Erano sporchi e rozzi

di Blacket
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***
Capitolo 22: *** XXII ***



Capitolo 1
*** I ***


Erano sporchi e rozzi 1 Note: Ebbene si, ho ceduto, e mi cimento in una raccolta dedicata a Germania Magna. Tenevo a far presente che, per mio diletto, mi cimenterò fra i più vari rapporti ed esperienze che lo stesso personaggio ha potuto tessere nella sua vita, lasciando una mia preferenza verso nipoti e strane chicche storiche che cercherò con piacere.
Spero di non annoiare, magari incuriosire un poco su un personaggio tanto ignorato ma incredibilmente bello- lasciate pure un commento in caso di richieste, consigli o semplici opinioni. Non fanno mai male!
Aprendo parentesi inutili, ringrazio anche i lettori di Tempo Antico per il loro supporto! Grazie infinite, sto iniziando ora la stesura del prossimo capitolo, anche se temo ritarderà un po'.
Un grazie grande e sentito, buona fortuna e in bocca al lupo a qualunque studente disperato e indaffarato come me. Buona lettura!
Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), Gilbert (Prussia, Ordine dei cavalieri Teutonici).





Erano sporchi e rozzi -I-



C'era Ariovisto che era una montagna piena dei suoi inverni, che veniva chiamato sia Reiks* che Vati e preferiva cingersi il capo di foglie di pini quando chinava la testa davanti si suoi sette fratelli di sangue, che si vestiva di edera e camminava fra le saette di Mjollnir.




Gilbert cinguettava tremori e disappunto, ed era simile alle ombre che fuggivano al fuoco e si schiantavano sul guado e le punte azzurre della foresta silvestre; allungate, tremolanti, in piedi perché d’obbligo e arroccate al focolare- poiché se davvero avessero avuto scelta, le fiammelle tremolanti sarebbero fuggite verso il cielo coperto dalle stelle dei Pyth***, lontano dagli occhi felini e i denti scuri e storti dei germani.
Vi erano volte in cui Ariovisto lo chiamava Loki e figlio delle streghe, e Gilbert non tremava ma sibilava contrariato il disappunto d’un pulcino ferito che altro non era. Eppure ora avrebbe preferito pestare fango sul proprio orgoglio o farsi rubare arco e frecce da Bavaria, e s’immaginava d’inseguirlo divorando il sottobosco e avvertendo le frustate degli arbusti verdi picchiare il viso rosso e sudato.
Avrebbe preferito –e lo rimuginò con drammatico rammarico- seguire Ostarrichi** nelle sue danze storte e pericolose, poiché a quanto pareva non vedeva granché, piuttosto di incontrare di nuovo il volto di Vati- il vecchio aveva mani grandi quanto vanghe, e spesso le usava in nome della misericordia. Divina, per carità, per Thor e Wotan, purché dessero più forza e coscienza ad ogni sberla andata a segno.
-Vati. -
Ostentò la sicurezza e spavalderia d’un ermellino, sospirando superiore per sminuire il tremolio alle ginocchia e l’impellente bisogno di andare in bagno- strinse le piccole gambe, spennacchiato com’era, assumendo la posa d’uno storpio, più che d’un condottiero.
Rigirò fra le mani la treccia bionda, vilmente strappata al padrone.
-Posso anche ridartela, se vuoi.-




*Con l'appellativo Reiks si designava il capo di più tribù dell'area Germanica. Data la differenza fra queste, è possibile riscontrare differenze fra pronuncia e scrittura.
**Antico, primissimo nome documentato dato all'Austria da Ottone I.
*** Con Pyth s'intentono i Pitti, Britanni, noti per la loro incredibile conoscenza della volta celeste e lo studio delle stelle.

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Capitolo 2
*** II ***


erano sporchi e rozzi 2 Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), Ottavianus (Impero Romano).  



Erano sporchi e rozzi -II-






C’era Ariovisto che era stato schiavo senza avere mai catene ai suoi polsi, che inveiva e voleva essere libero,

che aveva il muschio delle sue terre ai piedi e fuggiva dal loro fango sterile.


Si tiravano a bocconi i sospiri fra le none*** di Luglio, dove Apollo frustava la domus lucinea coi suoi raggi del mezzogiorno; si chiudeva sull’atrium e dava vapore e caldo e vampate rosse, inumidiva con fastidio le membra scoperte dalla tunica, lasciava latrare i pavoni del cortile.
Ed era tanto beffarda, quell’afa sibillina sulla Roma Imperiale e cocente, che pareva voler espellere corpi estranei a lei- ed Ariovisto era rosso in volto, i capelli aderenti al collo, la saliva arsa sul palato.
Stava dirimpetto di guardia, e Ottavianus  lo scrutava con quell’orrida benevolenza di dominus predatore e curioso, infossato pigramente sul triclinio, dove mani e labbra giocavano coi dolci datteri di quel suo caro Egitto. Sollevava il sorriso placido al caldo, le fauci ad ornare la barba curata e il fegato ridondante di sana provocazione- qualche sciocco pensiero finì agli angoli della bocca, prima di sputare i noccioli dei frutti ed insudiciare i sectilia* di pesci e vino.
-Ariovisto, finisci di parlarmi di quella tua tradizione**…- mimò con le mani, grandi ed ora ammorbidite dal vino e dal benessere, gli occhi felici pronti a scottare la tunica incredibilmente umile e romana avvolta con disprezzo e costrizione sui muscoli tesi del germanico.
Sfuggì poi a Roma un sogghigno grave, simile più allo sbuffo consumato della cenere, gli graffiò la gola come vino fermentato a miele. Non si sarebbe sentito chiamare dominus.
-Avanti! Termina quel tuo discorso, di adulterio, matrimonio..- ogni parola era gesto, le dita che fendevano l’aere bollente come i ricci pesanti, -…di morale tanto repressiva, per Giove, del non poter avere rapporti prima dei vent’anni.-
Sorrise di nuovo, Ottavianus, poiché la stizza dello straniero lo punse sottopelle, attraverso laudi di odio e ribellione, di bacche rosse, delle acque torbide del Reno. L’interesse verso il suo servo indocile l’avevano portato a volergli costruire catene sempre più lunghe e serpentine, e di voler udire il grugno violento di lui ed il suo ingenuo osservare l’alphabet.
Schiuse le labbra, noncurante, in un moto di tenera ed essenziale necessità.
-E dimmi, Ariovisto, tu quanti anni senti di avere?-





Note:
*I sectilia sono mosaici, posti sul pavimento; più che usuali nelle domus romane- il nome di quest’ultima, fa poi riferimento al nome umano che ho sempre scelto per Impero Romano, Lucio.
**I Germanici avevano regole ben precise riguardo alla sfera sessuale. Adulteri, stupri, cedimento all’istinto comportava una pena incredibilmente cruda, sia per l’uomo che per la donna. Il primo poteva avere una e solo una moglie con cui consumare il matrimonio e viceversa; i rari casi di doppi matrimoni erano voluti solo dalla politica delle tribù.
Inoltre, un uomo era definito vigoroso e maturo solo se non avesse avuto rapporti prima dei vent’anni- sciogliere questa regola morale, comportava spesso l’ostracismo da parte della comunità.  Incredibile!
***dal calendario romano le none corrispondono al 5 e al 7 del mese.
Dimenticavo! Il raiting potrebbe eventualmente salire con l'avanzare della raccolta.

Ringraziamenti:
Grazie a chiunque abbia letto, inserito fra ricordate, preferite o seguite- apprezzo sempre. Un grazie particolare a Mina damn stars per la sua recensione!
Accetto volentieri anche richieste, nel caso vi fossero, poiché è straordinariamente divertente muovere questo personaggio e il suo intorno.
Alla prossima, Blacket.

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Capitolo 3
*** III ***


Erano sporchi e rozzi 3
Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), Sacro Romano Impero Germanico.



Erano sporchi e rozzi -III-



C’era un piccolo Impero che ventava d’esser Sacro, che voleva farsi bagnare dalla *Bora e dallo Scirocco assieme e guardava Vati con occhi da brigante,
che aveva un corpo debole e viveva col sapore del sangue in bocca, ma che sapeva amare.


“Non reagisce”, e ad Ariovisto scricchiola la maschera fatta di nodi e fronde, di pini profumati, di bestie di fango- cigola prepotente sulla fronte e agli angoli della bocca, innanzi ai movimenti squilibrati d’un fagotto bianco.
“Non ha forza”, ed il Reiks portava le dita sulle piccole mani bianche, che a vederle parevano più esser piume, picchiettava insistente sui palmi minuti sperando che lo artigliassero ed avvolgessero e fossero ora l’edera rampicante di Freya** sui suoi guanti di pelle, e non secchi steli di paglia.
“Non è in grado di muoversi”, e la paura, terribile e ferina suscitata in eugual modo dai demoni dell’est***, lo portava nella sua foresta, a dilaniare scaglie di corteccia e fronde fresche che erano in verità i suoi figli- fendeva con l’ascia gli arbusti snelli, e li sentiva gridare indocili e pretendeva scuse, poiché avevano donato immensa vita a lui ed un misero germoglio secco al suo fragile erede.
S’addormentava quindi sfatto, pieno ancora dell’odore dell’erba e della bile e quando gli occhi verdi non brillavano più di rugiada fresca, accanto al piccolo e biondo neonato che pretendeva d’appartenere solo alle nubi.

Fu nel mese melodioso dei gigli in fiore che Ariovisto si svegliò storto, e non vide né luce né polvere sul legno dei suoi boschi, tantomeno le risate fresche del principe Bavarese- poiché quell’effimero impero gli strinse l’indice della mano arcera****, e lo fece con forza e irruenza ed impavida determinazione. Strinse tanto forte, il piccolo, che gridò tutto il suo sforzo, e lo fece sulla giovane primavera, sul riso del nonno.









Note:
*Molto più semplicemente, venti che provengono da Nord e Sud, ad indicare l'area "Romana" e quella Germanica.
**Freya, la dea norrena della vita naturale e per alcuni anche della bellezza, fecondità, fioritura. Gli dei dei miti norreni son personaggini interessanti, consiglio a tutti di dare loro un'occhiata!
***Occupazioni da parte degli Unni, o quantomeno popolazioni nomade dell'antica Asia entrate in contatto con popolazioni baltiche e germaniche.
****In breve, la mano usata per tendere l'arco, mano portante dell'arcere (la destra, per Ariovisto).
Per chiunque mi abbia chiesto riguardo a "Tempo Antico": causa studio ed esame e l'impegno che richiede la fic in sè vi sarà un po' di ritardo, ma in compenso aggiungo a ruota scenette che credo potrebbero piacere.


Ringraziamenti:
Grazie, lettore, per aver seguito la storia! Invito a recensire chiunque abbia appunti o richieste da fare, le accoglierò volentieri entrambe.
Grazie agli utenti che hanno inserito fra le seguite, preferite, ricordate, ed un Grazie speciale a Tsukiakari, che mi ha lasciato due bellissime recensioni. Un abbraccio!
Alla prossima, Blacket.

