vescovo si levò in piedi, abbandonando i resti della sua colazione sul tavolino. Non si diede nemmeno la pena di fronteggiarlo.

“Mi domando allora che cosa ci facciate qui!” esclamò, senza preoccuparsi di mantenere un tono di voce consono alla sua carica.

“Lady Romanoff  è tornata.” la voce ferma del capitano della guardia lo costrinse a voltarsi.

Aveva udito bene? Lady Romanoff?

Come uno schiaffo, l'immagine della donna dai capelli vermigli, tornò a sconvolgere quel mattino senza nubi. E quando si volse di nuovo verso il capitano, il primo raggio di sole che gli sferzò lo sguardo parve beffeggiarsi di lui. Punirlo.

“Quella criminale, quella Katherine Bishop... è con lei.”

Quella rivelazione gli scivolò nello stomaco come ghiaccio. Le parole di Loki, il demonio del maleficio, tornarono a farsi nitide alle sue orecchie.

“Molto presto qualcosa cambierà il corso degli eventi...” si trovò a mormorare.

“Come, vostra grazia?”

“E il falco?” deviò l'argomento, lanciandogli uno sguardo colmo di alterigia. “Ci deve essere anche un falco, con loro.”

“Sì, vostra grazia”, rispose questo, annuendo con vigore, “se i miei occhi non si sono ingannati, c'era anche un falco, ad accompagnarle.”

Il falco, la ragazza dai capelli di fuoco e la ladra.

La profezia maligna di quel demonio non era che a un passo dal vedersi realizzata.

Per un infausto gioco del destino o per la volontà di quel Dio deciso a veder crollare un maleficio costruito oltre i confini del suo volere. Un avvenimento che non poteva e non doveva compiersi. Un evento che avrebbe contrastato con tutti i mezzi in suo possesso.

“La scorsa notte... Dio l'onnipotente mi è comparso in sogno”, esalò il vescovo prendendo a camminare lungo il porticato. Il capitano della guardia si affrettò a stargli appresso, “mi ha detto che il Demonio ha inviato un messaggero in mezzo a noi... e il suo nome... è Clinton Barton...”

Il capitano si fermò a qualche passo di distanza.

“Barton? Ma non è stato esiliato, vostra grazia?”

“Esiliato... sì.” gli rispose questo voltandosi,  “Ma è di lui che Dio mi ha parlato. E' di lui che mi ha annunciato il ritorno. Avete forse l'ardire di ignorare i segni che nostro Signore ci invia?”

“N-no, vostra grazia...”

“Ebbene lasciatevelo sfuggire... lasciatevi sfuggire lui o la ragazzina e sarà il nuovo capitano della guardia a presiedere alla vostra esecuzione!”

Il capitano della guardia chinò il capo, come ad assorbire quella terribile notizia.
Di nuovo il vescovo gli porse l'anello, per il congedo.

“Mandatemi Rumlow”, esalò l'ultima richiesta.

Nello sguardo del capitano, un fremito di disgusto.

 

*

 

Kate guardò Natasha allontanarsi dall'accampamento improvvisato prima dell'ora di pranzo.

Era stata talmente silenziosa per tutta la mattina, che ancora non aveva avuto modo di domandarle nulla di quanto accaduto la notte precedente.

Alla sua domanda su che fine avesse fatto, aveva risposto con un grugnito tutt'altro che incoraggiante. Al suo ordine di muoversi verso nord, aveva deciso di non ribattere.

L'unica cosa che sapeva, in quel gelido mattino d'inverno, era di avere fame. Una fame primordiale, una di quelle che fa brontolare lo stomaco quanto il ringhio di un troll di montagna. Non fosse stata sicura che, secondo la leggenda, i troll di giorno restano rinchiusi nelle loro grotte ad aspettare la notte, avrebbe trasalito ad ogni ruggito del suo apparato digerente.

Andò a frugare nella sacca che la donna aveva poggiato ai piedi di un grosso abete. Il pane che i due anziani avevano lasciato loro non era nemmeno sufficiente a sfamare uno scoiattolo.

“Al diavolo...” smozzicò, passandosi una mano fra i capelli.

In cuor suo aveva già deciso di concedere ancora un giorno alla donna, prima di comunicarle la sua intenzione di andarsene. Dopotutto non aveva certo firmato un contratto per la vita. Il fatto che non potesse scegliere dove andare o perché cominciava già a ledere i suoi diritti di ladra raminga.

E poi, dopo ciò a cui aveva assistito la notte precedente, non era del tutto sicura di voler restare coinvolta in una storia che aveva un che di realmente inquietante.

Il cavallo, come intuendo i suoi pensieri, nitrì vigorosamente facendola trasalire.

“Stupido equino!” esclamò. “Non fosse che sei troppo grosso e difficile da abbattere, ne farei bistecche di te. Succulente bistecche di cavallo...” disse avvicinandolo, “bistecche rosse, di quelle che faceva il mio vecchio su, al paese... con una bella zuppa di fagioli. Come sentirne il profumo...” annusò l'aria, simulando tutto il piacere che poteva trarre dall'immaginario aroma.

Lo sguardo le cadde però su una lunga sacca, assicurata alla sella del cavallo.

Si guardò attorno, sperando di non venir colta in fallo dal ritorno di Natasha. Quando fu certa che la donna fosse ancora abbondantemente fuori portata, slegò i lacci della bisaccia, rivelandone il contenuto.

“Che mi venga un accidente...” smozzicò, estraendo, non senza fatica, un lungo arco. Attorcigliata ad esso la faretra, munita di frecce.

“Se queste non sono le stesse armi che aveva ieri notte il biondone di bell'aspetto che...” il cavallo di nuovo nitrì, “cosa? Nostro Signore gli occhi ce li ha fatti per guardare.”

Soppesò l'arma, estraendo una delle frecce.

“Se ti dicessi che mio padre mi insegnò come tirar con l'arco quando ero marmocchia, ci crederesti cavallino?” disse, parlando al vento, incoccando la freccia con aria esperta, puntandola verso l'alto.
“Quanti ricordi...”

Un rumore alla sua destra colse la sua attenzione e fu lì che puntò la freccia.

Un coniglio dall'aria spaurita fece la sua comparsa con il muso tutto protratto verso di lei.

“Ciao, bel bocconcino...” disse senza pietà prima che un'idea e un sordido sorriso non le animassero le labbra. Cercò di prender la mira così come ricordava e inspirò a fondo, pronta al lancio.

“Che cosa stai facendo?” la voce di Natasha la fece sobbalzare, deviandole il colpo. La corda dell'arco scattò e la freccia andò a conficcarsi in un arbusto ai piedi della donna.

“M-merda!” esclamò, facendosi sfuggire l'arco dalle mani.

“Non dovresti giocare con queste cose...” la rimproverò, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere il suo disappunto. Le si avvicinò e raccolse da terra l'arma, osservandola per accertarsi che fosse ancora in buono stato, senza mancare di lanciarle uno sguardo ostico.

“Non ci stavo giocando, mia signora... avevo fame... e pensavo che...”

“Pensavi che frugare nelle cose altrui fosse lecito.” rispose seccamente.

“Stavo solo cercando qualcosa... da mangiare... non volevo altro.”

“Non ti avevo forse detto che ci avrei pensato io?” e nel dirglielo indicò un paio di lepri allacciate al cinturone che aveva in vita.

Kate abbassò il capo sconfitta, ma soprattutto infastidita dall'ingiusto rimprovero.

“Non ci stavo giocando, comunque. So usare arco e frecce. Molto più di quanto tu possa immaginare.”

Natasha andò a risistemare il prezioso oggetto nella sua sacca e le scoccò uno sguardo ammorbidito. Che si fosse resa conto della sua brusca reazione?

“Quello lo avevo capito dal modo in cui lo impugnavi”, disse solo. E di questo, se non altro gliene fu grata. “Ma se mi sono innervosita, Kate, è perché non apprezzo che si tocchino le mie cose senza permesso”, aggiunse, tornando sui suoi passi, lanciando la selvaggina su un mucchio di foglie.

“Di questo... mi scuso. Non credevo di far nulla di male...” le rispose la ragazza, mettendosi a sedere, per cominciare a preparare il fuoco per il pranzo.

Poi analizzò la sua frase e, guardandola spezzare arbusti per il falò, si chiese se non potesse osare oltre.

“Ma quell'arco non appartiene nemmeno a te, dico bene? Non lo custodiresti con tanta cura... se fosse una tua arma quotidiana”, le chiese allora, aspettandosi una replica scortese. Natasha al contrario le si mise a sedere di fronte, sistemando sassi tutt'intorno a un mucchio di foglie secche.

“No, non mi appartiene”, le confermò invece, lanciandole un'occhiata, “e qualcosa mi dice che stai per chiedermi altro a riguardo.”

Kate non poté far altro che annuire molto più che volentieri: “A dire la verità sì...” esalò cominciando a sfregare legnetti per accendere il fuoco, così come aveva imparato a fare sin da bambina.

“L'altra notte ho... visto un uomo”, si decise allora a rivelarle.

“Un uomo... ?” l'esitazione, nella sua domanda, le fece intuire che c'era ben altro, nascosto in quella frase.

“Un uomo, sì. Nella stalla. Poco dopo essere venuta a cercarti e aver rischiato grosso con un lupo gigantesco, nella radura”, le disse, alzando su di lei uno sguardo che ella non ricambiò. “Aveva indosso il tuo mantello, signora. E quello stesso arco a tracolla”, i legnetti cominciarono a fumare, “... e mi ha detto di chiamarsi Barton. Sir Clinton... Barton. Non... non avevi forse nominato il suo nome, il giorno in cui mi salvasti dalla guardia del vescovo?”

Natasha si limitò ad annuire, aggiungendo pertanto mistero a quella assurda situazione.

“Dunque lo conosci.”

“Lo conoscevo... lo conoscevo bene”, di nuovo la mestizia a oscurarle il viso. Una storia triste? Dagli esiti spiacevoli? Qualcosa che sembrava ben poco intenzionata a chiarire. Una storia sulla quale, se Kate non avesse fatto chiarezza, sarebbe di certo impazzita. Dalla curiosità, se non altro.

“Bè, era lì. Era lì, in quella stalla, e non indossava nemmeno gli stivali.”

“Gli stivali?” ora Natasha sembrava sorpresa.

“Sì... proprio, mi ha detto di averli persi per strada.”

“Questo ti ha detto?” inaspettatamente si lasciò andare a una mezza risata.

“Davvero. E poi se ne è uscito.”

“Scalzo...”

“Proprio scalzo”, sorrise, sollevata dall'aver se non altro procurato un po' di allegria nella donna dallo sguardo di ghiaccio, “ma la cosa più assurda è che - ora non mi prender per pazza - è che se ne è uscito per accompagnarsi a quello stesso gigantesco lupo che... sembrava volermi attaccare poco meno di qualche minuto prima. E ancora più pazzesco che questo si facesse accarezzare senza azzardare nessun attacco.” dovette proprio dirle... per poi constatare che non sembrava una grande novità per Natasha. “Si tratta forse di un mago, mia signora? Di un ammaliatore di animali selvatici?”

“Niente di tutto questo, Kate...”

“Bè, credimi se ti dico che per poco non mi è preso un colpo nel vederlo uscire. Mai visto nessun uomo trattare così i lupi. È cresciuto forse nella foresta?”

“Nemmeno quello...” negò di nuovo la donna, mentre finalmente, dal fumo, cominciarono a sollevarsi delle fiammelle. Entrambe si prodigarono ad alimentarle con delle foglie secche.

“Credi che lo rivedremo di nuovo?” le domandò allora, giusto per sapersi regolare sul numero della loro strampalata compagnia.

“Può darsi.”

“Mi domando perché non viaggi con noi...”

Natasha si rimise in piedi, spolverandosi il retro del mantello.

“Perché è stato esiliato almeno un paio di anni e fa e perché, di certo... disapprova le mie scelte.” disse, in uno sprazzo di sincerità improvvisa, eppure Kate misurò le sue parole, rendendosi conto che celavano qualcosa che non era ancora disposta a rivelare.

“Quali scelte, signora?”

Natasha andò a recuperare la spada, alzandola appena, facendosela passare da una mano all'altra con disinvoltura.

“Il mio ritorno ad Aguillon.” dichiarò definitiva.

Auguillon? Proprio quell'Aguillon? La stessa Aguillon da cui era appena... evasa?

Kate si rimise in piedi mente il fuoco crepitava ora allegramente ai suoi piedi.

“E' lì che siamo diretti? Ad Aguillon?”

Natasha le lanciò uno sguardo che non lasciava spazio a dubbi.

“E per quale motivo? Io ci sono fuggita da lì! Sono ancora ricercata, nel caso te ne fossi dimenticata. Per qualche cavolo di motivo vuoi andarci?”

“Per uccidere il vescovo.”

La risposta fu così brusca e diretta che per un attimo Kate non seppe cosa ribattere. Forse non aveva udito bene. Forse aveva travisato le sue parole. Forse era la fame. Ma quello sguardo e quella furia al solo nominare il vescovo sedò quasi immediatamente i suoi dubbi.

“Oh... il... vescovo?” dovette proprio accertarsi. Uccidere il vescovo. La guerriera vermiglia doveva essersi certo bevuta il cervello. “Bè, buona fortuna, allora. Te ne servirà parecchia per arrivare laggiù. Io credo... credo di esserti stata di aiuto a sufficienza, non pensi? E' stato così bello conoscerci. Spero un giorno che potremo rivederci... tutti insieme magari. Anche con il bel ragazzo biondo”, e nel dirlo, aveva già preso il via per il sentiero che l'aveva condotta sino a lì.

“Ho bisogno di te, per guidarmi dentro la città”, la richiamò invece Natasha, che non aveva affatto accennato a un congedo.

“Nemmeno per la vita di mia madre”, si volse dunque, con una certa urgenza, “anche se... non so affatto chi sia.”

“Sei l'unica che sia mai riuscita a fuggire da là.”

“E' stata solo fortuna. Pura fortuna, signora”, il tono esasperato di chi non sa più che pesci prendere. Non avrebbe certo assecondato tale follia: “Non ho alcuna intenzione di... rischiare la vita dopo che Dio è stato così magnanimo da inviare una guerriera come te a salvarmi. Mi spieghi quale sarebbe il senso, in tutta questa trama, altrimenti?”

“Ho aspettato che mi arrivasse un segno per ben due anni”, le rispose dunque ella, “per questo, quando sei capitata sulla mia strada, ho capito che l'ora del destino era giunta per me. Tu sarai il mio angelo guida.”

“Io?” si indicò perplessa, “signora, in verità io parlo con Dio continuamente, ma senza offesa... non ti ha mai nominata.”

“Ah no... ?”

Kate la scrutò per un istante, prima di divenire sospettosa: “Vi sono strane forze che agiscono nella tua vita... forze magiche che ti circondano. Io non le capisco, però mi spaventano. Tu mi hai salvata. La verità è che non potrò mai sdebitarmi. Non ho onore io, non ne avrò mai. Non credo che mi uccideresti perché sono quello che sono, vero? Ma preferirei morire, piuttosto che ritornare ad Aguillon.” Concluse, inspirando a fondo, sperando di aver chiarito la faccenda una volta per tutte. Ma quando si voltò per prendere di nuovo quel sentiero, il sibilo di una lama le sfrecciò a pochi passi dal viso. E un coltello andò a conficcarsi a pochi centimetri da lei, sul tronco dell'albero accanto.

Qualcosa le diceva che la guerriera vermiglia non avrebbe rinunciato al suo aiuto tanto facilmente. E che forse... morire non era esattamente la soluzione più saggia.

Tossicchiò nervosamente per un istante, prima di voltarsi nella sua direzione. Se il suo cuore gridava in subbuglio, pronto alla ribellione, il suo cervello fu più prudente e mite: “Vado a prendere un po' di legna per il fuoco”, rispose.

 

Continua…

___

Note:

E qui finalmente conosciamo anche Sir Barton. Le carte in tavola ci sono tutte. Giocatori ne mancan pochi. Per chi me lo avesse chiesto e per chiarire con chi se lo stesse silenziosamente chiedendo: il vescovo, ora è ufficiale, ha il volto di Alexander Pierce (Robert Redford). E’ stato nominato Rumlow, Sitwell è il comandante della guardia, mi sembra che la versione corrotta dello SHIELD sia lo scenario più appropriato, ad Aguillon.
Sul resto poco da dire, felicissima di aver riscontrato entusiasmo per la trasposizione del film, perciò ringrazio, come sempre, la mia superbeta/sclerosocia e tutti i lettori, silenziosi e non. Per il prossimo capitolo spero di riuscire a postare una cosuccia ispirata alla storia. Ancora in lavorazione, vediamo come va. Per ora vi saluto. Alla prossima!

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Capitolo 3
*** The Chase ***


CAPITOLO 3

The Chase

 

“Mia signora, ma tu sei vera… o sei solo un sogno?”

 

*

 

La notte era scesa con una rapidità quasi sconcertante. Forse perché non aveva fatto altro che spellare conigli tutto il giorno, o perché aveva dovuto restare cauta per non spazientire nostra signora dallo sguardo di ghiaccio.

Ma ora che, al calar della notte, non erano altro che gli ululati dei lupi e il sibilo del vento a farla da padrone, sentiva la necessità quasi fisica di cercar riparo. Peccato ne fosse pressoché impossibilitata. Natasha sembrava molto più che determinata a tenerla con sé, tanto che al tramonto, prima di allontanarsi per andare a fare chissà cosa, si era premurata di legarla a una grossa quercia per impedirle di fuggire. O anche solo di allontanarsi troppo.

Il problema reale era non avere alcuna protezione contro gli animali selvatici delle zone. E forse, più preoccupante ancora, l'impossibilità di andare a svuotare le vescica in agonia, prima di cadere vittima del sonno o dell'ibernazione.

Era dunque ancora impegnata in manovre tutt'altro che edificanti, per cercare di allentare quelle funi tanto strette da segarle i polsi, che un movimento alle sue spalle non colse la sua attenzione. Una sensazione fin troppo frequente, in quell'ultimo periodo.

Se per un attimo pensò ancora a quel grosso lupo della sera precedente o peggio a una delle guardie del vescovo in perlustrazione, non riuscì a non rilasciare un sospiro si sollievo quando, illuminata dalla luce della luna, fu una testa bionda a entrare nel suo campo visivo.

“Signore!” esclamò allora, per attirare la sua attenzione, nel caso fosse troppo preso a correr dietro quella lepre per accorgersi di lei. “Sir Barton.”

L'uomo alzò lo sguardo, senza sforzarsi troppo per riuscire a individuarla.

“Ma tu guarda... la ragazzina della stalla”, la apostrofò un po' sorpreso e un po' divertito. “Che ci fai laggiù?”

“Ahm... prendo un po' di fresco. Legata a un albero, nientemeno.”

“Un'attività interessante...” si fece vicino, sistemando degli stracci attorno ai piedi a fargli da stivali improvvisati. “Deve essere la nuova moda dei giovani di queste parti, non rammento attività simili ai miei tempi.”

“Mio signore, è che ci provo a seguire le mode, ma chissà come, finiscono sempre per deludermi grandemente...”

Lo guardò raggiungerla e studiare perplesso le corde che la tenevano ben avvinghiata al tronco dell'albero.

“Che è successo?” le domandò allora, lasciando perdere le ciance.

“Oh, non ci crederesti. Un gruppo di guardie del vescovo. Erano tantissime. Una lotta tremenda. Non sono riuscita a contrastarle tutte.”

“E come mai non ti hanno uccisa?” indagò divertito, prendendo ad arrotolare le maniche di una casacca, sicuramente non sua, che gli andava un po’ troppo grande.

“Come mai... ? Eh... come mai...” cercò di racimolare una risposta sufficientemente credibile, “Hanno detto che preferivano lasciare al vescovo... questo onore.”

“Oh, capisco...” le si inginocchiò di fronte, di nuovo quel sorriso caldo a illuminargli il viso. Si chiese come fosse possibile che quell'uomo comparisse solo durante le ore notturne. Si sarebbe detto più adatto al giorno, alla luce del sole, che non alla lugubre notte.

“Un sant'uomo, questo vescovo...” dichiarò, studiandola. Ancora divertito ma subdolamente sarcastico a riguardo.

“Ritorneranno...” si affrettò allora a battere il ferro finché era caldo, “ritorneranno e per me sarà veramente la fine. E se non saranno loro, ci penseranno i lupi. Tutti questi lupi, non li senti, signore? Ti prego, liberami...” e nel dirlo cercò di sfoggiare il suo miglior sguardo abbattuto, “te ne prego...”

L'uomo inspirò a fondo, valutando quella proposta. Ma non sembrò aver bisogno di molto tempo per prendere una decisione definitiva.

Estrasse un lungo coltello e si avvicinò alle funi, recidendole senza troppe cerimonie.

“Grazie infinite, signore... Dio te ne renderà merito.” si prodigò Kate, balzando in piedi, proprio mentre, da un ammasso di alberi poco distante, non arrivò di nuovo quel basso ululato tanto atteso. Tanto bastò a distrarre Clint, che si lasciò sfuggire l'attimo per domandare di più alla giovane.

Kate invece non si lasciò certo scappare la succulenta occasione. Una volta libera, prese a correre lontano, decisa ad arrivare laddove nessuna guerriera vermiglia o ammaestratore di lupi si sarebbe mai spinto a cercarla: “Salutami Lady Romanoff!” si concesse però il tempo di gridargli mentre andava ad affondare nella folta boscaglia, “è un diavolo a fare i nodi!”

Clint, preso alla sprovvista, sbottò qualcosa in risposta, cercandola fin dove riusciva a spingere lo sguardo.

“Natasha mi ucciderà...” esalò solo, avvilito, prima di decidersi a prendere l'iniziativa di un inseguimento.

Raggiunse il cavallo e prese con sé arco e frecce.

“Andiamo bello! Dobbiamo riprenderci la ragazzina!” montò rapido e partì al galoppo nella notte.

 

*

 

Passò almeno un'ora prima che Kate si decidesse a uscire dal bosco e prendere la via verso l'aperta vallata. Aveva sentito il cavallo partire al suo inseguimento, si era camuffata fra le rocce per non farsi individuare e solo quando era stata certa di aver scampato il pericolo, aveva deciso di riprendere concretamente la sua fuga.

Ad essere completamente sinceri, era dispiaciuta per il modo in cui si era conclusa quella strampalata collaborazione ma, d'altro canto, mai e poi mai avrebbe assecondato quella folle missione suicida. Sebbene grande, enorme fosse la sua curiosità a riguardo. Troppe le domande che le si affastellavano nella mente: dalla motivazione per la quale Natasha aveva preso una decisione tanto ardita quanto pericolosa, a quali fossero le cause che tenevano lontano il cavaliere biondo dalla giovane e non meno importante, il legame che univa i due misteriosi individui, e li avvinghiava con tanta furia al destino dello spregevole vescovo. Un mistero del quale, sfortunatamente, mai sarebbe venuta a capo. Certo preferiva tener cara la vita. Una cosa non tanto semplice da restituire, una volta perduta.

Si fermò nei pressi di una veduta collinare. La pianura sottostante rivelava, fra le ombre notturne, un accampamento. Si nascose fra l'erba alta, senza avere grosse difficoltà a distinguere il vessillo della guardia del vescovo.

“Addirittura?” sgranò gli occhi sconcertata dal gran dispiego di mezzi, “Mio Signore, ti prego smentisci la mia presunzione, mandandomi un segno che quelle persone non sono qui per me. O per Lady Romanoff...”

“Io dico che invece tuo Signore ha voluto solo darti un avvertimento.”

Una grossa mano guantata andò a coprirle la bocca per impedirle di urlare.

Kate non ebbe nemmeno bisogno di chiedersi chi fosse. Quell'odore nauseabondo di carne e fumo non poteva appartenere a nessun altro che il capitano delle guardie del vescovo. Quell’orribile pelatone di Sitwell. Allargò le labbra, per quanto le permettesse la pressione di quella mano repellente e ci affondò i denti, con tutta la forza della sua mandibola.

Lo sentì gridare e il momento di sorpresa le permise di allontanarsi quel tanto che bastava per sfuggire al suo secondo attacco.

“Brutta sgualdrina da quattro soldi... se credi che questa mossa ti aiuterà a cavartela ancora una volta, ti sbagli di...” le sue parole vennero bloccate da un colpo da maestro. Il sibilo prodotto da quella che non poteva esser altro che una freccia, che aveva finito per passare da parte a parte la mano del capitano delle guardie.

L'urlo dell'uomo stavolta fu decisamente più sguaiato. E nonostante Kate sentisse il bisogno di appagare l'istinto che le suggeriva di gridare in segno di vittoria, non ebbe quasi il tempo di godersi l'attimo. Le guardie tutt'intorno furono allertate dal richiamo, scatenando... l'inferno.

“Tutto bene?” le gridò Clint Barton, trottando verso di lei, a bordo del cavallo di Natasha.

“Mai andata peggio di così, signore!”

“Vedremo di migliorare allora!” le porse una mano che Kate non rifiutò. Saltò in sella, di fronte a lui, mentre Clint spingeva il cavallo a galoppo, attraverso il marasma di guardie armate.

“Tieniti forte, ragazzina!”

“Kate! Mi chiamo Kate, dannazione!” gridò per farsi sentire, fra i fischi delle frecce che venivano scagliate loro contro e il galoppare di altri cavalli all'inseguimento notturno.

“Guidalo tu, Golia!” le gridò offrendole le briglie, con una fiducia disarmante.

“Chi cavolo è Golia, adesso?!”

“Il cavallo, Golia è il cavallo!”

Lo sentì allentare la presa e, se per un attimo ebbe il terrore di vederlo cadere dalla sella e fare un ruzzolone disastroso al suolo, con la coda dell'occhio lo vide impugnare di nuovo arco e frecce per stendere, uno dopo l'altro, i cavalieri all'inseguimento.

“Questa è...”

“Una cosa fantastica?” le suggerì lui, una mezza risata a rallegrargli la voce.

“... follia! Questa è follia!” gli gridò contro, indecisa se dar definitivamente di matto o urlare per l'esaltazione di quell'attimo pazzesco.

Il rumore degli zoccoli all'inseguimento continuava a diminuire e per un attimo nemmeno si rese conto di quell'unico, folle cavaliere che veniva loro incontro, sbucato da chissà dove.

“Cazzo.” esalò, prima che potesse anche solo deviare il percorso. “Clint! A ore dodici! Ne abbiamo uno a ore dodici!” strillò senza riuscire a individuare via di scampo. Solo quando ormai si diede per spacciata ecco che un'ombra oscura saltò addosso al cavallo dell'avversario. E solo quando questo fu a terra, assieme al suo destriero, si rese conto che quello che aveva attaccato il cavaliere, non era altri che un grosso lupo nero.

