La gabbia d'oro

di Applepagly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Virtù ***
Capitolo 2: *** Serenità ***



Capitolo 1
*** Virtù ***


La gabbia d'oro
 
Nessuno ti vuole vedere.
Nessuno ti vuole parlare.
Nessuno ti vuole ascoltare.
  Vista, voce, udito. Tutto ciò che ho sempre avuto per gli altri; tutto ciò che gli altri non hanno mai avuto per me.
Io so vedere ed osservare, ma nel buio truculento l'unica cosa distinguibile è il nulla che si fonde con la propria anima; io so parlare e cantare, ma nella prigionia dell'oblio l'unica cosa pronunciabile è un tacito urlo di vendetta; io so ascoltare e capire, ma questa capacità è futile, se nessuno è disposto a vedere e a parlare con una fata legata alle catene del suo stesso orgoglio.
 Poi arrivasti tu; ti costrinsi a guardarmi, a rispondermi e ad obbedirmi, mio prezioso burattino di ghiaccio.
  Vista, voce, udito. Tutto ciò che non hai mai avuto per gli altri; tutto ciò che gli altri hanno sempre avuto per te.
E, quando un lampo di consapevolezza e sangue balenava sul tuo viso, il tuo sguardo era schernitore, la tua risata sardonica. L'unica cosa che non avevi dimenticato, in quel momento, era sapermi ascoltare.
 
  - Sei rimasta sola, Areta?
Una domanda retorica; come tutte quelle che le poneva, d'altronde. Perché la Madre sapeva e fingeva di non sapere. - Sì .- disse la bambina. - Nessuno vuole stare insieme a me, vero?
Non aveva mai visto il volto della Madre, ne conosceva solo il tono pacato e serio, autoritario. Ancora non aveva compreso di essere solo una marionetta assoggettata al folle giuoco del demone della rovina; e come avrebbe potuto? Così piccola, così innocente e dannatamente potente.
- Nel nostro sistema non è concesso di perdere tempo per soddisfare il capriccio di una sciocca infante.
 Una risposta glaciale come il cuore del demone della rovina.
- Chi potrebbe mai provare desiderio di starti accanto?- continuò, imperterrita. - Chi potrebbe sperare nella tua amicizia?
- Nessuno.- replicò quella, scoppiando in pianto.
- Non hai motivo di dar sfogo ai tuoi sentimenti, piccina. Non è colpa tua, se sei diversa da tutte noi... Ma, se diverrai abbastanza potente, forse un giorno l'intero sistema si piegherà al tuo volere, e la tua singolarità sarà fonte di ammirazione ed invidia. Trattieni le tue emozioni, piccina; mutale in un'arma infallibile.
  Si congedò, e la bambina tornò in solitudine.
Ma qualcosa cambiò, e una fiamma ardente andò pian piano sostituendosi al flebile bagliore.
 

  Sei rimasto solo, Jack?
Dove sono i tuoi amici? Dov'è la tua felicità? Dov'è lei?
Oh, beh, questa è una risposta semplice per com'è semplice la domanda; lei è morta, l'ho uccisa io.
E non perché sia stata la Madre, a stabilirlo; e non perché lei fosse una traditrice del sistema, no...
Perché è stato piacevole.
  Lei era divenuto il centro del tuo mondo, ormai, l'unica persona che ti fosse rimasta; nel momento stesso in cui entravo nella tua cella, impugnando uno strumento di tortura, la tua prima domanda non era cos'avessi intenzione di farti...
La tua prima domanda riguardava lei. Lei, lei, sempre lei!
Sempre a chiedermi come stesse, come l'avessimo trattata, se l'avessimo torturata! Sempre ad insultarci e a giurare vendetta contro di noi, quando, come risposta, venivi a sapere che, sì, l'avevamo torturata.
 Ti preoccupavi più per la sua incolumità che per la tua; e per questo motivo ti ho punito. Perché quella fata stava diventando la tua unica ragione di vita, e tu appartieni solo a me.
 Voglio vederti, vedere il tuo sorriso spento, i tuoi occhi assenti e il tuo corpo devastato dalla disperazione; voglio godermi il momento in cui anche la tua ultima speranza s'infrangerà.
 