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Capitolo 4
*** IV ***


Erano sporchi e rozzi 4 Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), Scandia, Britannia (Albione).





E
rano sporchi e rozzi  -IV-



C’era Ariovisto che aveva pelle pallida e segnata da solchi grezzi*, e come lui il Signore dei Norreni** ed il padre Celta; c’era Britannia che era come loro, e aveva di blu dipinta la pelle scarlatta, aveva il suo vissuto sulle giunture ed il suo valore sulla schiena, leggibile solo da un Dio che era primo e plurale***.


La pelle sfrigolava, risentita, sfibrata e squarciata da una lama sottile, e subito affogata nelle tinture nere e nelle bacche di sambuco. Il candore vien bagnato di rosso e terra battuta, ed Ariovisto morde le labbra e sgrana gli occhi poiché le parole piene strinate dal fratello sono nuove e mai udite, parlano di morti e di Dei.
-Questo è il tuo vero nome*, Ariovisto!-
Puntò la scheggia puntuta sulla base del collo snello e chiaro, pressando e vedendone sangue- scarlatto a bagnar l’aria umida, disegnava forme che cadevano nel silenzio, e sconosciute ai più drizzavano la guardia verso la fucina incandescente.
-Ha suono, ma noi non sappiamo pronunciarlo,- Scandia imbracciò meglio la pasta nera, negli occhi chiari vi erano riflesse tre punte di freccia, un rapace che andava completandosi, -e i morti potranno sentirne l’odore, farlo loro.-
Deglutì, passando le dita callose sulla spalla del giovane guerriero; deglutì, poiché se impugnava il tizzone come Thor col suo diletto, il sospiro era volto alla persona cara e al rispettoso tremore che l’accarezzava- sapeva di selva, fango e stelle.
Vi fu un sussulto mormorato, un tendersi consapevole quanto inevitabile.

mio, e i morti non lo vedranno.- sussurrò, Ariovisto, le mani strette in grembo ed il collo pulsante, lo sguardo fisso al tramonto strepitante di fuochi, il cuore balbettante.


{...}


Albione era bella perché fatta della terra dei vulcani, perché rossa tutta e selvaggia; camminava con un piede nell’al di là e ne conosceva i segreti, li tesseva sulla brunea volta celeste, e non v’era nulla che potesse stupirla se non la primavera inattesa o il canto acerbo delle cicale.
Britannia aveva la criniera fatta di bacche rosse, la sfiorava con le dita agili quando qualcosa sfuggiva alla sua comprensione- fu Ariovisto a notarlo, seguendo la danza invisibile di lei che piano si spostava alle sue spalle. Il viso scottato dai braceri, l’occhio ora sibillino a scrutare frustrato la sua figura.
Il Reiks posò l’idromele burrascoso ed insieme a lui il vociare strinante e sgraziato dei suoi uomini a terra e sotto il velo della nebbia, perché Albione, che si tatuava periodicamente di sassi e del blu dei mari*, stava pizzicando con curiosità le cicatrici scure sulla sua schiena; vagando dalla spina dorsale alle spalle, dal busto a scostar i capelli.
S’accorse solo poi, il povero barbaro, dell’inquietante sfacciataggine con cui la strega dipinta tentava invano –perlustrando, digrignando i denti, sbuffando!- di rubargli il nome.






Note:
*IMPORTANTE!
La tradizione del tatuaggio in questo contesto è in realtà molto affascinante. Nonostante fosse meno praticata dai Germani, era comunque presente in tutta la cultura nordica e celtica. I tatuaggi stessi avevano significati incredibilmente importanti: quale il nome, le battaglie vinte, il proprio valore, a volte la discendenza.
I britanni, ad esempio, aggiungevano tatuaggi in base al vissuto, poichè combattendo nudi (o quasi) in battaglia, il corpo avrebbe dovuto parlare al nemico prima di loro. Utilizzavano tinture blu e tatuaggi sottocutanei, ed erano anche loro avvezzi ad avere un nome "vero", illeggibile per gli uomini, ma tramandabile solo dalle donne (da madre in figlio- appunto, la madre, conosceva il significato del proprio nome prima del matrimonio così da aggiungere qualcosa di suo a quello del pargolo).
Ovviamente vi sarebbe molto altro da dire, e chiunque avesse altre informazioni o correzioni, non esiti a dirmele!
**Meglio noto come Scandinavia, non mi sono risparmiata alcun epiteto. Ho omesso volontariamente il nome, in quanto ho preferito che passasse l'idea che dietro al gesto del tatuaggio vi fosse Paese, tradizione e cultura.
***Antica religione dei britanni, che prevedeva un Dio multiforme, dalle più essenze. Nel caso voleste informarvi, wikipedia ne parla sicuramente meglio di me.

Ringraziamenti:
Grazie a chiunque sia interessato alla raccolta e continua a seguirla; è un piacere per me sapere che scrivo anche per intrattenere o informare qualcuno.
Grazie a McBlebber (che saluto, e che ringrazio spesso di persona), che mi ha lasciato un paio di gentilissime recensioni.
Rinnovo l'opzione delle richieste e del commentino o opinione a riguardo.
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** V ***


Erano sporchi e rozzi 5 Capitolo per Tsukiakari!
La tua richiesta mi ha fatto molto piacere, non aver timore dal pormene altre! Spero sia di tuo gradimento, e mi scuso per il ritardo, causa impegni.

Note: ho voluto ambientare il capitolo in epoca moderna, immaginando ipoteticamente che sia possibile per Magna Germania, come per Nonno Roma, visitare di tanto in tanto i propri nipoti. Forse in modo inusuale, ma non si può mai dire.
Si tratta di un capitolo abbastanza semplice, poco pensato, ma è stato molto carino scrivero!
Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), Ludwig Beilschmidt (Germania), Gilbert Beilschmidt (Prussia).




Erano sporchi e rozzi -V-



C'era la famiglia, che sapeva di birra e grano, di una risata, sapeva di preoccupazione e di pesche, di primavera e stelle.



“L’uomo è un animale sociale”
, Ludwig lo pensa deglutendo, lo farfuglia sul rifiuto palese del nonno di usare le posate, sul parlato di Gilbert che pare più un latrato gorgogliante.
Ariovisto aveva osservato il bel nipote biondo con apprensione e vergogna, non volendolo disturbare e credendosi nel giusto ad afferrare salsicce e purè con le mani, ed immergendovi le dita- non badava a macchia, rimasuglio fittizio di olio colante, e i bicchieri!, i bicchieri –per wotan- sono così fragili, Ludwig!
Il nonno mangiava, e nel mangiare combatteva; per lui si era ancora seduti su tronchi di legno, la tavola sulle proprie ginocchia ed il fuoco a scottare il naso gelato dal freddo. Inopportuno era quel gracile coltellino che avrebbe potuto usare come stuzzicadenti, inopportuni i tovaglioli se si potevan impiegare le mani, e diabolico quel forno che emetteva solo lamenti.
Eppure Vati ha uno sguardo dolce, ha un imbarazzo che è più orgoglio mentre lo sfiora sperando di non essere interrotto- e Ludwig non ha forza e abbastanza coraggio e cuore per disturbarlo mentre violenta letteralmente la sua tavola.
-Vecchio, voglio farmi un tatuaggio.- Gilbert biascica, tocca più volte il diretto interessato e si fa gonfio come i pavoni persiani, si mostra credendo di aver un’impavida coda brillante quando invece svetta sul capo la piccola cresta da galletto, -dopotutto ne hai uno anche tu!**-
Sbaglia, lo sciocco asino albino, quando afferra la criniera del Reiks e la tira, schioccando il palmo della mano destra sulla nuca del grande guerriero.
Sbaglia –e Ludwig lo sa, poiché per un momento ha visto negli occhi del nonno la ferocia di Arminio e Ariovisto*, la furia dirompente che aveva divorato le terre del Danubio e sbranato gli imperiosi inverni dei suoi monti, i petti squarciati dei suoi nemici.
Vati alza il braccio come se Odino avesse dovuto regalargli le saette del suo cadetto, e questo era spesso quanto un tronco e docile come le rozze asce affilate dei Nibelunghi***.

La sberla che ricevette Gilbert suonò secca pari ai tuoni- e fu data con incredibile precisione e maestria, e fu tanto chiara, che la povera signora Rahm –più sorda che in salute- si svegliò stupefatta dal suo riposo pomeridiano.









Note
:
*Importanti condottieri legati alle tribù Germaniche. Da come avrete notato, Ariovisto ha preso nome da uno dei due.
**Riferito alla tradizione celtica (o nordica, si potrebbe dire) del tatuaggio, che ho specificato nel capitolo precedente.
***Nani, presenti nella mitologia norrena, viventi sottoterra. Erano in grado di forgiare armi incredibilmente belle! Ho inserito "rozze" solo per poter dar più enfasi alla carezza ricevuta da Vati.

Ringraziamenti:
Un abbraccio a Tsukiakari e McBlebber che recensiscono sempre! Grazie anche al lettore che si prodiga per seguire e leggere; grazie a chiunque sarà così gentile da lasciare un commento, fa sempre piacere. Accetto richieste di qualsiasi tipo!
Avviso in ogni caso che i ritardi saranno dovuti agli esami, in bocca al lupo a tutti i poveri studenti che si trovano nella mia stessa barca!
Alla prossima, Blacket.

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Capitolo 6
*** VI ***


Erano sporchi e rozzi 6
Personaggi: Ariovisto (Magna Germania)


Erano sporchi e rozzi -VI-





Al lupo!, e le foglie gracchiano, le lanterne si spengono, si congiungono le mani e si trattiene il sospiro- al lupo, al lupo!, e i denti battono, le radici fremono, la foresta tace.



Era buia e viscida come il serpente del mondo*, la notte borbottante, la notte silente che non mostrava luna e sorelle stelle; e se mai vi fossero state, queste erano inghiottite da un’ingorda selva, nera e tanto scura da coprire i propri sentieri e lasciare i rumori sgraziati e deformi a guidare l’avventuriero.
Latteo, Ariovisto trema e rivede il proprio viso scavato- il volto d’un bambino gelato coperto di terra e muschio; le piccole mani sostano nell’aere denso, immobili e guantate di terrore.
Ah!, ed ecco quel rumore, di foglie sibilline, d’un passo scoordinato. Un lamento, il mugolare della nottola, il sospiro affaticato e il grido rotto delle cortecce brune, che mai si sarebbero potute distinguere in quel violento mare d’ombre.
Il piccolo guerriero aveva il cuore battente negli occhi spalancati, l’udito teso allo strinare impietoso degli animali e delle altre bestie che chinavano la testa sotto alle fronde- Al lupo, pensa Ariovisto, e come il bambino che era agì seguendo quel terribile moto primordiale che è la paura: strinse a sé l’albero più vicino come fosse sua madre, ed estratto un coltellino iniziò a salire irto di singhiozzi e sporcandosi le ginocchia di sangue- graffiando la corteccia, sentendosi pungere dal brusio malato della foresta.
Sentì gli elfi** mordergli le piccole gambe magre, i rami tendersi al suo passaggio sospingendolo verso l’alto- ed un tratto si fermò, artigliando il tronco con la stessa forza che impiega l’eroe ad uccidere la belva, tremolante e cieco poiché aveva ai piedi avvinghiata la paura, nelle indocili lacrime il timore dello sconosciuto.
Rimase immobile, “perché i rami sono sospinti solo dal vento e non parlano mai, e nemmeno ansimano, nemmeno lacrimano”.