Frenò senza risparmiarsi, sentendosi gravare addosso tutto il peso di Clint che, preso alla sprovvista,  mancò l'ultimo dei cavalieri alle loro spalle. La freccia scoccata andò a disperdersi nel vento.

“Kate!” gridò solo, prima che l'ennesimo dardo della balestra dell’inseguitore non andasse a segno sulla spalla del suo compagno d'armi. Mentre un altro, ben meno clemente, si fece strada oltre loro, andando a colpire il lupo che non stava risparmiando nessuna pena dell'inferno alla guardia morente al suolo.

In un attimo l’atmosfera mutò.

“NO!” il grido che Clint produsse fu talmente sgraziato da stringerle lo stomaco in un funesto riflesso.

Lo vide scendere da cavallo, uccidere il cavaliere ancora armato con una freccia dritta in fronte per poi correre verso il lupo, strappandosi la freccia dalla spalla senza un lamento. Come se il colpo a lui inferto non fosse stato altro che una puntura di scarsa importanza.

Lo vide chinarsi sul lupo, posare una mano sul suo nero mantello e accarezzarlo con la stessa amorevole cura che gli aveva visto mostrare la notte prima.

“Andrà tutto bene...” le sembrò di sentirlo mormorare.

Kate scese dunque da cavallo, impigliandosi nelle staffe, prima di riuscire a raggiungerlo.

La scena le sembrò talmente surreale che non seppe far altro che restare ferma ad osservarli, intimorita da tanta pena.

E di nuovo quella terribile sensazione di assistere a qualcosa di miracoloso e demoniaco assieme, tornò a tormentarle le viscere.

Il modo in cui Clint guardava quel lupo, il modo in cui cercava di rassicurarlo, assisterlo, come se l’animale potesse capirlo e trarne conforto, fece nascere qualcosa di molto simile alla commozione nel suo petto.

“Kate”, si sentì richiamare, “portami il mantello... che trovi nella sacca vicino alla sella.” le ordinò, scuotendola da quella impasse.

Non si chiese nemmeno cosa avesse intenzione di farne... eseguì solo quel penoso ordine e lo raggiunse con il mantello. Lo vide avvolgerci il lupo, cercando di evitare di urtare la freccia, tanto vicino a quello che poteva essere solo il cuore. Una sola mossa azzardata e per l’animale, probabilmente, non ci sarebbe stato più niente da fare. Il respiro affettato, la lingua penzoloni: non un buon segno sul suo stato di salute.

Lo vide alzarsi, con il grosso lupo fra le braccia e avvicinare il cavallo.

“Kate, voglio che lo porti con te.”

“C-con me? Dove? Come?”

“Dritto da quella parte, verso est. A poche miglia da qui troverai una rocca... apparentemente disabitata. Lì c'è un uomo... un vecchio monaco. Chiamalo a gran voce se non ti risponde al primo richiamo. Fai il mio nome, fai quello di Lady Romanoff, lui... lui saprà cosa fare...” e nel dirlo levò su di lei uno sguardo tanto angosciato che non riuscì nemmeno a rispondergli, sulle prime.

“M-ma signore, il p-poverino è spacciato...”

“Non dirlo!” esclamò questo, ora di nuovo animato da una luce vivida negli occhi. “Non dirlo…”

“P-perché non c-ci pensi tu? Io non ho familiarità con Golia... e di certo non ne ho con i lupi. E se... se mi attaccasse?”

“Non lo farà. Kate, per l'amor di Dio... questo lupo non ti farà niente. Ho bisogno che tu lo porti a quella rocca. Che lo porti in salvo. Io...” lo vide scuotere la testa, “fra poco farà giorno e non potrò essere utile.”

Se quelle parole le sembrarono insensate sulle prime, il terrore che gli vide serpeggiare nello sguardo le diede la spinta a prendere una folle decisione.

“D'accordo”, gli concesse allora, prima di prendere saldamente le briglie del cavallo, mentre Clint sdraiava il lupo, con tutta la delicatezza possibile, sulla sella.

“Prendi con te il mio arco e le mie frecce”, gliene fece dono, dopo averla aiutata a salire “e per l'amor del cielo, fa che non capiti niente di male a questo lupo. O quanto è vero Iddio... t-ti verrò a cercare.”

Una minaccia appena abbozzata. Più che preavviso di reale intento, come il disperato tentativo di costringerla a portare a termine il suo compito.

Kate si allontanò dunque, occhieggiando appena Clint che era rimasto fermo a osservarla accanto ai cadaveri delle due guardie.

Lo guardò mentre si allontanavano, incerta sulle motivazioni che lo inchiodavano al suolo, impossibilitato a seguirli.

Sarebbe stata una lunga galoppata.

Quando tornò a guardare dritto di fronte a sé, l'alba era in procinto di sorgere.

 

*

 

Il sole cominciava a sbucare dalle cime delle montagne quando Kate raggiunse l’unica rocca che si poteva scorgere nell’arco di miglia.

“Non può che essere questa, che dici, lupetto?” mormorò.

Kate non aveva fatto altro che chiacchierare per tutto il tragitto, cercando di mantenere sveglio il lupo a cui Clint sembrava tenere tanto. L’animale non le aveva mai risposto, però sembrava reagire, in qualche modo, alle sue inutili ciance con dei guaiti piuttosto penosi.

Anche questa volta non mancò di ringhiare qualcosa che, per la prima volta, ebbe il potere di intimorirla.

“Non mi giocherai qualche brutto scherzo proprio ora che siamo arrivati, eh?” domandò, fermando il cavallo prima del portone dismesso e tarlato che chiudeva quel rudere antico.

“Spera che Clint non abbia preso un abbaglio…” esalò, decidendo di smontare dalla sella, un po’ per allontanarsi dal lupo, un po’ perché provata dalle piaghe sul fondoschiena, prodotte dalla galoppata.

“Dicessi che ci sono abituata, mentirei. Mi domando come faccia lady Romanoff a passarci su tante ore…” il pensiero della donna arrivò e scomparve, quando alle sue spalle, il lupo ringhiò di nuovo qualcosa.

“Okay, okay…”

Guardò verso l’alto. Sbirciò oltre le finestre e le merlature della torre, senza trovare la benché minima traccia di vita.

“Ehilà!” gridò allora. La sua voce andò a disperdersi in un’eco distorta oltre le mura. “C’è nessuno?”

Si passò una mano fra i capelli, cominciando a sentire l’impazienza premerle contro lo sterno.

“Tutte queste emozioni finiranno per uccidermi…” mormorò, prima di decidersi a riprovarci: “C’è nessuno di casa? Ehilà!”

Colse l’improvviso movimento alla sua destra. Fece scattare lo sguardo in quella direzione, finché non vide una testa sbucare da una delle balaustre più alte.

“Chi è la?” la domanda arrivava direttamente da un uomo. La pelle talmente scura da essere appena distinguibile nella semi oscurità. Kate non ci fece caso, presa com’era ad accogliere il sollievo di quell’improvvisa apparizione. Clint Barton non si era sbagliato.

“Buona sera!” esordì per non risultare sgarbata.

“Io direi più buongiorno!”

Il sole ormai stava dispiegando i suoi pigri raggi, regalando una rosea aurora.

“H-ha ragione buongiorno. Credo di aver bisogno del vostro aiuto!”

“Credi o lo sai?” indagò questo, il tono sbrigativo di chi non è affatto incline alle chiacchiere.

“I-io… lo so! Lo so! Ho bisogno di aiuto. Ho qui con me… un lupo!”

“Un lupo? E che dovremmo farcene di un lupo? Pellicce? Con questo freddo è un grande investimento! Portalo su che ti aiuto a scuoiarlo!”

“No! No, nessuna pelliccia, il lupo è stato ferito, mi manda da voi un uomo!”

“Un uomo?”

“Sì, un uomo, mi ha detto che mi avreste aiutato a salvare l’animale. Il suo nome è Clint Barton!”

Vide il monaco esitare per poi muoversi lungo il passaggio sulle mura.

“Clint Barton.” Lo sentì esalare con del sincero sconcerto, “Che stai aspettando, ragazzina! Porta dentro il lupo, muoviti!”

L’urgenza nella sua voce non la fece temporeggiare per un solo istante. Il monaco doveva aver capito la gravità della situazione più che la possibilità di ricavarne un morbido mantello di pelo. Kate si fece strada oltre la porta dissestata e poi dentro la rocca.

Vide l’uomo venirle incontro con un’agilità del tutto in contrasto con la sua stazza. L’espressione sconcertata non era mutata di una virgola. Si rese conto solo in quel momento che uno dei suoi occhi era coperto da una benda nera.

Affiancò il cavallo e con una delicatezza fuori dal comune, prese l’animale fra le braccia.

“Vieni…” disse solo, passando oltre un ponticello che correva sopra un fossato vuoto, “Lascia il cavallo, tieni la sinistra e non guardare di sotto.” Le ordinò, prendendo a salire una scala tutta fatta di pietra.

Kate non si fece ripetere l’ordine una seconda volta. Oltre alla curiosità di scoprire che diavolo stesse succedendo, il freddo le aveva talmente intorpidito le ossa che sperò di trovare un focolare scoppiettante ad attenderla. E magari anche un pasto caldo. L’esigenza di riposare e rifocillarsi molto più che martellante.

Entrò in quella che pareva l’unica stanza arredata dell’intera struttura. Cianfrusaglie in ogni dove, libri sparsi ovunque.

Nel camino un vivo fuoco e un giaciglio fatto di pelliccia poco distante. Fu lì che il monaco distese il lupo che non mancò di rivolgergli un lungo guaito.

“Ssssh, andrò tutto bene, bellezza… andrà tutto bene.” Lo sentì pronunciare; sul viso la stessa identica pena che aveva intravisto in quello di Clint.

E tutto per un lupo.

Una lupa… ?

Le domande cominciavano a diventare un po’ troppe. Non era abituata a pensare tanto, era scappata dal convento dove avrebbero dovuto insegnarle a leggere e far di conto per quello stesso motivo! E adesso invece… i ragionamenti si erano fatti così fitti e ingarbugliati da procurarle perfino degli sgradevoli capogiri.

“Signore, se posso fare qualcosa…”

“L’unico Signore che conosco, ragazzina, è colui che sta nei cieli. Il mio nome è Nicholas Fury. E tutto ciò che possiamo fare per ora… è aspettare.”

Lo guardò in tralice per qualche istante, ma non obiettò. Aspettare avrebbe significato la fine del lupo. Non era forse per quello che si era tanto affrettata a correre da lui? A bordo di quella durissima sella che ora le procurava gravi problemi a tenere le gambe ritte? Subendo perfino le stentate minacce del bel ragazzo che parevano in conflitto con la sua spensierata natura?

Si vide spinta fuori dall’accogliente stanzone, di nuovo nel gelido bagliore dell’alba.

“Torno subito”, le disse il monaco, “tu non muoverti da qui, ragazzina.”

“E dove vuoi che vada… ?” domandò, quando l’uomo fu abbastanza lontano da non sentirla. Sbuffò qualcosa, solo per veder il suo respiro compattarsi in una nuvola bianca.

Il sole l’accecò per un istante, quando finalmente volle concederle l’onore della sua comparsa oltre le montagne.

Lo guardò accarezzare le cime dei monti, scaldarne le nevi e scivolare giù fino alla vallata, a dare nuova luce alla natura.

“Certo, fantastico…” si trovò a commentare, serrando le braccia per scaldarsi, “ma di albe ne ho viste parecchie, e non vedo perché debba starmene qui fuori a patire il freddo, mentre il lupo se ne sta dentro a godere delle fiamme del camino…” sbottò, guardando il punto in cui il monaco era sparito.

Esitò solo un momento, prima di decidere di averne avuto abbastanza, di quell’insensata decisione.

Tornò sui suoi passi e aprì la porta, per poter rientrare di nuovo nella stanza arredata.

Il calore del fuoco le fu di nuovo di conforto, ma quando andò a cercar con lo sguardo il povero lupo trafitto, dovette trattenere un grido di stupore nel trovare niente meno che la guerriera vermiglia, sistemata sotto una coltre di coperte di pelliccia.

“Mio Signore, dimmi che questo è solo un incubo.” Si trovò a sibilare, camminando rasente il muro per avere una visuale migliore della donna.

Eppure no, non si sbagliava! Era Lady Romanoff quella che riposava accanto al camino. Ed era proprio una freccia, quella che spuntava dal suo petto, a trafiggerle la carne morbida del seno.

Si portò una mano alle labbra, quando la vide alzare il capo e aprire gli occhi, appannati dalla stanchezza e dal patimento.

“Clint… come sta Clint?” la sentì pronunciare flebilmente, una fatica immane a pronunciare poche parole.

“Sta bene. Sta bene, mia signora… c’è stata un inseguimento terribile. Ma lui ha lottato come un leone.” Le rispose come se si sentisse in dovere di alleviarla almeno di quella pena, “Il lupo… il lupo è stato… colpito. Ma questo lo sai… non è così?”

“Sì… lo so.” Mormorò questa distogliendo lo sguardo che andò a perdersi per un attimo fra le lingue di fuoco del camino.

“Mia signora, ma tu sei vera… o sei solo un sogno?” si ritrovò a chiederle, mentre la luce delle fiammelle danzavano sul suo viso creando suggestive ombre su quella pelle fatta di porcellana.

Natasha cercò i suoi occhi, una sorta di rassegnata comprensione nel suo sguardo: “Io sono dolore…”

La sua voce le fece correre un brivido lungo le braccia e poi sulla schiena, fra i capelli.

Quando la porta si aprì alle sue spalle, sobbalzò come colpita da un fulmine.

“Che cosa ti avevo detto, ragazzina?” tuonò la voce del monaco, che ora recava in mano una ciotola ricolma di erbe medicinali.

“M-ma lei… io… l-lei…” balbettò, arretrando, indecisa se restare e domandare chiarimenti su quel maleficio o se scappare a gambe levate, e pretendere di aver solo sognato.

Il monaco le venne in aiuto andando al giaciglio di Natasha: “Per favore, lasciaci soli…” disse solo, senza più guardarla.

Decise di seguire il suggerimento, senza farsi troppe domande.

Fu di nuovo all’esterno, immersa nella luce del giorno. Si sedette fuori dalla stanza e congiungendo le mani, prese a formulare una silenziosa preghiera.

 

*

 

Fury sedeva accanto alla donna.

Un taciturno patto ad animare il silenzio.

Cominciò a preparare la mistura nauseabonda per ammorbidire la ferita e darle l’illusione di temporaneo sollievo prima del momento fatidico.

 

A qualche miglio di distanza, il vescovo di Aguillon si agitava nel suo ricco letto d’ebano. Le lenzuola a fargli da sadico sudario.

Le mani frementi, ad aggrapparsi a alla morbida stoffa damascata del baldacchino.

Al suo fianco una figura avvolta di tenebre l’osservava curiosa e carica d’attesa.

 

Le mani del monaco andarono ad afferrare la freccia, ancora affondata nelle carni della giovane.

Natasha gli rivolse uno sguardo rassegnato, colmo di pena. Una raccomandazione silente.

Lo vide esitare, il volto umido di sudore, inorridito dalle probabili conseguenze del suo gesto.

Ella sollevò una mano, andando a coprire quella tremante, incerta di lui.

Sulle labbra, una sola, secca richiesta: “Adesso.”

 

Il vescovo esalò un lungo gemito, il tormento fisico, opprimente quanto quello mentale.

La figura al suo fianco si chinò su di lui, adombrandolo con la sua imponente presenza.

Un ghigno trionfante sulle labbra, che già pregustavano quella seppur temporanea, insoddisfacente vittoria.

 

Un ultimo sguardo le diede Nicholas Fury, prima di serrare le labbra e spegnere ogni ragionamento. Assicurò la presa al dardo fatale e con un brusco, lacerante gesto, lo sradicò dalle carni della donna.

 

Gridò Natasha.

 

Gridò il falco, in volo verso la rocca.

 

Gridò Katherine, le mani strette alle tempie.

 

Gridò il vescovo, destandosi, mentre la roca risata del demonio alle sue spalle si spegneva e le porte della sua stanza venivano spalancate.

“Vostra grazia, vogliate scusarmi… è arrivato Rumlow.” Annunciò una delle guardie.

Il vescovo fissò la figura ammantata, con gli occhi che ancora avevano in sé la maschera di dolore della fanciulla dai capelli di fuoco.

 

Continua…

 

___

 

Note:

Mi sono resa conto di aver ingenuamente dato per scontato che i lettori sapessero chi è Kate Bishop. Quando scontato non lo è affatto, non essendo presente nell’MCU. Me ne scuso.

Kate Bishop non è un personaggio originale, Kate Bishop fa parte dell’universo Marvel, ma solo a livello di comics. Il suo personaggio è conosciuto negli Young Avengers con il nome di battaglia di Hawkeye. Anch’ella maestra nel manovrare arco e frecce, una storia diversa da quella del nostro arciere preferito ma che ne ha saputo raccogliere l’eredità. Nei fumetti di Fraction (e non solo) collabora con Clint Barton, entrambi mantengono il nome in codice e, proprio in virtù di questa simpatica e riuscitissima collaborazione fumettistica, ho voluto costruire una trama che li riunisse, nonostante i tratti prettamente Clintasha della storia. E questo è tutto. Per ulteriori informazioni, su Wikipedia trovate tutto il necessario per farvi un’idea più precisa del personaggio.

Conclusa questa precisazione, mi appresto ai ringraziamenti: come sempre a tutti i cari lettori, recensori e alla mia entusiasta beta (che in questo periodo, santa donna, si sta sorbendo anche tutti i miei scleri marveliani e non). Per chi seguisse l’altra mia storia “Sleep Twitch” una sola rassicurazione: la sto scrivendo. A rilento e con qualche difficoltà, ma non è mia intenzione abbandonarla. Avevo solo bisogno di scrivere una storia più leggera e lasciar in pace il mio cervello che è un po’ saturo per tanti, troppi motivi. Detto questo vi lascio. Alla prossima!

 

 

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Capitolo 4
*** The Curse ***


CAPITOLO 4

The Curse

 

“Sempre insieme, eternamente divisi. Finché il sole sorgerà e tramonterà, finché ci saranno il giorno e la notte.”

 

*

 

Kate produsse un energico sbadiglio, mentre avvicinava il centro della grossa stanza che fungeva da cucina. Fury sedava solo, lì accanto, apparentemente perso nei suoi pensieri.

Si portò accanto al fuoco acceso che stava scaldando il vino speziato del monaco. Un toccasana dopo quella gelida notte insonne. Il solo profumo le scaldava cuore e membra.

Natasha riposava ancora nel locale accanto, profondamente addormentata, ma viva.

Erano state ore decisamente sgradevoli.

Quegli ultimi giorni avevano messo a dura prova la sua lucidità. In un certo senso invidiava la se stessa che aveva vissuto prima dell’arrivo in quella dannata Aguillon. Prima della fuga. Le sembrava di essere precipitata in un incubo terrificante, dal quale non riusciva o forse non voleva ancora liberarsi. Come quando ti trovi ad osservare qualcosa di raccapricciante, ma non riesci a distogliere lo sguardo.

Affiancò il monaco e lo squadrò. Nonostante l’apparenza, doveva avere molti più anni di quanti ne dimostrasse. Lo sguardo era antico – come doveva esserlo la sua ferita all’occhio – come quelli che si scorgono in certi longevi anziani che hanno passato la vita ad osservare il mondo, cercando di penetrarne i misteri.

“Dunque il falco è lui, è quel Barton, non è vero?” esordì, sapendo di non poter indugiare oltre. Si allungò per versarsi un po’ di vino e strappare un pezzo di pane nero, come potesse trarne conforto. Ancora sbigottita dalla fantasiosa soluzione che aveva dovuto digerire.

“Chi ha mai detto una cosa simile, ragazzina?” gli rispose questi, la voce appena strascicata, se per il troppo vino o la stanchezza o magari entrambi, quello non avrebbe saputo dirlo.

“Avete bevuto un po’ troppo, prima… e poco fa stavate ricordando.” Fu costretta a rispondergli, guadagnandosi un’occhiata affatto benevola. Si fece forza comunque e non desistette. Seguitò a fissarlo, spronandolo a confessare.

“Qual è il tuo nome, ragazzina?”

“Kate Bishop”, rinunciò ai convenevoli di un nome troppo pomposo. Lo vide annuire e poi sospirare grevemente, come se il peso che portava sul petto si fosse fatto improvvisamente troppo. Finalmente sembrò sul punto di raccontare.

“Il nome della donna è Natasha… Natasha Romanoff.”

“Sì, lei me lo ha detto…”

Di nuovo il monaco annuì.

“Era la nipote del conte Ivan Petrovich”, riprese, “che ha trovato la morte combattendo i saraceni in Antiochia, anni orsono.”

Lo vide recuperare il bicchiere colmo di vino e prenderne una lunga sorsata, arrivando a finirlo.

Si asciugò le labbra e proseguì.

“Natasha arrivò in uno dei villaggi nei pressi di Aguillon, ottenendo ospitalità da un cugino della madre, morta di parto, che sembrava aver preso a cuore la sua sorte… ma non arrivò mai a trarre beneficio da quel provvidenziale gesto. Il cugino morì di febbre cerebrale, lasciandola completamente sola e senza alcun sostentamento. Fu per questo motivo che, per sopravvivere, senza sperperare l'unica eredità dello zio… si trovò costretta a rubare.”

“Rubare… lady Natasha?”

“Oh, ragazzina, non dirmi che per te questa è una novità.” Il monaco sembrava aver intuito molto più di quanto lei gli avesse mai lasciato intendere.

“Non so che vogliate dire… padre.”

“Tu no, ma sono sicuro che il calice di bronzo che hai infilato nelle sottane, sa esattamente a cosa mi riferisco.”

Kate si trovò ad arrossire senza avere la benché minima intenzione di contraddirlo. O di provarci, almeno.

“In ogni caso…” Fury pareva intenzionato a lasciar correre, e di questo gliene fu grata, “non se la cavava mica male, la ragazza. Lo zio le aveva insegnato tutto ciò che sapeva. Unica figlia adottiva, non solo l’aveva allevata educandola alla letteratura e alle lingue straniere, ma non di meno alla nobile arte della spada e del combattimento. Tutto ciò che, non avendo avuto un figlio maschio, aveva deciso di tramandare a quell’unica parente rimasta.”

Kate annuì, mentre la stima che aveva per la guerriera vermiglia diveniva, se possibile, ancora più consistente.

“I suoi furti e la sua… tendenza alle risse nei villaggi attorno Aguillon però non passarono inosservati. La guardia del vescovo venne a conoscenza della cosa ed allertata per porre rimedio allo spiacevole inconveniente.”

“La stessa guardia del vescovo che mi sta dando la cacc…” si morse la lingua, “cioè che ha colpito il lupo, la scorsa notte?”

“La stessa guardia del vescovo. Con un’unica, sostanziale differenza: il capitano delle guardie. Che all’epoca rispondeva al nome di…”

“Sir Clinton Barton.” Concluse Kate per lui, cominciando a vedere chiaro in quell’intricato retroscena.

“Precisamente.” Il monaco sospirò grevemente, ma stavolta un sorriso gli animava le labbra. “Non credo dimenticherò mai il giorno in cui la vidi la prima volta. Una guerriera…”

“Forte e fiera…” proseguì Kate, trovando conferma in un cenno del capo di Fury.

“La stessa sensazione che suscitò nel capitano delle guardie. Che invece di catturarla… decise diversamente…”

 

***

 

La piazza del mercato si era animata di una folla ben assortita.
Quattro cavalieri avevano accerchiato un’unica donna. Teneva le mani bene in vista, i capelli vermigli scompigliati, gli occhi vivaci e attenti ad ogni mossa degli avversari.

“Arrenditi, ragazzina… hai finito di arrecare danni a questo villaggio.”

“E per quale crimine, di grazia? Non si è più liberi di passeggiare tranquillamente fra le bancarelle?”

“Se credi di poterti prendere gioco di noi, hai sbagliato bersaglio… arrenditi senza fare resistenza e vedrai che forse riceverai la grazia dal vescovo.”

“Perché non un bell’encomio, visto che ci siamo? Io non ho fatto niente.”

“E quelle mele?”

“Un regalo.”

“E la sacca con le monete?”

“La mia scorta per l’inverno.”

“Finiamola con le fandonie. Arrenditi!” Uno dei cavalieri si era fatto avanti, sfacciato e tronfio come solo un uomo armato può essere.

“Se volete che mi arrenda… dovete venire a prendermi.” Sibilò questa, estraendo a sorpresa una corta spada da sotto le gonne.

“Non avevi niente da nascondere, ah?” la guardia, pregustando la vittoria, si era fatta pigramente avanti. Niente però l'avrebbe preparato a ciò che poi avvenne.

La donna lo disarmò con una rapidità sconcertante. Con un calcio mirato gli fece mancare l’equilibrio e dopo averlo atterrato e disarmato, la sua gola esposta fu alla mercé della sua lama.

“Dicevamo?” esalò, prima di fronteggiare l’attacco contemporaneo delle guardie rimaste ad osservare.

Il duello non fu lungo, l’agilità della donna e la sua rapidità diedero improvviso e straordinario spettacolo. La gente assiepata nella piazza del mercato, fra l’ammirato e lo sconcertato, assisteva con grida più o meno partecipi allo scontro decisamente impari.

“Fate largo! Fate largo, tutti!” una voce tonante da una delle retrovie, pose fine alla rissa.

Un’altra guardia del vescovo veniva avanti, in sella a un grosso cavallo dal manto nero come la notte. Così come nera era l’armatura e il mantello tutto che lo vestiva.

“Ebbene, che succede?” domandò non senza una punta di sdegno nel constatare che i suoi compagni erano stesi al suolo, gementi, disarmati e in pessime condizioni. Al centro della scena, una donna… dal corpo di ragazzina che, con la spada sguainata, sembrava essere completamente padrona della situazione.

“Un pessimo esempio di cavalleria, se mi è concesso avanzare una protesta.” Commentò questa, sistemandosi alla bell’e meglio i capelli vermigli che ora le ricadevano scompostamente sulla fronte, sulle spalle, dandole un’aria selvatica.

L’uomo non riuscì a sottrarsi al suo sguardo e, se per un attimo rimase interdetto da quella visione del tutto inusuale, poi fu solo un mezzo sorriso a illuminargli lo sguardo.

“Sei stata tu?” le domandò allora, con quell’aria un po’ perplessa, un po’ divertita.

“Non ho sentito nessuno offrirsi per darmi una mano.”

“E dunque dell’aiuto di quale maleficio ti sei avvalsa per riuscire a stendere tutti e quattro i miei uomini?”