  - Salute a voi, Lady Areta.- è il formale saluto rivoltomi da una fata di rango più basso. Segue un inchino profondo, come è consuetudine fare verso i propri superiori.
- Salute.- replico, oltrepassandola. Il tragitto per giungere alle segrete è piuttosto lungo, ma è necessario che un prigioniero tanto pericoloso sia sorvegliato laddove non può essere sentito. Laddove non si possono sentire le sue urla, i suoi gemiti di dolore.
  Ed ecco questa rampa di scale, che si snoda verso il basso.
Mi ero sempre chiesta a cosa servissero le scale, ad una comunità di fate che sono benissimo in grado di volare; poi un giorno scoprii che alcune di esse ne erano state private. E' così che viene punito il furto.
 - Salute a voi, Lady Areta!- ripete un'altra guardia, appena tocco terra - Quale metodo intendete usare, stavolta, per farlo parlare?
Un sadico sorriso si fa strada sul suo volto fanciullesco, e mi conduce allo stanzino in cui sono custodite centinaia di arnesi di varie tipologie; ma io ho in mente qualcosa di ben diverso.
- Per oggi non avrò bisogno di niente.- affermo. - Ho qualcosa che sarà ben più doloroso di una ferita.
La soldatessa annuisce, e mi fa strada verso la camerata dove risiede il mio burattino; la porta mi si chiude alle spalle, cigolando gravemente.
- Sei qui.- è il flebile respiro che proviene dal fondo della stanza.
- Non potevo certo mancare.- dico, avvicinandomi a lui; è completamente buio, ma io sono abituata a vivere nell'oscurità. - Come sta, lei?- domanda, apprensivo.
- Oh, lei sta bene. - sorrido. Ho intenzione di divertirmi un po'. - Anzi, direi che dove l'abbiamo mandata ora, sta anche meglio.
- Davvero?! L'avete trasferita?- chiede sorpreso. Quanto mi diverto, a sentirlo gioire per qualcosa di fittizio. - In un luogo in cui si sentirà a suo agio... Ah, no. Dimenticavo che lei avesse tradito il nostro sistema... e il tradimento è il peggior peccato, sai?- asserisco.
 Tace, interdetto; non riesce a comprendere il senso di ciò che dico.
- E' perfino più vile dell'omicidio... e chi se ne è macchiato brucia tra le fiamme dell'inferno, Frost.
Ora lo sto guardando negli occhi, nel blu magnetico di quelle iridi, in cui si fa strada un barlume di consapevolezza. E, subito, gli si mozza il fiato. - No...- singhiozza. - No...
Gli avvolgo il viso tra le mani, ma si divincola; - No... No...! No!
Delle calde lacrime gli rigano le gote, e io vi avvicino le labbra quanto basta per assaporarle.
- Piangi.- sussurro. - Piangi.
Ancora, tenta di sfuggire la mia presa, ma le sue intenzioni deviate da uno schiaffo in pieno volto; quanti ne ha già ricevuti?
- Come avete potuto?!- esclama, tra i singulti. - Lo avevi promesso! Avevi promesso che le altre fate non le avrebbero fatto niente!
- E' vero, - affermo, afferrandolo per i capelli. Voglio che mi guardi. - avevo promesso che loro non le avrebbero fatto niente. Sono stata io.
 
  - Eccola, Madre! E' lei!- esclamò una giovane fata, con voce affannosa.
La matriarca avanzò lentamente verso la piccola figura che, con aria impaurita, cercava di liberarsi dalla stretta morsa di quei lacci. Che aveva fatto di male? - Sarebbe costei?- sentì chiedere dalla donna.
Non poteva vederla, era tutto buio. - Quanti Inverni hai, piccina?- chiese, avvicinandosi a lei. Riuscì a scorgere il bagliore di quegli occhi; e li scoprì verdi, come le foreste e le praterie d'estate.
Due grandi smeraldi la scrutavano curiosi. - Trenta... trenta Inverni.- mormorò tremando.
La Madre rimase sorpresa; com'era possibile? - Così giovane... eppure così pericolosa...- le sussurrò.- Dimmi, piccina: sai cos'hai combinato?
  Quella scosse la testa; voleva solo essere lasciata libera. Sarebbe tornata nel bosco a giocare con i suoi amici, a guardare le stelle nel cielo e a contare le foglie della grande quercia della radura. - Hai distrutto il Regno, piccina. Migliaia di fate hanno trovato morte per colpa tua. Adesso, spetterebbe a te assaporarla.- proseguì la donna. La piccola fatina fu presa dal terrore.- Ma possiamo trovare un compromesso; sei d'accordo?
L'altra annuì; e molto tempo dopo, avrebbe preferito non averlo fatto. - Scelta saggia. Guardia!- chiamò la matriarca. - Va' a preparare la gabbia d'oro, subito!
 