Fu un baluardo rosso teso all’orizzonte, fiero ed inarrestabile, il sole. Sospinse la nebbia ed il cielo tinse le proprie gote, si annunciava silente nella placidità dei dormienti- ed era giallo, era oro ed era tanto bello che imbarazzava le nubi rade.
Colpì il tremolio isterico di Ariovisto, e i denti cominciarono a battere; la tensione si aggrappò maligna agli occhi bagnati e stanchi e trafitti dal gelo, al singhiozzo successivo, al riso commosso, ad un sussurro- “sono vivo”.
Accarezzò le scaglie fredde del tronco, si gonfiò il petto tanto piccolo ma forte, perché la foresta nera ora era sua. Scrutò febbrilmente le mani graffiate e ispide, le mani selvagge che nascondevano un’anima talmente indomita da non essere pari a quella di un uomo.

“Al lupo”.








Note
:
Si, questo è un piccolissimo Magna Germania, che per iniziare ad essere ciò che diverrà, entra in contatto e si lega alla sua terra in modo tanto sofferto. Plausibile?
*Il serpente del mondo, nella mitologia norrena, è figurato come uno dei figli di Loki, acerrimo nemico di Thor- appunto un serpente dalle dimensioni esorbitanti, capace di coprire la circonferenza della terra.
**Gli elfi in realtà, sono molto lontani dalla versione diafana e mistica che ci viene propinata. Dal germanico antico, Elfo è un vocabolo derivato da "incubo", ad indicare esseri infidi e maligni.

Ringraziamenti:
Grazie al lettore che prosegue gentile con la lettura, grazie a chi inserisce fra preferite, seguite, ricordate, ed un abbraccio forte a chi lascia un commentino e mi fa sapere che ne pensa: McBlebber e Tsukiakari, che recensiscono ormai ogni capitolo. Grazie mille!
(Le richieste son sempre ben accette!)
Alla prossima, Blacket.

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Capitolo 7
*** VII ***


Erano sporchi e rozzi 7 Personaggi: Ottavianus (Impero romano), Ariovisto (Magna Germania).



Erano sporchi e rozzi -VII-





"C'era Roma, la Roma Imperiale, che mangiava e beveva da fiumi dorati e si sporcava del rosso sangue nemico, che si coronava della propria bieca filosofia, che latrava versi amorosi e abbracciava mari e laghi come se fossero state sue fonti."


-Lavatelo, profumatelo, per Giove! Fate che somigli più ad un uomo!-
Ottavianus cianciava, parlottando a mezza voce e lasciando che la barbetta curata si ornasse di commenti; e le labbra piegate in una smorfia teatrale, le mani arraffando brusche l’aria spessa e il frusciare composto della familia in opera.
I drappi pesanti venivano sciolti, ed i mosaici erano ora alla portata del sole; odoravano d’oro e lussuria, della ceramica colorata e preziosi vetrini- v’era il rosso bruno ad azzuffarsi con le lanterne, la luce gemeva e mugolava negli anfratti d’una domus che strepitava ricchezze innanzi ai preparativi del banchetto.
“Si, di Ottavianus, quel tale dal sorriso pieno e le maniche gonfie di danari!”, sì tanti che cibo e vino urlavano già d’esser portati alle lettighe e di bearsi delle danzatrici orientali e nubiane dalle incantevoli movenze.
Eppure il dominus rideva giocondo, nel suo divertimento che aveva gusto tutto suo- osservava ilare quell’imperfezione che s’era imposto di raddrizzare in occasione del ricevimento, quel biondo barbaro che abbaiava contrito addosso ai servi che si pronunciavano a vestirlo, massaggiarlo e vezzeggiarlo.
Aveva grugnito e rizzato il pelo come un lupo, sbarrato gli occhi sulle mani dei servi che poco cautamente lo spogliavano- e Ottavianus capì di non poter più trattenere quel suo riso che sapeva di polvere e cenere, quando Ariovisto gli aveva vomitato addosso un sentito consiglio su come e dove poteva ficcarsi quei dannati oli profumati.







Note:
Si tratta di un capitoletto davvero sempliciotto, ma lo trovo simpatico emblema della personalità di ambe le figure.
Ovviamente, le usanze legate al banchetto romano sono appena lievemente accennate in questo piccolo frammento (quali le tende che vengono scostate per mostrare il meglio della casa, i mosaici ai muri, tenuti durante il giorno al riparo dal sole), e non pretendo certo di poterlo figurare al meglio con così poche parole.
Come già intuito, qui Ariovisto è schiavo, in posizione ovviamente inferiore rispetto a quella di Roma. Si era soliti preparare per bene i "pezzi rari" della schiavitù, mostrandoli ovviamente come proprietà- da qui il volerlo lavare, profumare, vestire adeguatamente.

Ringraziamenti e avvisi:
Grazie a chiunque voglia leggere e continui a farlo seguendo la raccolta, grazie a chi inserisce nelle seguite, preferite e ricordate. Grazie infinite anche a chi lascia un commento: per me è essenziale capire che tipo di lavoro sto compiendo su una personalità quale quella di Ariovisto (come le altre presenti), ed è un piacere immenso sapere che qualcuno mi regala parte del suo tempo per lasciare un commentino. Grazie, Tsukiakari e McBlebber!

Causa esami di maturità fanfiction in corso quali questa e Tempo Antico (che devo assolutamente aggiornare) ovviamente rallenteranno o si soffermeranno per il tempo necessario alla mia liberazione.
Grazie, alla prossima!
Blacket.

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Capitolo 8
*** VIII ***


Erano sporchi e rozzi 8 Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), Aestii.


Erano sporchi e rozzi VIII






C’era il Fiore del baltico* che s’affacciava sul tremendo boato delle streghe**, che decorava i propri abiti di ghiaccio e sostava silente nella sera a baciare l’aurora taciturna e lontana, che divideva la propria terra con la polvere degli Unni e assieme a gigli mangiava cenere.


Il buio sfrigolava denso, ed era la mano fiacca che slacciava le tende, il cielo bruneo  a tastare le punte irte degli abeti in cerca di calore. Vi era il borbottio del fuoco ad accarezzare le membra stanche, e tale era il grugno di Ariovisto, arroccato sì violentemente sul volto e nelle sue espressioni aguzze, volte al silenzio della foresta e quei diavoli** che parevano abitarla, agli occhi stanchi di Aestii.
Ella era fata e bardata d’acciaio, si premurava di coprirsi di teli e nascondere il viso coi capelli e il fango e fasciava il fisico fibroso disegnato da erba e polvere con le proprie mani fredde- ma gli occhi! Li avrebbero potuti donare alle fornaci delle fucine di Andvari*** per poterne fare corone d’edera e gemme. Ariovisto aveva sentito il suono della sua voce poche volte, ed il silenzio di lei era fresco e curioso e ornato da un placido orgoglio contadino.
Baltica, che danzava ed alzava il capo come una cerva, gli fu vicina e si mosse irrequieta, passando le dita fra i capelli biondi, sui fianchi, ad intrufolarsi indiscrete fra le pelli che lo coprivano. Lo carezzò come poteva far la farfalla docile col fiore, con curiosità e inadeguatezza- andando a coprire un ruolo non richiesto, ed un tratto si liberò della pettorina.
Lo sguardo di Ariovisto era confuso, diafano e sconvolto al pari d’un bambino, lo sguardo verde di selve e prati a sfiorare per sbaglio le curve di lei- si mosse una mano, il pollice, l’indice a tastare la carotide e poi il petto, i seni morbidi e la pelle tesa.
-Fermati donna.- un sospiro che ancora odorava di malto e sangue e muschio,- non rifiuterei ciò che mi dai, ragazza del nord. Ma non mi serve ora.-
Un fruscio tiepido, le pelli che nuovamente coprivano, silenzio placido e fatto di fresche foglioline verdi, un’innocenza tanto scontata da suscitar sorriso.
-Non sono in guerra, e tu non sei preda.-
Il biondo guerriero ne guardò gli occhi, di nuovo, ed erano neri ma umili e buoni, erano tanto brillanti e sagaci da creare imbarazzo nelle più alte stelle.  






Note
:
*Epiteto e fronzoli per indicare Aestii, nulla di che.
**Coesistenza fra le popolazioni nomadi dell’est e quelle baltiche- le prime denominate “streghe” o “diavoli” a causa dell’orribile aspetto.
***Andvari (vigilante, protettore) nella mitologia norrena, copre il ruolo di uno dei primi nani creati e dimoranti nel sottosuolo. Nonostante i Nibelunghi siano degli eccellenti fabbricatori di gioielli e armi, la storia che ha legato la figura mitologica è ben altra: essendo caduto in un inganno di Loki, dio degli scherzi, e dovendo a quest’ultimo tutte le sue ricchezze, Andvari maledice la sua più brillante perla: un anello magico.

Ringraziamenti e Avvisi:
Come sempre, ringrazio il buon lettore che mi segue, sperando non stia soffrendo il caldo come me. Grazie a McBlebber, che commenta con estrema puntualità -un bacio!- e grazie a chi ha un riguardo verso la mia raccolticciola.
Oltre a ribadire il fatto che accetto richieste, sottolineo l'irregolarità o la momentanea sospensione delle pubblicazioni di questa fic come Tempo Antico, causa esami. Odio esser ripetitiva, ma meglio avvisare piuttosto che niente.
Buone vacanze (e buona fortuna ai miei colleghi maturandi), alla prossima!
Blacket.

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Capitolo 9
*** IX ***


Erano sporchi e rozzi 9
Personaggi: Roderich Eldestein (Austria), Ariovisto (Magna Germania)



E
rano rozzi e sporchi -IX-





Vi era il giovane Norig* che aveva il pelo irto dei cervi e l’incidere dei falchetti boschivi, le mani di fango e fra i capelli sospiri di querce, che dormiva parlando agli astri e fra i rami delle foreste.

-Vati, vati, guardami!- pigolio rotto, ansante, disperato quanto furioso e acutissimo; il pulcino che ancor inciampa nei ramoscelli del nido, e le ali ingombranti e lo zampettare goffo. Roderich calpestò impudente le felci, il volto bagnato di polvere e umida terra a decorare l’impugnatura tesa- ne vide i tendini, Ariovisto, sui polsi magri e le dita aggrappate con forza all’arco, sulla pelle livida dal freddo.
Si udì il borbottio stremato del giovane uomo, brucare pochi passi in direzione del Reiks, tornare sui propri ed osservarlo caricando di tutta quell’importanza e urgenza il suo richiamo, abbaiato distrattamente.
Il piccolo furetto batté le mani, si liberò della polvere prima di imbracciare l’arma e posizionarsi, fiero e indomito come poteva esserlo un cucciolo fra i suoi simili, gli occhi preziosi aggrovigliati ad un frutto molle e dolce, reso docile dalla primavera.