“I vostri… ?” la donna non finì la frase, cominciando a intuire chi si trovasse di fronte. Lo stemma sull’armatura non lo aveva proprio notato: non una guardia qualsiasi, ma il capitano delle guardie in persona era improvvisamente intervenuto.

“Nessun maleficio, Capitano”, disse allora, dimostrando di non essere così sprovveduta, “solo i vili si appellano a una simile stupidaggine. Buone gambe e intuizione… è solo questo il mio segreto.”

“Bè…” riprese l’uomo dai capelli biondi, “un po’ semplice come spiegazione, non trovi?”

“Semplice o meno, mi sembra chiaro chi sia uscito vincitore dallo scontro… peraltro nato da un pessimo malinteso.”

“Un malinteso, uh?”

“Malinteso. Delle accuse del tutto infondate.”

“Eppure mi dicono che il tuo volto corrisponde a quello della ladruncola che non ha fatto altro che provocar danni nei villaggi circostanti.”

“Devono essersi confusi con qualcuno che mi somiglia…”

“Una sorta di allucinazione collettiva.”

“Può darsi. Non è mia la colpa, di certo.”

L’uomo sembrò valutarla, guardandosi attorno: le persone che prima avevano assistito all’assalto alla fanciulla, ora erano congelate sul posto da quello scontro verbale.

“Magari dovrei chiedere a questa brava gente che ne pensa.”

Per la prima volta sul volto della donna serpeggiò qualcosa di molto simile alla paura.

“Capitano fate pure…” lasciò però cadere la spada, “mi appello alla pubblica clemenza.”

“Sembri molto sicura di quello che fai…” le disse dunque, scendendo da cavallo. Solo allora la donna si rese conto che l’uomo portava una faretra colma di frecce, agganciata alla cintura. Aveva sentito parlare di lui.

“Devo esserlo, Capitano. Una donna sola, che non ha niente al mondo se non il suo intelletto e la sua spada, deve saper tener testa a qualsiasi imprevisto. Fossero anche… un gruppo di guardie armate, pronte a menar fendenti per un furto che suddetta donna non ha commesso.”

“Nessun furto Capitano!” si levò una voce dalle retrovie. Una donna si fece strada tra la folla, sollevando il suo cesto di mele. “Sono stata io a fare dono a questa donna di un po’ di frutta. Voleva pagarmele con una moneta d’oro. Ma era troppo per una spesa tanto misera.”

“Dice il vero?” domandò il Capitano, occhieggiando la rossa con aria sospetta.

“Non ho pagato questa donna per difendermi, se è questo che vi state chiedendo.”

“Non mi stavo chiedendo niente… quelle monete dove le hai prese?”

“Queste monete sono tutto ciò che mi resta… del mio defunto padre, il conte Ivan Petrovich.” E nel dirlo estrasse un sacchetto di cuoio, porgendoglielo, come a dimostrazione delle sue parole. Quattro sole monete d'oro al suo interno. Un ben misero bottino, per un'eredità.

Il capitanò esitò a lungo, per poi alzare su di lei uno sguardo comprensivo.

“Mettile via… è sufficiente.”

“Sufficiente… ?” mormorò restia a credere che potesse esser stato tanto semplice.

“Conoscevo un Ivan Petrovich, per quanto possa sembrare assurdo. Deceduto in Antiochia… meno di un anno fa.”

La donna ritirò la mano; lo sguardo si fece cupo, velato di burrasca.

“Non sbagliate…”

“Credevo non avesse eredi.”

“Non ne aveva. Sono la figlia della sua defunta sorella. Si è preso cura di me… sin da quando non ero che una bambina.”

Improvvisamente tutto gli fu chiaro. Il comandante rilassò le spalle e le sorrise caldamente.

“Devo dire che ha fatto un ottimo lavoro con te… lady Natasha.”

La donna si trovò a sgranare gli occhi, colta di sorpresa.

“V-voi mi… conoscete?”

“Solo di fama. Sir Petrovich mi aveva parlato di voi… quando non ero che una recluta nella guardia di sua grazia, il vescovo di Aguillon. Mi aveva parlato della nipote rimasta orfana in tenera età, della bambina dai capelli color del rame e gli occhi acuti e taglienti, come quelli di un lupo. E’ stato per questo che decise di lasciare la guardia e occuparsi… di altri affari. Non ho più sentito parlare di lui, fino al giorno della sua morte.”

Natasha sistemò con cura il sacchetto di monete alla cintura del vestito e tornò ad affrontarlo; nessun motivo sul perché non dovesse credere alle sue parole. Era vero che lo zio aveva prestato servizio presso Aguillon. Ed era vero che aveva lasciato quel lavoro anche per prendersi cura di lei.

“Occuparsi di me non fu che una scusa. Zio Ivan aveva la pessima reputazione di grande ubriacone. Se si è allontanato dalla guardia del vescovo, non è stato certo solo per causa mia... ha sperperato soldi e eredità, prima di partire per la guerra e lasciarci la vita.”

Il Capitano annuì, consapevole, ma forse restio a rovinare la memoria di un cavaliere.

“Una cosa che aveva in comune con il mio vecchio”, si trovò a commentare. Se per guadagnarsi o meno la sua simpatia, riuscì in parte nel suo intento. “Dovresti venire ad Aguillon, milady. Sono sicuro ci sia posto per la figlia di una ex-guardia del vescovo, fra le mura della città.”

“Non ho bisogno di alcun aiuto, Capitano.” Rispose lei con una punta di finta presunzione.

“No, questo mi pare evidente…” occhieggiò i dintorni, esitando sugli uomini ancora stesi al suolo. Di nuovo quel sorriso divertito sulle labbra, “ma magari il tuo aiuto potrebbe fare comodo a noi.”

La donna ebbe, per la prima volta, l'ardire di rispondere a quel sorriso.

 

***

 

“Una serie di coincidenze così audaci non le avevo proprio mai sentite!” sbottò Kate, già grandemente appassionata alla storia che il monaco le stava raccontando.

“Coincidenze le chiami? Io direi più provvidenza divina. Quando due anime sono destinate ad incontrarsi…”

“In qualsiasi modo vogliate chiamarla, padre”, lo interruppe, “sono sicura che nessuno dei due è disposto a lamentarsi per questo fortuito incontro… o sbaglio?” lo incoraggiò a continuare, decisa a estirpare il succo della vicenda dalle labbra di Fury.

“Non sbagli affatto ragazzina…” la rassicurò lui, “come ti ho detto, il fascino della giovane Natasha non aveva lasciato indifferente il Capitano della guardia. Che cominciò a sviluppare per lei un’affettuosa amicizia. La ragazza aveva trovato alloggio, protezione e un impiego alla fortezza di Aguillon. Durante i primi mesi passati fra le mura della città, la gente aveva imparato a conoscerla e nessuno, invero, riuscì a sottrarsi al suo ascendente. Nemmeno un povero sciocco come me...” sorrise, e Kate non riuscì a non farlo di riflesso.

“Ad essere sincera, se fossi un uomo... credo che proverei i vostri stessi sentimenti. Ma!” esclamò, “Essendo una donna, che suo malgrado cede anche un po' troppo facilmente al fascino maschile, non posso far altro che ammirarla.”

Il monaco le scoccò uno sguardo che le sembrò di rimprovero.

“Bè, se il Signore ci ha fatto gli occhi per guardare, di sicuro il corpo è fatto per testa-”

Lo vide fare un cenno con la mano come a sedare quel discorso assai peccaminoso. E Kate ebbe il buon gusto di tacere al cospetto di un uomo di chiesa.

“E poi che accadde?” cercò di riportare la conversazione su un terreno più appropriato.

“Accadde che, come dicevo, il fascino di lady Natasha non passò inosservato. E andò a stuzzicare la fantasia dell'unico uomo... che non avrebbe dovuto provar per lei nessun sentimento se non quello di pietà e compassione...”

“Di chi state parlando, padre?”

Vide il suo volto incupirsi e divenir terribile e, improvvisamente, un pensiero indegno le si andò formando nella mente.
Quell'espressione che aveva avuto modo di osservare persino sul volto di lady Natasha e sir Barton.

Le parole del monaco non fecero altro che confermare il terribile, disgustoso sospetto: “Di sua grazia, il vescovo di Aguillon.”

“Vi state prendendo gioco di me!” protestò Kate, quasi saltando sulla sedia, impossibilitata a credere di aver indovinato la peggiore delle ipotesi.

“Credimi ragazzina, questa è una di quelle cose su cui non riesco a scherzare facilmente.”

“Andate avanti, per l'amor del cielo...” lo spronò di nuovo, ora decisa ad arrivare fino in fondo.

“Il vescovo non riusciva a pensare ad altro, si ammalò di una passione quasi folle. Era in preda al demonio, ma Natasha percepì la sua malvagità, si rifiutò a lui, gli rimandò le lettere che le aveva inviato senza aprirle, le poesie senza leggerle... il suo cuore era già perduto sai...” esitò per un istante, lo sguardo smarrito fra le fiamme accese nel focolare, “per il capitano della guardia.”

“Sir... Barton...”

Fury annuì.

 

***

 

“Non è un po’ troppo tardi per un allenamento, Capitano?”

Natasha aveva osservato a lungo, silenziosamente, le mosse di Clint.

A quanto pareva, il campo d’addestramento diventava il suo luogo preferito durante il tramonto; quando i soldati si dileguavano, ritirandosi nei loro appartamenti per un lungo bagno e una meritata cena, lasciandogli la ghiotta opportunità di restare solo, lontano dal rumoroso tramestio delle ore diurne.

La solida postura a stagliarsi contro il cielo arrossato, la schiena dritta e le braccia tese a imbracciare quell’arco che sembrava il prolungamento del suo stesso corpo.

Il solo sibilo delle frecce che sferzavano l’aria, la tensione della corda, la scoccata al bersaglio.

Natasha lo aveva scorto per caso alcune settimane prima: non era più riuscita ad evitare di tornare ogni sera. Si teneva in disparte, pretendendo di non essere vista, di non infastidirlo e, mano a mano, era diventata abitudine che si incontrassero in quelle ore che anticipano la notte e si congedano dal giorno.

Clint si era accorto di lei ogni singola volta e non aveva fatto niente per impedirle di tornare.

Ragion per cui quell’inattesa incursione lo sorprese. Di certo non ne fu dispiaciuto.

“Credevo fossi tu quella che non è mai stanca…” l’accolse abbassando l’arma, voltandosi per fronteggiarla.

Il suo volto di ceramica rischiarato dal crepuscolo riusciva sempre a togliergli il fiato.

“Oggi hai dato del filo da torcere ai miei uomini…” la rimproverò bonariamente, poggiando entrambe le mani sull’arco posato a terra come un bastone da passeggio.

“Oggi?” domandò lei retoricamente, guardandolo dritto negli occhi, senza indugio. Un'abitudine che Clint aveva sempre apprezzato.

Si mise a ridere perché non v’era altro da fare e lei di riflesso gli sorrise.

“Vuoi provare?” le domandò allora, raccogliendo una freccia.

“Ti fidi?” indagò lei, un po’ sorpresa dalla proposta. Era convinta che arco e frecce fossero qualcosa che l’uomo teneva più in considerazione del suo stesso onore: provava una reverenza quasi sacrale per quell’offerta.

“Non dovrei?”

“Non lo so… siete sempre così restii a lasciarmi manovrare delle armi”, gli disse, ma non si sottrasse alla sua presa o al modo in cui le lasciò afferrare l’arco. Alla delicatezza con cui si sistemò alle sue spalle e l’aiutò a prendere posizione. Il tocco delle sue mani, la consapevolezza del suo corpo caldo addosso, provocarono in lei il primo, concreto desiderio di essere sua.

“La schiena dritta, regola il respiro…” lo sentì mormorare al suo orecchio, “e prendi la mira.”

Cercò di restare lucida quel tanto che bastava a fare un tentativo. La freccia le sfuggì dalle dita, prima ancora che potesse decidere di lasciarla andare. Il dardo andò a finire da qualche parte, oltre il bersaglio. Ma se Clint provò a consolarla, il tentativo fu frenato. Natasha non era quel tipo di persona.

Si volse giusto il tempo di impedirgli di pronunciare alcunché. Bastò uno sguardo a comprendere che se quella sera le dinamiche erano improvvisamente cambiate, era perché non sarebbe stato accettabile passare un giorno di più ad ignorare la sensazione che prendeva entrambi allo stomaco.

Spesso le parole sono solo l’inutile tentativo di colmare i vuoti: a volte la soluzione migliore è quella di riempirli con i gesti.
E fu per quello che Natasha prese l’iniziativa e si mosse fra le sue braccia. Si aggrappò alle sue spalle solide e catturò le sue labbra che, con i suoi sorrisi, le ricordavano sempre splendide giornate di sole.

 

***

 

“Il vescovo ignorava il loro amore”, proseguì Fury, la voce si era fatta più cupa, “ma esso diventava ogni giorno più grande, più forte, più profondo...”

 

***

 

Gli incontri serali divennero sempre più frequenti, l’allenamento l’unico pretesto a dar loro tregua dagli sguardi indiscreti del mondo.

Se alcune sere il sibilo delle frecce veniva rimpiazzato da quello dei loro sospiri, non fu certo un peccato mortale. Colpevoli sarebbero stati a non consumare quell’amore così colmo, fiero e puro. Folli a non godere di quegli attimi che mai avrebbero pensato potessero finire in modo così brutale.

“Sto cominciando a dimagrire…” disse lei una di quelle sere, sdraiata sul giaciglio improvvisato, pizzicandosi il ventre nudo, così deliziosamente esposto allo sguardo del suo amante.

“Dimagrire?”

“Berta è convinta che tu sia troppo duro....”

“Duro. Non credevo che Berta fosse così incline ai complimenti”, la interruppe immensamente stupido, guadagnandosi un pugno dritto nel fianco.

“… con gli allenamenti.” Specificò lei, soddisfatta delle sue lamentele.

“Credi che sospetti qualcosa?” le domandò, voltandosi su un lato, sorreggendosi il capo con una mano.

“No… ma è più che determinata a trovarmi un marito.”

“Berta? Pensavo il suo disastroso matrimonio le fosse sufficiente per inibire chiunque a fare lo stesso.”

“Penso che sia solo preoccupata per me.”

“Per gli allenamenti?”

“No…” Natasha alzò su di lui uno sguardo vagamente turbato, “per le attenzioni del vescovo.”

Clint sollevò la testa, rimettendosi seduto.

“Ancora insiste?” una furia repressa nella voce, nello sguardo.

“Niente di che… continua ad inviarmi lettere. A volte inviti a raggiungerlo per cena.”

“E osa definirsi uomo di Dio! Infimo, disgustoso essere… non sono disposto a sopportarlo…”

“Non sei tu a doverlo sopportare, Clint.”

“Ma… che dovrei fare? Restare a guardare?”

“Sono in grado di tenerlo a bada per conto mio”, lo interruppe duramente, con aria ammonitrice, “ma forse dovremmo pensare alla possibilità… di parlarne con qualcuno. Di ricevere un consiglio. Non voglio vivere per sempre… nascondendomi.”

La sincera confessione di Natasha ebbe lo straordinario potere di placare, in parte, l’ira del capitano.

“Non è nemmeno quello che voglio io.”

“Abbiamo un amico ad Aguillon. Dovremmo parlare con lui.”

“Parli di Fury… ?”

Natasha annuì.

“Quell’ubriacone”, ma non c’era disprezzo nella sua voce, solo una bonaria critica.

“Saprà consigliarci. Saprà dirci come muoverci. Come gestire il tuo lavoro, la mia… virtù…” rise Natasha, portandosi una mano al petto, fingendo ingenuo pudore.

“Dovremmo sposarci”, s’azzardò a dire, ritrovando il dito di lei sulle sue labbra a costringerlo a rimandare l’argomento.

Non era in vena di sentir parlare di cavilli. Né di perdersi in inutili ragionamenti: non era quello che li definiva.

“Per ora voglio solo che mi guardi.” Interruppe la discussione, stufa di sprecare una sola parola di più sul vescovo: le ore notturne scivolavano via già troppo rapidamente senza doverle infarcire di chiacchiere su un uomo non più virtuoso di tanti altri ad Aguillon.

Prese una delle sue mani, portandosela sul ventre.

“E che mi tocchi.” Sussurrò, trascinando la sua mano sempre più in basso, fra le cosce, invitandolo a osare di più. Gli occhi inchiodati ai suoi, già torbidi di desiderio.

“E che fai l’amore con me.” Sussurrò l’invito, fremendo già fra le sue braccia.

Il capitano della guardia decise sarebbe stato scortese farla aspettare.

 

***

 

“Tutto sembrava cominciare a trovare un giusto equilibrio”, sospirò Fury portandosi una mano alle labbra, titubante forse anche solo nel pensare a come si era conclusa la storia, “Fino a che...”

Quando lo vide esitare troppo a lungo, per timore smettesse di narrare, Kate raccolse il suo bicchiere ormai vuoto, riempiendolo di vino bollente.

Il monaco osservò il liquido per qualche istante, prima di prenderne un’ampia sorsata e scacciare  definitivamente i demoni che frenavano la sua lingua chiacchierina.

“Fino a che... ?” indugiò Kate, quando ebbe finito.

“Furono traditi.” Esalò infine lanciando fuori quelle parole come fossero state un peso enorme, bloccato in gola da troppo tempo… troppi anni. “Avevano lo stesso confessore, un frate sciocco e debole.”

Kate cominciò a intuire dove quel discorso andasse a parare e, improvvisamente, tutta la sua esitazione venne giustificata con una chiarezza cristallina. Non dovette insistere ulteriormente per sapere di più. Il blocco di Fury sembrava essersi liberato.

“Un giorno, ubriaco, quel monaco si confessò al suo superiore, commettendo un peccato mortale…” la voce era greve, rotta, “Rivelò il patto segreto degli innamorati al vescovo. Il vecchio stolto non capì quanto terribile sarebbe stata la sua vendetta.”

Bevve di nuovo, come a dare nutrimento al suo coraggio.

“Sua grazia sembrava impazzito, perse la santità e la ragione. Giurò che se non l’avesse avuta lui, nessun altro l’avrebbe avuta mai. Così Clint e Natasha fuggirono da Aguillon. Il vescovo li inseguì, senza tregua, sempre alle costole, più ostinato di un segugio. Un uomo malvagio e potente, odiato e temuto… ripudiato persino da Roma stessa. Chiamò a sé tutti i poteri delle tenebre, pur di riuscire a dannare gli innamorati. Nella sua furia e frustrazione stipulò un orribile patto con il demonio stesso o qualche essere che ne aveva le esatte caratteristiche. I poteri di questa entità proferirono una terribile maledizione. La stessa che hai visto realizzarsi…” socchiuse gli occhi, esausto come dopo una lunga corsa.

“Di giorno, Clint è lo splendido falco che accompagna la nostra determinata guerriera…” la guardò  per la prima volta dacché aveva iniziato il racconto, “Di notte, come hai già capito… la voce del lupo che si ode… è il grido di Natasha.”

Kate sentì un brivido percorrerle la schiena. La forza di quell’orribile maleficio le riempì lo stomaco, lasciandola senza fiato.

“Povere creature, senza memoria della loro semi vita umana, e che non possono mai sfiorarsi. Solo il tormento di un breve istante all’alba e al tramonto, dove quasi possono toccarsi, ma neanche...”

Kate deglutì piano, facendo fatica a trovare le parole: “Sempre insieme, eternamente divisi.”

“Finché il sole sorgerà e tramonterà. Finché ci saranno il giorno e la notte. Per tutto il tempo che sarà loro concesso di vivere…” precisò Fury, guardandola a distanza ravvicinata, sicuro adesso che fosse in grado di empatizzare con la sua pena, “Sei incappata in una tragica storia, Kate Bishop. Ed ora, che ti piaccia o no, sei perduta in essa, come tutti noi…” si rimise in piedi finendo il suo vino, lasciandola sola al focolare a smaltire quella malefica indigestione.

 

Continua…

___

 

Note:

E finalmente la maledizione è stata spiegata. Qualche elemento di flashback per raccontare la back story dei nostri due sfortunati amanti.

Avevo promesso una sorpresa in questo angolo ed eccola [QUI]. Una fanart che ho disegnato un paio di settimane fa e che mi son dimenticata di postare la volta scorsa. Sto invecchiando… male.

Al solito ringraziamenti a chi legge e recensisce la storia, alla socia e beta sempre presente e chiunque altro voglia beccarsi i miei ringraziamenti. Tanto sono gratis. Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Out of the Fortress ***


CAPITOLO 5

Out of the Fortress

 

“Una notte senza il giorno e un giorno senza la notte.”

 

*

 

Brock Rumlow non era esattamente uno dei personaggi più apprezzati nei dintorni di Aguillon.

Quando non soggiornava fra le mura della città, preferiva confrontarsi con le terre selvagge, zone alle quali non si potevano certo contestare le sue origini. L’aspetto trasandato, l’aria fetida e quel vago olezzo di morte e selvatico che sempre si portava appresso, non lo rendevano esattamente un uomo di cui cercare la compagnia.

Il vescovo di Aguillon si avvaleva dei suoi servigi di tanto in tanto, come cacciatore, boia, sicario, ma non era un mistero che non gli piacesse averlo intorno; così come da contrasto, Rumlow non sembrava avere un grande rispetto per quell’uomo di chiesa. Si era sempre chiesto a chi avesse venduto l’anima per ottenere un posto di tale rilievo: la sua misera e abietta levatura morale non era un mistero.

Per cui non pareva insolito il modo in cui ora si scrutavano l’un l’altro con disprezzo, nessuno sforzo per renderlo meno sgradevole. Rumlow osservava il vescovo con un sorrisetto spregevole, affatto incline a dargli la soddisfazione di vederlo cedere ai suoi rimproveri.

“Inutili. Tutti loro.” Lo sentì dire. Quel suo bastone che scostava, scavava, cercava freneticamente fra le carcasse.

Di fronte a lui un tavolo colmo di quelli che non erano altro che un ammasso di falchi pellegrini. Tutti morti.

“Le mie trappole sono piene.” Si giustificò solo, pensando che, con tutta quella selvaggina, avrebbe potuto sfamare l’intera Aguillon. Se si fosse affrettato a congedarlo magari avrebbe potuto rivenderne qualcuno. “Non posso uccidere tutti i falchi del circondario. Nemmeno ad avere a disposizione un arsenale di frecce infinito.”

“C’è una donna…” disse inaspettatamente il vescovo.

“Una donna, vostra grazia?” che non gli venisse in mente di domandargli qualcosa di tanto scabroso. Non uccideva donne lui, almeno non per le cifre irrisorie che era disposto a pagare il vescovo.

“Una donna dalla pelle d’alabastro e gli occhi di un lupo selvatico… viaggia di giorno. Solo di giorno. Il suo nome è Natasha…”

Natasha… dove aveva già sentito quel nome?

“Se trovi lei, troverai anche il falco.” Gli spiegò, “Il falco che voglio. Il falco che… la ama.”

Rumlow gli rivolse uno sguardo carico di perplessità.

Se aveva bisogno di una prova che quell’uomo si era definitivamente bevuto il cervello, adesso l’aveva.

Si levò in piedi, deciso a raccogliere baracca e burattini, ma il vescovo fece segno ai suoi uomini di sbarazzarsi delle carogne.

Nemmeno la possibilità di farne ciò che più voleva.

 

*

 

Kate alzò uno sguardo sulla figura ancora distesa sotto una coltre di pellicce.

Quando la vide aprire gli occhi, le sorrise.

“Natasha…”

“Ciao”, mormorò lei, cercando di rimettersi seduta.

“No! No, mia signora. Potresti riprendere a sanguinare”, si protese nella sua direzione, la mani tese a impedirle di muoversi. Che cosa avrebbe detto Clint se le fosse capitato qualcosa di male dopo tutta la fatica fatta per salvarle la vita?

“Il falco… è tornato?”

Kate si vide costretta a scuotere la testa in segno di diniego.

“Non ancora mia signora, ma sono sicura si stia godendo qualche bel bocconcino in giro. Magari sei affamata anche tu.”

“Un poco…”

“Oh, questo è un bene! Vado a chiedere a Fury se prepara qualcosa per te?”

Ma tutta la risposta che ricevette fu lo sguardo di lei che andava a cercare la finestra, a spingersi oltre, verso le montagne e il cielo in lontananza. Si sarebbe schiacciata i pollici sotto una pressa scommettendo che Natasha stava inseguendo di nuovo il falco pellegrino.

“Devi salvare questo lupo, mi ha detto…” improvvisò per distrarla da quella sua penosa ricerca, “Perché lei è la mia vita… la più grande, ultima ragione della mia vita.”

Natasha si volse a guardarla e Kate quasi faticò a trattenere un moto d’esultanza.

“E poi ha aggiunto: un giorno conosceremo quella felicità che un uomo e una donna sognano, ma… che non hanno ancora.” Esalò del tutto ispirata da quel momento.

La guerriera vermiglia rilasciò piano il fiato, come consolata da quelle parole, per quanto edulcorate fossero.

“Ha davvero detto così?” le domandò allora, nemmeno la voglia di contestare l’improbabile commento.

“Te lo giuro sulla mia vita”, si portò una mano al petto, prima di vederle nascere un microscopico sorriso.

“Non giurare, ragazzina…” la voce era ancora debole, ma il colorito sul suo viso si era riacceso.

“Vado a cercare Fury per quella zuppa che ti rimetterà in forze”, dichiarò, strizzandole l’occhio non senza dimenticarsi di sbirciare fuori dalla finestra, alla ricerca del falco.
Che diavolo stava aspettando a tornare? Si era detta sicura di averlo visto quella stessa mattina, a volare verso la rocca. Che si fosse sbagliata? O avesse… sbagliato falco.

Dopotutto per lei erano un po’ tutti uguali.

Si precipitò verso le cucine e poi all’esterno.

Trovò il monaco impegnato a caricare un mulo con cianfrusaglie di cui faceva fatica a individuare l'utilità.

“Lady Natasha gradirebbe qualcosa di caldo da mangiare…” esordì, non senza manifestare in qualche modo la sua più accesa curiosità, “andate da qualche parte, padre?”

“Il Signore ha deciso di mettere fine a tutto questo.”

“Tutto questo?” indagò perplessa, per poi risvegliarsi all’idea più malsana che le potesse venire in mente: “Fine… al mondo? Oh mio Dio, è giunto il giorno del giudizio?”

Il monaco le scoccò uno sguardo sbigottito quando la vide inginocchiarsi a terra in preda a furore religioso.

“Ma quale giorno del giudizio, ragazzina”, la prese per la collottola per rimetterla in piedi. “Alla maledizione che involontariamente ho aiutato a compiersi!” sembrava illuminato dal sacro fuoco dell’entusiasmo. Il ciuco, alle sue spalle, manifestò il suo disappunto con un raglio piuttosto lagnoso.