  Da giorni non sta più mangiando.
Durante il lungo periodo in cui è stato qui, ha difficilmente toccato cibo; ma la speranza della libertà, la speranza di essere lasciato andare, un giorno, gli dava una motivazione più che valida per ingerire il minimo indispensabile. Adesso è diverso.
- Non avrebbe senso essere libero.- replica lui. - Non se non c'è lei.
E' questo che non comprendo. Pensavo si sarebbe presto dimenticato, di quella fata.
Pensavo di allentargli in qualche modo le catene, così; o forse le ho allentate solo a me? No, ho fato la cosa giusta. - Mi odi, non è così?- domando, afferrandogli la chioma. Sottili filamenti albini mi scivolano tra le dita; non sono più soffici come la prima volta che li presi nel palmo della mano.
- No.- la risposta mi lascia perplessa.
  Ho passato gli ultimi trecento Inverni ad addestrarmi con i prigionieri più temibili che avessimo. Mi sono state insegnate tecniche di ogni genere, procedimenti che implicavano l'utilizzo di strumentazioni varie e complesse. Ma uno dei carcerati, ripeteva sempre che il modo più doloroso per ferire un essere vivente fossero i suoi sentimenti.
 Ho torturato ognuna delle vittime che il prefetto del reparto militare mi inviava; ladri, assassini, traditori, stupratori... Gente di ogni tipologia. Alla fine di ogni tortura, facevo loro una promessa; e la mantenevo sempre. Mi vedevano sparire e ritornare il giorno dopo, con la testa della persona a loro più cara in mano.
E allora, urlavano, straziati. Mi avvicinavo loro e pronunciavo la mia domanda, che è sempre suonata più come un'affermazione. - Mi odi, non è così?
  Perché? Perché ora non ottengo questa certezza?
- Non potrei mai odiare una creatura spacciata.- sorride amaramente Jack. Spacciata?
- Cosa ti fa pensare che io sia spacciata?- chiedo. Verrà punito, per la sua insolenza. - Guardati. I tuoi panni sono logori, la tua pelle dilaniata. E tu, nel tuo squallore, hai ancora il coraggio di ridere?
Non smette di sorridere. Punta i suoi occhi nei miei. - Sì. Tu eri spacciata sin dalla prima volta che comparisti su quella soglia, quando sibilasti il mio nome con disprezzo. Lo ricordo ancora.
 
  Gli andò incontro, e gli fu dinnanzi in un guizzo.
Jack non aveva mai visto molte fate e nessuna gli era mai parsa bella come Dentolina; ma questa... questa era qualcosa di stupefacente. La slanciata figura di colei che lo avrebbe presto massacrato gli stava di fronte, e il ragazzo poté notare le profonde cicatrici che le rigavano il corpo.
Sottili vene smeraldine giocavano ad accarezzarle la pelle verdognola, fino ad intrecciarsi e a disegnare grandi, possenti e luminose ali. - Chi sei?- le domandò.
Non ottenne mai risposta, nemmeno negli anni a seguire. La fata gli strappò un bacio, un bacio che portava con sé un sapore ferroso. - Fredde.- gli soffiò lei. - Le tue labbra sono fredde.
Gliele morse fino a farle sanguinare; poi le riavvicinò. - Ora vanno meglio.
Il ragazzo non capì più cosa stesse accadendo; - Che problemi hai?- domandò, ridendo. Non che gli dispiacesse ricevere un bacio da un simile spettacolo, ma...
Subito uno schiaffo lo centrò in pieno volto, sulla guancia destra. Fu molto strano perché, guardando con la coda nell'occhio, vi scorse una singolare ustione nera. - Non osare, Frost. Non osare.
- Non devo osare a fare cosa?- rise sornione. Ben presto avrebbe imparato a mettere freno alla sua spavalderia. In tutta risposta, l'ustione cominciò a bruciare, sempre di più, sempre di più; fino a quando non perse quasi del tutto i sensi. L'ultima cosa che vide furono due grandi occhi verdi. Erano freddi e crudeli; ma dentro di essi, vi poteva chiaramente notare la confusione.
- Iniziamo a giocare, che ne dici?
 