Provò una volta e mancò il bersaglio. Seguì uno sbuffo, il rossore perché “Vati è lì che mi guarda, Vati è lì”.
Riprovò due, tre volte e la freccia pareva ancora sospinta da un vento sfavorevole; scoccò la quinta, si arrabbiò e ne scagliò una sesta, ed un grido strozzato ne uscì al fallimento della nona.
Roderich sentì il gran peso degli occhi immortali di Ariovisto sulla schiena, li immaginò a frugar parole di disappunto, chinandosi poi curvo quando una mano forte e potente gli prese il fiato.
Le dita del Reiks erano ruvide e calde, erano enormi e stiravano il visino sporco come avrebbe potuto fare la cuoca preparando le focacce speziate della lontana Roma.
- Ostarrichi**, tu non vedi bene.-
Ed il piccolo annaspò immobile, e si ruppe solo quando si sentì sollevare: pianse per l’arco, per le frecce sprecate, pianse ad alta voce e uggiolando e bagnando ciocche di capelli biondi; pianse anche per Gilbert, pianse la sua inettitudine e rimpianse addirittura i cibi vivaci e saporiti del Mediterraneo- e quelle lacrime, Vati, le avrebbe tenute tutte per sé.








Note:
*Antichissimo nome utilizzato (anche dai celti) per indicare la zona austriaca, appunto “Nor”, sta per Est e “Rig” ha la stessa configurazione di Reich in tedesco.
**Anche questo, antico nome dell’Austria, coniato più tardi rispetto all’Impero Romano. Nonostante si tratta di un nome affibiato da Ottone I, quindi già alla scomparsa di Magna Germania, ho voluto marcare la differenza fra un prima e dopo, scanditi dalla nascita di Roderich come bimbo.

Cose da dire:
Cavoli, sono riuscita ad aggiornare prima dell’esame! Scrivere mi aiuta ad alleviare la tensione, sia mai che Ariovisto mi presti un poco della sua indifferenza.
Ringrazio di cuore Tsukiakari, che commenta sempre in modo curioso e simpatico; ringrazio anche le carissime persone che mi hanno scritto a proposito.
Non sarebbe male, ricevere qualche nuova opinione o recensione- sto elemosinando ma col cuore.
Buono studio o buone vacanze, alla prossima!
Blacket.  

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Capitolo 10
*** X ***


Erano sporchi e rozzi X

Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), la famiglia germanica.

Noticine: Ho sempre desiderato riportare l’incredibile fascino delle storie che venivano narrate oralmente al tempo- caratteristica imprescindibile di questo popolo, che ha influenzato pesantemente la cultura fiabesca del nord Europa.
Nel caso vi piaccia (o no), nel caso abbiate qualcosa da dire, suggerimenti o richieste da riportare, una piccola recensione non sarebbe male (sto strizzando l’occhio con eloquenza). Grazie, e Buona lettura!

 

 

Erano sporchi e rozzi  X

 

V’erano i Celti che seguivano docili il moto della luna*, che era meridiana e donava a loro i propri spicchi, che beveva il buio della notte e vegliava sull’incauto che borbottava circa la fiera Brunilde e dei tranelli delle streghe.


Se Ariovisto si soffermava a lungo vicino al fuoco bollente, allora Gilbert drizzava le orecchie feline.
Lo curava sagace, ornandosi del sorriso dei folletti del sottobosco e cinguettando speranzoso- le pupille rosse si gettavano distratte sul Reiks e la schiena curva, e più volte andavano a toccarne i capelli silvani e le spalle ampie, le mani callose intente ad intrappolare sanguinacci e pane.
S’alzò quindi la guardia sentinella del piccolo barbaro bianco, e a seguire zazzere scomposte più simili a fieno;  Bavaria si morse il labbro e così lo imitò Sassonia, il figlio di Ottone** fece un passo ed altre piccole manine nervose lo seguirono.
Credendo d’esser silenti, si avvicinarono a Vati bisbigliando e pestando la terra, raggiungendolo fintamente composti e seri quando ancora in volto avevano fango e graffi sgraziati. Sorridevano piano ai piedi di Ariovisto, le guance piene e gli occhi brillanti, il portamento che voleva essere meritevole d’un premio nella sua infantile rigidità e l'intrepido ed innocente desiderio che faceva dei cuccioli lanterne luccicanti. 
Come di consueto, il mantello tanto caldo e logoro venne tirato un paio di volte- certo, dall’ambasciatore di quel piccolo esercito malato, dal giovane diavolo dagli occhi di brace che intendeva cinguettare più di altri.
-Vati! Vati, ce la racconti una storia?-
Ed Ariovisto non rispondeva mai, poiché aveva in bocca ancora il sapore dolce del pane, ed attendeva di finire, osservando divertito e nascosto la testolina bruna di Ostarrichi che addirittura faticava ad osservarlo- e d'un tratto il grande uomo alzava le mani e gli occhi dei freschi guerrieri divenivano limpidi come le stelle, si sbarravano come su un burrone sulle parole del Reiks.
Egli parlava di creature innominabili, di entità terribili e umili paladini pronti al sacrificio; borbottava del potere terribile dell’inganno e della salvifica furbizia, e sussurrava arcani sul buio della foresta, invincibile e pericoloso -vivo ed infido e astuto- perché la sua prole era nata impavida e doveva imparare ad averne paura.
In quelle sere la luna sorrideva cara ad Ariovisto, che fingeva di sorprendersi quando uno dei suoi figli si picchiava la fronte ascoltandolo, perché “no, Vati, ma non è possibile!”, e le parole fluivano serene- sinfoniche su note alte, che appartenevano alle orecchie di nessuno, se non al gorgogliare sicuro del fuoco.




Note:
*I celti misuravano il tempo con la luna. Spesso, i ritrovi e incontri avvenivano di notte in una sequenza precisa del mese. Come ovvio, i ritardi erano sia abbondanti che condonati.
**Sacro Romano Impero Germanico. Ottone I fu uno degli imperatori più incisivi nella sua storia, e ho trovato carino dargli questa nomea. Questo non vuol dire che il frammento si svolge nella sua epoca.

Ringraziamenti: Grazie al lettore che legge e continua a seguire, un bacio! Inoltre, un grazie speciale a McBlebber e Tsukiakari per i pensieri carinissimi che mi lasciano!
Per Tsukiakari: La tua richiesta verrà pubblicata presto! Sto solo esaurendo i capitoli già scritti –più o meno-, mi scuso per il ritardo e ti ringrazio tanto!
Alla prossima, Blacket.

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Capitolo 11
*** XI ***


Erano sporchi e rozzi XI Avviso volante: Ho FINALMENTE concluso gli esami, quindi riuscirò a pubblicare con tempistiche decisamente diverse. Un sollievo!

Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), Arminio*


Erano sporchi e rozzi XI


V’erano i piedi del proprio popolo che marciavano in tribuna, che non avevano timore del muschio umido e del legno nodoso, degli ululati della Madre e non temevano la luna; v’erano i piedi di bambini e giovani uomini che marciavano sotto le fronde verdi, che parlavano col buio e impugnavano saette.

Apollo tonante sull’arena**, irto di raggi pungenti e calore bruciante e tanto ruggente che solo le folgori richiamate dal figlio di Wotan ne avocavano di pari intensità- sugli spalti a graffiare cotto e marmo, sui volti accartocciati di pensosi condottieri, le mani levate a brandire le puntute armi nibelunghe.
Arminio era sorridente, e le labbra curve s’impuntavano sulle mani che andava stringendo a Roma, su parole d’accordi e lealtà. Egli portava il nome dei cherusci* e nelle sue movenze vi era audacia e carisma, agilità che stampava battendo i piedi sulla polvere nemica, allenandosi coi suoi sette fratelli nell’impero che ancora tentava di stringerlo fra le mani.
Batté il manico d’osso del pugnale sulla cinta, spogliandosi veloce del sudore ed osservando placido la luce folgorante del mezzogiorno, che pareva radunatasi sotto la capitale di Ottavianus tutta d’un colpo. Lasciò lo sguardo vagare, le pupille chiare ad accarezzare i colonnati e le schiene ruvide dei combattenti, sino a che trovò verde e fresco, una quercia giovane e forte piantata all’ombra e accarezzata da pietre, poco più sotto dell'entrata.
Ariovisto lo osservava con languore, e aveva ai suoi piedi l’edera bagnata, nei suoi occhi le fronde scure della foresta ed il silente moto dei ruscelli; il biondo aveva nelle membra l’adrenalina delle fiere ed il suo cuore era dolce come i focolari accesi durante il mortifero inverno.
Si mosse deglutendo, il giovane Arminio, senza badar a frivolezze poiché la propria terra pian piano lo chiamava a sé- ed era affettuosa con i propri figli, ordinava di mostrar i denti all’avversario con una carezza.
-I romani sono miei alleati, ma io non sono romano.- si trovarono vicini, il condottiero a rimirare il proprio fratello dagli occhi tristi, -Appartengo ancora a te, Ariovisto.-
Gli sfiorò il viso pallido, le spalle ampie e le mani rovinate dalla mera sopravvivenza- sentì l’odore forte del muschio, i tamburi di guerra, la bruma lieve e il gorgogliare profondo delle selve.  





Note:
* Il venticinquenne Arminio, leader dei Cherusci –tribù situata nella Germania Magna-, è conosciuto per aver tradito gli accordi stipulati con Roma, che lo aveva effettivamente accolto, scatenando la battaglia di Teutobugo. Il condottiero è addirittura annoverato come eroe nazionale in Germania!
Dato che la famiglia è un valore fondamentale nelle società germaniche, ho sempre pensato che Ariovisto provasse un sincero affetto per qualsiasi suo abitante – come si può vedere l’animale feroce sollazzarsi nel branco.
 ** Luogo generico, atto solo all’allenamento in sé.

Ringraziamenti e compagnia:
Grazie al gentile lettore che dà peso alle mia bazzecole, spero possano interessare tanto quanto incuriosiscono me. Un Bacio a McBlebber e Tsukiakari, che aveva gentilmente richiesto il capitolo. Spero ti possa piacere!
Alla prossima, Blacket

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Capitolo 12
*** XII ***


Erano sporchi e rozzi XII Personaggi: Gilbert (Ordine dei Cavalieri Teutonici), Lily (Liechtenstein), Ariovisto (Magna Germania)



E
rano sporchi e rozzi XII


C’era Lilich** che era piccola e profumava dei gelsi, che era innocente e vispa e pareva voler soffiar via i crucci dei propri cari quando ancora sbarrava gli occhi stupefatta ai lumi della notte- e v’era il Reiks, che la ricordava tale e il suo animo si pacificava e tornava un sussurro silente.