“La maledizione notturna… e diurna?” azzardò quindi Kate, sistemandosi le vesti stropicciate.

Fury annuì.

“Il Signore mi ha dato la possibilità di rimediare a ciò che ho fatto…” legò una cinghia all’asino e poi si voltò definitivamente nella sua direzione, “Dopo due anni ha fatto sì che ci ritrovassimo.”

“Cerca di essere più chiaro, se puoi, padre.”

“Ho trovato un modo per spezzare il maleficio! E so il momento in cui Natasha potrà affrontare il vescovo e ricominciare una nuova vita.”

“Lady Natasha ha già intenzione di affrontare il vescovo e di ucciderlo… con quella sua lunga spada e i suoi coltelli affilati.” Lo mise in guardia Kate, anche se ora si trovava decisamente meno dubbiosa riguardo la natura della sua decisione. Fosse capitato a lei, era certa le sarebbe maturato dentro lo stesso identico desiderio di vendetta. Quello o la possibilità di passare la vita imprecando.

Non che ci sarebbe stata una grande differenza con il suo stile di vita… attuale, ma se non altro, chi avrebbe potuto biasimarla?

“No!” gridò Fury, facendola sobbalzare, “Non deve farlo! Non può! Se Natasha uccide il vescovo la maledizione non potrà mai cessare.”

Kate fece per ribattere, ma qualcosa colse la sua attenzione. La strada che conduceva alla rocca era innaturalmente piena di uomini a cavallo.

“La guardia del vescovo…” sussurrò, la voce che le venne a mancare nel momento esatto in cui realizzò il guaio in cui si stavano andando a cacciare.

“Cercano voi.” Disse Fury, assicurando il mulo a una colonna, prima di spingere Kate verso le scale, “Vai a prendere Natasha, ragazzina! Muoviti!”

Kate non si fece ripetere l’ordine due volte. Lasciò indietro il monaco senza rimpianti e salì le scale diretta al locale dove la donna ancora riposava.

… o almeno era quello che credeva.

Quando irruppe nella stanza Natasha era già in piedi. Vestita di tutto punto, mantello alla mano e spada sguainata.

“La guardia del vescovo, vero?” le domandò, in modo piuttosto retorico.

“Come fai a sapere che… ?”

“Ho sentito arrivare i cavalli”, allungò un braccio e un istante dopo il falco planò dalla finestra, direttamente sulla sua mano guantata, “lui mi ha messa in allarme.”

Kate non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo. Se non altro erano ancora tutti insieme.

“Dobbiamo scappare. Dobbiamo andarcene. Sono piuttosto sicura che Fury, là fuori, non potrà trattenerli per molto. Sono almeno una decina di uomini.”

Dalla torre, la voce dell’uomo arrivò cristallina.

“Questa è la casa del Signore, non un bordello!” lo sentirono gridare.

“Aprite la porta, in nome di sua grazia, il vescovo di Aguillon!”

“Ho conosciuto il vescovo, razza di blasfemo farabutto e non gli somigli proprio per niente!”

Il rumore di colpi al portone, già in precarie condizioni, furono il pretesto per cominciare a filarsela a gambe levate.

“Dobbiamo andarcene.” Incalzò Kate, correndo verso una delle finestre, cercando una rocambolesca via di fuga: il precipizio sotto di loro non era affatto invitante.

Corse poi verso l’altra finestra, quella che dava sull’ingresso. Le guardie avevano preso la rocca e si stavano dirigendo a passo spedito verso il ponticello.

Un paio di loro lo attraversarono con un po’ troppo entusiasmo e questo si ribaltò, facendoli precipitare nel vuoto.

“Scusatemi tanto!” di nuovo Fury a qualche metro sopra di loro, “sono un monaco, non un architetto!”

Le altre guardie però, facendosi furbe, presero una strada meno pericolosa, riuscendo ad addentrarsi oltre le mura. La voce di Fury tacque.

“Oh… merdaccia secca… Natasha! Cosa facciamo ora? Che cosa facc-” quando si volse per prendere accordi su come affrontare quella spinosa faccenda, Natasha era alla porta, diretta alle scale dalle quali arrivavano voci ovattate e rumori di chincaglieria metallica.

“Mia Signora, no! Sei ferita! Sei sola!” per la faccenda dell’esser sola non temeva granché visti i precedenti contro nemici ben più numerosi, giù alla taverna, ma aveva passato una mattinata d’inferno ed era ancora convalescente!

Il falco svolazzò un paio di volte in circolo per la stanza, emettendo un fischio acuto.

“Che cavolo stai facendo tu? Vai ad aiutarla e smettila di lamentarti! Fai la donna!” lo ammonì, prima di recuperare arco e frecce, abbandonati accanto al giaciglio di Natasha e decidersi a seguirla nell’impresa suicida. Dopotutto non era stato Clint a suggerirle di usarlo in caso di bisogno? O qualcosa di simile, insomma.

“La prossima volta che un cavaliere mi offre il suo aiuto, ricordami di rifiutare, mio Signore!” esclamò uscendo dalla stanza, precipitandosi giù per le scale, dove Natasha era già ampiamente coinvolta in uno scontro impari.

“Buzzurri di latta!” esclamò, fermandosi a qualche gradino di distanza, cercando di evitare i fendenti di Natasha e le gocce di sudore dei cavalieri.

“Ew!”

Si affrettò a recuperare una freccia e ad incoccare senza indugio.

Il falco gridò di nuovo, come a darle direttive.

“Lo so, lo so, lo so!” esclamò prendendo la mira, cercando di fare le cose per bene in quel marasma di braccia e gambe. “L’ho fatto centinaia di volte. Centinaia… dico.” Esalò forse più per darsi coraggio che per reale fiducia.

“Sei brava, sei bravissima. Precisa e letale.” Rilasciò piano il fiato e una volta individuato l’obiettivo scoccò il primo dardo.

La freccia sibilò per un attimo che le sembrò infinito, ma quando trovò il suo bersaglio lo fece per bene. Uno dei cavalieri di fronte a Natasha cadde, rotolando per metri giù dalla scala, con una freccia affondata al centro del petto.

“Ce l’ho… fatta!” esultò, mentre il falco le riservava il suo più entusiastico fischio, “Hai visto? Hai visto?”

Di sotto, dal canto suo, Natasha non sembrava riuscire a concludere lo scontro: erano tantissimi, almeno visti da quella prospettiva.

Fu allora che Kate decise di riprovare, un’occasione di aiutare concretamente la sua salvatrice con niente meno che un arco di tutto rispetto. Un’altra buona storia per i posteri, dopotutto. Lo aveva già detto quanto sperasse di poter scrivere, un giorno, delle sue strabilianti gesta?

Prese una seconda freccia che andò a buon fine. E poi una terza e una quarta.
Natasha si batteva come una leonessa, la spada a menar fendenti che andavano a segno con un’agilità imbarazzante. Kate si chiese quanto tempo ci avrebbe messo a liberarsi di quell’inutile inconveniente se fosse stata in ottima forma.

Quando l’ultimo cavaliere cadde, dolorante e incosciente, Kate si affrettò a raggiungere la donna: solo dal modo in cui faticava a tenersi in piedi, si poteva comprendere quanto lo scontro l’avesse nuovamente provata.

“Ti senti bene, mia signora?”

“Sì… sì sto bene, ragazzina…” esalò scostandosi un ciuffo di capelli dal viso ora arrossato e umido di sudore, ma apparentemente sano, “mi ci voleva un po’ di movimento, non trovi?”

“Se questa è una battuta, Natasha, non fa ridere per niente.”

“Ah no… ?” la donna si lasciò andare a uno sbuffo di risata, tenendosi il petto che sicuro aveva già ripreso a sanguinare.

“Scendiamo da Fury… ci rimettiamo in sesto e ci allontaniamo da questo posto, prima che arrivino i rinforzi.”

“Va bene…” la sentì dire, decisamente meno in forma di quanto non volesse a tutti i costi dimostrare, “sei stata brava, ragazzina.”

“Se era un complimento, magari la prossima volta evita di chiamarmi ragazzina… lo odio.”

“Scusami”, raddrizzò il tiro, lanciandole uno sguardo carico di gratitudine, “sei stata brava con quell’arco, Kate. Un arciere che conosco… sarebbe fiero di te.”

Kate sorrise, lusingata da quel commento del tutto spontaneo. Se aveva un minimo imparato a conoscere la donna, non poteva certo dirsi generosa a certi tipi di esternazioni.

Quando uscirono all’aria aperta, Fury venne loro incontro trafelato. Un lungo bastone fra le mani, a far capire che non erano state le sole a contrastare l’improvvisata della guardia del vescovo.

“State bene?” domandò guardando Natasha con aria estremamente preoccupata.

“Stiamo bene. Lady Natasha ha bisogno di una controllata alla ferita, ma è una quercia ed io uno dei suoi fenomenali ramoscelli…”

Fury sembrò calmarsi un poco, ma scosse la testa.

“Qualcuno dovrebbe imparare un po’ di umiltà o sbaglio?” domandò, mostrando a Natasha una roccia su cui sedersi per un rapido controllo.

La guerriera lo lasciò fare senza lamentele, scoccando di tanto in tanto delle occhiate al falco che aveva ripreso a svolazzare intorno alla rocca, come una sentinella ad alta quota.

Solo quando Fury sembrò aver completato il suo lavoro, permettendole di rivestirsi, gli si rivolse direttamente.

“Credevo fossi morto, lo sai?” gli disse. Lo sguardo indagatore di lei, un mare di verde in tempesta.

Lui le rivolse un'occhiata colpevole, non senza cercare di mitigare con una smorfia, che forse voleva essere un sorriso, “Ci sono stati momenti in cui avrei voluto ucciderti con le mie stesse mani…” continuò lei, assicurandosi di far crollare quell’espressione.

Kate, seduta in disparte, cominciò a sentirsi a disagio.

“Ma ti sono grata per questo…” si indicò il petto, rimettendosi in piedi, “probabilmente te ne sarà anche lui…” gli occhi a cercare il falco in alto, sopra le loro teste.

“Sono io che dovrei essere grato di aver avuto la possibilità di redimermi”, le rispose, aggirandola per poter avere tutta la sua attenzione, “di redimere me stesso… e di salvare te e Clint.”

Natasha gli lanciò uno sguardo carico di sospetto.

“Il Signore mi ha rivelato come spezzare la maledizione.” Le rivelò senza attendere oltre, e ora lo sguardo della donna si fece colmo di furia. In un attimo gli si fece incontro minacciosa.

“Ci hai già tradito una volta, ti avverto…”

“Fra tre giorni da oggi, il vescovo ascolterà le confessioni del clero nella cattedrale di Aguillon”, si affrettò a spiegare il monaco, “tutto quello che dovrete fare è affrontarlo, tutti e due voi, come donna… e come uomo. Il maleficio verrà spezzato e entrambi sarete liberi!”

“Impossibile!”

“Non finché ci saranno il giorno e la notte, certo. Ma fra tre giorni, ad Aguillon, ci sarà una notte senza il giorno e un giorno senza la notte.”

“Ritornatene dentro, vecchio… torna ai tuoi liquori!”

“Pensi che sia ubriaco? Non lo sono, te lo giuro! Dio me lo ha mostrato! Mi ha perdonato!”

“Non ti ha perdonato, padre…” gli sibilò a pochi centimetri di distanza, un'espressione di puro sdegno dipinta in viso, “ti ha reso pazzo.”

Kate ebbe solo il tempo di registrare il movimento della donna che si allontanava, prima di tornare sul monaco che, abbattuto, sembrava aver di nuovo perso la voglia di discutere.

Le sue parole erano risultate un tantino deliranti anche per lei, ma in un mondo che permette un maleficio in grado di rendere due amanti animali selvatici… avrebbe davvero potuto contestare un avvenimento come… un giorno senza una notte e viceversa?

Gli fece cenno di aspettare e di recuperare il suo mulo, prima di correre dietro a Natasha, pronta a sistemare le sue cose in sella a Golia e riprendere il suo viaggio di vendetta verso Aguillon.

“Signora! Mia signora!” la richiamò accostandola, porgendole arco e frecce che Clint le aveva lasciato in consegna.

La donna salì a cavallo non senza problemi, accingendosi a sistemare il tutto.

“Kate… sono in debito con te.” Le disse, cercando di mitigare il pessimo umore prodotto dalle confessioni del monaco.

“Con me? No… no, non lo dire nemmeno. Ho fatto solo quello che il capitano Clint mi ha chiesto di fare…” le rivelò, “a-anzi, aveva anche un messaggio per te, che mi ero dimenticata di riferirti…”

Natasha la guardò ora incuriosita.

“Ha detto… ha detto che ha molta fiducia… e fede in te. E spera che anche tu ne abbia nei suoi confronti. E che tu segua sempre le scelte sagge che ti suggerisce… il cuore.”

Natasha le rivolse un sorriso mesto e carico di rimpianti, prima di richiamare il falco con un fischio.

“Sei libera di andare, Kate…” le disse allora, decidendo di recidere le corde che l’avevano legata a lei, dal giorno in cui si erano fortuitamente incontrate.

“Lo so, mia signora. Ma… ecco… tu e Occhio di Falco siete ancora diretti ad Aguillon?”

“Occhio di Falco?” sorrise Natasha evidentemente divertita dal nomignolo.

“Sì… siete ancora… diretti laggiù?” la vide annuire, “Ebbene si dà il caso che stia andando anche io in quella direzione.”
“Davvero?”

“Davvero.”

Natasha stavolta si illuminò di un sorriso che forse per la prima volta le vedeva sfoggiare in modo tanto spontaneo.

“Allora farai meglio a prendere le tue cose. Stiamo partendo…”

“Benissimo”, esalò, prima di allontanarsi in corsa di nuovo verso la rocca, “Padre! Padre Fury! Sto partendo con Natasha, prendete le vostre cose e seguiteci!” Lo intimò, decisa a fare qualcosa affinché quell’assurdo maleficio venisse spezzato.

Natasha prese il sentiero, di nuovo verso Aguillon.

Guardò il falco, appollaiato sul suo braccio sano: “Occhio di Falco…” mormorò prima di tornare a sorridere.

 

*

 

“Ma se il monaco avesse ragione, riguardo al fatto che la maledizione possa essere spezzata… ?”

Kate cercava di star dietro a Natasha a bordo del cavallo. Aveva deciso di non prendere spazio sul povero Golia, con la scusa di non voler affaticare la donna con una cavalcata troppo violenta, in realtà solo per rallentarla nella sua marcia punitiva verso Aguillon. Insinuare di tanto in tanto qualche accenno alla soluzione del monaco, l’unica arma in suo possesso per convincerla.

Fury li seguiva a distanza, senza essere loro d’intralcio.

“Se tu e Clint poteste davvero affrontare insieme il vescovo come esseri umani…”

“Non voglio più che parli di questa cosa, Kate”, la zittì fermando il cavallo nei pressi di un bosco, poco distante da un villaggio di montagna, “Né e a me… né a lui…” menzionò il falco che, sentendosi tirato in causa si staccò dal braccio della donna, spiccando il volo.

“Dovresti andare a cercare alloggio”, la invitò a fare invece, “il sole sta calando.”

Kate alzò lo sguardo al cielo ancora chiaro della luce del giorno.

“Come fai a dirlo?”

“Dopo tanti tramonti?” le domandò retoricamente, slacciandosi il mantello di dosso per assicurarlo alla sella del cavallo, “conservalo per Clint… gli servirà.” Disse solo, lasciando anche la spada e i coltelli.

Non erano mai state insieme prima di una trasformazione (se si escludeva la tragica fuga della notte prima), e si chiese dove lasciasse le sue cose, quando era sola ad affrontare quel disgustoso maleficio.

La guardò un attimo solo, prima di decidersi a congedarsi.

“Kate…” la richiamò già sul limitare del bosco, “Digli che lo amo.”

Kate la guardò sparire oltre i tronchi dei grandi alberi, non senza provare un profondo turbamento.

 

Continua…

 

___

 

Note:

Niente di importante da dire, in queste note, se non che finalmente siamo arrivati a più della metà della storia. La fine è prevista con il capitolo 9 che ormai ho concluso di scrivere, per cui nessun timore che non verrà portata a termine.

A grande richiesta, il disegno di Clint con il lupo è in fase di lavorazione. Se riesco a colorarlo, sarà qui con il prossimo aggiornamento… che arriverà un po’ in ritardo perché domani parto e per qualche giorno non sarò in Italia. Al solito ringrazio tutti coloro che leggono e commentano la storia, facendomi sapere che ne pensano, alla mia socia e beta Sere alla quale voglio tanto bene (oggi mi sentivo di dirtelo, prendila così), e ci sentiamo presto per il prossimo aggiornamento. Cia’!

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Capitolo 6
*** Deal ***


CAPITOLO 6

Deal

 

“Un incubo notturno, e diurno.”

 

*

 

Di nuovo il tramonto. Il terzo dacché quella assurda favola era cominciata.

Kate non riusciva a trovare altre parole per definire il suo stato d’animo se non: stordita. Una serie di avvenimenti così intensa che le aveva tolto il sonno, fatto mettere in discussione tutto ciò che credeva di sapere sulla vita, sulle persone, sull’amicizia e l'aveva inconsciamente rimessa in riga.

Erano tre giorni che non rubava, fatta eccezione per il candelabro che aveva dovuto lasciare alla rocca, perché troppo pesante.

Pensò bene fosse tempo di spezzare questa scia positiva per tornare, almeno in parte, alle vecchie abitudini.

Erano arrivati al villaggio proprio durante le prime ore del crepuscolo.

A seguito di una richiesta di alloggio nei pressi di una locanda già al completo, lei e Occhio di Falco, si erano blandamente accontentati di un posto nel fienile assieme al cavallo, dirimpetto la struttura. Un paio di pasti caldi li avrebbero attesi all’ora di cena, se avessero gradito, ma al momento il suo unico obbiettivo era quello di trovare vestiti puliti.

Erano giorni che viaggiava sempre con le stesse cose addosso e cominciava a sentirsi orribile. In più aveva cominciato a fare davvero freddo e trovare qualcosa di più pesante non le sarebbe risultato sgradevole.

“Hai fame, Occhio di Falco?” scrutò l’animale, pigramente appollaiato su una delle travi. Guardava all’esterno, come se stesse cercando una rapida via di fuga.

“Riesci a capire quello che dico, quando sei in queste condizioni? No, vero?” gli si avvicinò, allungando appena una mano nella sua direzione. Il becco appuntito e gli artigli la fecero desistere dall’andare oltre.

“Tu e Natasha mi avete proprio cacciato in un bel guaio. Un incubo. Un incubo notturno… e diurno, per giunta.” Sospirò cominciando a sentir brontolare lo stomaco.

“E poi, una notte senza il giorno e un giorno senza la notte. Mi spieghi che diavolo significa? Io supporto fortemente le teorie del monaco, ma converrai con me che sono parecchio fantasiose.”

Sospirò guardando lei stessa fuori dalla finestra: in una delle abitazioni vicine, sventolavano dei panni stesi.

“Il sole sta tramontando…” tornò sul falco che non sembrò registrare le sue parole, “torno subito. Non ti muovere, eh!”

Uscì di tutta fretta dalla stalla e, sgattaiolando fra le viuzze, raggiunse il bucato steso, raccogliendo questo o quell’indumento, misurandone a occhio la grandezza.

Si svestì rapidamente, ricoprendosi con gli abiti che emanavano un buon odore. Il tessuto caldo delle sue nuove vesti fu subito in grado di metterla di buon umore.

Quando ebbe fatto, scomparve così come era arrivata. Tornò nella stalla e posò i vestiti che aveva recuperato per Clint, poco distante dal trespolo.

“Ti ho preso anche questi…” gli mostrò un paio di grossi stivali di cuoio, “Spero siano della tua misura. Non me ne intendo molto di queste cose…” mormorò portandosi le mani alle anche e osservandolo come aspettandosi che la trasformazione avvenisse da lì a qualche secondo.

Si domandò in che modo dovesse aspettarsi tale fenomeno. Si sarebbe deformato come cera sciolta? Avrebbe urlato? O sarebbe improvvisamente comparso nella sua forma umana in un battito di ciglia?

Umano… e completamente nudo. Il pensiero rimase a fluttuarle nella mente in modo un po’ troppo insistente.

Fu il falco a risvegliarla dalle le sue elucubrazioni con un grido stridulo che la fece trasalire.

“Okay! Okay! Non fare il permaloso. Vuoi che me ne vada? Me ne vado!” si allontanò rapidamente, guadagnando la porta, “non c’è mica bisogno di fare il timido con me, sono solo una ragazzina!” concluse richiudendosi la porta alle spalle.

Si mise seduta a terra, poco fuori dalla stalla: “Sì, Signore, sono una ragazzina… quando più mi conviene…”

Alzò lo sguardo al cielo che si stava facendo scuro, mentre un tuono, in lontananza, borbottò il suo disappunto serale.

Cercò di immaginarsi una notte senza il giorno, ma per quanto si sforzasse non riusciva a concepire tale pensiero. Era ben più concreta l’idea della pena che potevano provare Clint e Natasha, impossibilitati a incontrarsi. E non era lo stesso pensiero che puoi provare per un defunto. Né per una persona che hai perduto di vista. Era più la dolorosa nozione che l’altro era vivente e più vicino che mai, ma consapevole che non l’avresti mai più rivisto. E tutto per colpa di chi?

Un vescovo. Un vescovo che avrebbe dovuto fare le veci in terra di quel Signore con cui lei parlava continuamente.

“Sono sicura che se la pensi come me su questa storia ingiusta, il miracolo del giorno e della notte ti verrà facile come trasformare l’acqua in vino…”

D’improvviso un lampo illuminò il cielo e il tuono che ne seguì fu di certo più entusiasta del precedente.

“Bè, potrebbe andar peggio…” sospirò, “potrebbe piovere.”

 

*

 

Il vescovo si affacciò alla finestra per osservare le gocce di pioggia furente che avevano preso a scendere. Dapprima solo l'anticipazione di quel ticchettio lieve sul tetto e poi un vero e proprio scroscio di pioggia, che si sarebbe potuto dire tipico dell’estate più che del gelido inverno.

“Il temporale non vi fa dormire, vostra grazia?”

Trasalì, il vescovo, riconoscendo immediatamente quella voce così sottile ed elegante alle sue spalle.

Per un attimo ebbe timore a voltarsi, affatto sicuro di poter sopportare la vista di quegli occhi che sempre riflettevano tanto diabolicamente il suo peccato.

“E’ così che accogliete l’arrivo di un amico… ? E pensare che l’educazione è una di quelle cose che insegnano fin da bambini, persino dalle mie parti.”

“Che cosa ci fate qui?” fu la dura replica del vescovo che si girò di scatto, con aria di sfida, forse costruita appositamente per contrastare il terrore sordo che gli batteva nel petto, per non mostrarsi debole.

“Ho solo risposto alla vostra accorata preghiera.”

“Quale preghiera? Non vi ho cercato. Non vi ho chiamato.” Le mani tremanti andarono ad arpionarsi al parapetto alle sue spalle. Solidamente, come a voler restare ancorato alla realtà materiale delle cose, ora che era al cospetto del demonio in persona.

L’essere restò nell’angolo di tenebra in fondo alla stanza. Solo il luccichio degli occhi a rivelarne la vigile presenza.

“Le vostre labbra hanno pronunciato il mio nome molte volte, stanotte.”

“Non è vero…”

“Oh… invece lo è. L’ardore con cui lo avete fatto quasi mi ha commosso, e un po’ spaventato… lo stesso ardore che si ode nel richiamo di un amante.”

Fu solo sulla scia di quelle parole che accennò un passo nella sua direzione. E il vescovo arretrò d’istinto, sentendo il vento e la pioggia sferzargli la schiena, la veste da notte leggera.

“C-che cosa volete?”

“Voglio? Non sono io quello che ha invocato il vostro nome… ebbene, se volete parlarmi di qualcosa che vi tormenta, io sono qui.”

Il vescovo deglutì a fatica, un groppo in gola che quasi gli impediva di parlare; rialzò lentamente gli occhi cercando di mantenere il distacco necessario a non farsi vincere dalla paura.

“La r-ragazzina…”

“La ragazzina, cosa?” incalzò Loki, in paziente e divertita attesa.

“La ragazzina è sfuggita di nuovo alle mie guardie. Viaggia con Lady Natasha e con Sir Barton, a l-loro si è unito anche un monaco…”

“Oh, sì, il vecchio ubriacone. Li conosco. Li conosco tutti quanti. Ebbene? Che cosa volete sapere più di questo?”

“Vorrei sapere che cosa stanno architettando. Voglio sapere come impedire che si avveri ciò che mi avete predetto.”

“Mi sembrava di aver parlato chiaro l’ultima volta.”
“Sì, sì avete parlato chiaro, ma tutto è fallito! Ho bisogno di un consiglio!”

“Provate a circondarvi di personale più qualificato.”

“Non prendetevi gioco di me, demonio!”

“Demonio… di nuovo quell’appellativo. Sono sicuro che il demonio sarebbe indignato quanto me del continuo uso improprio del suo nome.”

“Devo fermare questa cosa…” si staccò dal parapetto, per andargli incontro, “ve ne prego. Sono disposto ad aumentare la posta in gioco, sono disposto a concedervi tutto ciò che mi chiederete, ma non posso… non posso permettere che l’impresa di questo gruppo vada a buon fine.”

Loki lo scrutò a lungo, il terrore vivido nei suoi occhi. La sottomissione furente e servile di un uomo che non aveva altro a cui aggrapparsi se non la sua rabbia, la sua crudeltà e la supplica a un Dio di cui ignorava le origini.

Sciocco, debole e stupido uomo. La posta in gioco era già stata stabilita, ma l’idea di quella cieca e viscida devozione… non passò certo inosservata.

“Fra tre giorni ci sarà un avvenimento che potrebbe cambiare per sempre le sorti di questa storia… dovete spezzare il cerchio, vostra grazia. A qualsiasi costo.”

“Rumlow è sulle tracce del falco…”

“Potrebbe non essere sufficiente.”

“Dovete aiutarmi! Voi… dovete aiutarmi.”

Loki gli riservò il suo sguardo più severo, per poi mutarlo lentamente in uno di placida compassione.

“Se me lo chiedete con tanto ardore, quasi mi sento in colpa a dirvi di no”, mormorò, “vedrò che posso fare. Non sono incline a mettere mani nelle trame che il destino…” e nel pronunciarlo, il vescovo non riuscì a identificare tutto il sarcasmo di cui quelle parole erano pregne.

“Ma dovete prepararvi a pagare un caro prezzo per un tale servigio, stavolta.”

Il vescovo si azzardò a guardarlo finalmente negli occhi. E in quell’attimo vide fino a che punto si era spinta la sua ingordigia. Nello sguardo del demonio, il riflesso dei suoi stessi, corrotti occhi.