  Non voglio la sua commiserazione; non voglio quella di nessuno.
- Non posso odiare qualcuno che non conosce l'amore.- continua, imperterrito. - Sarebbe come rubare a chi non ha niente... E, per quanto tu possa aver fatto soffrire lei, immagino di poterti perdonare.
  No, questa non è compassione. Come si chiamava...? Empatia? No...
- Jack...- mormoro. Mi zittisco; questa non è la mia voce. Dev'essersene accorto anche lui, perché ha sgranato gli occhi.
Io conosco questa voce, - Vuoi vedere una cosa?- è la stessa che avevo molti Inverni fa; prima che la mia pelle divenisse verde e come lei i miei occhi; prima che il sorriso diventasse sghembo e sanguinoso.
  Seguimi, Jack. Vieni a vedere la gabbia d'oro.
 
 
Angoletto tutto mio:
Buon pomeriggio a te, che sei arrivato/a alla fine di questo... ehm, racconto!
Ebbene... Questa storia è nata qualche mese fa; avevo iniziato la sua stesura circa a dicembre e poi il file è rimasto sepolto nel computer. Oggi, poiché particolarmente ispirata per cose strane e particolarmente angst, ho deciso di riprenderla in mano, ed eccoci qui.
Non è una long lunga (toh ,che gioco di parole!), durerà al massimo uno, due capitoli ancora, più o meno così. Spero di non averti sconvolto troppo... Non mi sono mai cimentata in una storia del genere; l'idea mi era venuta da un disegno che avevo fatto di questa fata da me inventata, Areta, la protagonista, che allora era ancora senza nome e senza lesioni mentali.
So già che molti criticheranno negativamente questa storia; forse perché troppo forte ed inadatta ad un contesto come "Le 5 Leggende". Ma io vi dico che questo racconto non è mirato a sfigurare personaggi come Jack o Dentolina, rendendoli troppo maturi rispetto a come appaiono nel film. Le ho solo riproposte in una situazione diversa. In ogni caso, fatemi sapere cosa ne pensate, anche con una critica, che io apprezzo purché costruttiva!
E ora vi saluto, altrimenti queste note si fanno più lunghe del capitolo... Alla prossima!
TheSeventhHeaven
 