Gilbert stava seduto su un vecchio ceppo schiumante di schegge rovinate e ruminanti l’aria, graffiavano i pantaloni grezzi, aggiungendo ulteriore scomodità ad una posa già contorta e stretta: alzava i piccoli piedi, le gambe punzecchiate dal legno, intento ad affinare il proprio pensiero sul Reiks- accovacciato nei pressi d’un povero fiume, le mani indaffarate.
Il piccolo diavolo strinse le labbra, furono livide e bianche come gli inverni di Asgard, e quando le morse divennero di nuovo delle prepotenti braci. Aveva il volto livido di vergogna e gelosia, un’impazienza tanto fine da pizzicare gli occhi lucidi- osservò Lilich, tanto piccola da sparire fra le braccia di Vati, tanto docile da accarezzarne i capelli biondi con deboli strattoni ed era infinitamente più acerba di lui. Gilbert sapeva cacciare, tendeva l’arco e la spada come poteva farlo un piccolo fauno, traboccava coraggio –così andava dicendo- e si nutriva nervosamente d’ambizione.
Quel misero castellino* a malapena piantava i piedi a terra, era più simile ad un fantoccio di legna con le abilità dello stesso- forse più grazioso, dagli occhi verdi ed i contorni silvani; eppure, certo d’aver perso il confronto ingiustamente, il ragazzetto albino dovette andarsene furibondo, nel sentire Ariovisto cullare e nominare quel piccolo mostro “la mia bambina”.






Note:

*Il territorio del Liechtenstein, che inizialmente era inglobato nel Sacro Romano Impero Germanico (prima era sconosciuto quanto irrilevante, per questo Ariovisto conosce Lily come una neonata), acquisì il nome dal Castello reale del luogo, per l’appunto “castello di Liechtenstein”.
**Soprannome, misto fra Lily e suffisso “Liech”

Ringraziamenti:
Ho davvero molto, molto a cuore la raccolta, e non posso far altro che ringraziare chiunque continui a seguirla. Fa piacere sapere che un personaggio così poco calcolato abbia in verità buoni riscontri.
Avevo, in vero, un consiglio da chiedere: sarebbe bene, per me, iniziare a breve una long ambientata nell’antica Roma immediatamente dopo la battaglia di teutoburgo? Sarebbe un interessante excursus del rapporto fra servo-padrone, anche se temo possa non interessare affatto.
la scriverò comunque, pace all’anima mia.
Grazie a McBlebber e Tsukiakari, come sempre! 

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Capitolo 13
*** XIII ***


Erano sporchi e rozzi XIII Personaggi: Ottavianus (Impero romano), Ariovisto (Magna Germania)


Erano sporchi e rozzi XIII


V’era la battaglia e la discesa della Valchirie*, il suono rotto dei corni ricurvi di Loki, che erano stridenti come i peggiori ululati delle fiere e i sibili dei guerrieri germanici. V’erano i tamburi di pelle che annunciavano la battaglia ed i corpi dipinti di blu e nero, che erano terribili e violenti come le urla degli Dei.

Ariovisto sanguinava- dal corpo e dall’anima, immergeva le dita nei flutti rossi e spalancava le labbra in un sospiro doloroso, coi polmoni accartocciati dalla polvere e dalle ossa scricchiolanti, la pesantezza dell'umiliazione che martellava i propri chiodi sul taglio slabbrato della gamba destra, orribilmente aperto. Lo colse in volto un brivido delirante, il fisico lontano e vivo e giovanissimo che tendeva i nervi e tendini escoriati anche dalla compagna Sconfitta, che docile sorrideva agli occhi febbricitanti del suo ospite.
Strinse la branda e si strinse il cuore, non per vergogna di aver chinato il capo verso un nemico tanto invincibile –e potente, dalla tale immensità da poter abbracciare il mondo col palmo della mano-, ma per la sua incapacità a stringere i denti se il dolore gli mordeva le membra.
“La carne è utile, ma lo spirito è più forte”; sussurrò ad Ottavianus in una lingua stridula e stanca, il viso bollente e ansante, la mente vaga e persa nella malattia.
-Hai perso…- Roma alzò la mano destra, andando a scostare i capelli biondi e sudati, sfiorando il volto livido e le labbra schiuse a rilasciare mugolii rotti, -hai perso, giovane e coraggioso guerriero.-
La carezza proseguì con insistenza sulle spalle, a toccare il segno sgraziato e storto che avevano lasciato i gladi romani, soffermandosi sui fianchi e le gambe troppo lunghe per appartenere ad un selvaggio adolescente.
Ottavianus osservò le sue forme e la sua nudità, cercando di scavare sotto al sangue e ai lividi del colore del ferro-non poté astenersi dal sentire i fremiti dolorosi sotto ai polpastrelli, memore dello sguardo feroce che il barbaro gli aveva rivolto in battaglia: era parso simile ad una creatura iraconda e silvana, un giovane dio inesperto sul quale alzare le lame rotte e scheggiate.

Lo baciò con rabbia e in modo rozzo, e Ariovisto soffocò il suo male fra le labbra. Sentì le ferite –sì tanto brutte a vedersi- reclamare attenzione e digrignare i denti; sentì il fiato caldo di Roma, e sapeva di oro e polvere, dello sguardo bellicoso e furibondo, della Musa della Vittoria che gli stringeva le mani callose.
Aveva la malattia sugli occhi e sulla lingua, il giovane Reiks, un senso placido di vergogna ad impedirgli i movimenti e sul volto lacrime calde quanto le fucine di Vulcano.







Note:
*Un semplice riferimento alla mitologia norrena: le Valchirie portavano i guerrieri caduti in battaglia e particolarmente valorosi nel Valhalla, dove diventavavano 'einherjar' (eroi). Un guerriero trasferito nel Valhalla avrebbe poi servito Odino e combattuto al suo fianco nel giorno del Ragnarock.
Ho sempre voluto scrivere un capitoletto simile! Finalmente ci sono riuscita.

Ringraziamenti:
Ringrazio come al solito le persone che con costanza seguono la raccolta, chi la inserisce fra le seguite, ricordate, preferite. Un abbraccio forte alle mie fedeli recensitrici, Tsukiakari e McBlebber! Vi ringrazio infinitamente per il vostro supporto, mi fa davvero piacere ricevere richieste da voi!
Ovviamente, nel caso qualcuno fosse interessato a qualcosa di particolare, può fare richiesta. Si tratta di una raccolta abbastanza libera, senza limitazioni particolari.
Alla prossima, Blacket.

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Capitolo 14
*** XIV ***


Erano sporchi e rozzi XIV Personaggi: Vash Zwingli (Svizzera), Ariovisto (Magna Germania)
Capitolo per Tsukiakari! Mi sono divertita moltissimo a cercare informazioni sulla Svizzera e a pensare qualcosa per loro, sono io che ringrazio te!


Erano rozzi e sporchi -XIV-


C’era *Schwytz che era verde e memore di prati e pace, dalle guglie strette nelle vallate e che suonava le cornucopie nella notte di Valpurgia, che veniva chiamato Suitto e aveva conosciuto il timore del fuoco mortifero.

Ricordò il viso affilato chino sulle sponde del lago Neuchâtel*, quando ancora l’uomo doveva crear per lui il tempo da contare e le fronde scure cantavano ombra agli Elvezi armati di brunee spade mozze. La memoria arrivava cheta sino ad una veloce carezza, ad un cullare tiepido e frettoloso, e nulla che ricordasse la voce: solo il verde degli smeraldi di Freya infra gli occhi, ad adornare i piedi e le spalle stanche.
Abbassò quindi l’arma da fuoco nell’osservare la figura di un Reiks che piante e profumi conoscevano meglio di lui, poiché le foglie come figlie seguivano il suo passo, l’erba raggiungeva i suoi calzari con impazienza, la fauna chinava il capo e cinguettava memore di un vecchio sovrano.
“Che stupido!”, pensò, data l’infantile vergogna nel farsi vedere impreparato da Vati, che ancora aveva sul volto i segni indomiti della giovane ribellione e di saggia esperienza- Vash teneva l’arma come avrebbe fatto con un molle bastoncino verde di sambuco, e si rimproverò.
- Questa è la Svizzera, Vater.-
Sentì il lontano brontolio dei ruscelli, l’urlo gioioso affacciato ai dirupi di rocce, il sorriso placido di Ariovisto che allungò una di quelle mani tanto grandi sulla sua spalla; si fece pungere con irriverenza e un’impazienza curiosa e nobile.

Mangiò tutto il cioccolato che il nipote aveva in dispensa- e cielo!, tentò anche di trattenersi, di vedere l’espressione e i lineamenti della sua prole, ma arraffava di continuo quella diavoleria creata dalle gesta crudeli di Loki, portandosela alle labbra con rinnovato stupore.
Aveva avuto negli occhi la stessa cupidigia delle feroci razzie che sparse un tempo sull’Europa, l’animo battagliero e furente mentre capitolava e cedeva ancora al richiamo della cioccolata- “quella è con le fragole!”, e ve n’erano di differenti carnagioni, bianche e nere, mandorlate e più buone del miele.
- Schwytz! Schwytz, da quando gli dei han portato sulla terra simili cose?- 






Note:
*La Svizzera, è, in realtà, uno dei più vecchi stati esistenti. Venne ufficializzata nel 1291 da una confederazione già esistente, il che fa supporre di origini molto più antiche. 
Il nome, in questo caso, deriva da Suitto, dal villaggio di Suittes, che dal tedesco alto antico vuol dire "bruciato"- probabilmente per indicare una zona spoglia dalle foreste. Il lago a cui faccio riferimento è, in realtà, considerato come luogo di uno dei primi stanziamenti del posto, nonostante le tracce umane risalgano a millenni addietro (addirittura!), dove dimoravano tribù Celtiche tra cui gli Elvezii.
Non avevo idea di un tale rimescolamento di nomi (ad un certo punto la denominazione fu diversa per i francesi, tedeschi e latini). Nel caso potesse interessare "Helvetia" è il nome latino, dato in seguito anche alla confederazione.
Inoltre, ho sempre pensato che se Ariovisto avesse potuto assaggiare il cioccolato, ne sarebbe andato pazzo.

Ringraziamenti:
Grazie a tutti per il supporto, e per le recensioncine che lasciate. Mi raccomando, nel caso aveste qualcosa da dire, qualche appunto, qualche richiesta, non astenetevi dal lasciare un commentino!
Un grazie particolare, come sempre, a McBlebber e Tsukiakari.
Alla prossima, Blacket.

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Capitolo 15
*** XV ***


Erano sporchi e rozzi XV
Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), Ottavianus (Impero Romano)

Erano sporchi e rozzi -XV-



V’era il popolo dei licheni che s’adornava il viso di biondo e di rosso**, che intrecciava la propria barba e si vociferava fosse dono del Dio del ferro e dell’acciaio, e che fosse onorevole quanto il sacrifico e la lama tesa a proteggere l’amico.