La sua voce, tremante e fragile, si spezzò su quell’unica parola: “Pagherò…”

Quando Loki scomparve di nuovo fra le tenebre notturne, il vescovo crollò tremante al suolo. Le membra scosse da brividi di terrore e raccapriccio.

 

*

 

Kate fu costretta a rientrare nella stalla prima di divenire un ammasso di carne zuppa, pronta da strizzare.

“Mi dispiace, ma pudore o meno, non sono disposta a subire tutte le avverse condizioni metereologiche, Occhio di Falco!” sbottò, richiudendo con gran fragore la porta alle proprie spalle.

Si scrollò come un cane sulla soglia di casa e quando rialzò gli occhi, la accolse la risata divertita di Sir Barton.

“Occhio di… Falco?” lo sentì pronunciare, mentre veniva verso di lei, già vestito di tutto punto. Doveva ammettere che stavolta era stata davvero brava a scegliere le misure.

“Sei stata tu?” le domandò indicandosi i comodi stivali di cuoio che adesso aveva ai piedi.

“Sì…”

“Grazie…” mormorò prima di tornare vagamente serio, “come sta Natasha?”

Kate realizzò che, dalla notte precedente, non aveva avuto più alcuna notizia di lei. Il suo sguardo preoccupato anelava una risposta.

“Sta bene!” si affrettò a tranquillizzarlo, annuendo vigorosamente, “Lady Natasha sta benone. Fury è riuscito a salvarla. E’ già in piedi e scattante come un… lupo selvatico.”

Riuscì a distinguere tutta la tensione scivolargli via dal viso, dalle spalle irrigidite.

“Dunque… ora sai.” Le domandò, intuendolo senza troppi sforzi.

“Così sembra... Fury mi ha raccontato tutto.”

“Ubriacone di un monaco.”

“Sono stata io a insistere. E poi ho visto la trasformazione di Lady Natasha… sembro stupida a volte, ma non lo sono fino a questo punto, signore.”

Clint la guardò meravigliato e forse un po’ preso in contropiede.

“Non volevo insinuare niente del genere…” specificò.

“Non importa, sono abituata a gente che tende sottovalutarmi.”

“Ma io non intendevo…”

“Oh, non importa, davvero. Avrai modo di farti perdonare come si deve, prima dell’alba.”

“Prima dell’alba, mh?” intrecciò le braccia al petto. Lo stomaco di Kate rispose in modo feroce, ed ebbe modo di ispirare molto sfacciatamente una risposta.

“Qualcosa che abbia a che fare con una cena e un bicchiere di vino, magari?”

Clint rise di nuovo: “Sembra che me la sia cavata con poco.”

“Perché non sai quanto mangio, signore.”

“Questo mi piacerebbe vederlo.”

“E’ una sfida?”

Clint l’avvicinò, porgendole il braccio: “Puoi scommetterci.”

Furono fuori a prendere di nuovo acqua prima di approdare al ristorante della locanda che li stava ospitando. Il locale, caldo e accogliente, profumava d’arrosto e zuppa di cereali. In sottofondo un gruppo di musici intrattenevano i clienti con le loro ballate.

Pochi gli avventori, se non si prendeva in considerazione un gruppo di uomini ammantati di nero, ad uno dei lunghi tavoli sul fondo.

“Ho un tremendo déjà-vu.” Mormorò Kate, andando a sistemarsi ad uno dei tavoli meno esposti.

“Di cosa?”

“Del giorno in cui tutto questo incubo è cominciato.”

Clint alzò una mano per chiamare l’oste e ordinare un paio di piatti della serata.

“Mi dispiace tu ne sia rimasta coinvolta… non era nostra intenzione metterti nei guai.”

“Tu dici?” una parola che malcelava del sarcasmo.

Clint si trovò a guardarla con aria interrogativa.

“Che vuoi dire?”

Kate scosse la testa, ricordandosi, per la prossima volta, di mordersi tenacemente la lingua.

“Niente.”

“Kate.” La voce di lui era ferma e intimidatoria. Il suo sguardo anche di più.

Si trovò costretta a lasciar da parte gli indugi e decidersi a parlare con sincerità.

“Lady Natasha sembrava aver deciso dovessi essere coinvolta nei suoi piani, dal primo giorno che mi ha voluta con sé.”

“Piani?” indagò il capitano, adesso sospettoso e vagamente preoccupato. Si chiese se dovesse davvero rivelarglielo o lasciar correre. Poi però ripensò al monaco, là fuori, da qualche parte a prendere freddo…

“Natasha vuole uccidere il vescovo di Aguillon.” Disse, abbassando la voce affinché  non raggiungesse orecchie indiscrete.

Il volto di Barton si indurì più di quanto si fosse aspettata.

“Credevo avesse abbandonato l’idea di quella sciocca vendetta.”

“No, non l’ha fatto, mio signore. Al contrario, oggi più che mai sembra determinata a concludere questa storia. Vuole me, al suo fianco, perché crede che possa guidarla attraverso Aguillon senza destare sospetti.”

“E potresti farlo?” domandò lui.

“Certo che potrei farlo!” non riuscì a impedirsi di dire, un po’ ferita nell’orgoglio dal tono della sua domanda. “M-ma… non è ciò che vorrei fare… non per assecondare una missione tanto suicida.”

“Avevamo discusso, prima della maledizione, se punire o meno il vescovo per quella sua insensata ossessione. Ma ho sempre impedito a Natasha di farlo. Credevo più nella possibilità di sfuggirgli o di vederlo desistere a lungo andare, che non in quella di premeditare l’omicidio di un uomo… tanto in vista.” Vide il suo sguardo farsi cupo e lontano. “Visto come sono andate le cose, forse avremmo dovuto seguire quella strada.”

“Adesso non servirebbe comunque a niente, mio signore.”

“Lo so. Sarebbe ancor più rischioso. Non sopravvivrei io stesso… se ella non dovesse riuscire nell’impresa.”

Kate lo scrutò a lungo, prima di decidersi a parlare di nuovo. Il destino dei due innamorati era finito improvvisamente nelle sue mani. Nelle sue e in quelle di un monaco ubriacone e con astruse e miracolose teorie. L’ultimo e forse l’unico appiglio, prima del baratro. Non era certa di poter dire che stavano messi poi tanto bene.

“Se ti dicessi… che potrebbe esserci un modo per spezzare la maledizione?”

Gli occhi di Clint dardeggiarono rapidamente nella sua direzione. Se di indignazione per una esternazione tanto azzardata o necessità di sapere di più, Kate non volle indagare.

“Il monaco ha detto…” gli si fece vicina, “ha detto che fra due giorni… da domani, tu e lady Natasha potrete affrontare il vescovo come uomo e come donna! Contemporaneamente! E umani per di più.”

“Di cosa stai vaneggiando, ragazzina?”

“Non vaneggio, ascoltami…” lo zittì nervosamente, “il monaco dice che ci sarà una notte senza un giorno, e un giorno senza la notte.”

“Stai parlando per enigmi, cerca di essere più chiara.”

“Più chiara di così non so esserlo, ti sto ripetendo quello che Fury mi ha detto.”

“Mi sembrano favole…”

“Più favole di una maledizione che ti vede svolazzare per i cieli con un paio di ali di falco?”

Clint dovette trattenere l’ennesima protesta. Serrò le labbra, indeciso se affidarsi o meno a quelle invenzioni.

“Ascoltami, il vecchio Fury sembra un po’ fuori di testa, ma ti assicuro che è seriamente pentito per quello che è successo. E sono certa che… se dice di avere in mano una soluzione per questo guaio, sono… sicura che ce l’abbia sul serio.”

Si sentì di nuovo lo sguardo di Clint puntato addosso e si trovò a sostenerlo con tenacia, per dimostrare quanto reputasse affidabile quel piano.

Lo vide rilassarsi solo dopo un intenso attimo di riflessione.

“Natasha cosa ne pensa?” una domanda che non si era attesa. Si chiese se Clint fosse quel tipo di uomo che non compie un passo senza l’approvazione della… compagna.

Lo scrutò per un istante decidendo che non poteva mentirgli.

“Natasha pensa che nemmeno avrei dovuto parlartene.” Fu sincera e venne ricambiata con un lieve sorriso che riuscì a rassicurarla.

“Non c’è modo di farle cambiare idea molto facilmente, se si mette in testa una cosa.”

“Non sembrerebbe, no, e pareva piuttosto determinata a fare qualcosa di parecchio brutto anche a Fury se non l’avesse lasciata in pace.”

“Che fine ha fatto il vecchio?”

“Ahm…” Kate fece cenno con la testa a un punto, fuori dalla locanda.

“Là fuori?”

“Non so, credo di sì. Viaggiava a pochi minuti di distanza da noi. Credo si sia fermato ospite della chiesa all’inizio del villaggio.”

“Allora forse dovremmo andare a parlargli.”

“Vuol dire che ci stai? Insomma… dobbiamo ancora definire i dettagli del piano ma…”

“Voglio dire che possiamo cominciare a parlarne…”

Kate non riuscì a trattenere un gesto d’esultanza, proprio mentre l’oste portava sulla loro tavola un piatto fumante di zuppa e del pane caldo.

“Dovrei essere io quello entusiasta”, rispose divertito, spezzando la pagnotta affinché se ne servisse.

“Dovresti. Tutti dovremmo esserlo. Una vendetta ai danni di quel viscidone del vescovo? Scusa se non me la voglio perdere.”

“Ha un sacco di ammiratori quel sant’uomo.”

“Ho rischiato il collo per colpa sua. E per cosa? Un furtarello da due soldi. Letteralmente da due soldi. Se ti dico cosa mi hanno trovato nelle tasche il giorno della mia cattura non ci crederesti. Perciò, aiutare due innamorati che possono spezzare una maledizione disgustosa? Troverà pane per i suoi denti!”

Clint sorrise al suo entusiasmo, mentre lei addentava una grossa fetta di pane e si lanciava all’attacco di quella squisita zuppa di cereali.

“Viaggi sempre con lei… non è vero?” le domandò allora, quasi più interessato a guardare Kate che non a servirsi lui stesso.

“Mh mh… tutto il giorno insieme. A volte mi fa stare a cavallo, altre preferisco camminare. Quella sella è una… tortura.” Blaterò inghiottendo rumorosamente, prima di versarsi un calice di vino rosso. Quando fece per berlo si rese conto di quanto fosse stata vaga e insensibile sull’argomento. E che forse, a quella domanda, il capitano si aspettava una risposta più elaborata.

Si asciugò le labbra con la manica della casacca e si schiarì la voce.

“Lei pensa sempre a te.” Gli disse allora, guardandolo con un gran sorriso.

“E come fai a dirlo?” le domandò a bruciapelo, intrecciando le braccia al petto.

“Come… ? Oh, non serve essere dei geni per capirlo. Magari vuoi uomini non avete certi tipi di ricettori…” si picchiettò il naso, “ma noi donne sappiamo arrivarci senza troppe parole.”

Gli disse.

“Ha sempre quello sguardo un po’…” cercò di imitarla con scarso, scarsissimo successo.

“Da carpa lessata?”

“No! Dai, uno sguardo così…” aggrottò la fronte ma con lo sguardo rivolto a un punto non meglio identificato sul soffitto.

“Come se avesse una colica?”

“Clint!”

“Kate?”

“E’ innamorata. Lo si capisce. Da come sospira, da come pronuncia il tuo nome… e poi me lo ha detto.”

“Te lo ha… detto?”

“Bè… mi ha detto… sì, insomma, mi ha detto di dirti che… ti ama”, e per la prima volta sentì che dire la verità la appagava immensamente.

“Oh…” la risposa ebbe il potere di placare il capitano che ora l’osservava ammorbidito, vagamente in imbarazzo.

“Anzi direi che ti ha affidato a me.” Ma la menzogna dava decisamente più soddisfazioni.

“Questo ti ha detto?”

“Sì, ha detto: dì a Clint che segua le tue istruzioni come fossero le mie.”

“Le tue…  istruzioni, ah?”

“Proprio. Tutte le mie istruzioni.”

“Oooh… e dimmi, ora sono curioso, quali sono queste istruzioni?”

Kate finì la sua zuppa e soddisfatta fece schioccare le labbra.

“Uhm… per adesso, che finisci la tua lauta cena… e che… ti rilassi ascoltando questa musica.”

“Che istruzioni complicate. Se ti consola, ti assicuro che mi sto già rilassando.”

“A-ah… benone, allora vedi come andiamo d’accordo?”

Seguì con lo sguardo un paio di coppie che avevano preso a ballare a ritmo di musica proprio in mezzo al grosso salone. Prima di realizzarlo si trovò a battere il piede a terra, a ritmo.

E prima ancora di capire che stesse succedendo, la mano di Clint, si allungava verso di lei. Alzò sul capitano uno sguardo inquisitorio, mentre le si portava di fronte con un mezzo inchino.

“Magari ti va di ballare.”

“C-chi, io?” esalò improvvisamente a disagio, “saranno secoli che non lo faccio. Non mi sembra il caso.”

“Volevi che mi rilassassi. Ti assicuro che danzare mi rilassa.”

“Sì ma non… non rilassa me.”

“Non dire sciocchezze. Muori dalla voglia di farlo.”

Kate sgranò gli occhi, sentendo qualcosa di molto simile alla gratitudine scaturirle dal petto.

“Andiamo…” insistette Clint, afferrandole la mano per aiutarla a rimettersi in piedi, “è l’unico modo che ho per dirti grazie.”

Kate non si lasciò pregare una seconda volta. Lo seguì al centro del salone e pensò bene di dimenticare, per una serata, tutti i guai di quella storia complicata.

 

*

 

Un lampo illuminò la strada per una frazione di secondo.

Impronte di grossi e pesanti zoccoli solcavano il vialetto sterrato, già zuppo di pioggia.

Il nitrito di un cavallo andò a disperdersi dietro la locanda da cui arrivava una musica vivace.

“Ci fermiamo qui, stanotte.” Disse il cavaliere scendendo dal destriero.

Raccolse una sacca colma di selvaggina.

“E vediamo di vendere qualcuna di queste carcasse, prima che faccia giorno…” mormorò Rumlow, asciugandosi il volto bagnato di pioggia.

Prima che riuscisse, però, anche solo a tentare un passo in quella direzione, sentì un fruscio di vesti accanto a sé.

Nemmeno il tempo di voltarsi che un paio di mani si arpionarono ai lati della sua testa.

Un colpo secco, letale e lo schiocco dell’osso del collo che si spezzava andò a confondersi con l’ennesimo tuono.

Il corpo di Rumlow cadde al suolo, con un rumore ovattato, a rotolare in una delle tante pozzanghere, assieme alla borsa colma di falchi uccisi.

Quando un nuovo lampo illuminò il cielo notturno e l’ululato del lupo serpeggiò fra le fronde degli alberi, fu il volto di Loki quello che emerse dalla tenebre.

 

___

 

Note:

Buongiorno a tutti, finalmente (purtroppo) son tornata e mi riattivo immediatamente per non restare indietro con la pubblicazione. La trama continua a dispiegarsi senza sosta, ma con una piccola, significativa, svolta finale…
Per la fanart con il lupo ci vuole ancora un attimo di pazienza. Ancora non sono riuscita a colorarla, ma giuro che esiste.
Come nota finale ho un annuncio da fare: il nuovo capitolo di Sleep Twitch è finalmente scritto e prossimo alla pubblicazione (cori angelici e fuochi d’artificio), sarà stato l’aver incontrato uno dei miei attori preferiti a riattivarmi il neurone, chi lo sa… dopotutto mi ha fatto passare freddo e mal di pancia, non vedo perché non scongelare anche l’ispirazione.
Dopo tutta sta manfrina, come sempre ringrazio i fedelissimi che continuano a seguirmi, la beta e socia che sempre alimenta il sacro fuoco Clintasha… e a questo punto ci sentiamo la prossima settimana. O forse prima :P

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Capitolo 7
*** Thin Ice ***


CAPITOLO 7

Thin Ice

Dobbiamo vivere, padre. Da esseri umani.”


*


Kate si agitò sotto le coperte cercando di schivare un fastidioso raggio di sole.

“Ancora cinque minuti…” brontolò, rigirandosi dalla parte opposta solo per trovare la finestra spalancata ad accecarla definitivamente.

“Signore, ma non c’era brutto tempo ieri notte?” biascicò, imprecando silenziosamente per non infastidire la divina presenza che aveva testé interrogato.

“Buongiorno!”

Una voce poco distante la svegliò una volta per tutte.

Si sollevò appena, strofinandosi occhi e capelli, trovando Natasha seduta su un cumulo di paglia.

“B-buongiorno…” stronfiò, sbadigliando senza nemmeno preoccuparsi di darsi un contegno.

“Sembra tu sia andata a letto tardi, ieri sera. Ti ho preso qualcosa da mangiare…” le disse, porgendole una ciotola con del pane e una strana purea di frutta. L’odore tutt’altro che sgradevole fu in grado di rianimarle tutti i ricettori vitali.

“Wow… grazie.” Esalò, constatando che quella mattina Natasha sembrava proprio di ottimo umore. Anche solo dal modo in cui le sorrideva. Kate si chiese se non fosse per l’idea che presto avrebbe avuto fra le grinfie quel viscidone del vescovo. In tal caso avrebbe dovuto parlare a Natasha di un paio di cose, riguardo la gratificazione.

“Che serata.” Commentò rimettendosi in piedi per darsi una sistemata, soprattutto i capelli che sembravano un cespuglio corvino incontrollato. Natasha a confronto sembrava una rosa, profumata per giunta. Si ripromise di chiederle di svelarle il suo segreto. Era lei che di notte si trasformava in un lupo selvatico, ma si sarebbe detto il contrario.

“Che è successo?” le domandò incuriosita, mentre sistemava gli stivali di Clint in una borsa.

“Oh, niente di che… una serata tranquilla, per una volta tanto.”

“Mi fa piacere…” le sorrise la donna e per un istante Kate si sentì in colpa, rendendosi conto di aver goduto della compagnia dell’unico uomo di cui sembrava importarle qualcosa.

Cercò di dissimulare, stiracchiando quelle sue esauste membra, proprio mentre il falco fischiò dalla finestra per annunciare il suo arrivo.

Entrò in volo planare e invece di raggiungere Natasha, come sempre faceva, andò a sistemarsi sul braccio di Kate in uno sventolio di ali.

“Ieri sera… ?” indagò Natasha, lanciandole uno sguardo perplesso e forse vagamente accusatorio.

“C-cosa?” sì allarmò. “Vai uccellino, vai dalla tua Natasha.” Cercò di spronare Occhio di Falco a non metterla in una situazione imbarazzante, ma quello non sembrava volerne sapere di incoraggiamenti.

“Racconta.”

“Raccontare cosa? Non c’è niente da raccontare.” Si affrettò a rispondere in sua difesa, cercando di scrollarsi di dosso il rapace.

Stupido Barton.

“Sarà stato il terzo boccale di vino.”

“Avete bevuto?”

“N-no. Cioè sì.”

“Ah sì?”

“Sì, ma solo io! Ho bevuto solo io! Non è successo niente.” Le si avvicinò permettendole di riprendersi l’animale.

Natasha ora la stava guardando divertita.

“Non ti prendere gioco di me, mia signora…”

“Non lo faccio, Kate. Ma sicuro ti sei divertita più di me… ieri sera.”

“Mia signora, ascolta… è stata solo una piacevole serata, lo giuro. Niente di più…”

“Ma io ti credo…” la sentì dire, accarezzando il piumaggio del falco che sembrava godere di quel tocco come un gatto.

Kate non avvertì alcuna minaccia nel suo tono e si rilassò. L’ultima cosa che voleva fare era mettere zizzania per qualcosa che non era proprio successo. E non perché Sir Barton fosse repellente. Tutt’altro. Magari in altri contesti, insomma, un paio di pensieri ce li avrebbe anche fatti ma… no. Era una tale sostenitrice di quella tormentata storia d’amore che si sarebbe impiccata da sola, levando l’incombenza al vescovo, pur di non nuocere a nessuno dei due.

“Sir Barton è un brav’uomo. Ed è… molto affascinante, sarebbe stupido negarlo…” non riuscì proprio a impedirsi di dirle, “ma tutto quello che ha fatto ieri sera è stato parlare di te, mia signora.”

Natasha sembrò crederle: sebbene a Kate piacesse farcire parecchio i suoi ricordi, era sincera sul fatto che l’uomo sembrava non far altro che rivolgere alla guerriera i suoi pensieri… almeno per quei pochi giorni in cui aveva avuto il privilegio di conoscerlo.

“Sai Kate”, riprese Natasha, guardandola, “per ogni minuto che passi con lui, io ti invidio.”

Una frase che arrivò dritta come un gancio nello stomaco a confermare ciò che Kate sospettava.

“Ma puoi parlarmi di lui. Anzi… devi se ti senti di farlo. Voglio sapere che cosa ha detto, cosa ha… fatto. Posso vederlo con i tuoi occhi… se me ne parli…”

Kate pensò che la sua richiesta fosse talmente semplice e accorata, che annuì senza alcuna esitazione.

“Ma ti avviso che riesco a capire, se ciò che dici è vero…” la invitò bonariamente a continuare.

Kate, come da copione, non riuscì a non pensare a quella cosa come una specie di sfida.

“Oh, bè, ieri sera… quando ha cominciato a ricordare, a raccontare… il capitano era triste all’inizio”, cominciò, entrando rapidamente nella parte, “pensava al giorno in cui vi siete incontrati, e alla condanna del vescovo, maledicendolo, “ le fu accanto, guardandola mesta, come a dar forza al suo racconto, “poi… poi il suo viso si è illuminato… di quell’espressione raggiante che riesce a rischiarare la notte! Sai di che parlo…” indagò vedendola sorridere appena, di quel sorriso triste ma consapevole. Kate riuscì a vedere, riflesso nei suoi occhi, il ricordo di quell’espressione. E fu spronata a continuare.

“Ha parlato di quanto eravate felici insieme, prima del maleficio. E sono riuscita a percepire tutta la forza del suo sentimento.” La guardò. “Ti ama più della sua stessa vita, mia signora. Lo posso dire senza alcuna riserva…”

Natasha annuì di nuovo, conscia delle sue parole, come se avesse solo avuto bisogno di una definitiva conferma.

“Lo sai che lupi e falchi stanno insieme per la vita?” le disse.

Kate scosse la testa.

“Già… il vescovo non ci ha concesso nemmeno questo”, Natasha distolse lo sguardo, “nemmeno questo.”

Kate esitò solo un istante, prima di porre la domanda che più le premeva fare. Il Signore solo sapeva quanto si sentisse in colpa ad agire alle sue spalle.

“Hai ancora intenzione di ucciderlo?” le chiese dunque, sperando, per chissà quale assurdo motivo, che la notte avesse portato consiglio.

Natasha le lanciò uno sguardo che non necessitava di alcuna spiegazione, ma prima che potesse anche solo pensare di chiarire la sua posizione, Fury comparve sulla porta già spalancata della stalla.

“Tu…” fece Natasha, sdegnata da quell’intrusione forzata. Si rimise in piedi, facendosi grande al cospetto dell’uomo. Kate sapeva che la donna si era accorta che il frate le stava seguendo, ma forse ella sperava non avrebbe avuto l’ardire di avvicinarle, tenendosi sempre a debita distanza.

“Perché non mi dai ascolto, Natasha… ?” lo sentì pronunciare, forse già nei paraggi da un po’, il tempo necessario per cogliere stralci della loro conversazione.

“Entro domattina sarò ad Aguillon”, gli rispose inflessibile.

“Ma un giorno in più, che differenza vuoi che faccia, Natasha?” Intervenne Kate, il cuore in petto le martellava d’ansia e frustrazione. Cercò di non farsi mettere in soggezione dallo sguardo di fuoco che le venne riservato.

“Anche tu, adesso?”

“Fra due giorni scopriremo se è vera o meno la profezia di Fury, un giorno in più non cambierà niente nel corso della tua vendetta.”

“Se ti piacciono tanto le teorie astruse del monaco allora resta con lui.”

“Ma Natasha… io voglio venire con te.”

La vide raccogliere le sue cose rapidamente e fischiare al falco affinché la seguisse.

“Come farai ad entrare ad Aguillon, senza il mio aiuto?”

“Troverò un modo.” Ribadì il concetto tirando il cavallo per le briglie per trascinarlo fuori dalla stalla, ignorando Fury, ancora sulla soglia.

Kate la seguì fuori, affiancando il monaco.

“Grazie per aver tentato, Kate. E aver sostenuto la verità.”

La ragazza non riuscì a non deformare il viso in una smorfia tutt’altro che convinta.

“I momenti più felici della mia esistenza me li ha regalati la menzogna.” Esalò, prima di scoccare un’ultima occhiata al monaco perplesso da quella uscita e decidersi a seguire Natasha.

“Mia signora, aspetta!” la raggiunse vagamente affannata, “Dobbiamo pagare l’oste per l’ospitalità.”

“Ci ho già pensato io…”

“Ma… Natasha, non ci hai nemmeno dormito, nella stalla…”

“Quello che fa Clint è quello che farei io. Siamo tutt’uno, lui ed io…”

Kate scosse la testa: “Lascia almeno che ti offra il pranzo. Potremmo farci preparare qualcosa per il viaggio…”

Natasha inspirò a fondo, decisa forse a porre rimedio al tracollo che sembrava aver subito la mattinata.

“E sia…” le concesse, sistemando il cavallo a una delle travi di fronte alla taverna, “niente di più di quello che mangeremmo però.”

“Lascia fare a me, mia signora. Passo dalle cucine, faccio in un lampo.”

“Sarà bene!” le gridò dietro, prima che Kate prendesse a correre verso uno dei vicoli laterali.

Si fermò di botto, appena svoltato l’angolo, inciampando in qualcosa di grosso. Caracollò senza nemmeno il tempo di proferir un lamento.

Solo quando fu a terra, con la faccia nel fango si rese conto che si trattava di un uomo.

“M-mi scusi, signore!” esclamò pulendosi il mento sporco di fango, cercando di rimettersi in piedi.

“Signore… ?” fece di nuovo, quando non le arrivò alcuna risposta, “dannati ubriaconi…” sospirò, prima di tirargli un calcetto.

Quando nemmeno quell’atto vandalico sembrò animare l’uomo, gli diede una spinta più forte, ribaltandolo sulla schiena. Gli occhi vitrei e l’espressione statica di puro stupore, dipinta sul viso al momento della morte, la sorpresero a tal punto da strapparle un grido strozzato.

“Oh Cristo d’Iddio!” esclamò, arretrando sulle sue stesse gambe, incespicando di nuovo su una sacca, tappandosi poi la bocca con le mani: “Non era un offesa a voi, mio Signore!”