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Capitolo 2
*** Serenità ***


 
La gabbia d'oro
 
  - Riesci a camminare?
Gli ho già posto undici volte la stessa domanda, nell'arco di poche ore; e lui ha sempre risposto affermativamente. Ma mi rendo conto del fatto che non riesca a camminare.
- Sì.- replica infatti. Ha un'aria sconvolta. - Perché continui a chiedermelo?
  Beh, è difficile da ammettere, - Non c'è un motivo particolare.- ma per una volta mi pento di ciò che ho fatto. E' malnutrito, sporco e porta ancora segni evidenti delle ultime frustate. Quelle non gliele ho impartite io. - Cos'hai intenzione di fare, ora?- domanda, cercando di sedersi su un gradino. E' molto difficile per lui mettere a fuoco le immagini; ha passato troppo tempo nella più completa oscurità... come me, del resto.
 - Mi pareva di avertelo già detto. - insisto. Lui scuote debolmente la testa. - E a me pareva di averti già detto che è folle. Non fuggirò. Ormai non ho più alcun motivo per farlo.
Non capisco. Tutto ciò mi provoca una grande sensazione di fastidio; e di rimorso... - Invece è proprio quel che farai, Jack! Non vedo dove sia il problema.- anche se so benissimo quale sia.
Il Guardiano sospira, sconsolato. Lo osservo, e realizzo una cosa.
Sì, proprio come quando realizzai il vero motivo per cui la Madre mi prese con sé, mi impedì di stringere legami con chicchessia, di vedere la luce... Quando lo capii, rimasi sconcertata per qualche istante; subito dopo mi ci abituai, quasi fosse stata la cosa più naturale del mondo.
 Quel ragazzo, quel ragazzo che mi sta davanti, stanco, non è Jack Frost.
Da quel che mi si raccontava, Jack Frost era un individuo dalla peculiare indole birbona, scaltra ed infantile. Quando lo portarono nelle segrete del castello e lo conobbi, rispecchiava perfettamente quella figura che era stata dipinta nel credo popolare: insolente, sbruffone, sempre con un sorriso arrogante stampato in volto.
Ora non è più così. Ora è una persona rassegnata, e la cosa peggiore è che sono stata io, a renderlo così.
- Dentolina non c'è più.- afferma in un soffio. Non lo dice per rivangare la cosa, quanto più per farsene una ragione. - Non ho un motivo valido per cui azzardare una fuga. Chi c'è, là fuori, ad aspettarmi? I miei compagni?- ride amaramente. - No... Se gli fosse importato qualcosa di me, mi avrebbero già trovato da un pezzo. - forse dovrei dirgli della guerra che li sta tenendo impegnati. - Non c'è più nessuno, per me - prosegue. - e non sono abbastanza in forze da poter tentare di scappare. Non ho nemmeno il mio bastone.
- A quello posso provvedere io.- asserisco. Lui ride di nuovo. - Ecco, un altro problema sei tu.
Io? Un problema? - Se fuggissi, saprebbero subito di chi è la colpa; e lo hai detto tu: per voi fate, il tradimento è il peggior peccato. - spiega. Si sta preoccupando per... me? - Ti ucciderebbero.
- Questa dovrebbe essere una motivazione più che valida, non credi? Potresti vendicarti.- non so perché lo stia cercando di convincere. Ma, forse, farla finita sarebbe la cosa migliore. Non farei più male a nessuno, e magari un giorno potrei essere perdonata. Ora mi guarda negli occhi.
E' l'unica persona a cui permetta di farlo, a parte la Madre.
- Tu non meriti la morte. - ecco perché questo, non è Jack Frost. Se avessi ucciso la sua amata anni fa, la prima cosa che avrebbe fatto, una volta messo in libertà, sarebbe stata venire a cercarmi. Sgozzarmi nel sonno, darmi in pasto ai cani. - Non ho bisogno della tua commiserazione. Non è per questo che ti ho portato nella gabbia d'oro.- replico, seccata. Lui sbianca subito; deduco che la visione lo abbia profondamente turbato. - E allora perché?
  Già, perché? Perché mostrargli il luogo dove ha avuto inizio il mio incubo?
Forse avevo bisogno di essere compatita, forse volevo solo spaventarlo ulteriormente; forse volevo renderlo consapevole di cosa sono capaci le fate, forse volevo che capisse.
Oppure, semplicemente, forse avevo bisogno di parlare.
- Non è cosa che ti riguardi.- sibilo. - E comunque, non è affar tuo, quel che mi accadrà quando te ne sarai andato; anzi, non capisco perché ti importi così tanto. Sono solo una sconosciuta che ha passato gli ultimi Inverni a torturarti.
- Come tu non capisci perché mi importi "così tanto", io non capisco la ragione per cui tu sia disposta a correre rischi per la mia libertà. Oppure entrambi la conosciamo, - filosofeggia. - ma nessuno vuole crederci.
...Cosa sta insinuando?
- Non penserai che possa provare qualche sentimento,- tento di dissuaderlo. Tutto ciò mi mette alquanto in soggezione. - oltre all'odio e alla rabbia. Hai visto, tu hai visto; di conseguenza sai.
Di nuovo, il suo viso è attraversato da un lampo d'inquietudine.
 
  - Riesci a camminare?
Quella volta, non annuì subito. Riusciva a camminare, ma non vedeva nulla, come nella sua cella; con l'unica differenza che ivi perorava un modesto tanfo di carogna.
Le loro voci rimbombavano, perciò doveva trattarsi di un ambiente ampio e spazioso; eppure, Jack non riusciva a fare a meno di sentirsi soffocare. - Sì.- riuscì a rispondere. - Anche qui è tutto buio.
Il buio gli ricordava una sua vecchia conoscenza, e questa vecchia conoscenza aveva a che fare con la paura.
E infatti. - I primi giorni li trascorsi così, nelle tenebre, a tremare per il freddo. Avevo appena trenta Inverni. La Madre mi aveva portata qui perché, come ho scoperto molto tempo dopo, così avrei sviluppato maggiormente le mie capacità sensoriali ed avrei affinato quelle tecniche e spirituali. - cominciò a spiegare Areta. Non lo aveva mai raccontato, non ai vivi, almeno. Scoprì che, in un certo senso, fosse liberatorio. - Non c'era nessuno; eravamo solo io e i miei pensieri. Io e le mie paure. Io e la mia solitudine.
  Jack non avvertì una nota di dolore, nel racconto. Non avvertì niente di niente, implicito nella voce della fata, diversamente da ciò che chiunque altro avrebbe fatto; semplicemente, lei stava riportando quanto accaduto, senza provare la benché minima emozione. Oppure aveva sofferto così tanto, che ormai nulla faceva più differenza.
- E... quest'odore?- domandò, temendo la risposta. - Perché tenerti in queste condizioni?
- Oh, quello è venuto dopo, quando iniziò il mio addestramento al buio.- rispose soltanto.
Jack non comprese, - Vuoi che faccia luce?- ed ebbe paura a risponderle di sì.
 