Vibrò sibillina la polvere dell’arena- là alle terme, dopo il calidarium* e sotto le generose foglie di fichi, pungenti e piene. Avevan fatto crescere la vite e l’ulivo, là dove Venere agiva senza disturbo; sostava sotto le leggeri tuniche delle matrone, fra le dita dei massaggiatori e sotto lo sguardo sornione delle prostitute- sulle membra fibrose degli atleti che eran là per ammirare e farsi ammirare dagli sguardi d’una Roma frivola e pettegola.
Ottavianus sorrideva alle sue concittadine e ancor di più alle loro generose forme, dove lasciava depositare lo sguardo ebbro e stuzzicato da felici visioni: “là, la schiava dalla pelle scura, il viso del giovanotto che ha accompagnato il mio amico Massimo, quella Silvia, moglie del senatore Varano, si, si…”
S’innescò presto il gioco di piaceri che è solito passeggiare per le vie della capitale, e l’occhio non potè che cadere sulla propria guardia- Ariovisto diveniva già uomo, ed era una stalattite bionda e tanto bella da esser simile atte statue che Ellas modellava con cura, attirava sulle sue forme lascivia e con rude disprezzo la ignorava.
- Perché mi osservi, barbaro? La mia bellezza ha fatto breccia persino nel tuo cuore?- un ghigno di scherno, le fauci spalancate come fosse al comando dei legati della legione, ma un sospiro divertito s’infranse presto sul volto pensoso del biondo guerriero.
Ignorò la provocazione, sì freddo da imitare nel suo sguardo il più rigido dei suoi inverni. Si sfiorava il mento, Ariovisto, ed osservava la folta barba dell’amico- l’ha avuta il mio Re, l’ha avuta Thor e Wotan, pensò, l’hanno i giovani delle mie terre e i loro padri!
Capì tardi, Ottavianus, sedendosi sul marmo freddo e bagnando le proprie dita al sole e ridendo poi come solo Giove avrebbe potuto fare.
- Per gli Dei, Ariovisto, prima o poi la barba ti cresce!, sei bello anche così, anche così…-

Seguì un ringhio smorzato dal ciacolare insistente dei visitatori- che era terribile e sapeva di sangue- e di barba, onore e virilità non si parlò più.




Note:
*Ne approfitto per dirvi: le terme romane erano centro di vita mondana, di pettegolezzi e vanità, oltre che divertimento. Erano complessi grandi e ampi, dove era possibile fare massaggi, allenarsi, distrarsi con dei giochi, e soprattutto conoscere nuova gente. Vi partecipavano diversi strati sociali, e spesso nascevano amori, scappatelle, sotterfugi. L’amore nella Roma antica è un dono di cui bisogna goderne, e la mentalità con cui veniva visto era totalmente differente dalla nostra! In ogni caso, le terme rimangono un ottimo modo per trovarsi con gli amici, rilassarsi e conversare (esattamente come i bagni pubblici).
**La barba, in tutte le culture, assume un ruolo non tanto estetico quando sociale. A Roma solo i venerani o uomini importanti la portavano ad un certo modo, e quasi tutti i barbari del nord l’avevano –sia barba che baffi. Era tradizione, segno di virilità e forza, anche se il peso che veniva dato alla peluria non era eccessivo.

Ringraziamenti:
Grazie a tutti, di cuore! Rimango sempre sorpresa dei messaggi che mi inviate, delle curiosità che avete e che con piacere cerco di colmare. Grazie al lettore paziente che mi segue, grazie a e McBlebberTsukiakari per le loro gentilissime recensioni. Grazie ancora!
Alla prossima, Blacket

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Capitolo 16
*** XVI ***


Erano sporchi e rozzi XVI Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), Liina (Aestii)

Erano sporchi e rozzi -XVI-

V’era la luna, che era donna e Prima, e su di lei si contava il mistero della vita e quello del tempo*- v’era la luna che aveva gli occhi dei suoi figli, e dava il bianco alle loro pelli ed il biondo ai capelli.

Schioppettava ardente il focolare nel buio, blando salvatore delle morse del gelo; soffiava faville di brace all’aere, arrossando i volti pallidi e morsi dalla neve, e chiarissimi ed affamati. Frate foco ondeggiava sospinto dalla notte e minacciato dagli aghi fitti dei pini, spettatore delle notti e dei silenzi, dei ringhi dei lupi e delle fiere e delle loro bocche ritratte con un rantolo.
Fuoco, che era figlio del fulmine e di Wotan, era coraggioso e discreto; sbirciava il volto trepidante d’una piccola ninfa, che era giovane e aveva le gote rosse dei bambini, e gli occhi erano tanto neri che solo le stelle avrebbero potuto specchiarvisi con timidezza. Tratteneva gli stracci di un giovane guerriero, che portava la neve sulla pelle livida e sui graffi, sui capelli sporchi e negli occhi brillanti e vivi più delle gemme delle Muse.
Lei mosse le manine tanto velocemente, sulla casacca e sul mantello e sulle guance dell’amico, ed era tanto spaventata mentre tentava di dargli un bacio che il vento avrebbe potuto portarla via- eppure toccò le labbra di Ariovisto, con la disumana gentilezza e innocenza che le creature silvane parevano avere.

-Liina, cos’era?-
Ed il barbaro si asciugava le labbra, temendo che lei, come le streghe, avesse voluto strappargli l’anima o morderla e sporcarla- un bambino che conosce il dolore del freddo e non quello d’un bacio, e che continuò a sfiorare le labbra sino a che diventarono rosse e tirate dai propri denti, “rosse come la terra Baltia”, pensò il Fuoco, “rosse come le sue piccole membra, il suo volto e la sua vergogna.”



Note:
*I popoli del nord, come i Celti, utilizzavano la Luna come metro di tempo. Preferivano spostarsi di notte, e allo stesso tempo di davano appuntamento ad una precisa fase lunare- che regolava il ciclo della donna, portatore di vita. Vi sono altri interessanti motivi del legame fra queste popolazioni e l’influenza lunare, invito chiunque sia interessato ad informarsi, potrebbe rimanerne piacevolmente stupito!
In ogni caso, parlo davvero di un primo bacio. Strano e scandaloso, poiché spesso gli uomini del nord usavano dare affetto all’altro appoggiando fra loro la fronte e sfregando il naso, le guance. Poi Ariovisto è tanto scemotto, che altro si può pretendere?

Ringraziamenti: un grazie di cuore a chi segue e supporta la storia, un bacio grande grande e la mia gratitudine! Mi raccomando, lasciate un commentino se vi interessa, mi farebbe molto piacere.
Un abbraccio a McBlebber per la recensione!
Alla prossima, Blacket.


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Capitolo 17
*** XVII ***


Erano sporchi e rozzi XVII Personaggi: Gilbert Beilschmidt (Prussia)

Erano sporchi e rozzi  -XVII-

V’era la Venere delle foreste e dell’acciaio, che era madre buona ed era priva di vizi, e portava fiori e alloro sul suo cammino e vento di ponente al suo sospiro. La chiamarono Freya, ed era fertile come la più bella delle terre, stringendo in seno frate sole e le figlie stelle.

Quando il cielo s’era fatto nero ed il vento aveva tirato forte- e quando giungevano gli ululati dei vecchi Re dei Nibelunghi dai borghi, incuneati fra le pieghe di notti più buie delle precedenti-, l’uomo bianco stringeva il cuore ed apriva di più i suoi occhi di brace, che allontanavano il lupo ed i sospiri delle foreste.
Quando cadeva il braccio di montante e le streghe si aggrappavano forti alle caviglie, al petto e alla gola secca, notava –nella sua distrazione, nella rabbia e nella sventura!- il vecchio falco del Reiks puntato sulle mura di casa, che fossero poi balaustre e guglie e cancellate, e che il tempo lo vessasse e che la pioggia ne tormentasse le piume.
Sostava facendosi curvo e adunco, vestendosi degli occhi profondi e furbi degli Elfi, lanciando di quei suoi ruggiti terribili solo se avvicinato- poiché era scuro e severo, e pareva più essere una sentinella di quel regno di nubi borbottanti e tempestose.
Il falco non aveva tempo comune ed era dissimile ad altri, era ritto e fiero e vecchio e stanco ed era un relitto dagli odori pungenti delle selve- era lo stesso rapace di Wotan, dagli artigli rugginosi e sanguinolenti.
Lo chiamarono Vati quando fu d’abitudine, e lo videro giungere in silenzio quando Signorina Sventura ballava nelle loro case e baciava mani e piedi.

-Vati!-
Gilbert si fasciò braccia e petto, trattenendo il riso ed il sangue che andava a bagnar il volto e le mani- che era suo e non solo suo, e s’avvicinò zoppicando e mostrandosi storto e scomposto.
-Vati, sei ancora qui?- si fece tanto impudente e sciocco, ed era stanco e soffiava aria con sforzo. Avvicinò una mano, come quel tale Sigfrido che aveva levato lo scudo sul drago di Brunilde, e invece della brace della bestia Gilbert avvertì una dolorosa beccata.
Un suono freddo, pulito, pieno.



Avviso: Il nome di Ariovisto, come quello di Lucio per Roma, impiegato in altre mie fanfic, non è quello ufficiale! Ho impiegato diverso tempo a sceglierlo, anni orsono, dopo essermi informata a riguardo. Terrei che prima di utilizzare i nomi in altri vostri scritti, chiedeste o avvisaste! Non avrei nulla in contrario.
Note: Non è un capitolo uniforme agli altri, ma cercavo spazio anche per questa mia ideuccia. Lascio che ovviamente sia il lettore ad interpretare come vuole l’intero capitolo, e spero che un po’ piaccia.
Non ci sono altri tipi di note, credo di aver spiegato i riferimenti alla mitologia norrena precedentemnete (nel caso qualcosa non fosse chiaro, esponete liberamente i vostri dubbi!).
Tengo a ringraziare di cuore Nordwestwinde per aver segnalato la raccolta alle scelte. Mi hai lusingato tantissimo, sono felice che quello che ho scritto ti abbia arricchito in qualche modo! Grazie infinite!
Tanti tanti grazie anche a McBlebber e Tsukiakari, che mi lasciano sempre un commentino e aiutano inconsapevolmente la raccolta ad andare avanti.
Mi scuso per i ritardi generali, ma l’inizio degli impegni da pendolare si fa sentire. Buona settimana a tutti!
Blacket.

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Capitolo 18
*** XVII ***


Erano sporchi e rozzi xvii Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), Liina (Aestii)


E
rano sporchi e rozzi XVIII

V'era il severo Dio Manno* che mutava la stagione nelle terre verdi, che voleva fossero spoglie per far si che il proprio corpo potesse stendersi e le voleva prepotenti sotto la fronte scura del cielo, poco fertili affinchè i suoi figli lo chiamassero Padre e lo venerassero; che era ribelle e silenzioso e chinava il capo solo alle stelle.