Dovette abbassare lo sguardo per non cadere di nuovo e solo allora si rese conto che la sacca si era aperta, rivelando il suo macabro contenuto: almeno un paio di teste di falco vi facevano capolino, non meno defunte dell’uomo a terra.

“Merda!” urlò, e solo allora Natasha le venne in aiuto.

“Che cosa è successo?” le chiese, sbucando dalla via adiacente, prima di raggiungerla e vedere per se stessa.

“Un uomo m-morto, dei falchi m-morti…” cercò di articolare Kate, che per una mattina aveva già fatto il pieno di brutali decessi.

La vide abbassarsi sull’uomo, scrutandolo a lungo.

“Rumlow…” mormorò appena udibile.

“Lo conosci? Lo conoscevi… ?”

La vide annuire e attirare a sé la sacca piena di falchi.

“Non lo fare, per l’amor di Dio, non… li toccare.”

Natasha si portò una mano alle labbra, come se fosse appena venuta a conoscenza di un avvenimento osceno. L’espressione di disgusto e paura sul suo volto non le sfuggì.

“M-mia signora che cosa succede?”

“Il vescovo ha mandato un sicario…” alzò lo sguardo, raccogliendo uno dei falchi morti per mostrarglielo.

“Mettilo via, ti prego!” la visione le procurò un profondo moto di nausea. Non che non fosse abituata a vedere selvaggina, a ucciderla e mangiarla. Ma il solo pensiero che lo stesso Barton, di giorno, apparteneva alla categoria, la nauseò. Avrebbe potuto esserci lui, fra quelle carcasse.

Improvvisamente le parole di Natasha le furono chiare.

Il vescovo aveva mandato un cacciatore… a uccidere Clint. E come farlo se non nel momento di massima vulnerabilità? Se non come un falco?

Solo… qualcosa doveva essere andato storto, e l’uomo mandato per compiere quello scellerato atto era morto. Forse durante una rissa. Forse solo grazie alla provvidenza.

“Mio Dio…” esalò Kate, rendendola partecipe della sua improvvisa consapevolezza.

“Sei ancora convinta che dovrei aspettare un giorno di più?” le domandò Natasha facendo ricadere l’animale sul petto dell’uomo morto.

Dovette arrendersi per un po’ all’idea che, se non altro, dovevano allontanarsi il più possibile da quel luogo.


*


Clint Barton stava finendo di rivestirsi.

Il gelo intenso della giornata e le pesanti nevicate avevano coperto la terra di un candido manto. Alla luce della luna, i riflessi azzurri e argentei della neve illuminavano la notte, regalando alla foresta un’aura fatata.

“Ehi, ragazzina…” individuò immediatamente Kate, in disparte con della legna asciutta fra le mani.

“Quante volte devo dirvi che odio essere chiamata ragazzina?” lo dovette rimproverare, posando tutto su uno strato di rocce sgombre di neve.

“Lo dico con affetto.”

“Vorrà dire che comincerò a chiamarti bellezza con affetto anche io, allora.”

Clint rise: “Credi che mi darebbe fastidio?”

Kate alzò gli occhi al cielo, accorgendosi della gaffe.

“Volevo risultasse un commento fastidioso, ma non è stato abbastanza efficace.”

“Sono sicuro che la prossima volta ci metterai più impegno. Hai visto il mio arco?” le domandò rimettendosi in piedi: gli stivali affondavano nella neve fresca, scricchiolando sinistramente in quell’innaturale silenzio. Persino i lupi, sembravano tacere, zittiti dal rispetto di quella stranissima nottata.

“L’ho preso io…” glielo indicò parcheggiato accanto al cavallo, “Sono andata un po’ a caccia. Ma non sono riuscita a prendere... niente.”

Il capitano le si avvicinò, guardandola: “Serata poco fortunata?”

Kate gli restituì uno sguardo stranamente preoccupato.

“Diciamo così.”

Come fare a rivelargli che la sola idea di uccidere un animale, quella sera le dava la il voltastomaco? L’idea fissa che qualcuno, là fuori adesso, fosse più che mai determinato a catturare il falco.

E se ci fosse stato in giro un cacciatore pronto a far fuori i lupi? Era forse per quel motivo che non si sentivano ululati, quella notte?

Il pensiero ebbe di nuovo il potere di renderla inquieta. Quel senso di nausea a ricordarle che stava prendendo troppo di pancia tutta quella storia.

“Che succede, Kate?” indagò immediatamente l’uomo, sedendole accanto.

“Natasha non vuole dare ascolto al monaco.” Gli rispose frettolosamente: dopotutto la preoccupazione arrivava anche da quella direzione. Aveva sempre pensato che intrattenere pochi rapporti interpersonali le avrebbe evitato un bel po’ di tormenti: ora più che mai, si trovò a concordare con quella sua presa di posizione.

E allora perché, se ci pensava solo un attimo di più, si sarebbe detta certa di non voler barattare quell’avventura con niente altro al mondo?

“Non riesco nemmeno a darle torto sai? Non del tutto…”

Clint non riuscì a fare altro che scrutarla.

“Voglio dire… è preoccupata per te. E’ preoccupata per se stessa. Io non lo so…” si voltò a guardarlo, “non lo so come fate a vivere in questo modo. Con la costante paura di perdere l’altro, senza possibilità alcuna di… fare qualcosa.”

Lo sguardo di Clint si incupì, e il suo stomaco fece una capriola all’idea di aver distrutto il sorriso con cui l’aveva accolta, solo pochi minuti prima.

“Siamo costretti a farlo…”

“L-lo so… lo so. Ma mi distruggerebbe”, deglutì a fatica, odiandosi per come aveva intessuto quella conversazione, “tu invece… invece sembri essere sempre di ottimo umore. Sembra che niente ti abbatta. Come fai, come fate tutti e due… ?”

“Io, di ottimo umore?” le domandò, una punta di divertimento, “oh, Kate, a volte bisogna costringersi a sorridere per non farsi opprimere dall’oscurità, lo sai? Mi avevi dato l’impressione di appartenere alla stessa identica categoria…”

Kate si sentì colpita da quel commento. Nessuno mai aveva dato importanza ai suoi atteggiamenti, ai suoi comportamenti.

“Ci sono momenti in cui la sua mancanza diventa insopportabile…” proseguì, “notti in cui il suo grido risuona talmente straziante da costringerti a tapparti le orecchie per non sentirla. Poi però cominci a percepire l’arrivo dell’alba… il cielo comincia a tingersi di rosa e azzurro, le tenebre ne vengono inghiottite, costrette alla fuga… si ritirano lentamente, inesorabilmente… e pensi che dopotutto, sei sopravvissuto a un altro giorno. E che a breve lei stessa vedrà quegli stessi colori, quella stessa alba. E’ il momento in cui riesco a sentirla più vicina… e il momento in cui penso, sempre, che un giorno riuscirò a rivederla.”

Le parole del capitano andarono a disperdersi nel silenzio notturno, ma rimasero ad aleggiarle attorno alla testa abbastanza a lungo da riscaldarla.

“E dire che dovrei essere io a rassicurarti…” si trovò a commentare, tirando su con il naso per dissimulare il coinvolgimento improvviso.

Clint le sorrise, sfregando le mani una sull’altra.

“Che tu ci creda o meno, lo fai. Non ho incontrato molta gente, in questi ultimi due anni. Non sai quanto è difficile trovare qualcuno con cui chiacchierare… di notte.” Le disse.

“Posso immaginarlo.” Rise Kate, tornando a guardarlo con gratitudine.

“Clint…” aggiunse poi, dopo un lungo attimo di pausa, “se ti dicessi che… abbiamo un piano per convincere Natasha ad accantonare il suo intento omicida… che diresti?”

L'uomo la guardò con aria interrogativa.

“Abbiamo… ?”

“Kate ed io…” si fece avanti Fury, emergendo da un gruppo di alberi poco distante. Kate si ritrovò improvvisamente a pensare che dovevano proprio piacergli le entrate ad effetto.

Clint sembrò valutare per un attimo l’indizio: “Ho già acconsentito a partecipare al vostro piano. Non vedo perché dovrei ritrattare la parola data proprio adesso…”

Kate non riuscì a far altro che rilasciare un sospiro di sollievo.


*


In quel momento Fury dimostrava esattamente tutti gli anni che aveva. I movimenti erano goffi e lenti, e in un’ora di lavoro aveva espresso le sue lamentele in modo così ossessivo e costante che Kate si considerò più che certa di non voler avere più a che fare con un anziano per il resto della sua vita.

“Quella buca è ancora troppo piccola per tutti e due!” esclamò sul ciglio della fossa che Fury e Barton avevano scavato per buona parte della notte, andando a traforare un terreno gelido e duro come roccia.

A quell’ora solo le due teste sbucavano dalla voragine; entrambi esausti e sporchi di terra da sembrare davvero due troll di montagna.

“L’importante è che sia grande abbastanza per il lupo. Perché non vieni qui a darci una mano, invece di ciarlare di cose inutili?” la rimproverò il monaco, scostando malamente Clint che aveva invaso di nuovo il suo spazio vitale.

“Ma io vi sto dando una mano”, protestò la ragazza, “dirigo i lavori da un’altra prospettiva.”

“Se mi aveste detto subito che avrei dovuto sgobbare in questa maniera avrei fatto due conti sull’accettare il vostro… assurdo piano!”

“Oh, capitano, non ti lagnare!” lo spronò la ragazza, “per una volta che puoi fare dell’ottimo lavoro di squadra. Ti lagnavi di non riuscire ad avere a che fare con molta gente, e ora guardati qui!”

“Non ti mando al diavolo solo perché sono una persona educata…”

“E il Signore ti è sicuramente grato per questo! Non è così, padre?”

“Il Signore mi sta dicendo che questa buca è abbastanza profonda”, le rispose questi, posando le mani sul bordo per potersi issare fuori dalla fossa, “E che magari un paio di braccia forti e volenterose dovrebbero aiutare un vecchio a uscire.”

Clint non si lasciò sfuggire lo sguardo del monaco e, mollata la zappa improvvisata che aveva permesso loro di lavorare, gli si fece accanto per aiutarlo nell’impresa.

“Certo il Signore non è qui per rendersi conto di quanto ingrassato sia, questo vecchio!” si lamentò il capitano, cercando di spingerlo su non senza difficoltà.

“Ma come osi! E’ solo la veste ad essere ingombrante.”

“Io dico che è lo stomaco ad essere ingombrante! Hai un fegato così ingrossato da fare a gare con un otre!”

“Frena la tua lingua biforcuta, Barton!”

“Mi chiedo come diavolo fai a rialzarti, dopo esserti inginocchiato all’altare!”

Kate osservava divertita il battibecco non senza tenere sott’occhio la vallata, sperando che il lupo decidesse di farsi vivo, prima che albeggiasse. Il cielo non era più cupo come nelle centrali ore notturne e, se l’istinto le suggeriva il giusto, presto avrebbero visto il sole sorgere dietro le cime delle montagne.

D’improvviso un’ombra scura si stagliò in quel mare di bianco. Kate si levò in piedi per vedere meglio e si illuminò rapidamente.

“Ehi voi… il lupo. Il lupo è qui!” esalò senza eccedere con la voce per paura di spaventare l’animale che ora procedeva spedito nella loro direzione.

Clint le fu accanto e la superò, andando in quella direzione a darle il giusto incentivo.

Solo dopo qualche passo si fermò, indugiando in modo del tutto sospetto.

“Che succede?” indagò Kate, esitando a raggiungerlo per paura di interrompere il momento propizio.

“Sta attraversando il lago…” la voce dell’uomo le arrivò esitante, fremente d’aspettativa.

“Quale lago?”

“Il lago… il lago ghiacciato!”

“C’è un lago ghiacciato?”

“Signore Iddio…” sospirò Fury alle loro spalle, improvvisamente consapevole di qualcosa che non avevano affatto calcolato.

Il lago ghiacciato era coperto di neve, e il suo riflesso, che per tutto quel tempo si era confuso nella notte, ora mostrava il suo volto più terrificante.

“Oh… merda…” sussurrò Kate, trattenendo il fiato man mano che il lupo avanzava nella loro direzione.

Clint, al suo fianco, sembrava in conflitto con la decisione di restare fermo a sperare che tutto andasse per il meglio e la furia di correre verso il lupo per andare a recuperarlo lui stesso.

E poi successe.

Fu un attimo. Un terribile attimo che decretò la svolta di quella spaventosa attesa.

Il lupo, che fino a pochi istanti prima ancora procedeva rapido e sicuro, si fermò. Lo scricchiolio del ghiaccio rimbombò come un tuono, nello statico silenzio circostante.

L’istante successivo la sagoma dell'animale sprofondò nell’improvvisa voragine, inghiottendo l’ultimo dei suoi guaiti.

“Natasha!” il grido di Clint seguì rapidamente la sua avanzata. Kate, pronta a far altrettanto, venne bloccato dalla mano del monaco.

“Il ghiaccio è troppo sottile!”

“Ma non possiamo lasciarla morire!” si dimenò lei, improvvisamente animata da una furia che non sapeva contenere. Un secondo scricchiolio frenò la sua protesta e con orrore si rese conto della ragnatela di crepe che seguivano passo dopo passo la camminata del capitano delle guardie.

“Barton! Sei troppo pesante!” gridò, prima di riuscire a liberarsi dalla presa di Fury e decidere di prendere la stessa strada da un’altra direzione.

Lo superò senza difficoltà. Il ghiaccio sotto di lei sembrava essere più magnanimo.

“Resta fermo lì, Capitano! O ci farai sprofondare tutti!” gli gridò avanzando senza indugio in direzione del lupo che tentava di tenersi aggrappato al bordo ghiacciato della spaccatura.

Si tuffò di stomaco, andando a sdraiarsi a pochi passi dalla crepa. Cercò di afferrare il lupo che riprese a guaire, intuendo che quella era la sua unica e ultima possibilità di salvezza.

Clint, alle loro spalle, si chinò a sua volta, prendendo a strisciare lungo il lago, sperando che il ghiaccio sotto di lui tenesse il tempo sufficiente a portare in salvo entrambe.

Kate si aggrappò alla sua pelliccia, cercando di riportarlo in superficie, mentre il lupo si dimenava, nella frenesia di tornare all’asciutto. Quando si rese conto di essere troppo debole per l’operazione, la ragazza fece l’unica cosa che le sembrò sensata: si lasciò scivolare in acqua, decisa a spingere il lupo dal basso.

“Kate!” gridò Clint che nel frattempo le aveva raggiunte e aiutava afferrando le grosse zampe dell’animale.

“Lo hai preso? Lo hai preso?!” fece di rimandò Kate, riuscendo miracolosamente a sospingerlo verso l’esterno. L’acqua gelata le bloccava il respiro in una morsa mortale, mentre gli artigli del lupo le graffiavano le carni. L’attimo in cui vide la sua pelliccia sparire dalla sua visuale, comprese che il lupo era stato tratto in salvo.

Esausta e senza un briciolo di respiro, improvvisamente si sentì trascinare verso il fondo. Il freddo ormai era un sudario che aveva perso di consistenza. Chiudere gli occhi e lasciarsi andare sarebbe stato molto semplice. Troppo semplice.

Chiuse gli occhi, il tempo di pensare a un piano alternativo, quando si sentì afferrare per la collottola.

Un paio di mani forti e ferme si arpionarono ai suoi vestiti, trascinandola fuori da quell’incubo di ghiaccio.

Riprese fiato quasi in modo disarticolato, andando a cadere sulla morbida pelliccia del lupo.

“Tutto bene?” la voce di Clint a scuoterla, attirandola a sé, lontano dalla voragine di ghiaccio. Accanto a loro riuscì a intravedere il monaco che doveva essere corso loro in aiuto, a pochi passi di distanza, dove il ghiaccio sembrava apparire meno fragile.

“S-sì… tutto bene. S-solo un p-po’… f-freddino.” Balbettò finendo fra le braccia del capitano, incastrata fra il suo corpo solido e quello del lupo, tremante e ancora carica di adrenalina.

“Grazie…” lo sentì mormorare, mentre una mano calda le strofinava la schiena ghiacciata.

“Dobbiamo vivere, padre…” continuò con voce esausta, colma di paura per lo scampato pericolo, “... da esseri umani. Le nostre vite sono nelle tue mani, adesso…”

Se il monaco rispose, Kate non se ne accorse. Cullata dall’abbraccio del capitano, cercò di concentrarsi sul calore che esso irradiava.


*


Nell'oscurità del bosco, nascosto al sole nascente, una figura ammantata osservava la scena.

Un ghigno severo gli sformava le labbra. Il disappunto concreto a illuminargli lo sguardo ormai elevato al cielo.

“Un giorno senza la notte. Una notte... senza il giorno...” mormorò come a ricordo di quella profezia ormai alle porte.

“Vostra grazia, credo sia ormai giunto il momento di lasciar andare a briglie sciolte il destino”, mormorò al vento e solo dopo aver pronunciato quelle parole, si abbandonò ad una risata strana. Bassa e roca.

Decise che era intervenuto a sufficienza in quegli strani e inarrestabili eventi. Sparì nella foresta, lasciando il nero mantello a evaporare come fumo, nelle tenebre.

___


Note:

Rieccomi rapidissimamente con le note finali. Che mi premevano solo per mantenere una promessa: il disegno gemello di quello dello scorso capitolo: Clint con il lupo Natasha [QUI]. Spero sia di vostro gradimento.

Nel prossimo capitolo si entra nel vivo della risoluzione della storia. E come sempre ringrazio tutti quanti seguono la storia, i vecchi e i nuovi lettori e la beta socia Sere, che come sempre mi sprona con argomentazioni piuttosto consistenti. Buona serata e alla prossima!

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Capitolo 8
*** Aguillon ***


CAPITOLO 8

Aguillon

 

Se la funzione finirà pacificamente, sentirai le campane suonare a lungo, e così tu capirai che ho fallito.”

 

*

 

  

L’alba.

Per molti solo l’inizio di un nuovo giorno. Un avvenimento scontato, abitudinario.

I pigri raggi del sole cominciavano ad allungarsi come braccia che si sgranchivano su un lenzuolo d’azzurro.

Il lupo dormiva, sprofondato nella fossa accanto al capitano delle guardie, riparato dal vento gelido del mattino.

Kate seduta in disparte con il monaco, avvolta in una coperta di lana, sgranocchiava quello che restava del pane raffermo del giorno prima.

“Credete che funzionerà?” domandò. La voce ancora indebolita dai postumi di quella indimenticabile notte.

Fury scosse la testa, incerto sulla risposta da dare.

“Prega per un miracolo, Kate. E’ tutto quello che ci resta.”

La ragazza strinse a sé la coperta, senza staccare gli occhi dalla buca. Si chiese se l’idea fosse buona. Se non avessero potuto lavorare più tenacemente. Se fosse abbastanza profonda.

Si strofinò il naso gelato, ignorando quell’assurdo rimescolio allo stomaco al solo scorgere l’espressione di Clint, seduto accanto al lupo.

Avrebbe assistito per la prima volta al miracolo di quella trasformazione: si chiese se sarebbe avvenuta ugualmente, in presenza di ben due spettatori. L’improvvisa falsa speranza di poter spezzare la maledizione solo grazie a quattro paia di occhi estranei al maleficio.

Si trovò a trattenere il fiato, quando la luce cominciò a scivolare fra le pareti di terra e ghiaccio.

E attese.

Attese che il momento arrivasse e passasse. Attese che la maledizione si avverasse sotto i suoi stessi occhi. E fu proprio quando si rese conto di aver smesso di respirare che accadde.

Vide il nero manto del lupo farsi meno folto; il sole che lo rendeva lucente, adesso, rischiarava stralci di pelle candida come neve. Il corpo sembrò restringersi, farsi piccolo, minuscolo a confronto, tutto raggomitolato sotto strati di coperta. Dal capo che sbucava da un lato, si allungavano lunghi capelli color del rame.

Clint si mosse nella fossa. Poteva dire, dal modo in cui si era improvvisamente ritratto contro una delle pareti, di quanto egli stesso non si fosse atteso di veder compiere il miracolo sotto il suo sguardo.

Kate si alzò in piedi, lasciando scivolar via la coperta, avvicinando di un paio di passi la scena, ma non troppo per paura di interromperne il corso.

Vide Natasha destarsi e rimettersi a sedere e - come guidata da un istinto sacrale - voltarsi, scorgendo infine ciò che nemmeno nei suoi sogni più proibiti si era mai concessa si sperare.

La sorpresa nei suoi occhi che improvvisamente si rispecchiavano in quelli del capitano delle guardie. Un sussulto scosse Kate quando vide entrambi riconoscersi e, come in sogno, avvicinarsi, avvolti di quella luce incerta e inconsistente, in quel pulviscolo che ancora non si era concretizzato nel mattino. Le mani di entrambi ad allungarsi l’un l’altra in un attimo che sembrò durare in eterno, sospeso nel tempo.

Le dita a un soffio, pronte a sfiorarsi, toccarsi.

Kate sentì l’aspettativa farsi greve. La speranza di veder disintegrata la maledizione in quel glorioso mattino d’inverno fu improvvisamente così viva da farle male, in fondo allo stomaco.

Le lacrime che pungevano ai lati degli occhi, all’emozione palpabile di quel momento.

E poi improvvisamente, così come era iniziato, tutto finì.

Nemmeno il tempo di toccarsi, di unire le dita per un misericordioso istante, che un frullio d’ali spezzò il silenzio come uno schiocco di frusta. I vestiti di Clint accartocciati sul fondo della buca e il falco che si librava in volo, fuggendo dalla malefica luce del giorno.

Kate sentì qualcosa spezzarsi al centro del petto, quando il grido di Natasha riempì la vallata, in un’eco distorta.

 

*

 

“Che ci fa lui ancora qui?” domandò Natasha che aveva appena finito di sistemarsi il lungo mantello sulle spalle.

Fury le lanciò uno sguardo colpevole, ma non si sottrasse al suo giudizio.

Kate venne avanti, portando la sella di Golia.

“Non ha funzionato…”

“Non ha funzionato cosa?” la sentì Natasha, senza preoccuparsi di riservare anche a lei il medesimo sguardo ostico e assolutamente odioso.

“Credevamo che…” esitò solo un istante, prima di sistemare la sella sul cavallo e poi voltarsi di nuovo verso la donna, fronteggiandola, “Oh, insomma, non venirmi a dire che non ti ha fatto nessun effetto rivedere il capitano Barton, questa mattina, in quella buca!”

La vide trasalire appena, un moto d’esultanza ad accenderle il petto al modo in cui era riuscita a far crollare, sebbene solo per un istante, quel muro fatto d’orgoglio.

Poi i suoi occhi verdi si fecero di nuovo cupi, velati d’irritazione e il momento passò.

“Avete giocato sporco solo per convincermi a desistere dai miei intenti?” l’accusò allora, venendole incontro innervosita.

“Era l’unico modo per costringerti a ragionare, Natasha!”

“So ragionare con la mia testa! Ho già preso la mia decisione. Non sta a una ragazzina sprovveduta e un monaco ubriacone decidere per me!”

“E di Clint che mi dici?” esclamò Kate smettendo di arretrare dinnanzi alla sua minacciosa avanzata, decisa a non farsi intimorire dalla sua foga.

“Cosa c’entra Clint?”

“Se credi che ce lo abbiamo spinto a forza in quella buca ti sbagli di grosso! Era d’accordo con noi. E’ ancora… d’accordo con noi! Pensa che tu stia agendo in modo scellerato ed impulsivo!”

“No.”

“Pensa tu sia un’egoista!” le gridò in faccia.

“Taci, ragazzina!”

“E lo penso anche io! Sei un’egoista! Pensi solo a quella tua stupida vendetta! Pensi solo a soddisfare un istinto primordiale e sciagurato. Che ne sarà di voi quando la tua insensata vendetta sarà compiuta? Non ci pensi? Non pensi a Clint? Non pensi che non avrai più modo alcuno di rivederlo o anche solo di sfiorarlo così come quasi hai fatto prima? Finirai per uccidere entrambi! E’ questo che vuoi?”

“Ho detto: taci!” esclamò Natasha, prendendola per la collottola, strattonandola quel tanto che bastò a scoprirla ed esporla al gelo: sulla candida pelle della ragazzina, tre grossi solchi insanguinati le percorrevano il petto. Ancora bruciavano da impazzire.

Natasha sgranò gli occhi e la lasciò andare. Stupore e confusione nel suo sguardo.

“Che cosa… che cosa hai fatto?”

“Sei stata tu…” intervenne Fury andando a sorreggere Kate che, tremante e ancora indebolita dalla prova della notte passata, aveva sentito cedere le gambe.

“Non… non sono stata io.”

“Ieri notte. Il lupo ha attraversato il lago ghiacciato ed è caduto in acqua. Kate ti ha salvata.” Le sbandierò in faccia la verità, lanciandole uno sguardo di rimprovero.

“Ieri notte…”

“Sì, ieri notte. Prima di infilarti in quella fossa assieme a Barton. Volevamo avessi la possibilità di rivederlo.”

“Non lo sapevo.”

“Ora lo sai.” Fece duramente, scuotendo il capo, “Siamo qui solo per aiutarvi. Niente altro. Siamo sempre stati qui solo per aiutarvi. Credi che non mi maledica io stesso ogni santo giorno per quello che vi ha fatto il vescovo? Pensi che cercherei davvero di fregarti? O fregare lui?”

Lasciò andare Kate che gli fece cenno di riuscire a cavarsela da sola.

Natasha sembrò improvvisamente placarsi. Il volto teso, amareggiato ma improvvisamente consapevole.

“Mi dispiace, Kate…”

“Non fa niente.” Le rispose la ragazza, serrando a sé i lembi del vestito strappato.

“Anzi ti ringrazio”, riprese Natasha, rialzando su di lei uno sguardo che nascondeva l’ombra di un sorriso, cercando anche Fury con gli occhi, nel processo, “andremo ad Aguillon. Tutti e quattro. E aspetteremo questo famoso miracolo di cui vai parlando, padre. E faremo in modo di trovare finalmente la pace… tutti noi.”

Il monaco si concesse un sorriso che finì per contagiare anche Kate.

 

*

 

Attesero il famigerato nuovo giorno, prima di decidersi ad avvicinare la fortezza pochi minuti dopo l’alba.

Attraversare il villaggio senza Barton aveva la priorità. Avrebbero potuto riconoscerlo fin troppo facilmente. Mentre Natasha, svestita dei panni oscuri del cavaliere, e i capelli nascosti, avrebbe potuto dirsi una giovane fanciulla venuta dai villaggi limitrofi.

“Quasi non ti riconoscevo vestita a quel modo, mia signora!” esclamò Kate, osservando il lungo vestito color porpora che la donna indossava. Il lungo mantello, mantenuto solo per coprirle spalle e dare appoggio al travestimento.