  E' solo un'eco lontana, eppure io la sento distintamente, come fosse vicina.
- Prendi la mia mano. - gli tendo il braccio. Lui non capisce.- Fa' come ti dico.
Dobbiamo, devo sbrigarmi, altrimenti nessuno dei due sarà libero; stanno già arrivando. Non avranno trovato il prigioniero e nemmeno la sua aguzzina. Due più due fa quattro e i pesci non volano.
  Sento la sua mano scheletrica aggrapparsi al mio avambraccio sinistro; trema. E' una sensazione pessima, soprattutto perché le sue dita sono fredde, ed io odio il freddo.
- Così una folata di vento ti porterebbe via.
Non è da me, fare dell'umorismo; però temo potrebbe mollare la presa, con le poche forze che ha.
- Ma che succede?- chiede frastornato, mentre da dietro lo afferro per il busto. Subito si irrigidisce e mi viene da ridere. - Succede che o ci affrettiamo, oppure questa sera saremo parte della collezione di teste della Madre.
  Mi alzo in volo e faccio mente locale delle direzioni che potrei intraprendere; ma ciascuna di queste sarebbe facilmente rintracciabile. Tranne una, forse.
- Jack, se non ricordo male, avevi un amico umano.- da quel che mi pare, aveva un legame con un bambino, tempo addietro. Era stato di grande aiuto, durante la battaglia contro il Padre.
- Jamie...- lo sento sussurrare. - Sì, ma ormai sarà un adulto e non ricorderà più nulla di me e degli altri Guardiani... Perché?
- Perché le fate odiano i bambini umani e non possono avvicinarsi troppo a loro. - rifletto. Lui mi guarda allibito. - Ho sempre creduto che le fate li amassero.
Possibile che non abbia ancora capito nulla? Le fate non sono le creature buone e servizievoli che tutti credono; non più, almeno. - Comunque, non so cosa tu abbia intenzione di fare, ma mettimi giù.
- Non se ne parla.- dico subito. - Ora ti porto via. E' a ovest di qui, giusto?
  Ormai non ha nemmeno più la forza per provare a farmi cambiare idea. Annuisce. - Cosa ne sarà di te?
Già, cosa ne sarà di me? Subito mi balena in mente un'idea.
- Vedremo. Quel che conta, ora, e scappare da questo castello maledetto.- mi volto solo un attimo.
Eccola là, la radura dove sorge la sua reggia. Il luogo dove sono stata imprigionata per trecento Inverni, alla mercé di una pazza, perché quella donna è pazza.
La progenitrice di tutte le fate; lei, insieme al Padre, il mostro. La combinazione peggiore di tutte.
Entrambi odiavano i Guardiani e, laddove lui ha miseramente fallito, lei sta perorando. Li ha quasi sconfitti e, dopotutto, mancano di due membri; ma sono sicura che un giorno riuscirò a riscattarmi.
Perché adesso ho capito il mio errore; e non posso dare la colpa solo alla Madre, che ha voluto che crescessi come una macchina di morte. Sono stata io a portare avanti il suo progetto, spesso anche provandone piacere.
  Ora, portandoti via da me, Jack, inizierà il mio processo di purificazione.
Ricordo di aver detto, una volta, nella quiete della gabbia, di amarti. Puoi crederci?
Sì, dissi di amarti, dissi che saresti stato solo mio; ma tu non sarai mai mio, e così dev'essere. Così doveva essere... Il mio non era amore, solo una semplice ossessione.
- Sai, - dice flebilmente, mentre sorpassiamo fitte boscaglie in volo. - non mi hai mai detto il tuo nome.
 E non so che tipo di sentimento sia quello che ora mi corrode il petto, non l'ho mai provato prima; so solo che è terribile e stupendo al tempo stesso, e mi chiedo come abbia fatto a viverne senza per tutto questo tempo. - Il mio nome...
Vuoi sapere il mio nome o come vengo chiamata...? - Non è quello, vero?- continua. - Ho sentito alcune guardie chiamarti così. Areta.
Arguto. - No,- scuoto la testa. - il mio vero nome è Atarassia.
Lo sento ripeterlo un paio di volte, in un sussurro, come se stesse facendo chissà quali congetture mentali. - Credo che ti si addica, in questo momento.- sorride poi. - Certo, è un po' pesante.
Ridiamo insieme; e di nuovo, quella voce fragorosa e gentile viene fuori. Ecco com'era Atarassia, trecento Inverni orsono. Ho passato la mia vita in solitudine; ma ora qualcuno mi vede, mi parla e mi ascolta. Non sono più sola.
- Jack. - lo chiamo; si sta assopendo. Non so se riuscirò davvero a fare quel che ho in mente, dopo averlo lasciato a questo fantomatico Jamie. - Ti chiedo - è difficile da dire. - di perdonarmi.
Lui annuisce un po' di volte, e non capisco se sia già addormentato o meno. - Jack, ascoltami.- lo scuoto.
Niente da fare, dorme come le fate appena nate che vidi una volta; piccole e delicate, come i petali di fiore su cui il soffio della Madre e del Padre le aveva poste. - ... Il bastone!- esclamo a voce alta.
  Devo tornare indietro.
- Non fa niente.- dice, in un momento di lucidità. - Non voltarti.
Già; non voltarti, Atarassia. Guarda avanti, sei quasi arrivata. Un forte sospiro proviene dalle labbra dischiuse di Jack, ed è la prova che sta definitivamente dormendo.
Sono fredde, ma questa volta non voglio che sanguinino.
E' un lieve bacio, un bacio d'addio; un bacio che non esiste.
 