A Liina vennero portati buoi**, venne data una spada e delle pesanti monete d'argento poiché era uso e costume- così volevano gli dei e le dee più belle, che avrebbero sorriso ad un matrimonio ricco e che avrebbe visto l'alba di più giorni, tonante e festoso fra le pareti d'un villaggio verde e petroso. Avrebbero trovato birra a sufficienza per il Reiks che prendeva moglie, l'avrebbero abbellito con semplici cose come chiedeva; l'armatura appresso, l'arma arroccata al fianco e null'altro che i divini non avrebbero voluto.
Ariovisto si sposò quando ancora era giovane, nel dì che precede la primavera e prevede buone nuove predette dalle barbe secche dei druidi celti che infestavano il suo cammino. Gli dissero che l'erba quel giorno sarebbe diventata morbida e gonfia, così fu. Il cielo volle per loro essere più placido, il vento chiuse per poco la sua boccaccia rumorosa e Liina divenne donna e bella concedendosi solo qualche fiore fra i capelli bruni- il giovane la vide e i sospiri di lei imposero ai modi rozzi del biondo di tacere: una cerva, leggera e buona come la nebbia gentile posta innanzi al sole, come roccia sporca di muschio e acqua.
Ricordarono tutti il volto gentile della stagione, quello più secco e commuovente che regalò loro la sera e infine la notte, spoglia di nubi fradicie ma gravida dell'odore forte dell'orzo, del cibo appena cotto e del sorriso sciolto dello sposo, nervoso sino a che sua moglie non aveva tenuto la sua mano con la stessa carezza che avrebbe dato la luce di un lume. Solo qualcuno, a contrario, ebbe memoria del sospiro turbolento del Reiks che ancora non vedeva barba sul proprio volto andare a pizzicare il volto di Liina, roseo sebbene non avesse potuto bere.

La bellissima Freya chinò capo sul tremore di due giovani ragazzini, "di cui uno di loro è un fiore e profuma di miele" e diede tutto ciò che poteva accogliere il mistero della vita con un calore insolitamente piacevole e l'animo allucinato dal bere, "si spaventoso", avrebbero detto superstiti, "buono solo ad avvenire nell'oscurità".

L'orma bruna della foresta puntò le proprie puntute fronde al cielo sino a che questo abbandonò la volta, così che venne notte e non vi fu alcuna differenza fra l'ombra tagliata dai piedi di chi festeggiava alla tempera scura che abbracciava le più alte stelle- quando cielo e terra furono cosa sola, Liina abbracciò le proprie mani tremanti col soffio della propria angoscia, relagata là dove aspettava il proprio Re e lo attendeva dirimpetta alla minuscola finestrella che dava sul cielo. Diede coscienziosamente spalle alla porta, in modo che entrando non avrebbe visto le gote chiare sussultare colorite una volta che avrebbe rotto il silenzio. Ebbe timore, infine, che non avrebbe abbandonato quel che Manno voleva da lui e che il silenzio le avrebbe riempito le orecchie con un'audacia sbagliata -uno, due passi pesanti all'esterno-, che Ariovisto ignorasse quanto lei ciò che il talamo si aspettava da loro -la porta si chiuse, il fuoco venne ravvivato, due stivali pesanti caddero a terra.
Non ebbe molto da dire, lei che era silenziosa e buona, lasciò solo posto nel cuore agitato ad una preghiera lunga e colpevole, sia quando il fruscio degli abiti si fece rumoroso ed evidente che nell'avvertire il corpo caldoe nudo di Ariovisto dietro sé, difficile per lei da concepire.
La toccò, le sfilò la veste, la luna conobbe il manto scuro di qualche nube clemente.

- Girati.-




Note:
*
Manno è un Dio esclusivamente Germanico, venerato dalla maggioranza delle tribù. 
** Si usava che fosse il marito a dar dote alla moglie, non il contrario. Le portava buoi, apprezzatissimi, armi o denaro, e infine i due si scambiavano un'arma come segno simbolico. Non era in uso dare a lei ciò che sarebbe potuto tornare utile per la casa o per farsi bella, ad esempio.

Appunti: So che non aggiorno da tanto con...niente? Per chi segue e attende (Tempo Antico, ad esempio) non tema, andrò avanti con tutto il resto e pubblicherò anche qualche mia robaccia inedita, che alla fine provare non costa nulla. Era da un po' che volevo scrivere a proposito del matrimonio di Ariovisto, che ho presupposto in un primo momento con lei e ovviamente per convenienza; con l'andazzo che prende la storia poi, non è facile immaginare che si lascino sempre per quella convenienza a cui accennavo prima. Avevo diverse verisioni in mente, e spero che quella definitiva possa piacere! 
Nel caso vi piaccia, abbiate domande, consigli, non esitate a farvi avanti, lasciate pure un commentino! Grazie del tuo tempo;
Blacket.

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Capitolo 19
*** XIX ***


testamento ario efp
Particolare, I



A te, Ostarrîchi,
lascio i miei occhi, affinché tu veda e preceda, nella misera, la virtù. Ti lascio le mie pupille che han visto nel buio, il loro pallore e la loro acutezza, il riverbero che per te sarà intuito, e non vi sarà nulla più ad ingombrare le tue terre di confine; nulla più impedirà il tuo sguardo sbeccato.

A voi, Suedan e Liech,
lascio il mio mantello, così che vi copra e lasci su di voi l'occhio di nessuno, perché avete cuore si buono che non dev'essere guastato. Vi lascio ciò che mi ha stretto le spalle nel freddo, che vi copra nel gelo e vi permetta di non chinar la schiena; che vi faccia vicini l'un l'altro. Proteggi Liech, Suedan, ch'è il mio cuore; Liech proteggi Suedan, che non v'è nulla di più terribile che un uomo solo.

A te, Houtland,
lascio il vento, che da parte a parte del mondo non si può comprare. Fallo tuo, e con esso dipingiti il volto, che nasconda le tue lacrime e secchi in bocca la bile, che sia potere fra le tue mani e gonfi le vele nei tuoi porti, Houtland; da lui lascia fiorire il tuo istinto, poiché non vè nulla di più poderoso di quel che nasce dal cielo.

A te, Svea Rike,
lascio la mia terra natale, così che tu possa governarla e farla tua come credi: essa ti cullerà portandoti il mio consiglio, e nessuno potrà giungervi per recarti male.
Ti lascio le selve e le felci, Sueonia, ti lascio il Regno del Re, ti lascio il mio trono affinché sia comodo per sedersi, sebbene sia solo un ceppo di quercia. Ti lascio fiumi perché ti dissetino, ti lascio monti sui quali potrai tendermi mano; ti lascio l'inverno, in modo che tu possa conquistarlo.

A te, Gilbert, che sei padre dei Watelabi, Sorabi, Obodriti, Boemani,
lascio la mia spada, e tu l'unico a poterne impugnare l'elsa. Che lei sia il tuo braccio, che tu possa usarla con ferocia: alle tua spalle v'è l'ombra della Sassonia e dell'Assia, sulle tue membra troverai sangue e alle streghe mostrerai le tue fauci aperte.
Ti lascio la mia forza e la mia potenza, l'inestinguibile ricerca del valore e del coraggio; ti lascio una lama che dovrai affilare, e al tuo nemico volgerai sempre la fronte.

A te, figlio di Ottone,
Sacro Romano Impero Germanico,
lascio la mia corona.
Con essa i suoi poteri e le sue voglie, con essa la mia influenza: impera, sui nuovi Ermioni, sugli Ingevoni e sugli Estevoni; poni palmo sulla tua terra, ed essa ti obbedirà. Ti lascio le spalle pesanti, ti lascio gli déi ed i loro capricci, ti lascio braccia abbastanza grandi per poter cingere con furbizia e cuore il tuo regno,
Ti lascio
la mie foreste, la radura silente, così che tu sia verde,
che le piaghe non ti facciano più male, che dalla tua bocca non esca più sangue, affinché tu dorma sotto radici gonfie, sul canto di scudi e lance.






Note: Uno speciale, per ricordarvi che ancora campo e ancora lavoricchio su questi mostriciattoli.
Nel caso vi siano dubbi, questo è l'ordine in cui si parla dei nipotini: Austria, Lily e Vash, Olanda, Svezia, Prussia, Sacro Romano Impero.
Tengo moltissimo a questo capitolo- lo trovo, innanzitutto, la prima vera partecipazione di Ariovisto alla raccolta. Spero vi abbia lasciato qualcosa- spero, anche, che abbiate qualche osservazione da farmi.
Sono in bilico fra diversi progetti, potrete forse vedermi prossimamente con nuovi lavori, oltre ai prossimi capitoli di questa fic!
Grazie infinite per il tempo, la pazienza. Penso sia stata la raccolta che mi ha più ispirato, emotivamente mosso e accompagnato: far si che vi piaccia è solo un piacere.

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Capitolo 20
*** XX ***


Erano sporchi e rozzi 20 Personaggi: Roselind, Fem!Austria (leggere nei ringraziamenti a proposito!), nel momento in cui si alleò con l'impero spagnolo.
Non inserisco ulteriori personaggi poiché come vedrete, la scelta di introdurne o meno un altro è ai vostri occhi.

Erano sporchi e rozzi
-XX-


V'era la Natura, Madre e Prima incarnata in Freya, e v'era la Luna col capo curvo sulle vicende di Mitgard; ridendosene compiaceva lei e le sue sorelle, di quegli uomini ch'eran figli di Tuisto, di Manno, ma che al destino e vita tutta davano il nome d'una donna.


Lor Signore insegnava de' buone imprese, da seguire con umiltà che in tanta parte del mondo non si trovava: là in grembo, ove giacevano più d'un mistero, premeva la novella le mani, empie di carità e croci e solchi fatti dal vizio di dover piegare la lacrima sull'indice; Roselind pregava. Con la spenta gioia dei funebri e le ginocchia rosse ed inchiodate a terra, con le rotule intente a snocciolare i peccati di cui ci si macchia, di cui ci si pulisce con lo stesso strofinaccio con cui li si crea.
Pregava, la figlia del Reiks, che più non vedeva il freddo muschio sui tronchi, che credeva in un Dio soffocato dal proprio sacerdozio, e soffriva e gemeva nell'atto dell'Ave Maria- dimentica delle braccia del padre, del fuoco ove era solita bagnarsi gli occhi nell'infanzia e da dove tingeva le parole lui, e a tutti i suoi figli bruciava poi la fronte e l'anima. Dimentica della luna celeste e dei suoi miracoli, del pollice di Ariovisto che ne segna il contorno, Roselind prega e china il capo, e la lode si storpia e inciampa e stride ferita fra denti e lingua, là dove s'inchioda.
Dovrà sposarsi con l'uomo dell'Iberia, che ha capo bollente di sole e il parlato sofferente pure nel dolce*, "Quale misericordia", diceva, e si allarmava allargando gli occhi grandi e gonfi di ricordo, "Quale miprenderà", ed ella temeva e tremava, ed il grembo si teneva.
Cadrò, mio Signore, disse, sull'oro delle colonie, e affogherò nell'Atlantico, se mi concederai- così gemeva, bruna e bella, pallida, già sposa inconsapevole del crepuscolo, "Signore, se tu non m'ascolti, chi altri". Là la sua penitenza e i suoi dolori, nel singhiozzo e nello scostarsi i capelli, un livido sugli occhi: v'era una sola guardia nella cappella, puntava a Nord.
Roselind accolse il suo lungo inchino, e la ritenne cosa buona, poiché non parlò.
Com'era d'uso, qualcuno venne a prendersi tutti i grappoli di lamento dagli occhi, e gelosamente li tenne per sé- poiché il sole buono non picchiava, solo l'ombra dell'impressione andò all'uomo in arme. Ch'era della terra di nessuno, e veniva a portare ossequi di Re che avevano preferito non avere nome, e sull'armatura non portava alcuno stendardo. Purché povera, liscia come il suo cavaliere, aveva l'elmo portato dritto, come gli uomini non facevano più, lasciava cadere lunghi capelli biondi, d'un buon guerriero, che se non era il Divo Apollo poteva essere Baldr**, e se non lui, Heimdall**.