“E’ uno dei miei vecchi vestiti, questo…”

“Sul serio?”

Natasha la guardò vagamente divertita: “Pensavi andassi sempre in giro vestita da cavaliere?”

“No!” si affrettò a rispondere Kate, “cioè, insomma… ti ho conosciuta in quei panni e credo mi faccia solo… strano.” Raddrizzò il tiro sorridendole.

Ora riusciva a comprendere come avesse fatto ad attirare l’attenzione dell’intera Aguillon e non di meno di quel sant’uomo del vescovo. Sotto quegli strati di stoffa però, era ancora lo spirito della guerriera ad emergere.

“Dobbiamo muoverci. Le funzioni non aspetteranno noi per cominciare”, disse solo la donna, issandosi sul carretto del monaco che trasportava una gabbia con il falco pellegrino.

“Il capitano vi odierà immensamente per questo.” Lo stuzzicò Kate, infilando un dito fra le sbarre, sorridendo all’animale.

“E’ l’unico modo per ottenere un accesso alla fortezza.” Spiegò il monaco, ma Kate aveva già compreso le dinamiche del piano e si allontanò dal carretto osservandoli dal basso. Ansia e aspettativa per la giornata le comprimevano il petto.

Da lì a poche ore si sarebbe compiuto il miracolo che avrebbe decretato la fine del maleficio. Nel bene o nel male.

Non era certa di voler affrontare in qualche modo l’argomento o di pensare a cosa avrebbe potuto succedere dopo. Non era abituata a pensare in quella maniera. E di certo non avrebbe cominciato a farlo in quell’istante. Lo sguardo determinato di Natasha, quello serioso del monaco, le diedero la spinta sufficiente ad assumersi la responsabilità del proprio compito.

In una settimana la sua vita era completamente cambiata. Il suo modo di vedere le cose, la prospettiva con cui le osservava era cambiata. Era sempre stata convinta che un giorno avrebbe partecipato a qualcosa di grandioso, in barba a quella sua famiglia che la dava per spacciata, irrecuperabile, che la voleva costringere in regole ed istituzioni che le erano sempre andate strette.

E adesso lo stava vivendo, quel qualcosa di grandioso… per quanto bizzarro e pericoloso potesse essere. Aveva compreso l’importanza della collaborazione e forse… - lei che di amici non ne aveva avuti mai - dell’amicizia.

Decise di accantonare le elucubrazioni mentali, sperando di poterci ragionare con calma una volta conclusa quella faccenda. Adesso era il momento di restare concentrati e di sfruttare quella spinta d’orgoglio positiva.

“Io mi dirigo al fossato. Se tutto è rimasto come l’ultima volta… dovrei riemergere esattamente da dove sono fuggita.”

“Mi raccomando, Kate…”

“Oh, non vi preoccupate. Se uscire è stato facile, rientrare sarà una passeggiata al sole.” Li rassicurò, allontanandosi di un paio di passi per farli passare.

“Ci rivediamo alle undici in punto!”

Fece loro un cenno di saluto, guardandoli allontanarsi lungo il sentiero che portava al ponte levatoio.

“Signore, mai come in questo momento abbiamo bisogno del tuo sostegno…” mormorò, prima di correre attraverso il declivio e raggiungere il retro della fortezza, “non ci deludere!”

 

*

 

Il vescovo di Aguillon passeggiava nervosamente su e giù per la sua stanza. Fra le labbra una febbrile preghiera, ripetuta all’infinito, per placare quella sua anima tormentata.

“Avete per caso cercato di me… vostra grazia?”

Il vescovo rialzò lo sguardo trovandosi ad osservare lo sguardo di fuoco del demonio che, nelle ultime ore, aveva ignorato i suoi richiami.

“Dove eravate finito?” lo accusò di mala grazia, tremante sotto le vesti formali delle celebrazioni che si sarebbero tenute di lì a poco.

“Sembrate nervoso…”

“Lo sono! Non ho più sentito una sola parola da voi. Credevo aveste deciso di andarvene!”

“Andarmene?” indagò divertito Loki, saltando giù dal davanzale della finestra su cui era comparso, appollaiato come un avvoltoio, “senza aver riscosso il mio debito? Suvvia, sono sicuro che un uomo di mondo come voi sa come avvengono certi tipi di trattative.”

“Non avrete da me un bel niente! Non ho ricevuto da voi nessuna rassicurazione! Dovevate sbarazzarvi di Barton, dovevate portarmi la ragazzina!”

“Davvero? Non mi sembrava di avervi promesso proprio niente del genere, vostra grazia…” calcò sull’ultima parola, in un’evidente parodia dei suoi leccapiedi.

L’uomo trasecolò, stordito da quell’affermazione.

“Avevate promesso di aiutarmi!”

“E l’ho fatto… ma il destino ha deciso diversamente, chi sono io per oppormi?”

Il vescovo sentì la forza del suo sarcasmo e si fece rosso in volto, irato, indignato, le mani frementi, il corpo tutto percorso dalle scosse della frustrazione.

“Il nostro patto è saltato!” gridò andandogli incontro, le mani che si allungarono sul demone afferrandolo per le vesti, strattonandolo senza riserbo.

E fu solo in quel momento che Loki parve farsi grande, enorme. I suoi occhi glaciali, acuti e lucenti di scherno divennero di pece. La profondità del suo odio e della sua rabbia catturarono il vescovo avvinghiandolo in spire di tenebra.
“Come osate, piccolo, inutile, insignificante essere!” esclamò con la voce che si era fatta profonda e cupa, come scaturita da un altro luogo, un altro universo. Lo sovrastò, mentre il vescovo perdeva lentamente tutta la spavalderia di cui sembrava essere stato investito solo qualche attimo prima.

“Avete chiesto il mio aiuto ed io ve l’ho dato! Ho assecondato il vostro patetico, lussurioso, ignobile capriccio. Vi ho messo in guardia, vi ho consigliato, vi sono stato amico! E ora osate persino ritrattare il nostro patto!”

“M-ma gli accordi!”

“IO HO RISPETTATO GLI ACCORDI!” esclamò la voce roboante fra le quattro pareti di quella minuscola stanza, “si può dire lo stesso di voi? Sono qui per riscattare il mio debito. E che voi lo vogliate o meno… oggi si compirà il vostro inutile destino. Ed io… avrò la mia ricompensa, che voi vogliate concedermela… oppure no.”

Il viso di quel dio sconosciuto si deformò e ingrandì. La sua pelle sembrò sfaldarsi e ricomporsi sotto le mani di un abile scultore. I suoi capelli imbiancarono, la sua pelle prese ad arricchirsi di profonde rughe.

Il vescovo perse l’equilibrio e cadde a terra, scosso da tremiti incontrollabili, le mani a pararsi lo sguardo, come se quella visione si fosse fatta troppo spaventosa, orribile. Si rese conto, prima che Loki sparisse, che aveva appena osservato il volto puro del male…

Come in uno specchio, aveva riconosciuto, nella trasformazione di Loki, il proprio viso.

 

*

 

La nuotata attraverso le fogne la ricordava un tantino diversa.

Forse la volta scorsa era solo stata la spinta alla libertà ad averle fatto perdere il senso dello spazio e del tempo. E non le sarebbe risultato insincero dare merito alla riuscita dell’impresa anche a quella sacra provvidenza che andava sempre invocando.

Stavolta però non aveva calcolato i tempi. Né l’odore che l’aveva investita, pestilenziale, una volta raggiunto l’obiettivo. Il viaggio, per farla breve, non era stato così liberatorio come la volta precedente. Al contrario le sembrava di essere tornata a vivere il suo incubo peggiore.

Quando riemerse nelle fogne dopo aver attraversato in apnea le acque del fossato, sgocciolante d’acqua, i capelli appiccicati alla faccia come mostro di laguna, individuò immediatamente la botola che il giorno della sua fuga le aveva aperto le porte del paradiso.

Guardò su, attraverso la grata; l’odore di incenso, per una volta tanto, le venne in aiuto a cancellare il tanfo di carogna. Si trovava esattamente sotto la chiesa.

Il canto che si elevò all’improvviso fu il suo segnale per dare il via alle operazioni.

Si aggrappò con agilità da stambecco alla nuda parete rocciosa e agganciando dita e punta di scarpe nelle fenditure, cominciò la sua arrampicata.

 

*


Il falco mandò un lungo fischio quando Natasha smise di carezzarne il piumaggio. La mattina era trascorsa rapidamente e le campane, che annunciavano l’inizio delle celebrazioni, avevano messo fine a quella lunga attesa.

La donna si voltò in direzione del monaco che, dal canto suo, non mancò di riservarle un cenno d’assenso.

“Sei pronta?” le domandò solo, guardandola alzarsi in piedi; il lungo vestito che aveva deciso di non cambiare per l’occasione le accarezzava morbido i fianchi.

Per tutta risposta la vide afferrare la lunga spada che aveva portato con sé.

Si poteva distinguere, nel solo modo in cui la maneggiava e da come si muoveva, che era nervosa – quantomeno Fury, nella sua esperienza avrebbe saputo dirlo – ma più che determinata a porre fine a quella interminabile maledizione.

“Se Kate è già entrata in chiesa e riuscirà ad aprirmi le porte dall’interno… potrò essere finalmente al cospetto del vescovo.”

“Dovresti aspettare il compiersi del miracolo che mi è stato predetto.”

“Potrebbe non esserci tempo, per quello. Devo affrontare il vescovo… prima che abbia inizio.”

Fury non riuscì a contestare le decisione, andando a cercare il sole con lo sguardo: ancora splendeva alto e fiero nel cielo mattutino. Solo un’ombra sembrava minacciarne un lieve spicchio. Ancora praticamente invisibile, per un occhio umano.

“Se la funzione terminerà in modo pacifico, sentirai le campane suonare…” mormorò Natasha, “e allora saprai che ho fallito.”

“E Clint? Che ne sarà di Clint?”

Natasha serrò le labbra, mentre qualcosa di profondo, doloroso e terribile le attraversava lo sguardo.

“Ti chiedo di…” esitò solo un istante, come se pronunciare quelle parole le costassero grande sacrificio, “ti prego… di togliergli la vita rapidamente.”

Fury rabbrividì senza poter fare molto per evitarlo. Il suo peggior sospetto concretizzato in poche, terrificanti parole.

“Non posso farlo.”

“Sì che puoi. Ti imploro”, il suo sguardo andò a cercare i suoi occhi, “la vera crudeltà sarebbe quella di costringerlo a una semi vita. Non è ciò che lui vuole… non ciò che io stessa… vorrei.”

“Non sono sicuro di poterlo fare, Natasha…”

“Ed io penso che tu possa invece. Hai mai pensato che potesse essere già stato tutto scritto?” gli domandò allora, “così come sapevi che sarebbe arrivato il giorno stabilito per porre fine alla maledizione, questa potrebbe essere una delle soluzioni che non avevi… considerato.” Gli mise una mano sulla spalla e si chinò su di lui per ringraziarlo con un lieve bacio sulla guancia ruvida.

“Augurami buona fortuna, padre…”

“Non ne hai bisogno”, le concesse, cercando di rimandarle un sorriso poco convincente.

Quando la vide salire in sella al cavallo e imbracciare la sua spada, seppe che l’onda inarrestabile degli eventi si era appena messa in moto.

 

___

 

 

Note:

Ebbene sì, il prossimo sarà l’ultimo capitolo. E poi ci sarà l’epilogo. Sono già un po’ triste per l’addio.

Grazie a tutti quanti siano arrivati sin qui. Soprattutto, come sempre, alla beta e socia Sere, alla quale volevo dire che ho adorato la scorpacciata giapponese di ieri. Prima o poi replichiamo, eh.

E infine, una dedica particolare va a una persona speciale, una persona che con le sue storie della buonanotte ha arricchito la mia infanzia e un po' mi ha reso ciò che sono adesso.

Io vi rimando alla prossima.

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Capitolo 9
*** Breaking the Curse ***


CAPITOLO 9

Breaking the Curse

 

“Ci rivedremo lì, padre. A costo di doverne scassinare la serratura.”

 

*

 

“… ed io ti dico che le piaccio.”

Due le guardie a protezione del portone che conduceva all’interno delle mura e poi verso la chiesa.

Le campane dell’inizio della funzione avevano suonato da un pezzo. La vaga melodia di canti gregoriani aleggiava nell’aria, creando un’atmosfera del tutto in contrasto con quei pettegolezzi da taverna.

“Chissà che diavolo hai capito, ubriaco com’eri ieri sera, John…”

“Non ero affatto ubriaco: sono più che sicuro che se avessi insistito, sarei riuscito ad infilarmi nel suo vestito.”

“Non sapevo ti piacessero gli abiti da donna.”

“Continua pure a prendermi per il culo, Ralph… la prossima settimana vedrai…”

“Il tuo occhio nero?”

“No! Il mio successo.”

“Lo sanno tutti che non hai successo con le donne, finiscila.”

“Tutti chi?”

L’indignazione del povero John venne interrotta da una visione che definire celestiale, con quel coro di monaci in sottofondo, si sarebbe detto riduttivo.

Natasha veniva verso di loro, affiancando a piedi un grosso cavallo nero, la spada agganciata alla cintura: il mantello scuro sulle spalle abbracciava l’abito purpureo, dandole un’aria potente.

“Per tutti gli angeli e i cherubini…”

“Raccogli la bava e sta all’erta, John. Quella è armata.”

“Ma è solo una donna.”

“Gli ordini li conosci bene: non dobbiamo far passare nessuno.”

La donna si fermò a qualche passo dai due, squadrandoli.

Entrambi ben piazzati e muniti di solide armature, nemmeno avessero dovuto contrastare l’avanzata di un carro di buoi in corsa.

“Buongiorno a voi, cavalieri.”

“Buongiorno, milady”, risposero quasi all’unisono, l’uno con aria sospetta, l’altro divertito.

“Mi chiedevo se non si potesse passare in questo lato della città.” Chiese, tenendo le mani ben lontane dalla spada, premurandosi anzi di nasconderla, come a indicare che non aveva intenzione alcuna di usarla.

“Mi spiace, milady, ma sono in corso le celebrazioni del vescovo. Non è possibile accedere a questa zona, non senza un invito formale.”

“E come si fa ad ottenere un invito formale?”

“Non si fa se non con l’autorizzazione del vescovo stesso. Temo siate arrivata in ritardo.”

Natasha osservò l’altro che non aveva smesso un solo istante di sorridere sornione.

“E’ una vera disdetta. Ho fatto un lungo viaggio sperando di poter assistere e… di ricevere la benedizione del vescovo.”

John scoccò a Ralph un’occhiata tanto rapida quanto indulgente, ma questi sembrò accoglierla freddamente.

“Mi spiace, milady, ma questi sono gli ordini.”

“E siete soliti seguire sempre così rigidamente… gli ordini?”

“E’ il nostro lavoro, milady.”

“Ralph…” lo richiamò l’altro, avvicinandolo appena,  con aria confidenziale. Abbassò dunque la voce: “Che male vuoi che faccia una fanciulla del genere? Se è disposta a lasciare la spada, perché le dovrebbe esser negato di assistere?”

“Ti sei ammattito? Gli ordini di Sitwell sono questi!”

“Sitwell?” si intromise allora Natasha, che non si era persa una sola parola. “Conosco Sitwell, sono sicura che se mi permetterete di avere una parola con lui…”

“Il capitano è in chiesa con le altre guardie. Deve occuparsi della sicurezza interna. Non gli è possibile uscire per una consulenza, milady.”

Natasha valutò la situazione: dunque vi era anche un manipolo di cavalieri all’interno della chiesa, dove le celebrazioni si stavano svolgendo.

“E nessuna di quelle guardie può muoversi da lì per un’autorizzazione?”

“Mi spiace, milady. Sono tutti e cinque impegnati.”

Cinque. Cinque più il capitano delle guardie. Per di più, se Kate le aveva raccontato il giusto, Sitwell doveva essere ancora ferito.

Natasha annuì come a prendere atto della cosa.

Alzò gli occhi al cielo. Il sole aveva preso una strana sfumatura: il suo lato sinistro sembrava essersi ristretto e una mezzaluna lo oscurava in modo del tutto inusuale.

“Una notte senza il giorno, un giorno senza la notte…” mormorò, mentre le parole del monaco le apparvero così chiare e concrete che il suo cuore ebbe un sussulto.

“Che cosa dite, milady?”

La donna abbassò il capo e sorrise, improvvisamente accesa dall’urgenza.

“Grazie per la vostra collaborazione”, aggiunse solo, prima di estrarre la spada.

Fu talmente rapida e veloce che nessuna delle due guardie ebbe modo di contrattaccare.

Il primo, Ralph, crollò a terra svenuto, con un colpo di piatto della spada e un gancio dritto sulla tempia. Il secondo, povero John, restò così basito dall’attacco che, prima si fece sfuggire di mano la spada e poi non vide arrivare il colpo di Natasha, che lo stordì con un calcio in faccia, in uno svolazzo di vesti. Fosse rimasto cosciente il tempo sufficiente, avrebbe quantomeno potuto raccontare di aver visto… sotto le vesti di una fanciulla.

Natasha si rassettò il vestito. Senza nemmeno rinfoderare la spada, salì in groppa al cavallo e tornò a percorrere la strada che conduceva alla chiesa.

 

*

 

Kate raggiunse la grata che le dita le dolevano per lo sforzo dell’arrampicata. Un paio di unghie si erano spezzate e alcuni polpastrelli scorticati le bruciavano da impazzire.

Non si lasciò abbattere. L’obbiettivo era stato raggiunto e non si sarebbe certo fermata a causa di un paio di abrasioni.

Aveva passato di peggio. Molto peggio. E di certo qualcosa di peggio sarebbe capitata al monaco che si era improvvisamente fermato sulla grata, oscurandole la prospettiva.

“Ma no…” sussurrò inudibile, estraendo il coltellino che le avrebbe permesso di forzare l’ingresso. Alzò gli occhi, su per le gambe pelose ed avvizzite del vecchio frate a raggiungere visioni orrorifiche sotto la gonnella. Non riuscì a trattenere una smorfia orripilata, e fu costretta a distogliere lo sguardo.

“Signore, puoi per favore cercare qualcos’altro per mettermi alla prova? Un novizio magari… ma non questo… smutandato.”

Strinse la mano sul manico del coltellino e andò ad insinuare la lama fra le grate. Dopo un attimo di esitazione, infilzò senza indugio e a ripetizione il piede del monaco.

Che fortunatamente ebbe il buon gusto di scostarsi.

“Che succede?” sentì dire qualcuno, mentre l’ombra si spostava.

“Topi… qui in chiesa, ci crederesti?”

“Scandaloso…”

Mentre il dialogo si allontanava Kate trovò il tempo di forzare la grata fino a farla saltare. La scostò con un movimento rapido e dopo essersi assicurata che non ci fosse nessuno in vista, si issò finalmente per uscire.

Si guardò attorno con circospezione, trovandosi alle spalle di un numero imprecisato di uomini di chiesa, schierati verso l’abside per assistere alle celebrazioni. Il vescovo, alla base dell’altare, dava la schiena ai confratelli, pronunciando una benedizione in latino.

Un moto di disgusto – che mai prima d’ora aveva avvertito così vivido – la scosse da capo a piedi. Il responsabile della terribile maledizione era lì, a pochi passi di distanza. Non faticò ad immaginare quanto potesse essere forte la tentazione di avventarglisi contro e mettere fine alla sua ignobile vita. O quantomeno di batterlo con tale foga e forza da togliersi qualche sfizio, di deformare quel viso tanto odioso, che celava tutta la cattiveria del mondo.

Si trovò a sperare che, al momento del confronto, Natasha mantenesse la promessa e l’autocontrollo. Troppo importante era quella giornata per loro, per tutti loro.

La soddisfazione di veder sfaldarsi la maledizione, ben più gratificante di quella che prendersi la vita di quell’uomo avrebbe potuto darle.

Avvicinò una serie di vesti da novizi appese alla parete di fondo e ne rubò una, infilandosela. Tirò su il cappuccio così da celare i lunghi capelli neri e cominciò a muoversi attraverso la chiesa, fra monaci e prelati.

Scostò le guardie sistemate in punti strategici della struttura e raggiunse la porta, inosservata.

Armeggiò con la serratura che chiudeva il portone per quella che le parve un’eternità e quando sembrò sul punto di arrivare a una qualche conclusione, sentendola cedere, sentì su di sé lo sguardo insistente di una delle guardie.

La vide arrivare con passo calibrato dall’altra parte della navata e si costrinse a lavorare con rinnovata urgenza.

“Forza, forza, dannata porta! Forza…” esalò sentendo lo stomaco contorcersi per l’ansia. La serratura scattò ed ora non restava che spostare la maledetta asse. Lo sforzo dei muscoli delle braccia, già provati dalla precedente scalata, imploravano per una tregua che Kate proprio non era in grado di concedersi.

“Ehi…” sentì pronunciare alla guardia, che ormai non era che a qualche passo.

Poteva sentire su di sé già la forza sua presa quando, con uno strattone più energico riuscì a smuovere quella maledetta asse. Come inspirata dal glorioso risultato dell’operazione, la porta si spalancò, lanciando all’interno un grosso cavallo nero.

La guardia venne investita dalla porta che si apriva, cadendo a terra tramortita.

“Natasha!” esclamò Kate che capitolò a sua volta a terra, mentre il vescovo interrompeva i lamenti della sua omelia e il canto dei monaci si estingueva in un silenzio di tomba.

Natasha avanzò, solo il rumore degli zoccoli ad echeggiare fra le mura della chiesa, a scandire passo dopo passo, l’orrore che lentamente andava formandosi sul volto del vescovo.

“Tu…” esalò questi in un soffio. Gli occhi sbarrati, atterriti, il sentore che la predizione del disastro fosse pronta a diventar concreta.

Poi, racimolando quel poco coraggio che gli era rimasto, riuscì a farsi avanti, dando le spalle alla croce.

“Guardie! Prendetela!” ebbe la forza di esclamare, puntandole contro il suo lungo bastone.

Le guardie scattarono dalla loro postazione, facendo sciamare via monaci e prelati. Alcuni accostati alle pareti, altri fuori dalla chiesa, a cercare una rapida e sicura fuga.

La guerriera vermiglia riuscì ad atterrare tre delle guardie senza nemmeno scendere da cavallo, ma la quarta con cui si trovò a dover fare i conti altri non era che Sitwell.

“Lady Natasha, ci si rivede…” ebbe il coraggio di esordire, andando a colpire senza remore, a spada sguainata, una delle zampe del grosso animale.

“Golia!” esclamò Natasha, scendendo di sella con un salto e andando a finire in mezzo alla navata.

La spada già in mano andò a incontrare la lama di Sitwell che non aveva perso un solo istante per attaccare.

La donna gli elargì la peggiore delle sue occhiate prima di scivolargli di lato e colpirlo di nuovo, aprendo così il duello.

Kate, che nel frattempo si era rimessa in piedi, raccolse da terra l'arma di una delle due guardie a terra. Cercò febbrilmente la quinta, senza trovarla.

Solo quando alzò lo sguardo la vide accanto alla torre con il campanile, ad osservare lo scontro dall’alto.

Si disse che non avrebbe certo potuto restare con le mani in mano. Di prendere anzi, con quelle stesse mani, il coraggio che le era sempre mancato per affrontare certi brutali scontri: corse letteralmente attraverso la chiesa e su, fino a quelle scale che l’avrebbero condotta all'uomo del vescovo. Non avrebbe permesso che lo scontro di Natasha venisse interrotto, o peggio.

Come avrebbe fatto a sbarazzarsi della guardia, almeno tre piedi più alta di lei, questo era ancora tutto da stabilire; per ora si godeva lo slancio positivo delle sue buone intenzioni.

Giunse in sordina, mentre ancora il rumore dello stridio delle lame in duello riecheggiava senza tregua qualche metro sotto di lei.

La guardia teneva fra le mani quella che sembrava la corda della campana, come fosse intenzionato a calarsi da basso, nel caso qualcosa fosse andato storto.

Così vulnerabile e distratto, Kate pensò bene fosse il momento buono per attaccare.

Alzò la spada, senza aver preso bene le misure, né tantomeno aver calcolato il peso specifico dell’arma. Aveva scordato il patetico tentativo di sollevare quella di Natasha la sera in cui aveva incontrato Clint. Venne sbilanciata all’indietro e se non cadde fu un miracolo.

L'uomo non si sarebbe nemmeno accorto del movimento se, nell’inciampare, la lama pesante non fosse andata a cozzare con una delle vetrate laterali dell’abbaino.

La finestra esplose in frantumi producendo un rumore infernale. Guadagnandosi le occhiate di chi, per un attimo, aveva osato distogliere lo sguardo dallo scontro in corso dabbasso.

“Ops…” mormorò Kate e si scostò rapidamente, trascinandosi dietro quell’enorme spada.

Si fermò solo per rendersi conto che un coro di oooh aveva finito per riecheggiare per la chiesa e poi un grido a decretare, forse, la fine di Sitwell.

Natasha sovrastava l’uomo che si teneva lo stomaco trafitto dalla lama. La fissava con sguardo vacuo, mentre la vita gli scivolava via di dosso.

“Se s-solo… non fossi stato f-ferito…”

“Saresti morto comunque.” Lo liquidò lei, estraendo la spada dalle carni con un suono disgustoso.

Quando alzò la testa per capire cosa stessero guardando tutti quanti, scorse ciò che la finestra distrutta stava svelando: una luce del tutto innaturale rischiarava il mattino, mentre il sole veniva riempito da una voragine di tenebra.

“Una notte senza il giorno…” sussurrò di nuovo Natasha.

E lo stesso fece Kate, cominciando a comprendere di cosa parlasse la profezia del monaco: un miracolo, la provvidenza… qualsiasi cosa fosse, era davvero giunto il momento.

Abbassò lo sguardo scorgendo Natasha percorrere ora la navata, libera da ogni impedimento, pronta ad affrontare il vescovo. La spada era abbassata e, di questo, Kate fu sollevata: forse l’aver visto compiersi quel miracolo diurno l’aveva placata. Forse avrebbe solo parlato al vescovo, aspettando l’arrivo di Clint.

Kate si rese conto della leggerezza che aveva appena commesso, nel momento in cui realizzò che la guardia abbarbicata al parapetto si stava muovendo.

Si era aggrappata alla corda della campana per scendere e raggiungere Natasha per svolgere il suo ultimo compito: proteggere il vescovo e vendicare la morte del suo capitano.

“Oh, merda…” esalò solo. Si trascinò dietro la spada, lasciando che il pensiero di come avrebbe fatto a sollevarla le ronzasse solo per un istante fra le pareti del cranio.

L'uomo cercò di farsi scivolare lungo la corda mentre, a scandire il suo gesto, la campana emise un poderoso rintocco.