  Inizialmente fu abbagliato da tutta quella luce, e avrebbe preferito restare così.
Alzò lo sguardo. Cadaveri in via di decomposizione erano appesi alle sbarre più alte di una gabbia d'oro; alcuni parevano umani, altri erano fate, altri ancora erano irriconoscibili, tanto erano sfigurati.
La maggior parte dei corpi era mutilata o sventrata.
- Arrivavano qui ne buio ed iniziava lo scontro. La mia vita o la loro, - spiegò Areta. - e io ovviamente  preferito la mia. Avevano coltelli, sciabole,- proseguì, senza notare l'orrore negli occhi del Guardiano - armi di ogni genere, che puntualmente si ritrovavano puntate contro.
La figura di una giovane donna, fissava Jack con un'espressione spaventosa. - Ecco perché, benché fossi in grado di accendere la luce, ho sempre preferito il buio.
Questa gabbia d'oro è una presa in giro. Tutto lo è.

 
 
Angoletto tutto mio:
Ed eccoci qua! Buonasera a chiunque non sia morto dalla noia.
Lo ammetto: il capitolo non è stato pieno d'azione e probabilmente vi sarete stufati di leggere. Ma mi era necessario.
La complessa personalità di Atarassia (in origine, lei non doveva avere anche un altro nome) viene un poco a galla, come ciò che ha subito durante l'infanzia; il fatto che solo alla fine venga fuori il suo reale nome sta ad indicare il piccolo o enorme cambiamento avvenuto dentro di lei (grazie al nostro lovely Jack ).
E... che altro dire? Sono contenta di aver finalmente pubblicato questa cosa che giaceva sepolta e dimenticata! Riguardo alle fate, la loro nascita, il Padre ( che penso abbiate capito chi sia) mi sono inventata tutto, ma una spiegazione logica c'è, e credo che presto arriverà un'altra breve long in cui verrà chiarito ( perché io muoio dalla voglia di far muovere Pitch!).
Ora vi saluto; fatemi sapere se avete trovato la storia almeno apprezzabile, se avete rinvenuto qualche orrore grammaticale... Insomma, ditemi la vostra!
Alla prossima longy!
TheSeventhHeaven

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