Note:
*In spagnolo Azucar, Zucchero, è una parola che deriva dall'Arabo!
** Baldr (Baldur) è un dio norreno appartenente alla stirpe degli Aesir, secondogenito di Odino e Frigg, la cui consorte è Nanna. Mantiene un collegamento stretto col sole, si ritiene sia il più bello tra gli déi.
Heimdall ( da cui "mondo" e forse "luminoso") è il dio della sorveglianza della mitologia norrena, a guardia del ponte  Bifröst. Se qualche pericolo minaccia Ásgarðr, suona il Gjallarhorn, un corno portentoso il cui suono raggiunge ogni luogo. I suoi sensi sono così acuti che può sentire l'erba crescere e può vedere la fine del mondo, nonostante sia dotato di un solo orecchio. Se volete informarvi di più, visitate la sua pagina wikia!

Ringraziamenti:
Sono arrivata al capitolo VENTI e ancora devo abituarmi all'idea: ho in realtà una moltitudine aberrate di vicende riguardanti i miei cari sporchi e rozzi, e sarò ben felice di continuarla. Grazie per l'interesse sinceramente dimostrato per la raccolta, grazie per il vostro coinvolgimento, è quanto di meglio potessi aspettarmi. Nel caso vi siano richieste, contattatemi, lasciatemi un commentino!
!!! Il Nome Roselind appartiene ad una mia amica, che mi regala la piacevolezza di poter ruolare con lei: Il capitolo va a Gigia, e ai sali per la sua Rose.

Buona serata,
Blacket. 

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Capitolo 21
*** XXI ***


erano sporchi e rozzi 21 Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), Gilbert (Prussia)

Erano sporchi e rozzi
-XXI-

V'erano le Norne*, dal triste manto ombroso, che si diceva venissero dalla terra di Ponto: esse aggrappavano le imprese degli eroi alle anche, e nulla di ciò che può vedersi poteva loro far male, poteva irretire.


Ariovisto decorava la mano destra con nove dita e mezzo- come i mondi di cui si circondava il cosmo e un eccesso che faceva intendere solo la mancanza. Si tratteneva sul palmo come fosse pronto ad andarsene, ed era mangiato via in tale maniera che volle più di una cicatrice a cucirlo, più d'un lamento all'odore bestiale della carne bruciata; s'attaccava alla memoria, e che si dicesse pure al groppo, così da provocare i conati.
"Non lo ripresi, Padre?", Gilbert era una stella prepotente, e che vi fosse la bruma umida e gonfia a bagnar lui gli stivali s'infiammava di una curiosità luminosa e frenetica, tremolante pure nel concedersi un sospiro: rubò una qualche stella, credendo di poterla guidare se la mise negli occhi.
Il demone bianco toccava la mano del Re, lui ed il suo scranno ubriaco di pioggia, grigio ove i tronchi avevano avuto tempo persino di far su corazza, le effigi che raccontavano di maestà ed onori e l'odore d'un focolare bruciacchiato. L'aveva costruito Heimdall** alla maniera così rialzata, così che guardasse l'orlo di Mitgard e vegliasse con lui.
Mi chiamò Odino e Tuisto, diceva a quel punto il padre, chinandosi sulla mano come fosse segreto, e non lo era, "Tre volte, sul vagare della buona stagione, e fece seccare la mia corona di rovi e bacche"- terribile, splendida voce di Ariovisto! Nel racconto così satura, che parlandovi sopra non si sarebbe udita la propria voce!
Eppur come era solito Gilbert spalancava gli occhi, e vi lasciava enrare ogni meraviglia di cui era in grado; si baganavano del nome di Erthog***, della crine ispida e orribile, delle froge bagnate e lerce, delle zanne sozze di tempo, terra, bile. Gli occhi grigi ed infossati nel cranio torto da cinghiale, il muso spaccato da violenza altrui e propria- ed il suo giovane padre! Ritto e pronto, ricco della linfa degli eroi più belli, un braccio solo occupato da uno stiletto di bronzo e le gambe nude, nervose a tingersi di freddo.
Disse, "Mi prese mezzo dito, ed io il suo cadavere", e sul mio capo crebbe nuova corona, forgiata dall'acciaio rubato alle nostre miniere, e forte e portentosa sedeva sul mio capo: divenni Re, sul suo dorso incisi il mio nome.

V'era, per pochi, un sospiro meno pago, che diceva a proposito di qualche cenno di nostalgia verso un copricapo ben più spoglio e molto più povero. Ché la bacca germoglia, lievita, e le sue piume verdi con lei- non segna il capo, è dolce e libera.


Note:
*Norne: tre vecchie che conoscono il destino di ogni uomo. Ricorda qualcosa? Sono difatti la versione norrena delle Moire -appunto, dal ponto!- che con ogni probabilità hanno passato la loro influenza.
*** Heimdall, dio norreno posto a guardia di Asgard, suonerà i corni il giorno del Ragnarok, quando vedrà arrivare i giganti. Per informazioni ulteriori, vi invito a cercare la sua pagina! Si tratta di un Dio generalmente molto amato.
***Nonostante il nome scelto da me, si tratta di un animale simbolo nella cultura germanica: il cinghiale è simbolo di forza, di passaggio. Uno spirito di questo genere viene quindi affrontato da Ariovisto affinché diventi Re.
Il cinghiale era inoltre la merce germanica più sfruttata nellìImpero romano!

Come vedete, non ho mollato: non ancora. Mi chiedo, tremolante e tirubante, se questo capitolo sarà buono come altri, se sarà peggiore a loro. Gli impegni, la costanza che viene e che va, fa dubitare di DIMENTICARSI di come si scrive- siamo soggetti anche a questo!
Avevo, per altro, intenzione di scrivere una raccolta (o one shot) su Fem!Roma e Ariovisto, dato l'interessante risvolto delle donne romane e delle loro abitudini. Fatemi sapere!
Baci, Blacket. 

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Capitolo 22
*** XXII ***


Erano sporchi e rozzi, due anni dopo
Personaggi: Ariovisto (Magna Germania), Augustus (nome appellativo per Antica Roma)
Raiting: Verde
Note previe: Non era raro che un dominus romano adornasse particolari stanze della sua domus- queli quella da letto propria e non propria- con quadretti di terracotta, creta, raffiguranti scene erotiche di più disparata fattura. Esistevano anche lampade e luminari a tema per poter proiettare le figure! Queste servivano ovviamente alla tematica della stanza.


Erano sporchi e rozzi, due anni dopo

Vi era l’immutato umore del pellegrino perso, l’alba brunea a baciare i tetti caldi d’una lontana casa, ove le streghe portano altri nomi, e l’amore sorride a torrenti più tiepidi.
V’è l’Urbe, e laggiù Heimdall* perde vacuo la vista: nell’otre sozzo d’oro, nel passeggio del sole.



Di rosso pompeiano, del cardo rubino, d’un ocra malato aveva Augustus le membra e le pareti della sua casa. E rosse, violente, le pulsioni ambiziose, rosea e piena l’alba- come Eos** voleva, sulle punte lasciava la propria parola: l’ambra imbarazzata casca nel peristilio e adombra di ogni luce, diffonde e s’estende nella calma fiacca del Giorno.
Una gioia, l’impero delle luci, il Mattino!, che venga dalla Grecia, si diceva il dominus, che di Marte notava ogni cosa; bollori, colori ancor prima del sussurro sorto in una preveggenza.
-Puoi scegliere, -, parole rubine, tanniche e fonde, dal tono tanto liscio e fittizio: ad ascoltarlo ci si poteva ubriacare.
Appunto, “Pui scegliere!”, disse, alla tremenda manifestazione che aveva innanzi, col sorriso degli spavaldi e degli stolti. Vi era Ariovisto a pochi passi, e già non erano abbastanza: nella voglia frizzante di percepire il pericolo, avrebbe allungato le mani morbide alle sua fauci, avrebbe colto grappoli di bacche rosse sulle sue gote. Rosse! Come se ne trovavano sul Danubio e sul Reno, e fiorivano, ora, sul volto traumefatto dal fastidio di lui- si chiaro, si sporco di vergogna, nel suo biondo orgoglio.

-Compra quelle che più apprezzi. -, così aveva sulla pelle il suo ringhio, il bollire rauco delle bestie del freddo condannate alla sorgente aura del Sole, Roma!, e Roma stesso indicava qualche suppellettile prezioso, alcuni quadretti dall’estro movimentato e deciso, dove Eros aveva dipinto ogni sua più bieca quotidianità. Il trionfo della frivolezza, due individui s’innamoravano sotto l’indice di Augustus, preso nell’atteggiamento del cacciatore armato. Nel sorriso grezzo, acuto e significante, in ogni ombra del volto, nell’occhio vibrante, vinceva: “Sii partecipe, Ariovisto”, ed ogni altra aggiunta non era che un fiore.

Un bocciolo sanguigno sul volto del Reiks straniero, che più s’arrabbia e più arruffa il pelo, che vorrebbe i fulmini di Donar fra le mani- e più s’increspa e più si fa esotico, fiorisce burbero nell’abbraccio dell’alba, una scultura di furore nei pressi del cubiculum***.





Note:
*Heimdall: divinità norrena che sosta alle porte del regno degli Asi e Vani e sorveglia il ponte Bifrost. In caso di pericolo suona il Gjallarhorn, un corno in grado di raggiungere, col suo suono, ogni luogo.
*Eos: Personaggio della mitologia greca che indica l'alba, sorella di Helios e Selene.
***Cubiculum: stanza da letto del dominus.

Personali e Ringraziamenti:
Sono passati due anni dal mio ultimo aggiornamento. Eppure, ogni tanto, ricevo ancora amore e consigli per questa storia: continuo a ruolare il personaggio di Ariovisto, che non abbandono, ma la mancanza di scrivere concretamente su di lui si è fatta troppo sentire.
Ringrazio Nadia, che invece si è rimboccata le mani con Augustus, per il piccolo flash che è nato da una conversazione e invece mi ha portato a scrivere- ringrazio tanto chi non ha smesso di recensirmi, chi ha letto, chi magari nel proprio ricordava a qualche modo la storia.
Un grosso abbraccio, alla prossima! Non fra due anni, lo garantisco.
Baci, Blacket.

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