Kate lo raggiunse aggrappandosi a lui con tutta la forza rimastale, strattonandolo nella sua direzione; ma questi determinato e in forza, tirò di nuovo la corda, intenzionato ad atterrare di sotto.

Natasha inorridì quando fu il terzo rintocco a riecheggiare per la chiesa e il villaggio tutto.

Lo sguardo andò a cercare il vescovo che era arretrato fino all’altare.

Seguì un quarto e poi un quinto rintocco. Al sesto, Kate era probabilmente riuscita a spintonare la guardia, perché la vide scivolare oltre la balaustra e cadere al suolo con un tonfo sorto.

Natasha, ancora ferma sul posto, dovette cominciare a fare i conti con la realizzazione di ciò che era appena successo.

Ricordava ancora la promessa che era riuscita a strappare al monaco.

 

“Se la funzione terminerà in modo pacifico, sentirai le campane suonare… e allora saprai che ho fallito.”

 

 “Fury… a-aspetta…” esalò febbrilmente in una scarna preghiera, sperando di frenare la mano del monaco prima che commettesse l’atroce delitto sul falco, mentre l’eco dell’ultimo rintocco ancora rimbalzava fra le pareti di pietra.

La vita del falco e i rintocchi delle campane erano stati indissolubilmente legati e il destino più tragico era in procinto di compiersi.

Un verso strozzato le uscì dalle labbra. Un dolore sordo al centro del petto le bloccò il respiro.

Le mani le tremarono per un solo istante. Il ghiaccio le scivolò nello stomaco, lo stordimento, la rabbia, la frustrazione. Cercò di congelare quelle sensazioni, di indurirle abbastanza da usarle come arma.

L’unica che le restava per compiere quella sua ormai inutile vendetta.

“Fallo alla svelta… Fury”, mormorò cercando di passare all’accettazione in modo freddo, rapido, distaccato. Il tempo della disperazione sarebbe arrivato. Ma non in quel momento.

Rialzò sul vescovo uno sguardo di fuoco, proiettandogli addosso due interi anni di odio.

“Muori.” Sibilò fra i denti, rialzando la spada.

“Non puoi uccidermi!” esclamò il vescovo, ormai così addossato all’altare che si sarebbe detto volercisi nascondere dentro. “La maledizione continuerà per sempre”, cercò in tutti i modi di farla desistere, di placare la furia di quella sua guerriera così determinata… e fiera. Nemmeno in un momento del genere riusciva a disprezzare tutte le sensazioni che la donna gli scatenava dentro.

“Dovresti pensare a Barton…”

“Barton è morto.” la dichiarazione lo colpì come uno schiaffo. “Che tu sia dannato per sempre!”

La donna gli si fece incontro, pronta a rilasciare il fendente.

Ma qualcosa frenò la sua mano. Un grido. Una sola voce.

“Natasha!”

Alle sue spalle, qualcuno era appena entrato dalla porta rimasta aperta dopo il suo ingresso.

Le mani le tremarono di nuovo, il blocco di ghiaccio che aveva nello stomaco si incrinò improvvisamente e se per un attimo la spada non le sfuggì dalle mani fu solo per fortuna.

Osservò solo per un altro istante il viso tremebondo di orrore del vescovo a un passo da lei, prima di arretrare e voltarsi. Proprio nella direzione in cui quella voce provvidenziale aveva fermato il colpo mortale.

Kate scese le scale ad una velocità impressionante. Si trovò di nuovo nella navata ad assistere a quel miracolo di cui Fury non aveva fatto altro che vaneggiare per ore.

Clint Barton stava lì. In piedi e più vivo che mai, in carne ed ossa… umano quanto poteva esserlo lei. Natasha gli stava di fronte e lo guardava, come se non avesse mai visto niente di più strabiliante in vita sua.

La vide portarsi la mano alle labbra, rilasciare di nuovo quel gemito che aveva sentito solo qualche minuto prima, ma stavolta non le fece accartocciare lo stomaco per la pena, bensì per qualcosa che, improvvisamente, associò alla gioia.

L’ex capitano delle guardie venne avanti, incredulo, emozionato. Assaporando ogni passo che lo conduceva a lei.

Si incontrarono a metà strada, storditi, quasi intimoriti dall’incontro. Persino ritrosi a sfiorarsi, come avessero paura che improvvisamente quel prodigio potesse spezzarsi, lasciandoli inerti ad abbracciar pulviscolo solare.

Fu solo uno sguardo a incitare entrambi a concludere la faccenda, per concedersi più tardi il tempo di un degno ricongiungimento.

Natasha si volse, prendendogli la mano, fronteggiando il vescovo. Lo sguardo fiero e forte di chi ormai non ha più paura di niente.

“Guarda!” esclamò. La sua voce tonante, robusta, in quel silenzio inviolabile. “Guardalo”, indicò Clint, spronandolo a fiancheggiarla, “e guarda me…”

Lo lasciò andare solo per tornare incontro al vescovo che non si era mosso, che si parava di nuovo il viso, come fosse stato investito da un'improvvisa luce, un fastidioso raggio di sole.

Natasha gli prese il braccio, scrollandolo, fra il disgusto di doverlo toccare e la liberazione di averlo, finalmente, piegato al suo volere.

“E adesso… guardaci!” gridò, lasciandolo andare, mentre il raggio luminoso che entrava dalla finestra rotta, illuminava il trio di un chiarore rarefatto, innaturale.

“È fatta…” Kate si volse, solo per trovare Fury al suo fianco, “La maledizione è spezzata. Finita.”
Sentì qualcosa agitarlesi in petto, mentre con un braccio andava a cercare le spalle del monaco che nonostante l’aspetto coriaceo e granitico, sembrava aver piegato le labbra in quella smorfia innaturale che precede il pianto.

Vederli insieme le regalava un’immagine per la quale mai si sarebbe detta di trovarsi a gioire.

Vide Natasha voltarsi di nuovo. A cercare, adesso, il suo innamorato.

L’incontro rimandato per troppo tempo, troppi anni. Le mani si cercarono e trovarono in una presa febbrile, incredula.

Ma una sensazione di gelo parve pervadere la chiesa l’istante successivo. Come se l’atmosfera si fosse fatta troppo densa per lasciare che la maledizione si sfaldasse senza ripercussione alcuna.

E fu solo in quell’istante che Kate vide. Un’ombra alle spalle del vescovo, farsi grande, enorme. Proiettarsi sull’altare e l’abside tutto, a prendere una forma indefinita che non sembrava altro che l’ombra dovuta al fenomeno del sole e della luna. Quando divenne nitida, e inquietante quanto i demoni nei dipinti del giudizio universale, Kate poté avvertire un sibilo, che si concretizzò in quella che le parve una risata.

E nel momento cruciale, prima che quel brivido sulla pelle, il formicolio alla nuca si impossessassero di lei, l’anticamera dell’orrore, ecco che scorse il vescovo sollevare il suo bastone come arma d’offesa. Mentre il suo corpo tutto si lanciava in direzione dei due innamorati al centro della chiesa.

“Nessun uomo mai…” esalò con la voce che si era fatta un sibilo, mentre l’eco della risata, di quella risata demoniaca andava a confondersi con le sue parole.

“Clint! Natasha!” gridò Kate, trovando la forza, vincendo l’orrore che le aveva frenato le lacrime, congelato la commozione.

Clint fu rapido come un battito d’ali. Le mani si agganciarono all’arco che teneva a tracolla, due frecce a seguire. Posò un braccio sulla spalla di Natasha e in una scoccata, colpì il vescovo, frenando la sua disperata corsa.

Lo vide assorbire il colpo, venir trascinato all’indietro dalla forza quasi sovrannaturale della spinta dei due dardi e accasciarsi ai piedi dell’altare, in ginocchio, in una definitiva preghiera.

Gli occhi vibranti d’odio si spensero lentamente sui due innamorati segnati dalla sua ingiusta maledizione, fino ad appannarsi del tutto, chiudendosi per sempre su quell’ultima immagine.

Nel momento in cui morì, un’onda oscura sembrò far fremere il pavimento della chiesa, il pulviscolo solare, fattosi nero, andò a sollevarsi dalle spalle del vescovo in un mulinello rarefatto che si sollevò fino a svanire, oltre la vetrata rotta.

L’eclissi era passata. La luce inondava di nuovo la chiesa, intrisa del tiepido calore del sole d’inverno.

Il silenzio statico del momento perdurò per qualche istante, come a permettere ai presenti di assimilare l’evento. Nessuno gridò all’orrore di quell’avvenimento. Nessuno sembrò pronto a piangere il vescovo. I pochi esponenti del clero rimasti a guardare, adesso aspettavano che la scena si sciogliesse di nuovo. Pronti, al contrario, ad accantonare il terrore e lo sgomento.

La fissità venne interrotta dal rumore dell’arco di Clint che rovinava a terra e del fruscio delle vesti che videro finalmente i due innamorati stretti in un abbraccio che avevano atteso per due lunghi, estenuanti anni.

“Natasha…” mormorò Clint, scostandosi, per guardarla in viso, ritrovare i suoi occhi, la sua pelle d’alabastro, i suoi capelli color del rame. Che adesso accarezzava, delicatamente, come se avesse a che fare con un sogno che da un momento all’altro poteva sfaldarsi, “li hai tagliati…”

La donna sorrise, godendosi il tepore della sua mano sul viso, la sensazione di essere di nuovo baciata da quello sguardo che le regalava il calore del sole estivo.

Le guance accese di vita, gli occhi ardenti di chi vuole inebriarsi di tutto ciò che sta osservando.

“Mi sei mancato… così… tanto”, mormorò sfiorandogli il mento, ruvido di barba, il viso, ad andare a passar le dita fra i capelli sconvolti dal vento di migliaia di voli.

Le sfuggì una risata, liberatoria, vivace. Un singhiozzo che Clint andò a coprire con le sue stesse labbra, ad eliminare definitivamente la distanza di quel lungo addio.

Se Fury distolse lo sguardo, Kate nemmeno si rese conto, così commossa com’era, di non riuscire più nemmeno a distinguere le due figure al centro della navata, baciate dalla luce di quel nuovo giorno. Si fondevano in un turbine di colori liquefatti, come fossero ora una cosa unica.

“Voi due!” trasalì solo quando la voce di Clint, andò a disintegrare il silenzio e lo scalpiccio dei pochi monaci che cercavano una via di fuga alla chetichella.

Kate si indicò, scotendo Fury per la manica della tunica. L’ex capitano delle guardie, ancora stretto alla sua innamorata, li richiamava con un ampio cenno della mano: “Venite qui…”

La risposta dei due non si fece attendere. Li raggiunsero, ancora frementi di emozione e Kate zuppa di lacrime nemmeno fosse passata sotto un acquazzone.

“Che la benedizione del Signore scenda su di voi… da questo giorno in poi.” Pronunciò Fury, la voce solitamente burbera e greve, animata adesso da qualcosa che Kate non riuscì inizialmente a comprendere. Ma si strinse a lui, cercando un abbraccio o forse fornendogli la forza per continuare a mantenere la sua aria imperturbabile.

“Io invece lo ringrazio per il giorno che ha deciso di rimetterti sulla nostra strada…” gli disse Clint, posandogli una mano sulla spalla. L’errore perdonato. L’involontario torto dimenticato. E poi, rivolgendosi a Kate: “Mentre tu… ragazzina…”

“Affettuosamente parlando, vero?” articolò lei, passandosi una mano sul viso, per cancellare il disastro di scie nere che andavano a svelare la sua commozione.

“Kate…”

“Ragazzina va benissimo, davvero…”

Natasha intervenne prendendole la mano, stringendola appena. Un gesto che non si era attesa più di quando le aveva detto, solo due giorni prima, dell’amore che provava per Clint Barton.

“Sei la migliore amica… che ci potesse capitare, Kate…” le disse, guardandola dritta in viso, con quello sguardo sincero e diretto che non ammetteva repliche, che non lasciava adito a dubbi.

Se sentì montare di nuovo quel groppo in gola, cercò di cacciarlo di nuovo indietro, a costo di inghiottirlo tenacemente, per dimostrare che no, non era una fragile contadinella di campagna che si faceva infinocchiare da una storiella romantica.

Ma quando Natasha si chinò su di lei, per il bacio d’addio, sentì le dighe straripare di nuovo e le ci volle l’abbraccio di entrambi gli innamorati e di Fury che si unì, suo malgrado, per arginare la dirompente follia del momento.

 

Lasciarono Clint e Natasha al centro della navata, a consumare di baci, sussurri e risate tutto il tempo perduto.

Kate la ladra e Fury il monaco, si affiancavano l’un l’altro, uscendo dalla chiesa, teatro di un miracolo più grande di quanto i suoi costruttori si fossero mai attesi.

Più grande di quanto Kate, in tutta una vita, si sarebbe mai attesa di vedere. Un’avventura che prima dell’infausto giorno della sua cattura, ancora non sapeva avrebbe mutato per sempre il corso della sua esistenza.

O… quasi.

“Mi aspetto di rivederti davanti ai cancelli del paradiso, piccola ladruncola. Non mi deludere…”

“Ci rivedremo lì, padre. A costo di doverne scassinare la serratura.”

 

___

 

Note:

E questo, signore e signori, era l’ultimo capitolo ufficiale della storia! Romantico ma spero non eccessivamente melenso. Però che diamine! Di tanto in tanto divertirsi con le storie d’amore con un lieto fine non fa mica male, no? Lo so, la storia così come si conclude sembra mozza, mancano un paio di spiegazioni, ma non temete, esiste un epilogo (non presente nella storia originale, ma una mia modesta aggiunta) e conto di pubblicarlo la prossima settimana. Perciò chiunque credeva di essersi sbarazzato di me… sbaglia (risata malefica di sottofondo).

Intanto mi sento di tirare un po’ le fila del discorso, ringraziando chi, in questi due mesi ha commentato la storia. E vado ad elencare: Frau Blucher, Hermione Weasley, missgenius, Divergente Trasversale, Ragdoll_Cat, _Atlas_. A tutte davvero grazie e spero di rivedervi per un ultimo saluto next week. Come sempre ringrazio la mia beta socia Sere, e le dedico questo capitolo in particolare perché se lo merita. Dall’inizio alla fine fluffosa. Perché #stupidjosswhedon, regna. E per altri moviti.
Per quanto mi riguarda lascio il discorso di commiato al prossimo capitolo. Per ora vi rimando alla prossima settimana!

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


EPILOGO

 

*

 

Non era poi così importante indossare delle vesti o degli stivali comodi.

Non quando lo stomaco si contrae in modo pessimo all’idea di una separazione.

Perché è a quello, che regali tutta la tua attenzione. Non ai vestiti, non al freddo, non ai capelli scompigliati dopo una notte insonne.

Kate fissava la strada che si dispiegava dinnanzi a lei con l’aria di chi ha un gran mal di pancia. Una contrazione muscolare di quelle dolorose. Sulla schiena una sacca colma di cibo e vestiti puliti. Ai piedi un paio di confortevoli stivali di cuoio.

Un regalo.

Clint e Natasha si erano assicurati che partisse comoda. Che non le mancasse nulla. A furia di regali l’avrebbero fatta ricca. O carica come un mulo.

Non c’era modo, secondo loro, per sdebitarsi con lei.

Non avrebbero potuto restare a lungo nei pressi di Aguillon, non dopo tutto quello che era successo.

Clint era sicuro avrebbe potuto trovare impiego, da qualche altra parte. E lo stesso avrebbe fatto Natasha.

Un nuovo inizio dacché la maledizione era stata spezzata. Potevano reinventarsi quella vita che non erano ancora mai riusciti a godersi insieme.

Kate pensava che non ci fosse un posto dove lei potesse star comoda.

Quindi adesso si trovava di fronte tante di quelle possibilità di scelta che, a raccoglierne a manciate, avrebbe dovuto passare giornate intere a selezionare le migliori.

Avrebbe potuto tornare a casa, nella sua terra natia, così come aveva deciso di fare Fury, partito la sera precedente.

Avrebbe potuto proseguire a sud, a cercare caldi estati e mari limpidi.

Avrebbe potuto restare e godersi la rinata città, adesso libera dall’oppressione dell’ingiusto vescovo.

O chissà che altro.

Ma invece di sentirsi inebriata dalla prospettiva, quel groppo in gola sembrava opprimerla, malandrino.

Alzò lo sguardo sul sole adesso libero da ombre, il tiepido calore del mattino che la illuminava senza riscaldarla veramente.

“Indecisa su quale direzione prendere?”

La voce alle sue spalle ormai l’avrebbe riconosciuta fra mille.

“In realtà sì, mia signora…” disse, con un sorriso che nascondeva ben altri tormenti.

“Dicono che il nord sia ricco di possibilità.”

“Dicono. Ma lo trovo un po’ freddino per i miei gusti.”

Clint stava sistemando Golia, poco distante. Pochi ed essenziali bagagli per i due innamorati che per il momento sembravano non aver bisogno di niente se non l’un l’altro.

Il modo in cui si guardavano, come parlavano fra loro, poche frasi concise che contenevano un universo a lei completamente sconosciuto.

Si era detta fortunata di aver potuto godere, sebbene per poco, di quel grande calore che insieme sembravano emanare. Una sorta di benedizione non richiesta. Qualcosa che era riuscito a smuovere quella sua coscienza raffreddata da troppa solitudine.

Non era sicura di poterne gioire, a giudicare da come si sentiva.

“Non sembri in forma, Kate.” Dovette fare uno sforzo per non confermare quel sospetto. Natasha sembrava avere un dono tutto particolare per intuire gli stati d’animo altrui.

“Oh, sono solo molto assonnata. Non sono riuscita a dormire granché stanotte.”

La guardò, mentre Clint le avvicinava trascinandosi dietro il grosso cavallo.

“Potresti restare ancora qualche giorno. Più tardi ci sarà l’annuncio del nuovo vescovo.” Le disse Natasha.

“Oh, nuovo vescovo… scusate se passo. Credo di averne avuto abbastanza di vescovi per un bel pezzo.”

“Per così poco?” la prese in giro il capitano, scompigliandole i capelli. Kate se ne sottrasse, fingendo di non poterlo sopportare.

“Chi credete che sarà il prossimo tiranno?” domandò invece, guardando in direzione della lontana Aguillon. Città da cui si erano allontanati immediatamente il giorno in cui avevano messo fine alla vita del vescovo. Nessuno sembrava però particolarmente intenzionato a dar loro la caccia. Solo non pareva una buona idea farsi vedere nei paraggi.

“Non credo di essere interessato a saperlo.” Ribadì Clint, dandole il pretesto per scoccargli un’occhiata comprensiva.

“Partite ora?” gli domandò quindi sorridendo al modo in cui Natasha si era fatta accanto al capitano, come se la sola idea di passare troppo tempo distanti potesse, in qualche modo, riattivare la maledizione. O forse solo un modo come un altro per recuperare tutto il tempo perduto.

Come se fosse un segreto che gli ultimi due giorni li avevano passati praticamente in simbiosi, persi in attività ludiche per cui li aveva invidiati grandemente.

“Sì, non abbiamo niente altro da sistemare qui.”

“Allora forse è arrivato il momento di salutarci.”

Clint e Natasha si scambiarono un’occhiata che lei non capì immediatamente.

“Perché non vieni con noi?” le domandò allora il capitano. Un’offerta tanto sincera e spontanea che dovette cercare anche lo sguardo di Natasha per l’approvazione.

L'unica cosa che però riuscì a fare, fu un passo indietro. A ritrarsi da quell’allettante proposta.

“Oh, non credo sia una buona idea”, disse, ignara di poter risultare sfacciata, “sono abituata a viaggiare da sola. Sono una ladra e un’avventuriera! Non posso avere legami, mi capite? Sto ancora aspettando la grande opportunità. L’avventura…” e mentre lo diceva cominciò di nuovo a sentire quel groppo in gola che sembrava non volersene andare più.

“Lo capisco.” Sorrise Clint, passandosi una mano sulla testa, quei capelli scompigliati che probabilmente sarebbero rimasti sempre così, a ricordargli i suoi trascorsi da falco. Si chiese se non gli sarebbe mancato potersi librare sopra il mondo, lontano dai problemi terreni.

In quel momento Kate si trovò a pensare che le sarebbe piaciuto ereditare quel dono.

“Allora non ci resta che salutarci…”

Kate gli allungò una mano, che lui si affrettò a stringere, prima di attirarla a sé, per un lungo abbraccio.

“Cerca di non metterti di nuovo nei guai, ragazzina.”

“Cerca di non farlo tu, bellezza.” Commentò, strappandogli una risata che, in parte, sembrò placare la sua angoscia. Che però, quando fu il turno di Natasha, diventò così opprimente che dovette affondare il viso sulla sua spalla per evitare di mostrarsi troppo emozionata.

Era una dura, lei… una dura che non poteva certo lasciarsi andare a simili sentimentalismi.

Si ritrasse di nuovo, allontanandosi di quei tre o quattro passi che impedissero loro di vedere i suoi occhi lucidi.

“E’ stata… una delle più emozionanti avventure che mai abbia vissuto”, disse solo, facendo loro un cenno di saluto, “una delle più grandi.”

Se non la più grande che le sarebbe mai capitato di sperimentare.

Esitò solo un istante, prima di dar loro le spalle e imboccare un sentiero a caso. Che fosse nord o sud, quello non le importava al momento.

Le lacrime avevano ormai preso a scendere copiose dai suoi occhi e, se si impedì di scoppiare in singhiozzi, fu solo per l’effetto del freddo.

Ma fu solo quando udì il rumore degli zoccoli del cavallo che la separazione si fece improvvisamente concreta, solida, straziante.

Sentì la sua coscienza stuzzicarla.

L’idea di un futuro ignoto e solitario, così come era sempre stata abituata. Abbandonata dalla famiglia, dagli amici, relegata di nuovo a quel suo volontario esilio. Si vide proiettata in un futuro dietro le sbarre, di nuovo. E il rumore di quella corda tesa, a scandire una miserabile fine.

“Signore, se stai cercando di dirmi qualcosa fallo con qualcosa di concreto”, singhiozzò senza trovare il coraggio di voltarsi indietro.

Quando le lontane campane di Aguillon presero a suonare - un suono festoso che però avvertì come lugubre presagio di sventura - il suo passo rallentò rapidamente. Mentre un brivido gelido le attraversava la schiena, impietoso.

Alzò lo sguardo al cielo, che continuava a restare limpido, pensando che fosse quello il segnale richiesto, per quanto improbabile. Un pretesto forse. Improvvisamente non ebbe più importanza.

“E se doveste avere un bambino?” si sentì pronunciare, andando a coprire il suono delle campane a festa. Il rumore degli zoccoli del cavallo si fermarono.

“O magari due! Perché non tre!” si volse, solo per rendersi conto che Clint e Natasha non si erano mossi di un passo. A simulare rumore di zoccoli che non si erano allontanati che di qualche passo, in circolo, come se le avessero dato un'ultima, definitiva possibilità di ritrattare.

Li maledisse appena con lo sguardo, provando al contrario una sorta di liberazione.

“Solo se è lui a partorirli”, rispose Natasha indicando Clint che non poté far altro che toccarsi il ventre come fosse davvero in dolce attesa.

“Bè, in ogni caso avreste bisogno di una balia. Ho una grandissima esperienza con i bambini, sapete?” disse, azzardando solo un passo nella loro direzione, “non sono sicura di avervi mai raccontato di quella volta che ebbi a che fare con un'intera nidiata di giovani virgulti dell'alta società. Non ero che io stessa una fanciulla con il latte alla bocca.”

“Non credo tu ce l'abbia mai raccontato, no. Ma il viaggio è lungo, immagino avresti tutto il tempo di farlo”, la assecondò Natasha mentre il capitano Barton le faceva un esplicito cenno a raggiungerli, finalmente.

“Diavolo sì... certo se avete orecchie abbastanza sane da sopportare tutti i tormenti delle mie mirabili gesta!” esclamò cominciando a correr loro incontro, mentre le risate permeavano l'inizio di quella nuova intrigante avventura.

Un concerto di note acute e cristalline, più gioiose di quelle di un cappio che si tende.

 

*

 

La processione della nomina del nuovo vescovo cominciò a sciamare verso l'interno della chiesa. L'eco del canto gregoriano scandiva con forza le celebrazioni, cercando di coprire la potenza spirituale delle campane a festa.

La neo nominata eccellenza, vestita con gli abiti talari, sbirciava con curiosità quel crocifisso dall'aria decadente che si intravedeva da una delle porte laterali, in attesa di percorrere la lunga navata che conduceva all'altare.

“Vostra grazia... siete pronto?” domandò una voce sottile alle sue spalle. Un piccolo prete dall’aria sparuta. Timoroso quasi di interrompere quel momento di raccoglimento carico di emozione... aspettativa.

Era pronto? Era pronto da molto tempo ormai.

Il bel giovane dai capelli corvini si volse a sfoggiar il suo miglior sorriso, colmo di sacrale beatitudine.

“Lo sono. Possiamo procedere”, disse.

I suoi occhi color del ghiaccio, scrutarono il piccolo prete che iniziò a fargli strada per iniziare finalmente le celebrazioni.

Prese un profondo respiro. Represse la risata che premeva per uscirgli dalle labbra e dopo aver scacciato quel sorriso carico di compiacimento... Loki fece il suo primo vescovile ingresso.

 

The end.

___

 

Note:

Siamo finalmente giunti all’epilogo. Alla conclusione di un’altra storia. E così come sempre succede si prova un po’ di malinconia, non senza lanciare la rinnovata promessa di ritrovarci presto o tardi con qualcosa di nuovo. Mi sono davvero divertita di riportare in vita una storia simile e se sono riuscita a strappare qualche sorriso (e a far conoscere, anche solo incuriosendo, il magnifico personaggio di Kate Bishop) con questo azzardo, non posso che esserne felice.

Come nel precedente capitolo  non posso esimermi dal ringraziare chi ha voluto spendere un po’ di tempo recensire e regalarmi un parere: Frau Blucher, Hermione Weasley, missgenius, Divergente Trasversale, Ragdoll_Cat, _Atlas_, Sarugaki145 (non credo di essermi dimenticata nessuno, in caso vi autorizzo a ricordarmelo). Ringrazio come sempre, ma mai in modo scontato, la mia beta socia Sere, che mi ha caldamente consigliato l’epilogo, perché ci si sostiene sempre in modo ammirevole in questi deliri, soprattutto quando qualche malvagio regista tenta di affondarli. Ma non ci riuscirà mai. Ringrazio anche chi è solo passato in visita. E insomma, come concludere? Spero di tornare presto con qualcosa di nuovo. Di finire quello che ho in corso. Ma di non perdere mai l’entusiasmo. Me lo auguro… moltissimo. A tutti a presto. E buona prossima primavera a tutti!

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